4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

25
Biblioteca di Muntu 4 Étienne de La Boétie Discorso sulla servitù volontaria 2005

Transcript of 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Page 1: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Biblioteca di Muntu4

Étienne de La Boétie

Discorso sullaservitù volontaria

2005

Page 2: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

2 Étienne de La Boétie

Page 3: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 3

Étienne de La Boétie

Discorso sulla servitù volontaria

Page 4: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

4 Étienne de La Boétie

Titolo originale : Discours sur la servitude volontarie (1548). Latraduzione è stata condotta sul testo inserito nelle Oeuvres complètesd'Éstienne de la Boétie, a cura di Paul Bonnefon (J. Rouam, Paris-G.Gounouilhou, Bordeaux 1892) tenendo conto delle varianti testuali.

Traduzione di Antonio Vigilante.

Questo testo fa parte di Muntu, un progetto per la divulgazione dellescienze sociali presente in rete all’indirizzo:http://purl.oclc.org/NET/muntu

Questo testo può essere liberamente riprodotto e distribuito, a condizioneche ciò avvenga senza fine di lucro, senza alcuna alterazione del contenutoe indicando la provenienza.

Come citare questo testo: É. DE LA BOÉTIE, Discorso sulla servitù volontaria, trad. it. di AntonioVigilante, Biblioteca di Muntu, n. IV, 2005<http://purl.oclc.org/NET/Biblioteca04>

Data di rilascio: 2 giugno 2005.In attesa di revisione.

Page 5: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 5

«Pazzo fu semprede' molti il regno. Un sol comandi, e queglicui scettro e leggi affida il Dio, quei solone sia di tutti correttor supremo.»1

Ecco quello che Ulisse dichiara in pubblico, secondo Omero.Se avesse detto semplicemente: «Pazzo fu sempre de' molti il regno»,

sarebbe stato sufficiente. Ma invece di dedurne che il dominio di molti nonpuò essere buono, dal momento che anche il dominio di uno solo, quandoassume questo titolo di signore, è duro e irragionevole, egli al contrarioaggiunge: «Uno solo comandi».

Si può scusare forse Ulisse per aver parlato così, poiché ciò gli servivaper calmare la ribellione dell'esercito: io credo che abbia adattato il suodiscorso più alle circostanze che alla verità. Ma a rifletterci, è una sventuraestrema essere assoggettati a un signore la cui bontà non può mai essereassicurata, è che ha sempre il potere di essere malvagio quando lo vorrà.Quanto ad obbedire a molti signori, vuol dire essere molte volteestremamente sventurati.

Non voglio dibattere qui la questione tante volte agitata, se «altri tipi direpubblica siano migliori della monarchia». Se dovessi dibatterla, prima dicercare quale posto la monarchia debba occupare tra i diversi modi digovernare la cosa pubblica, domanderei se bisogna accordargliene alcuno,poiché è difficile credere che vi sia qualcosa di pubblico in tale forma digoverno, in cui tutto appartiene a uno solo. Ma riserviamoci per un altromomento questa questione che merita di essere trattata a parte, e cheprovocherebbe ogni sorta di disputa politica.

Per il momento, vorrei soltanto comprendere come è possibile che tantiuomini, tanti borghi, tante città, tante nazioni sopportino talvolta un solotiranno, che non ha altro potere al di fuori di quello che essi gli danno, eche non potrebbe far loro alcun male se essi non preferissero soffrire checontraddirlo. Cosa davvero sorprendente – e peraltro così comune chebisognerebbe deplorare più che stupirsi – vedere un milione di uominimiserabilmente asserviti, con la testa sotto il giogo, non perché costretti dauna forza superiore, ma perché affascinati e per così dire stregati dal solnome di uno che non dovrebbero né temere – perché è solo – né amare –perché è verso di loro del tutto inumano e crudele. Tale è tuttavia ladebolezza degli uomini: costretti ad obbedire, obbligati a temporeggiare,non possono essere sempre i più forti. Se dunque una nazione, costrettadalla forza delle armi, è sottomessa al potere di uno solo – come la città diAtene con il domini dei trenta tiranni -, non bisogna stupirsi che essa siaserva, ma deplorarlo. O piuttosto, non bisogna né stupirsi né lamentarsi,

1 Omero, Iliade, II, 204. Trad. Monti [N.d.T.]

Page 6: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

6 Étienne de La Boétie

ma sopportare la sventura con pazienza, e riservarsi per un avveniremigliore.

Noi siamo fatti in modo tale che i doveri comuni dell'amicizia assorbonouna buona parte della nostra vita. È ragionevole amare la virtù, stimare lebelle azioni, essere riconoscente per i benefici ricevuti, ridurre spesso ilnostro benessere per accrescere l'onore e il vantaggio di quelli che amiamoe che meritano di essere amati. Se dunque gli abitanti di un paesetrovassero presso di loro uno di quegli uomini rari, che dia loro prove diuna grande preveggenza per salvaguardarli, un grande ardimento perdifenderli, una grande prudenza per governarli; se essi si abituassero allalunga ad obbedirgli ed a confidare in lui, fino a accordargli una certasupremazia, io non so se sarebbe saggio elevarlo dal posto in cui fa del beneper metterlo lì dove potrebbe fare del male; masembra naturale, in effetti,voler bene a chi ci ha procurato del bene, e non temera da lui alcun male.

Ma, o gran Dio, che è questo? Come chiameremo questa sventura?Cos'è questo vizio, questo vizio orribile, di vedere un numero infinito diuomini non solo obbedire, ma servire, non solo essere governati, ma esseretiranneggiati, senza che beni, parenti, bambini, o la loro stessa vitaappartengano loro? Di vederli soffrire rapine, dissolutezze, crudeltà non diun esercito, non di un campo barbarico contro il quale ciascuno debbadifendere il suo sangue e la sua vita, ma di un solo uomo! Non di un Ercoleo di un Sansone, ma spesso dell'uomo più fiacco, più effeminato dellanazione, che non ha mai respirato la polvere delle battaglie né calpestato lasabbia dei tornei, che è inadatto non solo a comandare agli uomini, maanche a soddisfare la più umile donnicciola! Chiameremo ciò vigliaccheria?Diremo vili e codardi tali uomini sottomessi? Se due, tre, quattro cedono auno solo, è strano, ma possibile; si potrebbe dire con ragione: è mancanzadi coraggio. Ma se cento, se mille soffrono l'oppressione di uno solo, si diràancora che non osano azzuffarsi con lui, o piuttosto che essi non lovogliono, e che non si tratta di codardia, ma piuttosto di disprezzo odisdegno?

Infine, se si vedono non cento, non mille uomini, ma cento paesi, millecittà, un milione di uomini non assalire colui che li tratta come servi eschiavi, come qualificheremo ciò? È vigliaccheria? Ma tutti i vizi hanno deilimiti che non possono oltrepassare. Due uomini, o anche dieci, possonotemerne uno; ma che mille, un milione, mille città non si difendano controun solo uomo, non è codardia: essa non giunge fin là, così come il valorenon esige che un solo uomo scali una fortezza, attacchi un esercito,conquisti un regno. Che vizio mostruoso è dunque questo, che non meritanemmeno il titolo di codardia, che non trova un nome abbastanza brutto,che la natura sconfessa e che la lingua si rifiuta di nominare?

Si mettano faccia a faccia cinquantamila uomini in armi; li si schieri inbattaglia, in modo che vengano alle mani; gli uni, liberi, combattono per laloro libertà, gli altri combattono per togliergliela. A chi voi prometterete lavittoria? Chi andrà più coraggiosamente a combattera: quelli che speranocome ricompensa il mantenimento della loro libertà, o quelli che nonattendono, come salario per i colpi che danno e ricevono, altro che la

Page 7: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 7

servitù altrui? Gli uni hanno sempre davanti agli occhi la felicità della lorovita passata e l'attesa di un uguale benessere per il futuro. Pensano meno aquello che sopportano durante la battaglia che dovrebbero sopportare, sefossero vinti, loro, o i loro bambini e tutta la loro posterità. Gli altri perstimolo non hanno che una piccola punta di cupidigia, che si smussa prestocontro il pericolo, e il cui ardore si spegne nel sangue delle loro primeferite. Nelle battaglie tanto rinomate di Milziade, di Leonida, di Temistocle,che datano da duemila anni e che vivono ancora oggi così fresche nellamemoria dei libri e degli uomini come se fossero avvenute ieri, in Grecia,per il bene dei greci e l'esempio del mondo intero, cosa ha dato a un cosìpiccolo numero di greci non il potere, ma il coraggio di sopportare la forzadi tante navi che il mare stesso ne debordava, di vincere delle nazioni cosìnumerose che tutti i soldati greci, presi insieme, non avrebbero fornitoabbastanza capitani agli eserciti nemici? In quelle giornate gloriose, non sitrattava tanto della battaglia dei greci contro i persiani, quanto dellavittoria della libertà sulla dominazione, della liberazione sulla cupidigia.

