26 dio e patria – repubblica romana 1849 · Pio IX nel 1846 quando si fece portavoce dell'ansia...

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26 dio e patria – repubblica romana 1849 La Repubblica Romana del 1849 fu costituita a seguito di una rivolta liberale che nei territori dello Stato pontificio estromise Papa Pio IX dai suoi poteri temporali. Fu governata da un triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi. La piccola repubblica, nata nel contesto dei grandi moti del 1848 che coinvolsero tutta Europa, ebbe come quest'ultimi vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio), a causa dell'intervento della Francia di Napoleone III che per convenienza politica ristabilì l'ordinamento pontificio, in deroga ad un articolo della costituzione francese. Tuttavia quella della repubblica romana fu un'esperienza significativa nella storia dell'unificazione italiana perché vide l'incontro e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento accorse da tutta la Penisola, fra cui Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli. In quei pochi mesi Roma passò dalla condizione di stato tra i più arretrati d'Europa a banco di prova di nuove idee democratiche, ispirate principalmente al mazzinianesimo, fondando la sua vita politica e civile su principi (quali, in primis, il suffragio universale maschile, l'abolizione della pena di morte e la libertà di culto) che sarebbero diventate realtà in Europa solo circa un secolo dopo. L’assemblea venne inaugurata il 5 febbraio e votò la proclamazione della repubblica (contrario il Mamiani). La base della Costituzione della Repubblica Romana era invece nell'ordine del giorno elaborato da Quirico Filopanti che l'Assemblea costituente approvò il 9 febbraio 1849 con 118 voti favorevoli, 8 contrari e 12 astenuti. Esso fu pubblicato il giorno seguente come:« Decreto fondamentale della Repubblica Romana e consoisteva di pochi articoli. Art. 1: Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.Art. 2: Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l'indipendenza nell'esercizio della sua potestà spirituale. Art. 3: La forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana. Art. 4: La Repubblica Romana avrà col resto d'Italia le relazioni che esige la nazionalità comune. » (Assemblea Costituente Romana. Roma, 9 febbraio 1849. Un'ora del mattino. Il Presidente dell'Assemblea G. Galletti. ) 27 ciceruacchio Roma, settembre 1800 – Porto Tolle, 10 agosto 1849 Angelo Brunetti detto Ciceruacchio fu oste e patriota italiano, combatté per la seconda Repubblica romana;alla sua caduta fuggì con Giuseppe Garibaldi per raggiungere Venezia. Il soprannome ciceruacchio, datogli da bambino, è la corruzione dell'originale romanesco ciruacchiotto (grassottello). Nato a Roma da un maniscalco nel rione di Campo Marzio, di mestiere carrettiere del porto di Ripetta, gestì una taverna nei pressi di Porta del Popolo. Sembra che in età giovanile abbia esercitato la mansione di "garzone" nel Seminario Romano all'Apollinare. Infatti nelle scale secondarie, in una umile stanzuccia, sulla porta di ingresso è scritto a matita: "Angelo Brunetti". Di carattere brillante e molto socievole, era amato dal popolo romano. Grazie alla sua innata capacità dialettica che non poté mai coltivare con l'istruzione (parlava solo ed unicamente in romanesco), divenne presto un rappresentante informale dei sentimenti popolari. Questa sua caratteristica emerse appieno con l'avvento al soglio pontificio di Papa Pio IX nel 1846 quando si fece portavoce dell'ansia popolare per il ritardo delle tanto attese e promesse riforme annunciate dal nuovo pontefice.In una manifestazione di popolo, ringraziò pubblicamente il Papa per aver concesso la libertà ai prigionieri politici, donando alla popolazione alcune botticelle di vino ed accendendo un grande fuoco vicino a Porta del Popolo. Nella primavera e durante l'estate del 1847, Brunetti fu il diretto organizzatore di manifestazioni popolari al fine di incitare il Papa a continuare nel suo piano di riforme politiche all'interno dello Stato Pontificio. Al Museo della Patria si conserva ancora la sua giacchetta rossa con ricamata più volte la scritta "Viva Pio IX", che allora riscuoteva grandi consensi per la sua politica "liberale". Abbracciata la causa mazziniana dopo il voltafaccia del pontefice avvenuto con l'allocuzione del 29 aprile 1848, aderì alla Rivoluzione del 1849. Partecipò attivamente ai combattimenti contro l'assediante francese e dopo la caduta della Repubblica Romana, nel luglio dello stesso anno, lasciò Roma con l'intento di raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli Austriaci, insieme a Garibaldi e ad alcuni fedelissimi. Attraversati gli Appennini, raggiunse Cesenatico dove, requisiti alcuni bragozzi, si imbarcò. In prossimità del delta del Po fu intercettato da una vedetta austriaca e costretto con gli altri all'approdo. Ciceruacchio e i suoi compagni chiesero l'aiuto di alcuni abitanti del posto per raggiungere Venezia ma questi li denunciarono alle autorità. Brunetti fu così arrestato dagli Austriaci e fucilato a mezzanotte del 10 agosto 1849, insieme al figlio Lorenzo di tredici anni, al prete Stefano Ramorino, Lorenzo Parodi di Genova, Luigi Bossi di Terni (che era in realtà il figlio maggiore di Angelo Brunetti, Luigi Brunetti, che aveva cambiato nome dopo essere stato accusato di essere stato l'esecutore materiale dell'assassinio di Pellegrino Rossi, capo del governo pre-rivoluzionario), Francesco Laudadio di Narni, Paolo Baccigalupi e Gaetano Fraternali (entrambi di Roma).

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    dio e patria – repubblica romana 1849

    La Repubblica Romana del 1849 fu costituita a seguito di una rivolta liberale che nei territori dello Stato pontificio estromise Papa Pio IX dai suoi poteri temporali. Fu governata da un triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi. La piccola repubblica, nata nel contesto dei grandi moti del 1848 che coinvolsero tutta Europa, ebbe come quest'ultimi vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio), a causa dell'intervento della Francia di Napoleone III che per convenienza politica ristabilì l'ordinamento pontificio, in deroga ad un articolo della costituzione francese. Tuttavia quella della repubblica romana fu un'esperienza significativa nella storia dell'unificazione italiana perché vide l'incontro e il confronto di molte figure di primo piano del Risorgimento accorse da tutta la Penisola, fra cui Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli. In quei pochi mesi Roma passò dalla condizione di stato tra i più arretrati d'Europa a banco di prova di nuove idee democratiche, ispirate principalmente al mazzinianesimo, fondando la sua vita politica e civile su principi (quali, in primis, il suffragio universale maschile, l'abolizione della pena di morte e la libertà di culto) che sarebbero diventate realtà in Europa solo circa un secolo dopo. L’assemblea venne inaugurata il 5 febbraio e votò la proclamazione della repubblica (contrario il Mamiani). La base della Costituzione della Repubblica Romana era invece nell'ordine del giorno elaborato da Quirico Filopanti che l'Assemblea costituente approvò il 9 febbraio 1849 con 118 voti favorevoli, 8 contrari e 12 astenuti. Esso fu pubblicato il giorno seguente come:« Decreto fondamentale della Repubblica Romana e consoisteva di pochi articoli. Art. 1: Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.Art. 2: Il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l'indipendenza nell'esercizio della sua potestà spirituale. Art. 3: La forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana. Art. 4: La Repubblica Romana avrà col resto d'Italia le relazioni che esige la nazionalità comune. » (Assemblea Costituente Romana. Roma, 9 febbraio 1849. Un'ora del mattino. Il Presidente dell'Assemblea G. Galletti. )

