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I meccanismi di difesa www.youpsicologo.com 1 “I MECCANISMI DI DIFESA. COME LAVORARE CON IL PRESTIGIATORE INTERIORE.” Dott. BAIOCCHI PAOLO Direttore - Istituto Gestalt Trieste - Trieste Introduzione I meccanismi di difesa sono un qualcosa che apparentemente rende molto difficile il lavoro del terapeuta ed è facile immaginarli come una sorta di nemico, competitore, oppositore del lavoro che il terapeuta cerca di sviluppare. Da anni ho adottato il punto di vista che ho appreso da Erving Polster, che affermava che se essi esistono per forza devono avere una ragione funzionale che sia utile al sistema e vanno quindi rispettati e talvolta addirittura onorati. Per comprendere il difficile lavoro sui meccanismi di difesa dobbiamo prima inquadrare dove essi si collocano all’interno della struttura psichica umana e le loro funzioni e caratteristiche. Una volta compresi tali aspetti strutturali e funzionali potremo sviluppare delle direzioni di lavoro su di essi che siano efficaci e al tempo stesso rispettose della funzione di guardia che essi svolgono. Le direzioni di lavoro psicoterapeutico in Gestalt in relazione ai tre livelli della struttura psichica La maggior parte delle terapie, compresa la Gestalt, lavorano con le più svariate tecniche lungo tre principali direzioni: - la consapevolezza - l’uso della volontà - la connessione. In Gestalt comunemente si promuove innanzitutto la connessione, sostenendo la presa di contatto con il mondo emozionale ed esperienziale, in un secondo momento si tende ad aumentare la consapevolezza del paziente su dei problemi o su aspetti di essi e in terzo momento si sollecita il piano esistenziale a fare qualcosa con il materiale emerso, cosa che normalmente richiede l’uso di numerose micro e macro decisioni, in altri termini ci si appoggia sulla volontà. Analizzando questi tre aspetti del lavoro psicoterapeutico ci si rende conto che essi si riferiscono a delle relazioni intrapsichiche tra diversi livelli della struttura psichica: in ogni essere umano si possono vedere la compresenza di più piani.

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“I MECCANISMI DI DIFESA. COME LAVORARE CON IL PRESTIGIATORE INTERIORE.”

Dott. BAIOCCHI PAOLO Direttore - Istituto Gestalt Trieste - Trieste

Introduzione

I meccanismi di difesa sono un qualcosa che apparentemente rende molto difficile il lavoro del

terapeuta ed è facile immaginarli come una sorta di nemico, competitore, oppositore del lavoro che il

terapeuta cerca di sviluppare.

Da anni ho adottato il punto di vista che ho appreso da Erving Polster, che affermava che se essi

esistono per forza devono avere una ragione funzionale che sia utile al sistema e vanno quindi rispettati e

talvolta addirittura onorati.

Per comprendere il difficile lavoro sui meccanismi di difesa dobbiamo prima inquadrare dove essi si

collocano all’interno della struttura psichica umana e le loro funzioni e caratteristiche.

Una volta compresi tali aspetti strutturali e funzionali potremo sviluppare delle direzioni di lavoro su di

essi che siano efficaci e al tempo stesso rispettose della funzione di guardia che essi svolgono.

Le direzioni di lavoro psicoterapeutico in Gestalt in relazione ai tre livelli della struttura psichica

La maggior parte delle terapie, compresa la Gestalt, lavorano con le più svariate tecniche lungo tre

principali direzioni:

- la consapevolezza

- l’uso della volontà

- la connessione.

In Gestalt comunemente si promuove innanzitutto la connessione, sostenendo la presa di contatto con il

mondo emozionale ed esperienziale, in un secondo momento si tende ad aumentare la consapevolezza del

paziente su dei problemi o su aspetti di essi e in terzo momento si sollecita il piano esistenziale a fare

qualcosa con il materiale emerso, cosa che normalmente richiede l’uso di numerose micro e macro

decisioni, in altri termini ci si appoggia sulla volontà.

Analizzando questi tre aspetti del lavoro psicoterapeutico ci si rende conto che essi si riferiscono a

delle relazioni intrapsichiche tra diversi livelli della struttura psichica: in ogni essere umano si possono

vedere la compresenza di più piani.

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Ho preso spunto da un articolo di Paolo Quattrini che parlava di due livelli: biologico ed esistenziale.

Nelle mie elucubrazioni rispetto alla struttura del sé umano mi è sembrato di vederne tre:

1. biologico

2. mentale

3. esistenziale

Il piano biologico corrisponde grosso modo all’insieme di istinti e apprendimenti presenti nel

cervello biologico, costituito dal sistema limbico e dal cervello rettiliano.