Sono davvero straordinari i racconti del valore che la libertà mette nelcuore di coloro che la difendono! Ma quello che accade dappertutto ed ognigiorno, che un uomo solo ne opprime centomila e li priva della loro libertà,chi lo crederebbe, se lo si ascoltasse e non lo si vedesse? E se ciò accadessesono nei paesi stranieri, in terre lontane, e ci venisse raccontato, chi noncrederebbe inventato tale racconto?

Ora, questo tiranno solo non c'è bisogno di combatterlo, né diabbatterlo. Sarebbe sconfitto da sé, se il paese non consentisse più aservirlo. Non si tratta di togliergli qualcosa, ma di non dargli nulla. Non c'èbisogno che il paese si prenda la pena di fare alcuna cosa per sé, poichébasta che non faccia nulla contro di sé.Sono dunque i popoli stessi che silasciano, o piuttosto si fanno malmenare, poiché ne sarebbero libericessando di servire. È il popolo che si assoggetta e si taglia la gola; che,potendo scegliere di essere sottomesso o di essere libero, rifiuta la libertà aprende il giogo; che consente al suo male, o che piuttosto lo ricerca... Se glicostasse qualche cosa recuperare la livertà, non lo incalzerei; anche se ciòche si dovrebbe avere più a cuore è di rientrare nei propri diritti naturali e,per così dire, da bestie ridiventare uomini. E tuttavia io non attendo da essoun così grande armento; io accetto che esso preferisca non so qualesicurezza di vivere miserabilmente alla speranza dubbia di vivere comevuole. Ma che! Se per avere la libertà basta desiderarla, se non c'è bisognoche di un semplice volere, si troverebbe una nazione al mondo che credessedi pagarla troppo cara acquistandola con un semplice desiderio? Chirimpiangerebbe di recuperare un bene che bidognerebbe recuperare aprezzo del sangue, e la cui perdita rende ad ogni uomo d'onore la vitaamara e la morte benefica? Certo, come il fuoco di una piccola scintillas'ingrandisce e si rinforza di continuo, e più trova legna per bruciare, più ladivora, ma si consuma e finisce per spegnersi da sé quando si cessa dialimentarlo, così i tiranni più esigono, più saccheggiano; più vengonoriforniti e serviti, più rovinano e distruggono. Essi si fortificano, diventanosempre più freschi e gagliardi per annientare e distruggere tutto. Ma se non

Page 8: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

8 Étienne de La Boétie

gli si dà niente, se non gli si obebdisce, senza combatterli, senza colpirli,essi restano nudi e sconfitti e non sono più nulla, così come un ramo, nonavendo più linfa e alimento dalla sua radice, secca e muore.

Per conquistare il bene che desidera, l'uomo ardito non teme alcunpericolo, l'uomo accorto non è respinto da alcuna fatica. Solo i vigliacchi egli imbecilli non sanno resistere al male mé ottenere il bene che si limitanoad agognare. L'energia per ottenerlo gli è tolta dalla loro stessavigliaccheria; non resta loro che il desiderio naturale di possederlo. Questodesiderio, questa volontà comune ai saggi ed agli imprudenti, ai coraggiosied ai codardi, gli fa desiderare tutte le cose il cui possesso li renderebbefelici e contentui. Ce n'è una sola che gli uomini, non so perché, non hannola forza di desiderare: è la libertà, bene tanto grande e dolce! Una volta cheessa è perduta, ne segue ogni male, e senza di essa tutti gli altri beni,corrotti dalla servitù, perdano interamente il loro gusto e il loro sapore. Lalibertà, gli uomini la disdegnano soltanto, a quanto pare, perché basta lorodesiderarla per averla; è come se essi si rifutassero di fare un così preziosoacquisto perché è troppo facile.

Povere genti miserabili, popoli insensati, nazioni ostinate nel vostromale e cieche al vostro bene! Vi lasciate portar via sotto gli occhi il più belloe il più chiaro dei vostri redditi, lasciate saccheggiare i vostri campi,derubare e spogliare le vostre case dei vecchi mobili dei vostri antenati! Voivivete in modo tale che nulla è più vostro. Sembra che voi consideriateormai una grande fortuna che vi si lasci soltanto la metà dei vostri beni,delle vostre famiglie, delle vostre vite. E tutti questi danni, queste sventure,questa rovina non ci vengono dai nemici, ma certo da un nemico, da quellosyesso che voi avete reso quel che è, da colui per il quale voi andate cosìcoraggiosamente alla guerra, e per la grandezza del quale voi non rifiutatedi offrire voi stessi alla morte. Questo signore non ha peraltro che dueocchi, due mani, un corpo, e nulla di più di ciò che ha l'ultimo degli abitantidi una delle nostre infinite città. Quel che ha di più, sono i mezzi che voi glifornite per distruggervi. Da dove tira fuori quegli occhi che vi spiano, senon da voi? Come mai ha tante mani per colpirvi, se non gliele prestate voi?I piedi con cui calpesta le vostre città non sono i vostri? Ha qualche poteresu di voi, che non sia vostro? Come oserebbe assalirvi, se non fossed'accordo con voi? Quale male potrebbe farvi, se voi non foste i ricettatoridel ladro che vi deruba, i complici dell'assassino che vi uccide, i traditori divoi stessi? Voi seminate i vostri campi affinché lui li devasti, crescete levostre figlie affinché lui possa appagare la sua lussuria, nutrite i vostribambini affinché egli ne faccia nella migliore delle ipotesi dei soldati,affinché li mandi a fare la guerra, al macello, li renda ministri delle suebrame ed esecutori della sue vendette. Voi vi logorate affinché egli possavezzeggiarsi nelle sue delizie e avvolgersi nei suoi piaceri. Voi vi affannateaffinché lui sia più forte e vi tenga più rudemente la briglia più corta. E daqueste indegnità, tali che le bestie stesse non le sopporterebbero se leprovassero, voi potreste liberarsi anche senza tentare di farlo: basterebbevolerlo.

Page 9: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 9

Decidete di non servire più, ed ecco, sarete liberi. Non vi chiedo dicolpirlo, di scuoterlo, ma sono di non sostenerlo puù, e lo vedreteaccartocciarsi sui suoi piedi e rompersi come un colosso di cui sia stataspezzata la base.

I medici consigliano giustamente di non cercare di guarire le piagheincurabili, e può essere che io abbia torto a esortare un popolo che sembraaver perso da molto tempo ogni conoscenza del suo male – cosa che mostrache a sufficienza che la sua malattia è mortale. Cerchiamo dunque dicomprendere, se è possibile, come questa testarda volontà di servire si èradicata così profondamente da credere che l'amore stesso della non gli siacosì naturale.

È indubbio, io credo, che se vivessimo con i diritti che riceviamo dallanatura e secondo i precetti che essa ci insegna, noi saremmo naturalmentesottomessi ai nostri genitori, soggetti alla ragione, senza essere schiavi dinessuno. Ciascuno di noi riconosce in sé, in modo del tutto naturale,l'impulso all'obbedienza verso suo padre e sua madre. Quanto a sapere se laragione è in noi innata o no – questione dibattuta ampiamente dalleaccademia ed agitata da tutte le scuole filosofiche -, io non penso disbagliare se dico che c'è nella nostra anima un germe naturale di ragione.Sviluppato con buoni consigli e buoni esempi, questo germe sboccia invirtù, ma spesso abortisce, soffocato dai vizi che sopraggiungono. Quelloche è chiaro ed evidente, che nessuno può ignorare, è che la natura,ministra di Dio, governante degli uomini, ci ha tutti creati e in qualchemodo colati nello stesso stampo, per mostrarci che siamo tutti uguali, opiuttosto fratelli. E se, nella ripartizione che ha fatto dei suoi doni, haprodigato qualche vantaggio del corpo o dello spirito agli uni piuttosto cheagli altri, non ha tuttavia voluto metterci in questo mondo come su uncampo di battaglia, e non ha inviato quaggiù i più forti o i più scaltri comebriganti armati in una foresta per malmenarvi i più deboli. Crediamopiuttosto che facendo così le parti più grandi per gli uni e più piccole per glialtri abbia voluto far nascere in loro l'affetto fraterno e metterli incondizione di praticarlo, in modo che gli uni abbiano la possibilità di dareaiuto mentre gli altri hanno bisogno di riceverlo. Dunque, dal momento chequesta brava madre ha dato a tutti la terra intera per dimora, poiché ci haalloggiati tutti nella stessa casa, ci ha formati tutti sullo stesso modello inmodo che ciascuno può guardarsi e quasi riconoscersi nell'altro come inuno specchio, poiché ha fatto a tutti noi questo bel dono della voce e dellaparola per meglio incontrarci e fraternizzare e per produrre, attraverso lacomunicazione e lo scambio dei nostri pensieri, la comunione delle nostrevolontà; poiché ha cercato con tutti i mezzi di creare e di rinserrare il nododella nostra alleanza, della nostra società, poiché ha mostrato in ogni cosache non solo ci vuole uniti, ma come se fossimo un solo essere, comedubitare allora che siamo tutti naturalmente liberi, poiché siamo tuttiuguali? Non può venire in mente a nessuno che la natura abbia messoqualcuno a servire, poiché ci ha messo tutti in compagnia.

