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L’immaginario urbano nell’Italia medievale (secoli v-xv) di Jacques Le Goff Storia dell’arte Einaudi 1

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L’immaginariourbano nell’Italiamedievale (secoli v-xv)

di Jacques Le Goff

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:in Storia d’Italia. Annali, 5. Il paesaggio, a cura diCesare De Seta, Einaudi, Torino 1982

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Indice

Introduzione 4

1. I modelli 17

2. Il sistema dei valori spaziali cristiani e la città 27

3. La cristianizzazione delle città 31

4. La città, la non-città, l’anti-città 35

5. Immagine della città e coscienza cittadina 38

6. La città, immagine e strumento del potere 51

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Introduzione

In questo saggio vorrei cercare di riunire due recen-ti vie di ricerca, per lo piú separate fra loro, e di far con-correre tipi di documenti di rado sfruttati insieme. Dauna parte mi propongo di presentare l’immagine mate-riale delle città italiane nel Medioevo come rivelatrici diuna forma, di una struttura. Ma la forma di una cittàrinvia a modelli ideali, estetici e ideologici. Tre tipi didocumenti consentono principalmente di avvicinare que-sta realtà. Anzitutto l’archeologia, sia l’archeologiamorta, prodotta dagli scavi che restituiscono gli antichimateriali di una città (ma scavare nelle città, dove ilpopolamento, la vita non hanno in generale cessato diesistere negli stessi luoghi, non è facile), sia l’archeolo-gia vivente delle attuali forme urbane, in cui è ancorapossibile intuire e dove talvolta ancora funziona, seppurparzialmente, l’antica struttura. Qui si presenta la docu-mentazione grafica dei secoli passati e la documenta-zione fotografica recente, in particolare quella offertadalla fotografia aerea, rivelatrice di strutture e di masse.A questo primo tipo di documenti – già diversi – vienead aggiungersi la testimonianza iconografica, che richie-de un’interpretazione piú approfondita per il fatto chele opere d’arte non sono mai una mera rappresentazio-ne. In compenso, la loro deformazione della realtà mate-riale rivela l’armatura mentale dell’immagine urbana. Larappresentazione delle città nella pittura, nella scultura,

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nella cartografia è una delle migliori testimonianze del-l’immaginario urbano. Finalmente, i modelli ideali sonoespressi nelle opere teoriche: trattati di urbanistica, diarchitettura, ma anche opere propriamente ideologiche,vale a dire – per il Medioevo europeo – anzitutto la let-teratura religiosa: commenti biblici, sermoni, exempla,trattati teologici e morali in cui compare il tema urba-no. Sono tre tipi di documenti che meglio consentonodi stringere da presso l’immaginario spaziale della città.

D’altra parte vorrei ricorrere anche a documenti incui si esprime la coscienza urbana degli italiani delMedioevo. A questo proposito si offrono tre insiemidocumentari d’importanza diversa. Il primo è uno spe-cifico genere letterario: l’elogio delle città, le «laudescivitatum». Il secondo è formato da testi e temi che riu-niscono racconti, leggende, tradizioni sulle città: ciò chegli uomini del Medioevo chiamavano «mirabilia». Ilmeraviglioso urbano costituisce un capitolo sterminatodell’immaginario urbano, che potrebbe addirittura ridur-si ad esso, se si limitasse il significato di immaginario,come non è nei miei propositi. È di grande interesse,infatti, combinare insieme cultura dotta e cultura popo-lare a proposito della città, al fine di capire il folcloreurbano. Finalmente la coscienza urbana medievale – edè questo l’elemento piú importante – si è espressa in unastoriografia originale, un insieme di cronache cittadine,che rappresentano uno dei campi piú ricchi della sto-riografia medievale, soprattutto in Italia. Questo secon-do insieme documentario permette di afferrare l’imma-ginario temporale della città.

Ma sarà anche il caso di sottolineare che questa sto-ria dell’immaginario urbano, in cui sembrano avere lameglio l’estetica e l’ideologia, è anche, e forse anzitut-to, una storia sociale e politica. Sociale, perché le con-traddizioni e i conflitti che essa rivela, sono soprattut-to quelli della società urbana; nella sua struttura mate-

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riale, nella topografia urbana, come pure nella sua ideo-logia, l’immaginario urbano è modellato dalle tendenzee dagli antagonismi sociali: chierici contro laici, magna-ti contro popolani, popolo minuto contro popolo gras-so. Politica, perché l’immagine urbana è un’espressionee uno strumento del potere. Il patriottismo urbano, cheè stato in buona parte un prodotto di questo immagi-nario, a sua volta, in misura notevole, modellato daquello, ha oscillato cosí fra le immagini di una città divi-sa contro se stessa, aperta a Satana e alle sue coorti dia-boliche, e una città armoniosa, fondata sulla pace, laconcordia, piena di fervore religioso e di rispetto per laChiesa.

Ancor piú delle trasformazioni demografiche, tecno-logiche, culturali, proprio l’evoluzione sociale e politicaha modellato l’immaginario urbano. Vi ritroviamo facil-mente i grandi periodi della storia politica e sociale del-l’Italia medievale: un lungo Alto Medioevo, in cui sonopresenti l’agonia della città antica e la comparsa di formee immagini nuove (secoli v-x); un Medioevo comunale,che vede l’apogeo della coscienza urbana (secoli xi-xiii),e un Basso Medioevo signorile, in cui l’immagine urba-na è al servizio dei nuovi padroni e dove lo splendoremonumentale e urbanistico mira al tempo stesso amascherare la povertà della vita civile e ad esprimere inuovi rapporti sociali e politici.

Ma prima di tracciare sommariamente la storia diquesto immaginario urbano dell’Italia medievale, vorreifare ancora qualche osservazione.

Anzitutto devo dire che ognuna delle direzioni diricerca da me indicate è già stata ampiamente esploratae ha dato luogo a lavori importanti1: in effetti si è mani-festata attraverso di essi, e in misura notevole, il profon-do cambiamento degli studi storici nel nostro tempo.Oltre alla storia vera e propria dell’immaginario – puntoavanzato nella ricerca storica2 – lo studio dell’immagine

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urbana è collegata a un rinnovamento della storia del-l’arte in diverse direzioni: come ricorso, al tempo stes-so, alla struttura e alla storia3, come storia dell’urbani-stica e insieme come studio sociologico, come studioformale, studio culturale, studio del potere sulla strut-tura e sull’immagine urbana4, come iconologia5, comesimbolismo dello spazio6. Nei suoi aspetti storiografici,lo studio dell’immagine urbana si ricollega alla storia deigeneri7, alla storia del meraviglioso8, alla storia della sto-riografia9. È una parte essenziale della memoria urbana.Infine, essa utilizza la socio-topografia storica10 e reca ilproprio contributo alla nuova storia politica, concepitacome antropologia storica del potere11.

L’immaginarlo urbano è dunque quell’insieme di rap-presentazioni di immagini e d’idee, attraverso le qualiuna società urbana – o parte di essa, o i suoi ideologi ei suoi artisti, che non di rado sono la stessa cosa –costruisce per se stessa e per gli altri un autopersonag-gio, un autoritratto12. Ciò che importa, per lo storico, ècapire che questo personaggio ha due facce: una mate-riale, reale, rappresentata dalla struttura e dall’aspettodella città stessa; l’altra mentale, incarnata nelle rap-presentazioni artistiche, letterarie e teoriche della città.L’immaginario urbano consiste insomma nel dialogo fraqueste due realtà, fra la città e la sua immagine.

In secondo luogo è necessario sottolineare l’origina-lità italiana nella storia urbana medievale e nelle condi-zioni sociali, politiche e culturali, che hanno fatto dellacittà italiana medievale un luogo privilegiato dell’im-maginario urbano, proprio perché la varietà dei model-li urbani e delle città esistenti nell’Italia medievale puòridursi, a seconda delle varie epoche, a un tipo predo-minante.

La città medievale – lasciando da parte la città bizan-tina, la città islamica, la città cinese – è un fenomenoeuropeo. Essa presenta un duplice aspetto: l’eredità

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romana e l’esplosione urbana dei secoli xi-xiii, uno deifenomeni fondamentali dell’età medievale. La prima sitraduce nelle strutture e nei monumenti. Le strutturetrasmettono alla città medievale alcuni elementi impor-tanti della maglia urbana, come la forma rettangolare oquadrata del centro urbano, il tracciato delle mura, ilpalinsesto di un piano regolare, dove le vie si congiun-gono ad angolo retto, vestigia dei due grandi assi (decu-manus e cardo) e del loro incrocio. I monumenti forni-scono ricordi, miniere e materiali. Sono i punti di rife-rimento per meditazioni e sogni; recano all’immaginedella città medievale componenti molteplici e contrad-dittorie: immagini di decadenza e di rinascita, di bar-barie e di civiltà, di continuità e di rottura, modelli eantimodelli. Questo retaggio dell’antichità, questa per-manenza topografica ha portato alcuni medievisti a insi-stere sulla continuità che lega la città medievale allacittà antica. A mio giudizio, si è vittime cosí di un’illu-sione, anche per quel che riguarda l’Italia, e sarei ten-tato di dire soprattutto per quel che riguarda l’Italia,dove la città medievale ha affermato la propria novitàprima e piú energicamente che nel resto della cristianità.Questa persistenza di alcune forme e di taluni elemen-ti materiali conta meno, agli occhi dello storico, delcambiamento radicale delle funzioni, del significato,dello spirito. Ora, prima della nascita della nuova cittàmedievale, la città dell’Alto Medioevo è anzitutto nega-zione e distruzione della città antica. Mi limiterò a indi-care sommariamente tre punti fondamentali per l’im-magine della città medievale.

Il primo è la scomparsa, in seguito a distruzione,abbandono o riconversione, di tutti i monumenti, ditutti i centri della vita sociale, politica, artistica dellacittà romana: i templi, il foro, le terme, i teatri, il circo,lo stadio. Con la scomparsa di questi monumenti e diquesti luoghi pubblici viene meno tutta una pratica

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sociale e una cultura, spariscono elementi essenziali del-l’immagine, della coscienza, dell’ideologia cittadina: lecredenze e le cerimonie legate a divinità pagane, la socia-bilità dei luoghi pubblici e degli spazi di riunione, la cul-tura del corpo (per quel che riguarda l’igiene, la ginna-stica e gli sport), lo spettacolo delle maschere, dei com-battimenti fra uomini e animali ecc.13.

Il secondo punto è la sostituzione del disordine, nel-l’occupazione dello spazio urbano, alla regolarità del-l’urbanistica antica, o meglio la sostituzione dell’ordinegeometrico con un nuovo ordine, generatore di irrego-larità nella disposizione dei monumenti legati ad esem-pio alla casualità della localizzazione delle reliquie e deiricordi dei martiri, alla sinuosità delle vie, all’irregola-rità e in generale all’esiguità degli spazi, in seguito allascomparsa di autorità urbane e di organizzazioni civichein grado d’imporre una regola urbanistica. L’immagineurbana medievale non ritroverà, o per meglio dire noncreerà – perché si tratterà, come vedremo, di creazione– la linea retta se non nella verticalità.

Finalmente, la città medievale sarà – in totale con-trasto con la città antica – una città di vivi e di morti.I cadaveri non saranno piú rigettati, in quanto impuri,all’esterno dello spazio urbano, ma – secondo l’esempioe per l’attrazione dei corpi dei martiri14 – verranno inse-diati nel territorio intra muros. Tombe isolate, sepolcricostruiti nelle chiese o cimiteri urbani faranno dellacittà una necropoli al tempo stesso che una città diviventi, e l’immagine urbana avrà un aspetto funerarioche contribuirà a trasformarla profondamente. L’inur-bamento dei morti è un elemento capitale nella rivolu-zione urbana – materiale e mentale – del Medioevo.

La città medievale comincia con il cristianesimo. Maquesto non si limita a distruggere o a sostituire parzial-mente il corpo e l’immagine della città antica: cominciaa modellarla. Anzitutto e soprattutto attraverso la

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costruzione di chiese. La chiesa diventa il monumentourbano per eccellenza e le chiese, nella maggior partedelle città, si può dire monopolizzino l’idea di monu-mento. La struttura monumentale e ideologica urbana,l’ideogramma urbano consistono nella rete delle chiese.Nelle piú importanti città del tempo, immeschinite peril crollo demografico e l’esodo verso le campagne, ilprincipale monumento diventa la cattedrale e la città,centro di potere al tempo stesso che centro religioso – idue fenomeni si confondono – diventa la sede del vesco-vo. Tuttavia la cattedrale finirà con l’avere di rado unafunzione e un’immagine davvero dominanti nella città:altre chiese, altri monumenti religiosi, in particolare iconventi, saranno centri in concorrenza con la catte-drale.

La città medievale sarà policentrica, soprattutto nel-l’Alto Medioevo, prima che nell’età comunale la piazzaimponga un centro alla città, senza peraltro riuscire a farscomparire altri centri tradizionali (quartieri sorti intor-no a chiese parrocchiali) o nuovi centri secondari, crea-ti ai quattro angoli della città intorno ai conventi degliordini mendicanti, sorti nel secolo xiii (predicatori,minori, agostiniani, carmelitani). Alla città medievale ilcristianesimo apporta due tratti essenziali per la suaimmagine. Il primo è la verticalità, inaugurata dai cam-panili che ospitano, a partire dal secolo vii, una grande,creazione cristiana, la campana e la cella campanaria,con cui la Chiesa si assicura il dominio sul tempo e sullospazio: il tempo urbano, fino al secolo xiii in modoesclusivo, poi in misura prevalente, sarà il tempo dellaChiesa, il tempo delle campane. Prima che si innalzinole torri delle case aristocratiche e del palazzo comunale,i campanili domineranno la massa e il profilo delle città:a loro apparterrà la verticalità. Il secondo di questi trat-ti dovuti alla cristianizzazione della città è – in luogo delteatro, dei giochi, delle feste dell’Antichità pagana –

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l’inserimento nella città del cerimoniale cristiano, laliturgia. Certo, la liturgia si dispiega soprattutto all’in-terno delle chiese, e l’immaginario urbano medievalecomporta una parte assai piú grande di interiorità chenon l’immaginario urbano antico. Ma la liturgia cristia-na straripa fuori delle chiese. Le processioni sono ormaiiscritte nel calendario e nella topografia urbana: nuoviitinerari vanno delineandosi nella città, avendo comepunti di partenza e di arrivo le chiese, anziché i templie i monumenti dell’Antichità.