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    ciceruacchio Roma, settembre 1800 – Porto Tolle, 10 agosto 1849

    Angelo Brunetti detto Ciceruacchio fu oste e patriota italiano, combatté per la seconda Repubblica romana;alla sua caduta fuggì con Giuseppe Garibaldi per raggiungere Venezia. Il soprannome ciceruacchio, datogli da bambino, è la corruzione dell'originale romanesco ciruacchiotto (grassottello). Nato a Roma da un maniscalco nel rione di Campo Marzio, di mestiere carrettiere del porto di Ripetta, gestì una taverna nei pressi di Porta del Popolo. Sembra che in età giovanile abbia esercitato la mansione di "garzone" nel Seminario Romano all'Apollinare. Infatti nelle scale secondarie, in una umile stanzuccia, sulla porta di ingresso è scritto a matita: "Angelo Brunetti". Di carattere brillante e molto socievole, era amato dal popolo romano. Grazie alla sua innata capacità dialettica che non poté mai coltivare con l'istruzione (parlava solo ed unicamente in romanesco), divenne presto un rappresentante informale dei sentimenti popolari. Questa sua caratteristica emerse appieno con l'avvento al soglio pontificio di Papa Pio IX nel 1846 quando si fece portavoce dell'ansia popolare per il ritardo delle tanto attese e promesse riforme annunciate dal nuovo pontefice.In una manifestazione di popolo, ringraziò pubblicamente il Papa per aver concesso la libertà ai prigionieri politici, donando alla popolazione alcune botticelle di vino ed accendendo un grande fuoco vicino a Porta del Popolo. Nella primavera e durante l'estate del 1847, Brunetti fu il diretto organizzatore di manifestazioni popolari al fine di incitare il Papa a continuare nel suo piano di riforme politiche all'interno dello Stato Pontificio. Al Museo della Patria si conserva ancora la sua giacchetta rossa con ricamata più volte la scritta "Viva Pio IX", che allora riscuoteva grandi consensi per la sua politica "liberale". Abbracciata la causa mazziniana dopo il voltafaccia del pontefice avvenuto con l'allocuzione del 29 aprile 1848, aderì alla Rivoluzione del 1849. Partecipò attivamente ai combattimenti contro l'assediante francese e dopo la caduta della Repubblica Romana, nel luglio dello stesso anno, lasciò Roma con l'intento di raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli Austriaci, insieme a Garibaldi e ad alcuni fedelissimi. Attraversati gli Appennini, raggiunse Cesenatico dove, requisiti alcuni bragozzi, si imbarcò. In prossimità del delta del Po fu intercettato da una vedetta austriaca e costretto con gli altri all'approdo. Ciceruacchio e i suoi compagni chiesero l'aiuto di alcuni abitanti del posto per raggiungere Venezia ma questi li denunciarono alle autorità. Brunetti fu così arrestato dagli Austriaci e fucilato a mezzanotte del 10 agosto 1849, insieme al figlio Lorenzo di tredici anni, al prete Stefano Ramorino, Lorenzo Parodi di Genova, Luigi Bossi di Terni (che era in realtà il figlio maggiore di Angelo Brunetti, Luigi Brunetti, che aveva cambiato nome dopo essere stato accusato di essere stato l'esecutore materiale dell'assassinio di Pellegrino Rossi, capo del governo pre-rivoluzionario), Francesco Laudadio di Narni, Paolo Baccigalupi e Gaetano Fraternali (entrambi di Roma).

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    anita garibaldi (ana maria de jesus ribeiro da silva) 30 agosto 1821 brasile - 4 agosto 1849 ravenna

    Anita (diminutivo di Ana) nacque a Morrinhos, presso Laguna nella provincia di Santa Catarina, figlia del mandriano Bento Ribeiro da Silva, detto "Bentòn", e di Maria Antonia de Jesus Antunes. La coppia aveva sei figli, tre maschi e tre femmine. Dopo che la famiglia si fu trasferita a Laguna, nel 1834, in pochi mesi morirono il padre e i tre figli maschi. Pare che il trasloco a Laguna si fosse reso necessario per allontanarsi dai propositi di vendetta di un carrettiere di Morrinhos il quale, attratto dalle grazie di Anita e avendolo dimostrato con "modi poco rispettosi", si era visto sfilare il sigaro di bocca dalla ragazzina che, per sottolineare il suo diniego, aveva pensato bene di spegnerlo sul viso del focoso pretendente. Il 30 agosto 1835, all'età di 14 anni, Anita va in moglie a un calzolaio, Manuel Duarte de Aguiar, nella cittadina di Laguna. La veridicità storica di questa unione - talvolta contestata, ma senza successo, anche da Menotti Garibaldi, figlio di Anita e del Generale sembra essere dimostrata da un atto di matrimonio ancora esistente e da quanto scritto dallo stesso Garibaldi nelle sue "Memorie". Nel luglio del 1839, all'età di 18 anni, Anita incontra Garibaldi a Laguna. Da quel momento, dopo aver verosimilmente abbandonato il marito, Anita sarà la donna di Garibaldi, la madre dei suoi figli e la compagna di tutte le sue battaglie. Combatterà sempre con gli uomini e come gli uomini, sostenendo il fuoco avversario; pare fosse spesso assegnata alla difesa delle munizioni, sia negli attacchi navali sia nelle battaglie terrestri. Nel 1841, divenuta ormai insostenibile la situazione militare della rivoluzione brasiliana, Garibaldi e Anita prendono congedo da quella guerra e si trasferiscono a Montevideo, in Uruguay, dove rimarranno sette anni, durante i quali Garibaldi manterrà la famiglia impartendo lezioni di francese e di matematica. Nel 1842 Anita e Garibaldi si sposano nella parrocchia di San Bernardino. Stando alle "Memorie" del generale, Garibaldi dovette dichiarare formalmente di avere notizia certa della morte del precedente marito di Anita. Nascono quattro figli: Menotti (1840), Rosita (1843) che morirà a soli 2 anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847). Nel 1848, alla notizia delle prime rivoluzioni europee, Anita con i figli si imbarca per Nizza dove viene ospitata dalla madre di Garibaldi. Il marito la raggiunge con un altro bastimento qualche mese più tardi. L'anno seguente Anita è di nuovo in combattimento. Il 9 febbraio 1849 presenzia a Roma alla proclamazione della Repubblica Romana, che però avrà vita breve. Gli eserciti francese e austriaco attaccano la città eterna per ripristinare il potere papale. I garibaldini danno vita a una eroica resistenza, respingendo gli assalti quartiere per quartiere, per molti giorni. Ma la superiorità di uomini e mezzi a disposizione delle forze avversarie è schiacciante. E dopo l'ultimo scontro sostenuto nella zona del Gianicolo, Garibaldi e i suoi sono costretti alla fuga. Quella fuga prenderà storicamente il nome di "trafila", una marcia forzata attraverso mezza Italia. I garibaldini si sparpagliano su strade diverse per sfuggire alla caccia dei soldati austriaci e della polizia papalina. Garibaldi rimane solo con Anita e con il fedelissimo capitano Leggero. Mirano a raggiungere Venezia, l'unica repubblica che ancora non sia stata travolta dagli eserciti delle potenze imperiali europee

