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Andrea Balbo Indicativo perfetto L’indicativo perfetto appartiene al perfectum e assomma in sé due tempi dell’antica lingua indoeuropea, il perfetto propriamente detto, che indicava un’azione compiuta nel passato e i cui effetti perdurano nel presente, e l’aoristo (conservatosi in greco come forma autonoma), che indicava un’azione momentanea, priva di durata. Questa compresenza di due elementi differenti pertinenti alla qualità dell’azione, ovvero alla caratteristica aspettuale, si è risolta in latino con la creazione di una sola forma con due valori temporali: a) passato prossimo, che dovrebbe essere utilizzato per indicare un’azione conclusa i cui effetti continuano nel presente (è il cosiddetto valore logico del perfetto): diffugere nives, nunc est ver, “si sono sciolte le nevi, ora è primavera” (valore logico); b) passato remoto, che dovrebbe essere usato nella traduzione quando il perfetto indica un’azione conclusa nel passato e priva di continuazione nel presente (è il cosiddetto valore storico o proprio del perfetto), es. Romani bellum fecerunt, “i Romani combatterono una guerra” (valore storico). Il trapassato remoto viene usato molto raramente per tradurre l’anteriorità di un’azione perfettuale rispetto a un altro perfetto, ma sta andando progressivamente in disuso ed è sostituito dal passato remoto: Postquam veni, te vidi = Dopo che fui giunto /giunsi ti vidi. Il perfetto attivo si forma secondo le seguenti regole generali: 1) Perfetto con suffissi Radice del verbo + (eventuale vocale caratteristica) + Suffisso + Desinenza Amo (“amo”) ha come vocale caratteristica ā, che si conserva nel perfetto am ā v i = amavi Dico ha la radice dic e utilizza il suffisso s dando vita a x dic s i = dixi Principali suffissi Coniugazioni interessate Caratteristiche Esempio put-a-v-i (I) del-e-v-i (II) pet-i-v-i (III) aud-i-v-i (IV) cup-i-vi (mista) -v- (intervocalico) / - u- (davanti a consonante) Tutte Tale suffisso è utilizzato in modo particolare da verbi con il tema in vocale, più raramente con il tema il consonante. dom-u-i (I) cens-u-i (II) col-u-i (III) aper-u-i (IV) rap-u-i (mista) -s- II, III e IV Il suffisso è utilizzato da verbi con il tema in man-s-i

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Andrea Balbo Indicativo perfetto

L’indicativo perfetto appartiene al perfectum e assomma in sé due tempi dell’antica lingua indoeuropea, il perfetto propriamente detto, che indicava un’azione compiuta nel passato e i cui effetti perdurano nel presente, e l’aoristo (conservatosi in greco come forma autonoma), che indicava un’azione momentanea, priva di durata. Questa compresenza di due elementi differenti pertinenti alla qualità dell’azione, ovvero alla caratteristica aspettuale, si è risolta in latino con la creazione di una sola forma con due valori temporali:

a) passato prossimo, che dovrebbe essere utilizzato per indicare un’azione conclusa i cui effetti continuano nel presente (è il cosiddetto valore logico del perfetto): diffugere nives, nunc est ver, “si sono sciolte le nevi, ora è primavera” (valore logico);

b) passato remoto, che dovrebbe essere usato nella traduzione quando il perfetto indica un’azione conclusa nel passato e priva di continuazione nel presente (è il cosiddetto valore storico o proprio del perfetto), es. Romani bellum fecerunt, “i Romani combatterono una guerra” (valore storico).

Il trapassato remoto viene usato molto raramente per tradurre l’anteriorità di un’azione perfettuale rispetto a un altro perfetto, ma sta andando progressivamente in disuso ed è sostituito dal passato remoto: Postquam veni, te vidi = Dopo che fui giunto /giunsi ti vidi. Il perfetto attivo si forma secondo le seguenti regole generali: 1) Perfetto con suffissi Radice del verbo + (eventuale vocale caratteristica) + Suffisso + Desinenza Amo (“amo”) ha come vocale caratteristica ā, che si conserva nel perfetto am ā v i = amavi Dico ha la radice dic e utilizza il suffisso s dando vita a x dic s i = dixi Principali suffissi Coniugazioni

interessate Caratteristiche Esempio

put-a-v-i (I) del-e-v-i (II) pet-i-v-i (III) aud-i-v-i (IV) cup-i-vi (mista)

-v- (intervocalico) / -u- (davanti a consonante)

