4.2 Verso Roma: il caso Buchwald. 4.2.1 La situazione a … · 2013. 7. 31. · Le comunità...

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4.2 Verso Roma: il caso Buchwald. 4.2.1 La situazione a Montecchio Maggiore. Il comune di Montecchio Maggiore, come buona parte della provincia di Vicenza, fu coinvolto nelle vicende relative all’internamento coatto (chiamato anche ‘libero’) di ebrei tra il 1941 e il 1943, arrivando ad ospitare circa 30 internati. Grazie alla signora Lucia Muraro è stato possibile raccogliere alcune testimonianze (oltre alla propria, quelle di Serafina Brugnolo, Gina Camerra Giordani e di Dina Visonà), alcune delle quali riguardano le conseguenze delle leggi antisemite del 1938 sulla vita quotidiana, in particolare nell’ambito scolastico, mentre altre ricostruiscono storie di cittadini di Montecchio che hanno contribuito alla salvezza di alcuni ebrei, aiutandoli a nascondersi e a fuggire. Tra le testimonianze reative alle leggi razziali, quella di Gina Giordani in Camerra, oltre a suscitare una serie di riflessioni, rivela un interessante pagina relativa all’importante figura di Laura Lattes: “Nel 1942-43 io frequentavo la scuola media di via Riale (VI). La mia insegnante di Lettere, Sign. na Nicoletti, si era accorta che mi piaceva tanto leggere e, purtroppo, la biblioteca scolastica offriva poca scelta. Così cominciò a prestarmi dei libri suoi. Molti di essi erano ricoperti con una consistente copertina blu-scuro in modo che non si potesse leggere il nome dell’autore. Erano libri semplici, dolci quasi tutti di racconti. Se posso fare un confronto, per quanto ricordo, assomigliavano a ‘Il giardino dei Finzi-contini’ che ho letto parecchi anni dopo. In uno di questi libri ho trovato un appunto che ho ricopiato e che, penso, fosse dell’Autrice o della mia insegnante. Lo riscrivo: ‘La dittatura fascista ha soppresso quelle condizioni di libertà, mancando le quali, l’insegnamento perde ogni dignità, perché cessa di essere strumento di libera educazione civile e si riduce a servile adulazione del partito dominante. Mi devo dividere dai miei alunni e dai miei colleghi con profondo dolore, ma con la coscienza di compiere un dovere di lealtà verso di essi e di rispetto verso me stessa. Ritornerò a servire il mio paese nella scuola, quando si ricostruirà una società libera e civile.Ed è ritornata nel 1945. Io allora mi ero iscritta alle magistrali di Piarda Fanton 94 . Il primo giorno di scuola il Preside ci ha riuniti nell’Aula Magna per salutare e dare il bentornato alla signora Laura Lattes 95 che riprendeva, dopo sette anni (se ben ricordo), l’insegnamento nella sezione A dell’Istituto Magistrale di Vicenza. Ho conosciuto allora l’Autrice dei libri che tanto volentieri avevo letto negli anni delle scuole medie. Era una signora alta, magra, bionda e pallida e che tanto aveva sofferto.” 96 4.2.2 La storia della famiglia Buchwald. La stessa signora Giordani ci introduce nella storia della famiglia Buchwald. “Dalla nascita al matrimonio, io ho sempre abitato in via Lorenzoni n° 3 a Montecchio M. La mia casa aveva un cortile in comune con molte altre e quello era un luogo di giochi e riunioni. Al n° 5 abitava la famiglia Cozza, ossia i nonni materni di Antonio Scalabrini (confezioni Castelli). La nonna di Antonio aveva un fratello emigrato in Germania. Costui aveva fatto fortuna importando in Germania frutta- verdura e vini italiani. Si era sposato e aveva avuto dei figli, in Germania, ma li portava spesso in Italia, dove si fermavano per diversi giorni dalla zia e giocavano nel nostro comune cortile. Erano simpaticissimi e parlavano perfettamente oltre al tedesco, che nessuno capiva, il dialetto di Montecchio. Un giorno questi ragazzi stavano chiacchierando col gruppo nostro e una delle loro numerose cugine disse: ‘Walter (così si chiamava il ragazzo più grande) quel bambino laggiù (e indicava il piccolo Peter di 5 anni) è un ebreo, perché in quella casa lì ospitano una famiglia ebrea”. Walter si portò la mano sull’anca destra, come a voler prendere un’arma e, con piglio feroce e in perfetto dialetto disse: ‘Se gavesse la pistola ghe spararia!’ Erano buoni e simpatici ragazzi, figli di buoni e generosi italiani, ma la cultura antiebraica e razzista aveva lavato il loro cervello e avvelenato il loro cuore.” 97 94 Il rifeirmento è all’odierno Liceo Fogazzaro di Vicenza. Piarda Fanton indica una zona della città e precisamente un antico spiazzo adiacente alla villa dell’astronomo vicentino Fanton. 95 Insegnante a Vicenza, come ebrea nel 1938 dovette lasciare la cattedra; l’ospitalità della famiglia Chilesotti la salvò dalla deportazione. Dopo la guerra scrisse diversi testi scolastici. Si veda http://www.gariwo.net/pagina.php?id=1518 . 96 Si veda http://www.dalrifugioallinganno.it/Storie_Montecchio/Album1.htm . 97 Ibidem.

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4.2 Verso Roma: il caso Buchwald. 4.2.1 La situazione a Montecchio Maggiore. Il comune di Montecchio Maggiore, come buona parte della provincia di Vicenza, fu coinvolto nelle vicende relative all’internamento coatto (chiamato anche ‘libero’) di ebrei tra il 1941 e il 1943, arrivando ad ospitare circa 30 internati. Grazie alla signora Lucia Muraro è stato possibile raccogliere alcune testimonianze (oltre alla propria, quelle di Serafina Brugnolo, Gina Camerra Giordani e di Dina Visonà), alcune delle quali riguardano le conseguenze delle leggi antisemite del 1938 sulla vita quotidiana, in particolare nell’ambito scolastico, mentre altre ricostruiscono storie di cittadini di Montecchio che hanno contribuito alla salvezza di alcuni ebrei, aiutandoli a nascondersi e a fuggire.

