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Desidero ringraziare quanti, durante questi anni trascorsi dalla discussione della tesi di dottorato, mi hanno accompa-gnato nella redazione del presente volume. In primo luogo i miei familiari e mia moglie Fiamma, costante presenza almio fianco, che mi hanno sostenuto con entusiasmo e incrollabile fiducia. Il Prof. Cesare Cundari, sicuro orientamentoe prezioso sostegno in ogni passo della mia ricerca. La Prof.ssa Laura Carnevali, per gli opportuni consigli. I colleghidi dottorato e di dipartimento e gli amici che mi hanno aiutato nell’affrontare e risolvere difficoltà piccole e grandi. Infine Alessandra, che ha creduto in questa pubblicazione.

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Le architetture per l’acquanel Parco di Caserta

Giovanni Maria Bagordo

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I edizione: luglio 2009

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a Marcello e Maddalena

a Fiamma

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PRESENTAZIONE

INTRODUZIONE

1. ALLA SORGENTE. PRESUPPOSTI DEL PARCO DELLA REGGIA DI CASERTA

Il giardino francese

La figura e l’opera di André Le Nôtre

La frattura con il passato: Vaux-le-Vicomte

La Reggia di Versailles e la sua simbologia

Influenze dei giardini italiani

La diffusione del giardino francese in Europa

La figura del committente: Carlo di Borbone

Il sito della Reggia di Caserta

2. LA LUNGA STRADA DELL’ACQUA. PROBLEMATICHE E SOLUZIONI

DELL’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO DA VERSAILLES A CASERTA

L’approvvigionamento idrico di Versailles

Gobert e Picard: il sistema di collegamento degli Stagni limitrofi all’area di Versailles;

l’acquedotto di Buc

Riquet, La Hire e Vauban: la deviazione della Loira e dell’Eure; l’acquedotto di Maintenon

De Ville e Sualem: la Macchina di Marly; l’acquedotto di Louveciennes

L’Acquedotto Carolino

3. DI FONTANA IN FONTANA.

IL RACCONTO DELL’ACQUA NEL PARCO DI CASERTA

Analisi del primo progetto per il Parco

La simbologia sottesa al primo progetto del Parco: ipotesi e suggestioni

Il Parco realizzato: analogie e differenze con il progetto della DichiarazioneL’asse centrale del parco

Il disegno unitario delle fontane dell’asse centrale

Prospettive vichiane. Una lettura dell’asse centrale come asse della Storia

La ricomposizione in unità del progetto e della realizzazione

4. PER GIOCO E PER PIACERE.

LA MOLTEPLICE FRUIZIONE DELLE ARCHITETTURE PER L’ACQUA

Il piacere e il gioco nel Parco di Caserta

Dalla Peschiera alla CastellucciaIl piacere dei sensi: il Giardino Inglese

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

INDICE DEI NOMI

INDICE DEI LUOGHI

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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INDICE

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PRESENTAZIONE

Questo volume dell’arch. Giovanni Maria Bagordo costituisce un importante contributo alla conoscenza di Luigi Vanvitelli , una personalità difficilmente inseribile all’interno di una schematicitàdettata da una suddivisione in stili o correnti artistiche: né ancora totalmente barocco, né del tutto giàneoclassico. Figura di transizione in una società dai profondi cambiamenti – caratterizzata soprattuttodal passaggio da un concezione di monarchia assoluta, l’Ancien Régime, ad una di monarchia illumi-nata – Vanvitelli ne rispecchia pienamente le contraddizioni, riassumendole ed integrandole nella suafigura. Architetto, certamente, la cui attività è sempre basata su un attento studio delle opere antichee di quelle a lui contemporanee, nel costante rispetto della triade vitruviana di firmitas, utilitas e ve-nustas; pittore, come amava definirsi egli stesso – sicuramente grazie anche alla sua formazione do-vuta, in primo luogo, al padre Gaspar – e membro dell’Accademia di S.Luca, ma anche ingegnereesperto in idraulica (se volessimo utilizzare una distinzione in figure professionali tipica dell’età con-temporanea) la cui perizia, formatasi negli interventi effettuati nei dintorni di Roma – ad esempiol’acquedotto di Vermicino – raggiunge il suo apice nel grandioso Acquedotto Carolino. Ma ancheabile scenografo – emblematiche le soluzioni per lo scalone del Palazzo Reale; non va, però, dimen-ticato l’estro dimostrato per le varie mostre d’acqua allestite nel corso dei lavori dell’acquedotto – emaestro nell’arte dei giardini. Vanvitelli è, in una parola, un artista a tutto tondo, erede delle esperienze del passato ed espressionedell’ambiente culturale e scientifico della sua epoca, ma anche promotore di nuove soluzioni architettoniche valide per il futuro; la sua fama è legata in modo particolare alla Reggia di Caserta,l’opera alla quale consacrò lunghi anni di attività alla corte dei Borbone, dal 1752 sino alla morte av-venuta nel 1773, nella cui ideazione e realizzazione Vanvitelli trovò occasione per le necessarie sintesiculturali e progettuali.È utile ricordare che, negli anni recenti, ho curato sia l’attività di rilievo del Palazzo Reale di Caserta,che quella del rilievo parziale dell’annesso parco; tra le due merita di essere segnalata, in particolare,la prima per il folto numero di giovani studiosi (tra i quali lo stesso arch. Bagordo) e collaboratori (alcune decine) che vi sono stati coinvolti, mentre entrambe hanno evidenziato la poliedricità tecnicadel Vanvitelli, capace di governare con eguale abilità i vari problemi che in quell’epoca si presentavanosia nella costruzione del Palazzo Reale che nel governo del territorio per la realizzazione del grandiosoacquedotto.Lo studio condotto dall’arch. Bagordo permette di approfondire la conoscenza su questo artista, ancheattraverso il confronto diretto con le sue parole, tratte dalle lettere indirizzate al fratello Urbano (la cuiraccolta e pubblicazione si deve a D. Franco Strazzullo), e con peculiare, particolare riferimento aduna parte della sua opera di grande importanza, l’Acquedotto Carolino. In effetti nella realizzazionedella nuova Città dei Ministeri (questo avrebbe dovuto essere nei disegni originari la nuova ReggiaBorbonica) particolare importanza dové essere riservata all’approvvigionamento idrico necessario adalimentare i nuovi giardini di corte, ma anche per integrare le risorse d’acqua già disponibili per la ca-pitale del regno. Le opere che furono progettate e realizzate, per quanto nate con carattere di serviziorispetto al programma edificatorio della grande reggia, non sono tuttavia di minor rilevanza, ma ne rap-presentano, con propri caratteri architettonici, il necessario completamento.Dallo studio svolto – sulla base di una conoscenza approfondita e di una esposizione colta e al tempostesso chiara ed avvincente – emerge così, in modo indiscutibile, innanzitutto la necessità di riaffermarel’unicità del complesso costituito dal Palazzo Reale, dai giardini e dall’Acquedotto Carolino, ricor-

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dando che l’opera vanvitelliana si estende sul territorio per una profondità di oltre circa 40 chilometri. Un secondo carattere significativo di questo volume dell’arch. Bagordo riguarda l’analisi delle archi-tetture presenti nel Parco, restituendo il giusto valore ad una parte dell’opera non sempre pienamentecompresa, anche perché parzialmente realizzata; la trattazione proposta integra quelli che, il più dellevolte, sono semplici elenchi delle fontane – a partire dalla Platea del Cavalier Sancio – così da per-mettere di riaprire il dibattito culturale anche su questo particolare aspetto dell’attività di Vanvitelli.Un contributo significativo ed originale, quindi, questo dell’arch. Bagordo che, attingendo tra l’altroall’esperienza direttamente e lungamente maturata nel rilievo della stessa fabbrica vanvitelliana, sipone decisamente in prosecuzione con gli studi già pubblicati sul Palazzo Reale.

Cesare CundariProfessore Ordinario di Disegno dell’Architettura

“Sapienza” Univesità di Roma

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Acqua ed architettura costituiscono da sempre unbinomio indissolubile di elementi che all’appa-renza possono sembrare estranei ma che, in re-altà, risultano interdipendenti l’uno dall’altro. Come l’acqua, intimamente legata alla vita intutte le sue manifestazioni ed elemento traspa-rente, proteiforme e mobile per eccellenza, nonpuò essere utilizzata dall’uomo se non con un’ar-chitettura di supporto che la contenga e la inca-nali, così l’architettura nata a servizio dell’acquane assume le molteplici forme e si differenzia inmolteplici funzioni. Grazie alla sapiente combi-nazione con la fantasia ed il genio creativo deiprogettisti, l’elemento liquido è riuscito a mani-festarsi, nel corso dei secoli, al massimo delleproprie potenzialità.Acquedotti, serbatoi, cisterne, architetture nateper rispondere ai bisogni fondamentali legati al-l’approvvigionamento ed all’accumulo di risorse

idriche, si sono progressivamente trasformate inpeschiere, vasche decorative, bacini di raccolta, e,soprattutto, fontane dedicate allo svago, al diver-timento, al piacere dei sensi. A volte le forme dell’architettura sono ridotte allapura struttura esibita, come nel caso degli acque-dotti; altre volte, invece, la struttura è celata perfar emergere principalmente le valenze estetiche. In ogni caso, in uno scambio reciproco, l’acqua,incanalata in impianti dagli studiati percorsi sot-terranei, quando emerge alla luce è costretta adassumere le forme dettate dall’architettura nataper il suo servizio, divenendone, a sua volta, ilprincipale completamento. Questo felice connu-bio è espresso, in modo ancor più puntuale e pre-gevole, nel campo dell’arte dei giardini. È il giardino stesso che lo richiede, necessitando,in primo luogo per la sua sopravvivenza, di ab-bondanti quantità di acqua per l’irrigazione.

INTRODUZIONE

Com’è possibile che l’acqua mantenga sempre lasua struttura, anche se cambia in continuazione?1

Villa Adriana a Tivoli può essere considerato il prototipo dei giardini formali. Nel Canopo, architettura, scultura ed elementinaturali - in primo luogo l’acqua - risultano interdipendenti e complementari.

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Parco di Versailles. Jean-Baptiste Jouvenet, Temperamentosanguigno, 1675-1680.

o canali d’acqua, che, nel secondo caso, costitui-sce un’eredità della cultura persiana, mentre nelprimo è un diretto riferimento ai quattro fiumi delParadiso terrestre. Il Rinascimento vede, a partire dai due grandicentri culturali di Roma e Firenze, l’affermazionee il diffondersi dei giardini signorili. È la nascitadel “giardino formale”, dai caratteri accurata-mente codificati, in cui lo spazio circostante ladimora signorile diviene immagine dell’universoed universo esso stesso. Il giardino, all’origine mera estensione del pa-lazzo, ne diviene quindi il necessario ampliamen -to nelle belle giornate di sole, la prosecuzione edil completamento degli spazi di rappresentanza,sostituendo, alla successione di stanze, quella deiviali e, a partire dal Seicento, dei parterres e deiboschetti. Come accade per le sale dell’edificio,anche gli spazi esterni sono caratterizzati ognunoda un tema originale e peculiare. In un richiamo continuo tra interno ed esterno, lepareti si trasformano in abbracci di fronde, la lucedel sole si frammenta in mille riflessi che scivo-lano sui vetri delle finestre come sulle superfici dipietra o di bronzo ed il tintinnio dei cristalli sicontrappone al suono argentino delle fontane. Tra realtà e illusione il giardino ed il palazzo sonopalcoscenico per la rappresentazione del proprie-tario, la sua celebrazione ed esaltazione e l’osten-tazione della sua potenza economica, politica,intellettuale.I viali, i sentieri, gli spiazzi, sono modellati informe geometriche e accuratamente delimitati daaltrettanto geometriche architetture vegetali fattedi aiuole, siepi, filari di alberi. Tra esse, nelmezzo degli spazi aperti come all’interno dei bo-schetti nascosti, lungo i viali ed i bacini, ma so-prattutto nei punti nodali di intersezione tra gliassi dei rigidi impianti ortogonali, fiorisce un uni-verso di statue e, laddove queste si uniscono al-l’acqua, di fontane, secondo un modello che traeorigine dalla villa di Adriano a Tivoli.Le statue rendono vivo il giardino, costituendoneil completamento non solo decorativo, ma anchesemantico, poiché narrano storie nel verde e loanimano con la grazia delle loro forme, con laluce che scivola sulle superfici, con l’acqua chegioca sulla pietra e sul metallo e, addirittura,

Ma la trasformazione del giardino in luogo di de-lizie, a cominciare dai pairi-daëza2 dei Gran Reiranici, comporta l’aggiunta di valenze estetiche– quali il riflesso della luce sulla superficie mo-bile dei canali o il suo rifrangersi tra le infinitegocce delle fontane – sensoriali – il suono delloscorrere di un ruscello contrapposto allo scro-sciare di una cascata – e ludiche.Fin dal principio, infatti, il giardino è visto comeriproduzione dell’eden perduto o come tentativodi ricreare un luogo in cui, come nella mitica etàdell’oro, regni un’eterna primavera che rendasempre disponibili fiori e frutti per l’uomo. Fin dal principio, perciò, l’acqua risulta addome-sticata, incanalata e inserita nell’armonia dellacomposizione generale. Accanto alle riserve ed ai sistemi di irrigazione,i giochi d’acqua erano già presenti nei giardinidelle case romane. Nel medioevo i chiostri mona-stici ed i giardini islamici sono caratterizzati dauna simile struttura, quadripartita tramite sentieri

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Parco di Versailles. Fontana di Encelado. Il gigante lancia un ultimo grido verso il cielo.

da protagonista, divenendo filo conduttore di unracconto che si snoda tra le varie parti del giardino,animando e completando la narrazione con la pro-pria presenza, trasformando la propria essenzanell’essenza degli oggetti a cui dona voce. Adesempio in Villa Lante a Bagnaia l’acqua divienefuoco nella Fontana dei Lumini, in cui il riflessodella luce sulle gocce sembra accendere la fiammadi decine di candele. A Versailles, invece, nellaFontana di Encelado, l’acqua materializza, in ungetto alto più di 30 metri, il grido lanciato dal gi-gante travolto dai macigni lanciati da Zeus.Il giardino formale assume, così, nel periodo tra ilXVI ed il XVIII secolo, aspetti volti sempre più allamagnificenza e all’opulenza, legati, nella trasfor-mazione del giardino italiano in quello francese, al -l’af fermazione del potere Reale dell’An cienRégime. Al contrario, nel Settecento, con l’affrancarsi dalrigore delle forme proprio degli impianti geome-trici, si determina sempre più il rifiuto del predo-minio degli elementi architettonici nel giardino,che divengono complementari, accessori e nonpiù caratterizzanti.

anche con la neve che, in inverno, contribuisce asottolinearne i tratti principali.La presenza della statuaria è fondamentale, neldesiderio di far rivivere il mondo antico. Ma poi-ché ogni parte del giardino formale ha soprattuttofunzioni celebrative del committente, la statuariacorrisponde sempre ad un programma ideologicoed iconografico ben preciso e non ad una gratuitàdecorativa legata all’estro ed al capriccio. Letterati e umanisti, riuscendo nella sintesi tramitologia pagana e pensiero cristiano, hanno con-sentito il riutilizzo di vecchi miti al fine di illu-strare nuove idee. Le statue delle divinità,ufficialmente morte da più di un millennio, nonsono più immagini di sé stesse, ma rappresentanouna “mitologia” propria del committente e legataalla sua peculiare storia. Un intero popolo di dei, eroi, mostri, animali realio immaginari, personificazioni di fiumi, allegoriedi elementi e stagioni, trasforma i giardini in per-corsi ermetici per i quali è necessario conoscereperfettamente i miti antichi al fine di compren-dere anche la nuova simbologia. In questi percorsi l’acqua svolge sempre un ruolo

Introduzione________________________________________________________________________________________________

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Reggia di Caserta. Prospetto principale.

ravvicinato, quello che può essere consideratol’ultimo esempio di quella felice unione tra acquaed architettura, nell’accezione fin qui espressa, inun organismo architettonico dalle forti valenzestoriche e culturali. La costruzione della Reggiadi Caserta, concepita da Carlo di Borbone3,asceso al trono nel 1734, per essere il nucleo diuna nuova capitale4 e non in contrapposizione aNapoli5, è, infatti, emblema del periodo di transi-zione dall’Ancien Régime all’Illuminismo, delpassaggio dall’affermazione del potere assolutodel re a quella di un assolutismo illuminato, di cuiil Regno di Napoli6 costituisce «il teatro delprimo grande esperimento del Settecento rifor-matore italiano»7.In secondo luogo, ripercorrere le fasi di realizza-zione del progetto vanvitelliano del Parco, per-mette di soffermarsi sui momenti significativi dellacostante evoluzione dal giardino formale italiano aquello francese. È, a tal proposito, utile ricordareche, per quanto da molta critica, soprattutto estera,il Parco di Caserta venga definito ultimo episodiodi quella reiterazione del modello di Versailles av-venuta presso le corti europee tra XVII e XVIII se-colo, è lo stesso Vanvitelli a ribadire la derivazionedi qualunque giardino, compreso il Parco di Ver-sailles, dai modelli italiani di Villa Lante a Bagnaiae Villa Aldobrandini a Frascati. Infine, è fondamentale tener presente che il pro-getto del Parco di Caserta è inscindibile dalla co-struzione del Palazzo Reale. L’analisi dellearchitetture per l’acqua presenti nel Parco – in-ten dendo con questo termine anche l’acquedotto

È il paesaggio – inteso come unione di elementinaturali ed antropici – ad assumere un ruolo pre-dominante, in relazione agli effetti pittorici pro-dotti ed all’impatto emotivo generato, sulla scortadelle più recenti rappresentazioni di Claude Lor-rain o di Nicolas Poussin. Tale assunto, che con-sente un predominio – solo apparente – dellanatura sull’arte, in contrapposizione alla manife-sta artificiosità dei secoli precedenti, vede tutta-via, ancora una volta, la necessità di una profondainterazione tra architettura ed acqua, sebbene conforme proprie e del tutto innovative. Nel giardino paesistico, infatti, orografia, idro-grafia e vegetazione non sono lasciati nel lorostato, ma vengono modificati artificialmente perassumere un aspetto “naturale”, spontaneo e pia-cevole, confacente allo stato d’animo che si vuoleabbia chi osserva quel paesaggio.Di conseguenza anche l’acqua, sia che si presentisotto forma di ruscello, sia che assuma l’aspettodi lago o di cascata, rifiuta il suo legame con l’ar-chitettura – anche se in realtà è manipolata ed in-serita all’interno di un paesaggio costruito“architettonicamente” – in funzione dei partico-lari sentimenti di gioia, di serenità o di malinco-nia che si vogliono suscitare.Pertanto, la scelta di analizzare le architetture perl’acqua, presenti all’interno del Parco della Reg-gia di Caserta, assume una particolare rilevanza esi dimostra alquanto felice sotto moltepliciaspetti. In primo luogo tale scelta permette di osservare,da un anomalo, ma fondamentale, punto di vista

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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1. Andrew CRUMEY, Pfitz o la ricerca della Città Perfetta,Ponte alle Grazie, Milano, 2002, p. 93.

2. Pairi-daëza vuol dire, in persiano, “parco reale di cac-cia e di piacere”, da cui i termini pardës in ebraico eparádeisos in greco, fino all’italiano “paradiso”. Cfr.Franco CARDINI, Massimo MIGLIO, Il giardino delle de-lizie, in «Medioevo», VI, n. 4, 2002, p. 43.

3. «Carlo di Borbone, figlio di Filippo V ed ElisabettaFarnese, resta sul trono di Napoli fino al 1759, quando,per la morte senza eredi di Ferdinando VI, assume lacorona spagnola. Nel tempo eroico della dinastia, so-stenuto dal suo ministro di Grazia e Giustizia, il to-scano Bernardo Tanucci, re Carlo promuove la riformadei tribunali, fondata sui controlli e le limitazioni delle

giurisdizioni feudali, l’avvio di un progetto di codifica-zione del diritto; crea nel 1739 il Supremo Magistratodi Commercio; mette in atto il primo serio tentativo diriforma fiscale globale, attraverso l’istituzione del ca-tasto onciario. L’azione riformatrice prosegue, forsecon minore efficacia, nel periodo della Reggenza, do-minato dalla figura di Bernardo Tanucci, diventatoprimo ministro, che affronta per la prima volta que-stioni forse mai sistematicamente affrontate nel go-verno del Mezzogiorno: la riforma delle finanzecomunali, il rafforzamento delle magistrature periferi-che del Regno di Napoli». Aurelio MUSI, Assolutismo,riforme, rivoluzione, in Storia della letteratura ita-liana, diretta da Enrico Malato, Salerno Editrice,Roma, 1998, vol. VI, p. 30.

realizzazione, da parte del figlio Carlo, di unGiardino Inglese in un’area limitrofa a quella pre-vista dal padre. Ancora aperto risulta, perciò, il dibattito culturaleattorno a questo monumento che, al giornod’oggi, porta impresso il segno evidente di tuttele oscillazioni di gusto e pensiero che furono allasua origine8. In maniera più equilibrata si potreb-bero assumere le posizioni di Rudolf Wittkower,che riconosce nella logica stringente e nell’amoreper la forma geometrica assoluta le «caratteristi-che che hanno una lunga genealogia in Italia e ri-velano, allo stesso tempo, il razionalismo e ilclassicismo del Vanvitelli»9. Allo stesso tempo,però, osserva sempre Wittkower, «il modo sce-nografico di progettare e di vedere lega salda-mente il Vanvitelli al tardo barocco, ed è sottoquesta luce che il suo classicismo assume un sa-pore particolare»10. Il presente contributo, pur non volendo entrarenel merito della questione, si propone, perciò, dicogliere gli elementi caratterizzanti dell’opera diVanvitelli – anche in relazione agli aspetti mag-giormente inerenti il campo dell’ingegneriaidraulica – senza, per questo, iscrivere la sua fi-gura nei rigidi canoni di una determinata correnteartistica, al fine di fornire gli strumenti necessariper una sua interpretazione che ne palesi piena-mente il valore.

a cui è strettamente collegato – consente di com-prendere meglio e definire i molteplici aspettidell’opera di Luigi Vanvitelli – e della sua perso-nalità – con riferimento al particolare periodo sto-rico in cui avvenne tale realizzazione. La storia dell’edificazione della Reggia riflette,infatti, le inquietudini e le incertezze del periodostorico a cui appartiene. Ad esse si aggiungono lecontinue oscillazioni dovute ad eventi contin-genti, tra cui spicca, come motivo principe, lapartenza del re Carlo da Napoli per salire al tronodi Spagna. Il cambiamento dei rapporti tra com-mittente ed architetto, in particolare la perdita diquella comunione di intenti che permetteva aVanvitelli maggiore libertà di azione, è all’originedell’incompiutezza di numerose parti dell’operae di numerosi rallentamenti nei lavori, dovuti so-prattutto a motivi economici. Inoltre il nuovo re,Ferdinando, non dimostrò mai un vero interessenel proseguire l’opera paterna, preferendo, ap-pena possibile, dedicarsi alla realizzazione delnuovo sito di S.Leucio. Ovviamente anche il Parco ha risentito delle dif-ficoltà economiche incontrate nonché della mute-volezza del gusto estetico dell’epoca. Alla mortedi Vanvitelli, avvenuta nel 1773, gran parte del-l’asse centrale non era ancora terminato, mentrel’affermarsi del gusto paesistico portò al progres-sivo disinteresse per il giardino formale ed alla

Introduzione________________________________________________________________________________________________

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NOTE

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4. A tale proposito è da osservare come la regina MariaAmalia avesse espressamente richiesto a Vanvitelli re-gole precise anche per le abitazioni che si sarebberocostruite attorno al palazzo Reale.

5. La nascita della Reggia di Caserta è completamentediversa da quella di Versailles, considerata da LuigiXIV come luogo in cui fuggire da Parigi. Il Palazzovanvitelliano è, invece, idealmente e materialmentecollegato alla capitale partenopea attraverso il lungostradone di accesso.

6. Tuttavia ricorda Saverio Ricci: «Quanto potesse esseredifficile, a Napoli, per cultura dei Lumi, filtrare attra-verso le pareti della reggia e influenzare la politica delRegno dice con impietosa crudezza uno dei piùnotevoli despoti illuminati del secondo Settecento,Giuseppe d’Asburgo, che, inviato nel 1769 dall’impe -ratrice Maria Teresa presso la corte di Ferdinando IV diBorbone a studiare la situazione in cui si trovava lafiglia Maria Carolina, sposa da qualche tempo con l’in-dolente e bislacco figlio ed erede di Carlo III, ne scrisseuna relazione stupefacente quanto arrendevole, con-clusa con le sconsolate parole: “in quel paese non vi èassolutamente nulla da fare, neanche dare consigli…che si arrangino da soli”. L’atmosfera rilassata e gau-dente che qualche decennio più tardi avrebbe incantatoGoethe, facendogli scoprire che il re di Napoli se laspassa tanto e come l’ultimo lazzarone, scandalizzòl’austero figlio di Maria Teresa, che, una volta sul tronoimperiale, avrebbe incarnato più di ogni altro sovranoeuropeo l’ideale di una monarchia profondamente im-pegnata nella promozione del bene comune, rischiaratadalla scienza e dalla filosofia. Giuseppe trovò che suocognato, il re di Napoli, “non solo detesta leggere, maquasi più ancora quelli che lo fanno”, e impedisce allaregina di dedicarsi a questo istruttivo impegno; Ferdi-nando dimostra “una tale inerzia di spirito […] che osodire quasi con certezza che quest’uomo in vita sua nonha mai riflettuto né su se stesso, sulla sua esistenzafisica e morale, né sulla sua situazione, i suoi interessi,il suo paese […]”. Nella relazione di Giuseppe d’As-burgo l’unico uomo di senno e abilità che si incontra èl’onnipotente ministro Bernardo Tanucci (1698-1783),reputato però troppo ingiustamente “un Tartuffe, umilein apparenza […] un furbastro”, che tiene padre efiglio, Carlo III re di Spagna e Ferdinando IV re di Na-poli, “nell’inerzia a lui necessaria, rimuove la verità ela gente onesta da tutt’e due, infine non pensa che a sestesso e impiega per il suo benessere tutti i mezzi lecitied illeciti”. In realtà, sconfitta e arretrata di molti passi,nel corso degli anni Quaranta, l’azione riformatrice av-viata da Carlo di Borbone all’inizio del suo regno, acausa della durissima resistenza del clero e della feu-dalità, Tanucci – questo assai dotato giurista toscano

cui Carlo aveva affidato il figlio e la Corona napole-tana, andando a cingere quella spagnola – rappresentòtutto il riformismo di cui Napoli poteva esser capacein quella fase, e con un nuovo re così poco incline aoccuparsi degli affari di Stato». Saverio RICCI, Vita ecultura in Italia nell’età dell’Illuminismo, in Storiadella letteratura italiana, cit., vol. VI, pp. 168-169.

7. Aurelio MUSI, op. cit., vol. VI, p. 30.

8. Si riportano, a titolo esemplificativo, alcune delle nu-merose opinioni espresse sull’opera Vanvitelliana.Secondo Corrado Maltese: «Il carattere neoclassicoche si è voluto rivendicarle è nettamente smentito daglieffetti pittorici e scenografici degli archi, delle volte,delle scalinate, delle colonne, paraste, mensole, cornicie nicchie innumerevoli, e infine dagli schizzi prepara-tori, tutti volti a creare effetti pittorici di luci e ombre,movimento e profondità di masse e piani. (…) Quellacomposta simmetria sembrerebbe, certo, giustificare lapatente neoclassica assegnata al Vanvitelli. Eppure,proprio per un simile ritorno a uno schema classicista(…) la pianta chiusa di Caserta non tocca, e tanto menopreannuncia, in nessun modo il mondo neoclassico: siasserraglia entro le sue pesanti muraglie defilandosidalla scenografia dei giochi d’acqua che rimbalzanogiù dai colli, ne nega il nesso più profondo con la vitainterna della reggia, trasformandola in fastosa appen-dice». Corrado MALTESE, Storia dell’Arte in Italia1785-1943, Einaudi, Torino, 1960-1992, pp. 22-23. A questa tesi si contrappone quella di Renato Bonelli:«Negli anni intorno alla metà del Settecento, quandoVanvitelli progetta la Reggia, la parentesi storica delBarocco era ormai superata,e l’architettura francesedegli hôtels (anch’essa chiamata impropriamente Ro-cocò) era giunta a mostrare la necessità di una radicalediversificazione degli interni, ornati da una frivola esofisticata decorazione, dall’architettura degli esterni,contenuta in forme semplici e sobrie, con partiture sin-tetiche e superfici piane, ma pur sempre composte daelementi classici. Dopo l’ “incidente” barocco, e dopoil trapasso del grand-gôut, la strada scelta era ancoraquella di un nuovo e diverso ampliamento del linguag-gio classico». Renato BONELLI, Vanvitelli e la culturaeuropea: proposta per una lettura europeista dellaReggia di Caserta, in Luigi Vanvitelli e il ‘700europeo, Atti del Congresso Internazionale di Studi,Napoli-Caserta, 5-10 novembre 1973, Istituto di Storiadell’Architettura – Università di Napoli, Napoli, 1979,vol. I, p. 145.

9. Rudolf WITTKOVER, Arte e architettura in Italia. 1600-1750, Einaudi, Torino, 1993, p. 340.

10. Ivi, p. 341.

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Il Parco della Reggia di Caserta viene general-mente considerato come l’ennesimo esempio digiardino formale – e, per le particolari circostanzestoriche, anche l’ultimo2 – basato sul modello diquello di Versailles. Se questa affermazione puòessere vera in parte, relativamente, cioè, ai motiviispiratori della progettazione della Reggia e delgiardino – la creazione di una nuova sede per lacorte che fungesse da “nuova capitale” del regno– non può essere così pedissequamente applicataalle scelte progettuali adottate da Luigi Vanvitelli. Nella progettazione del Parco, pensato in intimaunione con la Reggia, Vanvitelli si mostra, infatti,non solo particolarmente attento a cogliere e a ri-produrre gli aspetti fondamentali dell’arte deigiardini così come teorizzata nella sua epoca, maè ancor più «pronto ad accettare tutti i suggeri-

menti formali che gli derivano sia dalla naturache dalle preesistenze»3.Di tale molteplicità di aspetti, assimilabili a veree proprie “sorgenti” del Parco, alcuni sono pale-semente evidenti – come, ad esempio, il forte le-game con la tradizione del giardino francese,inteso come repertorio delle forme più adatte allacelebrazione della grandeur del sovrano – mentrealtri risultano più nascosti, sebbene non di minorerilevanza rispetto all’iter progettuale e agli esitiraggiunti.Prima di procedere con la descrizione delle archi-tetture per l’acqua presenti nel Parco, si vogliono,pertanto, analizzare di seguito quali possono es-sere state le molteplici fonti ispiratrici dell’operavanvitelliana, cominciando proprio con la piùevidente di queste.

1. ALLA SORGENTE.PRESUPPOSTI DEL PARCO DELLA REGGIA DI CASERTA

L’opera di Le Nostre dovette essere a lui di guida neltrasferire su una scala maggiore quelli che erano stati itradizionali modi del giardino italiano.1

Parco di Caserta. L’asse centrale con le fontane.

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Pierre Le Pautre, Planimetria di Versailles, 1717. Sono evidenti i viali che, oltrepassando i limiti del giardino, segnano la geometria del territorio.

gendo fino all’orizzonte, nella realtà, e all’infi-nito, nella sua percezione visiva. Facendo propria la concezione barocca delcosmo, il giardino diviene inoltre il luogo dell’il-lusione e della rappresentazione. La teatralità, lameraviglia, l’incanto dei sensi sembrano essernegli elementi costituenti che ne fanno un luogofuori dal tempo e dallo spazio, in cui il tempo e lospazio, manipolati dall’arte, sono piegati ai desi-deri del committente.Inevitabile, pertanto, che il giardino del Sei-cento, vero e proprio palcoscenico del mondo, as-surga al ruolo di luogo di rappresentanza delpotere assoluto del sovrano, trovando in Versail-les la perfetta corrispondenza con la forte perso-nalità e con la concezione politica del Re Sole.L’ambiente, manipolato da generazioni di archi-tetti e di maestri giardinieri e fontanieri, realizzain Versailles la sua compiutezza, raggiungendoproporzioni mai viste sia per le dimensioni, siaper la complessità dell’impianto e la ricchezzadell’apparato decorativo. Il giardino francese – ormai divenuto il “modellodi Versailles” – sarà necessariamente esportato,

Il giardino francese

Il giardino francese è partecipe della rivoluzioneculturale propria del XVII secolo, che vede nellastruttura dell’universo proposta da Galileo ed ap-profondita da Newton la sua espressione mag-giormente rappresentativa. L’uomo, che perde lapropria centralità, si trova ad interagire con unarealtà circostante rispetto alla quale sperimenta lapropria finitezza, confrontandosi con uno spaziodivenuto, tutto ad un tratto, immenso. Di fronte a tale vastità l’uomo è, improvvisa-mente solo, ma, acquisendo la conoscenza delleleggi che regolano questo “nuovo” spazio, puòriappropriarsi di un ruolo dominante, uscire dailimiti imposti ed accrescere il proprio potere.In particolare il giardino francese diviene uno deimezzi principali per percorrere questa strada, poi-ché fa propria la nuova spazialità acquisita, supe-rando i limiti e le chiusure imposte dal giardinorinascimentale. Il giardino diviene, pertanto, l’elemento ordina-tore del territorio circostante, irrompendo nelpaesaggio con le sue regole e le sue leggi e giun-

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Versailles. L’asse centrale si allontana verso l’infinito.

scalinate, fontane, ninfei, statue, balaustrate che,come vere e proprie sorprese visive, scandisconoil ritmo del cammino e accompagnano nel per-corso. L’assialità dell’impianto è ripresa dai giardini ita-liani, come elemento guida, percorso principalee visione privilegiata, ma, nella nuova visone delmondo, i viali si moltiplicano, al di fuori di ma-glie rigidamente ortogonali, divenendo segni geo-metrici che penetrano nell’ambiente, lotrasformano e raggiungono ulteriori punti nodalida cui altri itinerari si diramano a raggiera, in unprocesso reiterabile all’infinito che genera infinitimodi di partecipazione alla natura del luogo.L’asse longitudinale, in genere asse di simmetriadella composizione, risulta molto accentuato, sot-tolineato dalla successione di elementi singolari,veri centri propulsivi da cui si dipartono gli assi– trasversali, a raggiera o a patte d’oie – che pe-netrano nei boschetti circostanti, visivamente in-centrati su altri manufatti. In maniera illusorianon soltanto il giardino si estende spazialmentefino all’orizzonte, ma anche la sua percorrenzapotrebbe non avere mai termine, nel continuo ri-mando – da un viale all’altro e da un elemento al-l’altro – che genera il senso di infinito nelladimensione temporale.Il culmine dell’asse, che è materializzato sul ter-reno da un viale o da un canale d’acqua, è percet-tivamente costituito da un punto predeterminato,statua o fontana, a partire dal quale l’occhio è li-bero di spaziare all’infinito, essendo impossibileraggiungere visivamente i limiti fisici del parco. L’acqua diviene il principale elemento costi-tuente, prestandosi alle numerose manipolazionirichieste dalle molteplici esigenze pratiche e sim-

nel corso del XVII secolo, presso tutte le princi-pali corti europee, che vorranno, attraverso la rei-terazione di elementi, se non la loro direttareplica, sfacciatamente paragonarsi e confrontarsicon l’assolutismo di Luigi XIV.Tale replica di un modello è facilitata anche dallacodifica degli elementi costituenti il giardinofrancese, operata nel corso dei secoli da numerositrattatisti.La morfologia del sito è il primo elemento daprendere in considerazione, poiché costituisce lastruttura su cui il giardino può modellare le sueforme. Mentre in Italia le improvvise pendenzedi una morfologia accidentata e fortemente mon-tuosa permettevano scenografie più appariscenti,in Francia, soprattutto nella Francia centrale e neidintorni di Parigi, il terreno pressoché pianeg-giante o dagli scarsissimi dislivelli non consen-tiva effetti altrettanto spettacolari se non dopoun’accurata manipolazione del luogo. Il giardino francese, perciò, preferisce stupire conle grandi distese aperte, amplificate anche grazieai sapienti effetti visivi che dilatano lo spazio finoall’orizzonte. Il terreno, costantemente model-lato, è trasformato in terrazzamenti che si susse-guono e, nel passaggio dall’uno all’altro,nascondono ed esibiscono, secondo un ordineprestabilito, le principali zone.Già nel Traité du jardinage selon les raisons de lanature et de l’art, pubblicato postumo nel 1638,Jacques Boyceau de la Barauderie4 espone chia-ramente, tra i fondamenti teorici ed artistici del-l’arte dei giardini del XVII secolo, la necessità diparterres – che ipotizza senza divisioni – posti alivelli differenti per poter essere meglio vistidall’alto delle varie terrazze. Si tratta ancoradi composizioni monumentali, omogenee e benproporzionate, in cui le varie parti sono subordi-nate al disegno ed alla logica dell’impianto gene-rale e soltanto in seguito ogni composizioneacquisirà caratteri propri.Il giardino francese propriamente detto, infatti,non potendo contare sulla visione a colpo d’oc-chio di un’immagine eloquente – come accadeva,ad esempio, ai viaggiatori che si trovavano difronte all’ingresso di Villa d’Este a Tivoli – si ri-vela soltanto a chi lo percorre, per poi tornare anascondersi e, infine, a disvelare i propri segreti:

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boliche: bacini che si sostituiscono a parterresverdi, vasche, fontane, peschiere, grotte che ce-lano automi azionati dalla forza idraulica, giochie scherzi per sorprendere e bagnare i visitatori,cascate dalle dimensioni a volte colossali, teatrid’acqua creati per feste e divertimenti dalle at-mosfere particolari. Il giardino francese fiorisce nella presenza del-l’acqua, ma pur acquisendo tutti gli elementi daigiardini italiani, si distacca da questi, distinguen-dosi per la presenza di un vasto canale che, comeavviene nel Canopo di Villa Adriana a Tivoli,concorre ad accentuare l’impressione di vastitàdelle superfici, attraverso gli effetti legati alla ri-flessione delle immagini. Indispensabile perciò, per l’impianto del giar-dino, è un sito in cui l’abbondante presenza d’ac-qua garantisca una corretta alimentazione dellefontane, dei bacini e dei canali. Ad esso si associal’esperienza di tecnici5 in grado di dimensionarepercorsi e condutture lunghi chilometri, con tu-bazioni in piombo o ferro – ma a volte anche incuoio e legno – installate sotto i parterres e gliampi viali. Necessariamente il giardino è il trionfo della ve-getazione, un trionfo dai molteplici aspetti, volutoed organizzato dall’uomo attraverso la selezione ela modellazione delle specie che preferisce, reseespressione e funzione del proprio gusto e dei pro-pri bisogni. Il giardino viene così suddiviso in par-terres dalle infinite geometrie, frazionato da siepidi altezze variabili, delimitato da palizzate e paretidi verde, ordinato da arbusti di bosso o di agrifo-glio che sono sagomati, secondo i dettami dell’artetopiaria, in forme geometriche o fantastiche e postia punteggiare la percorrenza dei viali.

In prossimità del castello, perché siano ben visi-bili dalle sue finestre e dalle terrazze, si trovanogeneralmente i parterres de broderies, caratteriz-zati dal contrasto tra i fiori ed i motivi ornamen-tali creati da piante aromatiche, erba o bosso,secondo quanto già descritto nel trattato di Boy-ceau de la Barauderie. Nei parterres de broderies,i parterres ricamati, le piante di bosso sono sa-gomate in modo da riprodurre complessi motiviornamentali, veri e propri ricami vegetali. Al lorointerno, contrapponendosi al verde delle linee dicontorno, si trovano aiuole fiorite, costantementerinnovate nel corso dell’anno, che esibiscono va-rietà di tulipani, anemoni, ranuncoli e tuberose,dai colori accostati in maniera accurata. In as-senza di fiori, sono semplicemente i riquadri, co-lorati con il nero del carbone, il rosso dei mattonifrantumati, il bianco della ghiaia ed il giallo dellasabbia, a fornire la varietà cromatica richiesta. Più lontano dal castello è il luogo dei parterresde gazon, tappeti erbosi con la funzione di esten-dere e dilatare percettivamente lo spazio, nelledue possibili varianti dei boulingrins, dalla leg-gera pendenza, e dei vertugadins, dal dislivellomaggiore. In genere intorno ad essi si sviluppauna zona boscosa, di contorno e delimitazione,preferibilmente naturale, ma, in assenza di unbosco già esistente, non si hanno scrupoli a tra-piantare alberi già adulti, per ottenere l’effetto de-siderato nel minor tempo possibile. Conifere,come pini silvestri e larici, ma anche querce, car-pini, faggi e castagni, contribuiscono, con i lororeciproci contrasti di forme e di colore del fo-gliame, a variegare, nel trascorrere delle stagioni,la profondità delle zone boschive.Ma l’elemento più caratteristico e più innovativodel giardino francese è sicuramente il bosquet6,nascosto alla vista da grigliati e palizzate checreano un ricercato e piacevole effetto sorpresa.Come piccole foreste in miniatura, i boschettirappresentano episodi particolari all’interno delgiardino, luoghi dell’incanto e dell’incantesimo,a metà strada tra l’orrido ed il piacevole, forse ri-produzione del “bosco sacro”, tappe di un per-corso iniziatico in cui l’eroe deve affrontaredifferenti prove. All’interno dell’ordine e del ri-gore dettato dalla geometria dei viali, il giardinogioca con il mondo della fantasia disposto in ma-

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Vaux-le-Vicomte. L’arte topiaria decora i viali del parco.

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niera asimmetrica nella composizione generale;dentro i boschetti, il disegno, l’architettura, lesculture ed i giochi d’acqua offrono molteplicimotivi di meraviglia ed allontanano l’eventualesenso di monotonia del percorso, inducendo aduna scoperta continua dei nuovi spazi presenti.Impossibile determinare una tipologia ricorrentedi boschetto e, tanto meno, stabilirne un numero;di molti di essi si conosce l’aspetto soltanto at-traverso le immagini riprodotte in stampe ed in-cisioni, poiché a causa delle difficilimanutenzioni, ma soprattutto del cambiamentodel gusto e della moda, la maggior parte è statadistrutta, a volte soltanto pochi anni dopo la rea-lizzazione, per essere sostituita da altri boschettidi differente carattere7.La codifica degli elementi costituenti il giardinofrancese ha origine nel XVII secolo e prosegueper tutto il XVIII. Alla già citata opera di Boyceaude la Barauderie seguono altri trattati più tecnici,destinati ad un pubblico di specialisti del settore.Tra questi si ricordano il Théâtre des plans et jar-dinages, di Claude Mollet8, pubblicato postumodal figlio André9 nel 1652 proprio ad uso dei giar-dinieri – in cui sono descritte, tra l’altro, le moda-lità pratiche per il disegno di alcune tipologie diparterres – o le Instructions pour les jardins frui-tiers et potagers avec un traité des orangers diJean de La Quintinie10 – opera anch’essa pubbli-cata postuma nel 1690 – dedicata principalmentealla coltivazione degli alberi da frutto.Ma è in particolare grazie ad un’altra opera che ilgiardino francese, ancor prima dei fondamentaliinterventi di André Le Nôtre, riuscì ad essere co-nosciuto ed apprezzato e a diffondersi fuori daiconfini nazionali. Si tratta de Le jardin de plaisir,di André Mollet, edita a Stoccolma nel 1651, infrancese, tedesco e svedese e, successivamente,tradotta in inglese nel 1670. Per la prima voltaMollet descrive planimetrie generali per organiz-zare l’impianto di un giardino, con particolare at-tenzione al rapporto di questo con la dimorapadronale, anziché limitarsi esclusivamente aconsiderare singolarmente i parterres. Nel testo viene esposta, inoltre, una suddivisionegerarchica degli spazi – distinti ed organizzati inaperti e coperti, intendendo con questo terminele zone boscose – e dei parterres, a partire dai più

elaborati fino ai più semplici, a seconda che sianopiù o meno distanti dall’abitazione o dall’asseprincipale.Inserendosi nella scia di Mollet, Antoine-JosephDézallier d’Argenville11 pubblica nel 1709 Lathéorie et la pratique du jardinage, manuale indi-rizzato sia ai giardinieri, sia agli architetti, sia aiproprietari terrieri. L’opera, che per la prima voltaè organizzata come un trattato di architettura, dicui rispetta la struttura e la successione dei capi-toli, prende in considerazione questioni formali– relative al tracciamento degli assi e dei parter-res rispetto alla conformazione del sito ed alla po-sizione della dimora – insieme ad aspetti piùtecnici – tra cui la realizzazione di terrazzamenti,l’impianto degli alberi e, fondamentalmente, gliaspetti idraulici.A Dézallier d’Argenville si devono, ad esempio,alcuni rapidi elenchi delle principali forme as-sunte dall’acqua nelle fontane e nei giochi d’ac-qua durante il Settecento, elenchi che fornisconoanche un’indicazione sulle innovazioni introdottenel gusto estetico.

Il y a de plusieurs sortes d’Ajutages ou Ajoutoirs,comme des Gerbes, des Pluïes, Soleils, Eventails, &de quantité d’autres formes que l’on donne à l’Eau;mais, les plus ordinaires Ajoutoirs, pour former un Jet,sont élevés en Cone & n’ont qu’une seule sortie (…).Les Cascades sont composées de Nappes, de Buffets,de Masques ou Dégueuleux, de Bouillons, de Cham-pignons, de Gerbes, de Jets, Moutons, Chandeliers,Grilles, Cierges, Lames, Croisées, & Berceauxd’Eau12.

L’opera, estremamente chiara, ebbe notevole

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Vaux-le-Vicomte. Parterres de broderie.

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Nella sua attività Le Nôtre rielabora e fa propri iprecetti dei trattatisti dell’epoca, dall’agronomoOlivier de Serres – che esortava i proprietari ter-rieri a condurre il più lontano possibile i vialidelle proprie abitazioni, costituendo una serie diallineamenti rettilinei – a Boyceau de la Baraude-rie – che rimarcava la necessità di lunghi viali efilari di alberi tra i campi. Ai loro precetti, LeNôtre unisce un gusto personale per gli effettigrandiosi e in grado di generare stupore, assimi-lato, molto probabilmente, durante la frequenta-zione dell’atelier di Simon Vouet.Per raggiungere gli effetti desiderati Le Nôtre uti-lizza metodi e strumenti propri dell’arte militare edella progettazione di fortificazioni, poiché condi-vide, con entrambe le discipline, la necessità diavere visuali aperte e assi ben definiti. A tal pro-posito egli è agevolato dal progressivo perfeziona-mento degli apparecchi topografici, chepermettono tracciamenti accurati, in grado di ri-produrre sul terreno i progetti più arditi, preventi-vamente immaginati su carta, e di materializzarecosì, con estrema precisione, salti di quota, terraz-zamenti, assi longitudinali che tendono all’infi-nito. Fondamentale diviene allora, nella sua opera,l’uso della prospettiva. Al posto del frazionamentoin parterres isolati e giustapposti, Le Nôtre pro-pende per una composizione unitaria che riuniscainsieme, in maniera indissociabile dalla dimorapadronale, lo scorrere dell’acqua, le meravigliedei boschetti , gli spazi nascosti e decorati dellegrotte, le mille forme delle siepi di bosso. La sua arte non consiste nel realizzare oggetti ar-tificiali nel paesaggio, ma nel trasformare il pae-saggio «fin dove arriva lo sguardo di unosservatore fermo o in movimento lungo un per-corso studiato», nel realizzare, con gli elementi asua disposizione, «la stessa coerenza d’insiemeche si esige in un quadro ben riuscito»15. La prospettiva si trasforma allora da metodo dirappresentazione a metodo progettuale, in cui èpossibile ravvisare elementi derivanti dai coevistudi del padre minimo Jean-François Niceron.La rappresentazione della natura acquisisce mag-giore rilevanza rispetto alla sua essenza, inquanto la prospettiva permette di operare sulla re-altà e trasformarla al fine di ricomporre, nell’oc-chio dell’osservatore, l’immagine voluta e

fama e, grazie alle sue tredici edizioni in francese,inglese e tedesco, divenne il principale strumentoper la diffusione del modello francese in Europa,durante tutto il XVIII secolo. Ma da solo il trat-tato di Dézallier d’Argenville non giustifiche-rebbe il successo raggiunto dal modello francesein tutta Europa se quanto teorizzato non avesseavuto un riscontro oggettivo nell’opera di un altroartista che ha contribuito all’innovazione del giar-dino francese con il proprio talento personale,portandolo alla sua espressione più matura e ren-dendolo riflesso dell’assolutismo monarchico.

La figura e l’opera di André Le Nôtre

I giardini delle Tuileries, di Fontainebleau, diSaint Germain e Saint Cloud, di Medoun, Sceaux,Chantilly, ma soprattutto Vaux-le-Vicomte e Ver-sailles sono i più fulgidi esempi dell’arte di AndréLe Nôtre. «La forma e le mete del suo genio», silegge nel suo epitaffio, «lo misero in una posi-zione così eminente nell’arte del giardinaggio dadover essere considerato come l’inventore dei piùbegli artifici di quest’arte, portando inoltre tuttigli altri alla massima perfezione (…) Non soltantola Francia trasse profitto dalla sua operosità, matutti i prìncipi d’Europa cercarono i suoi discepoli.Nessun rivale poteva essergli comparato»13.André Le Nôtre è indiscutibilmente il principaleartefice della trasformazione e dell’affermazionedel giardino francese nel corso del XVII secolo.Nato a Parigi nel marzo del 1613 da una famigliadi giardinieri che vantava una lunga tradizione14,André si formò attraverso lo studio della geome-tria e dell’aritmetica, così come dell’architetturae del disegno presso l’atelier del pittore SimonVouet. A 22 anni acquisì già la carica di primogiardiniere del duca d’Orléans, il fratello del reLuigi XIII; nel 1637 divenne giardiniere delleTuileries, ricoprendo il medesimo ruolo delnonno Pierre e del padre Jean; nel 1645 inter-venne a Fontainbleau. L’incarico determinanteper la sua carriera arrivò, però, nel 1656, quandoil sovrintendente alle finanze di Francia, NicolasFouquet, lo chiamò per partecipare alla realizza-zione della propria residenza: è la nascita diVaux-le-Vicomte, il primo dei suoi capolavori.

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Numerosi sono gli esempi in tal senso. A Versail-les il Grand Canal vede i suoi bracci allungarsi inmaniera asimmetrica, sia lungo l’asse centrale,sia, in senso ortogonale, sull’asse secondario chesi imposta sul Trianon. Allo stesso modo, nelParterre Sud, lo Specchio d’Acqua degli Svizzerisi deforma in lunghezza per compensare lo scor-cio prospettico generato dalla visione che si hadalle finestre della reggia e dalla terrazza sovra-stante l’Orangerie. A Sceaux sono ancora leestremità del Grand Canal ad essere deformateaffinché, per quanto di dimensioni differenti inpianta, siano tra loro più simili nella visione pro-spettica. A Saint-Cloud l’asse principale, quello che dalcastello tende verso la foresta, è governato dallaprospettiva che determina le dimensioni dei varielementi, ingrandendoli a mano a mano che que-sti si allontanano dall’edificio. A tal proposito èesemplificativo dell’intero processo progettualequanto accade alla piccola ed alla grande Gerbe,medesimo elemento riprodotto in due dimensionidifferenti, che torna ad essere identico nella vi-sione prospettica. A Meudon, per creare un effetto sorpresa, vienerealizzato un magnifico viale d’accesso contras-segnato da fontane e bacini, della lunghezza dicirca un chilometro, al termine del quale si apre

pre-costituita dall’artista. Di fronte al giardinol’uomo assume una posizione dominante nonsolo perché la natura è manipolata secondo il suovolere, ma anche perché è adattata alle esigenzedella visione e, come accade in un dipinto, tuttigli elementi si trovano ad occupare un posto spe-cifico stabilito dal progettista. Nell’opera di Le Nôtre risultano perciò accurata-mente stabiliti i punti di vista, che consentono levedute prestabilite in fase progettuale, e attenta-mente calcolati gli effetti della percezione sull’os-servatore. La matrice scientifica della sua opera èancora perfettamente leggibile nell’uso di formegeometriche semplici, che si deformano matema-ticamente, secondo le regole della prospettiva,creando anamorfosi acquatiche e vegetali che gio-cano con il paesaggio. Sono elementi standard, ri-petitivi, che si ritrovano pressoché immutati intutti i progetti, ma che hanno la capacità di esserescomposti e ricomposti infinite volte, producendoesiti sempre diversi nell’incontro con la realtà delsito. Anzi, Le Nôtre riesce a sfruttare tutte le po-tenzialità della morfologia dei luoghi in cui inter-viene, anche quando questa sembraparticolarmente sfavorevole, con il fine di ottenereeffetti scenografici grandiosi, tesi ad esaltare la di-mora padronale e, di conseguenza, il proprio com-mittente.

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Versailles. Il Parterre Sud con, in secodo piano, lo Specchio d’acqua degli Svizzeri.

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forte per cui non è possibile pensare ad un giar-dino di Le Nôtre separato dall’edificio per ilquale è stato realizzato. L’edificio diviene la cesura tra lo spazio pubblicoe quello privato, il filtro attraverso cui deve ne-cessariamente passare chi proviene dal mondoesterno, prima di accedere al mondo del padronedi casa, mondo costituito dall’inscindibile unionedi abitazione e giardino. La successione tripartitadi “area di ingresso-edificio-area del giardino”diviene costante nelle realizzazioni di Le Nôtre,al punto che Dézallier d’Argenville, nel suo trat-tato, la rende modello di riferimento per ogni suc-cessiva progettazione.A Sceaux il castello è situato all’incrocio di dueassi ortogonali: il primo, che si estende da est aovest – la cosiddetta Spianata delle Quattro Sta-tue – ha origine dalla facciata occidentale del ca-stello e costituisce il prolungamento, non soloideale, del viale d’accesso dalla strada principale;il secondo, orientato invece da nord a sud, è il giàcitato asse che, attraverso la scala d’acqua,giunge al bacino dell’Ottagono. Un impianto simile è presente anche a Marly-le-roi, dove l’edificio principale, il Padiglione delSole, si trova nell’intersezione tra l’asse nord-sud,che va dalla Grande Cascata all’Aubrevoir, equello est-ovest, dalla Grille Royale, sulla stradadi Versailles, fino al Gran Parco, attraverso ilBelvedere. Prototipo di tale organizzazione pla-nimetrica sembra essere proprio il castello di Ver-sailles, posto anch’esso all’incrocio tra l’assenord-sud e quello est-ovest, a sottolineare, in que-sto caso, la complessa simbologia legata al mitodi Apollo-Sole. Anche a Versailles, inoltre, l’asseprincipale del giardino è il prolungamento idealedel viale di accesso all’area, riproponendo, a suavolta, lo schema planimetrico sperimentato perVaux-le-Vicomte. Dalla facciata del castello ha origine, in genere,l’asse principale della composizione, l’asse cen-trale, sottolineato dalla successione di statue, fon-tane e bacini. Ad esempio, nelle Tuileriesl’edificio, che può essere ammirato nella sua in-terezza grazie alla presenza di una vasta spianatache lo circonda, si trova all’origine di un mae-stoso viale che, dal padiglione centrale, corre finoall’estremo opposto del parco.

una terrazza panoramica, di 450 metri per 136,che permette allo sguardo di spaziare su Parigi esulla Senna. Fu questa caratteristica, più di ognialtra, che colpì il re Luigi XIV quando, al princi-pio del 1685 vi si recò in visita. A Saint-Cloud, sito in cui la maggiore difficoltàprogettuale derivò da un terreno montuoso epieno di scarpate, l’idea vincente risultò quella direalizzare una terrazza panoramica su Parigi altermine di un asse parallelo al corso della Sennache, adattandosi alla morfologia, ascende versoil cielo in direzione nord-sud attraverso il Vialedella Balaustrata.Anche a Sceaux è la morfologia che detta le re-gole della composizione. Utilizzando le partico-larità di un territorio disagevole, caratterizzato daun rilievo molto accentuato e da un vasto stagnopaludoso – il lago Morto – al termine di una ri-pida pendenza sul lato sud, Le Nôtre riesce, conun radicale intervento, a trasformare il lago in ungrandioso bacino ottagonale e a sfruttare la ripidapendenza per ospitare una spettacolare scala d’ac-qua che diventa uno degli assi principali dellacomposizione. Ma non solo la morfologia è sfruttata da LeNôtre; anche l’idrografia è piegata alle proprieesigenze progettuali laddove può servire a creareeffetti scenografici. Corsi d’acqua naturali sonocosì regolarizzati in forme geometriche e trasfor-mati in canali e bacini inseriti all’interno di unapiù ampia composizione. A Vaux-le-Vicomte il Grand Canal è costituitodal fiume Anqueil che, sebbene opportunamenterettificato nei suoi argini, mantiene il proprio lettonella vallata che attraversa il parco. A Chantilly èinvece il ruscello Nonette ad essere stato deri-vato, piegato e trasformato in un canale costituitoda due bracci tra loro ortogonali, la cosiddettaManche, sui quali domina la mole del castello. A Versailles, in maniera analoga a Sceaux, lo sta-gno Puant, opportunamente trasformato, è diven-tato lo Specchio d’Acqua degli Svizzeri, il vastobacino per la cui realizzazione fu impiegato un in-tero reggimento di guardie, da cui derivò il nome.Fondamentale, poi, in termini compositivi, risul-tano essere l’ubicazione del castello ed il rapportoche questo assume con l’asse principale del giar-dino. Il legame tra architettura e giardino è molto

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arte, e Versailles, la reggia a cui tutta Europa haguardato nel disperato tentativo di emulazione.

La frattura con il passato:Vaux-le-Vicomte

Ecco come Jean de La Fontaine esprimeva, nel1659, la sua opinione17 sulla residenza di Vaux-le-Vicomte, realizzata dal suo protettore ed amicoNicolas Fouquet, sovrintendente alle Finanze diFrancia dal 1653, per incarico del cardinale Ma-zarino.

Il me fit voir en songe un palais magnifiqueDes grottes, des canaux, un superbe portiqueDes lieux que pour leurs beautésJ’aurai pu croire enchantésSi Vaux n’était point au monde;Ils étaient tels qu’au soleilNe s’offre au sortir de l’ondeRien que Vaux qui soit pareil16.

Ma sulle facciate del castello terminano anche in-numerevoli altri percorsi secondari che si svilup-pano nel parco, percorsi che possono esseresemplicemente visivi oppure essere costituiti daviali di dimensioni minori o ancora, come nelcaso di Saint-Cloud, da un ruscello punteggiatoda cascatelle, l’Allée des Goulottes.Il percorso principale, inoltrandosi nel giardino,viene intersecato, ad intervalli non regolari, daassi trasversali, anch’essi in forma di percorsi, dibacini e canali d’acqua o di collegamenti visualitramite improvvise aperture nella foresta o nellerecinzioni. È la costante volontà di eliminare qua-lunque senso di monotonia, perché il giardinonon è il luogo della noia, ma dello stupore e dellameraviglia. Esemplificativo, in tal senso, è ilsemplice intervento compiuto a Saint-Germain inseguito al crollo del muro di sostegno della vec-chia terrazza: in aperto contrasto con quanto pro-posto da Le Vau, Le Nôtre fece ricostruire il murocrollato mantenendo una frattura intermedia ecreando volutamente un elemento diversivo nellungo tracciato rettilineo. Ma eliminare la monotonia vuol dire anche invi-tare costantemente alla percorrenza, attraverso losvelarsi progressivo di innumerevoli sorprese ce-late da salti di quota e terrazzamenti disposti supiù livelli. Se il fine ultimo è la celebrazione dellapotenza del committente, ciò deve avvenire fa-cendo vivere al visitatore un’esperienza unica edindimenticabile una volta che questi è stato intro-dotto nel giardino. Il resto è solo fantasia espressanelle mille forme dei parterres e dei bosquets checompletano il progetto.L’ordine, la chiarezza degli elementi, la simmetriadelle parti, l’ampiezza dei luoghi e delle visuali,sono dunque gli ingredienti utilizzati da Le Nôtreper la creazione dei suoi giardini, ingredienti chene hanno determinato il successo immediato inFrancia ed in tutta Europa. Sembra pertanto utile soffermarsi ancora su alcuniaspetti della sua opera, per comprendere a fondol’effetto dirompente delle sue idee sull’evoluzionedell’architettura dei giardini. In particolare è inte-ressante rivolgere l’attenzione a due opere che,per motivi diversi, possono essere considerate car-dini nella sua attività: Vaux-le-Vicomte, in cui inpiccolo si ritrovano già tutti i principi della sua

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La planimetria di Vaux-le-Vicomte in un disegno attribuitoad André Le Nôtre.

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Recatosi dal Sommeil, personificazione delSonno, Acante, alter ego dello stesso La Fontaine,lo implora di poter vedere l’immagine di Vaux:immediatamente i sogni al suo servizio assumonole sembianze di colonne di marmo, capitelli, pie-distalli, statue e ovviamente di fiori ed alberi om-brosi, confondendo la realtà con la visione. Èovviamente un artificio poetico, che permette aLa Fontaine di descrivere un sito appena impian-tato come se fosse già nel suo aspetto finale.

Comme les jardins de Vaux étaient tout nouveau plan-tés, je ne le pouvais décrire en cet état, à moins que jen’en donnasse une idée peu agréable, et qui, au boutde vingt ans, aurait été sans doute peu ressemblante.Il fallait donc prévenir le temps. Cela ne se pouvaitfaire que par trois moyens: l’enchantement, la prophé-tie, et le songe. Les deux premiers ne me plaisaientpas; car pour les amener avec quelque grâce, je meserais engagé dans un dessein de trop d’étendue: l’ac-cessoire aurait été plus considérable que le principal.D’ailleurs il ne faut avoir recours au miracle quequand la nature est impuissante pour nous servir. Cen’est pas qu’un songe soit si suivi, ni même si longque le mien sera; mais il est permis de passer le coursordinaire dans ces rencontres; et j’avais pour me dé-fendre, outre le Roman de la Rose, Le Songe de Poli-phile, et celui même de Scipion.Je feins donc qu’en une nuit du printemps m’étant en-dormi, je m’imagine que je vais trouver le Sommeil,et le prie que par son moyen je puisse voir Vaux ensonge: il commande aussitôt à ses ministres de me lemontrer. Voilà le sujet du premier fragment. A peine les Songes ont commencé de me représenterVaux que tout ce qui s’offre à mes sens me sembleréel; j’oublie le dieu du sommeil, et les démons quil’entourent; j’oublie enfin que je songe19.

È interessante trarre, dal racconto di La Fontane,alcune considerazioni che, nel particolare, pos-sono rivelarsi utili nell’analisi del sito, mentre, acarattere più generale, possono aiutare a com-prendere dove risiede il valore intrinseco di Vaux-le-Vicomte e perché la sua realizzazione puòessere considerata termine di frattura con il pre-cedente metodo adottato nella progettazione deigiardini. Vaux è un luogo incantato, la cui realiz-zazione non può essere frutto dell’attività umana;l’opera dei tre artisti è andata oltre tutti glischemi, fornendo un prodotto fino ad allora sco-

L’immensa fortuna accumulata nel corso della suaattività, aveva permesso a Fouquet di intrapren-dere, a partire dal 1655, lavori di trasformazionedi un possedimento di scarsa rilevanza acquistatodal padre. Da principio Fouquet ampliò l’area insuo possesso acquistando i terreni limitrofi edespropriando i due villaggi vicini ed ottenne circa500 ettari di bosco, di valloni, di pascoli, dai qualivenne cancellata ogni costruzione esistente, com-preso il castello feudale, per permettere l’edifica-zione ex novo di una sontuosa residenza.Ad un gruppo di artisti, formatisi nell’atelier diSimon Vouet, fu affidato l’incarico dei lavori. Traloro spiccano i nomi di Louis Le Vau per l’archi-tettura, di Charles Le Brun per la decorazione pit-torica e di André Le Nôtre per la progettazionedel giardino. Tuttavia, come osserva Leonardo Benevolo, die-tro questa équipe si può ravvisare la presenza diNicolas Poussin che, da Roma, inviava i cartoniper le statue del parco. Ed è proprio la «manieramagnifica» di Poussin, sostiene Benevolo, a dive-nire, in Vaux, «una metodologia per coprire tuttele scale di lavoro, dall’allestimento paesistico allerifiniture, e per dividere il lavoro fra un gruppo dispecialisti numerosi e differenziati»18.La realizzazione di Vaux-le-Vicomte ha chiari in-tenti celebrativi ed encomiastici nei confronti delcommittente; la stessa opera di La Fontaine deri-vava da un incarico personale di Fouquet, e solol’arresto del sovrintendente nel 1661 ne provocòl’interruzione. La descrizione di Vaux avviene inuna dimensione onirica, l’unica consentita, se-condo il poeta, per poter dare un’immagine piùpiacevole del giardino che all’epoca era stato ap-pena impiantato.

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Vaux-le-Vicomte. Facciata principale.

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È vero che, a differenza di Vaux e di Versailles,Caserta è nata da un’unica mente ideatrice, ingrado di controllare e gestire le varie problema-tiche dell’architettura, dell’idraulica, dell’arte deigiardini, mantenendo contemporaneamente la vi-sione complessiva del risultato. Tuttavia a partiredal 1657 André Le Nôtre, ottenendo una delle trecariche di controllore generale della costruzioneed estendendo il proprio ruolo da quello di sem-plice realizzatore del giardino, divenne il princi-pale coordinatore delle attività e riuscì a garantirequell’armonia generale tra le varie parti del com-plesso – edificate e vegetali – che ne sono la ca-ratteristica più affascinante.Vaux-le-Vicomte è laprima grande opera di Le Nôtre, «la prima rea-lizzazione paesistica in grande scala – quasi unaprova generale del nuovo ciclo di esperienze»22,in cui può elaborare e sperimentare con successole teorie che determineranno la sua fama.

Tout ce qu’ont fait dans Vaux les Le Bruns, les Le Nôtre Jets, cascades, canaux, et plafonds si charmants, Tout cela tient de moi ses plus beaux ornements. Contempler les efforts de quelque main savante, Juger d’une peinture, ou muette, ou parlante, Admirer d’Apollon les pinceaux ou la voix, Errer dans un jardin, s’égarer dans un bois, Se coucher sur des fleurs, respirer leur haleine, Ecouter en rêvant le bruit d’une fontaine, Ou celui d’un ruisseau roulant sur des cailloux, Tout cela, je l’avoue, a des charmes bien doux23.

Il permanere, all’interno della planimetria, dellasuccessione giardino-canale-parco, proprio dellaprima metà del XVII secolo, non implica la ripe-tizione pedissequa degli schemi già utilizzatinella tradizione francese. In particolare viene su-

nosciuto. Perciò La Fontaine immagina che la co-struzione e l’abbellimento di Vaux-le-Vicomtesiano frutto di una gara tra le principali fate delregno, chiamate per dimostrare, ognuna attra-verso la sua arte, la propria superiorità. Ma al bando emanato da Oronte, pseudonimosotto cui si cela proprio Fouquet, hanno rispostosolo in quattro: Palatiane, rappresentante l’archi-tettura, Apéllanire, per la pittura, Hortésie, pre-posta all’arte dei giardini, e Calliopée, fata dellapoesia. La metafora è chiara: alle quattro fate cor-rispondono i quattro artisti, Le Vau, Le Brun, LeNôtre e lo stesso La Fontaine, che sembra quasiattribuirsi il ruolo principale celebrando la pro-pria attività attraverso l’ultima replica di Callio-pée, la Poesia, a Palatiane, l’Architettura

Sans moi tant d’œuvres fameux, Ignorés de nos neveux,Périraient sous la poussière. Au Parnasse seulement On emploie une matière Qui dure éternellement.

Si l’on conserve les noms, Ce doit être par mes sons, Et non point par vos machines: Un jour, un jour l’Univers Cherchera sous vos ruines Ceux qui vivront dans mes vers20.

Al termine della gara verbale, però, i giudici chia-mati ad esprimere la propria opinione, tra cui lostesso Oronte-Fouquet, non riescono a stabilire unavincitrice e richiedono un’ulteriore sfida sul campo.Purtroppo l’interruzione del Songe non permettedi conoscere gli ulteriori sviluppi del pensiero diLa Fontaine, ma il messaggio è comunque chiaro:il valore di Vaux risiede nel concorso di tutte learti e non nella predominanza di una di esse. Il giardino non nasce, perciò, a completamentodell’architettura, ma si sviluppa con essa inquanto necessario a trasmettere il medesimo mes-saggio presente nell’edificio e nella decorazionedegli interni. Tale valore, che in modo analogo siritrova in Versailles, è il medesimo che si riscon-tra nel progetto della Reggia di Caserta, pensatacome un organismo unitario in cui palazzo e giar-dino risultano in costante dialogo21.

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Vaux-le-Vicomte. Facciata sul giardino.

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perato il concetto della sequenza di elementi in-dipendenti, progettati ed accostati senza alcun le-game; Le Nôtre interagisce con il sito,organizzando l’impianto su di una serie di ter-razze e di parterres collegati percettivamente, ge-nerando una serie di legami ottici checon-fondono le varie parti della composizione. Osserva Gianni Venturi, a proposito del giardinofrancese, che questo «manipola il tempo sull’assesincronico, offrendo alla vista tutto (e subito)l’impianto e la struttura del giardino»24. In Vauxè vero che, all’affacciarsi dalla terrazza princi-pale, l’osservatore vede dispiegata un’immaginecompleta nelle sue parti, manifestazione deglielementi presenti nel giardino, tuttavia questa èun’illusione. L’osservatore viene convinto chequella sia la vera immagine, decisamente piace-vole ed affascinante, e non si rende conto delladivergenza e del contrasto con l’effettiva confor-mazione del terreno: la sostanza si scontra conl’apparenza ed il risultato è un impareggiabile ef-fetto sorpresa.Vaux-le Vicomte contiene in potenzialità la mag-gior parte dei temi che Le Nôtre svilupperà a par-tire dal 1661, quando sarà chiamato a Versailles:l’organizzazione dell’area in una prospettiva uni-taria e la presenza di terrazzamenti, parterres ebacini d’acqua, agevolata dai rilievi dolci ma nonuguali, in grado di rendere un effetto simmetrico,di equilibrio e di continuità tra le parti. Tuttavia lacomposizione non è simmetrica, nell’accezionecomunemente utilizzata di perfetta corrispon-denza tra gli elementi. Per Le Nôtre la simmetriaimplica un equilibrio tra gli episodi disposti at-torno all’asse centrale, ma non una loro identitàinflessibile: così ciò che si trova ad est può essere,come in questo caso, più esteso di quanto si trovaad ovest, permettendo di moltiplicare la varietasdei particolari senza abbandonare l’unità generale. L’origine della struttura del giardino si deve allapresenza naturale di un corso d’acqua, il Monce-aux o Anqueil, che, rettificato in una sezione delsuo percorso, è divenuto il Grand Canal lungocirca 800 metri. L’area occupata è una vasta ra-dura aperta in un territorio boscoso, compren-dente i due versanti della valle attraversata dalpiccolo ruscello. È un grande rettangolo di di-mensioni ragguardevoli, circa 1.500 metri di lun-

ghezza e di larghezza in media sei volte minore,suddiviso in tre parti: la strada di accesso alla pro-prietà delimita a nord la prima, il Grand Canalsepara a sud la seconda dalla terza. Queste tre parti, pur disuguali, acquistano impor-tanza dal loro rapporto reciproco: lo spazio delgiardino propriamente detto è situato nella zonamediana, segue allo spazio di ingresso e precedeil parco superiore. Il castello si presenta come unapiccola isola circondata da alberi d’alto fusto. Nonostante si trovi collocato ad una estremità dellotto rettangolare, ha la proprietà di dominarel’insieme, pur mutando nei suoi elementi perce-pibili a seconda del punto da cui lo si osserva: èla stasi separatrice tra le prime due zone del giar-dino; è il punto di partenza dell’asse prospetticoreso materiale dal largo viale orientato in dire-zione nord-sud, che tende verso l’ampia foresta ailimiti della proprietà; è a sua volta punto di fugadella prospettiva che si genera in chi, percorso ilviale, ruota su se stesso per tornare indietro. «Ilcastello (…) perde da maggior distanza la suaevidenza volumetrica, e si trasforma in una mac-chia più fortemente cromatizzata: la semisferadella cupola diventa un punto di luce»25. È infineil simbolo stesso del potere del padrone di casareso materiale: la cupola si gonfia nell’aria cattu-rando la luce e divenendo elemento accentratoredello sguardo, regnante su tutto lo spazio circo-stante. Dal castello il potere si estende all’intorno attra-verso la piacevole illusione di abbracciare l’in-sieme in un solo colpo d’occhio. Sembra, infatti,all’osservatore che l’estremità del giardino visi-bile dalla terrazza principale, segnata dalle Grottea partire dalle quali il terreno risale verso l’oriz-zonte, sia a qualche minuto di cammino. È un in-vito alla percorrenza, senza la quale non sarebbepossibile scoprire la realtà: più ci si addentra nelpercorso più le Grotte si allontanano, indietreg-giano, lasciando lentamente percepire la presenzadel Grand Canal trasversale nascosto ad un li-vello inferiore. La presenza delle Grotte e la loro “magica” illu-sione sono forse gli elementi più affascinantidella composizione; l’eco della loro fama si av-verte nell’opera di La Fontaine, in un breve rac-conto-divertissement, le Avventure di un salmone

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e di uno storione. I due pesci sono ben felici diessere stati catturati e vivere nel canale che bagnale grotte di Vaux, di cui, quando ancora si trova-vano presso la corte del re del mare, avevanoascoltano la descrizione fatta da alcuni naufraghi

Monarque de l’eau saléeDans une région de ces flots reculéeEst un lieu nommé Vaux, gloire de l’UniversSon nom vole déjà dans cent climats divers:Oronte y fait bâtir un palais magnifique,Où règne l’ordre ioniqueAvec beaucoup d’agrémentOn a placé justementVis-à-vis du bâtimentDeux grottes, dont la structureEst de telle architectureQu’elle plait sans ornement26.