Page 10: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

10 Étienne de La Boétie

A dire il vero, è inutile chiedersi se la libertà è naturale, dal momentoche non si può tenere alcun essere in schiavitù senza fargli un torto: non c'ènulla al mondo di più contrario alla natura, che è interamente razionale,dell'ingiustizia. La libertà è dunque naturale; è per questo, a mio avviso,che noi non siamo soltanto nati con essa, ma anche con la passione didifenderla.

Se per caso si trovasse qualcuno che ancora ne dubita – imbastardito alpunto di non riconoscere i suoi doni e le sue passioni native -, bisogna cheio gli faccia l'onore che merita e che issi, per così dire, le bestie brute incattedra, per insegnargli la sua natura e la sua condizione. Le bestie, Dio miaiuti, se gli uomini potessero intenderle, gli griderebbero: «Viva lalibertà!» Molte di loro muoiono appena catturati. Come il pesce che perdela vita appena torato fuori dall'acqua, esse si lasciano morire per nonsopravvivere alla loro libertà naturale. Se gli animali avessero dellepreminenze tra di loro, essi farebbero consistere in questa libertà la loronobiltà. Altre bestie, dalle più grandi alle più piccole, quando le si catturaresistono così forte con le unghie, le corna, il becco e le zampe chedimostrano quale prezzo accordano a ciò che perdono. Una volta prese, cioffrono segni così evidenti della conoscenza della loro disgrazia che è bellovederli languire piuttosto che vivere, e gemere per la felicità perdutapiuttosto che piegarsi alla servitù. Che altro vuol dire quando l'elefante,dopo essersi difeso fino allo stremo, senza più speranza, sul punto d'esserepreso, sfonda le sue mascelle e rompe le zanne contro gli alberi, se non cheil suo grande desiderio di restare libero gli dà dello spirito e lo avverte dimercanteggiare con i suoi cacciatori, per vedere se potrà al prezzo delle suezanne e del suo avorio, lasciato come riscatto, potrà riacquistare la sualibertà? Noi blandiamo il cavallo dalla nascita pera bituarlo a servire. Lenostre carezze non gli impediscono di mordere il freno, di scalciare sotto losperone quando lo si vuole domare. In questo modo vuole testimoniare, misambra, che non serve perché gli piace, ma perché lo costringiamo a farlo.Che dire ancora?

«Anche i buoi, sotto il giogo, piangono, e gli uccelli in gabbia si lamentano.»

Altrove l'ho detto in versi...Così, dunque, ogni essere dotato di senso avverte l'infelicità

dell'assoggettamento e corre dietro alla libertà; se anche le bestie, che sonostate fatte per servire l'uomo, non possono sottomettersi a lui che dopoaver protestato il loro desiderio contrario, quale malasorte ha potutosnaturare l'uomo – solo essere veramente nato per vivere libero - al puntodi fargli perdere il ricordo del suo stato primitivo ed il desiderio diriconquistarlo?

Ci sono tre tipi di tiranni.Gli uni regnano per elezione di un popolo, gli altri per la forza delle

armi, i terzi per la successione della razza. Quelli che hanno acquisito ilpotere attraverso il diritto della guerra si comportano – come si dice molto

Page 11: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 11

opportunamente – come se fossero in un paese conquistato. Quelli chenascono re, in generale, non sono gran che migliori. Nati e nutriti in senoalla tirannide, succhiano con il latte la natura del tiranno e guardano aipopoli che gli sono sottomessi come ai loro servi ereditari. A seconda dellaloro inclinazione dominante – avari o prodighi -, essi usano il regno comeloro eredità. Quanto a colui che ottiene il suo potere dal popolo, sembra chedebba essere più sopportabile; lo sarebbe, credo, se una volta elevato al disopra degli altri, lusingato da un certo non so che che si chiama grandezza,decidesse di non muoversi più da lì. Egli pensa quasi ogni giorno a cometramandare ai suoi figli il potere che il popolo gli ha dato. Ora, una voltache hanno adottato questa idea, è strano vedere come sorpassano tutti glialtri tiranni in ogni sorta di vizi, ed anche in crudeltà. Non trovano mezzomigliore, per rendere sicura la loro nuova tirannia, che rinforzare la servitùe di allontanare così bene le idee di libertà dallo spirito dei sudditi che, perquanto recente ne sia il ricordo, si cancellano ben presto dalla loromemoria. A dire il vero, io vedo qualche differenza tra questi tiranni, manon vedo come si possa scegliere tra loro: perché, se arrivano al trono condei mezzi diversi, il loro modo di regnare è più o meno lo stesso. Quelli chesono eletti dal popolo lo trattano come un toro da domare, il conquistatoricome la loro preda, i successori come un branco di schiavi che appartieneloro per diritto di natura.

Porrò questa questione: se per caso nascesse oggi qualche gente deltutto nuova, né abituati alla servitù né allettati dalla libertà, ignorantiperfino l'uno del nome dell'altro, e gli si proponesse di essere servi o divivere liberi, quale sarebbe al loro scelta? Senza alcun dubbio,preferirebbero di gran lunga obbedire alla sola ragione che servire unuomo, a meno che non siano come quelle genti d'Israele che, senza bisognoné costrizione, si diedero un tiranno. Non sono mai riuscito a leggere laloro storia senza provare un dispetto estremo che mi induce quasi ad essereinumano, fino a gioire di tutti i mali che sono accaduti loro. Perché degliuomini che siano uomini si lascino assoggettare, occorre una di queste duecose: o che vi siano costretti, o che siano ingannati. Costretti dalel armistranieri, come furono Sparte e Atene da quelle di Alessandro, o ingannatidalel fazioni, come accadde al governo d'Atene, precedentemente cadutonelle mani di Pisistrato. Essi perdono spesso la loro libertà per essere statiingannati, ma sono più spesso ingannati da se stessi che sedotti dagli atri.Così il popolo di Siracusa, capitale della Sicilia, spinto dalle guerre e nonpensando che al pericolo del momento, elesse Dionigi I e gli diede ilcomando dell'esercito. Non pensò al fatto di averlo reso così potente chequesto mascalzone, tornando vittorioso come se avesse vinto i suoiconcittadini e non i suoi nemici, si fece prima capitano, poi re, e da retiranno. È incredibile vedere come un popolo, una volta assoggettato, cadeall'improvviso in un oblio così profondo della sua libertà che gli èimpossibile risvegliarsi per riconquistarla: serve così bene, e così volentieri,che a vederlo si rirebbe che non ha solo perso la sua libertà, ma ancheguadagnato la sua servitù.

Page 12: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

12 Étienne de La Boétie

È vero che all'inizio si serve perché costretti e vinti dalla forza; ma isuccessori servono senza rammarico e fanno volontariamente quello che iloro predecessori facevano sotto costrizione. Gli uomini nati sotto il giogo,nutriti ed allevati nella srevitù, senza guardare avanti, si contentano divivere come sono nati e non pensano affatto di avere altri beni e altri dirittial di là di quelli che hanno trovato; prendono per loro stato di natura lostato della loro nascita.

Tuttavia non c'è erede, anche prodigo o negligente, che non dia ungiorno uno sguardo sui registri di suo padre, per vedere se gode di tutti idiritti della sua successione e se è stata intrapresa qualche cosa contro lui ocontro il suo predecessore. Ma l'abitudine, che esercita in ogni cosa unpotere così grande su di noi, ha soprattutto quello di insegnarci a servire e,come si racconta di Mitridate che finì per abituarsi al veleno, ha il potere diinsegnarci a inghiottire il veleno della servitù senza trovarlo amaro.Nessuno dubita che la natura ci diriga dove vuole, bene o male favoriti, mabisogna riconoscere che essa ha meso potere su di noi dell'abitudine. Perbuono che sia, ciò che è naturale va perso se non se na fa uso, mentrel'abitudine ci forma sempre come vuole, a dispetto della natura. I semi dibene che la natura mette in noi sono così minuti, così fragili che nonpossono resistere al minimo choc di una abitudine contraria; gli è piùdifficile conservarsi sani che rovinarsi e degenerale, come quegli alberi dafrutto che conservano le caratteristiche della loro specie quando si li lasciacrescere, ma che le perdono per portare frutti differenti dai loro, secondo ilmodo in cui li si innesta.