Il piano mentale corrisponde essenzialmente alla neocortex e in esso possiamo trovare svariate

funzioni, tra le quali le principali sono quella logica e quella culturale-mitologica. La mente, potentissimo

strumento di elaborazione del problem-solving, è a mio parere un ambiente virtuale generato

principalmente dalla neocortex e in essa normalmente alberga il piano esistenziale costituito dalla

coscienza e dalla volontà umane.

Il piano esistenziale esisterebbe, da un punto di vista neurobiologico, conseguentemente allo

sviluppo dei lobi frontali e prefrontali. La coscienza umana appare dotata di uno strumento di controllo e

gestione della mente che normalmente viene chiamata volontà.

La volontà umana permette di esercitare un potere sulla base delle percezioni colte dalla coscienza

dell’individuo; tale potere però, come vedremo, non è che rudimentale nell’essere umano e abbisogna di

essere sviluppato ed evoluto mediante la scoperta ed utilizzo delle funzioni interne alla volontà stesse.

Il piano esistenziale corrisponderebbe quindi alla coscienza umana dotata di intenzionalità cioè di

volontà.

Come dice Roberto Assaggioli un essere umano non possiede la volontà, è una volontà.

In sintesi un essere umano è costituito da una coscienza che può sviluppare intenzioni mediante la volontà,

questa coscienza normalmente alberga nella mente, struttura virtuale logico-mitologica che si trova in

relazione con una struttura più antica, cioè il cervello biologico.

Tra mente e cervello esiste comunemente un grado di connessione variabile, ma che

ordinariamente è assai basso. La coscienza si trova quindi normalmente molto separata e isolata dalla vita

esistente nel piano biologico.

Ho chiamato questo fenomeno di isolamento, molto comune, tra i due piani scissione mente – cervello.

In una metafora politica potremmo immaginare il cervello biologico come un paese medioevale in

cui ogni funzione biologica diventa un artigiano, un militare, un operaio, un contadino, ecc.

La mente diventerebbe allora il castello dove le funzioni cerebrali più evolute potrebbero essere

paragonate a nobili, avvocati, architetti, progettisti, saggi, maghi, sacerdoti, generali, artisti.

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Il piano esistenziale allora sarebbe il re del paese.

I meccanismi di difesa sarebbero dislocati nei punti di contatto tra i tre piani: sarebbero implicati in primo

luogo proprio nella scissione tra mente e cervello, formando una barriera al passaggio di comunicazione tra

i flussi emotivi e le spinte spontanee del cervello biologico verso la mente.

In una metafora politica potremmo visualizzarli come dei guardiani armati che permettono o meno

a dei messaggeri provenienti dal paese di entrare nel castello della mente.

In secondo luogo essi si troverebbero nell’interfaccia tra la mente e il piano esistenziale, e in questo caso

essi assumerebbero la forma di diplomatici che ingannano il re a volte per proteggerlo e non demoralizzarlo

con le cattive notizie e a volte invece per proteggere l’interesse di alcune funzioni della mente che vogliono

regnare nell’ombra manipolando le informazioni che vengono passate al re per farlo decidere nella

direzione da essi voluta.

In questo ultimo caso essi sarebbero una sorta di Talleyrand, che deduttivamente manipolava e coloriva di

suggestioni le informazioni che passava a Napoleone che, nell’illusione di decidere autonomamente, finiva

per agire secondo i fini del ministro.

Motivo di esistenza dei meccanismi di difesa

La principale funzioni dei meccanismi di difesa, come dice il nome stesso, è quella di proteggere, ma chi?

I meccanismi di difesa proteggono sia il piano mentale che quello esistenziale da tutta una serie di

fenomeni esercitando quindi le seguenti funzioni:

1) funzione di protezione dell’autostima mitologica. La coscienza identificata con la parte

mitologica della mente deve poter creare una immagine di sé che rispetti gli ideali e i valori

contenuti nel mito individuale sviluppato dalla mente.

La percezione di comportamenti, bisogni, desideri, ricchezze e povertà interne, che siano

disallineate con il mito individuale farebbero entrare in dissonanza la coscienza.

Essa deve essere quindi protetta e poter continuare indisturbata a immaginare se stessa

come il mito in fondo la desidera.

Ogni forma di percezione confermante la propria visione mitologica di se stessi viene allora attivata

dai meccanismi di difesa pur di definire la propria immagine di sé come buona, forte, capace, ecc. e

quindi proteggere il nucleo mitologico interno ad essa.

