28 - Appendice - Medioevo a Donetta
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Marco Vignola
Medioevo a Donetta
I suoi metalli, da Crosiglia agli attuali scavi
stratigrafici.
PrefazioneContrariamente a quanto accade in molti scavi archeologici, il sito di
Donetta si è rivelato particolarmente generoso di manufatti in ferro e
leghe di rame, a tal punto che questa classe di materiali,
generalmente soggetta ad un pesante degrado dovuto all'ossidazione,
è numericamente tra le più significative. Questa peculiarità ha
tuttavia ragioni ben chiare, riconducibili al metodo di scavo ed alle
caratteristiche del terreno. L'impiego costante del metal detector , in
primo luogo, ha consentito una setacciatura molto accurata dellaterra di riporto, limitando così al massimo ogni possibile dispersione
e salvaguardando anche il più piccolo ed invisibile dei frammenti. In
seconda battuta, un terreno poco aggressivo nei confronti degli
elementi metallici ha permesso una conservazione piuttosto buona
dei reperti stessi, i quali assai di rado (e molto meno che in altri siti)
si presentano così intaccati e corrosi da risultare totalmente
illeggibili. Stupisce, in ogni caso, l'altissimo quantitativo di cuspidi
d'armi da getto (ovvero, di punte di frecce e di dardi), tanto frequenti
da lasciare pochi dubbi sulla destinazione militare della struttura
fortificata, così come la presenza di alcuni sproni, uno dei quali,
scavato in tempi remoti dal Crosiglia, appare addirittura argentato e
quindi agevolmente riferibile ad un personaggio di rango
cavalleresco. Proprio al Notaio Crosiglia (cultore di storia locale,
autore nel 1865 di alcuni "sondaggi" sul luogo oggi rivisitato con ben
altro metodo scientifico), si deve una prima raccolta di reperti, la cui
provenienza da Donetta, tramandata oralmente e per mezzo d'una
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succinta pubblicazione, è risultata ancor più rafforzata dalla totale
similitudine con quanto rinvenuto in corso di scavo.
Quello restituito da Donetta, dunque, è un repertorio assai prezioso
per la conoscenza non solo del sito fortificato ma, più in generale, ditutta Torriglia: gli oggetti antichi sono infatti un tratto invisibile che
ci lega alla vita quotidiana di uomini in tutto identici a noi, le cui
vicende si perdono tuttavia nell'incertezza del passato. Ogni seppur
piccola testimonianza materiale è così la narratrice d'una civiltà,
d'una "cultura materiale" che aveva nelle cose della vita quotidiana,
intrise d'una manualità capace ancor'oggi di stupire, il suo umile ma
importantissimo sbocco. Di questo "saper fare", di questo artigianato,
alcuni di noi (i meno giovani, in particolare...) conservano senz'altro
una memoria diretta, o, ancor meglio, si pongono tra gli ultimi
depositari. Siamo purtroppo di fronte ai brandelli d'una conoscenza
un tempo diffusa e vitale, prima che la desolante e fredda
massificazione dell'industria la sospingesse nell'esilio delle cantine e
delle soffitte più polverose.
Armi.
La prima categoria di materiali cui si debba fare cenno in questarapida rassegna è senza dubbio rappresentata dagli oggetti
riconducibili alla sfera militare. Come accennato, i resti della
fortificazione che un tempo dominava l'intera vallata hanno
tramandato un repertorio vastissimo di ferri per armi da getto, e, più
nello specifico, di cuspidi di freccia e dardi di balestra. Le prime,
destinate ad essere lanciate dagli archi, si distinguono in genere dai
secondi per il loro formato più esile e per un minor diametro
dell'innesto con l'asticciola lignea, chiamato in gergo tecnico"gorbia". Le differenze tra questi due tipi di vettore sono note a tutti,
perchè arco e balestra risultano ancora oggi ben diffusi nella pratica
del tiro sportivo, con caratteristiche poco o nulla mutate dall'avvento
di nuovi e più efficienti materiali costruttivi: appaiono meno
scontate, tuttavia, le loro caratteristiche medievali.
In generale, giova ricordare come la forza propulsiva delle balestre
(misurata in libbre nella moderna arcieria) fosse solitamente assai
maggiore rispetto all'arco, motivo per cui i loro dardi avevano una
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massa superiore ed un ferro proporzionalmente più pesante, per
infliggere ferite più profonde e letali rispetto ad una freccia.
