3 trattati di Galileo Galilei

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Wi-Mee Free Ebook - La Bilancetta, Due lezioni all'accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'inferno di Dante, le Mecaniche - Italian language

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LA BILANCETTA 1586

DUE LEZIONI ALL'ACCADEMIA FIORENTINA CIRCA LA FIGURA, SITO E GRANDEZZA

DELL'INFERNO DI DANTE 1588

LE MECANICHE 1568

Galileo Galilei

Wi-Mee FreeWords in (E)Motions Ed. 2011

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INDICE Why This? La bilancetta

p. 04 pp. 05-08

Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante Le Mecaniche

pp. 09-31 pp. 32-71

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Why This? Un buon motivo per leggerlo. La bilancetta (1586) Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante (1588) Le Mecaniche -delle utilità che si traggono dalla scienza mecanica e dai suoi strumenti- (1568) di Galileo Galilei (1564 – 1642)

“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.”

L’universo scoperto attraverso un cannocchiale, dalla dottrina alla ragione, cercando la conoscenza anche a costo di pagare con la propria libertà. Una cometa dalla scia luminosa a squarciare le tenebre dell’ottusità.

“Sì come è assai noto a chi di leggere gli antichi scrittori cura si prende…”

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La Bilancetta Sì come è assai noto a chi di leggere gli antichi scrittori cura si prende, avere Archimede trovato il furto dell'orefice nella corona d'oro di Ierone, così parmi esser stato sin ora ignoto il modo che sì grand'uomo usar dovesse in tale ritrovamento: atteso che il credere che procedesse, come da alcuni è scritto, co 'l mettere tal corona dentro a l'aqqua, avendovi prima posto altrettanto di oro purissimo e di argento separati, e che dalle differenze del far più o meno ricrescere o traboccare l'aqqua venisse in cognizione della mistione dell'oro con l'argento, di che tal corona era composta, par cosa, per così dirla, molto grossa e lontana dall'esquisitezza; e vie più parrà a quelli che le sottilissime invenzioni di sì divino uomo tra le memorie di lui aranno lette ed intese, dalle quali pur troppo chiaramente si comprende, quando tutti gli altri ingegni a quello di Archimede siano inferiori, e quanta poca speranza possa restare a qualsisia di mai poter ritrovare cose a quelle di esso simiglianti. Ben crederò io che, spargendosi la fama dell'aver Archimede ritrovato tal furto co 'l mezo dell'aqqua, fosse poi da qualche scrittore di quei tempi lasciata memoria di tal fatto; e che il medesimo, per aggiugner qualche cosa a quel poco che per fama avea inteso, dicesse Archimede essersi servito dell'aqqua nel modo che poi è stato dall'universal creduto. Ma il conoscer io che tal modo era in tutto fallace e privo di quella esattezza che si richiede nelle cose matematiche, mi ha più volte fatto pensare in qual maniera, co 'l mezo dell'aqqua, si potesse esquisitamente ritrovare la mistione di due metalli; e finalmente, dopo aver con diligenza riveduto quello che Archimede dimostra nei suoi libri Delle cose che stanno nell'aqqua ed in quelli Delle cose che pesano ugualmente, mi è venuto in mente un modo che esquisitissimamente risolve il nostro quesito: il qual modo crederò io esser l'istesso che usasse Archimede, atteso che, oltre all'esser esattissimo, depende ancora da dimostrazioni ritrovate dal medesimo Archimede. Il modo è co 'l mezo di una bilancia, la cui fabbrica; ed uso qui apresso sarà posto, dopo che si averà dichiarato quanto a tale intelligenza è necessario. Devesi dunque prima sapere, che i corpi solidi che nell'aqqua vanno al fondo, pesano meno dell'aqqua che nell'aria tanto, quant'è nell'aria la gravità di tant'aqqua in mole quant'è esso solido: il che da Archimede è stato dimostrato; ma perché la sua dimostrazione è assai mediata, per non avere a procedere troppo in lungo, lasciandola da parte, con altri mezi lo dichiarerò. Consideriamo, dunque, che

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mettendo, per esempio, nell'aqqua una palla di oro, se tal palla fosse di aqqua, non peserebbe nulla, perché l'aqqua nell'aqqua non si muove in giù o in su. Resta dunque che tal [palla] di oro pesi nel[l'aqqua] quel tanto, in che la gravità dell'oro supera la gravità dell'aqqua; ed il simile si deve intendere de gli altri metalli: e perché i metalli son diversi tra di loro in gravità, secondo diverse proporzioni scemerà la lor gravità nell'aqqua. Come, per essempio, poniamo che l'oro pesi venti volte più dell'aqqua; è manifesto dalle cose dette, che l'oro peserà meno nell'aqqua che nell'aria la vigesima parte di tutta la sua gravità: supponiamo ora che l'argento, per esser men grave dell'oro, pesi 12 volte più che l'aqqua; questo, pesato nell'aqqua, scemerà in graveza per la duodecima parte: adunque meno scema nell'aqqua la gravità dell'oro che quella dell'argento, atteso che quella scema per un ventesimo e questa per un duodecimo. Se dunque in una bilancia esquisita noi appenderemo un metallo, e dall'altro braccio un contrapeso che pesi ugualmente co 'l detto metallo in aria; se poi tufferemo il metallo nell'aqqua, lasciando il contrapeso in aria; acciò detto contrapeso equivaglia al metallo, bisognerà ritirarlo verso il perpendicolo. Come, per essempio, sia la bilancia ab, il cui perpendicolo c; ed una massa di qualche metallo sia appesa in b, contrapesata dal peso d. Mettendo il peso b nell'aqqua, il peso d in a peserebbe più: però, acciò che pesasse ugualmente, bisognerebbe ritirarlo verso il perpendicolo c, come, v.g, in e; e quante volte la distanza ca supererà la ae, tante volte il metallo peserà più che l'aqqua. Poniamo dunque che il peso in b sia oro, e che pesato nell'aqqua torni il contrapeso d in e; e poi, facendo il medesimo dell'argento finissimo, che il suo contrapeso, quando si peserà poi nell'aqqua, torni in f: il qual punto sarà più vicino al punto c, sì come l'esperienza ne mostra, per esser l'argento men grave dell'oro; e la differenza che è dalla distanza af alla distanza ac sarà la medesima che la differenza tra la gravità dell'oro e quella de l'argento. Ma se noi aremo un misto di oro e di argento, è chiaro che, per participare di argento, peserà meno che l'oro puro, e, per participar di oro, peserà più che il puro argento: e però, pesato in aria, e volendo che il medesimo contrapeso lo contrapesi quando tal misto sarà tuffato nell'aqqua, sarà di mestiero ritirar detto contrapeso più verso il perpendicolo c che non è il punto e, il quale è il termine dell'oro, e medesimamente più lontano dal c che non è l'f, il quale è il termine dell'argento puro; però cascherà tra i termini e, f, e dalla proporzione nella quale verrà divisa la distanza ef si averà esquisitamente la proporzione dei due metalli, che tal misto

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compongono. Come, per esempio, intendiamo che il misto di oro ed argento sia in b, contrapesato in aria da d; il qual contrapeso, quando il misto sia posto nell'aqqua, ritorni in g: dico ora che l'oro e l'argento, che compongono tal misto, sono tra di loro nella medesima proporzione che le distanze fg, ge. Ma ci è da avvertire che la distanza gf, terminata nel segno dell'argento, ci denoterà la quantità dell'oro, e la distanza ge, terminata nel segno dell'oro, ci dimostrerà la quantità dell'argento: di maniera che se fg tornerà doppia di ge, il tal misto sarà due d'oro ed uno di argento. E col medesimo ordine procedendo nell'esamine di altri misti, si troverà esquisitamente la quantità dei semplici metalli. Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno due braccia, e quanto più sarà lungo più sarà esatto l'istrumento; e dividasi nel mezo, dove si ponga il perpendicolo; poi si aggiustino le braccia che stiano nell'equilibrio, con l'assottigliare quello che pesasse più; e sopra l'uno delle braccia si notino i termini [dove ritor]nano i contrapesi de i metalli semplici quando saranno pesati nell'aqqua, avvertendo di pesare i metalli più puri che si trovino. Fatto che sarà questo, resta a ritrovar modo col quale si possa con facilità aver la proporzione, [secondo la quale] le distanze tra i termini de i metalli puri verra[nno] divise da i segni de i misti. Il che, al mio giudizio, si conseguirà in questo modo: Sopra i termini de i metalli semplici avvolgasi un sol filo di corda di acciaio sottilissima; ed intorno agli intervalli, che tra i termini rimangono, avvolgasi un filo di ottone pur sottilissimo; e verranno tali distanze divise in molte particelle uguali. Come, per essempio, sopra i termini e, f avvolgo 2 fili solo di acciaio (e questo per distinguerli dall'ottone); e poi vo riempiendo tutto lo spazio tra e, f con l'avvolgervi un filo sottilissimo di ottone, il quale mi dividerà lo spazio ef in molte particelle uguali; poi, quando io vorrò sapere la proporzione che è tra fg e ge, conterò i fili fg ed i fili ge, e, trovando i fili fg esser 40 ed i ge esser, per essempio, 21, dirò nel misto esser 40 di oro e 21 di argento. Ma qui è da avvertire che nasce una difficultà nel contare: però che, per essere quei fili sottilissimi, come si richiede all'esquisitezza, non è possibile con la vista numerarli, però che tra sì piccoli spazii si abbaglia l'occhio. Adunque, per numerargli con facilità, piglisi uno stiletto acutissimo, col quale si vada adagio adagio discorrendo sopra detti fili; ché così, parte mediante l'udito, parte mediante il ritrovar la mano ad ogni filo l'impedimento, verranno con facilità detti fili numerati: dal numero de i quali, come ho detto di sopra, si averà l'esquisita quantità

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de i semplici, de' quali è il misto composto. Avvertendo però, che i semplici risponderanno contrariamente alle distanze: come, per esempio, in un misto d'oro e d'argento, i fili che saranno verso il termine dell'argento ci daranno la quantità dell'oro, e quelli che saranno verso 'l termine dell'oro ci dimostreranno la quantità dell'argento; ed il medesimo intendasi degli altri misti.

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Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante I. Se è stata cosa difficile e mirabile .... l'aver potuto gli uomini per lunghe osservazioni, con vigilie continue, per perigliose navigazioni, misurare e determinare gl'intervalli de i cieli, i moti veloci ed i tardi e le loro proporzioni, le grandezze delle stelle, non meno delle vicine che delle lontane ancora, i siti della terra e de i mari, cose che, o in tutto o nella maggior parte, sotto il senso ci caggiono; quanto più maravigliosa deviamo noi stimare l'investigazione e descrizione del sito e figura dell'Inferno, il quale, sepolto nelle viscere della terra, nascoso a tutti i sensi, è da nessuno per niuna esperienza conosciuto; dove, se bene è facile il discendere, è però tanto difficile l'uscirne, come bene c'insegna il nostro Poeta in quel detto: Uscite di speranza, voi ch'entrate, e la sua guida in quell'altro: È facile il descendere all'Inferno; ma 'l piè ritrarne, e fuor dell'aura morta il poter ritornare all'aura pura, questo, quest'è impres'alta, impresa dura! ché dal mancamento dell'altrui relazione viene sommamente accresciuta la difficultà della sua descrizione. Per lo che era necessario, allo spiegamento di questo infernal teatro, corografo ed architetto di più sublime giudizio, quale finalmente è stato il nostro Dante: onde se quelli che sì accortamente svelò la mirabil fabbrica del cielo e sì esquisitamente disegnò il sito della terra, fu reputato degno del nome di divino, non doverà già il medesimo nome essere, per le già dette ragioni, al nostro Poeta conteso. Descrive dunque l'Inferno Dante, ma sì lo lascia nelle sue tenebre offuscato, che ad altri dopo di lui ha dato cagione di affaticarsi gran tempo per esplicar questa sua architettura; tra i quali due sono che più diffusamente ne hanno scritto: l'uno è Antonio Manetti, l'altro Alessandro Vellutello, ma però questo da quello assai diversamente, e l'uno e l'altro molto oscuramente, non già per loro mancamento, ma per la difficoltà del suggetto, che non patisce esser con la penna facilmente esplicato. Onde noi, per ubbidire al comandamento fattoci da chi comandar ci può, oggi qui venuti siamo a tentare se la viva voce, accompagnando il disegno, potesse, a quelli che comprese non l'hanno,

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dichiarare l'intenzione dell'una opinione e dell'altra; ed in oltre, se ci sarà tempo, addurre quelle ragioni per l'una e per l'altra parte che potessero persuadere, le diverse descrizioni esser conformi all'intendimento del Poeta; ingegnandoci nel fine, con alcune altre nostre dimostrare qual più di esse alla verità, ciò è alla mente di Dante, si avvicini: dove forse faremo manifesto, quanto a torto il virtuoso Manetti ed insieme tutta la dottissima e nobilissima Academia Fiorentina sia dal Vellutello stata calunniata. Ma prima che più avanti passiamo, non sia grave alle vostre purgate orecchie, assuefatte a sentir sempre risonar questo luogo di quelle scelte ed ornate parole che la pura lingua toscana ne porge, perdonarci se tal ora si sentiranno offese da qualche voce o termine proprio dell'arte di cui ci serviremo, tratto o dalla greca o da la latina lingua, poi che a così fare la materia di cui parleremo ci costringe. L'ordine che terremo nel nostro ragionamento, in dichiarare la prima opinione, sarà questo: Prima considereremo la figura ed universal grandezza dell'Inferno, tanto assolutamente quanto in comparazione di tutta la terra. Nel secondo luogo, vedremo dove ei sia posto, ciò è sotto che superficie della terra. Terzo, vedremo in quanti gradi, differenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro del mondo, ei sia distribuito, e quali di essi gradi siano semplici, e quali composti di più cerchi o gironi, e di quanti. Nel quarto luogo, misureremo gl'intervalli che tra l'un grado e l'altro si trovono. Quinto, troveremo le larghezze per traverso di ciascheduno grado, cerchio e girone. Nel sesto luogo, avendo già considerate le predette principali cose, con brevità racconteremo tutto il viaggio fatto da Dante per l'Inferno, ed in questo accenneremo alcune cose particolari, utili alla perfetta cognizione di questo sito. Venendo dunque all'esplicazione dell'opinione del Manetti, e prima quanto alla figura, dico che è a guisa di una concava superficie che chiamano conica, il cui vertice è nel centro del mondo, e la base verso la superficie della terra. Ma che? abbreviamo e facilitiamo il ragionamento; e congiungendo la figura, il sito e la grandezza, immaginiamoci una linea retta che venga dal centro della grandezza della terra (il quale è ancora centro della gravità e dell'universo) sino a Ierusalem, ed un arco che da Ierusalem si distenda sopra la superficie

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dell'aggregato dell'acqua e della terra per la duodecima parte della sua maggior circonferenza: terminerà dunque tal arco con una delle sue estremità in Ierusalem; dall'altra sino al centro del mondo sia tirata un'altra linea retta, ed aremo un settore di cerchio, contenuto da le due linee che vengono dal centro e da l'arco detto: immaginiamoci poi che, stando immobile la linea che congiugne Ierusalem ed il centro, sia mosso in giro l'arco e l'altra linea, e che in tal suo moto vadia tagliando la terra, e muovasi fin tanto che ritorni onde si partì; sarà tagliata della terra una parte simile ad un cono: il quale se ci immagineremo esser cavato della terra, resterà, nel luogo ov'era, una buca in forma di conica superficie; e questa è l'Inferno. E da questo discorso ne aviamo, prima, la figura; secondo, il sito, essendo talmente posto, che il suo bassissimo punto è il centro del mondo, e la base o sboccatura viene verso tal parte della terra, che nel suo mezzo racchiude Ierusalem, come apertamente si cava da Dante, quando, immediate che fu passato oltre il centro all'altro emisfero, ode da Virgilio queste parole: E se' or sotto l'emisfero giunto, Ch'è opposito a quel che la gran secca Coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto Fu l'Uom che nacque e visse senza pecca; e nel secondo canto del Purgatorio, essendo pure nell'altro emisfero, conferma il medesimo, dicendo: Già era 'l Sole all'orizzonte giunto, Lo cui meridian cerchio coverchia Ierusalem col suo più alto punto. E quanto alla grandezza, è profondo l'Inferno quanto è il semidiametro della terra; e nella sua sboccatura, che è il cerchio attorno a Ierusalem, è altrettanto per diametro, per ciò che all'arco della sesta parte del cerchio gli è sottesa una corda uguale al semidiametro. Ma volendo sapere la sua grandezza rispetto a tutto l'aggregato dell'acqua e della terra, non doviamo già seguitare la opinione di alcuno che dell'Inferno abbia scritto, stimandolo occupare la sesta parte dello aggregato; però che, facendone il conto secondo le cose dimostrate da Archimede ne i libri Della sfera e del cilindro, troveremo che il vano dell'Inferno occupa qualcosa meno di una delle 14 parti di tutto l'aggregato: dico quando bene tal vano si estendessi sino alla superficie della terra, il che non fa; anzi rimane la sboccatura coperta da una grandissima volta della terra, nel cui colmo è Ierusalem, ed è grossa quanto è l'ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 15/22.