Il percorso verso le Grotte, già preannunciato sulfronte principale dal ponte che conduce all’in-gresso dell’edificio, è una successione di terrazzee specchi d’acqua, in cui gli elementi di distra-zione, in grado di de-vertere dalla monotoniadella passeggiata, sono tutti collocati secondoassi perpendicolari al cammino. In primo luogo dal castello si scende una largascalinata e si fiancheggiano due grandi aiuole or-namentali, due parterres del tipo a “tappetoorientaleggiante”, in cui disegni in arabesco dibosso sagomato sono colorati con sabbia, mat-tone pestato e carbone. Ad est e a ovest, due zone,simmetriche per posizione ma non per costitu-zione, formano un primo elemento trasversale, disosta e di novità. In seguito due file ornamentali di bosso portanoad un asse trasversale, primo indizio della pre-senza del Grand Canal, costituito da due bacinid’acqua rettangolari disposti attorno ad una largavasca circolare. Ad est e ad ovest ancora due zonedistraggono dall’asse principale: la visuale siestende oltre l’immediato perimetro e, a partiredai due bacini rettangolari, termina rispettiva-mente nelle zone dei Cancelli d’Acqua e dei Can-celli dell’Orto. La passeggiata non è giunta ancora al termine. Siprosegue, tra due tappeti erbosi con vasche deco-rate da Tritoni, fino ad incontrare un grande spec-chio d’acqua, una peschiera apparentemente

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Vaux-le-Vicomte. Il percorso verso le Grotte e l’imma-gine finale che si ha volgendosi indietro.

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nella vallata del Monceaux-Anqueil: è l’ingressoin un nuovo mondo, l’unico luogo in cui non èpossibile avvertire la presenza dominante del ca-stello. Sulla pendenza a nord si trovano fontanedecorate da elementi naturali, le Piccole Cascate;dal lato opposto del canale, le sette grotte fian-cheggiate dalle statue di due divinità fluviali,l’Anqueil e il Tevere. Da questa vasta zona rettangolare «il luccichiodell’acqua illuminata dal sole radente (…) guidal’occhio in un percorso di inconsueta lun-ghezza»27; natura e artificio si incontrano e si fon-dono nella prospettiva ortogonale all’asseprincipale28. L’incantesimo dura solo qualche at-timo. Oltre il vasto bacino d’acqua, il terreno e lavista già risalgono rapidamente al di sopra dellegrotte e un ultimo tappeto erboso, un boulingrinfortemente in pendenza, conclude la prospettivainiziale nel suo punto di fuga, la statua di Ercole.Si è a circa un chilometro dalla facciata del ca-stello. Illusi dalla facilità del percorso e mai an-noiati dalla presenza di elementi eterogenei, ci siè inoltrati per una distanza tale che, se conosciutain anticipo, forse non si sarebbe percorsa. Un’ulteriore sorpresa premia i più temerari: ri-volgendosi verso il punto di partenza si scopreche il castello si è raddoppiato, perfettamente ri-flesso dalla peschiera ed in essa contenuto comein una cornice. Le Nôtre è riuscito a collegare visivamente zonein realtà molto distanti e differenti fra loro, costi-tuendo un tutt’uno armonico e armonioso. La conoscenza delle leggi della prospettiva el’uso dell’anamorfosi, la progressiva deforma-zione delle dimensioni di parterres e bacini, per

alimentata dall’acqua sgorgante dalle sette grottesituate in secondo piano, le stesse che costitui-scono la meta, apparentemente irraggiungibile,del percorso. Avvicinandosi, la prospettiva svela i suoi trucchi:le sette grotte non hanno niente in comune con lapeschiera, ma si scoprono essere al di là dellavalle del Grand Canal, la cui presenza, fino aquesto momento non avvertita, costituisce la verasorpresa della composizione. È sicuramente questo il principale merito di LeNôtre: l’aver cambiato, in modo radicale e defi-nitivo, le regole della composizione dei giardini.L’impianto di Vaux è infatti originato da un ele-mento, il canale d’acqua, che rimane nascostofino all’ultimo istante; il giardino barocco ha ne-cessità di essere percorso e vissuto.La rigida assialità che aveva guidato il camminoviene abbandonata a causa della peschiera, checostringe a girarle intorno facendo scoprire lapresenza di due nuove scalinate che conducono

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Vaux-le-Vicomte. Il lato orientale dell’Anqueil.

Vaux-le-Vicomte. Il fiume Anqueil.

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La Reggia di Versailles e la sua simbologia

Versailles rappresenta l’espressione più solennee spettacolare dei giardini alla francese, esalta-zione della figura del sovrano committente in cuiil dominio totale sulla natura, trasformata e pie-gata alle esigenze del progetto, diviene metaforadel dominio sui sudditi ovvero su tutta la Francia.Allo stesso modo lo splendore della corte di LuigiXIV è manifestato dalla vastità dell’area, circa6.000 ettari, e dalla varietà delle soluzioni adot-tate, governate dall’iconografia del mito diApollo, dio del sole ed emblema del Re.

On choisit pour corps le soleil, qui, dans les règles decet art, est le plus noble de tous, et qui, par la qualitéd’unique, par l’éclat qui l’environne, par la lumièrequ’il communique aux autres astres qui lui composentcomme une espèce de cour, par le partage égal et justequ’il fait de cette même lumière à tous les divers cli-mats du monde, par le bien qu’il fait en tous lieux,

compensare lo scorcio che si crea naturalmenteman mano che questi si allontanano dal punto divista, hanno permesso al progettista di estenderealla scala territoriale quello che fino ad allora erastato preannunciato e sperimentato in manieraempirica solo riguardo al singolo parterre. Sebbene le parti siano legate al punto di vistadella prospettiva, il giardino non è un quadro daammirare staticamente; l’invito al percorso è co-stante, grazie alla sapiente disposizione delle ter-razze che nascondono, rivelano, incuriosiscono,producono emozione nel visitatore chiamato adinteragire con l’ambiente circostante. Senza lapresenza dell’osservatore il giardino di Le Nôtreperderebbe il proprio significato. Come già accennato, l’esperienza di Vaux-le-Vicomte si concluse nel 1661, in seguito all’ar-resto di Fouquet e alla sua condanna a morte. Il potere del sovrintendente, manifestato dallosfarzo della sfolgorante festa del 17 agosto, eraparso eccessivo al sovrano, a cui non era sfuggitoil significato sotteso all’opera. Tuttavia i tre artisti, Le Nôtre, Le Vau e Le Brun,furono particolarmente apprezzati dallo stesso ReSole, che li incaricò di ripetere l’esperienza col-laborativa, al fine di esaltare la sua figura attra-verso la propria opera. Le Nôtre poté cosìproseguire nello sviluppo delle proprie idee, ap-plicandole nelle numerose residenze di cui ot-tenne l’incarico. Il primo di questi interventi fu proprio la reggia diVersailles; ma per quanto i giardini, realizzati peril Sovrano, siano necessariamente più grandi e ric-chi di particolari, difficilmente riescono a raggiun-gere l’armonia e la chiarezza riscontrabili in Vaux.

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Vaux-le-Vicomte. Il lato occidentale dell’Anqueil.

Vaux-le-Vicomte. Il fiume Tevere.

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che dal luogo fu bandita ogni presenza femmi-nile. Quasi contemporaneamente, tra il 1631 e il1636, Jacques Menours tracciò il primo parco. Il primo contatto tra Luigi XIV e Versailles av-venne nel 1651, ancora per una battuta di caccia.Negli anni seguenti, tuttavia, ispirato dall’esem-pio delle dimore realizzate a Rueil e a Vaux-le-Vicomte, rispettivamente per Richelieu e perFouquet, il re cominciò a considerare l’idea diuna residenza che fosse manifestazione tangibiledella sua potenza. L’incarico fu perciò affidatonel 1661 agli stessi artisti che avevano realizzatoVaux-le-Vicomte: Le Vau, sostituito alla suamorte da Mansart, Le Brun e Le Nôtre. L’edificazione del castello fu estremamente lunga.Trascorsero oltre 40 anni per terminare la maggiorparte delle costruzioni e fino a 60 per concludereanche la cappella reale; ma senza attendere il tra-sferimento ufficiale della corte, avvenuto solo nel1682, una serie di feste, ambientate nei giardini,inaugurarono progressivamente le varie parti de-stando meraviglia nella nobiltà riunita: nel 1664 iPiaceri dell’Isola Incantata inaugurarono alcuni

produisant sans cesse de tous côtés la vie, la joie etl’action, par son mouvement sans relâche où il paraîtnéanmoins toujours tranquille, par cette courseconstante et invariable dont il ne s’écarte jamais, estassurément la plus vive et la plus belle image d’unmonarque29.

Il sito di Versailles vedeva, già dall’XI secolo, lapresenza di un piccolo castello, progressivamentecaduto in rovina e all’epoca di Luigi XIII pocopiù di un rudere inserito all’interno di un’areaparticolarmente selvaggia; ma proprio questa par-ticolare atmosfera era molto apprezzata dal re,che amava trascorrere il suo tempo in lunghe bat-tute di caccia, assieme ai nobili della corte, e dor-mire disteso su un letto di paglia nella vecchiadimora. Nel 1623 Luigi XIII decise di far co-struire un nuovo padiglione di caccia, un edificioin mattoni e pietra dal tetto di ardesia, parzial-mente ancora visibile sul fondo dell’attuale Cor-tile di Marmo. L’edificio di Philibert Le Roy, nonancora una vera reggia, conservò per moltotempo un carattere tipicamente venatorio, tanto

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

Pierre Patel, Vista del castello e dei giardini di Versailles, 1668.

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trattatisti dell’epoca, che sembra riproporre gliesempi di Villa d’Este a Tivoli o dell’antica MetaSudans di Roma. All’altra estremità del percorso il Bacino delDrago riconduce ai tanti tesori nascosti nellaterra, di cui il drago è custode, primo fra tutti pro-prio l’acqua tanto necessaria a Versailles; ma ri-corda anche l’uccisione del serpente Delfine daparte di Apollo, metafora estremamente chiaradella sicura punizione dei nemici del re. La corte marina al completo conclude il Parterre.Il Bacino di Nettuno, con Nettuno e Anfitrite,coppia regnante, accompagnata dalle figure diOceano e Proteo, le più antiche divinità del mare,è la rappresentazione della sovranità universale,del potere reale esteso iperbolicamente su un ter-ritorio grande quanto l’oceano. E il gruppo scul-toreo della Fama del Re, poco distante, sembrasottolineare il messaggio con la celebrazionedell’immagine di Luigi XIV.Si contrappone, all’altra estremità, il mondodiurno del Parterre Sud, il luogo più illuminato –e più riscaldato – dal sole, esaltazione della terrache, sapientemente coltivata, offre agli uomini isuoi principali doni: rigogliosi fiori e frutti sapo-riti. L’area non presenta pendii naturali, ma treterrazzamenti in successione, ognuno dal carat-tere ben definito. Il primo è un parterre de brode-ries in cui i molteplici fiori e due semplici vaschecircolari sono l’unica decorazione che si mostraalle finestre dell’appartamento della Regina. Immediatamente al di sotto l’Orangerie proponeuno degli elementi fondamentali nei giardini delXVII secolo, sinonimo stesso di lusso e di fasto,soprattutto in Francia dove, a causa del clima, eraparticolarmente laboriosa la coltivazione degli al-beri di agrumi32. Infine, al terzo livello, si estendelo Specchio d’Acqua degli Svizzeri. La creazionedi questo bacino ha consentito di svolgere unaduplice funzione, drenare il terreno paludoso diquesta zona del parco, occupata in precedenzadallo stagno Puant, e fornire all’Orangerie un im-portante elemento termoregolatore. Le dimensioni dello Specchio d’Acqua, la cuiforma particolarmente allungata è soggetta alleregole dell’anamorfosi che ha il suo punto di vistasituato nella prima terrazza del Parterre, due li-velli più in alto, sono infatti tali da farlo somi-

boschetti del parco; poi il Gran Divertimento delRe, del 1668, e ancora un Gran Divertimento, nel1674, sono tra gli eventi più famosi.Nonostante la vastità dell’area, mente ordinatricedell’impianto generale si può considerare il soloAndré Le Nôtre, cosicché il disegno risulta estre-mamente armonico e unitario. Il castello costitui-sce il centro simbolico che divide l’area dellacittà, governata dal tridente di viali, da quella delparco, il cui impianto è essenzialmente costituitoda due grandi assi. Il principale, da est a ovest, èil cosiddetto asse del sole; un secondo asse, orto-gonale, formato dalla congiungente i ParterresNord e Sud, risulta tangente alla facciata dell’edi-ficio. Attorno ad entrambi, parterres, boschetti,sculture e numerosi motivi d’acqua si dispieganosenza soluzione di continuità.Il parco sembra assumere quindi una conforma-zione tripartita, sebbene resa unitaria dalla simbo-logia solare che permea l’intero complesso.Il Parterre Nord, attribuibile sicuramente a LeNôtre per quanto attiene l’impianto sul pendionaturale, la prospettiva che governa le parti e lasuccessione dei bacini, è il regno dell’acqua,espressa in ogni sua manifestazione sia dalle fon-tane, sia dalla ricca decorazione interamente de-dicata a divinità fluviali e marine30. È il mondodel silenzio, della notte, di Teti, la regina del mareche al tramonto ospita nella sua grotta il riposodel Sole. Un boschetto poco distante, nell’area at-tualmente occupata dalla cappella reale, rappre-sentava il mito in una grotta artificiale a tre arcateche «disponeva all’interno di un’abbondante de-corazione a rocailles, di un organo idraulico, discherzi d’acqua, ed era ornata da importanti scul-ture tra le quali figurava Apollo servito dalleNinfe del Girardon»31.Situato, da progetto, sotto le finestre dell’appar-tamento del re, prima che questo fosse trasferitoaccanto alla Corte di Marmo, il parterre è suddi-viso in due rettangoli di uguali dimensioni, duetappeti erbosi cinti da bosso sagomato a delimi-tare le aiuole fiorite, con due vasche decorate dafigure di sirene, tritoni, delfini e gamberi. Al cen-tro, il cosiddetto Viale dell’Acqua, asse principaledella composizione, scende lungo il pendio a par-tire da una fontana “a piramide”, realizzata da Gi-rardon secondo una tipologia descritta dai

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L’asse del sole, regno di Apollo e della luce,nasce dal Parterre d’Eau, o più precisamente dal-l’appartamento del re posto immediatamente allesue spalle, e si prolunga verso l’orizzonte senzache sia possibile scorgerne il termine ultimo.L’acqua è di nuovo il costituente principale diquesto parterre, presente nel duplice aspetto dielemento liquido, contenuto all’interno di duegrandi vasche, e nell’allegoria delle statue bron-zee dei fiumi di Francia e dei loro affluenti, mor-bidamente adagiate lungo il perimetro dimarmo34. La loro presenza è metafora di tutto ilRegno di Francia, la cui caratteristica principaleè data proprio dall’abbondanza, per quantità eportata, dei corsi d’acqua35. Le statue divengono allora testimonianza dellaricchezza del regno di Luigi XIV, dovuta sia al-l’estensione geografica, sia alle risorse idriche,sia all’abbondanza di altre risorse a cui le nume-rose figure di putti sembrano alludere.A partire dalla terrazza del Parterre d’Eau, losguardo raggiunge l’orizzonte e, a mano a manoche si allontana, indugia sugli altri parterres,scende nei boschetti, segue il Grand Canal tra icespugli del parco, risalendo dolcemente verso lacampagna e il cielo. Il percorso assiale si estendedall’ambiente architettonico a quello naturale at-traverso una natura addomesticata in forme geo-metriche, il cui limite estremo è impossibile dapercepire. «Tutto è ampio, lineare, semplice, for-male, forte e spazioso, un pattern che parla di po-tere: potere sulla natura e sugli uomini. [LeNôtre] utilizza forme geometriche finite per por-tarci sull’orlo dell’infinito»36. L’asse del sole è disseminato di elementi ricondu-cibili al mito di Apollo; innanzi tutto, appena su-perato il primo dislivello, il Bacino di Latonaparla dell’infanzia del dio. È questa una storiatratta dalle Metamorfosi di Ovidio37. Latona, lamadre dei divini gemelli Apollo e Diana, assetatachiede da bere ad alcuni contadini della Licia;schernita da questi, che le impediscono di bereacqua limpida, sporcandola con il fango sollevatodai loro piedi, la dea invoca una punizione, chie-dendo che siano trasformati negli animali a cui leloro azioni li hanno resi simili: le rane ed i rospiche vivono negli stagni. La metamorfosi avvienesotto i nostri occhi, in un tripudio di zampilli e

gliare ad un piccolo lago in grado di interagirecon il microclima del sito.La Reggia si colloca esattamente al centro delladicotomia di opposti Parterre Nord-Parterre Sud,notte-giorno, oceano (percorso del sole dal tra-monto all’alba)-terra (percorso del sole dall’albaal tramonto), secondo la concezione più classicadel mito33. Dalla Reggia ha quindi origine l’assecentrale del Parco, percorso privilegiato dall’ine-vitabile orientamento in direzione est-ovest.

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Versailles, alcune delle statue del Parterre d’Eau. Dall’alto: il Rodano, la Senna, la Dordogna.

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bra dirigersi, assume allora la funzione di terminedel percorso, riacquisendo la simbologia del mareche accoglie il sole al tramonto, di ingresso allavicina Grotta di Teti, in una ciclicità che ognigiorno si rinnova.Lontano dal viale centrale si entra nel mondodella fantasia più sfrenata, dell’incanto, della me-raviglia: sono le parti boscose, i bosquets, lestanze verdi in ognuna delle quali il visitatorevive un’esperienza unica e particolare.

getti d’acqua che, in parte fuoriuscendo dalle goleaperte delle rane-contadini, materializzano legrida e accentuano l’illusione del momento. Ilcoinvolgimento nella scena è totale: una parte delgiardino, trasformata nella regione della Licia,circonda il visitatore che, stupefatto e timoroso, simuove tra la vasca principale, origine del prodi-gio, ed i bacini laterali, in cui coppie di contadinisi stanno ancora trasformando negli animali ac-quatici.Evidente l’importanza che questa fontana assumenel messaggio propagandistico del sovrano: guaia chi offende Apollo, anche se attraverso suamadre, con chiaro riferimento agli eventi dellaFronda del 164838.Di seguito, l’Allée Royale conduce al Bacino diApollo, luogo dalla medesima partecipazioneemotiva: il dio del sole è infatti rappresentato nelmomento più emblematico, il sorgere dalle acqueper iniziare la corsa nel cielo, simbolo dell’alba diun regno promettente. L’acqua è di nuovo crea-trice di illusioni: il movimento del carro, a causadei getti che si sollevano a partire dalle ruote e sidiramano in varie direzioni; il suono delle con-chiglie in cui i Tritoni soffiano per annunciare ilpassaggio dell’astro nascente. Sembra così che ilcarro del sole sorga realmente dall’acqua dopoaver già percorso un lungo tratto prima di innal-zarsi in cielo: i 1.650 metri del Grand Canal che,alle sue spalle, prolunga l’assialità verso l’oriz-zonte. Come già nella tradizione islamica, il per-corso d’acqua è la strada della divinità, nonpercorribile dal piede umano, il Bacino di Apollodiviene il luogo di incontro tra i due percorsi,quello terreno, del visitatore che proviene dallareggia, e quello celeste del carro solare. Di fronteal Bacino non resta altro che tributare, ammirati,il giusto omaggio al dio e al sovrano, e, impossi-bilitati nel proseguire sulla stessa strada, rivol-gersi verso altri luoghi. Singolare è, però, che l’orientamento del gruppostatuario sia contrario alle leggi della natura e cheil carro del sole nascente, avanzando verso l’os-servatore, proceda in direzione ovest-est: il potereassoluto di Luigi XIV è stato in grado di piegareanche il corso del sole al suo volere, affinché si ri-volgesse, nel suo cammino, verso la facciata dellaReggia. Il Parterre d’Eau, verso cui il carro sem-

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Versailles, alcune delle statue del Parterre d’Eau. Dall’alto: la Loira, la Saone, la Garonna.

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cedente e proiettarsi in quella immediatamentesuccessiva: da Flora, la Primavera, all’Estate diCerere; da Bacco, l’Autunno, all’Inverno, a Sa-turno simbolo del tempo che incessantemente tra-scorre divorando i giorni e rigenerando il nuovoanno.I quattro bacini, sebbene distanti tra loro, rappre-sentano un elemento di serialità nel variegatomondo dei boschetti, essendo simili sia per forma– circolare per Flora e Saturno, quadrata per Ce-rere e Bacco – sia per materiale – il bronzo – siaper composizione. In ogni gruppo scultoreo, col-locato su un’isoletta al centro della vasca, alnume tutelare si affiancano figure di amorini –trasformate in piccoli satiri attorno a Bacco – chegiocano con gli elementi propri della stagione:fiori, spighe di grano, grappoli d’uva e, in ma-niera anomala per l’inverno, conchiglie marine.Il risultato è di garantire quattro punti fissi, ne-cessari a mantenere l’orientamento nel variegatopercorso dentro e fuori i bosquets.Dalle fontane delle stagioni, viali più piccoli esenza più alcun riferimento con la maglia ortogo-nale penetrano all’interno dei boschetti veri e pro-pri. Volontà del Re e di Le Nôtre era di creare unavera e propria architettura vegetale, dalle mas-sicce pareti geometriche alte fino a 15 metri, asimboleggiare l’evidente opposizione tra il rigoreesterno e la fantasia interna.Inattese, le sale contenute nei boschetti, oggicome allora, sorprendono il visitatore con giochid’acqua, decorazioni in pietra, statue, pergole oelementi architettonici, ciascuno secondo un temaprestabilito. Per il loro carattere ludico, i bo-

Lo schema ordinatore prevede una maglia rego-lare di viali, di cui i più considerevoli per dimen-sioni si intersecano ad angolo retto; in tali puntile fontane delle quattro stagioni, rappresentateognuna dal proprio nume tutelare, ricordano cheil dio del sole non governa solo il corso delgiorno, ma anche il variare dell’anno. Il ciclo sta-gionale è reso evidente dai collegamenti prospet-tici che si generano tra le quattro fontane e chepermettono, da ciascuna, di scorgere quella pre-

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Versailles, Bacino di Latona. In alto la dea con i figli, in basso alcuni contadini trasformati in rane per intervento divino.

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schetti rappresentano il mondo dell’effimero, ilpiù soggetto perciò ai cambiamenti secondo il va-riare del gusto e della moda. Dei boschetti progettati da Le Nôtre rimane benpoco ed una idea della loro immagine si puòavere, ad esempio, dai dipinti di Jean Cotelle. LaSala da Ballo, o boschetto delle Rocailles, chedeve il suo nome alla ricca decorazione di pietree conchiglie marine provenienti dal Madagascar,è forse l’unico che ha mantenuto le caratteristichevolute dal suo creatore e che ci illumina sulle sueintenzioni progettuali: una giusta combinazionedi elementi naturali ed artificiali. Significativa, atal proposito, risulta la risposta di Le Nôtre al reche lo invitava ad esprimere il proprio pareresulla Colonnata39, realizzata negli stessi anni dalsuo collega e rivale Jules-Hardouin Mansart:«Sire, avete fatto di un muratore un giardiniere

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Versailles. La corsa di Apollo sul carro del sole.

Versailles. Il Bacino di Apollo.

ed egli ha creato un’opera degna della sua veraprofessione»40.Entusiasta del lavoro di Le Nôtre, Luigi XIVscrisse, a partire dal 1690, un trattato che fun-gesse da guida per il visitatore41: la Manière demontrer les jardins de Versailles42. Il desiderio delRe era che si potesse visitare il parco in ogni suaparte, senza perdersi nel dedalo di viali e bo-schetti, prestando attenzione al significato sim-bolico assunto dal percorso, dalle fontane e dallestatue. Il giardino era una delle espressioni dell’imma-gine del re, non solo una sua proprietà: chi megliodel Sovrano in persona avrebbe potuto, quindi,assolvere il compito di descrivere, in modo chiaroe completo, il giusto itinerario da seguire? Passo dopo passo l’ipotetico visitatore è condottolungo un percorso attentamente studiato, giusto

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compendio alla creazione di Le Nôtre ed ele-mento di propaganda politica. Laddove il simbolosotteso, di cui il giardino è permeato, fosse risul-tato troppo oscuro, l’attenta descrizione di mo-menti di stasi e percorrenza avrebbe rivelato glielementi principali su cui riflettere, ammonendo,implicitamente, gli avversari. A partire dal castello la prima sosta raccomandataè sulla terrazza principale, «pour considérer la si-tuation des parterres des pièces d’eau et les fon-taines des Cabinets». Fin dall’inizio, dunque,l’attenzione è rivolta al quadro d’insieme; comegià osservato, in tutta l’opera di Le Nôtre assumeparticolare importanza la qualità percettiva del-l’immagine, l’effetto stabilito dalle regole dellaprospettiva. Diverse volte, quindi, nella descri-zione, sono segnalati i «points de veüe», i puntida cui è possibile godere di particolari, studiate,visuali. Il cammino è indirizzato subito versol’asse principale e la sua spiccata simbologia so-lare: Latona circondata dalle rane, le statue43 col-locate sulle rampe di scale, l’allée royale, ilBacino di Apollo con il canale sullo sfondo. Inseguito, girando su se stessi, appaiono di nuovo ilparterre ed il castello. È la prima immagine che il re vuole offrire al suopopolo, ma soprattutto alla nutrita folla di visita-tori, nobili e ambasciatori, provenienti dai varipaesi stranieri. Versailles vuole essere specchiodella Francia, e la Francia di Luigi XIV è, neisuoi parterres, tutta rappresentata, a cominciareproprio dalla terrazza del castello, da quel Par-terre d’Eau allusivo delle innumerevoli ricchezzedel territorio.La visita vera e propria comincia dal ParterreSud e dall’Orangerie, per poi introdursi nei variboschetti e avvicinarsi, seguendo un percorso la-terale, al Bacino di Apollo, il fulcro di tutta lacomposizione. Si entra e si esce in continuazionedai boschetti, per poterne ammirare la varietà ele peculiarità, ritornando di tanto in tanto sul-l’asse centrale ad osservare le variazioni dovuteal cambiamento del punto di vista. Giunti al Ba-cino di Apollo si ha la facoltà di dirigersi verso ilTrianon, situato ad una delle estremità del GrandCanal, o scegliere di rimandare tale visita, risa-lendo, attraverso i boschetti del lato nord, verso ilcastello. In questo caso il percorso non si diffe-

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Versailles. I Bacini delle Quattro Stagioni. Dall’alto: Primavera-Flora, Estate-Cerere, Autunno-Bacco,Inverno-Saturno.

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una favilla di tale splendore, agevolata, in questo,dalla codifica, effettuata da numerosi trattatisull’argomento, delle innovative soluzioni com-positive. Versailles divenne, dunque, un modello esporta-bile ovunque – almeno all’apparenza – sebbene lasemplice riproduzione di un repertorio formalecodificato non abbia sempre permesso di ottenereesiti comparabili all’armonia tra idea e immaginepresente nella Reggia francese. Non era, infatti, possibile raggiungere un risultatosimile a quello di Le Nôtre accostando semplice-mente tra loro una serie di elementi, per quantociascuno fosse valido nella sua compiutezza.Anche se i numerosi giardini presenti in tutta Eu-ropa testimoniano risultati esteticamente piace-voli, soltanto comprendendo a fondo il modello –e andando oltre i limiti che questo necessaria-mente imponeva – era possibile realizzareun’opera di pari valore.Le Nôtre aveva superato il problema dettatodall’accostamento di aiuole e parterres col rivisi-tare la tradizione propria del suo tempo; in modoanalogo, occorreva che anche la “nuova” tradi-zione fosse smontata e ricomposta in forme cheassumessero nuovi significati. Ma, perché ciò fosse possibile, era necessario tor-nare a comprendere che il giardino formale nonera nato in Francia nel Seicento.

Influenze dei giardini italiani

Pur essendo espressione del giardino francesenella sua forma più matura, in realtà il Parco diVersailles si pone al termine di un lungo percorsoche vede la sua origine nel rinascimento italianoe, più precisamente, nella realizzazione del giar-dino del Belvedere da parte di Bramante. È, in-fatti, questo il termine ante quem non è possibileparlare di giardino formale in contrapposizionealla concezione spaziale del giardino – hortus,chiostro – medioevale o in alternativa al giardinopaesistico inglese.Racchiuso tra le sue mura – prototipo della chiu-sura propria dei giardini italiani del Cinquecento– il Belvedere si configura come unità autonomain cui sostare come in un luogo ideale, in cui eser-

renzia, nelle modalità, da quello descritto per illato sud; colpisce, tuttavia, la poca attenzione de-dicata alla statua di Encelado, protagonista delboschetto omonimo: «On passera par Lancel-lade, où l’on ne fera qu’un demy-tour, et aprèsl’avoir considéré, on en sortira par en bas». Encelado, il capo dei Giganti che si ribellò controZeus e, per attaccare l’Olimpo, sovrappose piùmontagne, è il monito scolpito del pericolo checorrono gli imprudenti ad affrontare il poterereale: folgorato dal re degli dei, il gigante caddesepolto sotto le rocce ed il suo grido di rabbia e didolore viene tuttora materializzato dal potentezampillo che fuoriesce dalla sua bocca. Probabil-mente l’allusione doveva essere, anche per LuigiXIV, così eloquente da consigliare al visitatoresoltanto un fugace colpo d’occhio.Al termine della descrizione viene consideratal’ipotesi di visita alla Ménagerie ed al Trianon

Quand on voudra voir le mesme jour la Ménagerie etTrianon, après avoir fait la pause auprès d’Apollon,on ira s’embarquer pour aller à la Ménagerie. (…)Après on se rembarquera pour aller à Trianon44.

Viene così evidenziata un’ulteriore valenza delGrand Canal: la possibilità di fruizione come viadi comunicazione tra le parti più distanti delparco. Le chaloupes, le barche dal comodo padi-glione centrale, riccamente decorato da damaschie tappeti, erano le imbarcazioni più agevoli eadatte a tale scopo, per il re ed il suo seguito; mauna flotta eterogenea di vascelli45 solcava il per-corso navigabile. Si trattava della riproduzione,a scala ridotta, dei modelli di spicco della flottafrancese, di cui la Galera Reale, dai colori borbo-nici, blu e oro, lunga circa 20 metri e condotta da42 rematori, era l’elemento più rappresentativo. A conclusione del programma propagandistico,l’esibizione della flotta serviva, dunque, da mani-festazione della potenza marittima, commercialee militare, raggiunta dalla Francia. Prima ancora di essere una residenza, Versaillesera, insomma, un efficace strumento politico alservizio di Luigi XIV, il suo manifesto personale,legato, nell’immaginario collettivo, allo splen-dore ed alla spettacolarità del giardino. Ben presto ogni corte europea volle riprodurre

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il percorso ascensionale assiale fin qui descritto.Tuttavia analogo percorso è possibile ravvisarein un’altra villa coeva, che dell’abbondanzadell’acqua ha sempre fatto un segno distintivo. Si tratta della residenza voluta dal cardinale Ippo-lito d’Este costruita a Tivoli a partire dal 1550 eche, dal 1560 vede delineare in maniera presso-ché definitiva il proprio programma iconografico. Ideatore del progetto è Pirro Ligorio, artefice, tral’altro, del completamento del Belvedere braman-tesco – sua è, ad esempio, la conformazione at-tuale del nicchione con la Pigna – giardino da cuipuò aver mediato alcune soluzioni compositive.Ancora una volta il giardino è formato da treparti: in basso una zona pianeggiante, di accesso;in alto la villa. Tra questi due elementi una seriedi terrazze di raccordo che ricordano la partico-lare morfologia scoscesa del sito. L’antico ingresso – situato, a differenza di quantoaccade oggi, al piano inferiore – avveniva attra-verso un portale affiancato da fontane che immet-teva in un Giardino dei Semplici quadripartito dadue viali pergolati. È, come nel Belvedere, il livello della corporeitàcontrapposto alla spiritualità rappresentata dal-l’edificio. Il percorso diviene perciò, ancora unavolta, un’ascesa che non è soltanto materiale, mametaforica. I pergolati impediscono, una volta en-trati, di percepire la presenza della villa, sebbene,prima dell’ingresso, l’impianto, rigidamente sim-metrico, fosse chiaramente visibile a chiunque.Se, nella ricerca della strada, si devia dall’assecentrale, ovvero ci si allontana da una volontà or-dinatrice, si entra in quattro labirinti – nella realtàne furono realizzati soltanto due – che ulterior-mente aumentano il senso di smarrimento. Al li-mite del giardino, pergolati indifferenziaticoncludono questo concetto, mostrando chenell’allontanarsi ulteriormente dalla via “versol’alto” è molto facile per l’individualità perdersinelle indifferenti forme del molteplice.Proseguendo nella salita, laddove nel Belvederedi Bramante si incontrava un livello indifferen-ziato, in quanto mediazione e separazione tracorpo e spirito, in Villa d’Este si materializzal’idea che la vita autentica si realizzi soltanto nel-l’unione di corpo e spirito. Tale unione è rappre-sentata in modo emblematico dall’acqua che,

citare l’otium alla maniera degli antichi. La suatriplice ripartizione richiama la contrapposizionetra corpo e spirito, facendo coincidere il primocon il livello più basso, dedicato a feste e tornei,ed il secondo con il più alto, riservato all’arte46.La disposizione su terrazze sovrapposte, neces-saria per superare il dislivello esistente tra la re-sidenza papale e la villa del Belvedere, divienecosì metafora di un percorso ascensionale chedalla materialità porta alla spiritualità. Al centro,l’indeterminatezza del livello intermedio si col-loca come elemento di mediazione – ma anche diseparazione – tra corpo e spirito, caratteristica ac-centuata anche dalla presenza di scale che enfa-tizzano la dinamica ascensionale della struttura.Infine, durante tutto il percorso, costante è la pre-senza dell’acqua come elemento che accompagnanella salita al piano dell’arte, la cui presenza èsempre dichiarata in elementi disposti sull’assecentrale di simmetria della composizione. Dap-prima l’acqua cattura l’attenzione al livello inter-medio, nella fontana della nicchia centrale delladuplice rampa; poi accompagna l’ascesa con unaserie di fontanelle incassate nel muro di rivesti-mento della stessa rampa; infine accoglie, al li-vello superiore, in una grande fontana, isolata alcentro del giardino, che, primo termine del per-corso, costituisce la sosta prima di raggiungere ilvero scopo della salita. Giunti al centro del livello superiore, infatti, sicomprende che il percorso non è concluso: unanuova nicchia, di dimensioni colossali rispettoalla precedente, si apre alla vista e, nel suo centro,una scalinata concavo-convessa, vera e propria“cascata” marmorea, invita alla prosecuzione. Si-gnificativo è che anche questo elemento, nella re-altà mai realizzato, fosse identificato dallapresenza di una fontana, seppure muta: quellapigna di bronzo, rinvenuta presso le terme diAgrippa e già adoperata, con medesima funzionedi fontana, nell’atrio di ingresso dell’antica basi-lica di San Pietro.Purtroppo la conformazione attuale del Belvedere– in particolar modo dovuta al taglio operato nel1587 con la costruzione della Biblioteca Vati-cana47 che, di fatto, ha eliminato il livello inter-medio – impedisce di comprendere pienamenteil valore del progetto bramantesco, percorrendo

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esterno dal momento che il mondo, come meta-fora dell’esistenza, può benissimo essere conte-nuto tutto all’interno delle sue mura.Uno dei problemi principali di Vanvitelli era per-ciò, secondo Giuseppe Ghigiotti, quello di riu-scire a trasferire ad un episodio di scalaterritoriale quei caratteri di isolamento e di chiu-sura verso l’esterno che erano propri dei micro-organismi rinascimentali italiani. Nel compiere tale operazione a Caserta, spiegaGhigiotti, Vanvitelli «approfitta anche del suggeri-mento della continuazione del vialone al di là delpalazzo reale per creare un macro-microcosmo, icui estremi compositivi dovevano essere Napoli ela cascata, per dare al parco quella accentuata assia-lità, già esperimentata da Le Nostre, ma della qualeVanvitelli conosceva benissimo le origini»48. E queste origini Vanvitelli mostra di conoscerlemolto bene in una lettera indirizzata al fratello:

nelle molteplici forme delle fontane, può richia-mare, di volta in volta, l’idea di una maggiorecorporeità – come nella pesantezza delle massedei bacini dell’asse trasversale – o di una mag-giore spiritualità-tensione verso l’alto, grazie aldinamismo ed ai getti di fontane e giochi idraulicipresenti in ogni parte del giardino. Nella salitaalla villa, insomma, si è distratti costantementedall’asse centrale così come, nella vita reale, losi è dalla retta via di ascesa allo spirito. Ma, infondo, è in questo girovagare nel giardino, allascoperta delle numerose sorprese celate, che sirealizza compiutamente la vita, né soltanto corpo,né pura spiritualità. Chiuso all’interno del suo perimetro, il giardinodi Villa d’Este – ma la stessa cosa potrebbe esseredetta anche per il Belvedere – si configura cosìcome un organismo autonomo ed autosufficiente,per il quale è ininfluente dialogare con il mondo

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Etienne Dupérac, Villa d’Este a Tivoli, 1575.

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giardino formale, non dovrà essere intesa tale defi-nizione nel senso di ultimo esempio di giardino allafrancese, ma come ultimo livello nella scala di evo-luzione dell’arte dei giardini prima che il cambia-mento di gusto aprisse le porte al completamentediverso giardino paesistico.In tal senso le citate parole di Vanvitelli sembranopiuttosto esplicite, ed è possibile riconoscere inesse un intento fondativo. Vanvitelli prende le di-stanze rispetto all’uso delle corti europee di rei-terare le soluzioni della reggia francese, perricollegarsi al canone artistico che di quella necostituisce l’exemplum. Nel confronto diretto –ed è quasi uno scontro con Versailles – VillaLante a Bagnaia, Villa d’Este a Tivoli e le villetuscolane Aldobrandini e Ludovisi risultano es-sere i «maestri Giardini». Il ritorno al modelloconsente di riconoscere in queste ville, a cui cisembra opportuno aggiungere anche il PalazzoFarnese di Caprarola, la matrice comune di tuttele opere del XVII e XVIII secolo, alla cui originesi trova una copiosa presenza idrica che, in milleforme, permea di vita il giardino. In particolarmodo tale abbondanza trova compimento in unparticolare aspetto: la catena d’acqua, intesa, inquesto caso, non in senso metaforico, ma comeelemento dalla forte ed inequivocabile caratteriz-zazione formale.

Quantunque io mi ricordi benissimo il bellissimoMaestro Giardino di Bagnaja, tutta volta averò piacereche il Signore Carlo me ne mandi uno schizzetto.Questo Giardino, quel di Tivoli e quello di FrascatiAldobrandini e Lodovisi sono li maestri Giardini diVersaglies et reliquis49.

Vanvitelli utilizza perciò, come elemento unifi-cante del cosmo del proprio giardino, quell’assia-lità sempre presente come linea guida nelgiardino formale. Tale assialità, che, ad una primalettura, sembra essere il principale elemento di le-game con il giardino francese, risulta essere, in-vece, «il principio informatore dei principaligiardini italiani»50. Tuttavia sarebbe ingiusto direche Vanvitelli recupera modelli italiani dimenti-cando l’evoluzione dello stile e del gusto. Egli,infatti, non rifiuta l’arte propria del suo tempo,ma fonde insieme elementi di tradizione francesecon quelli di chiara matrice italiana, con il risul-tato di ottenere un’ulteriore evoluzione dell’ideadi giardino rispetto a quella codificata nel Sei-cento. Il Parco di Caserta si colloca, insomma, come ul-timo anello di quella “catena d’acqua” che da VillaLante in poi ha segnato profondamente l’arte deigiardini tra il XVI ed il XVIII secolo. Se dunque sipuò parlare di Caserta come ultimo esempio di

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

La catena d’acqua di Villa Lante a Bagnaia.La catena d’acqua del palazzo Farnese di Caprarola.

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La richiesta, da parte di Vanvitelli, di uno «schiz-zetto» di Villa Lante, villa che, peraltro, l’archi-tetto afferma di ricordare benissimo54, apparedunque significativa della necessità di guardaredirettamente al modello da cui hanno avuto ori-gine infinite rielaborazioni55 e suggerisce la vo-lontà di realizzare una nuova tipologia di giardinoche attinga direttamente alla fonte senza ripetereforme e idee presenti in qualunque altra reggiaeuropea ispirata a Versailles. Appare, in questo modo, il desiderio di celebraredegnamente il sovrano attraverso un’opera chesia “innovativa”, pur nel rispetto di una tradizioneconsolidata56. Ma nonostante ne prenda le distanze, inevitabil-mente anche Vanvitelli si trova a doversi confron-tare costantemente con Versailles. In un’altra sua lettera al fratello, si legge:

Il Giardino di Versaglies è longho incontro al palazzocol Canale e Parco tese numero 1550, che sono palmiromani numero 13150, cioè palmi numero 183 menodi due miglia. Il Giardino di Caserta fino alla cimadella Collina, ove è il Casino, è longho due miglia e340 palmi, fino al fine del parco dietro al Casino circaun 3° miglio bono bono, onde il discorso è breve; (…)Per la larghezza del parco ancora non è destinata, masi puol fare assai più di quello; la larghezza e la lon-ghezza del Giardino delle Delizie, cioè fontane e bo-schetti, il nostro è di pochi palmi maggiore, questo èquanto57.

E se dal confronto dimensionale il Parco di Ca-serta esce vincitore, nell’elaborazione delle forme

Giustificata dalla particolare morfologia del ter-ritorio, la catena d’acqua è infatti l’elemento chemeglio identifica il giardino italiano, sia che sitratti di un singolo episodio architettonico – unavera e propria successione di vasche concatenatein un’unica fontana, come a Bagnaia o a Capra-rola – sia che venga costituita da una serie di fon-tane disposte su uno stesso asse e collegatesecondo una triplice modalità: idraulica, percet-tiva e semantica51. Come ricorda Vanvitelli, è inVilla Lante a Bagnaia che si trova l’esempio piùcompiuto di questo nuovo elemento che rendel’acqua protagonista indiscussa. Nella Villa costruita nel 1573 per il cardinaleGiovan Francesco Gambara la catena d’acquanon è soltanto un elemento architettonico auto-nomo, ma è espressione dello stretto legame chenasce tra una fontana e l’altra, così da renderleindissolubilmente collegate. A partire dalla Fon-tana del Diluvio, posta sulla sommità della col-lina su cui è adagiata la villa – o meglio le ville,dal momento che si tratta di due casini identici aidue lati dell’asse centrale – si sviluppa un per-corso simbolico che sottolinea il passaggio dal“selvatico”, rappresentato dal bosco, al cosmos,cioè all’ordine e all’ordinato. Il Diluvio è l’elemento di separazione tra unprima, in cui, in una mitica età dell’oro, l’uomoviveva in armonia con la natura, e un dopo, etàdella ragione o di Giove52, nel quale l’uomo sitrova a lottare con le proprie forze per dominarequella natura stessa. Passando attraverso i due edifici – le case delleMuse, ovvero le due sommità del monte Parnasodove sbarcarono Deucalione e Pirra – l’acqua zam-pilla nella Fontana dei Delfini per poi scendere at-traverso la vera e propria catena d’acqua, formatadall’avvolgersi delle chele di un gambero – chiaraallusione al nome del committente53 – e giungerealla Fontana dei Giganti, in cui le due “colossali”statue sono le personificazioni dei fiumi Arno e Te-vere. A partire da questa fontana l’acqua si acquietamomentaneamente e diventa “tovaglia trasparente”sulla Tavola del Cardinale, ma si tratta di una tran-quillità soltanto fugace. Subito dopo l’acqua tornaa scorrere vivacemente fino a concludere la suacorsa nell’ampio bacino suddiviso da quattro pontiche si ricollegano ad un isolotto centrale.

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Luigi Vanvitelli, disegno di Villa Lante a Bagnaia.

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punti nodali tra gli assi di collegamento dei sin-goli parterres. I canali, secondo un uso che ri-specchia l’influenza olandese, sono invecedisposti, affiancati da file di alberi, a racchiuderecompletamente la vasta area rettangolare. Il giar-dino, che ricopre circa cinquanta ettari, risulta tut-tavia poco organico, mostrando nella planimetriaquasi la giustapposizione di due parti piuttostoche una loro reale integrazione. Nella zona più vicina al palazzo, un complessogioco di parterres si sviluppa attorno ad un sin-golo bacino circolare; nella seconda metà, invece,un vasto boschetto a quinquonce presenta le fon-tane collocate esattamente nei suoi nodi princi-pali: al centro la fontana più importante,caratterizzata dall’enorme getto, ai quattro angolialtre quattro vasche, più piccole, ciascuna con sin-goli getti centrali.Al contrario di quanto accade a Herrenhausen,nelle residenze dell’Elettore di Baviera Max Ema-nuel, Nymphenburg e Schleissheim, il ruolo del-l’acqua torna ad essere predominante, divenendoaddirittura l’elemento di unione tra i due giardini. Tra Nymphenburg e Schleissheim si viene infattia costituire un sistema ad anello che trae origine,ad ovest, dal fiume Würm da cui si diramano idue canali di adduzione destinati ai due palazzi,e si conclude, ad est, con un complesso di canaliartificiali che collegano direttamente i parchidelle due residenze. Entrambi gli interventi, vo-luti da Max Emanuel che, nel periodo in cui eragovernatore dei Paesi Bassi Spagnoli, era entratoin contatto con Dominique Girard, allievo di LeNôtre, vennero effettuati a partire dal 1715 perriadattare, secondo il nuovo gusto imperante,strutture già esistenti. A Schleissheim61, dove già nel 1684 Enrico Zuc-cali aveva fissato la struttura di base del parcocon i canali, Girard realizzò, fra il 1715 e il 1726,nello spazio antistante il Castello Nuovo, unampio parterre con aiuole, sculture e giochi d’ac-qua. In particolare venne riorganizzata la compo-sizione comprendendo anche il Lustheim, che nedivenne il punto visivo conclusivo, venne am-pliato, anche percettivamente, l’asse principale –su cui attualmente si trova un largo canale, proba-bilmente, però, successivo al suo intervento – evenne realizzata la cascata.

che il nuovo giardino avrebbe dovuto assumere,l’architetto non può esimersi dall’utilizzare le re-gole sintattiche di quella “grammatica” che, pro-posta da Antoine-Joseph Dézallier d’Argenville,era ormai affermata in tutta Europa. Per quanto Vanvitelli dichiari, più di una volta, divolersi allontanare dall’idea di realizzare l’enne-sima copia di Versailles, in realtà è quasi obbli-gato ad utilizzare forme che, ad un secolo dallaloro nascita, sembravano le uniche adatte adesprimere il fasto, la magnificenza ed il decoropropri di un palazzo reale.

La diffusione del giardino francese in Europa

La fama di Le Nôtre aveva valicato, già tra i suoicontemporanei, le frontiere di Francia 58. A partiredalla fine del XVII secolo sembra che buonaparte dei giardini di tutta Europa sia a lui attribui-bile o sia stata realizzata sotto la sua diretta in-fluenza59 e per buona parte del Settecento, notaChristian Norberg-Schulz, «altre potenze euro-pee, grandi e piccole, vollero imitare la soluzionesimbolica di Luigi XIV» ottenendo «specie inAustria, in Germania e in Russia, una prolifera-zione di spazi organizzati attorno a un asse cen-trale»60.Uno dei primi giardini europei, realizzati sul mo-dello di Versailles, fu quello tedesco di Herrenhau-sen, iniziato nel 1680 e proseguito per oltre undecennio. Il giardino nacque dalla volontà di Sofia,moglie di Ernst, Elettore di Hannover, che inOlanda, suo paese natale, aveva conosciuto l’operadi Martin Charbonnier, il progettista francese a cuisi rivolse per la realizzazione dell’opera. Il Grosser Garten di Hannover presenta quindielementi d’influenza francese insieme a quelli diderivazione olandese, anche se il tutto è impo-stato su di un rigoroso impianto di matrice tede-sca. A causa dell’assenza di canali nella parteprincipale del giardino, l’acqua non assume uncarattere dominante nella composizione, ma as-solve comunque un’importante funzione connet-tiva nel raccordare le varie parti dispostesimmetricamente rispetto al viale centrale. A Herrenhausen infatti l’uso dell’acqua è limitatoesclusivamente a poche fontane, che creano i

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produzione di Versailles. Il giardino, simmetricorispetto all’asse centrale, che emergeva dalla fac-ciata ovest del palazzo, era progettato attorno aduna serie di diciannove fontane. Nelle zone piùvicine al palazzo, le quattro sezioni del LargeParterre erano decorate da ornamenti floreali,veri e propri parterres de broderie che circonda-vano la vasca con la Fontana di Flora, in marmobianco, collocata nell’intersezione degli assi.Oltre il parterre, i boschetti erano organizzati inuna lunga serie di stanze vegetali, attrezzate peri passatempi della corte. Attorno a quest’area delgiardino, un’estesa zona era realizzata all’internodel bosco preesistente. Due gruppi di sei viali ret-tilinei, ognuno dei quali originato radialmente apartire da un nodo centrale, si inoltravano nelparco, fino a raggiungere, in alcuni casi, l’estre-mità del canale, ai limiti occidentali, segnata dallacascata progettata da Effner. Per caratterizzareciascun nodo, Effner costruì due padiglioni, anord il Pagodenburg, a sud il Badenburg, circon-dati entrambi da giardini formali con vasche efontane. Nella seconda metà del XVIII secolo, il cambia-mento di gusto e la propensione verso il giardinopaesistico di derivazione inglese, determinaronola trasformazione di Nymphenburg da parte diFriedrich Ludwig von Sckell. Incaricato di modi-ficare l’intero impianto geometrico barocco, vonSckell non poté, tuttavia, intervenire sulla strutturaportante, costituita dal parterre e dal canale ter-minante nella cascata, limitandosi a sostituirel’originario sistema laterale, di viali ed assi geo-metrici, con un disegno di elementi più naturali.Occorre segnalare, infine, tra i giardini tedeschidirettamente connessi a Versailles, anche quello

L’intero spazio del giardino è poi racchiuso da ca-nali secondari, tra cui, in modo inusuale ma no-tevole, si segnala il canale semicircolare checirconda il Lustheim ed il suo parterre renden-dolo raggiungibile, all’epoca, soltanto in barca.A Nymphenburg, residenza che già nel 1701 MaxEmanuel aveva iniziato ad ampliare insieme algiardino, Girard si trovò a proseguire nell’operainiziata da un altro allievo di Le Nôtre, CharlesCarbonet, il probabile ideatore del canale, trac-ciato proprio a partire dal 1701 attraverso il boscoesistente, per l’adduzione dell’acqua dal fiumeWürm, distante circa 2 chilometri. Sempre dopoil 1715, Girard, coadiuvato nell’intervento dal-l’architetto della corte bavarese Joseph Effner, sioccupò di completare il sistema dei canali, oltrea realizzare la gran quantità e varietà di vasche ebacini e le necessarie opere idrauliche. Inoltre,sempre a loro si devono le opere di finitura deiparterres e la sistemazione complessiva delparco. Anche in questo caso il lungo canale centrale ècertamente l’elemento più significativo: da unlato svolge la duplice funzione di asse di simme-tria del parterre e di elemento di adduzione del-l’acqua, dall’altro si collega ad una serie di canalisecondari, che in parte circondano il palazzo, do-nando l’impressione che l’edificio ed il giardinosi trovino su di un’isola, ad imitazione di quantoavviene a Chantilly. Infine, come già osservato,l’insieme di canali prosegue oltre il palazzo, ri-collegandosi al più vasto sistema che mette in co-municazione i parchi di Nymphenburg e diSchleissheim.Alla fine del regno di Max Emanuel, nel 1726, aNymphenburg si poteva ammirare una piccola ri-

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Il Parterre d’Acqua di Herrenchiemsee, a sinistra, a confronto con quello di Versailles, a destra.

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periore, con 5 fontane, completato da BartolomeoRastrelli, e il Parco Inferiore con un ricchissimocomplesso di fontane. L’acqua, attraverso un ac-quedotto lungo circa 20 chilometri, giunge neibacini del Parco Superiore, che svolgono la fun-zione di serbatoi idrici, e in seguito è incanalataverso il palazzo, oltrepassato il quale riemergedalla terrazza balaustrata, scaturendo alla som-mità della cascata che richiama quella altrettantocelebre di Saint-Cloud. La Grande Cascata di Pe-terhof è il vero manifesto della grandezza dellozar Pietro. In essa sono infatti presenti tutti glielementi propri della tradizione dei giardini for-mali, derivanti dai modelli francesi ed italiani:statue bronzee di divinità ed eroi, che, alternatead urne, accompagnano e sottolineano la discesadell’acqua, secondo uno schema ravvisabilenell’Allée Royale di Versailles; sculture decora-tive e bassorilievi; due scalinate d’acqua dai gra-dini di marmo bianco; una grotta, la GrottaMaggiore, che funge da basamento decorativodel palazzo e da cui sgorga la cascata. Dalla som-mità della cascata l’acqua si getta in un bacinosemicircolare e prosegue, lungo l’asse centrale,nel canale marittimo che, affiancato da due filedi piccole vasche circolari dai singoli zampilli,era utilizzato, con uno spettacolare effetto sceno-grafico, per gli ingressi cerimoniali al palazzo. Al centro del bacino semicircolare è presente unastatua di Sansone64 raffigurato nell’atto di divari-care la bocca di un leone, che ben rappresenta lospirito di potenza che l’opera dello zar volevaesprimere. Dalle fauci del leone fuoriesce infattiun getto d’acqua di circa 21 metri, a competere,quasi, con il getto dell’Encelado di Versailles. Numerose altre fontane, infine, si susseguono nelresto del parco. Tra queste altre due scale d’acquaalle due estremità del Parco Inferiore: ad est laCascata della Scacchiera o dei Draghi, ad ovestquella della Collina d’Oro. Nell’intersezione deiviali principali le due Fontane di Adamo ed Evasottolineano i punti nodali, mentre numerose altrefontane sono di pertinenza dei vari boschetti, tracui la Piramide – ancora di derivazione francese– formata da 505 getti d’acqua distribuiti su settelivelli, e la Fontana del Sole, dove un disco, ro-tante su di un pilastro, fornisce l’immagine del-l’astro attraverso la rifrazione di numerosi spruzzi

di Herrenchiemsee, voluto dal re di Baviera, Lu-dovico II, a espressa imitazione della reggia fran-cese62. Il progetto del sito fu incentrato soprattutto sul-l’area che si sarebbe vista dalle stanze centralidella facciata principale del palazzo, la Stanza delRe e la Sala degli Specchi, e comprese, ad ovest,il parterre principale, suddiviso in moduli geo-metrici, ed il canale che conduce al vicino lago.Numerose fontane decorano l’intero impianto, trale quali sono da ricordare, per la loro sfacciataderivazione dal modello francese, quelle di La-tona, della Fama e della Fortuna, nonché il Par-terre d’Acqua.In Russia, il fascino delle fontane di Versailles, edelle altre dimore reali francesi, esercitò un sen-timento d’emulazione in Pietro il Grande, chevolle proporre le medesime suggestioni nella suanuova residenza estiva del Peterhof, vicino a SanPietroburgo. Il progettista incaricato della trasfor-mazione del sito, in cui i lavori erano iniziati giàdal 1714 ad opera di numerosi architetti, tra cuil’italiano Nicola Michetti, fu ancora una voltauno dei probabili allievi di Le Nôtre, Jean-Bapti-ste Alexandre Le Blond63, autore, tra l’altro, di al-cune tavole illustrative del trattato di Dézallierd’Argenville e attivo in Francia fino al 1716,anno in cui lasciò la patria per lavorare pressol’imperatore di Russia. Come accadde per Versailles, anche la realizza-zione del Peterhof, grazie al suo sistema di fon-tane, divenne strumento di propaganda politica,opera tesa a proclamare la ricchezza delle risorsee la potenza raggiunte dalla nuova Russia dellozar Pietro il Grande. Il successo dell’impresavenne garantito proprio dalla considerevole pre-senza d’acqua, fatta giungere dalle colline limi-trofe grazie all’acquedotto opera dell’ingegnereidraulico Vasily Tuvolkov, artefice anche dell’in-tero sistema di distribuzione. In questo legamecon l’acqua Peterhof si relaziona anche all’altraimportante realizzazione di Pietro il Grande, SanPietroburgo, la città dai numerosi canali, costruitasul mare. E come in San Pietroburgo, anche a Pe-terhof era possibile giungere via mare, attraversoil canale, lungo circa 600 metri, che congiunge laresidenza al Golfo di Finlandia.Il giardino è suddiviso in due zone, il Parco Su-

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deve necessariamente acquisire uno stile più ita-liano, quest’ultimo introdotto in Spagna anchegrazie alla seconda moglie di Filippo, ElisabettaFarnese. Come nella tradizione italiana l’ele-mento principale diviene allora l’imponente mo-stra d’acqua, che si sviluppa lungo le pendici delmonte che si innalza di fronte al Palazzo Reale.L’asse principale, che ha origine dalla facciata,congiunge gli appartamenti di Filippo con la ca-scata, alla cui sommità si trova un padiglione co-struito, in analogia con il palazzo, in granito rosadi Segovia e marmo bianco.L’acqua, che proviene direttamente dalle monta-gne circostanti, è raccolta nel grande lago-serba-toio, il cosiddetto Mar, e nel più piccolo StagnoQuadrato. Da qui, partendo dalla Fontana delleTre Grazie, si origina la “catena d’acqua” che ter-mina nella Fontana di Anfitrite. Ai lati, come giàosservato nel Peterhof, ci sono urne alternate astatue, di nuovo un richiamo immediato a Ver-sailles, non soltanto, in questo caso, per la dispo-sizione delle statue, ma anche per la scelta deisoggetti allegorici che sembrano riprendere quellidella Grande Commande del 1674.Tra le numerose fontane del giardino alcune ri-

d’acqua. Infine c’è una notevole serie di fontanecon scherzi d’acqua che vengono attivati quandosi entra nel loro campo d’azione.Come preferito per i giardini francesi, quelli fin quidescritti sono tutti situati su territori pressoché pia-neggianti, idonei, cioè, ad una successione elabo-rata di parterres, fontane e canali. Alcune volte,però, si cercò di andare oltre le difficoltà propriedel luogo, legate in particolar modo alla morfolo-gia, cercando di adattare gli schemi propri del giar-dino francese a realtà territoriali profondamentediverse da quelle previste e decisamente meno fa-vorevoli. È, ad esempio, il caso dei giardini dellaGranja di San Ildefonso, vicino a Segovia, forte-mente voluti da Filippo V, nipote del Re Sole.Divenuto re di Spagna, Filippo V, cresciuto inFrancia come Duca di Anjou, volle emulare lagrandeur del suo avo, facendo realizzare un giar-dino degno di Versailles. Numerosi artisti, cheavevano lavorato nella reggia francese, sotto ladirezione di Le Brun, vennero chiamati per crearele ventisei fontane e le innumerevoli statue chepunteggiano i viali65. A causa della morfologia delsito, fortemente montuoso, il carattere del giar-dino oltre a riprendere elementi di gusto francese

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Peterhof. La Grande Cascata.

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Ma l’influenza di Juvarra sull’intera opera diVanvitelli è di rilievo anche più profondo.A Juvarra, riconosciuto dalla critica come uno deisuoi maestri, Vanvitelli deve soprattutto l’idea diuna concezione spaziale propria della teatralitàbarocca, attraverso cui sia lo spazio architettonico,sia quello naturale, possono essere rappresentatiin maniera scenografica. È questa una concezionefortemente pittorica dell’architettura, originata,probabilmente, anche dalla formazione ricevutadal padre Gaspar71, dall’iscrizione all’Accademiadi S. Luca, che vedeva nel basilare esercizio deldisegno il fondamento di tutte le arti, e dall’ammi-rata osservazione delle illusionistiche prospettive72

realizzate da Pier Leone Ghezzi e Giovanni PaoloPannini nelle ville tuscolane.Sembra perciò del tutto naturale che Vanvitelli,prima pictor73 e poi architectus, come si definiscenel ritratto ufficiale conservato proprio pressol’Accademia di San Luca, rimanesse affascinatodalle potenzialità scenografiche espresse dall’usodella prospettiva, così come, un secolo prima dilui, André Le Nôtre, con il quale condivideva laformazione nel disegno, nella pittura e nell’archi-tettura. L’adozione dell’asse centrale, nel giar-dino di Caserta, non è, quindi, la sempliceripetizione di un motivo derivato dall’opera delpredecessore francese, come dimostra la sua rie-laborazione ed integrazione con l’italiana catenad’acqua, ma è anche acquisizione di un elementodalla forte connotazione scenografica, impiegatoal massimo delle sue potenzialità sul territorio.Se infatti nell’opera di Le Nôtre l’asse principaletende all’infinito, giungendo, all’orizzonte, ai con-fini del giardino, in Caserta l’asse è teatralmenteed apertamente esibito attraverso il suo arrampi-carsi lungo le pendici del Monte Briano, così dadivenire esso stesso termine ultimo della visionee, attraverso l’esibizione della cascata, primo mo-tore dello scorrere dell’acqua nel giardino.Occorre, a questo punto, analizzare un altro degliaspetti che, in filigrana, è possibile leggere nellaReggia di Caserta e che testimonia la rilevanzaprimaria dell’idea ad innervare l’esistenza di unprogetto, così da produrre risultati di livello ec-celso. Ancora una volta si tratta di un aspetto giàosservato, seppur con altre modalità, in Versail-les: è il rapporto intercorrente tra committente e

specchiano chiaramente quelle di Versailles,come si è osservato anche a proposito di Herren-chiemsee. In questo caso la Fontana delle Rane,che trae origine dalla simile Fontana di Latona;la Plazuela de los Ochos Calles66, che ricorda nel-l’impianto la Colonnade di Mansart, la Fontanadella Fama67, ispirata al Bosquet des Dômes, laFontana di Nettuno, che nella sua immagine ri-prende la corsa di Apollo sul Grand Canal. Altre fontane sono invece interessanti perché svi-luppano soggetti che circa un quarto di secolodopo è possibile ritrovare anche a Caserta, sianella Dichiarazione di Luigi Vanvitelli, sia nelparco realizzato. Si tratta della Fontana di Andro-meda, della Fontana di Eolo e dello spettacolareBagno di Diana68, fontana, quest’ultima, non par-ticolarmente apprezzata da Filippo V che, sotto-lineando l’enorme spesa sostenuta, commentò:«Mi è costata tre milioni e mi ha divertito solo treminuti».In realtà in Italia non si ebbe una grande diffu-sione dei modelli francesi, se non nell’area pie-montese che, geograficamente e politicamenteera la più legata al regno d’oltralpe69. Dal proto-tipo francese viene ripreso, soprattutto, l’esten-dersi delle assialità fino all’orizzonte ed ildisegno radiocentrico di numerosi viali che si in-tersecano disegnando complesse geometrie sulterritorio, come si riscontra, ad esempio, nella re-sidenza sabauda di Stupinigi, iniziata nel 1729 suprogetto di Filippo Juvarra e fonte ispiratrice dialcune parti dell’opera vanvitelliana70.

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La Granja di San Ildefonso. Fontana di Anfitrite.

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si alternavano a vasi, statue e fontane: l’acqua eraun elemento importantissimo, che usciva dalsuolo con alti spruzzi e cascate, vitalizzando legrandi scenografie formate da piante e fiori»77. Ricorda inoltre Luigi Zangheri che :

L’elemento centrale di questo giardino era determi-nato dall’ellisse dell’Aranceria formante l’ultimo ele-mento del terrazzamento superiore, dove cinque filadi vasi di agrumi costituivano una sorta di anfiteatrosu cui era impostata la focale dalla quale si aprivanole due prospettive dell’asse principale. La prima pro-spettiva verso il palazzo iniziava con il disegno deigrandi parterre e veniva sottolineata da un doppio co-lonnato di marmo e dal volume formato da alte paretidi verzura. La seconda prospettiva era invece rivoltaverso il bosco di Mezzaluna con un tridente di vialiche vi si inoltravano per più di quattro chilometri inin-terrotti se non trasversalmente da percorsi secondari78.

È possibile che la frequentazione di tale ambienteabbia influito nella progettazione delle proprie re-sidenze da parte del futuro re di Napoli79. A tal proposito sembra interessante notare cheuno degli elementi più caratteristici della Reggiadi Caserta, il Vestibolo di ingresso, ha alcuni ele-menti in comune con l’atrio d’ingresso al Giar-dino del Palazzo Ducale di Colorno, raffiguratoin un’incisione del 1726. Nell’immagine è infattirappresentato un semiottagono al centro del qualesi apre il viale che conduce nel giardino, mentreai lati si nota lo scalone, a doppia rampa, cheporta al piano superiore. È quindi possibile che il sovrano abbia descrittoal suo architetto alcuni ricordi di un ambiente chetanto gli era rimasto nel cuore, le cui caratteristi-che principali – forma ottagonale, apertura sulgiardino, rampa dello scalone – sono state poi riprese nella realizzazione dell’opera casertana.Un’eco del soggiorno a Parma si può riscontrare,infatti, anche nel tentativo di riprodurre all’in-terno del parco di Capodimonte80, realizzato daAngelo Carasale a partire dal 1735, un impiantosimile a quello della residenza di Sala Baganza.Sala Baganza era una sede caratterizzata da unaspiccata destinazione venatoria, voluta da AntonioFarnese nel corso della ristrutturazione eseguitatra il 1723 e il 1726 e caratterizzata da un impiantoa patte d’oie di chiara derivazione francese81.

artista, che, nel caso della Reggia francese, si ri-solse in un felice connubio tra Luigi XIV edAndré Le Nôtre74. Allo stesso modo, nel casodella Reggia di Caserta, inscindibile è il legame,tra espressione artistica e concetto performativo,derivante dalla profonda comunione d’intenti esi-stente tra il re, Carlo III, ed il suo architetto, LuigiVanvitelli.

La figura del committente: Carlo di Borbone

Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna edi Elisabetta Farnese, nacque a Madrid il 20 gen-naio 1716. In seguito al trattato detto dellaQuadruplice Alleanza, stipulato a Londra nel1718 e ratificato nelle sanzioni stabilite dalla pacedell’Aja del 1720, fu deciso che, in mancanza dieredi diretti dei Farnese, i ducati italiani di loropertinenza sarebbero passati ai figli di Elisabetta.In tal modo Carlo divenne duca di Parma e Pia-cenza nell’ottobre del 1732. Nel corso della suapermanenza in Emilia, durata fino al gennaio1734, il giovane duca ebbe modo di apprezzareparticolarmente i luoghi degli antenati materni,abitando soprattutto nelle residenze extraurbanedi Colorno e di Sala Baganza, dove amava dedi-carsi alla sua grande passione, la caccia. «Da Parma [il giovane Carlo] scrisse ai genitoriche Colorno era molto più bella del loro nuovopalazzo di San Idelfonso, e che le pianure parmi-giane gli piacevano più delle colline toscane»75. È significativo questo confronto tra Colorno edil palazzo della Granja di San Ildefonso: mentrequest’ultimo fu voluto da Filippo V con la dichia-rata intenzione di riprodurre i fasti della Reggia diLuigi XIV, Colorno76, come successivamente Ca-serta, risulta essere invece il prodotto dell’unionedi elementi italiani e francesi che ne fecero, al-l’epoca, uno dei più celebri edifici in Italia, con-siderato, anch’esso, come un’altra piccolaVersailles. Il giardino, di circa 4 km, risultavasuddiviso «nel giardino dei fiori, nel giardinocampestre e nel Real serraglio (detto anche ilbosco della caccia). In particolare, nella primaparte erano stati disposti berceaux inseriti in piùordinati “sieponi” semicircolari di carpini colle-gati da viali di ippocastani, tigli, olmi, pioppi che

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tesca statua di Ercole, situata al centro di unapiazzola panoramica circolare86. Ai viali princi-pali si intersecavano, trasversalmente, percorsipiù piccoli provenienti da boschetti a stella. Questo Parco fu particolarmente amato da CarloIII per le numerose battute di caccia ed è pertantopossibile supporre che, in modo analogo a quantoipotizzato per il rapporto Sala Baganza-Capodi-monte, il ricordo della bellezza di Colorno possaessere stato ricercato anche nel Parco della nuovaReggia voluta per trasferire la corte da Napoli inun luogo più sicuro.Caserta ebbe, quindi, sin dalle origini, la voca-zione, l’aspirazione ed il destino di divenire ilcorrispondente italiano di Versailles87. Tuttaviaprima di condurre un’analisi sulle architetture perl’acqua presenti nel Parco, in rapporto anche alcorrispettivo francese, è interessante ricordare evalutare anche il ruolo delle preesistenze sul sitoed il loro rapporto con l’intervento vanvitelliano.

Come negli impianti di oltralpe, anche il disegnodel nuovo parco di Sala Baganza «presentava unimpianto stellare con viali convergenti in un piaz-zale centrale quale luogo di incontro dei cacciatori.Altri percorsi secondari intersecavano la viabilitàprincipale e consentivano di seguire la selvagginafino alla sua cattura o al suo abbattimento»82. Il parco di Capodimonte – per il cui progettodopo il Carasale furono incaricati prima Giovanni Antonio Medrano e Antonio Canevari83, successi-vamente Ferdinando Sanfelice84 ed infine Ferdi-nando Fuga85 – disponeva di un ingressomonumentale in cui la cancellata, a ridosso dellavia pubblica, si apriva in un vasto spazio ellitticoda cui partivano radialmente sei grandi viali.Mentre quelli laterali terminavano dopo un brevetratto, i viali centrali si inoltravano sulla collinaadattandosi alla pendenza del terreno; in partico-lare il viale centrale si prolungava per oltre unchilometro e mezzo fino a raggiungere una gigan-

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Musicanti nell’atrio all’ingresso del Giardino del Palazzo Ducale di Colorno, da Delizia Farnesiana in Colorno, 1726.

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Eccelso Palazzo, con i materiali più preziosi» prodottidal regno e per «piantarvi un ampio Giardino, che aipiù rinomati non ceda» e quali fossero i vantaggi eraspiegato nelle successive pagine della Descrizione: lavicinanza alla metropoli del regno, «l’ampiezza dellevedute», e la «vaga disposizione delle colline»,la sa-lubrità dell’aria e la ricchezza d’acqua. Compiuto ildovuto omaggio a quella amena campagna «ch’ebbeper eccellenza il nome di Campania, e il cognome diFelice», Vanvitelli ne ripercorreva gli antichi splen-dori per soffermarsi sul tempio di Diana Tifatina esulle rovine dell’acquedotto dell’acqua Giulia, le due«fastose reliquie» che dall’alto vegliavano sulla vastapiana dove sorgeva la città di Caserta «opera tumul-tuariamente fatta da Longobardi, in rozzi e poveritempi», concludendo che «finalmente la prima desti-nazione di così ameno e piacevole sito per uso di de-liziose magnificenze» era quella voluta dai sovrani eda lui disegnata90.

Vanvitelli non sembra dunque considerare nien-t’altro che un importante passato – ricordato perla chiara matrice romana, rappresentata simboli-camente dalle due «fastose reliquie» del tempiodi Diana Tifatina e dell’acquedotto dell’acquaGiulia – e la città di Caserta, citata per le sue ori-gini longobarde avvenute «in rozzi e poveritempi»91. È evidente l’intento celebrativo, se nonadulatorio: a partire dai rozzi tempi medioevaliniente e nessuno è riuscito a riportare la zona allagrandezza raggiunta in epoca romana, fino all’in-tervento voluto dai sovrani Borbone e progettatodall’architetto stesso92. La storia di Casa Hirta è in realtà ben più com-plessa di quanto Vanvitelli stesso ricordi o vogliafar credere. La città vanta infatti un passato pre-stigioso: da castrum militare e dimora feudale, aCivitas Normanna dell’XI secolo, sede comitalee vescovile.L’avvicendarsi degli Svevi e degliAngioini comporta per il feudo numerosi pas-saggi di proprietà e la storia dell’area su cui sor-gerà la Reggia Borbonica ha origine proprio inquesto periodo. Agli inizi del Trecento Roberto d’Angiò concesseil feudo al catalano Diego di Lahart93 giunto inItalia al seguito di Donna Violante di Aragona; lasua famiglia, con il nome italianizzato di DellaRatta, rimase feudataria per circa due secoli dellacontea e vi trasferì la propria abitazione da

Il sito della Reggia di Caserta

È sempre Giuseppe Ghigiotti a ricordare che Van-vitelli «adagia la sua chiara e razionale composi-zione su un terreno estremamente vario e ricco disuggerimenti (…) dando origine ad una incredi-bile unità tra parco e paesaggio, ben lungi dalleassolutistiche realizzazioni francesi, concepite inun’incuria totale di ciò che vi era intorno»88.L’amenità del luogo, l’assenza di imbarazzantipreesistenze storiche che togliessero lustro almessaggio Borbonico e la giusta distanza dallacittà di Napoli, come ricorda Anna Giannetti,sono le tre caratteristiche che da sole spiegano ilsuccesso del progetto per la Reggia di Caserta. La zona casertana è infatti situata al centro del-l’area denominata Campania Felix, una terraestremamente fertile in cui la centuriazione ro-mana dell’ager publicus, effettuata probabil-mente intorno al 165 a.C. ed ancoraperfettamente leggibile nel territorio, è la primadiretta testimonianza della vocazione agricola diquest’area che deve proprio alla terra la sua fontedi ricchezza. Ma accanto alla fertilissima campa-gna bisogna ricordare gli altri elementi che hannoconcorso nei secoli a conferire al sito il caratteredi un locus amoenus: la natura rigogliosa deimonti, il clima mite, la presenza del sole per moltigiorni durante l’anno, la vicinanza del mare. Ele-menti già esaltati da Boccaccio nell’Elegia diMadonna Fiammetta, ricordo del suo soggiornonapoletano, e la cui armonia, parecchi secolidopo, sembra catturare anche Goethe recatosi invisita alla Reggia vanvitelliana in costruzione89.Nella «più lussureggiante piana del mondo»,come afferma il poeta tedesco, Vanvitelli è riu-scito ad armonizzare i caratteri del nuovo Parcocon quelli del territorio circostante, rendendoloancor più locus amoenus per eccellenza.Sembra dunque impossibile che in un luogo disiffatta bellezza la costruzione borbonica si inse-risca in un terreno alieno da preesistenze. È lostesso Vanvitelli a generare l’equivoco, come evi-denzia sempre Anna Giannetti

Nella dedica ai sovrani che precedeva l’illustrazionedel progetto, l’architetto, infatti, ricordava «il sitovantaggioso destinatomi per fabbricarvi uno spazioso

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sceranno la propria impronta significativa. La famiglia Acquaviva aveva in Andrea Matteo95

un esponente estremamente potente e ricco che,come ricorda Scipione Ammirato, «per nobiltà disangue, per le immense ricchezze, per le vastis-sime signorie, con magnificenza reale sopra ognialtro Barone d’Italia splendidamente vivea»96.Sotto il suo dominio, il territorio di Caserta subìuna progressiva duplice bonifica ad opera dei Vicerè, sia nei confronti dei banditi che imper-versavano nella zona, sia nei confronti delle zone paludose, permettendo al villaggio, sorto attornoalla residenza, di ampliarsi e divenire un insedia-mento stabile in pianura, denominato Torre.L’antenato del giardino vanvitelliano si deve,però, a Giulio Antonio Acquaviva, Principe delloStato di Caserta dal 1578. Erede della tradizioneumanista e strettamente collegato all’ambienteromano, Giulio Antonio attuò grandiosi lavori direstauro, ristrutturazione e ampliamento, che ven-nero proseguiti e completati dal figlio AndreaMatteo a partire dal 1594. Il complesso compren-deva tre giardini ed un bosco che si estendevafino alla montagna di San Leucio, occupando,circa il medesimo territorio dell’attuale parcoborbonico.