Le balestre, nel dettaglio, erano poi realizzate in una moltitudine di
forme e già dagli inizi del Duecento se ne documentano di più foggee dimensioni, per le quali si impiegavano come minimo tre diverse
tipologie di munizionamento. Sappiamo che esisteva, almeno nei
centri dove quest’arma aveva una tradizione d’uso radicata (come a
Genova, dove i pezzi migliori venivano prodotti addirittura dalla
zecca), un tentativo di controllo governativo sulla bontà delle
cuspidi; ma, a lato di questa produzione per così dire “garantita”,
s'incontrava tutta una serie di ferri forgiati localmente, senza
verifiche altrettanto scrupolose da parte di un’autorità centrale. A
complicare il quadro della situazione, si deve infine aggiungere
l'esistenza nel medesimo arco cronologico di tipologie specializzate e
differenziate a seconda del loro impiego, senza trascurare la
possibilità che alcune forme particolari si siano sviluppate nel corso
dei secoli per far fronte alle nuove esigenze dettate dallo sviluppo
della tecnica militare. Gli inventari degli oggetti custoditi nei castelli,
abbondanti soprattutto a partire dal Trecento, ci restituiscono infine
una singolare panoramica di quanto giaceva nel ventre delle fortezze,
confermando nelle sue linee generali il quadro d'una insospettabilevarietà tipologica, nella quale non è sempre facile orientarsi.
Di questa non scontata complessità, a ben guardare, il sito di Donetta
offre uno spaccato assolutamente singolare e veritiero, grazie ad un
patrimonio complessivo di circa... esemplari.
La tipologia in assoluto più numerosa è rappresentata da un insieme
cuspidi di freccia dalla forma molto slanciata (si vedano, in figura 1,
molti esemplari della Collezione Crosiglia: lunghe fino a 17 cm. e
per molti versi somiglianti ad uno spiedo).
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Figura 1
Il loro corpo è costantemente di sezione circolare, mentre la punta, in
certi casi più sfuggente, in altri più marcata, ha invece l'andamento
d'una piramide a base triangolare. Si tratta quasi certamente di
oggetti militari, destinati per la loro forma affusolata a penetrare le
cotte di maglia, infliggendo ferite profonde attraverso queste difese
confezionate con migliaia di anellini d'acciao, le quali, almeno fino
alla metà del Trecento, rappresentarono l'armamento più diffuso tra
fanti e cavalieri. Efficacissime e tremendamente letali contro le cotteappena descritte, queste cuspidi scontavano invece una scarsa
capacità offensiva contro le protezioni in piastra, e specialmente
quelle giubbe rivestite internamente di placche metalliche che in area
genovese, sin dai primi anni del XIV secolo, erano generalmente
note con il nome di coyracie, cioè "corazze".
Oltre alla tipologia precedente, per la quale esistono confronti precisi
con reperti di area ligure e toscana databili tra il tardo Duecento e la
prima metà del Trecento, tra i materiali metallici di Donetta
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s'incontrano quindi molte cuspidi dalla tipica punta a sezione
quadrata (Figura 2).
Figura 2
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Si tratta, in questo caso, della forma più comune di ferri per dardo e
freccia, chiamate nei documenti con il termine assai eloquente di
quadrella, cioè "quadrelli". Tali cuspidi coniugavano una relativa
facilità costruttiva (venivano infatti forgiate con una tecnica nonmolto diversa da quella riservata ai chiodi, con l'unica eccezione
della gorbia per l'innesto) ad una buona penetrazione contro ogni tipo
d'armatura. Nello specifico, la forma stessa della punta poteva
assumere diverse declinazioni, a seconda dell'impiego, sempre ed
esclusivamente di tipo bellico: più lunga e sottile (quasi a spillo, in
certi casi) per esemplari destinati a perforare senza impaccio le cotte
di maglia; piramidale o bi-piramidale, per enfatizzare invece il potere
d'impatto e non rimbalzare facilmente sulle piastre. In base alle
dimensioni della punta ed al diametro delle gorbia è oggi possibile
determinare con buona approssimazione quali di queste cuspidi
venissero lanciate con gli archi e quali con le balestre. Tra le prime,
in particolare, se ne ricordano sei venute alla luce nel corso della
campagna del 2005, molto esili, leggere e sicuramente foggiate a
misura d’arco: tra le seconde, invece, è necessario sottolineare la
presenza tra i rinvenimenti dal Crosiglia d'un esemplare molto
grande, di dimensioni quasi estreme (Figura 3),
Figura 3
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forse costruito per essere lanciato da un cosiddetto balistrum deturno, ovvero da una macchina a corda funzionante con il medesimo
principio della balestra ma di formato assai maggiore, non
trasportabile ed impiegata unicamente come arma da postazione. Lestesse dimensioni dei loro ferri (peraltro rarissimi in contesti di
scavo) appaiono molto eloquenti del potere offensivo d'una tale
arma, la quale, anche a cento metri di distanza, poteva facilmente
sfondare qualunque tipo d'armatura.
Se per tutti gli esemplari citati si può certamente suggerire una
precisa funzione bellica, ben altro è il discorso per una cuspide di
freccia, fornita non già della consueta gorbia, ma d’un codolo simile
ad un chiodo, unito ad un’ampia punta a forma di foglia (Figura 4).
Figura 4
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La sagoma del ferro, che in questi casi veniva inserito nell’asticciola
tramite un tacca e poi fermato da strette legature, non era idonea a
garantire una buona penetrazione, per il suo angolo di vertice poco
acuto, facile ad incastrarsi negli anelli delle cotte. Di contro, lalarghezza del filo poteva infliggere ferite molto ampie, ideali per un
impiego venatorio contro animali di una certa mole, come daini e
cinghiali.
