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Corso Scuola Galileiana A.A. 2009-2010 Galileo Scienziato e Letterato 3. La Scienza del moto Giulio Peruzzi Dipartimento di Fisica - Università di Padova [email protected] OSTACOLI ALLO STUDIO DEL MOTO la misura precisa degli intervalli di tempo (in particolare quando si palesò l’esigenza di misurare piccoli intervalli) le disparità (allora considerata irriducibili in termini qualitativi) tra quiete e moto e tra moti violenti e moti naturali; a queste si connettevano le interpretazioni del moto di un oggetto lanciato verso l’alto e del moto del pendolo.

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Corso Scuola GalileianaA.A. 2009-2010

Galileo Scienziato e Letterato

3. La Scienza del moto

Giulio PeruzziDipartimento di Fisica - Università di Padova

[email protected]

OSTACOLI ALLO STUDIO DEL MOTO

• la misura precisa degli intervalli di tempo (inparticolare quando si palesò l’esigenza di misurarepiccoli intervalli)

• le disparità (allora considerata irriducibili in terminiqualitativi) tra quiete e moto e tra moti violenti e motinaturali; a queste si connettevano le interpretazionidel moto di un oggetto lanciato verso l’alto e delmoto del pendolo.

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moto di un oggetto lanciato verso l’alto

Si riteneva che l’oggetto, esaurito l’impeto iniziale si fermasseiniziando il moto naturale. Una vera e propria discontinuità,simile a quella che accompagnava l’accelerazione del motonaturale: dalla quiete il corpo passava in breve tempo allavelocità che manteneva fino all’impatto a terra.

moto del pendolo

Nel moto del pendolo, a differenza di quanto avveniva nelmoto naturale di caduta, non si osservava nessunadiscontinuità e i sensi non osservavano una fase di quieteintermedia. I pendoli sembravano quindi violare la regolaAristotelica della distinzione tra moti violenti e naturali. Si eraallora introdotto (in particolare a opera di Buonamici) ladefinizione del moto del pendolo come moto misto, e quindinon utilizzabile per falsificare la distinzione aristotelica.

Nelle pagine del Dialogo del 1632 Galileo sostenneche “i discorsi nostri hanno a essere intorno al

mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta” (cit.

Opere VII 138-139).

Alle spalle del Galileo del Dialogo e dei Discorsi cisono vari decenni di sue difficili ricerche, teoriche esperimentali, tramite le quali egli riuscì a dimostrareche il “mondo sensibile” può essere reso piùperspicuo grazie a “sensate esperienze” e che in talmodo possiamo mettere in luce regolarità astratte ilcui ordine è racchiuso in “certe dimostrazioni” (unnuovo modo di intendere il mondo di carta).

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I primi passi di Galileo si trovano già ne Le Mecaniche

(1598 circa - appunti di un corso - pubblicate solo nel1634) nel quale si fa riferimento a moti ideali (in assenzadi attriti).

È da questa astrazione, mediante ragionamenti etentativi di dimostrazioni di teoremi (e successivamentemediante “sensate esperienze”) che Galileo arriva asuperare la distinzione tra quiete e moto e allaconservazione del movimento, in chiaro contrasto con ilmondo di carta aristotelico.

Quando una cosa è ferma vuol dire che la sua velocità ècostante e il valore è zero. Non esiste quindi, concludeGalileo, nessuna differenza qualitativa tra quiete e moto.

Che cosa è la velocità? E quale è il suo andamento in un motonaturale di caduta? E in generale nei moti qualunque?

! Inizialmente Galileo parte dall’idea che la velocità passi dazero a un valore fisso: in questo senso l’accelerazionediventa un fenomeno breve e irrilevante ai fini delladescrizione del moto.

! Trascuriamo allora per il momento l’accelerazione econcentriamoci sulla velocità: qui entra in gioco il ruolocruciale delle proporzioni tra quantità dello stesso tipo(velocità con velocità, spazi con spazi, tempi con tempi).

!Nel 1599 Galileo decide di realizzare nella sua abitazioneun laboratorio e assume un tecnico (Antonio Mazzoleni) alquale affida la costruzione degli strumenti.