A partire dai secoli x e xi nasce la città propriamen-te medievale, molto diversa dalla città antica. La suaprima funzione non è piú amministrativa o militare, maeconomica: la città è anzitutto luogo di produzione, discambi, di consumi. Una nuova divisione dello spaziourbano viene delineandosi per distinguere i quartieri dilavoro e i quartieri residenziali, le zone di svago e inuovi centri emergenti, i mercati. Questa attività eco-nomica è il prodotto di nuovi cittadini che conquistanoben presto il primo posto nella città: i borghesi. Essis’impadroniscono a poco a poco del potere nella città,che viene da loro rimodellata a immagine della loropotenza economica, sociale, politica: costruzione indi-viduale delle case delle grandi famiglie nobili o borghe-si e soprattutto erezione collettiva dei monumenti comu-nali e di un nuovo centro preponderante, la piazza.

Finalmente la città medievale afferma a poco a pocouna funzione culturale originale: si caratterizza – di làdal suo volto religioso, sempre predominante – con lacreazione di scuole urbane e il fiorire di feste a caratte-re laico. Le scuole – anche nelle città diventate sedi uni-versitarie – non modificano tuttavia, come si potrebbepensare, l’immagine urbana. A lungo, queste universitàe queste scuole non disporranno di edifici propri e anchequando ne costruiranno, essi saranno privi di caratteremonumentale e non concorreranno ad arricchire l’im-

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magine urbana. D’altra parte i conflitti fra universitarie poteri pubblici, come pure la presenza di stranierinelle università piú importanti limitano la parte chequesti centri di istruzione avranno nella formazione ediffusione della coscienza e dell’immagine urbana.

Quanto alle feste, sebbene piú o meno fortementesegnate dall’impronta religiosa, esse colorano l’immagi-ne urbana sia di tinte popolari, folcloriche, con una dosepiú o meno grande di «paganesimo» (carnevale); sia ditoni aristocratici, perché – come ha di recente ricorda-to Philip Jones15 – la cultura borghese, quando non costi-tuisce un mito, imita la cultura nobiliare o trae molto daessa; sia finalmente di caratteri sportivi, in cui non èfacile discernere quanto derivi da sport popolari e quan-to appartenga alla cultura fisica e militare della nobiltà(calcio, quintana, palio ecc.).

All’interno di questo fenomeno urbano, che si pro-duce e crea il proprio immaginario in tutta la cristianitàmedievale, le città italiane affermano la loro originalità.Essa è legata anzitutto dal peso dell’eredità antica. Lapresenza di antichi monumenti è, nelle città italiane delMedioevo, quantitativamente e qualitativamenteimpressionante, quasi ossessionante. La tarda Antichitàvi si prolunga piú che altrove e il peso dell’immagineantica, dopo un semieclissi durante il periodo comuna-le, ricomparirà prima e con maggiore vivacità che altro-ve, proponendo i modelli romani di un Rinascimentoprecoce. Entro questa presenza materiale e ideologicadella città antica, graverà in modo particolarmentepesante una realtà al tempo stesso attuale e retrospetti-va: Roma. Al fascino, piú o meno grande a secondadelle epoche, dell’antica Roma viene ad aggiungersi ilprestigio della Roma papale, sebbene fra la città leoni-na del secolo ix e la metà del Quattrocento, i ponteficinon abbiano lasciato una forte impronta di sé sulla cittàeterna né con una presenza molto frequente, né con un

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contributo di qualche rilievo alla sua immagine. Tutta-via il giubileo del 1300 mostrerà la forza dell’attrazio-ne romana, rinnovata dal cristianesimo e dal papato.

La seconda originalità dell’immaginario urbano ita-liano è legata alla funzione svolta in Italia – dall’età caro-lingia fino alla metà del secolo xiii – dagli imperatori ger-manici. Per la verità, il contributo imperiale all’imma-ginario urbano italiano è soprattutto negativo. Anchenelle città ghibelline, la presenza molto intermittentedell’imperatore e quella dei suoi rappresentanti si èmanifestata in misura molto discreta nei monumenti enell’urbanistica. In generale, l’Impero apporta una notarepressiva: la cittadella che domina e sembra schiaccia-re alcune città, la rocca. Invece l’azione imperiale hasegnato la coscienza e l’immaginario delle città italianein modo negativo, con la traumatizzazione provocatadalla distruzione delle mura, come avvenne a Milano perordine di Barbarossa o a Napoli per volere di Enrico VI.

La terza peculiarità che ha colpito fin dal Medioevogli uomini del Nord europeo, prima di attirare l’atten-zione degli storici moderni, è la presenza massiccia dellanobiltà, mentre altrove questa classe sociale rimane perlo piú lontana dalle città, arroccata nei suoi castelli, alcentro delle signorie rurali. La presenza dei nobili nellecittà italiane del Medioevo vi provoca anzitutto lottesociali, che si riflettono nell’architettura e nell’urbani-stica, imprimendo alla cultura e all’immagine urbanaquel carattere nobiliare sottolineato da Philip Jones,forse con qualche esagerazione polemica per reazionealla falsa immagine di una città italiana dominata da spe-cifici valori borghesi.

Finalmente la piú importante peculiarità italiana èche la città si è impadronita quasi dappertutto di un pro-prio territorio rurale, di estensione maggiore o minore,il contado, e ha conquistato la propria autonomia poli-tica, fondando su queste due conquiste un fenomeno

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originale, la città-stato. Si tratta evidentemente di unapeculiarità essenziale per l’immagine e l’immaginariodelle città italiane del Medioevo. Il rapporto fra città ecampagna è per esse piú importante che altrove; nevedremo il carattere contraddittorio: se la città si aprelargamente sulla campagna e questa penetra profonda-mente nella città, cosí che i due termini sono forte-mente complementari, tuttavia la città nei confronti delcontado e dei suoi abitanti – e merita sottolineare che,in Italia, «contadino» ha finito col designare tutti i«rustici» – ha un atteggiamento di dominio, di disprez-zo e in qualche misura di segregazione. Le mura urbanesono ambigue: da una parte appaiono come una frontierapiena di brecce e di aperture, che lascia passare attra-verso le porte un traffico nei due sensi, tale da creareun’osmosi fra città e campagna e da far sí che l’imma-gine urbana sembri riversarsi fuori dallo spazio pro-priamente urbano, come una specie di Giano bifronte,che guardi all’interno e all’esterno delle mura; d’altraparte queste mura sono una separazione, una chiusura,un rifiuto della rusticità, quasi il disdegno della verti-calità e del monumentale verso le bassure della campa-gna e la povertà delle sue case e delle sue pievi rurali.

Inoltre la città-stato si sente in dovere di tradurre lapropria autonomia e la sua potenza politica in un insie-me di monumenti e in un’urbanistica che conferisconoall’immagine delle città medievali italiane l’aspetto diuna capitale. Ma questa autonomia e la sete di potenza,di allargamento del contado che ne deriva, creano fra lecittà italiane un antagonismo che raggiunge il massimoproprio nell’immagine che ogni città si costruisce e offredi sé alle altre. È un’immagine di propaganda e di sfida,un’affermazione di orgoglio e uno strumento di lotta.Nell’Italia medievale, l’immaginario urbano è animatodal desiderio di prevalere sulle altre città, in particola-re su quella che è la rivale piú aborrita, e insieme sulla

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città che si impone come modello per tutte, Roma16.Spesso la lotta delle città fra loro o contro l’imperatoresi cristallizza intorno a immagini simboliche della città:è il caso del carroccio, la cui cattura in una battaglia èuna preda essenziale: totem e feticcio dell’immaginariourbano, il carroccio incarna la città stessa17.

1 Ad esempio, nella collezione «La città nella storia d’Italia», pub-blicata a partire dal 198o presso Laterza, Cesare De Seta presenta lecittà italiane secondo la loro cartografia, quale è stata disegnata fin dalsecolo xv, unendo immagini materiali e immagini mentali.

2 e. patlagean, Storia dell’immaginario, in La nuova storia, a curadi J. Le Goff, Milano 198o, pp. 289 sgg.

3 Cfr. g. c. argan e m. fagiolo, Premessa all’arte italiana, in Storiad’Italia Einaudi, vol. I, pp. 729-74.

4 e. guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento, Bari 1981.5 Si veda e. sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari 1962,

un commentario di immagini, dove scorgiamo l’influsso della città sulpaesaggio rurale, che dovrebbe ispirare un lavoro analogo sul paesag-gio urbano.

6 e. castelnuovo e c. ginzburg, Centro e periferia, in Storia dell’arteitaliana Einaudi, vol. I, pp. 282-352.

7 Si veda piú avanti, a proposito delle «Laudes civitatum» e dei«Mirabilia».

8 j. le goff, Le merveilleux dans l’Occident médiéval, in L’étrange etle merveilleux dans l’Islam médiéval. (Actes du colloque tenu au Collègede France à Paris en mars 1974), Paris 1978, pp. 61 sgg.

9 Di una sterminata bibliografia possiamo segnalare: La storiografiaaltomedievale, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’Al-to Medioevo, xvii, 1969, Spoleto 1970 (e si veda in particolare m.cagiano de azevedo, Storiografia per immagini, pp. 119-38); o. capi-tani, Motivi e momenti di storiografia medievale italiana, secoli V-XIV, inNuove questioni di storia medievale, Milano 1964, pp. 729-8oo, e più ingenerale b. guenée, Histoire et culture historique dans l’Occident médié-val, Paris 198o.

10 Per esempio, fuori d’Italia, b. geremek, Les marginaux parisiensaux XIVe et XVe siècles, Paris 1976 (cfr. in particolare il cap. iii, La topo-graphie sociale de Paris, pp. 79-110).

11 j. le goff, Is politics still the backbone of history?, in «Daedalus»,1971, pp. 1-19, ripreso in Historical studies today, a cura di F. Gilbert

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e S. Graubard, New York 1972, pp- 337-55-12 Cfr. r. trexler, Public life in Renaissance Florence, New York

198o, in particolare pp. 279-33o, dove si esamina per la Firenze delQuattrocento l’immagine che la città vuol dare di sé agli stranieri, siaattraverso le ambascerie che manda, sia in occasione della visita di ospi-ti illustri.

13 Cfr. g. ville, La gladiature en Occident, Ecole Française de Rome1981.

14 p. brown, The cult of the Saints. Its rise and function in Latin Chri-stianity, Chicago 1981; j. guyon, La vente des tombes à travers l’épi-graphie de la Rome chrétienne, in «Mélanges d’archéologie et d’histoi-re. Antiquité», 1974, n. 86, p. 594; j. ch. picard, Espace urbain et sépul-tures épiscopales à Auxerre, in «Revue d’histoire de l’Eglise de France»,1976, n. 62, p. 220; id., Etude sur l’emplacement des tombes des papesdu IIIe au Xe siècle, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 1969, n.81, pp. 735-82.

15 p. jones, Economia e società nell’Italia medievale, Torino 198o, inparticolare pp. 3-189.

16 A proposito di confronti e rivalità reale e simbolica fra due città,ecco ad esempio ciò che il milanese bonvesin da la riva, De magnali-bus Mediolani, VIII, 3 (edizione a cura di M. Corti, trad. di G. Pontig-gia, Milano 1974, pp. 178-79), dice di Ravenna: «In che cosa puòRavenna paragonarsi a Milano? A chi mi volesse dare, posto che ciò fossepossibile, tutta Ravenna con la sua diocesi, non darci in cambio nean-che il clima di Milano e la preziosa abbondanza delle sue fonti vive».Quanto a Roma, nei cui confronti Bonvesin ostenta grande reverenza,nondimeno non nasconde – «se mi fosse lecito dire quello che mi pia-cerebbe senza essere accusato di presunzione» – che gli «sembrerebbedegno e giusto che la sede del papato e le altre dignità fossero trasferi-te tutte qui [a Milano] da lei [Roma]» (pp. 188-89). La pretesa alla supe-riorità di una città su un’altra può dar luogo anche a scritti come quel-lo del notaio bolognese della seconda metà del Quattrocento, benedet-to morandi, De praestantia urbis Bononiae supra civitatem Senarum,appunto per rivendicare la superiorità di Bologna su Siena.

17 Ecco in bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., p.157, la descrizione del carroccio milanese: «Un carro che offre agliocchi di tutti gli uomini uno spettacolo meraviglioso, il cosiddetto car-roccio, coperto da ogni parte di scarlatto e splendidamente adorno, trai-nato da tre paia di buoi di straordinaria grandezza e forza, splendida-mente rivestiti di panni candidi segnati con una croce rossa». Nel1248 il carroccio dei cremonesi, alleati di Federico II contro Parma, ècatturato dai milanesi e dato come trofeo di guerra alla città di Parma(ibid., p. 139).

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Capitolo primo

I modelli.

L’immagine delle città italiane medievali è spessolegata, esplicitamente o implicitamente, a modelli realio immaginari, estetici e ideologici, storici o escatologi-ci, il cui valore ispira o suggerisce taluni elementi insie-me materiali e simbolici della città.

Come avviene anche in altri campi dell’immaginario,in quello urbano due eredità appaiono essenziali: quel-la biblica, che trasmette forme e idee dell’ebraismo edell’Oriente, e quella romana, evidentemente piú pre-sente in Italia che in altre regioni dell’Occidente medie-vale. Vi è nella Bibbia un tema urbano fondamentale eambivalente: in effetti la città comincia male nella sto-ria biblica dell’umanità. L’opposizione fra nomadi esedentari, fra popolo delle tende e popolo delle cittàattraversa il Vecchio Testamento, a lungo dominato daun’immagine negativa della città: la prima città è fon-data da Caino (Genesi, 4.17), Poi vengono le città male-dette di Babele (Genesi, 11.1- 9), di Sodoma e diGomorra (Genesi, 13.13; 18.20; 19.1-25); Gerico devela sua notorietà a un episodio decisamente antiurbano:la distruzione miracolosa delle sue mura (Giosuè, 2.7),archetipo di tanti episodi crudeli per le città italiane delMedioevo1. Il tema urbano acquisisce valore positivo eattrazione nella Bibbia solo con l’emergere di Gerusa-lemme2, la città di Davide e di Salomone, divenuta ilcentro del potere e della religione, con il Palazzo e il

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Tempio, modelli essenziali della città medievale. Macontro Gerusalemme si leva ben presto un’anti-città,Babilonia, e l’immagine della città medievale è destina-ta a oscillare fra due poli: la città di Dio e la città dellaBestia dell’Apocalisse, spingendo al massimo l’opposi-zione fra i due modelli urbani. Al tempo stesso, almenoper quel che riguarda Gerusalemme, l’Apocalisse offu-sca l’immagine della Gerusalemme terrestre con quelladella Gerusalemme celeste, che diventa il modello esca-tologico ideale della città. Agostino, con l’ideologia delledue città, rafforza l’attrattiva della città di Dio, dellaGerusalemme celeste, senza cancellare però la città ter-restre, dallo statuto ambiguo, in quanto città transito-ria, da un lato caricatura della città divina, dall’altrocittà dell’uomo fatta – come l’uomo a immagine di Dio– a immagine della città celeste. Il monastero, che s’im-pone come immagine urbana, viene identificato fin dal-l’Alto Medioevo con la Gerusalemme celeste incarnata,e molti cristiani ai tempi delle crociate esitano fra laGerusalemme storica e carnale dell’Oriente e le Geru-salemme ideali dell’Occidente cristiano.