Il primo era un giardino pensile, cui si accedeva dallagalleria dell’Appartamento Grande, «di fiori muratocon i suoi finestroni et archi, piantato compartito condue quadri e guide intorno, con piedi di agrumi piccoliet con diverse sorti di fiori dentro con partimento dimattoni e due spallere nelle mura», chiuso agli occhiindiscreti, alla calura e al gelo della piana, sorta diserra nel cuore del piano nobile. Gli altri due, piùampi, si trovavano rispettivamente sulla destra delcortile del palazzo e ad una quota inferiore collegata«per altra grada scoverta» che girava dietro di esso:uno era «compartito con 4 strade, nel mezzo vi è unafontana a forma di ottangolo» e verso l’ingresso alparco aveva «una cisterna con due nicchie e statue conaltra fontana con due statue di marmo sopra la portache corrisponde col giardino di fiori con loggia pian-tata e coverta»; l’altro era un giardino «di fiori»97.

Ma l’elemento ancor più interessante è la pre-senza, anche nel bosco, di statue e fontane cherendevano il luogo degno di meraviglia, come at-testato dagli “Apprezzi” effettuati tra il 1635 ed il

Caserta Vecchia stabilendosi in una torre posse-duta nella pianura, costituendo il primo nucleo at-torno al quale si svilupperà l’odierna città diCaserta. L’area limitrofa all’abitazione acquisìsubito carattere di hortus conclusus, come testi-monia un documento notarile del 1327:

Item Jardenum parvum constructum in ipsis domibusde Turri cum aranciis, limonibus, cedris, & aliis arbo-ris fructiferis, & pede uno de rosa, & Jardenum ipsumest muro circundatum. Item Jardenum unum aliud ma-gnum constructum in ipsis domibus, & circundatummuris cum arboribus fructiferis, & aranciis94.

La destinazione d’uso di quest’area affondaquindi le sue radici nel passato, sebbene non sipossa attribuire a questo primo nucleo medioevalenessun rapporto diretto con la trasformazione set-tecentesca, se non quello di attestare la costantepresenza di un giardino attraverso i secoli. Il passaggio di proprietà generato dal matrimoniodi Caterina Della Ratta, sposa nel 1486 di Cesared’Aragona ed in seconde nozze di Andrea MatteoAcquaviva d’Aragona, introduce elementi che la-

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Giovanni Antonio Nigrone, fontana realizzata per il Prin-cipe di Avellino.

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saggio urbano in cui tutti i personaggi erano ingrado di muoversi. Nigrone utilizzò a Caserta temi già sperimentatiin ambiente romano, quasi a testimoniare ancorai legami tra la famiglia Acquaviva e la città papale: una fontana, già realizzata a Trinità deiMonti per il cardinale de’ Medici, con quattrobarche sovrapposte, decorate da delfini e sileni;altre due datate 1587, la prima dal classico temadi Orfeo circondato da animali, la seconda contre vasche polilobate sovrapposte e decorate daimmagini di uccelli, costruita anch’essa a Roma,alla salita di Sisto V. Di altre fontane si conosce solo il progetto: unavasca al cui centro si ergeva un monte scavato dagrotte, identificabile forse con il Parnaso; un’altrain cui dalle grotte uscivano salamandre fiammeg-gianti, mentre draghi erano raffigurati sulla cupola del tempietto rotondo posto al centro.L’intervento di Andrea Matteo fu mirato ad in-grandire i giardini paterni e ad aggiungere i pa-lazzi “del Boschetto” e “del Belvedere” sotto SanLeucio, entrambi attorniati dai loro giardini dipertinenza.

1636 da Pietro De Marino e da Francesco Guerraal fine di descrivere, in modo estremamente accurato, le rendite e le tipologie dei beni presenti alla morte di Andrea Matteo: «larghestrade nel principio, et nel mezzo, et per traverso,per le quali da un solo luogo si vedono tre stradeper le quali nel mezzo in testa et nel fine sono bel-lissime fontane, quali fanno bellissima prospet-tiva di lontananza»98. A tale caratteristica fariferimento anche il poeta napoletano Giulio Ce-sare Cortese nella sua opera Viaggio di Parnaso,quando il protagonista, giunto alla dimora diApollo, ne descrive accuratamente il giardino.

Èie lo parco no bello ciardino:Che Pardo, che Ranciuose de Castiglia?Che starza de Caserta e d’Avellino,Dove besogna fare arco le ciglia?Che, becino Sciorenza, PratolinoChe la natura fa ghire a la striglia?Tutte chisse so’ niente a pietto a chisto,Ma no’ lo credarrà chi no’ l’ha bisto99.

La citazione di Caserta da parte del Cortese è em-blematica della bellezza del giardino degli Ac-quaviva, considerato, dal poeta, degno termine diparagone per il giardino di Apollo sul Parnaso,anche se quest’ultimo è, ovviamente, ancora piùspettacolare per vastità ed amenità dei luoghi. La citazione offre alcuni importanti spunti di ri-flessione: innanzi tutto l’uso del termine starza,cioè vasto podere, è attestazione proprio della tra-sformazione totale del sito, che non si era limitataalla villa vera e propria, ma si era estesa anche alterritorio nel suo complesso. In secondo luogo l’associazione del giardino diCaserta con quello dei Principi di Avellino, e inseguito con la villa di Pratolino, vicino Firenze(Sciorenza), indica quale sia stata la particolaritàdel luogo, di fronte al quale, dice Cortese, biso-gna inarcare le sopracciglia per lo stupore: la pre-senza, tra le altre, di fontane animate da automiazionati idraulicamente.Giulio Antonio si era, infatti, avvalso dell’operadi Giovanni Antonio Nigrone, esperto fontaniereattivo tra Napoli e Roma, artefice, nell’aprile del1606, della costruzione di un’elaborata fontanaper il Principe di Avellino, raffigurante un pae-

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Giovanni Antonio Nigrone, fontana realizzata per il giardino di Giulio Antonio Acquaviva.

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all’interno del Palazzo al Boschetto, ne possonoforse dare un’immagine parziale, se si intendonogli scorci delle ville rappresentate non come sem-plice frutto della creazione artistica, ma come ri-proposizione di frammenti della realtà circostantel’edificio:

una sequenza di giardini di fiori, agrumeti, labirinti,giochi d’acqua, fontane e peschiere, fino al bosco,dove tra altri giardini di agrumi e di fiori si trovavanonove fontane di stucco e marmo, un teatro, un’uccel-leria con la delicata rete in ottone, una peschiera e ilcasino a pianta quadrata della Pernesta102.

Un’immagine estremamente simile a quella chedoveva avere il giardino rinascimentale degli Ac-quaviva può essere data, ad esempio, da un raf-fronto con villa Barbarigo a Valsanzibio, sebbenenumerose circostanze non abbiano permesso lacompleta realizzazione del progetto. In questa villa veneta, infatti, era previsto unospazio rettangolare suddiviso in moduli quadratidi 40 metri di lato, ognuno dei quali avrebbe do-vuto ospitare un episodio particolare del giardino,secondo un ordine prestabilito.

Il primo si prolungava nella complessa struttura rea-lizzata «dentro del Boschetto», il nemus cui si acce-deva da una porta ornata da «un Sileno et una sirenapiccola», mentre una Flora era nella nicchia sulla«strade per l’uccelleria» e un Ercole in quella «all’en-trata del parco al pontone». Era stato creato anche unteatro (…) nel quale «sono otto statue poste in sopra(…) un Ermafrodito, la dea Salute, Ercole, Cerere,Batto, Diana, Esculapio et Adone», nella nicchia vi-cina vi era una «venere ignuda».La presenza di due«camera di bascio» lascia pensare a ninfei sotterranei,mentre il «puttino marino» sulla fontana posta «nelmezzo del giardino» potrebbe essere quello realizzatosempre da Nigrone «al nuovo giardino» insieme aduna composizione di tre vasche con Perseo, Andro-meda e il mostro100.

Gli Acquaviva trasformarono, quindi, una resi-denza di campagna in una villa rinascimentalecon giardini all’italiana secondo il gusto più allamoda, completi di fontane, statue e giochi d’ac-qua, «che superava per amenità, per lusso ed ele-ganza le ville tuscolane romane»101. Quale fosse l’aspetto complessivo del giardinodegli Acquaviva è tuttavia difficile conoscere; gliaffreschi presenti nella stanza di Adamo ed Eva,

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Giovanni Antonio Nigrone, fontane realizzate nel 1587 per Giulio Antonio Acquaviva.

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Il progetto di Vanvitelli non escluse totalmente lepermanenze degli Acquaviva, ma cercò costante-mente una loro integrazione nel nuovo disegnodell’impianto del parco. In particolare le due zonead est e ad ovest del palazzo reale, rispettiva-mente i tre giardini ed il frutteto collegati alla re-sidenza degli Acquaviva, e le aree del Palazzo delBoschetto e del Bosco Vecchio, vennero inseriteall’interno della nuova maglia geometrica purmantenendo le proprie irregolarità. Inoltre Van-vitelli cercò fin dal principio di recuperare l’im-pianto idrico esistente, seppure fossero necessarieingenti spese per ripristinare la funzionalità delletubature. L’antico impianto captava, infatti, le acque dellasorgente di Casolla in quantità sufficiente da per-mettere il funzionamento delle fontane presentinei giardini e nel parco ed in seguito approvvi-gionare anche il villaggio Torre. Il ripristino ditale acquedotto, denominato convenzionalmenteCondotto Vecchio, avrebbe potuto garantire,quindi, il corretto funzionamento delle fontaneancora esistenti e recuperate, anche se sarebbestato decisamente insufficiente per le nuove esi-genze.

All’interno dei lotti di terreno, suddivisi da vialidi diversa ampiezza, si ritrovano quasi tutti glielementi citati in riferimento alla descrizionedella villa casertana: un giardino di agrumi, ungiardino ricamato – ovvero un parterre de brode-rie di derivazione francese – un boschetto rac-chiuso da reti per trattenere fagiani ed altriuccelli, un teatro con scene di verde, una garennaper conigli – riconducibile ai leporari delle anti-che ville romane – un serraglio per animali, duepeschiere, un labirinto, nonché numerose fontanee giochi d’acqua.Il luogo dell’intervento di Vanvitelli era quindifortemente connotato da un carattere ameno e pia-cevole, destinato già da alcuni secoli ad «uso dideliziose magnificenze». Sebbene l’area fosse caduta in stato di abbandono a partire dal 1687, inseguito alla scomparsa del principe Filippo Gaetani, marito di Anna Acquaviva, ultima discendente della famiglia, al momento dell’ac-quisto da parte dei Borboni l’impianto del parcoera ancora perfettamente leggibile nella sua struttura delineata dagli imponenti alberi e daimanufatti artistici, e l’architetto si trovò ad inter-venire su una preesistenza non trascurabile.

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Autore ignoto, dipinto raffigurante il progetto del giardino di Villa Barbarigo a Valsanzibio, 1619-1626 circa.

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st’acqua si dovrà spendere della polvere per fare sal-tare sassi vivi, anzi selci, il che sarà un poco faticoso,ma tutto si fa massimamente quando un monarcavuole106.

Gli avvenimenti occorsi durante la realizzazionedell’opera, specialmente la partenza di Carlo diBorbone da Napoli nel 1759 e la morte di Vanvi-telli nel 1773, non permisero la perfetta aderenzaal progetto, provocando un ridimensionamentodel Parco in termini di impianto ed apparato de-corativo. Alcune delle preesistenze degli Acqua-viva sono andate perdute, soprattutto i famosigiardini dei quali non rimane alcuna traccia; altrenon risultano completamente inserite nell’operarealizzata, come accade per il Palazzo del Bo-schetto. Attualmente l’unica zona presente nelParco, riconducibile all’antica famiglia feudalenapoletana, è l’area del Bosco Vecchio, sebbeneal suo interno interventi sette-ottocenteschi ab-biano contribuito a modificare l’identità del sito.Esemplificativo è quanto accaduto alla cinque-centesca torre detta Pernesta, dal nome della se-conda moglie di Andrea Matteo Acquaviva,Francesca di Pernstein: sopraelevata e dotata dibastioni e fossato, per renderla più simile ad unafortezza, è stata ribattezzata Castelluccia.

Dell’acqua che vi è non se ne puol fare altro capitaleche per fare un grandissimo serbatoio, da cui in occa-sione di feste publiche si puotranno derivare le acqueper fare giocare tutte le fonti insieme, come si fa aVersaglies. Ho ritrovato che scavano in un condottoantico, dove sperano di ritrovare l’acqua, ma tutti l’in-dicativi mi dicano che saranno stillicidii di vene capil-lari, sufficienti per riempire pozzi, ma non già scorrererivi, come esigerebbero le fonti del Giardino Reale103.

Il rinvenimento di due altre sorgenti «una dettadi Giove, alta palmi 39 dal condotto antico, l’altradetta di Fontanelle alta palmi 138»104, che inte-gravano la quantità d’acqua del Condotto Vec-chio, permise invece di costruire una rete minoreper l’approvvigionamento idrico del cantieredella Reggia105. In particolare

Una sorgente detta le Fontanelle distante circa duemiglia e un terzo dal condotto antico è la migliore etè la sicura; la quale presentemente darà circa 6 o 8oncie di acqua di nostra misura, et ancora si puotrà ri-pulire ed aquistare qualche altra quantità, di modo checon questa, e con qualche altro aquisto di acqua per lastrada e vene piccole e stillicidii, si puotrà avere unasufficiente quantità ma non già rivi, come noi siamoavvezzi ad avere in Roma. Per la condottura di que-

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Parco di Caserta, Giardino inglese. Statua di pastore e statua di Atlante dal Parco dei Principi Acquaviva.

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Per quanto riguarda l’apparato decorativo, scom-parse le fontane, solo alcune statue cinque-sei-centesche sono state recuperate ed inserite comeelementi pittoreschi all’interno del Giardino I nglese: una sfinge, una statua di Atlante, un pa-store che suona il flauto – forse il Batto107 citatoda Anna Giannetti, anche se, per analogia con unasimile statua di Villa Barbarigo a Valsanzibio, po-trebbe trattarsi di Ermes, divinità protagonistadello stesso racconto mitologico – dal cui stru-mento si origina il ruscello che alimenta il lagoposto più a valle.Ma per quanto la dimora dei Principi di Casertanon esista più, le parole dettate dal gesuita Giovan Battista d’Orsi, per l’epigrafe incisa sulportone del palazzo Acquaviva, sono ancora ap-plicabili al sito che, nonostante le trasformazionisubite, non ha perso le proprie caratteristiche:«Campaniae Felicis Ocellum: Natura loci, soler-tia artis, Feracitate Solis, salubritate Coeli Pe-rennitate Fontium, varietate Florum: ElegantiaVillae, descriptione viarum Umbra, Sole, fruge,fructibus Laetum Inchoavit, absolvit, AndreaMatteus Acquivivus Princeps, Casertae»108. La sostituzione del nome di Vanvitelli, o per megliodire di Carlo di Borbone, a quello di Andrea MatteoAcquaviva, non comporterebbe modifiche sostan-ziali alla descrizione delle proprietà del luogo.

La sovrapposizione dei giardini, quello settecen-tesco su quello di impianto rinascimentale, attuatain continuità piuttosto che in contrapposizione, haanzi garantito che l’essenza stessa del sito, identi-ficabile nella copiosa presenza d’acqua, esaltatadalle numerose fontane, fosse rispettata e conser-vata. Il nemus su cui vegliava Diana Tifatina si ètrasformato in locus amoenus, ma non per questoha perso la sua sacralità.«HUI NIMPHA LOCI SACRI CUSTODIA FON-TIS DORMIO DUM BLANDE SENCIOMURMU AQU- AT TU QUISQUIS LOCA CON-CAVA FONTIS TANGIS SIVE BIBAS SIVE LA-VARE TAC-»109, recita l’iscrizione posta su unalastra di marmo statuario datata 1496. È il reperto più antico appartenente al giardinodegli Acquaviva, e, per un gioco di parole, forserappresentativo della famiglia stessa. Su di essola Ninfa dormiente, secondo un topos ampia-mente diffuso nel Quattrocento110, si proponecome genius loci, custode della fonte e, per esten-sione, nume tutelare dell’intera area. Vanvitelliha saputo cogliere il significato di entrambe le fi-gure: la dea e la ninfa si fondono in un unicumalla base della cascata. Diana, divenuta custodedelle acque, punisce duramente chiunque le rechidisturbo, ovvero chiunque violi il sito; e per l’im-prudente Atteone non esiste via di scampo.

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Caserta, Museo dell’Opera. Bassorilievo proveniente dal Parco dei Principi Acquaviva, 1496.

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1. Giuseppe GHIGIOTTI, Luigi Vanvitelli, mediatore di dueistanze culturali nella progettazione del parco di Ca-serta, in Luigi Vanvitelli e il ‘700 europeo, cit., vol. II,p. 63.

2. Nella seconda metà del XVIII secolo, con il progres-sivo avvento del giardino di paesaggio, legato ad ungusto più romantico, e con la definitiva caduta dell’An-cien Régime, avviene il radicale mutamento che portaalla fine del giardino formale. Paradossalmente proprioin Caserta è presente uno dei primi giardini inglesi natisul suolo italiano, cosicché, a pochi metri di distanza epressoché negli stessi anni, la Reggia è testimone del-l’affermarsi del nuovo gusto e del definitivo declinodel precedente.

3. Giuseppe GHIGIOTTI, op. cit., vol. II, p. 63.

4. Jacques Boyceau de la Barauderie (1560-1633) fu cu-ratore dei giardini sotto il regno di Luigi XIII, occu-pandosi del primo giardino di Versailles, insieme alnipote Jacques de Menours, dei giardini del Lussem-burgo, delle Tuileries e di Saint-Germain-en-Laye.

5. Si distingue nel settore l’opera della famiglia Francini,dinastia di idraulici fontanieri di origine italiana. Tom-maso, chiamato nel 1599 da Enrico IV, è il costruttoredei meccanismi idraulici delle grotte del castello diSaint-Germain e di sei grandi fontane a Fontainebleau;il figlio Francesco è invece l’artefice del complessoimpianto di Versailles, compresi i necessari serbatoi ei più spettacolari effetti idraulici dei boschetti.

6. Sembra che i primi boschetti realizzati in Francia sianostati quelli dello scomparso castello di Saint-Germain-le-Neuf, costruito nel 1600 sotto la direzione di archi-tetti italiani, ma è dal 1650 che i bosquets diventanoparte integrante dei giardini, proposti anche nei precettiteorici di Claude Mollet e Boyceau de la Barauderie.

7. Attualmente il più grande insieme sopravvissuto, di si-stemazioni à bosquets, è il parco di Versailles: i bo-schetti di Encelado, delle Sorgenti, des Dômes, del’Obélisque, de l’Etoile, des Rocailles, de la Reine, desBains d’Apollon; e ancora l’Arc de Triomphe, le TreFontane, il Berceau d’Eau, la Colonnade, il Marais,l’Isola Reale, la salle des Marroniers sono solo alcunedelle installazioni realizzate all’interno del Parco nelcorso della sua esistenza. In parte ancora presenti, inparte modificati, distrutti, sostituiti appena costruiti, iboschetti di Versailles parlano dell’estrema libertàcompositiva, della fantasia e dell’estro creativoespressi nella realizzazione di queste opere. Tra le nu-merose perdite, significativa dell’esistenza effimera diqueste installazioni è quella del Labirinto, magico per-corso tra le favole di Esopo, ideato nel 1669 da Charles

Perrault. La fragilità del decoro delle 39 statue dipiombo dipinto, unita alla decisione di rinnovare l’im-pianto del giardino, ne determinò la distruzione e la so-stituzione nel 1775 con il più alla moda, e menoaffascinante, Bosquet de la Reine.

8. Claude Mollet (1563-1650) è membro di una dinastiadi giardinieri che lavorarono per numerosi re francesi,da Enrico II a Luigi XV. In qualità di primo giardinieredel re sono da ricordare i suoi interventi a Fontaine-bleau e a Saint-Germain e, soprattutto, l’organizza-zione del primo giardino di Versailles, al seguito diBoyceau de la Baraudière, e delle Tuileries insieme aJean Le Nôtre, padre del più celebre André.

9. André Mollet (?-1665), figlio di Claude ed erede dellalunga tradizione familiare, fu attivo soprattutto oltre iconfini francesi, progettando giardini, per la reginad’Inghilterra e per la famiglia d’Orange nei PaesiBassi, e divenendo responsabile dei giardini della Se-renissima Regina di Svezia.

10. Jean de La Quintinie (1626-1688), avvocato, fu il su-pervisore degli orti e dei frutteti di Vaux, Chantilly eSceaux; nominato in seguito direttore dei frutteti edegli orti della Casa Reale, progettò tra il 1678 e il1683 il Potager de Versailles, destinato all’approvvi-gionamento di frutta e ortaggi per la tavola del re.

11. Avvocato in Parlamento e segretario del re, Antoine-Jo-seph Dézallier d’Argenville (1680-1765) fu soprattuttoun grande amante dei giardini. Di sua mano, oltre al-l’opera La théorie et la pratique du jardinage, vannoricordati i numerosi articoli sull’argomento scritti perl’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert.

12. Antoine-Joseph DÉZALLIER D’ARGENVILLE, La théorieet la pratique du jardinage, 1739, pp. 345, 361.

13. Le parole dell’epitaffio autografo di André Le Nôtresono tratte da Luigi ZANGHERI, Storia del giardino edel paesaggio, Leo S. Olschki, Firenze, 2003, p. 111.

14. Il nonno Pierre aveva partecipato alla realizzazionedelle Tuileries fin dal 1572.

15. Leonardo BENEVOLO, La cattura dell’infinito, Laterza,Roma-Bari, 1991, p. 48.

16. Jean de LA FONTAINE, Le Songe de Vaux, capitolo I, inID., Oeuvres diverses, testo stabilito e commentato daPierre Clarac, Gallimard, Paris, 1958, p. 82.

17. Nel leggere le descrizioni di La Fontaine relative aVaux bisogna tuttavia ricordare che, come osservaPierre Clarac, il 12 settembre 1663 il poeta così scri-veva alla moglie: «vous savez mon ignorance en ma-tière d’architecture, et que je n’ai rien dit de Vaux quesur des mémoires». Ivi, p. 816.

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

NOTE

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18. Leonardo BENEVOLO, op. cit., p. 38.

19. Jean de LA FONTAINE, Le Songe de Vaux, Avvertimentoai lettori, in ID., op. cit., pp. 78-79.

20. Discorso di Calliopée. Ivi, p. 93.

21. È qui forse necessario ricordare che la Reggia di Ca-serta, così come si presenta oggi, è un’opera incom-piuta. Osservando, perciò, soltanto le parti realizzate,risulta maggiormente difficile riuscire a leggere l’unitàricercata nel progetto vanvitelliano.

22. Leonardo BENEVOLO, op. cit., p. 38.

23. Jean de LA FONTAINE, Le Songe de Vaux, Discorso diPalatiane, in ID., op. cit., p. 86.

24. Gianni VENTURI, Genius Loci: il giardino, la memoria,gli eroi, in Il giardino e la memoria del mondo, a curadi Giuliana Baldan Zenoni Politeo e Antonella Pietro-grande, Leo S. Olschki, Firenze, 2002, p. 112.

25. Leonardo BENEVOLO, op. cit., p. 41.

26. Jean de LA FONTAINE, Le Songe de Vaux, Avventure diun salmone e di uno storione, in ID., op. cit., p. 98.

27. Leonardo BENEVOLO, op. cit., p. 41.

28. «Nella storia della progettazione di giardini, Vaux-le-Vicomte occupa un posto molto importante, perché te-stimonia di un atteggiamento profondamenterivoluzionario: qui per la prima volta, il giardino pat-tern – precedentemente tagliato fuori dall’ostile mondograzie a un confine chiaro e preciso – attraversa il con-fine e invade la natura. A Vaux, il canale è posto per-pendicolarmente all’asse e quindi esce dal giardino bencurato per entrare in quella natura selvaggia, incontrol-lata e a lungo considerata sgradita, che, nel baldanzosoXVII secolo, parve pronta per essere affrontata dal-l’uomo». Charles W. MOORE, William J. MITCHELL,William TURNBULL Jr., Poetica dei giardini, FrancoMuzio editore, Padova, 1991, pp. 244-245.

29. Le parole di Luigi XIV sono riportate da Simone HOOG,Jardins à Versailles, Art Lys, Parigi, 2001, p. 8.

30. L’attuale immagine del Parterre Nord è, tuttavia, fruttodel completamento della decorazione attuato sotto ilregno di Luigi XV. Nel suo trattato, Dézallier d’Ar-genville così descrive la decorazione più appropriataper i bacini in cui si riscontra la presenza di cascated’acqua: «On les accompagne d’ornemens maritimesconvenables aux Eaux, comme de glaçons, de rocailles,de congélations, petrifications, coquillages, feuillesd’eau, joncs & roseaux imitant le naturel, qui servent àrevêtir le parements des murs & bordures des Bassins.On les orne de figures; dont le naturel est d’être dansl’Eau, comme de Fleuves, de Naïades ou Nymphes desEaux, de Tritons, de Serpens, Chevaux marins, Drag-ons, Dauphins, Grifons, Grenouilles, ausquels on faitlancer & vomir des traits & torrens d’eau». Antoine-Jo-seph Dézallier d’Argenville, op. cit., 1739, p. 361.

31. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 340.

32. I frutti prodotti dalle piante non erano commestibili,però l’aspetto decorativo ed il profumo dei fiori basta-vano a destare meraviglia e stupore nei contemporanei.Per ottenere questo si svilupparono varie tecniche apartire dal Quattrocento, ma fu soltanto con il trattatodi Jean de La Quintinie che si arrivò a codificare tuttociò che è necessario, nei climi più freddi, per la soprav-vivenza degli alberi di agrumi. L’unico modo per otte-nere quanto richiesto – terra ricca, molta luce,annaffiature abbondanti, aria aperta quando la tempe-ratura lo consente – fu di creare artificialmente dei luo-ghi per la coltivazione di questi alberi. Il XVII secoloè il momento di maggior sviluppo di tale tipo di edifici– le Orangeries – di cui quello di Versailles costituisceun esempio tra i più riusciti, essendo collocato su diuna terrazza esposta a sud, ed avendo mura solide eparzialmente interrate al di sotto del castello stesso.

33. Károly Kerény è di aiuto per comprendere la dinamicadel viaggio notturno del Sole: «Si raccontava che il diodel Sole, all’ora del tramonto, saliva in una grandecoppa d’oro (…). Questa coppa portava il dio – così ciè stato descritto – attraverso le onde, come un piace-vole giaciglio concavo che Efesto aveva forgiato conoro prezioso e aveva fornito di ali. Questo veicolo por-tava ad una velocità vertiginosa il dio addormentatosulla superficie dell’acqua e lo conduceva dai luoghidelle Esperidi al paese degli Etiopi, dove erano prontiper lui il carro veloce e i destrieri, quando si avvicinavala dea dell’Aurora, Eos, la precocemente nata». KárolyKERÉNY, Gli dei e gli eroi della Grecia, vol. I, Garzanti,Milano, 1984, p. 178.

34. La disposizione di queste statue segue la volontà dellostesso Le Nôtre, che richiedeva l’impiego di sculture dipietra, di marmo, di piombo o di bronzo, per porre l’ac-cento sulle linee principali del giardino.

35. A tal proposito si ricorda che ancora oggi le varie re-gioni francesi vengono denominate attraverso il princi-pale corso d’acqua che le attraversa.

36. Charles W. MOORE, William J. MITCHELL, WilliamTURNBULl Jr., op. cit., p. 247.

37. «Giunta nel territorio di Licia, che è patria della Chi-mera, quando il sole bruciava aspramente i campi, ladea, sfinita dalle lunghe fatiche, ebbe sete per la calura:i figli le avevano avidamente succhiato le poppe. Percaso vide in fondo a una valle un piccolo lago, dove icontadini raccoglievano vimini assieme ai giunchi ealle alghe che nascono nelle paludi. La figlia del Titanosi accostò e pose il ginocchio a terra per attingere l’ac-qua freschissima e berla, ma glielo impedì la massa deicontadini e la dea disse loro: “Perché mi volete toglierel’acqua? È comune l’uso dell’acqua: né il sole né l’ariané le acque la natura li ha fatti privati; vengo a un benepubblico, eppure vi supplico di darmelo come un dono.

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Alla sorgente. Presupposti del Parco della Reggia di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

(…) Ma loro si ostinano a respingere la sua preghiera,e aggiungono insulti e minacce se non se ne va; e an-cora non basta: con piedi e mani intorbidano il lago, econ salti maligni smuovono dal fondo qua e là il mollefango. L’ira caccia la sete, e infatti la figlia di Ceo nonsupplica più, non vuol più rivolgere a quegli uominiindegni parole che non sono all’altezza di un dio e, al-zando le mani al cielo disse: “vivete dunque per sem-pre in questo stagno!”. Si realizza il suo desiderio:quelli (…) mutati in rane, sguazzano nell’acqua fan-gosa». OVIDIO, Le Metamorfosi, trad. it. di Guido Pa-duano, I Classici Collezione, Arnoldo Mondadorieditore, Milano, 2007, VI, vv. 339-352; 361-370; 381.

38. La Fronda è il movimento di rivolta scoppiato in Fran-cia dal 1648 al 1653 contro il potere acquisito da Ma-zarino, nel vano tentativo di contrastare l’assolutismomonarchico. Alla morte di Luigi XIII, avvenuta nel1643, era infatti salito al trono un Luigi XIV bambinodi appena cinque anni, in vece del quale la reggenzaera tenuta dalla madre, Anna d’Austria, legata a Ma-zarino da forti vincoli di fiducia e collaborazione.

39. Il boschetto della Colonnata è costituito da un peristilioperfettamente circolare di 32 metri di diametro, con 32colonne ioniche di marmo accoppiate a 32 pilastri edalternate a 32 fontane circolari. Al di sopra delle arcatee della cornice, 32 urne completano la composizione.

40. La frase è riportata da Béatrix SAULE, Daniel MEYER,Versailles, Art Lys, Versailles, 2003, p. 82. Probabil-mente Le Nôtre, oltre a non gradire la totale assenza dielementi vegetali, non aveva particolarmente apprez-zato la sostituzione del suo boschetto delle Sorgenti,in cui piccoli viali tortuosi erano fiancheggiati da nu-merosi ruscelli, con questa colonnata interamente inmarmo.

41. Oltre ai cortigiani che avevano diritto di accesso per-manente e che, secondo il loro rango, potevano acce-dere ai luoghi più prestigiosi, una folla, la più disparata,andava a Versailles per ammirare un luogo già celebrenell’Europa intera. I giardini erano, infatti, aperti alpubblico, anche se con modalità che cambiavano moltofrequentemente.

42. La Manière de montrer les Jardins de Versailles è cor-rentemente datata al 1705, ma, grazie a Mme de Main-tenon, è noto che il re aveva iniziato la stesura a partiredal 1690. Di tale trattato esistono sei versioni, conser-vate nella Biblioteca Nazionale di Francia, alcune au-tografe, altre scritte da un segretario e corrette dal re.Le numerose versioni, prima della redazione definitiva,sono evidentemente dovute alla progressione dei lavoriin corso.

43. La Grande Commande del 1674 aveva come oggettouna serie di statue che avrebbero completato la deco-razione dei parterres con le allegorie previste da LeBrun, ispirate all’Iconologia di Cesare Ripa, rappre-

sentanti gli elementi soggetti all’influenza del sole.Ogni aspetto della vita vi era compreso: i quattro ele-menti, le quattro parti del mondo, le quattro ore delgiorno, le quattro stagioni, i quattro tipi di poema ed iquattro temperamenti dell’uomo. Impossibile, dunque,sottrarsi alla presenza dell’astro, ovvero impossibilesottrarsi alla figura del re.

44. Richard Roudaut, Le Nôtre. L’art des jardins à la fran-çaise, Parangon, Paris, 2000, p. 32.

45. Singolarmente, oltre ai vascelli, era possibile trovarealcune gondole donate dalla Repubblica di Venezia;per la conduzione di queste tipiche imbarcazioni ungruppo di marinai veneziani, a partire dal 1674, si sta-bilì lungo le sponde della via d’acqua, aggiungendosialla numerosa folla di addetti alla manutenzione deibattelli.

46. La villa del Belvedere nasce, infatti, come luogo diesposizione della collezione scultorea del papa.

47. È del 1587 la decisione di Sisto V di costruire unanuova e più ampia sede per ospitare l’enorme quantitàdi libri e manoscritti raccolti nella Biblioteca Vaticana.Del progetto fu incaricato Domenico Fontana.

48. Giuseppe GHIGIOTTI, op. cit., vol. II, p. 63.

49. Luigi Vanvitelli, lettera del 9 marzo 1754 al fratello Ur-bano, in Franco STRAZZULLO, Le lettere di Luigi Van-vitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, CongedoEditore, Galatina, 1976, vol.I, p. 314.

50. Giuseppe GHIGIOTTI, op. cit., vol. II, p. 64.

51. Ad esempio nella Villa di Pratolino «il parco, immagi-nato secondo un orientamento nord-sud che passavaper il cuore stesso della villa, aveva nel vertice supe-riore del sistema la fonte di Giove, la quale presentavala scultura del sovrano dell’Olimpo raffigurata conl’aquila al fianco e con il fulmine aureo nella destrasprizzante acqua, l’elemento generatore e l’assolutoprotagonista simbolico del parco. Seguendo la traietto-ria dell’elemento trasparente verso valle si incontravaun labirinto di alloro e un prato ottagonale con unagrande pergola metallica per, poi, giungere al colossodell’Appennino. (…) Come un genius loci tutore deiluoghi l’Appennino schiacciava la testa ad un mostro,e dava nuovo vigore all’acqua che scaturiva nellagrande vasca ai suoi piedi. Nella residenza di France-sco I, situata davanti al grande prato dell’Appennino,l’acqua vivificava una sequenza inimitabile di stanzesegrete e di meraviglie meccaniche». Luigi ZANGHERI,Pratolino. La grande macchina del cosmo, in Il giar-dino e la memoria del mondo, cit., pp. 44-45.

52. «Il cosmo di Zeus presuppone il progetto di un mondoumano: i paesaggi comprensivi di uomini e templi. Inquesto mondo – come dimostrano gli Inni omerici –agisce la prima scissione tra la natura vergine, selvag-gia, simbolizzata da Artemide, e il paesaggio, natura

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addomesticata dall’uomo e/o dagli dei, patrocinata dalgemello Apollo, portavoce di Zeus e costruttore diDelfi, primo grande giardino-paesaggio. Il dio de-miurgo innalza un tempio vicino alla “fonte dalle belleacque”, probabilmente la ninfa Kastalia, in una zonaricca di sorgenti, quasi a ribadire l’importanza vitaledell’acqua per un paesaggio, contenitore di operedell’uomo (erga) contemplabili, appunto, dal tempio».Massimo VENTURI FERRIOLO, L’acqua nel paesaggiotra mito e storia, in Atti del Convegno – Terme di Co-mano, 29-30 settembre 2000, p. 10.

53. Non lontano da Viterbo, luogo favorito per la residenzaestiva dai vescovi di questa città, la proprietà di B gna iasi configura, alla fine del XV secolo, come un barco,cioè un territorio recintato per la caccia, appartenenteal cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV. Nel1523 Niccolò Ridolfi fa costruire un primo casino dicaccia e l’acquedotto, opera di Tommaso Ghinucci; maè solo dal 1566, con il vescovato del cardinale GiovanFrancesco Gambara, segretario del papa Giulio III edamico di Alessandro Farnese, che ha inizio la trasfor-mazione della residenza e del giardino. Per il progettosi cita il nome di Jacopo Barozzi da Vignola, impe -gnato nello stesso periodo nel palazzo dei Farnese aCaprarola, anche se non si è ancora potuta precisare laportata effettiva del suo intervento.

54. È interessante notare l’attribuzione, fatta da AntonellaPampalone a Luigi Vanvitelli quindicenne, di una Ve-duta di Villa Lante a Bagnaia. Tale disegno autografocoglie già pienamente gli elementi costituenti il giar-dino – l’asse centrale, il verde sagomato e le fontane –quegli stessi elementi che, ad una scala diversa, sa-ranno riproposti in Caserta. Cfr. Claudio MARINELLI,in Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera,Electa Napoli, 1993, p. 43.

55. Si veda, ad esempio, la cascata realizzata da André LeNôtre per il parco di Marly.

56. Occorre ricordare che gli elementi costituenti i giardinidelle ville italiane del Cinquecento vennero esportatiin tutte le corti europee dalle maestranze che avevanocontribuito alla loro costruzione.

57. Luigi Vanvitelli, lettera del Primo gennaio 1754 al fratello Urbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 297.

58. Volontà dei sovrani europei era di circondarsi di artistiadeguatamente preparati riguardo al nuovo stile.

Alcuni di essi inviarono quindi, in Francia, propri arti-sti, affinché si formassero direttamente presso LeNôtre; tra questi l’architetto Nicolas Tessin che, perconto del re di Svezia, si recò numerose volte a Ver-sailles. Durante i suoi soggiorni Tessin realizzò nume-rosi rilievi delle opere e riuscì a creare un legame diamicizia con le Nôtre, che gli fece dono di alcuni suoidisegni. L’insieme di tali documenti, conservati presso

il Museo Nazionale di Stoccolma, testimonia l’in-fluenza diretta di Le Nôtre su alcune realizzazioni sve-desi. In particolare Tessin, dal 1680, mise in operaalcuni dei modelli osservati, realizzando i giardini realidi Drottningholm, in cui è possibile ravvisare un in-flusso di Chantilly e di alcune parti di Vaux-le-Vicomte.

59. In realtà occorre svincolare ciò che deriva direttamentedall’invenzione di Le Nôtre da ciò che risulta essereespressione della volontà, da parte di committenti edesecutori, di ispirarsi agli esempi francesi, in particolarmodo a Versailles. Lettere e disegni attestano che LeNôtre fu più volte sollecitato dai sovrani stranieri, aiquali inviò consigli e progetti. Esiste anche una plani-metria di sua mano per il giardino di Greenwich, ed ilsuo nome è citato per i giardini di Saint-James e diHampton Court, dove lavorò il francese Daniel Marot.Si parla anche di progetti che Le Nôtre avrebbe pro-dotto al termine del suo viaggio a Roma, quando PapaInnocenzo XI l’avrebbe consultato per il giardino diCasigliano. Il suo nome viene legato, infine, al giardinodi Charlottenbourg a Berlino, realizzato dal giardinierefrancese Siméon Godeau. In ogni caso queste restanotutte congetture e sembra che nessuno dei suoi progetti,per committenti al di fuori della Francia, sia mai statorealizzato.

60. Chiristian Norberg-Schulz, Architettura Tardobarocca,trad. it. a cura di Michele Lo Buono, Electa, Milano,1980, p. 10.

61. Il castello di Schleissheim è in realtà costituito da trepalazzi: il Castello Vecchio, iniziato nel 1598 e modi-ficato tra il 1617 ed il 1623; il Castello Nuovo, co-struito fra il 1701 ed il 1704 da Enrico Zuccali; ilCastello Lustheim, già costruito, fra il 1684 ed il 1688,in occasione delle nozze del principe Max Emanuelcon la figlia dell’imperatore, Maria Antonia.

62. Singolare è che il palazzo di Herrenchiemsee si riferi-sca a Versailles non solo nell’impianto, ma anche nellatoponomastica.

63. In seguito alla morte di Le Blond, avvenuta nel 1719,Michetti proseguì lo sviluppo del Parco Superiore e delParco Inferiore, tentando di conservare lo stile dell’ar-chitetto francese. Successivamente i lavori furono pro-seguiti da Bartolomeo Rastrelli.

64. La statua commemora la vittoria della Russia sulle ar-mate di Carlo XII di Svezia – nazione nel cui stemmaè il simbolo del leone – avvenuta nella battaglia dellaPoltava, in Ucraina, il 27 giugno 1709, giorno dedicatoa S. Sansone. Tale data è fondamentale anche per la na-scita della stessa residenza di Peterhof, poiché, in se-guito alla vittoria, lo zar decise la costruzione di unaVersailles sul mare.

65. I giardini formali derivano dalla collaborazione tra loscultore René Carlier, il giardiniere Esteban Boutelou

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e l’ingegnere militare Esteban Marchand. Tra gli scul-tori che lavorarono anche presso la corte di Luigi XIVsono da ricordare i nomi di René Frémin e JeanThierry.

66. In questa piazzetta convergono otto strade, con ottofonti dedicate ad otto divinità: Nettuno, la Vittoria,Marte, Cibele, Saturno, Minerva, Ercole e Cerere. Ilpunto di convergenza è caratterizzato dal gruppo diMercurio che solleva una figura, liberamente interpre-tata come Psiche che fugge dagli Inferi o come Pan-dora.

67. Grazie al suo getto alto circa 50 metri, all’epoca il piùalto d’Europa, la Fontana della Fama permette di leg-gere il dislivello presente tra la vasca ed il serbatoiodel Mar.

68. Sembra interessante notare, a questo proposito, comeentrambe le fontane, di Eolo e del Bagno di Diana, co-stituiscano anche due degli elementi predominantinella successione delle vasche in Villa Barbarigo a Val-sanzibio, di circa un secolo precedente alla residenza diFilippo V, evidenziando un carattere comune nellascelta dei temi decorativi per le fontane.

69. In Piemonte sembrerebbero attribuibili direttamente aLe Nôtre gli impianti di Racconigi e del palazzo realedi Torino, realizzati tra il 1670 ed il 1674.

70. Da essa Vanvitelli riprese, ad esempio, l’idea dei duefilari di olmi che avrebbero costituito le quinte del per-corso principale di ingresso al palazzo, accentuandol’asse prospettico che culmina sul Monte Briano.

71. Gaspar Van Wittel (Amesfoort, 1653 – Roma, 1736),pittore olandese, è considerato il fondatore del generedella veduta, che ebbe particolare fortuna nel Sette-cento. Trasferitosi in Italia a soli ventidue anni, VanWittel realizzò la propria opera soprattutto tra Roma eNapoli, non senza risentire, tuttavia, delle suggestionitipiche di un gusto nordico, attento a visioni paesaggi-stiche nitide, dettagliate, oggettive, diverse dal «pae-saggio ideale» della pittura di bolognesi e francesi cheoperavano a Roma. Carattere peculiare delle creazionidi Van Wittel è infatti proprio l’interesse per il vero,della natura come delle architetture, ispirato anche allevedute di Amsterdam di Van der Heyden, ma volto adesiti del tutto nuovi. L’Italia centro-meridionale offriva,in effetti, al suo talento di scenografo creatore di pa-norami, lo straordinario connubio tra arte e natura, im-magini illuminate dal sole e dal fascino dell’antichità.L’eccezionale capacità di concepire spazi molto vasti siuniva, nella sua arte, ad una tecnica di disegno moltoaccurata nel riprodurre il vero di una realtà che diventaracconto, animato dagli elementi naturali, come dallefigure di uomini e di animali e dai mezzi di trasporto.A Van Wittel, seguito dal Canaletto, il merito di averinaugurato il nuovo genere pittorico della veduta, dienorme successo anche nei secoli seguenti al XVIII.

Proprio dal padre dunque, Luigi sembra aver ereditatol’indagine accurata dello spazio inteso come feliceunione di realtà naturale ed invenzione architettonica,nonché l’idea di un disegno nitido della realtà, nelquale ogni dettaglio partecipa alla creazione di unmondo armonioso, in cui il mito presta il suo linguag-gio a precisi intendimenti. Si veda, a tale proposito, ilcommento di Claudio MARINELLI, in Caserta e la suaReggia..., cit., pp. 42-43.

72. Scrive Antonella Pampalone: «La suggestione di que-sta illusoria rappresentazione dipinta, che dava senso diverità all’architettura simulata, può essere stata suffi-cientemente determinante per il futuro di Vanvitelli ar-chitetto. Egli riversò il suo bagaglio culturale discenografo sulla carta (…) nella realizzazione di opereconcrete e, con la sua straordinaria esperienza, ne ri-consentì il travaso nelle arti decorative». Ivi, p. 43.

73. «Non si può essere buon architetto senza essere buonpittore». Così si esprimeva l’amico Porzio Lionardi inuna lettera indirizzata a Luigi Vanvitelli. Ivi, p. 42.

74. Sempre nell’epitaffio di André Le Nôtre si ricorda che« l’eccellenza del suo lavoro va unita alla grandezza ealla magnificenza del monarca che egli servì e dalquale fu coperto di beneficenze». Luigi ZANGHERI, Sto-ria del giardino..., cit., p. 111.

75. Ivi, p. 135.

76. La residenza di Colorno fu ristrutturata una prima voltanel 1668 per volere di Ranuccio II, al fine di creare unterrazzamento attorno al palazzo. La presenza di un ter-razzamento deriva dal Palazzo di Versailles e, a tal pro-posito, si noti come anche la Reggia di Caserta avrebbedovuto essere dotata di un terrazzamento rialzato di al-cuni gradini rispetto al parco, come risulta dalla Plani-metria dei disegni della Dichiarazione; tale strutturanon venne tuttavia mai realizzata. Nel corso dell’inter-vento di Ranuccio II il giardino di Colorno venneanche dotato, come ricorda Luigi Zangheri, «di una‘Torre delle Acque’, sul canale del Naviglio, necessariaper alimentare le fontane, gli scherzi d’acqua e gli au-tomi». In seguito, con Francesco Farnese, nuovi inter-venti furono eseguiti da Ferdinando Galli Bibiena, trail 1699 e il 1709, Giuliano Monzani, a partire dal 1711,e Jean de Baillou, che dal 1718 si occupò dell’impiantoidraulico. Ibidem.

77. Le informazioni sono tratte dal sito dell’Amministra-zione Provinciale di Parma, www2.provincia.parma.it,aggiornato al 31 agosto 2005.

78. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 136.

79. Sembra, infatti, che Carlo sia rimasto sempre legato aiterritori della famiglia materna. Quando, allo scoppiodella guerra di secessione in Polonia, Filippo ed Elisa-betta spinsero il figlio alla conquista delle Due Sicilie,Carlo, abbandonati i due ducati, partì da Firenze il 24

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febbraio 1734 ed entrò trionfalmente a Napoli il 10marzo dello stesso anno. Nello spostarsi al sud, Carlovolle portare con sé l’eco e la memoria delle residenzeparmensi, trasferendo a Napoli tutto quello che erastato raccolto e collezionato dai Farnese nei secoli pre-cedenti e che poteva essere trasportato: gli arredi, icirca quattrocento dipinti e sculture, gli oltre 13.000volumi della Biblioteca Ducale, compreso il preziosis-simo Archivio. La spoliazione delle residenze parmensifu tale che gli storici dell’epoca raccontano, sicura-mente esagerando, che «perfino i chiodi» sarebberostati smontati e portati via.

80. Si riprende l’ipotesi formulata da Luigi ZANGHERI inStoria del giardino..., cit., p. 138.

81. Antonio Farnese era stato in gioventù a Parigi, doveera rimasto colpito dai parchi di Versailles e di Marlyed aveva potuto osservare l’impianto del Bois de Bou-logne, destinato alle cacce reali. L’accesso al Bois, dal-l’abbazia di Longschamps, avveniva proprio attraversouna patte d’oie, in cui cinque viali radiali converge-vano in una piazza semiellittica. Del resto, poiché lacaccia era considerata attività propedeutica all’attivitàmilitare dei sovrani, caratteristica dei parchi venatoriera quella di assumere un impianto analogo ad uncampo di battaglia, con un andamento radiocentricodei viali. Sistemi a patte d’oie sono riconoscibili, inol-tre, in quasi tutte le sistemazioni urbane e paesaggisti-che avvenute sotto il regno di Luigi XIV.

82. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 136.

83. Giovanni Antonio Medrano e Antonio Canevari furonoincaricati del progetto del nuovo palazzo reale, chevenne approvato il 7 febbraio 1737. Il nuovo palazzo fuvoluto da Carlo III anche per poter ospitare le colle-zioni d’arte provenienti dalle proprietà dei Farnese.

84. La presenza di Ferdinando Sanfelice è registrata a Ca-podimonte a partire dal 1742. I suoi interventi al giar-dino non sembrano aver modificato sostanzialmentel’assetto del parco ideato dal Medrano e dal Canevari.

85. I lavori al parco furono controllati da Ferdinando Fugatra il 1763 e il 1766.

86. La presenza di una statua di Ercole, del tipo Farnese,al termine di un lungo asse prospettico, è riscontrabileanche in Vaux-le-Vicomte e nel Karlsberg di Kassel.

87. È da ricordare che anche la Reggia francese è nata conla volontà di trasferire la corte da Parigi; tuttavia l’in-tento di Luigi XIV era soprattutto quello di tenere sottocontrollo, in un unico luogo, l’intera classe dei nobili.

88. Giuseppe GHIGIOTTI, op. cit., vol. II, p. 64.

89. «La posizione è di eccezionale bellezza, nella più lus-sureggiante piana del mondo, ma con estesi giardiniche si prolungano fin sulle colline; un acquedotto v’in-duce un intero fiume, che abbevera il palazzo e le sue

adiacenze, e questa massa acquea si può trasformare,riversandola su rocce artificiali, in una meravigliosacascata. I giardini sono belli e armonizzano assai conquesta contrada che è un solo giardino». Johann W.GOETHE, Viaggio in Italia, trad. it. a cura di Emilio Ca-stellani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 200310,pp. 228-229.

90. Anna GIANNETTI, Dai Romani ai Borbone: il parcodella Reggia di Caserta tra memoria e vestigia, inLuigi Vanvitelli e la sua cerchia, a cura di Cesare deSeta, Electa Napoli, 2001, pp. 134-136.

91. In realtà le testimonianze archeologiche attestano unacontinua occupazione del sito a partire dal IX secoloa.C. da parte degli Etruschi, la cui città di Capua eracapitale della dodecapoli campana, e ai quali seguironoSanniti e Romani. La zona, particolarmente vivace epiena di attrattive, era attraversata da una fitta rete via-ria, la cui principale strada, la via Appia, collegavaRoma con Capua, prima di prolungarsi verso Brindisi.Di notevole importanza, per la storia dell’area caser-tana, risultano essere due eventi: la distruzione dell’an-tica città di Capua, operata dai saraceni nel IX secolo,e la contemporanea fondazione ex novo, o probabil-mente su un precedente villaggio tifatino, di CasaHirta, il primo nucleo dell’attuale Caserta Vecchia.

92. «La sconfinata, splendida pianura, con la sua eccellentedisposizione naturale, non aveva che una gloriosa an-tichità e un luminoso futuro, tra i due un vuoto seco-lare, che ancora fino a pochi anni fa aveva divoratoanche il ricordo del paradiso “quasi reggio” dei principidi Caserta». Anna GIANNETTI, Dai Romani ai Bor-bone..., cit., p. 136.

93. Di Diego di Lahart, capitano delle milizie catalane in-viate dagli Angioini a Firenze nel 1318, parla ancheBoccaccio nel Decamerone, rendendolo protagonista,non onorato, della III novella della VI giornata.

94. La citazione è in Claudio MARINELLI, Da Casa Hirtaa Caserta, in Caserta e la sua Reggia..., cit., p. 19.

95. Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona incarna l’idealedell’uomo quattrocentesco: fine umanista, autore di nu-merosi testi, iscritto e sostenitore economico dell’Ac-cademia del Pontano, editore di numerose opere,possedeva una biblioteca ricca di codici miniati e ditesti di Platone, Cicerone, Plinio, Apuleio e di nume-rosi altri autori classici.

96. La citazione è riportata da Claudio MARINELLI, op. cit.,p. 20.

97. Anna GIANNETTI, Il giardino napoletano, dal Quattro-cento al Settecento, Electa Napoli, 1994, p. 76.

98. Pietro DE MARINO, Copia Appretii, ARCe, vol. 403 c.229-300.

99. Giulio Cesare CORTESE, Viaggio di Parnaso, in ID.,

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Alla sorgente. Presupposti del Parco della Reggia di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Opere poetiche, a cura di Enrico Malato, Edizionidell’Ateneo, Roma, 1967, II, 7. L’opera del Cortese fudata alle stampe nel 1621.

100. Anna GIANNETTI, Il giardino napoletano…, cit., p. 76.

101. Così si esprimeva Celestino Guicciardini nel 1667.

La citazione è riportata da Claudio MARINELLI, op. cit.,p. 29.

102. La felice descrizione è tratta da Anna GIANNETTI, DaiRomani ai Borbone…, cit., p. 138.

103. Luigi Vanvitelli, lettera del 12 giugno 1751 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 34.

104. Luigi Vanvitelli, lettera del 19 giugno 1751 al fratelloUrbano. Ivi, vol. I, p. 36.

105. Sull’argomento si veda Anna GIANNETTI, Dai Romaniai Borbone…, cit., p. 138.

106. Luigi Vanvitelli, lettera del 12 giugno 1751 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 34.

107. Batto è, nella mitologia greca, un pastore a cui Ermeschiede di non rivelare il nascondiglio delle giovencherubate al fratello Apollo. Il pastore, che aveva giuratodi esser muto come un pietra, messo alla prova dal diostesso, rompe il giuramento ed è quindi trasformato,da Ermes, in una roccia.

108. La citazione è ripresa da Claudio MARINELLI in Ca-serta e la sua Reggia…, cit., p. 21.

109. «Qui io, ninfa del luogo sacro, riposo a custodia dellafonte fintanto che dolcemente sento il mormorio del-l’acqua; ma tu, chiunque tu sia, che tocchi le profonditàdella fonte, sia che tu beva sia che tu ti lavi, rimani insilenzio». L’immagine della ninfa sembra riprenderel’antica scultura collocata nel giardino dell’umanistaAngelo Colocci al Pincio, su cui una scritta recitava,in modo estremamente simile: HUIUS NYNPHALOSI SACRI CUSTODIA FONTIS / DORMIO DUMBLANDAE SENTIO MURMUR AQUAE / PARCEMEUM QUISQUIS TANGIS CAVA MARMORASOMNU / RUMPERTE SIVE BIBAS SIVE LAVERETACE.

110. Si confronti l’immagine della Ninfa con la raffigura-zione della Primavera di Lucas Cranach, dipinta nel1518. Alle spalle della giovane distesa sul prato,un’iscrizione, posta su una vasca, ne svela la reale na-tura: Fontis nimpha sacri somnum ne rumpe quiesco.In un’altra versione, La ninfa della sorgente, posterioreal 1537, Cranach associa, alla figura della giovanedonna, gli attributi propri di Diana: l’arco e le frecce.

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Uno degli aspetti fondamentali legati alla proget-tazione dei giardini è quello relativo all’approv-vigionamento idrico. Come si è già visto, senzaacqua il giardino non può esistere, non solo per-ché ad essa è legata la sopravvivenza delle variespecie vegetali presenti, ma anche perché l’acquasvolge – in particolar modo nel giardino formale– quelle fondamentali funzioni di complemento,legate allo svago, e di guida nella comprensionedel pensiero ideativo alla base della composi-zione. Di conseguenza, prima di impiantare un nuovogiardino – o di ampliarne uno esistente – è statosempre necessario che gli architetti potessero di-sporre di quantità d’acqua abbondanti e costanti.Soltanto in questo modo – con un’abbondanza diacqua tale da non determinare limitazioni al suouso ed una costanza di apporto idrico tale da nongenerare carenze nell’arco della giornata – era,infatti, possibile provvedere a tutte le necessitàdel giardino, da quelle strettamente funzionali aquelle ludiche.Per raggiungere lo scopo prefissato, i committentinon hanno mai esitato a spendere somme anchemolto consistenti per interventi complessi e, avolte, particolarmente arditi che, comunque,avrebbero reso maggiormente evidente il loroprestigio. Emblematico, in tal senso, è il caso diVilla d’Este a Tivoli, che il cardinale Ippolitovolle fortemente su un terreno impervio e, origi-nariamente, arido. Il primo intervento per assicurare un adeguato ri-fornimento idrico, consistette, tra il 1560 ed il1561, nel prolungamento dell’Acquedotto Rivel-lese, che a partire dal monte Sant’Angelo, allespalle del complesso, già riforniva la fonte pub-blica situata nella piazza antistante la chiesa di S.Maria Maggiore.

Il cardinale non esitò ad utilizzare l’opera pub-blica, facendo collegare l’acquedotto con il cor-tile del palazzo: da un’antica statua di Venerereclinata, l’acqua, proveniente dalla piazza pub-blica, si riversava in un sarcofago-vasca, primadi immettersi nel giardino. Ben presto, tuttavia, l’acqua si rivelò insufficienteper le numerose fontane ipotizzate. Fu necessa-rio, quindi, un secondo intervento, molto più im-pegnativo del precedente, tra il 1564 ed il 15652.Il nuovo condotto attingeva l’acqua direttamentedal fiume Aniene e raggiungeva il giardino, nellafontana della Sibilla Tiburtina, dopo un percorsoin gran parte sotterraneo, scavato anche sotto ilcentro abitato.Tra i numerosi artisti che concorsero al successodell’opera – tra i quali il già nominato Pirro Ligo-rio, ideatore del complesso – occorre ricordare lafigura di Curzio Maccarone, artefice delle duefontane più importanti nella ricca simbologia delgiardino, quelle rappresentanti le città di Tivoli edi Roma3.L’adduzione delle acque in Villa d’Este – con unacquedotto proprio ed un traforo sotto la città – ri-chiama come primo termine di paragone la sa-pienza costruttiva idraulica degli antichi romani.Per numerosi secoli, infatti, i precetti vitruvianicostituirono il principale punto di riferimentonella progettazione dei sistemi di approvvigiona-mento idrico4. Ancora nel Cinquecento, sul modello degli ac-quedotti romani, il condotto di adduzione venivacostruito con gallerie ispezionabili coperte avolta, un pavimento impermeabile e, soprattutto,con una pendenza costante, tale da garantire unflusso delle acque che non erodesse la struttura,ma neanche facilitasse l’accumulo dei detriti.Come ricorda Luigi Zangheri, simili soluzioni

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2. LA LUNGA STRADA DELL’ACQUA.

PROBLEMATICHE E SOLUZIONI DELL’APPROVVIGIONAMENTO

IDRICO DA VERSAILLES A CASERTA

Ductus autem aquae fiunt generibus tribus: rivis per cana-les structiles, aut fistulis plumbeis, seu tubulis fictilibus.1

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erano adottate anche in tutti i giardini medicei,poiché «consentivano non solo il passaggio delleacque nella cunetta della platea delle gallerie, maanche la posa in opera di tubi di piombo o lateri-zio. (…) Le stesse tecniche furono adottate, suc-cessivamente, per gli acquedotti di Saint Germainen Laye e di Retz»5.Erano inoltre seguite le prescrizioni fornite daLeon Battista Alberti che richiedeva la presenzadi serbatoi – nella descrizione, in realtà, sembranoavere una funzione simile alle vasche di decanta-zione piuttosto che alle conserve d’acqua – «a di-stanza di cento cubiti uno dall’altro» perconsentire che «la terra che si è mescolata all’ac-qua perché trascinata dall’impeto della corrente,trovi un luogo in cui arrestarsi e subito deposi-tarsi; per modo che le acque siano immesse piùpure nel canale»6.In seguito, però, si preferì concentrare tali vascheo in prossimità delle sorgenti, prima dell’immis-sione nell’acquedotto, o «dopo che l’acqua erastata impiegata in una fontana o in un gioco d’ac-qua, e prima di essere utilizzata di nuovo»7. Il per-corso dell’acqua venne, perciò, regolato con l’usodi conserve e peschiere o, come nei giardini fran-cesi, di grandi bacini che consentivano sia l’ac-cumulo idrico sia la sua depurazione attraverso lasedimentazione dei detriti.

Luigi Zangheri ricorda molto bene alcuni di que-sti aspetti funzionali:

Le conserve costituivano grandi depositi d’acqua, in-terrati e coperti a volta, utili all’immagazzinamentodelle acque e alla loro erogazione, che doveva esserenecessariamente costante e misurata. Le acque vigiungevano attraverso i condotti, e vi erano immessedall’alto. La platea della conserva era ben pavimentatacon lastre di pietra, e le pareti erano costruite in mu-ratura impermeabilizzata, così da evitare la disper-sione del liquido ivi contenuto. Per impedirel’evacuazione di acque miste a belletta o fanghi, sulfondo e ad una certa altezza dal margine inferiore, ve-nivano aperti orifizi ben dimensionati per l’eroga-zione dell’acqua. Analoga funzione a quella previstaper le conserve l’assolvevano le peschiere, che si pre-sentavano come vasche ornamentali spesso arricchiteda sculture. Le peschiere erano grandi, capaci e pro-fonde «acciò le acque nel verno non si agghiaccino enel tempo della state si mantengano fresche» comeconsigliava lo Scamozzi. Come le conserve, anche lepeschiere costituivano un deposito di liquido ma acielo aperto; formavano il bacino di raccolta delleacque dopo che queste erano state impiegate nei gio-chi delle fontane, e consentivano il deposito dei fanghiqui arricchiti dalla macerazione delle foglie e dagliescrementi dei pesci. Generalmente legati alle pe-schiere erano i ‘risciacquatoi’, che assolvevano a fun-zioni di ‘troppopieno’ (…) ed erano impiegati per ladispersione del liquido quando nelle peschiere l’acquaaveva superato il livello massimo previsto8.

In tal senso, perciò, la successione di vasche, pre-sente lungo l’asse centrale del Parco di Caserta,oltre ad avere un’importante funzione estetica,assume il medesimo ruolo svolto dai grandi ba-cini francesi: la regolamentazione del flussoidrico e, contemporaneamente, la purificazionedell’acqua prima della sua immissione nel Pa-lazzo Reale9.Ai precetti vitruviani, riguardanti soprattutto lacorretta conduzione delle acque, erano inoltre as-sociati anche quelli, riguardanti il funzionamentodi automi azionati idraulicamente, che, a partiredal Quattrocento, si erano sviluppati sulla basedella riscoperta dei testi di Archimede e dellaPneumatica di Erone di Alessandria10. Proprio neigiardini italiani – nelle grotte e nei ninfei, maanche nelle singole fontane, come già ricordato a

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Esempi di tubazioni fittili.

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proposito del giardino degli Acquaviva e delparco del Principe di Avellino – fu possibile spe-rimentare un gran numero di possibilità e di solu-zioni idrauliche e meccaniche.Proprio grazie alla perizia raggiunta nella proget-tazione di congegni idraulici, una nutrita schieradi tecnici, dopo aver operato a Boboli e a Prato-lino, esportò in tutta Europa le conoscenze acqui-site. Primi fra tutti Tommaso ed AlessandroFrancini11, invitati da Maria de’ Medici ad occu-parsi del grande giardino di Saint Germain-en-Laye. Ai Francini sembra sia da attribuire, inoltre,l’uso, come condutture, di tubazioni di ferro,dalla maggiore durata e dal costo inferiore ri-spetto a quelle di piombo12.Giovanni Gargiolli13 fu chiamato, invece, a Praga,alla corte di Rodolfo II dove sviluppò « nuove ti-pologie nel disegno dei bacini idrici: “da regolari,circoscritti architettonicamente – con parapettodi pietra piano o a balaustra, che moltiplicava glieffetti di luce – fino alla forma “naturale” di vi-vaio”»14. In Spagna giunsero, invece, CosimoLotti ed il suo assistente, Pietro Francesco Gan-dolfi, accompagnati da due giardinieri di Boboli.

Il Lotti, che si era distinto nell’invenzione di numerosiautomi a Pratolino, presentò al re [Filippo IV] il pro-getto di un meccanismo che avrebbe dovuto essereposto all’ingresso di un giardino reale: «alla porta diquesto giardino voleva che, col toccarsi di un bilico,comparisse una finta bellissima femmina, pomposa-mente vestita, ad incontrare il forestiero, e con bellagrazia gli porgesse la mano: quindi accompagnandoloper alcuni passi, lo dovesse condurre in un luogo,dove dovevano essere altre figure, che da per se stessea varie azioni si movessero». Successivamente«un’altra finta femmina, la quale col bel gesto l’invi-tasse a bere dell’acqua di una fontana quivi vicina, ac-comodata con tale artifizio, che subito che egli viavesse pressate le labbra, cessasse di gettare acqua, ein quel cambio mandasse fuori preziosissimo vino; esubito spiccata la bocca dalla fonte, tornasse a dareacqua»15.

Infine Salomon de Caus, anch’egli collaboratoredi Buontalenti a Pratolino, dopo un’intensa atti-vità presso le corti di Bruxelles, Londra16 e Hei-delberg, riassunse le esperienze condotte nelcampo della progettazione idraulica, descrivendo

i progressi compiuti e le innovazioni prodotte traCinquecento e Seicento. Il suo trattato, Les Rai-sons des forces mouvantes, avec diverses Machi-nes tant utiles que plaisantes auxquelles sontadjointes plusieurs desseins de Grotes & Fontai-nes, edito a Francoforte nel 1615, costituisce lanecessaria teorizzazione delle problematiche ine-renti il settore dell’idraulica, legandosi inevita-bilmente a quella razionalizzazione delleconoscenze, avvenuta nel Seicento a causa dellosviluppo di tutti gli ambiti scientifici. All’interno del testo, de Caus illustrava, anchegraficamente, vari modi per sollevare l’acqua,progetti di pompe, ruote di mulino, automatismi

La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Esempi di impermeabilizzazione di una vasca con argilla,in alto, o con lastre di piombo, in basso.

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azionati idraulicamente ed ispirati all’opera diErone, organi idraulici, grotte e fontane. Al suo trattato è, inoltre, da associare quello delfratello Isaac, la Nouvelle invention de leverl’eau17, pubblicato nel 164418, summa delle cono-scenze idrauliche dell’epoca. Allo stesso modo l’Utilissimo trattato dell’acquecorrenti di Carlo Fontana, pubblicato nel 1696,costituiva un manuale per la risoluzione delle piùcomuni problematiche inerenti l’approvvigiona-mento idrico e la progettazione di fontane. Conl’ausilio di numerose tavole illustrative, Fontanaesamina vari aspetti della progettazione idraulica,dalle opere di captazione, alle modalità di condu-zione attraverso acquedotti, fino alla descrizionedelle proprietà assunte dall’acqua contenuta al-l’interno delle tubazioni. Luigi Vanvitelli, in unalettera al fratello Urbano, si mostra tuttavia criticonei riguardi dell’opera del collega19, della qualeritiene che l’aspetto più rilevante sia soltantoquello riguardante le fistole, ovvero il dimensio-namento delle tubazioni. L’atteggiamento di Vanvitelli è tuttavia indice dellarilevanza data a questo particolare aspetto della pro-gettazione idraulica, che, come ricorda ancora Luigi

Zangheri, nel Settecento portò ad un particolaresviluppo proprio della «’foronomia’, che appuntodescriveva le relazioni intercorrenti fra caricoidraulico e la velocità e portata uscente in funzionedella forma e della dimensione di un orifizio»20.Sebbene Vanvitelli non lo abbia ritenuto validoper i propri scopi, è, però, interessante leggerequanto descritto da Fontana nel caso in cui un ac-quedotto si trovi ad attraversare una valle, al finedi comprendere le conoscenze dell’epoca e con-frontarle con quanto realizzato nella valle diMaddaloni:

Accaderà, che per proseguire il camino degl’Acque-dotti, si dovrà passare diametralmente frà le Valli, òpure nelle circonferenze dell’appendici de’ Monti.Certo è, che la propria fermezza, e solidità dell’acque-dotto ogni volta, che il giro permette il declivio, saràsempre meglio il giro, che diametralmente, ed anchesi può avventurare l’acquisto dell’Acque, che sempresogliono scaturire in simili luoghi, il valore delle qualipossa contrapporre alla spesa dell’Opera. E perché nelgiro del viaggio sogliono fare varii angoli, come quellinotati D, nelli quali, come luogo più esposto alla vista,devesi fare i suoi Torrini come Pozzi D, quali servonoper sfoghi, ed indizio del viaggio. Contiguo li mede-simi sogliono esser le Valli, le quali ammettono la si-tuazione de’ sfogatori, ed introiti nelli accennaticondotti, per le spurgazioni, che si dovranno fare perle puliture di essi. E quando la necessità del decliviocausasse l’introdursi sotterraneamente stante l’emi-nenze de’ Colli E, similmente in ogni angolo do-vranno essere i suoi Pozzi, e Torrini D, per lamedesima indicazione del suo giro. Succedendo l’in-terposizione delle Valli, che necessitasse a sostenerel’Acquedotto per via d’Archi B, dovranno essere leloro situazioni in luoghi più sicuri, e meno soggettiall’inondazioni, che accadono dalli torrenti, ed acqueaccidentali in quelle Valli, li quali archi dovrannoesser fabbricati, e costruzione a una sola linea retta,ma con varie piegature d’ottusi angoli, ed a ciasche-duno de’ quali si farà il suo foro per l’esalo de’ venti,che in questi luoghi terminano, portati dalla corrente,e natura dell’acqua, il tutto come si scorge negl’anti-chi Condotti dell’Acqua Paola verso il Lago Alfea-tino, e dell’Acqua Marzia nella strada Valeria, cioèValle di Subiaco21.

Lo sviluppo dei giardini francesi comportò unaradicale trasformazione anche nella trattatistica.

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Salomon de Caus, modo per aumentare la forza di unafontana, in Les raisons des forces mouvantes,1615.

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L’acqua era proposta sotto nuove forme, per lequali non bastavano più le descrizioni del pas-sato. Inoltre, l’uso delle pompe idrauliche – cheavevano progressivamente sostituito il sistemadel sifone – ed in particolare l’avvento delle mac-chine idrauliche – prima fra tutte la Macchina diMarly – determinò la necessità di aggiungere, neitrattati, i progressi compiuti alle soglie del Sette-cento22. Ad Antoine-Joseph Dézallier d’Argen-ville va il merito di aver saputo organizzare inmodo organico le conoscenze dell’epoca, da Vi-truvio fino alle scoperte più recenti. Nel presentare la parte dedicata all’idraulica,nella terza edizione della sua opera, così scrive:

L’importante Matière des Eaux, qu’elle tratoit,m’avoit paru, dès le commencement, mériter plusd’éxactitude & plus d’étenduë. Dans cette pensée, jefis travailler. Mais la matière avoit si fort grossi sousla plume de l’Auteur auquel je m’étois addressé, queje me déterminai, en publiant le seconde Edition, d’yajoûter un second Volume, qui devoit traiter à fonddes Eaux, & des Fontaines, sujet curieux, dont il n’y

avoit jusques alors aucun bon Traité. Plusieurs raisonsm’ont cependant fait abanonner ce dessein. (…) Onpourra donc chercher dans cette quatrième partie lesprincipaux signes que les Anciens & les Modernes ontdonnés pour la découverte des Sources: Les propor-tions qu’il y a entre la chûte des eaux & leur montée:La description de quelques machines pour élever leseaux dans un Païs unis: Des règles pour déterminer lerapport qu’il doit y avoir entre l’ouverture desTuyaux, & leur épaisseur: quelques embéllissementspour les Fontaines. On y trouvera la manière de faireun Horloge avec le cours d’une Fontaine artificielle,de contrefaire la voix des petits Oiseaux, par le moïende l’air & de l’eau, d’élever l’eau dormante par lemoïen du Soleil, de donner du mouvement à une Ga-latée qui sera trainée par deux Dauphins, & à un Nep-tune qui tourne circulairement avec quelques Tritons,& de faire jouër un jeu d’orgues & un flageolet. Letout est accompagné des figures nécessaires pour lapleine intelligence du Sujet23.

Ed in seguito, nel trattare propriamente di que-stioni idrauliche, fa esplicito riferimento ad al-cune importanti innovazioni:

La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Carlo Fontana, illustrazioni riguardanti la conduzione delle acque, in Utilissimo trattato dell’acque correnti, 1696.

