3 - Sub Specie Interioritatis

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1 of 19 23/01/2004 21.05 Quaderni del Gruppo di Ur III SUB SPECIE INTERIORITATIS Sub Specie Interioritatis Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

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Quaderni del Gruppo di Ur

III

SUB SPECIE INTERIORITATIS

Sub Specie Interioritatis

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emersonell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, siacitazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuoaggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato puòrendere opportuna una nuova edizione.

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PIETRO NEGRI

SUB SPECIE INTERIORITATIS

Coelum, ......, nihil aliud est quam spiritualis interioritas.(GUIBERTUS - De Pignoribus Sanctorum IV, 8).

Aquila volans per aerem et Buso gradiens per terram est Magisterium.(M. MAYER - Symbola Aureae Mensae duodecim Nationum, Francoforte, 1617, p. 192).

Sono trascorsi oramai molti anni da quando ebbi, per la prima volta, coscienza dellaimmaterialità. Ma, nonostante il fluire del tempo, l'impressione che ne provai fu così vivida, cosìpossente, da permanere tuttora nella memoria, per quanto sia possibile trasfondere e ritenerein essa certe esperienze trascendenti; ed io tenterò, oggi, di esprimere, humanis verbis, questaimpressione, rievocandola dagli intimi recessi della coscienza.Il senso della realtà immateriale mi balenò nella coscienza all'improvviso, senza antefatti, senzaalcuna apparente causa o ragione determinante. Circa quattordici anni fa stavo un giorno,fermo ed in piedi, sul marciapiede del palazzo Strozzi a Firenze, discorrendo con un amico; nonricordo di che ci intrattenessimo, ma probabi1mente di qualche argomento concernentel'esoterismo; cosa del resto senza importanza per l'esperienza che ebbi. Era una giornataaffatto simile alle altre, ed io mi trovavo in perfetta salute di corpo e di spirito, non stanco, noneccitato, non ebbro, libero da preoccupazioni ed assilli. E, ad un tratto, mentre parlavo odascoltavo, ecco, sentii diversamente: la vita, il mondo, le cose tutte; mi accorsi subitamentedella mia incorporeità e della radicale, evidente, immaterialità dell'universo; mi accorsi che il miocorpo era in me, che le cose tutte erano interiormente, in me; che tutto faceva capo a me, ossiaal centro profondo, abissale ed oscuro del mio essere. Fu un'improvvisa trasfigurazione; ilsenso della realtà immateriale, destandosi nel campo della coscienza, ed ingranandosi colconsueto senso della realtà quotidiana, massiccia, mi fece vedere il tutto sotto una nuova ediversa luce; fu come quando, per un improvviso squarcio in un fitto velario di nubi, passa unraggio di sole, ed il piano od il mare sottostanti trasfigurano subitamente in una lieve e fugacechiarità luminosa.Sentivo di essere un punto indicibilmente astratto, adimensionale; sentivo che in esso stavainteriormente il tutto, in una maniera che non aveva nulla di spaziale. Fu il rovesciamentocompleto della ordinaria sensazione umana; non solo l'io non aveva piu l'impressione di esserecontenuto, comunque localizzato, nel corpo; non solo aveva acquistato la percezione dellaincorporeità del proprio corpo, ma sentiva il proprio corpo entro di sè, sentiva tutto sub specieinterioritatis. Ben inteso, occorre qui cercare di assumere le parole: entro, interno, interiore, inuna accezione ageometrica, semplicemente come parole atte, alla meglio, ad esprimere ilsenso del rovesciamento di posizione o di rapporto tra corpo e coscienza; ché, del resto,parlare di coscienza contenuta nel corpo è altrettanto assurdo ed improprio quanto parlare dicorpo contenuto nella coscienza, data l'eterogeneità dei due termini del rapporto.Fu un'impressione possente, travolgente, soverchiante, positiva, originale. Si affacciòspontanea, senza transizione, senza preavvisi, come un ladro di notte, sgusciando entro edingranandosi col consueto grossolano modo di sentire la realtà; affiorò rapidissimaaffermandosi e ristando nettamente, tanto da consentirmi di viverla intensamente e di renderneconto sicuro; eppoi svanì, lasciandomi trasecolato. «Era una nota del poema eterno quel ch'iosentiva... »; e, nel rievocarla, sento aleggiare ancora, nell'intimo della coscienza, la sua ierativasolennità, la sua calma e silente possanza, la sua purezza stellare.