L’Apocalisse di san Giovanni ha offerto all’immagi-nario urbano medievale alcuni tratti essenziali, fornen-do una descrizione della Gerusalemme celeste:

Aveva un muro grande e alto, aveva dodici porte, e alleporte dodici angeli, e sulle porte erano scritti dei nomi, chesono quelli delle dodici tribú dei figliuoli d’Israele. A Orien-te c’erano tre porte, a Settentrione tre porte, a Mezzo-giorno tre porte, a Occidente tre porte. E il muro della cittàaveva dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomidei dodici apostoli dell’Agnello. E colui che parlava mecoaveva una misura, una canna d’oro, per misurare la città,le sue porte, il suo muro. E la città era quadrangolare, e lasua lunghezza era uguale alla larghezza3.

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E dopo la descrizione delle mura, della città e delleporte, fatte di pietre preziose, d’oro e di perle, si dice:

Le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (e lanotte non vi sarà piú), e in lei si porteranno i tesori e la glo-ria delle nazioni. E niente d’immondo e nessuno che com-metta abominazione o falsità vi entreranno, ma quelli sol-tanto che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello4.

Così, gli elementi essenziali della città ideale sono lemura, le porte, la piazza, mentre la pianta quadrata (orettangolare) della città vedrà ben presto la concorren-za della pianta circolare, secondo l’idea orientale dellaperfezione. Come è stato giustamente osservato, «l’im-magine di Gerusalemme, proiezione in terra della Geru-salemme celeste, è destinata a diventare, come quella delsuo prototipo ideale, un cerchio perfetto, talvolta addi-rittura un insieme di cerchi concentrici. Tutto il sim-bolismo medievale ha teso alla glorificazione del cer-chio»5. Troviamo ad esempio questo ideale circolare nel-l’immagine che dà di Milano, alla fine del Duecento,Bonvesin da la Riva, nella sua celebre descrizione cele-brativa:

Questa stessa città ha forma circolare, a modo di un cer-chio; tale mirabile rotondità è il segno della sua perfezione6.

Le dodici porte si ritrovano in due modi nell’urbani-stica reale e immaginaria delle città italiane medievali:il tema apocalittico si unisce al tema del cerchio divisonelle «duedecim horae diei», quali appaiono sul map-pamondo dell’Anonimo Ravennate (inizi del secolo viii).A Ravenna, nel 709, «la città viene suddivisa per ragio-ni militari in undici parti..., piú una dodicesima, domi-nata dalla chiesa; la divisione in dodici è testimoniata tral’altro a Bologna e a Genova..., a Spoleto..., a Roma a

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partire dall’xi secolo...; qui sembra accertata la deriva-zione delle dodici scholae (corpi militari) del periodobizantino»7. Seppure con prudenza, mi sembra legitti-mo avanzare l’ipotesi che il prototipo apocalittico –forse inconsapevolmente – abbia pesato su questa par-tizione dello spazio urbano.

L’altro fenomeno legato alle dodici porte della Geru-salemme celeste è l’idea della guardia alle porte dellacittà affidata ai santi protettori – elemento essenziale,come vedremo, dell’immaginario urbano – che svolgo-no la parte degli angeli nell’Apocalisse. A Milano comea Verona – secondo il Versum de Mediolano civitate (seco-lo viii) e il Versus de Verona (fra il 796 e l’8o6) – i corpidei santi della città sono evocati in connessione con iquattro punti cardinali e a Milano, dove compaiono ungruppo di sei martiri e uno di sei vescovi confessori, lalocalizzazione delle reliquie è indicata secondo i punticardinali e in prossimità delle mura. Così, i tre martiriil cui culto è piú antico, Vittore, Nabore e Felice, sonoinumati a ovest della città8.

Vi è finalmente la funzione delle porte, su cui sarànecessario tornare. La porta deve permettere la supe-riorità dell’interno sull’esterno. La città medievale deveaprirsi di giorno a ciò che l’arricchisce, ma lasciar fuorigli elementi malvagi, e chiudersi di notte al mondo delletenebre esterne. Invece la città ideale, che riceve i teso-ri esterni attraverso le sue porte, lascia queste aperte lanotte, perché il mondo del male è abolito. Sulla città cheattira le ricchezze esterne, vicine e lontane, Bonvesin dala Riva porta ancora la sua testimonianza, descrivendola sua Milano per metà reale, per metà immaginaria:

Qui in abbondanza i mercanti importano da diversipaesi lane, lino, seta, cotone e panni preziosi di ogni gene-re, e inoltre sale, pepe e altre spezie d’oltremare9.

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Spazio di consumo e di attrazione di beni esterni, lacittà dev’essere anche uno spazio puro, capace di tene-re a distanza il male. In attesa della fine dei tempi,quando non avrà che da ricevere, da ammassare, senzadoversi piú difendere, la città è intanto anche uno spa-zio di esclusione. Tanto piú che il male è sempre pron-to ad assalirla. Gerusalemme può, se non diventare Babi-lonia, assumere almeno un volto babilonico. Il NuovoTestamento rivela questo duplice volto di Gerusalemme,la città che prima accoglie Gesú, poi lo respinge e lomette a morte: città benedetta, città maledetta. La cittàmaledetta è Babilonia. Riapriamo l’Apocalisse:

È caduta, è caduta Babilonia la Grande, è divenutaalbergo di demoni, ricetto di ogni spirito immondo e di ogniuccello impuro e abominevole (18.2).

La città maledetta, ricetto di demoni, è l’immaginebabilonica della città, che la pittura italiana medievaleha cosí spesso rappresentato: si pensi soltanto al dipin-to di Giotto ad Assisi in cui si vede san Francesco scac-ciare i diavoli da Arezzo. Questa immagine babilonicadella città, eretici e contestatori dell’Occidente medie-vale sono soliti attribuirla anzitutto alla Chiesa, o meglioa Roma, sede dei papi e della curia. Per Gioacchino daFiore, fra l’ultimo scorcio del secolo xii e gli inizi delxiii, se Gerusalemme rimane l’immagine della Chiesaquale dovrebbe essere, Roma con cui la Chiesa «reale»si confonde, ha per simbolo Babilonia. Nelle concor-danze del Liber Figurarum la coppia Babilonia-Roma èindissociabile10. E l’Anticristo è già nato a Roma.

Nel secolo xii, Riccardo di San Vittore, pur senzasfruttare il tema, aveva evocato in Babilonia, «la gran-de prostituta», una città dai sette colli, facilmente iden-tificabile con Roma11. Per parte sua, il francescano spi-rituale di Provenza Pietro di Giovanni Olivi, nella sua

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Lectura super Apocalipsim, scritta alla fine del secoloxiii, prevede che alla fine dei tempi non piú Roma, dive-nuta sede dell’Anticristo, sarà, dopo la sconfitta di que-sto, sede di Cristo e della sua Chiesa, restaurata e rin-novata, ma Gerusalemme (o un altro luogo)12.

Può invece stupire che in un’atmosfera come quelladell’Italia medievale, dove l’immagine della città è ingenerale fortemente valorizzata, il Paradiso terrestrenon sia stato un punto di riferimento molto frequente.Senza dubbio – e qui possiamo scorgere il ruolo del-l’immagine e dell’immaginario – il Paradiso della Gene-si è un giardino poco adatto per un modello urbano. Tut-tavia, nel Medioevo, assistiamo all’urbanizzazione del-l’immagine del Paradiso, spesso visto come una città cir-condata da mura fulgenti, si tratti del Paradiso terrestreo del Paradiso celeste, come appare nella letteraturadelle visioni d’oltretomba. In effetti il Paradiso terrestretrasmette soprattutto all’immaginario urbano, con i suoiquattro fiumi, l’idea dell’abbondanza di acque, condi-zione ideale per la città del Medioevo. Non a caso Bon-vesin da la Riva decanta Milano come città di «limpidefonti e fiumi fecondatori», ed è uno dei rari scrittori cheattribuisca a Milano l’immagine paradisiaca:

Chi osserverà attentamente e diligentemente con i suoiocchi tutte queste cose, non troverà mai, anche girando ilmondo intero, un simile paradiso di delizie13.

Quando nel 1256 il comune di Bologna prende lacelebre decisione di affrancare tutti i servi viventi nelsuo contado – una decisione da cui non sono assenti pre-cisi motivi d’interesse, in quanto può procurare mano-dopera a buon mercato – fa subito riferimento al Para-diso terrestre e alla libertà originale che vi regnava,come se Bologna si sforzasse di ricreare quel Paradiso dilibertà. E il registro in cui quel documento fu trascrit-

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to ricevette il nome di Liber Paradisus. Ma ancora allafine del periodo che noi chiamiamo Medioevo, il tede-sco Thomas Münzer, visitando l’Italia fra il 1485 e il1495, è affascinato dalle «città adorne, vere immaginidel paradiso».

Così, soprattutto al richiamo biblico, e in particolareal Nuovo Testamento – anche se indubbiamente il colledi Sion deve avere svolto un ruolo importante – un certotipo di forma urbana, la città su alture, deve il suo pre-stigio ideologico: «la città situata su una montagna nonpuò essere nascosta». Questa immagine in nessun paeseè piú forte che in Italia. Il rilievo, le condizioni topogra-fiche, sociali e politiche dell’incastellamento, fra il seco-lo x e il xii, cosí bene descritte da Toubert, hanno mol-tiplicato, fino al livello del borgo e del villaggio, le incar-nazioni di questa immagine urbana. Tanto che possiamoavvertire un certo disagio in Bonvesin da la Riva quan-do, per fare di Milano la migliore di tutte le città, devefare l’elogio un po’ imbarazzato della città di pianura.

Per metà immaginari, per metà reali, i modelli anti-chi sono un retaggio ben consistente nel Medioevo. Laparte piú concreta è la forma stessa della città romana,rimasta a lungo il nucleo cittadino, e i monumenti che,pur cambiando funzione, avevano tramandato la lorostruttura alla città. Cosí a Milano, il re longobardo Ada-loaldo, nel 615, viene incoronato nell’anfiteatro. ALucca, l’anfiteatro diventa la celebre Piazza del Merca-to, conservando la tipica forma ovale. Quando poi la cat-tedrale è eccentrica rispetto alla città comunale, questarestaura spesso l’antico foro: ciò avviene a Milano, aVercelli, a Verona, a Mantova, a Padova, a Treviso, aVicenza, a Piacenza, a Parma, a Bologna, a Ravenna, aFirenze, a Pisa, a Lucca, ad Arezzo, a Siena, a Orvieto,ad Assisi e a Narni14.

Il caso di Roma è evidentemente particolare. Sulpiano materiale, la rovina di Roma, conseguenza della

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caduta dell’Impero, comincia fin dal secolo iv, se nel 376un editto di Valentiniano e Valente cerca di porre ripa-ro al saccheggio dei monumenti antichi. Un altro edit-to del 457 cercherà di impedire la demolizione degliantichi edifici. Ma il ricordo dell’antica Roma, cui vienea sommarsi la nuova immagine di centro della Chiesa edel papato, mantiene lungo tutto il Medioevo il presti-gio dell’urbe. Già nel secolo viii un inno attribuito aPaolino d’Aquileia, esalta la «Roma felix» che «superaper bellezza tutta la bellezza del mondo». E a partire dalsecolo x i pellegrini diretti a Roma cantano:

O Roma nobilis, orbis et domina,cunctarum urbium excellentissima15.

Un esempio, in particolare, è interessante: quello delColosseo. Se un certo numero di templi venne trasfor-mato in chiese (come il Pantheon, divenuto la Rotonda,Santa Maria dei Martiri), il Colosseo, assunto a simbo-lo della rovina di Roma, come già dice nel secolo viiiBeda il Venerabile, divenuto leggendario, associato amiti magici, attraversò il Medioevo senza cristianizza-zione, quasi a segnare la continuità della «coscienza cit-tadina dei romani»16.

Roma divenne soprattutto un modello per molte cittàmedievali, in Italia e fuori d’Italia. Padova, Firenze,Pisa, Milano si presentano come un’«altra Roma», una«seconda Roma». Nel Quattrocento e nel Cinquecentola Firenze del Rinascimento apparirà nei sogni degliscrittori e dei poeti – da Francesco Albertini all’Ariostodel Capitolo XI, in lode di Firenze, del 1516 circa –come una nuova Roma, «Firenze come Roma»17. Quan-do alla fine del secolo xiii Cimabue rappresenta in unavela della Basilica Superiore di Assisi l’Ytalia, la raffi-gura con un’immagine di Roma, in cui si mescolanomonumenti antichi e medievali, che sono spesso – come

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la Rotonda e Castel Sant’Angelo – una rielaborazione diantichi edifici18.

Sul piano ideologico, ciò che l’Antichità tramandaalla città medievale è la distinzione e il gioco fra urbs ecivitas, fra la città concreta, costruita dagli uomini, e lacivitas costituita dagli uomini stessi, secondo la defini-zione di sant’Agostino: «civitas in civibus est»19. Latendenza segreta dei cristiani e in particolare degli ita-liani del Medioevo è di far coincidere la città materia-le, l’urbs, con la civitas ideale in una nuova immagineurbana.

1 Un esempio italiano fra molti altri: la rappresentazione di Geri-co, con le sue mura, le sue torri, la sua massa urbana, nella porta dibronzo del Ghiberti, nel Battistero di Firenze.

2 s. mahl, Jerusalem in mittelalterlicher Sicht, in Die Welt als Geschi-chte, t. XXII, 1962, pp. 11-26; a. breuero, Jerusalem dans l’Occidentmédiéval, in Mélange R. Crozet, Potiers 1966, t. I, pp. 259-71; j. legoff, Guerriers et bourgeois conquérants. L’image de la ville dans la litté-rature française du XIIe siècle, in Culture, science et développement. Mélan-ges Charles Morazé, Toulouse 1979, pp. 127-30. «Gerusalemme è il sim-bolo privilegiato» della simbolistica medievale, ha osservato h. delubac, Les quatre sens de l’Ecriture, in «Exegèse Médiévale», ii, Paris1959, n. 1, pp. 645-48.

3 Apocalisse, 21.10-27. Enrico Guidoni (La città europea. Formazionee significato dal IV all’XI secolo, Milano 1978, p. 29) pensa che «ancheper la sua irrealizzabilità la città ideale cristiana, la “Gerusalemme cele-ste” tenderà a identificarsi, per tutti i secoli della crisi urbanistica, piúcon il singolo edifizio religioso (basilica, cattedrale, abbazia) che conun insieme urbano. È questa una via suggestiva da seguire per indaga-re le interrelazioni tra progettazione architettonica e modello prototi-pico celeste, ma riguarda la storia dell’architettura». Per parte mia vor-rei studiare un immaginario urbano, incarnato o no in realtà urbani-stiche.

