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Forme di Statoe forme del sacro

Percorsi storici

Ivana Vecchio Cairone

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2550-5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: giugno 2009

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Indice

Premessa ........................................................................................................... 9

PARTE PRIMA IL PASSATO

Capitolo I

DALLA RESPUBLICA CHRISTIANA AL NASCENTE GIURISDIZIONALISMO DELLO STATO MODERNO

1. L’apoteosi del papato: il Giubileo del 1300 . ............................................ 13 2. Il conflitto politico fra papato e regni. Bonifacio VIII e Filippo il

Bello .......................................................................................................... 16 2.1. Il nuovo interlocutore politico del papato: lo Stato mo-

derno ................................................................................................ 17 2.2. La cattività avignonese del papato .................................................. 19

3. Lo scisma di Occidente e il conciliarismo ................................................ 20 4. Il nascente giurisdizionalismo. .................................................................. 22

Capitolo II STATO MODERNO E RIFORMA PROTESTANTE

1. La caduta di Costantinopoli e il crollo del cesaro–papismo orien-

tale.............................................................................................................. 25 2. La conquista di Granada e la fine della presenza islamica in Eu-

ropa. ........................................................................................................... 28 3. Genesi dello Stato moderno e riforma protestante ................................... 29 4. Le 95 tesi di Lutero: la polemica anti–romana ......................................... 32

4.1. I fondamenti teologici della Riforma Luterana ............................... 34 4.2. Gli esiti politici della Riforma Luterana ......................................... 37

5. Il carattere multiforme della riforma protestante ...................................... 38 5.1. La riforma svizzera: Ulderigo Zwingli ............................................ 39 5.2. Giovanni Calvino ............................................................................ 41

6. Il Concilio di Trento ................................................................................. 42 7. Intransigenza religiosa e intolleranza politica ........................................... 43

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Capitolo III RIFORMA PROTESTANTE, GUERRE DI RELIGIONE

E STATO ASSOLUTO 1. Le guerre di religione nel processo di consolidamento dello Stato

assoluto. ..................................................................................................... 47 2. La Riforma protestante come fonte di legittimazione dell’as-

solutismo . ................................................................................................. 50 3. Il sistema protestante delle Chiese territoriali di Stato.............................. 52

3.1. La Chiesa anglicana ........................................................................ 53 4. Il sistema giurisdizionalista degli Stati cattolici ....................................... 55 5. Chiesa cattolica e giurisdizionalismo: prassi concordataria e rina-

scita cattolica ............................................................................................ 57 5.1. La potestas indirecta in temporalibus ............................................. 58

Capitolo IV PLURALISMO RELIGIOSO, ILLUMINISMO E STATO LIBERALE

1. Lutero e la libertà del cristiano ................................................................. 61 2. Frammentazione religiosa e politica dell’Europa: la pratica della

tolleranza ................................................................................................... 63 3. Pluralismo religioso, innovazione sociale e Illuminismo ......................... 66 4. Dallo Stato assoluto allo Stato liberale ..................................................... 69

4.1. Lo Stato liberale .............................................................................. 71 5. Stato liberale e credenze di fede ............................................................... 73

5.1. Il separatismo nordamericano ........................................................ 74 5.2. Il separatismo europeo: le radici storico–politiche......................... 77 5.3. L’esperienza separatista degli Stati cattolici del XIX secolo .......... 80

5.3.1. Principio di separazione ed emarginazione sociale della Chiesa cattolica ............................................................................... 82

5.3.2. Chiesa cattolica e separatismo ........................................................ 84 5.3.3. Separatismo nordamericano e separatismo europeo: le dis-

sonanze ............................................................................................ 85 5.3.4. Stato liberale e chiese territoriali di Stato ....................................... 88

Capitolo V TOTALITARISMI DEL XX SECOLO E CREDENZE DI FEDE

1. Dallo Stato liberale allo Stato autoritario ................................................. 91

1.1. Il processo di involuzione autoritaria dello Stato liberale ............. 92 2. Stato autoritario e Chiesa cattolica: il compromesso politico .................. 95 3. Il sistema concordatario: i concordati con gli Stati autoritari cat-

tolici .......................................................................................................... 96

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3.1. Il Concordato con lo Stato nazional–socialista tedesco .................. 97 3.2. La compromissione della Chiesa cattolica con i regimi to-

talitari............................................................................................... 99 4. Lo Stato socialista: gli elementi di coincidenza con lo Stato liberale ............................................................................................. 101

