La famiglia interiore

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Testi di Massimo Antonucci LA FAMIGLIA Soggetto teatrale in 3 atti

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Questo scritto teatrale cerca di descrivere un sofferto percorso evolutivo , in cui i personaggi sono proiezioni della "famiglia interiore".

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Testi di Massimo Antonucci

LA FAMIGLIA

Soggetto teatrale in 3 atti

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Introduzione

Questo soggetto nasce da alcune riflessioni intorno

all’amore e alla famiglia. I personaggi sono una rappresentazione

della “famiglia interiore”: il primogenito è quella parte del sé che

usa la difesa della razionalizzazione, insieme ad altre strategie

ossessive per affrontare il mondo; il secondogenito, invece, è

l’adolescente, insofferente delle convenzioni e dell’ipocrisia, che

reagisce con rabbia; il terzogenito è quella parte del sè che cerca

di vivere ed esprimere i propri sentimenti. Anche le figure del

padre e della madre sono prevalentemente proiezioni di quello

che in termini psicodinamici possiamo definire il Superio: il padre

è il genitore autoritario, talvolta tirannico, che si riferisce

continuamente alla società e ai suoi vincoli; la madre vorrebbe

essere il genitore più autentico, ma è a sua volta vittima delle

convenzioni.

I personaggi sono inizialmente come avvolti in una

dimensione metafisica, irreale, sono personaggi disincarnati,

maschere di un discorso filosofico e psicologico. Nello svolgersi

delle vicende e nel racconto delle storie personali i personaggi

progressivamente si umanizzano, diventano persone con un nome.

Il percorso dei personaggi è un percorso evolutivo, di uscita dalle

“maschere”, di progressiva consapevolezza e accettazione dei

propri limiti.

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PRIMO ATTO

Prima scena

La famiglia è in vacanza al mare. È sera. Rumore di tuoni e di acque agitate che s’infrangono sugli scogli. Luci che illuminano la scena ad intermittenza come i riflessi della luce sull’acqua. Terzogenito: “Ho paura, fuori c’è tempesta, il vento, il mare scuro e agitato!” Madre (rivolto al terzogenito): “ Figlio mio, hai sempre paura di tutto!” Padre (rivolto al terzogenito): “Certo, il signorino, o forse la signorina (con sarcasmo), ha paura di tutto, anche del mare! Mi chiedo quando troverai il coraggio di tuffarti?” Terzogenito: “Sapete, ho fatto un brutto sogno: nuotavo e c’era gente che affondava e non riemergeva; così ho iniziato a pregare, ma Dio non mi ha dato ascolto e quella gente è rimasta nella pancia del mare!” Primogenito: “Non m’interessa il tuo Dio! Ho studiato la fisica, le cause e gli effetti, il principio di galleggiamento dei corpi e tutto ora mi è chiaro!” Madre (rivolto al primogenito): “Dove vuoi arrivare con le tue teorie? Dovresti occuparti del mondo per viverlo e non per capirlo! Mi sembra che anche tu abbia paura del mare come il terzogenito…” Padre: “Con tutti questi discorsi non ho ancora capito chi verrà con me a tirar su le reti domattina!”

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Secondogenito: “Anche in vacanza non manchi di far sentire la voce del dovere!” Terzogenito (come per difendere il secondogenito dalla reazione del padre): “Verrò io, se vorrete. Domani il mare sarà tranquillo dopo questa tempesta!” Primogenito: “Andate pure senza di me. Io mi occuperò delle previsioni del tempo, dei venti e delle maree.” Il padre è visibilmente contrariato. Si spengono le luci e sfumano i rumori fino al silenzio.

Seconda scena Il secondogenito fa un sogno piuttosto angosciante: è dentro un’aula di tribunale in cui siede sul banco degli imputati; il giudice apre il processo battendo il martello. GIUDICE: “Siamo qui riuniti per celebrare il processo contro questo uomo responsabile, a quanto risulta dall’accusa, di omicidio del padre e della madre. La parola all’accusa per spiegarci il movente del duplice delitto e produrre le prove del reato compiuto.” ACCUSA: “Grazie Vostro Onore! Signori e signore qui presenti, vi prego di guardare in volto l’imputato. Guardatelo bene, ma non fatevi trarre in inganno. Dietro quel viso apparentemente normale, quei lineamenti regolari, in cui ognuno potrebbe riconoscersi o riconoscere una persona perbene, si cela una personalità malata e pericolosa, capace di atti orrendi come l’uccisione del padre e della madre, un padre e una madre devoti che lo hanno allevato prendendosi amorevolmente cura di lui, provvedendo ai suoi bisogni. Il loro unico “difetto”, se lo vogliamo chiamare così, è stato quello di non essersi piegati ai capricci di un figlio sempre

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più esigente, che tiranneggiava la sua famiglia con le sue richieste sempre più insistenti e irragionevoli. Questo individuo, infatti, pretendeva di vivere una vita nell’eccesso, contando, allo stesso tempo, sulla comprensione e sull’appoggio della sua famiglia. Da questa semplice ragione è nato quel conflitto insanabile che ha portato all’esito fatale: l’assassinio del padre e della madre da parte dell’imputato!” GIUDICE: “La parola alla difesa!” DIFESA: “Signore e signori, l’accusa vi ha invitato a guardare bene in faccia l’imputato. Lo farò anche io, ma per dirvi che in quel viso forse vi potrete riconoscere perché siete uomini e donne che hanno vissuto storie simili a quella dell’imputato, anche se la forza delle vostre passioni forse era differente e anche l’esito della storia, per vostra fortuna, è stato differente (in aula si rumoreggia). Certo, capisco che si cerchi di non vedere il proprio volto riflesso in quello di colui che giudichiamo un assassino. Se, però, ascolterete senza pregiudizi, oltre a riconoscervi nel suo viso, vi potrete riconoscere anche nella sua storia. Per questo ora lascio la parola all’imputato!” IMPUTATO: “Signori e signore, Vostro Onore, in questo volto, prima di tutto, vedrete i lineamenti induriti dalla sofferenza, una maschera scolpita nella pietra. Sono i segni visibili di quella anestesia dell’anima che in genere chiamiamo depressione. Il mio temperamento, fin dall’infanzia, è stato incline alla malinconia, quasi presagisse il suo destino… Sono cresciuto, un po’ come tutti, cercando di soddisfare le aspettative dei propri genitori e di plasmarmi sui loro desideri. Per quanto facessi, però, la mia sensazione era, comunque, di essere al di sotto delle loro aspettative, inadeguato. Inconsapevolmente, almeno credo, ho maturato questa malsana convinzione: se non sono abbastanza “bravo, buono e bello” per essere amato così come sono, proverò ad essere un figlio “perfetto”. Fu così che imboccai la strada della finzione e della sofferenza. Purtroppo, o

