#24 - La Città invisibile - Firenze

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La rivista di perUnaltracittà, laboratorio politico Firenze. Info su http://www.perunaltracitta.org. Un periodico on line in cui si dà direttamente spazio alle voci di chi, ancora troppo poco visibile, sta dentro le lotte o esercita un pensiero critico delle politiche liberiste; che sollecita contributi di chi fa crescere analisi e esperienze di lotta; che fa emergere collegamenti e relazioni tra i molti presìdi di resistenza sociale; che vuole contribuire alla diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto indispensabile per animare reazioni culturali e conflittualità sociali. Perché il futuro è oltre il pensiero unico. Anche a Firenze e in Toscana

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perUnaltracittà, laboratorio politicoLA CITTÀ INVISIBILE #24 dell'8 luglio 2015

PRIMO PIANO

Lo sapevate... comesi è formato il debito greco?di Redazione

Perché votare NO al referendumgreco in 6 punti velocidi Yanis Varoufakis, ex ministrodelle finanze greco

Debito statale e crisi economica:le bugie che ci hanno dettodi Gianni Del Panta, studioso discienze politiche, perUnaltracittà

Default totaledi Giulio Palermo, ricercatoredi Economia Politica a Brescia

L'Europa del Nawrudi Roberto Bartoli, del GruppoEconomia Ernesto Balducci

Le 10 cose da sapere sul nuovoaeroporto di Firenzedi Ilaria Agostini, urbanista e attivain perUnaltracittà, conun'infografica di Francesca Conti,attiva in perUnaltracittà

La lobby delle utilitydi Marco Bersani, Attac Italia

Il bluff di Nardellasulla sfida del climadi Cecco Angiolieri, focosoosservatore critico fiorentino

Voci dal carcere, dopo il quintomorto a Sollicciano nel 2015di Maurizio De Zordo, attivoin perUnaltracittà, con contributidei detenuti di Pozzuoli e Parma

sTortura, perché l'Italianon sa punire la torturadi Lorenzo Guadagnucci, giornalistae attivista per i diritti civili

Jihad, Rossi va in Africa.Ma la missione è in patriadi Elle Pi, cooperante nei Paesidel Sud del mondo

In certi casi,la disobbedienza è un doveredi Redazione

Per Mondeggi e il futurodella democrazia,di Tomaso Montanari storicodell'arte

Glifosato: innocuo a Firenze,cancerogeno a Bolzanodi Gian Luca Garetti, medico“sentinella” della Piana fiorentina,attivo in perUnaltracittà

LE RUBRICHE

Cultura sì, cultura noa cura di Franca FallettiScompare un'altra eccellenzafiorentina: l'ex Istituto d'artedi Porta Romana, di F.F.

Pistoia l'altra faccia della Pianaa cura di Antonio FiorentinoIl recupero di un'area indebitata:l'ex ospedale Ceppo, di A.F.

Kill Billya cura di Gilberto PierazzuoliLe radici di una fede di MassimoAmato, di G.P.

Ricette e altre storiea cura di Barbara Zattonie Gabriele PalloniOrzata di riso, di B.Z.

La Città invisibile è un periodico on line in cui si dà direttamente spazio

alle voci di chi, ancora troppo poco visibile, sta dentro le lotte o esercita

un pensiero critico delle politiche liberiste; che sollecita contributi

di chi fa crescere analisi e esperienze di lotta; che fa emergere collegamenti

e relazioni tra i molti presìdi di resistenza sociale; che vuole contribuire

alla diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto indispensabile

per animare reazioni culturali e conflittualità sociali.

Perché il futuro è oltre il pensiero unico.

Anche a Firenze e in Toscana.

LA CITTÀ INVISIBILEVoci oltre il pensiero unico

Direttore editoriale Ornella De ZordoDirettore responsabile Francesca Conti

www.cittainvisibile.infowww.perunaltracitta.org/la-citta-invisibile

Testata in attesa di registrazione

EDITORIALE SOMMARIO

Cari/e amici/e,

con il numero 24 La Città invisibile completa il suo primo anno di

attività. Puntualmente inviata ogni due mercoledì tramite la

nostra mailing list, diffusa sui media sociali articolo per articolo e

anche nella versione pdf stampabile, è andata ben oltre le nostre

aspettative raggiungendo più di 60.000 persone. Come avrete

notato, si è arricchita di nuove rubriche, di articoli dal taglio più

agile della serie “Lo sapevate che...” e “Le dieci cose da sapere su...” e

da qualche tempo ha adottato la modalità dell'anteprima, con cui

articoli legati a attualità o di particolare interesse vengono diffusi

anche prima dell'uscita ufficiale. In questo numero troverete tre

interventi sulla Grecia e il suo debito, per cercare di capire, dopo

la grande vittoria del no al referendum e la lezione di dignità che

viene dal paese ellenico, meccanismi, ricatti e miserie del

neoliberismo continentale.

E poi contributi sulla situazione in Tunisia dopo i fatti di Sousse,

sulle lobby delle utilities, sul carcere con due testimonianze

dirette, sulla legge sulla tortura, la lettera dei ferrovieri francesi

disobbedienti a Ventimiglia. Gli aspetti più territoriali vengono

toccati da articoli sulle cose da sapere sul nuovo aeroporto di

Firenze (con infografica), Mondeggi e il futuro della democrazia,

le esternazioni del sindaco Nardella sul clima, la mancata

prevenzione nell'uso del glifosato, lo stato dell'ex Istituto d'Arte

di Porta Romana, un affondo sull'area dell'ex ospedale del Ceppo

a Pistoia. Chiudono una recensione/saggio nello Scaffale del

debito e l'immancabile ricetta estiva.

Sospendiamo per una pausa estiva, ma ci riserviamo comunque di

inviare articoli se vi saranno idee, proposte e energie. E

aggiungiamo che siamo sempre più convinti della necessità di

contribuire alla “diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto

indispensabile per animare reazioni culturali e conflittualità sociali”.

La redazione

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PRIMO PIANO

Lo sapevate...come si è formatoil debito greco?di Redazione

- La Grecia ha ricevuto 252 miliardi di euro dal2010 al 2015.- Solo il 10% di questi è andato a ridurre gli effettidisastrosi delle politiche di austerità sul Pil(-27%), sui salari (-37%) sulle pensioni (in media-40%), sulla disoccupazione (27%), sull'espulsionedi lavoratori dal settore pubblico (-30).- Il 90% è andato in servizio del debito. Aguadagnare sono i creditori, a partire dalla Bce edalle Banche centrali degli Stati europei.- La maggior parte del debito greco era in originenelle mani delle banche private. Dal 2010 icreditori privati sono riusciti a scaricare sugliStati europei le obbligazioni greche a rischio. Oggil'80% del debito pubblico è in mano ai creditoripubblici: 14 Stati membri della zona euro, l'Efsf, ilFmi e la Bce.- I prestiti dei vari Memorandum non sono andatiai greci ma ai creditori.- Le condizioni imposte dalle ulteriori riformeneoliberiste hanno contribuito a creare l'illusioneche erano state progettate per garantire larestituzione del debito, invece solo il 10% è statodestinato alle spese correnti del governo.- I tagli agli stipendi e alle pensioni hanno causatouna riduzione del Pil, perdite fiscali e un aumentodel debito pubblico. Le stime mostrano che la soladiminuzione dei salari ha portato a una riduzionedel Pil del 4,5% e a un aumento di 7,8% delrapporto tra debito pubblico e Pil.- Il Fondo monetario internazionale impone latassazione dei ceti medi e bassi invece cheaumentare le tasse ai ricchi. Si colpiscono così idipendenti pubblici, i pensionati e i consumatoriattraverso l'aumento dell'iva.- Le banche private hanno fatto per anni profitticon le loro attività speculative sul debito greco, epoi non hanno avuto perdite significative grazieal programma che ha permesso alla Grecia di

pagare gli interessi alle banche private ir-responsabili.- In conclusione l'obiettivo principale della Troikanon era era il salvataggio della Grecia bensì quellodi banche e creditori privati e il debito èillegittimo.

Perché votare NOal referendum grecoin 6 punti velocidal blog di Yanis Varoufakis

ex ministro delle finanze greco

1. Le negoziazioni sono andate in stallo perché icreditori hanno (a) rifiutato di ridurre il nostroimpagabile debito pubblico e (b) insistito chedoveva essere ripagato "parametricamente" daimembri più deboli della nostra società, i loro figlied i loro nipoti.2. Il FMI, il governo degli Stati Uniti, molti altrigoverni di tutto il pianeta e molti economistiindipendenti credono - come noi - che il debitodebba essere ristrutturato.3. L'eurogruppo aveva (Novembre 2012) ammessoche il debito doveva essere ristrutturato, ma hasempre rifiutato di impegnarsi in tal senso.4. Sin dall'annuncio del referendum, le istituzionieuropee hanno mandato segnali in favore dellaristrutturazione del debito. Questi segnalimostrano che anche le istituzioni europeevoterebbero NO alla loro offerta "finale".5. La Grecia rimarrà nell'euro. I depositi bancarisono al sicuro. I creditori hanno scelto la strategiadel ricatto basata sulla chiusura delle banche.L'attuale impasse è dovuta a questa scelta deicreditori, e non all'interruzione dei negoziati daparte del governo greco o a ipotesi greche digrexit e svalutazione. Il posto della Grecianell'eurozona e nell'Unione Europea non ènegoziabile.6. Il futuro ci chiede una Grecia orgogliosa dentrol'eurozona e nel cuore d'europa. Il futuro chiedeche i greci dicano un grande NO questa domenica,chiede che restiamo nell'area euro, e che, con ilpotere di cui ci investe questo NO, rinegoziamo ildebito pubblico e la distribuzione dei carichieconomici tra quelli che hanno e quelli che nonhanno.

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Debito statale e crisi economica:le bugie che ci hanno dettodi Gianni Del Panta

studioso di scienze politiche e attivista di perUnaltracittà

Sono ormai passati così tanti anni da quando tuttoè cominciato che sembra opportuno perderequalche riga a ricordare alcuni, probabilmentebanali, eventi. Questo perché l'avvertitasituazione di continua emergenza che viviamonon faccia annegare tutto in un indefinito edimprecisato presente, dove sviluppi storici etrasformazioni di lungo periodo vengono avvertiticome transitori e passeggeri - eccezionali, nel lorosupposto carattere di straordinarietà.Come molti ricorderanno, l'esplosione della bolladei mutui sub-prime negli Stati Uniti sul finire del2007 si riverberò, nel giro di pochi mesi, sull'altrasponda dell'Atlantico, facendo sprofondare i paesieuropei in una profonda ed ancora oggiinsuperata crisi economica.Molti economisti e studiosi, persino a sinistra,interpretarono questa come il frutto maligno diuna crescita sconsiderata della finanza,variamente apostrofata come parassitaria oppurefittizia. Altri, con una cassetta degli attrezzimeglio equipaggiata e più robusta, scorseroinvece nell'esplosione quantitativa del capitalefinanziario l'epifenomeno che mascherava lacrescente incapacità del capitale di valorizzarsiall'interno del processo produttivo.Per quanto diverse, queste due correnti dipensiero sono state accumunate dalla perduranteincapacità di sfidare una terza vulgata, destinataad affermarsi, soprattutto a livello inconscio,come assolutamente egemone nel discorsopubblico. Quest'ultima ha ripetutamente affer-mato che la crisi economica globale, particolar-mente severa nell'area euro, era il portato diun'esorbitante ed insostenibile debito statale.Questo fardello, ci è stato costantementericordato, sarebbe stato determinato dall'avervissuto da parte di molti al di sopra delle proprieopportunità nei precedenti decenni. Piùspecificatamente, un alto debito avrebberappresentato un pericoloso cappio al collo permolti stati facenti parte della moneta unica che,

costretti a rifinanziarsi sui mercati internazionali,erano costretti ad esborsare crescenti tassi diinteresse per ottenere credito. In una perfidaspirale, questo avrebbe a sua volta alimentato unincontrollato aumento del debito con le supposteconseguenze sui nuovi prestiti che venivanorichiesti.La soluzione veniva quindi individuata nelperseguimento di una serie di politiche (dalleprivatizzazioni delle compagnie statali al tagliodella spesa sociale; dal blocco di salari e pensioniallo snellimento della macchina statale) cheavrebbero dovuto, a loro volta, determinare unaminore spesa corrente ed il positivo liberarsi dirisorse ed energie che avrebbe alimentato unnuovo processo di crescita.Sintetizzando quindi, la vulgata dominante puòessere ricondotta a due grandi assunti teorici.Accettati come incontestabilmente veri dallaquasi totalità della carta stampata e dai varirotocalchi televisivi, vengono in questo brevearticolo degradati a mere ipotesi di lavoro, al finedi testarne la veridicità empirica.H1: La crisi economica è il portato dell'alto debitostatale. Immaginando una relazione determi-nistica e monotonica tra le due variabili siconclude che all'aumentare del debito statalecresce la possibilità che uno stato sia colpito dadifficoltà economiche.H2: Il perseguimento delle cosiddette misure diausterity produce un effetto positivo sul debitostatale, riducendolo quindi in rapporto al Pil,anche grazie al processo di crescita economicache viene attivato.La prima ipotesi risulterebbe verificata se i paesidell'unione monetaria maggiormente colpiti dallacrisi economica fossero quelli che alla vigilia dellastessa presentavano un più alto debito statale.L'ipotesi è ovviamente testata per quegli undicipaesi che hanno adottato la moneta unica fin dalsuo concepimento, mentre sono esclusi i membrientrati nelle varie ondate di allargamento deiconfini dell'unione monetaria che si sonosuccesse a partire dal 2007. Inoltre, per le sue fintroppo evidenti particolarità e per il carattere dicittà-stato, il Lussemburgo è escluso.Senza bisogno di produrre una dettagliata enoiosa analisi statistica, pensiamo che i dati non

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presentino la possibilità di differentiinterpretazioni. Come sappiamo, quattro paesisono stati severamente colpiti dalla crisieconomica: Grecia, Portogallo, Spagna, ed Irlanda.Con l'esclusione del paese ellenico, tutti gli altrimostravano una situazione di indebitamentoassolutamente in linea con i dogmi imposti daFrancoforte. Assurdamente, l'Irlanda era il paesemeno indebitato di tutti, la Spagna rimanevaampiamente sotto la famosa soglia del 60% dirapporto tra debito e Pil imposta dal trattato diMaastricht, mentre il Portogallo che sforavaleggermente questa "barriera" faceva comunquemeglio di Francia e, addirittura, Germania.In conclusione quindi, la prima ipotesi ècompletamente da rigettare. La crisi economicanon è il portato di un alto debito statale.