4.1. Il modello sovietico di Stato socialista ............................................ 103 4.2. Totalitarismo e diritti alla libertà di religione ................................ 104 4.3. Il sistema separatista sovietico ....................................................... 105

PARTE SECONDA IL PRESENTE

Capitolo I

STATO DEMOCRATICO E PLURALISMO RELIGIOSO E CONFESSIONALE

1. Dallo Stato di diritto allo Stato democratico: il processo di inno-vazione sociale........................................................................................... 113

2. Stato democratico e Stato di diritto: le linee di continuità ........................ 114 2.1. Stato democratico e Stato di diritto: le linee di discontinui-

tà. La dimensione valoriale ............................................................. 116 2.2. La dimensione organizzatoria ......................................................... 118

3. Le costituzioni del XX secolo ................................................................... 119 4. Stato di diritto costituzionale e credenze di fede ...................................... 120

4.1. Stato di diritto costituzionale e fatto religioso organizzato ............ 122 5. Democrazia e religione: i nuovi itinerari delle credenze di fede. ............. 126

5.1. Processi democratici di integrazione sociale in unità poli-tica, principio di maggioranza e credenze di fede .......................... 128

Capitolo II RIFLESSIONI CONCLUSIVE

1. I problemi della democrazia contemporanea ............................................ 131 2. La complessificazione del mercato religioso ........................................... 134

2.1. Stato di diritto costituzionale e nuove minoranze religiose ............ 136 2.2. Democrazia di efficienza e religioni dominanti ............................... 139 2.3. Per finire ......................................................................................... 141

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Premessa Nel processo di costruzione dello Stato Moderno, le mutevoli for-

me istituzionali del cristianesimo rappresentano un elemento tutt’altro che secondario.

Per una pluralità di ragioni. In primo luogo, perché la religione — tutte le religioni — in quanto

destinata a fornire risposte alle domande primarie dell’esperienza u-mana (perché nasco, perché muoio, qual è il significato ultimo della vita) costruisce, attraverso quelle risposte, non solo una visione supe-riore dell’universo ma anche una concezione di come la vita individu-ale e collettiva dovrebbe essere organizzata.

Le risposte, inoltre, che la religione fornisce sono il prodotto e la espressione — sempre — della storia culturale della comunità sociale che le ha formulate, sicché contribuiscono a determinarne i modi di vi-ta collettiva.

Ancora, essendo la religione parte integrante della vita culturale di una comunità sociale, essa contribuisce a fondarne le connotazioni i-dentitarie.

Ed infine, in quanto produttiva di un universo di senso della vita umana, la religione può prestarsi a fungere da privilegiato sostegno ideologico per il perseguimento di un progetto politico, giacché può essere utilizzata per fornire spiegazioni più vantaggiose degli obiettivi da perseguirsi.

I percorsi storici che seguono, senza alcuna pretesa di esaustività, costituiscono altrettante riflessioni sull’attitudine culturale delle forme istituzionali del messaggio cristiano a proporsi, nella storia europea, come stabili interlocutrici dei processi di integrazione politica della società.

PARTE PRIMA IL PASSATO

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Capitolo I

Dalla Respublica christiana al nascente giurisdizionalismo dello Stato Moderno

SOMMARIO: 1. L’apoteosi del papato: il Giubileo del 1300. – 2. Il conflitto politico fra papato

e regni. Bonifacio VIII e Filippo il Bello. – 2.1. Il nuovo interlocutore politico del pa-pato: lo Stato moderno. – 2.2. La cattività avignonese del papato. – 3. Lo scisma di Occidente e il conciliarismo. – 4. Il nascente giurisdizionalismo.

1. L’apoteosi del papato: il Giubileo del 1300

Sono innumerevoli, complessi e fortemente interrelati i fattori eco-

nomici, culturali e politici che segnano nei fatti la fine dell’esperienza politico–istituzionale del sistema di relazioni cesaro–papista del Sacro Romano Impero e ne determinano al contempo la trasformazione in un sistema di relazioni tendenzialmente teocratico: la Respublica chri-stianorum.