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per fortuna, la perfezione non è nelle possibilità dell’uomo, ma solo una fantasia che cerca di compensare la percezione della propria fragilità. La messa in scena del “figlio perfetto” era però costantemente minacciata di naufragio: un normale insuccesso così diventava sufficiente per mandare all’aria la finzione e far cadere la maschera. La fragilità, allora, rimaneva nuda e subentrava l’aggressività, con cui cercavo di conquistare l’altro, non più con la seduzione della “perfezione”, ma con il potere della rabbia. Questo tentativo era condannato allo scacco: il mio bisogno d’amore respingeva gli altri…E allora, nel vuoto della solitudine, l’aggressività si rivolgeva contro di me. Così, il pendolo della mia vita ha preso ad oscillare tra onnipotenza e impotenza, tra eccitazione ed apatia, incapace di rispondere alla fondamentale domanda “Perché nella mia vita non c’è amore?” GIUDICE: “Mi sembra si stia dilungando troppo nel racconto della cornice dei fatti, venga al punto. Ha ucciso o no i suoi genitori?” IMPUTATO: “Vede giudice, non sto tergiversando, sto cercando faticosamente di spiegare le mie ragioni…” GIUDICE: “Questo, però, non è un confessionale! Noi giudichiamo solo i fatti…” DIFESA: “Mi oppongo Vostro Onore, l’imputato deve sentirsi libero di sviluppare il proprio racconto come ritiene più opportuno. Possiamo forse conoscere il motivo delle nostre azioni, tracciando una linea netta tra il sentire e i comportamenti che ne conseguono?” GIUDICE: “Obbiezione accolta! L’imputato continui con la sua deposizione.” IMPUTATO: “Mi creda, non ho intenzione di mentire. Anzi, il motivo della mia tragedia deriva proprio dalla volontà di uscire dalla finzione.”

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GIUDICE: “Cosa intende dire?” IMPUTATO: “Intendo dire che io, come tanti, ho iniziato presto a “recitare” la mia vita seguendo un copione scritto da altri. È un copione che si costruisce con il gioco delle aspettative…L’altro si aspetta che tu ti comporti in un certo modo e se non lo fai otterrai la sua disapprovazione; così se tu vuoi vivere in pace e amato da tutti dovrai iniziare a recitare una parte, quella parte che gli altri hanno scelto per te. I problemi nascono se provi ad uscire dal gioco, provi ad essere te stesso, ad esprimere i tuoi desideri, a dargli forma…” ACCUSA: “Vostro Onore, l’imputato ci sta portando in lungo e in largo nei meandri della sua anima perversa, senza affrontare il punto. È tempo che risponda in modo chiaro e diretto alla domanda: ha ucciso suo padre e sua madre?” GIUDICE: “Accolgo l’obbiezione dell’accusa. Imputato risponda alla domanda che gli è stata rivolta.” IMPUTATO: “Si! Ho ucciso i miei genitori per legittima difesa!” Espressioni di sorpresa e di disapprovazione in aula. GIUDICE: “Se ho capito bene, lei ammette di aver compiuto il reato, ma cerca di giustificarlo con la legittima difesa. Vuole forse ottenere uno sconto di pena?” IMPUTATO: “No, purtroppo, io la pena la sto già scontando ed è la pena che infligge la colpa! Vede, Vostro Onore, al capolinea della depressione ci sono solo due possibilità: o morire per mano del genitore o ucciderlo. Una parte di me ha scelto la seconda strada!”

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GIUDICE: “Di cosa parla? Vuole forse dire che due poveri vecchi erano per lei così pericolosi da temere per la propria vita?” IMPUTATO: “Si, in un certo senso la scelta era tra me e loro, una scelta dolorosa: vivere la mia vita per come la sentivo o vivere la vita per come loro volevano che fosse! In ogni caso questa scelta avrebbe comportato la perdita di qualcosa d’importante, anzi un prezzo altissimo: la mia vita o l’affetto dei miei genitori! ” GIUDICE: “Vuole spiegarci cosa intende?” IMPUTATO: “Ho già ammesso la mia colpa e non imploro il perdono. Proverò, quindi, solo a spiegare cosa è successo davvero!” GIUDICE: “Continui, ma la prego di parlarci di fatti, noi giudichiamo solo i fatti!” DIFESA: “Vostro Onore. Chiedo che all’imputato venga lasciato tutto lo spazio di cui ha bisogno, per raccontarci le vicende dal suo punto di vista, dirci quali passioni o motivi lo hanno spinto ad agire. Solo dopo potrete giudicare con cognizione di causa!” GIUDICE: “Obbiezione legittima. Dal momento che l’imputato mostra di voler collaborare alla ricostruzione dei fatti, la corte decide di lasciare all’imputato lo spazio necessario per discutere le sue motivazioni!” IMPUTATO: “In primo luogo, vorrei dire che chi vi parla è, almeno in parte, innocente… (in aula si sente un crescente vociare) Colui che ha ucciso i miei genitori lo conosco, è un mio coinquilino: sapete la nostra casa ha diversi appartamenti e lui occupa uno di questi. Sarà lui, se volete, a raccontarvi come sono andate le cose. Io in un certo senso sono stato solo un testimone!” Il giudice confuso e spazientito per le dichiarazioni dell’imputato.