Rapporto Debito/Pil nel 2007e gravità dell'imminente crisi economica

La seconda ipotesi sarebbe invece confermata se ipaesi che hanno adottato con più solerzia idettami neo-liberisti avessero riscontrato unsensibile miglioramento nel rapporto tra debito epil. Considerata l'aleatorietà di questo parametro,abbiamo deciso di utilizzare l'intervento dellafamigerata Troika (Commissione Europea, BancaCentrale Europea, e Fondo MonetarioInternazionale) come elemento discernente.Infatti, quei paesi che sono stati costretti asottostare alle sue imposizioni, sonoindiscutibilmente quelli che con più forza hanno

adottato le cosiddette misure di austerity.Ovviamente, il campione preso in esame qui è ilmedesimo. Questo è diviso tra paesi che hannosubito l'intervento della Troika (Grecia,Portogallo, Spagna, ed Irlanda) e gli altri cheinvece sono riusciti a sfuggire alle sue grinfie.I risultati non potrebbero essere più chiari. Iquattro sfortunati paesi hanno visto esplodere illoro debito statale da una media del 53,6 percentoad oltre il 123 percento, mentre per tutti gli altrila variazione è stata decisamente più contenuta,mediamente dal 64 a poco meno del 90 percento.La conclusione è quindi che l'attuazione di misuredi chiaro impianto neo-liberista fa esplodere,invece di ridurre, come generalmente creduto, ildebito statale. In altri termini quindi, il pazienteviene volontariamente curato con la malattia,piuttosto che con il farmaco.

Rapporto Debito/Pil nel 2007 e nel 2014 nei paesi dove èintervenuta/non intervenuta la Troika

Il caso più significativo tra quelli dove vi è statoun intervento della Troika è certamente quellogreco nel quale si è registrata la più pesantecaduta della domanda, della produzione,dell'occupazione, e dei redditi mai registrata inepoca di pace.Domenica, come noto, si terrà un importante

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referendum ad Atene. Questo non riguarda ladecisione se abbandonare, oppure restare, nellamoneta unica da parte del paese ellenico. Piùnello specifico, una vittoria dei "no" non sarebbeneanche il rigetto completo e totale delle misuredi austerity imposte. Il quesito, da questo punto divista, ha una portata ancora più limitata e faesclusivo riferimento all'ultimo giro di trattativetra Atene ed i suoi aguzzini.Al tempo stesso però, a nessuno sfugge che lapartita giocata sia molto più grande di quellastrettamente referendaria. In una settimanacaldissima, da tutti i punti di vista, con moltinostrani impegnati a sostenere la battaglia diSyriza, oppure protesi a denunciarne un eccessivoe blando attendismo e formalismo, noi possiamosolo tifare l'esplodere di nuove e più profondecontraddizioni che si possano riverberaresull'intero continente. La detonazione delle qualisembra oggi legata alla vittoria del "no". Per taleragione tifiamo "no".

Default totaledi Giulio Palermo

ricercatore di Economia Politica, università di Brescia

In questo articolo, propongo una riflessione adampio raggio sulla possibilità che il movimentocontro il debito si sviluppi attivamente in ognipaese d'Europa, connotandosi in sensoanticapitalista. Invece di tifare Grecia e sperareche il governo Tsipras strappi condizionidignitose nelle trattative con i creditori chestrangolano il paese, l'idea è di aprire fronti dilotta al debito pubblico in tutti i paesi. Nonovviamente nell'intento di stabilizzare il sistemafinanziario - come vorrebbero alcune forzefavorevoli a un default negoziato e parziale - maper far saltare l'attuale assetto politico-finanziario e avviare un processo verso ilsocialismo.Gli effetti moltiplicativi di un similecoordinamento anticapitalista europeo sono ovvi.Sul piano politico, il rafforzamento del governoTsipras in Grecia sarebbe immediato. Se ne tocchiuno, ci ribelliamo tutti! Questo è il migliore

messaggio che sfruttati e oppressi d'Europapossono inviare ai signori dell'euro e dellafinanza. Ma non mi interessano i ragionamentipolitici senza copertura, le proposte irrealizzabili,giusto per fare dibattito. Non proverò quindi asviluppare nei dettagli cosa accadrebbenell'ipotesi, alquanto improbabile, di un ripudiodel debito simultaneo e coordinato, da parte di unmovimento internazionalista forte e consapevole.Sarebbe come costruire una strategia di lottabasandola sull'ipotesi di aver già vinto. Miconcentro invece sull'Italia. Non perché in questopaese l'anticapitalismo sia politicamente piùavanzato.Ma perché - per quanto possa apparire incontrasto con il bombardamento mediatico -l'Italia è il paese con i "migliori" conti pubblicidell'Unione europea e, in caso di voltafaccia dellebanche, è meno esposta alle rappresagliefinanziarie che colpiscono chi si ribella al capitale.Senza aspettare la maturazione del movimentointernazionale e internazionalista, l'anti-capitalismo italiano può quindi assumere un ruolotrainante nella trasformazione istituzionaledell'Europa. La mia tesi è che in Italia ci siano lecondizioni economiche e finanziarie per ripudiarein toto il debito, qui e ora. La dimostro dati allamano, analizzando i conti pubblici italiani esviluppando alcune considerazioni sugli equilibriinternazionali in cui una simile scelta andrebbe acollocarsi.

I conti dello statoPer capire come si forma il debito pubblico e cosasuccede se lo stato smette di pagarlo, dobbiamoconsiderare il bilancio dello stato e il ruolo dellaspesa per interessi derivante dal debito pregresso(dati Eurostat). Nel 2014, l'Italia ha speso il 4,65%del Pil per il pagamento degli interessi (il 9,67%delle entrate pubbliche complessive: ogni diecieuro pagati di tasse, uno è andato ai creditori -per lo più banche e grandi investitori, nonpensionati e piccoli risparmiatori, come qualcunoingenuamente crede).Nell'Unione europea, solo il Portogallo spendepercentualmente di più: il 4,96% del Pil. L'Irlanda,la Grecia e la Spagna (gli altri Piigs) sonorispettivamente quarta, quinta e settima con il

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4,05%, il 3,90% e il 3,26% del Pil. In terminiprocapite, la spesa annua per interessi degliitaliani è di 1.237 euro, seconda solo all'Irlanda,con 1.629 euro a persona. Il Portogallo è sesto con823 euro procapite, la Spagna settima, con 743euro, e la Grecia decima, con 641 euro.Va detto peraltro che i paesi centro non stannoveramente meglio: francesi e tedeschi, infatti, puravendo un rapporto spesa per interessi / Pil piùbasso (2,19% e 1,74% rispettivamente), spendonoogni anno rispettivamente 715 e 626 euro a testa,per servire il debito dei loro stati.Ma restiamo in Italia. Cosa significano questi dati?Che, mediamente, ognuno di noi - dal neonato alvecchietto, dal riccone al poveraccio - regala piùdi cento euro al mese alla banca di turno che ha inportafoglio i titoli del debito pubblico italiano. Ese un giorno questa sanguisuga entra in crisi,senza nemmeno essere interpellati, ci sfilano ditasca altri soldi per salvarla. Perché se le bancheci voltano la faccia - ci dicono in coro conservatoridi vecchia data e nuovi progressisti "radicali" -come fa poi lo stato a finanziarsi? Se oggidobbiamo pagare è perché ieri consumavamo "abuffo".Perciò, zitti e muti: come dicono gli americani,"there ain't no such thing as a free lunch" (nonesistono pranzi gratis), quello che mangi prima opoi lo paghi. Eppure, sono ormai decenni, nonanni, che paghiamo per dei pranzetti costosi dicui non ci ricordiamo nemmeno. Dal 1992, l'Italiaha infatti un surplus di "bilancio primario"(definito come differenza tra entrate fiscali espesa pubblica propriamente detta, quella chenon considera la spesa per interessi): gli attiviregistrati annualmente sono di circa 2-3 puntipercentuali rispetto al Pil, con un picco del 6,6%nel 1997 e due sole passività, nel 2009 e 2010, dello0,7% e 0,1% rispettivamente, frutto diretto degliesborsi pubblici per salvare le banche e le impresecolpite dalla crisi.Nonostante gli attivi nel saldo primario, in tuttiquesti anni, il bilancio complessivo dello stato èrimasto però costantemente in deficit, poiché taliattivi non sono stati sufficienti a coprire perintero la spesa per interessi. Il risultato è che ildebito pubblico è esploso: da 757 miliardi (il 99%del Pil) nel 1991, a 2.135 miliardi (il 132,1% del Pil)

nel 2014 (in Europa solo la Germania ha un debitopubblico maggiore in valore assoluto: 2.170miliardi, pari al 74,7% del Pil).Nel 2014, la spesa per interessi è stata di 75miliardi di euro: 26 miliardi lo stato li ha presidirettamente dalle nostre tasche, dal bilancioprimario, dall'eccesso di tassazione rispetto allaspesa pubblica propriamente detta; gli altri 49miliardi se li è fatti prestare. Ovviamente, diquesti nuovi prestiti lo stato non ha vistonemmeno un euro. Si è trattato infatti di unasemplice partita di giro sui registri contabili dellostato e delle banche creditrici: il vecchio debito siè estinto e un nuovo debito si è acceso o, per dirlain termini più concreti, lo stato ha pagato il titolodel debito in scadenza emettendone un altro cheandrà rimborsato in futuro.In queste operazioni, cambia la struttura deidebiti (dello stato) e dei crediti (delle banche) masoldi non se ne muovono. Diverso è il caso delpagamento degli interessi attraverso il surplusprimario. Questi soldi infatti si muovono eviaggiano ogni anno dalle casse dello stato aquelle delle banche. Quei 26 miliardi di surplusprimario - che lo stato ci ha preso col prelievofiscale senza restituirceli attraverso la spesapubblica - sono finiti veramente nelle casse dellebanche. Anche se il debito dello stato e il creditodelle banche sono aumentati, il flusso netto didenaro è andato dallo stato alle banche, non dallebanche allo stato.Quando si parla di aiuti, salvataggi e pianid'emergenza, questo dato dovrebbe sempreessere chiaro: di quegli aiuti, di quei prestiti, ildebitore non vede un euro. Gli vengono concessisolo per rimborsare i debiti pregressi. Non a caso,nel caso della Grecia, le trattative si infuocanoprima di ogni tranche del debito in scadenza.Quindi, per orientarci da soli, la regola è semplice:pur con qualche approssimazione, per capire senell'anno X è la banca che dà soldi allo stato o lostato che li dà alla banca, dobbiamo guardare albilancio primario. Scopriamo così che l'ultimoeuro o, più correttamente, l'ultima lira uscita dauna banca per finanziare la spesa pubblicapropriamente detta risale al 1991.Dal 1992 in poi (con le due eccezioni del 2009 e del2010, causate proprio dagli esborsi straordinari a

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favore delle banche), al contrario, il bilancioprimario è in attivo e il flusso monetario va dallostato alle banche. Se invece vogliamo capire sel'indebitamento dello stato nei confronti dellebanche è in crescita o in diminuzione dobbiamoguardare al bilancio complessivo.E qui è evidente che la posizione debitoria dellostato ha proseguito la sua cavalcata,indipendentemente dall'inversione nei flussimonetari intervenuta nel 1992. È però sologuardando simultaneamente ai due bilanci cheriusciamo a cogliere pienamente come l'Italiarappresenti la materializzazione del sogno di ognibanchiere: ogni anno la banca incassa i fondiderivanti dal surplus primario e vede ancheaccrescere il suo credito sullo stato, grazie aldeficit complessivo di quest'ultimo. Questo è ilmiracolo di un paese con surplus primari e deficitcomplessivi.Che che ne dicano i liberisti, nel capitalismo, ipranzi gratis esistono eccome. Ma sono riservatial capitale.