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Questa fu la mia prima esperienza della immaterialità. Nell'esporla, ho cercato soltanto direndere fedelmente la mia impressione, a costo anche di incorrere eventualmente nell'appuntodi non essermi debitamente attenuto alle norme di una precisa terminologia filosofica. Possoanche riconoscere che la mia competenza filosofica non era e non è all'altezza di questeesperienze spirituali, e posso anche ammettere che, dal punto di vista degli studii filosofici,sarebbe desiderabile che di queste esperienze fossero fatti partecipi quelli, e quelli soltanto,che . hanno grandi meriti filosofici; ma, espresso il rammarico, bisogna pur riconoscere che ilpunto di vista degli studii filosofici non è l'unico ammissibile, e che lo spirito soffia dove vuole,senza tenere speciale conto della capacità filosofica.Nel caso specifico della mia esperienza personale, il trapasso avvenne indipendentemente daogni speculazione scientifica o filosofica, da ogni lavorio cerebrale; e sono piuttosto propenso aritenere che questa indipendenza non sia stata fortuita ed eccezionale. Non sembra invero chela speculazione razionale possa condurre più in là di una semplice astrazione concettuale, dicarattere piu che altro negativo, ed incapace di suggerire o provocare l'esperienza direttavissuta, la percezione della immaterialità.Il modo consueto di vivere si impernia sopra il senso della realtà, materiale, o, se si vuole,sopra il senso materiale. della realtà. Esiste quel che resiste, il compatto, il massiccio,l'impenetrabile; le cose sono in quanto esistono, occupano posto, fuori del, ed anche entro ilnostro corpo; esse sono, per cosi dire, tanto maggiormente reali quanto più solide,impenetrabili, inattaccabili. Il concetto empirico ed ordinario di materia, come di una res per sèstante che occupa posto, .che si tocca e che offre resistenza al tatto, è una funzione della viacorporea; le necessità della vita in un corpo solido, denso, pesante, abituato a poggiare sopra ilterreno solido e stabile, generano l'abitudine ad identificare il senso della realtà con questomodo particolare umano di sentire la realtà, e fanno nascere la convinzione aprioristica cheesso sia il solo possibile e che non ve ne siano e non ve ne possano essere altri.Non pertanto è pur vero che questi caratteri tipici della realtà materiale vanno gradatamenteattenuandosi e svanendo quando dalla maeria solida si passa alla liquida, alla fluidica ed allagassosa; e l'analisi scientifica porta, attraverso ai successivi stadii della disintegrazionemolecolare ed, atomica, ad una concezione della materia ben lontana da quel concettoempirico primitivo, che sembrava un dato così sicuro ed immediato dell'esperienza. Allauniversale smaterializzazione dei corpi corrisponde necessariamente, passando dalla scienzaalla filosofia, l'astrazione concettuale idealistica, la risoluzione del tutto nell'io; ma ilriconoscimento concettuale della spiritualità universale non conduce alla conquista odall'acquisto effettivo della percezione della realtà spirituale, ed è possibile seguire una filosofiaidealistica continuando ad essere ciechi spiritualmente tanto quanto il piu crasso materialista; èpossibile dirsi filosofi idealisti e credere di avere toccato la vetta dell'idealismo mediante lasemplice e laboriosa conquista concettuale, pure escludendo o non pensando affatto allapossibilità di una percezione ex imo; è possibile confondere, e pensare che si debbaconfondere, ogni epifania spirituale con un semplice atto del pensiero.Naturalmente con simili chiodi nella testa si può seguitare un pezzo ad arrampicarsi su per iperi dell'idealismo assoluto senza altro effetto che quello di stroncare qualche ramo sulla testadei colleghi in ascensione. Veramente non vale la pena di guardare con tanto disdegno i vecchifilosofi positivisti, vittime povere sì ma oneste di una semplicistica accettazione del criterioempirico della realtà materiale! Toglier a questo senso empirico materialistico della realtà il suocarattere di unicità, di positività e di insostituibilità, non significa invero togliergli ogni valore, masoltanto definirne il valore. Esso seguita ad avere diritto di cittadinanza nell'universo, accanto edinsieme agli altri eventuali modi di sentire la realtà. Raggiunta l'astrazione idealistica concettuale, non è dunque il caso d'intonare. il peana dellavittoria. E, per la esistenza e la entrata in campo del senso della realtà immateriale, non segueparimente, ben inteso, che si debba rovesciare la posizione, accordando al nuovo senso dellarealtà i privilegi dell'antico, esaltandolo a spese dell'altro. La verità dell'uno non porta la falsitàdell'altro; l'esistenza dell'uno non esclude la coesistenza dell'altro.Illusorio ed arbitrario è credere che non vi sia, e non vi debba essere, che un solo modo disentire la realtà; se il criterio empirico della realtà materiale si riduce fatalmente in ultima analisi