Da citare come unicum nel suo genere, infine, è la presenza tra i
recuperi non stratigrafici (ma di provenienza assolutamente certa,
trattandosi d'un antico ritrovamento effettuato da Mauro Casale), di
una cuspide recante un piccolo marchio(Figura 5).
Figura 5
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Si tratta, a ben guardare, dell'unico caso di cuspide punzonata del
quale sia a conoscenza, e quindi d'un reperto la cui importanza
storica andrebbe ben oltre la semplice, banale apparenza.
L'apposizione del marchio, assai frequente in periodo basso-medievale, aveva infatti lo scopo di evidenziare l'origine del
prodotto, garantendo un maggior controllo qualitatitivo da parte delle
corporazioni di mestiere ed una migliore tutela dell'acquirente, oltre
a costituire una sorta di "pubblicità" ante litteram per quegli artigiani
che si fossero meglio distinti nell'esercizio della loro professione.
Tale abitudine, nell'ambito dei metalli, riguardava tuttavia solo gli
oggetti di maggior mole e significato, quali i coltelli, le spade, gli
armamenti difensivi, le asce etc. Ben diverso il caso delle cuspidi.
Queste, infatti, opponevano una serie di problemi tecnici alla
punzonatura: in primo luogo, le loro ridotte dimensioni non
garantivano uno specchio sufficientemente ampio all'accoglimento
del marchio, che poteva essere applicato solo a prezzo d'una
esecuzione quasi maniacale. In seconda battuta, non si deve
trascurare il costo assai ridotto delle cuspidi stesse, le quali, per la
loro intrinseca natura di oggetti "a perdere", venivano prodotte a
migliaia e commerciate in casse da 500 pezzi: s'intuisce come la
complicazione della marchiatura avrebbe allungato il processo produttivo, con una lievitazione dei costi non corrispondente ad un
effettivo miglioramento delle prestazioni belliche. Le ragioni d'una
simile operazione, inutile a fini pratici, dovevano dunque riposare
solo nel bisogno di attestarne la provenienza.
Sotto un profilo prettamente formale, la raffigurazione del marchio
in questione, qualora lo si osservi con una lente d'ingrandimento,
sembra per molti versi accostabile ai tipi monetali allora raffigurati
sul recto delle monete genovesi (Figura 6).
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Figura 6
Alimentando così il sospetto che la cuspide rinvenuta da Casale
possa essere una di quelle prodotte dalla zecca di Genova, delle quali
abbiamo precise notizie storiche, pur nell'assenza (almeno fino ad
oggi) di corrispondenti testimonianze materiali. Si tratta di un'ipotesi
senz'altro suggestiva, alimentata tuttavia da una serie di indizi
difficilmente casuali che, considerati nel loro complesso, potrebbero
forse costituire una vera e propria prova, pur soggetta ad ulterioricritiche ed approfondimenti.
Sempre riferibili alla categoria delle armi, in quanto elementi
indispensabili nella panoplia militare alla stregua d'una spada o d'una
corazza, sono quindi gli sproni, detti anche, meno propriamente,
"speroni". Questi compagni inseparabili dell'uomo a cavallo
potevano anche rappresentare un distintivo del suo rango: quando
fossero stati dorati o argentati, infatti, erano in genere associati allo
status cavalleresco, cioè a quel titolo di cavaliere che rappresentavala base della gerarchia nobiliare: non a caso le cronache insegnano
come dopo la battaglia di Courtrai (1302), che vide la disfatta del fior
fiore della cavalleria francese per mano delle fanterie fiamminghe, i
soldati vincitori abbiano fatto un mucchio degli sproni dorati sottratti
ai loro antagonisti, a testimonianza tangibile dello scorno gettato
sulla nobiltà sconfitta.
Virando dalla "grande storia" allo specifico dei reperti di Donetta,
molto interessante appare soprattutto uno sprone sinistro in ferro, un
tempo rivestito interamento in lamina d’argento e riconducibile alla
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tipologia cosiddetta “a brocco”, ben riconoscibile perchè la
stimolazione dell'animale era procurata non già della rotellina
ancor'oggi consueta, ma da una ben più pericolosa e acuminata punta
piramidale ( Fig.1 e 2, cap.2). L'oggetto, seppure generalmente benconservato, appare lievemente fratturato all’altezza del becchetto
(cioè di quella sporgenza posta a salvaguardia del tallone d'achille) e
del passante posizionato sul lato interno del piede, entro il quale
correva il coietto che ne consentiva l’allaccio. Sul lato esterno, il
cinturino era invece assicurato all’estremità della branca (termine
con il quale si designa il "braccio" dello sprone) tramite due chiodini
di rame, in origine probabilmente dorati, mentre le branche stesse, di
sezione grossomodo ellittica, risultano dolcemente curvate per
seguire al meglio la sagoma della caviglia fin sotto il malleolo.