Anche le erbe hanno ciascuna la sua proprietà, la sua natura, la suasingolarità; nondimeno il tempo, le intemperie, il suolo o la mano delgiardiniere aumentano o diminuiscono di molto le loro virtù. La piantavista in un paese spesso non è più riconoscibile in un altro. Chi vedesse iveneziani, un pugno di gente che vive così liberamente che il più miserabiledi loro non vorrebbe essere re, nati e cresciuti in modo da non conoscerealtra ambizione che quella di mantenere al meglio la loro libertà, educati eformati dalla culla in modo tale che non cambierebbero un briciolo dellaloro libertà per tutte le altre felicità della terra... Colui, dico, che vedessequeste persone, e che se ne ansasse poi nel dominio di qualche «gransignore», trovandovi genti che sono nate per servirlo e che abbandonano laloro stessa vita per mantenere la sua potenza, penserebbe che questi duepopoli hanno la stessa natura? O non crederebbe piuttosto di essere entratoin un parco di bestie dopo essere uscito da una città di uomini?

Si racconta che Lucurgo, il legislatore di Sparta, aveva allevato due cani,fratelli ed allattati con lo stesso latte. L'uno era ingrassato in cucina, l'altroera abituato a correre nei campi al suono della tromba e del corno. Volendomostrare ai Lacedemoni che gli uomini sono quali li fa la cultura, egliespose i due cani nella piazza pubblica e collocò tra di loro una zuppa e unalepre. L'uno corse al piatto, l'altro alla lepre. Eppure, disse, sono fratelli!

On le sue leggi e la sua arte politica, egli educò e formò così bene iLacedemoni, che ognuno di essi avrebbe preferito soffrire mille morto

Page 13: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 13

piuttosto che sottomettersi ad altri signori al di fuori della legge e dellaragione.

Ho piacere di ricordare qui un aneddoto riguardante uno dei favoriti diSerse, grande re di Persia, e due spartani. Quando stava facendo preparativiper conquistare la Grecia intera, Serse inviò degli ambasciatori in moltecittà di quel paese per chiedere dell'acqua e della terra – era il modo cheavevano i persiani di intimare alle città di arrendersi. Egli si guardò benedal mandarne a Sparta e ad Atene, perché spartani e gli ateniesi, cui suopadre Dario li aveva inviati in passato, li avevano gettati gli uni in un fossoe gli altri in un pozzo, dicendo loro: «Andate, prendete l'acqua e la terra, eportatele al vostro principe.» Queste genti non potevano sopportare che siattentasse alla loro libertà, anche con la minima parola. Gli spartaniriconobbero che agendo in tal modo avevano offeso gli dei, e soprattutto diTaltibio, il dio degli araldi. Essi decisero dunque di placarli mandando aserse due loro concittadini affinché, disponendo di loro a suo piacimento,potesse vendicarli della morte degli ambasciatori di suo padre.

I due spartani, l'uno di nome Spertie e l'altro di nome Buli, si offrironocome vittime volontarie. Partirono. Arrivati al palazzo di un persiano dinome Idarne, luogotenente del re per tutte le città d'Asia che erano lungo lecoste, ricevettero da lui buona ed onorevole accoglienza. Tra una cosa el'altra, gli chiese perché rifiutassero così rigidamente l'amicizia del re.«Spartani, disse, consideratemi un esempio di come il re sa onorare coloroche lo meritano. Crededemi, se voi foste al suo servizio e lui vi conoscesse,diventereste entrambi governatori di qualche città greca.» I lacedemonirisposero: «In ciò, Idarne, tu non puoi darci un buon consiglio; perché, setu provi la felicità che ci prometti, ignori interamente quella di cui noigodiamo. Tu hai provato il favore del re, ma non sai che gusto delizioso hala libertà. Ora, se tu ne avessi goduto, ci consiglieresti di difenderla nonsolo con la lancia e lo scudo, ma con i denti e le unghie.»

Solo gli spartani dicevano il vero, ma ognuno parlava secondol'educazione che aveva ricevuto. Era tanto impossibile al persianorimpiangere quella libertà di cui non aveva mai goduto quanto ailacedemoni, che l'avevano assaporata, sopportare la servitù.

Catone d'Utica, ancora piccolo e sotto la frusta del maestro, andavaspesso a trovare il dittatore Silla, alla cui casa aveva accesso sia a causa delrango della sua famiglia che per i legami di parentela. In queste visite luiera sempre accompagnato dai suoi precettori, come era uso a Roma per ifigli dei nobili. Un giorno vive che nel palazzo di Silla, in sua presenza e susuo comando, si improgionava gli uni e si condannavano gli altri; uno erabandito, un altro strangolato. Uno domandava la confisca dei beni di uncittadino, un altro la sua testa. Insimma, tutto avveniva non come da unmagistrato, ma come da un tiranno del popolo; era meno il santuario dellagiustizia che la caverna della tirannia. Questo ragazzo disse al suoprecettore: «Mi dai un pugnale? Lo nasconderei sotto i miei abiti. Entrospesso nella camera di Silla prima che lui si alzi... Ho il braccio abbastanzaforte per liberare la città da lui.» Ecco le vere parole di un Catone. L'iniziodella sua vita fu all'altezza della sua morte. Tacete il nome ed il paese,

Page 14: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

14 Étienne de La Boétie

raccontate solo il fatto così com'è: parla da sé. Si direbbe subito: «Questoragazzo era romano, nato a Roma, quando era libera.» Perché dico questo?Non pretendo certo che il paese ed il suolo non abbiano influenza, poichédappertutto la schiavitù è amara agli uomini e la libertà è loro cara; ma misembra che si debba avere pietà di coloro che nascendo si sono trovati sottoal giogo, che li si debba scusare e perdonarli se, non avendo visto nemmenol'ombra della libertà, e non avendone sentito parlare, non avvertono ladisgrazia di essere schiavi. Se vi sono dei paesi, come dice Omero deiCimmeri, in cui il sole di mostra in modo del tutto diverso a noi, e dopoaverli illuminati per sei mesi consecutivi, li lascia nell'oscurità durante glialtri sei mesi, bisognerebbe meravigliarsi se coloro che nascono duranteuna notte così lunga, senza aver mai udito parlare della luce o visto ilgiorno, si abituassero alle tenebre in cui sono nati senza desiderare la luce?

Non si rimpiange mai ciò che non si è mai visto. Il dispiaceresopraggiunge solo dopo il piacere, e sempre alla conoscenza della disgraziasi unisce il ricordo di qualche gioia passata. La natura dell'uomo è di esserelibero e di volerlo essere, ma prende facilmente un'altra piega per operadell'educazione.

Diciamo dunque che, se tutte le cose diventano naturali all'uomoquando si abitua, resta nella sua natura colui che desidera solo le cosesemplici e non alterate. Così la prima ragione della servitù volontaria èl'abitudine. Ecco cosa succede ai migliori cavalli, che prima mordono ilfreno e dopo ci giocano, che poco fa recalcitravano sotto la sella ed ora sipresentano da solo sotto i finimenti e, tutti fieri, s'impettiscono sottol'armatura.

Essi dicono di essere sempra stati sottomessi, che i loro padri sonovissuti così. Pensano di essere tenuti a sopportare il male, se nepersuadono con degli esempi e consolidano loro stessi, perpetuandolo, ilpossesso di coloro che li tirannizzano.

Ma in verità gli anni non danno mai il diritto di fare il male. Essiaccrescono l'ingiuria. Si trovano sempre alcuni, meglio nati degli altri, chesentono il peso del giogo e non possono trattenersi dallo scuoterlo, che nonsi adattano mai alla servitù e che, come Ulisse cercava per terra e per maledi rivedere il fumo della sua casa, si guardano bene dal dimenticare i lorodiritti naturali, le loro origini, il loro stato originario, e sono solleciti nelrivendicarli in ogni occasione. Essi, avendo intelletto limpido e spiritoaccorto, non si accontentano, come gli ignoranti, di vedere quello che è ailoro piedi, senza guardare dietro e avanti. Ricordano le cose passate pergiudicare il presente e prevedere l'avvenire. Sono coloro che, avendo da séla testa ben fatta, l'hanno ulteriormente affinata con lo studio e il sapere.Essi, quando la libertà fosse interamente persa e bandita da questo mondo,l'immaginerebbero, la sentirebberi nel loro spirito, e la gusterebbero. Laservitù li disgusta, per quanto bene la si acconci.