Ad esempio Napoleone fece infinite scelte dettate dalla propria ambizione, ben visibile dal

profilo storico, ma usava giustificare ognuna di esse con la frase: “Non lo faccio per me, ma per la

Francia”. Allo stesso modo, come dice Karen Horney, ogni debolezza o eccesso può venire dipinto

come qualità: un aggressivo si definisce onesto, un pavido cauto, un manipolatore efficace.

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La mappa dell’Enneagramma rispetto ai vari tipi di carattere descritta da Claudio Naranjo

illustra con precisione come ogni tipo personalità cerca di realizzare una sorta di mito centrale, che

si origina da precisi traumi e che rispecchia delle funzioni biologiche e mentali date. Ogni tipo di

carattere si protende verso un ideale malato di sé, ma traveste la propria malattia con nobili intenti

o mediante altre forme di camuffamento.

2) Funzione di protezione dell’autostima strutturale. La mente per poter agire deve sentire di

avere potere e controllo sugli eventi. Quando una persona non ha un grado sufficiente di risorse

per risolvere un problema, potrebbe entrare in inibizione.

I meccanismi di difesa in questo caso gestiscono gli insuccessi della persona inventando attributi

non reali per poter mantenere viva l’azione e dirottando l’attenzione sulle cause esterne più

svariate.

In questo modo viene salvata l’autoimmagine da un crollo di autostima.

Un imprenditore che ha subito un tracollo economico a causa della sua incapacità potrebbe ad

esempio attribuire alle contingenze del mercato, al mancato sostegno delle banche o all’azione di

un socio disonesto la responsabilità delle difficoltà in corso, deviando l’attenzione dal fatto che

altre ditte simili nella stessa situazione di mercato prosperano, che la fiducia delle banche va

conquistata e che è stato lui e non altri a scegliere il socio che accusa.

3) Funzione di protezione dalle emozioni e spinte spontanee troppo intense. Una ulteriore

funzione dei meccanismi di difesa consiste nel proteggere la mente dalle spinte istintive e dalle

emozioni troppo forti, come l’angoscia, il dolore, l’aggressività ecc.

Quando l’intensità delle emozioni supera una certa soglia, i meccanismi di difesa si attivano e

proiettano l’intensità dell’emozione su obiettivi assolutamente diversi da quelli previsti dalla

funzione biologica in modo da portare la persona a delle azioni consolatorie, autoprotettive, di

fuga, di conquista o di gratificazione che hanno l’unico fine di produrre uno scarico della tensione

eccessiva su degli obiettivi meno pericolosi.

Ad esempio un figlio che odia il padre ma ne ha bisogno e allora converte la sua aggressività

nella boxe.

Oppure un uomo dipendente dalla moglie e dalla madre che reprime la sua aggressività e il

suo bisogno di esplorazione, potrebbe divenire ipocondriaco per scaricare la tensione aggressiva e

ansiosa delle spinte biologiche sottostanti.

Ma molto semplicemente questa funzione protettiva si attiva quando una persona deve

affrontare una situazione che innesca in essa, per vari motivi, una forte ansietà.

4) Funzione di protezione dai conflitti biologici. In Gestalt si parla spesso del concetto di

autoregolazione organismica. Il fenomeno della autoregolazione organismica prevede una fede

nella saggezza dell’organismo e concretamente consiste nel decidere di ascoltare le proprie

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emozioni e sensazioni fino in fondo e promuovere le spinte spontanee al comportamento invece

di modulare il comportamento mediante il controllo della mente.

Nella mia pratica uso spesso questo atteggiamento di liberazione e promozione della spontaneità e

dell’istinto e trovo questo approccio fondamentale in psicoterapia. Nondimeno però ho potuto

osservare che l’autoregolazione organismica a volte non è sufficiente a risolvere delle situazioni di

conflitto biologico.

Bisogna differenziare i conflitti biologici da quelli esistenziali, e dai conflitti che si generano nella

contrapposizione tra il piano esistenziale e quello biologico.

Nella mia pratica clinica ho isolato alcune principali categorie di conflitti di tipo biologico che cito di

seguito:

Memorie traumatiche biologiche. A volte accade che il cervello biologico registri dei

traumi, situazioni di danno che colpiscono specificamente delle precise funzioni biologiche

(sessualità, esplorazione, difesa territoriale, conquista territoriale, alimentazione, ecc.).

Eventi specifici, che elicitano specifiche funzioni biologiche vengono in questo caso

associati al pericolo di vita.

