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quattro chiacchiere con... quattro chiacchiere con... LA FORTUNA PREMIA SEMPRE IL FIDANZATO PREVIDENTE ABBIAMO NOTATO: Io e la mia ragazza eravamo fidanzati da più di un anno, ormai, e finalmente avevamo deciso di sposarci. I genitori ci aiutavano in tutti i modi, gli amici ci incoraggiavano, e la mia ragazza? Beh, lei era un sogno! C’era solo una cosa che mi preoccupava e mi preoccupava molto: sua sorella minore. La mia futura cognata aveva vent’anni, portava minigonne e magliette attillatissime e ad ogni occasione si chinava pericolosamente quando era davanti a me. Lo faceva sicuramente apposta, non capitava mai davanti ad altri. Un giorno mi chiamò e mi chiese di andare da lei a darle una mano. Era sola quando arrivai. Mi sussurrò che io di lì a poco sarei stato sposato, che lei provava per me dei sentimenti e un desiderio al quale non poteva e non voleva resistere. Mi disse che avrebbe voluto far l’amore con me almeno una volta prima che io mi sposassi e legassi la mia vita a sua sorella. Ero totalmente scioccato, non riuscivo a spiccicar parola. Lei disse: “Io sto andando al piano di sopra, nella mia camera da letto, se te la senti, vieni su con me e io sarò tua!” Ero stupefatto. Ero congelato dallo stupore mentre la vedevo salire lentamente le scale. Quando raggiunse il piano superiore, si voltò, mi lanciò uno sguardo di sfida a cui non si poteva resistere. Rimasi là per un momento, poi presi la mia decisione: mi voltai e andai dritto alla porta d’ingresso, la aprii e uscii dalla casa andando dritto verso la mia auto. Il mio futuro suocero era là che mi aspettava. Con le lacrime agli occhi, mi abbracciò e mi disse: “Siamo felici che tu abbia superato la nostra piccola prova! Non potevamo sperare in un marito migliore per nostra figlia. Benvenuto nella nostra famiglia!” La morale di questa storia? Conservate sempre i preservativi in macchina.

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quattro chiacchiere con...quattro chiacchiere con...

LA FORTUNA PREMIA SEMPRE IL FIDANZATO PREVIDENTE

ABBIAMO NOTATO:

Io e la mia ragazza eravamo fidanzati da più di un anno, ormai, e finalmente avevamo deciso di sposarci. I genitori ci aiutavano in tutti i modi, gli amici ci incoraggiavano, e la mia ragazza? Beh, lei era un sogno! C’era solo una cosa che mi preoccupava e mi preoccupava molto: sua sorella minore. La mia futura cognata aveva vent’anni, portava minigonne e magliette attillatissime e ad ogni occasione si chinava pericolosamente quando era davanti a me. Lo faceva sicuramente apposta, non capitava mai davanti ad altri. Un giorno mi chiamò e mi chiese di andare da lei a darle una mano. Era sola quando arrivai. Mi sussurrò che io di lì a poco sarei stato sposato, che lei provava per me dei sentimenti e un desiderio al quale non poteva e non voleva resistere. Mi disse che avrebbe voluto far l’amore con me almeno una volta prima che io mi sposassi e legassi la mia vita a sua sorella. Ero totalmente scioccato, non riuscivo a spiccicar parola. Lei disse: “Io sto andando al piano di sopra, nella mia camera da letto, se te la senti, vieni su con me e io sarò tua!” Ero stupefatto. Ero congelato dallo stupore mentre la vedevo salire lentamente le scale. Quando raggiunse il piano superiore, si voltò, mi lanciò uno sguardo di sfida a cui non si poteva resistere. Rimasi là per un momento, poi presi la mia decisione: mi voltai e andai dritto alla porta d’ingresso, la aprii e uscii dalla casa andando dritto verso la mia auto. Il mio futuro suocero era là che mi aspettava. Con le lacrime agli occhi, mi abbracciò e mi disse: “Siamo felici che tu abbia superato la nostra piccola prova! Non potevamo sperare in un marito migliore per nostra figlia. Benvenuto nella nostra famiglia!” La morale di questa storia? Conservate sempre i preservativi in macchina.