Il grande Turco si è accorto che i libri ed il pensiero danno più di ognialtra cosa agli uomini il senso della loro dignità e l'odio della tirannia.Comprendo perché, nel suo paese, non vi sono molti sapienti, né sonorichiesti. Lo zelo e la passione di coloro che sono rimasti, malgrado le

Page 15: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 15

circostanze, devoti alla libertà, restano comunemente senza effetto, qualeche sia il loro numero, perché non possono conoscersi tra loro. I tirannitolgono loro ogni libertà di fare, di parlare e quasi di pensare, e licostringono a restare isolati nei loro sogni. Momo non scherzava troppo,quando trovò da ridire sull'uomo forgiato da Vulcano, poiché non avevauna piccola finestra al cuore, affinché si potessero leggere i suoi pensieri...

Si dice che Bruto e Cassio, quando intrapresero la liberazione di Roma(vale a dire del mondo intero), non vollero che Cicerone, questo grandezelatore del bene pubblico, vi partecipasse, giudicando il suo cuore troppodebole per una tale impresa. Credevano nella sua volontà, ma non nel suocoraggio. Chi vorrà ricordare i tempi passati e compulsare gli antichi annalisi convincerà che quasi tutti coloro che, vedendo il loro paese maltrattatoed in cattive mani, concepirono il disegno di liberarlo, con intenzionebuona, integra e retta, hanno facilmente raggiunto il loro scopo; permanifestarsi, la libertà viene sempre in loro aiuto. Ermonio, Aristogitone,Trasibulo, Bruto il vecchio, Valerio e Dione, che concepirono un progettocosì virtuoso, lo eseguirono con successo. In tali casi, la ferma volontàgarantisce quasi sempre il successo. Bruto il giovane e Cassio riuscirono ainfrangere la servitù; quando hanno tentato di riportare la libertà, sonomorti non miserabilmente – chi oserebbe trovare nulla di miserabile nelleloro vite o nella loro morte?- ma con grande danno, per la disgraziaperpetua e per la rovina intera della Repubblica, che, mi sembra, fuseppellita con loro. Gli altri tentativi fatti in seguito contro gli imperatoriromani non furono che le congiure di qualche ambizioso il cui fallimento ela cui fine infelice non bisogna rimpiangere, visto che essi nondesideravano rovesciare il trovo, ma solo scuotere la corona, cercando dicacciare il tiranno per meglio serbare la tirannia. Mi dispiacerebbe, se laloro impresa fosse riuscita, e sono contento di poter mostrare con il loroesempio che non bisogna abusare del santo nome della libertà per condurreuna cattiva azione.

Per tornare al mio argomento, che avevo quasi perso di vista, la primaragione per cui gli uomini servono volontariamente, è che nascono servi esono educati come tali. Da questa prima ragione deriva quest'altra: che,sotto i tiranni, la gente diviene facilmente vile ed effeminata. Sono grato algrande Ippocrate, padre della medicina, di averlo rimarcato nel suo libroSulle malattie. Quest'uomo aveva un buon cuore, e lo mostrò quando il redi Persia volle attirarlo a sé a forza di offerte e di grandi regali; lui glirispose con franchezza che avrebbe avuto problemi di coscienza adoccuparsi di guarire dei barbari che volevano ammazzare i greci, e servirecon la sua arte colui che voleva asservire il suo paese. La lettera che scrissesi trova ancora oggi tra le sue opere; testimonierà per sempre del suocoraggio e della sua nobiltà.

È certo che con la libertà si perde in primo luogo il valore. Le gentisottomesse non hanno né ardore né bellicosità nel combattimento. Li sivede come legati e intorpiditi adempiere con pena un dovere. Non sentonoribollire nel loro cuore l'ardore della libertà che fa disprezzare il pericolo edona la voglia di conquistare, con una bella morte accanti ai suoi compagni,

Page 16: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

16 Étienne de La Boétie

l'onore e la gloria. Presso gli uomini liberi, al contrario, si fa a gara, ognunoper tutti e ognuno per sé: sanno che raccoglieranno una parte uguale delmale della sconfitta o del bene della vittoria. Ma le genti sottomesse,sprovviste di coraggio e di vivacità, hanno i cuori bassi e molli e sonoincapaci di qualsiasi grande azione. I tiranni lo sanno bene, e perciò fannoil possibile per infiacchirli meglio.

Lo storico Senofonte, uno dei più seri e stimati presso i greci, ha scrittoun piccolo libro nel quale fa dialogare Simonide con Gerone, tiranno diSiracusa, sulle miserie del tiranno. Questo libro è pieno di insegnamentibuoni e gravi che hanno anche, a mio parere, una grazia infinita. Fossepiaciuto a Dio che tutti i tiranni che mai sono stati se l'avessero piazzatodavanti a guisa di specchio! Avrebbero certamente riconosciuto le loroverruche e si sarebbero vergognati delle loro macchie. Questo trattato parladella pena che provano i tiranni che, facendo del male a tutti, sono obbligatia temere tutti. Tra le altre cose, dice che i cattivi re prendono al loroservizio degli stranierimercenari, perché non osano più dare le armi ai lorosudditi, che hanno maltrattato. Anche in Francia, più in passato che oggi,alcuni buoni re hanno avuto al soldo delle truppe straniere, ma erapiuttosto per salvaguardare i propri sudditi; non badavano alla spesa perrisparmiare gli uomini. Era questa l' opinione del grande Scipione Africano,mi sembram, che preferiva salvare la vita di un cittadino piuttosto chesconfiggere cento nemici. Quello che è certo è che il tiranno non crede maiche la sua potenza sia al sicuro se non è arrivato al punto di avere comesudditi degli uomini senza valore. Gli si potrebbe dire a giusto titolo ciò chein Terenzio Trasone dice al domatore di elefanti: «Sei dunque coraggiosoperché hai comando sulle bestie?»1

Questa astuzia dei tiranni di ridurre a bestie i loro sudditi non è maistatao più evidente che nella condotta di Ciro verso i Lidi, dopo che si fuimpadronito della loro capitale ed ebbe preso prigioniero Creso, quel re cosìricco. Gli venne data notizia che gli abitanti di Sardo si erano ribellati. Eglili ridusse ben presto all'obbedienza. Ma non volendo saccheggiare uan cittàcosì bella né essere obbligato a tenervi un'armata per dominarla, escogitòun espediente ammirevole per assicurarsene il possesso. Stabilì deibordelli, delle taverne e dei giochi pubblici, e pubblicò un'ordinanza cheobbligava i cittadini a recarvisi. Si trovò così bene con questa guarnigioneche in seguito non ebbe più bisogno di sfoderare la spada contro i Lidi.Questi miserabili si divertirono talmente a inventare ogni sorta di giocoche con il loro nome i latini formarono la parola con cui designavano ciòche noi chiamiamo passatempi, e che essi chiamavano ludi, per corruzionedi lydi.

Nessun tiranno ha mai dichiarato così espressamente di volereffeminare i loro sudditi; di fatto, però, ciò che lui ha ordinato formalmentela maggior parte di loro lo hanno fatto di nascosto. Tale è l'inclinazionenaturale del popolo ignorante che, di solito, è più numeroso nelle città: èsospettoso verso chi l'ama ed ha fiducia in chi l'inganna. Non crediate che visia uccello che cada più facilmente nella trappola, o pesce che, goloso del

1 Eunuchus, atto III, scena I, v. 25 (N. d. T.).

Page 17: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 17

verme, abbocchi più velocemente all'amo di questi popoli che si lascianoprontamente adescare alla servitù, con la minima dolcezza che si facciagustare loro. È cosa che stupisce il fatto che essi di lascino andare cosìprontamente, per poco che lo si solletici. Il teatro, i giochi, le farse, glispettacoli, i gladiatori, le bestie strane, le medaglie, i quadri ed altre droghedi questo tipo erano per i popoli antichi gli apparati della servitù, il prezzodella loro libertà rapita, gli strumenti della tirannia. Questo metodo, questapratica, questi allettaementi erano quelli che impiegavano gli antichiriranni per addormentare i loro sudditi sotto al giogo. Così i popoliabbrutiti, trovando belli tutti questi passatempi, divertiti da un vanopiacere che li abbagliava, si abituavano a servire tanto scioccamente mamolto peggio dei bambini che imparano a leggere con delle imamginicolorate.

I tiranni romani perfezionarono ulteriormente questi metodi, facendospesso festeggiare le decurie, rimpinzando come si vede questa canaglia chesi lascia andare più che a ogni altra cosa al piacere della gola. Così, il piùsveglio tra di loro non avrebbe lasciato la sua scodella di zuppa perrecuperare la libertà della Repubblica di Platone. I tiranni elargivano unquarto di farina, di un settimo di vino, di un sesterzo, ed era allora pietàsentir gridare: «Viva il re!» Questi balordi non si accorgevano che nonfacevano che recuperare una parte del loro bene, e che questa parte iltiranno non avrebbe potuto dargliela se prima non gliel'avesse tolta. Untale raccattava oggi il sesterzio, si rimpinzava al festino pubblicobenedicendo Tiberio e Nerone della liberarità e, l'indomani, costreto adabbandonare i suoi beni all'avidità, i suoi figli alla lussuria, il suo stessosangue alla crudentà di questi magnifici imperatori, non diceva una solaparola, silenzioso come una pietra, immobile come un ceppo d'albero. Ilpopolo ignorante è sempre stato così: per i piaceri che non può ricevereonestamente è sempre disposto e dissoluto; per i torti ed il dolore chepotrebbe onestamente soffrire, è insensibile.