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ad una semplice illusione, ciononpertanto questa modalità di coscienza, che si impernia sopraun'illusione, esiste effettivamente tanto che sopra questo senso poggia la vita di innumerevoliesseri, anche quando questo criterio venga superato concettualmente, anche quando vengasuperato spiritualmente, inghiottito dal sopraggiunto senso della immaterialità.La mia esperienza, per quanto fugace, mi dette la dimostrazione pratica della possibile effettivasimultanea coesistenza delle due percezioni della realtà, la percezione spirituale pura e quellaordinaria corporea, per quanto contraddittorie all'occhio della ragione. È un'esperienzaelementare di cui non è certamente il caso di inorgoglirsi; ma è pur sempre un'esperienzafondamentale che ricorda quella di Arjùna nella Bhagavad-gita e quella di Tat nel Pimandro, èpur sempre una prima percezione effettiva diretta di quello che i cabalisti chiamavano il santopalazzo interiore, ed il Filalete l'occulto palazzo del Re, ed anche di quello che Santa Teresachiamava il castello interiore. Per quanto elementare, è una esperienza che inizia una vitanuova, doppia; il dragone ermetico mette le ali e diviene anfibio, capace di vivere in terra e distaccarsi da terra. Ma perché mai, si dirà, di solito si è sordi a questa percezione, ed io stesso che scrivo non mene ero accorto prima? Perché si dileguò? Ed a che serve? Non è forse meglio di non sospettareneppure l'esistenza di cosi perturbanti misteri? E perché non si insegna come si fa ad ottenerequesta impressione? Ed è giusto che alcuni pochi ne sian partecipi e gli altri no? Non è facile rispondere esaurientemente a queste ed alle altre domande che si possono porrein proposito. Quanto alla sordità spirituale, mi sembra che essa provenga o dipenda dal fattoche solitamente l'attenzione della coscienza è talmente fissata sul senso della realtà materiale,che ogni altra sensazione passa inavvertita. È dunque una questione di orecchio: il temamelodico svolto dai violini richiama di solito tutta l'attenzione ed il profondo accompagnamentodei violoncelli e del contrabbasso passa inavvertito. Forse, anche, è la monotonia di questanota, bassa e profonda, che la sottrae alla percezione ordinaria; e io ricordo bene lo stuporeprovato, similmente, quando una volta, in montagna, sopra un gran prato fiorito, il ronzio sordoed eguale prodotto da innumerevoli insetti mi percosse l'orecchio ad un tratto, come per caso, omeglio, solo ad un tratto e senza ragione apparente divenni cosciente di quel ronzio, certopreesistente alla mia improvvisa percezione.La risposta, come si vede, non consiste che in una comparazione con fenomeni consimili, eprobabilmente non appagherà i lettori. Cosi pure temo forte che alle altre domande non potreidare risposte piu soddisfacenti; e perciò porrò fine a questo scritto, cosa del resto che è ormaitempo di fare, non fosse che per discrezione.

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L'esperienza narrata da Pietro Negri in "Sub Specie Interioritatis" è stata oggetto di un saggio diRenè Guenon, intitolato "Spirito nel Corpo o Corpo nello Spirito?" (Etudes Traditionnnelles n°234 -1939) nel quale lo stesso argomento viene trattato dal punto di vista dottrinario delVedanta, un "darshana" indù nel quale purtroppo "maya" è interpretata soltanto come"illusione", anzichè come quella misteriosa potenza magica, che nei Veda appartiene sia aiDeva che agli Asura. Per trasporre quanto detto da Guenon in un contesto magico occidentale,ci si può rifare ad es. a quanto detto da Maestro Eckhart, sostituendo ad Atma, la Divinitàimpersonale (Gottheit), a Jivatma la "Scintilla" e al raggiungimento diretto di Atma quello del"Piccolo Punto", al quale però in magia (ed è questo che la distingue da una via soltantocontemplativa) segue tutta una serie ulteriore di stadi, noti globalmente come "opera al rosso".

Renè Guenon

SPIRITO NEL CORPO O CORPO NELLO SPIRITO?

La concezione corrente, secondo cui lo spirito risiede in qualche modo nel corpo, non può chesembrare molto strana a chiunque possieda anche soltanto le più elementari nozioni dimetafisica, non solo perché lo spirito non può essere «localizzato », ma perché, anche se sitratta solo di un «modo di dire» più o meno. simbolico, è evidente in esso l'illogicità ed ilcapovolgimento dei rapporti normali. In effetti, lo spirito non è altro che Atma, il principio di tuttigli stati dell'essere in tutti i gradi della sua manifestazione; orbene, tutte le cose sononecessariamente contenute nel loro principio, e in realtà non possono in alcun modo essernefuori, né tanto meno rinchiuderlo nei loro limiti; sono dunque tutti questi stati dell'essere, e perconseguenza anche il corpo che è semplicemente una modalità d'uno di questi, a dover esserein definitiva contenuti nello spirito, e non viceversa: Il «meno» non può contenere il «più », nétanto meno produrlo, il che è d'altronde applicabile a diversi livelli, come vedremo in seguito; maconsideriamo per il momento il caso estremo, quello che concerne il rapporto tra il principiostesso dell'essere e la modalità più ristretta della sua manifestazione individuale umana. A tuttaprima si potrebbe essere tentati di concludere che la concezione corrente sia dovutaunicamente ad ignoranza da parte della grande maggioranza degli uomini, e corrisponda ad unsemplice errore di linguaggio ripetuto senza riflettere per la forza dell'abitudine; ma la questionenon è cosi semplice, e questo errore, se errore esiste, ha ragioni ben più profonde di quanto aprima vista si potrebbe credere.A queste considerazioni, bisogna premettere che l'immagine spaziale del «contenente» e del«contenuto » non deve essere presa alla lettera, poiché uno solo di questi due termini, il corpo,possiede effettivamente il carattere spaziale, lo spazio non essendo niente altro che una dellecondizioni proprie dell'esistenza corporea.L'impiego del simbolismo spaziale e di quello temporale, come abbiamo ripetutamentespiegato, non solo è legittimo, ma anche inevitabile, in quanto necessariamente dobbiamoservirci d'un linguaggio il quale, essendo quello dell'uomo corporeo, è anch'esso sottoposto allecondizioni determinanti l'esistenza di quest'ultimo come tale: basta aver sempre presente chetutto quanto non appartiene al mondo corporeo non può essere, in realtà, né nello spazio né neltempo...Secondo la dottrina indù, si sa infatti che jivatma, il quale è in realtà Atma stesso, maconsiderato nel suo rapporto con l'individualità umana, risiede nel centro di questa ed èrappresentato simbolicamente dal cuore; ciò non vuole affatto dire che jtvatma sia racchiusonell' organo corporeo che porta questo nome, o in un organo sottile corrispondente; implicainvece che, in un certo senso, sia situato nell'individualità, e più precisamente nella parte piùcentrale di questa. Atma non può essere veramente né manifestato né individualizzato e, amaggior ragione, non può essere incorporato; e tuttavia, in quanto jivatma, appare come se