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ABBIAMO PENSATO:

Non sempre vince il merito, anzi. Facciamo un caso concreto: in questi giorni campeggia la polemica seguita alla tragedia della Concordia. Quali le cause della tragedia? Si deve solo all’imperizia umana? Si sarebbero potute salvare tutte le vittime? Certamente uno degli elementi che più colpisce è l’imperizia del capitano e la sua telefonata con il responsabile operativo della capitaneria di porto di Livorno che gli intima di tornare sulla nave. Da un lato abbiamo il capitano di una delle più grandi e moderne navi che solcavano il Mediterraneo e dall’altra l’oscuro comandante di una capitaneria di porto non certo tra le principali. Eppure uno balbettava, mentre l’altro cercava di prendere in mano una situazione ormai ampiamente sfuggita di mano. Ci si chiede come sia possibile che una persona così potesse essere in un posto di tale responsabilità, e per di più da ben undici anni. Quali meriti poteva aver avuto per ricoprire quella posizione? E poi cosa può essere successo?

VI PROPONIAMO:

1. La sensazione è che il comandante Schettino simboleggi la dissoluzione del principio di autorità che colpisce le nostre istituzioni. Chi comanda, non sa più comandare, ha perso autorevolezza. Sulla Concordia è saltata tutta la catena di comando, da Genova all’Isola del Giglio. Schettino è l’ultimo responsabile. La delegittimazione di chi ricopre un qualsiasi incarico è continua: il concetto di responsabilità personale è uno dei beni più preziosi che abbiamo perduto, tanto c’è sempre qualcuno che giustifica o discolpa. Le nostre imprese corrono il rischio di vivere anch’esse questo appannamento dei meccanismi di comando, prima di tutto sul piano valoriale e dei comportamenti quotidiani. Che ciò non avvenga è compito e responsabilità individuale di ogni singolo dirigente.

2. Nell’esercito è noto che un buon comandante in tempo di pace non necessariamente si confermerà altrettanto valido sotto il fuoco nemico. Potrà tirar fuori il meglio di sé, ma anche cadere nel panico e non riuscire a rispettare neanche le più semplici procedure, scoprendosi improvvisamente codardo e senza alcun riferimento operativo. Se questo accade, lo si può scoprire solo nel momento della vera azione. Questo è quello che probabilmente è successo al comandante Schettino, responsabile per undici anni “di pace” e scopertosi incapace al “battesimo del fuoco”.

3. Nelle nostre imprese è oggi più che mai importante verificare il livello di “tenuta” del nostro management. E’ proprio nei momenti di crisi che deve emergere il suo valore. A tale riguardo è sempre utile ricordare il cosiddetto “Principio di Peter”: “In una gerarchia ogni membro tende sempre a raggiungere il proprio livello d’incompetenza.” In un’azienda finché un impiegato si dimostra in grado di assolvere il suo compito, questi sarà promosso al livello immediatamente superiore, nel quale dovrà assolvere un

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compito differente. Alla fine del processo, tale impiegato avrà raggiunto il proprio livello d’incompetenza, ovvero la condizione in cui non è in grado di svolgere il compito assegnato e di conseguenza non ha più alcuna possibilità di essere promosso, ponendo fine alla propria carriera nell’organizzazione.

L’incompetenza non dipende dal fatto che la posizione gerarchica elevata è legata a compiti più difficili di quelli che l’impiegato è in grado di svolgere, ma più semplicemente perché i compiti sono di natura diversa da quelli svolti in precedenza e richiedono, di conseguenza, esperienze lavorative che l’impiegato solitamente non possiede. Ad esempio, un operaio tornitore che svolge il suo lavoro in modo eccellente sarà promosso caporeparto, posizione in cui non è più necessaria la bravura a manovrare il tornio ma è indispensabile la capacità di trattare con il personale sottoposto.

4. La situazione oggi è ancora più grave di come la descriveva Laurence Peter trent’anni fa – perché il concetto di “merito” è sempre più confuso. La cosiddetta “guerra dei talenti” nel corso del decennio scorso ha determinato grandi danni, soprattutto nelle grandi imprese, dove molti giovani manager hanno già raggiunto, anzitempo, il proprio livello d’incompetenza costituendo così una sorta di tappo prematuro alla speranza di sviluppo professionale. Ed è purtroppo confermato dai fatti che molte imprese hanno gestito le carriere non sempre con la necessaria attenzione, nella sciocca convinzione che “la crescita comunque avrebbe aggiustato tutto”.