Fattori che possono in estrema sintesi individuarsi nel compimento del processo di cristianizzazione dell’Europa occidentale; nella rina-scita economica di contesti sociali religiosamente omologati; nel pro-gressivo indebolimento del potere politico imperiale; nella forza cultu-rale, economica e politica di una Chiesa che si è rinnovata negli appa-rati istituzionali, si è dotata di ingenti risorse economiche e si ricono-sce unitariamente nell’azione di un papato che, dopo lo scisma d’O-riente, può fondatamente rappresentarsi come esperienza ricapitolativa di tutta la cristianità d’Occidente.

Da qui, un sistema di relazioni fra fede e politica in cui (ferma re-stando la distinzione fra apparati istituzionali politici e apparati istitu-zionali religiosi e reciproche e specifiche finalità da perseguirsi) è la Chiesa che rivendica, richiamandosi ad un mandato divino di cui si propone come legittima depositaria, il diritto ad esercitare un potere di controllo diretto sull’operato dell’autorità politica.

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Ciò che di fatto, però, nel XIII secolo, che aveva segnato la massi-ma espansione teorica e pratica dell’idea teocratica del papato, era as-solutamente imprevedibile era che, vinto il confronto con l’Impero, la Chiesa romana avrebbe perso in un futuro molto prossimo quello con le monarchie nazionali: a partire cioè, dall’inizio dello stesso secolo XIV.

Paradossalmente l’anno 1300 si apriva, anzi, con il primo Giubileo della storia della Chiesa che sembrava segnare il momento di maggio-re esaltazione del pontificato di Bonifacio VIII e del papato medievale dal momento che la promessa che chiunque, confessato e comunicato, avesse visitato a Roma le tombe degli apostoli per quindici giorni a-vrebbe ottenuto il perdono totale di tutte le pene temporali che doveva scontare in terra o in purgatorio per le proprie colpe, raccolse nella ca-pitale della cristianità, per un intero anno moltitudini di fedeli (L. SCARAFFIA, Il Giubileo, il Mulino 1999).

In effetti, l’idea di un anno di purificazione e remissione dei debiti veniva da molto lontano: in Mesopotamia e in Siria sin dal terzo mil-lennio a. C., venivano periodicamente promulgati editti di remissione che prevedevano un esonero dal pagamento delle tasse, ma talvolta anche un annullamento di contratti tra privati. Provvedimenti di questo tipo riguardavano esclusivamente i debiti e i pegni e avevano lo scopo di aiutare quei sudditi che si erano trovati nella necessità di indebitarsi o di cedere in schiavitù i propri congiunti. I debitori privi di beni im-mobili, inoltre, perdevano il diritto di essere considerati cittadini a pieno titolo. Si trattava in sostanza di una restaurazione della giustizia a favore dei sudditi più deboli, con cui i re cercavano di ridimensiona-re le disuguaglianze economiche.

Dalla Mesopotamia il provvedimento passò ad Israele dove le re-missioni periodiche assunsero carattere regolare e legale ma soprattut-to religioso: l’anno giubilare è l’anno sacro che appartiene a Dio e consiste in una liberazione delle persone e in un riposo degli uomini e della terra. Ma già un secolo prima dell’era cristiana il giubileo viene concepito innanzi tutto come un rinnovamento dell’alleanza fra l’uomo e Dio, ovvero come l’anno del riscatto dal peccato attraverso l’espiazione.

Dai primi cristiani il giubileo non fu mai considerato degno di nota o di particolare interesse.

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Per essi la morte di Gesù costituiva un evento decisivo grazie al quale si era compiuta la remissione dei debiti, cioè il perdono dei pec-cati. Nel Vangelo, difatti, al concetto di remissione viene dato un si-gnificato assolutamente metaforico: partendo da una esperienza legata ai rapporti economici, Gesù annuncia una realtà spirituale che si fonda sull’infinita misericordia di Dio verso gli uomini.

Sul finire del XIII secolo, in cui matura all’interno della cristianità l’idea di riprendere la celebrazione giubilare, tuttavia vengono a com-pimento due processi da lungo tempo in atto: la concentrazione in Roma e nei suoi luoghi santi della pratica devozionale del pellegri-naggio che aveva perduto la possibilità di dirigersi in Palestina; la re-golamentazione, da parte della Chiesa, della concessione di indulgen-ze per le pene che i peccatori avrebbero dovuto soffrire dopo la morte, prima di accedere al paradiso.

In particolare, l’idea del primo giubileo della storia della cristianità matura allorché nella notte di Natale del 1299 un’incredibile folla di pellegrini e di romani si raccolse per assistere alle funzioni tenute nel-la basilica di San Pietro giacché si era sparsa la voce che allo scadere del nuovo secolo (l’anno iniziava a partire dal Natale) sarebbero state concesse indulgenze di eccezionale generosità.