Non vedo nessuno al giorno d'oggi che, sentendo parlare di Nerone, nontremi al solo nome di questo brutto mostro, di questa sporca peste delmondo. Bisogna però dire che dopo la morte, disgustosa quanto la vita, diquesto seminatore di discordie, di questo boia, di questa belva selvaggia, ilfamoso popolo romano ne provò tanto dispiacere, ricordando i suoi giochi ei suoi festini, che fu sul punto di portare il lutto; questo è, almeno, ciò chescrive Tacito, eccellente autore e storico dei più affidabili. Non si troveràstrana la cosa, se si considererà che quel popolo aveva fatto similmente allamorte di Giulio Cesare, che aveva dato l'addio alle leggi ed alla libertàromana. Di questo personaggio si loda soprattutto, mi sembra, l' umanità;ora, essa fu più funesta al suo paese che la più grande crudeltà del piùselvaggio tiranno che si sia mai visto, perché a dire il vero du questavelenosa dolcezza che rese accettabile al popolo romano la coppa dellaservitù. Dopo la sua morte quel popolo, che aveva ancora nella bocca ilgusto dei suoi banchetti e nella mente la memoria della sua prodigalità,accatastò i banchi nella piazza pubblica per fare un grande falò in suoonore; poi gli elevò una colonna quale padre del popolo (il capitello portava

Page 18: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

18 Étienne de La Boétie

questa iscrizione); insomma, riservò a questo morto più onori di quantiavrevve dovuto riservare a un vivo, e principalmente a quelli che l'avevanoucciso.

Gli imperatori romani non dimenticavano di prendere il titolo di tribunidel popolo, perché questo ufficio era tenuto per santo e sacro; stabilito perla difesa e la protezione del popolo, godeva di un alto favore nello Stato. Inquesto modo si assicurarono che il popolo si sarebbe fidato di loro, come sebastasse il nome, senza alcun bisogno di avvertirne gli affetti. Ma non fannogranché meglio al giorno quelli che al giorno d'oggi prima di commettere iloro crimini più gravi li fanno precedere da qualche bel discorso sul benepubblico ed il comune sollievo. Tu conosci bene, o Longa, il formulario dicui potrebbero servirsi in alcuni casi molto furbescamente; ma nellamaggior parte dei casi non è possibile usare la furbizia dove c'è tantaimpudenza.

I re degli Assisi e dopo di loro quelli dei Medi comparivano in pubblicoil più raramente possibile, per far supporre al popolo che vi fosse in loroqualcosa di sovrumano e lasciar sognare quelli che mettono in motol'immaginazione sulle cose che non possono vedere con i loro occhi. Cosìtante nazioni che furono per molto tempo sotto il dominio di questi remisteriosi si abituarono a servirli, e più volentieri li servivano quanto piùignoravano chi fosse il loro signore, ed anche se ve n'era uno; in tal modovivenao nel timore di un essere che nessuno aveva mai visto.

I primi re d'Egitto non si mostravano mai in pubblico senza portare oun ramo o del fuoco sulla testa: così si mascheravano e facevano iciarlatani, ispirando con questi modi strani rispetto a ammirazione ai lorosudditi che, se non fossero stati così stupidi e sottomessi, avrebbero dovutoburlarsi di loro e ridere. È davvero triste scoprire tutto ciò che facevano itiranni del tempo passato per fondare la loro tirannia, vedere di qualimezzucci di servivano, trovare le popolazioni sempre così ben disposto neiloro confronti che bastava loro tendere un filo per catturarle; non hannomai avuto meno difficoltà a ingannarla e mai l'hanno meglio asservita diquando se ne sono burlati maggiormente.

Che dire di un'altra fandonia che i popoli antichi prendevano per orocolato? Essi credevano fermamente che l'alluce di Pirro, re dell'Epiro,facesser miracoli e guarisse i malati di milza. Essi abbellivanoulteriormente questa storia dicendo che, quando venne bruciato il cadaveredel re, l'alluce fu trovato intatto tra le ceneri. Il popolo si è semprefabbricato da sé le sue menzogne, per aggiungervi credervi. Molti autorihanno riportato queste menzogne, ma in modo tale che si vede facilmenteche le hanno raccolte nel chiasso delle città e nel vano parlare dei popolani.Così fece meraviglie Vespasiano, tornando dall'Assiria e passando perAlessandria per raggiungere Roma e impadronirsi dell'Impero: sanava glizoppi, rendeva la vista ai ciechi, e mille altre cose che a mio avviso potevanoessere credute solo da ciechi più ciechi di quelli che guariva.

I tiranni stessi trovavano strano che gli uomini sopportassero di esseremaltrattati da un altro, e per questo si coprirono volentieri con il mantellodella religione e si abbellivano fin dove possibile degli orpelli della divinità

Page 19: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 19

per salvaguardare la loro vita malvagia. Così Salmoneo, per aver burlato ilpopolo facendo il Giove, si trova ora al fondo dell'inferno, secondo la Sibilladi Virgilio, che l'ha visto1:

Vidivi l'orgoglioso Salmonèodi sua temerità pagare il fio;ché temerario veramente ed empiofu di voler, quale il Tonante in cielo,tonar qua giuso e folgorare a pruova.Questi su quattro suoi giunti destrieri,la man di face armato alteramenteper la Grecia scorrendo, e fin per mezzod'Èlide, ov'è di Giove il maggior tempio,di Giove stesso il nume, e de gli dèis'attribuiva i sacrosanti onori.Folle, che con le fiaccole e co' bronzi,e con lo scalpitar de' suoi ronzonii tuoni, i nembi e i folgori imitava,ch'imitar non si ponno: e ben fu degnoch'ei provasse per man del padre eternod'altro fulmine il colpo e d'altro vampoche di tede e di fumo, e degno ancorache nel baratro andasse.

Se lui, che volle solo fare l'idiota, si trova laggiù trattato così bene, pensoche coloro che hanno abusato della religione per fare del male devonopassarsela proprio bene.

I nostri tiranni di Francia hanno seminato così non so quante cose diquesto genere: rospi, fiordalisi, la Santa Ampolla e l'orifiamma. Tutte coseche riguardo alle quali, come che sia, non voglio essere miscredente, perchéné i nostri antenati né noi fino ad ora abbiamo avuto occasione didubitarne, avendo sempre avuto dei re tanto buoni in tempo di pace quantovalenti in guerra, che, benché nati re, sembra che non siano stati fatti dallanatura come gli altri, ma scelti prima di nascere da Dio Onnipotente per ilgoverno e la conservazione di questo regno. Quand'anche così non fosse,non vorrei mettermi a dibattere la verità delle nostre storie, né rivederletroppo liberamente, per non eliminare un tema col quale potrà così benecimentarsi la nostra poesia francese: questa poesia non solo miglioraya, maper così dire rimessa a nuovo dai nostri Ronsard, Baif e du Bellay: essihanno fatto progredire la nostra lingua a tal punto che presto, oso sperare,non avremo niente da invidiare ai greci e ai latini, tranne il diritto diprimogenitura.

Certo, farei un grande torto alla nostra rima (uso volentieri questa parolache mi piace perché, anche se molti l'hanno resa meramente meccanica,vedo tuttavia molti altri capaci di nobilitarla e di renderle il prestigiooriginario), gli farei, dico, un gran torto togliendole i bei racconti del re

1 Virgilio, Eneide, IV, vv. 585-594, trad. Caro. (N.d.T.)

Page 20: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

20 Étienne de La Boétie

Clodoveo, sui quali si è già esercitata con grande piacevolezza e facilità lavena del nostro Ronsard, nella Franciade. Conosco la sua portata, conoscola finezza del suo spirito e la grazia dell'uomo. Farà quel che gli occorre conl'orifiamma, così come i romani fecero con l'ancile e quegli «scudi cadutidal cielo» di cui parla Virgilio, trarrà partito dalla santa ampolla come gliateniesi fecero con il loro cesto d'Erisitone, farà parlare parlare delle nostrearmi come essi del loro olivo, che ancora conservano nella torre di Minerva.Certo, sarei temerario se volessi smentire i nostri libri e nascondere così letracce dei nostri poeti.Ma per tornare al mio argomento, da cui non socome mi sono allontanato, mai è successo che i tiranni, per essere piùsicuri, non abbiamo cercato di abituare il popolo non solo all'obbedienza edalla servitù, ma anche alla devozione verso di loro. Dunque quel che hodetto fino ad ora sui mezzi per indurre la gente all'obbedienza volontariaserve ai tiranni solo per il popolo minuto e più rozzo.