5. Una ricerca dell’università di Catania ha provato scientificamente la validità dell’intuizione di Laurence J. Peter. Fai appena in tempo a ricoprire bene un ruolo che ti spostano a uno gerarchicamente superiore che non sai però ancora ricoprire. Appena lo padroneggi ti trovi immediatamente promosso a una posizione ancora più complessa e così via fino a che non sei cristallizzato in una che non sai ricoprire ma in cui resterai perché non sei più riconosciuto talmente bravo da essere «degno di promozione». Ecco il paradosso: le organizzazioni gerarchiche tendono a premiare i dipendenti fino ad arrivare al loro minimo livello di competenza che corrisponde al loro massimo livello d’incompetenza. Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda, Cesare Garofalo, i ricercatori dell’università di Catania estensori della ricerca, ritengono il sistema meritocratico talmente inefficace che per assurdo sarebbe più proficuo premiare “a caso”. Si tratta ovviamente di una provocazione. In realtà il problema che si pone non è nella validità della meritocrazia ma nella validità dei sistemi di valutazione utilizzati. Sistemi che partono dal presupposto che il migliore futuro capo debba essere l’attuale miglior collaboratore, piuttosto che da un’attenta valutazione delle competenze richieste dalla posizione e possedute, magari anche in latenza, dal candidato. A breve il problema che si porrà alle imprese riguarderà il basso turn over acuito dalla crisi e dall’aumento della vita lavorativa, con capi che restano sulla posizione per troppo tempo e impediscono ai giovani di crescere e all’organizzazione di evolvere.

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6. La crisi recessiva che stiamo vivendo è anche un enorme caso di demeritocrazia. La speculazione finanziaria sta avendo la prevalenza sull’economia reale. Chi ha giocato d’azzardo può trovarsi “promosso” molto di là dalle sue capacità di gestire un’impresa o di produrre risultati in un mercato reale. Il merito non è potere, e spesso il potere non è merito.

Probabilmente tutti noi abbiamo bisogno di focalizzare nuovamente l’attenzione su alcuni principi cardine, come la responsabilità individuale e il merito. Sulle questioni grandi come nella vita di tutti i giorni, dentro e fuori le imprese.

Marcella AccorintiLaura Barettini

Marco Bellinzoni Bernard R. Cantournet

Silvia Castagna Lorenza Di Giovanni

Eduardo Salvia

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Odgers Berndtson è il secondo network europeo nell’Executive Search e tra i primi 6 al mondo in Italia è presente dal 1965. Il brand è legato a case history nazionali e internazionali di altissimo livello per i clienti e i ruoli coinvolti nelle ricerche. Le ricerche coprono tutte le funzioni e tutti i settori con specialisti di area. Negli archivi di Odgers Berndtson sono custoditi più di 80mila curricula e sono circa 150 i progetti realizzati ogni anno. Secondo l’esperienza di Odgers Berndtson sono le persone che fanno la differenza. I servizi sono quindi mirati alla persona, in relazione non solo alle competenze ma soprattutto ai valori. L’offerta comprende oltre alle ricerche, effettuate con metodologie innovative e di provata efficacia, su scala mondiale e locale, anche progetti di supporto al cambiamento. Per il manager: Psicocoaching umano e professionale, Gestione del proprio merito, Comunicare e comunicarsi, Life strategy. Inoltre, BES, Board Efficiency Support, è un cruscotto di consulenza che valuta l’efficacia e l’efficienza delle dinamiche dei Board in Italia e offre formazione ad alta specializzazione per membri di Cda, in particolare alle ‘quote rosa’. Il network ha 50 uffici in 27 Paesi nel mondo, conta circa 660 persone tra le quali 210 Partners, svolge circa 3800 progetti l’anno, con un fatturato di oltre 250 milioni di dollari- con una crescita del + 16% (dati 2010). Eduardo Salvia Eduardo Salvia è managing partner di Odgers Berndtson. Ha più di vent’ anni di esperienza nell’ambito dell’executive search, essendo stato socio di due delle maggiori società internazionali del settore. Ha ricoperto diversi ruoli in IBM Europa Ha lavorato negli Stati Uniti in qualità di Responsabile affari legali, contrattuali e societari in The Boeing Company e come Amministratore Delegato di Delfino of America Inc. Inoltre è stato Amministratore delegato di Società Italiana Manufatti S.p.a. e Giugiaro S.p.a. Si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Napoli e ha un Master in Diritto Americano ed Internazionale (University of Texas at Dallas). Parla fluentemente tre lingue: inglese, francese e spagnolo.