Tra le testimonianze reative alle leggi razziali, quella di Gina Giordani in Camerra, oltre a suscitare una serie di riflessioni, rivela un interessante pagina relativa all’importante figura di Laura Lattes:

“Nel 1942-43 io frequentavo la scuola media di via Riale (VI). La mia insegnante di Lettere, Sign.na Nicoletti, si era accorta che mi piaceva tanto leggere e, purtroppo, la biblioteca scolastica offriva poca scelta. Così cominciò a prestarmi dei libri suoi. Molti di essi erano ricoperti con una consistente copertina blu-scuro in modo che non si potesse leggere il nome dell’autore. Erano libri semplici, dolci quasi tutti di racconti. Se posso fare un confronto, per quanto ricordo, assomigliavano a ‘Il giardino dei Finzi-contini’ che ho letto parecchi anni dopo. In uno di questi libri ho trovato un appunto che ho ricopiato e che, penso, fosse dell’Autrice o della mia insegnante. Lo riscrivo: ‘La dittatura fascista ha soppresso quelle condizioni di libertà, mancando le quali, l’insegnamento perde ogni dignità, perché cessa di essere strumento di libera educazione civile e si riduce a servile adulazione del partito dominante. Mi devo dividere dai miei alunni e dai miei colleghi con profondo dolore, ma con la coscienza di compiere un dovere di lealtà verso di essi e di rispetto verso me stessa. Ritornerò a servire il mio paese nella scuola, quando si ricostruirà una società libera e civile.’ Ed è ritornata nel 1945. Io allora mi ero iscritta alle magistrali di Piarda Fanton94. Il primo giorno di scuola il Preside ci ha riuniti nell’Aula Magna per salutare e dare il bentornato alla signora Laura Lattes95 che riprendeva, dopo sette anni (se ben ricordo), l’insegnamento nella sezione A dell’Istituto Magistrale di Vicenza. Ho conosciuto allora l’Autrice dei libri che tanto volentieri avevo letto negli anni delle scuole medie. Era una signora alta, magra, bionda e pallida e che tanto aveva sofferto.”96

4.2.2 La storia della famiglia Buchwald. La stessa signora Giordani ci introduce nella storia della famiglia Buchwald.

“Dalla nascita al matrimonio, io ho sempre abitato in via Lorenzoni n° 3 a Montecchio M. La mia casa aveva un cortile in comune con molte altre e quello era un luogo di giochi e riunioni. Al n° 5 abitava la famiglia Cozza, ossia i nonni materni di Antonio Scalabrini (confezioni Castelli). La nonna di Antonio aveva un fratello emigrato in Germania. Costui aveva fatto fortuna importando in Germania frutta-verdura e vini italiani. Si era sposato e aveva avuto dei figli, in Germania, ma li portava spesso in Italia, dove si fermavano per diversi giorni dalla zia e giocavano nel nostro comune cortile. Erano simpaticissimi e parlavano perfettamente oltre al tedesco, che nessuno capiva, il dialetto di Montecchio. Un giorno questi ragazzi stavano chiacchierando col gruppo nostro e una delle loro numerose cugine disse: ‘Walter (così si chiamava il ragazzo più grande) quel bambino laggiù (e indicava il piccolo Peter di 5 anni) è un ebreo, perché in quella casa lì ospitano una famiglia ebrea”. Walter si portò la mano sull’anca destra, come a voler prendere un’arma e, con piglio feroce e in perfetto dialetto disse: ‘Se gavesse la pistola ghe spararia!’ Erano buoni e simpatici ragazzi, figli di buoni e generosi italiani, ma la cultura antiebraica e razzista aveva lavato il loro cervello e avvelenato il loro cuore.”97

94 Il rifeirmento è all’odierno Liceo Fogazzaro di Vicenza. Piarda Fanton indica una zona della città e precisamente un antico spiazzo adiacente alla villa dell’astronomo vicentino Fanton. 95 Insegnante a Vicenza, come ebrea nel 1938 dovette lasciare la cattedra; l’ospitalità della famiglia Chilesotti la salvò dalla deportazione. Dopo la guerra scrisse diversi testi scolastici. Si veda http://www.gariwo.net/pagina.php?id=1518. 96 Si veda http://www.dalrifugioallinganno.it/Storie_Montecchio/Album1.htm. 97 Ibidem.

La signora Giordani, nel suo racconto, fa riferimento a Peter Buchwald internato con il padre Emmerico (Mirko) e con la madre Gertrud Gelb. La storia dei Buchwald è una delle più interessanti e toccanti, sia per il modo in cui giunse in Italia sia per quello in cui riuscirono a mettersi in salvo dopo l’armistizio. Mirko era direttore di una fabbrica di seta. Di nazionalità croata, era domiciliato con la famiglia a Varasdin (Varaždin). Con l’occupazione tedesca i Buchwald vennero internati nel campo di concentramento di Gospic. Da lì fuggirono, si nascosero per un mese nei dintorni attendendo che le truppe italiane giungessero sul posto. All’arrivo degli italiani si consegnarono a loro e dopo tre mesi ottennero un salvacondotto per Porto Re. Il 5 febbraio Mirko Buchwald rilascò la sua testimonianza alla Questura di Vicenza che poi la inviò al Ministero dell’Interno:

“Io sottoscritto Emmerico Buchwald di Ernesto mi onoro di esporre a cod. On. Ministero. quanto segue: Risiedevo colla moglie Gertrude e col figlio Pietro di anni 4 a Varasdin (Croazia) dove dirigevo la fabbrica di seta esistente in quella città. Scoppiata la guerra sono stato messo assieme alla moglie ed al bambino ed assieme ai miei vecchi genitori in un campo di concentramento a Gospic. L’unico motivo di tale provvedimento è stato quello che siamo di razza ebraica. Sono rimasto nel campo di concentramento alcune settimane durante le quali temevo di giorno in giorno di essere ucciso perché tale è stata la sorte di centinaia di altri miei compagni di sventura, uomini, donne e bambini, che ho visto sparire sotto i miei occhi. Non potendo più sopportare i patimenti miei e dei miei familiari approfittai dell’occasione in cui gli internati dovevano essere trasportati in un altro campo, per fuggire assieme alla moglie ed al bambino, tamto più che avevo avuto confidenzialmente la notizia che il cambiamento di residenza significava che la nostra posizione sarebbe diventata ancora peggiore – (infatti seppi poi che i miei genitori che non avevano voluto seguirmi nella fuga sono da considerarsi morti). Mi rifugiai in una casa diroccata nella speranza che la località venisse occupata dalla truppe italiane; gente

e a farci mandare dei viveri e dei capi di perché effettivamente la località venne

liano al quale spiegai la mia mi diede subito completa libertà.