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    garibaldi e anita 4 agosto 1849

    Il 2 luglio 1849 Garibaldi abbandona Roma insieme con Anita e con il capitano Leggero. Mirano a raggiungere Venezia, l'unica repubblica che ancora non sia stata travolta dagli eserciti delle potenze imperiali europee. Ma Anita è incinta, al quinto mese di gravidanza. La sua fuga, a piedi, a cavallo, attraverso montagne e fiumi, è un calvario. Le sue condizioni di salute peggiorano a vista d'occhio. Nelle valli di Comacchio si consuma la tragedia. La donna perde conoscenza. Pur braccati dai nemici, Garibaldi e Leggero la caricano su una piccola barca e poi, su un vecchio materasso, la trasportano nella fattoria del patriota Guiccioli in località Mandriole di Ravenna, dove subito accorre un medico, il quale però può solo constatare che Anita è spirata.E' il 4 agosto 1849, Anita ha ventisette anni. La sua avventura umana, storica e sentimentale accanto a Giuseppe Garibaldi è durata appena undici anni

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    ugo bassi – prete garibaldino Cento, 12 agosto 1801 – Bologna, 8 agosto 1849

    Ugo Bassi nacque nel 1801 da Luigi Sante Bassi, impiegato della dogana pontificia e da Felicita Rossetti, cameriera originaria di San Felice. Nonostante l'opposizione paterna, sembra a causa di una delusione amorosa divenne novizio barnabita e nel 1821 pronunciò i voti a Roma, nella chiesa di San Carlo. Nell'ordine barnabita conobbe Alessandro Gavazzi di cui divenne grande amico. Era un predicatore piuttosto famoso, e nei suoi lunghi e numerosi viaggi per l'Italia, vivendo sempre in povertà, fu seguito spesso da molte persone attratte dalla sua eloquenza. Durante i moti rivoluzionari del 1848 non ebbe esitazioni ad unirsi ai corpi di volontare che dallo Stato pontificio partivano per prendere parte alla guerra contro l'Austria usando la propria eloquenza per diffondere lo spirito rivoluzionario tra i patrioti e la popolazione. Fu ferito a Treviso il 12 maggio 1848 e portato a Venezia, dove dopo la sua guarigione combatté per la Repubblica di San Marco. Successivamente tornò a Roma dove vide la nascita della Repubblica Romana. Nella ritirata di Roma, giunse nella Repubblica di San Marino con Garibaldi, Nullo, Ciceruacchio, Livraghi ed altri; partito da San Marino e separatosi dagli altri il 2 agosto nei pressi di Comacchio cadde con Livraghi nelle mani degli austriac. Trasferito a Bologna la sera del 7 agosto, fu fucilato il giorno dopo senza nessun processo ed in grande fretta, vicino alla Certosa, insieme a Giovanni Livraghi. Aveva quarantotto anni.

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    bersagliere in crimea

    1855 - 1856

    Quando sbarcò in Crimea, il corpo di spedizione piemontese oltre che sui bersaglieri contava anche su un reggimento di cavalleria, per un totale di 18.000 uomini e su 36 cannoni. Inoltre non dipendeva dai Piemontesi una legione straniera di italiani pagata dagli inglesi. Il bersagliere qui rappresentato veste una tenuta invernale improvvisata, con alcuni capi reperiti in loco o forniti dagli alleati (farsetti in flanella, giubbe di mollettone, coperte) per ripararsi dal freddo imprevisto; sotto il cappello ha il berrettino di maglia d'ordinanza. A casa i soldati avevano lasciato la giubba da fatica e la mantellina pensando non servisse. Alcuni per proteggersi dal freddo, utilizzarono perfino pelli di pecora per fasciarsi le gambe. Nonostante questi disagi e nonostante il non puntuale rifornimento via mare ii soldati piemontesi si batterono bene alla Cernaia e a Sebastopoli perdendo 230 uomini in combattimento. Ma quasi 2000 morirono a causa di un'epidemia di colera.