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Comme la necessité d’avoir de l’Eau dans les jardinsest indispensable (…) il ne sera pas hors de proposd’en parler dans ce Traité, le plus succintement que lepeut permettre une matiere aussi ample, & qui deman-deroit seule un Traité particulier. Les Eaux des Fon-taines & des Bassins viennent, ou de sourcesnaturelles, ou de machines qui élevent les Eaux (…). Les Eaux naturelles ne se pouvant trouver dans unPaïs plat & sec, on a recours aux Machines Hidrau-liques, qui élevent les Eaux des Rivieres, des Etangs,des Ruisseaux, comme aussi celles des puits & cî-ternes, dans des Reservoirs & lieux élevés, pour lesdescendre ensuite dans les Jardins.Ces Machines sont presentement fort en usage, &beaucoup de Gens les preferent aux Eaux naturelles,par raport à la uqantité d’Eau qu’elles fournissent, à laproximité des Reservoirs, & au peu de longueur desconduits (…).On peut élever l’Eau par differentes Machines. Pre-mierement, par la force des Pompes à bras & à cheval.Secondement, en se servant des deux Elements, del’Air & de l’Eau pour faire tourner des Moulins24.

Inevitabile il riferimento alla Machine de Marlye la descrizione del principio alla base del suofunzionamento:

On se sert ordinairement de la force des Rivieres oùl’on place cette machine, pour la faire jouër par lemoyen d’une Rouë (…) dont les ailes trempant en par-tie dans l’eau sont poussées par la force de la mêmeeau, laquelle en cette façon fait tourner la rouë, qui faittourner la piece de fer recourbée (…) qui s’apuye surles deux points fixes (…) qui tournant sur ces points(…) s’aproche successivement des ouvertures (…) desdeux corps de pompe (…) & ainsi fait hausser & bais-ser les pistons l’un après l’autre, avec leurs verges (…)qui sont attacchées à la piéce de fer recourbée (…).Aulieu d’une semblable piece recourbée, on se sertdans les grandes machines de quelques leviers, qui enallant & venant, de haut en bas, & de bas en haut, ser-vent à faire hausser & baisser les pistons, comme l’onpeut voir à la grande Machine de Marly, proche deParis, qu éleve l’eau de la Riviere de la Seine sur ungrand aqueduc qui va jusqu’à Versailles25.

Il trattato di Dézallier d’Argenville propone,quindi, un’esauriente descrizione delle metodo-logie più usate all’epoca per l’approvvigiona-mento idrico. Tuttavia, nel discorso, vieneprecisata l’impossibilità di poter descrivere tuttele invenzioni prodotte per il sollevamento e laconduzione dell’acqua:

On n’auroit jamais fait, s’il falloit expliquer toutes lesmachines qui ont été inventées pour la conduite &pour l’élévation des eaux: ainsi, nous parlerons seule-ment de celles qui sont les plus utiles, & qui convien-nent le mieux à notre sujet26.

Infine, come già accennato, un rapido elencodelle principali forme assunte dall’acqua nellefontane del Settecento, la cui descrizione si ri-trova anche nell’Architecture Hydraulique, oul’Art de conduire, d’élever, et de menager lesEaux pour les différents besoins de la Vie di Ber-nard Forest de Bélidor27. Si tratta dei jets d’eau, i più comuni – e a voltepiù spettacolari – getti verticali, in cui l’acqua èlanciata verso l’alto a partire da una superficieorizzontale; i berceaux, flussi di acqua inclinataovvero archi d’acqua che cambiano al variare

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

La Macchina di Marly in una tavola dell’Encyclopédie diDiderot e d’Alembert, 1762-1772.

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della pressione e della direzione; le nappes, flussid’acqua, estesi come lenzuola, che abbraccianomorbidamente la superficie su cui cadono; le ca-scades, ovvero l’acqua agitata, caratterizzata daspruzzi e schiuma, che cade, tratto dopo tratto, sumolteplici scalini o, in un singolo salto, come unmuro d’acqua; i bassins, i bacini e le vasche uti-lizzate per raccogliere e contenere l’acqua cheesce da getti, nappes e cascate. Si passa, poi, agli effetti più fantasiosi: le gerbes,piramidi d’acqua formate dalla combinazione dipiccoli getti a diverse altezze; gli arbres d’eau,le caratteristiche fontane ad albero dai cui rami,come foglie, fuoriescono getti d’acqua; le grilles,file di piccoli rivoli d’acqua che tendono verso ilbasso; gli champignons, i getti più bassi che sem-brano spuntare come funghi dal terreno. Infine lecomposizioni più grandiose, in cui i vari giochid’acqua si combinano a più livelli: buffets, mon-tagnes d’eau e théatres d’eau.In campo idraulico Luigi Vanvitelli mostra unaperfetta padronanza della materia ed una appro-fondita conoscenza dei progressi compiuti daisuoi contemporanei, aggiornandosi costante-mente attraverso un’attenta lettura della trattati-stica coeva. Nelle lettere spedite al fratello

Urbano cita il trattato di Bélidor28 e l’Architetturadelle acque di Giovanni Battista Barattieri. Si in-forma, poi, per acquistare l’opera di DomenicoGuglielmini, Della natura de’ fiumi trattato fi-sico-matematico, etc, pubblicata a Bologna, nel1739, nella nuova edizione con le annotazioni diEustacchio Manfredi. Si è già accennato, infine,alle critiche mosse al testo di Carlo Fontana.Inoltre, come ricorda Aldo Aveta, a Roma sonoalmeno tre gli acquedotti a cui si può ricondurreun suo apporto. Si tratta di quelli «del Vermicino,dell’acqua di Trevi e dell’acqua Felice»29.In particolar modo è da valutare, come altamenteformativa, proprio la collaborazione, tra il 1747ed il 1751, con Nicola Salvi – «Architetto del-l’Acqua Vergine del Salone e suoi acquedotti efontane» – progettista della Fontana di Trevi,quando questi, nei suoi ultimi anni di vita, eragravemente infermo. «Tenendo presente il pe-riodo nel quale Vanvitelli operò agli acquedottidel Vermicino e di Trevi», prosegue Aveta, « sipuò esser certi che questi incarichi contribuirononotevolmente alla sua formazione di tecnico, e glifornirono quel bagaglio di esperienze necessarioper affrontare la più importante ed impegnativaimpresa, costituita dall’acquedotto carolino»30.

La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Bernard Forest de Bélidor, funzionamento della Macchina di Marly, in Architecture Hydraulique, ou l’Art de conduire,d’élever, et de menager les Eaux pour les différents besoins de la Vie, 1737-1753.

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L’approvvigionamento idrico della Reggia di Ca-serta venne perciò studiato con estrema cura e conmeticolosa precisione, caratteristiche, queste, chesono comuni ad ogni opera progettata dall’archi-tetto napoletano. Vanvitelli possedeva, infatti,anche le competenze proprie di un ingegnere idrau-lico, le quali gli permisero di ideare e realizzareun’opera che già tra i suoi contemporanei fu para-gonata, per la lunghezza del percorso e l’impo-nenza delle strutture, a quelle romane31.Prima di analizzare l’iter progettuale e la storiadella costruzione dell’Acquedotto Carolino, sem-bra tuttavia utile ripercorrere i principali momentiche riguardano la realizzazione di un altro grandesistema di approvvigionamento idrico, anch’esso acarattere territoriale, realizzato poco più di un se-colo prima dell’opera vanvitelliana: quello dellaReggia di Versailles. Nonostante le due opere non possano essere con-frontate, se non relativamente alle dimensioni del-l’intervento, l’analisi di quanto accaduto aVersailles è utile per comprendere il differente at-teggiamento di committenti, progettisti ed utilizza-tori nei confronti di due opere eccezionali ed unichenel loro genere.

L’Approvvigionamento idrico di Versailles

«Cette machine, la plus belle et la plus extraor-dinaire dont on ait entendu parler jusqu’à pré-sent, est située sur un bras de la rivière Seine»32. Questa espressione di Jean-Aimar Piganiol de laForce sintetizza l’ammirazione che numerosiscrittori contemporanei ebbero per la Macchinadi Marly, la più grande macchina idraulica per ilsollevamento delle acque mai costruita fino al1684. In tale anno l’imprenditoria del barone diLiegi Arnold de Ville e l’ingegno di RennequinSualem, carpentiere e suo concittadino, riusci-rono a realizzare quanto fino ad allora era statosoltanto immaginato. La Macchina di Marly è sicuramente l’emblemadegli sforzi compiuti per garantire l’approvvigio-namento idrico del Parco di Versailles e allostesso tempo è la misura dei progressi compiuti incampo idraulico nella Francia del Re Sole. Per lacomplessità dei suoi meccanismi e per il movi-mento perpetuo delle sue pale si arrivò a conside-rarla una delle meraviglie dell’epoca.Prima di giungere alla costruzione della Mac-china di Marly, però, numerosi erano stati i pro-

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

Pierre-Denis Martin, La Macchina di Marly, 1724. In alto si nota l’Acquedotto di Louveciennes.

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getti presentati per risolvere adeguatamente – ein maniera definitiva – il problema di garantire alParco di Versailles un approvvigionamento idricoin grado di sostenere l’abbondante portata richie-sta dai bacini e dalle numerose fontane presenti. Il problema non era irrilevante, tanto che, ai no-stri giorni, il Parco soffre ancora per la scarsitàd’acqua che impone limitazioni orarie al pienofunzionamento di tutti i bacini33. Non sembra, tut-tavia, che le fontane di Versailles abbiano maifunzionato a pieno regime, anche quando fu di-sponibile una considerevole quantità d’acqua,proveniente dalle sorgenti limitrofe alla zona.L’utilizzo delle fontane del Parco venne semprerazionalizzato e, di norma, solo i bacini più vicinial Castello furono usati ogni giorno, dalle otto delmattino alle otto di sera. Le Grandi Acque, ovvero il complesso di tutte lefontane, erano invece a pieno regime solo in oc-casioni speciali, come ad esempio le feste o le vi-site di un ambasciatore, ma anche in questo casoper non più di tre ore ogni volta34. A tale proposito un’ordinanza emanata nel 1672prescriveva:

Quando Sua Maestà arriverà per la strada dello sta-gno, il maestro fontaniere avrà cura di mettere l’acquanella Piramide, nella Allée d’eau, nel Dragone, e pren-

derà le sue misure in modo che queste fontane rag-giungano la loro perfezione quando Sua Maestà sarànel punto di vista all’estremità della strada. Siccomela fontana del Pavillon non può funzionare se non fer-mando la Piramide, l’inserviente fontaniere incaricatodi queste due fontane baderà di non fermare la Pira-mide se non quando Sua Maestà sarà entrato nel pic-colo viale del Pavillon, e subito metterà l’acqua nelPavillon, sicché funzioni prima che Sua Maestà lapossa vedere. Quando Sua Maestà non sarà più nelpiccolo parco, si fermerà tutto. Quando Sua Maestàsarà sul canale, la fontana di Apollo funzionerà sem-pre, ma i getti ai piedi dei cavalli saranno fermati fin-ché Sua Maestà non rientri nel piccolo parco35.

La volontà del re era invece un’altra. A Versaillesle fontane non avrebbero dovuto mai tacere, nédi giorno né di notte, similmente a quanto acca-deva – ad una scala più ridotta – nel parco delPrincipe di Condé, a Chantilly36. Numerosi ingegneri e matematici, tra i più celebridell’epoca, furono quindi incaricati di trovare unasoluzione al problema. Nel 1675 Luigi XIV, che per tutta la vita non ab-bandonò mai la speranza di trovare le idonee ri-sorse idriche, interessò alla questione anche ilprimo ministro Colbert, affidandogli l’incarico diemanare bandi pubblici in tutto il regno, per tro-vare tecnici in grado di soddisfare la sua idea.

La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Jacques Rigaud, Veduta di Versailles dallo Stagno di Clagny, 1720 circa. Lo Stagno di Clagny, attualmente non più esi-stente, costituiva uno dei principali serbatoi di accumulo idrico per il castello.

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Conseguenza di questa ricerca incessante promossadal sovrano fu l’avvio, quasi in contemporanea, ditre grandi opere: la prima consisteva nella realiz-zazione di una rete idrica di collegamento fra glistagni limitrofi all’area di Versailles, per la raccoltadelle acque piovane provenienti dai rilievi circo-stanti; la seconda mirava alla deviazione di uncorso d’acqua che garantisse al Parco la portata ne-cessaria; la terza doveva ottenere il sollevamentoartificiale dell’acqua della Senna per permetterle diraggiungere il più vicino acquedotto collegato conVersailles. Ciascuno di questi interventi fu pensato,in principio, come soluzione unica ed autonoma-mente sufficiente; tuttavia nel corso del tempo, lalunghezza della durata dei lavori e le difficoltà in-contrate, per la realizzazione di ciascun progetto,hanno prodotto un sistema idrico integrato con nu-merosi elementi interdipendenti. Analizzando più nel dettaglio le attività intraprese,è interessante, anche ai fini della comprensione del-l’intero impianto, soffermarsi prima di tutto sull’in-tervento progettato da Thomas Gobert con ilsupporto di Jean Picard37, poiché tale sistema è di-rettamente collegato a quello precedentemente uti-lizzato per l’approvvigionamento e la distribuzionedell’acqua nel castello di Versailles.

Gobert e Picard: il sistema di collegamento

degli Stagni limitrofi all’area di Versailles;

l’acquedotto di Buc

Ancor prima dell’intervento di Le Nôtre, al-l’epoca di Luigi XIII, si era iniziato ad utilizzarel’acqua proveniente dallo Stagno di Clagny – si-tuato in un’area limitrofa all’attuale Bacino diNettuno nel Parterre Nord – per alimentare il fab-bisogno del castello. L’acqua era prelevata permezzo di una pompa idraulica costruita da DenisJolly all’estremità del parco. L’installazione com-prendeva quattro pompe azionate da cavalli, inte-grate in seguito da tre mulini a vento fatticostruire da Le Vau più a nord dello specchiod’acqua. Nel 1667, alle opere precedenti venneaggiunta la “Grande Pompa”, sempre su progettodi Le Vau, costituita da un corpo centrale, checonteneva le pompe aspiranti, e due serbatoi apianta circolare38. L’acqua era tuttavia insufficiente alle necessità delsito. Per aumentare l’apporto dello stagno di Cla-gny vennero allora drenati i limitrofi comuni diChesnay, Vaucresson e La Celle-Saint-Cloud at-traverso acquedotti sotterranei. Nello stesso tempol’acqua dello stagno di Val de Bièvre veniva spinta

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

Il sistema idrico della Val de Bièvre dopo l’intervento di Gobert e Picard.

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da quattro mulini a vento fino alla sommità delplateau di Satory, dove, tramite una condotta inghisa, era incanalata verso il serbatoio di Satory39. Il mulino di Launay completò queste prime instal-lazioni, permettendo la creazione dei numerosigiochi d’acqua che costituirono una delle princi-pali attrazioni nella grande festa data da Luigi XIVil 18 luglio 1668. L’alimentazione d’acqua dei ba-cini del Parco era effettuata per gravità; un sistemadi ricircolo, basato sull’azione di un mulino, per-metteva inoltre di rinviare l’acqua dai bacini alloStagno di Clagny, consentendo minori dispersioni.Tuttavia la maggiore richiesta idrica, derivante dalprogredire dei lavori di Le Nôtre, portò alla ricercadi soluzioni alternative che integrassero l’apportodello Stagno di Clagny e garantissero il funziona-mento ininterrotto delle fontane.A partire dal 1675 Thomas Gobert, intendentedegli edifici del re, studiò e realizzò i cosiddettiserbatoi degli Stagni Inferiori; il suo lavoro fuagevolato anche dai progressi dei contemporaneistudi dell’abate Picard su un nuovo tipo di livelloottico a cannocchiale, che permise di procederepiù agevolmente nella livellazione delle acque.L’insieme dei nuovi serbatoi era composto da unarete di canali che conducevano l’acqua agli Sta-gni di Saclay – Stagni Vecchi – di Orsigny e diTrou Salé. Per garantire il flusso idrico furonorealizzate numerose opere, tra le quali sono da ri-cordare gli acquedotti sotterranei, che si ricolle-gavano con il serbatoio di Satory, ed il ponte chesi può ammirare nel comune di Buc, costruito persuperare il fiume Bièvre40. Nel 1685 vennero collegati anche lo Stagno diVilliers e lo Stagno Nuovo di Saclay a completa-mento della rete idrica. A partire dal 1684, contemporaneamente a quellodegli Stagni Inferiori, situato più a nord, nacqueanche il sistema degli Stagni Superiori. Tale si-stema è costituito dai serbatoi di Mesnil-Saint-Denis, dalla catena formata da Saint-Hubert,Pourras, Corbet, Bourgneuf e Hollande, dallo sta-gno di La Tour, a sud est di Rambouillet, e dallostagno di Perray, attivato nel 1685. Gli Stagni Su-periori permettevano il flusso dell’acqua fino alCarré de Trappes, al di sotto degli stagni realiz-zati da Gobert, e potevano alimentare, per gra-vità, i serbatoi di Montbauron, realizzati nel 1685

per ordine del ministro Louvois, in cui vennefatta confluire anche l’acqua della Senna pom-pata dalla Macchina di Marly. Il risultato dell’in-tero lavoro fu, quindi, che tredici stagni o serbatoipotevano stoccare circa otto milioni di metri cubid’acqua e che circa duecento chilometri di cana-lizzazioni – di cui venticinque in acquedotti sot-terranei – permettevano la raccolta delle pioggecadute su più di tredicimila ettari. Si creò così, tra Rambouillet e Versailles, unavasta rete idrica che permetteva il drenaggio e loscolo dell’intero plateau, per una superficie com-presa in un diametro di circa 34 Km: la disposi-zione idrografica naturale fu, all’epoca, a talpunto modificata che, attualmente, sarebbe ri-schioso intervenire ulteriormente senza sconvol-gere gli equilibri costituiti41.

Riquet, La Hire e Vauban: la deviazione della

Loira e dell’Eure; l’acquedotto di Maintenon

L’utilizzo del sistema degli Stagni, a partire daquello di Clagny, presentava però l’inconvenientedi dipendere dalla piovosità, non riuscendo,quindi, ad essere soddisfacente né per l’irregola-rità del funzionamento né per la fornitura diacqua potabile. Al sistema degli Stagni di Gobertvenne quindi associata un’altra ipotesi: l’addu-zione delle acque del fiume Eure. L’idea derivavada quella proposta da Pierre-Paul Riquet42, il ma-

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L’acquedotto di Buc in Val de Bièvre.

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tematico distintosi per la progettazione e la realiz-zazione del Canal du Midi che aveva permesso ilcollegamento tra il Mediterraneo e l’Atlantico43. Riquet aveva proposto di captare le acque dellaLoira a circa 200 chilometri di distanza, ma i cal-coli precisi avevano dimostrato l’irrealizzabilitàdel progetto. Tuttavia l’idea originale di Riquetnon venne mai completamente abbandonata. La progressiva estensione della rete dei serbatoidi Gobert fino alle vicinanze di Maintenon, in-fatti, suggeriva la possibilità di deviare, in alter-nativa alla Loira, almeno le acque del fiume Eure,seppure, ancora una volta, con notevoli costi emezzi per riuscire nell’operazione. Nel 1684 Phi-lippe de La Hire44, incaricato di studiare la fattibi-lità del progetto, aveva comunque confermato lapossibilità di riuscita.Il ministro Louvois si rivolse quindi ad uno deipiù abili ingegneri dell’epoca, Sébastien Le Pre-stre de Vauban45, fino a quel momento occupatonella progettazione delle numerose fortificazionirichieste dalla crescente espansione delle fron-tiere francesi. Nel 1685 Luigi XIV conferì uffi-cialmente a Vauban l’incarico di provvedereall’approvvigionamento idrico di Versailles uti-lizzando le acque del fiume Eure. Tra i lavori pre-visti e pianificati si iniziò subito la costruzionedel tratto da Berchères a Maintenon – quello piùspettacolare – consistente in una grande struttura,alta sessanta piedi, che doveva scavalcare il ca-nale situato all’interno del parco di Maintenon46.

L’opera di Vauban fu immediatamente conside-rata di estrema importanza, suscitando nell’am-biente culturale dell’epoca una crescente attesaper il suo completamento ed un’elevata aspetta-tiva in relazione al suo funzionamento. A titolo esemplificativo è da considerare la raffi-gurazione dell’acquedotto di Maintenon allespalle della Ninfa di Versailles, colta nell’atto dimostrare il palazzo reale, in uno dei bassorilievicircolari scolpiti per la decorazione di Place desVictoires e tesi ad esaltare le imprese del Re Sole.Tale raffigurazione è tanto più interessante se siconsidera che all’epoca l’acquedotto risultava in-compiuto e che, del resto, non venne mai com-pletato47. Tuttavia la fiducia e la speranza ripostenell’opera erano tali che, per quanto non com-piuto, l’acquedotto venne considerato non solotra le più grandi realizzazioni del Re Sole, maanche come emblema dell’intero sistema di ap-provvigionamento idrico del sito di Versailles.

De Ville e Sualem: la Macchina di Marly; l’ac-

quedotto di Louveciennes

Ai lavori di costruzione del progetto di Vauban –che, se completato, si sarebbe sviluppato per unalunghezza complessiva di circa 80 chilometri –sono intrecciati cronologicamente quelli per laMacchina di Marly, come se il secondo dei dueinterventi dovesse sopperire al primo e viceversa.

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L’acquedotto di Maintenon nel parco del castello omonimo.

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Rispondendo, infatti, al bando di Colbert, del1675, il barone Arnold de Ville aveva presentatoa Luigi XIV un progetto per condurre le acquedella Senna a Versailles, facendole risalire finoalla sommità dell’acquedotto di Louveciennes at-traverso una gigantesca pompa. De Ville, in-fluente membro della città di Liegi, si era rivoltoal giovane concittadino Rennequin Sualem, car-pentiere ed idraulico, che aveva già costruito unamacchina per alimentare d’acqua il castello delconte De Marchin, costruito su un’alta sporgenzarocciosa. De Ville e Sualem furono incaricati, nel1678, di studiare il problema e di costruire unamacchina sperimentale. Fu realizzato un modello,il cui funzionamento fu mostrato, alla presenzadel Sovrano, nel corso di una dimostrazione apiccola scala organizzata al mulino di Palfour, aipiedi del Couteau di Saint-Germain, verso la finedel 1680. Il macchinario riusciva a portare, intempi successivi, l’acqua al livello della terrazzadi Saint-Germain, a circa cinquanta metri di al-tezza. La riuscita dell’esperimento decretò il suc-cesso del progetto di Arnold de Ville, che,ottenuti i favori di Luigi XIV, poté procedere allacostruzione della Macchina di Marly.De Ville ebbe il ruolo di imprenditore, occupan-dosi delle forniture di materiale; Rennequin Sua-lem, successivamente ricompensato per la suaopera dal re, che lo nominò Primo Ingegnere e gliconferì un titolo nobiliare, si occupò invece delprogetto meccanico, disegnato dal concittadinoSiane Du Pont. La macchina fu installata lungola Senna, vicino a Bougival, a circa sette chilo-metri di distanza dai giardini di Versailles. Il suo scopo era di sollevare l’acqua fino allasommità della collina di Louveciennes, a 162metri di altezza rispetto al livello del fiume, dadove un acquedotto sotterraneo di 6 chilometriavrebbe condotto l’acqua a Versailles per gravità,sfruttando i 37 metri di dislivello con i bacinidella terrazza del castello.La costruzione della Macchina iniziò nel 1681.La scelta del sito di Marly fu dettata anche dalfatto che la Senna, in quel punto, si divideva indue rami separati da isole e la conformazione delluogo permetteva, quindi, di non interrompere lanavigazione fluviale. Per creare un dislivello suf-ficiente a contenere le ruote idrauliche, tutte le

isole della Senna, da Bezons fino a Pecq, furonounite tra loro, delimitando un canale di servizio edi pertinenza della Macchina, a sinistra, mentrea destra rimase un passaggio riservato alla navi-gazione, resa tuttavia molto difficoltosa a causadella corrente48. Il ramo di pertinenza della Mac-china fu, quindi, isolato con dighe, per poter in-figgere sul letto del fiume i pali di fondazionedella piattaforma di base. Quattordici – il numero simbolicamente identifi-cativo del re – erano le ruote idrauliche, ognunadelle quali, di 12 metri di diametro, era azionatadalla caduta dell’acqua nel dislivello di circa duemetri. A loro volta le ruote idrauliche attivavanonumerose serie di pompe idrauliche, di cui leprime 64 attingevano direttamente l’acqua dalfiume e la conducevano ai serbatoi intermedi si-tuati sul pendio della collina, il primo dei quali acirca 48,50 metri al di sopra della Senna49. In un primo momento Sualem aveva pensato difar giungere l’acqua alla sommità della collinacon un solo sistema di pompe, ma le condutturein ghisa e, soprattutto, gli elementi di giunzionenon avrebbero sopportato l’elevata pressione acui sarebbero stati sottoposti. Si decise allora difar risalire l’acqua in tre tappe, ciascuna tra i 50ed i 60 metri di dislivello, intervallando il per-corso con serbatoi secondari. Da ogni livello una

La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Pierre Le Nègre, Jean Regnaud, Il Palazzo di Versailles, 1680-1690. Bassorilievo per la decorazione di Place des Victoires.

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serie di rinvii meccanici azionava altre pompe dicollegamento tra i vari serbatoi, fino a raggiun-gere l’acquedotto di Louveciennes a 1.200 metridi distanza dal fiume. Il movimento fornito da ogni ruota era quindi tra-smesso a due sistemi indipendenti: l’uno servivaa far funzionare il primo livello delle pompe, l’al-tro trasmetteva il movimento a quelle dei livellisuperiori. In totale si contavano tre livelli dipompe: il primo dalla Senna al serbatoio diMezza Costa; il secondo dal serbatoio di MezzaCosta al serbatoio superiore, situato di fronte allaresidenza di Arnold de Ville; l’ultimo dal serba-toio superiore fino alla sommità dell’acquedottodi Louveciennes. I serbatoi intermedi permette-vano, inoltre, di regolare il debito dei differentilivelli. La trasmissione del movimento avveniva tramitebarre di ferro, chiamate catene, fissate testa atesta per mezzo di rivetti. Le barre, lunghe 6 m,larghe 7 cm e spesse 3 cm, erano collegate fraloro da una serie di bilancieri oscillanti che man-tenevano il loro scartamento ad un’altezza di 3,60metri. Questi bilancieri erano a loro volta fissatisu una passerella continua di legno sostenuta dacavalletti; le catene erano quindi distinte in ca-tene dei piccoli cavalletti e catene dei grandi ca-valletti. In ragione del numero di pompe azionatenei due livelli intermedi, la lunghezza totale dellecatene era di 22 chilometri.Il movimento circolare delle ruote era, perciò,quello che permetteva il funzionamento di tutti imeccanismi della Macchina, ma occorreva chetale moto circolare fosse trasformato in movi-mento alternato attraverso una serie di bielle emanovelle, secondo lo stesso principio applicato,in seguito, sulle ruote delle locomotive. Il movi-mento alternato orizzontale azionava quindi unbilanciere a cui, alle due estremità, erano attac-cate le catene che salivano verso i livelli inter-medi dei serbatoi. Il cambiamento di direzionedel movimento, da parallelo al corso della Sennaa perpendicolare ad esso, era assicurato da unvarlet, un particolare pezzo dalla forma a squa-dra, che, ruotando attorno ad un asse verticale,riusciva a fornire il movimento alternato alle ca-tene di barre che salivano lungo la costa. Infine,un altro bilanciere, oscillante attorno al proprio

asse orizzontale, azionava, in modo alternato, ledue catene di barre fissate alle sue estremità, per-mettendo il movimento delle singole pompe.Complessivamente le ruote attivavano tra le 200e le 250 pompe verticali, aspiranti e rigettanti,composte da un pistone, munito di valvola, chesaliva e scendeva, con una corsa di 1,30 metri, al-l’interno del corpo cilindrico della pompa, daldiametro compreso tra i 10 ed i 15 cm. L’interomeccanismo era chiuso da un’ulteriore valvolanella parte superiore. Le pompe, immerse inpozzi, alimentati d’acqua dai serbatoi intermedi,erano azionate, a gruppi di tre, dal movimento al-ternato orizzontale delle catene trasformato nuo-vamente in alternato verticale da un varletinterposto. L’acqua pompata era inviata in un col-lettore che permetteva la risalita fino al livello su-periore.Tra il 13 ed il 16 giugno 1684 la Macchina fu pro-vata al cospetto del re. L’acqua pompata dallaSenna, passando attraverso una galleria sotto ilcastello di Voisins, arrivava alla sommità dellaTorre di Levante, l’estremità nord dell’acque-dotto di Louveciennes, progettato da Mansart eformato da trentasei archi per una lunghezzacomplessiva di 643 metri. All’altra estremità, laTorre Sud, aveva origine una galleria rivestita dipiombo, di 2 metri di altezza per 1 di larghezza,che conduceva le acque verso i serbatoi di Lou-veciennes, di Trou d’Enfer e verso quelli deno-minati le «Due Porte» a Marly, dalla capacitàcomplessiva di circa 700.000 m3. A sua volta un altro acquedotto sotterraneo con-duceva l’acqua da Louveciennes ai serbatoi dellaPiccardia e in seguito fino a quelli già citati diMontbauron, utilizzando allo scopo il Mur deMontreuil, alto 23 metri e lungo più di un chilo-metro50. Alla fine del 1685 l’acqua della Sennariuscì finalmente ad arrivare a Versailles, permet-tendo appena di soddisfare i fabbisogni del Parco.Poco dopo, però, a causa dell’arrivo dell’acquaproveniente dagli Stagni di Gobert e del crescentebisogno d’acqua per il nuovo Parco di Marly,venne ridotto l’apporto idrico dovuto alla Mac-china, che fu limitato al solo territorio circo-stante51. La costruzione della Macchina comportò ingentiopere e spese; la sua complessità, dovuta all’in-

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sieme delle canalizzazioni, delle pompe e dei loromeccanismi, necessitava di un personale nume-roso e specializzato, cosicché furono circa 1.800gli operai impiegati, tra cui non meno di venticarpentieri, quattordici fabbri, quindici manovra-tori, quattro posatori di tubazioni, tre segatori diassi e numerosi idraulici, fonditori, catramatori,ingrassatori, fontanieri. Anche riguardo ai materiali le cifre sono ingenti:800 tonnellate di piombo, altrettante di acciaio,17.000 tonnellate di ferro e circa 100.000 tonnel-late di legno. L’usura dei pezzi era considerevole,sia perché questi erano sottoposti a numerosicolpi nel corso del normale funzionamento, sia acausa delle variazioni di livello della Senna edella complessità delle installazioni. Inoltre, i li-velli di pressione erano al limite delle possibilitàofferte dai materiali utilizzati – le canalizzazionierano in ghisa o in piombo, con elementi flangiatidi 1 metro di lunghezza – e all’epoca non si co-noscevano che il cuoio e il piombo per assicurarei giunti tra i tubi o attorno alle valvole dellepompe. Tuttavia la concezione dell’opera, checomprendeva la ripetizione di numerosi elementi

identici – le ruote, le barre, le pompe – permet-teva che alcuni di essi potessero arrestarsi senzainterrompere il funzionamento complessivo dellaMacchina. Numerosi furono, inoltre, gli edifici costruiti, asupporto sia del personale impiegato sia delle ne-cessità dovute alla costante manutenzione. Tra questi è opportuno indicare l’abitazione diArnold de Ville, che vi risiedette dal 1684 al 1708– edificio trasformato in seguito nel castello diMadame du Barry – gli uffici dell’amministra-zione, i magazzini, le scuderie e gli alloggi d’abi-tazione – alcuni dei quali ancora oggi esistenti –gli edifici ospitanti le pompe – situati a mezzacosta e oggi demoliti – la fucina in legno – oradenominata Fattoria di mezza costa – la fonderia,per i ricambi delle tubazioni e delle catene dei ca-valletti.Tutti gli edifici al servizio della Macchina eranocircondati da uno spesso muro di cinta dotato dialte porte, di cui due sono ancora visibili ai bordidella strada statale n° 13. Un percorso in pavé molto inclinato – a volte oltreil 20% di pendenza – denominato percorso di

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Liévin Gruyl, La Macchina di Marly, particolare, 1688.

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mezza costa, era la via di servizio che collegavale differenti installazioni lungo il colle e consen-tiva la circolazione del personale e dei carri ne-cessari; i grossi sassi posati a denti di sega,permettevano, infatti, di trattenere gli zoccoli deimuli che trasportavano i carichi. Nella parte me-diana, il parapetto in muratura mostra ancora i si-gilli di ferro che lo abbellivano.La Macchina di Marly permise di produrre circa5000 m3 di acqua al giorno, pari a 34 m3 ogni ora.Il costo totale fu tra i tre e i quattro milioni di li-vres, ma ad esso è da aggiungere il costo per lamanutenzione annuale, poiché, come annotò Ni-codemus Tessin, la macchina di Marly eraun’opera da rifare costantemente. L’usura dellecatene richiedeva una fornitura costante di pezzidi ricambio, causando una perdita di efficienzadella macchina stessa, così come l’enorme sprecodi energia dovuto agli attriti dei meccanismi. Per recuperare le numerose perdite di carico, oltrealla presenza di un certo numero di pozzi inter-medi, alcune pompe servivano a convogliare leacque delle sorgenti che sgorgavano dal collestesso dopo aver attraversato i banchi calcarei.

Tra queste è ancora presente la sorgente denomi-nata Ru de la Princesse52, che inizialmente siespande a costituire un piccolo bacino, poi è par-zialmente canalizzata mentre un altro ramo af-fiora nei giardini limitrofi all’area. Inoltre la Macchina era tutta in legno, soggettaquindi ad ampie variazioni dimensionali in fun-zione dell’umidità relativa. Infine ai numerosiproblemi tecnici è da aggiungere anche il rumoreassordante ed insopportabile, determinato dallosfregamento delle numerose parti metalliche –prime fra tutte le catene dei cavalletti – che risuo-nava intorno divenendo fonte considerevole di di-sturbo53. Pertanto la Contessa Du Barry, quando scelse Lou-veciennes come luogo di residenza, dal 1769 al1793, decise di farvi costruire un Padiglione dellaMusica, sperando che potesse soffocare i rumoriprovenienti dalle installazioni della Macchina.L’opera di de Ville e Sualem funzionò ininterrot-tamente per centotrentatre anni. Tuttavia il problema dell’alimentazione idrica diVersailles permaneva e risultava necessario tro-vare un’ulteriore soluzione. Il 25 agosto 1817

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Nicholas de Fer, La Macchina di Marly, in Beautés de la France, 1705-1724.

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Luigi XVIII decretò l’ordine di demolizione dellaMacchina, a causa della sua vetustà ed insuffi-cienza, in termini di spreco di energia idraulica;venivano prodotti, infatti, appena 200 m3 d’acqua. Numerosi erano stati coloro che a più riprese sierano già cimentati nel tentativo di sostituire laMacchina o di dotarla di innovazioni tecnologi-che. Già nel 1751, ad esempio, il signor NicolasFocq, imprenditore des machines a feu de Char-leroy & de Cond aveva proposto – ed effettuato –la sostituzione dei cilindri costruiti in metallo co-lato, costituenti i corpi delle pompe, con altri inferro battuto, più precisi e resistenti. Nel 1807 l’ingegner Périer aveva, invece, ideatoun sistema di pompe azionate da due macchine avapore, prevedendo, nel suo progetto, lo scavo diun tunnel lungo un chilometro e di un pozzo pro-fondo cento metri.I lavori vennero iniziati nel 1808, ma furono fer-mati dopo tre anni a causa dei costi insostenibilie delle numerose perplessità sul funzionamento.Vennero chiamati allora i costruttori Cecile eMartin che, tra il 1811 e il 1827, si occuparonodi studiare la questione. La causa dell’enormespreco di energia venne individuata nell’assenzadi sincronismo tra le pompe che, creando conti-nuamente pressioni e depressioni, rendeva inco-

stante il flusso dell’acqua.Cecile e Martin ripristinarono due ruote dell’an-tico impianto, ciascuna azionante quattro pompesincronizzate, riuscendo a pompare 1.000 m3

d’acqua al giorno, una quantità considerevole ri-spetto a quanto prodotto negli ultimi anni dallaprecedente macchina. In seguito si dedicaronoalla costruzione di una nuova macchina, azionataa vapore, che raggiunse la portata quotidiana di2.500 m3. L’impianto a vapore fu ospitato all’interno di unnuovo edificio costruito sulla riva della Senna, ilPadiglione Carlo X. Il successo fu però di brevedurata, poiché il costo della materia prima, chedoveva essere bruciata per la produzione del va-pore, non compensava i risultati. Inoltre erano au-mentare le richieste d’acqua, poiché oltre aigiardini di Versailles l’acquedotto avrebbe dovutoservire anche il castello di Saint-Cloud ed unaventina di comuni limitrofi. Con l’avallo degli studiosi dell’Accademia delleScienze, si pensò di abbandonare l’energia fornitadalle macchine a vapore in favore di un ritornoal precedente sistema delle ruote idrauliche, seb-bene agevolato dai progressi compiuti dalla tec-nica. L’ingegner Dufrayer progettò quindi unamacchina costituita da sei ruote idrauliche, di 12

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Macchina di Marly. Particolari del sistema di trasmissione del movimento dalle ruote alle catene dei cavalletti.

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metri di diametro e 4,50 di larghezza, ciascunaazionante quattro pompe che aspiravano l’acquae la sospingevano all’interno di due condotte inghisa, le quali resero progressivamente inutile ilprecedente acquedotto di Louveciennes. La pres-sione dell’acqua veniva stabilizzata tramite alcuniserbatoi di aria compressa proveniente da unafabbrica annessa all’impianto. Inaugurata nel1859, la macchina di Dufrayer aveva una portatateorica di 18.000 m3 al giorno, ma in realtà rag-giunse soltanto quella di 7.000 m3. Questa macchina rimase in funzione fino al 20giugno del 1963 – rimanendo l’unica a funziona-mento idraulico a rifornire d’acqua la regione diVersailles anche dopo la diffusione dei motorielettrici – e fu demolita nel 1968. Contempora-neamente venne costruita una diga, sul bracciodella Senna di pertinenza della Macchina, percompensare il salto di livello, creato tre secoliprima, in funzione della caduta d’acqua che azio-nava le ruote a pale. Attualmente, all’interno delpadiglione Carlo X, sono installate turbine elettri-che, che sollevano l’acqua e la conducono, attra-verso canalizzazioni sotterranee, che hannosostituito quelle in ghisa dell’epoca di NapoleoneIII, verso i moderni impianti di Louveciennes,da cui è distribuita a più di 300.000 abitanti. Natoper i sogni ed i desideri di un Re, il sistema dellaMacchina di Marly ha finito per servire alle ne-cessità dei Francesi, seguendo quasi la stessa pa-rabola tracciata a partire dal 1789.

Di tutte le opere fin qui descritte la maggior parteesiste ancora; alcune sono ormai abbandonate,altre, invece, rimangono oggi in uso54, a più di tre-cento anni di distanza dalla loro creazione, seb-bene non sempre impiegate negli stessi modi eper gli stessi scopi per cui erano state previste. Inparticolare, per l’approvvigionamento idrico delparco di Versailles, esistono ancora i serbatoi diMontbauron, i serbatoi del Nord e di Piccardia edil serbatoio del Trèfle, nell’area del Trianon. Sonoinoltre da considerare, tra le riserve d’acqua, loSpecchio d’Acqua degli Svizzeri, che raccoglie leacque provenienti dal plateau di Satory, ed ilGrand Canal.Resta, tuttavia, non senza amarezza, la constata-zione di un’immensa perdita culturale, storica etecnologica, poiché, nel corso del tempo, nonsempre si è riusciti a riconoscere e a tutelare lagrandezza e l’audacia di un tale sistema di infra-strutture, autentica espressione dell’ingegno diuomini che hanno modificato la natura impie-gando le sue stesse leggi. La mancata tutela di tutte le opere descritte,frutto, nel passato, di una scarsa ed erronea attri-buzione di valore, ha prodotto non soltanto il per-petuarsi della questione dell’insufficienza idricadel Parco di Versailles55, ma anche l’attuale fram-mentarietà materiale di un sistema idrico che, nelsuo funzionamento complessivo, è possibile co-noscere soltanto attraverso le descrizioni, le pa-role ed i ricordi.

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Il padiglione Carlo X in un’incisione del 1869.

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L’Acquedotto Carolino

Di ben altro tenore è la storia della progettazione,della realizzazione e dell’utilizzo dell’Acque-dotto Carolino, forse l’opera che meglio di ognialtra esprime lo stretto legame tra Luigi Vanvi-telli, l’architetto, e Carlo di Borbone, il re com-mittente. Ricorda Antonio Sancio, nel 1826

Il Reale Acquedotto Carolino è una delle opere piùsingolari che esistono in Europa. Noi ne andiamo de-bitori al Re Carlo III, che la intraprese e la condussequasi a fine. Né possiamo frodare di una giusta lodel’Architetto Vanvitelli che con un genio sublime edardimentoso superò tutti gli ostacoli, e fece vedererealizzate le idee del gran principe56.

Parole che ribadiscono quelle della regina MariaAmalia, in visita al traforo del Garzano, il 2 aprile1759: «Se non avesti avuto il Re non averesti po-tuto fare queste belle cose magnifiche, né il Resenza di te le puoteva né imaginare per fare»57. Èl’approvazione per un’opera grandiosa e l’ammi-razione ufficiale per il suo ideatore e costruttore58.Fin dal principio fu chiaro che l’Acquedotto Ca-rolino sarebbe stata un’opera dal carattere ecce-zionale, non una semplice appendice di servizioal Palazzo Reale. Volontà del re – e di Vanvitelli– era che il flusso idrico fosse costante, ma, a dif-ferenza di Versailles, questo non costituiva unsemplice capriccio dettato dal sovrano per esibireil proprio potere, quanto la consapevolezza chealla nuova Reggia sarebbe stato necessario un al-trettanto magniloquente giardino, senza limita-zioni nel numero delle fontane e nel lorofunzionamento59.

Il dispendio e le difficoltà non ebbero nel Re Carlo ef-ficacia perché propostosi di conseguire un vantaggionella sua ideata impresa volle tentarla. Egli previddeche senza numerose fontane, mancato sarebbe il co-modo, e la più deliziosa parte alla vaghezza del realPalazzo e Giardini, perciò comandò la ricerca delleacque, le quali trovatesi molto lontano, non sbigottironpunto la di lui magnanimità, anzi immediatamente neaffrettò la derivazione. Può veramente asserirsi che inquesta opera abbia l’arte combattuto colla natura, maperché pugnavasi sotto gli auspici di cotanto invitto efortunato Re, fu questa da quella vinta e superata60.

Ulteriore distinzione dagli interventi compiuti perVersailles è data anche dall’atteggiamento, in-

credibilmente attivo, del sovrano. Costantementeinformato sul progredire dei lavori, il re amavaparticolarmente compiere di persona alcuni so-pralluoghi e fornire indicazioni utili per la ricercadelle sorgenti61; era inoltre anche intenzionato apresenziare alle attività di livellazione insiemecon il suo architetto62. La differenza principale con la reggia francese èdata, però, dal carattere di pubblica utilità cheavrebbe rivestito l’Acquedotto Carolino. Deside-rio del re era, infatti, prolungare il condotto finoa Napoli, dopo aver servito il giardino ed il pa-lazzo, per migliorare il rifornimento idrico dellacittà, sostituendo, per portata e qualità, l’acquapotabile fornita dall’Acquedotto Carmignano63:

In tanto d’ordine Reale si è lavorato allo scavo dellaforma per raccogliere le acque che si vogliono, che aNapoli non sono mai andate, come l’acqua delbronzo, la qiale con 12 mila scudi o altro prezzo sidovrà conseguire con le altre che avanzano (…). Nelfare il sudetto scavo sonosi manifestate nuove sor-genti e così copiose, senza deterioramento delle altre,che formeranno un corpo nuovo di acque di circa 500once almeno. (…)Ciò risaputasi da Sua Maestà, che vuole essere infor-mato di tutte le minuzzie, mi ha ordinato che io formiun acquedotto capace, non solo per condurre quellesorgenti, ma anche di molto più, cioè per tutte le altreacque pulite che vengono verso Napoli da quel luogo,perché ogni danno che succedere possa alli particolari,che se ne servono per la strada, egli ne pagherà ad essicon entrate fisse la perdita, e dopo che se ne sarà SuaMaestà servite alla vista nelli suoi giardini, intere levuole rimettere nel acquedotto (…) che le conduceverso Napoli64.

Tra le ipotesi considerate c’era anche quella dicondurre l’acqua fino a Capodimonte «e poi pre-cipitarla per la valle, ove [il re] vuoleva fare mo-lini et adacquare Napoli nella parte superiore, ovenon vi è una goccia di acqua»65. Infine era fonda-mentale che il nuovo acquedotto garantisse ancheil costante approvvigionamento idrico della na-scente nuova capitale che era prevista attorno alPalazzo Reale. Era necessaria, quindi, un’acqua abbondante, maallo stesso tempo limpida e salubre. Dopo alcuni

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sopralluoghi risultò immediatamente chiaro chenon era possibile ricostituire il vecchio condottoutilizzato nel giardino dei principi Acquaviva, siaperché ormai fatiscente, sia perché le sorgenti dacui traeva origine sarebbero state insufficienti perle nuove esigenze.Vanvitelli svolse, perciò, tra il 1751 ed il 1752,un lungo e laborioso lavoro di ricerca delle sor-genti più adatte, rivolgendosi, inizialmente, al ter-ritorio dei monti Tifatini:

Ieri sono andato al monte per ordine del Re a misurarel’acqua, la quale dicevasi 18 carlini, ma in fatti sono3 oncie e mezza scarse; ho poi veduta una bellissimasorgente, detta d’atalena, la quale è limpida come unchristallo, e sono a presso a cinque libre di acqua, masta dietro il monte, onde non so se si puotrà condurresenza forarlo; basta livellare e si riconoscerà il tutto.Indi andiedi ad un’altra sorgente, che è quella che ve-niva anticamente al boschetto di Caserta; qua ò ritro-vato circa 5 oncie di aqua, che unita alle 3 e mezzasaranno da 8 in 9 oncie; vederemo poi se si puotà ac-quistare dell’altra, in tanto però in questi giorni anderòsul monte di nuovo con il Cavalier Neroni a visitarecerta altra acqua, e condurrò Mastro Pietro e li dueGiovani a livellare quella acqua delle 5 libre66.

Numerose livellazioni furono effettuate, nel corsodel tempo, per determinare con precisione lequote67. In tale compito Vanvitelli fu aiutato daicollaboratori Pietro Bernasconi – nelle lettere no-minato come «Mastro Pietro» – Marcello Fontone Franceso Collecini – «li due Giovani» – cui,poi, si aggiunsero i suoi due figli Carlo e Pietroche, dal 1757, si occuparono di rilevare la piantadell’Acquedotto68. Il problema era costituitodall’altezza del sito destinato al Parco «così ele-vato, che sembrava togliere ogni speranza di pro-durvi copiosa acqua». La ricerca delle sorgenti fuquindi estesa al territorio circostante «di là diMonti Tifata, verso le montagne alte, che sole po-teano somministrare di quella, che sì alto livellosoffrivano»69.

Ieri andiedi a S.Agata de Goti nelle montagne, 12 mi-glia di qua distante; ivi ho riconosciuto circa milleoncie di acqua da condottare in altezza cospicua, mavi sono delli imbrogli rispetto alcuni molini, che devovoltare. Io però penso che allora quando saprò di chealtezza ha rispetto il luogo di Caserta, allora si puotràdeterminare. Si anderà dopo la venuta del Re a visi-tare altre acque e quindi prendere quelle che più tor-nerà al proposito70.

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Il percorso dell’Acquedotto Carolino, dal monte Longano alla Reggia.

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Da alcuni riferimenti presenti nelle opere di Vel-leio Patercolo71 e Dione Cassio72, Vanvitelli era,inoltre, venuto a conoscenza dell’antica presenzadi un acquedotto, l’Acqua Giulia73, fatto costruireda Giulio Cesare per servire la città di Capua.Confortato da tale notizia l’architetto si spinsesempre più lontano da Caserta, alla ricerca dellestesse sorgenti anticamente utilizzate. Giunse, così, sul monte Taburno, le cui «vastis-sime spalle abbondanti raccolgono il tuono dellenevi e delle piogge» ed il cui «essere in gran partedi grosse pietre vive disgiunte e di ghiaia compo-sto, fa che l’acqua, che ne trapela, sia della piùsoave, ed isquisita»; inoltre «la base del suofianco meridionale prodiga di acque ritrovasi, chequantunque in una amena pianura si manifestino,è però questa pianura sollevata tanto, che pareg-gia le cime di alcuni monti di Caserta»74. Insomma, le sorgenti del monte Taburno sembra-vano possedere tutte le caratteristiche desideratee ricercate.

Che l’antica acqua Giulia da queste medesime fontiderivasse, non era che ragionevole congettura, ma di-venne subito certezza, allorché scavandosi tutto sot-terraneo il condotto in un terreno di brecciuola, così

tenacemente conglutinato, che solido muro arte fattosembrava, si scoperse appresso la sorgente di Moli-nise l’acquedotto fabbricato da i Romani per incana-lare l’acqua Giulia verso Capua, ed avvenne ches’incontrasse della dimensione istessa, che era stataprescritta nel nuovo, in guisacché, quando l’anticonon fosse stato quasi disfatto, avrebbe risparmiato, perqualche spazio, la costruzione del moderno75.

L’incontro con i resti dell’antica opera romana,circa delle medesime dimensioni, sette palmi pertre, di quella che si stava costruendo, è testimo-nianza della perizia idraulica di Vanvitelli; ma ilproseguire dei lavori, garantì di poter affermare lasuperiorità della sua opera sulla precedente. Nei pressi della collina denominata Prato, infatti,si incontrò di nuovo l’acquedotto romano

più alto però di livello del presente, dal che vi si rendepalese, che dai Romani altrettanta quantità di acquanon si raccogliesse, anzi a buona ragione credere sipuò, che, a riserva delle primiere più alte sorgentisomministrate dal Taburno, tutte le altre acque, cheadunate sono nel Regio acquedotto, non siano statemai comprese nell’acqua Giulia, ma pari a quellanella perfezione, sin ora da vergini sorgive state sco-perte, ed incanalate76.

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Il percorso dell’Acquedotto Carolino, dalle sorgenti al monte Longano.

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Laboriose furono le pratiche per l’acquisto dellesorgenti più idonee. Tra queste è da ricordarel’acquisto del Mulino e delle sorgenti del Fizzo,di proprietà della Mensa arcivescovile di Bene-vento, fortemente voluto dal re. Per la cessione,avvenuta nel marzo 1753, l’arcivescovo France-sco Pacca ricevette novemila ducati. Il mulino, inprossimità di due grandi vasche, era composto daun ampio ambiente destinato alle macine, da cin-que vani più piccoli e da due stanzini di servizio;tuttavia, a causa della posizione troppo vicina allevasche, le macine non ricevevano una spinta suf-ficiente. Venne realizzato, allora, un nuovo fab-bricato più a valle, dove le macine furonoalimentate da un apposito canale in muratura pro-veniente dalle vasche superiori. L’acqua, dopoaver azionato il mulino, veniva di nuovo incana-lata in altre due vasche sottoposte77. Vennero do-nate nel 1757, invece, le fonti presenti nei territoridel duca di Airola, don Bartolomeo di Capua. Sitratta delle sorgenti Molinise, Fontana del Duca,e Matarano. Probabilmente il duca sperava di ac-cattivarsi il favore del re, il quale accettò conestremo piacere l’inaspettato dono. In realtà né Carlo di Borbone, né il figlio Ferdi-nando ricambiarono mai la sua generosità ed ilduca, in quanto donatore, fu l’unico a non guada-gnare nulla dalla cessione delle proprie sorgenti.Probabilmente per il timore di eccessive perdite,o di non avere acqua a sufficienza per tutte le esi-genze, Vanvitelli immise, nel nuovo condotto,anche tutte le sorgenti incontrate lungo il per-corso dal monte Taburno al monte Briano. In una

relazione al sovrano, di cui lo stesso architetto dànotizia in una lettera del 6 giugno 1752, «28 sor-genti di acque limpidissime» furono segnate inuna «Carta Geografica», insieme all’«andamentodel condotto fino a Caserta»78. Le principali fontid’acqua sono proprio quelle del monte Taburno:

La prima e maggiore di tutti si nomina lo Sfizzo. Que-sta subito ravvolge l’un doppo l’altro 2 molini, li qualiànno la ruota orizzontale, dalla quale ricevono ilmoto. (…)La 2.a si nomina di Mango, perché nel territorio dipersona di quel nome della terra d’Airola nasce l’aquadi cui si parla.La 3.a del Fico, perché di quest’alberi abonda il luogo.La 4.a Molinile, perché puotrebbe questa ravvolgereun molino a ruota verticale.La 5.a di Marano, perché nasce nel territorio di pa-drone che avea anticamente quel nome.La 6.a del Rapillo, perché sorge nel mezzo di un ter-reno di questa materia composto.La 7.a dell’Olmo. Denominazione presa da un alberoprossimo.L’8.a della Peschiera, così nominata per esservene unanel giardino rustico prossimo a detto sito, ove si con-servano buone trote, che appartiene al prencipe d’Ai-rola. Quivi sono varie sorgenti unite, le quali formanoun coppieno volume di aque.La 9.a è della Fontana dei Cavoli.La 10.a di S.Sebastiano.L’11.a del Bollore.Nel cavare quindi il terreno per immergere l’Aque-dotto si sono scuoperte varie picciole sorgenti, cheunite insieme costituiscono un corpo di aqua fluentedi oncie Romane riquadrate numero 31079.

Lo stesso gruppo di sorgenti è, invece, così de-nominato nella Platea del Cavalier Sancio:

Molto fra di loro vicine quivi dieci sorgenti si rinven-nero, nomate volgarmente, il Fizzo, la Noce, il Fico,Molinise, Matarano, Sambuco, S.Sebastiano, la Vella,Rapillo, e la Peschiera del Principe, la quale sorgendosul tenimento del Duca di Airola D.Bartolomeo diCapua, Principe della Riccia gli ….. l’onore fortunatodi farne, con tutte le altre, che si trovassero, un giustodono al Re.Nel fabbricare l’acquedotto altre fontanelle si scopri-rono, che insieme raccolte, somministrarono la quan-tità di trecento settantacinque once di acqua;naturalmente senza pressione fluente80.

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

Mulino in località Fizzo, Airola.

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La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Alcune planimetrie delle livellazioni eseguite. A. R. Ce.

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Le due versioni, al di là di alcune incongruenze,testimoniano l’abbondanza d’acqua della zonadel Taburno ed il nucleo principale delle sorgenti«dell’acqua grande in Airola»81. Ad esse sono daaggiungere le numerose sorgenti incontrate nelpercorso – tra cui quelle non comprese nell’Ac-qua Giulia e quelle costituenti «l’acqua piccola»sul monte Tifata, «sopra Caserta» – tra le quali sisegnalano quelle di Fontanelle, di Atalena82 e diGiove. La presenza di due nuclei principali disorgenti, acque «grandi» e «piccole», aiutò l’ar-chitetto a risolvere il problema dell’approvvigio-namento idrico del cantiere della Reggia83

fintanto che l’Acquedotto proveniente dal Ta-burno non veniva completato. Vanvitelli suddivise infatti la costruzione del-l’opera in tre parti84: dal Fizzo al monte Ciesco,dal Ciesco al monte Garzano, dal Garzano allaReggia. Tale divisione comportò la presenza dipiù squadre di operai che contemporaneamenterealizzavano diverse parti dell’Acquedotto sottola stretta supervisione dell’architetto e dei suoicollaboratori. Una relazione sullo stato dei lavori– non datata, ma inserita da Franco Strazzullo altermine delle lettere dell’anno 1753 – attesta la

contemporanea presenza di operai al «cavo dellasorgente maggiore detta dello Sfizzo», alla sor-gente di Fontanelle e al «secondo Monte che sitrafora» – probabilmente il Ciesco – in cui «già sisono fatti tutti li pozzi» e « resta solo d’incon-trarsi la grotta da una parte e l’altra». Cantieri attivi erano anche alla «conduttura del-l’acque nelli Piani di Airola (…) a ragione di escirfuori dalle allacciature e fabricare li piloni di unponte», alla «Valle di Madalona, dove si fa l’ar-cata» e sul fiume Faenza, dove si erano «già fattidue piloni (…) di longhezza da punta a punta dipalmi trentaquattro largo palmi 14 2/3 e alto palmi20». Infine:

l’altro travaglio de’ Minatori sopra a Caserta vecchiaparimente è avanzato molto, si è traforato un Monti-cello a longhezza di palmi trecento e si sono fatti duefossi profondi palmi 52 e già si è murato la grotta efatta altra quantità di forma murata, che sono due sor-give, che si uniranno assieme, ma restano distanti unadall’altra, e questa conduttura di acqua sarebbe già abuon porto se non fosse un altro monticello che sideve traforare in magior longhezza e profondità, magià si sono fatti delli fossi e si principierà a sgrottare,

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Planimetria delle sorgenti del Fizzo. A. R. Ce.

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La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

Alcuni torrini di ispezione in località Fizzo, Airola.

Mulino nei pressi di Bucciano.

e quest’acqua verrà sopra al Monte di Briano incontroil palazzo Reale due miglia distante e servirà per lafabrica fino a tanto che non si è condotta la grande85.

Dalle descrizioni fornite, si evince chiaramentela compresenza di cantieri in cui gli operai nonerano al corrente del risultato complessivo del-l’opera, ma seguivano le precise indicazioni for-nite. In una lettera del 1762 è lo stesso Vanvitelliad illustrarci in un dettagliato resoconto – e quasiincredulo della riuscita – il metodo seguito nel-l’avanzamento dei lavori.

Sia tutto lode a Dio. Sappiate che quando dall’acque-dotto si leva l’acqua tutto rimane asciutto e scola in-tieramente, cosa che non succede in nessuno delli 3acquedotti che sono in Roma presentemente, ondenon solamente è stato ben livellato, ma è stato dili-gentemente livellato e lavorato, che benché da tantediverse mani, le quali avevano li punti fissi di doverandar dritti in piano dall’uno all’altro, perché vi eranostati fissati i picchetti col numero, sotto de quali erasistabilita al tavolino la pendenza, questi tutti lavora-vano bene, senza che sapessero se male o bene faces-sero, soltanto quando avevano lavorato un miglio, opiù o meno, vi facevano entrare un poco di acqua equesta scorreva verso il camino, con la quale si veri-ficava l’opera e servivale per comodo della fabrica86.

Tutto ciò è ulteriore testimonianza della maestriadi Vanvitelli, in grado di dirigere diverse squadredi operai ottenendo, al termine dei lavori, un risul-tato omogeneo in ogni parte. È inoltre prova dellasua abilità e competenza, oltre che dei suoi collabo-ratori, in grado di eseguire, sin dal principio, livel-lazioni molto precise ed accurate, indicando in ogniluogo l’esatta pendenza stabilita «al tavolino»87. Tuttavia, per l’alto grado di precisione richiesto,il procedere della costruzione, dal 1752 al 1770,fu lento e laborioso, non tanto per le dimensionicolossali dell’intervento88, quanto, soprattutto, peri numerosi ostacoli incontrati in corso d’opera. Per una migliore comprensione del percorsodell’Acquedotto si ritiene utile, nella descrizionedelle varie parti, seguire l’itinerario dalla sorgentealla cascata del Parco, in analogia al testo ripor-tato nella Platea del Cavalier Sancio, piuttostoche il semplice ordine cronologico.Dopo un primo tratto, piuttosto agevole, alle sor-

genti del Fizzo – circa «palmi duemila settecentocinquanta» con «il condotto da cinque a diecipalmi sotterra» - numerose furono le difficoltà in-contrate a causa dei diversi terreni su cui l’Ac-quedotto si trovò a passare. In primo luogobisognò fronteggiare una palude «che tutto ingo-iava»89.

Fu per tanto di mestieri stabilire un cammino sicuroalle acque, fitte piantando ed alte palizzate per l’esten-sione di palmi settecento in circa.Terminata la palude, si ritrovò un suolo tutto compo-sto di minuto lapillo, per la larghezza di 1100 palmi edin questo luogo, a fine di raccogliere copia maggioredi sorgive basse, si abbassò obbliquamente per novepalmi l’acquedotto, e si dilatò fin a quattro palmi, al-lorché si pervenne ove dicesi la Peschiera del prin-cipe, sebbene vi si ritrovasse un terreno, che a ragionedi essere imbevuto dall’acque sorgenti, trema da per-tutto, e perciò chiamasi Tremolo; nascondendo leacque in sotto le radici di copiose piante ed arbuscelli,che di molto ancora si nutriscono.

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Ben più malagevole che nella prima palude fu l’edi-ficarsi su di […] palizzate il condotto, largo presso acinquecento sessanta palmi, con il quale, dopo averraccolto le molte sorgenti di acque intorno la detta Pe-schiera, per lo spazio di circa cinquecento palmi, con-tinuassi l’acquedotto in una terra Tufacea, dalla qualestessa picciole sorgenti si raccolsero, e quindi per lotratto di palmi tre mila, un arenoso terreno, ma solidocome tenace tufo è incontro90.

In seguito fu necessario superare il primo dei duecorsi d’acqua incontrati: il fiume Faenza, attual-mente denominato Isclero. L’architetto stabilì, al-lora, di costruire un ponte su quattro arcate, dicirca 150 palmi di lunghezza. L’arcata centrale,sotto cui passa il fiume, «che in tempo di Invernocalando le nevi dalle Montagne circonvicinemena torrenti grossissimi, è di luce palmi 26 e lialtri sono di palmi 20»91. Il Ponte Nuovo sul fiume Faenza fu la prima af-fermazione pubblica della riuscita del lavoro diVanvitelli, sebbene, in seguito, sarebbero stati an-cora numerosi i suoi detrattori. In occasione di una visita dei sovrani, l’architettoorganizzò una scenografica mostra dell’acqua alfine di esibire al meglio la propria opera e, forsenon casualmente, lasciò scoperta e perfettamenteleggibile l’iscrizione celebrativa apposta sull’arcocentrale.

Lo condussi [il re] al Ponte Nuovo sul fiume Faenza,dove tutta l’acqua feci cadere a caduta nel fiumeistesso, ma sopra un arco laterale a quello di mezzo,sotto di cui il fiume passa. Restarono molto piacevol-mente ammirati della quantità dell’acqua, come anchedella costruzione del Ponte, sopra cui, benché non an-cora terminato del tutto, vi avevo fatta inalzare la diloro inscrizione: Carolus et Amalia utr. Sic. Et Hier.Reg. Anno Domini MDCCLIII.Il tempo, la vista et ogni altro conferì a cotesto di loropiacere, che fu di mia somma consolazione. Indi leloro Maestà si avvicinavano, si allontanavano per go-dersi del bellissimo butto di acqua, e la Regina si av-vicinò tanto che n’ebbe qualche leggiero spruzzo. Laquantità dell’acqua è consimile a quella di S.Pietro inMontorio. Vollero poi vederla correre nel cunicolo, ela puoterono vedere perché una porzione ivi prossimarimaneva senza la volta sopra. Indi si portarono a ri-conoscere le sorgenti per vederle imbocare dentro; iltutto riuscì con plauso e molti della Corte si disingan-

narono delle tante diverse ciarle, e fra questi nonmancò qualchuno che dubitasse della durata dell’ac-qua, ma in vano, perché essendo le vene ancoramagre, l’acqua in vece di scemare anderà a crescerequando viene la Primavera e l’Estate e soltanto calanelli mesi di Decembre fino a tutto Febraro92.

A partire dal ponte sul fiume Faenza «di Real co-mando si dilatò l’acquedotto fin a palmi quattroe tre quarti, per renderlo capace di ricevere, qua-lora vi si volesse introdurre, trentadue altre sor-genti limpidissime»93. È il secondo ampliamentosubito dall’Acquedotto Carolino, che vede la suasezione, di «palmi sette e mezzo alto, e largopalmi tre e mezzo»94 alle sorgenti del Fizzo, giàdilatata in palmi quattro alla Peschiera del prin-cipe. Altre indicazioni sulle dimensioni dell’Ac-quedotto e sulla sua portata ci sono fornite nellagià citata lettera del 14 luglio 1754:

Or per quanto ho potuto mi sono studiato a raccoglierele aque grandi, medie e picciole, le quali adunate den-tro l’unico aquedotto, che l’ho costruito di palmi 4½di larghezza e palmi 7½ di altezza sotto la volta, cheriviene alla nostra Romana Architettonica misurapalmi 5¼ e palmi 4¾. Ne feci la prova e vi scorreacon velocità naturale il volume delle aque in altezza dipalmi 3½ di Napoli, cioè palmi 4 1/12 di Roma, dimodo che formavansi oncie romane di passetto 30 e 7riquadrate fluenti.Non intendo con questa misura dare il calcolo ade-guato che si deve ricavare della quantità dell’aqua,che puole scaricare in un dato tempo, come il nostroP. Grandi saviamente e sicuramente c’insegnò ilprimo, ma soltanto, come dissi, un’aqua fluente di na-turale velocità apparente all’occhio. Per altro, con ungalleggiante ne voglio fare la prova, allorché sarà ri-dotto il corpo dell’aqua a poter fluire interamente peril condotto, e ne manderò a V.S. l’esatta notizia, per-ché desidero sentire il parere degl’Amici Eruditi perassegnarne esattamente la giusta quantità95.

Superato il fiume Faenza, il condotto prosegue dinuovo sottoterra all’interno di una collina di tufo,il monte Prato, per una profondità massima di no-vanta palmi ed una lunghezza di circa settemila-duecento palmi, pari a circa due chilometri. Una nuova sorgente «di ottantacinque once diquell’acqua squisitissima, e per freschezza com-mensabile, e per leggerezza, quale dal tufo sperar

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Luigi Vanvitelli, Veduta del ponte sul fiume Faenza.

si devea»96, venne trovata nel monte, costituendoinizialmente un intralcio agli operai e andando,in seguito, ad integrare la portata dell’acquedotto. In particolare tale sorgente fu adoperata per i fab-bisogni del cantiere finché non fu completato iltratto fino al ponte di Durazzano, contribuendo,con il suo scorrere nel condotto, a verificare labuona esecuzione dell’opera97. In altri novecentopalmi sottoterra vennero rinvenuti invece, comegià detto, i resti dell’antico acquedotto romano. Seguì poi il traforo del monte Ciesco, di «sassovivo (…) per la cospicua estensione di palmi set-temila ottanta in profondità (…) sempre però daiventicinque ai cinquanta palmi», che fu comple-tato solo nel 1755. Di seguito il cosiddetto vallone «del molino diMastro Marco», in cui l’acquedotto costeggia ilfiume Faenza, «sottoposto di livello al R°. acque-

dotto di palmi dugento sedici»98, e le strutture co-struite per convogliare le acque nel condotto delCarmignano. A partire da questo luogo, per circa40.250 palmi, il percorso prosegue attraverso«l’erte, petrose sassose balze dè monti»99, appen-dici del Taburno, quali il Castrone, l’Acquavi-vola, la Sagrestia, la Stella maggiore, il Fiero edil Fano. La conduzione dell’acqua attraverso monti didura roccia è forse la parte più faticosa e com-plessa dei lavori, obbligando l’architetto a proce-dere con estrema lentezza; di questo si lamentaanche in un’altra lettera del 1754:

L’acqua Felice, in tempo di Sisto V, fu condottata inRoma in 28 mesi, ma si attaccò foco per tutta l’esten-zione; io non lo posso fare, per ragione dell’assegna-mento regolare che il Re à fatto. Io devo caminare

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sempre per monti di pietra e soltanto per ora ne tra-verso uno di tufo; la strada è più lunga e devo traver-sarne uno vicino coperto tutto di pietra viva; la cosa sidice con facilità, ma è molto difficile nell’eseguirlo evi vuole del tempo per fare saltare all’aria il sasso100.

Al termine della catena montuosa si giunge nellavalle di Durazzano dove, sotto la Chiesa dellaMadonna di Costantinopoli, l’acquedotto racco-glie nuove sorgenti. Quello della valle di Duraz-zano è il secondo ponte che si incontra nelpercorso. Realizzato per superare il torrente Ma-iorano, ovvero Martorano, il ponte è composto dicinque arcate, per una lunghezza di 240 palmi edun’altezza, al centro, di 70, circa 18,50 metri. I lavori per la sua costruzione durarono dal-l’aprile al settembre del 1760101.All’altra estremità del ponte di Durazzano ha ori-gine il monte Longano, con terreni di qualità piùscadente, soprattutto creta, per superare il quale siscelse di seguirne il perimetro, cosicché

sembra retrocedere il cammino lungo la valle stessaper circondarla nell’estensione di palmi 11000; s’in-contra in appresso nell’acquosa costa del colle (…) epassa in questo luogo sotterra più di cento palmi, me-diante un traforo lungo palmi 1500. (…) Prosiegue costeggiando nell’estensione di palmi140000 fin sopra il …. nomato Bagnoli, e quindi ilcondotto, immerso sempre nelle asprezze del sassosomonte di Longano, pelle medesime pendici si distendealtri palmi 16000102.

Il lavoro risultò estremamente difficile e dispen-dioso proprio a causa dei «siti acquosi, per dovesi fa il taglio da incassare la forma, che si trovagran quantità di acqua circa tredici e quattordicipalmi sotto terra (…) et è un terreno che alla ga-gliarda si lassa»103. Non è un caso che gli unicicedimenti subiti dall’Acquedotto siano stati regi-strati proprio in questa zona. Il primo nel 1763,quando circa 400 palmi di acquedotto «quantun-que incassato nel sasso vivo, insieme con quello

Il ponte sul fiume Martorano, nella valle di Durazzano.

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Il percorso dell’Acquedotto lungo la costa dei monti circostanti S.Agata dei Goti.

si è mosso giù per una gran slamatura mossa disotto, dalla quale slamatura in molta distanza albasso scola della molta acqua»104.

Il danno fu ingente e complessa fu la sua ripara-zione, anche perché costrinse l’architetto a tro-vare una soluzione valida che evitasse il ripetersidell’evento dannoso. Inoltre la carenza dei fondimessi a disposizione dalla nuova amministra-zione fece sì che nel 1766 dovesse ancora esserecompletato il ripristino della struttura105. In seguito, nel 1787, sul sito denominato Riello,si produsse un altro cedimento.

L’acquedotto benchè fosse stato ivi garantito da fortibarbacani, e da altre opere di tal natura, spinto dallescrepolature del monte, cui era appoggiato, fu rotto indue parti. Dopo maturo consiglio si credè doversi ab-bandonare quel cammino, e far correre il condottonelle viscere del monte istesso. Costò quest’operacirca Dti. 92000, ma vi rimase sempre dubbio dellasua stabilità, atteso la materia cretosa di cui è compo-sto l’indicato monte106.

Il traforo di circa 1500 palmi del monte Croce,divenuti in seguito 1900107, fu particolarmenteostacolato dalle numerose esalazioni venefiche108

provenienti dal sottosuolo e dalla natura cedevole

del terreno, che costringeva a scavare soltanto perdue o tre palmi e subito a «fabricare», cioè pun-tellare e consolidare ogni parte prima di prose-guire109. Nonostante le numerose indicazioni di cauteladate da Vanvitelli, non si riuscì purtroppo ad evi-tare un incidente mortale occorso ad uno dei ma-stri che aveva contribuito anche al successo deiPonti della Valle, Giovan Battista Fontana, seb-bene la causa sia da imputare alla sua imprudenzache lo spinse a scavare per sei palmi prima di co-minciare a realizzare i necessari sostegni. L’episodio è tuttavia indicativo dell’estrema cau-tela con cui bisognava procedere in questa partedell’opera e della conseguente lentezza, che de-terminò il protrarsi dei lavori dal 1759 al 1761. Altri incidenti avvennero, poi, a causa delle esa-lazioni venefiche110 e, in seguito ad una frana, funecessario un secondo cambio di percorso:

Il passaggio del monte della Croce si riduce a una pas-sione, quantunque per accedere al pozzo fatale dellamufeta, da una parte alla grotta manca 9 palmi e dal-l’altra 13, ma siccome è stato tanto tempo senza es-sere murata la creta, questa si è slamata nell’interno edà fatto come una pappa fra creta e acqua, onde unaporzione di sotto dei muri del pozzo sono anche sla-mati, sicché ò dovuto ordinare un altro pozzo più

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grande per contenere il pozzo antico A e la slamaturadella gotta B, o almeno quando sarò vicino ne puotròfare un altro nel sito B ed accrescere con fabrica lasodezza alla fragilità del terreno; il primo pozzo A è didiametro 7 palmi, l’altro novo B à di diametro palmi20; questa fabrica porterà via del tempo, ma ci vuolepazienza, purché s’ottenga l’intento111.

Finalmente il 14 aprile 1761 Vanvitelli potevascrivere in Spagna che il traforo del Monte dellaCroce era terminato ed era stata fatta «la provadell’acqua per il corso di 14 miglia, la quale feli-cemente scorre». Eppure fino all’ultimo sembrò che gli ostacolinon dovessero terminare. Emersero, infatti, ancheproblemi di natura burocratica, come si leggenella stessa lettera:

Aperto che fu il traforo, ordinai alli due Capi Mastriche ogn’un dalla sua parte in quel punto ponessero lemani a fabricare in quel breve tratto di traforo li murie la volta, né lasciassero mai il travaglio per tutta lanotte, affine di assicurare la grotta perché non sla-masse, stantecché essendo il monte composto tutto dicreta e acqua in quel sito, risentendo l’aria puotea di-staccarsi e perdere l’opera fatta, con dilungamento ditempo, spesa e pericolo agl’operarii. Quel buon Co-missario mi replicò che il Razionale, il Fiscale, il Go-vernatore aveanli dato ordine che non facesse mailavorar di notte. Confesso che la bile mi montò, mariflettendo non averne colpa il Comissario, replicai ilmedesimo ordine agl’operarii, e soggiunsi che se ilFiscale, Razionale, Governatore e chiunque altro non

volessero passare le spese di quel lavoro mi avessedata la nota che io co miei danari gli l’averei pagata.Di questa tinta ogni giorno vengono intoppi che ritar-dano e mi avvelenano, anche con danno di mia sa-lute112.