Si tratta, lo sottolineo, d'un oggetto quasi suntuario, di ottima fattura
(splendida, per esempio, è l’esecuzione del brocco piramidale a base
quadrata, con facce morbidamente incavate) ed ulteriormente
impreziosito dall’argentatura, oggi sopravvissuta in qualche traccia:
per un manufatto di questo genere, dunque, non pare fuori luogo
suggerire un’antica appartenenza ad un personaggio di rango elevato,
verosimilmente ascrivibile al ceto cavalleresco. Sotto il profilo
formale, le indicazioni offerte dagli sproni sono sufficienti agarantirne un inquadramento cronologico abbastanza efficace. Nella
fattispecie, è un dato condiviso che la tipologia “a brocco” sia
collocabile entro gli anni venti-trenta del XIV sec., termine dopo il
quale venne sostituita da quelle "a rotella", ancor'oggi in uso.
L’esemplare di Torriglia, data l’arcatura delle branche (piuttosto
accentuata, ma non ancora comparabile con quella di alcuni
esemplari del Trecento avanzato) e la forma abbastanza primitiva di
fissaggio del cinturino, si colloca probabilmente entro la secondametà del XIII sec., o nei primissimi anni di quello successivo.
Analoghi argomenti valgono quindi per un secondo sprone a brocco,
di fattura meno raffinata e mutilo delle branche, le quali, in origine,
avevano un andamento più rettilineo, indice assai probabile d'una
datazione anteriore, forse circoscritta entro gli ultimi anni del XIII
secolo.
Accanto a questi fortunati recuperi del Crosiglia, altrettanto
significativo appare un ulteriore frammento, corrispondente alla branca esterna d'uno sprone destro, curvata ad angolo quasi retto,
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secondo una consuetudine ben attestata in esemplari databili tra la
fine del Duecento e gli inizi del Trecento. Dal solo esame dei suoi
resti non è ovviamente possibile affermare con certezza se si trattasse
di un tipo “a brocco” o “a rotella”, ma appare comunquestoricamente significativo se associato ai due precedenti ed in
rapporto ad un sito d'altura come Donetta, dove un'intensa
frequentazione equestre, data la natura impervia del luogo, appare
oggi ben poco scontata.
Oltre agli sproni appena descritti, infine, solo un altro dei reperti
pervenuti si può ancora ricondurre al corredo dell’uomo d’arme. Si
tratta, nello specifico, d’una piastrina di forma vagamente
trapezoidale, fornita d’un piccolo rivetto o chiodino circolare in lega
di rame (Figura 7).
Figura 7
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La sua presenza, in questo caso, potrebbe essere significativa della
vocazione bellica del manufatto, perchè di rivetti analoghi se ne
conoscono in abbondanza sulle protezioni lamellari tre-
quattrocentesche. La particolare forma della piastrina, tuttavia,sarebbe poco compatibile con le sagoma delle placche poste a
guardia busto, sembrando piuttosto associabile ad un guanto
corazzato, forse simile ad alcuni esemplari rinvenuti nelle fosse
comuni presso il luogo della battaglia di Visby (1361), sull'isola di
Gotland, ancora indosso agli scheletri dei loro sfortunati proprietari
(Foto Guanto – figura 8).
Figura 8
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Chiodi ed utensili
La vita militare d'un fortilizio medievale, ovviamente, non poteva
consistere solo nella pratica delle armi, ma si svolgeva secondo ritmi
del tutto simili a quelli della vita civile. Il fattore bellico, invero, erasolo un'eccezione alla quale ciscun soldato doveva dirsi pronto
all'occorrenza, in un quotidiano dominato dai medesimi ritmi che
scandivano il mondo circostante, fuori dai limiti talvolta angusti
delle mura. Si comprende, dunque, perchè negli inventari, accanto
agli oggetti più schiettamente legati al settore bellico, si possano oggi
incontrare lunghi elenchi di cose che non sfigurerebbero tra le
masserizie d'una qualunque casa rurale. Scuri, pale, picconi, secchi,
pentole, chiavi, mobilio, ferri per il fuoco e mille altri utensili, erano
dunque compagni del soldato quanto è forse più delle sue stesse
armi, perchè da quelli dipendeva la sopravvivenza quotidiana, come
in ogni altro luogo della terra.
L'archeologia tende puntualmente a confermare quanto si legge negli
inventari, restituendoci, insieme alle armi, alcuni labili brandelli di
quella cornice di manufatti che contornava e completava il quadro
operativo d'ogni fortificazione: ed anche a questo proposito lo scavo
di Donetta appare esemplare, per la grande ricchezza delle sue
testimonianze.L’oggetto più rappresentativo dell'intero repertorio, almeno dal punto
di vista della conservazione e della rarità, è senza dubbio costituito
da una scure rinvenuta nel 2004, chiaramente leggibile nella sua
forma originaria e provvista d'un tagliente piano, largo e dal forte
calo verticale (Foto 6 cap.7). Non è semplice indovinare la funzione
d'un simile manufatto, perché le scuri si prestavano ugualmente bene
ad essere impiegate come utensile, oppure, all’occorrenza, come
arma. Il peso ed il bilanciamento del suo ferro, tuttavia, sono tali dasuggerire un impiego in lavori di carpenteria piuttosto che in campo
bellico. La forma piatta della lama è infatti particolarmente adatta
alle operazioni di sgrossatura delle travi, ma risulterebbe piuttosto
impacciata sui campi di battaglia, dove la velocità e la precisione del
movimento giocavano un ruolo fondamentale, persino superiore alla
semplice violenza dell'impatto. Sul piano dei confronti, un esemplare
molto simile proviene dal sito di Montale e Gorzano, in Emilia, dove
sulla base d’un semplice e criticabile accostamento tipologico è statoattribuito ad un'epoca anteriore all'anno Mille: la scure di Donetta ci
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condurrebbe però ad escludere una simile datazione, a meno di non
ammetterne un’improbabile vita operativa plurisecolare. Parrebbe
invece più logico che il manufatto, secondo i dati stratigrafici in
nostro possesso, risalga ad un periodo non distante dall’ultimaoccupazione del sito, cioè tra fine Duecento e primo Trecento.