Giungo ora ad un punto che a mio avviso è la molla ed il segreto deldominio, il sostegno ed il fondamento della tirannia. Chi pensa che lealabarde, le guardie e la ronda garantiscano il tiranno si inganna parecchio.Essi se ne servono, credo, per le formalità e come spauracchio, più che perfiducia. Gli arcieri sbarrano l'ingresso al palazzo ai maldestri, privi di alcunmezzo per nuocere, non agli audaci ben armati. Si vede facilmente che,presso gli imperatori romani, quelli che sono sfuggiti al pericolo grazie alsoccorso dei loro arcieri sono stati meno numerosi di quelli che sono statiuccisi dagli arcieri stessi. Non sono le bande di gente a cavallo, lecompagnie di fanti, non sono le armi che difendono un tiranno, ma sempre(lo si crede appena, benché sia la pura verità) quattro o cinque uomini chelo sostengono e che gli sottomettono tutto il paese. È sempre stato così:cinque o sei hanno ottenuto la confidenza del tiranno, o per essersiavvicinati di loro iniziativa, o per essere stati chiamati da lui ad esserecomplici delle sue crudeltà, compari dei suoi piaceri, ruffiani delle suevoluttà e beneficiari delle sue rapine. Questi sei guidano così bene il lorocapo, che questi diventa malvagio nei confronti della società, aggiungendoalla sua malvagità la loro. Questi sei hanno sotto di loro seicento, checorrompono come hanno corrotto il tiranno. Questi seicento hanno alleloro dipendenze seimila, che elevano di dignità, e cui fanno dare il governodelle province o il maneggio del denaro, per incastrarli con la loro avidità ocon la loro crudeltà, perché la esercitino a puntino e facciano tanto di quelmale da non potersi sostenere che sotto la loro ombra, da non potersfuggire alle leggi ed alel pene che grazie alla loro protezione. Grande è laserie di quelli che li seguono. Chi vorrà dipanarne le fila vedrà che nonmille, ma cento mila e milioni sono legati al tiranno da questa catenaininterrotta che li salda al tiranno. Similmante in Omero Giove si vanta dipoter tirare a sé con una simile catena tutti gli dei. Da ciò derivava lacrescita del potere del senato sotto Giulio Cesare, l'istituzione di nuovefunzioni e di nuovi uffici, non certo per riorganizzare la giustizia, ma peroffrire nuovi sostegni alla tirannia. Insomma, si arriva al punto, che per iprofitti ed i favori ricevuti dal tiranno, quelli che traggono vantaggio dallatirannia sono numerosi quasi quanto coloro che vorrebbero la libertà. A

Page 21: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 21

detta dei medici, anche se nulla sembra cambiato nel nostroc orpo, quandosi manifesta un tumore in un solo posto, tutti gli impri si portano versoquesta parte malata. Similmente, quando un re viene dichiarato tiranno,tutta la marmaglia, la feccia del regno – e non dico una manciata di piccolihbricconi e cialtroni che non possono fare né male né bene in un paese, magente possedura da ardente ambizione e notevole avidità – si raggruppanoattorno a lui per avere parte del bottino e per essere, sotto il grandetiranno, dei piccoli tiranni. Simili sono i grandi ladri ed i famosi corsari; gliuni corrono per il paese, gli altri inseguono i viaggiatori; gli uni fannoimboscate, gli altri fanno il palo; gli uni massacrano, gli altri spogliano, eanche se vi sono tra loro delle differenze, sì che alcuni sono semplici vallettied altri capibanda, alla fine non c'è nessuno che non profitta, se non delbottino principale, almeno degli avanzi. Si dice che i pirati della Cilicia siriunirono in così gran numero che fu necessario mandargli contro il grandePompeo, e che essi ottennero l'alleanza di molte belle e grandi città, nei cuiporti si mettevano al sicuro al ritorno dalle loro scorrerie, e dando loro incambio parte del bottino rapinato.

È così che il tiranno sottomette gli uni per mezzo degli altri. È difeso dacoloro da cui, se avesse qualche valore, dovrebbe guardarsi. Ma, come sidice, per spaccare la legna occorrono dei cunei di legno; e tali sono i suoiarcieri, le sue guardie, i suoi alabardieri. Non che essi stessi non soffranospesso; ma questi miserabili abbandonati da Dio e dagli uomini siaccontentano di sopportare il male e di farlo non a chi gliene fa, bensì acoloro che, come essi stessi, lo sopportano senza poter nulla. Quando pensoa questa gente che lusinga il tiranno per sfruttare la sua tirannia e la servitùdel popolo, spesso sono più stupito dalla loro malvagità che impietositodalla loro stupidità. Perché a dire il vero avvicinarsi al tiranno non significadire addio alla propria libertà e, per così dire, abbracciare a stringere conentrambe la mani la propria servitù? Provino a mettere da parte per unmomento la loro ambizione, si liberino un poco dalla loro avidità, e quindiguardino, considerino se stessi: vedranno chiaramente che queicampagnoli, quei paesani che calpestano e trattano come galeotti o schiavi,vedranno, dico, che essi, benché malmenati, sono più felici di loro e inqualche modo più liberi. Il lavoratore e l'artigiano, per quanto asserviti, sela cavano con l'obbedienza; ma il tiranno esige da coloro che lo attornianoche conquistino e mendichino il suo favore. Non basta solo che facciano ciòche ordinano, ma occorre anche che pensino ciò che lui vuole e spessoanche, per soddisfarlo, che prevengano i suoi desideri. Non è tuttoobbedirgli; bisogna compiacerlo. Bisogna che si spezzino, che sitormentino, che si ammazzino per trattare i suoi affari, e che non godanodei suoi stessi piaceri, che sacrifichino il loro gusto al suo, che forzino il lorotemperamento e spoglino la loro natura. Gli occorre essere attenti alle sueparole, alla sua voce, ai suoi sguardi, ai suoi gesti: che i loro occhi, i loropiedi, le loro mani siano continuamente occupate a spiare le sue volontà ead indovinare i suoi pensieri.

È vivere felici, questo? È vivere? C'è nulla al mondo di più insopportabiledi questo stato, e non dico per ogni uomo di carattere o di nobili origini, ma

Page 22: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

22 Étienne de La Boétie

per chi non abbia che semplice buon senso, o sembianza d'uomo? Qualecondizione è più miserabile di quella di vivere così, di non avere nulla persé e ricevere da un altro il proprio agio, la libertà, il corpo e la vita stessa?

Ma essi vogliono servire per ammassare dei beni: come se potesseroavere qualche possesso, loro che non possono nemmeno dire diappartenere a se stessi. Come se qualcuno potesse avere qualcosa di suosotto un tiranno, essi vogliono rendersi possessori di beni, dimenticandoche sono loro che gli danno la forza di portar via tutto a tutti e di nonlasciare nulla che si possa dire proprio. Essi vedono che soltanto l'aviditàdei beni rende gli uomini soggetti alla sua crudeltà; che non c'è per luicrimine maggiormente degno di morte del possesso di qualcosa; che egliama solo le ricchezze e non se la prende che con i ricchi – i quali vengono apresentarsi a lui come i montoni al macellaio, pieni e ben pasciuti, quasiper fargli gola.

Questi favoriti dovrebbero non tanto ripensare a quelli che hannoguadagnato qualcosa appresso al tiranno, ma soprattutto a quelli che, dopoessersi rimpinzati per qualche tempo, hanno perso poi i beni e la vita. Piùche al gran numero di coloro che hanno acquisito ricchezze, dovrebberopensare al piccolo numero di coloro che le hanno conservate. Si scorranotutte le storie antiche e tutte quelle di cui abbiamo memoria: si vedrà chesono molti quelli che, conquistata con pessimi mezzi la confidenza deiprincipi, sia assecondando le loro cattive inclinazioni, sia abusando dellaloro ingenuità, hanno finito per essere schiacciati dagli stessi principi, che lihanno abbattuti con la stessa facilità con cui li avevano elevati. Tra i tantiuomini che si sono trovati ad essere vicini ai cattivi re, pochi o quasinessuno non hanno provato su loro stessi la crudeltà del tiranno, cheavevano attizzato contro altri. Arricchitisi spesso grazie al favore deltiranno con ciò che veniva tolto ad altri, alla fine hanno arricchito gli altricon ciò che veniva tolto loro.