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GIUDICE: “Il suo dire e non dire mette a dura prova i miei nervi! Lei se ho capito bene sta chiamando in causa, per i reati commessi, il suo coinquilino? È per caso qui tra il pubblico?” IMPUTATO: “Si è seduto lì!” GIUDICE (rivolgendosi all’uomo indicato dall’imputato): “La prego si avvicini per fare la sua deposizione!” La persona interpellata si alza e va a sedersi nel banco dei testimoni. GIUDICE: “La prego di dirci in quali rapporti si trova con l’imputato e il grado del suo coinvolgimento nelle tristi vicende che siamo chiamati a giudicare.” COIMPUTATO: “Signori e signore, ho sempre abitato nella stessa casa dell’imputato. Per questo lo conosco da una vita, anche se lui, da un certo momento in poi, ha iniziato ad evitarmi. Da bambini, fino all’adolescenza, eravamo sempre insieme … Poi giorno dopo giorno ha iniziato a prendere le distanze, diventando freddo e distaccato, come se si stesse trasformando in qualcuno che non riconoscevo più. Ero disperato nel vederlo cambiare così, come se il mio amico del cuore, quello con cui ridevo, con cui piangevo, con cui tremavo, fosse morto. Non mi rassegnavo, ma non sapevo neanche dove e come trovare un perché di quanto accadeva. Poi, un giorno, parlando con il padre, iniziai a capire: “Da quando ti frequenta il mio ragazzo ha iniziato a prendere una cattiva strada, in giro tutto il giorno a perdere tempo, a fare strani discorsi. La tua amicizia è malsana per mio figlio. Non aggiungo altro... Se vuoi che le cose non vadano a finir male, non farti più vedere!” Era evidentemente una minaccia… Provai a chiedergli spiegazioni, ma non ci fu verso di sapere qualcosa di più. Io e l’imputato stavamo spesso insieme e, certe volte, quando si

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faceva tardi, capitava che rimanesse a dormire nel mio appartamento. Il padre, evidentemente, tutto questo non lo tollerava. In verità, non solo il padre…sicuramente anche la madre non vedeva di buon occhio la nostra amicizia: mi guardava sempre in modo strano, come per cercare di leggere in fondo alla mia anima e trovare conferme a chissà quale sospetto. Così ho iniziato ad odiarli: loro erano l’ostacolo per la nostra amicizia! Giorno dopo giorno il mio odio diventava sempre più freddo e calcolato, fingevo la solita cordialità, ma in realtà pensavo solo a come sbarazzarmi di loro…” GIUDICE: “Intende dire che progettava il loro omicidio?” COIMPUTATO: “Si, più o meno è così!” Rumori dall’aula GIUDICE: “Silenzio, per favore! Facciamo parlare il teste!” COIMPUTATO: “L’idea di eliminare questo intralcio al nostro rapporto diventò un chiodo fisso. Un giorno presi coraggio e ne parlai anche a lui che, in un primo tempo, ebbe una reazione rabbiosa: “Sei pazzo! Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo di fare?”. Si, certo, mi rendevo conto, così come mi rendevo conto che quei genitori giorno dopo giorno stavano annullando la vitalità del mio amico, piegandolo ai loro desideri, sacrificandolo in nome del loro ideale di figlio: dottore in legge, sposato con una brava donna, tanti figli…” GIUDICE: “Mi sembra che queste aspettative verso i figli siano piuttosto comuni. La natura del vostro rapporto, però, mi sembra eccedere la semplice amicizia. Vuole chiarire meglio questo punto?” COIMPUTATO: “Cosa sta insinuando?”

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GIUDICE: “Provo ad essere più esplicito: la natura dei suoi sentimenti verso l’imputato mi sembra eccedere la semplice amicizia e sconfinare nell’amore morboso, nell’omosessualità!” COIMPUTATO: “Non so cosa intendiate per omosessualità! L’unica cosa che so è che lui era una parte di me e che solo quando stavo con lui mi sentivo vivo, integro!” GIUDICE: “Lasciamo da parte, per ora, la natura dei suoi rapporti con l’imputato e vediamo di ricostruire quanto ha affermato davanti a questa corte. Lei ha detto di frequentare da sempre l’imputato e di avere stretto con lui una relazione di tale intensità che, di fronte all’ostacolo rappresentato dai genitori dell’imputato, non ha esitato a pianificare un omicidio.” COIMPUTATO: “Si, questa ricostruzione risponde al vero. La nostra amicizia era talmente forte che io non riuscivo a sopportare il distacco imposto dai suoi genitori!” ACCUSA: “Il quadro ora è chiaro. I due avevano un rapporto omosessuale morboso che i genitori cercavano di contrastare. Questo è il motivo per cui questi pervertiti hanno architettato il loro piano criminale. Ora che è chiaro il movente, chiedo ai due imputati di non esitare oltre nella ricostruzione dei fatti!” GIUDICE: “Accolgo le osservazioni dell’accusa. Perciò invito gli imputati a ricostruire nel dettaglio i fatti riguardanti l’assassinio dei due poveri malcapitati. Imputato può confermare quanto detto dal suo coinquilino?” L’imputato parla con qualche titubanza.

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IMPUTATO: “È difficile spiegare…Il mio rapporto con lui è sempre stato ambivalente: da una parte, ero attratto da lui, mi portava verso una dimensione della vita fatta di desiderio, passioni forti; ma, allo stesso tempo, lo temevo così come si teme il mare in tempesta. Temevo di perdermi, insieme a lui, nelle correnti incontrollabili della vita. Così, pian piano, ho cercato di mettere sempre più distanza tra noi, di assecondare il volere dei miei genitori, mettendo in scena il copione del “figlio perfetto”. Allontanarmi da lui significava mettere a tacere le mie paure, ma anche chiudersi al mondo, quella chiusura che è all’origine dell’ anestesia dell’anima di cui vi ho già parlato. Il giorno in cui venne a parlarmi del suo piano per uccidere i miei genitori, in un primo momento ebbi una reazione rabbiosa e lo cacciai via. Ma le sue parole echeggiavano nella mia mente come il canto delle sirene: non riuscivo a farle tacere. Alla fine, dopo un incontro tempestoso, decidemmo il piano d’azione: a notte inoltrata, avrei aperto la porta d’ingresso, lui sarebbe arrivato e insieme avremmo sorpreso i miei genitori nel sonno, facendo ricadere poi le colpe su qualche malvivente…Le cose più o meno andarono così, anche se io al momento di infliggere i colpi... L’imputato scoppia a piangere GIUDICE: “Lei testimone e coimputato concorda con la versione dei fatti fornita dall’imputato?” COIMPUTATO: “Si! Quello che dice l’imputato risponde al vero. Al momento dell’azione lui sbiancò in viso, accasciandosi al suolo impotente. Fui io ad infliggere i colpi mortali!” Il pubblico sorpreso rumoreggia. Alcuni si alzano in piedi urlando “Assassino, assassino!”.

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GIUDICE: “Con l’ammissione delle vostre colpe il processo è arrivato al termine. La Corte vi dichiara colpevoli di duplice omicidio!La seduta è tolta.” Il giudice batte il suo martello. Il secondogenito si sveglia madido di sudore.