4 Fra le numerose rappresentazioni artistiche della Gerusalemmeceleste, i fedeli potevano vedere a Roma quella del mosaico nell’arcotrionfale di Santa Maria Maggiore.

5 p. lavedan, Représentation des villes dans l’art du Moyen Age, Paris1954, p. 12.

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6 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., pp. 40-41.7 guidoni, La città europea cit., pp. 93-94.8 j. c. picard, Conscience urbaine et culte des saints. De Milan sous

Liutprand à Vérone sous Pépin Ier d’Italie, in Hagiographie et sociétés (Col-loque de Nanterre), a cura di E. Patlagean e P. Riché, Paris 198r, pp.455-69.

9 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., p. 101.10 m. reeves, The influence of prophecy in the later Middle Ages. A

study of Joachinianism, Oxford 1969, p. 9.11 r. manselli, La «Lectura super Apocalipsim» di Pietro di Giovan-

ni Olivi. Ricerche sull’escatologismo medievale, Roma 1955, p. 79.12 Ibid., p. 229.13 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., p. 47.14 Cfr. e. guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., pp.

75-76, e la bibliografia.15 Cfr. j. le goff, L’Italia fuori d’Italia. L’Italia nello specchio del

Medioevo, in Storia d’Italia Einaudi, vol. II, pp. 1957-58. Della biblio-grafia indicata ivi, si veda in particolare, proprio nella prospettiva diuna storia dell’immaginario, il classico libro di a. graf, Roma nellamemoria e nell’immaginazione del Medio Evo, Torino 1915.

16 a. prandi, Roma medievale: urbs, civitas, cives, in La coscienza cit-tadina cit., pp. 239-40 e 262; a m. di maco, Il Colosseo, Roma 1971.

17 l. zorzi, Figurazione pittorica e figurazione teatrale, in Storia del-l’arte italiana Einaudi, vol. I, pp. 445-46.

18 Ibid., pp. 441-43.19 Sermo de Urbis excidio, enchiridion, 6.6. Cfr. prandi, Roma medie-

vale cit., pp. 239-40, e id., Roma nell’Alto Medioevo, Torino 1968. Isi-doro di Siviglia (Etymologiae, xv, 2.1) riprende la definizione: «Namurbs ipsa moenia sunt, civitas autem non saxa, sed habitatores vocan-tur».

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Capitolo secondo

Il sistema dei valori spaziali cristiani e la città.

La città s’inserisce in uno spazio: in ogni società, inogni cultura, questo spazio è orientato, caricato di valo-ri ideali, che s’impongono alle forme, ai volumi, alledirezioni. Nel sistema cristiano, due opposizioni domi-nano questo inserimento nello spazio: alto e basso, inter-no ed esterno. I valori sono in alto, in cielo, e nel cen-tro, nel cuore. La salvezza dell’uomo avviene elevando-si e interiorizzandosi. Lo stesso dev’essere per l’esserecollettivo che è la città. «È la preminenza di due monu-menti che materializzano il gioco dei poteri dominanti:il Tempio e il Palazzo, la Chiesa e il Castello. È il pre-dominio di due movimenti essenziali: quello che alzaverso il cielo mura, torri e monumenti, quello che instau-ra attraverso la porta l’andirivieni fra la cultura interio-rizzata e la natura esterna, fra il mondo della produzio-ne rurale e quello del consumo, della fabbricazione dioggetti e dello scambio di beni, fra il rifugio e la par-tenza verso l’avventura o la solitudine. Dimora ideale diuna società dove l’organizzazione dello spazio e dei valo-ri, piú che fra la destra e la sinistra dell’Antichità, sicompie fra l’alto e il basso, l’interno e l’esterno, privi-legiando la verticalità e l’interiorizzazione»1.

Due elementi consentiranno all’ideologia della verti-calità di dominare l’immagine urbana: l’invenzione e ladiffusione delle campane, a partire dal secolo vii, che farizzare nelle città italiane i campanili, e l’inurbamento

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della nobiltà, che costruisce le sue torri entro la cerchiadelle mura. Molto presto viene rilevata l’importanzadelle torri nell’immagine urbana: già nel Versum deMediolano, scritto fra il 789 e l’810, le quarantotto torrimilanesi, e soprattutto le otto che superano le mura,sono citate come una delle maggiori bellezze della città:

Quaranta et octo turres fulget per circuitum,ex quibus octo sunt excelse qui eminent ornnibus2.

Si tenga presente che la torre urbana è una casa, lacasa-torre, la cui funzione militare è destinata a farsi sem-pre minore a vantaggio della funzione residenziale eostentatoria. La casa-torre è un vero e proprio grattacie-lo, e anche Bonvesin da la Riva osserva che torri e cam-panili sono uno dei maggiori ornamenti di Milano: «Incittà i campanili, costruiti alla maniera delle torri, sonocirca centoventi e piú di duecento le campane». È unaverticalità che non solo consente di dare slancio verso l’al-to all’immagine della città, ma offre anche un punto diosservazione da dove la città può essere ammirata:

Se infine qualcuno avesse piacere di vedere la formadella città e la qualità e quantità dei suoi palazzi e di tuttigli altri edifici, salga con grato animo in cima alla torredella corte comunale: di lassú, dovunque volgerà lo sguar-do, potrà ammirare cose meravigliose3.

Quando si pensa alle città turrite dell’Italia medieva-le, vengono subito in mente San Gimignano, Siena,Pavia, Bologna: ma come dimenticare che Roma fu, piúdi ogni altra forse, una città di campanili (Santa Prasse-de, Sant’Eustachio, San Silvestro in Capite, Santa Mariain Cosmedin, Santi Giovanni e Paolo, Santa Maria Mag-giore, che formano «un progressivo e via via piú arditocammino verso forme aeree e snelle»4) e di torri5?

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Il capolavoro della torre campanaria è certamente ilcampanile di Giotto a Firenze. Ma Opicino de Cane-stris, nella prima metà del Trecento, ricorda che Paviamerita la sua fama «a motivo non solo del gran numerodi alte torri, ma per l’elevatezza dei palazzi e delle chie-se»6. Tutta la città si leva verso il cielo in uno slancio difede o per orgoglio.

Sulla dialettica fra interno ed esterno si fonda d’al-tra parte l’elemento simbolico per eccellenza della cittàmedievale: le mura, con le loro aperture per consentireil passaggio, ossia le porte. Per capire il significato diquesto elemento è sufficiente guardare ciò che oggi restadelle antiche cerchie di mura o meglio ancora le operedella pittura medievale. Le mura delimitano la frontie-ra fra storia e natura, fra cultura e natura, caricandol’immagine urbana di particolari valori storici e culturali:«al di là delle mura non c’è storia, ma natura»7. Esseoffrono uno dei principali criteri per definire una gerar-chia urbana, consentendo di attribuire una immaginecittadina anche ai centri minori8. La costruzione dellemura è stato «l’impegno piú continuo dei comuni». Inuna città come Volterra, uno statuto del 1210-22, Demuro faciendo, fa obbligo al comune di «costruire ognianno un tratto di mura»9. Per contro, la distruzionedelle mura costituisce uno dei maggiori traumi per lecittà: Bologna, Napoli, Milano, che vedono le loro muracadere per ordine degli imperatori svevi, Federico Bar-barossa, Enrico VI, Federico II, non dimenticherannomai l’onta subita10.

1 j. le goff, Guerriers et bourgeois conquérants. L’image de la ville,in Mélanges Morazé cit., pp. 129-30. Alla dialettica fra interno ed ester-no viene a sommarsi quella fra centro e periferia: cfr. e. castelnuovoe c. ginzburg, Centro e periferia cit.

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2 g. fasoli, La coscienza civica nelle «Laudes civitatum», in Lacoscienza cittadina cit., p. 22.

3 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., pp. 42-434 prandi, Roma medievale cit., p. 257.5 e. amadei, Le torri di Roma, Roma 1932.6 De laudibus civitatis ticinensis, a cura di F. Gianani, Pavia 1927,

p. 134, cit. in guidoni, La città del Medioevo cit., p. 179.7 Cfr. g. c. argan e m. fagiolo, Premessa all’arte italiana cit., p. 737.8 e. guidoni, Introduzione a I centri minori, in Storia dell’arte italia-

na Einaudi, vol. VIII, p. 12.9 id., La città del Medioevo cit., pp. 87-88.10 a. i. pini, Origine e testimonianze del sentimento civico bolognese,

in La coscienza cittadina cit., p. 153.

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Capitolo terzo

La cristianizzazione delle città.

Il cristianesimo ha dato una forte caratterizzazionealle città italiane. Basti ricordare due tratti essenziali: lacostruzione delle chiese e la funzione attribuita ai santipatroni.

Ancor piú dei templi nelle città greco-romane, lechiese diventano i monumenti dominanti delle cittàmedievali, per il loro numero, per i loro valori architet-tonici e morali, per l’articolarsi del loro sistema (catte-drali, chiese parrocchiali, chiese conventuali). Le cittàmedievali si possono ridurre, in un certo tipo di ideo-gramma urbano, a una costellazione di chiese. Ancoraverso il 1471 Piero del Massaio rappresenta Firenzeessenzialmente come una collezione di chiese. E Bon-vesin da la Riva poneva fra le prime meraviglie di Mila-no «le chiese, degne di tale e tanta città», rilevando cheesse erano, «soltanto entro le mura, circa duecento, conquattrocentottanta altari»1.

Non sempre la cattedrale – vi si è già accennato – haavuto una funzione centrale nell’immagine topograficadella città a causa della sua dislocazione talvolta eccen-trica; tuttavia, nelle città episcopali è stata generalmen-te il primo monumento, il principale tesoro cittadino.Come ha sottolineato per Firenze Raffaello Morghen,«in Santa Reparata ebbero luogo i fatti piú importanti,le cerimonie più solenni, le adunanze di popolo piú

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impegnative della Firenze del Medioevo. Santa Repara-ta fu uno dei centri della riforma gregoriana dell’xi seco-lo e la sede della ricostituita vita canonicale in Firenze.In essa si tennero concili famosi, si firmarono trattati,nel pronao della chiesa si amministrava la giustizia, legrandi famiglie si disputavano l’onore di avere i propristemmi e la sepoltura nella veneranda cattedrale»2.

A partire dalla fine del secolo iv cominciò a esserevenerato nella maggior parte delle città un santo patro-no cittadino: «legato alla comunità-cliente da un vinco-lo particolare, egli appartiene alla sfera dei rapporti civi-li piú che non a quella della vita religiosa; è quasi sem-pre un martire, cui è patria il luogo dove ha versato ilproprio sangue [o dove sono custodite le sue reliquie],o un vescovo, che le sue genti ha governate e protettedurante la vita terrena; l’intervento del santo soccorreanzitutto alle necessità pubbliche delle civitas»3. E anco-ra: «una città si forma un gruppo di santi protettori inca-ricati di difenderla dalla fame, dalla malattia, dalla guer-ra, e al tempo stesso di assicurarle un certo posto nellagerarchia delle città»4.

Sembra che quando a Milano si rinvennero i corpi deisanti Gervasio e Protasio, nel 386, per la prima volta sisia posta sotto la particolare protezione dei santi marti-ri patroni un’intera comunità cittadina5. NaturalmenteRoma diventò molto presto, in modo privilegiato, lacittà dei santi Pietro e Paolo. Nella seconda metà delsecolo v la Passio Agathae, patrona di Catania, attri-buisce alla vergine martire il salvataggio della città daun’eruzione dell’Etna. Il santo patrono diventa l’em-blema della città ed è raffigurato sulle sue bandiere esulle monete: san Giovanni sul fiorino, san Marco sulducato. La sua festa è la piú importante festa cittadina.A Milano il culto del santo patrono è tale che la città èspesso definita «ambrosiana» e «ambrosiani» i suoi abi-tanti. Già nel Versum de Mediolano (739-40), Milano è

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lodata per i suoi santi protettori6. Per parte sua Bonve-sin da la Riva attribuisce alla protezione dei corpi santiquanto all’amore per la libertà dei milanesi il fatto chela città sia sfuggita al dominio di tiranni. La piú terri-bile sciagura che ha conosciuto Milano è avvenuta quan-do Federico Barbarossa, dopo aver fatto abbattere lemura, ha sottratto alla città le reliquie dei Re Magi, tra-sportate a Colonia7. Il destino di Venezia appare piúcerto dopo che in seguito alla traslazione da Alessandriadel corpo di san Marco (nell’828 secondo la tradizione,in realtà, piú probabilmente alla fine del secolo x) essadiventa la città dell’evangelista dal leone alato8.

A Bologna, il culto di san Petronio prende svilupposolo nel 1141 con il nuovo ritrovamento delle reliquiedel santo nel convento di Santo Stefano, ma non siafferma definitivamente prima dell’ultimo scorcio delsecolo xiii. Ma una vita del santo gli attribuisce addi-rittura la ricostruzione della città, distrutta da Teodo-sio I: «començò a fare le gliexie, spedali, turri e palaxie caxe»9. Nel suo bel saggio sul culto di sant’Ercolano aPerugia, Anna I. Galletti scrive: «Nel processo di for-mazione della cosiddetta “coscienza cittadina” delcomune medievale italiano si conviene ormai di ritene-re fondamentale l’elaborazione di un’immagine para-digmatica della città, che ne raccolga gli aspetti piú glo-riosi e rappresentativi, e serva come punto di riferi-mento culturale per tutti coloro che della realtà comu-nale sono in qualche modo partecipi. Un’immagine che,fissata in modelli rappresentativi piú o meno stereoti-pati, riesce talora ad imporsi con tale autorità che, anchedopo secoli, continua a dare della cultura e della men-talità cittadina un’impressione totalizzante ed onni-comprensiva»10. Nel «patrimonio simbolico elaboratodal comune perugino» sant’Eustachio e i suoi attributi,il grifo e le lasche, hanno avuto una funzione di primopiano.

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Finalmente bisogna tener presente che a partire dallafine del Duecento la Vergine assicura meglio di qualsia-si santo la protezione degli individui e delle collettività:di qui l’aspirazione a porsi sotto la sua particolare pro-tezione. Siena vi riesce e diventa la «civitas Virginis».Milano si sforza, come testimonia Bonvesin:

Ed è mirabile come e quanto questa città veneri la ver-gine Maria. Solo al suo culto infatti sono principalmentededicate in città trentasei chiese e nel contado sicuramen-te piú di duecentoquaranta11.

1 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., pp. 42-43.2 r. morghen, Vita religiosa e vita cittadina nella Firenze del Due-

cento, in La coscienza cittadina cit., p. 221.3 a. morselli, L’idea e il culto del santo patrono cittadino nella lette-

ratura latino-cristiana, Bologna 1965, p. viii. Sempre da consultare c.peyer, Stadt und Stadtpatron im mittelalterlichen Italien, Zürich 1955.