Bonifacio VIII decise, allora, di prendere in esame dal punto di vi-sta storico e teologico, la possibilità di proclamare una indulgenza plenaria in relazione al centesimo anno e dal momento che negli ar-chivi pontifici non si trovava traccia di provvedimenti simili, il ponte-fice ricorse alle testimonianze orali: un vegliardo, che diceva di avere centosette anni ricordava che suo padre, nell’altro centesimo era rima-sto a Roma per l’indulgenza finché “bastò quel rustico cibo che aveva con sé” e che gli aveva raccomandato che ove mai gli fosse capitato in sorte “non si rifiutasse per pigrizia di essere presente in Roma nel cen-tesimo venturo”. Il 22 febbraio a San Pietro il Papa promulga, quindi, solennemente la bolla del giubileo che prevedeva la retroattività del-l’indulgenza al Natale dell’anno precedente e che fissava la celebra-zione del giubileo ad ogni “centesimo anno”, al fine di rimarcarne la grandezza ed unicità.

Il Giubileo del 1300 fu probabilmente la più grande manifestazione di massa della cristianità medievale e ad un tempo la più incisiva esal-tazione del potere spirituale del papato, cui però di lì a breve non do-

PARTE I | Il passato 16

veva più corrispondere un analogo riconoscimento sotto il profilo dell’autorità anche politica del Pontefice.

2. Il conflitto politico fra papato e regni. Bonifacio VIII e Filippo il bello

È proprio Bonifacio VIII, di fatti, assertore estremo della teocrazia,

quando viene in collisione con il re francese Filippo il Bello a subire, anche simbolicamente la più cocente sconfitta che nessun imperatore avrebbe mai pensato di potere infliggere a un papa.

Inizialmente il conflitto fra Bonifacio VIII e Filippo il Bello sembra ricalcare le orme delle lotte fra papato e impero: all’intenzione di Bo-nifacio VIII di porsi quale intermediario nella guerra fra Francia e In-ghilterra, Filippo il Bello risponde al legato pontificio che il governo del regno compete a lui solo e che egli non riconosce alcuna autorità superiore sicché non intende sottoporre a nessuno le questioni relative al governo temporale.

Matura nel frattempo un conflitto fiscale tra Santa Sede e monar-chie nazionali, dal momento che con la Bolla clericis laicos (1296) Bonifacio VIII fa divieto di imporre gravami ai beni ecclesiastici (era-no state violate le immunità tributarie del clero a seguito delle urgenze finanziarie di Francia e Inghilterra conseguenti al conflitto bellico che le opponeva) e ordina al clero di non pagare ai laici imposte, tasse, de-cime e quant’altro mai fosse stato da questi richiesto. Chi imponga gravami e chi ottemperi all’ordine di pagare sarà scomunicato e dalla scomunica nessuno potrà essere assolto se non per intervento dell’autorità papale.

La reazione delle autorità politiche, in Europa, è particolarmente violenta ma, mentre il re d’Inghilterra si assoggetta alla fine all’au-torità ecclesiastica, in Francia non si dà seguito al divieto papale.

Quando, poi, Bonifacio VIII convoca a Roma il clero e il re di Francia, quest’ultimo reagisce convocando a sua volta gli Stati genera-li di Francia (clero, nobiltà, borghesia cittadina) ai quali sottopone la questione se sia lecito al papa esercitare la sovranità temporale sul Re. Sono così il laicato e il clero francesi a respingere solennemente le ambizioni temporalistiche romane proclamando che il potere dei re de-

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riva immediatamente da Dio e che perciò esso non può essere sottopo-sto alla giurisdizione papale.

Di lì a poco Bonifacio VIII emana la Bolla Unam Sanctam con la quale riafferma in modo netto i principi della supremazia del potere spirituale dei papi introdotti da Gregorio VII e con successo posti in pratica da Innocenzo III: il potere spirituale è superiore ad ogni potere temporale; il potere temporale ha il dovere dell’obbedienza e della sot-tomissione. Ad essa fa seguire la scomunica del re francese e la pro-clamazione che i sudditi sono sciolti dal giuramento di fedeltà alla sua persona.