Come la scure, testimoni di questo piccole attività quotidiane sono
pure un frammento di falcetto ed una lesina per forare il cuoio
(ambedue provenienti dalla collezione Crosiglia) ed una piastrina di
ferro forato, molto frammentaria ma ancora leggibile nella propria
destinazione originaria e certamente intepretabile come grattugia
(Figura 9).
Figura 9
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Oltre ai confronti tra i repertori di scavo, a chiarire l’impiego di
quest'ultima è la tipologia stessa dei fori, praticati da uno strumento a
sezione quadra con il preciso intento di lasciare sulla faccia esternauno sbaffo di metallo, utile, appunto, a grattare gli alimenti che vi
fossero stati strofinati. L'impiego del formaggio sui cibi medievali,
d'altro canto, è assai ben documentato, in omaggio ad una pratica
culinaria giunta immutata sino ai nostri giorni.
Sempre rapportabili all'ambito “domestico” e quotidiano appaiono
quindi i resti di alcuni contenitori in lega di rame, dei quali, in base
ad una semplice valutazione degli spessori e della forma, è
ipotizzabile l’appartenenza ad almeno tre manufatti differenti. Uno di
questi frammenti, di medie dimensioni, porta in aderenza un grumo
di ossidi ferrosi, residuo d'un manico o d’una maniglia, ed è
riconducibile ad una padella o ad un secchio. Un altro, di formatrapezia, presenta invece due fori lungo il margine superiore, ove
alloggiano i resti d'una grappa in lega di rame, probabile residuo di
una maniglia o di un rinforzo applicato. Della terza forma, infine,
sopravvive solo una nebulosa di schegge minute o minutissime, tra le
quali si distinguono alcune sezioni di un orlo, ottenuto ripiegando la
lamina verso l’esterno. In questo caso saremmo di fronte ad un bacile
o, ancora, ad una padella, come suggerirebbero la tipologia del bordo
e gli spessori delle pareti, troppo sottili per un contenitore di
maggiori dimensioni.
Del mobilio, comunque indispensabile nelle fortezze come in ogni
edificio residenziale, resta solitamente assai poco per l'intrinseca
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deperibilità del legno, capace di conservarsi solo in rari, fortunati
contesti anaerobici, cioè in assenza di ossigeno. L'unico indizio della
sua esistenza rimane così solitamente limitato alla ferramenta, che inantico ne rappresentava un elemento funzionale e complementare: la
presenza tra i reperti di Donetta d'una chiave maschio in ferro
(Figura 10).
Figura 10
rinvenuta nel 2003 e piuttosto ben conservata, è perciò molto
significativa sotto il profilo della ricostruzione dell'arredo. Si tratta,
nello specifico, di un manufatto in ferro di buona fattura, con anello
circolare a sezione quadrata ed una mappa a due fori, appena
frastagliata "a pettine" lungo il margine. Tra le caratteristiche
peculiari di questo reperto, utili a suggerirne l'epoca, si pongono
senz’altro la forma dell’anello, perfettamente circolare, e la sua
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sezione grossomodo quadrangolare. Per oggetti simili esistono
confronti precisi in esemplari databili tra XIII e XIV secolo, ascritti
genericamente dal Mandel al “periodo gotico”. Date le dimensioni
(la sua lunghezza è di 10,5 cm), si trattava quasi certamente d'unachiave da porta (la simmetria della mappa, in particolare, rendeva
possibile l'azionamento della serratura da ambo i lati) o ad un
cassone di grandi dimensioni.
Accostabile alla chiave è quindi un interessante boncinello da cassa
di fattura molto semplice, provvisto d'un foro per l’inserimento della
piccola copiglia che lo fissava al coperchio, consentedogli un’ampia
libertà di movimento. La staffa sull'estremità inferiore del boncinello
poteva così entrare in una piccola fenditura ricavata sulla piastra
della serratura, dove incontrava una stanghetta mossa internamente
dalla chiave che, a mo' di chiavistello, si inseriva nella staffa stessa
impedendone l'estrazione e realizzando la chiusura. In questo
esemplare, in particolare, si osserva un profilo nettamente curvato, a
testimoniarne l’impiego su una serratura dalla piastra bombata e
montata all’esterno della cassa. Per un oggetto di questo genere
esistono numerosi paralleli, generalmente datati intorno al secolo
XIV: data la sua estrema semplicità e la scabra funzionalità della sua
forma, tuttavia, non se ne può escludere un arco d’impiego ben piùampio.