La memoria traumatica biologica contiene una attivazione di una specifica strategia

comportamentale biologica (comportamento appetitivi, di rifiuto, di fuga, di aggressione, di

inibizione dell’azione) che era adeguata per l’organismo al momento del trauma.

Il problema è che ogni qualvolta si ripresenti uno stimolo presente nel momento del

trauma, la memoria biologica riattiva indefinitamente questa specifica strategia senza

valutare la sua opportunità nel contesto attuale.

Conflitto di priorità tra funzioni biologiche. A volte delle funzioni biologiche vengono

sollecitate nello stesso momento ed entrano in conflitto senza riuscire a divenire prioritarie

l’una sull’altra. Da ciò deriva una paralisi che minaccia l’uso di entrambi le funzioni.

Dinamica biologica non gratificabile. Se una importante dinamica biologica viene attivata

ma l’individuo non possiede sufficienti conoscenze e abilità per soddisfarla essa causa

sofferenza per semplice frustrazione del bisogno.

Ad esempio le dinamiche affettive, quelle di appartenenza, di riproduzione e quelle

legate al territorio e alla dominanza sono spesso poco soddisfatte nei pazienti.

Crisi o perdita significativa. Quando una persona attraversa un cambiamento significativo

o subisce una perdita affettiva importante, la funzione biologica dell’attaccamento può

venire sollecitata con tale intensità da divenire conflittuale.

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Basti pensare in questo caso al disagio che tipicamente accompagna una

separazione coniugale o la morte di una persona significativa. Alla stessa maniera i

cambiamenti del ciclo vitale possono sollecitare un grande disagio di fondo.

I conflitti biologici possono generare dei profondi disagi e paralizzare le spinte spontanee del piano

biologico o renderle inefficaci o francamente inadeguate, e anche in questo caso i meccanismi agiscono

impedendo alla coscienza di essere consapevole del conflitto e a volte addirittura costruendo dei sintomi

psichici in grado di allontanare l’individuo dalla situazione non sostenibile, senza che egli registri questo

consapevolmente.

Modalità di funzionamento dei meccanismi di difesa

I meccanismi di difesa funzionano con una modalità molto particolare: ingannano le percezioni che arrivano

alla coscienza. Come un prestigiatore inganna i sensi del pubblico, riuscendo a compiere degli atti

apparentemente magici di comparizione e o scomparsa di oggetti, allo stesso modo i meccanismi

trasformano i contenuti delle percezioni.

Di fatto essi offrono alla coscienza delle letture degli eventi, delle emozioni, delle relazioni, e

soprattutto delle cause degli eventi spiacevoli in modo da proteggere la mente da quanto visto

precedentemente.

In Gestalt si studiano tradizionalmente quattro meccanismi di difesa principali:

- Introiezione

- Proiezione

- Confluenza

- Retroflessione

Nella letteratura psicanalitica essi sono aumentati di numero negli anni e sono molteplici:

- Intellettualizzazione

- Formazione reattiva

- Identificazione con l’aggressore

- Rimozione

- Spostamento

- Isolamento

- Fantasticheria

- Controllo

- Repressione semplice

- Scissione o splitting

- Devalorizzazione o autoinvalidamento

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- Idealizzazione, ecc..

Consapevolezza, volontà e connessione come fenomeni correlati ai meccanismi di difesa

Per comprendere come sia possibile articolare degli interventi terapeutici sui meccanismi di difesa è

necessario parlare prima di alcuni fenomeni che sono correlati ad essi: la psicoterapia si rivolge sempre al

piano esistenziale umano, si allea con esso e da questa alleanza diviene possibile al piano esistenziale

compiere delle operazioni interne sul piano mentale e su quello biologico.

Consapevolezza, connessione e uso della volontà sono tre modalità con cui la terapia sostiene il

piano esistenziale a compiere un lavoro di guarigione ed evoluzione all’interno dei meandri della mente e

alle energiche forze del cervello biologico.

La consapevolezza si sviluppa quando si mette a fuoco una realtà da un punto di vista olistico.

Ad esempio quando una persona riconosce un suo tratto caratteriale, egli scopre che tutta una serie di

comportamenti che fino a prima attribuiva a delle ragioni giustificatorie, si spiegano mediante una struttura

nevrotica e difensiva propria.

Oppure quando una persona attenta in senso giustificatorio al comportamento negativo degli altri

scopre che questo si relaziona con dei comportamenti poco carini propri antecedenti, che hanno

contribuito in grande misura alla reazione sgradevole degli altri.