    32 maria antonietta rossetti spedizione in crimea

    1855 - 1856

    Nel marzo del 1854 la regina Vittoria d'Inghilterra dichiarava guerra alla Russia a sostegno dell'IMprero ottomano, imitatata pochi giorni dopo da Napoleone III. Anche il Regno di Sardegna si unì all'impresa: il presidente del Consiglio, Cavour, considerava infatti l'intervento un buon trampolino di lancio per entrare a far parte del gioco politico europeo e per assicurare l'appoggio di Londra e Parigi l progetto di liberazione del Lombardo-Veneto dall'occupazione austriaca. Il Corpo di Spedizione piemontese nel 1855 contava 18.000 soldati, comandati dal generale Alfonso Lamarmora marchese della Marmora. Questi volle con sè il fratello Alessandro, fondatore del Corpo dei Bersaglieri, più vecchio di lui di cinque anni.Le altre brigate furono affidate a Giorgio Ansaldi, Manfredo Fanti, Enrico Cialdini e Filiberto Mollard. Nonostante il fisico debilitato, il 22 marzo 1855, il generale Alessandro La Marmora assunse il comando della seconda divisione del corpo di Crimea, per quella che sarebbe stata la sua ultima fatale spedizione.Morì infatti a causa del colera il 7 giugno 1855 a Balaklava, dove era sbarcato alla testa dei suoi uomini. Al suo posto, ai primi di agosto, arrivò in Crimea, Rodolfo Gabrielli di Montevecchio che fu promosso maggiore generale. Durante la campagna l'esercito sardo fu impegnato in combattimento nella battaglia della Cernaia, subendo 23 perdite in combattimento. La mattina del 16 agosto 1855 i Russi attaccarono l'avanguardia piemontese per occupare le alture della Cernaia: era l'inizio dell'omonima battaglia. Il generale Gabrielli di Montevecchio alla testa della seconda legione caricava il nemico ma mentre guidava i suoi all’assalto una pallottola lo colpì al petto e gli trapassò il polmone sinistro. Raccolto e soccorso, venne trasportato all'ospedale da campo dove immediatamente lo raggiunse La Marmora per confortarlo. Conscio della prossima fine, rispose: "Muoio contento, oggi, giorno di gloria per le nostre armi; muoio come vissi, per servire il Re e la Patria!". Nonostante la caduta della piazzaforte russa di Sebastopoli (12 settembre 1855), nessuna delle due forze contrapposte riusciva a prevalere. Il 28 dicembre, però, l’Austria fece pervenire un ultimatum alla Russia e qualche giorno dopo lo Zar chiese l’armistizio. La pace fu siglata nel Congresso di Parigi. Una curiosità: i bersaglieri portarono in Italia alcune piante di caco che si diffusero rapidamente

    33 disegno - pellarini

    carlo pisacane ammazzato dai cafoni 1 luglio del 1857

    Il susseguirsi dei moti insurrezionali nel Regno delle Due Sicilie alimentò in Carlo Pisacane la speranza di poter innescare un movimento insurrezionale nel Mezzogiorno, in particolare nel Cilento, dove già nel ’28 e nel ’48 era esplosa la rabbia popolare contro il governo borbonico. Egli era convinto c he la rivoluzione italiana dovesse essere anche una rivoluzione sociale. L’indigenza delle masse contadine e il feroce sfruttamento a cui erano sottoposte lo indicevano a credere al mito del Cilento rivoluzionario pronto ad insorgere e a ribellarsi. Questa convinzione, unita alla presenza nella capitale del Regno di un attivo comitato segreto, collegato con il Cilento e il Vallo di Diano attraverso i fratelli Magnone di Rutino, il medico Giovanni Matina di Teggiano, il sacerdote Vincenzo Padula di Padula, lo convinsero a preparare i piani per la spedizione. Tuttavia la polizia borbonica, adeguatamente allertata, era riuscita a lacerare la rete cospirativa, procedendo ad una serie di arresti che, di fatto, avevano impedito la preparazione del terreno per l’arrivo dei rivoluzionari. Pisacane, malgrado i tanti pareri contrari, scelse ugualmente di partire. Assaltò e prese Ponza, da cui liberò circa trecento detenuti che lo seguirono. Giunto sulle oste salernitane, sbarcò nei pressi di Sapri:. ben presto, prerò all'entusiasmo dei primi momenti, subentrò una profonda delusione per l’assenza di riscontri concreti : mancavano gli aiuti sperati e le popolazioni non si aggregavano agli insorti. Attaccati dalle guardie urbane e dalla fanteria di linea borbonica, Pisacane e i suoi trecento furono sconfitti a Padula il 1 luglio del 1857. Il giorno successivo a Sanza non solo le forze dell’ordine, ma la stessa popolazione infierì sui rivoluzionari in fuga e ne fece strage, scambiandoli per una banda di comuni malfattori dediti a uccisioni e saccheggio. La delisione di Pisacane è espressa nel suo Proclama alle popolazioni del Salernitano:

  • 34 vittoria piccioni

    villa cavour a santena

    La famiglia Benso è molto antica tanto che se ne trova traccia fin dal 1170 in un documento della vicina città di Chieri. Nel '700 la tenuta di Santena ne costituiva il principale possedimento, insieme con quello di Cavour, ottenuto in feudo da Carlo Emanuele II insieme con il titolo marchionale nel 1649. Vitta Cavour a Santena è una costruzione settecentesca, rimaneggiata nell'Ottocento, fatta costrtuire nel 1712 da Carlo Ottavio Benso conte di Santena sulle fondamente di un castello medioevale, di cui è rimasta solo una torre, appartenente alla famiglia fin dal XIII secolo. In questa dimora e nel vasto parco che la circonda (disegnato dall'inglese Xavier Kurten) il giovane Camillo che era nato nel palazzo torinese della famiglia il 10 agosto 1810, diede le prime prove di una vivace intelligenza e di un carattere deciso, insofferente della disciplina, prima di essere mandato , ad appena dieci anni, all'Accademia Militare di Torino. Oggi villa Cavour si presenta come un solido blocco, ripartito in cinque parti da lesene a bugnato, con le due estremità laterali leggermente più alte, con torri apena accennate. Al centro è dominato da una scalinata doppia a cui si accede dall'ampio parterre. All'interno notevoli sono gli stucchi settecenteschi e il mobilio originale oltre a cimeli e memorie dello statista.. Nella cappella funeraria il conte Camillo riposa accanto ai suoi avi.

    35 rosanna vottero

    Virginia Oldoini contessa di Castiglione Firenze, 23 marzo 1837 – Parigi, 28 novembre 1899

    Virginia Oldoini, nota come la contessa di Castiglione, era nata marchesina Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini ed era divenuta poi per nozze contessa Virginia Verasis Asinari Oldoini. Suo padre, il marchese Filippo Oldoini, nato a La Spezia il 25 febbraio 1817, fu primo deputato della Spezia, nel 1848, al parlamento del regno di Sardegna, e in seguito ambasciatore d'Italia a Lisbona. Sua madre, la marchesa Isabella Lamporecchi, era nata a Firenze, figlia di Luisa Chiari, ballerina di teatro, e del grande giureconsulto Ranieri Lamporecchi. Irrequieta, consapevole della propria bellezza e intrigata fin da giovanissima da storie galanti, ma anche ambiziosa e intelligente, sposò a 17 anni il conte Francesco Verasis Asinari, di Costigliole d'Asti e Castiglione Tinella, dal quale ebbe un figlio, Giorgio Verasis Asinari, erede del titolo. Il matrimonio la introdusse alla corte dei Savoia, dove ebbe gran successo con il re Vittorio Emanuele II, ma anche con i fratelli Doria, il banchiere Rothschild e Costantino Nigra, ambasciatore del Piemonte sabaudo in Francia. Dopo la sua avventura in Fancia la fortuna della contessa cominciò ad appannarsi. Il marito chiese ed ottenne il divorzio e morì infine in un incidente; Vittorio Emanuele, divenuto re d'Italia, non fu poi così generoso e la vita dispendiosa della Castiglione si fece sempre più difficile. Anche dal ritorno in Francia non ricavò granché. Si stabilì tuttavia a Parigi, in un ammezzato di Place Vendôme, chiudendosi nel lutto per la propria bellezza in disfacimento, rifiutando perfino proposte di nuovi e ricchi matrimoni. Morì nella sua casa di Rue Cambon 14, dove era stata costretta a trasferirsi dopo essere stata sfrattata, nel 1893, dal prestigioso appartamento di Place Vendôme, essendo stato acquistato l'intero stabile dal gioielliere Boucheron. Le sue carte, che testimoniavano i contatti da lei avuti con molti importanti personaggi dell'epoca, furono sottratte e, si dice, bruciate dalla polizia subito dopo la sua morte. È sepolta al cimitero del Père Lachaise, a Parigi