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Avendo compresa così generalmente la sua figura, è bene che venghiamo a distinguerlo ne i suoi gradi; però che la sua interna superficie non è così pulita e semplice come da la descrizione che ne aviamo data ne conseguirebbe, anzi è distinta in alcuni gradi, ne i quali diversi peccati con diverse pene sono puniti: e di questi gradi doviamo ora assegnare il numero e l'ordine, e poi più distintamente le larghezze e distanze da l'uno all'altro, e le distribuzioni di alcuni in varii gironi, così distinti e nominati dal Poeta. È dunque questa grandissima caverna distribuita in 8 gradi, differenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro: tal che viene l'Inferno ad essere simile ad un grandissimo anfiteatro, che, di grado in grado descendendo, si va ristringendo; salvo che l'anfiteatro ha nel fondo la piazza, ma l'Inferno termina quasi col suo profondo nel centro, che è un punto solo. Vanno questi gradi rigirando intorno intorno la concavità dell'Inferno: ed il primo, e più vicino alla superficie della terra, è il Limbo; il secondo è quello dove sono puniti i lussuriosi; nel terzo sono castigati i golosi; il quarto comprende i prodighi e gli avari; il quinto grado è diviso in dui cerchi, il primo de i quali comprende la palude Stige e le fosse attorno alla città, luogo deputato alle pene de gl'iracondi e degli accidiosi; il secondo contiene essa città di Dite, dove sono castigati gli eretici. E qui è da avvertire che noi non intendiamo per gradi quelli che da Dante sono chiamati cerchi, perché noi ponghiamo, i gradi esser distinti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro, il che non sempre accade ne i cerchi, atteso che nel quinto grado ponga il Poeta al medesimo piano dui cerchi. Ma perché gli altri gradi sono dal Poeta chiamati cerchi ancora, possiamo dire, tutti essere 9 cerchi in 8 gradi. Seguita poi il sesto grado e settimo cerchio, tormento dei violenti, il quale è distinto in 3 gironi, così nominati dall'Autore. E qui possiamo notare la differenza che pone Dante tra cerchio e girone, essendo i gironi parti de i cerchi, come di questo settimo, diviso in 3 gironi, de i quali l'uno racchiude l'altro; ed il primo, e maggiore di circuito, che è un lago di sangue, racchiude il secondo, che è un bosco di sterpi, il quale rigira intorno al terzo girone, che è un campo di rena: onde nel 13° si legge: E 'l buon Maestro: Prima che più entre, Sappi che sei nel secondo girone, Mi cominciò a dire, e sarai mentre Che tu verrai nell'orribil sabbione.

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Il settimo grado ed ottavo cerchio contiene tutte Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti. L'ottavo ed ultimo grado, che è il nono cerchio, abbraccia le quattro spere di ghiaccio de i traditori. Ma passando alle distanze da l'un grado all'altro, le quali sono 8, dico che le prime sei sono uguali tra di loro, e ciascheduna è l'ottava parte del semidiametro della terra, che sono miglia 405 15/22: e tanto è distante il Limbo da la superficie della terra, altrettanto il secondo grado da esso Limbo, il terzo dal secondo, il quarto dal terzo, il quinto dal quarto, ed il sesto dal quinto. Restano le due ultime distanze, ciò è la distanza dal cerchio de i violenti a Malebolge, che è la profondità del burrato di Gerione, e quella da Malebolge alle ghiacce, che è il pozzo de i giganti; le quali due distanze sarebbono state ancor esse poste dal Manetti uguali tra di loro ed all'altre, ciò è ciascheduna l'ottava parte del semidiametro, se non avesse osservato in Dante luoghi da i quali necessariamente si cava, esse dovere essere disuguali. Ma perché Dante dice, la nona e penultima bolgia girare miglia 22, sentendo nel canto ventesimo nono da Virgilio queste parole: Tu non hai fatto sì all'altre bolge: Pensa, se tu annoverar le credi, Che miglia ventidue la valle volge, e, per consequenza, viene ad aver di diametro miglia 7; e girando la decima miglia 11, come si vede nel canto sequente, dove dice: S'io fussi pur di tanto ancor leggiero, Ch'io potess'in cent'anni andar un'oncia, Io sare' messo già per lo sentiero, Cercando lui tra questa gente sconcia, Con tutto che la volga undici miglia, E men d'un terzo di traversa non ci ha, ed avendo, per conseguenza, di diametro miglia 3 ½; resta che la larghezza della nona bolgia sia miglia 1 ¾; e dando tanto di larghezza a ciascuna delle altre, la prima e maggior bolgia viene ad aver di diametro miglia 35; e tanto è il diametro del fine della penultima distanza, che è, come si è detto, l'intervallo dal grado de i violenti a Malebolge. E se tanto è lì di diametro l'Inferno, facendo il conto troveremo, dovere esser distante tal luogo dal centro miglia 81 3/22, come appresso, quando parleremo delle larghezze delle bolge, si dimostrerà; e se miglia 81 3/22 è l'ultima distanza, il restante sino a i 2/8 del semidiametro della

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terra sarà la penultima, ciò è miglia 730 5/22. Tanta dunque è la profondità del burrato, essendo la profondità del pozzo miglia 81 3/22. Ora, devendo venire al modo tenuto dal Manetti per investigare le larghezze per traverso de i gradi tutti dell'Inferno, giudichiamo esser necessario preporre una proposizione geometrica, la cui cognizione grandemente ci aiuterà all'intelligenza di quanto si ha da dire, ed è questa: Se tra due linee concorrenti siano descritte alcune parti di circonferenze di cerchi, che abbino per centro il punto del concorso delle linee, averanno dette circonferenze tra di loro la medesima proporzione che i semidiametri de i lor cerchi. E questo è manifesto, perché si faranno settori di cerchi simili, de i quali i lati sono proporzionali agli archi, come in geometria si dimostra. Posto questo, torniamo alle larghezze. Riprese dunque il Manetti le linee rette che di sopra tirammo dal centro del mondo, l'una a Ierusalem, l'altra all'estremità, o vogliamo dire all'orlo, della sboccatura dell'Inferno (quando arrivasse sino alla superficie della terra); e nell'arco che da l'una all'altra di esse si tirò, che in lunghezza è miglia 1700, segnati 10 spazii, ciascheduno di miglia 100, cominciando dalla sboccatura, da questi cavò le larghezze di alcuni gradi e gironi, come più particolarmente adesso vedremo. Perciò che, preso il termine del primo centinaio e da esso tirata una linea al centro del mondo, terminò con essa la larghezza del Limbo, ciò è del primo cerchio; e perché questa linea con quella purdianzi tirata dall'orlo della sboccatura al centro si va proporzionatamente ristringendo sino al centro, nel quale ad essa si unisce, e la distanza del Limbo dalla superficie della terra si pose esser l'ottava parte del semidiametro, seguirà, per la proposizione preposta, che detta larghezza del Limbo sia ristretta per l'ottava parte di quello che era nella superficie della terra; e perché quivi era miglia 100, cavandone l'ottava parte, ciò è miglia 12 ½, resterà la larghezza del Limbo miglia 87 ½. Ripreso poi il secondo centinaio, e dal suo termine verso Ierusalem tirata un'altra linea sino al centro, con essa terminò la larghezza del secondo cerchio; il quale per esser lontano dalla superficie della terra per 2/8 del semidiametro, scemata con la medesima proporzione la larghezza, che su la superficie è miglia 100, restò la larghezza del secondo cerchio miglia 75. Ed osservando simil ordine nel terzo e quarto grado, di scemare le larghezze con la proporzione delle distanze

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loro dalla superficie della terra, al terzo assegnò di larghezza miglia 62 ½, ed al quarto miglia 50. Ma per determinare la larghezza del quinto grado, prese nell'arco detto, sopra la superficie della terra, 3 centinaia, e questo perché il quinto grado si divide in 2 cerchi, il primo de i quali ancora si divide in 2 gironi, ciò è nella palude Stige e nelle fosse, ma il secondo cerchio, ciò è la città, resta indiviso: e perché questo grado è lontano dalla superficie della terra 5/8 del semidiametro, scemando con simil proporzione la larghezza, che nella superficie della terra è miglia 300, cavò la larghezza del quinto grado, ciò è miglia 112 ½; delle quali la terza parte, ciò è 37 ½, ne diede alla palude, altre 37 ½ alle fosse, l'altra terza parte al cimitero degli eresiarchi, dentro la città. E così sino a questo grado si sono consumate 7 delle 10 centinaia che nell'arco sopra la terra si notarono, ciò è 4 per i 4 primi cerchi, e 3 per il quinto. Restano dunque 3 centinaia, le quali ci danno la larghezza del sesto grado, che, per esser distinto in 3 gironi, ciò è nel lago sanguigno, nel bosco e nel campo arenoso, acconciamente se gli convengono: e per esser questo grado lontano dalla superficie della terra per 6/8 del semidiametro, scemando a tal proporzione le 300 miglia che aviamo in superficie, resteranno miglia 75, delle quali 25 a ciascun girone ne assegneremo. Aviamo sin qui delle 1700 miglia, notate nella superficie sopra l'arco da Ierusalem alla sboccatura, distribuitene 1000 in assegnare le larghezze a i 6 gradi predetti: restanci dunque miglia 700 da distribuirsi per le larghezze de i cerchi rimanenti, ciò è per Malebolge e per il pozzo dei giganti; la quale distribuzione, perch'io la trovo tanto esquisitamente corrispondere alle larghezze che dal Poeta stesso al pozzo ed alle bolge sono assegnate, m'induce, e non senza stupore, a credere, la opinione del Manetti in tutto esser conforme all'idea conceputa da Dante di questo suo teatro. Dovendo dunque venire a tal distribuzione, è bene che dimostriamo prima quello che poco fa promettemmo; ciò è che se Malebolge è, nella sua maggior larghezza, di semidiametro miglia 17 ½, come da Dante stesso si trae, devano necessariamente da Malebolge al centro esser miglia 81 3/22. È manifesto che alle 17 miglia e ½, che ha per semidiametro Malebolge nella sua maggior larghezza, corrispondono nella superficie della terra miglia 700; ne seguita dunque necessariamente, per la preposta proposizione, che tanto maggiore sia la distanza della superficie della

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terra dal centro, della distanza di Malebolge dal medesimo centro, quanto la larghezza delle miglia 700 è maggiore della larghezza delle miglia 17 ½: ma le miglia 700 sono 40 volte a punto maggiori che le miglia 17 ½; dunque la distanza dalla superficie della terra al centro sarà 40 volte maggiore che la distanza di Malebolge dal medesimo centro. In oltre la distanza della superficie dal centro, ciò è il semidiametro della terra, è miglia 3245 5/11, la cui quarantesima parte è 81 3/22: la distanza dunque di Malebolge dal centro è necessariamente miglia 81 3/22. E questo è quello che noi dimostrar doveamo. Ora, ripigliando quello che a dir si avea della distribuzione delle 700 miglia per assegnare le larghezze alle bolge ed al pozzo, dico che cavandosi da Dante, come di sopra dicemmo, la larghezza del pozzo esser di semidiametro un miglio, la larghezza di quello spazio che resta tra l'ultima bolgia ed il pozzo esser ¼ di miglio, quella dell'ultima bolgia ½, e finalmente le larghezze delle nove bolge rimanenti esser, di ciascheduna, un miglio e ¾, se troveremo tal quantità di miglia nel cerchio di Malebolge importare nella superficie della terra miglia 700, indubitatamente potremo affermare, con maravigliosa invenzione avere il Manetti investigata la mente del Poeta. E perché si è dimostrato, la distanza della superficie della terra dal centro esser 40 volte maggiore della distanza di Malebolge dal medesimo, ed a le distanze proporzionatamente rispondono le larghezze, quello che in Malebolge per larghezza sarà 1, nella superficie della terra importerà 40: ma si è trovato che, secondo la mente del Poeta, il semidiametro del pozzo è miglia 1; questo dunque nella superficie della terra importa miglia 40: la distanza tra 'l pozzo e l'ultima bolgia è ¼ di miglio, che nella superficie importa miglia 10: l'ultima bolgia per larghezza è ½ miglio; ad essa dunque nella superficie rispondono miglia 20: ciascuna delle rimanenti 9 bolge ha di traversa miglia 1 ¾; a ciascuna dunque di esse nella superficie corrispondono miglia 70: ma sommando insieme 9 volte 70, per le 9 bolge, con 20 per la decima bolgia, con 10 per lo spazio tra la decima bolgia ed il pozzo, e con 40 per il semidiametro del pozzo, fanno a punto miglia 700, che è quello che ci restava da consumare sopra la superficie. Mirabilmente, dunque, possiamo concludere aver investigata il Manetti la mente del nostro Poeta. Questo discorso e la dimostrazione della distanza da Malebolge al centro aviamo noi aggiunto a quello che per esplicazione del ritrovamento del Manetti da' suoi amici fu scritto, parendoci, come

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veramente è, che avessino tralasciata di dichiarare la più sottile invenzione dal gentile ingegno del Manetti investigata. Ora ci resta, per compita esplicazione del nostro proponimento, addurre le grandezze di ciascuna delle 4 giacce cavate da l'istesso Poeta: ed il modo che si ha da tenere per conseguir questo, sarà tale. Noi aviamo nel canto trentesimoquarto queste parole: L'imperador del doloroso regno Da mezzo 'l petto uscia fuor della giaccia; E più con un gigante io mi convegno, Ch'i giganti non fan con le sue braccia: Pensa oramai quant'esser dee quel tutto, Ch'a così fatta parte si confaccia. Sendo dunque nostro scopo investigar la grandezza delle giacce, e sapendo che Lucifero uscia fuori della minore (ché di quella si parla nel luogo citato) da mezzo 'l petto in su, e sapendo in oltre che il medesimo Lucifero ha l'ombelico nel centro del mondo, come dall'istesso Poeta nel medesimo canto si trae, dove dice: Quando noi fummo là dove la coscia Si volge a punto sul grosso dell'anche, Lo Duca con fatica e con angoscia Volse la testa ov'egli avea le zanche, Ed aggrappossi al pel com'uom che sale, Sì ch'in Inferno io credea tornar anche; se dunque saperemo quanta sia la grandezza di Lucifero, aremo la distanza ancora che è dall'ombelico al mezzo del petto, e per consequenza il semidiametro della minore sferetta. Ma quanto alla grandezza di Lucifero, aviamo ne i citati versi esser tale, che maggior convenienza ha Dante con un gigante, che un gigante non ha con un braccio di Lucifero: se dunque noi saperemo la grandezza di Dante e quella d'un gigante, potremo da queste investigar la grandezza di Lucifero. Ma di Dante aviamo, da quelli che scrivono la vita di esso, essere stato di commune statura, la quale è 3 braccia: restaci dunque solamente da investigare la grandezza di un gigante; e così aviamo risoluto la nostra proposta, che era di trovare la grandezza delle giacce, a dover solamente investigare la grandezza d'un gigante, onde poi, con ordine compositivo, potremo conseguire il nostro intento: però che, essendoci data la grandezza d'un gigante, sarà nota la proporzione che ha ad esso un uomo, e però la proporzione che ha un gigante ad un braccio di Lucifero; ma è nota la proporzione che ha un braccio a tutto

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'l corpo, onde la grandezza di Lucifero ci sarà manifesta; ed auta questa, aremo la distanza dal mezzo del petto all'ombelico, e per consequenza il semidiametro della minore sfera, e finalmente essa sfera, con la quale alle sfere rimanenti assegneremo le grandezze. Passiamo dunque ad investigar la grandezza d'un gigante. Scrive il Poeta, parlando di Nembrot, primo de i giganti che lui trovasse nel pozzo: La faccia sua mi parea lunga e grossa Come la pina di San Piero a Roma; Ed a sua proporzione eron l'altr'ossa. Se dunque la faccia d'un gigante è quanto la Pina, sarà 5 braccia e ½, ché tanto è essa: e perché gli uomini ordinariamente sono alti otto teste, ancor che i pittori e gli scultori, e tra gli altri Alberto Durero, nel suo libro della misura umana, tenga che i corpi ben proporzionati devano esser 9 teste, ma perché di sì ben proporzionati rarissimi si trovano, porremo il gigante dovere esser alto 8 volte più che la sua testa; onde sarà un gigante in lunghezza braccia 44, ché tanto fa moltiplicato 8 per 5 ½. Dante dunque, ciò è un uomo commune, ad un gigante ha la proporzione di 3 a 44: ma perché un uomo ad un gigante ha maggior convenienza che un gigante ad un braccio di Lucifero, se noi faremo, come 3 a 44, così 44 a un altro numero, che sarà 645, aremo, un braccio di Lucifero dovere essere più che 645 braccia. Ma lasciando quel più, che ci è incerto, riservandoci a computarlo nel fine, diciamo, un braccio di Lucifero esser braccia 645: ma perché la lunghezza di un braccio è la terza parte di tutta la altezza, sarà l'altezza di Lucifero braccia 1935, ché tanto fa moltiplicato 645 per 3. Ma perché maggiore è la convenienza tra un uomo ed un gigante che tra 'l gigante ed un braccio di Lucifero, e noi aviamo fatto questo conto quasi che tal proporzione fosse la medesima, e se la fosse sarebbe alto Lucifero braccia 1935, aggiungendoli quel più incerto che li manca, potremo ragionevolmente concludere, Lucifero devere esser alto braccia 2000; e questo se è così, sarà l'intervallo che è dall'ombelico al mezzo del petto braccia 500, però che è la quarta parte di tutto 'l corpo; e tanto sarà il semidiametro della minore sferetta. E perché non è in Dante luogo dal quale si possino cavar le grandezze dell'altre tre sfere rimanenti, giudica il Manetti, doversi ragionevolmente credere, le altre ancora aver la medesima grossezza: e perché una cinge l'altra, non altramente che l'un cielo l'altro circondi, sarà il semidiametro della