a a me ed a mia moglie un salvacondotto di trovare un rifugio sicuro in mezzo al

efinitamene la mia posizione. Intendo le pratiche per entrare in Isvizzera.

a moglie ed al mio bambino di soggiornare e esso riterrà più opportuno di fissare. (…).

del popolo e gli antichi miei dipendenti provvidero generosamentvestiario. Dopo circa un mese la mia speranza si realizzò occupata dalle truppe italiane. Venni portato davanti al Comandante itasituazione. Egli si rese conto immediatamente di tale situazione e Tre mesi dopo lo stesso Comandante rilasciava a mia richiestper Porto Re. Da Porto Re sono venuto in Italia nella certezza generoso popolo italiano. Ho la possibilità di andare in Isvizzera dove potrò sistemare drimanere in Italia soltanto il tempo necessario per poter svolgereChiedo a codesto On. Ministero di voler permettere a me, a miper questo periodo in Italia, in quella qualsiasi località ch

Confido che codesto On. Ministero vorrà accogliere favorevolmente la mia domanda mettendo fine al nostro doloroso calvario e salvando così tre giovani vite umane.”98

Le comunità ebraiche della Croazia occidentale alla vigilia della guerra, tra cui quella di Varazdin99.

Nella pubblicazione Y le contarás a tus hijos… Testimonios de los sobrevivientes de la Shoa en la Argentina100, c’è un capitolo dedicato a Pedro Buchwald che si apre con il suo discorso tenuto in occasione della “Memoria del Holocausto”, celebrazione svoltasi presso l’ambasciata di Croazia a Beunos Aires, il 19 luglio del 2007. “Che mi successe nella Croazia del 1941? Fu terribile, persi la casa dei miei genitori, a quattro anni fui portato in un campo di concentramento e quindi esiliato da Verazdin, il luogo della mia nascita. Una notte, alle tre, due soldati ustascia ci buttarono fuori dalla nostra casa con la forza, sotto la minaccia delle pistole. Da poco mio padre mi aveva insegnato la canzone di Verazdin. Per me non ci sarebbe più stata Verazdin. Ci portarono a Gospic, ci sistemarono in baracche di legno dove non c’erano letti. Dovevamo dormire per terra sopra il fieno. Ricordo gli occhi tristi di mia madre. Al mattino costringevano mio padre a fare i ‘lavori forzati’ fino a notte. Così passarono vari mesi. Del cibo meglio non parlare. Qualche zuppa in cui a volte galleggiava un pezzo di carne. Tutti avevamo molta fame. Mio

98 Archivio di Stato di Vicenza, Fondo Questura, Ebrei internati civili, Fascicolo Montecchio Maggiore, FP Buchwald. 99 Gilbert, Martin, Atlas de la Shoah, Édition de l’Aube, La Tour d’Aigues 2005, p. 60. 100 Edito dall’INADI (Instituto Nacional contra la Discriminación, la Xenofobia y el Racismo), 1a ed. 2009, con il Ministerio de Justicia, Seguridad y Derechos Humanos. La seconda edizione del volume è stata presentata nel 2012 (http://inadi.gob.ar/2012/10/se-presento-la-reedicion-de-%e2%80%9cy-le-contaras-a-tus-hijos%e2%80%9d/). I protagonisti delle storie sono: Klaus Pförtner (Germania), Sofia Noelli Ordynanc F. de Talgham (Belgio), Pedro Buchwald (Croazia), Herta Taubenfeld (Slovacchia), Helene Gutkovski (Francia), David Galante (Grecia), Debora Lang (Olanda), Alejandra Montefiore (Italia), Aron Balbaryski (Lituania), Mania Zolotow (Polonia), Eva Sonnenschein (Romania), Raia Piekarska (Federazione Russa), David Hirsch (Svizzera) e Ella Bernath (Ungheria).

padre seppe che ci sarebbe stato un trasferimento al campo di Jasenovac, ufficialmente ‘affinchè stessimo meglio e per la nostra protezione’ - argomento che usavano tutte le forze naziste quando organizzavano i trasferimenti ai campi di sterminio. Lui non ci credette e quando arrivò il giorno disse ai soldati che il ‘bimbo’- io - doveva fare i suoi bisogni e venne con mia madre e con me nel bosco che si trovava sul bordo della strada. Le guardie non potevano immaginare che qualcuno cercasse di fuggire, cosicché, approfittando di questa disattenzione, mio padre entrò nel bosco con noi e raggiungemmo delle rovine dove, secondo quanto aveva sentito, avremmo trovato i partigiani. Aspettammo tutto il giorno fino a che effettivamente arrivarono. Ci diedero da mangiare e ci protessero dagli ustascia. Dopo qualche giorno ci riportarono sulla strada. Mio padre, non so come, riuscì ad avere una divisa italiana, per non attirare l’attenzione, e assieme a noi arrivò a Fiume. Lì lo riconobbero e tutti fummo internati a Montecchio Maggiore come ‘Prigioneri Civili di Guerra’ presso una famiglia. Questo fu il capitolo riguardante la Croazia, che per me fu il peggiore. Però ci salvammo da Jasenovac. Tutti i prigionieri di Gospic furono assassinati lì. Soltanto noi tre ci salvammo. (…). L’audacia ed il coraggio dei miei genitori ci salvò la vita. Il mio omaggio, la mia riconoscenza a loro, i sopravissuti della Shoah.”101