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fosse individualizzato e incorporato; evidentemente questa apparenza non può essere cheillusoria riguardo ad Atma, e nondimeno ha una sua esistenza da ,un certo punto di vista, quellostesso punto di vista, proprio della manifestazione individuale umana, per cui jivatma sembraessere distinto da Atma. È dunque da questo punto di vista che si può dire che lo spirito èsituato nell'individuo; e inoltre si potrà dire che è situato nel corpo, a condizione di non scorgerviuna «localizzazione» in senso letterale, se lo si considera dal punto di vista più particolare dellamodalità corporea di tale individualità; non si tratta dunque d'un vero e proprio errore, masolamente dell' espressione d'una illusione che, pure essendo tale se riferita alla realtàassoluta, corrisponde tuttavia ad un certo grado della realtà, quello stesso degli stati dimanifestazione ai quali detta illusione si riferisce, e che diventa errore solo quando si ha lapretesa di applicarla alla concezione dell'essere totale, come se il principio stesso diquest'ultimo potesse essere influenzato o modificato da uno dei suoi stati contingenti.Abbiamo finora fatto una distinzione tra la modalità corporea dell'individualità e l'individualitàintegrale, quest'ultima comprendente anche tutte le modalità sottili; e, a questo proposito,possiamo aggiungere un'osservazione la quale, benché accessoria, aiuterà senza dubbio acomprendere ciò che principalmente abbiamo in vista. All'uomo ordinario, la cui coscienza è inqualche modo «sveglia» unicamente nella modalità corporea, tutto ciò che più o menooscuramente viene percepito delle modalità sottili, appare come incluso nel corpo, perchéquesta percezione corrisponde solo al rapporto che quelle hanno con questo, piuttosto che aciò che sono in se stesse; in realtà, le modalità sottili non possono essere contenute nel corpoe venir condizionate dai suoi limiti, anzitutto perché è proprio in esse che si trova il principioimmediato della modalità corporea, e poi perché esse sono suscettibili d'una estensioneincomparabilmente maggiore, per la natura stessa delle possibilità che comportano. Questemodalità, inoltre, se effettivamente sviluppate, appaiono come « prolungamenti» estendentisi inogni senso al di là della modalità corporea, cosicché questa viene interamente a trovarsi, percosì dire, «avvolta» da esse; sotto questo aspetto, per chi abbia realizzato l'individualitàintegrale, avviene una specie di «rivolgimento », se così ci si può esprimere, rispetto al punto divista dell'uomo ordinario. In questo caso, del resto, le limitazioni individuali non sono ancorasuperate, ed è per ciò che all'inizio parlammo d'una possibile applicazione a diversi livelli; find'ora però si potrà comprendere, per analogia, che un «rivolgimento» si opera ugualmente, inun altro piano, quando l'essere sia passato alla realizzazione sopra-individuale. Fin quandol'essere non raggiungeva Atma, altro che nei suoi rapporti con l'individualità, cioè come jivatma,questo gli appariva come incluso nell'individualità e non poteva di certo apparirgli altrimentipoiché era incapace di oltrepassare i limiti della condizione individuale; ma quando egliraggiunge Atma direttamente ed in sé stesso, l'individualità, e con essa tutti gli altri statiindividuali e sopra-individuali, gli appaiono invece compresi in Atma, com'è effettivament,e dalpunto di vista della realtà assoluta, poiché essi non sono nient'altro che le possibilità stesse diAtma, al di fuori del quale niente può avere un grado qualsiasi di realtà.Abbiamo così precisato i limiti entro i quali, da un punto di vista relativo, si può dire che lo spiritoè contenuto sia nell'individualità umana che nel corpo; e, inoltre, ne abbiamo indicato laragione, ragione che in definitiva è inerente alla condizione stessa dell'essere per il qualequesta prospettiva è legittima e valida. Ma non è tutto: bisogna ancora tener presente che lospirito si considera situato non solo nell'individualità in generale, ma in un suo punto centrale,al quale corrisponde il cuore nell'ordine corporeo; ciò richiede altre spiegazioni, le qualipermetteranno di conciliare i due punti di vista, apparentemente opposti, riferentisirispettivamente, alla realtà relativa e contingente dell'individuo ed alla realtà assoluta di Atma. Èfacile rendersi conto che queste considerazioni devono basarsi essenzialmente su unaapplicazione del senso inverso dell'analogia, applicazione che nello stesso tempo dimostra, inmodo particolarmente chiaro, le precauzioni che si richiedono nella trasposizione delsimbolismo spaziale, in quanto, contrariamente a quello che avviene nell'ordine corporeo, cioènello spazio inteso nel senso proprio e letterale, si può dire che nell' ordine spirituale è l'internoa comprendere l'esterno, ed il centro a contenere tutte le cose.