La consapevolezza si rivolge di fatto a tutte le categorie che abbiamo visto in precedenza: mitologia,

logica, dinamiche biologiche, conflitti biologici.

La consapevolezza si ottiene o per maturità della lettura o per pulizia della lettura.

A volte una persona non è consapevole in quanto non possiede di fatto le categorie sufficienti a leggere gli

eventi. Per cui quando la persona matura dei punti di vista migliori, la consapevolezza aumenta.

Ma esiste anche il caso in cui un evento sia letto mediante dei punti di vista giustificatori e allora

prima di maturare quelli efficaci è necessario abbandonare e pulire i filtri scorretti.

Il grande nemico della consapevolezza è la giustificazione.

La giustificazione funziona in molteplici modi: il più comune consiste nel trovare delle letture che negano il

potere su quegli eventi in cui la persona di fatto tale potere ce l’ha oppure delle letture che hanno lo scopo

di mascherare le intenzioni imbarazzanti che la persona ha con altre per lei meno coinvolgenti.

Se un bambino di 6 anni viene aggredito da un pedofilo, nessuno contesterebbe che egli non ha potere

sull’evento e quindi una lamentela di essere vittima sarebbe assolutamente reale.

Ma quando una moglie si fa vittima dell’assenza del marito tale lamentela spesso contiene un

enorme lato giustificatorio, cioè serve a nascondere alla coscienza la visione di tutti quei comportamenti,

attitudini e intenzioni della donna che hanno un grandissimo potere contributivo nella costruzione

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dell’evento di cui si fa vittima. Ad esempio ella potrebbe essere incapace di costruire per quest’uomo un

clima di amore e calore, o comunicare in senso tanto critico da divenire sgradevole, oppure desiderare

inconsciamente questa assenza per ripercorrere delle scene di assenza del padre ecc.

La realtà è che la moglie non è così priva di potere come si definisce, ma questa percezione

giustificatoria la allontana dal mettere a fuoco parti di realtà dove lei ha potere e che quindi sarebbero da

lei direttamente modificabili.

Non solo sarebbero modificabili ma il cambiamento di esse potrebbe comportare una svolta nella

relazione con il marito.

La volontà è il potere che il piano esistenziale umano, possibile grazie allo sviluppo dei lobi frontali

e delle aree prefrontali della neocortex, detiene sui processi interni, pensieri e funzioni mentali e sui

comportamenti, al di là del controllo su di essi esercitato dagli istinti e apprendimenti presenti nel cervello

biologico.

La volontà è il potere che la coscienza consapevole può decidere di esercitare per guidare tali processi e

comportamenti. La forza che il piano esistenziale può esercitare sul sistema globale del cervello non è di

sua natura sufficiente a garantire un controllo efficiente.

La volontà ha bisogno di essere acculturata, nutrita e sviluppata. Il piano esistenziale, per esercitare

tale potere deve apprendere ad utilizzare delle funzioni che gli sono proprie ed esercitarle fino ad

impadronirsene.

Per poter ottenere dei risultati terapeutici il terapeuta deve poter contare sull’uso di queste

funzioni da parte del paziente: se il paziente non riesce neanche un po' a guidare e contenere il suo

processo terapeutico allora sarà alquanto difficile anche per un terapeuta esperto far avvenire qualcosa di

significativo. Credo che quando Erving Polster diceva: “la metà della terapia la fa il paziente” intendesse

dire proprio questo. Molte delle tecniche terapeutiche quindi si fondano sul portare il paziente a svolgere

tutta una serie di operazioni che richiedono l’impegno delle funzioni della volontà.

Normalmente quando di parla di volontà si intende un fenomeno unitario.

Molto spesso si sente dire: usa la volontà, prendi responsabilità, devi decidere, assumi questo… ma ho visto

che questo tipo di consigli non sono di nessun aiuto a chi non ha avuto la fortuna di aver già sviluppato la

volontà ad un livello tale da poter essere utilizzata con un minimo di efficacia.

Negli anni ho studiato questo livello del piano esistenziale umano e mi è parso che la volontà non

sia per niente un fenomeno unitario, ma che al contrario si eserciti mediante l’uso di più funzioni.

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Ho cercato di isolarle per poter agire delle azioni di rinforzo e addestramento di esse in modo da sostenere

lo sviluppo del piano esistenziale dei miei pazienti, oltre che il mio.

Negli anni, con molta fatica, ne ho isolate otto, che mi è piaciuto chiamare metaforicamente “le

otto braccia della volontà”.