Un altro default è possibile!La semplice esposizione di quanto accade in Italiada più di venti anni dimostra che l'eventualeripudio del debito non produce affatto ilcataclisma annunciato da governanti e banchieri.La tiritera che se lo stato fa default poi le banchenon gli presteranno più i soldi può far paura atanti stati, ma non all'Italia, che l'austerity laapplica da decenni. Dal 1992, l'unico rapporto chelo stato ha avuto con le banche è stato perconsegnare loro i soldi del surplus primario.Pertanto, se l'Italia avesse ripudiato il debito, lebanche non avrebbero potuto attuare nessunaritorsione, nessuno stop dei finanziamenti.Semplicemente, perché, da allora, lo stato italianonon ha chiesto loro nemmeno una lira ma è statolui a dare loro i soldi.E se vogliamo dirla tutta, l'unica veraconseguenza finanziaria di un default sarebbestata la costruzione di una solida posizionecreditrice dello stato. Infatti, quei soldi che ognianno lo stato ha versato alle banche per ilpagamento degli interessi - facendosi sgridareperché erano pochi - figurerebbero oggi comeprestiti che lo stato ha fatto alle banche. Grazie al

default, oggi lo stato incasserebbe i tassi diinteresse, invece di pagarli. Storicamente, didefault ce ne sono stati tanti, anche importanti, ehanno generalmente rafforzato, non indebolito,chi li ha fatti.La ragione è semplice: quando allentiamo ilcappio che ci strangola, il boia si arrabbia, ma noi,almeno, riprendiamo a respirare. Da questo puntodi vista - è banale - il default fa sempre bene aldebitore. La vera questione riguarda semmai ilmodo in cui si ripudia o si rinegozia il debito. Ladomanda che dobbiamo porci, mentreriprendiamo aria col cappio ancora al collo, èinfatti questa: siamo stati veramente noi adallentare il cappio o quella boccata d'aria cel'hanno concessa solo per sfruttarci meglio, sottola minaccia che il cappio si stringa di nuovo?Senza essere economisti o strateghi politici, larisposta ce la fornisce il boia stesso: se èveramente arrabbiato, vale la prima; se invece èstato lui che, seppure strillando, ci ha allentato ilnodo, è perché conta sulla seconda. Cercare a tuttii costi l'accordo con i creditori significa accettarela ricerca della taglia ideale del cappio damantenere al collo dei lavoratori: non troppostretto, per consentire loro di continuare alavorare per il bene dei creditori; non troppolargo, perché le banche vogliono comunque ilmassimo possibile.Da questo punto di vista, i primi sostenitori delmovimento per un Audit sul debito, che consentadi annullare la parte del debito inesigibile, sonoproprio i creditori. Non certo perché condividanoi valori della sinistra "radicale", ma perché sannocalcolare meglio di ogni altro il valore che si puòestrarre ogni anno dai lavoratori. Che il debitogreco e di qualsiasi paese europeo non potrà maiessere ripagato per intero lo sanno tutti. Ma sonoin pochi a saper calcolare l'abbattimento"ottimale" del debito, quello che incatenerà ilavoratori greci e di tutt'Europa al capitaleinternazionale per i prossimi decenni, col cappiostretto al punto giusto. I lavoratori hanno pochicalcoli da fare.Sfilarsi il cappio dal collo una volta per tutte nonè semplicemente il loro interesse materiale: ècondizione di sopravvivenza. Perché se non ciriescono, con la crisi che incalza, conviene che si

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abituino a respirare solo per farsi sfruttare.Banchieri e politici possono dilettarsi nei piùcomplessi calcoli di quanto sfruttamento ci vuoleper appagare le esigenze presenti e future delcapitale. Possono anche litigare, finché nongiungono a stime convergenti.Ma non sarà mai in nome della classe lavoratrice.Perché chi lavora e produce il valore che lasocietà si spartisce non è mai in debito. Per ilavoratori, la soluzione è una sola: il defaulttotale.

Default e socialismoScrollarsi di dosso il peso del debito - con lo stopimmediato al pagamento degli interessi e airimborsi dei titoli che arrivano via via in scadenza- non segna la fine dello sfruttamentocapitalistico. Alleggerisce semplicemente il pesodella crisi sulla classe lavoratrice. Non è ilsocialismo, non è la rivoluzione: il modo diprodurre rimane lo stesso, il lavoro salariatoresta, così come la generale dipendenza del lavorodal capitale pubblico e privato.Ma il profitto ne esce ridimensionato, losfruttamento si riduce, la politica recupera un po'di autonomia e il capitale finanziario smette diessere il soggetto che detta legge ai governi ecalpesta i diritti. Per una volta, a far tremare imercati non saranno le mani forti che licontrollano ma l'avanzamento reale del loronemico di classe: il lavoro.Un secolo e mezzo fa, Marx caratterizzava illavoratore di questo modo di produzione come"libero" in un duplice senso: "che disponga dellapropria forza lavorativa come propria merce,nella sua qualità di libera persona, e che, d'altraparte, non abbia da vendere altre merci, che siaprivo ed esente, libero di tutte le cose necessarieper la realizzazione della sua forza-lavoro" (IlCapitale, vol. 1, cap. 4).Oggi, dopo decenni di lotte e di conquiste, la crisiha riportato la libertà giuridica di vendersi aitempi di Marx, con il ripristino del cottimo e lacancellazione dei diritti. I lavoratori tuttavia nonnascono più privi di tutto. Anche loro hannofinalmente qualcosa: un debito. Se si vuoleveramente dare dignità al lavoro, questo fardelloereditato alla nascita deve essere ripudiato.

Credere di farlo tranquillizzando i mercati non hasenso. La quotazione di borsa di un'aziendamisura il valore atteso dei suoi profitti futuri.Una strategia efficace e credibile di difesa dellavoro deve ridurre questi profitti attesi, nongarantirli. Le borse devono crollare. Le banchecon i titoli del debito in portafogli devono fallire.Le istituzioni e i fondi salva-stati devono tremare.Altrimenti, vuol dire che l'avanzata del lavoro èsolo formale.Senza ambiguità, il debito deve essere ripudiato inrottura col mondo bancario, non in accordo conesso. Il default della Grecia del 2011, parziale econcordato, si è dimostrato perfettamente inutilesul piano finanziario, tanto che nel giro di pochianni il debito è di nuovo inesigibile. Intanto peròsui lavoratori si è abbattuta la scure del capitale,impugnata a due mani dalle banche e dallo stato.Così, mentre i lavoratori perdevano salario, dirittie il posto di lavoro stesso, i mercati riprendevanoa galoppare, scontando già i profitti futuri chequesto nuovo equilibrio nei rapporti di classeavrebbe comportato. L'euro stoxx 50 (l'indicedelle borse dell'area dell'euro) è passato da 2.000punti, nel 2011, agli attuali 3.500: il capitalista cheaveva 2 milioni o 2 miliardi, oggi ne ha 3,5; illavoratore che aveva garanzie e diritti, oggi è giàtanto se ha ancora il lavoro.I mercati, se non è ancora chiaro, apprezzano unasola cosa: lo sfruttamento del lavoro. Il problemadel default non riguarda affatto l'eventuale caosfinanziario che politici e banchieri temono tanto.Il problema riguarda invece chi vince e chi perde.Continuando a pagare - o cancellando la parte didebito inesigibile, al fine di agevolare ilpagamento della parte rimanente - vincono ibanchieri. Quanto più si prolunga l'agonia dellafinanza pubblica, tanto più cresce lo sfruttamentodei lavoratori necessario a pagare l'interesse dellebanche.Se si vogliono veramente far vincere i lavoratori,è inutile raccontare favole per piccolo borghesi: ilcapitale deve iscrivere a bilancio la sua sconfitta.Solo in questo modo, il default smette di essereelemento di stabilità finanziaria (finalizzata alproseguimento e all'inasprimento dellosfruttamento) e può diventare parte di unpercorso di emancipazione del lavoro. Nessuno si

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illude che la costruzione del socialismo sia unprocesso automatico o lineare, cui il capitaleassisterà passivamente.Ma almeno il primo passo è facile e non richiedecompromessi, né trattative: Spettabili creditori, viinformiamo che quei soldi che i governiprecedenti hanno promesso di estorcere ailavoratori per darli a voi non li avrete. Data efirma. Così si ripudia il debito.

Le conseguenze economichee politiche del defaultCon il default totale e incondizionato -accompagnato o, meglio, preceduto dal blocco deimovimenti di capitale - le banche falliranno e conloro molte imprese. Molti lavoratori perderannoil lavoro e la crisi della sfera privatadell'economia si aggraverà. Ma allo stesso tempo,si libereranno risorse pubbliche con cui ripartire.Quel saldo primario, che oggi lo stato versa alcapitale bancario, potrà essere utilizzato per ilpopolo. E se una fabbrica chiude perché ilcapitalista non fa abbastanza profitti o la bancanon gli presta più i soldi, lo stato può riaprirla,può espropriarla, può assegnarla ai lavoratori:perché, nel capitalismo, l'unica cosa che nonmanca sono i lavoratori che vogliono lavorare. Inquesto percorso, il sistema bancario in crisi deveessere spazzato via dal monopolio statale delcredito. Questo ovviamente non cancellal'interesse come categoria economica delcapitalismo.Lo trasferisce semplicemente allo stato. Il che nonè poco: i guadagni derivanti dal credito invece diandare alle oligarchie finanziarie diventano delpopolo. Nonostante, come abbiamo visto, lo statosia relativamente al sicuro da rappresagliefinanziarie, il ripudio del debito scateneràsenz'altro anche reazioni economiche e politiche.Senza alcuna pretesa di esaurire la questione, milimito ad alcune considerazioni principali. Inpiena fase imperialistica, i monopoli industriali equelli bancari formano un unico soggetto. Nonpotendo vendicarsi su un piano strettamentefinanziario, le ritorsioni si indirizzerannosull'economia reale, con probabili sanzioni,embargo e isolamento politico da parte di Europae Stati uniti.

Ma non dei loro concorrenti economici, tra cuiinnanzi tutto i Brics (Brasile, Russia, India, Cina eSud Africa), più che mai a caccia di partner dasottrarre all'area di influenza dell'euro e deldollaro. Se poi la svolta prenderà veramente unadirezione socialista, arriverà anche la solidarietàpolitica, più genuina e meno opportunistica, deipaesi che già hanno intrapreso questo percorso,dall'America latina all'Asia. Il petrolio e tantealtre cose, insomma, non scarseggeranno, némancheranno i possibili sbocchi per il made inItaly.Lo stesso capitale Usa-Ue, subito dopo leritorsioni a scopo intimidatorio, dovrà rifare isuoi conti. Perché forzare troppo nellarappresaglia contro un paese che produce 1.616miliardi di euro l'anno (a tanto ammonta il Pil del2014) non funziona e non conviene. L'embargofunziona contro Cuba (la quale riesce comunque acurare i suoi malati e a istruire i suoi ragazzimeglio di chi la boicotta), non contro la Russia(che ha un Pil comparabile a quello dell'Italia), laquale ha risposto con una pernacchia alle sanzionieuropee e degli Stati uniti.Ma l'embargo non conviene nemmeno: perdere larendita da interesse proveniente dal debitopubblico è un conto, perdere completamente leoccasioni di profitto nell'ottava potenzaeconomica del mondo è un'altra cosa. Quando laposta è grande, le prime a violare l'embargo sonole multinazionali. Perché vendendo in Italiaguadagnano e perché l'export italiano non è fattosolo di moda e cucina ma anche di aerospazio, altatecnologia e settori che servono alle impresestraniere e che piacciono ai consumatori di mezzomondo.L'eventuale via della contrapposizione frontalenon farà altro che accelerare la transizione einnescare la bomba socialista dell'espropriazione,che è cosa diversa dalla nazionalizzazione delleimprese in crisi: nessun indennizzo, nessunasocializzazione delle perdite, ma l'acquisizione daparte dello stato delle aziende poco produttive(secondo i parametri del capitale) perriconvertirle alla soddisfazione dei bisogni delpopolo. Inasprire lo scontro, oltre un certo limite,non conviene né alle banche, né alle imprese.Questo i capitalisti lo sanno. Per questo, come

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prima cosa, si devono impedire le fughe dicapitali, l'unica scelta razionale di un capitalistache teme il socialismo. E se infine il capitalemondiale troverà veramente la convenienza e laforza di unirsi contro di noi, per punire le nostretendenze socialiste, vorrà dire che Finmeccanica,invece di produrre tecnologia di guerra per gliStati uniti e per la Nato, la riconvertiremo in unafabbrica di giocattoli per i nostri bambini e lemozzarelle e i pomodori, invece di esportarli, ce limangeremo.Sarà la migliore caprese del mondo. Perché amangiarla saranno i lavoratori che l'hannoprodotta, senza cappi al collo e senzasfruttamento.