In seguito alla conclusione del traforo del Montedella Croce, i lavori proseguirono per terminare ilcollegamento con i Ponti della Valle. Questi sitrovano sull’altro versante del monte Longano,dove un profondo vallone, chiamato per antono-masia la Valle, ne costituisce la separazione dalmonte Garzano, propaggine dei monti Tifatini sucui si trova Caserta Vecchia. La profondità dellaValle, circa 280 palmi, aveva impedito di proce-dere scendendo lungo le pendici del monte, ren-dendo necessaria la costruzione di un ponte per ilcollegamento dei due fianchi e la conduzione inquota dell’acqua. I Ponti della Valle, realizzati tra il 1753 ed il 1759,costituiscono l’opera più affascinante e più ammi-rata dell’intero percorso dell’Acquedotto Carolino.Il loro modello, a tre ordini di arcate sovrapposte,è il Pont du Gard a Nîmes; è lo stesso Vanvitelli adichiarare apertamente il suo debito con l’operaidraulica realizzata dagli antichi romani:

[l’acqua] averà da passare una valle vicino Matalona,nella quale vi farà bisogno inalzare almeno 200 palmidi acquedotto, in piccolo tratto però, il quale dovrà es-sere come qui esprimo; figuratevi il ponte di CivitaCastellana, due volte più lungo.L’opera sarà Reale; vi farò gli ornati corispondentialla grande in stile de Romani antichi, perché l’operala comporta et è assai onorevole e cospicua per il Ree per me ancora.Fra li disegni della buona memoria di Nostro Padre videve essere una stampa di Perelle di una veduta delPont du Gard in Provenza, fatto per condotto d’acquain unione di due monti, come il caso qua porta, con ladifferenza che sotto non vi passerà fiume ma unica-mente la strada113.

I Ponti della Valle costituiscono l’emblemadell’Acquedotto e svolgono una funzione cele-brativa dell’intera opera114. Su entrambi i lati in-terni del portale vennero poste le due iscrizioniideate dal migliore letterato di Napoli, il canonicoAlessandro Simmaco Mazzocchi:

Torrino di ispezione nei pressi di S.Agata dei Goti.

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Verso l’Abruzzo

QUA MAGNO REIPUBLICAE BONOANNO MDCCXXXIV

CAROLUS INFANS HISPANIARUMIN EXPEDITIONEM NEAPOLI

TANAM PROFECTISTRANSDUXERAT VICTOREM EXERCITUM

MOX POTITUS REGNIS UTRIUSQUE SICILIAEREBUS PUBLICIS ORDINATIS

NON HEIC FORNICES TROPAEIS ONUSTOSSICUT DECUISSET EREXITSED PER QUOS AQUAM IULIAM CELEBRATISSIMAM

QUAM QUONDAM IN USUM COLONIAE CAPUAE

AUGUSTUS CAESAR DEDUXERATPOSTEA DISIECTAM AC DISSIPATAM

IN DOMUS AUGUSTAE OBLECTAMENTUMSUAEQUE CAMPANIAE COMMODUM

MOLIMINE INGENTI REDUCERETANNO MDCCLIV

SUB CURA LUDOVICI VANVITELLI

REG. PRIM. ARCH.

Verso Napoli

CAROLO UTRIUSQUE SICILIAE REGEPIO FELICE AUGUSTOET AMALIA REGINA

PARENTE SPEI MAXIMAE PRINCIPUMAQUAE IULIAE REVOCANDAE OPUS

ANNO MDCCLIII INCOEPTUMANNO MDCCLVI CONSUMMATUM

A PONTE IPSO PER MILLIA PASSUUM XXVIQUA RIVO SUBTERRANEO

INTERDUM ETIAM CUNICULISPER TRANSVERSAS E SOLIDO SA

XO RUPES ACTISQUA AMNE TRAIECTO

ET ARCUATIONE MULTIPLICISPECUBUS IN LONGITUDINEM TAN

TAM SUSPENSISAQUA IULIA ILLIMIS ET SALUBERRIMA

AD PRAETORIUM CASERTANUM PERDUCTAPRINCIPUM ET POPULORUM DELI

CIIS SERVITURASUB CURA LUDOVICI VANVITELLI

REG. PRIM. ARCH.115

Interessante notare come, ancora una volta, re earchitetto siano legati assieme.

Nella celebrazione dell’Acquedotto Carolino116,che deve il suo nome al sovrano che fece condurrel’acqua a Caserta con «tanta spesa»117, era impos-sibile trascurare il suo progettista, di cui i Pontidella Valle rappresentano il culmine dell’opera:2.000 palmi di lunghezza, cioè 529 metri, perun’altezza di 220 palmi, circa 96 metri, «in piccolotratto però», come specifica Vanvitelli, ossia alcentro là dove maggiore è la distanza dai fianchidelle montagne. Tre ordini sovrapposti di archi, ilprimo di 19, il secondo di 27 ed il terzo di 43, so-stengono in quota il condotto, ma conservano «lacaduta dell’acqua dell’acquedotto in palmi 60 incirca, affine di servirsi di quella altezza per adat-tarvi l’un sotto l’altro degli edifizii a comodopubblico»118. Prima di giungere al Ponte, infatti, leacque compiono un salto di circa 19 metri, persfruttare il quale, nel 1795, fu costruito un mulinoper volontà di Ferdinando IV. L’abbondanza d’ac-qua fece sì che in seguito lo stesso sovrano stabilìla costruzione di una raffineria di ferro119 sotto ilmulino, ipotizzando anche l’impianto di una fab-brica per la lavorazione del rame. Il progetto nonfu però portato a termine a causa dei moti scop-piati nel 1799 nel Regno di Napoli.La struttura dei Ponti della Valle è costituita dagrandi piloni rettangolari, spessi 18 palmi, ed ar-cate in successione e risulta formata da un para-mento esterno di blocchi di tufo squadratialternati a triplici ricorsi di mattoni, mentre al-l’interno un misto di tufo e «sasso vivo» contri-buisce alla solidità della struttura. Informazionisulle fasi costruttive ci sono date dalla già citatarelazione del 1753.

sono stati già riempiti tre piloni et un altro è quasi allametà, e tre altri presentemente si cavano; di quelliriempiti uno è andato profondo palmi 103, un altro96, e due palmi 80 e più, e di mano in mano sonomeno profondi almeno così si spera per esser più vi-cini alli Monti, la longhezza uno sì e uno no con lisperoni, questi sono di palmi 46 e larghi 20, e li altrilonghi palmi 30 e si riempono a mano calando abassoli materiali120.

La diversa profondità delle fondazioni testimonial’estrema cura con cui si andò, volta per volta, aricercare lo strato di dura roccia per garantire lastabilità dei piloni.

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Il Cavalier Sancio riporta, a tal proposito, un in-teressante aneddoto relativo a quanto accadutodurante i lavori. Mentre si procedeva con lo scavodelle fondazioni del «pilone dell’arco maggioresulla strada verso il monte, d’onde l’acqua all’ar-cata viene»121, una volta giunti alla profondità dioltre 100 palmi, al livello di un tufo reputato so-lido, ci si accorse che il «suolo percosso rendeaun rimbombo, bastevole a far sospettare che sottoancora vi si nascondesse del vuoto; fattosi perciòscavare lateralmente un pozzo, vi si trovò sottotrenta palmi di più una larga grotta in rovina,piena di quasi inceneriti cadaveri, laonde si pro-fondò altri 40 palmi, finché lasciato lo strato deltufo, quello del sasso vivo si rinvenne, né si tra-scurò in appresso di provedere al vicino già fon-dato pilone»122.Pur nella sua semplicità compositiva, l’interaopera dimostra un’estrema cura nei suoi dettagli.Ad ogni livello di arcate, infatti, Vanvitelli pre-vide la percorribilità della struttura anche ai finidella sua manutenzione. In ogni pilone furonoaperti archetti minori trasversali, alti 9 palmi elarghi 4 ½ «in guisachè agiatamente vi si cam-mina, e per dentro qualunque di loro si passa»123

ed «essendo queste porte consecutive fanno unaocchiata meravigliosa»124.

L’immagine complessiva del ponte risulta essereestremamente imponente. La sua grandezza nonè soltanto dovuta alle dimensioni degli elementigeometrici reiterati più volte – i piloni rettango-lari e gli archi – né nasce dall’apposizione di par-ticolari ornamenti, avendo come unicaconcessione l’uso di speroni che, da entrambi ilati, fungono da contrafforti rastremando versol’alto e che sottolineano, con la propria ombra, lelinee principali della struttura. Fedele ai principi vitruviani di firmitas, utilitas, evenustas, Vanvitelli raggiunge con quest’operal’apice della sua creazione. È la funzione acque-dotto a determinare l’uso della struttura ad archi,la quale, a sua volta, si carica di particolari ed in-confondibili valenze estetiche. Il prendere a modello il Pont du Gard non rappre-senta, allora, il semplice riproporre una soluzionegià adottata in condizioni analoghe, con la sosti-tuzione di una strada al fiume. È, come già osser-vato trattando dell’impianto del giardino e delparco, il volersi rifare direttamente al modello, inquesto caso l’acquedotto romano, senza dover ri-petere forme utilizzate in altre realtà similari. Ad esempio il ponte di Maintenon, progettato edin parte realizzato da Sebastien Le Prestre deVauban, costituisce il pressoché coevo termine di

I Ponti della Valle, nella valle di Maddaloni.

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Luigi Vanvitelli, I Ponti della Valle. tavole inserite nella terza edizione della Dichiarazione.

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confronto con l’architettura vanvitelliana, ma en-trambe le opere testimoniano la discendenza daun’origine comune piuttosto che una diretta in-terdipendenza. Anche l’opera di Vauban è costituita, infatti, datre ordini di arcate sovrapposte, ma l’imponenzae l’aulicità espresse con vigore dai Ponti dellaValle non si ritrovano nella monotona succes-sione di archi che si aprono nelle sue pareti. L’al-ternanza degli speroni dona, infatti, all’opera diVanvitelli un ritmo sintattico che dinamizza lastruttura e ne rende più agevole la sua letturacompositiva. Se l’acquedotto di Maintenonavrebbe potuto essere, dimensionalmente, unagrande opera, l’Acquedotto Carolino divieneun’opera assoluta.Il monte Garzano costituisce l’altra estremità deiPonti della Valle. A causa della roccia durissima,per lungo tempo si fu indecisi tra il proseguire at-traversando il monte o compiere un giro piùlungo attorno alle sue pendici: si scelse la primasoluzione in quanto la seconda avrebbe compor-tato un allungamento del percorso di almeno settemiglia125. Due squadre di operai furono impiegate contem-poraneamente alle due estremità del monte.

Ieri ritornai solo al monte di Garzano per segnare lalinea del gran Traforo, ove non sono li pozzi, e misu-rai tutte le Grotte fatte da pozzo a pozzo fin’ad ora; horitrovato che le Compagnie di Minatori hanno fattopalmi 150 e la Compagnia delli Muratori e contadinipalmi 321. In tutto palmi 471. Vi è una emulazionegrandissima fra l’uno e gli altri, ma questo giovamolto all’avanzamento del lavoro, il quale tutto in-sieme sono palmi 3400, cioè sopra mezzo miglio, epalmi 1770 in un tratto senza pozzi, né è possibile far-vene, attesa la grande altezza della montagna, la qualeè tutta di pietra viva126.

Come testimoniano le parole di Vanvitelli, per ga-rantire l’aria all’interno della galleria furono sca-vati pozzi in maniera perpendicolare allasuperficie esterna del monte, i più alti dei qualiraggiunsero l’altezza di 300 palmi; ma, proprioal centro, l’altezza della montagna impedì diaprire queste prese d’aria per una distanza di oltre1000 palmi. La durezza della roccia e la mancanza d’aria re-sero molto faticoso il lavoro necessario per il tra-foro dell’ultimo tratto della montagna,prolungando le opere, iniziate nel 1755, fino al1759. Ancora nel 1758, infatti, Vanvitelli cosìscriveva al fratello:

Il Pont du Gard a Nîmes

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L’acquedotto di Maintenon secondo il progetto di Vauban. Valle di Maddaloni (CE), i Ponti della Valle.

Il traforo del monte nel pieno dall’ingresso all’esito èlungo palmi Napolitani, che è il 6° più grande del Ro-mano, numero 3480, che sono palmi Romani numero4060, vale a dire quasi due terzi di miglio, ovvero 384palmi Romani; per terminarlo vi mancano palmi Na-politani 560, cioè palmi Romani 653 1/3 . Questo la-voro lo spero dentro di un anno compito oprossimissimo a compire; è vero però che siamo arri-vati nel core del monte; in una settimana passata, dauna parte lavorando notte e giorno si è fatto due palmie mezzo, e parimente dalla parte opposta, ma forsi ri-tornerà ad essere più pratticabile la pietra viva, essen-dosene di questa durezza ritrovati molti pezzi e poiànno cessato; non è sperabile cosa tenera, ma sol tantodalla durissima selce pervenire ad una pietra menodura un poco127.

Tuttavia l’estrema perizia delle livellazioni per-mise alle due squadre di incontrarsi nelle visceredel monte come se gli operai avessero lavoratoall’aria aperta, potendosi osservare nel cam-mino128. Grande festa provocò la caduta dell’ul-timo diaframma di roccia. Per seguire le ultime fasi dei lavori Vanvitelli tra-scorse due giorni all’interno della montagna perdirigere la compagnia dei minatori, mentre dal-

l’altro lato Bernasconi e Collecini facevano al-trettanto con l’altra squadra. Sotto la direzionedell’architetto vennero collocate mine «longhe edorizontali», dalla forma particolare ideata esclu-sivamente per non far saltare molta pietra, ma perincrinare anche la roccia più dura. Finalmente, una di queste riuscì ad aprire unabreccia.

Io vi passai il bastone a traverso; si fece lavorare tuttala notte del Giovedì, onde il Giovedì mattina passaiio stesso per il buco, non ancora allargato sufficiente-mente per passarvi con comodo. (…) Ora si sta allar-gando per rendere comodo il passaggio alle loroMaestà. La Regina è impaziente di passarvi; mi disseieri: Se ci siete passato voi, perché non ci posso pas-sare io? Addussi, come è vero, essere il traforo un ag-gregato di macerie, le quali si devono sbarazzare. IlRe replicò: Or via quando sarà tutto all’ordine me lodirai, che ci verremo129.

Ancora una volta il re partecipò attivamente aisopralluoghi: pochi giorni dopo l’apertura del tra-foro, l’intera famiglia reale si recò ad osservare lariuscita del lavoro. Per l’occasione Vanvitelli fece«ritrovare tutta la Grotta, dall’ingresso del monte

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fin’agl’Archi, illuminata con 600 lumi di ceradentro altretanti lanternoni»130. In seguito ancheil re Ferdinando si recò a visitare l’opera, ma«vidde, come può vedere una creatura di 9 anni;entrò un poco nella grotta del Traforo, che erastata illuminata per metà, poi ritornò indietro;così era l’istruzzione»131. Ben diversa cerimonia avvenne nel 1762 in oc-casione della conclusione del tratto di acquedottofino al Garzano e dell’arrivo dell’acqua a Caserta;ancora sei anni dovevano passare per giungere almonte Briano, ma era il primo riconoscimento uf-ficiale del successo dell’impresa cominciata daVanvitelli un decennio prima. Per l’occasionel’architetto fece preparare una mostra d’acqua,altrettanto grandiosa di quella che avrebbe in se-guito realizzato nel Parco.

La mostra dell’acqua conviene farla secondo porta ilsito, e sarà una discesa di palmi 35, nella pendice delsasso vivo del monte, in lunghezza di palmi 70 ro-mani, la larghezza della gradinata sarà di palmi 19, iltutto fabricato con legnami e tavoloni, perché nelbreve tempo non è possibile che la fabrica di muro

possa fare presa sufficiente, onde l’acqua se la porta-rebbe via assolutamente; vi saranno tre scivoloni e tregradini alti palmi 7; li scivoloni saranno scabri condei riporti di legname, affinché l’acqua saltelli e facciaspuma bianca. Abbenché questo cassone, si può dire,sia così liscio per impotenza di tempo, non ostante ilrivestimento dell’acqua lo renderà vaghissimo, e for-merà un gran strepito per il rumore, e per essere cosanova. (…) Saranno alle 23 miglia di condotto, ove sifarà la mostra; ne mancano ancora 4 miglia e mezzoper finire la conduzzione132.

Forte della sua formazione teatrale e scenografica,Vanvitelli allestì una rappresentazione in cui ilruolo del primo attore fu attribuito all’acqua.È interessante notare che, sebbene fosse solo unamostra provvisoria, l’architetto utilizzò le stesseforme che divennero una caratteristica dell’assecentrale del Parco: quella successione di casca-telle che si ritrova nelle Fontane di Venere e di Ce-rere. Allo stesso modo di quanto ricercatosuccessivamente nelle due fontane, anche in que-sta mostra l’effetto desiderato fu quello di un’ac-qua che «saltelli e faccia spuma»; a tale scopoanche le tavole di legno, come il successivo pro-

Luigi Vanvitelli, Veduta dei Ponti della Valle.

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Valle di Maddaloni (CE), i Ponti della Valle. Particolari del portale, a sinistra, e di uno dei passaggi aperto tra i piloni.

filo della Fontana di Cerere, vennero posizionate«con le scaglie di pesce alla rovescia», cosicché«l’acqua diveniva come neve e cadeva per le ca-scate copiosamente»133. Ad aumentare l’effetto scenografico, a causadell’abbondanza di acqua, la gradinata fu allar-gata da 19 a 30 palmi romani e furono aggiuntealtre due gradinate ai lati, tutte coperte di erba,cosicché in queste l’acqua cadeva «a specchio»,mentre in quella centrale, più grande, l’acquascendeva lungo un piano inclinato. Il fratello Ur-bano gli consigliò, inoltre, di far aspettare al rel’arrivo dell’acqua, piuttosto che questa arrivasse«prima di lui, lo che sarebbe meno piacevole peresso, perché il vederla venire alla prima è cosagustosa; vederla venuta non viene considerataniente»134.Accurati furono la preparazione ed il calcolo deitempi necessari: per prima cosa fece giungerel’acqua fino ai Ponti della Valle, dove fece aprireuna saracinesca per il deflusso dell’acqua in ec-cesso135. Per il tragitto dalle sorgenti l’acqua im-piegò undici ore e, al suo arrivo, era «di colorinchiostro, stanteché lava 22 miglia d’acquedottosporco di tutto»136. In seguito furono provati i tempi di percorrenzadel traforo del Garzano:

Avevo fatto misurare la distanza dalla mostra allo sca-ricatore degl’archi, e quella feci segnare sulla stradaverso Caserta. Quando io sono passato dal loco, si èsparato un mortaretto e consecutivamente anchedagl’altri, fino allo scaricatore che si chiuse ed aprìl’altro per far scorrere l’acqua pel condotto verso lamostra; e dopo 18 minuti arrivò l’acqua. Il tempo nonè molto, ma farò fare il segno qualche passo piùavanti137.

La cerimonia fu, ovviamente, un successo esegnò l’affermazione personale di Vanvitelli suinumerosi detrattori138. Come ricompensa furonoconsegnati all’architetto mille ducati, ma para-dossalmente vennero ridotti gli stipendi dei suoicollaboratori in quanto la parte più complessa dellavoro era stata compiuta. Magnanimamente fu Vanvitelli a distribuire adognuno di loro una quota della ricompensa rice-vuta. In realtà i lavori non erano ancora terminatie si arrivò fino al 1768 per poter vedere sgorgarel’acqua dal monte Briano. Dopo il traforo delGarzano, infatti, l’acquedotto percorre ancora unalunga strada.

Ritornato all’aperto l’acquedotto / incavato però nelsasso vivo / costeggia le radici di Monte Calvo, e nellafoggia stessa passa sopra i Casali di Garzano, Tora,

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Sª. Barbara e Casolla, fin al territorio della Badia di S.Pietro pel tortuoso cammino di palmi 21000.Presso la Chiesa della Badia, che già fu il tempio diGiove Tifatino, s’introduce novamente il condotto nelmonte di duro macigno, traforandolo a traverso per lotratto di palmi 1740, e dopo essersi arricchito di al-cune sorgenti, prosiegue l’iregolare cammino intornole dure pendici dè Tifata, nell’estensione di palmi17000, ove giunge alla montagna di Briano, che tor-reggia al Settentrione del Real palazzo nuovo, difen-dendolo da què venti infasti139.

Nel corso degli ultimi anni ritornò prepotenteanche l’idea del prolungamento dell’acquedottofino a Napoli140, sogno di Vanvitelli e di re Carlo,ma non completamente condiviso dall’ammini-strazione del ministro Tanucci. Nonostante l’au-

torizzazione a redigere il progetto, l’architetto simostrò sempre piuttosto scettico sulla reale vo-lontà di compiere anche questa parte dell’opera. E infatti il progetto rimase solo sulla carta e fustabilito, invece, che, dopo aver svolto la lorofunzione, le acque portate dall’Acquedotto Caro-lino arrivassero a Napoli tramite il vicino Acque-dotto Carmignano.Il 1° dicembre 1767 Vanvitelli poté finalmentescrivere al fratello: «L’acquedotto è terminatofino al monte, e quello dello scarico dal monte finvicino al Palazzo Reale». Tutto l’impianto era, in-somma, pressoché finito. Ad accelerare l’ultima-zione dei lavori fu il desiderio del re di vederfluire l’acqua dal monte Briano in occasione deifesteggiamenti per le sue nozze con Maria Caro-lina d’Asburgo. Ancora una volta Vanvitelli si preoccupò di orga-nizzare una cerimonia degna dell’occasione, no-nostante le ristrettezze finanziarie, creando unadeguato spiazzo da cui la coppia sovranaavrebbe potuto ammirare lo spettacolo della mo-stra d’acqua141. Il 20 maggio 1768 Ferdinando IVpoté così riprovare le medesime emozioni vissutesei anni prima. Dopo un percorso di circa 38 chilometri l’acquairrompe sul monte Briano a circa 203,50 metri dialtezza sul livello del mare. Rispetto alla quotadelle sorgenti, 254 metri sul livello del mare, ildislivello molto piccolo attesta una pendenzamedia del condotto di circa 1,5 millimetri perogni metro di percorso, confermando le già citateparole di Vanvitelli che ricordano come gli ope-rai, nel lavoro, avessero dei punti fissi per andarein piano dall’uno all’altro. Dall’alto del monte l’acqua, con un salto di circa

Disegno autografo di Luigi Vanvitelli per la mostra provvi-soria sul monte Garzano, dalla lettera al fratello Urbano del20 aprile 1762.

Sezione longitudinale esemplificativa del Parco di Caserta, dalla cascata alla Fontana dei Delfini.

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80 metri, cade nella sottostante vasca di Diana eAtteone. Tale fontana costituisce un primo impor-tante bacino di accumulo che serve allo smista-mento dell’acqua attraverso condutture cheraggiungono le diverse zone del Parco. Dalla vasca di Diana hanno, infatti, origine levarie tubazioni che convogliano l’acqua verso ilvicino centro di San Leucio, voluto da Ferdi-nando IV, il Giardino Inglese, le fontane dell’assecentrale e il Palazzo Reale, quest’ultimo colle-gato direttamente tramite una conduttura chegiungeva all’angolo nord-est per salire fino ai ser-batoi collocati nel sottotetto142. Come ulteriore riserva d’acqua per eventuali ca-renze, Vanvitelli previde di costruire anche unacisterna sul monte Briano143, a lato della cascata,servita da una diramazione dell’Acquedotto. Di tale cisterna, incompiuta, sopravvivono attual-mente le murature di sostruzione, situate all’in-terno del Giardino Inglese. Abbandonata lafunzione per cui avrebbe dovuto essere costruita,la struttura venne adibita, in epoca francese, a

luogo di allevamento delle api per la produzionedi miele, da cui deriva l’attuale nome di Aperia.In seguito, nel 1826, durante il regno di France-sco II, fu trasformata in serra e vi fu collocata lastatua di Flora, opera realizzata da Tommaso So-lari nel 1760, ancora presente in situ.Relativamente all’asse centrale del parco, dallavasca di Diana ha origine la tubazione principaleche, tramite derivazioni, fornisce d’acqua tutte lefontane successive. Tale sistema determina l’indipendenza di ogni fon-tana dalle altre, nonostante in apparenza sembriche il flusso idrico scorra ininterrottamente dal-l’una all’altra; in questo modo è possibile, all’oc-correnza, chiudere ogni singola fontana senzainterferire sulle altre, rendendo ancora più agevolii lavori di manutenzione.L’ultima delle fontane, quella dei Delfini, costi-tuisce un ulteriore bacino di accumulo per la zonasottostante del Parco e per la zona del Bosco Vec-chio, con le quali è collegato da tre diramazioni.Una di queste, il condotto di scarico, con funzioni

Schema delle livellazioni eseguite nell’ultimo tratto del giardino, fino al Palazzo Reale. A.R.Ce.

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Sezione longitudinale esemplificativa del Parco di Caserta, dalla Fontana dei Delfini alla Reggia.Il dislivello esistente consente all’acqua di giungere, per gravità, fino al sottotetto del Palazzo Reale.

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anche di troppo-pieno, corre parallelamente allefontane dell’asse centrale144 e corrisponde al con-dotto nominato da Vanvitelli nella già citata let-tera del 1° dicembre 1767.Nel corso della sua costruzione si registrano le ri-mostranze dei vicini villaggi di Casanova e Casa-pulla, che soffrivano

l’incomodo del temporaneo passaggio delle acqueprovenienti dalla gran Peschiera; ciò per tanto devo aV.E. rappresentare, che già da molto tempo addietro,prima ancora si pensasse alla edificazione della dettapeschiera, avevo fatto edificare e condurre avanti ilReal Novo Palazzo, sotto il piano della strada, chechiamano la Santella, il formale principale ricevitoredi tutte le acque provenienti dal Real acquedotto; nonsolo quelle della cima della gradinata dal monteBriano dovran discendere; ma ancora quelle che di-scese passeranno giocosamente per tutte le fontane dafarsi nelle delizie de’ Reali Giardini, fra le quali ri-mane inclusa la Gran peschiera dalla quale per man-canza di tempo non si è potuto costruire il braccio diformale per unire le acque di quella al formale ricevi-tore precedentemente costruito. Sicché per non distur-bare il Reale ne’ Reali Giardini nella presentecampagna, quando sarà partita la Corte, immediata-mente si porrà le mani al detto braccio formale, everrà tolta la cagione del ricorso145.

Purtroppo le condutture rappresentarono subitouno dei punti più deboli dell’opera. Vanvitelliconsiderò tubazioni «di cinque specie; il condottopiù grosso è di diametro un palmo e mezzo; glialtri minori fino a mezzo palmo»146, tutte interratee protette da spezzoni di tufo. Il re Carlo avevadato la massima disponibilità dei materiali147, ep-pure, come ricorda Arnaldo Venditti, alla mortedell’architetto, oltre ai lavori da completare, erarimasto al figlio Carlo il problema «dell’acque-dotto carolino, che subiva guasti periodici», per ilquale «vanno ricordate spese di rilievo a partiredal 1787, in seguito a perdite di acqua e deterio-ramento delle tubazioni, che imposero restauridurati sino al 1805148.Ancora il 10 aprile 1837, però, il fontaniere Pa-squale de Luca, incaricato della manutenzione dellacanna di piombo che dalla cascata portava l’acquaalle fontane ed al Palazzo, informava «che il trattodi detta canna dal ponte di Ercole a quello di Salaè tutta marcita»149. La fatiscenza delle conduttureobbligava, infatti, ancora a numerosi interventi dimanutenzione, non risolutivi, poiché la tubazionenon sosteneva più la pressione dell’acqua.L’architetto Gaetano de Lillo, incaricato della pe-rizia, fornisce il 30 giugno dello stesso announ’accurata relazione sullo stato in cui si trova-vano le tubature, su come erano state costruite,su quali interventi fosse opportuno fare:

La canna non è in sì cattivo stato che merita di essercambiata, ma la difficoltà che offre nel modo come lamedesima trovasi situata allorché devesi accomodare fasì che spesso e per più giorni vedesi l’acqua mancare inquesto real Palazzo; dappoiché in questo tratto fin dallasua costruzione fu messa in un piccolo formaletto difabbrica coverto con spaccatini e colmato di terra.Il formaletto intero trovasi stabilito nella spalliera de-stra del bosco salendo verso la cascata, e vedesi ora datratto in tratto scoverto, dacché essendosi manifestatoil bisogno di fare delle pruove per accommodare lacanna, si sono le medesme rimaste aperte, onde averela facilità di meglio conoscere i guasti e accorrere su-bito e ripararli; ciò che non puote praticarsi poi neisiti ove la canna esiste ancora coverta, per cui in talisiti devesi andare a tentoni facendo delle pruove perrinvenire le rotture che nella canna si manifestano edè questo che porta il disguido di vedere alle volte permolti giorni mancare l’acqua nell’uso destinato.

Il sito dell’Aperia sul monte Briano, a lato della cascata.

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Per evitare quindi un tale inconveniente non sarebbea farsi altro che scovrire le rimanenti porzioni del for-maletto anzi detto, mettere la canna intieramente agiorno, pulire l’interro dell’intiero tratto di canaletta efare dei piccoli accomodi150.

Lo stato delle tubazioni sembra, perciò, vanifi-care tutte le cautele adottate, durante la costru-zione, perché l’Acquedotto Carolino, in quantorealizzato per l’approvvigionamento di acqua po-tabile, fosse esente da ogni inquinamento.

Affinché cotesta limpidissima acqua nulla perdessedella natia purità, con la più esatta diligenza tutto l’in-terno del condotto si è fabbricato ed intonacato colforte glutinoso, composto di calcina, lapillo, e pozzo-lana. Meritava in vero altrettanta cautela un’acqua,che ha tute le divise di perfettissima. Priva di ogni co-lore, e di ogni sapore, limpida e trasparente, non mac-chia i pannolini, né lascia fecce dopo avere bollito,perlochè questo prezioso corpo di acqua, dopo avereabbondantemente provveduto al palazzo Reale, edalle delizie, se ne avvanza ancora copia bastevole perarricchire la Metropoli151.

Lo stesso Vanvitelli aveva evidenziato quali attivitàfossero compatibili, con un corretto utilizzo dell’Ac-quedotto, e quali sarebbe stato preferibile evitare.

Se invece di Valcherie, tintorie, ed anche cartiere,nella inclinazione dell’acquidotto nella pendice delmonte Longano, dopo gli archi della Valle, si faces-sero filatoi di seta, molini, ed anche seghe da tavole,in questi edificii non caderebbe né perdita, né detur-pazione di acqua, che si deve conservare limpida a be-neficio publico152.

Inoltre, nel 1786 si badò a proteggere anche l’am-biente attorno alle sorgenti del Fizzo, a seguito diseri inconvenienti che si erano verificati, in par-ticolare a causa di manomissioni da parte dei variproprietari dei terreni a monte delle sorgentistesse153. Il bando, pubblicato il 14 novembre1786, tutelava le zone sovrastanti le sorgenti evietava il taglio dei boschi, delle erbe e dei ce-spugli in una vasta area a sud del monte Taburno,creando una riserva che suscitò malcontento tragli abitanti delle zone limitrofe. Per permettere laraccolta della legna ed il pascolo del bestiame,nel 1795 fu allora ridotta l’estensione della ri-

serva, pur confermando tutti i divieti del bandoprecedente. Nella zona settentrionale del montesi fece riferimento, invece, ad un editto del 1759che, più genericamente, proibiva il taglio dei bo-schi senza preventive autorizzazioni. In seguitola Riserva del Taburno fu ridotta ancora rispettoall’estensione stabilita nel 1795.A differenza di quanto avvenuto a Versailles, per-tanto, l’approvvigionamento idrico del Parco diCaserta è dovuto ad un’unica opera fortementecaratterizzante la storia e l’immagine del territo-rio circostante. Forse per questo motivo, più chenel Parco, i visitatori provenienti da ogni luogo,trovarono nell’Acquedotto Carolino, ed in parti-colare neI Ponti della Valle, elementi di grandesuggestione che l’affermarsi della nuova esteticadel sublime mostrò come emblema della vittoriadell’uomo sulla natura.Al giorno d’oggi non è possibile considerare l’Ac-quedotto Carolino soltanto come un’opera di ele-vata ingegneria idraulica, «la via trionfale dellagrande opera idrica e la linfa vitale della nuovacittà»154. È importante altresì, come evidenzia Lorenzo Pa-gliuca155, riconoscere in essa un’opera d’arte a scalaterritoriale, unicum insieme alla Reggia, la cui sud-divisione nei confini di differenti comuni non deveessere motivo di frammentazione per le forti va-lenze economiche e culturali di cui ciascuno devesentirsi responsabile per il futuro.

Iscrizione posta all’origine dell’Acquedotto Carolino, in loca-lità Fizzo, riportante il divieto di qualunque piantagione aduna distanza inferiore a quindici metri dal condotto, secondoun rescritto del re, Francesco I, datato 30 marzo 1828.

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1. VITRUVIO, De Architectura, VIII, 6, 1.

2. «La galleria era lunga m. 1.190, alta m. 1,80 e larga m.1,12». Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p.313.

3. Si ricorda che all’interno della simbologia del giardinodi Villa d’Este, le fontane di Tivoli e di Roma volevanorappresentare il riaffermarsi degli storici collegamenti,esistenti già dall’epoca romana, tra la Città Eterna e lacittadina Tiburtina. Tale correlazione, materializzatainoltre dal viale delle Cento Fontane, asse di collega-mento e allusione alle acque dell’Aniene che si gettanonel Tevere, serviva ad affermare con forza il legamedel cardinale Ippolito con la Curia romana, nonostantela sua mancata elezione al soglio pontificio.

4. «Esistono tre tipi di condutture: canali in muratura,condotte in piombo e tubazioni in terracotta. I criteridi realizzazione sono i seguenti: nel primo caso la co-struzione deve essere eseguita in solida muratura, conuna pendenza compresa tra un quarto e mezzo piedeogni cento, dotata di una copertura a volta per proteg-gere l’acqua dal sole. In prossimità delle mura si co-struisca un serbatoio comunicante con tre bacini diimmissione per raccogliere l’acqua; nel serbatoio vandisposti tre condotti ugualmente ripartiti fra i tre bacinidi raccolta comunicanti tra loro, in modo che quandol’acqua stia per traboccare da quelli laterali si riversiin quello centrale. Nel serbatoio centrale si collochinodelle tubature in grado di portare l’acqua a pozzi e fon-tane pubbliche; degli altri due l’uno alimenterà i bagni– motivo per cui viene pagata una tassa annuale – l’al-tro le abitazioni private, senza che venga sottratto nullaal fabbisogno pubblico. Infatti potendo usufruire diproprie condutture collegate alle fonti di approvvigio-namento, i privati non sottrarranno quella destinataall’uso pubblico. Il motivo di tale suddivisione è giu-stificato dal fatto che chi si farà arrivare l’acqua in casapagherà una tassa i cui introiti saranno destinati allamanutenzione degli acquedotti. Se tra la città e la fontedi approvvigionamento sorgono delle alture, occorreràscavare gallerie sotterranee badando a mantener la pen-denza necessaria, come s’è detto dianzi. Se il terreno èdi natura tufacea o roccioso basterà semplicementescavare un canale; se invece è terroso o sabbioso si creiun rivestimento in muratura sul fondo e ai lati, con re-lativa copertura a volta, dopodiché vi si potrà far scor-rere l’acqua. Si creino inoltre dei pozzi d’aerazione aintervalli di centoventi piedi l’uno dall’altro». VITRUVIO, De Architectura, trad. it. a cura di Luciano

Migotto, Edizioni Studio Tesi, Pordenone-Padova,1990, VIII, 6, 1-3

5. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 313.

6. Ibidem.

7. Ibidem.

8. Ivi, pp. 315-316.

9. Sembra, tuttavia, che una tubazione collegasse diretta-mente la prima delle vasche, al di sotto della cascata,con l’edificio, garantendo una migliore qualità dell’ac-qua nel Palazzo.

10. Un’applicazione di quanto descritto da Erone nellaPneumatica si ritrova, ad esempio, in Villa d’Este,nella Fontana della Civetta e in quella di Artemide Efe-sia.

11. La famiglia dei Francini, divenuta oltralpe Francine,proseguì nell’attività di fontaniere per numerose gene-razioni, aggiornandosi con tecnologie sempre più avan-zate e legando la propria opera a numerosi giardinireali, tra cui i giardini di Fontainebleau, nei quali Tom-maso progettò una italianissima Fontana del Tevere, equelli del Palais du Luxembourg, per i quali realizzò,in collaborazione con Salomon de Brosse, l’acquedottodi Arcueil, alto 24 metri. A Versailles, tra le numeroserealizzazioni dei Francini, è da ricordare la prima si-stemazione della Grotta di Teti.

12. Le condutture potevano, inoltre, essere realizzate in la-terizio, particolarmente apprezzate per la potabilità del-l’acqua, o in legno, utilizzando «tronchi di olmo,ontano e quercia, messi in opera adeguatamente cer-chiati con anelli metallici, e con giunti resi solidali dapece e resina». Luigi ZANGHERI, Storia del giardino...,cit., p. 314.

13. Giovanni Gargiolli fu «Architetto Cesareo» dell’Im-peratore Rodolfo II, per il quale si occupò della pro-gettazione della nuova residenza nel castello di Praga.Notevole era, all’epoca, la sua fama per aver ideato unnuovo strumento per tornire le pietre dure.

14. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 67.

15. Tuttavia, precisa Zangheri, «la grotta non venne co-struita perché troppo costosa». Ivi, p. 85.

16. Nei giardini di Richmond, per Enrico principe di Gal-les, a de Caus fu affiancato un altro artista italiano, ilfiorentino Costantino de’ Servi, al quale fu richiesto ungigante dalle dimensioni superiori di quello di Prato-lino. L’improvvisa morte del principe, nel 1612, co-

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strinse, però, de Caus ed il de’ Servi ad abbandonarel’Inghilterra senza completare l’opera.

17. L’opera fu tradotta nel 1659 con il titolo di Nuove erare invenzioni per impianti idraulici.

18. Il 1644 vede anche la pubblicazione dell’ArchitecturaCuriosa Nova, Die Lustreiche Bau – und Wasserkunst,di Georg Andreas Böckler, architetto ed ingegnere te-desco. Il libro, illustrato con più di duecento stampe,servì come documentazione di molte fontane del-l’epoca, famose per inventiva e giochi d’acqua. Delmedesimo anno sono anche alcuni studi di EvangelistaTorricelli per determinare l’altezza di un getto d’acqua.

19. «Ho pensato ancora che vi è un certo libro di CarloFontana, il quale tratta delle acque, e l’unica cosabuona che vi è appunto è quella della misura delle fi-stole; il resto a nulla serve, essendo cosa che non me-rita attenzione. Questo libro (…) si potrebbe avere opure in prestito, facendo copiare il foglio ove sono le fi-stole, l’una dentro l’altra in questo modo circa, et adogni circonferenza vi è scritta la quantità». Luigi Van-vitelli, lettera del 15 novembre 1751 al fratello Urbano,in Franco STRAZZULLO, op.cit., vol. I, p. 60.

20. Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 320.

21. Carlo FONTANA, Utilissimo trattato dell’acque correnti,Roma, 1696, capitolo X.

22. L’italiano Evangelista Torricelli, nel 1644, e l’inge-gnere francese Edme Mariotte, nel 1686, furono tra iprimi ad indicare come determinare l’altezza di ungetto d’acqua. Alcuni risultati degli studi di Mariottesono riportati anche nel trattato di Dézallier d’Argen-ville; cfr. ID., op. cit., p. 325.

23. Ivi, Avviso sulla nuova edizione.

24. Ivi, pp. 314; 331-332.

25. Ivi, p. 336.

26. Ivi, p. 332.

27. Anche l’opera di Bélidor, pubblicata in quattro volumidal 1737 al 1752, fornisce numerose informazioni ri-guardo alle più avanzate teorie idrauliche, al progettodi canali per fortificazioni, alla canalizzazione ed allaconduzione dell’acqua, ai modi di costruzione dei ser-batoi, alle opere per il sollevamento delle acque, allepompe ed ai mulini.

28. «Avendomi promesso il Conte Gazola di provedere untomo, uscito ora alla stampa, di Belidor che sarà il 4°,avendone già gli altri 3, egli desidererebbe avere il Ba-rattieri, Architettura delle acque; questo è in foglio pic-colo, diviso in due libri, in un tomo solo; è in linguaItaliana, stampato in Piacenza nella Stamperia Ducale

di Lealdo Leandro Bazachi, 1699». Luigi Vanvitelli,lettera del 20 maggio 1752 al fratello Urbano, inFranco STRAZZULLO, op.cit., vol. I, p. 161.

29. Aldo AVETA, Interventi di Vanvitelli per acquedotti ro-mani, in Luigi Vanvitelli e il ‘700 europeo..., cit., vol.II, p. 267.

30. Ivi, vol. II, p. 269.

31. Significativo è che, nel cercare un modello per i Pontidella Valle, Vanvitelli abbia pensato proprio adun’opera romana, il Pont du Gard, acquedotto fatto co-struire in Provenza nel 19 a.C. da Agrippa. Cfr. la let-tera del 2 maggio 1752 al fratello Urbano, in FrancoSTRAZZULLO, op.cit., vol. I, p. 149.

32. La frase è tratta da Historique de la Machine de Marly,Circuit chemin de Mi-Côte à Louveciennes (raccoltadei pannelli esplicativi posti lungo il percorso dellaFerme de Mi-Côte a cura del comune di Louvecien-nes), pannello 6.

33. Luigi Zangheri ricorda che «verso la metà dell’Otto-cento le ‘grandes eaux’ di Versailles non si mostravanoal pubblico che cinque o sei volte durante l’anno. Inuna guida del tempo si avvertiva che i getti sarebberostati aperti dalle ore 14 alle ore 17 nella seguente suc-cessione: “1° Les bains d’Apollon; 2° le Bassin de La-tone; 3° la Salle de Bal; 4° le Bosquet de la Colonnade;5° le Bosquet des Dômes; 6° l’Encelade ou le Géant; 7°l’Obélisque ou les Cent Tuyaux; 8° enfin, Neptune”».Luigi ZANGHERI, Storia del giardino..., cit., p. 321.

34. Informa Jean-François Blondel, nel 1756: «Les eauxjaillissantes des bosquets de Versailles dépensent unvolume d’eau si considérable lorsqu’elles jouent toutesensemble, qu’on se contente ordinairement durant l’étéseulement, de faire jouer depuis dix heures le matinjusqu’à huit heures du soir, pendant le séjour du Roi àVersailles, les parterres d’eau et quelques bassins quis’aperçoivent du château et des terrasses; en sorte queles grandes eaux ne jouent publiquement qu’aux Fêtesde la Pentecôte et de Saint-Louis, ou bien lorsquequelque Ambassadeur ou quelque étranger de la pre-mière considération viennent visiter cette maisonroyale. Ce spectacle dure alors deux heures et demie etconsomme la quantité de 35292 muids [environ 9460m3]». Cfr. Simone HOOG, op. cit., p. 7.

35. Le istruzioni, date dal re il 18 agosto 1672, sono citatein Leonardo BENEVOLO, op.cit., p. 46.

36. È tuttavia da notare la maggiore ricchezza d’acqua delterritorio di Chantilly rispetto alla penuria registratanella zona di Versailles.

37. Jean Picard (La Flèche 21 luglio 1620 - Parigi 12 otto-

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bre 1682) fu membro degli Accademici di Francia. Sidedicò con successo a numerosi studi di astronomia,perfezionando alcuni strumenti di osservazione; in se-guito, partecipando alle attività dell’Académie, rivolsela sua attenzione ai problemi di idraulica con partico-lare riguardo allo studio del rifornimento d’acqua diVersailles.

38. Le costruzioni di Le Vau furono demolite nel 1684 peressere sostituite dall’ampliamento dell’ala nord del ca-stello.

39. In seguito alla costruzione delle moderne opere di ur-banizzazione, nelle zone limitrofe a Versailles, granparte di queste installazioni è stata purtroppo distrutta.

40. Il sistema idraulico del Plateau di Saclay è stato origi-nato esclusivamente per l’alimentazione idrica delParco del Castello di Versailles; il sistema ha compor-tato la costruzione di un insieme di canali destinati araccogliere le acque di scolo e di stagni per contenerle,a partire dai quali l’acqua era condotta per gravità aVersailles, grazie ad un acquedotto - l’acquedotto diSaclay - dapprima sotterraneo (la Ligne de Puits) edin seguito all’aperto. Arrivando dal plateau di Saclay,le acque attraversavano il fiume Bièvre grazie ad unsifone in ghisa; ma ben presto tale sistema divenne in-capace di sopportare la notevole pressione a cui era sot-toposto. Nel 1682 Gobert, che rivestiva la carica diIntendente delle Costruzioni del Re, propose a Colbertun progetto per realizzare un ponte ad arcate di circa580 metri di lunghezza e 45 di altezza, suddiviso in duelivelli; alla morte di Gobert il suo successore, Jules-Harduin Mansart, provvide alla realizzazione del pontetra il 1684 ed il 1686. L’acquedotto condusse le acquedi scolo del plateau di Saclay ai serbatoi di Versailles(lo stagno di Colbert, al di sopra del Grand Canal) finoal 1939. Dal 1940 la Ligne de Puits non è più utilizzatae l’insieme delle canalizzazioni della zona est del pla-teau di Saclay si getta nel bacino dello Stagno Nuovo.

41. Il sistema ha, inoltre, creato una catena indissociabiledi elementi naturali, tecnici ed artistici, che hanno con-tribuito ad una complessiva bonifica dell’area, permet-tendo lo sviluppo di colture fino ad allora impossibilie facendo sparire malattie e febbri endemiche del-l’epoca.

42. Gli storici fissano, convenzionalmente, la data di na-scita di Pierre-Paul Riquet il 29 giugno 1609. In gio-ventù si interessò unicamente di scienze e dimatematica, poi, spinto dal padre, procuratore del re eabilissimo uomo d’affari, divenne esattore delle impo-ste sul sale, esercitando la sua funzione per 20 anni.Nominato Barone di Bonrepos nel 1661, divenne giu-

dice reale e si stabilì a Tolosa. Da ragazzo, Pierre-PaulRiquet aveva assistito ad una riunione degli Stati dellaLinguadoca (dei quali suo padre era membro) in cuiera stato presentato un progetto per un canale di colle-gamento tra l’Oceano Atlantico ed il Mar Mediterra-neo. Già all’epoca di Ottaviano Augusto e di Neroneera stata avanzata l’idea di collegare le due sponde.L’interesse di tale opera era rilevante poiché, colle-gando i bacini dell’Aude e della Garonna, si sarebbeevitato il lungo tragitto intorno alla penisola iberica,con notevole risparmio di tempo e costi. Verso il 1662,a 53 anni, Riquet, ormai uomo affermato, decise di rea-lizzare il sogno della sua vita, la costruzione del Canaleche avrebbe permesso di collegare il Mediterraneoall’Atlantico. A tale progetto Riquet dedicò tutto sestesso; alla sua morte, avvenuta il 1 ottobre 1680 a To-losa, i lavori erano quasi terminati ed il mare Mediter-raneo si trovava a sole poche miglia dall’Atlantico. Un anno dopo il Canale fu inaugurato dai rappresen-tanti del Re.

43. Il Canal du Midi fu costruito tra il 1663 ed il 1680. Numerosi progetti erano stati sottoposti al Re di Fran-cia, tuttavia nessuno era riuscito a risolvere il problematecnico legato al cambiamento di versante e all’alimen-tazione delle acque del futuro canale. La principale dif-ficoltà del progetto consisteva, inoltre, nel dover farpassare battelli molto pesanti dal versante mediterraneoal versante atlantico e viceversa, superando un disli-vello di 190 metri. Soltanto una fornitura regolare d’ac-qua, a portata costante e distribuita uniformemente frale varie chiuse, avrebbe potuto risolvere questa diffi-coltà, e fu pertanto questo il primo problema a cui Ri-quet si dedicò. Accompagnato da un radioestesista,Pierre Campmas, percorse la Montagna Nera, renden-dosi conto che l’acqua, in quella regione, era abbon-dante; raccogliendo le acque della Montagna Nera eriversandole dal versante mediterraneo al fiume Sor,che si getta nell’Atlantico, Riquet risolse il problemadell’alimentazione del Canale, riuscendo nell’impresa,ritenuta impossibile, di far scorrere l’acqua simultanea-mente verso il Mediterraneo e verso l’Oceano. Attual-mente il Canale, navigabile nell’intera lunghezza di496 km, collega l’Atlantico al Mediterraneo ed unisce,attraversando le colline all’ombra dei Pirenei, le dueregioni dell’Aquitania e della Linguadoca.

44. Philippe de la Hire (Parigi 18 marzo 1640 - Parigi 21aprile 1718) iniziò la sua formazione in campo arti-stico, apprendendo le nozioni fondamentali del disegnoe della pittura. In seguito ad un viaggio di studio in Ita-lia si appassionò anche allo studio della geometria, de-dicandosi ad approfondire le sue applicazioni nel

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campo della prospettiva. Tra le sue opere sono da ricor-dare la Nouvelle méthode en géometrie pour les sec-tions des superficies coniques et cylindriques, del 1673e le Sectiones conicae, del 1675, in cui riprende alcunedelle teorie di Desargues. Dal 1678 fu membro del-l’Académie Royale des Sciences, occupandosi di ma-tematica, architettura, astronomia.

45. Sébastien Le Prestre de Vauban (Saint-Léger-de-Foucherest 4 maggio 1633 - Parigi 30 marzo 1707), In-gegnere del Re e Commissario generale dellefortificazioni. Tra le sue opere è opportuno, in questasede, ricordare quelle in ambito idraulico, tra cui, oltreall’acquedotto di Maintenon, il Canal de la Bruche,costruito per trasportare a Strasburgo i mattoni neces-sari per la fortificazione della cittadella e, in Alsazia, ilCanal Vauban, da Pfaffenheim a Neuf-Brisach, an-ch’esso impiegato per il trasporto del materiale da co-struzione necessario per la realizzazione della nuovacittà di Brisach. È inoltre da ricordare il suo interventomigliorativo al Canal du Midi, in seguito ad alcuneproblematiche emerse a causa della troppo rapidamessa in funzione del canale stesso.

46. Di questa struttura, al giorno d’oggi, si possono vederesolo alcuni resti della parte realizzata, ben poca cosarispetto ad un’opera che sarebbe stata lunga più di cin-que chilometri, alta circa settanta metri e che avrebbedovuto avere tre ordini di arcate, sul modello del Pontdu Gard.

47. Nel realizzare il Parco di Maintenon, André Le Nôtreutilizzò le potenzialità scenografiche delle arcate, an-cora incompiute, creando un canale che, passando aldi sotto, permettesse il riflesso della struttura. La co-struzione dell’acquedotto di Maintenon fu definitiva-mente abbandonata nel 1710.

48. Questa disposizione sussiste ancora oggi, ma il canalenavigabile è stato allargato e provvisto di chiuse.

49. Il serbatoio di Mezza Costa è una grande vasca circon-data dagli alberi, largo 20 metri per 140 di lunghezzae 3,50 di profondità, con una capienza di più di 7.000m3. Per assicurare la sua tenuta, due pareti in muratura,spesse circa 80 cm, serravano un muro d’argilla com-pressa largo 1 cm; dal lato del serbatoio, inoltre, il co-ronamento del muro interno era costituito da grandipietre tagliate. Dopo il suo abbandono, alla fine del se-colo scorso, era stato progressivamente ricoperto dallavegetazione; attualmente è possibile valutare la sua tec-nica di costruzione grazie ad una estremità liberata, chepermette di apprezzare, inoltre, l’ampiezza dell’operae la sua struttura. Un serbatoio identico, ma più pic-colo, era situato più in alto, nell’attuale parco del Ca-

stello Du Barry; dopo l’arresto della prima Macchinaquesto fu rimpiazzato da una peschiera.

50. Costruito nel 1685 questo “muro” fu demolito e sosti-tuito da una tubazione in ghisa nel 1736.

51. Dopo la morte di Luigi XIV, inoltre, le fontane pub-bliche furono chiuse e le acque potabili deviate nelleproprietà dei ricchi borghesi. Bisognò attendere il 1736perché l’acqua della Senna potesse ricomparire a Ver-sailles.

52. Attualmente la sorgente costituisce un piccolo originaleecosistema formato da concrezioni, dovute ai depositisalini, e da una vegetazione semi-acquatica di piante edi alghe.

53. A proposito del rumore insopportabile Madame d’Hou-detot così scriveva nel 1778: «Ces efforts redoutableset ces gémissements / Cet appareil de fer et ces grandsmouvements / Offrent partout aux sens la nature offen-sée / Elle semble gémir d’avoir été forcée / Et cédantà regret aux engraves de l’art / Aux caprices des roisse plaint d’avoir part». Historique de la Machine deMarly…, cit., pannello 6.

54. Incaricato della sorveglianza e manutenzione di questoprezioso patrimonio è il Servizio delle Fontane di Ver-sailles, Marly e Saint-Cloud, ribattezzato Servizio delleFontane del Castello, che tenta di salvaguardarne lostato di funzionamento originale. Lo stato di conserva-zione delle strutture permette di utilizzare ancora circa200 chilometri di canali, fossati, acquedotti esistentinei dintorni di Versailles, anche se attualmente l’ap-provvigionamento idrico risulta preoccupante, sia perla quantità d’acqua, sia per la qualità.

55. L’attuale consumo idrico è stimato in circa 8.000 m3

per le Grandi Acque e 6.000 m3 per le Piccole Acque.

56. Antonio SANCIO, Platea dello Stato di Caserta, 1826,sezione IV, descrizione preliminare, p. 189.

57. Le parole di Maria Amalia di Sassonia sono contenu -te nella lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Urbano del2 aprile 1759, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. II,p. 327.

58. In un’altra occasione la regina si trovò a dire che «con-siderava più la conduzzione dell’acqua che quasi la fa-brica del Palazzo, essendo cosa da antichi Imperatori».Luigi Vanvitelli, lettera del 15 dicembre 1753 al fra-tello Urbano. Ivi, vol. I, p. 284.

59. «Ci vuole dell’acqua, e questa in tutti li conti si averàda portare ove sarà, o sia vicina o sia lontana; lasciapassare la stagione rigorosa e poi anderai a visitare etesaminare tutto, perché l’acqua deve venire per fare

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questa delizia». Le parole di Carlo di Borbone sono ri-portate da Luigi Vanvitelli nella lettera del 14 dicembre1751 al fratello Urbano. Ivi, vol. I, p. 77.

60. Antonio SANCIO, op. cit., p. 1899.

61. Nella lettera di Vanvitelli al fratello Urbano, datata 8febbraio 1752, si legge: «Ieri mattina (…) subito mon-tai a cavallo et andiedi sul monte di Caserta, per doveera già partito il Cavaliere Neroni per precedere il Re.Lo precedei ancor io per 200 passi, e fu bastante perchéio arrivassi ad aspettarlo alla sorgente di Atalena. Eglidunque con tutta la comitiva vi arrivò, vidde et esa-minò l’acqua che è libre 5 limpidissima e perenneanche l’estate; gli piacque assaissimo, non avendoneveduta la consimile». E ancora: «il Re non solo vuolecondurre quella, ma ancora una grossa quantità chenasce 112 miglia lontano». Franco STRAZZULLO, op.cit., vol. I, pp. 110-111.

62. Si confronti, ad esempio, la lettera del giorno 11 di-cembre 1751 al fratello Urbano, in cui Vanvitelli ri-porta alcune parole del re: «Sai, Vanvitelli, che oggi,riguardando quei monti ove tu vuoi prendere l’acqua alivello di occhio, credo che puotrai prendere anchequelle altre acque che mi hai detto, e voglio che ungiorno andiamo insieme per vederle, volendovi io es-sere presente alla livellazione». Ivi, vol. I, p. 75.

63. Piuttosto ironico, Vanvitelli fornisce una descrizionedel tipo di acqua che giungeva a Napoli: «L’acqua chesi prenderà (…) si è pensato che dopo che averà servitoalli Giardini Reali mediante un fosso si rimanderànell’altro fosso che la conduce a Napoli. Non vi stupitese parlo di fosso, perché presentemente in un fossoscuoperto che raccoglie l’acqua torbida del fiume, dellemacere delle canape, ogni imondizia, scoli delli campie delle vie, come la marana di Roma, se ne va a Napoliper le fontane e per li formali. E viva la pulizia!». LuigiVanvitelli, lettera del 6 maggio 1752 al fratello Urbano.Ivi , vol. I, p. 153.

64. Luigi Vanvitelli, lettera del 15 agosto 1753 al fratelloUrbano. Ivi, vol. I, p. 253.

65. Luigi Vanvitelli, lettera del 13 maggio 1752 al fratelloUrbano. Ivi, vol. I, p. 157.

66. Luigi Vanvitelli, lettera del 15 novembre 1751 al fra-tello Urbano. Ivi, vol. I, p. 59.

67. Ad esempio, nella lettera di Vanvitelli al fratello Ur-bano, del 20 maggio 1752, si legge: «Li Giovani lavo-rano alla livellazione, avendogliela fatta incominciaredalli Giardini alla sorgente; e già sono arrivati vicinoalla medesima. Lunedì poi, a Dio piacendo, si farà l’al-tra livellazione dalla sorgente alli Giardini; e così di-

verse volte fino a che sia stabilito con molte stazionifisse l’andamento dell’Acquedotto. L’operazione è dif-ficile, ma spero in Dio che la farò bene». Ivi, vol. I, p.160.

68. Il 2 giugno 1758 così Luigi scrive al fratello Urbano:«In questi giorni, per tirare avanti con tutta la possibilesollecitudine, Collecini e Carlo facevano la strada li-vellando; Pietro e Bernasconi con la tavoletta facevanola strada formando la pianta; il dopo pranzo poi si per-mutavano li figlioli, facendo l’uno quello che l’altrofaceva la mattina». Ivi, vol. II, p. 224.

69. Antonio SANCIO, op. cit., pp. 189-190.

70. Luigi Vanvitelli, lettera del 30 novembre 1751 al fratello Urbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I,p. 68.

71. VELLEIO PATERCOLO, Historiae Romanae, II, 81, 2.

72. DIONE CASSIO, Historia Romana, XLIX, 14, 5.

73. «Era quest’acqua di tale squisitezza, ch’ebbe il meritodi essere considerata come un singolare modello di sa-lubrità, perché semplicissima, ed ornamento dell’ame-nità, perché limpidissima. Ma poiché gli Storici,soltanto per incidenza di quest’acqua favellando, niunone indicò la sorgente, bastevolmente però ce la mostra-rono le sparse vestigia del Romano acquedotto, chedalle vicinanze dell’antica Capua verso il Casale diSanta Prisca ed in Maddaloni sotto il margine deimonti Tifata, verso i confini del Sannio c’indrizzano».Antonio SANCIO, op. cit., p. 190.

74. Ivi, p. 191.

75. Ivi, p. 192.

76. Ivi, p. 194.

77. In seguito le acque dell’Acquedotto Carolino provvi-dero anche ad azionare un nuovo mulino, costruito nel1807 tra le sorgenti del Fizzo ed il comune di Buc-ciano.

78. Luigi Vanvitelli, lettera del 6 giugno 1752 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 168.

79. Luigi Vanvitelli, lettera del 14 luglio 1754. Ivi, vol. I,p. 338.

80. Antonio SANCIO, op. cit., p. 192.

81. Vanvitelli definisce «acqua grande» i lavori svolti perl’Acquedotto a partire dalle sorgenti del Taburno, ed«acqua piccola» i lavori compiuti sui monti circostantila Reggia. Si confronti, ad esempio, la lettera al fratelloUrbano del 4 giugno 1753, da cui è tratta la citazione,in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 234.

82. Per convogliare le acque della sorgente di Atalena

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La lunga strada dell’acqua. Problematiche e soluzioni dell’approvvigionamento idrico da Versailles a Caserta________________________________________________________________________________________________

venne costruito un acquedotto lungo più di tre miglia.Si veda la lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Urbanodel 31 maggio 1763. Ivi, vol. III, p. 56.

83. «Quella delle Fontanelle, che anderà sopra del MonteBriano incontro la fabrica Reale, e sarà la prima acquache si vederà scherzare con tutto che sarà picciola,nulla di meno farà un bel vederla in una cima di Monte,e servirà per provigione alla fabrica fino che si con-durrà la grande». Relazione non datata e non stilata daVanvitelli sullo stato dei lavori in corso nella reggia diCaserta, nel parco reale e alla conduzione delle acque.Ivi, vol. I, p. 294.

84. La compresenza di più cantieri è perfettamente riscon-trabile nei resoconti che Vanvitelli scrive al fratello Ur-bano. Nella lettera del 21 maggio 1753, ad esempio, silegge: «Sabato matina si pose la prima pietra dell’ac-quedotto alle sorgenti di Airola». Ma notizie sul traforodel monte Tifata si trovano già il 19 febbraio dellostesso anno: «Sono stato al monte di Caserta a dirigereli minatori». Ivi, vol. I, rispettivamente alle pp. 227 e199.

85. Relazione non datata e non stilata da Vanvitelli sullostato dei lavori in corso nella reggia di Caserta, nelparco reale e alla conduzione delle acque. Ivi, vol. I,pp. 294-296. Ulteriori testimonianze della compre-senza di numerosi cantieri lungo tutto il percorso del-l’acquedotto si trovano, ad esempio, nelle lettere del 7ottobre e del 4 novembre 1760. In particolare inquest’ultima si legge: «Tre sono i lavori sull’acque-dotto, nello spazio di sei miglia, disposti in distanzaeguale; chi prima finisce aiuta il compagno». Ivi, vol.II, p. 623.

86. Luigi Vanvitelli, lettera del 15 maggio 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 828.

87. Pur non disponendo di strumenti tecnologicamenteavanzati, l’architetto eseguì sempre con assoluta preci-sione i necessari calcoli. Sembra che, prima di dare ini-zio ai lavori, Vanvitelli avesse collocato alcune tavolesul monte Briano, nel punto dove l’Acquedotto, dopoil lungo cammino, sarebbe dovuto arrivare e che, aconclusione dei lavori, l’acqua giunse esattamente nelpunto fissato molti anni prima. L’informazione è trattada Francesco CANESTRINI, Maria Rosaria IACONO,L’Acquedotto Carolino, Ministero per i BB.AA.CC.,Soprintendenza per i BB.A.A.A.S. di Caserta e Bene-vento, s.d.

88. Vanvitelli aveva a disposizione un numero elevatissimodi manodopera, che gli permise di accelerare notevol-mente i lavori nei tratti più agevoli. Ad esempio tra ilmonte Ciesco ed il fiume Faenza si hanno indicazioni

che parlano di circa 600 persone impiegate a «cavaree murare» in un tratto «già lungo più di palmi 2000 Na-politani». Luigi Vanvitelli, lettera del 28 agosto 1753 alfratello Urbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol.II, p. 258.

89. Antonio SANCIO, op. cit., p. 192.

90. Ivi, pp. 192-193.

91. Si riportano le dimensioni descritte nella relazione nondatata e non stilata da Vanvitelli sullo stato dei lavoriin corso nella reggia di Caserta, nel parco reale e allaconduzione delle acque, in Franco STRAZZULLO, op.cit., vol. I, pp. 293-294. Per il medesimo ponte, nellaPlatea del Cavalier Sancio si trova scritto: «Si traversòtutta la valle e fiume con l’inalzamento di un muro e diun ponte di tre archi / occupandosi lo spazio di circasettecento palmi». Antonio SANCIO, op. cit., p. 193.

92. Luigi Vanvitelli, lettera del 30 marzo 1754 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 321.Nella Platea del Cavalier Sancio è riportato, comeanno dell’iscrizione, il MDCCLIV. Antonio SANCIO,op. cit., p. 193.

93. Antonio SANCIO, op. cit., p. 193.

94. Ivi, p. 192.

95. Luigi Vanvitelli, lettera del 14 luglio 1754, in FrancoSTRAZZULLO, op. cit., vol. I, pp. 337-338.

96. Antonio SANCIO, op. cit., p. 194.

97. Si confronti, a tal proposito, la lettera di Luigi Vanvi-telli al fratello Urbano del 7 ottobre 1760, in FrancoSTRAZZULLO, op. cit., vol. II, pp. 601-602.

98. Antonio SANCIO, op. cit., p. 194.

99. Ivi, p. 195.

100. Luigi Vanvitelli, lettera del 19 luglio 1754 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, pp.342-343. È facile riconoscere nel monte di tufo ilmonte Prato ed in quello vicino il monte Ciesco.

101. Poiché questa era la prima nuova opera da realizzareal principio del regno di Ferdinando IV, Vanvitelliavrebbe voluto apporre sui fianchi del ponte, in analo-gia a quanto fatto sul fiume Faenza, un’iscrizione ce-lebrativa del nuovo sovrano, ma il testo vennebloccato dal ministro Tanucci e dell’iscrizione non sene parlò più. È il primo segno del cambiamento di trat-tamento nei confronti di Vanvitelli nel passaggio dalregno di Carlo III al periodo della reggenza.

102. Antonio SANCIO, op. cit., p. 195. Il traforo indicatodal Sancio è quello del monte Croce.

103. Relazione non datata e non stilata da Vanvitelli sullo

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stato dei lavori in corso nella reggia di Caserta, nelparco reale e alla conduzione delle acque, in FrancoSTRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 295.

104. Luigi Vanvitelli, lettera del 11 giugno 1763 al fratelloUrbano. Ivi, vol. III, p. 58.

105. Cfr. la lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Urbano del4 marzo 1766. Ivi, vol. III, p. 258.

106. Antonio SANCIO, op. cit., p. 202.

107. Si confronti la lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Ur-bano del 11 ottobre 1760, in Franco STRAZZULLO, op.cit., vol. II, p. 604.

108. Il 7 ottobre 1760 così Vanvitelli scriveva al fratelloUrbano: « Al monte della Croce, distante dal Pontecirca 9000 palmi, delli 1500 palmi di traforo ne man-cano soli 160, ma qua nel mezzo del monte è un veroosso indiavolato, perché a cagione delle mofete, chelevano il respiro, non ci si puol lavorare. Questa notteio ci faccio provare a lavorare, perché di notte le mo-fete non tramandano tanto. Insomma per pochi passiche mancano, si pena molto, ma si supererà alla peg-gio nel grande Inverno». Ivi, vol. II, p. 602.

109. Si confronti la lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Ur-bano del 12 luglio 1760. Ivi, vol. II, p. 548.

110. «Una mofeta sortita da dentro il traforo del Monte dellaCroce à ucciso con l’alito un operario, e poco mancòche uccidesse il Capo Mastro ed altri quattro, onde Gio-vedì arrivai a proposito per dare coraggio e tirare avanti,dopo che avrà svaporato». Luigi Vanvitelli, lettera del11 ottobre 1760 al fratello Urbano. Ivi, vol. II, p. 604.

111. Luigi Vanvitelli, lettera del 21 marzo 1761 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, pp. 680-681.

112. Luigi Vanvitelli, lettera del 14 aprile 1761 a Don Al-merico Pini. Ivi, vol. II, pp. 692-693.

113. Luigi Vanvitelli, lettera del 2 maggio 1752 al fratelloUrbano. Ivi, vol. I, p. 149.

114. Nella Platea del Cavalier Sancio, a tal proposito silegge: « Mentre le parti dell’acquedotto più dispen-diose e difficili a costruirsi rimangono sotterra sepolte,questa mole magnifica, sola, può dirsi, esposta allaluce, dovea almeno conservare alla memoria e dei Resuccessori e dè beneficati Vassalli, il nome dei magni-fici Monarchi, che ne furono gli autori». Antonio SAN-CIO, op. cit., pp. 196-197.

115. Il testo delle due iscrizioni è ripreso dalla lettera diLuigi Vanvitelli al fratello Urbano del 15 dicembre1753, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 284.Nella Platea del Cavalier Sancio il nome di Vanvitelliè posto solo su una delle due iscrizioni.

116. Per la spiegazione del nome dell’Acquedotto si con-fronti la lettera di Luigi Vanvitelli al fratello Urbanodel 1° aprile 1760, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol.II, p. 495.

117. È tuttavia singolare che per un’opera di tali dimensionila spesa complessiva sostenuta dalla Reale Ammini-strazione ammontò a poco più di settecentomila du-cati. Una spesa molto contenuta soprattutto se messaa confronto, ad esempio, con le somme impiegate perrealizzare, a suo tempo, l’acquedotto Claudio.

In un’annotazione, non firmata ma attribuibile a Van-vitelli, si osserva come l’acquedotto Claudio, lungo38 miglia romane, costò 13.875.000 scudi romani,mentre quello casertano, lungo 28 miglia romane, co-stava circa 600.000 ducati di Napoli equivalenti a450.000 scudi romani. «O le arti, rese più perfette, fa-cilitano i travagli; o l’uso ignoto allora, della polvereincendiaria, abbrevia le fatighe; o gli antichi scrittoricercavano di sorprendere la credulità de’ posteri; ol’oro de’ principi passa ora per mani di direttori piùfedeli». Le parole di Vanvitelli sono riportate da An-tonio GIANFROTTA in, Caserta e la sua Reggia..., cit.,p. 53.

118. Antonio SANCIO, op. cit., p. 196.

119. Anche la ferriera fu trasformata in mulino nel 1822.

120. Relazione non datata e non stilata da Vanvitelli sullostato dei lavori in corso nella reggia di Caserta, nelparco reale e alla conduzione delle acque, in FrancoSTRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 295.

121. Antonio Sancio, op. cit., p. 196.

122. Ibidem.

123. Ibidem.

124. Luigi Vanvitelli, lettera del 7 aprile 1756 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 533.

125. A tal proposito le parole di Vanvitelli riportate nellaPlatea del Cavalier Sancio ci informano che: «quantopiù malagevoli sono le imprese tanto più sogliono in-vogliare le anime grandi e generose. Avvertito il Redella difficoltà di forare il monte di Garzano, comandòsubito che si forasse». Antonio SANCIO, op. cit., p. 199.

126. Luigi Vanvitelli, lettera del 11 gennaio 1756 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 505.

127. Luigi Vanvitelli, lettera del 20 marzo 1758 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 193.

128. «Si assalì per tanto dai due opposti lati il duro monte,e sviscerandolo di qua e di là collo scalpello, e smin-uzzandolo colle mine, dopo tre anni d’incessante

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travaglio giorno e notte, finalmente alli 23 di Marzodel 1759 così direttamente s’incontrarono gli oppostioperai, come se al cielo scoperto lavorato avessero ascavare il forame, che è lungo, dall’ingresso dopo gliarchi all’uscita di là dal monte, palmi 6250 = unmiglio e palmi 250». Antonio SANCIO, op. cit., p. 199.

129. Luigi Vanvitelli, lettera del 24 marzo 1759 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. II, p. 318.

130. Luigi Vanvitelli, lettera del 2 aprile 1759 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 327.

131. Luigi Vanvitelli, lettera del 23 maggio 1760 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 519.

132. Luigi Vanvitelli, lettera del 20 aprile 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, pp. 814-815.

133. Luigi Vanvitelli, lettera del 11 maggio 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 825.

134. Luigi Vanvitelli, lettera del 4 maggio 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 822.

135. Di tale apertura Vanvitelli pensò di avvalersi anche inseguito quando qualche personaggio di rango volevarecarsi in visita all’Acquedotto non ancora terminato.Si legge nella lettera del 27 marzo 1764: «È pervenutanotizia che il Duca di Jorck verrà dopo Pasqua. Correvoce che il Re, nel giorno che lo tratterrà a pranzo aCaserta, gli voglia dare il divertimento di vedere l’ac-qua. Se ciò fosse, io proporrò di farla cadere dagl’Ar-chi della Valle, nel sito stesso, ove cadeva, allorquando poi, alla venuta del Re si mandò, chiudendoquell’esito a cadere al luogo della mostra. E quiagl’Archi forma una veduta magnifica, naturale e ru-stica, perché alla prima cadeva per più di palmi 80,che sembrava la cascatella di Tivoli, indi poi, per balzedi sassi, in varie guise discendeva spumante fin’al piùbasso della strada, vicino l’arco maggiore, ove si na-scondeva in un chiavicone e passava a scaricarsi in unfosso vicino». Ivi, vol. III, p. 135.

136. Luigi Vanvitelli, lettera del 30 aprile 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 821.

137. Luigi Vanvitelli, lettera del 4 maggio 1762 al fratelloUrbano. Ivi, vol. II, p. 822.

138. «Fra le molte minchionerie che dicevano, che l’acquaritornava addietro, ve ne era un’altra in campo [e cioè]che l’acqua non poteva mai passare per il traforo, per-ché era sbagliato il livello e la compressione dell’ariane avrebbe impedito l’effetto, ancora che avesse avutopendenza. Oh che filosofastri da comedia! Li esperi-menti, che adesso da molti si fanno, credono adattabilia tutte le cose, ma l’errore è massimo e molti mattema-tici vanno sbagliando nella maggior parte delle pratti-

che, alle quali sole conviene adattare le teorie dellamatematica e studiarvi le ragioni dapoi, cioè dopo l’ef-fetto, e siccome gli effetti sono diversi, a queste diver-sità non si puole dare il principio certo di una solteoria, la quale serve per bel fondamento di discorso,ma non già di effetto plausibile». Luigi Vanvitelli, let-tera del 4 maggio 1762 al fratello Urbano. Ivi, vol. II,p. 823. Nella lettera del 15 maggio 1762 si legge an-cora: «Vi era un frate matematico, che diceva non puo-ter venir l’acqua. Quando il Re Cattolico promise dirimandar tutta l’acqua che prendeva al formale dellaCittà di Napoli, il Consesso Senatorio della Città de-putò tre architetti napolitani periti per riconoscere sepoteva fallire questa promessa, per impossibilità. Que-sti tre, dopo essersi divertiti un giorno, chi sa a chefare, mal a proposito fecero la perizia, ove scritto e avoce riferirono che l’acqua da Caserta certamente po-teva ritornare nel formale di Napoli, ma certamenteancora non era possibile che l’acqua puotesse mai epoi mai venire in Caserta. (…) mi dispiace a me, chéio, adempiendo quello che dovevo nell’assunto di con-dur l’acqua, ne sia resultato ad evidenza innegabile al-l’Eccellentissima Città che li periti loro sono assaiimperiti, onde faranno male giammai in avvenire fi-darsi delle loro assertive, perché solo il caso li guidae non la scienza, che aver dovrebbero delle cose cheardiscono trattare». Ivi, vol. II, pp. 827-828.