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I Cieli

Una delle migliori «illustrazioni» dell' applicazione del senso inverso, è data dallarappresentazione dei diversi cieli, corrispondenti agli stati superiori dell'essere, mediantealtrettante circonferenze o sfere concentriche come se ne ha un esempio in Dante. In unasimile rappresentazione sembra a tutta prima che i cieli siano tanto più vasti, cioè meno limitati,quanto più sono elevati e quindi anche più «esteriori », nel senso che figurano più distanti dalcentro, quest'ultimo essendo allora costituito dal mondo terrestre; è questo il punto di vistadell'individualità umana, rappresentato precisamente dalla terra, punto di vista che corrispondead una verità relativa, la quale è tale nella misura in cui l'individualità è reale nel suo ordine, eper il fatto che bisogna necessariamente partire da quest'ultima per passare agli stati superiori.Ma quando l'individualità venga superata e si operi il «rivolgimento» di cui abbiamo parlato (chein realtà è un « raddrizzamento» dell'essere), tutto l'insieme della rappresentazione simbolicaviene ad essere in qualche modo rovesciato; è allora il cielo più elevato ad essere nello stessotempo il più centrale, poiché in esso risiede il centro universale stesso; e, per contro, il mondoterrestre viene in questo modo a situarsi all'estrema periferia. In questo «rivolgimento» diposizione, bisogna inoltre osservare che il cerchio corrispondente al cielo più elevato devetuttavia rimanere il più ampio e comprendere tutti gli altri (infatti, seçondo la tradiziòne islamica,il «Trono» divino abbraccia tutti i mondi); e deve essere così perché, nella realtà assoluta, è il