Terza scena Rumori di passi pesanti. Si sente il rumore dell’aprirsi di una porta. La luce filtra dalla porta aperta. Padre: “ È l’ora! Su quanti UOMINI posso contare?” Terzogenito: “Padre, stavo facendo un sogno bellissimo: c’erano dei delfini, mi tuffavo e nuotavo insieme a loro, ridevano. Mi piacerebbe così tanto continuare il mio sogno!” Secondogenito: “Vi chiedo scusa, padre, ho dormito male e ho avuto gli incubi: non mi sento di venire a pesca!” Primogenito: “Io sono sveglio da tempo, se volete verrò io con voi!” Padre: “Confidavo in una maggiore partecipazione … (con sarcasmo)voi “angioletti” continuate pure a dormire…e tu, primogenito, preparati ti aspetto di sotto!” Primogenito: “Il tempo di lavarmi il viso…”

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Il padre si allontana. La luce si spegne al chiudersi della porta. Una luce illumina il primogenito che si lava il viso davanti ad uno specchio. Rumore di acqua dal lavandino. Primogenito ( rivolto allo specchio): “Non ero io a dover uscire, non erano questi i piani… il mondo dell’uomo è sempre così imprevedibile! Le passioni, le emozioni, gli affetti… E l’amore? Mi ricordo quella volta ( su uno schermo vengono proiettati volti femminili e scene d’amore), una magica scintilla, l’intesa dei corpi, gli amplessi…eravamo una sola cosa: dov’è lei ora? Cosa ne è ora di quello che pensavo fosse amore? Nessun controllo è possibile! (fa una pausa) Preferisco il mondo degli oggetti, la fisica, dove tutto risponde a leggi precise, sempre uguali, e tutto può essere calcolato in base a formule matematiche. Ho bisogno di controllo, di controllo, di controllo… Il terzogenito si lava con un rituale ossessivo per tre volte. Spegne la luce. Esce richiudendo la porta.

Quarta scena La madre entra nella stanza da letto e accende la luce. Madre: “Alzatevi, voi due! Dato che non siete andati con vostro padre, verrete con me a fare spese, così mi aiuterete a caricare il peso!” I due si alzano in modo un po’ svogliato dal letto, sbadigliando e stiracchiandosi. La madre richiude la porta. Si spengono le luci. Al riaccendersi delle luci i tre sono all’interno di un supermercato. Rumori di cassa. Voce di una speacker. Corsie di grande centro commerciale.

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Terzogenito: “La moltitudine è per me come il mare, mi sento sopraffatto, trasportato dall’onda, quel dondolare che mi dà la nausea…” Secondogenito: “ In effetti, a guardarti bene sei bianco in viso… Io, invece, ti confesso che sono pieno di rabbia e i pianti dei bambini mi fanno letteralmente impazzire! Mi sembra di odiare tutto e tutti: i bambini, le loro madri, chi mi spinge, chi ride…” Madre (ripassa a voce alta la lista della spesa): “Zucchero, farina, uova, burro…si questo per la torta! Pane, latte per la colazione; carne macinata e pan grattato per le polpette; vino rosso …” Secondogenito: “Madre, il terzogenito non sta bene e anch’io a dire il vero! Andiamo fuori a prendere un po’ d’aria e ti aspettiamo alle casse!” Madre (con aria di disapprovazione): “ Bravi! Come al solito devo fare tutto da sola…andate, andate pure!” I due parlano tra loro allontanandosi. Terzogenito: “Con lei mi sento invisibile, il suo sguardo mi attraversa, è come se passasse nel vuoto, non esisto!” Secondogenito: “Credo di capire… Io, invece, è come se dovessi lottare con tutto me stesso per allontanarla da me, per prendere spazio, per non soffocare! Vieni usciamo!” Il terzogenito e il secondo escono.

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Quinta scena

Il padre e il primogenito sono appena scesi dalla barca. Padre: “Il tuo stomaco è debole, non hai fatto altro che vomitare! Stai pure a casa la prossima volta, preferisco stare da solo piuttosto che farti da infermiera…” Primogenito: “Scusa, padre, questo mare lungo davvero non lo sopporto… le previsioni non davano vento, per questo mi sono deciso a seguirti!” Padre: “ Tu e le tue maledette previsioni! Mentre tu passi il tempo a calcolare, la vita ti passa davanti e neanche te ne accorgi. Alla tua età sei ancora a casa con i genitori! Dove è andata quella donna con cui stavi?” Primogenito: “È passato tanto tempo… Perchè mi chiedi proprio ora cosa è successo tra me e quella donna? Parli come se tutto questo tempo non ci fossimo mai visti?” Padre: “Tutto questo tempo l’ho passato a procurare di che vivere per te e per tutta la famiglia. Ti sembra poco? I tuoi maledetti calcoli li hai imparati perché qualcuno ha faticato, ha portato i soldi a casa e ti ha permesso di studiare!” Primogenito: “Padre, sicuramente io ho sbagliato a fare le previsioni del tempo, ma tu mi sembra che abbia sbagliato i calcoli quando ti sei sposato e messo su famiglia!” Padre (con il viso contratto dalla rabbia): “Si! In questo caso credo proprio che tu abbia ragione: ho fatto degli errori di calcolo e questa è la mia punizione! Ho creato da me il mio inferno…”

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Il primogenito non risponde. Rumori di passi che si allontanano fino a svanire.

Sesta scena

A tavola tutta la famiglia riunita. Padre (rivolgendosi alla madre): “Tuo figlio ancora una volta mi ha deluso… in più dice che a sposarmi e a metter su famiglia ho sbagliato i miei calcoli!” Madre: “Sono cose che dice così, non sa neanche lui perché. Non dargli peso…” Padre: “Sono stanco di sacrificarmi per chi mi ricambia con la sfacciataggine e l’ingratitudine!” Madre: “Mangia e non arrabbiarti. Così ti verrà il mal di stomaco!” Padre: “Al diavolo il cibo!” Il padre esce. Madre: “Cosa è successo, Primo?” Primogenito: “Le reti erano vuote e io ho vomitato tutto il tempo per il mal di mare!” Madre: “Come è possibile? I miei figli, dunque, sono tutti così deboli? Uno ha il mal di mare, l’altro sbianca nelle corsie del mercato perché si sente sopraffatto dalla gente e l’altro ancora impazzisce se qualcuno lo urta o se un bambino piange…Il cielo è contro di me o forse il mio latte di madre era avvelenato?”