139. Antonio SANCIO, op. cit., pp. 199-200.

140. «Forsi in breve si dovrà fare la livellazione da Casertaverso Napoli, per stabilire il ritorno dell’acqua». LuigiVanvitelli, lettera del 19 marzo 1763 al fratello Ur-bano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. III, p. 31.

141. «Per la cerimonia della mostra delle acque l’architettoFrancesco Collecini presenta un preventivo di spesadi 2.000 ducati circa. Vanvitelli anticipa a Neroni l’or-dine sovrano di non oltrepassare i 400-500 ducati.Emerge dal documento la consapevolezza dell’archi-tetto di doversi muovere entro i limiti finanziari al-quanto ristretti, ma anche la determinazione araggiungere lo scopo prefissato, superando ogni osta-colo. In effetti per i lavori necessari ai piedi del monteBriano: sradicamento di olivi per la formazione di unospiazzo e successiva ricollocazione delle piante, tra-sporto di 2.000 tavole di legname dal Real palazzo aMonte Briano, pagamento a falegnami, fabbri e “pa-ratori” per l’allestimento del palco destinato ai so-vrani, affitto di calessi utilizzati dal Collecini e dalcapomastro Calo Patturelli per assistere ai lavori, sispenderanno complessivamente ducati 888.60 7/2». Lacitazione è tratta dal commento di Antonio Gianfrottaalla lettera di Vanvitelli del 24 aprile 1768, in Mano-

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

scritti di Luigi Vanvitelli nell’archivio della Reggia diCaserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, Mi-nistero BB.AA.CC. ufficio centrale per i beni archi-vistici, Roma, 2000, p. 182.

142. L’informazione, tratta da Giuseppe Maria Galanti, èriportata da Ciro ROBOTTI, Francesco STARACE, Il di-segno di architettura, l’antico, i giardini, il paesaggio,Capone editore, Lecce, 1992, p. 141. In realtà le rico-gnizioni compiute negli ambienti del sottotetto nonhanno rilevato la presenza di strutture atte a sostenereil carico di una conserva d’acqua.

143. Nella lettera di Luigi Vanvitelli al cavalier Neroni, del31 ottobre 1768, si legge: «dovendosi proseguire il tra-vaglio sul monte Briano per la conserva delle acque,nel qual sito si ritrovano alcuni alberi di olivo, con-verrà quelli trapiantare o recidere, per il travaglio su-detto». Manoscritti di Luigi Vanvitelli..., cit., p. 210.

144. Precisa Antonio Gianfrotta, commentando la lettera diVanvitelli del 15 marzo 1770, che tale condotta, sitrova alla sinistra del Palazzo, sotto la strada dellaSantella, e da lì prosegue verso S.Benedetto e versoNapoli. Ivi, p. 235.

145. Luigi Vanvitelli, lettera del 15 marzo 1770 al ministroTanucci. Ivi, p. 234.

146. Luigi Vanvitelli, lettera del 28 agosto 1753 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. I, p. 260.

147. «Sappi che io non averò da comprare piombo per licondotti delle fontane, e né pure il ferro per le cannedelle fontane maggiori; ho aperta una nuova minieradi piombo che mi rende il 100 per 100, et ho fatto ve-nire da Sassonia li minatori, i quali cavano felice-mente». Le parole del re sono citate da LuigiVanvitelli nella lettera del 13 maggio 1752 al fratelloUrbano. Ivi, vol. I, p. 156.

148. Arnaldo VENDITTI, Carlo Vanvitelli da collaboratoread epigono dell’arte paterna, in Luigi Vanvitelli e il‘700 europeo..., cit., vol. II, p. 145.

149. A.R.Ce., I.R.A., busta 1891: 505, comunicazione del10 aprile 1837.

150. Ivi, relazione del 30 giugno 1837.

151. Antonio SANCIO, op. cit., pp. 200-201.

152. Luigi Vanvitelli, lettera del 11 giugno 1770 al cavalierNeroni, in Manoscritti di Luigi Vanvitelli..., cit., p.253.

153. Alcuni provvedimenti di tutela del percorso degli ac-quedotti, sia in superficie, sia sotterranei, erano giàparte della legislazione romana. Così vengono de-scritti da Frontino nella sua opera: «Quod Q. AeliusTubero Paulus Fabius Maximus consules verba fece-runt aquarum quae in urbem venirent itinera occuparimonumentis et aedificiis et arboribus conseri, quid fa-cere placeret, de ea re ita censuerunt: cum ad reficien-dos rivos specusque per …+… quae et opera publicacorrumpantur, placere circa fontes et fornices etmuros utraque ex parte quinos denos pedes patere etcirca rivos qui sub terra essent et specus intra urbemet extra urbem continentia aedificia utraque ex partequinos pedes vacuos relinqui ita ut neque monumen-tum in is locis neque aedificium post hoc tempus po-nere neque conserere arbores liceret; si quae nuncessent arbores intra id spatium, exciderentur, praeter-quam si quae villae continentes et inclusae aedificiisessent».

FRONTINO, De aquae ductu, testo stabilito, tradotto e com-mentato da Pierre Grimal, Les Belles Lettres, Parigi,1944, CXXVII.

154. Giuseppe GHIGIOTTI, op. cit., vol. II, p. 59.

155. «Il grande parco incide, con la sua dimensione, nellastessa organizzazione territoriale, riallacciando e coin-volgendo la montagna povera del Tifata, che verrà for-temente caratterizzata dalla successiva realizzazionedi S.Leucio. Il Tifata è arido, e nell’addurre acqua allagrande cascata ed ai bacini del parco, attraverso l’Ac-quedotto Carolino si incrementa ulteriormente l’urba-nizzazione e l’agricoltura: l’intera concezionevanvitelliana è interpretabile sotto il profilo urbani-stico e territoriale ed è riconducibile alla futura città dicui non la sola Reggia, ma tutte le opere connesse po-trebbero costituire premessa». Lorenzo PAGLIUCA, Ca-serta ed il territorio, in Luigi Vanvitelli e il ‘700europeo..., cit., vol. II, pp. 415-416.

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Tra le tavole della Dichiarazione, presentata nel1751 ai sovrani di Napoli, Carlo di Borbone eMaria Amalia, solo tre disegni – e precisamentela tav. I, consistente in una planimetria, e le tavv.XIII e XIV, due vedute a volo d’uccello – docu-mentano le intenzioni di Luigi Vanvitelli riguardoalla sistemazione dell’area destinata al giardino.In essi l’architetto si sofferma con particolare at-tenzione sulla zona limitrofa all’edificio, dellaquale fornisce una descrizione minuziosa in ognidettaglio. Nonostante l’estrema precisione nelladescrizione del progetto, l’immagine attuale delParco è, però, completamente diversa da quellache sarebbe dovuta essere secondo i disegni per-venutici e la motivazione non sembra essere ri-conducibile esclusivamente all’incompiutezzadei lavori.Alla morte di Vanvitelli, infatti, nessuna delle di-ciannove fontane progettate era stata realizzata.Della prosecuzione dei lavori fu incaricato, comeprevedibile, il figlio Carlo, il quale «aveva a suofavore sia la precisa conoscenza delle idee pa-terne, sia numerosi disegni, schizzi, modelli edappunti lasciatigli dal padre»2. Tuttavia, osservaArnaldo Venditti, il compito di Carlo sarebbestato più semplice «se egli non avesse dovuto af-frontare il duplice problema del rapporto conl’eredità paterna e dell’indispensabile rinnova-mento, impostogli dall’evoluzione del gusto edella società»3.Se a questo si aggiungono anche le notevoli dif-ficoltà dovute alla mancanza del sostegno daparte del nuovo sovrano – con conseguente ca-renza di fondi destinati all’opera – si comprendecome il Parco realizzato – o, per meglio dire, laparte realizzata del Parco – non possa esprimerecompiutamente l’idea performativa che era allasua base.

Come mai, dunque, si è arrivati alla costruzionedi fontane completamente diverse da quelle ini-zialmente ipotizzate? E quale sarebbe stata l’immagine complessiva delParco se fosse stato realizzato l’intero progetto?Per comprendere meglio tale questione occorreinnanzitutto analizzare i disegni della Dichiara-zione rivolgendo l’attenzione, in primo luogo,proprio alla tavola I e alla genesi della planime-tria.

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3. DI FONTANA IN FONTANA.

IL RACCONTO DELL’ACQUA NEL PARCO DI CASERTA

L’animus del giardino, la sua specificità è affidata alGenius Loci i cui templi e le cui statue si erigono imman-cabilmente nel nuovo giardino.1

Luigi Vanvitelli, Dichiarazione dei Disegni del reale Pa-lazzo di Caserta..., Tav.I, Planimetria, 1756.

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Analisi del primo progetto per il Parco

Chiara è, anche a prima vista, l’impronta del pro-getto dovuta ai modelli francesi, di cui, Vanvitelli,sembra riproporre lo schema compositivo deri-vato, molto probabilmente, dall’attenta lettura deltrattato di Dézallier d’Argenville. Ad una estremità del lotto di terreno è infatti col-locato il palazzo reale, mentre, di fronte, un’ese-dra verde sembra costituire il fondale dellavisione ottenuta percorrendo l’asse centrale. Tut-tavia l’attenzione alla natura del luogo ed allepreesistenze – il cui riutilizzo avrebbe comportatoanche notevoli risvolti in termini economici –non ha prodotto la pedissequa ripetizione di unoschema attraverso la semplice costruzione di ele-menti ex-novo. Come già osservato, alcune dellearee del giardino dei principi Acquaviva, soprav-vissute all’incuria del tempo, vennero inserite nelnuovo impianto ortogonale, pur mantenendo cia-

scuna le proprie peculiarità ed irregolarità. Comericorda anche Anna Giannetti, nella Pianta Gene-rale – la tav.I della Dichiarazione – il casino e ilBosco Vecchio, insieme ai tre piccoli giardini edal frutteto che circondavano il vecchio palazzobaronale, sono disposti simmetricamente rispettoalla nuova Reggia. A queste preesistenze Vanvi-telli «prevedeva di aggiungere un “Salone conPortico interno di verdura con parterre all’inglesee due Fonti di Amore e Psiche” e un altro copertoa pergolato con la fontana di Narciso e di Eco»4,che avrebbero completato e bilanciato la compo-sizione5. Un indizio della volontà di mantenere lepreesistenze degli Acquaviva sembra emergereanche dalle istruzioni fornite, nel 1763, al capogiardiniere Martino Biancourt, per rispettare glielementi formali nel momento in cui avrebbe do-vuto «intervenire nel Bosco Vecchio» per «risar-cire di piante o semenze alcuni siti»6. Il punto di partenza sembra, pertanto, essere la

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Antoine-Joseph Dézallier d’Argenville, Pianta di un ma-gnifico giardino su un unico livello, in La Theorie et la Pra-tique du jardinage, 1739.

Luigi Vanvitelli, Planimetria della reggia e del parco in undisegno precedente all’edizione della Dichiarazione del1756.

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volontà di mantenere il più possibile di quanto,del parco degli Acquaviva, caratterizzava ancora,evidentemente con forti segni, il territorio circo-stante la nuova costruzione. Tuttavia risulta limi-tativo pensare che tutto il Parco fosse già statoideato da Vanvitelli all’epoca della Dichiara-zione, tantomeno unicamente in termini di riuti-lizzo e completamento di preesistenze. Al contrario, da quanto emerge seguendo la cro-nologia della realizzazione, sembra piuttosto cheIl Parco sia stato progettato in itinere «attraversocontinui incontri con i sovrani», come ricordasempre Venditti, ma anche con la scelta di solu-zioni alternative in corso d’opera, legate alle ne-cessità del cantiere. Emblematica è, a questoproposito, la decisione di spostare più in alto, sulmonte Briano, la mostra d’acqua della cascata,dopo aver scoperto una sorgente al di sopra dellivello che si era ipotizzato. Inoltre alcune incongruenze, osservabili nelle ta-vole della Dichiarazione, sembrano proprio indi-care una fase di studio ancora attiva al momentodella presentazione dei disegni ai Sovrani.

Nota infatti Laura Carnevali, confrontando la Pla-nimetria della Dichiarazione – che chiama plani-metria B – con un disegno di progetto ad essaprecedente – definita planimetria A – che nellatavola XIII Vanvitelli utilizza elementi presentiin entrambi. «Infatti una doppia fila di olmi ac-compagna gli edifici curvi della parte di ellissepiù prossima alla reggia (così come rappresentatonella planimetria A), mentre i due giardini diFlora e Zeffiro sono invece conformi alla plani-metria B; il parterre centrale chiuso dall’esedrasemicircolare è conforme a quello raffiguratonella planimetria A, come i due parterres ad essolaterali»7. Anche nella tavola XIV «occorre os-servare che la strada esterna alla piazza ellitticacompare fiancheggiata da edifici, mentre nell’al-tra veduta ha, sul lato esterno, una doppia fila diolmi»8. È, dunque, probabile che l’assetto defini-tivo del parco si sia andato costituendo proprionel corso dei lavori, seppur fosse già tracciato,nelle sue linee principali, nella Dichiarazione, alfine di fornire al re un’immagine complessivadell’opera. Al risultato di tale immagine Vanvi-

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Luigi Vanvitelli, Dichiarazione dei Disegni del reale Palazzo di Caserta..., Tav.XIII, Veduta a volo d’uccello della reggiae del parco, 1756.

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telli lavorò per tutto il resto della sua vita, cosic-ché, negli ultimi anni, pur non avendo completatol’opera, «aveva tracciato tutta la sistemazione deiviali, disposto le alberature, proceduto allo scavodei bacini»9. L’impronta lasciata doveva esserecosì forte che, anche se il figlio Carlo fu l’esecutoremateriale delle fontane, tra il 1776 e il 1779, «siaper la composizione d’insieme (l’efficacissima al-ternanza di tappeti erbosi e di vasche, saldate otti-camente sull’asse fondamentale della reggia,costituito dalla galleria interna e dalla cascata termi-nale), sia per i dettagli architettonici, il giovane ar-chitetto dovette seguire fedelmente i disegnilasciatigli dal padre e già approvati dalla corte»10.Quindi, per quanto una tradizione che ha originecon Ferdinando Patturelli voglia vedere in Carlol’ideatore del complesso sistema di fontane pre-sente sull’asse centrale – dal momento che diqueste fontane non c’è traccia nei disegni dellaDichiarazione – in realtà, spiega sempre Venditti,la tesi non è accettabile «considerando, appunto,il fatto che reggia e parco erano stati concepiti daLuigi Vanvitelli in indissolubile unità» e che «perquanto la trasposizione dei grafici di progetto allafabbrica sia operazione tutt’altro che meccanica,è pur vero che, nel caso specifico, Carlo avevacollaborato col padre alla redazione dei disegniesecutivi, sì da non poter avere incertezze in sededi realizzazione»11. Di tale stretta aderenza è testi-mone la Fontana dei Venti, in cui la corrispon-denza tra il modello ligneo, presente nellaReggia, e l’opera realizzata, seppur parzialmente,«attesta la fedeltà degli esecutori al progetto delmaestro»12. Tuttavia risulta, ai giorni nostri, quasi impossibileverificare tale fedeltà, dal momento che non ri-mane quasi traccia – se si eccettua il sopra citatomodello ligneo – dei progetti inerenti le fontanedell’asse centrale. È, anzi, paradossalmente significativo il fatto chenessuna delle fontane realizzate venga citata nellapur dettagliata descrizione presente nella legendadella Planimetria della Reggia e che, al contrario,nessuna delle fontane rappresentate – intendendocome fontane quelle con gruppi scultorei ed esclu-dendo, quindi, la peschiera – sia stata costruita.Per maggiore chiarezza del discorso si riporta, diseguito, la legenda presente nella tavola I della

Dichiarazione, limitandosi a citare esclusiva-mente le fontane previste e tralasciando gli altrielementi non oggetto del presente studio:

I Due Giardini de’ fiori colle Fonti di Flora e ZefiroL Fontana principale delli Fiumi Reali Ibero, Vistolaed il piccolo Sebeto1 Quattro Fontane d’accompagnamento2 Fontana di Perseo3 Fontana d’Attalanta4 Fontana di Bacco5 Fontana d’Ipocrene6 Fontana d’Ercole7 Fontana di PalladeM Prospetto Teatrale di Spagliere con Boschi e Saleadornate di Statue e FontiS Fontana rappresentante la Regia Corte di NettunoT Salone con Portico intorno di verdura con perterraall’Inglese e due Fonti di Amore e PsicheV Altro Salone con pergolato a Cocchio adornato diStatue, Sedili e Vasi colla fonte di Narciso e quella diEco ivi vicinaX Gran Peschiera con Isola in mezzo adornata di Fon-tane ed altroZ Giardino degl’Aranci nel di cui mezzo vi è la fontedi Venereb Due nuovi Boschetti in quinconcie per passeggiareall’ombra con due Sale, e Fontane di Adone e di En-dimionec Fonte di Dianad Pomario colla Fonte di Pomonae Orti di coltura colla fonte di Vertunno13

È evidente, dall’elenco sopra citato, che ancorauna volta Vanvitelli segue la tradizione del giar-dino formale, in cui, come dice Margherita AzziVisentini, «le statue antiche, in alcuni casi inte-grate con altre di moderna fattura, diventanoparte integrante del programma iconografico, chetende ora a coinvolgere ogni aspetto della compo-sizione, dalla decorazione dipinta a quella pla-stica, dalla vegetazione all’acqua, dando luogo aun vero e proprio Gesamtkunstwerk»14.Ancora una volta, tuttavia, Vanvitelli si distaccadall’adeguarsi pedissequamente alla tradizione einserisce innovazioni proprie della sua persona-lità. Non sembra riconoscibile, infatti, un unicoprogramma figurativo, come, ad esempio, si ri-scontra con l’immagine guida del dio-sole chepermea l’intero Parco di Versailles.

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Individuazione delle fontane secondo il progetto della Dichiarazione.

I I

L1

1 1

1

6 7

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2 3V

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Emerge, al contrario, un insieme armonizzato di al-meno tre temi iconografici, sovrapposti ed integratitra loro, che si offrono a differenti livelli di lettura.

La simbologia sottesa al primo progetto del

Parco: ipotesi e suggestioni

Il primo livello di lettura – quello immediata-mente riconoscibile – mostra un programma fi-gurativo ancora fortemente legato a quella ripresadelle Metamorfosi di Ovidio, la cui diffusione,nell’ambito delle tematiche decorative del XVIIsecolo, vedeva proprio in Napoli, assieme a Ge-nova e Venezia, uno dei principali centri propul-sori. Si tratta della sopravvivenza del mito, nelleimmagini e nell’immaginario seicentesco, che di-viene strumento di celebrazione della nobiltà. Ma allo stesso tempo le statue – figure allegori-che dei quattro elementi, delle stagioni e delleparti del giorno, delle virtù e delle arti, delle di-vinità dell’Olimpo, degli eroi, delle ninfe e deisatiri – distribuite nel giardino, ne scandisconol’impianto geometrico regolare.

Ecco quindi che, nel progetto della Dichiara-zione, le fontane situate nelle zone attorno al-l’asse centrale ripropongono miti legati al doppiotema dell’amore e della trasformazione. Ad ovestle fontane di Venere e di Diana sono disposte alleestremità del braccio longitudinale di un’idealecroce, le cui altre estremità sono occupate dallefonti di Adone15 e di Endimione16, gli uominiamati dalle due dee. Ad est si ritrova, invece, lasuccessione delle coppie Vertumno e Pomona17,Amore e Psiche18, Narciso e la ninfa Eco19. La de-finizione di “saloni”, per i due boschetti di Amoree Psiche e di Narciso ed Eco, suggerisce l’ipotesidi ambienti particolari, idonei probabilmente aduno sviluppo narrativo, in cui il visitatore, unavolta varcata la soglia ed entrato nel mondo delmito, avrebbe potuto interagire con la storia rap-presentata. In particolare questo potrebbe essereapplicato alle figure di Narciso ed Eco «entrambiillusori, entrambi ambivalenti e densi di solleci-tazioni tra la fine del Cinquecento e il primo Sei-cento per una triplice sovrapposizione di ordini:il recupero della poetica classica, la fuga nellamoltiplicazione affabulante della rappresenta-

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Luigi Vanvitelli, Dichiarazione dei Disegni del reale Palazzo di Caserta..., Tav.XIV, Veduta a volo d’uccello della reggiae del parco, 1756.

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zione barocca, l’esplorazione di presuppostiscientifici nell’area meccanicistica»20. Sembraplausibile, quindi, un’ambientazione in grado diesaltare le potenzialità insite nel loro mito: losdoppiamento, a causa della riflessione, del rag-gio luminoso o dell’onda sonora. Infine, il palazzo stesso è racchiuso, a oriente eoccidente, dai giardini di pertinenza della coppiaformata da Zefiro e Flora21. In contrapposizione a quanto previsto per le estre-mità del giardino, l’asse principale sembra tesoall’esaltazione del potere del sovrano, materializ-zato nella fontana della Regia Corte di Nettuno.Il percorso è introdotto dalle raffigurazioni di Er-cole e di Pallade, quasi a simboleggiare che laretta strada da seguire è quella equidistante trafortezza e sapienza. Ma la presenza di queste duedivinità potrebbe alludere anche ad alcune impli-cazioni morali. Ercole, considerato in qualità dieroe che porta la civiltà, è la divinità presceltada Carlo di Borbone, il suo alter ego, così comeApollo lo era stato per Luigi XIV a Versailles. La sua presenza all’inizio del percorso, quasi adindicare la strada da seguire, richiama la scelta di

Ercole posto di fronte al bivio tra virtù e piacere. Come nel quadro22 di Annibale Carracci – facenteparte della collezione Farnese e attualmente nelmuseo di Capodimonte – la virtù, assimilabile aPallade, indica una strada, aspra e faticosa, checonduce verso un monte sulla cui cima si stagliaPegaso. Nel caso specifico il monte Briano sitrova esattamente al termine dell’asse centrale,asse dal quale la ricerca del piacere – quellostesso piacere a cui alludono le tematiche amo-rose delle fontane poste alle estremità – costante-mente fa deviare. La strada da seguire, sembradire Vanvitelli, è dunque quella retta, indicata dalduplice segnale della virtù-Pallade e di Ercole-Carlo di Borbone. È la strada del re e a confer-mare tale ipotesi sembra stagliarsi la fontanaposta proprio all’estremità opposta, quella dellaRegia Corte di Nettuno.Ad una prima impressione, la Fontana dellaRegia Corte di Nettuno sembrerebbe essere, nelprogetto Vanvitelliano, una diretta citazione diquella presente nel Parterre Nord del parco diVersailles23. Situata all’estremità del giardino, nelpunto diametralmente opposto al palazzo reale,

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Jean-Baptiste Boudard, Zefiro e Flora, parco del palazzo ducale di Parma, 1753-1766.

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la fontana avrebbe costituito un alter ego dellaReggia stessa, facendo corrispondere alla corte diCarlo III quella del re del mare e alla coppia re-gnante, la coppia Nettuno e Anfitrite24. La figura di Nettuno, in qualità di sovrano delmare, ha una lunga tradizione come metafora tesaad esaltare il potere dei committenti. La Fontana del Nettuno, di Bartolomeo Amman-nati, celebrava il successo di Cosimo I dei Mediciattraverso la mostra dell’abbondante acqua por-tata in città con il nuovo acquedotto. Così la Fontana dell’Oceano, di Giambologna,indiscutibilmente simile al Nettuno dell’Amman-nati, celebrava la costruzione dell’acquedottoall’interno del giardino di Boboli, residenza diCosimo e sua moglie, Eleonora di Toledo, dive-nendo continuazione di un messaggio politicoanche in uno scenario privato.In veste di Oceano venne raffigurato, nel 1594,Cosimo stesso, con il piede destro sulla testa diun delfino, in una statua di Pietro Francavilla che«si ergeva nella piazza dei Cavalieri di Pisa, an-

tistante la sede dei Cavalieri di Santo Stefano, unordine creato da Cosimo nel 1561 per ripulire leacque del Mediterraneo dai corsari turchi»25. A Bologna, infine, Nettuno, scolpito dal Giam-bologna per l’omonima fontana, diventa celebra-zione del papa Pio IV «il quale con l’emanazionedei decreti tridentini, dopo la conclusione delConcilio di Trento, portò l’ordine nel caos ecalmò le acque papali»26.Tuttavia la stessa definizione, data da Vanvitelli,di Regia Corte sembra alludere alla presenza diun gruppo scultoreo in sostituzione della singolaimmagine del re del mare. Non è possibile sapere con certezza come sarebbestato questo gruppo scultoreo, ma per avereun’immagine piuttosto vicina a quella prevista daVanvitelli, si possono utilizzare le parole di Gio-van Vincenzo Imperiale, poeta del Seicento, che,nel raccontare del giardino di Apollo sul Parnaso,descrive in realtà le fontane presenti nella villa disua proprietà. Tra queste una ha per oggetto pro-prio la corte di Nettuno.

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Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1596-1598.

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Quì miri poi da cento statue, e centoE di Protei, e di Glauchi, e di Tritoni,A le Nereidi misti, e à quanto hà il MareNinfe, e Sirene: e sù la sponda, à frontePosta de la gran Quercia, il gran NettunoStarsene a Tethi, e ad Anfitrite in mezo;Versante dal gran scettro del tridenteL’acque dentro à quell’acque in tre zampilli,Anzi in tre fiumi pure, anzi in tre Mari;Ma dolci Mari, e Mar tranquilli, e chiari27.

La fontana «principale» del giardino, per usare leparole di Vanvitelli, non è, però, quella dellaRegia Corte di Nettuno, ma la fontana dei FiumiReali Ibero, Vistola ed il piccolo Sebeto. L’unionedei tre corsi d’acqua non è casuale. L’Ibero, nomelatino del fiume Ebro, è uno dei principali fiumispagnoli, il paese d’origine di Carlo III. La Vi-stola è, invece, il corso d’acqua su cui sorge Var-savia, la capitale della Polonia, terra natale dellaregina Maria Amalia28. Come un novello Ovidio, Vanvitelli opera un’ul-teriore, quanto ardita, metamorfosi, per la qualeanche la coppia sovrana viene trasformata neifiumi più rappresentativi dei paesi di prove-nienza. In questo modo, perciò, le figure di Carlodi Borbone e di Maria Amalia di Sassonia inte-grano e completano la tematica di amore e tra-sformazione presente nelle fontane circostanti.

Ma il messaggio della fontana non si limita esclu-sivamente alla coppia regnante. Il Sebeto è il mitico corso d’acqua, di cui attual-mente si sono perdute le tracce, legato alle leg-gende della fondazione di Napoli ed in cui la cittàstessa viene identificata dai partenopei, insiemeal Vesuvio. Rispetto agli altri due fiumi il Sebetoè definito «piccolo» e sicuramente, nel confronto,piccolo lo era per portata d’acqua. Ma, come pertutte le indicazioni fornite da Vanvitelli – e maicasuali – è possibile vedere, nell’uso di questoaggettivo, anche altre accezioni. Forse un riferimento al regno di Napoli, più pic-colo rispetto alle patrie dei due sovrani? O forseun accenno all’erede al trono, nato proprio nellacittà partenopea? È difficile, se non impossibile,giungere ancora una volta ad una conclusione,senza avere dati certi sulle intenzioni dell’archi-tetto. Rimane, in ogni caso, molto forte l’impres-sione che la Fontana dei Fiumi Reali siaconsiderata principale, rispetto alle altre, proprioperché celebrazione non del potere sovrano, madella famiglia reale e, a tal proposito, sia giusta-mente collocata al centro del parco e delle sue in-numerevoli prospettive. Di conseguenza, quellaretta strada, sulla quale si sarebbe stati indirizzatidalla scelta di Ercole, avrebbe avuto come con-clusione la celebrazione della figura del re e della

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Parco di Versailles. Lambert-Sigisbert Adam, Nettuno e Anfitrite, 1740.

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sua famiglia, rendendo, in modo definitivo, l’assecentrale come asse regio.Di più difficile interpretazione risultano, invece,le quattro fontane disposte simmetricamente ailati della Regia Corte di Nettuno: ad ovest duefigli di Giove, Perseo e Bacco, ad est la Fontanad’Attalanta precede quella d’Ipocrene. Forse, in questo caso, Vanvitelli aveva previsto ilriutilizzo di alcune figure già presenti nel parcodegli Acquaviva? Come già osservato, AnnaGiannetti cita, nella descrizione del giardino sei-centesco, la presenza delle statue di Batto e delgruppo scultoreo di Perseo, Andromeda ed il mo-stro, oltre a quelle, già prese in considerazione,di Diana, Atteone, Ercole e di una Venere ignuda. È anche vero, però, che in alcuni casi non dovevatrattarsi di semplici statue, ma, come per ilgruppo del Perseo, attribuito a Raffaele Nigrone,di automi azionati idraulicamente. Sembra per-tanto difficile credere che le figure si trovasseroin uno stato di conservazione tale da consentirneil riutilizzo, anche soltanto per poter usufruiredell’impianto idrico già esistente.

Più probabile è, invece, il riapparire, in altreforme, degli stessi messaggi di cui le sculture sei-centesche erano portatrici, forse nel tentativo diriprendere anche alcune tematiche già presentinel giardino della Granja di S.Ildefonso, in cui sitrovano una Fontana di Andromeda ed una Fontedella Fama sormontata da Pegaso. Con la Fon-tana di Perseo Vanvitelli avrebbe quindi creato ilgiusto compendio all’Andromeda presente nelgiardino di Filippo V, il padre di Carlo III?Ad una prima lettura sembrerebbe immediata,poi, l’associazione tra la Fontana d’Ipocrene e«la sala o sia il largo della fonte delle muse che sivede ora circondato da tre lati con alte spalliere diallori e lentaggini unite ad altissime querce e li-cini»29, anche se, in realtà, quest’ultimo si trovavainserito nel «Vecchio Real Boschetto di Caserta»e per la sua sistemazione Vanvitelli forniva indi-cazioni ben precise30. Nella Fontana d’Ipocrene, a differenza di quantoraffigurato nella Fontana della Fama dellaGranja – a sua volta citazione dell’omonima fon-tana di Versailles – sembra perciò esplicito il ri-ferimento al monte delle Muse, inteso cometematica che richiama la trasposizione terrestredi un mondo ideale e perfetto. Così, ad esempio, ancora nelle parole di GiovanVincenzo Imperiale, si trova una descrizione diuna fontana simile.

E scorgi, dove il rustico sentieroCon selvaggia beltà termina il corso,D’ogni alterezza rustica, selvaggiaDentro à gran nicchio gran fontana adorna;Con arte tal, ch’à l’inornata sua,Roza rusticità cede in bellezzaOgni più adorna, e più civil vaghezza.Quì miri in cima ad alto monte, alpestre,Di ruvidi, scogliosi monticelliDi gran pomice, et aspra un sovra l’altroComposti ad arte in ordine incomposto;L’aligero destrier, che d’EliconaDa l’insassite viscere non vive,Con la forte unghia sua, cristalleggiante,Fè nascer fiume di cristallo puro;Con l’unghia istessa, percotendo il sasso,In cui termina il monte, alto sboccarneIn cristalline, et in argentee veneDivino fiume far novo Hippocrene31.

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La Granja di S. Ildefonso. Fontana di Andromeda.

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Le parole dell’Imperiale testimoniano la diffu-sione del tema – sempre presente nei giardini apartire dal Cinquecento32 – e della metafora cheallude agli effetti del buon governo del commit-tente. Tra i meriti di Carlo di Borbone ci sarebbe,quindi, anche quello di riprodurre il Parnaso sullaterra, messaggio analogo a quello ribadito nellavolta dello scalone principale. Si sarebbe trattato, dunque, in tutti questi casi, dinuovi gruppi scultorei realizzati secondo le indi-cazioni di Vanvitelli? È probabile, allora, che, analogamente a quantosuggerito dalle tradizionali raffigurazioni delmonte da cui sgorga la fonte Ippocrene33, o dall’as-sociazione di Andromeda e del mostro alla figuradi Perseo, anche le fontane di Bacco e di Atalantanon sarebbero state costituite da figure isolate. A Bacco avrebbe potuto essere associata Arianna,in un’ulteriore ripetizione di una coppia celeste,così come Atalanta avrebbe potuto essere rappre-sentata durante la gara contro Ippomene, presen-tando ancora una storia legata ad una tematicad’amore. Tale ipotesi, suggestiva per quanto al mo-mento non verificabile, sembra tuttavia preluderead alcune scelte effettuate dallo stesso Vanvitelliper le fontane realmente realizzate nel parco. È interessante osservare, infatti, come ognunadelle fontane attualmente presenti nel Parco ri-sulti costituita da gruppi scultorei piuttosto cheda singole figure isolate, come se l’architetto pre-diligesse che fossero rappresentati momentiestratti da una narrazione più articolata rispettoalla riproduzione di semplici immagini allegori-che. Tale ipotesi riconduce a quanto già osservatoanche per la Regia Corte di Nettuno.Infine, il giardino è cosmos, spazio ordinato al-l’interno del territorio, riflesso, in un microcosmodalle aree ben precise e dai confini nettamente se-gnati, dello stesso regno di Napoli. Ad ognunadelle zone del giardino corrisponde – perché adessa è preposto – un nume tutelare, sulla base diuna corrispondenza di simboli derivata dalla mi-tologia latina. Ricorda Tagliolini che alle divinitàera «affidato ogni stadio della coltivazione e ilbuon esito del raccolto: Saturno presiede alle se-mine, Flora alla fioritura, Cerere alla maturazionedelle messi, Pomona alla maturazione dei frutti,Consus e Opis alla loro raccolta e conserva-

zione»34.In questo terzo livello di lettura, pertanto, ognifontana rappresenta il centro del mondo su cui ilnume rappresentato svolge il proprio governo. Sesi considerano, ad esempio, i Giardini di Zefiro eFlora, si nota che si tratta, giustamente, di par-terres de broderies. Dove altro avrebbe potutocollocare, Vanvitelli, le fontane delle due divinitàprimaverili se non al centro dei due parterres fio-riti situati, secondo lo schema del giardino fran-cese, sotto le finestre del palazzo? Posti al centro di ciascuno di essi, Zefiro, il tie-pido vento dell’ovest, e Flora, la sua sposa, risul-tano, ancora una volta, una metafora della coppiaregnante, sotto il cui governo il mondo è soggettoad una eterna primavera35. Un’altra coppia, anch’essa disposta simmetrica-mente, ma questa volta rispetto ad un asse tra-sversale, si incontra ad oriente del parco: è quellacostituita da Vertumno e Pomona. Vertumno, èuna divinità agricola il cui nome deriva dal verbolatino vertĕre, che significa volgere, cambiare36,con riferimento al ciclo delle stagioni; la fontana

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La Granja di S. Ildefonso. Fontana della Fama.

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con la sua immagine è posta, quindi, a presiederel’orto, così come quella di Pomona37, sua sposa edea legata alla coltivazione, si trova a vigilare sulfrutteto, che da lei prende il nome di pomario. Dall’altro lato del parco, ad occidente, Venere, inqualità di dea dei giardini, è posta al centro del-l’orangerie38, simbolica raffigurazione del giar-dino per eccellenza, quello delle Esperidi. A leicorrispondente, ma più a nord sullo stesso asse,Diana, dea delle selve, sovrintende all’accesso aquella parte di bosco delle proprietà Acquavivarimasta integra e, perciò, più selvaggia. L’ordinecostituito da Vanvitelli risulta essere, dunque, unvero cosmos in cui ogni elemento è posto ad oc-cupare la sua esatta posizione. Il giardino previsto nella Dichiarazione può es-sere, quindi, interpretato come immagine dell’in-tero Regno di Napoli sotto il governo di Carlo diBorbone. Tutta la composizione è disposta, in-fatti, attorno all’asse centrale – asse regio – checulmina nel duplice fulcro delle fontane rappre-sentanti la Regia Corte e la famiglia reale. Da en-trambe queste fontane si diramano i viali e gli assivisivi che conducono nel resto del giardino e cheportano alla scoperta degli effetti del buon go-verno: l’armonia – legata alle numerose temati-

che d’amore – l’ordine – secondo il quale ogninume presiede al proprio ruolo – e la prosperità –resa evidente dalla beneaugurante presenza dellenumerose divinità agresti.

Il Parco realizzato: analogie e differenze con

il progetto della Dichiarazione

Attualmente la struttura del parco, per quanto ri-guarda la disposizione dei viali e la suddivisionein parterres e boschetti, è molto simile, se nonidentica, al progetto vanvitelliano; notevolmentedifformi sono invece gli elementi di comple-mento39. In particolare il complesso programma iconogra-fico, che prevedeva le diciannove fontane di cuisi è trattato, non venne realizzato, anche a causadi notevoli difficoltà finanziarie. Tuttavia l’at-tuale conformazione dell’asse centrale, il cui as-setto non era stato così dettagliato da Vanvitellinei disegni della Dichiarazione, lascia supporrepiuttosto un approfondimento delle intenzioniprogettuali, approfondimento di cui, purtroppo,non restano tracce relativamente al momento del-l’ideazione.

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Jean-Baptiste Boudard, Pomona e Vertumno, parco del palazzo ducale di Parma, 1753-1766.

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Il Parco, così come realizzato, risulta quindi sud-divisibile in tre macro-aree: l’asse centrale, ilBosco Vecchio, il Giardino Inglese40. In ognuna di tali zone l’acqua svolge un ruolofondamentale che concorre a differenziare le areel’una dall’altra. Se infatti lungo l’asse centralel’acqua è movimento, perpetua caduta dalla ca-scata, incessante discesa nei cinque bacini sotto-stanti, che si alternano ai tappeti erbosi lungo1.840 metri di lunghezza, nel Bosco Vecchio l’ac-qua è stasi, ampio respiro nella Grande Pe-schiera, barriera ed arresto nel fossato checirconda la Castelluccia. Un discorso a parte meriterebbe, invece, il Giar-dino Inglese, in cui l’acqua diventa l’elemento co-stituente delle sensazioni e delle emozioni chederivano dalla percezione del paesaggio. Nel 1792 Jakob Philipp Hackert dipinse questogiardino, per lo studiolo di Ferdinando IV, rein-terpretandolo ed idealizzandolo proprio sulla basedelle emozioni suscitate: è l’avvento del Roman-ticismo, il cui gusto ha comportato la progressivaaccentuazione del fascino del Giardino Inglese ascapito del più rigoroso giardino formale. A tal proposito si può considerare, ad esempio, latestimonianza lasciataci dall’inglese Henri Swin-burne che, nei suoi travels, osservava già nel1783: «i giardini sono molto vasti, ma se riman-gono secondo il progetto che si è interrotto somi-glieranno ai nostri giardini stupidi e uniformi chenon sono altro che larghi viali dove ci si scotta alsole e dove innumerevoli statue sono disposte suun’unica fila»41.Sembra dunque giunto il momento di rivolgerel’attenzione alla parte di giardino realizzata, perverificare se le affermazioni di Henri Swinburnepossano ritenersi fondate.

L’asse centrale del Parco

Nonostante le apparenze di geometrica sempli-cità, l’asse centrale rappresenta un elementoestremamente complesso ed articolato nel pro-getto vanvitelliano del Parco. Il tratto di perti-nenza del giardino, prosecuzione del lungo vialeproveniente da Napoli42, creato per l’accesso allaReggia, si sviluppa per circa tre chilometri, dalla

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Il Bosco Vecchio

Il giardino e l’asse centrale

Il Giardino Inglese

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facciata nord del Palazzo fino alle pendici delmonte Briano. Proprio la presenza del monte, ter-mine naturale del percorso, impedisce l’esten-dersi dell’asse fino all’orizzonte, come avvienenella tradizione francese. Al contrario ogni partediviene perfettamente visibile, obbligando l’ar-chitetto a non trascurare nessun particolare e aconferire adeguata «magnificenza» ad ogni tratto:

dovete sapere che il mio vialone di mezzo è largopalmi 175 Romani, di modo che se gli alberi che pas-seranno sopra le spalliere si produrranno fuori dellalinea dentro il vialone palmi 37½ per parte, rimar-ranno palmi 100 di voto, e s’è ancora di più rimaneràsempre un larghissimo spazio, di modo che la vistanon rimanerà impedita, e diverrà ochialone solo per lagran distanza di due miglia, ma sempre farà un effettogrande e spazioso; in oltre ancora, dove farò le gradi-nate e li canali di acque fluenti, ivi il vialone si allar-garà notabilmente affinché non vi sia angustia, anzivoglio che la stessa magnificenza sia concordata atutte le parti43.

L’incredibile estensione, inoltre, rendeva neces-sario un attento studio delle numerose interrela-zioni presenti tra l’asse e gli elementi eterogeneiche si susseguivano lungo il suo percorso: par-terres de broderie, boschetti dal taglio geome-trico, frequenti intersezioni con i viali trasversali,nei cui punti nodali erano previste singole fon-tane, fino ad arrivare al padiglione-coffee houseprevisto sulla cima del monte. All’asse, dunque, doveva essere attribuito il dif-ficile compito di armonizzare, nel colpo d’occhiodella visione dalla facciata del Palazzo, i diffe-renti elementi presenti nel giardino, riconducen-doli alla regola di un unico principiocompositivo. Proprio dal “cannocchiale”, costituito dal porticodi ingresso alla Reggia, ed in particolare dal cen-tro del vestibolo inferiore, è ancora oggi possibileapprezzare, in un unico sguardo d’insieme, ilcomplesso delle fontane, collocate in asse ed al-ternate a strisce di tappeto erboso. Come AndréLe Nôtre, Vanvitelli deforma planimetricamentei bacini ed i parterres, adattandoli alle pendici delmonte Briano. L’anamorfosi così ottenuta garan-tisce che ogni elemento sia perfettamente visibiledal vestibolo di ingresso e che, grazie all’inter-

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L’asse centrale in rapporto con il Palazzo Reale e con il territorio circostante.

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posizione delle strisce di prato, non avvenganosovrapposizioni di immagine tra le fontane. Il risultato finale è, come in un quadro, compresoall’interno della cornice formata dagli archi delportico, contribuendo a fare del centro del vesti-bolo, un punto di osservazione privilegiato44.Di tutto l’asse centrale solo una parte è stata rea-lizzata, seppure terminata postuma ed in modonon del tutto compiuto.

La presente non è che una gran lista di terra in pianoinclinato di lunghezza palmi 6570 e di larghezzapalmi 400, chiusa da muri laterali, presso di qualisono due continuati e folti boschetti di querce e deli-mitati entrambi da viali coverti da una fila di elci iso-lati, e diramati regolarmente a spalliera e piano sopra.Nel mezzo dello spazio fra i due descritti viali vi sonodei gran bacini, ed una successione di vasche sovrap-poste a guisa di cascatine, bordate tutte di travertinoscorniciato ed ornate di statue, e getti d’acqua45.

Per quanto concerne la prima fontana che si incon-tra provenendo dalla Reggia, la Fontana Marghe-rita o del Canestro, risulta difficile una suaattribuzione alla volontà di Vanvitelli. È questa unafontana di ispirazione francese46, molto semplice,costituita da una vasca circolare al cui centro unbasso zampillo fuoriesce da un cesto scolpito. La presenza della fontana non è, però, segnalatadal Cavalier Sancio47, né da Ferdinando Patturelliche così precisa:

Fa mestieri quì avvertire il LETTORE, che innanzi alprimo ponte nella parte Meridionale incontro al Pa-lazzo dovea venire la prima fontana colla statua diNettuno, ed una gran vasca (…): ora in questo sito ri-trovasi il gran canestro di fabbrica con fiori48.

Tuttavia, in una fotografia del 1891, si vede lafontana circondata da un prato e recintata da pa-letti. Potrebbe essere, dunque, un intervento suc-cessivo al progetto vanvitelliano, realizzato nelperiodo compreso tra il 1826 – data dell’opera diPatturelli – ed il 1891, probabilmente consistentenella riqualificazione dell’intero parterre. Tale in-tervento, oltre a comportare la trasformazione delcesto da fiori in fontana, sembra aver portato, in-fatti, anche all’introduzione delle statue, in formadi termini, raffiguranti Apollo e le Muse, an-

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Vedute progressive dell’asse centrale del Parco dal porticodi ingresso.

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ch’esse assenti dall’accurata e precisa descrizionefornita dal Cavalier Sancio e non menzionate dalPatturelli. Si tratta forse delle stesse statue facentiparte della «sala o sia il largo della fonte dellemuse» cui si riferiva Vanvitelli nel dare preciseprescrizioni per il ripristino delle essenze e per lenuove piantumazioni? Nella copia del tavolariosullo Stato di Caserta, redatto nel 1750, si trovauna descrizione di tale boschetto: «Si ha una pe-schiera sopra la quale si vedono sette statue dipietra con vari strumenti musicali in mano… dallidue suoi lati si ha un teatro dove si vedono innove nicchi nove statue di pietra in figura dellenove muse»49.

Il fatto che Vanvitelli avesse previsto, in questazona del Parco, la Fontana della Regia corte diNettuno, fa tuttavia escludere l’ipotesi che il sitodella «sala delle muse» coincidesse con l’attualecollocazione delle statue, tanto più che per quelboschetto Vanvitelli aveva in mente una sistema-zione precipua. L’immagine attuale sembra essere, quindi, fruttodi interventi posteriori e restituisce, a questa zonadel Parco, quella dignità che la mancata esecu-zione del progetto della Dichiarazione aveva ne-gato, attraverso la reintroduzione dell’elementoidrico e la sostituzione del regno di Apollo allaRegia corte di Nettuno. Ma il tema prescelto non

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Parco di Caserta, Fontana Margherita. In alto la vasca, in basso alcuni dei termini raffiguranti Apollo e le Muse.

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risulta in alcun modo correlabile a quanto si os-serva nei bacini successivi – né tantomeno, comesi vedrà, inserito nella simbologia generale delParco. La Fontana Margherita rimane, perciò, unepisodio isolato.Di fronte ad essa è tuttavia necessaria una sosta,che prelude ad una scelta. Il percorso, infatti, sidivide in due rampe semiellittiche, necessarie persuperare il dislivello presente tra il piano del giar-dino ed il ponte di Ercole, che scavalca la stradadi Aldifreda. Al di sopra ci si ritrova di fronte aquello che può essere considerato il vero iniziodell’intervento vanvitelliano: la Fontana dei Del-fini. Ancora una volta il cammino si sdoppia, pas-sando necessariamente ai lati della vasca situatalungo l’asse principale, e da questo momento saràsempre più difficile ritornare ad acquisire una per-fetta visione centrale, se non in alcuni punti pre-stabiliti. La condizione non sembra casuale ericorda molto da vicino quanto già osservato inVersailles, dove Apollo-Sole corre incontro al vi-sitatore percorrendo il Grand Canal. Percorsod’acqua come metafora del percorso della divinità.Se si accetta questa ipotesi, allora questo potrebbeessere considerato il primo segnale che anche nellefontane realizzate è contenuta una simbologia piùcomplessa di quanto appaia a prima vista. La Fontana dei Delfini, o Canalone, è «un lungobacino a fior di terra, di palmi 1800 per la lar-ghezza di palmi cento e della profondità di palmiotto, cosicché contiene circa 51400 botti di

acqua»50. Venne realizzata tra il 1777 ed il 1779da Carlo Vanvitelli che rielaborò i disegni delpadre. L’acqua fuoriesce da quattro fori, nonchédalle gole spalancate di tre delfini, opere attri-buite a Gaetano Salomone. L’insieme, come os-serva Francesco Starace, è caratterizzato da unaserie di contrasti, per cui «Sullo sfondo della pa-rete a bugnato listato, entro un’esedra ad arco, èstato collocato il basamento naturale, una rocciache, dai due lati posti a pelo d’acqua, si eleva finoall’asse centrale». Il risultato è un «intreccio vi-sivo di due piani, arcuati se non semicircolari,l’uno del tutto geometrico, l’altro roccioso equindi naturalistico» in cui «la ragione e “l’or-dine” dominano la natura nei due aspetti, terrestree animale»51.Ulteriori complessità si leggono anche nelle molte-plici funzioni che questa fontana sembra rivestire.Posta al termine del percorso dell’AcquedottoCarolino, prima dell’adduzione dell’acqua allaReggia, la fontana, grazie anche alle sue dimen-sioni particolarmente allungate, circa 475 metriper 27, acquista il ruolo di serbatoio di accumuloe vasca di smistamento per le zone più a valle.Dal vasto bacino si diramano infatti tre condotti:il primo consente l’adduzione dell’acqua all’areadel Bosco Vecchio (Peschiera e Castelluccia); ilsecondo, attraverso la Fontana Margherita, rag-giunge il Palazzo; il terzo serve, invece, da sfogoper il troppo-pieno, permettendo all’acqua in ec-cesso di convogliarsi in una tubazione che scorre

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Parco di Caserta. Fontana dei Delfini.

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parallelamente all’asse centrale. Ciascuna con-dotta è dotata di serrande, situate al raccordo conla vasca, che permettono la regolamentazione delflusso idrico ed il mantenimento di una portatacostante. Inoltre, in quanto serbatoio di accu-mulo, il bacino consente di garantire il riforni-mento idrico delle zone a valle del Parco anche incaso di momentanea penuria d’acqua52.Una fontana, dunque, in cui la spiccata vocazioneidrica è esaltata dall’intima unione di forma, fun-zione e decorazione, secondo quei principi riba-diti, nello stesso periodo, da padre Lodoli, per cui«la buona Architettura ha da formare, ornare emostrare, e che in essa la funzione e la rappresen-tazione debbono essere una cosa medesima»53.Una lunga tradizione vede il delfino partecipedella decorazione delle fontane, prestandosi lasua immagine ad essere immediatamente asso-ciata all’elemento liquido. A tal proposito si ri-cordano, a Roma, i quattro delfini che, a piazzaNicosia, sostengono la vasca superiore della fon-tana progettata nel 1573 da Giacomo Della Portae le coppie dalle code intrecciate inserite nel1575, dallo stesso artista, nella fontana di piazzaColonna. Allo stesso modo altri quattro delfini,scolpiti nel 1711 da Filippo Barigioni, versanoacqua ai lati dell’obelisco nella fontana in piazza

del Pantheon e ancora otto se ne trovano attornoai mascheroni che circondano la vasca. Delfinisono poi presenti nella fontana di piazza San Pie-tro e in quella del Moro a piazza Navona. In que-st’ultima, il gruppo scultoreo dell’etiope che lottacon un delfino, sostituì nel 1655, ad opera di Gio-vanni Antonio Mari, quello della Lumaca, «doveBernini aveva raffigurato tre delfini che reggonouna conchiglia marina»54.Osservando, però, più attentamente le tre figuredalle cui bocche fuoriesce l’acqua, nella fontanadel Parco di Caserta, potrebbe non essere così im-mediata l’associazione con tre delfini. In partico-lare la figura centrale mostra denti aguzzi ezampe con artigli terrestri. Inoltre, a differenzadelle più tipiche raffigurazioni55, ognuno pre-senta, tra gli occhi, un disco piatto variamente de-corato, come una maschera distintiva. Si potrebbe, così, far riferimento di nuovo ai versidel napoletano Giulio Cesare Cortese, con i qualil’autore descrive un’altra fontana situata nel giar-dino di Apollo sul Parnaso.

Pe mmiezo no gran frúscio de fontaneChe d’ogne banna l’acqua scorre e bolle;Una, tra l’autre, nc’è de forza granne,Che pe tre mascarune l’acqua spanne56.

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Parco di Caserta, Fontana dei Delfini. Particolare dei tre “delfini” da cui fuoriesce l’acqua.

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Come già osservato anche a proposito di GiovanVincenzo Imperiale, molto stretta risulta, infatti,l’associazione tra letteratura ed architetturacoeva. Se nelle ville è possibile leggere la traspo-sizione del Parnaso sulla terra, così per la descri-zione di quel mondo immaginario, poeti edautori, molto frequentemente, hanno utilizzatoimmagini tratte dal repertorio dell’architettura aloro contemporanea, in un continuo scambio trarealtà e finzione.In questo caso, dunque, come accade nei versi delpoeta napoletano, l’immagine dei tre mascheroni-delfini è forse il simbolo di un passaggio obbli-gato, all’interno di un percorso iniziatico, peraccedere a livelli superiori? Vero è che la Fontana dei Delfini non si prestaalla semplice, fugace ammirazione esterna, ma,attraverso due rampe poste ai lati, invita ad esserevissuta, conosciuta ed apprezzata in ogni suo re-condito recesso. Una grotta comunica con i marciapiedi che la cir-condano, sul modello della Fontana dell’Ovatoa Tivoli, anch’essa fontana sibillina57. È un invitoirresistibile ad entrare in cerca di refrigerio, mauna volta all’interno i sensi subiscono un ribalta-mento e, attraverso una spaccatura nella roccia,si assume il punto di vista dell’acqua che abbon-dante scorre dalla bocca del mostro-delfino so-vrastante. In un virtuale processo dirigenerazione58, il visitatore viene purificatoprima di tornare alla luce del sole e proseguirenel suo cammino. In tal senso la Fontana dei Del-fini, posta ad una certa distanza dalle altre fontane– e non direttamente inserita nel loro schemacompositivo – si presta a svolgere la funzione diporta di accesso alle zone superiori del Parco.Segue la Fontana di Eolo

La fontana accennata rappresenta i venti sprigionatida Eolo per far allontanare Enea dall’Italia a preghieradella Dea Giunone. Quindi la composizione architet-tonica è bene allusiva, mentre vedesi una lunga grottatraforata ad archi, a guisa di antri, con graziose sco-gliere, da cui sortono ventotto venti, simboleggiati daaltrettante statue alate, che buttano acqua dalle bocchein varie giocose mosse. Le isolette in mezzo del granbacino avanti dell’intera grotta servir devono per tantigetti di acqua per indicazione di promontorj di queimari59.

Si tratta sicuramente della fontana più scenogra-fica dell’intero Parco, nonostante la sua realizza-zione non sia stata portata a termine. Conosciamola sua immagine definitiva attraverso il modelloligneo che lo stesso Vanvitelli ordinò già nel1759, in previsione di una sua assenza dal can-tiere per seguire Carlo III in Spagna, e che vennecostruito nel 1765.

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Parco di Caserta, Fontana dei Delfini. La grotta situata die-tro la fontana con i sedili a disposizione per la sosta.

Parco di Caserta, Fontana dei Delfini. La vasca e il PalazzoReale attraverso l’apertura nella parete della grotta.

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Tale modello assume un duplice valore, fonda-mentale per la comprensione dell’iter progettualeseguito in quest’area del giardino: da un lato rap-presenta, infatti, una rara testimonianza relativaalla presenza di un nuovo programma iconogra-fico, dall’altro, la sua perfetta rispondenza al-l’opera reale dimostra la fedeltà mantenuta alleidee di Vanvitelli anche dopo la sua morte.Planimetricamente la fontana è costituita da unampio bacino di 160 per 131 palmi e da un’esedrapoligonale retrostante, formata da due rampe peril superamento del dislivello esistente. Nella partebassa l’esedra diviene criptoportico bugnato, conparaste tuscaniche che separano le aperture, adarco e ad architrave, digradanti verso le estremità. Sulle aperture architravate si trovano quattro bas-sorilievi, opera di Angelo Brunelli, rappresentantila causa prima dell’evento che si svolge nellavasca antistante: Le nozze di Teti, Giove con ledee, Il giudizio di Paride e Lo sposalizio di Pa-ride60. Dalla sommità della fontana un velo d’ac-qua scende nel bacino, fungendo da fondale per lascena rappresentata nella vasca.

Come in un teatro ci si ritrova completamente im-mersi nel dramma: si tratta del momento in cui ildio Eolo, istigato da Giunone, scatena la furia deiventi contro Enea ed i Troiani.

Allora Giunone supplice gli rivolse queste parole: «Eolo, poiché il padre degli dei e re degli uominiti assegnò di placare i flutti o di alzarli col vento,una gente a me ostile naviga il mare Tirreno,portando Ilio in Italia e i vinti Penati:infondi violenza ai venti e subissa e travolgi le navi,o incalzali, disperdili, e dissemina i corpi nel mare.Ho sette e sette Ninfe dal bellissimo corpo,delle quali la più bella di tutte d’aspetto, Deiopea,ti unirò in stabile connubio e la consacrerò come tua,affinché per tali tuoi meriti trascorra con tel’intera vita e ti renda padre di una bella prole».(…)Appena detto ciò, capovolta la lancia, percosseil cavo monte nel fianco: e i venti, quasi schierati,per dove s’apre un varco, si slanciano e spazzano la terrain un turbine. Irrompono sul mare e tutto dalle sedi profondeinsieme l’Euro e il Noto lo sconvolgono e l’Africo densodi bufere, e rovesciano vasti flutti sulle rive61.

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Parco di Caserta. Fontana di Eolo.

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Vanvitelli sceglie di rappresentare l’azione nel mo-mento in cui questa sta avvenendo e non di fornireuna semplice raffigurazione del mito, secondo unprincipio ancora partecipe di teatralità barocca62.Ventotto statue di venti – ma dovevano esserecirca il doppio – fuoriescono correndo dallegrotte collocate sul fondo, scatenando la tempestaal loro passaggio. L’acqua è utilizzata sfruttandopienamente le sue capacità illusorie, divenendosoffio emesso dalle bocche dei venti e, allo stessotempo, flutto che emerge dal mare in tempesta, ilmar di Sicilia. Il teatro dell’azione è riprodottoattraverso il riferimento a tre suoi promontori, ilPeloro, il Pachino ed il Lilibeo, due dei quali pre-senti nella vasca per servire «per tanti getti d’ac-qua», ed il terzo non realizzato. Lo spettatore è coinvolto nella rappresentazionee invitato ad una partecipazione attiva. Le grottesono accessibili, anche in questo caso, tramitepassaggi laterali che permettono di assistere, se-duti su alcune panche, attraverso il velo dell’ac-qua ricadente.Al di sopra della cascata avrebbe dovuto esserecollocato il gruppo scultoreo principale, costituitodalle figure di Giunone – sul carro trainato da pa-voni e sostenuto da nubi – di Eolo e delle ninfe alservizio della dea, tra cui la promessa sposa De-

iopea. Ancora una volta possiamo avere un’im-magine di come sarebbe potuto apparire il grupposcultoreo attraverso un raffronto con una dellefontane di villa Barbarigo a Valsanzibio – chia-mata, non a caso, Peschiera dei Venti – in cui,posto all’estremità di una vasca rettangolare,sulla cima di un monte da cui fuoriesce l’acqua,è rappresentato, seppur con minor abbondanza diparticolari e di sculture, lo stesso episodio di Eoloe della ninfa Deiopea. A Caserta, invece, tale gruppo non venne mai po-sizionato, sebbene il Cavalier Sancio attesti che lestatue di Giunone con le Ninfe «esistono in ma-gazzino insieme con due pavoni»63. Di tali statuesi sono perse quasi completamente le tracce. Tuttavia è possibile identificare nei due pavoni,attualmente situati nell’androne della Reggia diaccesso agli uffici della Sovrintendenza, le duestatue che avrebbero adornato il carro di Giu-none. Per analogia sembra possibile supporre cheanche la statua centrale, situata nello stesso an-drone e identificabile forse con Deiopea o con laregina degli dei, possa appartenere al grupposcomparso. Infine è interessante rilevare che, inepoca umbertina, lo scultore Giulio Monteverdeutilizzò tre statue femminili, provenienti dalParco di Caserta, per realizzare la Fontana delle

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Parco di Caserta, Fontana di Eolo. Uno degli “zefiri” circondato da simboli marini ed una coppia di “schiavi” che sostieneuna cesta-conchiglia.

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Bagnanti – detta anche di Caserta – nei giardinidel Quirinale. Sebbene al momento non sia statopossibile ravvisare alcun diretto collegamento tra talistatue e le Ninfe della Fontana di Eolo, tuttavial’ipotesi che si tratti proprio delle sculture citate dalCavalier Sancio risulta affascinante.«Concorrono alla grandiosità di questa fontana lebalaustrate delle due rampe laterali»64. Questepresentano una multiforme decorazione scultoreache accompagna il visitatore nella salita: «dician-nove coppie di forze, che sostengono altrettantegrandi conchiglie. Ve ne manca solo una. Le me-desime alternano con numero ventidue patere so-stenute da gruppi di piccoli delfini, e finalmentecon altre quattordici statue alate, che indicano al-trettanti zeffiri»65.Ancora «zeffiri», dunque, alcuni dei quali sonopresenti anche alla sommità della cascata, nel-l’atto di aprire gli otri che contengono i venti delmondo. Compaiono anche altri elementi propridel mondo marino: vasi sostenuti da coppie didelfini, le cui code si avvolgono a formarne il pie-distallo, nonché conchiglie che, appaiate, costi-tuiscono i pesanti contenitori sorretti da coppiedi schiavi incatenati. Quest’ultima immagine viene

comunemente interpretata come un diretto riferi-mento, quasi un tributo, alla manodopera di schiavimusulmani impiegata nella costruzione della Reggia,schiavi per i quali venne costruito un intero quartiere,ancora esistente, adiacente al Parco.Tra i simboli marini e gli innumerevoli zampilli,che si sarebbero innalzati su entrambi i lati66, lasalita verso il ponte di Sala sarebbe sembrata av-venire in una dimensione sub-acquea a cui anchegli alati «zeffiri» si sarebbero dovuti sottomettere. Nell’ascesa l’acqua soppianta l’aria, il potere ma-rino di Nettuno si sostituisce a quello di Eolo, in ri-ferimento alla conclusione del racconto virgiliano.

Frattanto Nettuno sentì, gravemente turbandosi,sconvolgersi il mare con grande fragore, sfrenatala tempesta, e rimescolate le acque dal fondo: ed in altoguardando, levò il placido capo dalla sommità delle onde.(…)Affrettate la fuga, e dite così al vostro re:non toccò in sorte a lui il regno del mare e il terribiletridente, ma a me. Egli possiede immanirocce, vostra dimora, Euro; si glorii in quellareggia, Eolo, e governi nel chiuso carcere dei venti».Disse, e più rapido della parola placa le tumide acque,fuga le nubi addensate e riporta il sole67.

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Palazzo Reale di Caserta. Statue probabilmente appartenenti al gruppo della Fontana di Eolo.

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Al termine della rappresentazione Vanvitelli creal’ultima illusione, rendendo lo spettatore parte-cipe della conclusione del dramma: come Net-tuno, anche noi possiamo, nell’ascendere lerampe laterali, guardare in alto e «levare il capodalla sommità delle onde».Giunti sul ponte di Sala, il cammino deve neces-sariamente proseguire su uno dei lati della vascacentrale. Questa costituisce il collegamento tra lasommità delle Fontana di Eolo e la successivaFontana di Cerere.

Salito che si è sul ponte, vedesi una lunga vasca nelmezzo, bordata da parapetti di travertino scorniciato,e da marciapiedi a mattoni, e quindi veggonsi altre seipiù piccole insecutive vasche, l’una sovrapposta al-l’altra, di modo che formano tante cascatine regolari,parimenti bordate tutte di parapetti di travertino scor-niciato, marciapiedi, e piccole scalinate per l’inclina-zione del suolo68.

Numerose vasche costituiscono il corpo di questolungo bacino69. Il loro numero e la loro disposi-zione sono dovuti alla necessità di adattarsi al ter-reno, che in quest’area varia la propria pendenza

aumentandola improvvisamente. Non è una verainvenzione di Vanvitelli, poiché una soluzioneanaloga è suggerita anche da Dézallier d’Argen-ville, in caso di terreni in accentuata pendenza egià nella Granja di S. Ildefonso la Fontana di An-fitrite presenta le medesime caratteristiche. Ma l’architetto napoletano dimostra in varie oc-casioni di apprezzare le potenzialità offerte datale soluzione. Anche per il progetto della mostrad’acqua provvisoria, da realizzare sul monte Gar-zano, Vanvitelli aveva previsto un sistema di va-sche analogo a quello realizzato nell’asse delParco70. Originale è, invece, l’idea di ripetere due volte lasoluzione delle vasche sovrapposte – nella Fon-tana di Cerere ed in quella successiva dedicata aVenere – creando un moto incessante che ri-prende la monumentale cascata sul Monte Brianoe prosegue nel già osservato velo d’acqua dellaFontana di Eolo. Originale è, perciò, l’aver introdotto, all’internodi una planimetria di chiara ispirazione francese– sottolineata dalla presenza della successione dibacini, leggibile come alter ego del canale cen-trale – l’elemento principe della tradizione ita-

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Palazzo del Quirinale, Fontana delle Bagnanti. Le statue probabilmente facevano parte della Fontana di Eolo.

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liana, quello della catena d’acqua. Tra gli innu-merevoli precedenti, si vuole – in questa analisi –osservare, ancora una volta, una particolare ana-logia con la successione di vasche presente inVilla Barbarigo a Valsanzibio. Nella villa veneta le fontane – collegate in se-quenza e disposte su un asse trasversale rispettoa quello che si origina dalla facciata principaledell’edificio – costituiscono l’elemento scenogra-fico che accoglie gli ospiti giunti in barca da Ve-nezia ed approdati nel Bagno di Diana, portale diaccesso dalla via d’acqua. La successione di ba-cini, posti su livelli differenti e con gruppi scul-torei situati ad una sola delle estremità, sembracontenere il primo nucleo dell’idea sviluppata daVanvitelli ad una scala maggiore.Le fontane di Caserta appaiono, dunque, incate-nate tra loro secondo una pluralità di modi che vadalla sequenza lungo lo stesso asse – che per-mette al flusso dell’acqua di scorrere, apparente-mente, dall’una all’altra – all’iterazione, seppurin forme diverse, di uno stesso motivo, quellodella cascata. Caduta dal monte, successione di cascatelle, velod’acqua risultano essere allora semplici varia-zioni dello stesso tema, inserite nella più com-plessa armonia generale.

La stessa architettura della vasca di Cerere con-corre al raggiungimento dell’effetto desiderato.La balaustra, dal particolare, morbido profilo, ac-compagna il corso dell’acqua nella sua discesa. Vanvitelli ha saputo rendere nella fissità della pie-tra l’incessante moto dell’elemento liquido. Il motivo del ricciolo, che serve di raccordo tra idifferenti piani della balaustra, è già presente nelloscalone principale; ma mentre lì era semplice deco-razione, nella fontana la sua funzione è amplificata,a coinvolgere l’intero perimetro del bacino.Come ruscello, la balaustra scorre attorno allavasca, ma nel salto di quota si piega creando lavoluta di un’onda che si infrange sugli scogli, ecome onda precipita nel dislivello esistente, ter-minando in un’ulteriore, spumeggiante voluta. Da qui riprende il suo cammino, come l’acquadopo il salto dalla cascata, immutata nel suo ap-parire, per ritornare ad essere onda nel salto di li-vello successivo. Ad ogni salto, un volto umano,una maschera caricaturale, compare sull’ele-mento verticale della balaustra. Elemento mai uguale a se stesso, seppur reiteratosei volte, il volto permette di leggere l’insieme dellevasche come successione di elementi consecutivi enon come stanca e statica ripetizione seriale. Ogni salto di quota è sottolineato da infiniti

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Parco di Caserta, Fontana di Cerere. L’onda della balaustra nel dislivello dei gradini.

Parco di Caserta, Fontana di Cerere.Il profilo a squame nel passaggio tra le vasche.

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spruzzi, accentuati dal particolare profilo confe-rito al bordo della vasca lì dove questa si piegaper agevolare la caduta dell’acqua. La superficie,infatti, non è liscia, ma resa scabra da una serie dirilievi, quasi squame di un pesce o di un colossalemostro marino, che impediscono all’acqua di ca-dere come un’unica massa compatta. Non si trattaperciò di un semplice elemento decorativo, maancora una volta al lato estetico è associato unpreciso scopo funzionale. La presenza dellesquame, infatti, scompone il flusso in una serieinfinita di rivoli minori «affinché l’acqua saltellie faccia spuma bianca»71, secondo un effetto chesi è visto molto caro all’architetto napoletano.Al termine della vasca, infine, il gruppo scultoreoda cui l’intero bacino prende il nome.

[Il canale] Presenta nella sua fine la Dea Cerere situatasopra un piedistallo stringente col braccio una medagliacoll’impronta della Trinacria circondata da Ninfe, ed a’piedi due draghi alati, animali a se consegrati, che scher-zano con un putto: da ambi i lati vi son pur due figuresdraiate di differente età rappresentanti due fiumi ancordella Sicilia cioè Anapo, ed Aretusa con due urne, chegittano acqua; nel basso finalmente due delfini isolati, edue gruppi di Tritoni colle loro buccine, che formanograziosi getti d’acqua. Gittano pure acqua la mascheraposta nel mezzo del piedistallo, e i due draghi72.

Al di là della discordanza interpretativa tra le pa-role di Patturelli e quelle del Cavalier Sancio73,riguardo alle due statue rappresentanti i fiumi ailati di Cerere, appare evidente come la fontanasia una chiara allegoria dell’abbondanza della Si-cilia. Cerere, dea delle messi, è posta in veste dipersonificazione dell’isola, rappresentata simbo-licamente dalla Trinacria scolpita nel medaglionemostrato dalla divinità. L’allegoria è quindi un chiaro riferimento allaprincipale fonte di ricchezza della Sicilia e, perestensione, dell’intero regno di Carlo III: il grano,cioè l’agricoltura. E particolarmente ricca dovevaapparire anche la fontana, con spighe di bronzoposte tra i capelli della dea e tra le mani delleninfe, così come di bronzo erano le pale di perti-nenza dei due fiumi. In seguito all’occupazionefrancese del 1799, ci informa Patturelli, spighe epale vennero «rubate, e rovinate le sculture»74, al-terandone l’immagine complessiva.La composizione delle figure, eseguite tra il 1783e il 1785 da Gaetano Salomone, è assimilabile,come osserva Francesco Starace75, al frontone diun tempio classico. Le statue sono disposte su trefile, parallele tra loro ed ortogonali all’asse prin-cipale del giardino: sulla prima, la più breve, siallineano i delfini; seguono, ad altezza interme-

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Genesi geometrica della sezione tipo della balaustra delleFontane di Cerere e Venere.

Parco di Caserta, Fontana di Cerere.Il gruppo di Cerere e le Ninfe.

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dia, le due coppie di Tritoni; infine Cerere attor-niata dalle Ninfe, con alle estremità le due figuresdraiate dei fiumi. La caratteristica principale di questa fontana, si-curamente la più interessante, è, però, quella chegli ha conferito il soprannome di “Zampilliera”.

Evvi ancora un gioco di acqua a scomparsa ne’ duemarciapiedi della medesima ultima vasca, cioè dueberceaux di piccoli zampilli, che bagnano intiera-mente quelli che vi si trovano a passeggiare76.

Allegoria dell’abbondanza, la fontana mostra ancheuna copiosa presenza di acqua in ogni sua parte.Oltre ai numerosi getti presenti nella vasca, girandoall’improvviso una chiave nascosta «chi sta a ri-guardar la scoltura trovasi tutto circondato d’acquasenza saper come»77. Quello degli scherzi d’acqua èun motivo ripreso dalle ville italiane della fine delcinquecento, che, in seguito si diffuse in tutta Eu-ropa. Gli scherzi servivano a rallegrare gli animi –attraverso l’improvvisa comparsa di spruzzi inaspet-tati – ed, eventualmente, anche a rinfrescare nellegiornate particolarmente soleggiate, aspetto, questo,non irrilevante nelle calde giornate estive casertane.Lasciata la dea Cerere, il cammino prosegue versola Fontana di Venere.

La fontana accennata è preceduta da una continuatasovrapposizione di undici altre simili vasche a casca-tine, come le anzidescritte, per la ragione della mede-sima inclinazione del suolo. I simili marciapiedi ascalette, i stradoni, viali coverti, e boschetti ne’ duelaterali non son disgiunti dalle vasche medesime, co-sicché si osservi una perfetta simmetria78.

Simile, nell’architettura, alla fontana precedente,lunga poco meno, ma della medesima ampiezza(66 palmi e ½, cioè circa 17 metri), la Fontana diVenere comprende dodici vasche suddivisibili indue gruppi di lunghezza decrescente. Le ultimecinque vasche sono, infatti, più corte delle setteprecedenti, per adattarsi meglio alle pendici delmonte su cui si addossano, e mantenere, così, co-stante il numero dei gradini utilizzati per superareil dislivello. Da notare è che il numero totale dellevasche, dodici, è difforme sia rispetto a quantodetto dal Cavalier Sancio, che forse si riferisce aisalti dell’acqua, sia a quanto descritto da Pattu-relli79. Come già osservato, Vanvitelli propone di nuovola sovrapposizione delle vasche a formare piccolecascatelle, ma anche in questo caso non si tratta diuna semplice ripetizione di un motivo già utiliz-zato. Sebbene il profilo della balaustra sia il me-

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Parco di Caserta. La successione Fontana di Cerere - Fon-tana di Venere. Sul fondo la cascata.

Parco di Caserta, Fontana di Venere.La differente onda formata dalla balaustra.

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desimo della Fontana di Cerere, tuttavia diversoè il modo con cui questo si piega a formare l’ondaal passaggio di quota. Infatti a causa della diversainclinazione del terreno – e non la «medesima»come ricorda il Cavalier Sancio – Vanvitelli sce-glie di utilizzare sei gradini, invece di cinque, perogni livello. La fontana ha però, nel complesso,un carattere più morbido ed elegante, più appro-priato alla divinità raffigurata. Anche il motivoutilizzato per far rifrangere l’acqua è diverso: nonpiù squame di pesce, ma onde flessuose che si al-lungano da un lato all’altro della vasca, con un ef-fetto finale meno appariscente ma più armonioso.Nel tratto verticale della balaustra teste di animalisi sostituiscono ai volti umani, ricordando che cistiamo avvicinando ad una parte del Parco più sel-vaggia e dedicata soprattutto all’attività venatoria,divertimento prediletto dal sovrano. Si tratta infatti di selvaggina: cervi, volpi, lupi,orsi, cinghiali si alternano di vasca in vasca conla stessa funzione già osservata in precedenza ri-guardo alla Fontana di Cerere. Sull’ultima vascal’ennesima variazione sul tema: la testa di un canecelebra la fedeltà di questo animale indispensabilenella caccia e, allo stesso tempo, diviene guar-diano di pietra per il gruppo scultoreo collocatoall’estremità80.