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centro che contiene tutto.L'impossibilità di raffigurare materialmente questo punto di vista, secondo cui il più vasto è nellostesso tempo il più centrale, non fa che esprimere le limitazioni alle quali il simbolismogeometrico è inevitabilmente sottoposto per il fatto stesso d'essere il linguaggio dellacondizione spaziale, cioè di una delle condizioni proprie del nostro mondo corporeo, e quindiesclusivamente inerenti all'altro punto di vista, quello dell'individualità umana.Per quanto riguarda il centro, si vede nettamente qui che, per il rapporto inverso esistente tra ilcentro effettivo (quello dell'essere totale oppure dell'Universo, a seconda che si considerino lecose dal punto di vista «microcosmico» o «macrocosmico») e il centro dell'individualità o delsuo particolare dominio d'esistenza, il primo, che è il più grande nell'ordine della realtàprincipiale, diventa in certo qual modo (senza venir per nulla alterato o modificato in sé stesso)l'ultimo ed il più piccolo nell'ordine delle apparenze manifestate. Si tratta dunque, continuando aservirci del simbolismo spaziale, del rapporto esistente tra il punto geometrico e ciò chepotremmo analogicamente chiamare il punto metafisico: quest'ultimo è il vero centroprimordiale, che contiene in sé tutte le possibilità, ed è quindi quanto v'è di più grande; non èassolutamente «situato », poiché nulla lo può contenere o limitare, mentre sono tutte le cose asituarsi rispetto ad esso (va da sé che anche ciò deve intendersi simbolicamente, perché quinon si tratta unicamente delle possibilità spaziali). Il punto geometrico poi, che come tale èsituato nello spazio, è evidentemente ciò che v'è di più piccolo anche in senso letterale perchéprivo di dimensioni, il che vuol dire che non occupa rigorosamente nessuna estensione; maquesto «niente» spaziale corrisponde direttamente al «tutto» metafisico, e questi, si potrebbedire, sono i due aspetti estremi dell'indivisibilità considerata rispettivamente nel Principio e nellamanifestazione. Per quel che riguarda le considerazioni circa il «primo» e 1'« ultimo », èsufficiente aver presente, come abbiamo già spiegato, che il punto più alto ha il suo direttoriflesso nel punto più basso; ed a questo simbolismo spaziale si può aggiungere un simbolismotemporale, per il quale ciò che è primo nel dominio principiale, e quindi nel «non-tempo »,appare come ultimo nello sviluppo della manifestazione.Tutto ciò è facilmente applicabile a quanto abbiamo preso in considerazione all'inizio: in effetti èproprio lo spirito (Atma) il centro universale che contiene ogni cosa; ma esso, riflettendosi nellamanifestazione umana, appare appunto per ciò come «localizzato» al centro dell'individualità e,più precisamente ancora, al centro della sua modalità corporea, poiché quest'ultima, in quantotermine della manifestazione umana,. ne è anche la modalità «centrale », ed è quindi appunto ilsuo centro, per quanto riguarda l'individualità, ad essere propriamente la rappresentazione ed ilriflesso diretto del centro universale. Questo riflesso non è che un'apparenza, così come lo è lastessa manifestazione individuale; ma fintantoché l'essere è limitato dalle condizioni individuali,questa apparenza è per lui la realtà e non può essere altrimenti, perché è esattamente dellostesso ordine della sua coscienza attuale. Solo quando l'essere ha superato questi limiti, l'altropunto di vista diventa per lui reale, cosi com'è (ed è sempre stato) in modo assoluto; il suocentro è allora nell'universale, e l'individualità (ed a più forte ragione il corpo) non è più che unadelle possibilità contenute in questo centro; per il « rivolgimento» che si è così effettuato, i verirapporti tra tutte le cose si trovano ristabiliti, quali non hanno mai cessato d'essere per l'essereprincipiale. Aggiungeremo che questo «rivolgimento» è in stretta relazione con il cosiddetto«spostamento delle luci» del simbolismo cabalistico, ed anche con la seguente espressioneche la tradizione islamica attribuisce agli awliya: «I nostri corpi sono i nostri spiriti, ed i nostrispiriti sono i nostri corpi» (ajsamna arwahna, wa arwahna ajsamna), la quale, non solo indicache tutti gli elementi dell'essere sono completamente unificati nella «Identità Suprema », maanche che il «nascosto,» è diventato 1'« apparente» ed inversamente. Sempre secondo latradizione islamica, l'essere che è passato dall'altra parte del barzakh è in qualche modol'opposto degli esseri ordinari (e questa è ancora una stretta applicazione del senso inversodell'analogia tra 1'« Uomo Universale» e l'uomo individuale): «se cammina sulla sabbia, nonlascia tracce; se cammina sulla roccia, i suoi piedi vi lasciano l'impronta (1). Se è al sole, nonproietta ombra; nell'oscùrità, una luce emana da lui».

(1) Ciò ha un evidente rapporto con il simbolismo delle « impronte di piedi» sulle rocce, cherisale alle epoche «preistoriche» e che si ritrova in quasi tutte le tradizioni; senza abbordare

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considerazioni troppo complesse su questo soggetto, possiamo dire che, in generale, questeimpronte rappresentano la « traccia» degli stati superiori nel nostro mondo.

Localizzazione o Delocalizzazione dello Spirito?

In relazione a quanto detto da Pietro Negri e Guenon circa la localizzazione o delocalizzazionedello spirito, vogliamo segnalare questa breve nota che Paul Brunton, alias Raphael Hurst(1898-1981), noto filosofo e orientalista londinese, aggiunse alle edizioni successive della suaopera The Quest of the Overself (prima edizione London 1937), nella quale, dedica più di uncapitolo a quella traslazione del senso di sé nel cuore, spesso sottolineata nelle monografie diUr. Nelle sue opere, Brunton usa il termine "Overself" per indicare il principio diconsapevolezza, senza forma ed inoggettivabile, nucleo del nostro essere.

Paul Brunton

Nota conclusiva del capitolo

L'Overself

Ci si può chiedere:- Perchè l'Overself viene localizzato, come un atomo, nel cuore; nel presentelavoro, mentre nei miei libri, che seguirono a questo , è descritto come senza localizzazione?Non vi è qui una contraddizione lampante, una posizione assurda?-. Rispondo che nei primimiei libri trattai dell'esercizio dello yoga, non dello studio della metafisica. Lo yoga è una tecnicapratica, e con lo scopo di rendere efficiente questa tecnica, la meditazione sul centro del cuoreè stata prescritta da tempo immemorabile in Asia. Il presente capitolo è quindi giusto in quantolocalizza l'Overself col fine di fornire una regola pratica di meditazione e non con lo scopo diattestare una sublime verità metafisica. Esso descrive l'Overself come raggiunto per mezzo diun processo nel tempo e nello spazio, mentre la metafisica descrive l'Overself come essoesiste, senza tempo, senza spazio, e quindi non raggiunto da alcun processo. La differenza èuna questione di punto di vista. Dobbiamo incominciare dal punto di vista pratico, che è quellodello yoga, aggiungervi quello teoretico, cioè quello metafisico, ma terminare con quellofilosofico che include e armonizza tutti e due.