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penultima braccia 1000, quello della seconda 1500, e finalmente la prima e maggiore arà per semidiametro braccia 2000. Questo è quanto all'universale esplicazione della figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante secondo l'opinione del Manetti, mi parea necessario doversi dire. Resta ora, per intera satisfazione di quanto al principio promettemmo, con una breve narrazione del viaggio fatto dal Poeta per tale Inferno, che comprendiamo alcune cose particolari e degne d'esser sapute; e nel medesimo tempo accenneremo di nuovo l'ordine, numero, distanze e larghezze de i cerchi infernali, acciò che meglio nelle menti vostre restino impressi. Nel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai in una selva oscura, Che la diritta via era smarrita; e questo fu l'anno della nostra salute 1300, anno di giubbileo, di notte, essendo la luna piena. La selva dove si trovò è, secondo il Manetti, tra Cuma e Napoli, e qui era l'entrata dell'Inferno; e ragionevolmente la finge esser quivi: prima, perché 'l cerchio della sboccatura dell'Inferno passa a punto intorno a Napoli; secondo, perché in tal luogo, o non molto lontani, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi, che da gli effetti orribili che fanno paiono da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica, aver il Poeta figurata ivi l'entrata dell'Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose. Quindi arrivati alla porta dell'entrata, sopra la quale erano scritte di colore oscuro le parole: Per me si va nella città dolente, Per me si va nell'eterno dolore, Per me si va tra la perduta gente; cominciarono a scendere per una china repente, finché arrivarono alla grotta de gli sciagurati, spiacenti a Dio ed al suo inimico. È questa grotta una amplissima caverna, posta tra la superficie della terra e l'orlo dell'Inferno, quasi che quelli che vi abitano abbiano bando del cielo e dell'abisso: in questa trovarono gli sciagurati correr dietro ad una insegna. Seguitando poi pur di scendere, arrivarono al fiume Acheronte. Questo fiume passa intorno al primo cerchio d'Inferno, ciò è al Limbo; e qui trovarono Caron demonio, che nella gran barca tragetta le anime all'altra riva. In questo luogo, per il tremore della terra e per il lampo d'una vermiglia luce, tramortì 'l Poeta, e di poi, da un gran tuono risvegliato, si trovò su l'altra ripa; per la quale camminando, pervenne

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alla calle del primo cerchio, e per essa entrato, insieme con Virgilio, nel Limbo, si volse camminando a man destra, e vedde i parvoli innocenti, morti senza battesmo, e quelli che vissono moralmente, ma senza la fede cristiana, né ivi hanno altro tormento che la sola privazione della vision di Dio: in questo cerchio trovarono la fiamma ardente ed il nobile castello, circondato da 7 circuiti di mura. È questo cerchio distante da la superficie de la terra l'ottava parte del semidiametro, ciò è miglia 405 15/22, ed è largo per traverso miglia 87 ½. Di questo cercatane la decima parte, calarono nel secondo, minore e più basso, dove sotto Minos, giudice de i dannati, sono puniti da continua agitazione, tra le nugole, i lussuriosi: e la distanza di tal cerchio dal primo è quanto la distanza del primo dalla superficie della terra, ciò è miglia 405 15/22, ed è largo miglia 75. Di questo cercatane pure la decima parte, calarono al terzo, distante dal secondo similmente miglia 405 15/22, e largo miglia 62 ½, dove i golosi sotto Cerbero da continua pioggia e grandine sono travagliati. Scesero di poi nel quarto e del terzo minore, avendo di traversa miglia 50, e dal terzo è lontano similmente miglia 405 15/22; nel quale sotto Plutone si tormentano i prodigi e gli avari, col volgersi l'un contro l'altro gravissimi pesi. Di questo cercando, pure su la man destra, la decima parte, trovarono vicino al fine un fonte, dal quale deriva una fossa, che, cadendo nel quinto cerchio, fa di sé la palude Stige. Per questo fossato scendendo 'l Poeta al quinto grado, che del quarto è più basso miglia parimente 405 15/22, distinto in 2 cerchi, il maggior de i quali contiene due gironi, ciò è la palude Stige, larga miglia 37 ½, dove sotto Flegias sono punite due specie di peccatori, ciò è gl'iracondi sopra e gli accidiosi sotto la belletta; e le fosse intorno alla città, larghe pur miglia 37 ½, tormento de gl'invidiosi e de i superbi; l'altro cerchio è la città di Dite, dentro la quale, sotto l'imperio delle Furie, nelle sepolture infocate sono castigati gli eretici. A questa città, che per traverso è larga miglia 37 ½, passarono dalla riva della palude sopra la barca di Flegias, cercando, sì di essa palude, come delle fosse ancora e di essa città, la decima parte, camminando sempre su la man destra. Di questo grado, per una grandissima rovina di pietre, scesero nel sesto, del quinto più basso parimente miglia 405 15/22, ed è diviso in 3 gironi, ciascheduno de i quali è per larghezza miglia 25: e nel primo, che è un lago di sangue, detto Flegetonte, sono puniti sotto 'l Minotauro i violenti al prossimo, il cui tormento è l'esser saettati da i Centauri qual volta ardissono alzarsi fuor del sangue: nel secondo son

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tormentate due sorti di violenti, ciò è i violenti contro a lor medesimi, e questi sono trasformati in nodosi sterpi, delle cui foglie si cibano ingorde Arpie; ed i violenti contro i proprii beni, e di questi la pena è l'esser dilaniati da nere ed affamate cagne: nel terzo girone, sopra cocente arena, da continue fiamme che ivi piovono, sono afflitti i violenti a Dio, alla natura ed all'arte. Di questi 3 gironi cercatane, pure su la man destra, la decima parte, essendo nel campo arenoso trovarono uno stretto rivo di sangue, il quale, dalla statua posta dal Poeta sopra 'l monte Ida in Creta dirocciando per l'abisso, fa Acheronte, Stige, Flegetonte, e Cocito, fiumi principali d'Inferno. E camminando Dante lungo detto rivo verso il mezzo, pervenne alla sponda del burrato di Gerione, dove, salito insieme con Virgilio sopra le spalle della fiera, fu per quell'aer cieco calato su 'l settimo grado, che è quello che in 10 bolge è distinto, nelle quali sotto Gerione dieci specie di fraudolenti son castigati, de i quali troppo lungo sarebbe raccontare tutte le pene. È questo grado lontano dal superiore miglia 730 5/22, e tanta viene ad esser la profondità del burrato. Ha ciascuna delle bolge, di traversa, un miglio e ¾, eccetto l'ultima, che è larga ½ miglio, dalla quale sino al pozzo de i giganti, posto nel mezzo, è uno spazio di ¼ di miglio; talché in tutta la traversa di Malebolge è miglia 16 ½: e sono da uno stretto argine o ponticello attraversate tutte, eccetto però che la sesta, sopra la quale per certo accidente è rovinato il ponte. Attraversate che ebbe Dante le bolge, essendo pervenuto al pozzo, fu da Anteo gigante, insieme con Virgilio, calato su la diaccia, detta Caina, che è la prima e maggiore spera e che le altre circonda, nelle quali sotto Lucifero sono castigati i traditori: e nella prima, i traditori al prossimo; nella seconda, detta Antenora, i traditori contro la patria; nella terza, detta Tolomea, i traditori a i lor pari benefattori; nella quarta, detta Giudecca, i traditori contro al lor signore. È la distanza delle diacce da Malebolge, ciò è la profondità del pozzo de i giganti, miglia 81 ½. Nel mezzo di esse diacce è posto Lucifero; al quale arrivati Virgilio e Dante, descendendogli per i suoi velli sino all'ombelico, dove è il centro del mondo, e quindi cominciando a salirgli su per l'irsute cosce, finalmente trapassarono a i suoi piedi verso l'altro emisfero, dove per una attorta via salirono, e quindi uscirno a riveder le stelle. Resterebbeci ora da vedere l'opinione del Vellutello, e poi le ragioni che per l'una e per l'altra opinione addur si potrebbono: ma perché il discorso sin qui auto mi è riuscito più lungo assai che non credeva, per

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non tener più a tedio tanti nobilissimi uditori, trasferiremo il nostro ragionamento a tempo più oportuno. II. Aviamo nella passata lezione, per quanto dalle nostre forze ci è stato conceduto, dichiarata la opinione del Manetti circa 'l sito e figura dell'Inferno di Dante: oggi è la nostra intenzione esplicar prima la mente di Alessandro Vellutello circa la medesima materia, poi addurre quelle ragioni che ci persuadano, quella a questa esser da preporsi. E per più brevemente e facilmente conseguire l'intendimento nostro quanto a la prima parte, giudichiamo commodo ordine essere il veder prima in quali cose l'una opinione con l'altra convenga, di poi in quali da la medesima sia differente. Concorda il Vellutello co 'l Manetti, prima, quanto al sito di esso Inferno, ponendolo ciascheduno sotto tal parte dell'aggregato, che per colmo ha Ierusalem; talmente che se dal centro universale a Ierusalem si tiri una linea retta, sarebbe l'Inferno ugualmente da tutte le parti circa detta linea distribuito. Non è differente ancora l'uno dall'altro nel numero ed ordine de i gradi, come né nella divisione di essi in varii cerchi e gironi, nel modo che l'altr'ieri dichiarammo. E finalmente sono concordi nelle grandezze di Malebolge: ed in tutto questo convengono, perché così essere dal Poeta stesso apertamente si cava. Sono poi differenti, prima, quanto all'universal grandezza di tutto l'Inferno; Secondo (che dal primo necessariamente ne conséguita), nelle grandezze e distanze de i gradi particolari, eccetto però, come si è detto, nelle larghezze di Malebolge; Terzo, sono discordi nelle grandezze de i giganti e di Lucifero; Quarto, nella figura delle giacce; Quinto, nella grandezza e sito del nobile castello che dal Poeta è figurato nel Limbo; Sesto, sono differenti nell'assegnare il cammino che tennero Dante e Virgilio nel descendere al centro, stimando il Manetti che, girando per i gradi, procedessero talmente che la sinistra fosse verso il mezzo, il cui contrario ha creduto il Vellutello;

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Settimo, disconvengono nell'assegnare il numero de i ponti di Malebolge. Differentissimi dunque sono, prima, circa la universal grandezza di tutto l'Inferno, atteso che il Vellutello lo ponga meno che la millesima parte di quello che lo pone il Manetti: però che, volendo il Vellutello che la profondità del suo Inferno non sia più che la decima parte del semidiametro della terra, se tale Inferno fosse una intera sfera, sarebbe una delle mille parti di tutto l'aggregato, come da gli Elementi d'Euclide facilmente si cava; ma di tale sfera l'Inferno del Vellutello è meno che una delle 14 parti, come l'Inferno del Manetti di tutto l'aggregato; adunque seguita che, come si è detto, il Vellutello figuri l'Inferno suo non maggiore che una delle mille parti di quello che dal Manetti è figurato. Ma come raccolga il Vellutello, la profondità del suo Inferno esser la decima parte del semidiametro dell'aggregato, possiam comprendere recandoci innanzi il componimento di tal sua fabbrica. E prima, doviamo intendere un pozzo, quale sì nella sommità come nella profondità abbia di diametro un miglio, e tanta ancora sia la sua altezza, nel cui fondo sia, a guisa di una grandissima macina (e siami lecito pigliar tale essempio), il giaccio grosso braccia 750; e sia questa giaccia distinta in 4 cerchi, che l'uno circondi l'altro, e nel mezzo del minore sia un pozzetto, come ancora nelle macine si vede, profondo quanto è la grossezza del giaccio, ciò è braccia 750, nel mezzo della cui profondità viene ad essere il centro del mondo, ed in questo pozzetto stia Lucifero; e l'altro e maggior pozzo, poco fa figurato, sia quello intorno alla cui sboccatura da mezza la persona escan fuori i giganti, e del quale intende il Poeta quando dice: Però che come in su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, Così la proda, che 'l pozzo circonda, Torreggiavan di mezza la persona Gli orribili giganti, cui minaccia Giove dal ciclo ancora, quando tona. Sarà dunque la sboccatura del pozzo de i giganti lontana dal centro universale un miglio ¼, ciò è un miglio, come si è detto, per la sua profondità, e braccia 750, che sono ¼ di miglio, per la grossezza del giaccio e profondità del pozzetto in cui è posto Lucifero. Intorno alla sboccatura del pozzo de i giganti pone il Vellutello la valle di Malebolge, con le medesime misure assegnateli ancora dal Manetti;

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talmente che la maggiore ha di semidiametro miglia 17 ½. Ma perché questa valle di Malebolge pende verso il mezzo, come da quei versi di Dante è manifesto: Ma perché Malebolge inver la porta Del bassissimo pozzo tutta pende, Lo sito di ciascuna valle porta Che l'una costa surge e l'altra scende; gli dà il Vellutello miglia 14 di pendio, onde la prima bolgia viene ad essere più lontana dal centro che l'altra miglia 14. Intorno alla più alta bolgia surge con egual semidiametro, ciò è con miglia 17 ½, un altro grandissimo pozzo, chiamato dal Poeta burrato, la cui altezza è posta dal Vellutello dieci volte maggiore che 'l pendio di Malebolge, ciò è miglia 140; né la sommità è da esso figurata più larga che 'l fondo. Intorno alla sommità e sboccatura di questo burrato pone volgersi 3 gironi de i violenti, a ciascheduno de i quali dà miglia 5 5/6 di larghezza, tal che tutto il cerchio ha di traversa miglia 17 ½: e perché tanto è ancora il semidiametro del burrato, sarà tutto il semidiametro del cerchio de i violenti miglia 35, e l'intero diametro miglia 70. Seguitano poi sopra 'l grado de i violenti 6 altri gradi, il primo de i quali contiene la città di Dite, i fossi attorno ad essa, e la palude Stige, ed è lontano da esso grado de i violenti miglia 70, quanto a punto è figurato il diametro del maggior girone; e la salita da essi violenti al superior cerchio è tale, che tanto ha di diametro nel fondo, quanto nella sommità, salvo che in alcuni luoghi finge il Poeta, per certo accidente, esser tal ripa rovinata, per una delle quali rovine si descende. A questo grado, che immediatamente è sopra i violenti, dà il Vellutello miglia 18 di traversa, delle quali ½ ne assegna per il traverso della città, ½ per la larghezza de i fossi attorno ad essa, e le rimanenti miglia 17 vuole che siano la larghezza della palude Stige, che i detti fossi circonda; tal che il maggior diametro sarà miglia 106. Surge poi intorno a la palude una ripa, ma non va salendo come le altre salite de i pozzi che sin qui aviamo aute, ma sale (per usar la sua propria voce) a scarpa, sì che dove nel suo più basso luogo, ciò è al piano della palude, avea di diametro miglia 106, nella sua superiore sboccatura ne ha 140; ed è la salita di questa spiaggia a scarpa tanto repente, che salendo di linea perpendicolare miglia 14, si allarga miglia 17: e simil modo di salire si osserva in tutti gli altri gradi superiori.

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Sopra l'estremità di questa salita si aggira un piano, che di traversa ha ½ miglio; e questo è il cerchio de i prodigi e de gli avari, il cui diametro viene ad esser miglia 141, ciò è 140, come si è detto, per la sboccatura della ripa per la quale ad esso si sale, ed 1 per le due larghezze di ½ miglio l'una, che ad esso si sono assegnate. Da questo cerchio si passa a quello de i golosi per una così fatta salita a scarpa, la quale, ascendendo miglia 14 di perpendicolo, si allarga miglia 17, sì che dove tal ripa nel suo basso era di diametro 141, sarà nella sua estrema sboccatura miglia 175; intorno a la quale esso cerchio de i golosi si distende con una larghezza di mezzo miglio, tal che il suo maggior diametro viene ad esser miglia 176. Da questo cerchio con simil salita si perviene a quello de i lussuriosi, che pure ha di traversa ½ miglio; e da questo con altra simil salita si ascende al primo cerchio, che è il Limbo, la cui traversa pone il Vellutello, come delli altri cerchi, ½ miglio, del quale ¼ ne assegna alla larghezza per traverso del nobile castello, che s'immagina esser posto intorno a la sboccatura, e l'altro ¼ lo dà per larghezza d'un verdeggiante prato che 'l castello circondi. Intorno all'estremità del prato fa surgere una ripa, che nella maniera delle altre ascendendo a scarpa, si alza a perpendicolo 14 miglia, allargandosi, più che nel fondo non è, miglia 17; tal che il diametro di questa sboccatura viene ad esser miglia 280, come, facendone il conto, facilmente si raccoglie. E tanta ancora trova il Vellutello essere la profondità dell'Inferno, misurando dalla sboccatura del Limbo a perpendicolo sino a Malebolge: atteso che ei ponga la profondità del burrato esser miglia 140, la distanza da i violenti alla città di Dite 70, che fanno miglia 210, alle quali aggiungendo cinque salite per le distanze de i cerchi rimanenti, di 14 miglia l'una, fanno a punto la somma di miglia 280. Finge poi, l'orlo ed estremità del Limbo esser da una pianura circondata, la cui larghezza per traverso sia miglia 17 ½, delle quali la metà ne assegna al fiume Acheronte, l'altra metà alla grotta de gli sciagurati. Questa è brevemente l'esplicazione dell'opinione del Vellutello, la quale ancora dal profilo del suo disegno forse meglio si comprenderà; e questa è l'invenzione che tanto è piaciuta ad esso Vellutello, che l'ha fatto ridersi del Manetti ed insieme di tutta l'Accademia Fiorentina, affermando, l'Inferno di esso Manetti esser più tosto una fantasia ed un trovato suo e degli altri Accademici, che cosa che punto sia conforme all'intendimento di Dante: il che quanto sia vero, è ormai tempo che cominciamo a considerare.