4 j. c. picard, Conscience urbaine cit., pp. 455-69.5 Cfr. fasoli, La coscienza civica cit., p. 1466 Ibid.7 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., pp. 25, 109 e

163.8 a. carile, La coscienza civica di Venezia nella sua prima storiogra-

fia, in La coscienza cittadina cit., pp. 1o6-7.9 pini, Origine e testimonianze cit., in La coscienza cittadina cit., p.

155, ma cfr. anche a. m. orselia, Spirito cittadino e temi politico-cul-turali nel culto di san Petronio, ibid., pp. 283-343.

10 a. f. galletti, Sant’Ercolano, il grifo e le lasche. Note sull’imma-ginario collettivo nella città comunale, in Forme e tecniche del poterenella città (secoli XIV-XVII), «Annali della Facoltà di Scienze Politi-che», Università di Perugia, 1979-8o, n. 16, p. 203.

11 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., p. 43.

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Capitolo quarto

La città, la non-città, l’anti-città.

La città, dietro le sue mura, è la cultura, la sede deivalori. Fuori di essa, solo il monastero – una microcittà– è il focolare di valori comparabili. Fuori della città, difronte ad essa si apre la non-città, la campagna, e l’an-ti-città, il deserto-foresta.

È questo un tema ben noto alla storiografia italiana:per riprendere i termini di un celebre saggio di Catta-neo, la città è stata il «principio ideale delle istorie ita-liane»1, ma occorre aggiungere con Cattaneo che «lacittà formò col suo territorio un corpo inseparabile» eche «il quadro generale» della società italiana «è costi-tuito dal binomio città-campagna»2. L’antagonismo e lacomplementarità dei due elementi è stata risolta stori-camente nel Medioevo con l’imposizione alle campagnedel dominio della città3. A volte ha la meglio il disprez-zo verso il «rusticus», e come già il classico studio diMerlini ha illustrato, la letteratura italiana del BassoMedioevo e del Rinascimento – una letteratura scrittada cittadini per cittadini – si rivela violentemente osti-le verso il «vilan puzolento». A volte, invece, il porta-parola della cultura urbana fa l’elogio della campagna,ma solo perché la vede a immagine della città, come unaserie di cittadine e di borghi, copie miniaturizzate delladominante. È questa l’immagine che Bonvesin ci dà delcontado milanese, disseminato di campanili, di torri, dichiese, in qualche modo come Milano.

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Impossibile, dunque – e l’iconografia medievale ita-liana lo mostra assai bene5 – accostarsi all’immaginariourbano medievale senza avvertirvi e trovarvi spesso lapresenza della campagna, in generale negata per appro-priazione o per sdegnoso distacco, e tuttavia vicina allemura della città, di cui molte volte varca le porte.

Ma anche il mondo selvaggio delle foreste non si sot-trae del tutto all’azione urbana. Eppure la vera antitesiculturale nel Medioevo, piú che la contrapposizionecittà-campagna, è l’opposizione fra città e foresta; que-sta assume la parte di polo di repulsione – tranne che peri monaci – come in Oriente il deserto6. Molte città ita-liane chiamano i cittadini di recente immigrazione«cives salvatici», quasi fossero cittadini provenientidalle foreste7. Tuttavia vediamo Bonvesin da la Rivapreoccupato d’integrare la foresta nel contado, perchésia sfruttata, se non addomesticata, in quanto riserva dilegna per la città8. D’altra parte la foresta, rifugio deifuorilegge, dei banditi, dei briganti, degli emarginati, faparte di quel mondo della paura che la città si sforza diesorcizzare con l’ordine e la sicurezza.

Finalmente, è il caso di ricordare in questi nostritempi di ecologisti, che la città è quasi unanimementeammirata e desiderata dagli uomini del Medioevo. Ilsentimento estetico nel Medioevo si è formato in granparte attraverso lo sguardo sulla città, attraverso l’im-magine urbana. Nella Cronica di Salimbene vi è unadescrizione di Parma dove a ogni riga troviamo la paro-la «bello» o «bella»9. Bisogna attendere la seconda metàdel secolo xiii e alcuni ambienti francescani contestato-ri perché l’immagine della città si offuschi e cominci adaffiorare un certo disgusto per lei e il desiderio dellanatura e della solitudine10.

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1 c. cattaneo, La città considerata come principio ideale delleistorie italiane, in Studi storici e geografici, a cura di G. Salvemini eE. Sestan, vol. II, Firenze 1957. Cfr. c. de seta, Città e territorio inCarlo Cattaneo, in «Studi storici», 1975.

2 p. jones, Economia e società nell’Italia medievale: la leggendadella borghesia, in Annali della Storia d’Italia Einaudi, 1 (1978), pp.187-89.

3 Già il vescovo tedesco Ottone di Frisinga nel secolo xii, scenden-do in Lombardia al seguito di suo nipote, l’imperatore Federico Barba-rossa, osservava stupito: «Quasi tutta la campagna appartiene alle città».

4 d. merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Tori-no 1894. Cfr. c. vivanti, Lacerazioni e contrasti, in Storia d’ItaliaEinaudi, vol. I, pp. 916 sgg.

5 Cfr. sereni, Storia del paesaggio agrario cit. Un esempio signifi-cativo è la rappresentazione del Buon Governo nel Palazzo Pubblicodi Siena, su cui ci soffermeremo piú avanti.

6 Si veda j. le goff, La forêt/désert dans l’Occident médiéval, in«Traverses», 1980, n. 19.

7 w. m. bowsky, Cives silvestres: sylvan citizenship and the Sie-nese commune (1287-1355), in «Bullettino senese di storia patria»,1965; e jones, Economia e società cit., pp. 54-55.

8 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., parla del con-tado allargato alla foresta e ai romitaggi: «e inoltre gli orti, i frutteti, iprati, le vigne, i pascoli, le selve, le riserve, i fiumi, le fonti vive, glieremi» (p. 47); e mette in risalto l’uso delle foreste: «Le selve e i boschie le rive dei fiumi producono legno duro di diverse qualità, adatto acostruzioni e a molti altri usi, e anche l’indispensabile legna da ardere:tanta è la sua abbondanza, che nella sola città è assolutamente certo chese ne bruciano ogni anno piú di centocinquantamila carri» (p. 91).

9 salimbene de adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, vol.II, pp. 759-6o (cit. in guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimen-to cit., pp. 98-99).

10 Cfr. j. le goff, Ordres mendiants et urbanisation, in «AnnalesESC», 1970, pp. 928-3o e 941-43 (a proposito della giustificazione daparte di san Bonaventura della scelta delle città per la costruzione diconventi francescani, e della critica antiurbana di Ubertino da Casaleal concilio di Vienne del 1310), Si veda anche f. fossier, La ville dansl’historiographie franciscaine de la fin du xiiie et du début du xive siè-cle, in Les ordres mendiants et la ville en Italie centrale cit., p. 634,che osserva: «Nei primi anni del secolo xiv si assiste a un cambiamentocompleto di atteggiamento da parte dei francescani nei confronti dellacampagna. La città non è piú un rifugio contro il freddo, la solitudine,una natura ostile, ma al contrario un luogo pericoloso da cui talvoltasi è costretti a fuggire».

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Capitolo quinto

Immagine della città e coscienza cittadina.

Le prime testimonianze, di là dal culto di un santopatrono, del formarsi di una coscienza che potremmodire urbana, piuttosto che già cittadina, senza dubbioviva soprattutto in una piccola élite essenzialmente cle-ricale, sono offerte dal genere letterario che è stato chia-mato «laudes civitatum»1. Gli esempi piú antichi sonoi già ricordati Versum de Mediolano civitate (fra il 739e il 749) e il Versus de Verona (fra il 789 e l’810), e ilgenere si svilupperà per quasi tutto il Medioevo: viappartengono il De magnalibus Mediolani di Bonvesinda la Riva (1288), come pure il Liber de laudibus civi-tatis ticinensis di Opicino de Canistris (circa 1338), incui si esalta la persistenza, il rinnovarsi della tradizionelongobarda e del mito di Pavia, città regale.

Il Versus de Verona – è stato giustamente osserva-to2 – rappresenta «una summa del pensiero urbanisticocarolingio»: la «derivazione ovvia dalla ‘Gerusalemmeceleste’ dell’Apocalisse, uno spiccato recupero della tra-dizione antica, un’attenzione per le altre città italiane(sono nominate, oltre le confinanti Brescia e Mantova,le ‘capitali’ Aquileia, Pavia, Ravenna, Roma) e per laposizione territoriale; e un’insistenza sulla funzioneprotettiva dei santi, disposti ai punti cardinali... infinel’aspetto monumentale della città, nella quale ancoraspiccano i grandiosi edifici romani» sono tutte testi-monianze di «una profonda aderenza ‘classicistica’ tra

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storia antica e interpretazione cristiana della realtàurbana».

L’invenzione di miti di fondazione da parte dellecittà, in cui la memoria storica è profondamente impre-gnata di leggende e in cui il passato urbano dell’Italiaimpone origini anteriori al cristianesimo, obbedisce aldesiderio delle città di vantare una nascita quanto piúpossibile remota e illustre, cosí da poter rivaleggiare conla città il cui mito originario era fra tutti il piú famoso,Roma. Il mito originario conferisce perciò all’immagi-ne urbana una profondità storica e leggendaria a untempo. Come ricorda Arturo Graf, «anteriore allaRoma romulea si vantarono Genova, fondata da Giano;Ravenna, fondata da Tubal; Bologna, fondata da Fel-sino (Felsina), ampliata da Buono (Bononia); secondoche narra Galvano Fiamma, Milano fu edificata 932anni prima di Roma, Brescia si vantava fondata daErcole, Torino da Fetonte; persino Chiusi si reputavapiú antica di Roma»3. Quanto a Fiesole – come narraGiovanni Villani4 – essa si reputava la prima città fon-data in Europa.

Fra tutti questi miti, il piú diffuso fu quello delle ori-gini troiane: «In Italia, oltre Padova, cent’altre città sigloriano di troiane origini»5. La città dove questo mitodell’origine troiana è particolarmente interessante, èVenezia: non solo esso permise di affermare che i troia-ni avevano fondato Castello, il nucleo piú antico diVenezia, ancora prima che Antenore fondasse Padova,ma accreditò l’idea della purezza originaria della città.Appunto in luogo vergine, puro da ogni dominazione, i«liberi troiani» – l’espressione è del cronista Marco, del1242 – crearono Venezia6. Venezia l’immacolata: l’i-dentificazione con la Vergine, fatta nel Medioevo attra-verso il tema artistico dell’incoronazione della Vergine,è resa piú facile.

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I monumenti piú celebri delle città italiane erano, findalla tarda antichità, oggetto di descrizioni ed elogi,che molto spesso finivano col trasformarli in luoghi leg-gendari e magici. Nel secolo xii mirabilia, un termineche consentiva di abbracciare insieme con i miraculaanche gli edifici meravigliosi, sia pagani, sia cristiani,divennero una moda tanto più diffusa dalla tendenza deipellegrinaggi a trasformarsi in turismo.

Fra queste meraviglie urbane, le più notevoli sonoquelle enumerate e descritte nella guida per pellegrinidel secolo xii, i Mirabilia urbis Romae, in cui compaio-no le sette meraviglie della città: l’acquedotto Claudio,le terme di Diocleziano, il foro di Nerva, il PalazzoMaggiore, il Pantheon, il Colosseo e la Mole Adriana.Fin dal secolo viii il De septem mundi miraculis, attri-buito a Beda, aveva posto fra le sette meraviglie delmondo il Campidoglio. Un altro monumento meravi-glioso di Roma – pura creazione della fantasia medievale– era il palazzo della Salvatio Romae, di volta in voltaposto sul Campidoglio, sul Gianicolo, ma anche nelPantheon o nel Colosseo. Questo palazzo circolare, chericordava l’antica potenza romana, era ornato da set-tantadue statue, raffiguranti i popoli della terra: quan-do uno di essi si preparava a ribellarsi a Roma, la statuacorrispondente agitava una campana, mentre al sommodell’edificio un cavaliere di bronzo puntava la lanciaverso il paese contro cui si doveva combattere7.

Meno nota è la serie dei mirabilia di Napoli, che l’in-glese Gervasio di Tilbury, consigliere del re normannodi Sicilia, ha presentato nei suoi Otia imperialia (circadel 1210). Il personaggio centrale è Virgilio, in ossequioalla leggenda medievale che ha visto in lui, piú che ungrande poeta, un mago potente. Secondo Gervasio,

le mura di Napoli sono incantate, non lasciano entrare nes-suna mosca in città, perché Virgilio vi ha fatto piccole sta-

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tuette magiche di animali. Vi è un mercato dove la carnenon va in putrefazione. La statua di un giardino meravi-glioso si volta verso il Vesuvio quando vi sia minaccia dieruzione e lancia da una tromba un suono antisismico. Inun’isola al largo della città sono state scoperte le ossa delvate e nella tomba si è trovato il libro dei segreti, il manua-le di magia nera, che i dotti potranno utilizzare8.

La città è una cultura. Essa si rivela negli edifici pub-blici e nelle vie. È il luogo d’incontro di dotti e d’illet-terati, di chierici e laici, di dominanti e dominati. Il tonole è dato dalla religione, ma la cultura che noi chiamia-mo «pagana» o «folclorica», tradizionale o nuova,mescolata di cristianesimo oppure piú o meno «pura»,vi trova espressione. Religiosa è la serie piú importantedi feste, in cui ha tanta parte la liturgia, e Bonvesin sirivela molto soddisfatto della particolare liturgia chesegue Milano dai tempi di sant’Ambrogio. Essa s’inse-risce sull’immagine della città soprattutto con le pro-cessioni, in particolare quelle legate alla festa del santopatrono. A Bologna, gli statuti sinodali del 1310 rego-lano la processione in onore di san Petronio (RubricaXXV: De veneratione beati Petronzi et de ipsius lesto pro-cessionaliter celebrando). Sono stati ricostruiti minuzio-samente lo svolgimento e l’itinerario della processionetenutasi, per iniziativa del movimento religioso deiBianchi, nel 1399 a Padova, definita come «una cittàche rende onore a se stessa nella storia locale delle suereliquie, dei suoi poteri, dei suoi ordini religiosi piúimportanti»9. I documenti permettono di stabilire, inoccasione di quella processione: a) gli assi urbani edextraurbani, b) il fattore tempo integrato allo spazio, chemisura e connota i percorsi, c) le immagini di luoghi edi spazi che «disegnano» il paesaggio urbano e campe-stre (piazze, borghi, verzieri, mercati, suburbi, campicoltivati), d) punti di collegamento, scansioni rappre-

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sentate dalle chiese e dalle porte come «monumenti» insenso lato, cioè come fattori essenziali della «visibilità»del tessuto urbano10.