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Nella lettera a Sarpi del 1604 la documentazionedella svolta: dalle esperienze condotte condiversi gravi che cadono da diverse altezze suuna base di cera, analizzando la profondità delladeformazione sulla cera si convince di un“principio totalmente indubitabile”, “naturale” e“evidente”: “che il mobile naturale vadiacrescendo di velocità con quella proportione chesi discosta dal principio del suo moto”. Il “gradodi velocità” cresce in modo tale che il rapporto travelocità finali di oggetti lasciati cadere da diversealtezze è uguale al rapporto tra le altezze”.

La velocità è quindi direttamente proporzionaleall’altezza: un’idea che oggi sappiamo errata (lavelocità è proporzionale al tempo trascorsodall’inizio del moto; è la deformazione della cerache è proporzionale all’altezza o alla velocità allaseconda potenza) ma che lo porterà alla correttaespressione della legge oraria (Opere, X, p. 115)

a

b

c

d

e

Le velocità sono proporzionali alle distanze - Il segmento verticale chepassa per abcde rappresenta lo spazio durante la caduta, mentre quelloobliquo, ghik, non ha alcuna interpretazione fisica e l’angolo formato conla verticale ha un valore qualunque. Considerando i triangoli simili èimmediato ricavare la relazione che lega i rapporti tra segmentiorizzontali e verticali. Per esempio: di / ch = ad / ac. Se interpretiamo isegmenti orizzontali come i valori delle velocità raggiunti dal grave neivari punti otteniamo così che le velocità sono proporzionali agli spazipercorsi: la figura visualizza la crescita delle velocità del corpo in caduta.

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Note

1. Sull’ipotesi della dipendenza della velocità acquisitadall’altezza da cui il corpo è caduto si veda quantoscrive Giusti, Euclides Reformatus, pp. 41 e ss. (cfr.anche p. 56 e ss.). Sullo sbaglio fatto inizialmente daGalileo e la necessità di correggerlo (velocità funzionedel tempo) si veda Opere, VIII, pp. 203-4.

2. La formulazione del legame tra velocità finale epercossa nei Discorsi (Opere, VIII, pp. 199-200) e travelocità e tempo (Opere, VIII, pp. 211-12).

3. Sul problema di trattare in modo coerente, in unostesso linguaggio basato sulle proporzioni, grandezzecontinue (tempo e spazio) e discrete (velocità) si vedasempre Giusti, Euclides Reformatus, pp. 55-56.

A questo punto Galileo introduce, senza darne esplicitagiustificazione, un nuovo algoritmo.

Immagina che esista una grandezza formata dall’insiemedi tutte le velocità che il grave ha avuto percorrendo unadata distanza (qualcosa che ricorda gli infiniti segmentiusati da Keplero per dimostrare la costanza della velocitàareale). Questa grandezza è ancora una velocità, cheperò non deve essere confusa con quella che oggichiamiamo velocità media.

Il nuovo algoritmo - secondo Galileo - è l’insieme di “tutti igradi di velocità” che il grave ha avuto “in tutti i punti dellalinea” di caduta.

Vediamo qual è il significato di questo algoritmo checonserva il nome di velocità, nella formulazione maturache compare nei Discorsi, dove ormai le velocità sonocorrettamente proporzionali ai tempi di caduta.

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L’insieme delle velocità lungo abe l’insieme delle velocità lungoac stanno tra loro come iquadrati degli spazi.Inoltre “la velocità alla velocitàha contraria proporzione che hail tempo al tempo, adunque iltempo del moto ac al tempo delmoto ab ha subduplicataproporzione di quella che ha ladistanza ac alla distanza ab. Ledistanze dunque dal principio delmoto sono come i quadrati deitempi”. (Opere, VIII, p. 373)

La tortuosità dell’itinerariogalileiano denota quanto difficilesia l’analisi e la chiarificazionequantitativa di concetti di usocomune.

E. Giusti, Euclides Reformatus. La

teoria delle proporzioni nella scuola

galileiana, Bollati Boringhieri,

Torino 1993, pp.41 e ss.

Galileo misura il tempo necessario a percorrere distanzediverse, ottenendo che gli spazi percorsi sono proporzionaliai tempi al quadrato, il che equivale a dire che le distanzepercorse dalla sfera in uguali intervalli di tempo stanno traloro come i numeri impari ab unitate 1, 3, 5, 7, ecc.