Pedro (Peter) Buchwald nacque il 17 maggio del 1937, nella zona croata e precisamente a Varadžin dove viveva con i suoi genitori, Emmerico, figlio di Ernesto e di Adele Kohn, nato a Balaton Kiliti (Ungheria) il 18.02.1911, e Gertrud Gelb, figlia di Adolfo e di Giuseppina Singer, nata a Vienna il 07.09.1913. Quella che ora è una grande città allora era una zona agreste. La famiglia Buchwald viveva in una casa di campagna con vigneti, ma il padre si occupava di tutt’altro: era tecnico tessile ed aveva un buon posto di lavoro come direttore generale di una fabbrica. Con l’avvento del nazismo, il padre di Pedro si attivò per ottenere il visto per emigrare in Australia dove avrebbe voluto fondare una fabbrica assieme ad un amico che avrebbe dovuto mettere i capitali per l’impresa. Le cose non andarono come previsto. L’amico ebbe paura e non solo decise di non emigrare in Australia, ma anche di tenersi tutti i soldi. Fu così che il padre e tutta la famiglia rimasero intrappolati in Croazia, visto che ormai non si poteva più uscire dalla Yugoslavia. Nella testimonianza di Pedro Buchwald e nella ricostruzione della storia della sua famiglia riportata nel volume Y le contaràs a tus hijos, viene citato più volte il campo di Gospic. Con la nascita, nell’aprile del 1941, dello Nezavisna Država Hrvatska, lo Stato Indipendente Croato affidato ad Ante Pavelić, si impose una feroce ideologia nazionalista diretta all’eliminazione fisica di serbi, ebrei e rom. In pochissime settimane, tra la metà di aprile e il mese di maggio del 1941, furono approvate una serie di leggi102 e immeditamente cominciarono le uccisioni dei civili serbi. Contemporaneamente ai massacri, ci fu la creazione dei primi campi di concentramento tra cui quelli di “Danica” (dal nome della ex fabbrica in cui venne organizzato), nei pressi della città di

101 La foto e il testo sono tratti da Y le contarás a tus hijos… Testimonios de los sobrevivientes de la Shoa en la Argentina, cit., pp. 50-52. 102 Si vedano http://www.unive.it/media/allegato/dep/n18-2012/Ricerche/Miscellanea/02_Pisarri.pdf, www.cnj.it/documentazione/mirkoviccvetkovic-jasenovac.pdf e www.europaorientale.net/sez1croazia1941.htm. In modo parallelo, il nuovo Stato croato colpì sia gli ebrei sia i serbi. Il 17 aprile fu emanata la Legge per la difesa della Nazione e dello Stato. Il 30 aprile fu la volta di due decreti, la Protezione del Sangue ariano e dell’Onore del popolo croato e i Doveri delle razze inferiori, attraverso i quali veniva introdotto il principio della ripartizione della popolazione in tre distinte categorie: i cittadini (croati puri, tra cui rientravano anche i bosniaci), i sudditi (ariani non croati) ed una terza categoria non codificata che comprendeva sostanzialmente gli ebrei e gli zingari; i primi godevano della pienezza dei diritti politici, i secondi soltanto dei diritti civili, i terzi di nessun diritto. Il 23 maggio si impose ad ogni ebreo di portare una stella gialla con al centro la lettera Ž che indicava gli ebrei (Židov in croato). Contemporaneamente ai serbi, il 25 aprile 1941 venne vietato l’uso dell’alfabeto cirillico; il 30 aprile venne negata loro la cittadinanza, mentre il 10 maggio si decretò il licenziamento dall’amministrazione statale di tutti i serbi giunti nel territorio della NDH dopo il 1 gennaio 1900. Sempre a maggio fu approvata una legge che prevedeva la possibilità di conversione, un paravento legale per convertire forzatamente masse di serbi ortodossi al cattolicesimo, trasformandoli così in “croati”. La legislazione antiebraica e antiserba fu ampliata nel corso del 1941 e del 1942, In alcuni casi (si vedano le leggi del 25 novembre 1941 e del 20 luglio 1942 sui campi di concentramento), la norma andava solo a legittimare ciò che già era in atto.

Koprivnica, e quello di Kerestinec vicino a Samobor. Si trattava di campi aperti ufficialmente per i nemici del popolo e per i comunisti, ma ben presto vennero utilizzati anche per gli ebrei. Il ritmo con cui proseguivano gli arresti e le fucilazioni di massa portarono gli ustascia ad organizzare in maniera più sistematica lo sterminio attraverso la creazione di appositi campi. Inizialmente i civili venivano portati con i camion nel carcere di Gospic, città principale della regione della Lika103 in cui erano presenti molti serbi, e poi uccisi sul bordo di fosse o di cavità carsiche. Il salto di qualità fu costituito dall’apertura del campo di Jadovno e di altri campi che dovevano servire come luoghi di internamento e di smistamento verso i luoghi delle uccisioni.

La distruzione degli ebrei della Croazia, con l’indicazione dei principali campi di concentramento (1941-1944)104. Alla fine si venne a creare un insieme di campi strutturati per organizzare le uccisioni di serbi ed ebrei: Gospić, Jadovno e Stupačinovo (vicino a Baške Oštarije), Slana e Metajna (entrambi sull’isola di Pag), ai quali in luglio si aggiunse il campo detto “Ovčara” per i civili (non serbi) destinati ai lavori forzati. Le rivolte dei serbi costrinsero l’esercito italiano ad intervenire e ad occupare la zona, bloccando il progetto croato che comunque fino a quel momento aveva prodotto 40.000 morti, tra cui 1988 ebrei105. Gli ustascia non rinunciarono ai loro piani di sterminio e subito dopo aprirono il tristemente noto campo di Jasenovac106 a circa cento km a Sud-Est di Zagabria, oggi al confine con la Bosnia Erzegovina.

103 Ancora oggi Gospic è il capoluogo della regione della Lika e di segna. 104 Gilbert, M., cit., p. 78. 105 Pisarri, Milovan, Diana Budisavljević. La donna che salvò migliaia di bambini serbi dai campi di sterminio ustascia, Deportate, Esuli, Profughe (DEP), n.18-19 / 2012, p. 27. Si veda http://www.unive.it/media/allegato/dep/n18-2012/Ricerche/Miscellanea/02_Pisarri.pdf. Al meritorio studio di Pisarri si deve gran parte della ricostruzione di queste pagine relativa ai campi corati. 106 Si veda http://www.ushmm.org/museum/exhibit/online/jasenovac.