«La struttura della società cittadina» – è stato osser-vato a proposito di Pavia11 – si trova rispecchiata nellacelebrazione del carnevale. Esso se fiorirà soprattutto nelQuattrocento, è già festeggiato nel secolo xiii nella mag-gior parte delle città italiane. Un testo del domenicanofrancese Etienne de Bourbon, verso il 1260, ne menzio-na l’esistenza a Roma con il permesso un po’ preoccupatodei papi12. Nel 1288 Bonvesin da la Riva osserva:

È noto che, come godiamo di un rito, per cosí dire,nostro, cosí facciamo anche un carnevale diverso dal car-nevale delle altre genti. E anche in questo si manifestanola dignità e la gloria speciale dei milanesi13.

Alessandro Fontana ha evocato mirabilmente la scenaimmaginaria cittadina che si scatena nelle città italianedi là dal carnevale stesso: sfogo della violenza urbana,piacere della competizione ludica, carattere commemo-rativo della festa, guerra simbolica, trasposizione di riva-lità tra fazioni e quartieri, con i suoi «contrappunti deri-sori». Cosí «a Roma si inscenavano corse di “bipedi” nelcarnevale, con ebrei, donne e vecchi, corse e palii dabeffa si facevano in tempo di guerra, come nel 1263, daparte dei pisani sotto le mura di Lucca, e nel 1289 daparte dei fiorentini durante l’assedio di Arezzo; corse“umilianti” di cavalli, bipedi e prostitute ordinaCastruccio nel 1325, dopo avere vinto i fiorentini»14. Intal modo la festa derisoria rivela il volto sadico dellacittà, lo spazio di esclusione sociale che colpisce i sessi,i mestieri, le età, i gruppi disprezzati: prostitute, ebrei,cornuti, prosseneti, donne, vecchi, traditori, falsari, che

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venivano talvolta rappresentati in ritratti grotteschi suimuri di edifici pubblici15, che venivano tosati o condot-ti per le vie della città su una asino a faccia indietro.

La festa mette anche in luce uno degli assilli per lamassa della popolazione urbana attraverso la messa inscena di una gastronomia onirica, che trasforma la cittàin immagine del paese di Cuccagna: festa della porchet-ta a Bologna dal 1279, venerdí «gnoccolare» a Verona,«cuccagna del porco» a Roma, ecc.16.

Religiose o profane, le feste sono un’occasione perfare sfoggio degli emblemi della città: il giglio fiorenti-no, che i Versus Merlini, le profezie di Merlino citate daSalimbene, esaltano17, o stemmi come quello di Bologna,che nella seconda metà del Duecento aggiunge al suoemblema crociato il capo d’Angiò, cioè un lambello coni gigli di Francia18, o i gonfaloni e gli stendardi per le pro-cessioni, che sono stati bene analizzati a proposito del-l’Umbria della fine del Quattrocento19. Sono immaginiemblematiche della città, ma a volte anche di quelleparti della città in cui si divide, i quartieri. A Parma,«ogni vicina voleva avere il proprio vessillo con il pro-prio santo in occasione delle processioni»20. Bonvesindescrive minuziosamente gli scudi e i colori dei vessillidelle sei porte principali di Milano21.

Se l’immagine della città è un’immagine colorata, èanche un’immagine musicale: ancora Bonvesin ritornadue volte sui trombettieri milanesi, orgoglio della città,tanto da condurre una vita «more nobilium». Le lorotrombe, suonate «in modo mirabile, diverso da quello ditutti gli altri trombettieri del mondo», esprimono «a untempo la grandezza e la forza di questa città»22.

Una città si distingue, in questo come in altri aspet-ti dell’immagine urbana: Venezia. Qui le insegne deldoge conferiscono alla città un’immagine piú che signo-rile, quasi monarchica: «spata, fustis, sella» esprimonol’originalità di questo centro unico al mondo23.

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Un ruolo fondamentale nel modellare l’immaginemateriale e spirituale della città è stato svolto dal clerosin dal secolo iv. Ma se accanto al vescovo e al clerosecolare, i monaci dei conventi urbani dell’Alto Medioe-vo sono stati (e saranno) agenti attivi della coscienza cit-tadina, nessuna istituzione, nessun movimento religio-so è stato legato alla città e ne ha impregnato e trasfor-mato l’immagine quanto, a partire dal secolo xiii, gliordini mendicanti: francescani, domenicani, agostiniani,carmelitani, ai quali bisogna aggiungere per l’Italia delNord, gli umiliati24.

I mendicanti modificano anzitutto l’aspetto dellacittà con i loro conventi, divenuti ben presto enormi –nonostante i voti dei loro fondatori Domenico e Fran-cesco – sia per la superficie, sia per l’altezza degli edi-fici. Nuovi spazi urbani si definiscono intorno ai con-venti dei mendicanti, soprattutto perché il loro apo-stolato è anzitutto un apostolato della parola. Inoltre,con la costruzione di questi conventi si fa strada espli-citamente nella mentalità urbana e nell’urbanistica unapreoccupazione estetica, una ricerca del bello, delleproporzioni e delle prospettive, che ha un’espressioneparticolarmente significativa a Siena alla fine del Due-cento25.

In effetti, tutto lo spazio urbano viene ristrutturatocon l’insediamento degli ordini mendicanti e intorno alleloro sedi. Sotto l’egida del papato, i quattro ordini (nellecittà di una certa importanza, o solo due o tre di essi neicentri minori) si insediano quanto piú lontano possibilel’uno dall’altro, ripartendosi in qualche modo lo spaziourbano, che suddividono creando centri secondariimportanti, spesso vicino alle porte, in quartieri popo-lati da immigrati recenti.

Con gli ordini mendicanti giungono nuovi santi, acominciare dai fondatori; si sviluppano nuove devozio-ni (rosario e varie forme del culto mariano); si celebra-

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no nuove feste; si delineano nuovi itinerari per le pro-cessioni. Formati nelle scuole dei loro ordini, qualcunonelle università, educati secondo i nuovi metodi dellascolastica, i frati mendicanti elaborano una vera e pro-pria teologia della città che alimenta il loro apostolato.Da Agostino derivano l’idea della città come «civitas»,un insieme di uomini che deve avere gli stessi sentimentie lo stesso spirito; da Tommaso d’Aquino (e, per suo tra-mite, da Aristotele), la nozione di «bene comune» e digiustizia, con cui dev’essere regolato il funzionamentodella città fino a tradursi nella sua immagine. Taluni,soprattutto tra i francescani, vi aggiungono una visioneescatologica ispirata dalla lettura dell’Apocalisse, spes-so compiuta attraverso Gioacchino da Fiore, che li spro-na a fare della città uno spazio di purezza, di santità, ingrado di trasformarla, quando sia giunto il momento, innuova Gerusalemme. È quello che vorrebbe fare a Firen-ze, alla fine del Quattrocento, Gerolamo Savonarola.

In tutta la loro azione i mendicanti moltiplicano icontatti con i laici, accogliendoli con i loro problemi pro-fessionali, familiari, sociali, religiosi. Attraverso la pre-dicazione giungono a racchiudere tutti i cittadini entrouna rete d’inquadramento religioso e sociale, che si arti-cola su nuove confraternite. Spesso questi ordini si apro-no anche alla città dei morti, ospitando le sepolture,almeno dei piú ricchi e potenti laici, nelle loro chiese.Inoltre costituiscono un potente fattore d’integrazionedella nuova società nell’organismo urbano e modellanol’immagine urbana in un’unità strutturata, presentan-dosi spesso come gli ideologi del «comune delle Arti»26.

A differenza di altri paesi della cristianità – è statonotato – la storiografia medievale italiana non ha pro-dotto molte cronache universali. In compenso l’Italia haavuto in quantità assai superiore e molto presto crona-che cittadine27. Così, anche se manipolata in modo piú

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o meno consapevole dagli autori, la cronaca viene adaggiungere molto presto all’immagine urbana – di làdalla memoria fantastica delle «laudes» altomedievali –la dimensione temporale che fornisce non solo nomi,date e avvenimenti, ma anche gli attributi della tradi-zione e del cambiamento. Ciò che colpisce immediata-mente è lo stretto nesso esistente fra l’istituzione comu-nale e lo sviluppo della cronaca urbana. Questa vienescritta spesso entro il quadro di un avvenimento, che èa sua volta un’immagine impressionante della città. Nel1152 il vecchio Caffaro, che per tutta la sua vita avevaoccupato posti di primo piano al servizio di Genova, pre-senta ai consoli e al consiglio della città la sua cronaca,la prima storia urbana dell’Occidente. Nel 1262 il notaiopadovano Rolandino dà pubblica lettura, davanti ai mae-stri di quell’Università, della sua cronaca28.

Arnaldi ha messo in luce questo personaggio impor-tante e affatto originale dell’Italia comunale: ilnotaio-cronista29. Nella maggior parte delle città italia-ne troviamo, a partire dal secolo xiii, dei notai, funzio-nari del comune, che non solo scrivono la cronaca dellaloro città, ma ricoprono una carica ufficiale e rimuneratadi cronisti, in aggiunta alla loro funzione notarile: «lacronaca diviene a poco a poco come una forma d’istitu-to comunale integrante le magistrature democratichedell’organismo statale»30.

Non stupiremo, dunque, se i cronisti cittadini delDuecento si rivelano tanto ostili ai tiranni e appaionoanimati da un patriottismo urbano, portato a commuo-versi all’evocazione o alla vista degli emblemi cittadini.Rolandino è artefice della fama di crudeltà del primotiranno che una città italiana abbia conosciuto, Ezzeli-no da Romano, signore di Padova dal 1237 al 1256. Egliimmagina il dialogo fra un padre esiliato e il suo giova-ne figlio, che non ha mai visto il carroccio di Padova,evocando con emozione quel simbolo della libertà cit-

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tadina, che avanza «nella gloria e nell’onore», agitandofieramente il «vittorioso vessillo» padovano31.

Nel De magnalibus Mediolani, che ci appare come unmomento di passaggio dalle «laudes civitatis» alle cro-nache cittadine, anche il maestro di grammatica mila-nese Bonvesin da la Riva rende onore ai suoi concitta-dini per non aver mai tollerato tiranni. Vi è pure, nellasua opera, un aspetto dell’immagine e della fierezzaurbana, ben comprensibile nelle città italiane del tempo:l’attenzione rivolta agli aspetti economici: produzioneartigianale, produzione agricola del contado, commercio,mercati, alimentazione. La terza funzione, che non sem-pre ha superato la barriera culturale opposta da cronistiimbevuti di mentalità aristocratica, è presente, se nonin primo piano, nell’immagine concreta della città ita-liana, come pure nelle rappresentazioni della cultura edell’immaginario.

Se tutte le città importanti e meno importanti del-l’Italia medievale hanno avuto la loro cronaca, una cittàin particolare ha avuto una produzione ricca e origina-le in questo campo: Venezia, che ha avuto persino undoge cronista, Andrea Dandolo (1342-54). La sottilearte di governo veneziana – ha notato Gina Fasoli32 –sapeva approfittare dell’immagine della città e di tuttele risorse che essa offriva per convincere i sudditi dellarepubblica della perfezione delle istituzioni veneziane.Fin dai primi esordi della storiografia veneziana conGiovanni Diacono, intorno all’anno Mille, il mitodell’«aura Venecia» è presente. Senza dubbio, l’osses-sione del mito ha conferito caratteri d’irrealtà e di nar-cisismo alla produzione trecentesca, ma nel Quattro-cento Venezia segue da vicino Firenze nell’adozione deinuovi canoni storiografici umanistici, che sostituisconoalla narrazione annalistica una riflessione storica, fon-data sulla ricerca critica dei documenti, redatta in unlatino neoclassico e portata a sostituire gli interventi

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provvidenziali con la volontà, le passioni, gli interessidegli uomini33.

Nell’una e nell’altra corrente che Tenenti ha indivi-duato – quella «umanistico-politica», che ha la massimaespressione in Leonardo Bruni, e quella «umanistico-erudita», che ha il maggiore esponente in Flavio Bion-do34 – rimane centrale l’immagine della città: «Bruni èla storia di Firenze, l’esaltazione umanistica della sua‘libertas’, Biondo – accanto all’Italia illustrata, alle Deca-des – è la storia di Venezia e la storia di Roma. Fra glistorici di minore levatura, Poggio Bracciolini è ancoraFirenze, Bernardo Giustiniani e Sabellico ancora Vene-zia»35.

1 j. k. hyde, Medieval descriptions of cities, in «Bulletin of the JohnRylands Library», 1966, n. 48, pp. 3o6-40; g. fasoli, La coscienza civi-ca cit., in La coscienza cittadina cit., pp. 11-44. Per confrontare «realtà»archeologiche e «realtà» immaginarie cfr. j. hubert, Evolution de latopographie et de l’aspect des villes de Gaule du Ve au Xe siècle, in La cittànell’Alto Medio Evo, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Set-timane di Studio, VI, pp. 529 sgg.

2 guidoni, La città europea cit., pp. 94-95.3 graf, Roma cit., p. 21.4 g. villani, Cronica, Trieste 1857, p. 9. Sul mito dell’origine troia-

no-fiesolana di Firenze cfr. d. weinstein, The myth of Florence, in Flo-rentine Studies. Politics and society in Renaissance Florence, a cura di N.Rubinstein, London 1968, pp. 42-44.

5 graf, Roma cit., p. 19.6 a. carile, La cronachistica veneziana nei secoli XIII e XIV, in La sto-

riografia veneziana fino al secolo XVI, a cura di A. Pertusi, Firenze 1970,pp. 90-91. Si veda anche g. cracco, Il pensiero storico di fronte ai pro-blemi del comune veneziano, ibid., pp. 45-74; carile, La coscienza civi-ca cit., pp. 95-136; g. fasoli, Nascita di un mito, in Studi storici in onoredi Gioacchino Volpe, Firenze 1958, vol. I, pp. 445-79.

7 le goff, L’Italia fuori d’Italia cit., p. 1974.8 Ibid.9 a. f. marcianò e m. spina, La processione dei Bianchi a Padova,

1399. Una fonte per lo studio della città tra Medioevo e Rinascimento, in

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«Storia della Città», 2, 111, 1977, n. 4, pp. 3-30 (la citazione è a p.8).

10 Ibid., p. 11.11 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., p. 181.12 etienne de bourbon, Tractatus de diversis materiis predicabilibus,

V, 1, in a. lecoy de ca marche, Anectodes historiques, légendes et apo-logues tirés du recueil inédit d’Etienne de Bourbon, dominicain du XIIIe siè-cle, Paris 1877, pp. 423-24.

13 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., p. 181.14 Cfr. a. fontana, La scena, in Storia d’Italia Einaudi, vol. I, pp.

827 sgg.15 Ibid., p. 859.16 Ibid., p. 829.17 salimbene de adam, Cronica cit., p. 788, e cfr. le goff, L’Ita-

lia fuori d’Italia cit., p. 1977.18 g. cencetti, Lo stemma di Bologna, in «Bologna. Rivista del

Comune», 5, 1937, pp. 18-22; cfr. anche in La coscienza cittadina cit.,i saggi di Pini, p. 183, e di Orselli, p. 321.