Infatti, supponiamo che il primo tratto percorso nel primointervallo sia pari a un’unità di lunghezza, la legge enunciatada Galileo dice che le distanze percorse dall’inizio del motosaranno 12, 22, 32, 42, ecc. cioè 1, 4, 9, 16 ecc.

Questo vuol dire che le distanze percorse in ciascunintervallo uguale di tempo saranno 1, 4 – 1 = 3, 9 – 4 = 5, 16– 9 = 7, ecc. È una chiara indicazione che la velocità cresceman mano che la sfera scende sul piano: infatti nel secondointervallo di tempo (uguale al primo) è stato percorso untratto triplo, nel terzo (uguale al primo) quintuplo ecc.

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Questo anomalo teorema, al quale Galileo fa cenno nella lettera aSarpi, diventerà [Discorsi, Giornata III, teorema II, proposizione II, pp.209-10] un chiaro esempio di quel collegamento tra mondosensibile e mondo di carta che nel momento stesso in cui si rivelaspiega alcuni fatti e genera nuovi problemi:

! la legge oraria unifica tutti i moti di caduta libera senza piùriferirsi a “tendenze spontanee” delle cose pesanti a trovare illoro “luogo naturale”.

! Ma come giustificare i moti violenti? Quale forma deve avere laloro traiettoria? La netta separazione di moto violento enaturale, nel caso per esempio del moto dei proietti, portava aconcepire la traiettoria del proietto come composta da duerette: una seguita fino all’esaurimento dell’impeto e una(verticale) del moto naturale. Questa legge aveva una serie didifetti ma si confidava di tenerla in piedi con qualchecorrezione.

! La scienza comincia a palesare due caratteri fondamentali:quello dell’unificazione e quello della continuità.

Già Guidobaldo delMonte, buon conoscitoredi meccanica ematematica, avevastudiato i moti violenti,informando Galileo deisuoi risultati provvisoricon le parole del testo afianco riprodotto. Come sivede esso parla di “curvegeometriche” pur nonriuscendo a definirne laforma.

I cammini diventavanounici e continui.

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Da secoli si ammetteva l’applicabilità della composizione deimoti nell’ambito dell’astronomia. Nessuno aveva mai dubitatodell’applicazione della matematica ai moti celesti: i tempi sonoora maturi per la svolta galileiana.

Nel Dialogo si trova il seguente passo: Dirò bene con Aristotile

- dice Simplicio - che nelle cose naturali non si deve sempre

ricercare una necessità di dimostrazione matematica. E larisposta galileiana è seccamente: Sì, forse, dove la non si può

avere; ma se qui ella ci è, perché non la volete voi usare?.

La tecnica della composizione dei moti da secoli usuale inastronomia matematica è applicabile ai moti violenti chevediamo intorno a noi?

E se è applicabile, dobbiamo considerarla come una meratecnica di calcolo utile per i moti apparenti o come un sicurometodo per spiegare i moti reali, ridisegnando i confini delmotus terrestre applicato aristotelicamente a tutto ciò chemuta?

Nel suo laboratorio Galileo è al lavoro: la geometria (conla teoria euclidea delle proporzioni e la scienzaarchimedea) e le macchine (piani inclinati, pendoli estrumenti di misura di tempi, angoli e distanze) trovano iloro punto di incontro nell’elaborazione delle nozionifondamentali della cinematica.

Io ho una palla di bronzo - scriverà nei Discorsi -esquisitamente rotonda, non più grande d’una noce;

questa, tirata sopra uno specchio di metallo, tenuto non

eretto all’orizzonte, ma alquanto inclinato, sì che la palla

nel moto vi possa camminar sopra, calcando

leggiermente nel muoversi, lascia una linea parabolica

sottilissima e pulitissima descritta, e più larga e più

stretta secondo che la proiezione si sarà più o meno

elevata. Dove anco abbiamo chiara e sensata

esperienza, il moto dei proietti farsi per linee

paraboliche. [Opere, VIII, p. 185]

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Galileo ha fatto gliesperimenti? (il foglio 116v,manoscritto 1608)