Tra tutte le forme di incernieramento per ante di mobili, casse, porte
e finestre, “la copiglia” è senz’altro quella più economica e la più
puntualmente rappresentata in contesti di scavo: questa, infatti,
consisteva in una barretta metallica (solitamente in ferro) la cui parte
centrale veniva curvata a formare una sorta di laccio: le estremità,
invece, erano appuntite e quindi forzate nel corpo del legno, a guisa
di chiodo. In tal modo due copiglie articolate l’una nell’altracostituivano una cerniera di fattura assai semplice, economica e,
proprio per questo, difficilmente databile. Nello scavo di Torriglia le
copiglie sono due, le quali, viste le loro dimensioni, erano quasi
certamente destinate ad essere montate su una cassa.
Ancora riferibile all’arredo del castello è infine una cerniera
circolare, diversa dalle copiglie perchè costituita da una fascia
metallica piegata ad anello, strutturata per accogliere un cardine e
consentire l’apertura d’un battente (Figura 11).
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Figura 11
Le sue dimensioni rilevanti (il diametro interno era in origine di poco
superiore ai 2 cm.) suggerirebbero non tanto il montaggio su una
cassa, quanto piuttosto l'impiego su un battente di grande dimensioni,
come quello d’una porta: la mancanza della parte finale delle
branche, spezzate già in antico, rende tuttavia difficoltoso risalire
allo spessore originario del legno che l’accoglieva.
Last but not least , come direbbero gli inglesi, giunge quindi il
repertorio più cospicuo: quello dei chiodi. Come in tutti i contesti di
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scavo, anche a Donetta, infatti, i chiodi rappresentano l’insieme più
numeroso tra gli oggetti metallici, con ben 214 esemplari (tra integri
e frammentari) rinvenuti nel corso delle tre campagne stratigrafiche
condotte dal dott.Biagini, cui si devono sommare alcune decine dielementi scavati nel XIX secolo dal Crosiglia. Oltre alle forme più
comuni, a testa grossomodo circolare, stelo a sezione quadrata e
lunghezza inferiore ai 15 cm., assegnabili genericamente ad un
impiego di carpenteria leggera, si osservano alcune tipologie
specializzate, come i chiodi da ferratura e da scarpa. I primi sono
caratterizzati da una tipica testa piramidale a sezione rettangolare,
che s’inseriva al meglio nelle stampe dei ferri di muli e cavalli,
sporgendo per un tratto a creare una sorta di bassa ramponatura e
garantire una migliore presa sui fondi scivolosi (Figura 12):
Figura 12
la loro funzione, peraltro, risulta confermata dall'assoluta
corrispondenza tra la sagoma delle loro testa le stampe (cioè gli
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alloggiamenti dei chiodi, n.d.a.) di un piccolo frammento di ferro di
cavallo, scoperto nella campagna del 2005. I secondi, invece, hanno
dimensioni assai modeste (di poco superiore al centimetro) e sono
dotati di una piccola testa foggiata a borchia: formato e tipologia nonsembrano renderli adatti ad altro impiego che non fosse il
rafforzamento delle suole dei calzari, operazione indispensabile in un
sito d’altura come quello di Donetta, dove il ghiaccio doveva
rappresentare un’insidia permanente nei mesi invernali (Figura 13).
Figura 13
Tra i chiodi più grandi provenienti da contesti stratigrafici se ne
distinguono almeno tre, mutili della punta ma di modulo assai
maggiore, forse destinati al sostegno d’elementi lignei strutturali più
pesanti, quali piccole travature, come pure 8 esemplari di grosso
modulo pervenuti dalla collezione Crosiglia. La loro origine proprio
da Donetta, a ben guardare, sarebbe confermata dalle caratteristiche
della patina, del tutto compatibile con quella dei ferri trovati nelle
indagini stratigrafiche. Si tratterebbe in questo caso dei chiodi più
grandi restituiti dal castello, certamente impiegati nell'impostazione
di pesanti solai ed altri elementi di sostegno, unico indizio
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sopravvissuto delle strutture lignee con le quali si definivano e
dividevano gli spazi abitativi all'interno delle murature in pietra
(Figura 14).
Figura 14
Oggetti decorativi e di uso personale
Il metallo, nel medioevo come oggi, entrava a buon diritto tra i
complementi del vestiario. Le fibbie, in particolare, potevano essere
prodotte nei materiali più disparati: leghe di rame e ferro
principalmente, ma anche, sebbene più di rado ed in oggetti di forte
pregio, argento ed oro. Le fibbie, oltre che sulle cinture, venivano
anche impiegate per altri scopi, in particolare nell'allacciatura delle
scarpe e delle scarselle, cioè di quelle sacchette in pelle o tessuto che
si solevano portare appese alla cintura. I bottoni metallici, poi, fecero
la loro comparsa nel secolo XIII per diventare una delle principali
caratteristiche della moda trecentesca e del primo Quattrocento,
quando se ne impiegavano a profusione soprattutto nell’allacciatura
dei farsetti (sul petto e sulle maniche, fino all’altezza del gomito).