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E prima, se considereremo l'uno e l'altro disegno senza aver riguardo a luogo alcuno di Dante o ad alcuna ragione che ci persuada più questo che quello aver del verisimile ed esser credibile che così sia stato figurato dal Poeta, ma solamente contempleremo la disposizione del tutto e de le parti, ed in somma, per così dirla, l'architettura dell'uno e dell'altro, vedremo, al parer mio, quanto al tutto, aver più disegno assai quel del Manetti, ed esser composto di parti tra di loro più simili. Parimente ancora par cosa incredibile, l'Inferno dovere esser così piccolo, che non sia quanto una delle trentamila parti della terra, come noi, facendone diligente calcolo, troviamo dovere essere, se si ha da credere l'opinione del Vellutello: e con tutto che lo figuri così piccolo, di esso nulla dimeno piccolissima parte ne assegna per luogo dove siano castigati i peccatori, dando a i 4 primi cerchi solamente ½ miglio di larghezza per ciascuno. Ma lasciamo stare l'architettura, e veggiamo se tal fabbrica può reggersi, che, al parer mio, troveremo non potere; perché, ponendo esso che il burrato si alzi su con le sponde equidistanti tra di loro, si troveranno le parti superiori prive di sostegno che le regga, il che essendo, indubitatamente rovineranno: perciò che essendo che le cose gravi, cadendo, vanno per una linea che dirittamente al centro le conduce, se in essa linea non trovano chi le impedisca e sostenga, rovinano e caggiono; ma se, per essempio, noi tiriamo dalla città di Dite linee sino al centro, queste non troveranno impedimento alcuno, onde essa città, avendo la scesa libera e non impedita, trovandosi sotto priva di chi la regga, indubitatamente rovinerà; ed il simile farà ancora il grado de i violenti, sendo fondato sopra mura i cui perpendicoli da quelli che vanno dirittamente al centro si discostano; e rovinando questi, rovineranno ancora tutti gli altri gradi superiori, che sopra questi si appoggiano. Ma ci è ancora un altro inconveniente: che non solamente è impossibile, se vogliamo sfuggir la rovina di tutto l'Inferno, che le parti superiori manchino di sostegno, ma è ancora ciò contro l'istesso Poeta, il quale, conoscendo quanto fosse necessario, per reggimento di sì gran fabrica, che le superior parti fossero dalle inferiori sostentate, scrisse, essendo nel fondo del burrato al pozzo de i giganti: S'io avessi le rime ed aspre e chiocce, Come si converrebbe al triste buco Sopra 'l qual puntan tutte l'altre rocce.

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Se dunque sopra questa buca puntano e si sostengono le altre rocce, è necessario che le mura che le deono sostenere non siano fuori del perpendicolo che tende al centro. Questo inconveniente non è nell'architettura del Manetti, atteso che ponga tutte le ripe e le mura diritte verso 'l centro, come nel disegno si vede. Quanto poi a i cerchi superiori, dico de i gradi sopra la città, potrebbe alcuno nell'architettura del Vellutello trovarvi qualche commodità, e cosa che di prima vista ci paresse esser verisimile; e questo è il porre le scese da l'uno all'altro non a perpendicolo, come fa il Manetti, ma a scarpa e come le chine de i monti, secondo che le figura il Vellutello, e per le quali scender si possa dell'uno nell'altro grado, massime che il Manetti del modo che tenessero per descendere non ne fa menzione. Ma voglio che questa istessa ragione sia per confutazione di esso Vellutello. Perciò che, se le scese dall'un grado all'altro sono, come esso dice, a guisa de le chine de i monti, per consequenza da qual si voglia parte si potrà da l'uno nell'altro grado descendere; ma noi troviamo, ciò esser contrario a quel che vuol Dante, ponendo che le scese fossero solamente in alcuni luoghi particolari ed in un luogo solo per cerchio, come nel fine del 6° si vede, dove dice: Noi aggirammo a torno quella strada, Parlando più assai ch'io non ridico; Venimmo al punto dove si digrada: Quivi trovammo Pluto, il gran nimico; e nel principio del 7°, dove Virgilio di Satan dice a Dante: ………………………. Non ti noccia La tua paura, ché, poter che gli abbia, Non ti torrà lo scender questa roccia. Adunque, se le scese sono in alcuni luoghi particolari, a guardia delle quali pone ancora Dante a ciascuna un demonio, da gli altri luoghi di necessità non si potrà scendere; e questo allora sarà quando le scese saranno a perpendicolo, come vuole il Manetti, e non come le chine de i monti, secondo il parere del Vellutello. E questo credo io ancora esser così, acciò che i dannati dei gradi più bassi, dove sono maggiori tormenti, come ci insegnò 'l Poeta nel principio del 5° canto: Così discesi del cerchio primaio Giù nel secondo, che men luogo cinghia, E tanto più dolor, che punge a guaio; acciò che, dico, essi dannati inferiori non possino scappare e fuggirsi a i gradi più alti, in minor tormenti: e questo par che abbia voluto intender

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Dante ponendo a ciascun luogo, dove dall'un grado all'altro si sale, a guardia un demonio. Non può dunque essere, considerato quanto al tutto, l'Inferno di Dante di tale architettura, né di sì piccola grandezza, come dal Vellutello è stato finto; il che, oltre alle ragioni addotte, proviamo ancora per l'istesso Dante, dico quanto alla grandezza. Che se l'Inferno non è più profondo che la decima parte del semidiametro della terra, come esso vuole, avendo Virgilio condotto Dante al primo cerchio, a che proposito gli dice, sollecitandolo ad affrettare il passo: Andiam, che la via lunga ne sospinge. Così si mise e così mi fé entrare Nel primo cerchio che l'abisso cinge. Se dunque Virgilio chiama la via, che aveano a fare, lunga, non può intendere che la sia lunga se non rispetto a quella che pur allora aveano camminata; il che se è così, non sarà il viaggio fatto 9 volte maggiore di quello che a fare aveano, e per consequenza l'Inferno, per il quale aveano a calare al centro, non sarà così piccolo come vuole il Vellutello. Qui ci potrebbe essere opposto che né l'Inferno si deve credere esser così grande come il Manetti lo pone; essendo che, sì come alcuni hanno sospettato, non par possibile che la volta che l'Inferno ricuopre, rimanendo sì sottile quant'è di necessità se l'Inferno tanto si alza, si possa reggere, e non precipiti e profondi in esso Inferno; e massime, oltre al rimanere non più grossa dell'ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 incirca, essendovi ancora da levarne per lo spazio della grotta degli sciagurati, ed essendoci molte gran profondità di mari. Al che facilmente si risponde, che tal grossezza è suffizientissima: perciò che, presa una volta piccola, fabricata con quella ragione, se arà di arco 30 braccia, gli rimarranno per la grossezza braccia 4 in circa, la quale non solo è bastante, ma quando a 30 braccia di arco se gli desse un sol braccio, e forse ½, non che 4, basteria a sostenersi; onde, sapendo noi che pochissime miglia, anzi che meno di un sol miglio, si profondano i mari, se creder doviamo a i più periti marinari, e potendo assegnare quante miglia ci pare per la grotta de gli sciagurati, non essendogli data dal Poeta determinata misura, quando ancora ponessimo tra questa e la profondità de i mari importare 100 miglia, nulla di meno rimarrà detta volta grossissima, e più assai che non è necessario per sostenersi. Parmi che queste ragioni possino persuaderci, quanto all'universale descrizione aver assai più del verisimile l'Inferno del Manetti che quello

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del Vellutello, ed il medesimo troveremo ancora esaminando distintamente le sue parti, e prima il castello posto nel Limbo: del quale difficil cosa mi pare potersi immaginare come, girando, secondo che vuole esso Vellutello, miglia 770, ed essendo circondato da 7 ordini di alte mura, occupi in tutto per larghezza ¼ di miglio; ché, non che altro, il fabricare sopra un giro, che non sia più largo che ¼ di miglio, 7 circuiti di mura, le quali pur devriano esser grossissime, dovendo, come si è detto, esser di circuito 770 miglia, mi pare un trattar dell'impossibile, o al meno di cosa sproporzionatissima, e molto più dovendoci ancor restare lo spazio per li abitanti. Ci è in oltre un'altra sconvenienza: che ponendo il castello così grande, pone poi la città così piccola che a pena ha la quarta parte di circuito. Per le quali ragioni chi non crederà, il castello dovere esser piccolo, come dal Manetti è figurato, e non altramente girare intorno all'estremità del Limbo, ma nella traversa di esso Limbo esser situato ? Di 4 altre differenze che tra 'l Manetti e 'l Vellutello nascono, non trovo in Dante luoghi che costringhin, più a questa che a quella opinione esser da credersi; ma sono bene ragioni assai probabili in favor del Manetti. E prima, de i dieci ordini di ponti con i quali il Vellutello attraversa Malebolge, non è in Dante luogo onde tal numero cavar si possa; ché se bene né anche afferma il Poeta che un solo fosse, nulla dimeno, bastando un ordine solo, non so a che proposito multiplicarli senza necessità. In oltre, se 10 ordini fossero, troppo gran maraviglia sarebbe come tutt'a 10 si fossero accordati a rovinar sopra la sesta bolgia, massime essendo, come afferma il Poeta, seguita tal rovina a caso, per certo accidente. Che Lucifero poi fosse alto 3000 braccia, e non 2000, come vuole il Manetti, non traendo questa nuova opinione del Vellutello origine da altro che dal voler misurare la Pina prima che fosse rotta e dal voler por i giganti alti 9 teste, non ci par da credere così di leggiero; anzi è cosa credibile che Dante, se pur la misurò, misurasse la Pina come a suo tempo era, e che ei credesse i giganti essere di commune e non di rara sveltezza, quale sarebbe a fargli alti 9 teste. Parimente, che le diacce fossero come macine, e non come sfere, non è né ragione né autorità che a creder ci persuada; anzi, essendo dal Poeta stesso chiamate sfere, come nell'ultimo canto: Tu hai i piedi in su picciola sfera, Che l'altra faccia fa della Giudecca,

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non è privo di temerità il voler dire che avesser forma di macine, quasi che a un ingegno qual era quel di Dante fossero mancate parole da esprimere il suo concetto. Restaci da vedere finalmente del cammino auto per i cerchi, ciò è se fu su la destra, come afferma il Vellutello, o pur su la sinistra mano, come vuole il Manetti: nel che doviamo pur credere ad esso Manetti, avendo in suo favore molte autorità del Poeta, che ci dichiarano che camminando teneva la sinistra verso il mezzo e vano de i cerchi, ed essendosi il Vellutello mosso a creder il contrario solamente per alcuni versi del Poeta, i quali ancora, e meglio, si possono esporre in favor del Manetti; e son questi nel 14°: Ed egli a me: Tu sai che 'l luogo è tondo, E tutto che tu sia venuto molto Pur a sinistra giù calando al fondo... De i quali versi se congiugneremo quelle parole Pur a sinistra con le superiori, dicendo E tutto che tu sia venuto molto pur a sinistra, facendo la posa a mezzo l'ultimo verso, faranno per l'opinione del Vellutello; ma se faremo la posa nel fine del secondo verso, congiungendo le parole Pur a sinistra con le sequenti, in questo modo Pur a sinistra giù calando al fondo, favoriranno l'opinione del Manetti. Ora, in una esposizione incerta, chi non stimerà esser meglio fare la posa nel fine, che nel mezzo del verso? Ma lasciando i luoghi dubbiosi, veggiamo i chiari e manifesti, che alla mente del Manetti si accostano. Scrive Dante nel fine del 9° canto, di poi che furono entrati dentro la città: E poi ch'a la man destra si fu volto, Passammo tra i martiri e tra gli spaldi; e nel fine del 10°: Appresso volse a man sinistra il piede: Lasciammo il muro e gimmo in ver lo mezzo. I quali luoghi essendo tanto chiari come veramente sono, costrinsero il Vellutello a dire che, se ben dentro a la città andarono su la destra, non di meno ne gli altri cerchi camminarono su la sinistra; il che par cosa molto leggiera. Ma perché o procedessero su la destra o su la sinistra, non molto importa al principale intendimento nostro, che è stato di dichiarare il sito e figura dell'Inferno di Dante, ed insieme difendere l'ingegnoso Manetti dalle false calunnie ingiustamente sopra tal materia ricevute, e massime perché non lui solo ma tutta la dottissima Academia

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Fiorentina pungevano, alla quale per molte cagioni obligatissimo mi sento; avendo, per quanto la bassezza del mio ingegno mi concedeva, dimostrato quanto più sottile sia l'invenzione del Manetti, porrò fine al mio ragionamento.

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Le Mecaniche (delle utilità che si traggono dalla scienza e dai suoi istrumenti)

Degno di grandissima considerazione mi è parso, avanti che discendiamo alla speculazione delli strumenti mecanici, il considerare in universale, e di mettere quasi inanzi agli occhi, quali siano i commodi, che dai medesimi strumenti si ritraggono: e ciò ho giudicato tanto più doversi fare, quanto (se non m'inganno) più ho visto ingannarsi l'universale dei mecanici, nel volere a molte operazioni, di sua natura impossibili, applicare machine, dalla riuscita delle quali, ed essi sono restati ingannati, ed altri parimente sono rimasti defraudati della speranza, che sopra le promesse di quelli avevano conceputa. Dei quali inganni parmi di avere compreso essere principalmente cagione la credenza, che i detti artefici hanno avuta ed hanno continuamente, di potere con poca forza muovere ed alzare grandissimi pesi, ingannando, in un certo modo, con le loro machine la natura; instinto della quale, anzi fermissima constituzione, è che niuna resistenza possa essere superata da forza, che di quella non sia più potente. La quale credenza quanto sia falsa, spero con le dimostrazioni vere e necessarie, che averemo nel progresso, di fare manifestissimo. Tra tanto, poiché si è accennato, la utilità, che dalle machine si trae, non essere di potere con piccola forza muovere, col mezzo della machina, quei pesi, che senza essa non potriano dalla medesima forza esser mossi, non sarà fuori di proposito dichiarare, quali siano le commodità, che da tale facoltà ci sono apportate: perché, quando niuno utile fusse da sperarne, vana saria ogni fatica che nell'acquisto suo s'impiegasse. Facendo dunque principio a tale considerazione, prima ci si fanno avanti quattro cose da considerarsi: la prima è il peso da trasferirsi di luogo a luogo; la seconda è la forza o potenza, che deve muoverlo; terza è la distanza tra l'uno e l'altro termine del moto; quarta è il tempo, nel quale tal mutazione deve esser fatta; il qual tempo torna nell'istessa cosa con la prestezza e velocità del moto, determinandosi, quel moto essere di un altro più veloce, che in minor tempo passa eguale distanza. Ora, assegnata qual si voglia resistenza determinata, e limitata qualunque forza, e notata qual si voglia distanza, non è dubbio alcuno, che sia per condurre la data forza il dato peso alla determinata distanza; perciò che, quando bene la forza fusse picciolissima, dividendosi il peso in molte particelle, ciascheduna delle quali non resti superiore alla

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forza, e transferendosene una per volta, arà finalmente condotto tutto il peso allo statuito termine: né però nella fine dell'operazione si potrà con ragione dire, quel gran peso esser stato mosso e traslato da forza minore di sé, ma sì bene da forza la quale più volte averà reiterato quel moto e spazio, che una sol volta sarà stato da tutto il peso misurato. Dal che appare, la velocità della forza essere stata tante volte superiore alla resistenza del peso, quante esso peso è superiore alla forza; poiché in quel tempo nel quale la forza movente ha molte volte misurato l'intervallo tra i termini del moto, esso mobile lo viene ad avere passato una sol volta: né per ciò si deve dire, essersi superata gran resistenza con piccola forza, fuori della constituzione della natura. Allora solamente si potria dire, essersi superato il naturale instituto, quando la minor forza trasferisse la maggiore resistenza con pari velocità di moto, secondo il quale essa camina; il che assolutamente affermiamo essere impossibile a farsi con qual si voglia machina, immaginata o che immaginar si possa. Ma perché potria tal ora avvenire che, avendo poca forza, ci bisognasse muovere un gran peso tutto congiunto insieme, senza dividerlo in pezzi, in questa occasione sarà necessario ricorrere alla machina: col mezzo della quale si trasferirà il peso proposto nell'assegnato spazio dalla data forza; ma non si leverà già, che la medesima forza non abbia a caminare, misurando quel medesimo spazio od altro ad esso eguale, tante e tante volte, per quante viene dal detto peso superata: tal che nel fine dell'azione noi non ci troveremo avere dalla machina ricevuto altro benefizio, che di trasportare il dato peso con la data forza al dato termine tutto insieme; il qual peso diviso in parti, senz'altra machina, dalla medesima forza, dentro al medesimo tempo, per l'istesso intervallo, saria stato trasferito. E questa deve essere per una delle utilità, che dal mecanico si cavano, annoverata: perché invero spesse volte occorre che, avendo scarsità di forza, ma non di tempo, ci occorre muovere gran pesi tutti unitamente. Ma chi sperasse e tentasse, per via di machine far l'istesso effetto senza crescere tardità al mobile, questo certamente rimarrà ingannato, e dimostrerà di non intendere la natura delli strumenti mecanici e le ragioni delli effetti loro. Un'altra utilità si trae dalli strumenti mecanici, la quale depende dal luogo dove dev'essere fatta l'operazione: perché non in tutti i luoghi, con eguale commodità, si adattano tutti li strumenti. E così veggiamo (per dichiararci con qualche essempio), che per cavar l'acqua da un pozzo ci serviremo di una semplice corda con un vaso accommodato