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Il Punto e lo Spazio

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Natura Paradossale Dell'Io

di

Frater Petrus

Quanto hanno detto Pietro Negri, Guenon e Brunton può essere messo in relazione con leosservazioni, relative all'Io o Sé, fatte da John Ellis Mc Taggart, soprattutto nella sua opera"Studies in Hegelian Cosmology" (1901). Egli evidenzia che la natura dell'Io è paradossale,perchè contemporaneamente include in sé ed esclude da sé ciò di cui è consapevole: da unlato, ingloba tutto ciò che conosce nel campo della sua conoscenza, mentre, dall'altro lato, datutto si distingue, come soggetto di contro ad oggetto. Sono proprio questi due aspetti della suanatura a rendere possibili i due punti di vista extranormali, che hanno evidenziato i tre autoricitati all'inizio. Il fatto che l'Io inglobi tutto ciò che conosce nel campo della sua consapevolezzarende possibile l'esperienza, descritta da Pietro Negri, in cui tutto è vissuto "sub specieinterioritatis", anche il corpo fisico. Al contrario, nel suo distinguersi da tutto come soggetto dicontro ad oggetto, l'Io può giungere a distinguersi dallo stesso corpo fisico che anima,percependolo come altro da sé e così ridursi ad un punto senza dimensioni.

Un luogo che favorisce l'esperienza descritta da Pietro Negri, nella monografia "Sub SpecieInterioritatis", è la montagna e, in particolarmodo, la sua vetta, perchè, come ricorda lo scalatore ed esoterista Domenico Rudatis(1898-1994) nel saggio "La Grande Solitudine"(pubblicato nella rivista La Torre n° 4, 15 marzo 1930), di là «le cose tutte sono contemplatecome dal loro Creatore ». La vertigine cheimpedisce quel tipo di esperienza ha anch'essa un analogo nella vertigine che può produrre lavetta nell'animo dell'uomo comune.Superare la seconda vertigine, può permettere di affrontare la prima. Quel che segue è la terzaed ultima parte del suddetto saggio.

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Domenico Rudatis

LA GRANDE SOLITUDINE

Insegnava Buddha ai suoi discepoli che la liberazione, la meta suprema da conseguire al di làdella vita e della morte, è il nirvana. Ma il nirvana era anche il supremo mistero, che la menteumana non poteva concepire. Ansiosi di sapere, chiesero un giorno i suoi discepoli quale cosasulla terra avesse più somiglianza col nirvana, e Buddha rispose che ciò che sulla terra avevamaggiori somiglianze col nirvana era l'alta montagna.La vetta della montagna è il simbolo e la realtà della montagna stessa. Il silenzio e la solitudinedella vetta sono il suo linguaggio e il suo mistero.Da una vetta di alta montagna si scopre il mondo, ché di là - disse un poeta d'oriente - «le cosetutte sono contemplate come dal loro Creatore».Si sente davvero qualcosa che precede e sta sopra la terra dell'uomo.Una realtà nuda deserta violenta, un caos primordiale e prodigioso.L'immensità incombe satura di silenzio e di potenza.La solitudine e la vertigine delle vette agita in ogni individuo le più oscure profondità del suoessere, spingendo ad affiorare alla sua coscienza sensazioni intraducibili. Essa è fermentodell'infinito.Agisce su tutte le nature, trasforma chi vive, e opera in modo distruttivo su chi sta per spegnersispiritualmente.Gli individui passivi, civilmente addestrati a meglio funzionare nel meccanismo socialemoderno, individui i cui bisogni di libertà si limitano ai vasti orizzonti di garza dipinta deipalcoscenici, quando si affacciano sul mondo da una vetta, hanno un'inquietudine oscura, unosmarrimento, il cui senso a loro sfugge.Il mondo si presenta loro nella sua realtà più concreta e più potente, e nulla di tutto ciò checostituisce la loro esistenza abituale, nel pensiero e nell'azione, minimamente aderisce aquesta realtà eterna e originaria. Tutta la mentalità affaristica, l'imponente armatura moderna,al primo contatto con l'essenza adamantina di tale realtà che giunga a parlargli senzaattenuazioni, si sfascia, come terracotta sbattuta contro la roccia, con un immediato esconsolato suono di cocci infranti.Temono gli uomini, paurosamente temono di dover convincersi che i mille puntelli chequotidianamente sorreggono la loro vita rovinino nell'abisso dell'inconsistenza, che tantopomposo progresso non sia che una complicazione caricaturale avente la ridicola e dolorosapesantezza di chi è obeso fino all'impotenza; ed è questo angoscioso timore il segreto dellavertigine che prende anche sulla cima più ampia e incrollabilmente solida.Non è soltanto vertigine fisica ma una vertigine intima che investe il loro spirito e lo travolge.Insorge in loro, nell'interno al pari che nell'altro esterno, un bisogno di retrocedere, disostenersi, di ritirarsi, di rientrare nelle loro proprie limitazioni. Diventa loro necessariodimenticare al più presto di aver dubitato, di aver temuto; attaccarsi più di prima,disperatamente, a ciò che, nell'incubo della vetta, nell'abisso, presentirono crollante.È l'effetto distruttivo della solitudine delle vette sugli spiriti che stanno per spegnersi.È la contrazione che precede la fissità ultima di ciò che non vive più.Il potere della solitudine delle vette è cosi grande che agisce non solamente sull'individuoisolato ma anche su più individui assieme. Allora essi reagiscono alla vertigine che li sorprendeeccitandosi tra loro, gridando, cantando. Ma, dopo ogni voce, il silenzio ripiomba più grave esconcertante.La vetta però come prostra chi scende, esalta chi sale.Chi nell'ascesa che egli affronta, fra il pericolo d'ogni gesto e d'ogni passo, realizza quasi ilsimbolo di un significato superiore e interno, nella solitudine intangibile e silente delle vette