Anche le persone per bene – succede talvolta che un tiranno le ami -, perquanto avanzati nelle sue grazie, per quanto luminose siano in loro la virtùe l'integrità morale (che ispirano qualche rispetto anche ai malvagi, quandocapita loro di vederle da vicino); queste persone per bene, dico, nonpotrebbero mantenersi accanto al tiranno; è inevitabile che faccianoesperienza del male comune e subiscano a loro spese la tirannia. Tali sonostati un Seneca, un Burro, un Trasea: queste tre persone, di cui le primedue hanno avuto la sfortina di avvicinarsi ad un tiranno che affidò loro lacura dei propri affari, entrambi cari a lui – ed uno dei due l'aveva ancheaducato e aveva quale pegno d'amicizia le cure che gli aveva prodigatonell'infanzia -, quei tre, la cui morte fu così crudele, non sono esempisufficienti della poca fiducia che bisogna avere nel favore di un signoremalvagio? E in verità, che amicizia si può attendere da chi ha il cuore tantoduro da odiare tutto un regno che non fa che obbedirgli, di un essere che,non sapendo amare, impoverisce se stesso e distrugge il suo stesso impero?

Ora, se si vuol dire che Seneca, Burro e Trasea hanno provato questasorte infelice per essere stati persone troppo per bene, si considerinoattentamente coloro che attorniavano Nerone: si vedrà che tutti coloro che

Page 23: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 23

furono nelle sue grazie e che si mantennero presso di lui per la loromalvagità non ebbero una fine migliore. Chi ha mai sentito un amore cosìsfrenato, un affetto così testardo, chi ha mai visto un uomo essereostinatamente legato a una donna come Nerone lo fu a Poppea? Ora, fu luistesso ad avvelenarla. Sua madre, Agrippina, per metterlo sul trono avevaucciso suo marito Claudio; per favorirlo aveva fatto e sofferto di tutto; etuttavia suo figlio, il suo bimbo, l'imperatore fatto con le sue mani, le tolsela vita dopo averla spesso maltrattata. Nessuno negò che avrebbe benmeritato questa punizione, se essa le fosse stata inflitta da chiunque altro.

Chi è stato più facile da maneggiare, più sempliciotto o per meglio direfesso dell'imperatore Claudio? Chi s'è mai invaghito d'una donna più di luidi Messalina? Eppure la consegnò al boia. I tiranni restano bestie per ilfatto di non saper mai fare il bene, ma non so come, alla fine, quel po' dispirito che hanno si risveglia in loro per usare della crudeltà verso coloroche gli sono prossimi. È abbastanza noto il caso di quel tale1 che, vedendoscoperta la gola della sua donna, di colei che amava di più e senza la qualegli sembrava di non potre vivere, le rivolse questo bel complimento:«Questo bel collo sarebbe tagliato ora stesso, se l'ordinassi.» Ecco perchéla maggior parte degli antichi tiranni sono stati uccisi quasi tutti dai lorofavoriti: conoscendo la natura della tirannia, essi non erano sicuri dellavolontà del tiranno e diffidavano del suo potere. Così Domiziano è statoucciso da Stefano, Commodo da una delle sue amanti, Caracalla dalcenturione Marziale incitato da Macrino, e ugualmente quasi tutti gli altri.

Certamente il tiranno non ama mai, e mai è amato. Amicizia è un nomesacro, una cosa santa. Esiste solo tra persone per bene. Nasce da una stimareciproca e si mantiene più con l'onestà che con i favori. Ciò che rende unamico sicuro dell'altro è la conoscenza della sua integrità morale; ha pergaranzia la sua naturale bontà, la fedeltà, la costanza. Non può esserciamicizia dove vi sono crudeltà, slealtà, ingiustizia. Quando dei malvagi siuniscono si tratta di un complotto, non di una società. Non si amano, ma sitemono. Non sono amici, ma complici.

Quand'anche così non fosse, sarebbe difficile trovare in un tiranno unamore sicuro, perché essendo al di sopra di tutti e non avendo suoi pari, ègià al di là dei limiti dell'amicizia, che fiorisce nell'uguaglianza e la cuiandatura è sempre equilibrata e non può zoppicare. Ecco perché c'è, comesi dice, una specie di buona fede nei ladri quando si tratta di spartirsi ilbottino, perché allora sono tutti uguali e compagni fra loro. Non si amano,ma almeno si temono. Non vogliono diminuire la propria forzaseparandosi. Ma i favoriti di un tiranno non possono mai contare su di lui,perché loro stessi gli hanno insegnato che può tutto, che nessun diritto odovere l'obbliga, che è abituato ad avere come unica ragione la sua volontà,che non ha eguali e che è padrone di tutti. Non fa compassione che,malgrado tanti esempi eclatanti, vedendo il pericolo così incombente,nessuno voglia trarre lezione dalle miserie altrui e che tante persone siavvicinino ancora così volentieri al tiranno? Che non se ne trovi ancora unsolo che abbia la saggezza e il coraggio di dirli, come la volpe della favola al

1 Caligola. (N.d.T.)

Page 24: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

24 Étienne de La Boétie

leone che faceva il malato: «Verrei volentieri a farti visita nella tua tana,ma ho visto molte tracce di bestie che sono entrate, ma nessuna traccia diqualcuna che ne sia uscita.»

Questi miserabili vedono risplendere il tesoro del tiranno; ammirano,tutti stupiti, il fasto della sua magnificanza; allettati da quello spendore, siavvicinano senza accorgersi che si stanno gettando in una fiamma che finiràper divorarli. Così il satiro imprudente della favola, vedendo brillare ilfuoco rapito da Prometeo, lo trovò tanto bello che volle baciarlo e si bruciò;oppure la farfalla che, sperando di govere di qualche puacere, si getta nelfuoco perché lo vede brillare, e prova ben presto, come dice il poetaLucano1, che ha anche il potere di bruciare.

Supponiamo ancora che questi favoriti sfuggano alle mani di colui cheservono; essi non si salvano mai da quelle del re che gli succede. Se èbuono, egli li costringe a rendere conto ad a sottomettersi alla ragione; se èmalvagio come il loro vecchio signore, non può fare a meno di avere altrifavoriti che, di solito, non si accontentano di prendere il loro posto, mastrappano loro i beni e la vita stessa. Può essere dunque che vi sia qualcunoche, di fronte a un tale pericolo e con così poche garanzie, voglia assumereuna posizione tanto infelice e servire con tante sofferenze un signore cosìpericoloso?

Che pena, che martirio, gran Dio! Essere occupati notte e giorno apiacere a un uomo, e diffidare di lui più di qualsiasi altro al mondo. Averesempre l'occhio attento, l'orecchio teso, per capire da dove verrà il colpo,per scoprire le imboscate, leggere in viso ai compagni le loro intenzioni,accorgersi di chi lo tradisce, sorridere a ognuno e temere tutti, non averenessun nemico evidente ma nemmeno alcun amico sicuro, mostraresempre un viso ridente mentre il cuore è angosciato, non poter esseregioioso e non osare essere triste!

È davvero buffo considerare cosa traggono da questo grande tormento, evedere il bene che possono attendersi dalla loro pena e dalla loro vitamiserabile: non è il tiranno che il popolo accusa del male di cui soffre, macoloro che lo governano. I popoli, le nazioni, a gara fino ai paesani, ailavoratori, sanno i loro nomi, contano i loro vizi, accumulano su di loromille oltraggi, mille insulti, mille bestemmie. Sono incolpati di tutte ledisgrazie, di tutti i mali, di tutte le carestie; e se a volte fanno mostra direndere loro omaggio, al tempo stesso li maledicono nel fondo del cuore e litengono in orrore più delle bestie selvagge. Ecco la gloria, ecco l'onore chericevono per i loro servigi resi alla gente che, se potesse farne a pezzi ilcorpo, non si direbbe soddisfatta, né sufficientemente consolata per leproprie sofferenze. Anche dopo la morte, i posteri non sono tanto pigri danon scrivere il nome di questi mangia-popolo con l'inchiostro di millepiume e lacerare la loro reputazione in mille libri. Anche le loro ossa sono,per così dire, trascinate nel fango dai posteri, per punirli ancora dopo lamorte della loro vita malvagia.

Impariamo, dunque; impariamo a fare bene. Alziamo gli occhi verso ilcielo per nostro onore o per amore della virtù; meglio ancora, per quello del

1 Variante: «come dice un poeta toscano». (N.d.T.)

Page 25: 4 La Boétie Discorso Sulla Servitù Volontaria

Discorso della servitù volontaria 25

Dio Onnipotente, fedele testimone dei nostri atti e giudice dei nostripeccati. Per me, io penso – e non credo di illudermi – che, poiché nulla èpiù contrario della tirannia a un Dio buono e liberale, Egli riservi laggiù aitiranni ed i loro complici qualche pena particolare.