È nota la reazione di Filippo il Bello che umilia Bonifacio VIII dinnanzi a tutta l’Europa: il Papa è arrestato e oltraggiato da milizie prezzolate. Liberato dal carcere dal popolo di Anagni insorto, morirà a Roma a distanza di pochi giorni (1303) (G. DE ROSA, Dal Trecento al Seicento, Minerva Italica, Milano 1998, p. 20).

L’evento decreta la fine di una certezza: l’Europa capisce che il pa-pato non è invincibile e che non è politicamente garantito dalla prote-zione divina.

2.1. Il nuovo interlocutore politico del papato: lo Stato moderno

La sequenza di fatti che, nello spazio di pochi anni, provoca la rea-

zione regalista alla teocrazia pontificia è il primo segnale di un cam-biamento epocale che attraversa la società europea.

Il papato vede scolorire dinnanzi a sé l’interlocutore politico degli ultimi secoli, l’impero, e sostituirsi gradualmente ad esso un uovo at-tore politico, lo Stato Moderno, che si connoterà innanzi tutto per il suo carattere di gruppo politico istituzionale a base territoriale (P.P. PORTINARO, Stato, il Mulino, Bologna 1999, p. 23).

Il termine Stato vale convenzionalmente ad indicare e descrivere una forma di ordinamento politico sorta in Europa, a partire dal XIII secolo fino alla fine del XVIII o agli inizi del XIX, sulla base di presupposti e motivi specifici della storia europea. In tal senso lo Stato Moderno eu-ropeo ci appare come una forma di organizzazione del potere storica-mente determinata e, in quanto tale, caratterizzata da connotati che la rendono peculiare e diversa da altre forme, pure storicamente determi-nate e al loro interno omogenee, di organizzazione del potere.

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L’elemento centrale di tale differenziazione consiste nel progressi-vo accentramento del potere secondo un’istanza sempre più ampia, che finisce col comprendere l’intero ambito dei rapporti politici.

Da questo processo, fondato a sua volta sulla concomitante affer-mazione del principio della territorialità della obbligazione politica e sulla progressiva acquisizione della impersonalità del comando politi-co, scaturiscono i tratti essenziali di una nuova forma di organizzazio-ne politica: lo Stato moderno, appunto.

In sostanza, la storia della nascita dello Stato Moderno può essere efficacemente descritta come la storia del processo di superamento del sistema politico policentrico e complesso delle signorie di origine feu-dale al fine della instaurazione di un nuovo sistema politico accentra-to, unitario e tendenzialmente esclusivo, utile ad assecondare il muta-mento sociale indotto e gestito dall’incipiente borghesia.

Ora, nei termini essenziali, la forma di organizzazione del potere conforme ai nuovi interessi emergenti si contrappone ad un mondo po-litico caratterizzato da due tratti di fondo solo in apparenza contraddit-tori: il primo è la concezione universalistica della Respublica christia-na enunciata nella teoria ed attuata nella prassi dal papato; il secondo è la distinzione fra autorità politica e autorità religiosa implicita nella proclamazione del primato dello spirituale sul politico.

Universalismo e distinzione tra spirituale e temporale offrivano il terreno su cui potranno insediarsi e rafforzarsi i nuovi interessi politici di quei ceti produttivi e mercantili che, sviluppatisi con il rifiorire del-la vita economica, saranno di fatto i promotori di una forma di orga-nizzazione politica della società europea idonea a liberare i rapporti sociali ed economici dalle regole della società per ceti, quella feudale, caratterizzata dalla diffusione (parcellizzazione) dei poteri di controllo politico.

Il processo di emancipazione delle nuove forze economico–sociali dai legami politici della società feudale statica, policentrica e gerar-chica si compì assai lentamente su un primo piano, spaziale, costituito dal territorio: estensione fisica di terreno sufficientemente ampia da consentire lo sviluppo di nuovi rapporti e una nuova dimensione orga-nizzativa.

Su di un secondo piano, attraverso la individuazione, fra le diverse signorie fra le quali l’elemento territoriale era suddiviso, di un signore,

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il principe, che si presentasse come momento riepilogativo dei poteri di decisione e di governo da esercitarsi su tutto il territorio.

Entrambi questi piani esprimevano il mutamento sociale indotto dai nuovi ceti emergenti, in via di trovare un proprio spazio di azione nel-le cose del mondo, sempre più separate da quelle del Cielo, e quindi sempre più bisognose di sicurezze immediate e attuali.

La descrizione appena compiuta rappresenta nelle sue grandi linee lo Stato dell’Europa Cristiana nell’età immediatamente pre–moderna, cioè tra il XIII e il XVI secolo.