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Il ricco repertorio di Donetta, anche in questo caso, ci illumina su
alcuni particolari del vestiario e ci avvicina di un altro passo alla
realtà degli uomini che vi operarono.
Bello e piuttosto ben conservato, in primo luogo, è un bottone sfericoin lega di rame rinvenuto nel 2003, costituito da due semicalotte
giuntate sulla mezzeria (dove, infatti, è visibile una sottile linea di
saldatura) ed appicagnolo ad anello (Figura 15).
Figura 15
Con questa tecnica particolarmente complicata si otteneva un
prodotto finale cavo e leggero, con notevole risparmio di materia
prima, a scapito tuttavia dei tempi d'esecuzione, senz'altro ben
superiori a quelli occorrenti per una semplice e massiccia fusione in
stampo chiuso.
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Con la tecnica della fusione, in particolare, si producevano le fibbie
in lega di rame, mentre quelle di ferro erano generalmente battute a
caldo e rifinite a lima. Restando a Donetta ed al frutto degli scavi
stratigrafici, proprio in ferro sono quattro piccole fibbie circolari, duedelle quali ancora fornite di ardiglione e quasi certamente
interpretabili, per caratteristiche e dimensioni, come fibbie da calzari
(Figura 16).
Figura 16
La forma circolare, diffusa in tutta Europa, è tipica dei contesti
trecenteschi, per quanto l’uso di questo genere di fibbie sia
documentabile su un arco cronologico ben più ampio, compresoalmeno tra il Duecento ed il Quattrocento. A queste quattro fibbie
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circolari se ne aggiungono poi altre quattro, del tipo “a D” e di
dimensioni appena superiori (1,9 cm), il cui profilo esterno segue un
modello che trova anch'esso numerosi confronti nel XIV secolo. Di
forma simile ma più grande (2,9 cm) è quindi un esemplare anche inquesto caso conformato “a D”, senz’altro destinato ad un impiego su
cintura ed ancora munito dell’ardiglione e della piastrina per il
fissaggio al pellame (Vedi foto 8 e 17).
Figura 17
Scorrendo nuovamente i reperti tramandati dal Crosiglia, s'incontra
quindi la fibbia in ferro più grande dell'intero lotto (alt. 5,5 cm),
conformata “a D” e verosimilmente destinata ad un impiego su
cintura, piuttosto che su finimenti animali (Figura 18).
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Figura 18
L’esemplare, infatti, risulta opportunamente incavato sulla faccia
interna per alleggerirne il peso, mentre l’ardiglione è sottile ed
appuntato, indicato per un pellame di spessore medio, come quello
delle cinture.
Tornando ai reperti provenienti dalle campagne stratigrafiche figuraquindi un singolare massello in lega di rame, piatto su un versante,
scantonato sull’altro. Lungo il lato appiattito si possono ancora
apprezzare le tracce d’un codolo ferroso, ora spezzato, mentre sulla
parte scantonata si apre una profonda tacca triangolare, sagomata a
seguire il profilo d’un tagliente (Foto 19).
Figura 19
Un oggetto di questo tipo, confrontabile con un analogo esemplare
dal sito di Rougiers, in Provenza, è chiaramente interpretabile come
parte dell'impugnatura per un coltello del tipo “a codolo”, di piccole
dimensioni, un tempo collocata tra la lama e l'impugnatura vera e
propria, realizzata in materiali deperibili quali legno ed osso. Proprio
i coltelli, insieme a fibbie e bottoni, rappresentavano infatti un
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ennesimo complemento al vestiario quotidiano, con una sorta di
"natura ibrida" che li collocava a mezza via tra gli oggetti di comune
utilità e la forme ornamentali. Abbondantissima sin dal Duecento è
l'iconografia che li ritrae racchiusi in foderi di pelle e sospesi allacintura della gente d'ogni ceto, con una declinazione di varianti che
andavano dalle più semplici dei meno abbienti a quelle più
riccamente ornate dei notabili. Un piccolo coltello a codolo,
verosimilmente destinato proprio ad essere portato proprio così, sulla
persona, figura quindi tra i reperti del Crosiglia, a riprova della
diffusione d'un costume che non mancava di coinvolgere anche la
Torriglia medievale (Figura 20).
Figura 20
Gli scavo del 2003 e del 2004 hanno quindi restituito alcune
"misteriose" appliques in lega di rame dorata. Si tratta di 5 borchiette
decorate a giorno e recanti un motivo “a quadrifoglio” o “a croce
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patente”, unite ad alcune fascette sagomate “a treccia” che trovano
confronti in contesti duecenteschi (Vedi Foto 15 e Foto 21).