    36 sophie ancel contessa castiglione e napoleone III

    1855

    Considerate la sua intraprendenza e le sue doti di fascino, forse un po' imbarazzanti per il parente ma molto utili per il politico, il cugino Cavour nel 1855 la inviò la contessa di Castiglione in missione alla corte francese di Napoleone III per perorare presso l'imperatore l'alleanza franco-piemontese. La gran presenza mondana e seduttiva della contessa (la principessa di Metternich la definì "una statua di carne") diede i risultati attesi: ospitata lussuosamente a Compiègne, mondanissima, costosissima, la contessa fu per un anno l'amante pressoché ufficiale dell'imperatore, suscitando invidie, grande scandalo e la furia della cattolicissima imperatrice Eugenia. La rivalità giunse al punto che, essendo stato l'imperatore oggetto di un attentato nella casa della contessa in rue Montaigne, si disse che si fosse trattato di una messinscena orchestrata dall'imperatrice stessa per danneggiare la rivale. L'intrigo diede comunque i suoi frutti, con l'appoggio francese alla partecipazione italiana alla Guerra di Crimea,

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    clotilde di savoia e il principe napoleone Torino, 2 marzo 1843 – Moncalieri, 25 giugno 1911

    Figlia prediletta di Vittorio Emanuele II, per ragion di stato, dovette accettare controvoglia il matrimonio, che ebbe luogo il 30 gennaio 1859, con Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte detto Girolamo (1822 – 1891) e familiarmente chiamato Plon-Plon, cugino di Napoleone III, noto e attempato libertino, combinato dal Cavour e dall'imperatoreI. Visse quindi a Parigi sfuggendo gli splendori della Corte imperiale, dedita alla beneficenza con gran dispetto del marito. odesta, ma fiera: all'imperatrice Eugenia, che non proveniva da una famiglia reale ma voleva insegnarle come andare vestita, rispose: "Signora, voi dimenticate che io sono nata a Corte". Scoppiata la rivoluzione a Parigi nel 1870, decise di rimanere nella città in rivolta, malgrado le insistenze del padre a rientrare in patria, rispondendogli con una lettera che riassumeva tutta la sua vita, improntata ai doveri di una principessa di Casa Savoia. Fuggiti tutti i Bonaparte (l'imperatrice Eugenia lasciò la capitale travestita) e proclamata la Repubblica Clotilde lasciò per ultima e da sola, in pieno giorno, Parigi con la sua carrozza scoperta e le sue insegne recandosi alla stazione. La guardia repubblicana le rese gli onori. Profondamente religiosa subì con dignità i comportamenti libertini e la vita dissipata del marito che in seguito la abbandonò lasciandola in ristrettezze economiche.

    38 andrea quaglino

    accordi di plombieres 21 luglio 1858

    Gli Accordi di Plombières furono stipulati verbalmente fra l'Imperatore Napoleone III di Francia e il Primo Ministro del Piemonte, Camillo Benso Conte di Cavour, nella cittadina termale di Plombières, in Francia, il 21 luglio 1858. L’iintesa tra i due statisti fu poi confermata dall’alleanza sardo-francese del gennaio 1859 e pose i presupposti per la Seconda guerra di indipendenza italiana. Essi decisero la guerra all’Austria e il futuro assetto della penisola italiana che sarebbe stata divisa in sfere d’influenza francese e piemontese. Gli eventi successivi agli accordi non consentirono di realizzare il piano se non per la parte bellica.

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    spedizione dei mille 5 maggio 1860

    E' il 5 maggio 1860: Garibaldi e i suoi Mille partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi Piemonte e Lombardo alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi (qualcuno pensa) era stata segretamente versata dal governo inglese l'immensa somma di tre milioni di franchi francesi in piastre d'oro (molti milioni di dollari odierni) che sarebbe servita a corrompere i dignitari borbonici e comperare il loro tradimento. Ecco le tappe della spedizione. 11 maggio: dopo una sosta a Porto Talamone i Mille sbarcano a Marsala, protetti dalle navi inglesi ivi ancorate. 13 maggio: con il proclama di Salemi, Garibaldi si nomina dittatore della Sicilia. 15 maggio: vittoria dei garibaldini a Calatafimi. 30 maggio: Garibaldi occupa Palermo. La resa della città, strana dal punto di vista militare essendo difesa da 25.000 uomini tutti ben equipaggiati, si spiegherebbe oltre che con le gesta delle camicie rosse, anche con il denaro versato per corrompere il generale napoletano Lanza. 20 luglio: inizia la vittoriosa battaglia di Milazzo. Conquistata la Sicilia, Garibaldi varcherà in agosto lo stretto dì Messina Qualche numero: i mille erano in realtà 1088 di cui

    o 434 lombardi o 194 veneti o 156 liguri o 0 padani o 304 italiani generici

    a quei tempi la “padania” non era ancora stata inventata – se la sono inventata i pronipoti e forse i bisnonni sono un pò incazzati