Così come per agire concretamente nel mondo abbiamo quasi sempre bisogno di utilizzare le mani, allo

stesso modo mi sembra che la volontà per agire nel mondo interno debba utilizzare otto braccia e otto

mani. Le persone che non hanno un piano esistenziale sviluppato si ritrovano ad essere monche di alcune

di queste braccia e incapaci di usare le mani, cioè le specifiche funzioni psichiche. Reputo fondamentale

nella mia pratica terapeutica, come nella mia vita personale, l’aver suddiviso in otto diverse funzioni quello

che appare una cosa unitaria, in quanto in questo modo diviene possibile esercitare in modo specifico i

“muscoli” delle funzioni, con degli esercizi specifici.

Non è questa la sede per approfondire questo aspetto, ma ecco in sintesi le otto funzioni della volontà:

1) costruire delle intenzioni

2) costruire degli obiettivi

3) imparare

4) registrare il positivo

5) contenere con pazienza

6) lasciar andare

7) ascoltare

8) esprimere

Come vedremo in seguito mi sembra che ognuna di queste funzioni della volontà possa essere

compromessa da uno o più meccanismi di difesa, che agiscono al posto della funzione sana.

La connessione riguarda il contatto della coscienza con il piano biologico.

Il piano biologico contiene come abbiamo visto sia istinti che apprendimenti e tenderebbe ad agire

comportamenti sulla base di un funzionamento diretto e spontaneo.

Il piano biologico si fa sentire sulla base di emozioni e spinte spontanee al comportamento.

Le emozioni e le spinte spontanee al comportamento non sempre sono gradite alla coscienza, in quanto

non sempre gli istinti o gli apprendimenti sono adeguati alla situazione ambientale.

Non solo ma una notevole parte degli apprendimenti del sistema limbico sono conflittuali in quanto

derivano da traumi. Quando una memoria limbica originata da un trauma si attiva, allora le emozioni e le

spinte spontanee del piano biologico sono inaccettabili, in quanto porterebbero a conseguenze negative.

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Ad esempio una donna abusata sessualmente nell’infanzia potrebbe sentire schifo e repulsione nei

confronti degli uomini e avvertire una spinta spontanea a scappare da essi o a rifiutarli cronicamente.

Analogamente un uomo abusato fisicamente dal padre potrebbe sentire cronicamente la spinta a evitare la

competizione e il confronto con altri maschi.

Insomma il piano biologico invia emozioni e spinte spontanee al comportamento che non sono

normalmente facili da gestire. La coscienza tende quindi a difendere il proprio controllo cercando di essere

il meno disturbata dalla vita biologica profonda.

Pensiamo infatti a quanto difficile sia stare in contatto con la paura, l’aggressività e le spinte sessuali.

La mente logica e il livello mitologico di un individuo cercano inoltre disperatamente di realizzare degli

ideali e di prevenire le conseguenze negative, ricercando delle situazioni di massima sicurezza. Molto

spesso infatti si verifica un conflitto tra la mente, che ricerca stabilità e realizzazione dei valori e ideali che

in essa sono contenuti e tra le spinte istintive, o programmate, del livello biologico.

Ma questo controllo è ottenibile soltanto con la disconnessione del piano esistenziale da quello

biologico. Questa disconnessione viene evidentemente realizzata mediante i meccanismi di difesa.

Il problema di ciò consiste nel fatto che la disconnessione tra le funzioni mentali e quelle biologiche

costa un carissimo prezzo all’individuo in termini di qualità di vita e di pienezza dell’esperienza.

La disconnessione non è però casuale o fondata soltanto su di una sorta di pigrizia del piano

esistenziale: ci sono delle grandi difficoltà da affrontare per riuscire a gestire la propria connessione.

Il piano esistenziale per riuscire a mantenere un buon livello di connessione con il piano biologico deve

poter contare su una evoluzione sufficiente delle funzioni della volontà, per poter comprendere le spinte

biologiche, differenziarle, promuoverle o inibirle e organizzarle in un progetto che rispetti dei principi di

efficacia e di socialità.

In altri termini si può notare che quanto più un individuo evolve le proprie funzioni esistenziali, che ho

chiamato “le otto braccia della volontà”, tanto più può permettersi di connettersi al piano biologico.

Vale anche l’inverso, in quanto un basso livello di evoluzione delle funzioni esistenziali della volontà

deve poter contare su delle modalità di isolamento dai flussi emotivi e dalle spinte spontanee del piano

biologico per poter mantenere il controllo e una direzione coerente con il piano degli ideali e dell’efficacia

nel mondo.