Anticapitalismo e crisi della politicaLa sostenibilità finanziaria del default totale e ipossibili percorsi economici che ne conseguononon dimostrano ovviamente la fattibilità anchepolitica di questa via. Il problema politico - chenon ho nemmeno toccato - è infatti la mancanzadi un soggetto intenzionato a intraprendereveramente questo tipo di percorso.Nonostante la crescita politica dell'animaanticapitalista del movimento, la politicaistituzionale è ancora dominata dall'anti-comunismo. Alle forze istituzionali e dimovimento che non osano rimettere indiscussione le istituzioni, un progetto socialista fagiustamente paura. Da destra a sinistra, non c'èvoce della spesa pubblica che non sia rimessa indiscussione: dal lavoro alle pensioni, dalla sanitàall'istruzione, dalla casa ai trasporti, si parla solodi tagli. L'unica voce che non si può toccare -quella per cui si devono tagliare tutte le altre - èquella per gli interessi a beneficio delle banche.Questa spesa è sacra, è il tributo al Dio profittoche, crisi o non crisi, destra o sinistra, va semprepagato. Eppure, in questa fase di crisi, è proprionell'inesigibilità del debito che si manifestano lecontraddizioni del capitale. Partire dal ripudio deldebito pubblico significa dare voce alla rabbiapopolare, ingenua ma genuina, contro le banche ei signori della finanza, i quali, anche quandol'economia si ferma, pretendono sempre la lorofetta. Ridiscutere l'interesse significa mettere indubbio il diritto di chi ha soldi di farne di più,

significa violare il fondamento stesso delcapitalismo: il profitto derivante da proprietà.E significa anche cominciare a parlare più ingenerale della sacralità della proprietà, quandoquest'ultima è tutta concentrata in poche mani echi lavora non è proprietario di niente. Attaccarel'interesse delle banche costituisce un modoconcreto di arginare l'avanzata del capitale,colpendolo al fianco che in questa fase lasciascoperto: quello finanziario. Banche, padroni eistituzioni vorrebbero ricattare gli stati, ma sonoloro che stanno in crisi. Perché tutte leinnovazioni istituzionali - fondi salva stati,prestiti ponte, "salvataggi" della Grecia, "aiuti" aiPiigs, politiche monetarie non convenzionali dellaBce e interventi straordinari del Fmi - losappiamo tutti, servono a salvare le banche, non ilavoratori, cui si chiedono sempre nuovi sacrifici.Combattere l'interesse è facile, basta un colpo dipenna. I creditori si arrabbieranno. Ma il sostegnopopolare è garantito.

L'Europa del Nawrudi Roberto Bartoli

membro del Gruppo Economia e Società Ernesto Balducci

NAWRU: Not accelleration wages rate of un-employment / Tasso di disoccupazione che nonaumenta i salari Premessa1 - Riteniamo che in tutti i problemi anche adimensione locale e di natura particolare, siapresente, direttamente od indirettamente,l'ordinamento generale del sistema sociale, percui la loro comprensione richiede di collegare laspecificità del caso all'elemento sistemico che vi siconcretizza. Pertanto, definire correttamente itermini dei problemi è premessa indispensabileper affrontarli e risolverli efficacemente.2 - Quando ci confrontiamo col tema del lavoro sulpiano locale e nazionale (disoccupazione,precarizzazione, smantellamento programmatodei diritti sociali, bassi salari e via dicendo),incontriamo inevitabilmente l'attuale UnioneEuropea e le sue normative.3 - Sappiamo che l'attuale Unione Europea nascecon il trattato di Maastricht del 1992, aggiornato

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dai successivi fino all'ultimo, il Trattato diLisbona. L'Europa di Maastricht costituiscesostanzialmente una soluzione di continuità conla precedente Europa della Ceca, dell'EURATOM edel Trattato di Roma del 1957.4 - La prima Europa nasce con una forte improntapolitica, anche se inizia il processo di unificazionesul terreno economico, con lo scopo di superare emettere fine alle rivalità nazionalistiche deiprincipali Stati europei, nutrite di robustiinteressi economici e di ambizioniespansionistiche militari, sfociate nella tragediadelle due guerre mondiali (la seconda guerra deiTrent'anni). E' all'interno di questa Europa chel'economia europea (come quella capitalisticamondiale) conosce la sua più alta crescita (iTrenta gloriosi), sia rispetto al passato che alperiodo successivo, la creazione dello Statosociale, l'espansione dei diritti di cittadinanza conil completamento dei diritti sociali, la politicaeconomica di pieno impiego della forza lavoro, unmomento alto della vita democratica. Il sociologoDahrendorf sintetizza quel momento storico conl'equazione fra crescita economica - diffusione delbenessere sociale - democrazia politica. Neldecennio Settanta del Novecento, l'economiacapitalistica socialmente regolata (compromessocapitale/lavoro) entra però in una grave crisistrutturale che si manifesta nel fenomeno dellastagflazione.5- La causa strutturale della crisi risiede nellacaduta del saggio di profitto che si manifesta finodal decennio Sessanta. Per il sistema capitalisticola fuoriuscita dalla crisi non può che consisterenel ripristinare le condizioni che assicurino laripresa della redditività del capitale. Il primopassaggio è la rottura del patto socialepostbellico, in modo da svincolare il processoeconomico dal precedente condizionamentopolitico e passare alla regolazione economicadella politica. Sul piano ideologico il neoliberismosostituisce il keynesismo sociale. Inizia così lacontroriforma sociale ad opera di governi ormaiinteramente subordinati alle istanzecapitalistiche.Nel contempo prendono corpo la ristrutturazionecapitalistica attraverso la libertà di movimentodei capitali, la delocalizzazione produttiva verso

aree a bassi salari, mettendo in concorrenza lemasse salariali asiatiche con i lavoratori europei,le privatizzazioni, le deregolamentazioni e leliberalizzazioni. L'attacco al salario ed ai dirittidei lavoratori diventa il polo di orientamentodella politica economica. Anche perché ilrecupero del saggio di profitto richiede poi la suarealizzazione in mercati ormai a dimensioneglobale, la cui espansione è però limitata e lenta.Gli alti salari occidentali perdono pertanto laprecedente funzione di assicurare la domandanecessaria nel quadro di un'economiaprevalentemente nazionale. Ora però perl'impresa sono un puro costo da ridurre alminimo a fini competitivi in un contestoconcorrenziale in scala mondiale. Non solo, ma inquesta prospettiva di crescita limitatal'accumulazione capitalistica si indirizza inmisura crescente verso la forma finanziaria.Ovvero, il profitto realizzato delle stesse impreseproduttive viene dislocato prevalentemente nellafinanza, i cui attivi crescono vertiginosamentesostenuti dall'inflazione finanziaria creatadall'immissione in quel settore di una enormemassa di liquidità da parte delle banche centrali.La crisi iniziata nel 2007 non ha alterato questoquadro, anzi lo ha irrobustito con l'aggiunta diinterventi governativi di salvataggio di banche efondi di investimento, che hanno appesantito ildebito pubblico, per coprire il quale siintensificano le politiche antisociali.6 - L'Europa di Maastricht nasce nel quadro dellacontrorivoluzione sociale iniziata nel decennioOttanta, sullo sfondo del processo capitalisticoappena descritto. Non sorprende perciò se neilavori preparatori (libro bianco Delors ed altri) silegga che i diritti sociali sono ormai incompatibilicon la necessità delle imprese europee dicompetere sui mercati mondiali. Come pure èrilevabile la base teorica neoclassica dei trattatinel concetto di un'economia di mercato(capitalistico) portata a raggiungere unospontaneo e naturale equilibrio, nel programmadi mercificazione dei servizi pubblici e viadicendo. Per di più con l'euro si raggiunge inpieno il sogno ideologico di una moneta sottrattaa qualsiasi controllo politico, consegnandone lagestione alla Banca Centrale Europea

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assolutamente indipendente e, quindi, in grado disvolgere una vera e propria funzione politica dicontrollo e di indirizzo dei governi.Si tratta di un'Europa che unisce alla sua naturaantisociale una sostanziale istanzaantidemocratica, espressamente enunciata finodal momento della sua creazione (vedi inproposito l'appendice sottostante). In sostanza aicittadini europei è stata sottratta la sovranitànazionale senza però alcun recupero a livellosovranazionale europeo. In tal modo le sferedecisionali sono ormai di pertinenza di organiprivi di effettivo controllo democratico(Commissione, Consiglio, Banca CentraleEuropea), mentre alle istituzioni nazionali restariservato il compito di eseguire le direttiveimpartite dall'alto. E' questo il contesto da cuiesce il Nawru, come normativa europeainderogabile cui devono sottostare i nostri paesi.

Il Nawru, ovvero l'obbligodella disoccupazione di equilibrioOccorre premettere che l'obbligo del Nawru èstrutturalmente dipendente dal Fiscal Compact.Quando il nostro parlamento, (parlamento dellelarghe intese e governo Monti) ha approvatol'accettazione del Fiscal Compact e, per rendereancor più stringente quel vincolo, ha addiritturacostituzionalizzato il pareggio di bilancio, haposto il paese sotto il peso di impegnionerosissimi. Per cominciare a capire di cosa sitratta sono necessarie alcune premessechiarificatrici. Il Fiscal Compact ci obbliga a nonfar superare lo 0,5% del Pil all'indebitamentostrutturale nella media dei tre anni precedenti ladata di rilevamento oppure nei tre anni successiviincluso quello in corso. Siccome per gli anni 2012-3-4 il bilancio strutturale italiano mediamente hasforato il limite dello 0,5% del Pil, siamo statirimandati al 2017 quando verranno presi inconsiderazione i dati del 2015-16-17.A questo punto occorre chiarire che cos'èl'indebitamento strutturale. Si tratta del bilanciopubblico che viene aggiustato tenendo contodell'andamento del ciclo economico. A questoscopo viene calcolato il Pil potenziale, ovvero ilPil che risulterebbe dal pieno impiego dellerisorse produttive, capitale e lavoro. Durante la

recessione, che ci ha accompagnato fino ad oggi, èevidente che il Pil potenziale è maggiore di quelloattuale, per cui il loro rapporto (Pil/Pilpotenziale) non può che dare un risultatonegativo (outputgap negativo). Con quest'ultimodato viene allora corretto l'indebitamento netto(indebitamento netto meno outputgap) ed ilrapporto col Pil di questo saldo di bilanciocorretto (saldo di bilancio corretto/Pil reale)fornisce l'indebitamento strutturale da tenere inmedia triennale sotto la soglia dello 0,5% del Pil.Tanto più elevato è l'outputgap, e con tantamaggiore facilità si rispetta il parametro inquestione. Decisiva, quindi, è la determinazionedel Pil potenziale. In quanto viene calcolato comefunzione della produttività dei fattori, capitale elavoro, per ottenerne il valore più alto occorreche essi vengano considerati nella loro totalità,cioè nella somma fra quote in attività e quote nonoccupate. E' qui che entra in gioco il Nawru.Infatti per quel che riguarda il fattore produttivo"lavoro", non si utilizza il dato dell'intera forzalavorativa, occupata e non occupata, ma soltantoquello risultante tenendo conto della quotaobbligatoria di disoccupazione che non entraperciò nel conteggio.E' evidente allora che tanto più elevato è il tassodel Nawru, tanto minore sarà il Pil potenziale equindi la grandezza dell'outputgap con cui vienecorretto l'indebitamento netto. In conclusione,diventa più difficile rispettare il famosoparametro dello 0,5% del Pil, con la conseguenzadi rendere ancora più pesante la politica diausterità, richiedendosi minore spesa pubblica,che in genere colpisce servizi pubblici, pensioni,sanità, scuola, salari e via dicendo, e spessomaggiore carico fiscale, anche questo gravantesempre più sulla base della piramide socialeanziché colpirne il vertice.L'organo che calcola il livello obbligatorio delNawru per tutti i paesi dell'area euro, è laCommissione Europea. Per quel che riguarda ilnostro paese registriamo un continuoaccrescimento che porta il nostro Nawru dal 7,5%nel 2009 al 10,8% nel 2015. Per la Spagna il dato èdel 20%, per l'Irlanda il 15% nel 2014, mentre ildato greco si attesta al 26% sempre nel 2014. IlNawru, come il suo ispiratore cioè il Nairu di

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Friedman, non è esente ovviamente da critiche,soprattutto da parte di economisti di ispirazionekeynesiana. Le possiamo raggruppare in duecomparti, uno empirico e l'altro teorico.