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per ricevere e contenere acqua, col quale attingeremo una determinata quantità di acqua in un certo tempo con la nostra limitata forza: e qualunque credesse di potere con machine di qual si voglia sorte cavare, con l'istessa forza, nel medesimo tempo, maggior quantità di acqua, costui è in grandissimo errore; e tanto più spesso e tanto maggiormente si troverà ingannato, quanto più varie e multiplicate invenzioni anderà imaginandosi. Con tutto ciò veggiamo estrar l'acqua con altri strumenti, come con trombe per seccare i fondi delle navi. Dove però è d'avvertire, non essere state introdotte le trombe in simile uffizio, perché tragghino copia maggiore di acqua, nell'istesso tempo, e con la medesima forza, di quello che si faria con una semplice secchia, ma solamente perché in tal luogo l'uso della secchia o d'altro simile vaso non potria fare l'effetto che si desidera, che è di tenere asciutta la sentina da ogni piccola quantità di acqua; il che non può fare la secchia, per non si potere tuffare e demergere dove non sia notabile altezza di acqua. E così veggiamo col medesimo stromento asciugarsi le cantine, di dove non si possa estrar l'acqua se non obliquamente; il che non faria l'uso ordinario della secchia, la quale si alza ed abbassa con la sua corda perpendicolarmente. Il terzo, e per avventura maggior commodo delli altri che ci apportano li stromenti mecanici, è rispetto al movente, valendoci o di qualche forza inanimata, come del corso di un fiume, o pure di forza animata, ma di minor spesa assai di quella che saria necessaria per mantenere possanza umana: come quando per volgere mulini ci serviremo del corso di un fiume, o della forza di un cavallo per far quell'effetto, al quale non basteria il potere di quattro o sei uomini. E per questa via potremo ancora vantaggiarci nell'alzar acque o fare altre forze gagliarde, le quali da uomini senz'altri ordigni sariano esseguite, perché con un semplice vaso potrian pigliar acqua ed alzarla e votarla dove fa bisogno: ma perché il cavallo, o altro simile motore, manca del discorso e di quelli strumenti che si ricercano per apprendere il vaso ed a tempo votarlo, tornando poi a riempirlo, e solamente abbonda di forza, per ciò è necessario che il mecanico supplisca con suoi ordigni al natural difetto di quel motore, somministrandogli artificii ed invenzioni tali, che, con la sola applicazione della forza sua, possa esseguire l'effetto desiderato. Ed in ciò è grandissimo utile: non perché quelle ruote o altre machine faccino che con minor forza, e con maggior prestezza, o per maggior intervallo, si trasporti il medesimo peso, di quello che, senza tali instrumenti, eguale ma giudiziosa e bene organizzata forza

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potria fare; ma sì bene perché la caduta di un fiume o niente o poco costa, ed il mantenimento di un cavallo o di altro simile animale, la cui forza supererà quella di otto e forse più uomini, è di lunga mano di minor dispendio, che quello non saria che potesse sostentare e mantenere li detti uomini. Diffinizioni Quello che in tutte le scienze demostrative è necessario di osservarsi, doviamo noi ancora in questo trattato seguitare: che è di proporre le diffinizioni dei termini proprii di questa facultà, e le prime supposizioni, delle quali, come da fecondissimi semi, pullulano e scaturiscono consequentemente le cause e le vere demonstrazioni delle proprietà di tutti gl'instrumenti mecanici. I quali servono per lo più intorno ai moti delle cose gravi; però determineremo primamente quello che sia gravità. Adimandiamo adunque gravità quella propensione di muoversi naturalmente al basso, la quale, nei corpi solidi, si ritrova cagionata dalla maggiore o minore copia di materia, dalla quale vengono constituiti. Momento è la propensione di andare al basso, cagionata non tanto dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione che abbino tra di loro diversi corpi gravi; mediante il qual momento si vedrà molte volte un corpo men grave contrapesare un altro di maggior gravità: come nella stadera si vede un picciolo contrapeso alzare un altro peso grandissimo, non per eccesso di gravità, ma sì bene per la lontananza dal punto donde viene sostenuta la stadera; la quale, congiunta con la gravità del minor peso, gli accresce momento ed impeto di andare al basso, col quale può eccedere il momento dell'altro maggior grave. È dunque il momento quell'impeto di andare al basso, composto di gravità, posizione e di altro, dal che possa essere tal propensione cagionata. Centro della gravità si diffinisce essere in ogni corpo grave quel punto, intorno al quale consistono parti di eguali momenti: sì che, imaginandoci tale grave essere dal detto punto sospeso e sostenuto, le parti destre equilibreranno le sinistre, le anteriori le posteriori, e quelle di sopra quelle di sotto; sì che il detto grave, così sostenuto, non inclinerà da parte alcuna, ma, collocato in qual si voglia sito e disposizione, purché sospeso dal detto centro, rimarrà saldo. E questo

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è quel punto, il quale anderebbe ad unirsi col centro universale delle cose gravi, ciò è con quello della terra, quando in qualche mezzo libero potesse descendervi. Dal che caveremo noi questa supposizione: Qualunque grave muoversi al basso così, che il centro della sua gravità non esca mai fuori di quella linea retta, che da esso centro, posto nel primo termine del moto, si produce insino al centro universale delle cose gravi. Il che è molto ragionevolmente supposto: perché, dovendo esso solo centro andarsi ad unire col centro comune, è necessario, non essendo impedito, che vadia a trovarlo per la brevissima linea, che è la sola retta. E di più possiamo, secondariamente, supporre: Ciascheduno corpo grave gravitare massimamente sopra il centro della sua gravità, ed in esso, come in proprio seggio, raccòrsi ogni impeto, ogni gravezza, ed in somma ogni momento. Suppongasi finalmente: Il centro della gravità di due corpi egualmente gravi essere nel mezzo di quella linea retta, la quale li detti due centri congiunge; o veramente, due pesi eguali sospesi in distanze eguali avere il punto dell'equilibrio nel commune congiungimento di esse uguali distanze: come, per essempio,

sendo la distanza CE eguale alla distanza ED, e da esse sospesi due pesi eguali, A, B, supponghiamo il punto dell'equilibrio essere nel punto E, non essendo maggior ragione di inclinare da una che dall'altra parte. Ma qui è d'avvertire, come tali distanze si devono misurare con linee perpendicolari, le quali dal punto della suspensione caschino sopra le linee rette, che dai centri della gravità delli due pesi si tirano al centro commune delle cose gravi. E però, se la distanza ED fusse trasportata in EF, il peso B non contrapeserebbe il peso A; perché tirandosi dai centri della gravità due linee rette al centro della terra, vedremo quella che viene dal centro del peso I esser più vicina al punto E, dell'altra prodotta dal centro del peso A. Devesi dunque intendere, i pesi eguali esser sospesi da distanze eguali, ogni volta che le linee rette, che dai

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loro centri vanno a trovare il centro commune delle cose gravi, saranno egualmente lontane da quella linea retta, che dal termine di esse distanze, ciò è dal punto della suspensione, si produce al medesimo centro della terra. Determinate e supposte queste cose, verremo all'esplicazione di un comunissimo e principalissimo principio di buona parte delli strumenti mecanici, dimostrando come pesi diseguali pendenti da distanze diseguali peseranno egualmente, ogni volta che dette distanze abbino contraria proporzione di quella che hanno i pesi. Che pesi diseguali pesino egualmente, sospesi da distanze diseguali, le quali abbino contraria proporzione di quella che essi pesi si ritrovano avere, non solamente dimostreremo esser vero in quel modo che siamo certi della verità del principio posto sopra, dove si suppose pesi eguali pesare egualmente da distanze eguali; ma dimostreremo essere la medesima cosa per l'appunto, e che altro non è sospendere pesi diseguali da distanze di contraria proporzione, che pesi eguali da distanze eguali.

Intendasi dunque il solido grave CDFE, di gravità omogenea in tutte le sue parti, ed egualmente grosso per tutto, qual saria una figura colonnare o altra simile, il quale dalli estremi punti C, D sia sospeso dalla linea AB, eguale all'altezza del solido. Or dividendo essa linea AB egualmente nel punto G, e da esso sospendendola, non è dubbio alcuno che in esso punto G si farà l'equilibrio: perché la linea che da esso punto si tirasse rettamente al centro della terra, passerebbe per il centro della gravità del solido CF, e di esso intorno a detta linea consisterebbono parti di eguali momenti, e saria il medesimo che se dai punti A, B pendessero due metà del grave CF. Intendasi adesso, esser detto grave secondo la linea IS tagliato in due parti diseguali; è manifesto che la parte CS, come ancora l'altra SD, non staranno più in tale sito, non avendo altri sostegni che li due legami AC, BD. Però, venendo al punto I, intendasi aggiunto un nuovo legame, il quale fermato al punto H, perpendicolarmente sopraposto al taglio IS, sostenga comunemente nel pristino stato l'una e l'altra parte del solido:

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dal che ne séguita che non si essendo fatta mutazione alcuna, o di gravità o di sito, nelle parti del solido rispetto alla linea AB, l'istesso punto G resterà centro dell'equilibrio, come da principio è stato. In oltre, essendo che la parte del solido CS è connessa alla libra mediante li due legami CA, IH, non è dubbio alcuno che se, tagliando detti due legami, ne aggiungeremo un solo MK, da essi due egualmente distante, trovandosi sotto di esso il centro della gravità del solido CS, non si muterà o moverà di sito, ma salverà l'istessa abitudine alla linea AH; e fatto l'istesso dall'altra parte IF, ciò è rotti i legami HI, BD ed aggiunto in mezzo il solo appendicolo NL, è parimente manifesto non esser lui per variare sito o disposizione rispetto alla libra AB: sì che, stando le parti di tutto il solido CF col medesimo rispetto alla libra AB che sempre son state, pendendo l'una, CS, dal punto M, e l'altra, SD, dal punto N, non è dubbio l'equilibrio farsi ancora dal punto medesimo G. E già comincierà ad apparire, come, pendendo dagli estremi termini della linea MN li due gravi, CS, maggiore, ed SD, minore, doventano di eguali momenti, e generano l'equilibrio nel punto G, facendo GN distanza maggiore della GM: e solo rimane, per esseguire compitamente il nostro intento, che dimostriamo, qual proporzione si trova fra il peso CS ed il peso SD, tale ritrovarsi tra la distanza NG e GM; il che non sarà difficile dimostrare. Per ciò che, essendo la linea MH metà dell'HA, e la NH metà della HB, sarà tutta la MN metà della total linea AB; della quale è metà ancora BG; onde esse due MN, GB saranno tra sé eguali: dalle quali trattone la comune parte GN, sarà la rimanente MG eguale alla rimanente NB; a cui è parimente eguale la NH; onde esse MG, NH, saranno ancora eguali; e posta communemente la parte GH, sarà la MH eguale alla GN. Ed avendo già dimostrato, MG agguagliare HN, qual proporzione avrà la linea MH alla HN, tale averà la NG distanza alla distanza GM: ma la proporzione MH ad HN è quella che ha KI a IL, e la doppia CI alla doppia ID, ed in somma il solido CS al solido SD (dei quali solidi le linee CI, ID sono altezze): adunque si conclude, la proporzione della distanza NG alla distanza GM esser l'istessa che ha la grandezza del solido CS alla grandezza del solido SD; la quale, come è manifesto, è quell'istessa che hanno le gravità dei medesimi solidi. E da quanto si è detto parmi che apertamente si comprenda, come gli due gravi diseguali CS, SD non pure pesino egualmente pendendo da distanze le quali contrariamente abbino la medesima proporzione, ma di più come, in rei natura, sia il medesimo effetto, che se in distanze

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eguali si sospendessero pesi eguali: essendo che la gravità del peso CS in un certo modo virtualmente si diffonde oltre il sostegno G, e l'altra del peso SD dal medesimo si ritira, come, essaminando bene quanto si è detto circa la presente figura, ogni speculativo giudizio può comprendere. E, stante la medesima gravità dei pesi ed i medesimi termini delle suspensioni, quando bene si variassero le loro figure, riducendole in forme sferiche, conforme alle due X, Z, o in altre, non si dubiterà che il medesimo equilibrio sia per seguire; essendo la figura accidente di qualità ed impotente ad alterare la gravezza, che più presto dalla quantità deriva. Onde universalmente concluderemo, esser verissimo che pesi diseguali pesino egualmente, sospesi contrariamente da distanze diseguali, che abbino l'istessa proporzione dei pesi. Queste dunque sono le utilità che dai mecanici instrumenti si caveranno, e non quelle che, con inganno di tanti principi e con loro propria vergogna, si vanno sognando i poco intendenti ingegneri, mentre si vogliono applicare a imprese impossibili. Dal che, e per questo poco che si è accennato, e per quel molto che si dimostrerà nel progresso di questo trattato, verremo noi assicurati, se attentamente apprenderemo quanto si ha da dire. Alcuni avvertimenti circa le cose dette Avendo noi mostrato come i momenti di pesi diseguali vengono pareggiati dall'essere sospesi contrariamente in distanze che abbino la medesima proporzione, non mi pare di doversi passar con silenzio un'altra congruenza e probabilità, dalla quale ci può ragionevolmente essere confermata la medesima verità.

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Però che, considerisi la libra AB divisa in parti diseguali nel punto C, ed i pesi, della medesima proporzione che hanno le distanze BC, CA, alternatamente sospesi dalli punti A, B: è già manifesto come l'uno contrapeserà l'altro, e, per consequenza, come, se a uno di essi fusse aggiunto un minimo momento di gravità, si moverebbe al basso inalzando l'altro; sì che, aggiunto insensibile peso al grave B, si moveria la libra, discendendo il punto B verso E, ed ascendendo l'altra estremità A in D. E perché, per fare descendere il peso B, ogni minima gravità accresciutagli è bastante, però, non tenendo noi conto di questo insensibile, non faremo differenza dal potere un peso sostenere un altro al poterlo movere. Ora, considerisi il moto che fa il grave B, discendendo in E, e quello che fa l'altro A, ascendendo in D; e troveremo senza alcun dubbio, tanto esser maggiore lo spazio BE dello spazio AD, quanto la distanza BC è maggiore della CA; formandosi nel centro C due angoli, DCA ed ECB, eguali per essere alla cima, e, per conseguenza, due circonferenze, BE, AD, simili, e aventi tra di sé l'istessa proporzione delli semidiametri BC, CA, dai quali vengono descritte. Viene adunque ad essere la velocità del moto del grave B, discendente, tanto superiore alla velocità dell'altro mobile A, ascendente, quanto la gravità di questo eccede la gravità di quello; né potendo essere alzato il peso A in D, benché lentamente, se l'altro grave B non si muove in E velocemente, non sarà maraviglia, né alieno dalla costituzione naturale, che la velocità del moto del grave B compensi la maggior resistenza del peso A, mentre egli in D pigramente si muove e l'altro in E velocemente descende. E così, all'incontro, posto il grave A nel punto D e l'altro nel punto E, non sarà fuor di ragione che quello possa, calando tardamente in A, alzare velocemente l'altro in B, ristorando, con la sua gravità, quello che per la tardità del moto viene a perdere. E da questo discorso possiamo venire in cognizione, come la velocità del moto sia potente ad accrescere momento nel mobile, secondo quella medesima proporzione con la quale essa velocità di moto viene augumentata. Un'altra cosa, prima che più oltre si proceda, bisogna che sia considerata; e questa è intorno alle distanze, nelle quali i gravi vengono appesi: per ciò che molto importa il sapere come s'intendano distanze eguali e diseguali, ed in somma in qual maniera devono misurarsi.