  • 40 gian piero nuccio

    rosso garibaldi

    La leggendaria camicia rossa fu adottata per la prima volta in Sud America.Per caso, come spesso accade per le scelte che si rivelano storiche. Era il 1843: Garibaldi doveva dare un'uniforme alla Legione Italiana (da lui formata) che s'era messa al servizio della Repubblica dell'Uruguay contro l'Argentina.In una fabbrica di Montevideo fu acquistata, a prezzi bassissimi, una partita di tuniche rosse, (destinata agli operai dei macelli di carne salata), rimasta invenduta proprio a causa del conflitto. Il colore serviva a occultare le macchie di sangue degli animali uccisi.Al ritorno in Italia, Garibaldi volle mantenere l'uso di quell'uniforme. Il rosso rendeva i suoi uomini più facilmente individuabili (e quindi maggiormente esposti al fuoco nemico), ma testimoniava anche il loro coraggio. Inizialmente (nella Prima guerra d'indipendenza e nella Repubblica Romana) furono pochi i volontari che indossarono quella divisa, che divenne ufficiale soltanto dopo la battaglia di Palestrina , nel maggio 1859. Nella spedizione dei Mille, i volontari si imbarcarono in borghese.A bordo, durante il viaggio verso Marsala, furono distribuite cinquanta camicie rosse.Fu lo scrittore francese Alexandre Dumas - a bordo del suo panfilo Emma - a organizzare una piccola fabbrica artigianale di camicie rosse, che permise a quasi tutti i garibaldini di combattere in uniforme.Lo stesso accadde nel 1866, mentre nel 1870, in Francia, i Cacciatori delle Alpi tornarono agli abiti borghesi (con l'eccezione di chi aveva una camicia rossa di proprietà). Gli italiani apprezzano anche il "rosso ferrari" e il "rosso valentino" e qualcuno anche il "rosso sol dell'avvenire"

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    partenza dei mille da quarto 6 maggio 1860

    Finalmente si parte. Sarà la volta buona? Dopo tanti tentativi, spedizioni, rivolte, insurrezioni fallite o neanche iniziate, questa sarà per forza il tentativo destinato ad avere successo. Anche se forse non meno improbabile di altri. Questi forse erano i pensieri che giravano nella testa dei mille. E’ andata bene. Che l’Italia fosse una sola era proprio scritto nel suo destino.

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    stemma del regno delle 2 sicilie 1816 - 1860

    Francesco II di Borbone succedette al padre Ferdinando II sul trono del Regno delle Due Sicilie nel maggio 1859 a vent'anni. Debole, inesperto, non riuscì a rompere l'isolamento politico del suo Statoregno e a impedirne la dissoluzione. Infatti il Regno sopravvisse solo fino al 1861, quando, dopo la conquista della massima parte del suo territorio ad opera di Giuseppe Garibaldi, con la "Spedizione dei Mille" (iniziativa capace da un lato di raccogliere le volontà rivoluzionarie dei democratici del Partito d'Azione, dall'altro di agire con un tacito e parziale, ma reale, appoggio di Savoia) le ultime fortezze borboniche (Gaeta, Messina e Civitella del Tronto) si arresero agli assedianti piemontesi. L'impresa di Garibaldi stupì i contemporanei, ed ancora sorprende per l'ardimento dei volontari, la capacità di garantirne guida, strategia e disciplina da parte di Garibaldi e dei suoi ufficiali, per la rapidità delle conquiste dei Mille data l'enorme disparità delle forze in campo. Essa fu accompagnata dalle insurrezioni popolari a favore dell'Unità d'Italia, la prima delle quali si ebbe a Potenza, il 18 agosto, in cui la provincia di Basilicata si proclamò annessa al Regno d'Italia; seguita il 21 agosto dalla Puglia con l'insurrezione di Altamura. Le armate borboniche (120.000 unità) non riuscirono ad organizzare un'efficace resistenza, ma in ciò ebbero parte anche episodi documentati di corruzione degli stessi alti ufficiali del Regno. Solo nella parte conclusiva della campagna, nei territori più legati alla Casa regnante, con la battaglia del Volturno, il Sud ritrovò la dignità di un'ultima resistenza. Il generale Giosuè Ritucci diresse valorosamente le truppe; nella volontà di non arrendersi dimostrata dalla fortezza assediata di Gaeta, dove si era rifugiata la famiglia reale, l'esercito napoletano si trovò a fronteggiare anche le armate del regno di Sardegna, giunte nel frattempo (invadendo lo Stato Pontificio, pur senza dichiarazione di guerra), ad affiancare le armate garibaldine, superandole in numero e in armamenti. Circondata, Gaeta fu sottoposta ad un blocco navale e pesantemente bombardata dal mare e da terra, sino alla resa. Il Regno delle Due Sicilie venne annesso al Regno di Sardegna dopo l'esito di un plebiscito (il 21 ottobre 1860) contestato, in cui non fu generalmente garantita la segretezza del voto ed al quale partecipò solo una minima parte degli elettori. Nella capitale, ad esempio, si ebbero seggi presieduti da bersaglieri, carabinieri e garibaldini. Nel resto delle province andò peggio, con intimidazioni, voltafaccia e cambio di schieramento da parte dei nobili e dei possidenti. La legittimità storica doveva essere data dalla raggiunta unità d'Italia e da istituzioni democratiche, l'obiettivo dei garibaldini e dei repubblicani. Non realizzandosi, venne cercata nel plebiscito per negare, considerato il passaggio da una dinastia all'altra, che si fosse trattata di una pura conquista militare di uno stato sovrano. Inoltre si voleva escludere qualsiasi ipotesi di mantenimento di uno Stato meridionale autonomo o confederato, tanto in una paventata forma repubblicana (ipotesi caldeggiata anche da Garibaldi), che monarchico-murattiana

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    giuseppe garibaldi 4 luglio 1807 - 2 giugno 1882