Dopo l’esperienza nel campo di Gospic e la fuga raccontata da Peter Buchwald, la sua famiglia giunse a Vicenza il 3 febbraio 1942 e poi fu internata a Montecchio Maggiore dall’8 febbraio 1942 presso la famiglia Giordani. In un’intervista rilasciata a Elena Pilati107, Gina Giordani e sua sorella Irma hanno aggiunto altri particolari sulla presenza dei Buchwald nella loro casa:

“Abitavamo in via Lorenzoni. Mia mamma affittava le stanze per racimolare un po’ di soldi. Se n’erano appena andati dei ragazzi reduci dalla Libia quando arrivarono i carabinieri e ci affidarono una famiglia di

ebrei. Erano ricchissimi: bei vestiti, pellicce, molti soldi e cibi che noi ci sognavamo. Provenivano da Zagabria, dove avevano una fabbrica di tessuti. Erano dovuti fuggire e avevano visto molte atrocità. Avevano un figlio che noi tutti chiamavamo Peti. Erano abituati ad avere la cameriera, per cui noi lavavamo e vestivamo il bambino, gli volevamo tanto tanto bene. Erano molto intelligenti e imparavano subito le lingue. Il bambino fu istruito dalla maestra Danese, sapeva il tedesco, il croato, l’italiano e il dialetto. Spesso andavano a Vicenza, ma dovevano sempre firmare un registro dai carabinieri e dovevano rientrare in serata, altrimenti mia mamma sarebbe dovuta andare a denunciarli. La signora faceva dei dolci buonissimi. Il bambino giocava con noi e con gli altri bimbi della corte, ma era molto più educato di loro. La mamma lo chiamava a dormire alle otto di sera e lui le ubbidiva sempre, pur controvoglia. Non c’erano problemi con loro. Noi non sapeva-mo nemmeno cosa fosse l’antisemitismo e il fascismo ci pareva una cosa bella, ci pareva che dovesse durare in eterno... Ma c’erano molte cose che non sapevamo. Non abbiamo più saputo nulla di questa famiglia. Sono fuggiti in Argentina aiutati dal padre di Lucia Muraro. Poi nulla. Magari potessimo sapere che fine ha fatto Peti, magari...”.

corsi dalla Giordani, di cui si dirà in seguito, plice. Ad esempio, dai documenti, Irma Giordani risulta

ugno del 1942, per il suo atteggiamento amichevole a con Emmerico e Gertrud.

ta storia è costituita dalla famiglia Muraro. In una sua risce i rapporti della sua famiglia con i Buchwald e del ruolo

una ventina di profughi ebrei che fuggivano dalla Yugoslavia ontecchio. Qui dovettero sottostare a norme severe circa i loro o, l’anno seguente, il nord Italia non fu occupato dalle truppe

tedesche, non ebbero a temere per la loro vita. I miei genitori strinsero allora amicizia con i coniugi Buchwald ospiti presso la signora Giordani. Mirko e Gertrud avevano un bambino di sei anni, Peter, o Petty, come era chiamato; si trattava di un bimbo eccezionale: in pochi mesi fu in grado di parlare perfettamente l’italiano e il veneto108. Petty era spesso a giocare con i miei fratelli e sorelle ed era molto coccolato dalle sorelle Giordani. I Buchwald venivano da Zagabria dove lui lavorava come direttore di una tessitura. Quando le truppe tedesche occuparono la Yugoslavia e iniziò la caccia agli ebrei che venivano deportati, i Buchwald furono salvati dalla loro domestica la quale procurò loro un nascondiglio sicuro, in attesa di organizzare il viaggio oltreconfine in Italia. Ricordo che Mirko Buchwald un giorno ci raccontò della fine di una famiglia ebrea, loro vicina, che fu bruciata viva in casa perché si erano rifiutati di aprire ai tedeschi che erano andati a prelevarli: ‘Morirono tutti, anche i bambini: sentimmo le loro urla, grida di aiuto, a lungo. Fu orribile!’

Seppur brevemente, va sottolineato che oltre ai rischi anche la quotidianità non era sempre semsegnalata dai Carabinieri alla Questura, il 7 giverso gli ebrei e per essere andata al cinem

Un’altra tessera importante di questestimonianza, la Lucia Muraro chiagiocato dai suoi genitori nella loro fuga:

“Avevo dodici anni quando nel 1942 occupata dai tedeschi arrivarono a Mmovimenti ma almeno, fino a quand

107 Corriere Vicentino, 23 marzo 2004. 108 In Y le contarás a tus hijos…, cit., p. 49, è riportato il frontespizio della pagella di Petar (sic) Buchwald (pagella n° 3131415), anno scolastico 1942.1943. Peter risultava iscritto ad una scuola privata.

L’anno seguente, con la caduta del Governo Fascista, ci fu poco tempo per gli ebrei in Italia per fuggire prima che l’8 settembre le truppe tedesche occupassero il nostro territorio non ancora raggiunto dalle truppe alleate. Ci fu chi raggiunse la Svizzera, chi passò le linee alleate. Per i Buchwald che avevano con sé un bambino non era possibile pensare ad una fuga rocambolesca. Fu allora che mio papà andò a Roma dove aveva delle conoscenze riuscendo ad ottenere dei documenti falsi per i nostri amici che poterono così partire per l’Argentina con l’ultima nave prima che i tedeschi occupassero il nord Italia. Tutto fu fatto segretamente, nessuno doveva sapere della loro partenza. Ricordo la pena, l’angoscia nostra per il dramma di quegli amici. Più tardi, quando fu rivelata l’orrenda verità dei campi di sterminio potemmo comprendere a fondo di quale tragedia erano parte quegli ebrei che Montecchio ospitò allora. Ammirazione suscitò a guerra finita quando si seppe del coraggio della signora Visonà, vedova di un medico e con cinque figli. La signora salvò due ebrei, madre e figlio, nascondendoli nella propria casa con grande rischio per sé e per i figli.”109

La storia dei Buchwald si intreccia con quella della famiglia Kauffman. La signora Carolina Guarda, vedova Visonà, madre di Dina Visonà, ospitò nella sua casa di piazza Garibaldi, 6,