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Imperò che, essendo la linea retta AB, e dalli estremi punti di essa pendendo due eguali pesi, preso il punto C nel mezzo di essa linea, si farà sopra di esso l'equilibrio; e questo, per essere la distanza AC eguale alla distanza CB. Ma se, elevando la linea CB e girandola intorno al punto C, sarà trasferita in CD, sì che la libra resti secondo le due linee AC, CD, gli due eguali pesi pendenti dai termini A, D non più peseranno egualmente sopra il punto C; perché la distanza del peso posto in D è fatta minor di quello che era mentre si ritrovava in B. Imperò che, se considereremo le linee per le quali i detti gravi fanno impeto, e discenderebbono quando liberamente si movessero, non è dubbio alcuno che sariano le linee AG, DF, BH: fa dunque momento ed impeto il peso pendente dal punto D secondo la linea DF; ma quando pendeva dal punto B, faceva impeto nella linea BH; e perché essa linea DF resta più vicina al sostegno C di quello che faccia la linea BH, perciò doviamo intendere, gli pesi pendenti dalli punti A, D non essere in distanze eguali dal punto C, ma sì bene quando saranno constituiti secondo la linea retta ACB. E finalmente si deve aver avvertenza di misurare le distanze con linee, che ad angoli retti caschino sopra quelle nelle quali i gravi stanno pendenti, e si moveriano quando liberamente scendessero. Della stadera e della lieva

L'aver inteso con certa dimostrazione uno dei primi principii, dal quale, come da fecondissimo fonte, derivano molti delli strumenti mecanici, sarà cagione di potere senza difficoltà alcuna venire in cognizione della natura di essi. E prima, parlando della stadera, stromento usitatissimo, col quale si pesano diverse mercanzie, sostenendole, benché gravissime, col peso

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d'un picciolo contrapeso, il quale volgarmente adimandano romano, proveremo, in tale operazione nient'altro farsi, che ridurre in atto pratico quel tanto che di sopra abbiamo speculato. Imperò che, se intenderemo la stadera AB,

il cui sostegno, altrimenti detto trutina, sia nel punto C, fuori del quale dalla piccola distanza CA penda il grave peso D, e nell'altra maggiore CB, che ago della stadera si adomanda, discorra inanzi ed indietro il romano E, ancorché di piccol peso in comparazione del grave D, si potrà nulla di meno discostar tanto dalla trutina C, che qual proporzione si trova tra li due gravi D, E, tale sia tra le distanze FC, CA; ed allora si farà l'equilibrio, trovandosi pesi ineguali alternamente pendenti da distanze ad essi proporzionali. Né questo instrumento è differente da quell'altro, che vette e, volgarmente, lieva si adimanda; col quale si muovono grandissime pietre ed altri pesi con poca forza. L'applicazione del quale è secondo la figura posta qui appresso:

dove la lieva sarà notata per la stanga, di legno o altra salda materia, BCD; il grave peso da alzarsi sia A; ed un fermo appoggio o sostegno, sopra il quale calchi e si muova la lieva, sia notato E. E sottoponendo al peso A una estremità della lieva, come si vede nel punto B, gravando la forza nell'altra estremità D, potrà, ancorché poca, sollevare il peso A, tutta volta che qual proporzione ha la distanza BC alla distanza CD, tale abbia la forza posta in D, alla resistenza che fa il grave A sopra il punto B. Per lo che si fa chiaro, che quanto più il sostegno E si avvicinerà

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all'estremità B, crescendo la proporzione della distanza DC alla distanza CB, tanto si potrà diminuire la forza in D per levare il peso A. E qui si deve notare (il che anco a suo luogo si anderà avvertendo intorno a tutti gli altri strumenti mecanici), che la utilità, che si trae da tale strumento, non è quella che i volgari mecanici si persuadono, ciò è che si venga a superare, ed in un certo modo ingannare, la natura, vincendo con piccola forza una resistenza grandissima con l'intervento del vette; perché dimostreremo, che senza l'aiuto della lunghezza della lieva si saria, con la medesima forza, dentro al medesimo tempo, fatto il medesimo effetto. Imperò che, ripigliando la medesima lieva BCD,

della quale sia C il sostegno, e la distanza CD pongasi, per essempio, quintupla alla distanza CB, e mossa la lieva sin che pervenga al sito ICG, quando la forza avrà passato lo spazio DI, il peso sarà stato mosso dal B in G; e perché la distanza DC, si è posta esser quintupla dell'altra CB, è manifesto, dalle cose dimostrate, potere essere il peso, posto in B, cinque volte maggiore della forza movente, posta in D. Ma se, all'incontro, porremo mente al camino che fa la forza da D in I, mentre che il peso vien mosso da B in G, cognosceremo parimente il viaggio DI esser quintuplo allo spazio BG: in oltre, se piglieremo la distanza CL eguale alla distanza CB, posta la medesima forza, che fu in D, nel punto L, e nel punto B la quinta parte solamente del peso che prima vi fu messo, non è alcun dubbio, che, divenuta la forza in L eguale a questo peso in B, ed essendo eguali le distanze LC, CB, potrà la detta forza, mossa per lo spazio LM, trasferire il peso a sé eguale per l'altro eguale intervallo BG; e che reiterando cinque volte questa medesima azione, trasferirà tutte le parti del detto peso al medesimo termine G. Ma il replicare lo spazio ML niente per certo è di più o di meno che il misurare una sol volta l'intervallo DI, quintuplo di esso

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LM: adunque il trasferire il peso da B in G non ricerca forza minore, o minor tempo, o più breve viaggio, se quella si ponga in D, di quello che faccia di bisogno quando la medesima fosse applicata in L. Ed insomma il commodo, che si acquista dal benefizio della lunghezza della lieva CD non è altro che il potere muovere tutto insieme quel corpo grave, il quale dalla medesima forza, dentro al medesimo tempo, con moto eguale, non saria, se non in pezzi, senza il benefizio del vette, potuto condursi. DELL'ASSE NELLA RUOTA E DELL'ARGANO Gli due strumenti, la natura dei quali siamo per dichiarare al presente, dependono immediatamente dalla lieva, anzi non sono altro che un vette perpetuo. Imperò che se intenderemo la lieva BAC

sostenuta nel punto A, ed il peso G pendente dal punto B, essendo la forza posta in C, è manifesto che, trasferendo la lieva nel sito DAE, il peso G si alzerà secondo la distanza BD, ma non molto più si potria seguitare di elevarlo: sì che volendo pure alzarlo ancora, saria necessario, fermandolo con qualch'altro sostegno in questo sito, rimettere la lieva nel pristino sito BAC, ed, apprendendo di nuovo il peso, rialzarlo un'altra volta in simile altezza BD; ed in questa guisa, reiterando l'istesso molte volte, si verria con moto interrotto a fare l'elevazione del peso; il che torneria per diversi rispetti non molto commodo. Onde si è sovvenuto a questa difficoltà col trovar modo di unir insieme quasi che infinite lieve, perpetuando l'operazione senza

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interrompimento veruno: e ciò si è fatto col formare una ruota intorno al centro A, secondo il semidiametro AC, ed un asse intorno al medesimo centro, del quale sia semidiametro la linea BA, e tutto questo di legno forte o di altra materia ferma e salda; sostenendo poi tutta la machina con un perno piantato nel centro A, che passi dall'una all'altra parte, dove sia da due fermi sostegni ritenuto. E circondata intorno all'asse la corda DBG, da cui penda il peso G, ed applicando un'altra corda intorno alla maggior ruota, alla quale sia appeso l'altro grave I, è manifesto che, avendo la lunghezza CA all'altra AB quella proporzione medesima che il peso G al peso I, potrà esso I sostenere il grave G, e con ogni piccolo momento di più lo moverà. E perché, volgendosi l'asse insieme con la ruota, le corde, che sostengono pesi, si troveranno sempre pendenti e contingenti l'estreme circonferenze di essa ruota ed asse, sì che sempre manterranno un simile sito e disposizione alle distanze BA, AC, si verrà a perpetuare il moto, discendendo il peso I, e costringendo a montare l'altro G. Dove si deve notare la necessità di circondare la corda intorno alla ruota, acciò che il peso I penda secondo la linea contingente la circonferenza di detta ruota: ché se si sospendesse il medesimo peso sì che dipendesse dal punto F, segando detta ruota, come si vede, per la linea FNM, non più si faria il moto, sendo diminuito il momento del peso M, il quale non graverebbe più che se pendesse dal punto N; perché la distanza della sua sospensione dal centro A viene determinata dalla linea AN, che perpendicolarmente casca sopra la corda FM, e non più dal semidiametro della ruota AF, il quale ad angoli diseguali casca sopra la detta linea FM. Facendosi dunque forza nella circonferenza della ruota da corpo grave ed inanimato, il quale non abbia altro impeto che di andare al basso, è necessario che sia sospeso da una linea, la quale sia contingente della ruota, e non che la seghi. Ma se nella medesima circonferenza fusse applicata forza animata, la quale avesse momento di far impeto per tutti i versi, potria far l'effetto constituita in qual si voglia luogo di detta circonferenza: e così, posta in F leverebbe il peso G col volgere intorno la ruota, tirando non, secondo la linea FM, al basso, ma in traverso, secondo la contingente FL, la quale farà angolo retto con quella che dal centro A si tira al punto del contatto; perché, venendo in questa forma misurata la distanza dal centro A alla forza posta in F secondo la linea AF, perpendicolare alla FL, per la quale si fa l'impeto, non si verrà ad avere alterata in parte alcuna la forma dell'uso della lieva. E notisi, che l'istesso si saria potuto fare ancora con una forza inanimata; pur che si

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fusse trovato modo di far sì, che il suo momento facesse impeto nel punto F, attraendo secondo la linea contingente FL: il che si faria con l'aggiungere sotto la linea FL una girella volubile, facendo passare sopra di essa la corda avvolta intorno alla ruota, come si vede per la linea FLX, sospendendogli nell'estremità il peso X, eguale all'altro I, il quale, essercitando la sua forza secondo la linea FL, verrà a conservare dal centro A distanza sempre eguale al semidiametro della ruota. E da quanto si è dichiarato, ne raccoglieremo per conclusione, in questo stromento la forza al peso aver sempre l'istessa proporzione, che il semidiametro dell'asse al semidiametro della ruota. Dallo stromento esplicato non molto è differente, in quanto alla forma, l'altro stromento, il quale adimanderemo argano; anzi non in altro differisce che nel modo dell'applicarlo, essendo che l'asse nella ruota va mosso e costituito eretto all'orizonte, e l'argano lavora col suo movente paralello al medesimo orizonte. Imperò che, se intenderemo sopra il cerchio DAE

essere posto un asse di figura colonnare, volubile intorno al centro B, e circa ad esso avvolta la corda DH, legata al peso da trainarsi, se in detto asse si inserirà la stanga FEBD, e che nella sua estremità F venga applicata la forza di un uomo, o vero di un cavallo, o di altro animale atto nato a tirare, il quale, movendosi in giro, camini sopra la circonferenza del cerchio FGC, si viene ad aver formato e fabricato l'argano: sì che nel condurre intorno la stanga FBD girerà ancora l'asse o ceppo dell'argano EAD, e dalla corda, che intorno ad esso si

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avvolgerà, sarà costretto a venire avanti il grave H. E perché il punto del sostegno, intorno al quale si fa il moto, è il centro B, e da esso si allontana il movente secondo la linea BF, ed il resistente per l'intervallo BD, si viene a formare la lieva FBD, in virtù della quale la forza acquista momento eguale alla resistenza, tuttavolta che ad essa abbia la proporzione che si trova avere la linea DB alla BF, ciò è il semidiametro dell'asse al semidiametro del cerchio, nella cui circonferenza si muove la forza. Ed in questo e nell'altro stromento si noti quello che più volte si è detto: ciò è, l'utilità che da queste machine si trae non esser quella che comunemente, ingannandosi, crede il volgo dei mecanici, ciò è che, defraudando la natura, si possa con machine superare la sua resistenza, ancorché grande, con piccola forza; essendo che noi faremo manifesto come la medesima forza posta in F, nel medesimo tempo, facendo il medesimo moto, condurrà il medesimo peso nella medesima distanza senza machina alcuna. Essendo che, posto, per essempio, che la resistenza del grave H, sia dieci volte maggiore della forza posta in F, farà di bisogno, per muovere detta resistenza, che la linea FB sia decupla della BD, e, per consequenza, che la circonferenza del cerchio FGC sia altresì decupla alla circonferenza EAD. E perché, quando la forza si sarà mossa una volta per tutta la circonferenza del cerchio FGC, l'asse EAD intorno al quale si avvolge la corda attraente il peso, averà parimente data una sol volta, è manifesto che il peso H non si sarà mosso più che la decima parte di quello che averà caminato il movente. Se dunque la forza per far muovere una resistenza maggiore di sé per un dato spazio, col mezzo di questa machina, ha bisogno di muoversi dieci volte tanto, non è dubbio alcuno che, dividendo quel peso in dieci parti, ciascuna di esse saria stata eguale alla forza, e, per consequenza, ne averia possuto trasportare una volta per tanto intervallo, per quanto lei stessa si moverà; sì che facendo dieci viaggi, ciascheduno eguale alla circonferenza AED, non averia caminato più che movendosi una volta sola per la circonferenza FGC, ed averia condotto il medesimo peso H nella medesima distanza. Il commodo, dunque, che si trae da queste machine, è di condurre tutto il peso unito, ma non con manco fatica, o con maggior prestezza, o per maggior intervallo, di quello che la medesima forza potesse fare conducendolo a parte a parte.

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Delle taglie Li strumenti, la natura dei quali si può ridurre, come a suo principio e fondamento, alla libra, sono li già dichiarati, ed altri pochissimo da quelli differenti. Ora, per intendere quello che si ha da dire circa la natura delle taglie, fa di bisogno che speculiamo prima un altro modo di usare il vette, il quale ci conferirà molto all'investigazione della forza delle taglie, ed all'intelligenza d'altri effetti mecanici. L'uso della lieva di sopra dichiarato poneva in una delle sue estremità il peso, e nell'altra la forza; ed il sostegno veniva collocato in qualche luogo tra le estremità. Ma possiamo servirci della lieva in un altro modo ancora, ponendo, come si vede nella presente figura,

il sostegno nella estremità A, la forza nell'altra estremità C, ed il peso D pendente da qualche punto di mezzo, come si vede nel punto B. Nel qual modo è chiara cosa, che se il peso pendesse da un punto egualmente distante dalli due estremi A, C, come dal punto F, la fatica di sostenerlo saria egualmente divisa tra li due punti A, C, sì che la metà del peso saria sentito dalla forza C, sendo l'altra metà sostenuta dal sostegno A; ma se il grave sarà appeso in altro luogo, come dal B, mostreremo la forza in C esser bastante a sostener il peso posto in B, tutta volta che ad esso abbia quella proporzione, che ha la distanza AB alla distanza AC. Per dimostrazione di che, immaginiamo la linea BA essere prolungata rettamente in G, e sia la distanza BA eguale alla AG, ed il peso E, pendente in G, pongasi eguale ad esso D: è manifesto come, per la egualità dei pesi E, D e delle distanze GA, AB, il momento del peso E agguaglierà il momento del peso D, ed essere

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bastante a sostenerlo: adunque qualunque forza averà momento eguale a quello del peso E, e che potrà sostenerlo, sarà bastante ancora a sostenere il peso D. Ma per sostenere il peso E, ponendosi nel punto C forza tale, il cui momento al peso E abbia quella proporzione che ha la distanza GA alla distanza AC, è bastante a sostenerlo: sarà dunque la medesima forza potente ancora a sostenere il peso D, il cui momento agguaglia quello del peso E. Ma la proporzione, che ha la linea GA alla linea AC, ha ancora AB alla medesima, essendosi posta GA eguale ad AB; e perché li pesi E, D sono eguali, averà ciascheduno di loro alla forza posta in C l'istessa proporzione: adunque si conclude, la forza in C agguagliare il momento del peso D, ogni volta che ad esso abbia quella proporzione, che ha la distanza BA alla distanza CA. E nel muovere il peso con la lieva usata in questo modo, comprendesi, come negli altri strumenti, in questo ancora, quanto si guadagna di forza, tanto perdersi di velocità. Imperò che, levando la forza C il vette, e trasferendolo in AI, il peso vien mosso per l'intervallo BH; il quale è tanto minore dello spazio CI passato dalla forza, quanto la distanza AB è minore della distanza AC, ciò è quanto essa forza è minore del peso. Dichiarati questi principii, passeremo alla speculazione delle taglie; delle quali la struttura e composizione si dichiarerà insieme con li loro usi. E prima intendasi la girella ABC,

fatta di metallo o legno duro, volubile intorno al suo assetto, che passi per il suo centro D, ed intorno a questa girella posta la corda EABCF, da un capo della quale penda il peso E, e dall'altro intendasi la forza F: dico, il peso essere sostenuto da forza eguale a sé medesimo, né la

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girella superiore ABC apportare benefizio alcuno circa il muovere o sostenere il detto peso con la forza posta in F. Imperò che se intenderemo dal centro D, che è in luogo di sostegno, esser tirate due linee sino alla circonferenza della girella ai punti A, C, nei quali le corde pendenti toccano la circonferenza, averemo una libra di braccia eguali, essendo li semidiametri DA, DC eguali, li quali determinano le distanze delle due suspensioni dal centro e sostegno D; onde è manifesto, il peso pendente da A non poter essere sostenuto da peso minore pendente da C, ma sì bene da eguale, perché tale è la natura dei pesi eguali, pendenti da distanze eguali: ed ancorché nel muoversi a basso la forza F si venga a girare intorno la girella ABC, non però si muta l'abitudine e rispetto, che il peso e la forza hanno alle due distanze AD, DC; anzi la girella circondotta doventa una libra simile alla AC, ma perpetuata. Dal che possiamo comprendere quanto puerilmente s'ingannasse Aristotile, il quale stimò che, col far maggiore la girella ABC, si potesse con manco fatica levare il peso, considerando come all'accrescimento di tale girella si accresceva la distanza DC; ma non considerò che altrettanto si cresceva l'altra distanza del peso, ciò è l'altro semidiametro DA. Il benefizio, dunque, che da tale stromento si possa trarre, è nullo in quanto alla diminuzione della fatica. E se alcuno dimandasse, onde avvenga che in molte occasioni di levar pesi si serva l'arte di questo mezzo, come, per essempio, si vede nell'attinger l'acqua dei pozzi, si deve rispondere, ciò farsi perché in questa maniera il modo dell'essercitar ed applicar la forza ci torna più commodo; perché, dovendo tirare all'in giù, la propria gravità delle nostre braccia e delli altri membri ci aiuta; dove che bisognandoci tirare all'in su con una semplice corda il medesimo peso, col solo vigore dei membri e dei muscoli, e, come si dice, per forza di braccia, oltre al peso esterno doviamo sollevare il peso delle proprie braccia, nel che si ricerca fatica maggiore. Concludasi dunque, questa girella superiore non apportare facilità alcuna alla forza semplicemente considerata, ma solamente al modo di applicarla. Ma se ci serviremo di una simile machina in altra maniera, come al presente siamo per dichiarare, potremo levare il peso con diminuzione di forza. Imperò che sia la girella BDC