Figura 21
Una di queste borchie, identica nella decorazione, ha però diametro
assai maggiore rispetto alle altre (2,5 cm. contro 1,8 cm.). La
presenza dei fori di fissaggio lungo i bordi delle borchie e le fratture
ben visibili che accompagnano i margini delle fascette, inoltre,
dimostrano come tali elementi costituissero in origine un partito
decorativo unitario, presumibilmente applicato ad una superficie
piatta, come quella d'un cofanetto o come la copertina d’un libro di
pregio. A margine della borchietta più grande, poi, il foro appare ben
rifinito, cioè senza alcun segno di frattura, indizio che evidentemente
la pone al termine d’una sequenza formata da trecce e borchie
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alternate. Significativa è poi la presenza di manufatti analoghi tra i
rinvenimenti ottocenteschi del Crosiglia, per un totale (forse ancora
provvisorio) di sei borchie e tre frammenti di treccia, ad ulteriore
riprova dell'origine da Donetta della collezione da lui tramandata.Certamente destinata ad un libro è quindi una grossa borchia in lega
di rame (forse ottone) proveniente dalla medesima collezione e
sagomata "a trifoglio", con forte umbone centrale (Foto 16 Cap. 24).
Di tale borchie, infatti, si faceva ampio uso sulle copertine dei libri,
le quali erano in antico costituite da due tavole di legno rivestite in
pelle e protette dagli urti con borchie e paraspigoli di metallo. La
presenza di libri (ed anche di un certo pregio...) in un fortilizio
arroccato ed apparentemente secondario come Donetta pone
ovviamente alcuni quesiti, aprendo la possibilità che si dovesse
trattare d'un libro religioso, quali se ne trovano negli inventari dei
castelli forniti d'una piccola cappella. Le dimensioni della struttura,
tuttavia, parrebbero troppo esigue per avere accolto, almeno in area
sommitale, una struttura autonoma legata al culto, ragione per la
quale il nostro interrogativo appare ancora destinato a rimanere
insoluto, almeno fino a quando la prosecuzione degli scavi non regali
altre certezze storiche.
L'unico monile di tutto il repertorio è quindi rappresentato da anelloin lega di rame, la cui derivazione dal sito della Donetta è ancora una
volta confermata dalla relazione pubblicata dal Crosiglia a seguito
delle proprie scoperte (Foto 14 cap. 24.). Tale anello, di fattura
molto semplice, è formato da una fascetta appiattita che si apre in
una losanga decorata con un motivo inciso di linee e puntini. Si tratta
d'un manufatto puramente ornamentale, il cui valore venale doveva
essere piuttosto basso già in origine e che, almeno sul piano della
tecnica decorativa, trova confronti con esemplari provenienti dalontani contesti londinesi. Il gusto della decorazione incisa,
comunque, attraversò tutto il basso medievo senza distinzione di
tempo e di luogo, ed un oggetto simile appare pienamente
contestualizzato anche nel territorio di Torriglia.
Di fattura decisamente meno affrettata appare quindi una piccola
porzione di lamina in lega di rame decorata a sbalzo, rinvenuta nel
2005, sulla quale s'intravedono il becco ed il capo di due uccelli
affrontati (Foto 1 cap.7). Nonostante le dimensioni assai contenute,colpisce molto la raffinatezza della lavorazione, eseguita con gusto
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quasi miniaturistico ed una formidabile attenzione per il dettaglio. Le
misure contenute del frammento (il quale, lo sottolineo, rappresenta
solo una porzione esigua d'una placca ben più grande) impediscono
purtroppo di risalire con chiarezza alla destinazione primitiva d'unasimile applique, cioè di definire se in origine fosse applicata ad una
cassetta o, in alternativa, ad una cintura. Oggetti di questo genere
sono piuttosto rari in contesti di scavo e, purtroppo, piuttosto avari di
confronti: potrebbe tuttavia risultare significativo l'accostamento con
una piastrina rinvenuta presso la Cripta Balbi di Roma, ov'è
riprodotto un volatile, o, ancora, con alcune placchette sbalzate
provenienti da Rougiers, in Provenza.
Con la placchetta sbalzata, che si pone a buon diritto tra i reperti più
singolari di Donetta ed ultima in ordine di ritrovamento, si conclude
la panoromica dedicata ai metalli di questo piccolo, prezioso castello,
purtroppo assai sintetica per la non facile gestione d'una materia
tanto suggestiva quanto complicata. All'occhio dell'archeologo,
tuttavia, un dato emerge con prepotenza: quello della relativa
sproporzione tra l'ampiezza del repertorio metallico e la discreta
povertà delle testimonianze superstiti del fortilizio stesso: come,
cioè, così tanto materiale possa essere stato restituito da un sito
relativamente piccolo come Donetta, oltretutto rasato ad una quota piuttosto bassa e con poche zone di approfondimento stratigrafico.
Non compete ovviamente ad un rapido contributo sondare le ragioni
storiche di questo fatto indiscutibile: basti perciò l'aver sottolineato la
ricchezza di spunti e suggestioni che questa fortunata "coincidenza"
ci ha offerto per entrare nel quotidiano d'una struttura dove la vita
terminò quasi sette secoli or sono, oggi riemersa dal passato per
raccontarci alcuni brevi, preziosi episodi della propria storia.
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