La funzione di isolamento tra mente e piano biologico avviene proprio grazie ai meccanismi di difesa.

Lavoro con i meccanismi

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Il lavoro sui meccanismi di difesa consiste essenzialmente nel prendere un contatto diretto con le cose reali

e nell’assumere responsabilmente i vari problemi: in altri termini consiste nell’aumentare consapevolezza,

connessione e uso della volontà.

I meccanismi agiscono prevalentemente come prestigiatori, facendo scomparire aspetti dei

problemi, oppure come dei diplomatici che sanno utilizzare le parole con tale raffinatezza da far passare

per bello ciò che è sgradevole.

Quando si lavora sui meccanismi lo scopo è quello di aumentare la definizione delle percezioni, cioè

riportarle a un grado di realtà maggiore.

Si cerca di far coincidere la VERITA’ della mente alla REALTA’ del cervello.

Si cerca di dare il giusto nome alle cose, siano esse emozioni, eventi, comportamenti, intenzioni ecc.

Questo lavoro consiste in uno smascherare ciò che è camuffato, in un portare alla luce ciò che viene

sotterrato e nascosto, di levare fronzoli abbellimenti e profumi a cose sgradevoli, di guardare in faccia i

problemi che si vorrebbero evitare e posticipare, di far assumere la responsabilità nei confronti di problemi

che vengono attribuiti all’esterno.

La vittima diviene così meno debole di quanto i meccanismi la dipingano, l’aggressore diventa meno forte e

più sensibile di quello che i suoi meccanismi gli permettano, il manipolatore diventa più capace di stare in

sistema in modo onesto e scopre quanto sente il bisogno di essere amato e stimato da un gruppo per

quello che è veramente.

Per lavorare con i meccanismi è necessario utilizzare delle direttive principali:

1) diagnosi del piano esistenziale. Vista la proporzione inversa tra lo sviluppo delle funzioni della

volontà e lo sviluppo dei meccanismi, è necessario non forzare i meccanismi se non si compie una

diagnosi di forza dell’io sufficiente.

A questo riguardo sottolineo l’estrema cura che bisogna prestare a una corretta valutazione della

forza dell’Io del paziente. Se il piano esistenziale è veramente debole ritengo sia corretto non

lavorare sui meccanismi ma sul rinforzo della volontà in primo luogo.

Questo avviene se il paziente di sente accolto in una relazione che sia per lui sicura e lentamente

comprende come sviluppare le funzioni mediante programmi specifici. Solo in un secondo momento

e progressivamente diviene possibile lavorare sui vari livelli dei meccanismi e sui problemi biologici

sottostanti.

Una prospettiva che credo possa essere di grande efficacia è la seguente: secondo la teoria delle

“otto braccia della volontà” la proattività umana potrebbe essere suddivisa in otto funzioni principali che

sono la modalità con le quali la coscienza rende concreto il suo operare nel mondo interno.

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Sempre secondo questo modello ogni funzione verrebbe sostituita in senso compensatorio da uno

o più meccanismi specifici qualora essa sia troppo debole per poter gestire i contenuti disagevoli della

mente e del cervello.

Questa ipotesi è troppo giovane per essere avvalorata da ricerche sufficienti, ma potrebbe divenire

molto interessante se trovasse riscontro.

Prendiamo ad esempio la funzione dell’imparare. I meccanismi che compensano specificamente questa

funzione sono quelli della intellettualizzazione o razionalizzazione. Quando infatti qualcosa va storto la

persona invece di utilizzare il fallimento o l’errore come situazione di apprendimento, ricorre al

meccanismo per potersi giustificare, cioè trovare una causa esterna all’insuccesso.

Nel caso invece della funzione del registrare il positivo, che consiste nel notare e apprezzare i

successi anche piccoli che uno ottiene, essa evidentemente viene compensata dal meccanismo

dell’autoinvalidamento, che molto ha a che vedere con il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore .

Un altro meccanismo che compensa la funzione del registrare il positivo consiste nella rimozione.

Mi è capitato spesso di trovare delle lamentele di perdita di memoria in persone che non avevano

sviluppato la funzione esistenziale registrare il positivo, che si è risolta in breve tempo quando essi hanno

appreso ad esercitarla, così come si sono risolte i sintomi dell’autosvalutazione dipendenti dal meccanismo

dell’autoinvalidamento altrettanto connesso alla stessa funzione.

Questa diretta connessione tra alcuni meccanismi e delle specifiche funzioni della volontà potrebbe

in futuro apportare delle importanti indicazioni sulle zone precise di intervento atte a sciogliere le

percezioni disfunzionali costruite dai meccanismi.