19 d. arasse, Entre dévotion et culture: fonctions de l’image religieu-se au XVe siècle, in Faire croire, École française de Rome 1981, pp.131-46.

20 l. gatto, Il sentimento cittadino nella «Cronica» di Salimbene, inLa coscienza cittadina cit., p. 371.

21 bonvesin da la riva, De magnalibus Mediolani cit., pp. 153-55.22 Ibid., pp. 65-67 e p. 159.23 a. pertusi, Quaedam regalia insigna. Ricerche sulle insegne del

potere ducale a Venezia nel Medioevo, in «Studi veneziani», vii, 1965,pp. 3-123; g. fasoli, I fondamenti della storiografia veneziana, in La sto-riografia veneziana fino al secolo XVI, a cura di A. Pertusi cit., p. 27; g.arnaldi, Andrea Dandolo, doge-cronista, ibid., pp. 199-200.

24 Di una vasta letteratura si tenga presente in particolare: guido-ni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., pp. 123-85; Les ordresmendiants et la ville en Italie centrale (1220-1350), Colloque de l’Écolefrançaise de Rome, «Mélanges de l’École française de Rome», 89,1977, vol. II, pp. 557-773 (e in particolare gli studi di G. Barone, L.Capo, F. Fossier, G. Todeschini). Per un caso particolare: cfr. France-scanesimo e società cittadina: l’esempio di Perugia, Pubblicazione delCentro per il Collegamento degli studi medievali e umanistici dell’u-niversità di Perugina, 1979.

25 w. braunfels, Mittelalterliche Stadtbaukunst in der Toskana, Ber-lin 1966.

26 Col Comune delle Arti – scrive r. morghen, La coscienza citta-dina cit., p. 222 – un altro popolo si era affermato in Firenze ed altricentri religiosi erano sorti, quali la ricostruita chiesa di Santa Maria

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Novella e la chiesa di Santa Croce, dominate dai nuovi ordini religio-si dei domenicani e dei francescani»,

27 L’argomento e la bibliografia sono sterminati: per questo, ancorpiú che per gli altri aspetti dell’immagine urbana, mi limiterò a due otre punti particolarmente pertinenti.

28 g. arnaldi, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età diEzzelino da Romano, Roma 1963.

29 id., Il notaio-cronista e le cronache cittadine in Italia, in La storiadel diritto nel quadro delle scienze storiche. Atti del I Congresso interna-zionale della Società italiana di storia del diritto, Firenze 1966, pp.293-309; g. ortalli, Notariato e storiografia in Bologna nei secoliXIII-XVI, in Studi storici sul notariato italiano, vol. III. Notariato medie-vale bolognese, vol. II, Roma 1977, pp. 143-89.

30 l. sighinulfi, La cronaca dei Villola nella «Stazione dell’univer-sità degli artisti», in «Atti e memorie della deputazione provinciale distoria patria della Romagna», iv, 1923, n. 13, p. 116. Cfr. g. marti-ni, Lo spirito cittadino e le origini della storiografia comunale italiana, in«Nuova rivista storica», liv, 1970.

31 Cfr. arnaldi, Studi sui cronisti cit., pp. 199-201.32 fasoli, La coscienza civica cit., p. 42 (per la storiografia venezia-

na si vedano le note 6 e 23).33 a. pertusi, Gli inizi della storiografia umanistica veneziana nel

Quattrocento, in La storiografia veneziana cit., p. 269.34 a. tenenti, La storiografia in Europa dal Quattrocento al Seicento,

in Nuove questioni di storia moderna, Milano 1964.35 le goff, L’Italia fuori d’Italia cit., p. 2o8o.

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Capitolo sesto

La città, immagine e strumento del potere.

Le città dell’Alto Medioevo lasciano intravedere astento oggi, per le trasformazioni radicali subite in segui-to, le realtà materiali, sociali, politiche e ideologicheche hanno presieduto alla loro immagine. Direi che inuovi poteri si accontentarono di utilizzare l’eredità inparte rovinata e soprattutto trasformata nelle sue fun-zioni dell’urbanistica antica. La peculiarità italiana con-siste nell’ospitare sul suo suolo le sopravvivenze del-l’Impero latino e dell’Impero greco insieme con il nuovocapo – ancora debole – della Chiesa, il papa. Ma i re ei principi longobardi, a Pavia, a Spoleto, a Benevento,non hanno fatto altro, mi sembra, che vivere sul passa-to monumentale romano, mentre Ravenna è rimastaquasi un’escrescenza nel corpo di un’Italia, dove l’in-flusso bizantino conservava efficacia soltanto nell’am-bito del mosaico, della pittura e, in termini più limita-ti, della liturgia.

Il retaggio antico sembra essere sopravvissuto nell’o-pera dei Gromatici, di cui due manoscritti – uno delsecolo vi o vii, l’altro della metà del ix, ritrovati nelRinascimento, uno a Bobbio, l’altro a Fulda – hannoavuto qualche influenza, seppur c’è stata, solo nell’am-bito del Rinascimento romano1. Lo spirito geometricodegli agrimensori antichi, che vi si esprime, non trova-va alcun campo di applicazione nel Medioevo.

Il solo principio di organizzazione della città – ridot-

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ta a un centro da difendere – è il segno della croce, qualeè stato visto da Guidoni, fondandosi sugli esempi diRoma e di Milano: «il cardo e il decumano sono ormaiconcepiti come semplici ‘segni’, il segno della croce(senza piú coincidere necessariamente con la realtà fisi-ca degli assi viari), collegante basiliche esterne, costrui-te spesso fuori dalle mura sulla tomba dei martiri, conil centro cittadino; pur nella varietà delle prime appli-cazioni (tra il iv e il vii secolo), si può notare la costan-za del riferimento al segno della croce come capace diredimere e di proteggere la città, ricalcandone spesso lastruttura orientata, ma sempre riferendosi all’aspettoreligioso, piú che utilitario, della particolare disposizio-ne degli edifici sacri»2.

La sola immagine urbanistica nuova è creata dalnuovo potere del papato: verso la metà del secolo ix,papa Leone IV (847-55) fa costruire a protezione dellabasilica di San Pietro dalla minaccia dei saraceni, laCittà leonina, appoggiata al mausoleo di Adriano, dive-nuto Castel Sant’Angelo. Il modello urbanistico di que-sta città, fondato sulle porte, le chiese e le mura, e ilnumero tre (tre porte, tre chiese, tre vie) fu ripresodallo stesso pontefice nell’854 per una nuova città, Leo-poli, fondata per accogliere la popolazione di Centocel-le, fino allora dispersa sulle montagne per sfuggire allaminaccia saracena3.

A partire dal secolo xii tutto cambia. Nasce unanuova città, in cui il potere è diviso fra la Chiesa, i nobi-li e il nuovo gruppo sociale che si è soliti chiamare bor-ghese. La Chiesa imprime nell’immagine urbana il suosegno con le sue chiese e i suoi campanili; i nobili conle loro case-torri; i borghesi con gli edifici del nuovopotere collettivo: palazzi comunali, piazze, mercati. Lapresenza di un potere comunale si nota sempre piú conl’imporsi di piante regolari: le vie si incrociano ad ango-lo retto, si forma una divisione regolare di strade e di

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piazze, compaiono le insegne del potere urbano, cui hogià accennato. Un vero e proprio «spirito cittadino» ènato: si afferma grazie ai nuovi dirigenti e a loro van-taggio, con l’appoggio degli ordini mendicanti.

La ristrutturazione di Venezia, esemplare come casolimite, attesta la profonda trasformazione sociale, poli-tica e urbanistica. Allo schema «a campi e corti», poli-nucleare, si sovrappone un’organizzazione dello spaziorispondente a tre funzioni: il centro commerciale a Rial-to, il centro politico-religioso con il sistema San Marco- Palazzo Ducale, l’attività economica sulle rive dellalaguna con l’Arsenale a nord, il porto commerciale a sud.La rete delle calli diventa «l’elemento microurbanisticofondamentale»4.

Primo segno del nuovo potere è dunque la raziona-lità urbanistica, caratterizzata da piante regolari e da unaprima regolamentazione urbanistica negli statuti citta-dini. A Bologna una pianta regolare comincia ad appa-rire verso la metà del Duecento e gli statuti, in partico-lare quelli del 1288, fissano le norme relative all’edili-zia5. A Volterra gli statuti stabiliscono l’altezza massi-ma delle torri e affermano la preminenza del centro sto-rico raddoppiando le pene inflitte per i reati commessientro l’area comprendente la piazza comunale e la cat-tedrale6. A Siena un regolamento del 1222 impone allenuove case di allinearsi «a corda e recta linea». A Bre-scia un grande programma attribuito al frate umiliatoAlberico da Gambara nel 1237 prevede una crescitadella superficie urbana con una regolamentazione estre-mamente precisa di espropri, la costruzione di nuovemura, un tracciato regolare di strade7.

Importanza centrale, nella nuova città, è assunta dallapiazza. Ai suoi lati sorgono i monumenti comunali,lasciando al centro uno spazio di incontri, di rapportisociali: è il nuovo «spazio simbolico per eccellenza»della città8.

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A Firenze il centro si organizza intorno a due piaz-ze: la piazza di San Giovanni e la piazza della Signoria,che si aggregano i monumenti principali: Battistero,Duomo, Campanile e Palazzo Vecchio9.

A Milano, verso la metà del secolo xiii, la creazionedella piazza dei Mercanti con al centro il Broletto Nuovoe sei strade convergenti vi rappresenta una «vera e pro-pria sintesi architettonica dell’intera città... l’esempiopiú grandioso di quella ricerca del baricentro urbano cheil comune persegue per motivi mercantili, ma anche dirappresentatività e di prestigio, e che porta anche quialla separazione, rispetto alla sede del potere vescovile,ma, ancora una volta, di fronte e in posizione assialerispetto alla cattedrale»10.

A Genova viene aperta una vasta piazza verso ilmare, che serve da punto di riferimento in mezzo all’in-trico dei carugi, una «piazza faro»11.

E la funzione della piazza continua sul finire delMedioevo: a Vigevano, Ludovico il Moro fa costruirenel 1493-94 quello che è stato definito «il primo esem-pio di una piazza intesa come un edificio unitario»,ossia «una piazza in forma di palazzo». A Roma, «ilCampidoglio è il centro ideale della città storica, allostesso modo che San Pietro è il centro ideale della cittàreligiosa». Queste due imprese di Michelangelo rappre-sentano una rivelazione urbanistica nell’immagine diRoma12.

Il secolo xiii vede il sorgere di un nuovo monumen-to centrale nelle città italiane collegato con la piazza: ilpalazzo comunale. Esso rivela il nuovo potere laico difronte al potere episcopale. «La costruzione del palazzonel centro cittadino ha sempre un significato preciso dipresa di potere, a fianco o in contrasto con l’autoritàvescovile»13. A differenza dei palazzi reali dell’AltoMedioevo, tutti scomparsi, e dei palazzi episcopali, che

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per la maggior parte sono soltanto un ricordo storico, «inumerosi palazzi comunali giunti fino ai tempi nostritestimoniano ancora della lotta sostenuta dai comuni ita-liani per la libertà cittadina»14. In Toscana e in Umbria,fra Due e Trecento, le città costruiscono imponentipalazzi comunali: cosí a Firenze, a Siena, a Perugia, aGubbio, a Todi, a Città di Castello, ecc. Sono impreseche si inseriscono in un potente movimento istituzionalee nel flusso di una forte spinta urbanistica15.

Ma questi monumenti non devono farci dimenticareche l’immagine della città si basa su tre reti urbanisti-che: quella dei quartieri, quella delle parrocchie e dellecontrade, quella delle strade. A Firenze i quartieri, dive-nuti sestieri e poi tornati nel 1343 a essere quartieri,sono divisi in quattro gonfaloni per quartiere. Il quar-tiere organizza, insieme con le confraternite, le feste ele processioni, e costituisce un centro essenziale di socia-bilità. Con i suoi emblemi, partecipa all’immagine dellacittà16.

Invece la via, la cui funzione utilitaria era spesso pre-valsa su tutto, comincia ad assumere una nuova fisio-nomia solo nel Quattrocento. A Firenze, «fin dall’etàdelle mascherate laurenziane, il tessuto viario viene per-cepito come uno spazio ludico collettivo»17.

L’immagine medievale della città è meno soggetta,soprattutto nei centri minori, alle vicissitudini della ric-chezza e della moda18. Ma l’immagine della città cambiaprofondamente verso la metà del Quattrocento. I prin-cipi diventano dei mecenati, sia per ostentare il loropotere, sia per fare delle loro città una vetrina di que-sto potere, sia per stornare gli animi dei loro sudditiverso la contemplazione estetica e la festa, sia per amoredell’arte. Il grande esempio è Urbino, «città in forma dipalazzo», secondo la definizione di Baldassarre Casti-glione. L’immagine urbana si allontana dall’immagine

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della città medievale, «confusa e polisensa»19 per unifi-carsi sotto le nuove regole della prospettiva (un altromodo per rimettere tutti al loro posto) e della veduta, omeglio della veduta lontana, come era di moda tra i pit-tori fiamminghi. Vasari narra che nel 1454 InnocenzoVIII aveva fatto decorare da Pinturicchio il palazzo delBelvedere, facendogli dipingere una loggia con paesag-gi e vedute di Roma, Milano, Genova, Firenze, Vene-zia e Napoli alla maniera fiamminga20. Ciò che conta,ormai, è il personaggio, l’individuo che guarda da lon-tano la città mentre l’immagine di questa arretra sullosfondo.

La trasformazione dell’immagine urbana comincianel Trecento. La città comincia a riempirsi, a mostrarela propria ricettività, accogliendo ospedali, «palazziausteri» che sostituiscono le case-torri, logge21. Questasostituzione, accompagnata dall’apertura di nuove arte-rie e dalla costruzione di giganteschi monumenti (ilDuomo di Milano, San Petronio a Bologna ecc.) è par-ticolarmente importante nelle città cadute sotto il domi-nio visconteo: Parma, Verona, soprattutto Pavia22.

Per quel che riguarda le nuove strutture del Quat-trocento, meriterà rileggere quel che ne hanno scrittoArgan e Fagiolo: «le facciate non sono piú sbarramen-ti, ma diaframmi comunicanti tra esterni e interni egual-mente urbani; i cortili sono piazze entro il palazzo; lescale graduano il passaggio dalla strada alla casa, sono vieinterne; gli interni delle chiese sono spazi privilegiati ealtamente rivelatori entro lo spazio ‘mondano’ dellacittà. Rivelano, infatti, non tanto il divino in sé, quan-to quell’unità profonda di natura e storia che manifestail disegno divino dello spazio e del tempo. L’architettu-ra, e non soltanto della chiesa, è il ‘vero’ spazio, uno spa-zio purificato da ogni ‘accidente’, ridotto all’evidenzadella propria legge matematica; il tempo che corrispon-de a quello spazio è tempo storico; i fatti che si rappre-

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sentano in quello spazio assumono valore di fatti stori-ci»23. Cosí lo spazio dell’architettura urbana raggiungeil tempo della cronaca urbana.