Questo è d’altra parte il significato che il termine Stato general-mente possiede nei documenti del tempo: esso indica la condizione del paese nei suoi dati sociali e politici, nei tratti che ne costituiscono l’ordinamento: la condizione del principe e dei ceti che lo sostengono.

Lo Stato in conclusione di tutto ciò che riguarda la comunità socia-le politicamente organizzata a fini non spirituali.

La distinzione proclamata dai Papi, quindi, tra spirituale e tempora-le per fondare la supremazia della Chiesa, verrà da ora asservita al conseguimento di un obiettivo opposto: l’affermazione della autono-mia della politica (P. SCHIERA, Stato Moderno in Dizionario di Politi-ca a cura di N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Torino 1983, p. 1150). 2.2. La cattività avignonese del papato

Il conflitto fra Bonifacio VIII e Filippo il Bello non è certo il primo fra sovrani e pontefici, ma ha il pregio di segnalare che il potere poli-tico si va emancipando dalla subordinazione ai pontefici.

D’altra parte sono a volte gli stessi pontefici ad alimentare l’istanza di indipendenza dei sovrani rispetto all’imperatore, che pure è parte essenziale della concezione ierocratica della Respublica christiana, come fa Innocenzo IV quando insinua che i re sono soggetti più al pa-pa che all’imperatore.

Filippo il Bello manifesta, dunque, all’Europa una nuova situazio-ne: le autonomie politiche che si sono venute affermando, gli Stati na-zionali, sono realtà strutturate per territorio, composizione sociale, ca-pacità di comando e rispondono per di più alle esigenze economiche e sociali delle nuove categorie produttive e mercantili che cercano for-

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me di protezione anche da un potere ecclesiastico che ne frena e limita le iniziative (C. CARDIA, Manuale di diritto Ecclesiastico, Bologna 1996).

La prima immediata conseguenza dell’episodio di Anagni fu che il papato cadde sotto l’influenza e il controllo della monarchia francese, la quale fece trasferire la sede pontificia in territorio francese, nella cittadina provenzale di Avignone.

La cattività avignonese protrattasi dal 1309 al 1377 è la prima grande sconfitta della Chiesa romana ad opera di un monarca nazio-nale.

Clemente V, il primo Papa avignonese, assecondò innanzitutto il programma politico di Filippo il Bello: fu revocata per la Francia l’Unam Sanctam e si avviò il processo di scomunica contro Bonifacio VIII, sospeso poi in cambio dello scioglimento dell’ordine monastico–cavalleresco dei Templari, che consentiva al sovrano di incamerarne il ricco patrimonio posseduto in terra francese.

Ad Avignone, ovviamente, è l’universalismo della Chiesa a subire una ferita profonda. I pontefici dell’epoca sono tutti francesi; a costan-te maggioranza francese è il collegio cardinalizio; gli stessi santi, in questo periodo canonizzati, sono in maggioranza francesi. Il papato di Avignone perde credibilità e respiro continentale, mentre la tutela dei monarchi francesi rafforza gli altri nazionalismi a discapito delle i-stanze primaziali della Chiesa cattolica.

Nel 1338 l’imperatore Ludovico il Bavaro fa emanare alla Dieta di Francoforte una costituzione nella quale si afferma che il potere dell’imperatore deriva direttamente da Dio e ha la sua base solo nel principio dell’elezione; è lo stesso impero, dunque, che rinuncia defi-nitivamente alla sua legittimazione ecclesiastica e papale e afferma la base “laica” ed elettiva del suo potere.

3. Lo scisma d’Occidente e il conciliarismo

Alla fine del “periodo avignonese” della Chiesa segue di lì a poco un altro grave avvenimento destinato a lacerare il cristianesimo occi-dentale per più di quarant’anni: il Grande Scisma di Occidente. Nel conclave che si apre a Roma nel 1378 alla morte di Gregorio XI si de-

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termina una frattura fra cardinali francesi e cardinali italiani che porta alla elezione di due pontefici.

Il mondo cattolico si divide così nell’obbedienza a due papi, cia-scuno dei quali dichiara di essere quello legittimo e condanna e sco-munica l’altro; si costituiscono due corti pontificie, due gerarchie, due collegi cardinalizi, due diversi organismi burocratici e finanziari.