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volubile intorno al centro E, collocata nella sua cassa o armatura BLC, dalla quale sia sospeso il grave G; e passi intorno alla girella la corda ABDCF, della quale il capo A sia fermato a qualche ritegno stabile, e nell'altro F sia posta la forza, la quale, movendosi verso H, alzerà la machina BLC, e, consequentemente, il peso G; ed in questa operazione, dico la forza in F esser la metà del peso da lei sostenuto. Imperò che, venendo detto peso retto dalle due corde AB, FC, è manifesta cosa, la fatica essere egualmente compartita tra la forza F ed il sostegno A. Ed essaminando più sottilmente la natura di questo stromento, producendo il diametro della girella BEC, vedremo farsi una lieva, dal cui mezzo, ciò è sotto il punto E, pende il grave, ed il sostegno viene ad essere nell'estremità B, e la forza nell'altra estremità C: onde, per quello che di sopra si è dimostrato, la forza al peso averà la proporzione medesima, che ha la distanza EB alla distanza BC; però sarà la metà di esso peso. E benché, nell'alzarsi la forza verso H, la girella vada intorno, non però si muta mai quel rispetto e constituzione, che hanno tra di loro il sostegno B ed il centro E, da cui dipende il peso, ed il termine C, nel quale opera la forza: ma nella circunduzione si vengono bene a variare di numero li termini B, C, ma non di virtù, succedendo continuamente altri ed altri in loro luogo; onde la lieva BC viene a perpetuarsi. E qui, come negli altri strumenti si è fatto, e nei seguenti si farà sempre, non passeremo senza considerazione, come il viaggio che fa la forza venga ad essere doppio del movimento del peso. Imperò che, quando il peso sarà mosso sin che la linea BC sia pervenuta con li suoi punti B, C alli punti A, F, è necessario che le due corde eguali AB, FC si siano distese in una sola linea FH; e che, per

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consequenza, quando il peso sia salito per l'intervallo BA, la forza si sia mossa il doppio, ciò è da F in H. Considerando poi come la forza posta in F, per alzare il peso, deve moversi all'in su, il che ai moventi inanimati, per essere per lo più gravi, è del tutto impossibile, ed a li animati, se non impossibile, almeno più laborioso che il far forza all'in giù, però, per sovvenire a questo incommodo, si è trovato rimedio con aggiungere un'altra girella superiore: come nella figura appresso

si vede, dove la corda CEFG si è fatta passare intorno alla girella superiore FG sostenuta dall'appiccagnolo L, sì che, passando la corda in H, e quivi trasferendo la forza E, sarà potente a muovere il peso X col tirare a basso. Ma non però che essa deva essere minore di quello che era in E; imperò che i momenti delle forze E, H, pendenti dalle eguali distanze FD, DG della girella superiore, restano sempre eguali; né essa superiore girella, come già si è dimostrato, arreca diminuzione alcuna nella fatica. Inoltre, essendo di già stato necessario, per l'aggiunta della girella superiore, introdurre l'appendicolo L, da chi venga sostenuta, ci tornerà di qualche commodità il levare l'altro A, a chi era raccommandato l'un capo della corda, trasferendolo ad un oncino, o anello, annesso alla parte inferiore della cassa o armatura della superiore girella, come si vede fatto in M. Ora finalmente tutta

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questa machina, composta di superiori ed inferiori girelle, è quella che i Greci chiamano trochlea, e noi toscanamente adimandiamo taglia. Abbiamo sin qui esplicato come col mezzo delle taglie si possa duplicare la forza. Resta che, con la maggior brevità che fia possibile, dimostriamo il modo di crescerla secondo qualsivoglia multiplicità: e prima parleremo delle multiplicità secondo i numeri pari, e poi secondo li impari. E per mostrare come si possa augumentare la forza in proporzione quadrupla, proporremo la seguente speculazione, come lemma delle cose seguenti. Siano le due lieve AB, CD,

con li sostegni nell'estremità A, C; e dai mezzi di ciascuna di esse, E, F, penda il grave G, sostenuto da due forze di momento eguali, poste in B, D: dico, il momento di ciascuna di esse agguagliare il momento della quarta parte del peso G. Imperò che, sostenendo le due forze B, D egualmente, è manifesto la forza D non aver contrasto se non dalla metà del peso G: ma quando la forza D sostenga, col benefizio del vette DC, la metà del peso G pendente da F, si è già dimostrato aver essa forza D al peso così da lei sostenuto quella proporzione, che ha la distanza FC alla distanza CD; la quale è proporzione subdupla: adunque il momento D è subduplo al momento della metà del peso G, sostenuto da lui: onde ne séguita, essere la quarta parte del momento di tutto il peso. E nell'istesso modo si dimostrerà questo medesimo del momento B. E ciò è ben ragionevole, che, essendo il peso G sostenuto dai quattro punti A, B, C, D egualmente, ciascheduno di essi senta la quarta parte della fatica. Venghiamo adesso ad applicar questa considerazione alle taglie: ed intendasi il peso X

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pendente dalle due girelle inferiori AB, DE, circonducendo intorno ad esse ed alla superiore girella GH la corda, come si vede per la linea IDEHGAB, sostenendo tutta la machina nel punto K. Dico adesso, che, posta la forza in M, potrà sostenere il peso X, quando sia eguale alla quarta parte di esso. Imperò che, se ci imagineremo li due diametri DE, AB, ed il peso pendente dalli punti di mezzo F, C, averemo due vetti simili alli già dichiarati, i sostegni dei quali rispondono alli punti D, A; onde la forza posta in B, o vogliamo dire in M, potrà sostenere il peso X, essendo la quarta parte di esso. E se di nuovo aggiungeremo un'altra superiore girella, facendo passare la corda in MON, trasferendo la forza M in N, potrà sostenere il medesimo peso gravando al basso, non augumentando o diminuendo forza la girella superiore, come di già si è dichiarato. E noteremo parimente, come, per fare ascendere il peso, devono passare le quattro corde BM, EH, DI, AG; onde il movente avrà a caminare quanto esse quattro corde sono lunghe, e, con tutto ciò, il peso non si moverà se non quanto è la lunghezza di una sola di esse: il che sia detto per avvertimento e confermazione di quello che più volte si è di già detto, ciò è che con qual proporzione si diminuisce la fatica nel movente, se gli accresce all'incontro lunghezza nel viaggio. Ma se vorremo crescere la forza in proporzione sescupla, bisognerà che aggiungiamo un'altra girella alla taglia inferiore: il che acciò meglio

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s'intenda, metteremo avanti la presente speculazione. Intendasi dunque le tre lieve

AB, CD, EF, e dai mezzi di esse G, H, I pendente comunemente il peso K, e nell'estremità B, D, F tre potenze eguali che sostenghino il peso K; sì che ciascheduna di esse ne verrà a sostenere la terza parte. E perché la potenza in B, sostenendo col vette BA il peso pendente in G, viene ad essere la metà di esso peso, e già si è detto quella sostenere il terzo del peso K: adunque il momento della forza B è eguale alla metà della terza parte del peso K, ciò è alla sesta parte di esso. Ed il medesimo si dimostrerà dell'altre forze D, F: dal che possiamo facilmente comprendere, come, ponendo nella taglia inferiore tre girelle, e nella superiore due o tre altre, possiamo multiplicare la forza secondo il numero senario. E volendo crescerla secondo qual si voglia altro numero pari, si multiplicheranno le girelle della taglia di sotto secondo la metà di quel numero, conforme al qual si ha da multiplicare la forza, circomponendo alle taglie la corda, sì che l'uno de' capi si fermi alla taglia superiore, e nell'altro sia la forza; come in questa figura

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appresso manifestamente si comprende. Passando ora alla dichiarazione del modo di multiplicare la forza secondo i numeri dispari, e facendo principio dalla proporzione tripla, prima metteremo avanti la presente speculazione; come che dalla sua intelligenza dependa la cognizione di tutto il presente negozio. Sia per ciò la lieva AB,

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il cui sostegno A; e dal mezzo di essa, ciò è dal punto C, penda il grave D, il quale sia sostenuto da due forze eguali, l'una delle quali sia applicata al punto C, e l'altra all'estremità B: dico, ciascuna di esse potenze aver momento eguale alla terza parte del peso D. Imperò che la forza in C sostiene peso eguale a sé stessa, essendo collocata nella medesima linea nella quale pende e grava il peso D: ma la forza in B sostiene del peso D parte doppia di sé stessa, essendo la sua distanza dal sostegno A, ciò è la linea BA, doppia della distanza AC, dalla quale è sospeso il grave: ma perché si suppone, le due forze in C, B essere tra di loro eguali, adunque la parte del peso D, che è sostenuta dalla forza B, è doppia della parte sostenuta dalla forza C. Se dunque del grave D siano fatte due parti, l'una doppia della rimanente, la maggiore è sostenuta dalla forza B, e la minore dalla forza C: ma questa minore è la terza parte del peso D: adunque il momento della forza C è eguale al momento della terza parte del peso D; al quale verrà, per conseguenza, ad essere eguale la forza B, avendola noi supposta eguale all'altra forza C. Onde è manifesto il nostro intento, che era di dimostrare, come ciascuna delle due potenze C, B si agguagliava alla terza parte del peso D. Il che avendo dimostrato, faremo passaggio alle taglie, e descrivendo la girella inferiore ACB,

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volubile intorno al centro G, e da essa pendente il peso H, segneremo l'altra superiore EF; avvolgendo intorno ad ambedue la corda DFEACBI, di cui il capo D sia fermato alla taglia inferiore, ed all'altro I sia applicata la forza; la quale dico che, sostenendo o movendo il peso H, non sentirà altro che la terza parte della gravità di quello. Imperò che, considerando la struttura di tal machina, vederemo il diametro AB tener il luogo di una lieva, nel cui termine B viene applicata la forza I, nell'altro A è posto il sostegno, dal mezzo G è posto il grave H, e nell'istesso luogo applicata un'altra forza D; sì che il peso vien fermato dalle tre corde IB, FD, EA, le quali con eguale fatica sostengono il peso. Or, per quello che di già si è speculato, sendo le due forze eguali D, B applicate l'una al mezzo del vette AB, e l'altra al termine estremo B, è manifesto ciascheduna di esse non sentire altro che la terza parte del peso H: adunque la potenza I, avendo momento eguale al terzo del peso H, potrà sostenerlo e muoverlo. Ma però il viaggio della forza I sarà triplo al camino che farà il peso, dovendo la detta forza distendersi secondo la lunghezza delle tre corde IB, FD, EA, delle quali una sola misurerà il viaggio del peso.

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Della vite Tra tutti gli altri strumenti mecanici per diversi commodi dall'ingegno umano ritrovati, parmi, e d'invenzione e di utilità, la vite tenere il primo luogo; come quella che non solo al muovere, ma al fermare e stringere con forza grandissima, acconciamente si adatta, ed è in maniera fabricata, che, occupando pochissimo luogo, fa quelli effetti, che altri strumenti non fariano, se non fossero ridotti in gran machine. Essendo dunque la vite di bellissima ed utilissima invenzione, meritamente dovremo affaticarci in esplicare, quanto più chiaramente si potrà, la sua origine e natura: per il che fare, faremo principio da una speculazione, la quale, benché di prima vista sia per apparire alquanto lontana dalla considerazione di tale strumento, nientedimeno è la sua base e fondamento. Non è dubbio alcuno, tale essere la costituzione della natura circa i movimenti delle cose gravi, che qualunque corpo, che in sé ritenga gravità, ha propensione di moversi, essendo libero, verso il centro; e non solamente per la linea retta perpendicolare, ma ancora, quando altrimenti far non possa, per ogni altra linea, la quale, avendo qualche inclinazione verso il centro, vadi a poco a poco abbassandosi. E così veggiamo, essempligrazia, l'acqua non solamente cadere a basso a perpendicolo da qualche luogo eminente, ma ancora discorrer intorno alla superficie della terra sopra linee, benché pochissimo, inchinate; come nel corso dei fiumi si accorge, dei quali, purché il letto abbia qualche poco di pendenza, le acque vanno liberamente declinando al basso: il quale medesimo effetto, siccome si scorge in tutti i corpi fluidi, apparirebbe ancora nei corpi duri, purché e la lor figura e li altri impedimenti accidentarii ed esterni non lo divietassero. Sì che, avendo noi una superficie molto ben tersa e polita, quale saria quella di uno specchio, ed una palla perfettamente rotonda e liscia, o di marmo, o di vetro, o di simile materia atta a pulirsi, questa, collocata sopra la detta superficie, anderà movendosi, purché quella abbia un poco d'inclinazione, ancorché minima, e solamente si fermerà sopra quella superficie, la quale sia esattissimamente livellata, ed equidistante al piano dell'orizonte; quale, per essempio, saria la superficie di un lago o stagno agghiacciato, sopra la quale il detto corpo sferico staria fermo, ma con disposizione di essere da ogni picciolissima forza mosso. Perché avendo noi inteso come, se tale piano inclinasse solamente quanto è un capello, la detta palla vi si moverebbe spontaneamente

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verso la parte declive, e, per l'opposito, averebbe resistenza, né si potria movere senza qualche violenza, verso la parte acclive o ascendente; resta per necessità cosa chiara, che nella superficie esattamente equilibrata detta palla resti come indifferente e dubbia tra il moto e la quiete, sì che ogni minima forza sia bastante a muoverla, siccome, all'incontro, ogni pochissima resistenza, e quale è quella sola dell'aria che la circonda, potente a tenerla ferma. Dal che possiamo prendere, come per assioma indubitato, questa conclusione: che i corpi gravi, rimossi tutti l'impedimenti esterni ed adventizii, possono esser mossi nel piano dell'orizonte da qualunque minima forza. Ma quando il medesimo grave dovrà essere spinto sopra un piano ascendente, già cominciando egli a contrastare a tale salita (avendo inclinazione al moto contrario), si ricercherà maggiore violenza, e maggiore ancora quanto più il detto piano averà di elevazione. Come, per essempio,

essendo il mobile G costituito sopra la linea AB, paralella all'orizonte, starà, come si è detto, in essa indifferente al moto e alla quiete, sì che da minima forza possa esser mosso: ma se averemo li piani elevati AC, AD, AE, sopra di essi non sarà spinto se non per violenza, la quale maggiore si ricercherà per muoverlo sopra la linea AD che sopra la linea AC, e maggiore ancora sopra la AE che sopra la AD; il che procede per aver lui maggior impeto di andare a basso per la linea EA che per la DA, e per la DA che per la CA. Sì che potremo parimente concludere, i corpi gravi aver maggiore resistenza ad esser mossi sopra piani elevati diversamente, secondo che l'uno sarà più o meno dell'altro elevato; e, finalmente, grandissima essere la renitenza del medesimo grave all'essere alzato nella perpendicolare AF. Ma quale sia la proporzione che deve avere la forza al peso per tirarlo sopra diversi piani elevati, sarà necessario che si dichiari esattamente, avanti che

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procediamo più oltre, acciò perfettissimamente possiamo intendere tutto quello che ne resta a dire. Fatte dunque cascare le perpendicolari dalli punti C, D, E sopra la linea orizontale AB, che siano CH, DI, EK, si dimostrerà, il medesimo peso esser sopra il piano elevato AC mosso da minor forza che nella perpendicolare AF (dove viene alzato da forza a sé stesso eguale), secondo la proporzione che la perpendicolare CH è minore della AC; e sopra il piano AD avere la forza al peso l'istessa proporzione, che la linea perpendicolare ID alla DA; e finalmente nel piano AE osservare la forza al peso la proporzione della KE alla EA. È la presente speculazione stata tentata ancora da Pappo Alessandrino nell'8° libro delle sue Collezioni Matematiche; ma, per mio avviso, non ha toccato lo scopo, e si è abbagliato nell'assunto che lui fa, dove suppone, il peso dover esser mosso nel piano orizontale da una forza data: il che è falso, non si ricercando forza sensibile (rimossi l'impedimenti accidentarii, che dal teorico non si considerano) per muovere il dato peso nell'orizonte; sì che in vano si va poi cercando, con quale forza sia per esser mosso sopra il piano elevato. Meglio dunque sarà il cercare, data la forza che muove il peso in su a perpendicolo (la quale pareggia la gravità di quello), quale deva essere la forza che lo muova nel piano elevato: il che tenteremo noi di conseguire con aggressione diversa da quella di Pappo. Intendasi dunque il cerchio AIC,

ed in esso il diametro ABC, ed il centro B, e due pesi di eguali momenti nelle estremità A, C; sì che, essendo la linea AC un vette o libra mobile intorno al centro B, il peso C verrà sostenuto dal peso A. Ma se c'immagineremo il braccio della libra BC essere inchinato a basso