Tutte Tale suffisso è utilizzato in modo particolare da verbi con il tema in vocale, più raramente con il tema il consonante.

dom-u-i (I) cens-u-i (II) col-u-i (III) aper-u-i (IV) rap-u-i (mista)

-s- II, III e IV Il suffisso è utilizzato da verbi con il tema in man-s-i

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consonante. Davanti a -s- si possono verificare diverse trasformazioni consonantiche analoghe a quelle della terza declinazione: a) gutturale + s = x b) dentale + s = s; in alcuni casi ss (percutio >percussi) c) labiale + s = generalmente il gruppo resta inalterato; a volte diventa ss (iussi da iubeo) d) nasale + s = esiti vari (può conservarsi, diventare s, dare vita a una labiale) e) sibilante + s = s o ss

(II) dic-s-i >dix-i (III) laed-si > laesi (III) saep-s-i (IV)

2) Perfetto con raddoppiamento Raddoppiamento + Radice del verbo + Desinenza Pendo (“peso”) raddoppia la sillaba iniziale pe pend i = pependi L’unico prefisso che agisce in latino nella formazione del perfetto è il cosiddetto raddoppiamento. Esso consiste nell’aggiunta di una sillaba formata dalla prima consonante della radice verbale seguita dalla vocale e; es.: te-tend-i da tendo o pe-pul-i da pello; in molti casi al posto della vocale e viene ripetuta la stessa vocale della radice; es.: cu-curr-i da curro. Si trovano perfetti raddoppiati nella I, II, III coniugazione e nella coniugazione mista (pario > pep$eri). 3) Perfetto radicale e apofonico Radice del verbo (con eventuale apofonia vocalica) + Desinenza In iŭvo (“aiuto”) con ŭ si verifica l’allungamento della vocale radicale: iūv i = iūvi Invece tribŭo (“attribuisco”) aggiunge la desinenza del perfetto senza mutare il tema: tribŭ i = tribŭi La radice può: a) non subire nessun mutamento; ciò avviene soprattutto nella II, III e IV coniugazione; in questi casi il tema del perfetto si distingue dai temi dell’infectum soltanto per le desinenze: prand-i da prand-e-o (II); b) subire un’apofonia quantitativa, ovvero un’allungamento della vocale interna della radice: lēg-i da lĕg-o; questo fenomeno si verifica in verbi di tutte le coniugazioni; c) subire un’apofonia qualitativa e quantitativa, ovvero la trasformazione della vocale interna della radice in una vocale lunga di timbro diverso: ēg-i da ăg-o; questo fenomeno si verifica soprattutto nella III coniugazione e nella coniugazione mista. Osservazioni 1) Ricorda che la i del suffisso della I persona plurale è breve e che, quindi, l’accento cade sempre sulla sillaba precedente: es. rapù-ĭmus; la ē della III plurale è invece lunga e quindi va accentata: es. rapu-èrunt. 2) Talvolta, nei verbi che hanno suffisso in -v- tale suono poteva cadere dopo vocale lunga, determinando la contrazione con la vocale seguente e, quindi, dando origine a una serie di forme sincopate che sono continuate nelle lingue romanze; es. audivisti> audiisti> audisti “udisti”; audivit > audiit “udì”; audiverunt > audierunt “udirono”; audivissem > audiissem >audissem “che io avessi udito”; audivisse > audiisse > audisse “aver udito”. Il perfetto passivo si forma nel seguente modo:

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participio perfetto + indicativo presente del verbo sum. pun&itus, -a, -um sum L’indicativo perfetto passivo è un tempo composto dal participio perfetto, che ha valore passivo, al nominativo (maschile, femminile e neutro), unito alle voci del presente del verbo sum, che ha la funzione di ausiliare. Il perfetto passivo ci permette di individuare il genere del suo soggetto e non solo la persona: le sue persone si differenziano infatti, oltre che per le forme di sum, per le desinenze singolari e plurali e maschili, femminili e neutre del participio, che, essendo un aggettivo, concorda in genere, numero e caso con il sostantivo a cui si riferisce. Ciò costituisce un notevole aiuto nella traduzione: es. la forma inventi sunt ci dice che il soggetto è plurale (poiché il participio è al nominativo plurale) ed è maschile (poiché il participio è concordato al maschile), mentre inveniunt ci dà soltanto informazioni sulla persona (III plurale). Nella traduzione la forma italiana non va ricalcata su quella latina. Laudatus est va tradotto “è stato lodato”, o”fu lodato” e non “è lodato”, che corrisponde invece al presente passivo laudatur.