Lo scisma si aggrava allorché nel 1409 i cardinali di Roma e quelli di Avignone, nel tentativo di porre fine alla scissione, convocano un concilio a Pisa dove, deposti i due papi esistenti, ne viene eletto un al-tro, Alessandro V. I due papi, però, non rinunciano alla tiara sicché i papi diventano tre, ciascuno riconosciuto da un certo numero di na-zioni.

È chiaro a chiunque che l’Europa dei tre papi altro non è che l’Europa delle nazioni che tende verso un’identità politica e religiosa diversa dal passato. E cerca di farlo inizialmente con il risveglio del conciliarismo, di quella dottrina ecclesiologica che, in Occidente, af-ferma la superiorità del concilio generale sul papa.

In effetti, nel momento in cui si affermavano gli Stati nazionali e si delineava da parte di questi la tendenza a favorire la costituzione di Chiese nazionali, nelle quali i sovrani avrebbero potuto esercitare un controllo diretto, si delineava negli ambienti laici ed ecclesiastici la tendenza a contrapporre al potere monarchico assoluto del papato il potere dell’intera chiesa espresso dal Concilio.

D’altra parte, dal 1378 la cristianità occidentale è divisa, lo scisma è nella chiesa e alla sua testa. Come por fine ad esso? La drammatica esperienza di una Chiesa con due papi darà nuovo alimento alla dot-trina conciliarista. Nonostante il fallimento pisano, infatti, la via con-ciliare sembra l’unica percorribile per la risoluzione di una crisi costi-tuzionale della Chiesa che coinvolge il suo vertice istituzionale.

Voluto dall’imperatore germanico Sigismondo al fine di risolvere lo scisma, ma convocato da Giovanni XXIII, succeduto ad Alessandro V nel 1410, il concilio di Costanza dà forma e applicazione giuridica al dibattito dottrinale sul conciliarismo.

Riunitosi il 5 novembre 1414 il Concilio di Costanza vede, singo-larmente, la partecipazione non solo dei vescovi e degli abati, ma an-che dei teologi, dei sovrani e dei loro inviati e, soprattutto, l’introduzio-ne del voto per “nazione”. Nel Concilio è riunito, insomma, una sorta

PARTE I | Il passato 22

di Parlamento europeo, che decreta innanzitutto il trionfo della teoria conciliare (J. GAUDEMET, Conciliarismo, in Diz. di pol., cit., p. 203).

Il decreto Haec Sancta, votato il 6 aprile 1415, stabilisce infatti che il Concilio generale rappresenta la Chiesa cattolica e riceve diretta-mente da Cristo il suo potere a cui tutti, anche il papa, devono obbe-dienza. Il successivo decreto Frequens stabilisce la periodicità del Concilio ogni dieci anni.

Allo scisma tricipite è posta fine con la destituzione, da parte del Concilio, di Giovanni XXIII, l’abdicazione di Gregorio XII, la deposi-zione di Benedetto XIII e l’elezione di Martino V che ricostituisce l’unità della Chiesa.

La parentesi conciliativa è destinata a chiudersi presto. Poco dopo il superamento della crisi della cristianità occidentale, nel Concilio che si riunisce a Basilea nel 1431 e che è convocato da Eugenio IV, suc-cessore di Martino V, esplodono nuovi contrasti tra i sostenitori della teoria conciliare, che erano in maggioranza e riaffermavano la supre-mazia del Concilio sul papa in cui individuavano uno strumento di ri-forma della Chiesa, e lo stesso pontefice.

Eugenio IV rifiuta di obbedire al Concilio, che disconosce e ne convoca uno a Ferrara poi trasferito a Firenze; il Concilio di Ferrara–Firenze si chiude con l’approvazione della bolla Laetentur Coeli che costituisce la risposta romana al movimento conciliarista e che diventa la magna charta della restaurazione pontificia. Secondo questa bolla il papa è il successore di Pietro, il vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, ed è a lui che sono trasmessi i pieni poteri dati da Cristo a Pie-tro per dirigere e governare la Chiesa universale. (C. FANTAPPIÈ, Intr. stor. al dir. can., Bologna 1999, p. 158). È la fine dell’ipotesi concilia-rista: l’u-niversalismo cattolico non riesce a rinunciare al suo tradizio-nale punto di riferimento eminente ed unitario.