Finalmente sormontando una grandiosa scalinata se-micircolare di travertino con balaustrate a’ fianchi,sulle quali sorgono le statue in marmo di diversi cac-ciatori, e cacciatrici, si giugnerà in un gran ripiano.In questa posizione di prospetto si mira la gran cadutadelle acque, che precipitandosi dal contiguo monte, efrangendosi in artifiziosi scogli si versano nella sotto-posta gran vasca81.

Finalmente!Come dice Patturelli, finalmente si giunge al ter-mine dei tre chilometri che separano la Reggia dalmonte82. Finalmente si giunge ai piedi della «grancaduta delle acque», quella cascata che fin dal ve-stibolo inferiore del Palazzo aveva attratto la curio-sità. Come in Vaux-le-Vicomte, attraverso unsapiente gioco di elementi in prospettiva, Vanvitelliha saputo creare l’illusione che la meta del nostrocammino fosse sempre ad una distanza inferiore,spronandoci nel proseguire per raggiungerla. Ancora oggi lo spettacolo ripaga dalla fatica, seb-bene la quantità d’acqua sia notevolmente dimi-nuita e molto si sia perso del grandioso effettoprovocato dalla nuvola di spruzzi sollevata nellavasca.Di fronte a noi la cascata si getta dall’alto delmonte Briano; ai suoi lati, nell’ampia vasca ellit-

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Parco di Caserta, Fontana di Venere.Il gruppo scultoreo di Venere e Adone.

Parco di Caserta, Fontana di Venere.Il profilo a onde nel passaggio tra le vasche.

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La balaustra della Fontana di Cerere posta a confronto con quella della Fontana di Venere. In alto, confronto tra i due modidi adattarsi alla morfologia del terreno; in basso, confronto tra le due genesi geometriche.

FONTANA DI CERERE

FONTANA DI VENERE

FONTANA DI CERERE FONTANA DI VENERE

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tica, un evento prodigioso sta accadendo: Diana,sorpresa al bagno con le sue Ninfe, sta trasfor-mando l’incauto Atteone in cervo.La Fontana di Diana e Atteone costituisce il cul-mine dell’asse centrale. Ancora una volta nelleparole di Giovan Vincenzo Imperiale si trova unatestimonianza della fortuna di questo tema83 eduna descrizione di una fontana molto simile allarealtà casertana.

Nel destro laberinto à l’occhio inalzaSù bella base, entro marmorea conca,Di bianco marmo immagine diritta;Che nel suo capo, già converso in cervoFinge Atteone; e nel sinistro poi,In simigliante imagine formataLa cacciatrice e casta Dea lunata

E, con gran vanto di scarpel famoso,Sì quella, e questa naturale espressa,Che veramente, e di vergogna, e d’iraLa boscareccia vergine, modestaVedi arrossar nel bianco marmo istesso;Et avventare al cacciatore incauto,Con l’una man trasformatrice l’onda;E celar con la manca, ancor tremante,In atto insieme e vergognoso, e crudo,Quanto più può del suo bel corpo ignudo.E vedi il folle, e per soverchio amore,Soverchio forse temerario amante,La bagnatrice Dea mirare humile;Quasi mercè le chieda, e à poco à pocoDishumanarsi, e trasformarsi in belva;E dal suo caro can, ch’à lui non lungeHà’l vivace scarpello effigiato,Esser giunto, esser morto, esser sbranato84.

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Parco di Caserta. La cascata al termine del percorso.

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Pur con le dovute differenze architettoniche,anche a Caserta, come nella descrizione dell’Im-periale, la scena rappresentata è divisa in duegruppi scultorei che si fronteggiano.Un piazzale semiellittico accoglie il visitatore,creando il giusto spazio di pertinenza per il ba-cino. Di nuovo è presente una forma curvilinea,come nella Fontana di Eolo, ma questa volta con-vessa anziché concava. Al centro una scalinata permette di salire al li-vello del bacino; ai lati due rampe svolgono lamedesima funzione seguendo il perimetro delpiazzale, sottolineato da due balaustrate con quat-tordici statue di cacciatori. È una pluralità di ac-cessi e di punti di vista. Perfettamente in asse, la scalinata permette una vi-sione frontale ed immediata della cascata. Nella nu-vola di gocce d’acqua, i due gruppi scultorei,collocati nei fuochi dell’ellisse della vasca, appa-

iono ai margini del campo visivo e lo sguardo devecorrere da destra a sinistra, prima sull’uno, poi sul-l’altro, per poterne apprezzare pienamente le carat-teristiche. Ben altro effetto si ha salendo le rampe.In tal caso la prima percezione è quella di uno deidue gruppi, a seconda del lato da cui si accede. Diana è scorta in compagnia delle sue ninfe, maintenta in quale occupazione? Viceversa, Atteonesta fuggendo fra i suoi cani, ma per quale motivo?Il mito ritorna alla memoria, ciascuno dei duegruppi richiama l’altro, ma la rivelazione è piùlenta e graduale e richiede una maggiore parteci-pazione nella ricerca dell’elemento che, pur pre-sente, sembra mancare.Dalla balaustra i cacciatori – e le cacciatrici –sembrano suggerire questo secondo approccio al-l’area, invitando quasi, nei gesti e nelle pose, anon salire i facili gradini, ma a percorrere lenta-mente una delle due rampe.

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Parco di Caserta, Fontana di Diana. Gruppo scultoreo con Atteone sbranato dai cani.

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Parco di Caserta, Fontana di Diana. Gruppo scultoreo con Diana e le ninfe.

Ancora una volta, insomma, Vanvitelli rappresental’istante dell’azione e ancora una volta lo spettatoreè chiamato ad interagire. Sotto il monito dei cac-ciatori, salendo le rampe viene percepito il verifi-carsi di un evento straordinario. Quando, giunti nelpiazzale, scorgiamo la figura di Diana, è come senoi stessi assumessimo la parte dello sfortunatocacciatore, ma il braccio teso della dea ci risollevamostrando la soluzione: nella direzione indicata At-teone è già in parte trasformato in cervo ed attac-cato dai suoi stessi cani. Possiamo tornare ad esseresoltanto gli spettatori della rappresentazione.Da ciascun lato della vasca sette rampe condu-cono dai piedi della cascata fino alla sommità85:ottantadue metri di dislivello che offrono unosplendido panorama sullo stesso giardino e sulterritorio circostante. Punti di sosta con sedilisono predisposti, ad ogni livello della salita, perpermettere il riposo e la vista.

In cima un padiglione rustico, una “Torretta” «fattaa grotta con loggetta al di sopra ad uso di belve-dere»86, sostituisce la coffee house prevista nellaDichiarazione, che avrebbe riproposto, a scala mo-numentale, quanto esiste alla sommità della Fon-tana di Anfitrite nel palazzo della Granja.

Il disegno unitario delle fontane dell’asse centrale

Diana, Venere, Cerere, Giunone. Quattro dee per quattro fontane che appaionomolto più interdipendenti di quanto sembri. A due a due le fontane si richiamano tra loro, se-condo uno schema assimilabile a quello di unaquartina poetica: A-B-B-A.Innanzi tutto, planimetricamente, si è già accen-nato alla corrispondenza tra la curva della Fon-tana di Eolo e quella della Fontana di Diana e

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Atteone. Entrambe le curve sono rivolte versol’esterno, l’una verso la Reggia e l’altra verso ilmonte, ed è per tale motivo che al visitatore pro-veniente dal Palazzo Reale appaiono l’una con-cava e l’altra convessa. All’interno dello spazio così determinato, le dueFontane di Cerere e di Venere costituisconoun’unica linea retta, segmentata in tante vaschesusseguenti, secondo uno schema che, come si èvisto, è reiterato per due volte. Gruppi scultorei sono presenti in tutte le fontane,ad evidenziare, come si è già osservato, la predile-zione di Vanvitelli per le azioni raffigurate nel mo-mento esatto in cui vengono compiute. Si tratta,però, di gruppi scultorei molto differenti tra loro.Di fronte alla tempesta scatenata contro Enea oalla trasformazione di Atteone in cervo, il visita-tore assume veramente il ruolo di spettatore diuna rappresentazione teatrale, arrivando quasi acredere di essere parte della scena a cui assiste87.L’azione è infatti suddivisa tra i vari attori parte-cipanti: numerose figure in un caso (Fontana diEolo), due protagonisti con i propri comprimarinell’altro (Fontana di Diana). Nelle altre due fontane, invece, i gruppi sono col-locati, più staticamente, alla sommità dell’ultimavasca. Il visitatore assiste, ma non partecipa, allescene rappresentate, a meno che non gli venga ri-chiesto con improvvisi spruzzi. Tuttavia, il mi-nore coinvolgimento emotivo sembra un effettostudiato, che serve in un caso (Fontana di Cerere)a mitigare le forti sensazioni appena provate difronte alla tempesta e nell’altro (Fontana di Ve-nere) a predisporre al nuovo evento che è statoallestito alla base della cascata. A ciascun gruppo scultoreo, presente in ogni fontana, si accompagnano figure ornamentali dicompletamento, poste sempre sulle balaustre checircondano le fontane. Si tratta di figure la cuifunzione è quella di sottolineare alcuni aspetti legati ai soggetti raffigurati. Ancora una volta, è possibile riscontrare una cor-rispondenza a chiasmo: figure intere si trovanosulle balaustre della prima e della quarta fontana(di Eolo e di Diana), mentre semplici teste,umane o ferine, si alternano nelle fontane centrali(di Cerere e di Venere). Infine, il motivo della caduta d’acqua ricorre in

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Fontana di Venere

Fontana di Cerere

Fontana di Eolo

Fontana di Diana

Le quattro fontane sicuramente di Luigi Vanvitelli si corri-spondono in uno schema a chiasmo.

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tutte le fontane con caratteristiche che le assimi-lano, di nuovo, a due a due: cascatelle nella cop-pia di bacini centrali, cascate – anche il velod’acqua è una cascata dovuta all’improvviso saltodi quota – negli altri due.È perciò leggibile, nell’insieme delle quattro fon-tane, un principio compositivo, ideato, probabil-mente, in un momento successivo allapresentazione dei disegni ai Sovrani, che tendead una loro unificazione in un organismo piùcomplesso. In alcune parole dello stesso Vanvitelli si può in-travedere un riferimento a tale momento. Nel1766, in una lettera al fratello Urbano, Luigi di-chiara di attendere notizie, dal figlio Pietro, rela-tivamente alla descrizione dei giardini dellaGranja di S.Ildefonso88. Sembrerebbe possibile,quindi, che proprio da tale relazione, attualmentesconosciuta, Vanvitelli abbia potuto trarre l’ideaper alcuni elementi utilizzati a Caserta, come, adesempio, può far supporre la notata somiglianzatra la Fontana di Anfitrite ed il sistema dei bacinidi Venere e Cerere. Tuttavia il semplice riferimento al Parco dellaGranja appare riduttivo, per quanto possa essereservito di stimolo all’architetto napoletano perprogettare una composizione ancora più gran-diosa del precedente spagnolo. Inoltre, il modellodella Fontana di Eolo è antecedente al 1766, fa-cendo supporre che, a tale data, l’ideazione dellesingole fontane fosse già in corso, essendo dettatadalle particolari esigenze del sito: la pendenza, ilmodo di far scorrere l’acqua o, nel caso specifico,il brusco salto di quota e la presenza del ponte diSala. Non è da escludere, perciò, che il progetto dellequattro fontane fosse stato già stabilito e che larelazione citata nella lettera al fratello Urbanoservisse a Vanvitelli soltanto come ulteriore ter-mine di confronto per la sua opera.In ogni caso, appare evidente la volontà di colle-gare insieme le quattro fontane, di riunirle in ununico tema. Una chiave di lettura può essere dataproprio dalla presenza di un percorso, funzionalee simbolico, dell’acqua. Ricollegandosi a quantogià osservato in precedenza, sembra che Vanvi-telli voglia riproporre il genius loci del sito di Ca-serta, che, come osserva Gianni Venturi a

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Parco di Caserta. Il percorso ai lati della cascata, dalla base,in basso, alla sommità..

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proposito delle ville del Seicento, attraverso isuoi templi e le sue statue «è assunto a guida eprotezione del visitatore»89.Il giardino di Caserta nasce sotto il patrocinio diDiana, quella dea dei monti Tifatini il cui santua-rio era ricordato da Vanvitelli come una delleopere più illustri, dei tempi antichi, nella zona. E la potenza della divinità vede proprio nella copiosa presenza d’acqua il suo tratto peculiare.Il percorso di avvicinamento a Diana può essereconsiderato alla pari di un viaggio iniziatico, chevede un progressivo inselvatichirsi degli elementiche caratterizzano il cammino. Si è già vistocome il sostituirsi delle teste di animali ai volti diuomini, nella Fontana di Venere, è rappresenta-tivo proprio dell’ingresso in una zona del Parco incui la selvaggina era libera di vagare per consen-tire la caccia del re. Ed è Venere stessa che ci in-vita alla prudenza, mentre prega insistentementeil suo amato Adone, affinché nel cacciare non in-segua belve pericolose. La dea, raffigurata nel-l’unico episodio in cui, abbandonati i suoi piaceritipicamente femminili, si avvicina, per amore, almondo venatorio, diventa l’elemento di cernieratra il selvatico e l’addomesticato, introducendocia quella zona del Parco in cui si fanno più pre-senti le tematiche appartenenti, per definizione,al mondo di Diana.Un secondo percorso, però, opposto a quello ap-pena compiuto, manifesta il carattere sacro chesembra permeare il cammino. È quello non percorribile da piede umano, quellodell’acqua, via della divinità, che scende dalmonte Briano per giungere alla Reggia. È questoun percorso che parla del progressivo addomesti-camento dell’elemento liquido e, per estensione,della natura stessa.La raffigurazione della dea vergine, all’inizio delpercorso idrico, è indicativa della simbologia diun’acqua che arriva pura dalla sorgente. Comegià visto, Diana sembra acquisire quelle caratte-ristiche simboliche proprie delle ninfe custodidelle fonti ed in tal senso il suo bacino diviene, asua volta, sorgente del nuovo corso d’acqua chesi sviluppa nel Parco. La sua vitalità selvatica, espressa dalla potenzadella cascata, non può, però, giungere con tuttala sua forza dirompente all’interno del giardino –

microcosmo ove tutto è armonia – senza piegarsia precise regole che rispettino l’ordine impostodall’architetto. È il predominio dell’opera del-l’uomo sulle forze primordiali che viene espressodalla Fontana di Venere.Venere, nella tradizione latina, è la dea del-l’amore, secondo la sua identificazione conl’Afrodite del mondo ellenico, ma è anche la deadei giardini. È il suo potere che provvede a creareil giusto ordine nella natura affinché questa si pie-ghi al volere dell’uomo, al suo desiderio di bel-lezza, gioia, equilibrio. L’acqua che scende versovalle trova nella Fontana di Venere l’elemento diordine che le permette di inserirsi, con un ruoloben definito, all’interno del disegno del giardino:all’imponente cascata si sostituisce una pluralitàdi cascatelle molto basse, create dal dislivello esi-stente tra le varie vasche in cui l’intero bacino èsuddiviso. L’acqua viene, perciò, inserita nella geometria diun disegno ordinatore molto più complesso, en-trando a far parte di un mondo nuovo, compren-sivo anche della fontana successiva. In questocosmos il giardino sostituisce la selva e ad essosegue il lotto agricolo, l’appezzamento di terrenoproduttivo, il regno di Cerere. L’acqua, opportu-namente impiegata, offre – porta in superficie – idoni racchiusi nel ventre della terra, secondo unasimbologia già osservata nel Parterre Sud di Ver-sailles, dove, però, il ruolo di principio attivo erasvolto dalla luce del sole. L’azione dell’acqua, però, non avviene sponta-neamente: Venere e Cerere, il bello e l’utile, ilgiardino e il terreno agricolo, sono frutto dell’at-tività dell’uomo, della sua opera che, con lavoroincessante, piega la natura al suo volere.Lavoro e ingegno. L’uomo è anche pensiero, im-maginazione, fantasia. La successiva Fontana diEolo mostra allora un’acqua non più utilizzataper scopi pratici, ma piegata ai capricci dell’arte,al volere di Giunone. Quei capricci in grado di creare una cascata al-l’interno di un’architettura, di trasformare unavasca in un tratto di mare, di scatenare una tem-pesta là dove tutto intorno è quiete, di mutarel’acqua in aria.È quell’arte, intesa anche come techne, che, nonva dimenticato, è in grado di realizzare una ca-

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Parco di Caserta. L’asse centrale si dispiega dalla sommità della cascata.

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scata sulle pendici di un monte e di renderla “na-turale” nella sua artificialità. La sacralità del sito si manifesta nella fusione diArte e Natura, unione in grado di creare un luogo– per utilizzare sempre le parole dell’Imperiale –

Ove, se miri, con tal arte osservi L’arte osservata, e l’arte ascosta ad arte, Ch’à Natura n’ascrivi il don de l’Arte»90.

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L’insieme delle fontane può essere, pertanto, inter-pretato come il progressivo sviluppo dell’uomo –ovvero dell’intera umanità – guidato da quella ra-gione che gli è propria e che lo caratterizza. In tal senso Vanvitelli sembra acquisire le novitàintrodotte dalle idee illuministe, che avevano inNapoli uno dei principali centri di diffusione,compiendo un radicale passo avanti rispetto alprogetto della Dichiarazione.

Parco di Caserta, la balaustra della Fontana di Diana. In alto, le statue dei cacciatori indicano il percorso.

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Prospettive vichiane. Una lettura dell’asse cen-

trale come asse della Storia

A tal proposito è stato ravvisato91 un collegamentotra le immagini raffigurate nelle fontane dell’assecentrale e le idee del principale filosofo napoletanodel Settecento, Giambattista Vico, in particolaretra quanto espresso nella «Scienza Nuova» e lasuccessione delle quattro scene rappresentate. È infatti plausibile che Vanvitelli, giunto nel Regnodi Napoli, possa essere entrato in contatto conl’ambiente culturale in cui le idee di Vico eranodiffuse e che le abbia riprese come motivo ispira-tore nella scelta dei temi iconografici del Parco.Secondo tale ipotesi, l’asse centrale potrebbe es-sere inteso come asse storico, luogo in cui vienerappresentata, sulla base degli episodi maggior-mente significativi, la nascita e lo sviluppo del-l’umanità. Secondo Vico la storia è, infatti, operadell’uomo ed espressione della modificazionedella sua mente, che lo porta a passare dal sensoalla fantasia fino a giungere alla ragione. Storicamente questo passaggio può essere indi-viduato in tre fasi. La prima è l’età in cui gli uo-mini «sentono senza avvertire». È l’età ferina,caratterizzata dal fatto che gli uomini non sonoaltro che bestie confuse e stupide, giganti «tuttoorgoglio e fierezza per la fresca origine della li-

bertà bestiale (…) nella somma semplicità e roz-zezza di cotal vita, ch’eran contenti de’ fruttispontanei della natura, dell’acqua delle fontane edi dormir nelle grotte»92.Tale principio sarebbe espresso formalmente al-l’origine dell’asse centrale, nella Fontana diDiana, in cui l’uomo – Atteone – rivela la propriaferinità nel contatto con il “mistero” della dea edè «sbranato da’ suoi cani», ovvero «da’ rimorsidella propria coscienza per la religion violata»93.Diana è, secondo Vico, una delle prime “degnità”– ovvero principi ritenuti intuitivamente certi –nate dall’umanità in formazione. È da osservarecome, anche per il filosofo napoletano, sia moltostretto il rapporto della dea con l’acqua, in parti-colar modo con le sorgenti, «fontane perenni»presso cui gli uomini, spinti dalla necessità dibere, costituirono i primi nuclei familiari.«Appresso, i giganti pii (…) dovettero risentirsidel putore che davano i cadaveri de’ lor trapassati,che marcivano loro da presso sopra la terra; ondesi diedero a seppellirgli»94. Dall’abitudine di sep-pellire i morti – cioè di in-humare – nasce l’hu-manitas, l’essenza stessa dell’uomo che, nell’etàdella fantasia, è in grado di «avvertire con animoperturbato e commosso» e di concepire le prime«favole» intorno agli dei. Tale seconda età sa-rebbe rappresentata nella Fontana di Venere, in

Parco di Caserta. La balaustra del Ponte di Sala, in alto, posta a confronto con quella del Ponte di Ercole.

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cui la dea è posta in relazione alla figura diAdone, l’uomo da lei amato al quale, dopo l’im-provvisa morte, conferì una sepoltura95. Tuttaviala prosecuzione dell’interpretazione vichiana per lealtre due fontane sembra essere un po’ forzata. Se laFontana di Cerere si può collegare al discorso se-condo il quale le prime società erano di stampo agri-colo e l’oro – rappresentato successivamente neglistemmi araldici – era il colore del grano maturo, piùdifficile è interpretare la presenza di Enea come unriferimento alla costituzione delle prime città, nateanche dall’accoglienza di popoli errabondi. In quest’ultimo caso, infatti, non solo non c’è alcunriferimento all’arrivo di Enea nel Lazio e alla suaaccoglienza da parte di Evandro, ma l’episodioispiratore della fontana è raffigurato con estremafedeltà al testo virgiliano. Considerando la metico-losa accuratezza che Vanvitelli ha applicato semprein ogni sua opera, se egli avesse voluto riferirsi adun preciso passo dell’Eneide, più direttamente cor-relabile alle idee vichiane, non ne avrebbe di certorappresentato un altro in sostituzione.L’ipotesi di George L. Hersey non è comunque dasottovalutare. Il suo principale merito è anzi quellodi aver proposto una lettura alternativa dell’assecentrale, in cui le fontane non rappresenterebberopiù miti antichi in forme stereotipate e retoriche. L’aver voluto riconoscere una matrice vichianaconsente, pertanto, di inserire l’opera vanvitel-liana pienamente nel secolo dei lumi, attribuen-dole, automaticamente, un decisivo passo avantirispetto alle infinite reiterazioni di tematiche pre-senti nei giardini formali europei.

La ricomposizione in unità del progetto e della

realizzazione

Abbandonate, dunque, le convenzionali allegoriebarocche, le fontane di Caserta rappresentereb-bero miti che non esaltano più, sfacciatamente, lastoria e l’immagine del committente, ma cele-brano le imprese relative al progresso di un po-polo o, addirittura, dell’intera umanità. Nel caso specifico del Regno di Napoli, tali pro-gressi sono stati favoriti dall’azione riformatricedi un sovrano illuminato: Carlo di Borbone. Ricorda, a tal proposito, Gustavo Costa:

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

Il nuovo regno di Carlo di Borbone (…) dovette af-frontare il compito non agevole di accrescere e inca-nalare la vitalità e di conferire dignità e identità“nazionale” a un popolo grande e antico, ma spessoservo di stranieri; a una “patria” napoletana ancoraspirituale e cetuale, esistente solo in ristrette scelte digiuristi, funzionari, scienziati e filosofi, che attingonoa dense e multiformi tradizioni culturali96.

È dunque possibile che, pur se non dichiarato, il ri-ferimento al sovrano sia ancora presente nel Parco?Ed è possibile interpretare la figura di Nettuno, deusex machina nella vicenda di Enea, proprio come al-legoria di Carlo di Borbone e della sua azione ap-portatrice di pace in un popolo dalla storia tantotormentata, quanto quella dell’eroe troiano? Ancorauna volta sembra impossibile fornire una risposta.Una prima identificazione tra Nettuno ed il so-vrano Borbone è possibile attribuendo a Carlo IIIil ruolo di “signore delle acque”, per aver pro-mosso un intervento, quello dell’Acquedotto Caro-lino, destinato non solo alle amenità del suo Parco,ma anche al miglioramento delle condizioni igie-niche del suo popolo. È possibile, inoltre, proseguire nell’identifica-zione con il re del mare anche attraverso il con-

Carlo Vanvitelli, Planimetria del Giardino Inglese, 1786circa. L’asse centrale è nella sua attuale conformazione.

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Di fontana in fontana. Il racconto dell’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

L’immagine che avrebbe avuto il Parco se fossero statecompletate tutte le sue parti. Sono evidenziate tutte le fon-tane che sarebbero state presenti secondo le intenzioni diVanvitelli

fronto tra la Planimetria della Dichiarazione e larealtà del parco realizzato. Le due soluzioni, ap-parentemente estranee, non risulterebbero, infatti,in contrapposizione, ma sembrerebbero costituirele due parti complementari della stessa idea.La Fontana della Regia corte di Nettuno, previ-sta al posto dell’attuale Fontana Margherita, sa-rebbe stata la cerniera tra i due interventi,trovandosi immediatamente dopo la lunga vascadei Delfini, a cui il tema marino l’avrebbe legata,e immediatamente prima della fontana «princi-pale» del giardino, quella dei tre Fiumi RealiIbero, Vistola ed il piccolo Sebeto. L’acqua, fatta scatenare dal volere di Giunone, at-traverso i Delfini sarebbe giunta nella corte deldio del mare, dove avrebbe ritrovato la pace, e daqui, con un riferimento ancora più esplicito aCarlo III, sarebbe confluita nel simbolo della fa-miglia regnante. Come per i numerosi viali, cheavrebbero avuto in tale fontana il punto focale,anche il percorso dell’acqua sarebbe, così, termi-nato nell’eterna celebrazione del re.Le due parti del Parco sembrano, perciò, essere ilrisultato di due storie progettuali autonome anchese collegate e consequenziali. Si consideri, infatti,che la totalità dell’asse centrale è rappresentata,nella Dichiarazione, unicamente nella Veduta avolo d’uccello della Tavola XIII, ma il disegnofornisce soprattutto informazioni sull’immaginecomplessiva dell’opera – ad esempio si nota lapresenza di un generico “belvedere” sul monte –senza definire i singoli elementi presenti. La planimetria con legenda, disegnata da Vanvi-telli, si ferma, invece, proprio alla Fontana diNettuno, mentre l’area immediatamente succes-siva, fino ad arrivare al monte Briano, è rappre-sentata, al termine dei lavori, dal figlio Carlo nel1786 circa. La situazione attuale sembra essere,perciò, il frutto del necessario iter seguito nel pro-cedere dei lavori, ovvero da monte verso valle,secondo il percorso naturale dell’acqua. La man-canza di fondi per proseguire nelle opere ha com-portato, quindi, la brusca interruzione proprio nelpunto in cui sarebbe iniziata la parte di giardinorappresentata nella Planimetria della Dichiara-zione, con il risultato di una faticosa lettura complessiva del Parco e di una sua difficile com-prensione.

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

1. Gianni VENTURI, op. cit., p. 109.

2. Arnaldo VENDITTI, Carlo Vanvitelli da collaboratore adepigono dell’arte paterna, in Luigi Vanvitelli e il ‘700europeo..., cit., vol. II, p. 146.

3. Ibidem.

4. Anna GIANNETTI, Dai Romani ai Borbone…, cit., pp.138-139.

5. Nel 1768 Vanvitelli indicava i lavori da compiersi perle nuove sistemazioni verdi in aggiunta a quelle già esi-stenti: «svellere e diradare i lecci dei boschetti intornoalla peschiera, eliminare le querce, dare forma ad arcoprima che fosse troppo tardi alle “piante di verdura chedevono servire per i Pilastri del portico arenato intornoalla nuova Sala” destinata alla fontana di “Amore ePsyche”, posta di fronte al pomario del Palazzo Vec-chio». Ibidem.

6. Ibidem.

7. Laura CARNEVALI, L’architettura del paesaggio nellaDichiarazione dei disegni del Real Palazzo di Casertadi Luigi Vanvitelli, in Il Disegno di Progetto dalle ori-gini al XVIII secolo, coord. scientifico a cura di MarioDocci, Gangemi Editore, Roma, 1997, p. 294.

8. Ibidem.

9. Arnaldo VENDITTI, op. cit., p. 150.

10. Ibidem.

11. Ivi, p. 151.

12. Ibidem.

13. Luigi VANVITELLI, Dichiarazione dei disegni del RealPalazzo di Caserta..., Napoli, 1756, tav. I.

14. Magherita AZZI VISENTINI, L’Olimpo in villa. Rifles-sioni sulla statuaria nei giardini veneti tra sei e sette-cento, in Il giardino e la memoria ..., cit., p. 94.

15. «Mentre il ragazzo con la faretra dà baci alla madre,senza accorgersene le tocca il petto con una frecciasporgente; la dea ferita respinse con la mano il figlio,ma la ferita era più profonda di quanto appariva, eaveva all’inizio ingannato lei stessa. Conquistata dallasua bellezza, non cura più i lidi di Citera, non frequentaPafo, cinta dal mare profondo, né Cnido pescosa oAmatunte, gravida di metalli. Si astiene perfino dalcielo e preferisce al cielo Adone». OVIDIO, Le Meta-morfosi, ed. cit., X, vv. 525-532.

16. «Si raccontava che quando Selene scompariva dietrola cresta montuosa del Latmo, nell’Asia Minore, an-

dava a trovare il suo amato Endimione, che dormivacolà in una grotta. A Endimione, che in tutte le raffigu-razioni appare come un bel giovane pastore o caccia-tore, era stato concesso un sonno eterno, in originecertamente dalla dea lunare stessa, per poterlo sempretrovare nella grotta e baciarlo». Károly Kerény, op.cit.,p. 183-184.

17. Vertumno è una divinità italica probabilmente di ori-gine etrusca, in grado di operare cambiamenti ed assu-mere qualunque forma voglia. La storia del suo amoreper Pomona è narrata nelle Metamorfosi, XIV, vv. 622-771. Dice infatti Ovidio che Vertumno, innamoratosidi Pomona, dea degli alberi da frutto, cercò ripetuta-mente di corteggiarla assumendo varie sembianze(mietitore, potatore di viti, bovaro..), ma fu sempre re-spinto finché, travestitosi da vecchia, riuscì ad avvici-nare la ragazza e a lodarne le qualità. Quando, gettatoil travestimento, Vertumno mostrò il suo vero aspetto,cioè quello di un dio giovane e bellissimo, riuscì a con-quistare l’ormai vinta Pomona.

18. La favola di Amore e Psiche, particolarmente amatanel Cinquecento, è dettagliatamente narrata nell’Asinod’oro di Lucio Apuleio, IV, 28 - VI, 24.

19. Anche la storia del disperato amore di Eco per Narcisoè raccontata nell’opera di Ovidio: «Disprezzata, si na-sconde nel bosco: per vergogna si copre il volto con lefoglie e da allora vive negli antri solitari. (…) Ma tuttila sentono: è il suono che in lei sopravvive». OVIDIO,Le Metamorfosi, ed. cit., III, vv. 393-394; 401.

20. Cecilia CAMPA, Figlia dell’aria, riverbero di sé. Eco,Narciso, il suono e l’immagine, in Metamorfosi delmito. Pittura barocca tra Napoli, Genova e Venezia, acura di Mario Alberto Pavone, Electa, Milano, 2003,p. 178.

21. «Ora chiamata Flora, ero in realtà Clori: la lettera grecadel mio nome fu guastata dalla pronuncia latina. EroClori, ninfa dei campi felici dove hai udito che in pas-sato ebbero la loro dimora uomini fortunati. Dire qualesia stata la mia bellezza, sarebbe sconveniente alla miamodestia: ma fu essa a trovare come genero per miamadre un dio. Era primavera, vagavo; Zefiro mi vide,cercai di allontanarmi; m’insegue, fuggo; ma egli fupiù veloce. E Borea, che aveva osato rapire la predadalla casa di Eretteo, aveva dato al fratello piena li-cenza di rapina. Tuttavia fa ammenda della violenzacol darmi il nome di sposa, e nel nostro letto non homai dovuto lamentarmi. Godo d’una eterna primavera;

NOTE

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Di fontana in fontana. Il racconto dell’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

è sempre splendido l’anno, gli alberi hanno sempre lefronde e sempre ha pascoli il suolo. Possiedo un fio-rente giardino nei campi dotali, l’aria lo accarezza, loirriga una fonte di limpida acqua: il mio sposo lo hariempito di copiose corolle, e ha detto: “Abbi tu, o dea,piena signoria sui fiori” Spesso io volli contare le lorospecie, ma non vi riuscii: il loro numero superava ilconteggio». OVIDIO, I Fasti, trad. it. a cura di Luca Ca-nali, BUR, Milano, 20064.

22. «Il quadro era il fulcro della decorazione del camerinodi Ercole, il primo degli ambienti da decorare affidatoal pittore nel palazzo Farnese a Roma. Collocato alcentro del soffitto, che fu dipinto a fresco tra il 1595 edil 1596, venne rimosso dalla sua sede e sostituito dauna copia quando, nel 1662, i Farnese lasciarono Romaper recarsi a Parma, dove la tela fu collocata prima nelPalazzo del Giardino, nella seconda camera detta “diVenere”, poi a fine secolo nella galleria ducale del pa-lazzo della Pilotta, per essere infine trasferita a Napolinel 1734 (è uno dei quadri che fa parte dei primiinvii)». Le informazioni sono tratte dal sito degli Assi-stenti Tecnici Museali del Museo di Capodimonte.

23. Un’altra fontana, raffigurante Nettuno e Anfitrite, sitrova, inoltre, nel giardino del Trianon.

24. L’analogia tra coppia divina e coppia regnante venneripresa, successivamente, anche nel soffitto del piccoloteatrino di corte all’interno del Palazzo Reale di Na-poli. L’Allegoria delle nozze di Poseidone e Anfitrite,affrescata da Antonio Dominici, alludeva in tal caso almatrimonio tra Ferdinando IV e Maria Carolina d’Au-stria.

25. La descrizione è in Fontane, giochi d’acqua e spetta-colo, a cura di Marilyn Simmes, edizioni Librerie De-dalo, Roma, 1998, p. 78.

26. Ivi, p. 67.

27. Giovan Vincenzo IMPERIALE, Lo Stato Rustico, Ge nova,1613, p. 381.

28. Maria Amalia di Sassonia era infatti figlia di FedericoAlberto, elettore di Sassonia, divenuto re di Polonia nel1733, per volontà della Russia, con il nome di AlbertoIII.

29. Da un dispaccio autografo di Luigi Vanvitelli al cav.Neroni Intendente di Caserta, in ARCe, Dispacci e relazioni – vol. 1556 f. 239 (6.

30. «Si dovrà lasciare nella stessa figura sua rettangola.Onde il giardiniero dovrà unicamente piantare o semi-nare semenze o piante della stessa specie, per risarcirele dette spalliere, rendendole più grosse e spesse e ciòfacendo, puotrà chiudere li due ingressi irregolari esi-

stenti negli angoli della sala diagonalmente esposti edaprirne invece altri due nella metà dei medesimi laticioè riguarda il Viale e Peschiera». Ibidem.

31. Giovan Vincenzo IMPERIALE, op. cit., pp. 383-384.

32. Fontane con il monte Parnaso sono presenti anche neigiardini di Villa d’Este a Tivoli, di Villa Lante a Ba-gnaia e di Villa Aldobrandini a Frascati.

33. Le raffigurazioni tradizionali delle fontane del Parnasoprevedevano, infatti, che sul monte fossero presentianche le nove figure delle Muse, il cavallo Pegaso edeventualmente anche l’immagine di Apollo.

34. Armando TAGLIOLINI, I giardini di Roma, NewtonCompton, Roma, 1992, p. 13, citato in Giuliana BAL-DAN ZENONI-POLITEO, Utilitas et decor nei giardini diRoma antica, in Il giardino e la memoria del mondo,cit., p. 25.

35. È il richiamo al mito dell’età dell’oro, così descritta daOvidio: «Per prima ci fu la generazione dell’oro, chespontaneamente, senza leggi e punizioni, coltivava lalealtà e la giustizia. Non c’erano pene e paure, e non sileggevano parole minacciose scritte nel bronzo; la follasupplice non tremava davanti al giudice, e senza biso-gno di difensori vivevano al sicuro. Il pino tagliato daisuoi monti non era sceso nell’acqua per vedere terrestraniere, e i mortali non conoscevano coste oltre leloro. I fossati scoscesi non circondavano ancora lecittà, non c’era la tromba diritta, né il corno ricurvo,né elmi né spade: senza bisogno di eserciti, i popoli vi-vevano tranquilli nell’ozio. La terra inviolata, intattadai rastrelli, ancora senza le ferite del vomere, produ-ceva ogni cosa da sé, e gli uomini, soddisfatti dei cibispontanei, raccoglievano frutti di corbezzolo e fragoledi bosco, corniole e more attaccate ai rovi, e ghiandecadute dall’ampio albero di Giove. Era sempre prima-vera, e il tiepido soffio di Zefiro blandiva i fiori natisenza semi. Subito, senz’essere arata, la terra produ-ceva le messi, e il campo, senz’essere lasciato a riposo,splendeva di spighe gravide; scorrevano fiumi di lattee nettare, e dal leccio verde stillava il biondo miele».OVIDIO, Le Metamorfosi, ed. cit., I, vv. 89-112. All’in-terno della Reggia tale mito è ricordato anche dalla fi-gura di Astrea nella sala omonima.

36. A causa della sua natura mutevole Vertumno personi-fica la trasformazione delle forme vegetali da fiore afrutto e più genericamente il mutare delle stagioni.

37. Ovidio così descrive questa divinità: «Già Proca gover-nava il popolo del Palatino; e sotto questo re visse Po-mona: nessuna fra le Amadriadi latine coltivava l’ortocon più bravura, nessuna era più appassionata dellepiante da frutto: di qui il suo nome. Non le piacciono

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Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

selve e fiumi, ama la campagna e i rami carichi dipomi. Non porta nella destra un giavellotto, ma unafalce adunca, con cui controlla la vegetazione, e spuntai rami che si espandono intorno ovunque, compie gliinnesti incidendo la corteccia e offre la linfa a pianteestranee. Non le lascia soffrire la sete; con rivoli d’ac-qua irriga le fibre ricurve della radice avida. Qui è tut-tala sua passione, dell’amore non ha desiderio».OVIDIO, Le Metamorfosi, ed. cit., XIV, vv. 622-634.

38. Anche la tradizionale interpretazione della Primaveradi Botticelli, di derivazione vasariana, identifica conVenere la figura al centro della composizione ambien-tata in un giardino di alberi di arancio.

39. Relativamente al progetto vanvitelliano realizzato siconfronti quanto espresso dal Cavalier Sancio: «Nellaprima parte di questa delizia vedesi eseguito quasi unabbozzo di ciò, ch’era ideato dall’Architetto Vanvitelli,secondo si legge nella Iª. Tª. della dichiarazione di suoidisegni, relativi al Real Palazzo di Caserta, imperocchévi mancano le molteplici e varie decorazioni di fon-tane, statue e sedili». Antonio SANCIO, op. cit., sezioneII, preliminare, p. 107.

40. La realizzazione del Giardino Inglese è tuttavia suc-cessiva all’intervento di Luigi Vanvitelli ed è dovuta alprogetto di suo figlio Carlo per conto della nuova re-gina di Napoli, Maria Carolina.

41. La citazione è in Caserta e la sua Reggia, cit., p. 125.

42. «Un sorprendente, e grandioso viale, medio fra duealtri men ampli, lungo circa un miglio e mezzo, che haprincipio delle prime case del paese detto S. Nicola allaStrada, a distanza di miglia undici e mezzo da Napoliannunzia al Forestiere la vicinanza della Reggia Ca-sertana in faccia al quale esso termina». FerdinandoPATTURELLI, Relazione A.S.E. il signor D. Antonio San-cio, Caserta, 1826, p. 48.

43. Luigi Vanvitelli, lettera del 19 luglio 1754 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op.cit., vol. I, p. 342.

44. «Nel centro del grande Edifizio ritroverà un punto in-teressante per la veduta e lusinghiero per l’Arte, ovenon potrà fare a meno di arrestare il passo. Quì fermatomirerà in faccia il bel viale, che mena alle peschiere, edalla celebre cascata delle acque nell’opposto Monte-briano; rivoltosi alle spalle il magnifico stradone percui è venuto da Napoli; e tornando nella prima po-sizione al dintorno i quattro spaziosi cortili, in cui restadiviso tutto il Real Palazzo; sulla sinistra la statuacolossale dell’Ercole latino, e sulla dritta la scala Realemontando la quale più cose andrà osservando degne diattenzione». Ferdinando PATTURELLI, op. cit., p. 50.

45. Antonio SANCIO, op. cit., p. 115.

46. Tale tipologia è, ad esempio, riscontrabile nella Fon-tana della Corona, presente nel giardino di Vaux-le-Vicomte.

47. «E perché il livello di questo tratto era superiore alparco, fu di mestieri accompagnare il ponte da duerampe semiellittiche, che han dato la forma alla piazzasottoposta, ov’è il gran cesto da fiori». Antonio SAN-CIO, op.cit., p. 116.

48. Ferdinando PATTURELLI, op.cit., p. 92.

49. A.R.Ce, serie: I, nota.

50. Antonio SANCIO, op. cit., p. 117.

51. Francesco STARACE in Caserta e la sua Reggia…, cit.,p. 131.

52. Si ringrazia, a questo proposito, l’arch. Giacomo Var-ricchio della locale Soprintendenza, per le preziose in-formazioni fornite.

53. Francesco ALGAROTTI, Saggio sopra l’architettura, inID., Opere varie, Giambattista Pasquali, Venezia,1757, tomo II, p. 194. Nella sua opera l’Algarotti ri-porta le riflessioni di padre Lodoli, seppur con una con-notazione negativa. Sul pensiero del Lodoli cfr. ancheAndrea MEMMO, Elementi dell’architettura lodolianao sia l’arte del fabbricare con solidità scientifica e coneleganza non capricciosa, Paglierini, Roma, 1786.

54. Per la simbologia del delfino cfr. Alfredo CATTABIANI,Acquario, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002,p. 135.

55. Si consideri, ad esempio, la più canonica immagine deidelfini scolpita nella successiva Fontana di Eolo.

56. Giulio Cesare CORTESE, op.cit., I, 17, vv. 5-8.

57. La Fontana dell’Ovato di Tivoli è dedicata alla SibillaAlbunea, in cui viene identificata la città Tiburtina.

58. Nella simbologia della rinascita dalla bocca del mostromarino è ravvisabile anche un riferimento alla biblicafigura di Giona, vissuto per tre giorni nel ventre di unabalena.

59. Antonio SANCIO, op.cit., p.118.

60. Ricorda Károly Kerény, narrando le nozze di Teti ePeleo: «Tutti gli dei erano convenuti insieme, Zeus liaveva invitati tutti, eccetto naturalmente (…) Eris, ladea della discordia. (…) Eris avrebbe dovuto esser pre-sente al banchetto nuziale; non essendovi stata am-messa, aveva gettato in mezzo ai presenti una mela(…) destinata alla più bella con una parola incisa odetta soltanto (…). Allora le tre più importanti dee:Era, Atena e Afrodite, vollero afferrare il dono porta-

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tore di disgrazia. Ne sorse una disputa che, decisa da unmortale, doveva portare all’indebolimento del genereumano, alla distruzione di Troia e alla fine del regno diMicene». Károly KERÉNY, op.cit., pp. 324-325.

61. VIRGILIO, Eneide, a cura di Ettore Paratore, trad. it. diLuca Canali, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mon-dadori Editore, Milano, 19882, I, vv. 64-75; 81-86.

62. Si confronti, ad esempio, l’analoga Peschiera dei ventidi Villa Barbarigo in Valsanzibio. Si tratta in questocaso di una raffigurazione molto più statica, con le fi-gure di Eolo e Deiopea, e dei due venti Zefiro e Borea,affiancate su di un’unica fila e non interagenti tra loro.

63. Antonio SANCIO, op.cit., p. 118.

64. Ibidem.

65. Ivi, pp.119-120.

66. Ricorda Patturelli: «Manca ancora tutta la condotturadi piombo (…) anche a quante conchiglie son sostenuteda figure, e delfini sulle balaustrate delle rampe permezzo di un getto verticale». Ferdinando PATTURELLI,op. cit., p. 92. Così anche il Sancio: «Le rampe sono or-nate in ambi i lati da balaustrate di travertino con pie-distalli e statue, tutte destinate a getti di acqua, cheaccompagnano il carattere della fontana sottoposta,come sopra si è descritta, ma ora per mancanza dellecanne di piombo non sono in attività». Antonio SAN-CIO, op. cit., p. 119.

67. VIRGILIO, Eneide, ed. cit., I, vv. 124-127; 137-143.

68. Antonio SANCIO, op. cit., p. 120.

69. Le dimensioni della Fontana di Cerere sono di circa321 metri per 17. Precisa Patturelli: «La lunghezza diquesto canale colle sette vasche è di palmi 1216 per 66e ½; non già di palmi 1260 per 100, come asseriscel’Abate SACCO nel suo Dizionario». Ferdinando PAT-TURELLI, op. cit., p. 92.

70. A tal proposito si confronti la lettera al fratello Urbanodel 20 aprile 1762 in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol.II, p. 814.

71. Ivi, p. 815.

72. Ferdinando PATTURELLI, op. cit., p. 93.

73. «In testa all’ultima vasca trovasi un gruppo di statuerappresentanti l’abbondanza della Sicilia simboleg-giata da Cerere con la Trinacria, e dai due principalifiumi dell’isola Simeto, ed Anapo». Antonio SANCIO,op. cit., p. 120.

74. Ferdinando PATTURELLI, op. cit., 1826, p. 93.

75. Francesco STARACE in Caserta e la sua Reggia…, cit.,p. 132.

76. Antonio SANCIO, op. cit., p. 120.

77. Ferdinando PATTURELLI, op. cit., p. 93.

78. Antonio SANCIO, op. cit., pp. 120-121.

79. «Presenta quest’altro canale con tredici vasche la lun-ghezza di 914 palmi e la larghezza di 66 e ½». Ferdi-nando PATTURELLI, op. cit., p. 94.

80. «Su questa scogliera è bella composizione di scolturadi marmo di varie figure ed animali, rappresentante lacaccia di Adone nelle foreste del Libano, ove per gliamori di Venere fu sbranato da un irsuto, e grosso ci-gnale, secondo Ovidio. Quindi vedonsi le due statue diVenere e Adone in buona mossa, ed assistite da dueamorini, da numero tre ninfe, da otto putti con sei cani,e dall’irsuto cignale che lo divorò». Antonio SANCIO,op. cit., p. 121.

81. Ferdinando PATTURELLI, op. cit., p. 55.

82. «È da notarsi, che dall’orlo di questa vasca lunga palmi240 per 350 fino al Palazzo Reale corrono diecimilapalmi di distanza». Ivi, p. 94.

83. Occorre ricordare che una Fontana del bagno di Diana,con le analoghe figure di Diana e Atteone, è presenteanche nel palazzo spagnolo della Granja. Tuttavia lacomposizione risulta più statica, essendo le statue col-locate all’interno di un’architettura che serve da fon-dale.

84. Giovan Vincenzo IMPERIALE, op. cit., pp. 354-355.

85. Aggiunge il Cavalier Sancio: «Trovasi tracciata la con-tinuazione delle cennate rampe nella rimanente faldadel Monte Briano, fino alla sua sommità, che è teni-mento della Real delizia detta di S. Silvestro, ove inten-devasi fare un padiglione, da cui si hanno stupendipunti di veduta». Antonio SANCIO, op. cit., p. 122.

86. Ibidem.

87. Non si è certi che nella Fontana di Eolo dovesse essererappresentata la flotta di Enea, sebbene questa sia l’og-getto della tempesta fatta scatenare da Giunone. Il vi-sitatore è perciò libero di assumere egli stesso il ruolodell’eroe troiano.

88. «Tutti stanno bene in Madrid, e si spera in breve stabi-limento per Pietro, il quale dice che nell’entrante mimanderà la relazione dei Giardini di S. Idelfonso».Luigi Vanvitelli, lettera del 16 ottobre 1766 al fratelloUrbano, in Franco STRAZZULLO, op. cit., vol. III, p. 354.

89. Gianni VENTURI, op. cit., p. 109.

90. Giovan Vincenzo IMPERIALE, op. cit., p. 378.

91. Si fa riferimento – per completezza di informazione eperché ben si collega con quanto espresso relativa-

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mente alla possibile acquisizione di idee illuministe –alla lettura proposta da George Leonard Hersey per lefontane dell’asse centrale. Cfr. George Leonard HER-SEY, Architecture, poetry and number in the Royal Pa-lace at Caserta, MIT Press, Cambridge-London, 1983;ID., Ovid, Vico and the central garden at Caserta, inJournal of garden history, I, n.1, 1981.

92. Giambattista VICO, La Scienza Nuova, introduzione e notea cura di Paolo Rossi, BUR, Milano, 20049, pp. 366-367.

93. Ivi, p. 373.

94. Ibidem.

95. In ricordo della sepoltura di Adone e della sua “resur-rezione”, nell’antichità le donne erano solite piantare,in piccoli vasi – i cosiddetti “giardini di Adone” – , ce-reali che, a primavera, sarebbero germogliati.

96. Gustavo COSTA, L’illuminismo meridionale, in Storiadella letteratura italiana, cit., vol. VI, p. 441.

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È stato già ampiamente notato come il giardinoformale divenga il palcoscenico teatrale preferitoper la celebrazione del proprietario.L’attrazione fra teatro e giardino ha, in realtà, uncuore più antico che è possibile ritrovare anchenella Roma del periodo classico, ma è nelle cortiitaliane del Rinascimento che vengono riscopertetutte le potenzialità derivate da tale associazione.Con la «figuratività manieristica» si giunge al-l’apice di tale processo che inevitabilmente silega alla manifesta teatralità barocca. Ricorda Antonella Pietrogrande che dal gusto perl’ambiguità proprio del manierismo «nasce unacontaminazione delle varie tecniche espressiveche caratterizza l’epoca e dà vita a una nuova re-altà, basata su un tipo di finzione spesso fanta-stica e ludica»2.Nel gioco delle parti «per più di un secolo giar-dino e teatro (…) si scambiano ruoli, aspetti e im-magini: montagne, grotte e boschi, acque, fontanee isole, pergolati, fiori e frutti, migrano dall’unoall’altro dei due palcoscenici, suscitando effettidi sorpresa e meraviglia»3.In tal senso il giardino formale – soprattutto ilgiardino francese del XVII secolo – si rivela lascenografia ideale per feste in cui l’esibizione di-viene uno degli elementi essenziali all’interno diun rituale ampiamente codificato. I ricchi, i po-tenti, i nobili legati al Sovrano, utilizzano il giar-dino per cerimonie il cui fine è la dimostrazionedella propria superiorità. Se il mondo del Sei-cento vede nel teatro il proprio simbolo, il giar-dino con le fontane è il palcoscenico più naturaleper raccontare, stupire, incantare, meravigliare,in un continuo scambio tra finzione e realtà. Dal 7 al 14 maggio 1664 Luigi XIV offrì, a Ver-sailles, una festa dall’eloquente nome di Piaceridell’Isola Incantata, intendendo, con questa de-

nominazione, riferirsi all’ariostesca isola in cuila maga Alcina trattiene il paladino Ruggero. Già dal titolo della festa è evidente il richiamo al-l’incantesimo ed alla magia che, nell’ambienta-zione all’interno del giardino, avrebberotrattenuto gli ospiti stupefatti. In un rovesciamento dei ruoli, tra ambienti internied esterni, tutto l’allestimento della festa avvennenel parco, perché nel palazzo – ancora una resi-denza di campagna non in grado di ospitare i piùdi seicento invitati – non c’erano né un salone néun teatro. Le architetture vegetali – o dipinte perl’occasione all’interno dei bosquets – ricrearonogli ambienti in cui furono allestiti i vari eventidella festa, soprattutto rappresentazioni teatrali,come, ad esempio, il Tartufo di Molière, messoin scena per la prima volta. È questa la prima in-dimenticabile festa tenuta da Luigi XIV nella suanuova reggia, che testimonia la volontà di riba-dire la propria superiorità rispetto a quanto acca-duto il 17 agosto 1661 a Vaux-le-Vicomte eraccontato nel resoconto di Anatole France:

Il Re, Anna d’Austria, Madame, Monsieur il Principe,e cioè il grande Condé, Monsieur il Duca, e cioè d’En-ghien, i duchi di Beaufort, di Guisa, e tutta la Corte la-sciarono Fontainebleau il 17 agosto alle tre delpomeriggio; faceva molto caldo, e arrivarono a Vauxalle sei. (…)«Terminata la cena, fu il momento della commedia»e corremmo a prendere posto. Le Brun aveva innal-zato il teatro a ridosso del viale di pini, al Cancellod’acqua, dove il famoso Giacomo Torelli, sopranno-minato ‘il grande stregone’, aveva montato le mac-chine. (…) Molière comparve (…) e la commediainiziò interrotta da balletti; un divertissement la con-cluse (…). I fuochi d’artificio furono lanciati dall’an-fiteatro e ricadendo dal cielo i razzi «composero milledisegni, formarono dei gigli, marcarono dei nomi e

4. PER GIOCO E PER PIACERE.

LA MOLTEPLICE FRUIZIONE DELLE ARCHITETTURE PER L’ACQUA

La reciproca e fatale attrazione fra giardino e teatro ha un cuore antico.1

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rappresentarono delle iniziali», mentre nel canaleavanzava una balena. (…)Infine tornammo alla villa. Ma «mentre commenta-vamo di questo e non ci aspettavamo nient’altro, dallucernario della cupola un milione di razzi che si in-grandivano e si elevavano coprirono tutto il giardino,in modo che, ricadendo dal lato opposto, formaronouna volta di fuoco», nella quale il Re avanzava4.

Luci, buffets, fuochi d’artificio, regali, musica erappresentazioni teatrali. A Vaux-le-Vicomte lafesta fu così sontuosa – ed arrogante – che videl’affermarsi della personalità di Nicolas Fouqueted il suo rapido, immediato declino. Al contrario,le feste del re proseguirono per molto tempo nellacornice dei giardini che André Le Nôtre continuòa progettare a Versailles, le cui varie parti veni-vano inaugurate, nel corso degli anni, da eventisempre più fastosi e spettacolari.Il 18 luglio 1668 il Gran divertimento del Re, percelebrare la presa di Maastricht, si svolse nel Bo-squet de l’Etoile. Nel 1674 il Gran Divertimentoper festeggiare la conquista della Franca Conteasi protrasse da giugno ad agosto, avendo comepalcoscenico differenti luoghi, dal Teatro d’Ac-qua, ornato da specchi ed alberi da frutto, allaGrotta di Teti, in cui Molière mise in scena il Ma-

lato Immaginario, all’Orangerie dove, il 18 ago-sto, venne rappresentata l’Ifigenia di Racine. Ma non solo Versailles fu teatro di feste. A Sceaux Colbert offrì, nel luglio 1677, un GranDivertimento per il re, culminante con la Fedradi Racine. Nello stesso giardino suo figlio nel1685 accolse il sovrano in visita con una gran-diosa festa comprensiva di passeggiata in gondolasul Grand Canal, fuochi d’artificio e musica in-torno al bacino dell’Orangerie. Come è facile osservare, tratto comune a tuttiquesti avvenimenti è il ruolo da protagonistasvolto dalle varie architetture per l’acqua che di-vengono partecipi dei momenti più salienti dellafesta e necessario complemento scenografico Tut-tavia questa non è una prerogativa del Seicentofrancese. Già in Villa d’Este a Tivoli è possibile,ad esempio, osservare questa concezione di teatrodel mondo, che vede nell’acqua – e nelle architet-ture ad essa correlate – l’elemento più adatto perqualunque rappresentazione.Di Villa d’Este il cardinale Ippolito volle fare unluogo di ospitalità per i più illustri rappresentantidell’arte, della poesia, della scienza, rendendo lapropria residenza un’accademia sede di disputefilosofiche, cenacolo artistico e culturale.

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Giovanni Francesco Venturini, Fontana di Venere in Villa d’Este a Tivoli, in Fontane di Roma, 1691.

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All’interno del giardino un vero teatro, che avevaper scena la Fontana di Roma, serviva ad intrat-tenere gli ospiti con numerose rappresentazioni econcerti. Ma il tratto distintivo e più interessanteè che il giardino stesso fungeva da teatro, rappre-sentando agli ospiti, ogni giorno, il complessoprogramma iconografico ideato da Pirro Ligorio.Al suo interno, poi, gli ospiti erano chiamati adinteragire con i singoli elementi divenendo attoriinconsapevoli di una più ampia rappresentazioneprestabilita. Ad esempio nella Fontana della Ci-vetta un complesso sistema idraulico permettevaad un gruppo di uccelli di bronzo di cantare in unboschetto, finché l’apparizione di una civetta,spaventandoli, li faceva tacere. Tale azione, comenotò Michel de Montaigne, poteva essere ripetutainfinite volte, rendendo il visitatore, che si acco-stava alla fontana, elemento funzionale all’appa-rizione del rapace meccanico ed al cambiamentodella scena osservata. Ma lo spettatore poteva essere impegnato in mol-teplici relazioni con l’ambiente architettonico e na-turale circostante ed essere coinvolto anche in unaserie di azioni-reazioni che lo costringevano a ge-sticolare – ovvero a recitare – suo malgrado. Comemostra un’incisione del 1691, di Giovanni Fran-cesco Venturini, l’apertura di rubinetti nascosti adarte nell’architettura permetteva di sorprendere gliospiti con imprevisti scherzi d’acqua che suscita-vano movimenti istintivi e incontrollati. Con analoghe intenzioni, ma a volte con esiti piùcrudeli, numerosi scherzi d’acqua vennero nasco-sti nella maggior parte dei giardini italiani ed eu-ropei. Testimonia ancora Giovan VincenzoImperiale, descrivendo una grotta della sua villaa Sampierdarena:

Poi, nel voltar di non veduta chiave,E dal suolo, e dal Cielo, e da le mura,Per mille fori, disserrarsi à un tempoVedi improvisa acqua ingegnosa, astuta,Che, con strepito dolce, e con piè arditiDi rampolli, e ruscelli, anzi torrenti,Perseguitando rapida, e aggiungendo,Ovunque corra, per fuggir da loro,De i fuggitivi frettoloso il passo,Gli assorbe in un Mar d’Onde; onde ne cangia,Con riso universale, in breve noiaIl piacer lungo d’ogni andata gioia5.

L’origine degli scherzi d’acqua sembra risalirealla grotta realizzata dal Tribolo nel giardino dellavilla medicea di Castello, in cui «si vede Orfeoinsieme a un gran numero di animali intorno alui, e nessuno, per quanto attento possa stare, puòuscirne senza restare battezzato»6. Così a Prato-lino numerose grotte contenevano automi e men-tre si era assorti nella loro contemplazione non sifaceva in tempo ad accorgersi che «con un solomovimento l’intera grotta si riempiva d’acqua etutti i sedili schizzavano acqua su per la schiena;e se si tentava di scappare dalla grotta un migliaiodi getti d’acqua uscivano da ogni gradino diquella scalinata»7.Proprio ai giochi d’acqua ed alle grotte di Prato-lino si ispirano quelli del giardino di Hellbrunn aSalisburgo, volti al divertimento del padrone dicasa, l’arcivescovo Marcus Sitticus, alle spalle deisuoi ospiti. Tra i vari scherzi è da ricordare la statuadel Nettuno, che, nella grotta omonima, per azionedell’acqua, fa roteare gli occhi e uscire la lingua,sbeffeggiando l’osservatore che, assorto di fronte

Per gioco e per piacere. La molteplice fruizione delle architetture per l’acqua________________________________________________________________________________________________

Firenze, Villa di Castello. Grotta degli animali.

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allo strano spettacolo, viene contemporaneamentebagnato da improvvisi getti d’acqua fredda. E ancora improvvisi schizzi bagnavano chi, nellaGrotta del Canto degli Uccelli, ispirata alla Fon-tana della Civetta di Tivoli, cercava di scorgeregli uccelli, il cui canto era meccanicamente ripro-dotto dalla pressione dell’acqua. La Tavola delPrincipe era, invece, un esplicito riferimento allaTavola del Cardinale presente in Villa Lante aBagnaia, tavolo di pietra con, al centro, un canaleper l’acqua che serviva a tenere in fresco le be-vande durante il pranzo.Funzione analoga doveva svolgere anche la Ta-vola dell’arcivescovo Sitticus, anche se questi,quando voleva movimentare la festa, con un se-gnale faceva sì che fossero lanciati getti d’acquafredda in ogni direzione. Ai sorpresi ospiti che,per l’etichetta dell’epoca, non potevano alzarsida tavola prima del padrone di casa, non restavaaltro che essere bagnati, mentre l’arcivescovo Sit-ticus si godeva la scena dal suo posto non rag-giunto dai giochi d’acqua.Quello degli scherzi d’acqua è, comunque,l’aspetto più particolare ed appariscente delle ar-chitetture per l’acqua, che nella maggior parte deicasi permettevano fruizioni molto complesse of-frendo, talvolta, esperienze multisensoriali. Sem-

pre in Villa d’Este, ad esempio, uno stretto sen-tiero bagnato, che corre dietro la cascata semicir-colare della Fontana di Tivoli, permette disperimentare, mentre si proviene dalla grotta re-trostante, l’inusuale sensazione di divenire partedella fontana stessa. E sorpresa ed emozioneerano suscitate anche in chi, nel salire le scalinateintorno alla Fontana dei Draghi, poggiava lamano sulla balaustra, nel cui incavo scorrevaacqua fresca. Inoltre le peschiere della villa ospitavano vivaiper le specie più pregiate di pesci d’acqua dolce,che potevano essere pescati, con gran diverti-mento, dagli stessi ospiti del cardinale Ippolito,a cui la servitù forniva gli attrezzi necessari. Eancora divertimento, ma con un piacere più raffi-nato, poteva essere provato ascoltando la musicaprodotta, per azione idraulica, dalla Fontanadell’Organo. Illusione, inganno dei sensi, con-fusione di ele-menti naturali ed artificiali, come quando, nellaFontana dei Lumini, di Villa Lante, l’acqua si tra-sforma in fuoco nello scintillio della “fiamma” dinumerose candele d’argento. Se la teatralità delgiardino produce gioco, piacere, divertimento, learchitetture per l’acqua sembrano esserne gli in-terpreti principali.

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Hellbrunn, Salisburgo. La Tavola del Principe.

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Il piacere e il gioco nel Parco di Caserta

Pochi scherzi d’acqua, ma soprattutto una diffusateatralità caratterizzano le fontane dell’asse cen-trale del Parco di Caserta, che tuttavia non furonomai utilizzate come scena di una festa se non nel1781, quando il re Ferdinando I fece illuminarecon lampioni il tratto di giardino compreso tra ilPalazzo e la Fontana dei Delfini.Volendo riprendere la distinzione vitruviana trascena tragica, comica e satiresca, già notata daMarcello Fagiolo8 per la villa di Pratolino, è pos-sibile riscontrare anche in Caserta la successionedelle tre scene teatrali lungo l’asse centrale.Dal centro del vestibolo inferiore il giardino si con-figura, infatti, come scena tragica, inquadrato dallecolonne e dalle cornici degli archi del portico, men-tre altri archi, formati dalla vegetazione, dovevanoessere presenti sullo sfondo, come, ad esempio,nella sala delle Fontane di Amore e Psiche9. Addentrandosi lungo il viale la scena cambia, la-sciando spazio al comico, a scene di genere –Fontane di Venere e di Cerere, quest’ultimaanche con scherzi d’acqua – al divertimento. In-fine si materializza la scena satiresca, la rusticitàe la selvaticità della montagna, del bosco e dellacascata.Se le statue sono gli attori – protagonisti e com-

parse, di un dramma che la pietra non riesce a fis-sare in modo statico, ma che sembra perpetuarsidi continuo sotto i nostri occhi – la vasca d’acquadiviene il palcoscenico, il luogo dell’azione. Ilsuo perimetro, costituito da balaustre o file dimassi artificiali, è un limite invalicabile solo fisi-camente, per impedire allo spettatore di avvici-narsi troppo e scoprire i “trucchi” scenici adottati.Al contrario il perimetro viene costantemente va-licato dall’azione scenica che richiede una parte-cipazione attiva del visitatore trasformato inattore inconsapevole. Come accade a teatro, èquesto il limite tra la realtà ed il mondo della fan-tasia ricreato nell’illusione data dall’acqua.Nella Fontana di Eolo, apertamente paragonatada Marcello Fagiolo al Teatro delle Acque diVilla Aldobrandini a Frascati, numerosi attori re-citano la parte loro assegnata.Ma la tempesta scatenata contro Enea non sor-prende l’eroe troiano, incredibilmente assente. La furia dei venti sembra rivolgersi, invece, pro-prio contro il visitatore, che si trova nel luogoverso cui corrono le figure fuoriuscite dalle grotte.Ma in quelle grotte è anche permesso entrare, se-guendo uno studiato percorso. Con un ribalta-mento di prospettiva il visitatore si trasforma daEnea in uno di quei venti che attendono l’ordinedi Eolo per irrompere dal velo d’acqua ricadente.

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Parco di Caserta, Fontana di Eolo. L’irrompere dei venti nel mar di Sicilia.

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Molteplicità di sensazioni possono, quindi, susse-guirsi nell’arco di pochi istanti, generando non solostupore, di fronte alla bellezza dell’apparato sce-nico, ma anche vero e proprio divertimento datodalla possibilità, come anche in Villa d’Este, di “in-terpretare” la fontana e viverla dal suo interno.Allo stesso modo, di fronte alla Fontana diDiana, è difficile mantenere le distanze dallosfortunato Atteone. Provenendo dalle quinte dellerampe laterali, attraverso i gruppi di cacciatoriposti sulle balaustre, è semplice immedesimarsiin uno di loro e partecipare alla loro stessa battutadi caccia. L’improvviso arrivo di fronte alla dea –e la scoperta dell’orrendo destino del propriocompagno – fa temere anche per la propria inco-lumità, dal momento che si è appena percorso ilmedesimo tragitto che deve aver compiuto anchel’incauto Atteone. Scambio di ruoli e gioco continuo sembrano nonavere fine nello scroscio incessante dell’acquache rende superfluo qualunque dialogo. Infine, come da un palco teatrale, delimitato dauna balaustra in cui pietra e acqua si confondonol’una nell’altra, si assiste alle altre due rappresen-

tazioni delle Fontane di Cerere e di Venere. L’im-possibilità della visione centrale costituisce l’ele-mento che imprime dinamicità alla visione, piùdefinita man mano che lo spettatore si avvicinaalla sommità della vasca. Come in Pratolino l’at-tenzione viene completamente assorbita dallaprogressiva comparsa di particolari sempre nuovi,come ad esempio le teste presenti sul verticaledella balaustra, impedendo di accorgersi degli im-provvisi scherzi d’acqua, mimetizzati nel marcia-piede, che si attivano quando è ormai troppo tardiper fuggire. Rispetto alla tradizione delle ville italiane, Vanvi-telli apporta, anche in questo caso, elementi in-novativi. Gli scherzi d’acqua della Fontana diCerere non sono più strettamente collegati ad unagrotta, ma avvengono all’aperto, con modalitàche non sono gratuite, ma che si inseriscono neltema simbolico rappresentato. La fontana, deno-minata per questo motivo Zampilliera, trova negliimprovvisi scherzi il giusto completamento dellasua rappresentazione, la celebrazione di quell’ab-bondanza che vede, non nelle statue, ma nell’ac-qua, il suo attore principale.

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Parco di Caserta, Fontana di Venere. Gli amorini spettatori della scena rappresentata.

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Ovviamente lo scherzo non poteva essere ripetutopiù di una volta e la Fontana di Venere ne èsprovvista. Ma gli effetti provocati dall’improv-visa doccia, fanno immaginare un visitatore chesi avvicina al nuovo gruppo statuario, in modopiù cauto. Uno stato d’animo che rispecchia esat-tamente il tema della fontana della dea del-l’amore: la prudenza, consigliata da Venere adAdone e suggerita al visitatore nella prosecuzionedel cammino nella zona del Parco più selvatica.Ancora una volta, perciò, il visitatore si trova adinterpretare una parte già assegnata.

Dalla Peschiera alla Castelluccia

È interessante analizzare la particolare funzioneludica propria di altre due architetture per l’acquapresenti nell’area denominata Bosco Vecchio: sitratta di una peschiera – la Grande Peschiera –e di un edificio – la Castelluccia – in cui l’acquaè stata sempre presente rivestendo un particolareruolo negli interventi di trasformazione a cui èstato sottoposto.

Alla sinistra del primo lungo viale del boschetto, vi èil bosco detto vecchio, perché di antica pertinenza de’Principi di Caserta. In esso è da osservarsi un intrecciodi lunghi, ed ameni viali, che offrono belle passeg-giate all’ombra dei maestosi alberi; un piccolo Castel-luccio con altre casette contigue; tutte circondate daun canale d’acqua, che comincia con una bella casca-tina; ed una spaziosissima peschiera con graziosaisola nel mezzo, che contiene cinque piccole pa-gliaie10.

Ad ovest dell’asse centrale, si estende l’area piùantica del Parco, denominata, appunto BoscoVecchio. Si tratta dell’unica preesistenza dellaproprietà Acquaviva sopravvissuta agli interventivanvitelliani. Lo stesso Vanvitelli pensò di inse-rire tale area all’interno del suo progetto, mante-nendo inalterati allineamenti ed asimmetrie, purse inserite nel nuovo impianto rigidamente orto-gonale.

Questo bosco era una delle antiche delizie de’ Principidi Caserta. Vi erano in esso diversi giardini di agrumie fiori, con moltiplicate fontane, e cattive statuette di

marmo. Per altro, fin dall’epoca dell’acquisto nel-l’anno 1749, queste fontane erano inattivate per scar-sezza di acqua, e per cagione di corsi e tubolatureguaste (…).In seguito tali giardini e fontane furono distrutti, e siridusse tutto ad un bosco, come al presente si ritrova.Questo bosco è popolato di annose querce, di alticerri, di elci secolari e di una prodigiosa quantità di al-beri, che lo han reso assai folto. (…)Da pochi anni in qua si è reso assai più ameno un talesito per la buona tenuta delle strade, per la variazionedelle piante esotiche introdottevi, per la quantità dellestatue di marmo, e sedili posti in siti opportuni, e peressersi reso giocoso e naturale il canale di acqua conla piccola cascata, proveniente dalla gran peschiera,onde rendono inaccessibile il Castelluccio, come inseguito si dirà.

Parco di Caserta, Bosco Vecchio. Statua di Marsia.

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Si sono inoltre costrutti in questo sito cinque graziosipiccoli ponti sul canale in linea di stradoni, due in fab-brica, e tre in legno. Si è pure fabbricata una fontanagocciolante, ed una nuova grotta con vallone allespalle, ed una fonte al naturale presso dell’antico Ca-sino, ed in fine si sono fatte diverse altre variazioninecessarie nel giardinaggio, secondo il gusto pre-sente11.

Le parole del Cavalier Sancio lasciano supporreper il Bosco Vecchio una serie di interventi di rin-novamento successivi all’opera di Vanvitelli. Ilriferimento ai pochi anni da cui si è reso piùameno il sito, così come l’accenno alle variazioni,«secondo il gusto presente», sembrano mostrarela necessità di completare un intervento in que-st’area del parco, in cui Vanvitelli aveva già intra-preso numerose sistemazioni del verde12. Per comodità di lettura si ritiene utile seguire ilpercorso dell’acqua nell’area, a partire dalla dira-mazione che, dalla vasca dei Delfini, si collegaalla Grande Peschiera.

Questo gran bacino fu costrutto nel 1769, sotto la di-rezione dell’Architetto D. Francesco Collecini, aju-tante di Vanvitelli, nel momento che questi trovavasiin Milano per commissioni di S.M.. Si ebbe l’oggettodi presentare al Re un mezzo da esercitazioni nellamilizia navale con piccioli legni da guerra compatibilicolla capacità del bacino.L’opera fu eseguita con la medesima celerità, e venneterminata fra lo spazio di settantacinque giorni. Lamedesima è di figura mistilinea, cioè retti i due latilunghi, e curvi gli altri due corti, di maniera che lalunghezza maggiore è di palmi mille, e la larghezza inpalmi 380, esclusi i muri inferiori della grossezza dipalmi 10.Questa fu tutta scavata dentro terra, fino alla profon-dità di palmi 14, per quanta altezza di acqua ora vi sitrattiene, equivalente a cento settanta mila botti. Lamedesima è circondata da un parapetto di fabbrica conotto balconcini con ringhiere di ferro, due sbarcatoianche guarniti di ringhiere, e due varatoi alle testatecurve, chiusi da panconi di legno.Nel mezzo vi è isoletta circolare del diametro di palmiottanta, circondata parimenti da parapetto di fabbrica.Nella medesima vi è un boschetto con cinque pagliaie,una grande nel centro con mediocre mobilio, per ri-poso delle Persone Reali, e quattro piccole egual-mente distribuite, per uso di retret, di reposto, epiccola cucina13.

Tradizionalmente si ritiene questa vasca costruitaad opera di Franceso Collecini, aiutante di Vanvi-telli nella livellazione dell’Acquedotto e nellarealizzazione delle fontane del Parco. In realtàl’esiguità del tempo impiegato – settantacinquegiorni – rispetto alle dimensioni dell’intervento –un bacino di 270 per 106 metri circa, profondocirca 3 metri – fa ritenere l’intervento di Collecinidi completamento di lavori già iniziati in prece-denza. Osserva Gino Chierici – che riporta comedimensioni 300 metri per 120 – che, in realtà, loscavo della peschiera era stato già iniziato nel1762 da schiavi battezzati e da catecumeni e con-cluso nel 1763. Si tratterebbe allora, anche in questo caso, di unintervento eseguito sotto la personale direzionedi Vanvitelli, come lascerebbero supporre anchealcuni accenni a quest’area contenuti in una let-tera del 1768, anteriore cioè all’opera di Colle-cini, indirizzata al Cavalier Neroni.

Primieramente conviene svellere e diradare li licinidelli Boschetti piantati intorno il sito della peschiera.

