3^ Opera di Misericordia Corporale Vestire gli ignudi.

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3^ Opera di Misericordia Corporale Vestire gli ignudi

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3^ Opera di Misericordia Corporale

Vestire gli ignudi

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La vita umana si svolge

tra due nudità:

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L’atto di vestire la nudità dell’inizio

e della fine della vita pone l’intera esistenza umana sotto il segno della cura

che un altro ha e manifesta per noi.

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E durante l’esistenza sono le situazioni di povertà e di miseria che possono spogliare dei beni e

ridurre alla nudità.

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“Gli feci capire che gli avrei dato qualche vestito.. perché era tutto nudo. In primo

luogo gli diedi un paio di calzoni di tela, poi gli feci un giubbotto di pelle di capra; poi gli diedi un cappello. Vero è che al principio si muoveva molto a disagio in questi panni;

indossare i calzoni era molto disagevole per lui, e le maniche della giubba gli scorticavano

la pelle all’interno delle braccia; ma dopo averle allargate un po’ nel punto in cui diceva che gli facevano male, e dopo che lui si fu un

poco abituato, alla fine se ne trovò benissimo”

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L’atto di vestire chi è nudo implica un prendersi cura del suo corpo, un’intimità dunque, un toccare e

misurare il corpo per poterlo adeguatamente vestire. Ma implica anche un

prendersi cura della sua anima, in quanto il vestito protegge l’interiorità e sottolinea che l’uomo è un’interiorità che

necessita di custodia e protezione.

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“Nudi passano la notte, senza abiti, nonhanno da coprirsi contro il freddo. Sono resi fradici dagli scrosci della

montagna, senza riparo si rannicchiano sotto una roccia, vanno in giro nudi,

senza vestiti, sono affamati”

(Gb 24,7-8.10)

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“Il Signore Dio fece all’uomo e alla

donna tuniche di pelli e li vestì”

(Gen 3,21)

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Condividere gli abiti con il povero è gesto di intimità che richiede

delicatezza, discrezione e tenerezza,

perché ha a che fare in modo diretto con il corpo dell’altro,

con la sua unicità che si cristallizza al massimo grado nel volto,

che resta nudo, scoperto, e che con la sua vulnerabilità

ricorda la fragilità di tutto il corpo, di tutta la persona umana.

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Solo nella misura in cui il “vestire gli ignudi” è incontro di nudità,

la nudità del volto di chi dona e del volto di chi riceve,

e soprattutto la nudità degli occhi, che sono la parte più esposta del

volto, tale gesto sfugge al rischio di essere umiliante e avviene nel solo spazio che conferisce verità a ogni gesto di

carità: l’incontro con l’altro.

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Le grandi masse dei poveri, per una strana sorte delle evoluzioni della storia, oggi abitano soprattutto nei Paesi caldi del

pianeta e gli stracci che portano addosso non li espongono al rischio di morire

assiderati, ma danno loro la morte della vergogna.

L’abito non serve all’uomo solo per ripararsi dalle intemperie, ma offre anche

la giusta cornice alla nobiltà della persona.

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Rivestiti di Cristo, nel battesimo, a partire dalla nudità della propria condizione umana limitata e fragile, i cristiani si sono immersi nella misericordia di Dio, sono coperti e avvolti da essa;

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cosicché i loro gesti di carità

verso chi è nella nudità

e nella vergogna, nell’impotenza e nella miseria,

nell’umiliazione e nella privazione

della dignità, non sono altro che un

riflesso e una testimonianza

della misericordia divina.

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“ Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere

che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè

nei poveri, privi di panni per coprirsi.

Non onorarlo solo qui in chiesa con stoffe di seta,

mentre fuori lo trascuri quando soffre per la nudità.

Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno

di mantelli, ma di anime pure, mentre quello che sta fuori

ha bisogno di molta cura.

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Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi

e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire,

insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri,

o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello.

Perciò, mentre adorni l'ambiente per il culto, non chiudere

il tuo cuore al fratello che soffre. Perché questo fratello è il tempio

vivo più prezioso di quello di mattoni.

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