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Terzogenito: “Perché parli così!Non è forse normale aver paura o sentirsi male in barca? Non è normale soffrire e lamentarsene? O forse è strano sentire in certi momenti rabbia e in altri odio?” Madre: “Si, per voi è tutto talmente normale…Io ho vissuto la mia infanzia nel terrore della guerra e dei bombardamenti, mangiando ciò che voi non avvicinereste alla bocca. E non mi lamentavo, non mi lamentavo…” Primogenito: “Forse non ti lamentavi perché tuo padre non te lo permetteva…” La madre scoppia a piangere. Secondogenito (allontanandosi dal tavolo): “Basta non sopporto più questi discorsi e mi è passata la fame…” Terzogenito: “Anche io mi ritiro in camera!” La scena si chiude con il pianto della madre, i tre figli che si allontanano e le luci che scendono.

Settima scena

Il padre e la madre in camera da letto. Padre: “ Questi figli sono così deboli e ingrati per causa tua. Li hai voluti crescere a modo tuo e questi sono i risultati!” Madre: “Certo e tu dove eri quando io crescevo tuoi figli, li pulivo e facevo da mangiare …”

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Padre: “Ero a lavorare per voi, a spaccarmi la schiena, giorno dopo giorno per portare a casa il necessario per vivere. È una colpa questa?” Madre: “Magari avresti potuto prenderli in braccio e giocare, portarli ai giardini dove ci sono le altalene, andare a scuola a parlare con le insegnanti…” Padre: “Certo, avrei potuto fare questo ed altro, tutti potrebbero fare qualcosa di più o di diverso! Anche tu forse avresti potuto amare per davvero. Per te amore è solo accudire, un dovere verso la famiglia. Anche fare l’amore con me è una pratica da sbrigare presto e da nascondere sotto le lenzuola…” Madre (tra singhiozzi e lacrime): “Dio, Dio mio! Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo! Ho sacrificato tutta la mia vita per la famiglia e questo è il risultato: un marito insoddisfatto di me come donna e che mi accusa anche per l’educazione dei figli, la stessa educazione di cui non ha mai voluto sapere!” Padre: “Forse avrei potuto avere un ruolo anch’io in questa benedetta EDUCAZIONE dei figli, se tu l’avessi voluto. Ma mi hai lasciato fuori! Erano i tuoi figli… Certo! I tuoi figli…e sul monopolio dei loro affetti hai costruito le tue certezze. Ed ecco i risultati!” Il padre si gira sul letto dando le spalle alla moglie, la madre continua a piangere.

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SECONDO ATTO

Prima scena

Pranzo di natale. La famiglia è riunita con la zia e la cugina. Primogenito (rivolgendosi alla cugina): “Cosa è successo al tuo matrimonio… è finito appena un mese dopo il “si” sull’altare!” Cugina: “È scappato come un coniglio, quel meschino!” Terzogenito: “Di cosa ha avuto paura?” Cugina: “Non so bene di cosa avesse paura. Forse ha capito che avrebbe dovuto scegliere tra me e sua madre e ha preferito sua madre. Quello che so per certo è che è scappato via! Comunque, per come sono andate le cose è meglio che sia finita subito!” Madre: “Su mangiate ragazzi, parlerete dopo… dai, altrimenti la pasta si raffredda!” Secondogenito (commenta sarcastico): “Mangiate, mangiate… non perdiamo tempo a parlare, la pasta si raffredda!” Zia (rivolgendosi alla madre): “Ho scoperto che mio marito, pace all’anima sua, aveva una relazione con una vicina, per questo andava così spesso a farle visita… ed io, stupida, che pensavo a semplici gesti di gentilezza verso una povera vedova!” Madre: “Ma come ti viene in mente un’idea del genere! Non posso crederci!” Zia: “Puoi anche non crederci, ma sono talmente tante le voci che vengono dal condominio che mi sembra impossibile siano tutte infondate!”

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Madre: “Ti stai riferendo quindi non ad una semplice scappatella, ma ad una lunga storia tra amanti?” Zia: “Povera me, credo proprio di si! Dopo questa scoperta, non ho più neanche la consolazione di un buon ricordo…” Padre: “Bando alla tristezza…Facciamo un brindisi all’amore e alla famiglia!” Terzogenito ( rivolto alla cugina): “Mi chiedo spesso che significato attribuisca all’amore e alla famiglia…” Secondogenito (alzandosi in piedi e richiamando l’attenzione): “Mi unisco con piacere al brindisi proposto da nostro padre! Evviva l’amore! E tanto per restare in argomento, voglio dirvi che mi sono appena fidanzato con un ragazzo meraviglioso: ci amiamo e presto andremo a vivere insieme!” Padre: “Disgraziato, sei impazzito? Di cosa parli…Vuoi dire che sei un maledetto finocchio?” Secondogenito: “Finocchio non è la parola giusta…sono omosessuale, O-M-O-S-E-S-S-U-A-L-E!” Madre: “Ecco un bel regalo di Natale! Avete deciso di farci morire, tu e tuoi fratelli?” Il padre dopo le parole della madre, lascia il suo posto, fa qualche passo verso il secondogenito ma si accascia a terra colto da un malore. Tutti si precipitano intorno al padre.

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Seconda scena

Secondogenito da solo in bagno, davanti allo specchio, nudo. Padre: (la voce del padre registrata) “Da quando sei nato sei una delusione…non ne hai fatta una giusta e sei pure un maledetto finocchio, un maledetto finocchio!” Secondogenito: “A dire il vero, ho solo cercato di vivere la mia vita, di amare e così ho scoperto di amare altri uomini: essere omosessuale è una colpa? È tutta la vita che mi sento in colpa per quello che sono, sono sbagliato, sbagliato, ma sbagliato per chi e per cosa? Si, non sono perfetto, sbaglio, sono umano SONO UMANO, e tu chi sei per giudicarmi? TU CHI SEI? HO DIRITTO DI VIVERE! HO DIRITTO DI VIVERE! HO DIRITTO DI REALIZZARE LA MIA VITA! Tu non puoi condannarmi senza possibilità di appello! Non posso e non voglio essere perfetto per meritare amore. LA PERFEZIONE NON È LA MISURA DELL’AMORE! Non mi faccio più ingannare e voi, voi, sirene dei pensieri di morte, NON VOGLIO ASCOLTARVI! Ho fallito, si! Ho fallito molte volte! HO FALLITO MOLTE VOLTE, MA HO IL DIRITTO DI CONTINUARE A PROVARE, DI ASCOLTARE IL MIO SOGNO, DI LOTTARE PER RENDERLO REALTÀ! Padre: (la voce del padre registrata) “Mi sono spezzato la schiena per te e i tuoi fratelli, ho lavorato per farvi crescere e darvi ciò che io non ho avuto, per farvi raggiungere ciò che io non ho raggiunto…” Secondogenito: “Certo, te lo riconosco, ti sei spaccato la schiena per noi, ma non hai mai provato a capire cosa IO volessi davvero per me e la mia vita. Quando vi ho ascoltato, mi sono allontanato da me stesso, diventando uno straniero che si aggira tra pareti domestiche.