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secondo la linea BF, in guisa tale però che le due linee AB, BF restino salde insieme nel punto B, allora il momento del peso C non sarà più eguale al momento del peso A, per esser diminuita la distanza del punto F dalla linea della direzione che dal sostegno B, secondo la BI, va al centro della terra. Ma se tireremo dal punto F una perpendicolare alla BC, quale è la FK, il momento del peso in F sarà come se pendesse dalla linea KB; e quanto la distanza KB è diminuita dalla distanza BA, tanto il momento del peso F è scemato dal momento del peso A. E così parimente, inchinando più il peso, come saria secondo la linea BL, il suo momento verrà scemando, e sarà come se pendesse dalla distanza BM, secondo la linea ML; nel qual punto L potrà esser sostenuto da un peso posto in A, tanto minore di sé quanto la distanza BA è maggiore della distanza BM. Vedesi dunque come, nell'inclinare a basso per la circonferenza CFLI il peso posto nell'estremità della linea BC, viene a scemarsi il suo momento ed impeto d'andare a basso di mano in mano più, per esser sostenuto più e più dalle linee BF, BL. Ma il considerare questo grave discendente, e sostenuto dalli semidiametri BF, BL ora meno e ora più, e constretto a caminare per la circonferenza CFL, non è diverso da quello che saria imaginarsi la medesima circonferenza CFLI esser una superficie così piegata, e sottoposta al medesimo mobile, sì che, appoggiandovisi egli sopra, fosse constretto a descendere in essa; perché se nell'uno e nell'altro modo disegna il mobile il medesimo viaggio, niente importerà s'egli sia sospeso dal centro B e sostenuto dal semidiametro del cerchio, o pure se, levato tale sostegno, s'appoggi e camini su la circonferenza CFLI. Onde indubitatamente potremo affermare, che, venendo al basso il grave dal punto C per la circonferenza CFLI, nel primo punto C il suo momento di discendere sia totale ed integro; perché non viene in parte alcuna sostenuto dalla circonferenza, e non è, in esso primo punto C, in disposizione a moto diverso di quello, che libero farebbe nella perpendicolare e contingente DCE. Ma se il mobile sarà constituito nel punto F, allora dalla circolare via, che gli è sottoposta, viene in parte la gravità sua sostenuta, ed il suo momento d'andare al basso diminuito con quella proporzione, con la quale la linea BK è superata dalla BC: ma quando il mobile è in F, nel primo punto di tale suo moto è come se fosse nel piano elevato secondo la contingente linea GFH, perciò che l'inclinazione della circonferenza nel punto F non differisce dall'inclinazione della contingente FG, altro che l'angolo insensibile del contatto. E nel medesimo modo troveremo, nel punto L diminuirsi il

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momento dell'istesso mobile, come la linea BM si diminuisce dalla BC; sì che nel piano contingente il cerchio nel punto L, qual saria secondo la linea NLO, il momento di calare al basso scema nel mobile con la medesima proporzione. Se dunque sopra il piano HG il momento del mobile si diminuisce dal suo totale impeto, quale ha nella perpendicolare DCE, secondo la proporzione della linea KB alla linea BC o BF; essendo, per la similitudine de i triangoli KBF, KFH, la proporzione medesima tra le linee KF, FH che tra le dette KB, BF, concluderemo, il momento integro ed assoluto che ha il mobile nella perpendicolare all'orizonte, a quello che ha sopra il piano inclinato HF, avere la medesima proporzione che la linea HF alla linea FK, cioè che la lunghezza del piano inclinato alla perpendicolare che da esso cascherà sopra l'orizonte. Sì che, passando a più distinta figura,

quale è la presente, il momento di venire al basso che ha il mobile sopra il piano inclinato FH, al suo totale momento, con lo qual gravita nella perpendicolare all'orizonte FK, ha la medesima proporzione che essa linea KF alla FH. E se così è, resta manifesto che, sì come la forza che sostiene il peso nella perpendicolare FK deve essere ad esso eguale, così per sostenerlo nel piano inclinato FH basterà che sia tanto minore, quanto essa perpendicolare FK manca dalla linea FH. E perché, come altre volte s'è avvertito, la forza per muover il peso basta che insensibilmente superi quella che lo sostiene, però concluderemo questa universale proposizione: sopra il piano elevato la forza al peso avere la medesima proporzione, che la perpendicolare dal termine del piano tirata all'orizonte, alla lunghezza d'esso piano. Ritornando ora al nostro primo instituto, che era d'investigare la natura della vite, considereremo il triangolo ACB,

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del quale la linea AB sia orizontale, la BC perpendicolare ad esso orizonte, ed AC piano elevato; sopra il quale il mobile D verrà tirato da forza tanto di quello minore, quanto essa linea BC è della CA più brieve. Ma per elevare il medesimo peso sopra l'istesso piano AC, tanto è che, stando fermo il triangolo CAB, il peso D sia mosso verso C, quanto saria se, non si rimovendo il medesimo peso della perpendicolare AE, il triangolo si spingesse avanti verso H; perché, quando fosse nel sito FHG, il mobile si troveria aver montato l'altezza AI. Ora finalmente la forma ed essenza primaria della vite non è altro che un simil triangolo ACB, il quale spinto inanzi, sottentra al grave da alzarsi, e se lo leva (come si dice) in capo. E tale fu la sua prima origine: che considerando, qual si fosse il suo primo inventore, come il triangolo ABC,

venendo inanzi, solleva il peso D, si poteva fabricare uno instrumento simile al detto triangolo, di qualche materia ben salda, il quale, spinto inanzi, elevasse il proposto peso: ma considerando poi meglio come

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una tal machina si poteva ridurre in forma assai più picciola e comoda, preso il medesimo triangolo, lo circondò ed avvolse intorno al cilindro ABCD;

in maniera che l'altezza del detto triangolo, cioè la linea CB, faceva l'altezza del cilindro, ed il piano ascendente generava sopra il detto cilindro la linea elica disegnata per la linea AEFGH, che volgarmente addomandiamo il verme della vite: ed in questa varietà si genera l'instrumento da' Greci detto coclea, e da noi vite, il quale volgendosi a torno viene co 'l suo verme subintrando al peso, e con facilità lo solleva. Ed avendo noi già dimostrato, come, sopra il piano elevato, la forza al peso ha la medesima proporzione, che l'altezza perpendicolare del detto piano alla sua lunghezza, così intenderemo la forza nella vite ABCD multiplicarsi secondo la proporzione che la lunghezza di tutto il verme AEFGH eccede l'altezza CB; dal che venghiamo in cognizione, come formandosi la vite con le sue elici più spesse, riesce tanto più gagliarda, come quella che viene generata da un piano manco elevato, e la cui lunghezza risguarda con maggior proporzione la propria altezza perpendicolare. Ma non resteremo di avvertire, come volendo ritrovare la forza di una vite proposta, non farà di mestiero che misuriamo la lunghezza di tutto il suo verme, e l'altezza di tutto il suo cilindro; ma basterà che andiamo essaminando, quante volte la distanza tra due soli e contigui termini entra in una sola rivolta del medesimo verme: come saria, per essempio, quante volte la distanza AF vien contenuta nella

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lunghezza della rivolta AEF, perciò che questa è la medesima proporzione che ha tutta l'altezza CB a tutto il verme. Quando si sia compreso tutto quello che fin qui abbiamo dichiarato circa la natura di questo instrumento, non dubito punto che tutte l'altre circonstanze potranno senza fatica esser intese: come saria, per essempio, che in luogo di far montare il peso sopra la vite, se li accomoda la sua madre-vite con la elice incavata; nella quale entrando il maschio, cioè il verme della vite, voltata poi intorno, solleva ed inalza la madre insieme co 'l peso che ad essa fosse appiccato. Finalmente non è da passare sotto silenzio quella considerazione, la quale da principio si disse esser necessaria d'avere in tutti gl'instrumenti mecanici: cioè, che quanto si guadagna di forza per mezo loro, altrettanto si scapita nel tempo e nella velocità. Il che per avventura non potria parere ad alcuno così vero e manifesto nella presente speculazione; anzi pare che qui si multiplichi la forza senza che il motore si muova per più lungo viaggio che il mobile. Essendo che se intenderemo, nel triangolo ABC

la linea AB essere il piano dell'orizonte, AC piano elevato, la cui altezza sia misurata dalla perpendicolare CB, un mobile posto sopra il piano AC, e ad esso legata la corda EDF, e posta in F una forza o un peso, il quale alla gravità del peso E abbia la medesima proporzione che la linea BC alla CA; per quello che s'è dimostrato, il peso F calerà al basso tirando sopra il piano elevato il mobile E, né maggior spazio misurerà detto grave F nel calare al basso, di quello che si misuri il mobile E sopra la linea AC. Ma qui però si deve avvertire che, se bene il mobile E averà passata tutta la linea AC nel tempo medesimo che l'altro grave F si sarà per eguale intervallo abbassato, niente di meno il grave E non si sarà discostato dal centro comune delle cose gravi più di quello che sia la perpendicolare CB; ma però il grave F, discendendo a perpendicolo, si sarà abbassato per spazio eguale a tutta la linea AC. E

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perché i corpi gravi non fanno resistenza a i moti transversali, se non in quanto in essi vengono a discostarsi dal centro della terra, però, non s'essendo il mobile E in tutto il moto AC alzato più che sia la linea CB, ma l'altro F abbassato a perpendicolo quanto è tutta la lunghezza AC, però potremo meritamente dire, il viaggio della forza F al viaggio della forza E mantenere quella istessa proporzione, che ha la linea AC alla CB, cioè il peso E al peso F. Molto adunque importa il considerare per quali linee si facciano i moti, e massime ne i gravi inanimati: dei quali i momenti hanno il loro total vigore e la intiera resistenza nella linea perpendicolare all'orizonte; e nell'altre, transversalmente elevate o inchinate, servono solamente quel più o meno vigore, impeto, o resistenza, secondo che più o meno le dette inchinazioni s'avvicinano alla perpendicolar elevazione. Della coclea d’Archimede per levar l’acqua Non mi pare che in questo luogo sia da passar con silenzio l'invenzione di Archimede d'alzar l'acqua con la vite: la quale non solo è maravigliosa, ma è miracolosa; poiché troveremo, che l'acqua ascende nella vite discendendo continuamente. Ma prima che ad altro venghiamo, dichiareremo l'uso della vite nel far salir l'acqua. E considerisi nella seguente figura

intorno alla colonna MIKH esser avvolta la linea ILOPQRSH, la quale sia un canale, per lo quale possa scorrer l'acqua: se metteremo l'estremità I nell'acqua, facendo stare la vite pendente, come dimostra il disegno, e la volgeremo in giro intorno alli due perni T, V, l'acqua per

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lo canale anderà scorrendo, fin che finalmente verserà fuori della bocca H. Ora dico che l'acqua, nel condursi dal punto I al punto H, è venuta sempre discendendo, ancorché il punto H sia più alto del punto I. Il che esser così, dichiareremo in tal modo. Descriveremo il triangolo ACB, il quale sia quello onde si generi la vite IH, di maniera che il canale della vite venga figurato dalla linea AC, la cui salita ed elevazione viene determinata per l'angolo CAB; cioè, che se il detto angolo sarà la terza parte o la quarta di un angolo retto, la elevazione del canale AC sarà secondo la terza o quarta parte d'un angolo retto. Ed è manifesto, che la salita d'esso canale AC verrà tolta via abbassando il punto C insino al B, perché allora il canale AC non averà elevazione alcuna; ed abbassando il punto C un poco sotto il B, l'acqua naturalmente scorrerà per lo canale AC al basso, dal punto A verso il C. Concludiamo dunque, che, essendo l'angolo A un terzo di un retto, la salita del canale AC verrà tolta via abbassandolo dalla parte C per la terza parte di un angolo retto. Intese queste cose, volgiamo il triangolo intorno alla colonna, e facciamo la vite BAEFGHID;

la quale, se si constituirà dritta, ad angoli retti, con l'estremità B in acqua, volgendosi attorno, non per questo tirerà in su l'acqua, essendo il canale, attorno alla colonna, elevato, come si vede per la parte BA. Ma se bene la colonna sta dritta ad angoli retti, non è per questo che la salita per la vite attorta intorno alla colonna sia di maggiore elevazione che d'un terzo d'angolo retto; essendo generata dalla elevazione del canale AC. Adunque, se inclineremo la colonna per un terzo di detto angolo retto, ed un poco più, come si vede IKHM, il transito e moto per lo canale non sarà più elevato, ma inclinato, come si vede per lo canale IL; adunque l'acqua dal punto I al punto L si moverà

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discendendo; e girandosi la vite intorno, l'altre parti d'essa successivamente si disporranno e si rappresenteranno all'acqua nella medesima disposizione che la parte IL; onde l'acqua successivamente anderà discendendo; e pur finalmente si troverà esser montata dal punto I al punto H: il che di quanta meraviglia si sia, lascio giudicare a chi perfettamente l'averà inteso. E da quanto s'è detto, si viene in cognizione come la vite per alzar l'acqua deve esser inclinata un poco più della quantità dell'angolo del triangolo, col quale si descrisse essa vite. Della forza della percossa L'investigare qual sia la causa della forza della percossa è per più cagioni grandemente necessario. E prima, perché in essa apparisce assai più del maraviglioso di quello, che in qualunque altro stromento meccanico si scorga, atteso che, percotendosi sopra un chiodo da ficcarsi in un durissimo legno, o vero sopra un palo che debbia penetrare dentro in terreno ben fisso, si vede, per la sola virtù della percossa, spingersi e l'uno e l'altro avanti; onde senza quella, mettendosi sopra il martello, non pure non si muoverà, ma quando anco bene vi fosse appoggiato un peso molte e molte volte nell'istesso martello più grave: effetto veramente maraviglioso, e tanto più degno di speculazione, quanto, per mio avviso, niuno di quelli, che sin qui ci hanno intorno filosofato, ha detto cosa che arrivi allo scopo; il che possiamo pigliare per certissimo segno ed argumento della oscurità e difficoltà di tale speculazione. Perché ad Aristotile o ad altri che volessero la cagione di questo mirabile effetto ridurre alla lunghezza del manubrio o manico del martello, parmi che, senza altro lungo discorso, si possa scoprire l'infermità delli loro pensieri dall'effetto di quei stromenti, che, non avendo manico, percotono o col cadere da alto a basso, o coll'esser spinti con velocità per traverso. Dunque ad altro principio bisogna che ricorriamo, volendo ritrovare la verità di questo fatto. Del quale benché la cagione sia alquanto di sua natura obstrusa e difficile a esplicazione, tuttavia anderemo tentando, con quella maggior lucidezza che potremo, di render chiara e sensibile; mostrando finalmente, il principio ed origine di questo effetto non derivar da altro fonte, che da quello stesso onde scaturiscono le ragioni d'altri effetti meccanici.

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E questo sarà co 'l ridurci inanzi gli occhi quello, che in ogni altra operazione meccanica s'è veduto accadere: cioè che la forza, la resistenza ed il spazio, per lo quale si fa il moto, si vanno alternamente con tal proporzione seguendo, e con legge tale rispondendo, che resistenza eguale alla forza sarà da essa forza mossa per egual spazio e con egual velocità di quella che essa si muova. Parimente, forza che sia la metà meno di una resistenza potrà muoverla, purché si muova essa con doppia velocità, o, vogliam dire, per distanza il doppio maggiore di quella che passerà la resistenza mossa. Ed in somma s'è veduto in tutti gli altri stromenti, potersi muovere qualunque gran resistenza da ogni data picciola forza, purché lo spazio, per il quale essa forza si muove, abbia quella proporzione medesima allo spazio, per il quale si moverà la resistenza, che tra essa gran resistenza e la picciola forza si ritrova, e ciò esser secondo la necessaria constituzione della natura. Onde, rivolgendo il discorso ed argumentando per lo converso, qual meraviglia sarà, se quella potenza, che moveria per grande intervallo una picciola resistenza, ne spingerà una cento volte maggiore per la centesima parte di detto intervallo? Niuna per certo: anzi quando altrimente fosse, non pure saria assurdo, ma impossibile. Consideriamo dunque quale sia la resistenza all'esser mosso nel martello in quel punto dove va a percuotere, e quanto, non percotendo, dalla forza ricevuta saria tirato lontano; ed in oltre, quale sia la resistenza al muoversi di quello che percuote, e quanto per una tal percossa venga mosso: e trovato come questa gran resistenza va avanti per una percossa, tanto meno di quello che anderebbe il martello cacciato dall'empito di chi lo muove, quanto detta gran resistenza è maggiore di quella del martello, cessi in noi la meraviglia dell'effetto, il quale non esce punto da i termini delle naturali constituzioni e di quanto s'è detto. Aggiungasi, per maggior intelligenza, l'essempio in termini particolari. È un martello, il quale, avendo quattro di resistenza, viene mosso da forza tale, che, liberandosi da essa in quel termine dove fa la percossa, anderia lontano, non trovando l'intoppo, dieci passi; e viene in detto termine opposto un gran trave, la cui resistenza al moto è come quattromila, cioè mille volte maggiore di quella del martello (ma non però è immobile, sì che senza proporzione superi la resistenza del martello): però, fatto in esso la percossa, sarà ben spinto avanti, ma per la millesima parte delli dieci passi, ne i quali si saria mosso il martello. E così, riflettendo con metodo converso quello che intorno ad altri effetti

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meccanici s'è speculato, potremo investigare la ragione della forza della percossa. So che qui nasceranno ad alcuni delle difficoltà ed instanze, le quali però con poca fatica si torranno di mezzo; e noi le rimetteremo volontariamente tra i problemi meccanici, che in fine di questo discorso si aggiungeranno.

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