Di nuovo, poi, c’è che gli artisti che cambiano lacittà, fanno anche la teoria della città, e se non scrivo-no trattati, come Leon Battista Alberti e Francesco DiGiorgio, pensano la città, come faranno il Filarete,immaginando la città di Sforzinda, o Leonardo nei suoidisegni24. Anziché evocare le grandi realizzazioni urba-nistiche – dalla Firenze del Brunelleschi a Pienza, a Fer-rara, alla Roma di Niccolò V (1447-55) fino a quella diLeone X (1513-21)25 – preferisco rifarmi a due esempial fine di mostrare le permanenze e le trasformazioni del-l’immagine urbana alla fine del Medioevo.

L’esempio di Siena, che sarebbe utile poter svilup-pare con una vasta documentazione iconografica, mostral’ossessione per l’immagine urbana esistente nelTre-Quattrocento. Vi troviamo quasi un tentativo dipresa di possesso magica dello spazio urbano attraversol’immagine, un programma ideologico e un vero e pro-prio narcisismo urbano.

Ecco anzitutto nel Palazzo Pubblico26, sede dellaSignoria e del Podestà, l’affresco di Simone Martini cherappresenta Guidoriccio da Fogliano, capitano dei sene-si, mentre si reca all’assedio di Montemassi. L’opera èquasi coeva (1328) dell’avvenimento (1318): è la cittàguerriera che sottomette il contado con la forza, in unosquilibrio significativo fra il grande cavaliere, simbolodella potenza della città, e il borgo che spunta sulle col-line, di là dalla nuda vastità della campagna, in formadi minuscola città, mentre a sinistra appare il castellomilitare e il campo dei senesi, con i vessilli al vento.

In un’altra sala vi è l’immensa composizione diAmbrogio Lorenzetti: il Buon Governo, gli effetti delBuon Governo in città e in campagna, il Mal Governoe gli effetti del Mal Governo. L’opera fu eseguita fra il

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1337 e il 1340, sotto il governo dei Nove, emanazionedella ricca oligarchia mercantile. Già la Maestà di Simo-ne Martini (1315), sempre nel Palazzo Pubblico, avevaespresso un’immagine ideologica della città, divenutadopo la vittoria di Montaperti sui fiorentini, nel 126o,la «città della Vergine». Le monete proclamano questaparticolare consacrazione: «Sena Vetus Civitas Virginis»è la leggenda, e l’immagine della Vergine di Misericor-dia, che accoglie sotto il suo manto protettore i fedeli,sembra incarnarsi nella piazza del Campo, a forma dimanto aperto, in cui tutta la popolazione della città puòtrovar posto. Il baldacchino della Maestà con le armidella città (lo scudo bianco e nero) e quelle del contado(un leone rampante in campo rosso), i santi protettoriintorno alla Vergine, i versetti in lingua volgare, scrittiper essere letti dagli alfabetizzanti, l’accento messo sullagiustizia nell’iscrizione sorretta dal Bambino («diligiteiustitiam qui iudicatis terram») esprimono chiaramenteil carattere programmatico dell’opera.

Il Buon Governo, rappresentato da un vegliar-do (Vetus Sena), con le insegne della città, lo scettro eil sigillo, ha sopra di sé le tre virtù teologali (in segno direverenza verso la religione) ed è circondato dalle virtúcivili: la pace, la forza, la prudenza, la magnanimità, latemperanza, la giustizia. Ai suoi piedi, la lupa e i gemel-li ricordano il mito originario: Siena, fondata da Senio,figlio di Remo, e dunque seconda Roma. Piú importan-ti ancora i particolari alla sinistra e nel basso dell’affre-sco: a sinistra ritroviamo esaltata la giustizia, sovrasta-ta dalla sapienza (la cultura, ricordata dalla presenza diun maestro di scuola e dai suoi allievi nella città, è unelemento essenziale del potere nella città, centro cultu-rale), reca in mano la bilancia con due piatti (giustiziadistributiva e commutativa); mentre in basso vediamol’allegoria del bene civico per eccellenza: la concordia,rappresentata da ventiquattro cittadini riccamente abbi-

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gliati, e da uomini d’arme a piedi e a cavallo. È la cittàdell’ordine, di cui i ricchi borghesi sono i garanti e ibeneficiari.

Gli effetti del Buon Governo esprimono quattroaspetti essenziali della coscienza civica: anzitutto l’im-magine della città, con le sue mura, i monumenti, lecase, la cattedrale, l’attività edilizia; poi la dialetticadella città e del contado per il tramite della porta, chestabilisce un’armoniosa comunicazione fra la città e lacampagna, soprattutto nel senso che va dalla campagnaproduttrice verso la città consumatrice, per affermare laterza funzione di prosperità e felicità, accanto alla primadel potere e del diritto (il Buon Governo) e alla secon-da della forza (Guidoriccio da Fogliano). Vediamo cosíl’agricoltura e l’allevamento nel contado, l’artigianatodelle botteghe cittadine e il commercio, rappresentatodalle some delle bestie nella città; in altra parte gli sva-ghi, nella forma aristocratica della cultura urbana (cantie danze); finalmente, l’allegoria della sicurezza, alta sulcontado recando in mano un patibolo, immagine dellacittà repressiva, spesso illustrata nei dipinti con prigio-ni, gogne e forche.

Quasi negli stessi anni Ambrogio Lorenzetti dipin-geva un panorama di città in riva al mare (ora alla Pina-coteca di Siena), che nello stato in cui si trova – pro-babilmente si tratta di un particolare staccato da undipinto di maggiori proporzioni – rappresenta il primopaesaggio urbano «puro», la prima «natura morta urba-na», ideogramma della città medievale per metà reale,per metà immaginaria, con le sue mura e i suoi «grat-tacieli».

Al tempo stesso si sviluppa una serie straordinaria diraffigurazioni urbane sui dorsi di legno dei registri delledue grandi istituzioni finanziarie comunali: la Biccher-na e la Gabella27. Si tratta di piccoli quadri che mostra-no, a partire dal secolo xiii, i funzionari – chierici e laici

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– delle due istituzioni, con le loro armi e i loro blasoni;essi esprimono chiaramente una particolare ideologiaurbana e ci offrono spesso l’immagine della città. Eccoquattro temi significativi, spesso connessi fra loro, cheritornano su queste tavolette: il Buon Governo nel 1344(ed è – di mano di Ambrogio Lorenzetti – il vegliardodel Palazzo Pubblico), 1385 e 1474; la Vergine patronae la sua protezione, nel 1451, 1467, 148o (con unasuperba immagine, per metà reale, per metà immagina-ria, della città) e 1487; la città di fronte a due avveni-menti che sono – con la guerra – le due grandi calamitàdel Basso Medioevo, la peste nel 1437 e il terremoto nel1467; il contrasto pace e guerra nel 1468, simboleggia-to da un piccolo quadro, a metà realistico, a metà alle-gorico (la mescolanza che dà a tante opere d’arte deltempo un carattere misterioso, un fascino onirico, tipi-co dell’immaginario urbano), in cui sono rappresentatele finanze in tempo di pace e in tempo di guerra. Biso-gna ancora aggiungere il dipinto che orna il dorso di unregistro dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, in cuisi vede il monumento divenuto l’incarnazione in bian-co e nero della città: il Duomo.

La Pinacoteca di Siena offre un’altra serie di veduteurbane assai significative per il Quattrocento. Ne ricor-derò quattro. Il legame fra Siena e Gerusalemme appa-re nell’Adorazione dei Magi di Bartolo di Fredi (morto aSiena nel 1410), in cui il Duomo di Siena e inserito nel-l’immagine della città orientale e nella città del Trionfodi Davide di Neroccio di Bartolomeo Landi (1447-1500).Dello stesso pittore, un quadro, che unisce il contem-poraneo agli stereotipi tradizionali, mostra San Bernar-dino predicante in piazza del Campo: la piazza e il Palaz-zo, la città come spazio della parola, una parola capacedi mutare Siena da Babilonia (a destra un diavolo fuggedalla bocca di un’indemoniata) in Gerusalemme.

Sano di Pietro, nel 1456, aveva dipinto per commis-

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sione dei Signori del biado del Comune un quadro in cuisi scorge la Vergine patrona in atto di chiedere a papaCallisto III di mandare aiuti alimentari a Siena, in predaalla carestia (1455). Qui troviamo tutti i temi: la Vergi-ne, il guelfismo, l’immagine della città (mura, porta conun mulo carico di sacchi, campanile della cattedrale eTorre del Mangia, una fila di muli carichi di sacchidavanti alla città), rapporto fra città e contado, orga-nizzazione a metà sovrannaturale, a metà politica perfronteggiare le calamità.

Finalmente, mostrando la persistenza dell’ideogram-ma urbano medievale, su un affresco della scuola delRiccio (morto poco dopo il 1572) nel Palazzo Pubblico,un santo regge nelle sue mani l’immagine della città tur-rita, con le sue mura e i suoi monumenti, fra cui – segnodei tempi – il Duomo e la Torre del Mangia raffiguratirealisticamente28.

L’immagine urbana di una Firenze che passa nelQuattrocento dal rituale del comune a un nuovo ritua-le (quello della signoria medicea? quello rinascimenta-le?) è al centro del bel libro di Trexler29. Nuove feste,nuovi monumenti, nuovi itinerari rivelano i cambia-menti sociali, politici e culturali fiorentini. Il ritualedella Firenze comunale aveva come momento culmi-nante la festa del patrono cittadino, san Giovanni, e l’i-tinerario della processione seguiva l’antico tracciatodelle mura romane, con un passaggio Oltrarno all’in-terno della «cerchia antica» (mentre la processione delCorpus Domini, istituita nel secolo xiii dagli ordinimendicanti, ha per punto di partenza e d’arrivo la chie-sa domenicana di Santa Maria Novella). Dietro i digni-tari del comune, procedono le confraternite, formatedagli adulti e dominate dalle grandi famiglie dei mer-canti; seguono i fanciulli e gli adolescenti, le donne e ilpopolino delle Arti minori, raggruppato in «potenze».Senza dubbio anche come risultato della politica dei

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Medici, che riplasmano la città secondo i loro interes-si e i loro gusti, i giovani sono separati dalle confrater-nite dei loro padri e la solidarietà familiare ne risultasminuita, mentre la foga della gioventú è canalizzata,cosí come è frenata la violenza del popolino, cliente deiMedici. Ormai il punto culminante del tempo festivodella città si sposta verso l’Epifania (confraternita deiRe Magi) e il carnevale diventa la grande festa cittadi-na. Il palazzo dei Medici, fuori dall’antico nucleo dellacittà romana, diventa il punto centrale della vita socia-le e politica.

Savonarola sembra mettere fine a questa nuovaimmagine di una città dei giovani e del carnevale: laFirenze del Quattrocento, identificata con la Firenzemedicea dagli storici, è stata il bersaglio del riformato-re domenicano. Di questa città, divenuta ai suoi occhila città delle prostitute, Babilonia, vuol fare la nuovaRoma, la nuova Sion, la nuova Gerusalemme30. Tutta-via egli conserva gli strumenti d’azione dei Medici: gio-vani e fanciulli, trasformati in giovani angeli, sono sem-pre gli araldi della nuova Firenze: solo il palazzo deiMedici è stato sostituito dal convento di San Marco,come centro simbolico ed effettivo del potere. Proprioa proposito dell’esecuzione di Savonarola e di due suoicompagni, il 23 maggio 1498, avvenuta nel centro topo-graficamente permanente da almeno due secoli, la piaz-za della Signoria, Trexler pone la domanda: «Carneva-le o Calvario?»31. Concluderò con lui: «Il fossato chesepara la storia sociale dalla storia culturale può esserein gran parte colmato osservando il comportamento dellepopolazioni urbane nei loro luoghi sacri e profani».L’immagine della città medievale è il rapporto tra laforma dell’urbs e la struttura della civitas.

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1 g. martines, «Gromatici veteres». Tra Antichità e Medioevo, in«Ricerche di storia dell’arte», 1976, n. 3, pp. 3-17.

2 guidoni, La città europea cit., p. 31.3 Ibid., pp. 102-3.4 m. manieri elia, Città e lavoro intellettuale, in Storia dell’arte ita-

liana Einaudi, vol. I, p. 366.5 Si veda il saggio di A. I. Pini in La coscienza cittadina cit., p. 182.6 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., pp. 84 sgg.7 Ibid., pp. 90 sgg.8 fontana, La scena cit., p. 815.9 zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino 1977; id.,

La piazza reale-simbolica, in Storia dell’arte italiana Einaudi, vol. I, p.449.

10 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., p. 87.11 argan e fagiolo, Premessa all’arte italiana cit., p. 767.12 Ibid., pp. 766 e 769.13 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., p. 73.14 c. r. brühl, Il «palazzo» nelle città italiane, in La coscienza citta-

dina cit., p. 282.15 c. martini, Todi e Perugia. Il «Palazzo Pubblico» e le istituzioni

comunali, in La coscienza cittadina cit., pp. 359-64; n. rodolico e g.marchini, I Palazzi del Popolo nei Comuni toscani del Medioevo, Mila-no 1962.

16 manieri elia, Città e lavoro intellettuale cit., pp. 364-65.17 l. zorzi, Strade e cortei, in Storia dell’arte italiana Einaudi, vol. I,

p. 451.18 È questo il caso, ad esempio, di Sanseverino Marche, come è stato

illustrato da o. rossi pinelli, ibid., vol. VIII, p. 169.19 manieri elia, Città e lavoro intellettuale cit., p. 382.20 lavedan, La représentation de la ville cit., pp. 39-41.21 manieri elia, Città e lavoro intellettuale cit., p. 374.22 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., pp. 202-3.23 argan e fagiolo, Premessa all’arte italiana cit., p. 740.24 Ibid., pp. 758-6o.25 guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento cit., pp. 215-55.26 Cfr. e. carli, Il Palazzo Pubblico di Siena, Roma 1963.27 id, Le tavolette dipinte di Biccherna e di Gabella, Milano 1951.28 Un celebre esempio di questo ideogramma urbano nelle mani del

santo protettore è l’immagine di San Gimignano sorretto dal santo epo-nimo nel quadro del senese Taddeo di Bartolo (morto nel 1422), nelMuseo Civico di San Gimignano.

29 trexler, Public life in Renaissance Florence cit.30 d. weinstein, Savonarola e Firenze. Profezia e patriottismo nel

Rinascimento, Bologna 1976.31 trexler, Public life in Renaissance Florence cit., p. 552.

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