4. Il nascente giurisdizionalismo

La sconfitta del conciliarismo e la restaurazione del primato della sede romana sono pagate a caro prezzo. Innanzitutto, è di tutta eviden-za il fatto che gli Stati europei si erano serviti della polemica concilia-re come mezzo di pressione per ottenere dalla Santa Sede strumenti di

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controllo diretti, finanziari e amministrativi, sul clero locale. In un primo tempo, infatti, tutti gli Stati avevano guardato con interesse alla dottrina conciliarista e sperato nel suo successo, perché da essa sem-brava che avrebbero potuto lucrare un incisivo depotenziamento dell’autorità politica del papato. Ma il timore per le posizioni sempre più radicali che il movimento conciliarista andava assumendo e la fermezza con la quale la sede apostolica romana rifiuta la democrazia conciliare determinano progressivamente l’abbandono di ogni velleità politica secolare a sostenere una riforma costituzionale della struttura ecclesiale che si scontra non solo con convinzioni e teorie ecclesiolo-giche ben radicate ma con la stessa complessa rete di interessi al cen-tro della quale il papato romano si pone.

Ciò risulta, per certi versi, sorprendente se si considera che conte-stualmente nella cattolicità occidentale si andava accentuando la fisio-nomia di certe Chiese nazionali; mentre il fatto che anche nel Concilio di Basilea le rappresentanze fossero divise per “nazioni” (francesi, in-glesi, tedeschi, italiani, spagnoli), rappresentava un segno inequivoca-bile dell’incipiente consolidamento di chiese nazionali, protette dai monarchi nazionali e inserite nell’organizzazione dei regni e delle do-minazioni.

Tuttavia, dopo il Concilio di Basilea, la dottrina della superiorità del Concilio viene per lo più abbandonata, fatta eccezione per la Francia.

Nel 1437 Carlo II coglie infatti l’occasione dell’estremo tentativo conciliarista che si compie a Basilea per convocare autonomamente il clero francese: le deliberazioni prese in questa occasione saranno e-manate l’anno successivo attraverso la cosiddetta Prammatica Sanzio-ne di Bourges e rese valide per tutto il regno. Con la Prammatica San-zione formalmente si da valore di legge proprio alle tesi conciliariste espresse a Costanza e Basilea sulla superiorità del Concilio su tutta la Chiesa e sulla periodicità dei Concili.

Ma tutto ciò serve innanzitutto alla monarchia francese per af-fermare in via definitiva il proprio diritto di governare la Chiesa gal-licana: si abolisce infatti, contestualmente, ogni interferenza pontifi-cia sulle nomine ecclesiastiche e, ancora, si proclama l’abrogazione di tutte le tasse apostoliche, al posto delle quali si prevede un mero contributo al fine di garantire comunque al pontefice rendite suffi-cienti.

PARTE I | Il passato 24

Si tratta, quindi, di un documento che si inserisce a pieno titolo in quel generale processo di ampliamento, da parte dei poteri nazionali, delle proprie capacità di intervento e di controllo su uomini e istitu-zioni di chiesa a fini di consolidamento e stabilizzazione del proprio dominio, che si va compiendo ovunque nell’Occidente europeo. Tant’è che, in singolare coincidenza con Bourges, il re d’Inghilterra convoca l’assemblea della Chiesa anglicana per gettare le basi di una Chiesa di Stato, mentre nel 1439 la dieta di Magonza cerca di copiare alcuni aspetti della Prammatica Sanzione (C. CARDIA, Manuale di di-ritto ecclesiastico, cit. p. 90).

Verso la metà del quattrocento, dunque, in Europa è maturata e si è diffusa la consapevolezza che ciascun principe, pur senza che sia ne-gata l’unicità e l’universalità della fede cristiana, possa assumere au-tonome decisioni sui rapporti da stabilirsi con il papato e sulla forma-zione degli assetti organizzativi della Chiesa nel suo territorio.

D’altra parte, è da considerare che la Chiesa cristiana d’Occidente nella sua organizzazione gerarchica e accentrata intorno al papato si presentava sulla scena politica come un potente attore che avanzava pretese di controllo e comando sullo stesso territorio su cui vigevano gli ordinamenti giuridici dei gruppi che gli si contrapponevano con il carattere distintivo della temporalità.

La neutralizzazione, pertanto, del potere ierocratico della Chiesa at-traverso il controllo della rete istituzionale che ne aveva consentito le rivendicazioni rappresentava il primo passo, e uno dei fondamentali, verso l’affermazione di una nuova forma di organizzazione politica, lo Stato nazionale territoriale.