Kurt Kauffman, nato a Manheim il 06.03.1912, e sua madre Marianna Maj nata a Manheim il 29.05.1886. La signora Maj era vedova. I due, di nazionalità tedesca, furono fermati alla frontiera di Buccari110 ustascia. Il 14 maggio 1941 furono presi in consegna dai carabinieri di Abbazia e furono internati a Montecchio dal 28 febbraio 1942. La signora Carolina sistemò i Kauffman al primo piano, nella sua camera da letto con bagno. La signora Visonà aveva dei parenti che avevano

dei terreni a Brendola e inviavano generi alimentari anche per i Kauffman e per una cugina dei Visonà, sposata con il prof. Flack, insegnante di matematica presso il Liceo Lioy di Vicenza, che dopo le leggi razziali era rimasto senza lavoro e senza stipendio. Kurt, nella casa di piazza Garibaldi, poteva accedere ad una grande terrazza sul retro della casa e, di sera, scendeva in giardino. Passava il suo tempo soprattutto con Corrado, il figlio del maestro Murdocca, renitente alla leva e quindi anche lui in clandestinità. Quando la situazione precipitò, dopo l’8 settembre, nello studio dell’abitazione furono fatte scavare due intercapedini, coperte dal parquet: una era riservata a Kurt e l’altra a Corrado. Appena si diffondeva la voce di un controllo, i due venivano rinchiusi nei nascondigli, mentre la signora Maj si vestiva cercando di imitare il più possibile le tradizioni locali con tanto di parrucca. Visto che il pericolo di essere scoperti si faceva sempre più imminente, chiesero aiuto alla signora Sala (moglie del dott. Sala, futuro sindaco della città, e sorella del prof. Cevese, il noto critico d’arte). La fuga viene pianificata e dal 12 dicembre 1943 i Kauffman scompaiono alla vista delle forze dell’ordine. La signora Maj, travestita da suora, fu portata alla Casa della Provvidenza, le cui suore allora erano sfollate da Vicenza a Priabona, e lì rimase fino a dopo la fine della guerra. Kurt e Corrado partirono, invece, per la Svizzera, facendo tappa nel collegio dei Rosminiani a Domodossola, la cui direttrice era la sorella di Corrado.

109 Si veda http://www.dalrifugioallinganno.it/Storie_Montecchio/Album2.htm. 110 Bakar, in Croazia, a circa 12 km da Fiume, annesso dall’Italia nel 1941 e all’epoca dei fatti parte della Provincia di Fiume istituita nel 1924 (Regio Decreto 22 febbraio 1924, n° 213).

Nel frattempo, anche la situazione della famiglia Buchwald era ad una svolta. Nell’intervista rilasciata sempre a Elisa Pilati, Lucia Muraro sofferma la sua attenzione su ulteriori particolari:

“Dopo il 25 luglio la situazione cominciava a farsi critica. Mio papà aveva delle conoscenze a Roma e riuscì a procurar loro dei documenti per l’espatrio. Si imbarcarono con l’ultima nave in partenza da Genova per l’Argentina, dove avevano una zia. I loro bagagli non arrivarono mai, forse furono distrutti durante i bombardamenti alla stazione di Bologna. Loro arrivarono in Argentina, ma non ci scrissero mai nulla. (…) mi piacerebbe molto sapere se Peti è ancora vivo...”.

I documenti dell’Archivio di Stato di Vicenza sembrano confermare le testimonianze fin qui riportate. Il 13 novembre del 1942 il Consolato dell’Argentina a Milano scrisse ai Buchwald che era stato concesso il “permesso di libero sbarco nella Repubblica assieme alla vostra famiglia e quindi questo consolato è autorizzato a vistarvi i passaporti”111. Il 16 novembre Emmerico chiese di potersi recare a Milano per i visti. Si mise in moto la macchina burocratica e il 21 dicembre giunse in aiuto della famiglia Buchwald anche una lettera della DELASEM (la Delegazione per l’Assistenza agli Emigrati Ebrei) al Ministero dell’Interno. Passarono dei mesi e il Ministero, con comunicazione del 4 giugno del 1943 alla Prefettura di

la domanda (…) tendente ad

Muraro. Il 3i Buchwald “

collegh tenzione di coll’ufficio della CIT

Tre dei cinque figli della signora Carolina Guarda. Spettava a loro il compito di segnalare eventuali visite indesiderate per permettere la fuga di Kurt e Corrado.

Vicenza, gelò le speranze della famiglia Buchwald scrivendo che “ottenere il permesso di uscita dal Regno non può essere accolta.”112 I Buchwald non si diedero però per vinti. Probabilmente è in questa fase che intervenne Giuseppe

agosto del 1943, i Carabinieri di Montecchio segnalarono alla Questura di Vicenza che si sono allontanati da Montecchio Maggiore dal I andante. Essi nel pomeriggio erano

ancora presso la signora (sic) Vittorio Fontana presso la quale erano alloggiate e nel tardo pomeriggio si sono allontanate dal loro alloggio, senza dir nulla né alla predetta signora né ai

i (sic) ebrei. Dalle informazioni assunte, pare che il Buchwald aveva l’inemigrare all’estero, e lo dimostra la continua corrispondenza che egli aveva

ivio di Stato di Vicenza, Fondo Questura, Ebrei internati civili, Fascicolo Montecchio Maggiore,

onale Buchwald Emmerico.

111 Arch fascicolo pers112 Idem.

di Trieste per ottenere il passaporto. Si prega diramare le ricerche.”113 Firmato: il Maresciallo Maggiore Comandante la stazione Balbiano Luigi. I Buchwald avevano davvero fatto perdere le tracce e il 6 agosto del 1943 risultavano a Roma, “arbitrariamente da colà allontanati per tema – a loro dire – di una invasione tedesca, secondo le voci colà correnti”114, come recita la lettera della Regia Questura di Roma alla Prefettura di Vicenza. L’ufficio di Roma, “poiché dall’esame del passaporto ex jugoslavo in loro possesso risulta che hanno già il visto di ingresso in Argentina e che hanno in corso le pratiche per i visti di transito spagnolo e portoghese”115 (il visto del Consolato argentino a Milano riporta la data del 25 gennaio 1943; in aggiunta, come si vede dall’immagine116, c’è anche il visto spagnolo ottneuto dal Consolato di Spagna a Roma, nell’agosto del 1943), non li fermò, in attesa di istruzioni dal Ministero.

partire, come infatti poi successe. La signora Muraro, nel suo encomiabile lavoro di scavo nei ricordi familiari, ha trovato una lettera importantissima, datata 10 agosto 1943, che Mirko Buchwald scrisse al signor Giuseppe Muraro, padre di Lucia e all’epoca dei fatti segretario negli uffici amministrativi dell’ospedale, pochi giorni dopo il fermo avvenuto a Roma.