(Opere, VII, 190-93; S. Drake, Essays on Galileo, Vol. 2, University of Toronto Press, Toronto 1999, pp. 58 e ss, p.61; sul fatto chetra archi circolari, di un’ellisse, parabola o spirale “nel caso di pochi gradi … sia impercettibile la differenza” cfr. Opere, VI, p. 244)

Caduta semicircolare

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Relatività galileiana [Esperimenti mentali][Opere, VI, 547-49 (lettera a Francesco Ingoli) e Opere, VII, pp. 212-13 (Dialogo sui massimi sistemi)]

Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto

coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e

simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi

de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia

a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca,

che sia posto a basso:

e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli

animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della

stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i

versi;

le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottopposto;

e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la

dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le

lontananze sieno uguali;

e saltando voi, come si dice,a piè giunti, eguali spazii passerete verso

tutte le parti.

Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché

niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano

succedere così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità;

ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi

non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti,

né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o

pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi

spazi che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente,

farete maggior salti verso poppa che verso prua, benché nel tempo

che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte

contraria al vostro salto;

e gettando alcuna cosa al compagno, non con più forza bisognerà

tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso prua e voi verso poppa, che

se voi fuste situati per l’opposito;

le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne

pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la

nave scorra molti palmi;

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i pesci nella loro acqua non con più fatica noteranno verso la

precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari

agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell’orlo

del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor

voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si

riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che

fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla

quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state

separate;

e se abbruciando alcuna lagrima d’incenso si farà un poco di

fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta

trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa

che quella parte.

E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il

moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed

all’aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta.

In realtà quello che oggi va sotto il nome di principiodi relatività galileiana è strettamente legato alconcetto ideale di moto rettilineo uniforme all’infinito,un’idea problematica per Galileo.

Solo la piena accettazione del principio di inerzia, cheafferma che un corpo non soggetto a forze perseveranel suo stato di quiete o di moto rettilineo e uniforme(primo principio della dinamica di Newton), puòcondurre al principio di relatività. E il principiod’inerzia in questa sua accezione non si ritrovanell’opera di Galileo.

Per lui, sulla falsa riga di Aristotele, l’unico moto chepoteva continuarsi uniformemente era il motocircolare.

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A questo proposito è significativo il seguente passo trattodalla prima giornata del Dialogo: “Essendo il moto rettodi sua natura infinito, perché infinita e interminata è lalinea retta, è impossibile che mobile alcuno abbia danatura principio di muoversi per linea retta, cioè versodove è impossibile arrivare, non vi essendo terminepredefinito” (cfr. Opere, vol. VII, p. 43).

Secondo Galileo quindi solo il moto circolare, “che fa cheil mobile sempre si parte e sempre arriva al termine”,può essere uniforme. Questa inerzialità dei moti circolariè ovviamente assimilabile localmente, come osservaanche Galileo, a un’inerzialità dei moti rettilinei ogni qualvolta il raggio della traiettoria circolare è molto grande: èappunto il caso della nave, che sembra percorrere unatraiettoria rettilinea quando in realtà si muove su unacirconferenza di raggio uguale al raggio della Terra.

È vero che, almeno in un paio di punti (cfr.Opere, vol. VII, p. 404 e vol. VIII, passim),Galileo parla di moto uniforme in linea rettaall’infinito, ma questo è in qualche modo messoin relazione con la possibilità che esista uncerchio di raggio infinito.

Accettare l’esistenza di un simile cerchioavrebbe implicato ammettere l’infinità delcosmo: una questione troppo delicata per iltempo.

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Ma il filo del ragionamento galileiano era comunqueche il moto lungo la circonferenza di raggio infinitofosse localmente lo stesso lungo circonferenze diraggio inferiore.

Era questo il risultato che Galileo cercava. Infatti larelatività introdotta da Galileo con la metafora dellanave, con tutte le sue concessioni alla tradizionearistotelica, era funzionale al suo tentativo di cercareuna fisica per il copernicanesimo.

La nave nel suo percorso intorno alla Terra è come laTerra nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole: tuttoquello che trascina con sé segue le stesse leggi cheseguirebbe se la Terra fosse ferma.