Le osservazioni empiricheSiccome il Nawru come la disoccupazione diequilibrio di Friedman hanno per scopo ilcontrollo dell'inflazione; e siccome l'UnioneEuropea si è assegnata l'obbligo di mantenere iltasso inflazionistico sotto il livello del 2%, laricerca empirica ci può confermare o smentirel'efficacia pratica del tasso di disoccupazione diequilibrio. In Irlanda, con una disoccupazione diequilibrio al 15% nel 2014, registriamo semprenello stesso anno una disoccupazione dell'11%,senza alcuna accelerazione del tasso di inflazione.Lo stesso esito è riscontrabile in Spagna, dove difronte ad un tasso di disoccupazione obbligatoriadel 25,9% nel 2014, la disoccupazione reale scendeal 23,7% non solo senza effetti inflazionistici ma,addirittura, con la caduta in deflazione del paese.Indagini analoghe negli Stati Uniti d'Americamostrano gli stessi risultati. Oltre a questesmentite empiriche della motivazione con cuiviene giustificato il Nawru, occorre avanzareun'altra importante osservazione critica. Se, adesempio, prendiamo i dati italiani, ma questo valeper tutti i paesi, vediamo che la Commissioneinnalza il livello del Nawru man mano che larecessione avanza e la disoccupazione aumenta.Lo scopo è quindi quello di neutralizzare gli effettidella maggiore disoccupazione nel calcolo del Pilpotenziale, in modo da mantenere sempre elevatii livelli della politica di austerità pur in presenzadi recessione crescente. In sostanza, oltre allospettro inflazionistico da esorcizzare, il Nawru hal'evidente scopo di irrobustire e rendere semprepiù drastici i provvedimenti economico-sociali distampo neo-liberistico volti allo smantellamentoo, comunque, al drastico ridimensionamento delloStato sociale e dei diritti dei lavoratori. Dietrol'ipocrisia di rendere più facile il rispetto deiparametri previsti dal Fiscal Compact, in realtà sicontinua a perseguire sistematicamentel'obiettivo antisociale che costituisce l'anima e loscopo su cui è fondata l'attuale Unione Europea.La critica teorica. E' sviluppata soprattutto da

economisti di indirizzo neo-keynesiano.La teoria che viene contestata è quella neoclassicaoggi dominante, secondo la quale è ineliminabileun certo tasso di disoccupazione, in quantoqualsiasi tentativo di eliminarlo provocherebbe lareazione delle forze di mercato cheriporterebbero la disoccupazione al suo livellonaturale di equilibrio. Qualora comunque siriuscisse a superarlo, si precipiterebbe in unasituazione di inflazione crescente. Si introduce intal modo una novità rilevante rispetto allavecchia curva Phillips (l'inflazione aumenta con lariduzione della disoccupazione), perché ora sisostiene che l'inflazione cresce solo sotto undeterminato livello di disoccupazione.Il nucleo forte della critica riguarda però la baseper il calcolo del Pil potenziale e cioè la funzionedi produzione di Solow. Si tenga presente che lateoria neoclassica non è solo un astratto sviluppodi modelli matematici fine a sé stessi, ma svolgeanche e soprattutto un preciso compito pratico,sia come ideologia del sistema, sia nell'uso che neviene fatto sul piano politico. L'esempio èappunto la funzione di Solow, utilizzata per ilcalcolo del Pil potenziale. Senza entrare nelladiscussione ad alto contenuto tecnico, ricordosolo che i neokeynesiani le imputano il difetto diattribuire la crescita economica solo al latodell'offerta, trascurando quello della domanda,dato che la domanda ha un effetto di stimolo dellastessa offerta, soprattutto attraverso gliinvestimenti.

ConclusioneLa storia del Nawru mette in luce l'elemento anti-sociale quale nucleo sostanziale delle politiche diausterità. In breve, il loro obiettivo non è lariduzione dell'indebitamento pubblico, peraltrosmentita dal continuo accrescimento del rapportodebito pubblico/Pil in tutti i paesi man mano chequelle politiche prendono sempre più corpo econsistenza. Il debito pubblico è solo un pretesto.L'obiettivo è di classe, è l'aumento dellosfruttamento del lavoro unito all'attaccosistematico ai diritti sociali. Per quel che riguardal'ossessiva preoccupazione per l'inflazione, laspiegazione va vista nel processo diaccumulazione capitalistica sotto forma

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finanziaria.Se i valori degli assetti finanziari, che continuanoa crescere sotto la spinta della immissionecontinua di liquidità da parte delle banchecentrali, avessero per contropartita realel'inflazione da prezzi di pari grandezza,vedrebbero distrutta una quota rilevante dellaloro consistenza effettiva. In conclusione,l'iperfinanziarizzazione del capitale esige la difesaad oltranza del valore della moneta. L'Europa diMaastricht è nata per conseguire quegli obiettivi:rilanciare profitti ed accumulazione del capitaleeuropeo, con quello tedesco come perno delsistema, mediante l'attacco sistematico al lavoroed ai diritti frutto di una lunga stagione di lotte edi conquiste, ormai incompatibili con l'assetto delsistema.

Appendice

Come sono nati il trattato diMaastricht e quegli successivi?La confessione di alcuniprotagonisti

Guido Carli - "...ancora una volta si è dovuto aggirareil Parlamento sovrano della Repubblica, costruendoaltrove ciò che non si riusciva a costruire in patria" -in Cinquant'anni di vita italiana - Laterza 1996

Tommaso Padoa Schioppa - "L'Europa non nasceda un movimento democratico...L'Europa è nataseguendo un metodo che potremmo definire con iltermine di dispotismo illuminato". In Commentairen. 27 1999

Giuliano Amato - "Fu deciso che il documento [Iltrattato di Lisbona] fosse illeggibile, poiché così nonsarebbe stato costituzionale [in modo da evitarereferendum] ...Fosse invece stato comprensibile, visarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum..."- Intervento al convegno del Centro per laRiforma Europea - Londra 12 luglio 2007

Jeans-Peter Bonde europarlamentare danese - "...i primi ministri erano pienamente consapevoli che ilTrattato non sarebbe stato approvato se fosse statoletto, capito e sottoposto a referendum..." - Intervento

allo stesso convegno.

Mario Monti - "Le forme sono salve. I ministrirestano in carica. La primazia della politica è intatta.Ma le decisioni principali sono state prese da ungoverno tecnico sopranazionale" - Articolo "Ilpodestà straniero" - Corriere della Sera 7 agosto2011.

Le 10 cose da sapere sul nuovoaeroporto di Firenzedi Ilaria Agostini, urbanista e attiva in perUnaltracittà,

con un'infografica di Francesca Conti, attiva in

perUnaltracittà

Poche ma utili cose da sapere sul nuovo aeroportodi Firenze:

1) Il nuovo aeroporto di Firenze è affare diun’impresa sostanzialmente privata. Questi gliazionisti della “Toscana Aeroporti”, società digestione degli aeroporti di Firenze e Pisa,presieduta da Marco Carrai, sodale del presidentedel consiglio: l’argentina Corporacion AmericaItalia Spa rappresenta il 51,13%, Ente Cassa diRisparmio di Firenze 6,58%, So.Gim. Spa 5,79%,“altri” 31,5%; infine, dopo la svendita di Rossi agliargentini, un misero 5% della Regione Toscana.

2) La nuova pista subparallela all’autostrada,lunga 2400 metri (anziché i 2000 indicati dallavariante al PIT), non sarà unidirezionale comepromettono i proponenti: lo ha dichiaratoufficialmente l’Enac. Il “Rapporto ambientale”approvato dalla Regione Toscana prevede ilsorvolo a bassa quota di Firenze, con aereiintercontinentali, a un tiro di schioppo dallaCupola: Rovezzano, Stadio, Le Cure, Rifredi,Firenze Nova.

3) Il nuovo orientamento della pista innalza ilrischio idraulico della Piana. Per consentirel’inserimento della pista, il complesso sistema didrenaggio dovrà essere ridisegnato: le residue

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aree umide scompariranno, per aggirare la pista ilFosso reale sarà deviato, stessa cosa per ilCollettore delle acque basse; mancherà lo spazioper le casse di espansione del polo universitario.

4) Non esiste alcun serio studio di fattibilità deilavori propedeutici alla costruzione della pista. Ilnuovo assetto idraulico è vagamente tratteggiato:il Fosso reale può veramente passare in discaricaquando, viceversa, la normativa ambientaleimpedisce che le discariche ricadano in aree

esondabili (DL 36/2003, all. 1, p. 1.1)?

5) Malgrado l’avvio dei lavori previsto entrol’agosto 2015, del nuovo aeroporto non esiste unprogetto esecutivo. In assenza di studi chedimostrino l’effettiva necessità di un aeroportointerno all’area urbana, il Master plan delproponente «è assunto al pari del progettopreliminare/definitivo».

6) Comunque sia, il progetto non sarà sottoposto auna valutazione ambientale propriamente detta.Lo stratagemma del progetto “prelimi-nare/definitivo” consente infatti un aggiramentodelle regole, per cui entra nella valutazione comepreliminare e ne esce come definitivo, dopocontrattazione tra commissione Via ed entiinteressati, che hanno espresso pesanti riserve suicontenuti del progetto e dello Studio di ImpattoAmbientale allegato: infrastrutture viarie nonconformi col PIT, criticità sanitarie segnalate daASL e ARPAT, rischio idraulico. Però il parere èpositivo.

7) In fondo, è la stessa storia della TAV in Mugello.Come in quel caso, il progetto fiorentino è statoapprovato rimandando alle «prossime fasiautorizzative» la verifica delle criticità segnalatein sede di conferenza dei servizi, dove si indicano«prescrizioni realizzative» la cui attuazione nonsarà mai verificata. Ma a verbale l’Enac afferma: è«prassi consolidata».

8) Il procedimento che porterà all’esecuzionedell’aeroporto non è democratico. Secondo lanormativa europea, un progetto di questa portatadeve essere sottoposto a un processo dipartecipazione. Nella variante al PIT, la Regione siera impegnata a sottoporre il progetto a dibattitopubblico, come prevede la stessa legge toscana.Eppure questo non sta avvenendo.

9) L’aeroporto (privato) lo pagheremo con soldipubblici. I costi per l’ampliamento saranno esserea carico del proponente. Tuttavia i costi per ilriassetto idraulico della piana e per il riassettodella mobilità ricadranno sui contribuenti. Dalmomento che i 50 milioni stanziati dallo Sblocca

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Italia per l’impresa fiorentina violano le regoleeuropee sulla concorrenza, Renzi ricorre allasoluzione emergenziale proponendo Firenzecome città ospite del G8 nel 2017.

10) La “grande opera aeroporto” condanna ognipossibile alternativa di riscatto per la Piana. Inuna situazione urbana già congestionata, e nellaquale si prevede una pesante presenza di cantieri(linea 2 della tramvia, nuovo svincolo di Peretola,nuovo stadio, inceneritore a Campi e, forse, terzacorsia autostradale), si aggiunge il carico diinquinamento aeroportuale: polveri, carburanti,solventi/antigelo per la pista, inquinamentoluminoso, rumore etc.

La lobby delle utilitydi Marco Bersani

Attac Italia

"Siamo l'ultimo paese sovietico d'Europa"; conqueste parole Erasmo D'Angelis, capo dell'unità dimissione Italiasicura e rappresentante delGoverno Renzi, ha salutato il battesimo diUtilitalia, la nuova associazione dei gestori diservizi pubblici locali, nata dalla fusione diFederambiente e di Federutility. "Dobbiamopassare da circa 1.500 società partecipate a 20società regionali per la gestione dei rifiuti, 5grandi player per il servizio idrico integrato, 3 perla distribuzione del gas e 4 per il trasportopubblico locale. Settore quest'ultimo che vainserito subito in Utilitalia, perché sarà il primo abandire le gare per affidare la gestione deiservizi". Ecco scodellato in tre righe il programmadel governo, naturalmente non discusso innessuna sede con i cittadini, gli enti locali e lecomunità territoriali, bensì annunciato di frontealla nuova holding dei gestori.Anche perché, ai cittadini D'Angelis e Renzidovrebbero spiegare che ne è della vittoriareferendaria del giugno 2011, con la quale 27milioni di italiani avevano sancito la gestionepubblica, partecipativa e senza profitti dell'acquae dei beni comuni. Un programma di governoportato avanti a colpi di normative (SbloccaItalia,

Legge di stabilità, disegno di legge Madia) e conl'utilizzo del patto di stabilità interno come armacontro i cittadini, consentendo ai sindaci di poterutilizzare e spendere le somme ricavate dallaprivatizzazione dei servizi pubblici locali."L'obiettivo di queste fusioni e incorporazionisarà l'innalzamento dello standard di qualità deiservizi e la riduzione dei costi per i cittadini" hachiosato il presidente di Utilitalia GiovanniValotti, trovando l'immediato consenso delpresidente dell'Autorità per l'energia GuidoBortoni -il cui stipendio, giova ricordare, è pagatodalle medesime società di servizi- e del Ministroper la pubblica amministrazione Marianna Madia.Occorre forse qui ripetere un sempliceragionamento, che si pensava, dopo unreferendum, di non dover più riprendere.Dentro quest'idea di privatizzazione e difinanziarizzazione dei servizi pubblici locali,vogliono lor signori dirci una volta per tutte dadove proverranno i profitti per le grandimultiutility che tutto gestiranno? Perché a noirisulta che nel caso della gestione dell'acqua, deirifiuti, dell'energia, ovvero di tutti i beni comuni,il profitto sia concretamente ottenibile solo edesclusivamente da cinque possibili fattori:a)la riduzione del costo del lavoro, attraverso ladiminuzione dell'occupazione e la precariz-zazione dei contratti;b) la riduzione degli investimenti, come giàsperimentato nell'ultimo decennio di gestioniattraverso SpA;c) la riduzione della qualità del servizio, con menomanutenzioni, controlli etc.;d) l'aumento delle tariffe, che infatti salgonoesponenzialmente;e) l'aumento dei consumi della risorsa.Tutti fattori in diretto contrasto con l'interessegenerale e che si realizzano puntualmente in ogniprocesso di privatizzazione. Quanto al mantradell'economia di scala, anche i sassi ormai sannoche, oltre una certa soglia (300.000 abitanti, salvorealtà urbane metropolitane), la scala più ampiaproduce esattamente disservizi e diseconomie.Territorio per territorio, comunità locale percomunità locale, occorre opporsi a questodisegno, rivendicando la riappropriazione socialedei beni comuni, della ricchezza collettiva e della

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democrazia dal basso come condizioni per unaltro modello sociale. Bisogna riprendersi ilcomune per riprendersi i Comuni.