    Giuseppe Garibaldi nasce a Nizza il 4 luglio 1807. Carattere irrequieto e desideroso di avventura, già da giovanissimo si imbarca come marinaio per intraprendere la vita sul mare.Nel 1832, appena venticinquenne è capitano di un mercantile e nello stesso periodo inizia ad avvicinarsi ai movimenti patriottici europei ed italiani (come, ad esempio quello mazziniano della "Giovine Italia"), e ad abbracciarne gli ideali di libertà ed indipendenza. Ricercato in Italia nel 1836 sbarca a Rio de Janeiro e da qui inizia il periodo, che durerà fino al 1848, in cui si impegnerà in varie imprese di guerra in America Latina. Combatte in Brasile e in Uruguay ed accumula una grande esperienza nelle tattiche della guerriglia basate sul movimento e sulle azioni a sorpresa. Questa esperienza avrà un grande valore per la sua formazione sia come condottiero di uomini sia come tattico imprevedibile. Nel 1848 torna in Italia dove sono scoppiati i moti di indipendenza, che vedranno le celebri Cinque Giornate di Milano. Nel 1849 partecipa alla difesa della Repubblica Romana insieme a Mazzini, Pisacane, Mameli e Manara, ed è l'anima delle forze repubblicane durante i combattimenti contro i francesi alleati di Papa Pio IX. Purtroppo, però, i repubblicani devono cedere alla preponderanza delle forze nemiche e Garibaldi il 2 Luglio 1849 deve abbandonare Roma.Inizia allora un periodo di vagabondaggio per il mondo, per lo più via mare, che lo porta infine nel 1857, a "scoprire" Caprera dove si rifugia per la prima volta Tuttavia non abbandona gli ideali unitari e nel 1858-1859 si incontra con Cavour e Vittorio Emanuele, che lo autorizzano a costituire un corpo di volontari, corpo che fu denominato "Cacciatori delle Alpi" e al cui comando fu posto lo stesso Garibaldi. Partecipa alla Seconda Guerra di Indipendenza cogliendo vari successi ma l'armistizio di Villafranca interrompe le operazioni dei suoi Cacciatori. Nel 1860 Garibaldi è promotore e capo della spedizione dei Mille; salpa da Quarto(GE) il 6 maggio 1860 e sbarca a Marsala cinque giorni dopo. Da Marsala inizia la sua marcia trionfale; batte i Borboni a Calatafimi, giunge a Milazzo, prende Palermo, Messina, Siracusa e libera completamente la Sicilia. Il 19 agosto sbarca in Calabria e, muovendosi molto rapidamente, getta lo scompiglio nelle file borboniche, conquista Reggio, Cosenza, Salerno; il 7 settembre entra a Napoli, abbandonata dal re Francesco II ed infine sconfigge definitivamente i borbonici sul Volturno. Il 26 ottobre Garibaldi si incontra a Vairano con Vittorio Emanuele e "depone" nelle sue mani i territori conquistati:poi torna a Caprera, sempre pronto per combattere per gli ideali nazionali. Nel 1862 si mette alla testa di una spedizione di volontari per liberare Roma dal governo papalino, ma l'impresa è osteggiata dai piemontesi dai quali viene fermato il 29 agosto 1862 sull'Aspromonte. SFerito, imprigionato e poi liberato ripara nuovamente su Caprera, pur rimanendo in contatto con i movimenti patriottici che agiscono in Europa. Nel 1866 partecipa alla Terza Guerra di Indipendenza al comando di reparti volontari. Opera nel Trentino e qui coglie la vittoria di Bezzecca (21 luglio 1866) ma, nonostante la situazione favorevole in cui si era posto nei confronti degli austriaci, Garibaldi deve sgomberare il territorio Trentino dietro ordine dei piemontesi, al cui dispaccio risponde con quel "Obbedisco", rimasto famoso. Nel 1867 è nuovamente a capo di una spedizione che mira alla liberazione di Roma, ma il tentativo fallisce con la sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei Franco-Pontifici. Nel 1871 partecipa alla sua ultima impresa bellica combattendo per i francesi nella guerra franco-prussiana dove, sebbene riesca a cogliere alcuni successi, nulla può per evitare la sconfitta finale della Francia. Torna infine a Caprera, dove passerà gli ultimi anni e dove si spegnerà il 2 giugno 1882

    44 anna pertichetti

    carica garibaldina

    15 maggio 1860

    “Qui si fa l’Itàlia o si muore” La frase è attribuita dallo scrittore G. C. Abba a Giuseppe Garibaldi, il quale durante il sanguinoso combattimento di Calatafimi (15 maggio 1860) l’avrebbe rivolta a N. Bixio, in risposta al timore da lui espresso che fosse impossibile resistere alla preponderanza dei borbonici. L’espressione, divenuta proverbiale, è ripetuta, con diverso tono e significato, in varie occasioni (anche, figuratamente, senza alcun riferimento politico, per esprimere la necessità di una condotta decisa).

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    l’altra italia agosto 1861

    Dell’Italia non conoscevano la storia ne la geografia, ne parlavano male la lingua. Mangiavano pane nero, polenta al profumo di acciuga, carrubi... Sono i braccianti del nord e del sud, i cafoni, i bifolchi, i bovari, i villan, i campagnin, i paisan, i tamarru, i lazzaroni .......... Arruolati (sovente a forza e non sempre dalla parte giusta , sanfedisti al sud, viva maria in piemonte ) negli eserciti che si sono affrontati sui campi di battaglia. Sono i Protagonisti oscuri e poco ricordati della grande avventura risorgimentale.

    46 graziella caccia

    nonni garibaldini 1859 - 1945

    Garibaldino. Viene definito garibaldino ogni soldato volontario che abbia militato nelle numerose formazioni costituite e guidate da Giuseppe Garibaldi o ispirate ai suoi ideali, come i Cacciatori delle Alpi del 1859, i "Mille" che presero il nome dalla celebre spedizione, il Corpo Volontari Italiani che combatté nella terza guerra di indipendenza o l'Esercito dei Vosgi. Successivamente con questo termine s'identificarono tutti i patrioti del sud Italia che si unirono ai Mille, costituendo l'esercito meridionale. Oltre che in senso proprio, il termine "garibaldino" è usato anche per designare i volontari italiani arruolati nelle Brigate Internazionali nel corso della Guerra di Spagna, oppure ai componenti delle brigate Garibaldi che combatterono nella Resistenza italiana, durante la seconda guerra mondiale. Nell'uso comune il termine fu usato in riferimento a tutti coloro i quali combatterono con Garibaldi nelle sue spedizioni: nel 1862 (giornata dell'Aspromonte), nel 1866 (Invasione del Trentino) nel Corpo Volontari Italiani, nel 1867 (battaglia di Mentana) o nel 1871 (battaglia di Digione). Corpi di volontari garibaldini accorsero nel 1863 in difesa dell'insurrezione polacca contro i russi e nel 1866-67 a sostegno della lotta di indipendeza di Creta contro i Turchi. Dopo la morte di Garibaldi, nuove spedizioni furono allestite sotto la guida del figlio Ricciotti nel 1897 e nel 1912 in favore dell'indipendenza della Grecia dalla Turchia. Del 1914 è l'intervento di una spedizione garibaldina a favore della Serbia contro l'Impero austro-ungarico. In maniera figurata, il termine talvolta può essere usato in italiano con il significato di audace e di temperamento impetuoso (e non privo di una certa dosa d'improvvisazione e avventatezza) e la locuzione alla garibaldina è sinonimo di temeraria baldanza e risolutezza

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    fratelli cairoli

    I fratelli Cairoli, pavesi, sono figure di spicco del Risorgimento. I due più giovani, Enrico e Giovanni, partecipano alla Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma al seguito di Giuseppe Garibaldi nel 1867 con la spedizione a Villa Glori. Cimeli e oggetti a loro appartenuti sono nel Museo nazionale centrale della Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma a Mentana. L'eroica famiglia era composta da: o 1° Benedetto (1825-1889)- partecipò alla spedizione dei Mille, dove fu gravemente ferito. Dopo l'unità d'Italia prese parte alla vita politica, ricoprì la carica di presidente della