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adombra la promessa del Vangelo: «A chi ha, sarà dato ». Poiché gli sarà dato illimitatamente,di bellezza, di vita, di potenza, tanto quanto sarà capace di reggere e di conservare. Forme ecolori si rivestono di istanti di tale bellezza che sembrano dare alle cose una espressione e unaessenza definitiva per tutta l'eternità. L'orizzonte sembra vivere nello spazio e propagarsi comeuna spirale galattica nell'immensità. Si sente lo spazio stesso come concentrarsi sulla vetta eriespandersi in un respiro oceanico sconfinato che pare trasportarci con sé lontano e dovunque.Il silenzio fa risuonare nell'anima le melodie esaltanti dell'infinito.Sorge dal profondo il senso come di una grandezza ritrovata, di una realtà di vita superiore nonancora presente, ma già più vicina, forse imminente.La solitudine della vetta assurge a forme di rito, di compimento, di simbolo.Chi riuscirà a essere possentemente solo nella Grande Solitudine, si sentirà anche Uno, e più sisentirà Uno, più si riconoscerà Tutto.

Si vedono grandi cose dalla valle, ma solo piccole cose dalla vetta (G.K. Chesterton)

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Applicazioni all'Alchimia Interiore

di

Fabritalp

In "Sub specie interioritatis" si parla dell'attenzione diretta alla realta' materiale o spirituale. Ades. si dice: «...mi sembra che [la sordità spirituale] provenga o dipenda dal fatto che solitamentel'attenzione della coscienza è talmente fissata sul senso della realtà materiale, che ogni altrasensazione passa inavvertita». Saltando al saggio di Luce, "La concentrazione e il silenzio",quest'ultimo viene introdotto dicendo di non occuparsi del pensiero. Si può scorgere qui unaanalogia: entrambi - il senso materiale e il pensiero - sono mezzi che talvolta però si rivelanoostacoli al raggiungimento di certe esperienze (altri mezzi a loro volta). Insomma,comportandosi nei confronti del senso materiale come si fa nel ''Silenzio'' nei confronti delpensiero - si può cercare appunto di percepire la realtà spirituale. Nel saggio di Leo, "Sull'attitudine dinanzi all'insegnamento esoterico", è detto : «...lo stato cheviene descritto deve essere immaginato come formantesi in noi - quasi come se noi stessi lo"inventassimo"...». Si potrebbe applicare alla monografia di "Pietro Negri", in cui viene appuntodescritto uno stato. "Leo" parla anche (v. "Barriere" e "Aforismi") di irrealtà dei limiti corporei, dicosmo che si continua nell'uomo... altre similitudini con quell'esperienza. Infine, "qua e là" vengono trattati certi comportamenti egoistici/possessivi che si possono averenei confronti dei risultati, e che finiscono per contrastarli. Esempio: terzo volume, "Vederesenza voler vedere". Quando sembra di percepire qualcosa, si fa uno sforzo per usare i sensi oper comprenderlo intellettualmente. Ancora una volta entra in gioco il senso materiale ocomunque un "retrocedere": con simili reazioni, propriociò che si vorrebbe conquistare viene inibito. Senza dubbio, ci saranno anche altre possibilità di allaccio, negli scritti dei vari autori...

Artefio, "il viandante", ci ha inviato, per la stesura di questo III Quaderno, una serie di immagini,realizzate al computer. Egli, ritenendo che le parole possano cogliere con difficoltà il tematrattato, propone, a loro ausilio, un lavoro grafico e invita i lettori ad osservare le immagini conattenzione, "cercando di sondare nella propria interiorità, alla ricerca della presenza dirisonanze inesprimibili". Ed aggiunge: "Ogni pagina (immagine) è una pagina della storia. Lastoria ha un significato se viene letta pagina dopo pagina". Pubblichiamo le immagini di Artefiosenza il commento che le accompagnava, affinchè le eventuali risonanze interiori "parlino"effettivamente da sole, senza la possibile suggestione prodotta dalle parole dell'autore.

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Comunicazioni e Percezioni

di

Artefio

"Il Viandante"

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