Il bluff di Nardellasulla sfida del climadi Cecco Angiolieri

focoso osservatore critico fiorentino

"La sfida del clima riguarda tutti, a partire dallecittà. Firenze lavora per diventare un esempio".Molti dei presenti agli "Stati generali suicambiamenti climatici e la difesa del territorio",alla Camera dei Deputati lo scorso 22 giugno,avranno preso sul serio la battuta del sindacoDario Nardella. Soprattutto chi era a conoscenzache Nardella era stato pure a Parigi, con ilpresidente francese Hollande, alla riunionepreparatoria della Conferenza sul cambiamentoclimatico, che si terrà nella capitale francese dal30 novembre all'11 dicembre prossimi, e chedovrebbe condurre a un accordo internazionalesul clima per limitare il riscaldamento globalesotto i 2 °C.A Roma Nardella aveva illustrato le novità sultema ambientale, adottate nel suo primo anno dilavoro da sindaco, citando la linea 1 della tramvia,già partita da anni, i 70 veicoli elettrici per ilComune, già annunciati due anni fa comeimminenti dall'allora assessore alla mobilitàFilippo Bonaccorsi della giunta di Renzi, e le 150colonnine di ricarica dei mezzi elettrici, anch'esseannunciate dallo stesso Bonaccorsi e finanziatecon risorse regionali. Ricercando negli ultimidieci anni di Palazzo Vecchio, si scopre che lenovità del sindaco sono cose vecchie e risapute.Infatti su sostenibilità ambientale e mobilità gliannunci e i progetti si susseguono negli anni,sempre gli stessi, ripetuti in questo e in quell'altropiano o rapporto.Nardella fa adesso riferimento alle azionicontenute nei Piani denominati PAC e PAES: ilPiano d'Azione Comunale, per limitare leemissioni inquinanti del riscaldamento e deltraffico veicolare, e il Piano d'Azione per l'Energia

Sostenibile, per favorire l'efficienza energetica ela riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entroil 2020. E quali sono in concreto i progetti e i"desiderata" indicati nel penultimo PAC 2007-2010, ripresi anche dal PAES, approvato nel luglio2011, e ancora dall'ultimo PAC 2011-2014, e spessoriportati nelle slides di più convegni nel corso dianni?Si va dalla arcinota linea 1 del tram alle linee 2 e 3solo recentemente cantierizzate, dalle sospiratepiste ciclabili al mai visto servizio di noleggiobike-sharing, dalla minima mobilità elettrica allaprevedibile illuminazione pubblica a led, dalleminuscole invasioni botaniche (pareti verticali)alla agognata forestazione urbana, dai demagogicifontanelli dell'acqua ai comuni controlli sullecaldaie, dal mancato taxi multiplo alle ricorrenti emal realizzate corsie preferenziali per i mezzipubblici, dai fantomatici volumi zero del pianostrutturale agli insignificanti sgravi per interventienergetici in edilizia, dal fantasticato car sharingelettrico al più volte solo ipotizzato trasportomerci ecologico in ztl.Sui nuovi mezzi elettrici comunali e sulle nuovecolonnine di ricarica, che Nardella ha fatto propri,vale di esempio ricordare le parole dell'exassessore Bonaccorsi, quando nel dicembre 2013annunciò l'approvazione in giunta delle delibererelative proprio agli elettrici comunali e allecolonnine: "la lotta al traffico e all'inquinamentosono per l'amministrazione due priorità eabbiamo fatto cose straordinarie in questi quattroanni e mezzo e ancor di più ci impegniamo perdare una seria alternativa a tutti i cittadini all'usodei mezzi privati a motore tradizionalegarantendo la possibilità di un carsharingelettrico in tutta la città".Ancora oggi per il sindaco Nardella "Firenze è inprima linea per l'ambiente e il clima" e "vuolecontribuire attivamente alla missione dei sindacieuropei per affrontare i cambiamenti climaticiper prevenire le catastrofi ambientali e ridurrel'inquinamento". In realtà si portano avanti, condeterminazione, progetti come la realizzazionedell'inceneritore e la seconda pista dell'aeroporto,che certo niente hanno di sostenibilitàambientale, e si cancella il promesso bosco dellaPiana. Intanto si susseguono eventi meteo

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estremi, dalle bombe d'acqua alle ondate dicalore, che non sono più calamità naturali edeventi eccezionali, perché causati daicambiamenti climatici in corso.E il sindaco Nardella continua nel suo bluff,annunciando o realizzando solo in parteinterventi vecchi di anni, come se Firenze fosseun esempio virtuoso, da portare alla ribaltainternazionale alla conferenza di Parigi adicembre. Invece si continua a perdere tempoprezioso, quando sarebbe fondamentale, anche suscala locale, individuare e realizzare nuoviinterventi di riduzione dei gas serra e diadattamento ai cambiamenti climatici in corso.

Voci dal carcere, dopo il quintomorto a Sollicciano nel 2015di Maurizio De Zordo

attivo in perUnaltracittà

Continua la lunga lista delle morti in carcere, eancora una volta è un detenuto di Sollicciano, cheha il triste record italiano dei decessi dall'iniziodell'anno. E continua nell'indifferenza e neldisinteresse: come sempre il carcere è uno deigrandi rimossi nella pubblica coscienza.Pochissimi a Firenze saprebbero anche solotrovarlo, Sollicciano, molto più facile guardare daun'altra parte, del resto ben indirizzati da unainformazione mainstream che trova più eleganteparlare del look della ministra Boschi o dellevacanze di Renzi, e da una classe politica che maiha realmente pensato di porre mano alleallucinanti condizioni che si vivono nelle carceri.Anzi, a partire dalla destra di Alfano o di Salvini sitende ad inasprire ulteriormente quellecondizioni, con spirito ferocemente forcaiolo cheperò vale solo per i poveri cristi: gli amici, quellino, quelli si salvano sempre.Così a nessuno veramente interessa sapere chenonostante un calo nelle presenze a Sollicciano cisono oltre 690 detenuti a fronte di una capienza di492, che in molte delle patrie galere si sta chiusi20 ore al giorno in tre o quattro metri quadri apersona, che maltrattamenti e pestaggi sono la

regola. O che ci sono oltre 700 prigionierisottoposti al regime del 41 bis: - isolamento per 23ore al giorno (soltanto nell'ora d'aria è possibileincontrare altri prigionieri, al massimo tre);colloquio soltanto con i soli famigliari diretti (1ora al mese), con vetri divisori, telecamere,microfoni, che impediscono ogni contatto diretto,anche vocale; "processo in videoconferenza",rafforzando l'assoluto isolamento del detenutoche si protrae spesso per ann; divieto, perpunizione, di scambiare parola e saluti traprigionieri (introdotto con decreto da Alfanoqualche anno fa); censura-restringimento nellaconsegna di posta, stampe, libri. Per rompere ilsilenzio pubblichiamo di seguito una lettera delledetenute del carcere di Pozzuoli, e una deidetenuti della sezione Alta Sicurezza 1 del carceredi Parma.Continueremo, anche in futuro, a dare voce eaccendere qualche luce su quell'universoparallelo e dimenticato che è il carcere. E aaggiornare la timeline delle morti in carcere sulsito della rivista per tenere puntata l'attenzionedi una realtà aberrante e rimossa.

Sono una detenuta di PozzuoliCasa Circondariale Femminile di Pozzuoli

(Inferno di Pozzuoli, tanto è uguale)

Vi scrivo anche da parte di tutte le detenute diquesto carcere, anche se nessuno di noi puòfirmare, se no subito ci puniscono e non cipensano su una volta a metterci in isolamento,che è una stanza che puoi fare solo i bisognipersonali e non stare a contatto con nessuno. Perprima cosa vogliamo che voi sappiate che tutte lelettere che vi mandiamo gli assistenti non ve lefanno arrivare per paura che noi vi scriviamocome siamo trattate qua dentro, e anche quandovenite qua fuori non ci consentono di parlare nécon voi né con i nostri familiari, nemmeno persalutarli, se no subito fanno abuso di potereincominciando a metterci i rapporti.Si perché in questo "inferno" che noi viviamo,andiamo avanti solo con le minacce dei rapporti,anche per una sigaretta, che è l'ultima cosa che ci

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è rimasta qua dentro, in questo inferno che è cosìfacile ad entrare, ma così difficile ad uscire.Vogliamo informarvi che viviamo in una stanza incui siamo degradate e costrette a vivere piene diumidità. La mattina dobbiamo alzare i materassiperché sono bagnati di umidità e quando vienequalcuno da fuori gli fanno vedere solo la terzasezione che è un po' meglio, mica li portano allaprima e alla seconda, dove è molto peggio dellaterza.In ogni stanza viviamo in 10 persone e devi fare lafila per andare in bagno e svegliarti presto perfarti una doccia prima che l'acqua calda va via; loshampo lo possiamo fare solo una volta asettimana, quindi adesso è quasi estate e cipossiamo anche arrangiare, ma pensate quandoviene l'inverno quello che dobbiamo subire. Tantoche l'inverno, tante volte, talmente che fa freddoche ci alziamo solo per mangiare. Andiamo avanti.Il vitto è un vero schifo ed è anche insufficiente.Tante volte pensiamo che è meglio mangiare allaCaritas che qua dentro.Chi ha soldi per comprarsi qualcosa da mangiare ecucinarlo stesso noi detenuti mangiamo, ma chinon fa colloqui o non ha soldi può solo fare lafame. I prezzi qui da noi anche sono un abuso dipotere. Paghiamo tutto, non di più, ma addiritturail doppio. Anche le cose di prima necessità, comela carta igienica. Si, perché qui nemmeno quella cidanno: se hai i soldi ne puoi fare uso, altrimentinon so cosa dovremmo fare.E qui ce ne sono tante a cui mancano i soldi, ancheper questo. E a noi con i prezzi che paghiamo quadentro, i nostri familiari per mantenerci, ancheloro, cosa devono fare? Forse fra poco penso chedovranno pure loro fare reati come noi permetterci i soldi sul libretto. Che spesso evolentieri ci vediamo segnati sul libretto anchesoldi che noi non abbiamo speso, ed è inutileanche chiedere spiegazioni, se no subito ciminacciano con il solito rapporto che hannosempre a portata di mano. Certo c'è qualcheassistente che è più umano verso di noi, ma per ilresto ci trattano proprio da detenute comefossimo dei mostri viventi. Parliamo anche un po'del servizio sanitario.Qua per prima cosa anche se qualcuno di notte stamale l'assistente fa finta di non sentire, perché

l'infermeria la notte non vuole essere disturbata.Quindi devi aspettare la mattina che passa ilcarrello, quel carrello sempre pieno dipsicofarmaci che vogliono darci sempre. Questosempre per farci addormentare e quindi per nonessere disturbati. Figuratevi che a Pasquadormivamo tutto il carcere ed abbiamo avuto ildubbio che abbiano messo qualcosa nel cibo,perché è impossibile che dormivamo tutte ledetenute.Noi detenute della Casa Circondariale Femminiledi Pozzuoli vorremmo che voi ci aiutiate, masappiamo anche che anche se venite da noi siamostate avvisate che dobbiamo dire che qua vasempre bene e che ci trattano bene: sono tuttebugie che siamo costrette a dire. Vorremmo chequesta lettera venisse pubblicata su qualchegiornale affinché tutti vengano a conoscenza chequi non è un carcere, ma è solo l'inferno, uninferno che siamo costrette a vivere. Che sipassassero un po' la mano sulla coscienza (se cel'hanno ancora). Noi già soffriamo per lalontananza dei nostri familiari e soprattutto per inostri figli che abbiamo lasciato fuori. In nome ditutte le detenute di Pozzuoli vi chiediamo solo difare qualcosa affinché possiamo soffrire solo perla lontananza dei nostri cari e non anchesopportare tutti i soprusi che subiamo qua dentro,cioè l'inferno. GrazieAh dimenticavamo anche un'altra cosa. Lo sapeteche quando lavoriamo il carcere si prende 50 euroogni mese per il letto? Si lavora molto eprendiamo quasi l'elemosina e quindi questo è unaltro abuso, di sfruttamento vero e proprio. Ma loStato questo lo sa? O conviene anche a loro?