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Padre, la tua voce del dovere è regola senza pietà. Il tuo confine non conosce amore e il tuo senso del dovere è disumano: non ti voglio ascoltare più giudice crudele!” Madre: (la voce della madre registrata) “Non avresti dovuto umiliarci così, davanti a tutti, nel giorno di Natale! Pensavi di farci un bel regalo? “ Secondogenito: “Sono stanco dell’ipocrisia, di sentir dire che amore è quella farsa che mettete in scena ogni giorno! Sono stanco del tuo amore che presume di conoscere il mio bene; del tuo amore che entra senza bussare e m’invade fino in fondo, non mi fa respirare e mi soffoca giorno dopo giorno. Quello che chiami amore è per me una gabbia insopportabile! Mi hai nutrito per tenermi in movimento nella tua orbita, impedendomi di andare verso il mondo con il tuo ricatto, il ricatto dell’abbandono. Così mi sono trovato ad oscillare nel dubbio: “andare e perderti o rimanere e perdermi?” Madre: (la voce della madre registrata) “Ingrato! Ti ho cresciuto con tutte le attenzioni, ho sacrificato tutta la mia vita per te e per i tuoi fratelli, per darvi ciò che io non ho avuto e sai dirmi solo che tutto questo amore è veleno?” Secondogenito: “Si! Hai detto bene, il tuo amore è veleno, veleno come quello che stringo tra le mani!” Il secondogenito apre la confezione di pillole che tiene in mano e ne ingoia il contenuto, si tinge le labbra con il rossetto. Con il rossetto, poi, scrive sullo specchio “AMORE ?”, entra dentro la vasca da bagno e si lascia sprofondare nella vasca. Calano le luci.

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Terza scena La famiglia, la zia e la cugina davanti alla bara del secondogenito. Sullo sfondo lo specchio con la scritta “AMORE?”. Una luce illumina le persone che a turno prendono la parola. Madre, zia e cugina (la preghiera è una ossessiva litania): “Padre nostro che sei nei cieli…… Ave Maria, piena di grazia…” Padre (quasi rabbioso, rivolto alla bara): “Perché l’hai fatto? Perchééé? Non sopporto questa tua punizione…” (singhiozzando si unisce alla preghiera) Terzogenito (rivolto alla bara): “Fratello mio, solo grazie a te riuscivo a sopravvivere in questo manicomio! Eri l’unico che riusciva a vedermi, l’unico a provare emozioni dentro questo inferno di ghiaccio!” (si unisce alla preghiera) Primogenito: “Non capisco, non capisco: quella domanda “Amore?” è un quesito a cui non so rispondere, non ho alcuna teoria che mi aiuta, nessun calcolo da fare per risolvere il problema…” (si unisce alla preghiera) Cugina: “Anche tu sei scappato, scappato via da me…” (riprende a pregare) Zia: “Dare un dispiacere così grande alla tua famiglia…non dovevi, non dovevi!” (riprende a pregare) Madre: “ Figlio, figlio mio…non so cos’è l’amore; so solo che mi hai strappato il cuore dal petto e l’hai portato via con te…”(riprende a pregare) Nel ripetersi ossessivo delle preghiere si spengono le luci.

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TERZO ATTO

Prima scena

È passato del tempo…La famiglia è in vacanza in montagna. Padre: “Bene, bene! (strofinandosi le mani per il freddo) Siete pronti per la scalata al rifugio?” Primogenito: “Ho studiato il percorso sulle carte: c’è un dislivello di circa 700 metri e secondo le mie previsioni, di buon passo dovremmo essere al rifugio con tre ore di cammino!” Terzogenito: “Mi affascinano queste montagne, in quelle cime vedo il profilo di una donna, di una vecchia, forse una strega..” Madre: “Dai, smettila con le tue fantasie! Mettiamoci in marcia…” I quattro si muovono lungo la salita. Quando sono circa a metà del percorso… Terzogenito: “Temo che le scarpe nuove mi abbiano procurato delle vesciche ai piedi…” Padre (rivolto al terzogenito): “Ci mancava anche questa, ora… siamo neanche a metà del cammino! Non potevi risparmiarci il tuo solito incidente di percorso?” Primogenito: “Affrontare una camminata di tre ore con delle scarpe nuove…che stupido: era del tutto prevedibile!” Padre ( sbuffa contrariato): “Va bene! Fermiamoci un po’ a vedere…”

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Terzogenito (sedendosi e slacciando le scarpe): “Grazie padre!” Padre (guardando i piedi del figlio): “Delle belle vesciche, non c’è che dire!” Primogenito: “Per fortuna ho con me la cassetta del pronto soccorso!” Madre (rivolgendosi al marito): “Fatemi vedere, faccio io: di queste cose non siete pratici!” La madre pratica piccole incisioni sulle vesciche, mette della polvere cicatrizzante e poi fascia i piedi. Terzogenito: “Grazie mamma! Va meglio…” Padre: “Bene! Allora proseguiamo il cammino! Primogenito: “Meno male, abbiamo accumulato più di mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia…”

Seconda scena Il gruppo è arrivato al rifugio, sulla cima della montagna, la più alta della zona, dove lo sguardo può spaziare in tutte le direzioni. Terzogenito: “È meraviglioso! Sembra di volare, sospesi nel vuoto, un po’ come quei falchi lassù!” Padre (sorseggiando del the fumante): “Hai ragione Alberto! Lo sguardo che può correre per chilometri nell’orizzonte aperto, mi fa sentire un profondo senso di libertà, un po’ come volare…”