La gravità

Sagr. Da questo discorso mi par che si potrebbe cavare una assaicongrua ragione della quistione agitata tra i filosofi, qual sia lacausa dell’accelerazione del moto naturale de i gravi. Imperòche, mentre io considero, nel grave cacciato in su andarsicontinuamente diminuendo quella virtù impressagli dalproiciente; la quale, sin che fu superiore all’altra contraria dellagravità, lo sospinse in alto; giunte che siano questa e quellaall’equilibrio, resta il mobile di più salire e passa per lo statodella quiete, nel quale l’impeto impresso non è altramenteannichilito, ma solo consumatosi quell’eccesso che pur dianziaveva sopra la gravità del mobile, per lo quale, prevalendogli, lospingeva in su; continuandosi poi la diminuzione di questoimpeto straniero, ed in consequenza cominciando il vantaggioad esser dalla parte della gravità, comincia altresì la scesa, malenta per il contrasto della virtù impressa, buona parte dellaquale rimane ancora nel mobile; ma perché ella pur vacontinuamente diminuendosi, venendo sempre con maggiorproporzione superata dalla gravità, quindi nasce la continuaaccelerazione del moto (cfr. Discorsi, Opere, VIII, p. 201)

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SALVIATI. Io non ho detto che la Terra non abbia principio néesterno né interno al moto circolare, ma dico che non so qualde’ dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza dilevarglielo.

Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giroaltri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico chequello che fa muover la Terra è una cosa simile a quella per laquale si muove Marte, Giove, e che e’ crede che si muovaanco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà chi sia il moventedi uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi famuover la Terra.

Ma più, io voglio far l’istesso s’ei mi sa insegnare chi muova leparti della Terra in giù.

SIMPLICIO. La causa di questo effetto è notissima, eciaschedun sa che è la gravità.

SALVIATI. Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire checiaschedun sa ch’ella si chiama gravità.

Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa:della cui essenza voi non sapete punto più di quello che voisappiate dell’essenza del movente le stelle in giro,eccettuatone il nome, che a questa è stato posto e fattofamiliare e domestico per la frequente esperienza che millevolte il giorno ne veggiamo; ma non è che realmente noiintendiamo più, che principio o che virtù sia quella che muovela pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su,separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoché(come ho detto) il nome, che più singulare e proprio gliabbiamo assegnato di gravità, doveché a quello con terminepiù generico assegnamo virtù impressa, a quello diamointelligenza, o assistente, o informante, e a infiniti altri motidiamo loro per cagione la natura. [Opere, VII, p. 260]

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Veduto come la differenza di velocità, ne i mobili di gravitàdiverse, si trova essere sommamente maggiore ne i mezzipiù e più resistenti [...] dove che tra palle d’oro, di piombo,di rame, di porfido, o di altre materie gravi, quasi del tuttoinsensibile sarà la disegualità del moto per aria, chésicuramente una palla d’oro nel fine della scesa di centobraccia non preverrà una di rame di quattro dita; veduto,dico, questo, cascai in opinione che se si levassetotalmente la resistenza del mezzo, tutte le materiedescenderebbero con eguali velocità.

[Galileo Galilei, Discorsi, Opere, Vol. VIII, p. 116.]

La teoria generale della relatività deve la sua origine al tentativo dispiegare un fatto noto già ai tempi di Galilei e Newton, ma fino ad allorasfuggito a tutte le interpretazioni teoriche: l’inerzia e il peso di un corpo,due cose di per sé stesse distinte, sono misurati da una stessacostante: la massa.

Da questa corrispondenza segue che è impossibile scoprire medianteun esperimento se un sistema è accelerato o se il suo moto è rettilineoe uniforme e gli effetti osservati sono dovuti a un campo gravitazionale(principio di equivalenza della teoria della relatività generale).

Il concetto di sistema inerziale viene così distrutto non appenainterviene la gravitazione. Si può osservare, a questo punto, che ilsistema inerziale costituisce un punto debole della meccanica galileianae newtoniana. Infatti in essa si presuppone una proprietà misteriosadello spazio fisico, che condiziona i tipi di sistemi di coordinate per iquali il principio d’inerzia e la legge newtoniana del moto sono valide.

[Albert Einstein, Considerations Concerning the Fundamentals of Theoretical Physics, 1940 [trad. it.Albert Einstein, Opere Scelte, a cura di Enrico Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 564-576, p.571].