Siamo i detenuti del reparto AS1C.R. di ParmaAl Capo dello Stato, Al Ministro della Giustizia, Al Capo

dell'Amministrazione Penitenziaria, Ai Magistrati di

Sorveglianza di Reggio Emilia, Al Direttore della Casa di

Reclusione di Parma, Al Garante dei Diritti dei Detenuti

Regione Emilia-Romagna. E p.c. Senatore Luigi Manconi

Abbiamo deciso di rivolgerci alla SS. LL. dopo

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essere venuti a conoscenza del fatto che la sezioneAS1 di Padova sarà dimessa e che i detenuti diquel reparto-secondo notizie giornalistiche-verranno trasferiti presso il reparto AS1 della C.R.di Parma. Vogliamo, innanzitutto rivolgerci allaSS. LL. in termini civili, quei termini che ciconsentono di affrontare una comunicazioneresponsabile e cosciente atta a fare conoscere ecomprendere quali sono le difficoltà che segnanola nostra quotidianità. Gli argomenti chetratteremo, per quanto complessi, sonoindissolubilmente legati alla vivibilità all'internodelle celle e alla qualità della vita al di fuori diesse.La sezione AS1 della C.R. di Parma, attualmenteospita 27 detenuti, per una capienza max di 25posti. Tra gli ospiti qui reclusi, 19 sonoergastolani, i rimanenti 8 scontano condanneventennali o trentennali. Nel computo dei 27 cisono persone affette da malattie debilitanti, altrisoffrono di problemi psico-fisici-claustrofobici,altri ancora sono studenti universitari, infine cisono individui con discrete condizioni fisiche. Pertutti, nessuno escluso, vale il principio delrispetto della dignità umana. Dignità citata nellepremesse delle regole penitenziarie europee del2006, ma anche all'art. 18 (I locali di detenzione e,in particolare, quelli destinati ad accogliere idetenuti durante la notte devono soddisfare leesigenze di rispetto della dignità umana e, perquanto possibile, della vita privata e risponderealle condizioni minime richieste in materia disanità e di igiene, tenuto conto delle condizioniclimatiche, segnatamente per quanto riguarda lasuperficie e la cubatura).Noi stiamo chiusi in cella 20 ore su 24. Le 4 oresono assegnate ai passeggi. Locali questi nonidonei ad ospitare 27 persone, se si considera lasuperficie minima disponibile per ogni maialeche, secondo la direttiva CEE 91/630, recepitadall'Italia con B.L. n°534/92 e direttive 2001/88 e2001/93, è di 6 mq. Le celle detentive, percapienza, possono ospitare solo un detenuto. Seall'interno venissero collocate 2 persone lo spaziodisponibile calpestabile pro-capite scenderebbesotto i 3 mq, spazio calcolato al nettodell'ingombro del mobilio.La cella è provvista di un piccolo wc privo di

finestra. Il ricambio d'aria dovrebbe avvenireattraverso un areatore dimensioni di cm 10x10,ma questo non avviene e giornalmente chi vivestipato in due all'interno della stessa cella ècostretto a respirare gli odori maleodoranticausati dai bisogni fisiologici del compagno dicella. Per le operazioni di pulizia corporale laporta del wc rimane aperta. Abbiamo costatatol'impossibilità di lavarsi nel lavabo con la portachiusa.Questa situazione non è sufficientementeadeguata ad assicurare un minimo di privacy. Aifini della determinazione dello spazio individualeminimo intramurario, la giurisprudenzanazionale ha precisato che, dalla superficie lordadella cella debba essere detratta la superficieoccupata dagli arredi, individuando nel suolocalpestabile il parametro di calcolo. Una misuraquesta calcolata sulla base del criterio di 9 mq persingolo detenuto, più 5 mq per gli altri.Lo stesso spazio per cui in Italia viene concessal'abitabilità alle abitazioni, condizione piùfavorevole rispetto ai 7 mq per singolo detenutopiù 4 mq stabiliti dal CPT per gli altri. (Fonte DAP,Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistemainformativo statistica e automazione di supportodipartimentale). Tratto da Guida al Diritto nr°30del 19/07/2014. Tra gli aspetti della qualità dellavita di noi detenuti AS1 da segnalare la mancanzadi una biblioteca, di una scuola, di lavoro,l'esclusione alle nomine a Commissioni esterne, acorsi professionali finalizzati.Ma la questione dell'inumanità della pena non siesaurisce nello spazio messo a disposizione a unapersona in carcere, ma vanno contemplati altriparametri, tra i quali spicca quella evidenziatanello standard del CPT, parte I, art. 47, che, nellospecifico, afferma: "Tra i 3 ed i 7 mq adisposizione la disumanità è inversamenteproporzionale al grado di implementazione di unaserie di fattori compensativi, il primo fra tutti èassicurare che i detenuti possano trascorrere unaragionevole parte della giornata -8 ore o più-fuori dalla cella occupati in attività motivanti divario tipo. Per i condannati i regimi dovrebberoessere di livello ancora più elevato". Inconsiderazione di quanto descritto pareopportuno rivelare alle SS. LL. che l'eventuale

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-quanto probabile- arrivo di altri detenutirestringerebbero i già esigui spazi vitali in cella ese lo spazio recluso diventa incapace di garantirelo spazio vitale, viola la dignità umana. Ciappelliamo alla sensibilità delle SS. LL. vichiediamo una pena coerente con la dignitàumana, spazi di vita umani, Trattamento umano,riconoscimento pieno di diritti, salvaguardandol'integrità psico-fisica della persona qui detenuta,nel rispetto dell'art.27 della Costituzione.

sTortura, perché l'Italianon sa punire la torturadi Lorenzo Guadagnucci

giornalista e attivista per i diritti civili

A che serve firmare (nel 1950) una Convenzioneeuropa sui diritti umani e le libertà fondamentalie promuovere la Corte chiamata a farlarispettare? In teoria, a garantire e migliorare latutela dei diritti fondamentali, facendo adesempio tesoro delle sentenze che la Corteemette. In teoria, perché sono passati tre mesi dalservero giudizio della Corte di Strasburgo sul"caso Diaz" (il 7 aprile) e il nostro paese si stafacendo notare per inerzia.Un'inerzia tanto più colpevole, in quanto ilgiudizio dei giudici di Strasburgo è statodirompente. I sette magistrati - all'unanimità -hanno qualificato come "tortura" (e quindiviolazione dell'articolo 3 della Convenzione) lacosiddetta perquisizione alla scuola Diaz (21 luglio2001), giudicando l'Italia gravementeinadempiente nel suo compito di garantiregiustizia al cittadino Arnaldo Cestaro (uno dei 93torturati) e di prevenire la ripetizione di abusianaloghi.Secondo la Corte di Strasburgo, nella vicenda Diazil nostro paese ha mostrato un "deficitstrutturale" nella sua capacità di affrontare uncaso così grave di abuso di potere. Ce ne sarebbeabbastanza per sentirsi obbligati a compiereun'operazione di verità su quel "deficitstrutturale", che riguarda sia carenze normative,sia comportamenti tenuti in questi anni dai

vertici della polizia e del ministero degli Interni.La nostra polizia e il nostro governo hanno invecescelto la via del minimalismo, con frasi generichesul "nuovo corso" che sarebbe stato avviato inquesti anni e con l'affermazione, da parte delpresidente del consiglio, che la risposta allasentenza del 7 aprile è l'approvazione di una leggesulla tortura.La sentenza della Corte in verità chiede ben di più,ad esempio la rimozione degli agenti e funzionaricondannati e l'obbligo per gli agenti in servizio diordine pubblico di indossare codici diriconoscimento sulle divise. Quanto alla leggesulla tortura, attesa da oltre 25 anni, da quandocioè l'Italia si impegnò in sede di Nazioni Unite aintrodurre una norma ad hoc nel codice penale, laCorte di Strasburgo da tempo specifica, attraversole sue sentenze, quali caratteristiche dovrebbeavere e per quali finalità. Diciamo che i pilastri diuna buona legge sulla tortura sono tre: la suaqualficazione come reato proprio del pubblicoufficiale; il divieto di prescrizione; una definizionenon troppo specifica, in modo che possa includerecomportamenti diversi e anche imprevedibili (ilcosiddetto reato di evento).La finalità, va da sé, dovrebbe essere soprattuttola prevenzione, oltre all'ovvia necessità di offrireai magistrati uno strumento utile a punire inmodo adeguato gli abusi. Ebbene, la Camera deideputati, appena due giorni dopo la sentenza diStrasburgo (9 aprile) ha approvato una legge chemanca tutti questi obiettivi. Il reato è "generico",cioè può essere commesso da chiunque e prevedesolo un'aggravante per il pubblico ufficiale; laprescrizione è possibile; la definizione è cosìdettagliata che secondo giuristi e magistraticompetenti alcuni casi della nostra storia recente(Aldrovandi, Cucchi, Mastrogiovanni e lo stessocaso Diaz) non sarebbero compresi.Un paradosso, frutto di un altro "deficitstrutturale", ossia l'incapacità del potere politicodi svolgere il proprio ruolo di indirizzo e dicontrollo rispetto alle forze dell'ordine. Il "partitodella polizia", storicamente contrario all'esistenzastessa di una legge sulla tortura, è riuscito aimporre il suo punto di vista e a svuotare di sensoun testo che si ispirava, nella sua versione iniziale(firmata dal senatore Luigi Manconi), alla

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definizione data dalla Comvenzione dell'Onucontro la tortura. Il testo è ora tornato al Senatoed è stato oggetto di nuove critiche da parte del"partito della polizia", in un gioco delle parti chenon promette niente di buono.Il capo della polizia Alessandro Pansa, duranteun'audizione informale a Palazzo Madama, si èscagliato contro il testo uscito dalla Camera,sostenendo che si è puntato il il dito contro leforze di polizia, criminalizzandole ingiustamente.Accuse del tutto immotivate, viste le sceltecompiute nella redazione dei vari articoli, ma utilia suscitare una nuova bagarre e ulteriori cautelenelle forze politiche.Ha poi preso la scena il Sap, sindacato noto per gliappalusi tributati durante un suo congresso agliagenti condannati per l'uccisione di FedericoAldrovandi: prima l'acquisto di paginepubblicitarie su alcuni giornali per contestare untesto di legge giudicato punitivo e destinato a"legare le mani" agli agenti, poi unamanifestazione di piazza spalleggiata dai verticipolitici della Lega Nord, nelle persone di MatteoSalvini e Roberto Maroni. Dall'altra parte c'è ildeserto. Ossia il silenzio delle forze politicheparlamentari democratiche e di sinistra,intimorite dall'offensiva del "partito dellapolizia", e il silenzio, o addirittura la pressioneaffinché sia approvato in fretta il testo uscito daMontecitorio, di associazioni come Antigone eAmnesty International, paralizzate dalla logica"meglio una legge mediocre che nessuna legge".Colpisce che il fronte dell'esplicito rifiuto deltesto di legge in discussione riunisca soggetticome il Comitato Verità e Giustizia per Genova, ifamiliari di Stefano Cucchi, il pm nel processoDiaz Enrico Zucca, il giudice del processod'appello per Bolzaneto Roberto Settembre(autore dell'importante libro "Gridavano epiangevano").I torturati e i "tecnici" che hanno dovutoaffrontare casi di tortura dicono no, ma nessuno liascolta. Perché? Perché di polizia non si puòparlare. L'argomento - politicamente parlando - ètabù e alle forze dell'ordine è riconosciuto undiritto di veto sulle decisioni che le riguardano. Ilsenatore Manconi, in un recente intervento, haspiegato che i gruppi parlamentari hanno paura

delle forze di polizia: "È come se la classepolitica", ha scritto, "non si fidasse della lealtàdelle polizie, dubitasse della loro dipendenza invia esclusiva dalla legge, ne temesse le reazioniincontrollate".Perciò una discussione vera sulla sentenza dellaCorte di Strasburgo non è nemmeno cominciata;perciò può accadere che il capo della polizia e ilministro dell'Interno chiedano al Guardasigilli diavviare di un'azione disciplinare contro il pmZucca, reo di avere ribadito in pubblico (qui ilvideo da non perdere ) i gravi appunti messi nerosu bianco dai giudici europei. Gli scenari possibilia questo punto sono due. Il primo: la legge vieneapprovata con leggeri cambiamenti e nel giocodelle parti si potrà dire - con grande ipocrisia -che il parlamento ha legiferato con coraggiononostante l'ostilità serpeggiante nelle forze dipolizia. Il secondo: la legge rimane nel cassetto.E' per l'ironia che accompagna certi passaggi pocolimpidi della nostra vita pubblica, che proprio noi- il Comitato Verità e Giustizia per Genova - che latortura l'abbiamo vista in faccia e che una legge lainvochiamo dal 2001, speriamo a questo puntoche la "mediocre legge" venga accantonata. Solocosì la partita rimarrebbe aperta. Bene farebbe ilparlamento a prendersi la responsabilità diriconoscere di non essere in grado di approvareuna buona legge sulla tortura.Abbiamo aspettato tanto, aspetteremo ancora,lottando per ottenere quel che serve: una veralegge sulla tortura; una discussione seria suldisagio mostrato dalle nostre forze dell'ordinerispetto agli standard internazionali in materia digaranzie, trasparenza, correzione dei proprierrori; una riforma democratica degli apparati disicurezza.