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Primogenito (rivolto al padre): “Davvero ti sembra di volare? Mi ricordo le foto di quando eri in Russia, a figura intera, vicino a quei vecchi aerei.” Padre: “ Si, la sensazione di essere sospesi nel vuoto è simile, anche se lì raramente provavo senso di libertà, molto più spesso c’era paura!” Terzogenito (con meraviglia): “Papà è la prima volta che parli della tua paura…” Padre: “Si hai ragione! Era paura di non tornare a casa e di morire giovane, in mezzo alle montagne di neve di un paese lontano.” Terzogenito: “Papà, raccontaci qualcosa!” Padre (esitante): “Sono ricordi che ho allontanato da me molto volentieri e che preferisco lasciare dove sono!” Terzogenito: “Raccontami, almeno, di quando hai provato paura!” Padre: “Dato che insisti, ci provo! Allora…(facendo una pausa come a cercare nella memoria) Si! È successo nel febbraio del 1943. Dopo la disfatta militare, era arrivato il momento della ritirata: la prima tappa era Odessa, sul Mar Nero. Con i pochi automezzi ancora funzionanti iniziammo il lunghissimo viaggio su una strada semideserta e senza segnaletica. Andavamo avanti a tappe forzate, senza particolari problemi, quando una notte, mentre eravamo sotto il tendone del camion, intontiti dal sonno, scoprimmo che l'automezzo stava andando in fiamme. Che disastro! Il resto della colonna non s’accorse di quanto stava accedendo e proseguì senza di noi. Era notte, Odessa distava circa 700 chilometri e a 30° sotto lo zero eravamo praticamente condannati a morire assiderati! Per fortuna, la provvidenza ci venne in aiuto: le 10 gomme del camion presero fuoco e, così, riuscimmo a scaldarci per tutta la notte. All'alba, ci mettemmo in cammino per raggiungere una piccola abitazione di contadini. Dopo un’ora di faticoso cammino, arrivammo all’ingresso

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dell’isba. Gli abitanti prima furono molto diffidenti, poi, quando si resero conto delle nostre intenzioni pacifiche, ci fecero entrare e ci diedero ospitalità. Se non fosse stato per loro, non so cosa sarebbe successo! Solo dopo quattro giorni, qualcuno si ricordò di noi e venne a cercarci!” Terzogenito: “Sono senza parole…” Madre: “Certo, è normale che tu non abbia parole: per voi la vita è stata ben più facile! Io a causa di quella maledetta guerra ho passato gran parte della mia infanzia nel terrore. Mi ricordo come fosse ieri l’inverno dei primi mesi del 1942, quando non avevo ancora compiuto10 anni...Un inverno mai visto a Cagliari: temperature gelide, piogge a dirotto e persistenti. Come se la natura ci stesse avvisando di un disastro imminente! È stato proprio l’anno in cui le incursioni aeree diventarono sempre più frequenti, micidiali… Le sirene, il rombo degli aerei e, poi, le corse con il cuore in gola su, fino ai rifugi dei giardini pubblici. Spesso non facevamo in tempo ad arrivare ai rifugi e l’esplodere delle bombe ci coglieva per strada… Nel 1943, ormai, la città era semi distrutta e deserta: io e la mia famiglia, insieme a migliaia di persone, abbandonammo la nostra casa, la nostra città, per cercare rifugio nei piccoli paesi dell’interno. Gli abitanti non erano per niente ben disposti nei nostri confronti… Quante umiliazioni e quante amarezze abbiamo dovuto sopportare!” Il terzogenito si avvicina alla madre l’abbraccia e lei abbraccia il figlio, piangendo. Madre: “Ti voglio bene Alberto!” Terzogenito: “Ti voglio bene anch’io mamma!”

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Terza scena

Sono rientrati in albergo. È sera. La famiglia è a tavola per la cena. Padre: “È stata proprio una bella camminata!” Madre: “Anche per me è stato bello!” Terzogenito: “La camminata è stata proprio bella, ma ho apprezzato ancor di più i vostri racconti su in cima al rifugio!” Primogenito: “Una volta tanto sono d’accordo con Alberto! Perché non ci raccontate qualcosa di quando vi siete conosciuti, del vostro incontro. Forse imparerei qualcosa sull’amore…” Padre: “Oddio, oggi è proprio il giorno della memoria…” Terzogenito: “Dai papà, anche io come Alessandro vorrei sapere…” Padre (rivolto alla moglie): “Cosa dici Laura, vogliamo abbandonarci a questi ricordi?” Madre: “Non mi sembra ci sia nulla di male.” Padre: “Dopo la fine della guerra, ripresi servizio nell’Aeronautica Militare. Le alternative di lavoro, in quella Italia distrutta e impoverita, erano veramente poche. Gran parte della mia famiglia era già in Canada e anche Rodolfo, il mio fratello minore partì per Toronto. Io fui mandato prima presso il comando di Bari e poi ad Elmas, l’aeroporto militare nei pressi di Cagliari. Per motivi d’immagine, spesso il nostro comando organizzava voli dimostrativi per le scolaresche, voli ad alta quota per i sofferenti di pertosse o lanci di viveri alle popolazioni isolate dalle nevicate. E' stato proprio in uno di questi voli dimostrativi, che ho

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conosciuto quella bella brunetta, di nome Laura, che è diventata mia moglie e vostra madre.” Madre: “A dire il vero, anche vostro padre era molto bello e, non so bene quale fosse l’immagine dell’aeronautica, ma la sua, con quella divisa, era davvero affascinante. Io ero poco più di una ragazzina, avevo…si, avevo 17 anni, e lui quasi trenta, già uomo fatto. Ero eccitata per il volo, avevo notato quel suo guardarmi insistente, arrossivo e abbassavo lo sguardo, ma poi contraccambiavo gli sguardi; per fortuna si è deciso a rompere gli indugi: si è fatto avanti e si è presentato, invitandomi ad uscire l’indomani!” Terzogenito: “Uau…sembra l’inizio di un film dal titolo “Amore ad alta quota”!” Madre: “Forse sarebbe più giusto parlare di “Innamoramento ad alta quota”. La scintilla iniziale e l’attrazione reciproca sono solo l’inizio di una storia che può durare qualche ora, qualche giorno o tutta la vita.” Primogenito: “Già come mai la vostra è durata così tanto?” Madre (esita imbarazzata): “In questa parte della storia ci sono ombre che mi mettono a disagio…” Padre: “Di quali ombre stai parlando?” Madre: “Ho paura che parlarne possa riaprire delle ferite non ancora rimarginate…” Padre: “A cosa ti riferisci?” Madre: “Mi sembra strano che tu non ricordi?” Padre: “Ricordi cosa?”