    Camera e fu Presidente del Consiglio nel 1878 e di nuovo dal 1879 al 1881. o 2° Rachele (1826-1856) o 3° Emilia (1827-1856) o 4° Ernesto (1833-1859)- morto tra i Cacciatori delle Alpi o 5° Luigi (1838-1860)- morto a Cosenza di tifo durante la Spedizione dei Mille o 6° Enrico (1840-1867)- partecipò alla spedizione dei Mille; morto allo Scontro di villa Glori il 23 ottobre del 1867. o 7° Giovanni (1841-1869)- morto per le ferite riportate allo Scontro di villa Glori

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    maria salasco martini giovio - guida garibaldina

    Maria Salasco Martini Giovio fu patriota e infermiera militare Piemontese, figlia del conte generale Salasco, Maria prese parte, giovanissima, alle cinque giornate di Milano. In seguito sposò il conte Martini Giovio della Torre di Crema. In seguito alla separazione dal marito il padre la chiuse in un convento, dal quale Maria fuggì per rifugiarsi in Inghilterra, dove entrò in contatto con gli esuli italiani. A Londra, nel 1854, si incontrò per la prima volta con Garibaldi, dal quale rimase affascinata. Nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille: la incontriamo a Marsala, vestita con la divisa delle "Guide", e con un gruppo di patriote di Milazzo, con le quali si dedicò alle ambulanze militari, segnalandosi per il suo coraggio. Quando, durante il carico delle truppe garibaldine, alcune navi borboniche si avvicinarono alla riva di Milazzo, aprendo un terribile fuoco, Maria, con grande prontezza, irruppe a cavallo con la sciabola sguainata tra gli artiglieri che fuggivano sotto il fuoco nemico, riconducendoli alle loro postazioni. Scesa di sella, ella stessa puntò un cannone contro il nemico. Quando un medico garibaldino, a seguito di disaccordi sui metodi di cura, la fece espellere dall'infermeria, si ritirò dalla vita militare. Morì anziana, nel Canton Ticino

    49 piero balossino

    incontro di teano 26 ottobre del 1860

    Lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, avvenuto il 26 ottobre del 1860, è l'episodio della storia risorgimentale che conclude la spedizione dei Mille. Il re di Sardegna Vittorio Emanuele II aveva occupato i territori pontifici nelle Marche e nell'Umbria ed era andato incontro a Giuseppe Garibaldi, che aveva respinto il tentativo di controffensiva dell'esercito borbonico nella battaglia del Volturno e aveva completato la conquista del Regno delle Due Sicilie: lo scopo era di impedire che la spedizione continuasse fino alla conquista di Roma, che avrebbe provocato l'intervento di Napoleone III e messo a repentaglio le conquiste fino ad allora effettuate. L'incontro ebbe il significato di una adesione del Generale alla politica di Casa Savoia, deludendo le aspettative di coloro che auspicavano la fondazione di una repubblica meridionale di stampo mazziniano, che avrebbe dovuto in seguito estendersi anche ai domini papali conquistando Roma. Garibaldi ottenne che i suoi volontari potessero, dopo una selezione, entrare nell'esercito regolare sardo con stesso grado rivestito nella spedizione, poi si ritirò a Caprera.

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    garibaldi e vittorio emanuele

    L'impresa dei Mille si può considerare terminata con lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II del 26 ottobre 1860 a Teano e con la famosa frase: "Saluto il primo Re d'Italia". Tuttavia non tutti furono soddisfatti dell’incontro di Teano perchè lo consirerarono un tradimento degli ideali repubblicani. Si dice che, al momento del congedo, Vittorio Emanuele abbia sussurrato nell’orecchio dell’ Eroe: ”. Insomma, è venuto il momento che tu e i tuoi vi togliate dalle scatole. La storiografia ufficiale è sostanzialmente d’accordo: i fatti si svolsero così. Grosso modo. Su qualche particolare è ancora aperto il dibattito: ma si tratta di cosucce insignificanti: se i due si incontrarono a Teano, o a Taverna della Catena, o a Caianiello; se Garibaldi portava il poncho, se il re si era sforbiciato i baffi, e di che colore erano i cavalli, e se Garibaldi caracollò a destra o a sinistra di Vittorio. Ma sulla incazzatura del Generale tutti sono d’accordo: e pare ovvio: io ti regalo un regno, e tu non solo non mi dici grazie, ma mandi a quel paese me e questi infelici in camicia rossa.

    51 italia errico

    emigranti briganti

    Il brigantaggio nell'Italia centro-meridionale è antico, risalente addirittura all'epoca romana; in epoca moderna basta ricordare che nel 1799 i briganti, foraggiati dagli inglesi e dai sostenitori dei detronizzati Borbone, crearono serie difficoltà ai francesi che governavano Napoli. Ma è dal 1860, dopo la spedizione dei Mille e l'annessione del Sud da parte del Piemonte, che il fenomeno diventò una grave minaccia per il nuovo stato unitario. Il brigantaggio si alimentava a due principali cause, una sociale l'altra politica, variamente intrecciate: da una parte c'erano i contadini miserabili e straccioni che si ribellavano a un secolare sfruttamento da parte dei proprietare terrieri, che reagivano a una nuova autorità centrale lontana e sconosciuta, si davano alla latitanza per sfuggire al servizio di leva; dall'altra migliaia di ex militari borbonici sbandati dopo la sconfitta, i grandi feudatari che temevano di essere espropriati delle lore terre e mal sopportavano le nuove tasse, e infine gli irriducibili sostenitori dei sovrani detronizzati. Nel 1860 Francesco II di Borbone, che si era rifugiato a Roma, inviò propri emissare a organizzare bande armate che facevano capo ad un comitato segreto insediato a Napoli. Alla metà del 1863 i fuorilegge erano decine di migliaia, audaci, ben armati, con capi autorevoli; in alcuni centri agricoli arrivavano addirittura a sostituirsi agli amministratori legittimi; circolare sulle scarse strade del tempo era diventato molto pericoloso, le popolazioni erano spesso taglieggiate e derubate, ma questo non impediva che i briganti fossere visti dal molti come degli eroi che promettevano un possibile riscatto. sociale o che combattevano per la difesa del trono e della religione. Per questo i fuorilegge si muovevano liberamente come pesci nell'acqua assai poco disturbati da una polizia inefficiente e da carabinieri in numero insufficiente. Nel 1861 il "generale" Crocco guidò un'insurrezione di contadini in Basilicata che si imadronì di un vasto territorio,.un'altra fu organizzata in Puglia da un ex sergente borbonico, Pasquale Domenico Romano