In qualche modo, i Buchwald avevano guadagnato tempo ed avevano una possibilità in più per

113 Idem. 114 Idem. 115 Idem. 116 Y le contarás a tus hijos…, cit., p.53.

“Caro Amico! Eccoci a Roma sani, salvi e ciò che per noi è ancora più importante legalizzati. Davvero, la cosa non è stata così facile, me hanno arrestato, però infine coi nervi calmi potevo spiegare e chiarire il motivo del nostro viaggio e l’autorità come dappertutto gentile e generosa, ci ha dato infine il soggiorno affinché io possa personalmente sbrigare presso il Ministero la pratica per il nostro espatrio. Come ora la nostra partenza potesse avvenire in breve tempo (il mio amico Sandor parte lunedì 16 m.c.) devo rivolgermi di nuovo a Voi e chiederVi un grande favore. Si tratta della roba che è rimasta ancora colà. Credo che non Vi offenderete se prego la Vostra moglie di aprire tutte le tre valige e di pendere fuori la seguente roba: 3 pai di scarpe da uomo, 1 paio di pantoffoli, 2 mutande lunga da uomo, 3 maglie da uomo e tutti gli attaccapanni. Tutta questa roba Vi prego di conservare per se ed utilizzare per la Vs famiglia. Credo che si possano fare dei vestiti per i ragazzi ect. Così basteranno le due valige cui si possono chiudere colla chiave. Per la pelicia Vi prego di comprare in quel negozio vicino Orvietti una valigia di carta, quella più grande col prezzo di 97

Lire. Dunque queste tre valige vi prego di consegnare alla ditta Remiero incaricandola di spedirmi queste valige nel modo più celere e che le spese saranno pagate da me. Per la valigia e per le spese che avrete fino la ditta Remiero mi pregio accludere £ 200. il mio indirizzo è: Buchwald Mirko, Albergo Fontana, piazza Trevi Roma. Per ora Vi soltanto ringrazio cordialmente sperando che verranno i tempi quando anche io potrò dimostrarmi riconoscente per Vostra gentilezza che avete dimostrato verso di me.

Vostro Buchwald Mirko.”

busta e che “della richiesta di r certo che i miei hanno fatto puntualmente tutto

branti. La ricevuta della spedizione presumo enti non c’è. Preciso che mio papà era un

: se qualcosa manca per questa ato quando ciò si è reso possibile”.

cordi della signora Lucia Muraro: l’appunto del nte sul cassetto di una credenza.

mano dal nostro amico ebreo, il signor ra leggibili a distanza di tanti anni. Uno è di

avano il nipote e la sua famiglia spedendo del ori, riusciva a far arrivare. io papà ha ricevuto dai Buchwald, cioè di

rta pensione per farsi dare dei documenti lasciare l’Italia per vie normali.”

nbachplatz, 4 Zurigo e Julio Oblath, Pensione

Nell’attesa di un cenno da Voi Vi saluto distintamente.

La signora Muraro ha precisato che della lettera non ha trovato la spedire le valige a mezzo la ditta Remiero so petrattenendo solo gli appendipanni perché troppo ingomsia stata inviata all’indirizzo svizzero perché tra i docum‘ragioniere’ scrupoloso sino all’inverosimile. Teneva nota di tuttospedizione sono certa si tratti di carte spedite all’interess Un altro particolare importante è emerso dai risignor Buchwald su un mobile di cucina e precisame

“Qualche mese fa mi ero ricordata di quei due indirizzi scritti a Buchwald, nella primavera del 1943. Gli indirizzi sono ancoZurigo dove risiedevano gli zii di Buchwald, i quali aiutdanaro che un nostro amico impiegato di banca, il signor SartL’altro indirizzo, di Roma, era per via di un incarico che mrecarsi laggiù, incontrare un certo signore presso una ced’imbarco e forse altri ancora così che loro potessero

I due indirizzi sono: Ludwig Buchwald, StampfeBeltrame, via XXIV Maggio, Roma.

Il signor Giuseppe Muraro si recò a Roma e si fermò due o tre giorni. Aveva dei contatti con un usciere del Ministero che sfruttò per il recupero dei documenti necessari che probabilmente vennero consegnati a qualcuno della Pensione Beltrame Mirko Buchwald, a Roma, seppe stabilire buone relazioni con i comandi, per preservare sé stesso e la propria famiglia dalla morte. Insegnava tedesco agli italiani quando vincevano i tedeschi, e più tardi inglese quando quelli che vincevano erano gli americani. Si fece amico di tutti e riuscì a far sì che tre ebrei salissero su un bombardiere italiano diretto a Siviglia. In Spagna si sarebbero imbarcati per l’Argentina. Quando già erano in volo, però, due aerei inglesi iniziarono a sparare contro l’aereo. “Bisogna comprendere il concetto di nemico, amico, nemico. Così si viveva in guerra. Era tragicomico, un giorno erano dalla tua parte ed il giorno dopo cercavano di bombardarti”117, ricorda Pedro. Il pilota riuscì ad atterrare in un campo quasi per miracolo. A Cadice si imbarcarono per Buenos Aires, e sulla nave Pedro vide La muchachada de a bordo con Luis Sandrini118 che fu anche il primo contatto con la sua nuova patria. Quando arrivarono a Maracaibo, arrestarono il padre scambiandolo per una spia tedesca a causa del cognome, ma fortunatamente fu rilasciato dopo aver preso contatti con i partigiani che confermarono che si trattava di una famiglia di ebrei croati. All’arrivo in Argentina trovarono ad aspettarli un parente della madre di Pedro che trovò un lavoro ad Emmerico in una fabbrica che aveva bisogno di un direttore. Il lavoro lo salvò, gli permise di ristabilirsi e ricominciare da zero la sua vita. Pedro ereditò dal lui l’amore per il lavoro e a sua volta divenne tecnico tessile. Il 1° settembre del 2006 ho contattato l’Ambasciata Italiana in Argentina, scrivendo una mail all’Ambasciatore Stefano Ronca119(Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires dal 2005 al 2009). Dopo diversi tentativi, ho ricevuto la risposta del Consigliere Fabrizio Marcelli, datata 27 marzo 2007:

“Gentile Signor Spinelli, mi riferisco al suo messaggio di ieri all’Ambasciatore Ronca contenente una richiesta di contatto con la famiglia Buchwald. Si tratta di un cognome abbastanza diffuso in Argentina. Abbiamo cercato di prendere contatto con l’unico Pedro (Peter) Buchwald presente sulla guida telefonica. Ci hanno informato che l’utenza telefonica è rimasta a suo nome, ma che ha venduto la casa tre anni fa e che non sanno dove poterlo rintracciare. Non abbiamo quindi certezza che si trattasse della persona da lei cercata. Voglia gradire distinti saluti. Consigliere Fabrizio Marcelli - Ambasciata d'Italia Buenos Aires.”