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Madre: “Davvero non ricordi cosa accadde dopo i nostri primi incontri?” Padre: “Non mi sembra di ricordare niente di speciale…” Madre: “ E quella specie di fattucchiera da cui mi hai portato per abortire, la ricordi? ” Padre: “Oddio, è vero… un bruttissimo incidente di percorso!” Madre (con un misto di rabbia e vergogna): “Un brutto incidente senza il quale forse non ci sarebbe stato neanche il nostro matrimonio… Si, perchè a seguito dell’aborto fui ricoverata e la cosa si venne a sapere. A quel punto fummo costretti a sposarci!” Il padre si passa la mano sulla fronte. Le luci calano.

Quarta scena

Padre e madre in camera da letto. Padre: “Brava… così hai rovinato tutto!” Madre: “Antonio sono stanca dell’ipocrisia, stanca di portare la maschera del dovere e della decenza...e forse quella domanda, quella domanda che ritorna nella mia mente come un’eco assordante, si… quella domanda “AMORE?” di tuo figlio, scritta sullo specchio prima di morire, almeno in parte si riferiva a questo.” Padre: “Sei una stupida! La società chiede sempre un prezzo: la nostra libertà in cambio dell’onore e del rispetto…”

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Madre: “Si hai ragione…forse abbiamo avuto il rispetto della società, ma non la comprensione dei nostri figli, che non hanno mai capito la nostra freddezza, il nostro litigare su tutto. Il nostro rapporto nel matrimonio è diventato lotta per il potere: tu hai lottato per sottomettermi e io per non farmi sottomettere!” Padre: “E cosa dovremmo fare ora? Frugare tra le pieghe più nascoste dei nostri ricordi? Squadernare e leggere a voce alta tutte le pagine della nostra vita?” Madre: “Non lo so, Antonio, tutto questo certo è doloroso, ma forse è il prezzo necessario per voltare pagina. Non riesco più a recitare il copione della “famiglia normale” che nel retroscena lotta aspramente, per cosa e perché?” Padre: “Non capisco…io l’unica cosa che capisco è che ognuno di noi ha dei doveri, doveri verso la società, doveri verso la famiglia…Le poche libertà che mi sono concesso sono state quelle della mia gioventù, prima del matrimonio!” Madre: “Ma non capisci che proprio l’ipocrisia è il veleno che ha ucciso tuo figlio?” Padre: “Anche se fosse come dici tu, non saprei proprio da dove iniziare. Forse quel nuovo copione che tu vorresti tanto interpretare ancora non è stato scritto!” Madre: “Non credo che qualcuno lo debba scrivere per noi e forse qualche pagina l’abbiamo già scritta …” Padre: “Si?…Se è così non me ne sono accorto. Come inizia il nuovo copione?”

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Madre: “Forse è iniziato quando tu hai avuto il coraggio di parlare delle tue paure di quella notte in Russia ed io delle mie sotto i bombardamenti!” Padre: “Allora non riesco ad immaginare né lo sviluppo né il finale per questo copione!” Calano le luci.

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Epilogo La famiglia si ritrova durante una vacanza al mare. È passato molto tempo e nel frattempo il terzogenito si è sposato ed ha avuto un figlio. Madre: “È una bellissima giornata di sole!” Terzogenito: “Dopo un lunghissimo inverno, finalmente calore e luce!” Figlio del terzogenito: “Papà, papà mi accompagni a fare il bagno? Da solo ho un po’ paura…” Terzogenito: “Ti prego ora no, mi sto piacevolmente scaldando al sole, proprio come fanno le lucertole!” Padre (rivolto al nipote): “Dai, Luca, andiamo, ti accompagno io!” Figlio Terzogenito: “Andiamo, nonno!” I due si avviano verso la riva del mare. Primogenito: “Mi domando se c’è qualche rapporto tra paura e amore?” Madre: “Non so, non ci ho mai riflettuto a fondo, ma quello che mi sento di dire è che la paura costruisce intorno a noi alte mura, e che dentro la fortezza siamo impegnati continuamente a difenderci. Ahimè, non credo che dentro le mura ci sia spazio per amare! Dato che siamo in argomento, mi spieghi come mai non sei riuscito a costruire un rapporto di coppia stabile?” Primogenito: “Ho provato tante volte, all’inizio è tutto facile, le cose funzionano…ma poi è come se trovassi sempre una porta chiusa davanti a me, una porta chiusa di cui non ho le chiavi!”

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Il nonno e il bambino entrano in acqua. Figlio Terzogenito: “Nonno dammi la mano!” Padre: “Non aver paura, ti sto vicino!” Figlio Terzogenito: “Ma, tu non hai paura?” Padre: “Tante volte ho avuto paura. All’inizio cercavo di scacciarla, poi pian piano ho imparato a guardare in faccia la paura e a chiederle “Cosa vuoi dirmi? Hai qualcosa di importante da dire o vuoi solo darmi fastidio?” Figlio Terzogenito: “E la paura cosa ti rispondeva?” Padre: “Certe volte stava zitta e mi guardava come per dirmi “Perché lo chiedi?”, altre volte mi diceva “C’è un pericolo per te, stai attento!”. Nel primo caso, lasciavo stare la paura perché non aveva nulla da dirmi; nel secondo le chiedevo: “Di quale pericolo parli?” e se la sua risposta mi convinceva provavo davvero a stare attento” Figlio Terzogenito: “La mia paura dell’acqua dice che c’è il pericolo di andare giù con la testa e di non riuscire più a respirare!” Padre: “La tua paura dice una cosa giusta, perciò la devi ascoltare…Però puoi dirle che c’è il nonno vicino che ti aiuterà a stare a galla!” Il bambino mima un dialogo con la sua paura. Figlio Terzogenito: “Glielo ho appena detto e la paura non sa cosa rispondere.” Padre: “Bene allora puoi lasciarla andare…”

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Il bambino si tuffa, mentre il nonno lo sorregge con una mano sulla pancia. Il terzogenito li raggiunge dentro l’acqua, si avvicina, prende il figlio e lo solleva in aria: il bimbo ride. Terzogenito: “Eccolo, finalmente, il mio delfino che ride!”