E ancora:

queste semenze, oltre quelle che formar devono ilfolto inferiore, si dovrebbero ponere ordinatamente aspalliera immediatamente dietro li carpani del Circon-dario, affinché crescendo i licini questi, e non quelliformassero la spalliera, come si è praticato intorno laPeschiera14.

Per quanto nella lettera non sia citata espressa-mente la vasca, sembra però impossibile non at-tribuire a Vanvitelli la paternità di quest’opera,che, anche nel confronto con le attuali foto aeree,presenta una perfetta aderenza alla Planimetriadella Dichiarazione. Del resto, come ricorda ancora Gino Chierici:

è pure inesatto voler far credere che il Collecini stimo-lasse sottomano il desiderio del giovane Re di aversollecitamente questa nuova distrazione, per metterein evidenza la sua valentia di costruttore, giacché nel’69 il Vanvitelli che si trovava a Milano per il progettodel palazzo arciducale e per la facciata del Duomo,scriveva lettere su lettere al Marchese Tanucci, al ca-valiere Neroni, al suo assistente Collecini con istru-

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Confronto tra la planimetria della Grande Peschiera nella Dichiarazione, a sinistra, ed una foto aerea dell’area.

Parco di Caserta, Grande Peschiera.

zioni per la buona riuscita dell’opera da tempo prepa-rata, la cui sola parte muraria fu realmente quella ese-guita nel breve tempo di due mesi e mezzo15.

Probabilmente il compito di Collecini è stato solodi concludere rapidamente i lavori – completandola parte muraria che delimita il bordo della vasca– per fornire al re Ferdinando «un mezzo da eser-citazioni nella milizia navale», assecondandoforse una volontà dello stesso sovrano. In talsenso la Grande Peschiera risulterebbe stretta-mente collegata alla Castelluccia, l’altro edificiopresente nel Bosco Vecchio, trasformato an-ch’esso negli stessi anni per permettere le eserci-tazioni militari del giovane re. I lavori di completamento della Peschiera com-portarono un ingente aumento dei costi, da

43.486 ducati a 197.500 ducati e 45,50 grana cosìgiustificati dallo stesso Collecini:

Nello scandaglio del solo recipiente della gran pe-schiera da costruirsi, non furono comprese le susse-guenti fabriche, e lavori occorrenti alle ordinazioniaggiunte dalla Maestà del Rè [sic]. Il parapetto conregiole e pilastrini di travertino negli angoli, ed aper-ture. Balconate di ferro, e lastroni di marmo nel pavi-mento delle medesime; e mattonato rustico delmarciapiè per quanto circonda il detto parapetto. DueImbarcatori, e due cordonate nelle linee principali; el’Isola nel mezzo in altezza al pari dell’Imbarcatorisudetti. I tufoli di Portici per introdurre l’acqua; ed ilriporto della terra per appianare i viali attorno dell’ac-cennato parapetto. E nel medesimo tempo non si ebbepresente la velocità del travaglio per cui occorre unaspesa, che puole comprendersi da chiunque16.

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Tuttavia la Peschiera è un’opera incompiuta. In-fatti non vennero realizzate le fontane previstenella vasca, né quelle pensate sull’isoletta cen-trale, che avrebbero contribuito all’amenità delsito, rendendolo «uno degli ornamenti più deli-ziosi del parco»17. Né fu realizzato il padiglione con la cupola sor-retta da otto colonne, che, secondo il primo pro-getto, si sarebbe innalzato al centro dell’isola, né,in sua sostituzione, fu creata la sala da ballo ri-chiesta dal re, con camere e gabinetti di riposo,alla quale sembra che si possano riferire alcunidisegni autografi di Vanvitelli. I progetti rimasero sulla carta e le funzioni delpadiglione in muratura vennero svolte da cinquepagliaie situate sotto la verde cupola arborea. L’isola era raggiungibile con una piccola flotta dibattelli, così da far tornare alla mente quanto ac-cadeva a Versailles per raggiungere il Trianon at-traverso il Grand Canal. Sull’isola la famiglia reale poteva godere di mo-menti di svago senza privarsi di alcune comodità.La principale delle pagliaie, al centro, era arre-data per la sosta ed il riposo nella natura, consedie di noce, tavolini e sofà – un «mediocre mo-bilio» secondo quanto riferisce il Cavalier Sancio– e sembra che fosse presente anche un caminettoin marmo. Le altre quattro pagliaie, intorno, co-

Luigi Vanvitelli, probabile progetto di padiglione per la Grande Peschiera.

stituivano ambienti di servizio, per permettere,anche in questo luogo così particolare, di usu-fruire di alcuni necessari mezzi di conforto: unretret, cioè un servizio igienico, una cucina ed un«reposto», probabilmente per gli attrezzi neces-sari alle esigenze dell’isola.Pagliaie e imbarcatori, visibili ancora in una fotodel 1917, sono attualmente scomparsi. Negataogni possibilità di fruizione, la Grande Peschierasi presenta al moderno visitatore come un piccololago, immerso nella quiete di una radura, da os-servare deviando dal percorso principale. Al suocentro, un padiglione arboreo sostituisce qualun-que architettura sia stata concepita per l’isola, ge-nerando un sentimento più simile alla sensibilitàromantica dell’Ottocento che alle intenzioni piùauliche del suo ideatore.

Veduta aerea del Bosco Vecchio. In basso è il giardino del Palazzo al Boschetto, nel cerchioè evidenziata la Castelluccia.

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Planimetria della Castelluccia. A. R. Ce.

Strettamente collegata alla storia della GrandePeschiera sembra essere quella della Castelluc-cia, edificio nato dalla trasformazione della cin-quecentesca torre chiamata Pernesta.L’inserimento di tale struttura nel presente studioè giustificato dalla sua trasformazione in fortifi-cazione, che lo ha dotato di un fossato collegatotramite un ruscello, canale di adduzione, allagrande conserva della Peschiera.

Fin dai tempi dei Principi di Caserta esisteva in questosito una torretta denominata Pernesta, circondata dapoca acqua con un giardino da fiori, quantunque tuttoin cattivo stato (…). Ma nella fanciullezza del defuntoMonarca Ferdinando I°. questo luogo fu ridotto a ca-stelluccio, con corrispondenti bastioni, spianata, ca-valieri, caserma, ridotti, ed altro relativo ad una piazzafortificata, ad oggetto di fare istruire nelle armi il pic-colo Principe Regnante18.

Una descrizione della Torre Pernesta si ha nellerelazioni dei due “apprezzi” eseguiti tra il 1635ed il 1636. In esse la torre è descritta a due piani,collegati da una «lumaca», una scala a chiocciola,

all’interno di un giardino di fiori e di agrumi «confosso attorno a modo di forte (...) dove si passacon ponte a levatore»19. Attorno all’edificio si tro-vavano «sedici personaggi di pietra in forma dicontadini colorati e vestiti, et dimostrano vesti-menti diversi, usi vari et portamenti differenti» epoi «quindici puttini di marmo, che in mezzoquindici conchette fanno altrettante fontanelle» einfine «in frontespizio in un vano pittato si mi-rano due statue di marmo in forma di Adamo etEva»20. Si trattava, insomma, di un tipico luogodi delizie all’interno della proprietà Acquaviva. Dalle descrizioni si deduce che l’impianto prece-dente alla trasformazione non dovesse esseretroppo dissimile da quello attuale, con la torre cir-condata da un fossato d’acqua, anche se, proba-bilmente, di forma diversa, come si osserva nellapianta inserita nella Dichiarazione. Tuttavia,all’epoca di Vanvitelli, il fossato doveva esserecaduto in disuso.Come data della trasformazione in edificio fortifi-cato, Patturelli ricorda il 176921 ed è possibile ipo-tizzare un collegamento tra i lavori effettuati allatorre e l’intervento di Collecini per la Peschiera.

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Prima di tale data non si hanno altre informazionirelativamente ad un utilizzo nel progetto vanvitel-liano della Pernesta, che nella Planimetria dellaDichiarazione sembra inserita in uno schema tesoal mantenimento dello stato di fatto22. Nonostantela pianta della torre sia accuratamente disegnatae sia pertanto possibile, ad esempio, vedere duelivelli collegati da rampe di scale, ad essa non èattribuito alcun indice nella legenda di spiega-zione della tavola. Tale sorte è comune ad altri edifici del Bosco Vec-chio, come la cosiddetta Cappella degli Schiavi,edificio destinato, sotto gli Acquaviva, ai Liparoticustodi del bosco. La scelta non è forse causale,mostrando, probabilmente, il fatto che nella Pla-nimetria sono segnalati soprattutto i nuovi inter-venti e le preesistenze di maggior prestigioinserite nel progetto, quali, nel Bosco Vecchio, ilpalazzo del Boschetto con i giardini di perti-nenza23. È possibile, dunque, che l’interesse per una tra-sformazione della Pernesta sia derivato proprioin seguito al desiderio di fornire al giovane reFerdinando un luogo di divertimento e contem-

La Torre Pernesta, a sinistra, in un dipinto del 1693 circa e, al giorno d’oggi, dopo la trasformazione in Castelluccia.

poraneo esercizio nell’arte militare, intervento,come si è visto, correlabile a quello che vide l’ac-celerarsi dei lavori della Grande Peschiera. Anche la trasformazione della Pernesta in Ca-stelluccia fu affidata al Collecini. Al termine deilavori l’edificio, dotato di fossato, bastioni e ca-sermette, divenne una piccola torre ottagonale, didue piani, su cui si innesta un corpo cilindrico piùarretrato. Al giorno d’oggi la sua destinazione d’uso scom-pare tra la folta vegetazione che la circonda e chesi riflette nell’acqua del fossato, generandoun’immagine molto più romantica e pittoresca. Si tratta dell’ulteriore trasformazione subita al-l’inizio del XIX secolo.

In seguito questo modello di forte fu abbandonato, co-verto di spine, e divenne il ricovero di tutti i rettili delbosco. Nel 1812 per ordine del medesimo defuntoMonarca Ferdinando I°. fu ridotto il sito ad una Flora,come al presente si trova, situando ne’ parapetti moltevariate ringhiere di ferro, riducendo i cavalieri, uno agrotticella, e l’altro a belvedere, circondato da rin-ghiere di legno di diverso gusto, con un gran parasoledi latta a stile orientale: una delle caserme si è inver-

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tita ad una deliziosa sala a mangiare: il corpo di guar-dia si è mutato ad un padiglioncino per caffè. Si sonofissati de’ sedili di lavagna, e di marmo in varj puntidella piccola Flora; un capolino Cinese, anche di latta,si è posto nell’angolo, che domina tutto il canale. Sisono infine fatte tante altre varietà che han resa deli-ziosissima questa piccola Flora, simile all’intutto alTrianon di Francia.La stanza circolare sulla torretta, con i quattro gabi-netti in giro, non sono stati del pari trascurati. Si sonodecentemente dipinte le mura, ed incerati i pavimenti;si son posti otto busti di marmo sopra altrettanti tron-chi di colonne; si sono incastrati ne’ muri dodici me-daglioni di marmo indicanti i dodici Cesari; si è fattoun discreto mobilio, in fine tutto è decente per un mo-mentaneo ristoro delle Persone Reali24.

Il piacere dei sensi: il Giardino Inglese

Un’ultima osservazione va dedicata, infine, aquella parte di giardino che, seppur non presentenel progetto vanvitelliano, si trova attualmente adessere parte integrante del Parco di Caserta: ilGiardino Inglese.Fortemente voluto dalla regina Maria Carolina,su suggerimento di Sir William Hamilton, amba-sciatore inglese e membro della Royal Society diLondra, il giardino venne realizzato ad opera diJohn Andrew Graefer, che si occupò delle siste-mazioni paesaggistiche e botaniche, e di CarloVanvitelli, incaricato della costruzione di tutte leemergenze architettoniche.In questa sede, piuttosto che ripercorrere le varietappe che hanno segnato la storia di tale zona delParco - scelta che richiederebbe una trattazionespecifica ed approfondita - si vuol mettere in evi-denza come proprio la presenza dell’AcquedottoCarolino abbia permesso la nascita di un giardinodalle forti valenze paesaggistiche, assoluta novitànel panorama italiano dell’epoca25.Peculiarità dell’area, di circa 25 ettari, era infattil’abbondanza d'acqua garantita proprio dal con-dotto di approvvigionamento del parco reale, ca-ratteristica, questa, che permise a Graefer diesprimere al massimo i principi compositivi, nelpieno rispetto delle regole del movimento pae-saggista.È proprio l’acqua, infatti, a determinare, con il

suo percorso, il disegno del giardino e a guidareil visitatore nella percorrenza. Prima di procedere nella scoperta del percorsodell’acqua, è tuttavia necessaria una precisazione.Come già osservato, nel giardino di paesaggio èla stessa natura ad essere trasformata in maniera“architettonica”, secondo la volontà del progetti-sta, per assumere forme e rappresentare immaginiprecostituite. La naturalezza che si osserva è, in-somma, frutto di un’accurata trasformazione ar-tificiale del luogo. Così, anche per il GiardinoInglese di Caserta, non è possibile parlare di ar-chitetture per l’acqua nell’accezione fino ad orautilizzata - strutture nate a servizio dell’elementoidrico - a meno che non si riconosca un inter-vento di tipo architettonico nell’opera di trasfor-mazione del territorio.Dall’ingresso del giardino, posto a lato della Fon-tana di Diana, la presenza dell’acqua non risultaimmediatamente percepibile: il visitatore è anziinvitato a dirigersi sulla sinistra e a percorrere ilviale in salita che costeggia i “ruderi” di un tem-pio dorico. È in questo tratto che il Giardino In-glese si accosta alle architetture vanvitelliane,risultando il viale tangente anche alla strutturadell’Aperia, la cisterna, rimasta incompiuta, pre-vista da Luigi Vanvitelli per sopperire alle neces-sità della Reggia in caso di guasti all’acquedotto. Al termine del viale ci si ritrova in asse con l’in-gresso, nel punto segnato dalla Fontana della Pi-ramide, origine del percorso d’acqua - comesegnalato anche dalla planimetria redatta da Ni-cola Terracciano, botanico e direttore del giardinotra il 1861 ed il 1890 - sebbene attualmente nonpiù in funzione. Un gorgoglio avrebbe denun-ciato, all’epoca, la presenza dell'elemento idricoche, trasformato nella linearità di un rill, avrebbecondotto alla successiva scoperta della Fontanadel Pastore, introducendo in modo definitivo al-l’interno del giardino. La Fontana del Pastore - con la probabile statuadi Batto o di Ermes, già presente nel giardino deiprincipi Acquaviva - è al giorno d’oggi la veraorigine del percorso dell’acqua, che giunge all’in-terno del Giardino Inglese provenendo dalla vi-cina Fontana di Diana26. Ormai introdotti nel nuovo paesaggio - e lasciatealle spalle le geometrie dell’asse centrale - non

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resta che seguire il flusso idrico che, scendendoverso valle per gravità, segna inequivocabilmentei principali elementi. Volontà di Graefer fu che ilruscello proveniente dalla Fontana del Pastoredovesse alimentare, con un percorso parzialmentesotterraneo, un piccolo lago posto nelle imme-diate vicinanze, affiorando dalle radici di unTaxus baccata, imponente albero scelto per la suaeccezionale longevità. Si tratta del cosiddettoBagno di Venere, luogo in cui sono maggior-mente presenti gli elementi in grado di emozio-nare l’osservatore. Il lago in cui si specchia la dea appena uscitadall’acqua, la fitta vegetazione circostante, i ru-deri di un “criptoportico” ricreato ad arte, il pic-colo ponte che collega le due sponde sono tuttielementi che, secondo i dettami del gusto pittore-sco, costribuiscono a creare nel visitatore il sensodella meraviglia. Giunti, infatti, ai margini dellago, ci si rende conto di essere in un luogo po-tenzialmente incantato, in cui l’improvvisa e ina-spettata scoperta della dea, intenta nel suo bagno,richiama alla memoria quanto appena lasciato allespalle nella rappresentazione di Diana e Atteone.Ma Venere non è Diana, e sembra perfino con-tenta di lasciarsi ammirare dall’incauto visitatore.Dal piccolo lago del Bagno di Venere ha, quindi,origine il fiume che percorre il giardino nel trattocentrale - non c'è infatti giardino all’inglese chenon sia attraversato da un fiume - giungendo a

Parco di Caserta, Giardino Inglese. Bagno di Venere.

sud nella parte pianeggiante dove si allarga a for-mare di nuovo un lago, di dimensioni maggioridel precedente. Lungo il percorso l'acqua compiedue salti di quota: il primo, una cascata di mode-ste dimensioni, in prossimità del Bagno di Ve-nere, quasi a completarne l’immagine pittoresca;l'altro, più deciso, poco prima di giungere nellago posto a valle. È quest’ultimo una forma par-ticolare di salto d’acqua, la cateratta, la cui carat-teristica è quella di essere repentino e violento,perché generato da un’improvvisa frattura del ter-reno. L’effetto è, ancora una volta, quello di stu-pire il visitatore, posto dinanzi a qualcosa ditotalmente inaspettato e dal forte impatto emotivo. Due isole, su cui sorgono i “resti” di un tempio edaltri piccoli edifici di servizio, abbelliscono illago che occupa il fondovalle, la maggiore nelcentro, la minore spostata verso est. È anche que-sto un elemento tipologico piuttosto comune, checostituisce il termine del percorso, aprendo dinuovo lo sguardo su una scena dalle caratteristi-che emozionali attentamente studiate: spaziandofino alla fitta vegetazione che delimita il giardino,l’osservatore subisce l’illusione che la sua vista siperda nel bosco circostante.Il piacere, nel Giardino Inglese, assume pertantoi caratteri innovativi e propri del Romanticismo,divenendo progressiva scoperta di un personaleviaggio emozionale e di una continua esperienzasensoriale.

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Parco di Caserta, Giardino Inglese. Il lago.

___________________NOTE

1. Antonella PIETROGRANDE, La teatralizzazione della na-tura nelle feste e nei giardini italiani del secondo cin-quecento, in Il giardino e la memoria del mondo, cit.,p. 77.

2. Ivi, p. 78.

3. Ibidem.

4. La descrizione della festa di Vaux-le-Vicomte, fatta daAnatole France, è in Parigi e l’Ile-de-France, TouringEditore, Milano, 2002, p. 221.

5. Giovan Vincenzo IMPERIALE, op. cit., p. 377.

6. Le parole del 1627 di Joseph Furttenbach sono riportateda Luigi ZANGHERI, Storia del giardino, cit., p. 44.

7. La frase di Michel de Montaigne è in Fontane, giochid’acqua e spettacolo, cit., p. 140.

8. Si prende a riferimento quanto Marcello Fagiolo haapplicato alla descrizione della villa di Pratolino, riu-scita ad «esibirsi, secondo la fortunata classificazionevitruviana, come scena tragica (l’acqua e il verde imi-tano archi, templi, costruzioni di una ideale composi-zione aulica e prospettica) o scena comica (e persinofarsesca, con rappresentazioni rustiche, scherzi d’ac-qua, scene di genere) o scena satiresca (il bosco dellavilla corrisponde alla scena descritta dal Serlio con ‘ar-bori, sassi, colli, montagne’)». Luigi ZANGHERI, Storiadel giardino..., cit., p. 263.

9. A proposito di tale disposizione vegetale, così scrivevalo stesso Vanvitelli: «Nella sala grande destinata alle fon-tane di Amore e Psyche essendo già cresciute le piante diverdura, che devono servire per i pilastri del portico are-nato, intorno della Sala, non si deve più ritardare a pie-gare li rami per darle la forma di arco; stantecche,ritardandosi ancora, non potrà più succedere la culturaper formare il divisato portico». Lettera del 28 ottobre1768 al Cavalier Neroni, intendente generale di Caserta,contenuta in Manoscritti di Luigi Vanvitelli..., cit., p. 208.

10. Ferdinando PATTURELLI, op .cit., p. 54.

11. Antonio SANCIO, op. cit., pp. 110-111.

12. In una lettera di Vanvitelli del 15 dicembre 1763 è pos-sibile leggere «l’istruzzioni che per mia parte debbonsipartecipare al Capo Giardiniero Monsieur MartinoBiancourt, quando dovrà risarcire di piante o semenzealcuni siti del Vecchio Real Boschetto di Caserta».Manoscritti di Luigi Vanvitelli…, cit., p. 77.

13. Antonio SANCIO, op. cit., p. 113.

14. La lettera del 28 ottobre 1768 è in Manoscritti di LuigiVanvitelli…, cit., p. 208.

15. Gino Chierici, La Reggia di Caserta, Roma, IstitutoPoligrafico e Zecca dello Stato, 1984-1999, p. 72.

16. Lettera di Francesco Collecini del 29 luglio 1769, inCaserta e la sua Reggia…, cit., p. 91.

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17. Gino CHIERICI, op. cit., p. 73.

18. Antonio SANCIO, op. cit., p. 111.

19. Pietro DE MARINO, op. cit., c. 229-300.

20. Francesco GUERRA, Copia revisionis appretii, ARCe,vol. 403, c. 356- 361.

21. «Nella giovanile età del nostro RE FERDINANDO nel-l’anno 1769 fu finito con tutte le regole dell’Arte mi-litare per servire di suo Real divertimento negli esercizjmilitari, tanto che v’era la consuetudine di far in essole salve in ogni Gala di Corte». Ferdinando PATTU-RELLI, op. cit., pp. 90-91.

22. Un indizio del mantenimento dello stato di fatto, rela-tivamente all’area del Bosco Vecchio, sembra emer-gere anche nella già citata lettera del 15 dicembre1763: «La sala o sia largo della fontana detta la Berne-stat parimente si lascerà nella sua figura e soltanto ilgiardiniero puotrà nettare il sito e piantare delle nuovepiante di licini ove si veggono le mancanti. (…) perfino

prossimamente al sito della Bernestat questo si dovràtutto o piantare con nuove piante di querce o licini, ov-vero seminare con delle ghiande di quella specie. La-sciandosi però tutte le direzioni dei viali ed aperturecome presentamente esistono; questo è quanto per orariserbandomi al dippiù in appresso». Manoscritti diLuigi Vanvitelli…, cit., p. 77.

23. Tale edificio era stato trasformato già dal 1750 in sededella Reale amministrazione e residenza degli inten-denti. La notizia è in Antonio SANCIO, op. cit., p. 85.

24. Ivi, p.112.

25. Il Giardino Inglese di Caserta si contende con il cosid-detto Giardino Romantico di Monza il primato diprimo giardino paesaggistico in Italia.

26. In origine era previsto che l’acqua dovesse proveniredirettamente da una diramazione dell’Acquedotto Ca-rolino.

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La Reggia di Caserta è un’opera incompiuta. Per quanto il figlio Carlo abbia proseguito l’atti-vità del padre, alla morte di Luigi Vanvitelli, nel1773, né il palazzo, né il parco potevano conside-rarsi ad un punto tale da permettere il loro com-pletamento in pochi anni. A complicare un talestato, si sono aggiunte, inoltre, le vicende dellastoria: gli eventi legati alla rivoluzione francese;la fuga dei sovrani da Napoli con l’istituzionedella repubblica napoletana nel 1799; l’arrivo diNapoleone, che nel 1806 insediò sul trono di Na-poli il fratello Giuseppe. Infine il già ampiamente denunciato cambia-mento di gusto, con la predilezione del giardinopaesistico inglese che portò al progressivo disin-teresse per il completamento del giardino for-male.Ovviamente questa situazione non ha giovatoall’opera vanvitelliana. Rimanendo nell’ambitodelle architetture per l’acqua, forse proprio acausa della sua incompiutezza, che difficilmentepermette di coglierne il significato, l’asse centraledel Parco non ha goduto di un particolare apprez-zamento già da parte dei numerosi viaggiatori im-pegnati nel Grand Tour in Italia. Perfino allacascata, intesa come singolo elemento, sono stateriservate numerose critiche, dipendenti, tuttavia,anche dall’erroneo presupposto di isolare l’ele-mento “naturale” dal resto della composizione.Così, oltre al già citato Henri Swinburne, si pos-sono ricordare l’opinione di Alexandre Dumas –che disse, in relazione alla cascata, «è un risultatomediocre ottenuto con un lavoro gigantesco»1 – ole parole di August von Kotzebue:

La cascata di cui si fanno grandi elogi e che si trovaall’estremità del parco, merita a mala pena di esserevisitata; in verità è considerevole la massa d’acqua e

molto alta la roccia dalla quale cade; ma questi dueaspetti positivi non bastano. Il suo effetto è per di piùannullato dalla quantità delle brutte statue e dei me-schini ornamenti. La caduta dell’acqua serve da pa-norama a molte finestre del Palazzo Reale, e a sentirquelli che ne parlano, sembrerebbe meravigliosa, maa tale distanza somiglia solo a un filo bianco2.

Del resto anche il Cavalier Sancio non sembraapprezzare interamente il progetto vanvitelliano,quando scrive: «fortunatamente non trovasi ese-guito il gran parterre all’Arabesco»3 previsto neidisegni della Dichiarazione. Il nuovo orientamento verso i canoni dettati dalRomanticismo, l’assenza di elementi “pittore-schi” in quella che era vista come una monotonasuccessione di statue, il confronto con la “su-blime” bellezza dei Ponti della Valle sono tuttifattori che hanno sicuramente influito sul giudizionegativo attribuito al Parco.Ma c’è da chiedersi anche quanti di quei viaggia-tori si siano interrogati di fronte all’incompiu-tezza dell’opera e siano andati oltre la letturasuperficiale dell’asse centrale come “tradizio-nale” successione di fontane.È, allora, di non trascurabile rilievo richiamarel’attenzione su quel messaggio più profondo pro-babilmente contenuto nella Fontana dei Delfini4,vera porta dell’attuale Parco. Il significato diquell’invito a bere della sua acqua per non fer-marsi alle apparenze, ma per conoscere con la ra-gione oltre che con i sensi, si palesa, così, inmodo manifesto.Facendo, però, attenzione, perché le facoltà del-l’uomo sono ingannatrici. Come ricorda Pascalnei Pensieri,

la ragione e i sensi, oltre che mancare ciascuno di sin-cerità, s’ingannano reciprocamente l’un l’altro. I sensi

________________________________________________________________________________________________

CONCLUSIONI

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ingannano la ragione con false apparenze; e questostesso tranello che essi tendono all’anima, essi lo ri-cevono da questa a loro volta; essa se ne vendica. Lepassioni dell’anima turbano i sensi e procurano ad essifalse impressioni. Essi mentono e si ingannano agara5.

Nella molteplicità degli elementi presenti, dei ri-ferimenti suggeriti, delle sensazioni provate, ap-pare sempre più difficile pervenire ad unacomprensione univoca. I diversi livelli di lettura,possibili nell’asse centrale del Parco, si prestanoad una pluralità di interpretazioni che, più chesciogliere dubbi, moltiplicano le domande e, tut-tavia, proprio per questo motivo, accrescono ilsuo valore. Se, dunque, non è possibile considerare il Parcodi Caserta come ultimo esempio di giardino fran-cese, nel senso di ennesima ripetizione del mo-dello di Le Nôtre a Versailles, è tuttaviafondamentale riconoscerne il valore come ultimogiardino formale europeo. Il Parco di Caserta sicolloca, infatti, come ideale cerniera tra duemondi in aperto contrasto tra loro: l’uno, legatoancora all’Ancien Régime, in inevitabile declino,l’altro, aperto alle innovazioni illuministe, inascesa e proteso verso il futuro. Il merito di Van-vitelli sembra essere quello di aver intuito, nelpassaggio epocale del Settecento, la necessità di

cambiamento richiesta dalla società, anche se lasua cultura, la sua esperienza e la sua formazionenon gli hanno consentito di trovare le forme inno-vative che tale cambiamento richiedeva, né, tantomeno, di utilizzare la novità del giardino paesi-stico.Ma la sua presa di distanza dalla ripetizione pe-dissequa degli schemi del giardino francese, ilsuo volersi rifare al modello – ovvero di ricolle-garsi ad una tradizione che in Italia aveva avutoorigine – lo hanno condotto a delineare una terzasoluzione, in cui il giardino formale diviene nonsolo celebrazione del re, ma anche del suo po-polo. Implicitamente è anche questa una finedell’assolutismo monarchico. Non è possibile co-noscere pienamente il percorso mentale seguitoda Vanvitelli, in quanto manca proprio il collega-mento tra la zona del Parco accuratamente dise-gnata nella Dichiarazione e quella realizzata, maancora non progettata compiutamente nel 1751.In ogni caso non sono da escludere eventuali con-tatti con le idee illuministe che circolavano a Na-poli – e che in parte erano propugnate dallo stessosovrano – e con le teorie di Giambattista Vico. Seanche non fosse stata realizzata nessuna zona delParco, la sola costruzione dell’Acquedotto Caro-lino, opera destinata alle «delizie del re» e, con-temporaneamente, al miglioramento dellecondizioni igieniche della popolazione napole-

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La Fontana dei Delfini, attribuita a Carlo Vanvitelli, rappresenta forse la chiave di lettura per procedere nel Parco realizzato?

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tana, testimonia che erano finiti i tempi in cuiLuigi XIV poteva affermare «lo Stato sono io». Purtroppo la serie di eventi dettata dalle circo-stanze storiche già citate, a cui è bene aggiungereanche la partenza di Carlo di Borbone per la Spa-gna nel 1759, hanno costretto ad un rallentamentoe, successivamente, ad un arresto dei lavori, cheha trasformato la strada percorsa da Vanvitelli inun vicolo cieco. Soppiantato dal giardino paesistico, il giardinoformale termina la sua storia senza aver potutoesprimere in modo completo il cambiamento chesi stava concretizzando. Eppure, la pressochécontemporanea realizzazione del Giardino In-glese testimonia la vocazione della Reggia di Ca-serta ad essere all’avanguardia rispetto ai tempi ea recepire i cambiamenti propri dell’epoca.Se, dunque, all’apparenza, il Parco di Casertasembra essere ripetizione di tanti altri giardini simili in tutta Europa, in realtà l’intera opera possiede irripetibili caratteri unici ed originali chesolo un’approfondita lettura, in gran parte ancoraaperta, può riuscire ad evidenziare pienamente.

Per tale ragione occorre che l’intero complessovanvitelliano – intendendo con questo terminel’unione di Palazzo Reale, giardini ed Acquedotto– già considerato dall’Unesco, nelle sue singoleparti, Patrimonio dell’Umanità, non sia dispersotra una pluralità di amministrazioni. L’intero organismo monumentale possiede infattitutte le potenzialità per divenire polo di sviluppoper il recupero dell’identità culturale non solodella regione circostante il Palazzo Reale – adesempio i siti di S.Leucio o di Caserta Vecchia –ma anche per tutti i comuni interessati dal per-corso dell’Acquedotto Carolino. Occorre pertantoestendere all’intera opera vanvitelliana il concettodi grande attrattore culturale – attualmente di per-tinenza della sola Reggia – così da comprenderein un museo diffuso sul territorio, e dai poliedriciaspetti, anche l’intero percorso dell’Acquedotto.Solo attraverso una fruizione integrale del com-plesso monumentale sarà possibile, infatti, tute-lare e trasmettere al futuro le valenze storiche,artistiche, culturali e paesistiche contenute nel-l’opera di Vanvitelli.

Conclusioni________________________________________________________________________________________________

___________________NOTE

1 Caserta e la sua Reggia…, cit., p.124.2 Ivi, p.132.3 Antonio Sancio, Op. cit., sezione II, preliminare, p.107.4 Si ricorda che la Fontana dei Delfini è quella in cui mag-giore è stato l’intervento di Carlo Vanvitelli, a cui è attri-buito anche il progetto del Giardino Inglese dai probabilisignificati massonici. Si pensi, ad esempio, alla presenza

di un tempio dorico “in rovina” posto all’ingresso del giar-dino, alla Fontana della Piramide, alla statua del pastore-Mercurio da cui sgorga l’acqua, alla ricca simbologianascosta nel Bagno di Venere.5 Blaise Pascal, Pensieri, a cura di Adriano Bausola, Bom-piani, Milano, 2000, p.75.

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VIRGILIO, Eneide, a cura di Ettore Paratore, trad. it. a cura di Luca Canali, Fondazione Lorenzo Valla, ArnoldoMondadori Editore, Milano, 19882.

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Acquaviva, 53, 54, 56, 56, 57, 66, 84, 116, 124, 126, 169,170, 171Andrea Matteo, 53, 56, 57Anna, 55Giulio Antonio, 52, 53, 54

Acquaviva d’Aragona, Andrea Matteo, 52, 63Adam, Lambert-Sigisbert, 123Adriano, 12Agrippa, 40, 107Alberti, Leon Battista, 66Algarotti, Francesco, 156Ammannati, Bartolomeo, 122Ammirato, Scipione, 52Angiò, Roberto di, 51Angioini, 51, 63Apuleio, 63, 154Aragona,

Cesare di, 52Violante di, 51

Archimede, 66Asburgo,

Anna di (Anna d’Austria), 60, 159Giuseppe di, 16Maria Antonia di, 61Maria Carolina di, 16, 102, 155, 156, 171Maria Teresa di, 16Rodolfo II di, 106

Avellino, Principe/i di, 52, 53, 67Aveta, Aldo, 71, 107Azzi Visentini, Margherita, 118, 154Baldan Zenoni Politeo, Giuliana, 59, 155Barattieri, Giovanni Battista, 71, 107Barigioni, Filippo, 132Bausola, Adriano, 177Baviera,

Ludovico II di, 46Max Emanuel di, 44, 45, 61

Bazachi, Lealdo Leandro, 107Benevolo, Leonardo, 26, 58, 59, 107Bernasconi, Pietro, 84, 99, 110Bernini, Gian Lorenzo, 132Biancourt, Martino, 116, 173Blondel, Jean-François, 107Boccaccio, Giovanni, 51, 63Böckler, Georg Andreas, 107Bonaparte,

Giuseppe, 175Napoleone, 175

Bonelli Renato, 16Borbone, 51, 63, 64

Carlo (Carlo III) di, 14, 15, 16, 49, 50, 56, 57, 62, 63, 83, 86, 102, 110, 111, 115, 121, 122, 123, 124, 125, 126,139, 152, 153, 177Ferdinando IV (Ferdinando I) di, 16, 86, 95, 102, 103,

111, 127, 133, 155, 163, 167, 169, 170, 174Ferdinando VI di, 15Filippo V di (Duca d’Anjou), 15, 47, 49, 62, 124Francesco II, 103

Borboni, 55Botticelli, Sandro, 156Boudard, Jean-Baptiste, 121, 126Boutelou, Esteban, 61Boyceau de la Barauderie, Jacques, 19, 20, 21, 22, 58Bramante, 39, 40Buontalenti, Bernardo, 67Campa, Cecilia, 154Canaletto, 62Canali, Luca, 155, 157Canestrini, Francesco, 111Canevari, Antonio, 50, 63Carasale, Angelo, 49, 50Carbonet, Charles, 45Cardini, Franco, 15Carlier, René, 62Carlo X, 81, 82, 82Carlo XII, 61Carnevali, Laura, 117, 154Carracci, Annibale, 121, 122Castellani, Emilio, 63Cattabiani, Alfredo, 156Cecile, costruttore, 81Charbonnier, Martin, 44Chierici, Gino, 166, 173Cicerone, 63Colbert, Jean-Baptiste, 73, 77, 108Collecini, Francesco, 84, 99, 110, 113, 166, 167, 169, 170,

173Colocci, Angelo, 64Condé, Principe di, 73Cortese, Giulio Cesare, 53, 64, 156Costa, Gustavo, 152, 158Cotelle, Jean, 37Clarac, Pierre, 58Cranach, Lucas, 64Crumey, Andrew, 15d’Alembert, Jean-Baptiste le Rond, 58, 70de Baillou, Jean, 62de Brosse, Salomon, 106de Caus,

Isaac, 68Salomon, 67, 68, 106, 107

de Fer, Nicholas, 80de la Hire, Philippe, 76, 108Della Porta, Giacomo, 132Della Ratta, 51

Caterina, 52de Lillo, Gaetano, 104de Luca, Pasquale, 104

Indice dei nomi________________________________________________________________________________________________

INDICE DEI NOMI

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De Marchin, conte, 77De Marino, Pietro, 52, 63, 174de Menours, Jacques, 32Desargues, Gérard, 109de Serres, Olivier, 22de’ Servi, Costantino, 106, 107de Seta, Cesare, 63de Ville, Arnold, 72, 76, 77, 78, 79, 80Dézallier d’Argenville, Antoine-Joseph, 21, 22, 24, 44, 46,

58, 59, 69, 70, 107, 116, 116, 137di Capua, Bartolomeo, 86d’Houdetot, Mme, 109Diderot, Denis, 58, 70di Lahart, Diego, 51, 63Dione Cassio, 85, 110Dominici, Antonio, 155d’Orsi, Giovan Battista,du Barry, Mme, 79, 80Dufrayer, ingegnere, 81Dumas, Alexandre, 175Dupérac, Etienne, 41Du Pont, Siane, 77Effner, Joseph, 45Enrico II, 58Enrico IV,Erone di Alessandria, 66, 68, 106Esopo, 58Este, Ippolito d’, 40, 65, 106, 162Fagiolo, Marcello, 163, 173Farnese, 49, 61, 63, 155

Alessandro, 61Antonio, 49, 63Elisabetta, 15, 47, 49, 62Francesco, 62Ranuccio II, 62

Filippo IV, 67Focq, Nicolas, 81Fontana,

Carlo, 68, 69, 71, 107Domenico, 60Giovan Battista, 93

Fonton, Marcello, 84Forest de Bélidor, Bernard, 70, 71, 71, 107Fouquet, Nicolas, 22, 25, 26, 27, 31, 32Francavilla, Pietro, 122France, Anatole, 159, 173Francesco I, 60Francini, 58, 67, 106

Alessandro, 66Francesco, 58Tommaso, 58, 66, 106

Frémin, René, 62Frontino, 114Fuga, Ferdinando, 50, 63Furttenbach, Joseph, 173Gaetani, Filippo, 55

Galanti, Giuseppe Maria, 114Galilei, Galileo, 18Galles. Enrico di, 106Galli Bibiena, Ferdinando, 62Gambara, Giovan Francesco, 43, 61Gandolfi, Pietro Francesco, 67Gargiolli, Giovanni, 67, 106Gazola, conte, 107Giambologna (Jean de Boulogne, detto), 122Gianfrotta, Antonio, 112, 113, 114Giannetti, Anna, 51, 63, 64, 116, 124, 154Girad, Dominique, 44, 45Girardon, François, 33Giulio Cesare, 85Giulio III, 61Ghezzi, Pier Leone, 48Ghigiotti, Giuseppe, 41, 51, 58, 60, 63, 114Ghinucci, Tommaso, 61Gobert, Thomas, 74, 74, 75, 76, 78, 108Godeau, Siméon,Goethe, Wolfang J., 16, 51, 63Graefer, John Andrew, 171, 172Grimal, Pierre, 114Gruyl, Liévin, 79Guerra, Francesco, 52, 174Guglielmini, Domenico, 71Guicciardini, Celestino, 64Hackert, Jakob Philipp, 127Hamilton, William, 171Hannover,

Ernst di, 44Sofia di, 44

Hersey, George Leonard, 152, 158Hoog, Simone, 59, 107Iacono, Maria Rosaria, 111Imperiale, Giovan Vincenzo, 122, 124, 125, 133, 143, 150,

155, 157, 161, 173Innocenzo XI, 61Jolly, Denis, 74Jork, duca di, 113Jouvenet, Jean-Baptiste, 12Juvarra, Filippo, 48Kerény, Károly, 59, 154, 157La Fontaine, Jean de, 25, 26, 27, 29, 58, 59La Quintinie, Jean de, 21, 58, 59Le Blond, Jean-Baptiste Alexandre, 46, 61Le Brun, Charles, 26, 27, 31, 32, 47, 60, 159Le Nègre, Pierre, 77Le Nôtre,

André, 17, 21, 22, 23, 24, 25, 25, 26, 26, 27, 28, 30, 31,32, 33, 36, 37, 38, 39, 41, 44, 45, 46, 48, 49, 58, 59, 60,61, 62, 74, 75, 109, 128, 176Jean, 22, 58Pierre, 22, 58

Le Pautre, Pierre, 18,Le Roy, Philibert, 32

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Le Vau, Louis, 25, 26, 27, 31, 32, 74, 108Ligorio, Pirro, 40, 65, 161Lionardi, Porzio, 62Lo Buono, Michele, 61Lodoli, Carlo, 132, 156Longobardi, 51Lorrain, Claude, 14Lotti, Cosimo. 67Louvois, Francesco Michele Le Tellier de, 75, 76Luigi XIII, 22, 32, 60, 74Luigi XIV (Re Sole), 16, 19, 24, 31, 32, 34, 35, 37, 38, 39,

44, 49, 59, 60, 62, 63, 72, 73, 75, 76, 77, 109, 121, 159,177

Luigi XV, 58, 59Luigi XVIII, 81Maccarone, Curzio, 65Maintenon, Mme de, 60Malato, Enrico, 15, 64Maltese, Corrado, 16Manfredi, Eustacchio, 71Mansart, Jules-Harduin, 32, 37, 78, 108Marchand, Esteban, 62Marinelli, Claudio, 61, 62, 63, 64Mariotte, Edme, 107Mari, Giovanni Antonio, 132Marot, Daniel, 61Martin, costruttore, 81Mazarino, 25, 60Medici, 53

Cosimo de’, 122Maria de’, 67

Medrano, Giovanni Antonio, 50, 63Memmo, Andrea, 156Meyer, Daniel, 60Michetti, Nicola, 46, 61Miglio, Massimo, 15Migotto, Luciano, 106Mitchell, William J., 59Molière, 159Mollet,

André, 21, 58Claude, 21, 58

Montaigne, Michel de, 161, 173Monteverde, Giulio, 135Monzani, Giuliano, 62Moore, Charles W., 59Musi, Aurelio, 15, 16Napoleone III, 82Nerone, 108Neroni, Lorenzo Maria, 84, 113, 114, 155, 166, 173Newton, Isaac, 18Niceron, Jean-François, 22, 23,Nigrone, Giovanni Antonio, 52, 53, 53, 54, 54, 124Norberg-Schulz, Christian, 44, 61Orange, 58Orléans, duca di, 22

Orsi, Giovan Battista, 57Ottaviano Augusto, 108Ovidio, 34, 60, 120, 123, 154, 155, 156, 157, 158Pacca, Francesco, 86Paduano, Guido, 60Pagliuca, Lorenzo, 105, 114Pampalone, Antonella, 61, 62Pannini, Giovanni Paolo, 48Paratore, Ettore, 157Pascal, Blaise, 175, 177Pasquali, Giambattista, 156Patel, Pierre, 32Patturelli,

Carlo, 113,Ferdinando, 118, 129, 130, 139, 140, 141, 156, 157, 169,173, 174

Perelle, 94Périer, ingegnere, 81Pernstein, Francesca di, 56Perrault, Charles, 58Picard, Jean, 74, 74, 75, 107Pietrogrande, Antonella, 59, 159, 173Pietro il Grande, 46Piganiol de la Force, Jean-Aimar, 72Pio IV, 122Platone, 63Plinio, 63Poussin, Nicolas, 14, 26Rastrelli, Bartolomeo, 46, 61Regnaud, Jean, 77Riario, Raffaele, 61Ricci, Saverio, 16Richelieu, 32Ridolfi, Niccolò, 61Rigaud, Jacques, 73Ripa, Cesare, 60Riquet, Pierre-Paul, 75, 76, 108Robotti, Ciro, 114Rodolfo II, 67Rossi, Paolo, 158Roudaut, Richard, 60Sacco, Francesco, 157Salomone, Gaetano, 131, 139Sancio, Antonio, 83, 86, 89, 109, 110, 111, 112, 113, 114,

129, 130, 135, 136, 139, 140, 141, 156, 157, 166, 168, 173, 174, 175, 177

Sanfelice, Ferdinando, 50, 63Sassonia,

Federico Alberto di (Alberto III), 155Maria Amalia di, 16, 83, 109, 115, 123, 155

Saule, Béatrix, 60Scamozzi, Vincenzo, 66Serlio, Sebastiano, 173Simmaco Mazzocchi, Alessandro, 94Simmes, Marilyn, 155Sisto IV, 61

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Sisto V, 53, 60, 91Sitticus, Marcus, 161, 162Solari, Tommaso, 103Starace, Francesco, 114, 131, 139, 156Strazzullo, Franco, 60, 61, 64, 107, 109, 110, 111, 112, 113,

114, 156, 157Sualem, Rennequin, 72, 76, 77, 80Svevi, 51Swinburne, Henri, 127, 175S.Sansone, 61Tagliolini, Armando, 125, 155Tanucci, Bernardo, 15, 16, 102, 111, 114, 166Terracciano, Nicola, 171Tessin, Nicodemus (Nicolas) il giovane, 61, 80Thierry, Jean, 62Toledo, Eleonora di, 122Torelli, Giacomo, 159Torricelli, Evangelista, 107Tribolo, Niccolò, 161Turnbull, William Jr., 59Tuvolkov, Vasily, 46Van der Heyden, 62Vanvitelli,

Carlo, 15, 84, 110, 114, 115, 118, 131, 152, 153, 154, 156, 171, 175, 176, 177Luigi, 14, 15, 16, 17, 41, 42, 43, 43, 44, 48, 49, 51, 55, 56, 57, 58, 60, 61, 62, 64, 68, 71, 83, 84, 85, 86, 89, 90,91, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 107, 109, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 115, 116, 116, 117, 117, 118, 120, 122, 123, 124, 125, 126, 128, 129, 130, 133, 135, 137, 138, 140, 141, 145, 146, 147, 148, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 164, 165, 166, 168, 168, 169, 171, 173, 174, 175, 176, 177Pietro, 84, 110, 147, 157Urbano, 60, 61, 64, 68, 71, 100, 107, 109, 110, 111, 112,113, 114, 147, 156, 157

Van Wittel, Gaspar, 48, 62Varricchio, Giacomo, 156Vauban, Sébastien Le Prestre de, 76, 96, 98, 99, 109Velleio Patercolo, 85, 110Venditti, Aranldo, 104, 114, 115, 117, 118, 154Venturi, Gianni, 28, 59, 147, 154, 157Venturi Ferriolo, Massimo, 61Venturini, Giovanni Francesco, 160, 161Vico, Giambattista, 151, 158, 176Vignola, Jacopo Barozzi da, 61Virgilio, 157Vitruvio, 106von Kotzebue, August, 175von Sckell, Friedrich Ludwig, 45Vouet, Simon, 22, 26Wittkover, Rudolf, 15, 16Zangheri, Luigi, 49, 58, 59, 60, 62, 63, 65, 66, 68, 106, 107,

173Zuccali, Enrico, 44, 61

I nomi biblici, della letteratura e del mitoAcante, 26Adamo, 54, 169Adone, 54, 141, 148, 152, 154, 157, 158, 165Africo, 134Afrodite, 148, 157Alcina, 159Amadriadi, 155Amore, 120, 154Anapo, 139, 157Andromeda, 54, 124, 125Anfitrite, 33, 122, 123, 123, 155Apéllanire, 27Apollo (Sole), 24, 31, 33, 34, 35, 37, 48, 53, 59, 61, 64,

121, 122, 129, 130, 130, 131, 132, 155Aretusa, 139Artemide, 61Astrea, 155Atalanta, 125Atena, 157Atlante, 56, 57Atteone, 57, 124, 143, 144, 144, 145, 146, 151, 157, 164,

172Bacco, 36, 38, 124, 125Batto, 54, 57, 64, 124, 171Borea, 154, 157Calliopée, 27, 59Cerere, 36, 38, 54, 62, 125, 138, 139, 140, 145, 148, 157Chimera, 59Cibele, 62Clori, 154Consus, 125Deiopea, 134, 135, 157Delfine, 33Deucalione, 43Diana, 34, 51, 54, 57, 64, 124, 126, 143, 144, 145, 145,

148, 151, 157, 172Eco, 120, 154Efesto, 59Encelado, 13, 13, 39, 46Endimione, 154Enea, 133, 146, 152, 157, 163Eolo, 134, 135, 136, 157, 163Eos (Aurora), 59Era, 157Ercole, 30, 54, 62, 63, 121, 122, 123, 124, 155, 156Eretteo, 154Eris, 156Ermafrodito, 54Ermes, 57, 64, 171Esculapio, 54Esperidi, 59, 126Etiopi, 59Euro, 134, 136Eva, 54, 169Evandro, 152

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Indice dei nomi________________________________________________________________________________________________

Flora, 36, 38, 54, 103, 121, 121, 125, 154Giona, 156Giove, 43, 60, 124, 134, 155Giunone, 133, 134, 135, 145, 148, 153, 157Hortésie, 27Ippocrene, 125Ippomene, 125Kastalia, 61Latona, 38, Marsia, 165Marte, 62Mercurio, 62, 177Minerva, 62Muse, 124, 129, 130, 155Narciso, 120, 154Nettuno, 33, 62, 122, 123, 123, 129, 136, 137, 152, 155,

161Ninfe, 135, 136, 139, 140, 143, 145Noto, 134Oceano, 33, 122Opis, 125Orfeo, 53, 161Oronte, 27Palatiane, 27Pallade, 121Pandora, 62Paride, 134

Pegaso, 121, 124, 155Peleo, 156Perseo, 54, 124, 125Pirra, 43Pomona, 120, 125, 126, 126, 154, 155Poseidone, 155Proca, 155Proteo, 33Psiche, 62, 120, 154Ruggero, 159Salute, 54Sansone, 46Saturno, 36, 38, 62, 125Selene, 154Sibilla Albunea / Tiburtina, 65, 156Sileno, 54Simeto, 157Sommeil (il Sonno), 26Teti, 32, 123, 134, 156Titano, 59Tritoni, 140Venere, 65, 124, 126, 137, 141, 145, 148, 155, 156, 157,

165, 172Vertumno, 120, 125, 126, 154, 155Vittoria, 62Zefiro, 121, 121, 125, 154, 155, 157Zeus, 13, 39, 60, 61, 156

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Abruzzo, 95Acquavivola (monte), 91Airola, 88, 89, 111Aldifreda (strada), 131Alfeatino (lago), 68Alsazia, 109Amatunte, 154Amesfoort, 62Amsterdam,Aniene (fiume), 65, 106Anqueil (fiume), 24, 28, 30, 30, 31Appia (via), 63Aquitania, 108Aranjuez, 53Asia Minore, 154Atlantico (oceano), 76, 108Aude, 108Austria, 44Avellino, 53Badia di S. Pietro, 102Bagnaia, 13, 14, 42, 42, 43, 43, 61, 155, 162Bagnoli, 92Benevento, 111Berchères, 76Berlino,Bezons, 77Bièvre (fiume), 75Bologna, 122Bougival, 77Bourgneuf, 75Briano (monte), 48, 86, 89, 100, 101, 102, 103, 104, 111,

117, 121, 128, 143, 148, 157Brindisi, 63Bruxelles, 67Buc, 75Bucciano, 89, 110Calvo (monte), 101Campania, 51Capodimonte, 63, 83, 121Caprarola, 42, 42, 43Capua, 63, 85, 110Carré de trappes, 75Casanova, 104Casapulla, 104Caserta, 41, 48, 51, 52, 53, 57, 57, 58, 61, 84, 85, 86, 88,

95, 100, 101, 111, 113, 147, 152Casa Hirta, 51, 63

Caserta Vecchia, 52, 63, 89, 94, 177Casigliano, 61Casolla (casale), 102Castiglia, 53Castrone (monte), 91Charlottenburg, 61Chesnay, 74

Ciesco (monte), 88, 91, 111Citera, 154Civita Castellana, 94Clagny (stagno), 73, 74, 75Cnido, 154Corbet, 75Croce (monte), 93, 94, 111, 112Dordogna (fiume), 34DrottningholmDurazzano, 91, 92, 92Ebro (fiume), 123Elicona (monte), 124Emilia, 49Eure (fiume), 75, 76Europa, 22, 25, 39, 44, 60, 177Faenza (fiume), 90, 91, 91, 111Fano (monte), 91Fiero (monte), 91Finlandia, Golfo di, 46Firenze, 12, 53, 63, 161Fizzo (monte), 88, 89, 90, 105Francia, 19, 22, 26, 31, 33, 34, 38, 39, 44, 46, 47, 60, 61,

72, 108Francoforte, 67Frascati, 14, 42, 155, 163Garonna (fiume), 35, 108Garzano (casale), 101Garzano (monte), 83, 88, 94, 98, 100, 101, 137Genova, 120Germania, 44Grecia, 59Greenwich, 61Hampton Court, 61Heidelberg, 67Hollande, 75Ibero (fiume, vedi Ebro)Inghilterra, 107Isclero (fiume), 90Italia, 19, 49, 62Karlsberg, 63Kassel, 63La Celle-Saint-Cloud, 74La Flèche, 107L’Aja, 49Latmo (monte), 154La Tour, 75Lazio, 152Libano, 157Licia, 34, 59Liegi, 77Lilibeo (promontorio), 135Linguadoca, 108Loira (fiume), 35Londra, 49, 67

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

INDICE DEI LUOGHI

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Longano (monte), 84, 85, 92, 94Louveciennes, 77, 80, 82, 107Maastricht, 160Madagascar, 37Madalona / Matalona (vedi Maddaloni)Maddaloni, 67, 88, 94, 96, 99, 101, 110Madonna di Costantinopoli (chiesa), 92Madrid, 49, 157Maintenon, 76, 96Marly, 77, 78, 109Martorano (fiume), 92Mediterraneo (mare), 76, 108, 122Mesnil-Saint-Denis, 75Meudon, 22, 23Milano, 166

Duomo, 166Monceaux (fiume), 28, 30Montagna Nera, 108Montreuil, 78Monza, 174Napoli, 14, 15, 16, 41, 49, 50, 51, 53, 56, 62, 63, 83, 95,

102, 110, 113, 114, 120, 125, 127, 151, 152, 155, 156, 175, 176

Neuf-Brisach, 109

Nîmes, 94, 98Nonette (fiume), 24Olanda, 44Olimpo (monte), 39, 60Orsigny, 75Pachino (promontorio), 135Pafo, 154Palatino (monte), 155Palfour, 77Parigi, 16, 19, 22, 24, 63, 107, 108, 109

Place des Victoires, 76, 77Parma, 49, 121, 126, 155Parnaso (monte), 43, 64, 122, 125, 132, 133, 155Pecq, 77Peloro (promontorio), 135Perray, 75Pfaffenheim, 109Piacenza, 49, 107Piccardia, 78, 82Piemonte,Polonia, 62, 155Poltava, 61Pourras, 75Praga, 67, 106Prato (monte), 85, 91Provenza, 94, 107Puant (stagno), 24, 33Rambouillet, 75Ranciuose (vedi Aranjuez)Rodano (fiume), 34Roma, 12, 26, 53, 56, 61, 62, 65, 92, 110, 155, 159

Biblioteca Vaticana, 40

Meta sudans, 33Piazza Colonna, 132Piazza del Pantheon, 132Piazza Navona, 132Piazza Nicosia, 132Piazza San Pietro, 132Pincio, 64Quirinale, 136, 137San Pietro, 40Trinità dei Monti, 53

Rueil, 32Russia, 44, 46, 155S. Agata dei Goti, 84, 93, 94S. Barbara (casale), 102S. Benedetto, 114S. Nicola alla Strada, 156Saclay, 75, 108Sagrestia (monte), 91Saint-Germain, 77Saint-Hubert, 75Saint-James, 61Saint-Léger-de-Foucherest, 109Sala Baganza, 49, 50Salisburgo, 161, 162Sampierdarena, 161San Leucio, 15, 52, 53, 103, 177Sannio, 110San Pietroburgo, 46Sant’Angelo (monte), 65Santa Prisca (casale), 110Santella (strada), 114Saone (fiume), 35Sassonia, 114Satory, 75, 82Sciorenza (vedi Firenze)Sebeto (fiume), 123Segovia,Senna (fiume), 24, 34, 75, 77, 78, 79, 81, 82Sicilia, 135, 139, 157, 163Sor (fiume), 108Spagna, 15, 16, 47, 67, 94, 133, 177Stella maggiore (monte), 91Stoccolma, 21Strasburgo, 109Stupinigi, 48Subiaco, 68Svezia, 61Taburno (monte), 85, 86, 88Tevere (fiume), 31, 106Tifata (monte), 88, 110, 111Tifatini (monti), 84, 94, 148Tivoli, 11,12, 20, 40, 41, 42, 65, 113, 133, 155, 156, 160,

160, 162S. Maria Maggiore, 65

Tolosa, 108Tora (casale), 102

Indice dei luoghi________________________________________________________________________________________________

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Torre, villaggio, 52, 55Trento, 122Trou d’Enfer, 78Trou Salé, 75Ucraina, 61Val de Bièvre, 74, 74, 75Valeria (via), 68Valsanzibio, 54, 55, 57, 62, 135, 138, 157Vaucresson, 74Venezia, 60, 120, 138Versailles, 28, 32, 60, 61, 74, 75, 76, 77, 77, 78, 81, 82,

83, 121, 159, 160, 168, 176Vesuvio (monte), 123Villiers, 75Vistola (fiume), 123Viterbo, 61Voisins, 78Würm (fiume), 44

Acquedotti, sorgenti, opere idraulicheAcqua Giulia, 51, 85, 88Acqua Marzia, 68Acqua Paola, 68Acquedotto Carmignano, 83, 91, 102Acquedotto Carolino, 72, 83, 84, 84, 85, 87, 89, 90, 92,

93, 94, 95, 98, 102, 103, 105, 110, 111, 114, 131, 152, 166, 171, 174, 176, 177

Acquedotto Claudio, 112Acquedotto di Arcueil, 106Acquedotto di Buc, 75Acquedotto di Louveciennes, 76, 78Acquedotto di Maintenon, 76, 76, 98, 99, 109Acquedotto di Retz, 66Acquedotto Rivellese, 65Atalena (sorgente), 88, 110Bollore (sorgente), 86Canal de la Bruche, 109Canal du Midi, 76, 108, 109Canal Vauban, 109Casolla (sorgente), 55Condotto Vecchio, 55, 56Fico (sorgente), 86Fizzo (sorgente), 86, 87Fontana dei Cavoli (sorgente), 86Fontana del Duca (sorgente), 86Fontanelle (sorgente), 56, 88, 111Giove (sorgente), 56, 88Launay (mulino), 75Macchina di Marly, 69, 70, 70, 75, 76, 77, 78, 79, 79, 80,

80, 81, 81, 82, 107Mango (sorgente), 86Marano (sorgente), 86Mastro Marco (molino), 91Matarano (sorgente), 86Molinile (sorgente), 86Molinise (sorgente), 85, 86

Montbauron (serbatoi), 75, 78, 82Noce (sorgente), 86Olmo (sorgente), 86Peschiera (sorgente, vedi Peschiera del Principe)Peschiera del Principe (sorgente), 86, 88, 90Pont du Gard, 94, 96, 98, 109Ponti della Valle, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101,

101, 105, 107, 175Rapillo (sorgente), 86, 88Ru de la Princesse (sorgente), 80Sambuco (sorgente), 86Satory (serbatoio), 75Sfizzo (sorgente, vedi Fizzo)S. Sebastiano (sorgente), 86Stagni Inferiori, 75Stagni Superiori, 75Stagni Vecchi, 75Tréfle (serbatoio), 82Vella (sorgente), 86

Boschetti e ParterresArc de Triomphe, 58Bains d’Apollon, 107Berceau d’Eau, 58Bosquet de la Reine, 58Bosquet de l’Etoile, 58Bosquet de l’Obélisque, 58, 107Bosquet des Bains d’Apollon, 58Bosquet des Dômes, 48, 58, 107Boschetto d i Encelado, 58, 107Bosquet des Sources, 58Colonnata (Colonnade), 37, 48, 58, 60, 107Giardino di Flora, 117, 118, 125Giardino di Zefiro, 117, 118, 125Isola Reale, 58Labirinto, 58Marais, 58Parterre d’Acqua, 45, 46Parterre d’Eau, 34, 34, 35, 38Parterre Nord, 33, 34, 74, 121Parterre Sud, 23, 23, 33, 34, 148Plazuela de los Ochos Calles, 48Sala da Ballo (Bosquet des Rocailles), 37, 58, 107Salone di Amore e Psiche, 118, 120Salone di Narciso ed Eco, 118, 120Tre Fontane, 58

Fontane, Bacini, Giochi d’AcquaBacini delle Quattro Stagioni, 38Bacino del Drago, 33Bacino / Fontana di Apollo, 35, 37, 38, 73Bacino di Latona (Versailles), 34, 36, 107Bacino di Nettuno, 33, 74Bagno di Diana (La Granja di San Ildefonso), 48, 62,

157Bagno di Diana (Valsanzibio), 138

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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Bagno di Venere, 172, 172, 177Canopo, 11, 20,Cascata della Scacchiera (dei Draghi), 46Collina d’Oro (cascata), 46Fontana dei Delfini (Bagnaia), 43Fontana dei Delfini (Caserta), 102, 103, 103, 131, 131,

132, 133, 133, 153, 163, 166, 175, 176, 177Fontana dei Draghi, 162Fontana dei Fiumi Reali Ibero, Vistola ed il piccolo

Sebeto, 118, 123, 153Fontana dei Giganti, 43Fontana dei Lumini, 13, 162Fontana del Diluvio, 43Fontana del Dragone, 73Fontana del Moro, 132Fontana del Nettuno (Bologna), 122Fontana del Nettuno (Firenze), 122Fontana del Pastore, 171, 172Fontana del Pavillon, 73Fontana del Sole, 46Fontana del Tevere, 106Fontana della Civetta, 106, 161, 162Fontana della Corona, 156Fontana della Fama (La Granja di San Ildefonso), 48, 62,

124, 125Fontana della Fama (Herrenchiemsee), 46Fontana della Fortuna (Herrenchiemsee), 46Fontana della Regia Corte di Nettuno, 118, 121, 123, 124,

125, 130, 153Fontana della Piramide, 171, 177Fontana delle Bagnanti (di Caserta), 136, 137Fontana delle Rane, 48Fontana delle Tre Grazie, 47Fontana dell’Oceano (Francavilla), 122Fontana dell’Oceano (Giambologna), 122Fontana dell’Organo, 162Fontana dell’Ovato, 133, 156Fontana di Adone, 118, 120Fontana di Andromeda, 48, 124, 124Fontana di Anfitrite, 47, 48, 137, 145, 147Fontana di Artemide Efesia, 106Fontana di Atalanta, 118, 124Fontana di Bacco, 118Fontana di Cerere, 100, 101, 137, 138, 139, 140, 141,

142, 146, 147, 152, 157, 163, 164Fontana di Diana (Caserta, Dichiarazione), 118, 120Fontana di Diana e Atteone, 103, 143, 144, 145, 145, 146,

150, 151, 164, 171Fontana di Encelado, 13, 13Fontana di Endimione, 118, 120Fontana di Eolo (Caserta), 133, 134, 135, 136, 136, 137,

137, 144, 145, 146, 147, 148, 156, 157, 163, 163Fontana di Eolo (La Granja di San Ildefonso), 48, 62Fontana di Ercole, 118Fontana di Flora (Caserta), 118Fontana di Flora (Nymphenburg), 45

Fontana di Ippocrene, 118, 124Fontana di Latona (La Granja di San Ildefonso), 48Fontana di Latona (Herrenchiemsee), 46Fontana di Nettuno (Versailles), 48, 107Fontana di Pallade, 118Fontana di Perseo, 118, 124Fontana di Pomona, 118Fontana di Roma, 106, 161Fontana di Tivoli, 106, 162Fontana di Venere (Caserta, asse centrale), 100, 139, 140,

140, 141, 142, 146, 147, 148, 151, 163, 164, 164, 165Fontana di Venere (Caserta, Dichiarazione), 118, 120Fontana di Venere (Villa d’Este), 160Fontana di Vertumno, 118Fontana di Zefiro, 118Fontane di Adamo ed Eva, 46Fontane di Amore e Psiche, 116, 118, 163, 173Fontana di Narciso ed Eco, 116, 118Fontana Margherita (del Canestro), 129, 130, 131, 153Grand Canal (Sceaux), 23Grand Canal (Vaux-le-Vicomte), 24, 28, 29, 30Grand Canal (Versailles), 23, 34, 35, 38, 39, 48, 82, 168Grande Cascata, 46, 47Grande Peschiera, 104, 118, 127, 131, 165, 166, 167,

167, 168, 168, 169, 170Grotta degli animali, 161Grotta del canto degli uccelli, 162Grotta di Teti, 35, 106, 160Mar, 47, 62Peschiera dei Venti, 135, 157Piramide (Peterhof), 46Piramide (Versailles), 73Specchio d’acqua degli Svizzeri, 23, 23, 24, 33, 82Stagno Quadrato, 47Tavola del Cardinale, 43, 162Tavola del Principe, 162, 162Teatro d’Acqua (Versailles), 160Teatro delle Acque (Villa Aldobrandini), 163Viale delle Cento Fontane, 106

Parchi e giardiniBelvedere (Vaticano), 39, 40, 41, 60Boboli, 67, 122Bois de Boulogne, 63Capodimonte, 49, 50Caserta, 14, 15, 17, 17, 42, 43, 48, 53, 56, 58, 66, 84, 89,

100, 102, 103, 103, 105, 115, 125, 127, 130, 131, 132, 133, 133, 134, 135, 135, 137, 138, 138, 139, 140, 141,143, 144, 144, 145, 147, 148, 149, 150, 151, 151, 152, 153, 153, 163, 163, 164, 165, 165, 166, 167, 171, 172,173, 175, 176, 176, 177Aperia, 103, 104, 171Belvedere, 53Boschetto, 53, 54, 55, 56, 168, 170, 173Bosco Vecchio, 55, 56, 103, 124, 127, 165, 165, 166, 174, 167, 168, 170

Indice dei luoghi________________________________________________________________________________________________

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Cappella degli Schiavi, 170Castelluccia, 56, 127, 131, 165, 167, 168, 169, 169, 170, 170Giardino Inglese, 15, 56, 57, 103, 127, 152, 156, 171, 172, 172, 173, 174, 175, 177Pernesta, 56, 169, 170, 170Ponte di Ercole, 104, 131, 151Ponte di Sala, 104, 151S. Silvestro, 157

Chantilly, 22, 24, 45, 58, 61, 73, 107Manche, 24

Colorno, 49, 50, 50, 62Aranceria, 49Bosco della Mezzaluna, 49

Fontainebleau, 22, 58, 106, 159Hannover, 44

Grosser Garten, 44Hellbrunn, 161, 162Herrenchiemsee, 45, 46, 48, 61

Sala degli Specchi, 46Stanza del Re, 46

Herrenhausen, 44La Granja di San Ildefonso, 47, 48, 49, 124, 124, 125,

137, 145, 147, 157Longschamps, 63Marly-le-roi, 24, 61, 63, 78

Aubrevoir, 24Belvedere, 24Grande Cascata, 24Gran Parco, 24Grille Royale, 24Padiglione del Sole, 24

Nymphenburg, 44, 45Badenburg, 45Large Parterre, 45Pagodenburg, 45

Palais du Luxembourg, 106Peterhof, 46, 47, 47, 61

Grotta Maggiore, 46Parco Inferiore, 46, 61Parco Superiore, 46, 61

Pratolino, 53, 60, 67, 161, 163, 164, 173Richmond, 106Saint-Cloud, 22, 23, 24, 25, 46, 81, 109

Allée des Goulottes, 25Gerbe, 23viale della Balustrata, 24

Saint-Germain en Laye, 22, 25, 58, 66

Sceaux, 22, 23, 24, 58, 160lago Morto, 24Spianata delle Quattro Statue, 24

Schleissheim, 44, 45, 61Castello Nuovo, 61Castello Vecchio, 61Lustheim, 45, 61

Tuileries, 22, 25, 58Vaux-le-Vicomte, 20, 21, 22, 24, 25, 25, 26, 26, 27, 27,

28, 29, 30, 30, 31, 31, 32, 58, 59, 61, 63, 141, 156, 159,160, 173Cancelli d’Acqua, 29Cancelli dell’Orto, 30Grotte, 28, 29, 29Piccole Cascate, 30

Versailles, 12, 13, 13, 14, 17, 18, 18, 19, 22, 23, 23, 24,31, 34, 35, 36, 37, 38, 42, 43, 44, 45, 45, 47, 56, 58, 59,63, 72, 73, 73, 75, 81, 82, 105, 106, 107, 108, 109, 118,121, 148Allée Royale, 46Fama del Re, 33Ménagerie, 39Orangerie, 23, 33, 38, 160Potager, 58Trianon, 23, 38, 39, 82, 168, 171Viale dell’Acqua, 33

Regge e Palazzi RealiCaserta, 14, 14, 16, 17, 27, 48, 49, 50, 51, 56, 58, 62, 72,

84, 85, 88, 89, 103, 103, 106, 112, 115, 116, 117, 120, 127, 128, 128, 131, 136, 141, 148, 156, 163, 171, 174, 175, 177Vestibolo, 49

Versailles, 16, 25, 27, 31, 32, 38, 39, 43, 46, 48, 49, 50,62, 72, 124

Cortile di Marmo, 32, 33

Ville e PalazziPalazzo Farnese, 42, 42Villa Adriana, 11, 20Villa Aldobrandini, 14, 42, 155, 163Villa Barbarigo, 54, 55, 57, 62, 135, 138, 157Villa d’Este, 19, 40, 41, 41, 42, 65, 106, 155, 160, 162,

164Villa di Castello, 161, 161Villa Lante, 13, 14, 42, 42, 43, 43, 61, 155, 162Villa Ludovisi, 42

Le architetture per l’acqua nel Parco di Caserta________________________________________________________________________________________________

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p. 18 Filippo PIZZONI, Il giardino arte e storia, dal Medioevo al Novecento, Leonardo arte, Milano, 1997.pp. 20, 21, 25 Vaux-le-Vicomte, Publications Elysées, s.l., s.d.p. 32 Richard ROUDAUT, Le Nôtre. L’Art des jardins à la française, Parangon, Paris, 2000.p. 41 Torsten Olaf ENGE, Carl Friedrich SCHRÖER, Architettura dei giardini in Europa. 1450-1800, Benedikt Taschen,

Colonia, 1991.p. 43 Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera, Electa Napoli, Napoli, 1993.p. 50 Delizia Farnesiana in Colorno, a cura di Marzio dall’Acqua, Colorno, 1995.pp. 52, 53, 54 Anna GIANNETTI, Il giardino napoletano dal Quattrocento al Settecento, Electa Napoli, Napoli, 1994.p. 55 Loris FONTANA, Valsanzibio, Bertoncello, Padova, 1990.p. 57 Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera, Electa Napoli, Napoli, 1993.pp. 66, 67 Luigi ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio, Leo S. Olschki, Firenze, 2003.p. 68 Fontane, giochi d’acqua e spettacolo, a cura di Marilyn Simmes, ed. Librerie Dedalo, Roma, 1998.p. 69 Carlo FONTANA, Utilissimo trattato dell’acque correnti, Roma, 1696.p.70 DIDEROT E D’ALEMBERT, Encyclopédie, Tutte le tavole, II, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002.p.71 Bernard FOREST DE BÉLIDOR, Architecture Hydraulique, ou l’Art de conduire, d’élever, et de menager les Eaux

pour les différents besoins de la Vie, Jombert, Parigi, 1737-1753.p. 72 Giardini, orti e labirinti, a cura di Lucia Impelluso, Electa, Milano, 2005.p. 73 Les jardins de Le Nôtre à Versailles, Plans de Jean Chaufourier, presentazione di Pierre Arizzoli-Clémentel, Alain

de Gourcuff, Parigi, 2000.p. 76 Filippo PIZZONI, Il giardino arte e storia, dal Medioevo al Novecento, Leonardo arte, Milano, 1997.pp. 79, 80, 81, 82 Historique de la Machine de Marly, Circuit chemin de Mi-Côte à Louveciennes, raccolta dei pannelli

esplicativi posti lungo il percorso della Ferme de Mi-Côte a cura del comune di Louveciennes, s.l., s.d.pp .91, 97, 100 Il Palazzo Reale di Caserta, a cura di Cesare Cundari, Edizioni Kappa, Roma, 2005.p. 102 Franco STRAZZULLO, Le lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca palatina di Caserta, Congedo Editore, Gala-

tina, 1976.p. 115 Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera, Electa Napoli, Napoli, 1993.p. 116 Planimetria di Dezallier d’Argenville tratta da Antoine-Joseph DEZALLIER D’ARGENVILLE, La Théorie et la Pra-

tique du Jardinage, 1739; Progetto della Reggia di Caserta tratto da Laura CARNEVALI, Il complesso Vanvitellianodi Caserta, studi ed esperienze di ricerca, Edizioni Kappa, Roma, 2004.

pp. 117, 120 Il Palazzo Reale di Caserta, a cura di Cesare Cundari, Edizioni Kappa, Roma, 2005.p. 122 I Grandi Maestri della Pittura Europea, Scala, Firenze, 2003.p. 152 Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera, Electa Napoli, Napoli, 1993.p. 160 Fontane, giochi d’acqua e spettacolo, a cura di Marilyn Simmes, ed. Librerie Dedalo, Roma, 1998.p. 161 Filippo PIZZONI, Il giardino arte e storia, dal Medioevo al Novecento, Leonardo arte, Milano, 1997.p. 162 Fontane, giochi d’acqua e spettacolo, a cura di Marilyn Simmes, ed. Librerie Dedalo, Roma, 1998.p. 168 Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera, Electa Napoli, Napoli, 1993.p. 170 Anna GIANNETTI, Il giardino napoletano dal Quattrocento al Settecento, Electa Napoli, Napoli, 1994.

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Le illustrazioni assenti dal presente elenco sono ad opera dell’autore. In particolare i disegni relativialle architetture per l’acqua presenti nel Parco della Reggia di Caserta sono stati realizzati nell’ambitodella ricerca commissionata dalla Soprintendenza B. A. A. A. S. di Caserta e Benevento al Diparti-mento R. A. D. A. Ar. della “Sapienza” Università di Roma per il rilievo del Parco (ricerca coordinatadal Prof. Arch. C. Cundari).

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di luglio del 2009dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)

per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE: Copertina: Patinata opaca Bravomatt 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Patinata opaca Bravomatt 115 g/m2

ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura

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