A seguito di un ulteriore scambio di mail, il 30 marzo il Consigliere Marcelli mi ha risposto nuovamente dicendo che era stata contattata la comunità israelitica argentina che aveva promesso di attivarsi. Il risultato della ricerca fu una mail inviata l’8 agosto 2007 da Andrés D. Buchwald, figlio di Peter (Pedro):

“Cari amici italiani, sono il figlio di Peter Buchwalds. Mio padre ora ha 70 anni; nonno Mirko (Imi per noi) e mia nonna Getrudis (Trude per noi) sono morti diversi anni fa, ma hanno vissuto in Argentina. Imi è morto il 1° marzo 1973 e Trude il 3 febbraio 1990. Mio padre vive a Buenos Aires con sua moglie (mia madre) Alba Silvia Wertheim. Ho anche una sorella, Monica. Mio padre ci ha detto dei suoi ricordi di Montecchio Maggiore e, naturalmente delle meravigliose persone che li aiutarono ad arrivare in Argentina. Penso che sarebbe davvero importante per lui avere dei contatti con le persone, o la famiglia delle persone che li aiutarono a scappare dalla terribile guerra e a salvare le loro vite. (…)”120

117 Y le contarás a tus hijos…, cit., p. 48. 118 Si tratta di un film argentino girato da Manuel Romero e uscito nel 1936. 119 http://www.esteri.it/MAE/IT/Ministero/Struttura/CerimonialeDiplomatico/StafanoRonca.htm. 120 Testo originale dell’email:

Qualche giorno dopo, il 20 agosto, è la volta dell’altra figlia di Pedro: “Il mio nome è Monica e vivo a Buenos Aires, Argentina. (…) Mipo padre Pedro Buchwald, Peter, e ha vissuto per qualche tempo a Montecchio Maggiore nel 1942 come un rifugiato di guerra. Allora aveva 4 o 5 anni. Si trovava con i suoi genitori Mirko (Emmerico) Buchwald e Gertrud Gelb. Mio padre ora ha 70 anni e ha letto le testimonianze di Lucia Muraro, della famiglia Giordani ed è molto emozionato (emocionado). Gli piacerebbe sapere se può contattare via mail o lettera qualcuno dei membri di queste famiglie. Lui ha sempre parlato di loro molto con molta gratitudine. (…). Posso fare da intermediaria. (…). Vostra, Monica Buchwald.”121

Qualche giorno dopo, Pedro Buchwald ha inviato due lettere indirizzate al sottoscritto e a Lucia Muraro. In quella del 27 agosto 2007 (si veda la pagina seguente), Pedro conferma il ruolo di Giuseppe Muraro nella fuga dei Buchwald a Roma e afferma di avere buoni ricordi del periodo trascorso a Montecchio Maggiore. A Lucia Muraro esprime la gratitudine per quanto fatto dal padre e per come furono trattati durante l’internamento. Al di là del fatto che, all’epoca dell’internamento, Peter aveva tra i 5 e i 6 anni, ciò che riporta si avvicina a quanto espresso da molti ebrei internati nei comuni della provincia di Vicenza che vissero positivamente gli anni tra il 1941 e il 1943, soprattutto per il rapporto che si venne a creare con la popolazione locale e per l’aiuto fattivo che la maggior parte di loro ebbe durante l’internamento o nel momento della fuga. Tali riflessioni si evincono anche dalle altre storie che si riportano in questo studio. La signora Muraro, dopo aver riallacciato i rapporti con Peter, nel settembre del 2012 ha potuto rivederlo, proprio a Montecchio, in un incontro atteso per 69 anni.

“Dear Italian Friends, I am Peter Buchwalds son. My father is now 70 years old; Grandfather Mirko (Imi for us) and my Grandmother Getrudis (Trude for us) died many years ago, but leaved their lifes in Argentina. Imi died on 1st March of 1973 and Trude on 3rd of February 1990. My father leaves in Buenos Aires with his wife (my mother) Alba Silvia Wertheim. I have also a sister, Monica. My father told us about his rememberances of Montecchio Maiore and, of course all the beautifull people who helped them to came to Argentina. I think it will be very important for him to get in contact with the people, or the family of the people who helped them to escape from the terrible war and safe their lifes. I will be very happy if same of you respond this e-mail to me. He knows about the existens of this information in Internet and wants to get in contact with you. Thank you very much and best regards, Andrés D. Buchwald.” 121 “My name is Monica Buchwald and I am in Buenos Aires, Argentina. I am sorry but I don’t know Italian. I hope you will understand my English. My father is Pedro Buchwald, Peter, and he was living for some time in Montecchio Maggiore in 1942 as a war refuggee. He was then 4-5 years old. He was with his parents Mirko (Emmerico) Buchwald and Gertrud Gelb. My father is now 70 years old and has read the testimonies of Lucia Muraro, Famiglia Giordani, and was very moved (emocionado). He would like to know if he can contact by mail or letter any of the members of these families. He always talked about them very gratefully. He doesn't write e-mails but I offered him to do it for him. So if there is any possibility of get in touch with any of them, please let me know. I can be an intermediate. I thank you for your attention. Yours, Monica Buchwald.”

Lettera inviata da Pedro Buchwald al sottoscritto il 27 agosto del 2007. Lettera inviata da Pedro Buchwald a Lucia Muraro (a me via fax il 13/09).