2) lavoro sulle dinamiche biologiche sottostanti. Una grande direzione di lavoro riguarda i conflitti e le

dinamiche sottostanti il lavoro di salvataggio operato dai meccanismi. Se nel livello biologico è attivata:

una memoria biologica traumatica allora bisognerà lavorare su di essa per risolvere l’accumulo

di informazioni negative accumulate. Se ad esempio esiste un abuso sottostante è necessario

trattarlo mediante delle tecniche in grado di provocare una liberazione del materiale emozionale

disfunzionale presente nella memoria e in un secondo momento ripristinare la funzione

biologica che è stata messa fuori funzione dal trauma.

una dinamica biologica non gratificabile in quanto ostacolata da una mancanza di risorse, è

necessario comprendere con precisione il tipo di bisogno e lavorare con il cliente per sostenerlo

nell’apprendimento delle capacità mancanti. In un secondo momento è bene attivare la sua

progressiva conquista nel mondo degli obiettivi legati al bisogno di partenza.

una crisi o una perdita significativa va gestita mediante un processo di elaborazione del lutto

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un conflitto di priorità tra funzioni biologiche va gestito mediante una negoziazione tra le

funzioni che in Gestalt viene ottenuta con grande efficacia con la tecnica della sedia calda.

3) lavoro sul meccanismo stesso. Claudio Naranjo afferma che Fritz Perls presentando il suo lavoro con

la sedia calda introdusse anche una grande chiave di lavoro sui meccanismi: il lavoro sulla proiezione.

Nella sedia calda infatti si mettono in seconda posizione delle parti di sé che normalmente sono viste

come estranee. La tecnica permette non solo di diventare consapevoli delle parti proiettate di sé ma anche

e soprattutto aiuta una persona a reincontrare delle forze e delle energie che sono bloccate per i motivi che

abbiamo visto prima.

Se si pensa all’introiezione si può facilmente immaginare che invece di ingoiare è necessario liberare

l’espressione spontanea, cioè il rischiare di prendere contatto con quello che è il proprio bisogno reale.

Rispetto alla deflessione, si tratta di notare esattamente il punto in cui il meccanismo interrompe il

contatto e ripresentare al cliente tale contenuto in modo da farlo esperire e vivere con intensità. In questo

senso aiuta la pratica della drammatizzazione, cara alla Gestalt, in quanto la forza espressiva aiuta a potare

in contatto il contenuto psichico che è preda del meccanismo della deflessione.

Un’altra modalità importante di lavoro sul meccanismo consiste nel confronto, spesso se fatto in

gruppo. Quando un meccanismo difende la struttura mitologica della mente è necessario smontare

progressivamente il mito senza attaccare la coscienza.

Ho trovato nelle tipologie caratteriali dell’enneagramma di Claudio Naranjo la più grande possibilità di

conoscere e mappare tali mitologie mentali che tendono a fornire all’individuo un senso di esistenza ma

che al tempo stesso accecano su tante altre importanti dimensioni dell’essere umano. Il confronto diviene

veramente importante se viene fatto in gruppo, in quanto la relazione duale pur essendo più intima

rispetto alla confessione di temi risulta essere più facilmente manipolabile dai giochi di potere e seduzione

del cliente, che non il gruppo.

Conclusioni

In questo lavoro quello che più mi preme sottolineare è che il lavoro sui meccanismi di difesa può essere

compiuto su due fronti assolutamente antitetici: uno di attacco frontale al meccanismo, nel quale si vuole

sostenere la coscienza a sviluppare maggior consapevolezza mediante il confronto e altre tecniche dirette

di “smontaggio della percezione alterata” e un altro che al contrario rispetta il meccanismo di difesa e la

sua funzione strutturante e proteggente l’Io.

In questo secondo caso la percezione alterata invece di essere attaccata e smontata viene

appositamente lasciata stare e il lavoro principale verte sul rafforzamento delle funzioni del piano

esistenziale, al fine di permettere lo sviluppo di una forza strutturante alternativa al meccanismo. Questi

due approcci, pur essendo assolutamente opposti, sono assolutamente corretti in sé e per sé, e credo

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debbano essere utilizzati entrambi. Nella mia esperienza, il criterio principale di utilizzo di ognuno di essi

risulta essere la diagnosi del piano esistenziale che orienta verso uno o l’altro: il metodo diretto quando il

piano esistenziale risulta forte, il metodo di supporto all’io quando esso risulta debole.

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