Lorenzo Guadagnucci ha scritto un e-book, scaricabilegratuitamente dal sito di Altreconomia, dal titolo"sTortura. Perché l'Italia non sa punire la tortura ed èincapace di una riforma democratica delle forze dipolizia"

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22 perUnaltracittà, laboratorio politicoLA CITTÀ INVISIBILE #24 dell'8 luglio 2015

Jihad, Rossi va in Africa.Ma la missione è in patriadi Elle Pi

cooperante nei Paesi del Sud del mondo

26 Giugno 2015, Francia, Kuwait, Tunisia: in 3 areedel mondo si sono perpetrati fatti di sangue diestrema violenza, in risposta all'appello dell'Isische invitata a trasformare questo Ramadannell'inferno degli infedeli. In Tunisia, a Sousse,l'evento più sanguinoso: l'attentato più gravedella storia del Paese che, sotto choc, conta tra iferiti anche i 12milioni di tunisini.Si fatica a capire come tutto questo possacoesistere con l'apertura del primo e piùpromettente cantiere democratico nato dalleprimavere arabe. Per molto tempo ricorderemoquesto Ramadan. O lo archivieremo velocementecome l'ennesima scia di sangue che ha turbato ilnostro inizio estate. Ne ricorderemo le dinamicheviolente, morbosamente ricostruite, e forse anchele reazioni istituzionali. Come le reazionimancate.La risposta tunisina è ormai già nota: ad unattacco che ha palesemente mirato adestabilizzare il Paese e a colpirne un ganglioeconomico vitale come quello del turismo, sirisponde con una politica 'diserbante' che sembracolpire all'altro fianco tutta la società civilemilitante: rafforzamento del controllo poliziescosia in zone turistiche che in zone urbane, retatecontinue e arresti quotidiani per individui opiccoli gruppi tacciati di essere celluleterroristiche, rimessa in discussione della leggesull'associazionismo approvata all'indomani dellarivoluzione del 2011, incentivi alla delazioneverso individui con comportamenti 'in odore' diestremismo.Si torna al pre-rivoluzione, al controllosecuritario totale, alla regola del sospetto. InEuropa, la reazione è consolidata: intensificazionedei controlli, limitazione e chiusura dellefrontiere ai migranti, tra le fila dei quali sitrovano anche quei giovani disperati e a rischio diradicalizzazione. Su entrambe le sponde delMediterraneo non ci si preoccupa spesso di fareuna analisi delle cause di queste scelte estreme.

Una risposta è venuta anche dalla RegioneToscana, con il Presidente Enrico Rossi che haannunciato, all'indomani dei fatti di Sousse, unsuo viaggio in Tunisia. La Regione Toscana operain Tunisia ed in altri Paesi dell'area finanziando(con fondi sempre più ridotti, data la falcidie dellaspending review) vari progetti di cooperazioneche, grazie alle associazioni che lavorano suiterritori, contribuiscono a creare dei ponti didialogo.Questi interventi possono fornire nuove chiavi dianalisi, comprensione, rilevazioni di quelmalessere che può pericolosamente radicalizzarsi.Non è un caso se dai territori periferici dellaTunisia o del Marocco provenga la maggior partedei giovani che va a formarsi in Siria per unirsialla Jihad. Sarebbe importante cogliere questapossibilità di comprensione per portare qualcosaindietro da questi viaggi, e verrebbe da dare unconsiglio anche al Presidente della RegioneToscana, che può vantare esperienze importantisia sul fronte della cooperazione che su quellodella accoglienza: al rientro dalla Tunisia, la tappasuccessiva deve essere Roma, guardando aVentimiglia.Occorre incidere sulle decisioni che hannoirrigidito l'Europa rispetto alla accoglienza stessa,che l'hanno resa una fabbrica di rifiuto e,all'indomani degli attacchi, di cordoglio sterile. Sesi contrappone al muro della mancanza delleopportunità oltremare un altro muro alla libertàdi circolazione, non ci meravigliamo che qualcunoquel muro tenti di scavalcarlo, o cerchi di farlosaltare in modo più drammaticamentespettacolare.E allora la missione di Rossi dev'essere in patria,deve costruire modelli di analisi e di dialogo cheal momento mancano totalmente nel governodell'Italia e dell'Europa, deve dare prospettive dimedio lungo termine a sperimentazioniimportanti di pratiche di accoglienza econvivenza. Altrimenti il rischio è chel'operazione sia improduttiva o, peggio ancora,generi analisi semplificate che contribuirannosolo a renderci facilmente archiviabile e quindidimenticabile il Ramadan 2015.

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In certi casi, la disobbedienza èun doveredi Redazione

Il testo di una nobile lettera, contro i respingimenti deirifugiati alla frontiera con l'Italia, del principalesindacato dei ferrovieri francesi, scelta e tradotta daMaria Cristina Gibelli per Eddyburg. Il principalesindacato dei ferrovieri francesi si ribella alla politica direspingimento dei rifugiati in atto alla frontiera conl'Italia e scrive una lettera al Presidente della SNCF(l'azienda nazionale delle ferrovie francesi), ricordando alui, e quindi anche a Hollande e al ministro dell'InternoBernard Cazeneuve, che fra il 1942 e il 1944, durante ilgoverno di Vichy, 76.000 ebrei francesi furono deportatinei campi di sterminio nazisti utilizzando i treni mercidelle ferrovie dello stato; e ricordando altresì che moltifurono gli episodi di eroismo dei ferrovieri in difesa deideportati. Ieri si era costretti a viaggiare verso la morte,oggi si impedisce di viaggiare verso la vita (m.c.g.).

Signor Presidente,la Federazione CGT dei ferrovieri le ha scritto peresprimere la sua ira quando lei è andato apresentare le sue scuse negli Stati Uniti presso lelobby americane a proposito del ruolo giocatodalle ferrovie francesi durante la seconda guerramondiale. Abbiamo detto che certamente la SNCFha partecipato al trasporto dei deportati verso icampi di concentramento per ordine del governodi Vichy, ma sarebbe stato opportuno ricordareanche quanti ferrovieri, in maggioranza militantidella CGT, sono stati uccisi, feriti o internati peraver opposto resistenza.Il governo francese si è impegnato per unrimborso rilevante (a priori, 60 milioni di euro)nei confronti dei deportati ebrei, o dei lorodiscendenti residenti negli Stati Uniti. Fino adallora, la direzione della Ferrovie dello stato si eradifesa sulla base del principio della requisizioneobbligatoria imposta dallo Stato francese in quelperiodo oscuro della nostra storia. Ma nondimentichiamoci che dei ferrovieri sono statimandati a morte per aver rifiutato di obbedire,altri hanno svolto questo ignobile compito sottola minaccia delle armi, altri ancora hannoorganizzato l'evasione dei deportati a rischio

della loro vita e hanno ottenuto la qualifica di"Giusti".Oggi si stanno costituendo delle associazioni perportare aiuto ai migranti che arrivano dall'Africao dal Medio Oriente. E anche in questeorganizzazioni sono impegnati dei ferrovieri perlo più aderenti alla CGT.   Queste donne, questibambini, questi uomini, spesso giovani, fuggonola guerra, la carestia e la morte; vanno in esilioperché braccati in quanto oppositori politici didittature.Sappiamo tutti che la situazione catastrofica dallaquale fuggono i migranti ha la sua origine nelcapitalismo mondializzato e nella avidità dellegrandi multinazionali. Sappiamo tutti che lepotenze economiche del "mondo dei ricchi", perlo più occidentali, obbediscono ciecamente alleimprese transnazionali che commerciano condittatori e oppressori. Anche la stessa SNCF nonfirma forse contratti con alcune monarchie delGolfo o con lo Stato di Israele malgrado la sorteche esso riserva al popolo palestinese violando leconvenzioni dell'ONU?Ecco perché, e con estrema urgenza, occorreaccogliere questi migranti, garantire lorosicurezza, cura e asilo in Europa; perché anche noifrancesi abbiamo delle responsabilità neiconfronti della politica internazionale portataavanti dal nostro governo e da alcune impresenazionali.Contemporaneamente, apprendiamo che lastazione ferroviaria di Menton Garavan, allafrontiera italiana, funziona come un "parco deimigranti" controllato dalle forze dell'ordine, perorganizzare il respingimento di questi poveretti.Apprendiamo che i dirigenti locali della SNCF sinascondono dietro le ordinanze della prefetturaper mettere questo luogo sotto il controllo dellapolizia, tutto come 70 anni fa. Forse può apparireaneddotico, ma apprendiamo che queste personesono in regola con la SNCF perché sono titolari diun biglietto ferroviario che non gli è neppurestato rimborsato, mentre il prezzo di un bigliettocostituisce per loro un impegno enorme data lasituazione di estrema precarietà.Signor Presidente, fra qualche anno uno dei vostrisuccessori andrà a presentare le sue scuse? O ilprincipio di requisizione verrà di nuovo utilizzato

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per coprire fatti ignobili? Vi poniamosolennemente questa domanda e vi chiediamo diporla ai signori Hollande, Valls e Cazeneuve,Fabius e Macron nei loro rispettivi ruoli.Ci auguriamo che lei si ribelli e facciarapidamente opposizione a queste procedureriprovevoli e che la nostra Società porti soccorsoe assistenza ai migranti e dia loro il diritto diviaggiare, piuttosto che servire una politicaeuropea e francese che non si assume le sueresponsabilità e non trova risposte altro che larepressione e la chiusura delle frontiere.In certi casi, la disobbedienza è un dovere.

Per Mondeggie il futuro della democraziadi Tomaso Montanari

docente di Storia dell’arte moderna, editorialista e blogger

Mi dispiace molto di non poter essere con voi oggi- e anche di non essere riuscito ad inviarvi unvideo, per le difficoltà di collegamento internetche ho nel luogo in cui mi trovo. Mi dispiaceperché il sudore del vostro duro lavoro diquest'anno non è andato a irrigare solo la terra diMondeggi, ma anche la terra sempre più piccola esempre più sterile della democrazia italiana. Tuttii fiorentini e tutti gli italiani devono esservi gratiper quella che è sempre più evidentemente unasupplenza istituzionale: a Mondeggi vieneapplicata quella Costituzione della Repubblicaitaliana che viene invece calpestata da coloro chehanno solennemente giurato di difenderla (aRoma e a Firenze).Al posto di quella Costituzione, vige oggi inEuropa la legge ferrea della cosiddetta«modernizzazione», che è stata la parola d'ordinedell'età di Tony Blair: un'età a cui Matteo Renzi siispira esplicitamente e programmaticamente, e lacui «"costituzione" non scritta, ma applicata dadecenni con maggior rigore di molte Costituzioniformali, ... [è] volta a cancellare le conquiste chela classe lavoratrice e le classi medie avevanoottenuto nei primi trenta o quarant'anni dopo laguerra».Sono parole di Luciano Gallino, che ha anche

spiegato che il primo articolo di questa legge -virtuale, ma ferrea - del mercato dice che «loStato provvede da sé a eliminare il propriointervento o quantomeno a ridurlo al minimo, inogni settore della società: finanza, economia,previdenza sociale, scuola, istruzione superiore,uso del territorio». Così - mentre negli Stati Unitieconomisti, storici e filosofi come Joseph Stiglitz,Tony Judt o Michael Sandel rilanciano il ruolodello Stato e un'idea forte di interesse pubblicocollettivo - l'Europa e con essa l'Italia sembranocondannarsi a guardare al passato, ripetendoneerrori e tragedie.È su questo altare - ideologico, ma sorretto dapotentissimi interesse privati - che in queste oreci stiamo preparando a sgozzare la Grecia: nel piùgrandioso sacrificio umano mai organizzato daistituzioni pubbliche per onorare il Dio Mercato.Ciò che manca, ovunque si guardi, è un progettodi comunità, un'idea forte di cosa possa essere laRepubblica italiana del futuro, la capacità dirender finalmente concreto l'attualissimo disegnocontenuto nella Costituzione: quella vera. Equesta idea manca perché oggi sembraimpossibile avere un'idea dell'uomo che non siaridotta alla sola dimensione economica. Farevadere il patrimonio culturale dalla prostrazionemateriale e morale in cui è stato confinato daltotalitarismo neoliberista significa rimettere incircolo uno dei pochi antidoti a questo dogma.Finora il patrimonio culturale - e cioè l'insiemeinscindibile del «paesaggio e patrimonio storico eartistico della nazione», come dice l'articolo 9della Costituzione: e cioè, ancora, la terra e ciòche l'uomo vi ha costruito - non è entrato neldibattito sul futuro di un'economia civile esostenibile che sostituisca all'obiettivodell'accumulazione dei singoli quello del benecomune. Ciò dipende anche dalla distorsione percui, nel discorso pubblico, il patrimonio culturalecoincide sostanzialmente con i pochi museiceleberrimi. Ma la stragrande parte di essoconsiste in ville, palazzi o complessi conventualicollegati a orti o a vere e proprie tenute agricole.Tutti casi in cui sarebbe percorribile la stradaadottata per le terre sottratte alla criminalitàorganizzata, che vengono reintrodotte nelcircuito economico legale grazie al lavoro di

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organizzazioni come Libera Terra, o a progetticome la Rete Economica Sociale, che riscatta leterre di don Peppe Diana, cioè il feudocamorristico di Casal di Principe. E noi, inToscana, dobbiamo guardare all'esperienza diMondeggi esattamente nello stesso modo:un'esperienza che non coltiva solo la terra, macoltiva la democrazia, anche a vantaggio di tutticoloro che dormono.E invece, l'unica politica del patrimonio culturaleè una continua, sorda e criminale alienazione.L'alienazione del patrimonio culturale è unasottospecie, particolarmente grave e dolorosa,dell'alienazione del patrimonio immobiliarepubblico, che a sua volta rappresenta la fase finaledel gigantesco processo di privatizzazione delsistema delle partecipazioni statali intrapreso dal1992 in poi. Quest'ultimo ha riguardato il sistemabancario ed altre grandi attività imprenditoriali,come la siderurgia, l'alimentare, la grandedistribuzione e la ristorazione, l'alluminio, ilcemento, il vetro, le costruzioni, letelecomunicazioni, l'editoria e la pubblicità, lagestione delle infrastrutture e altro ancora: igrandi monopoli, o semi-monopoli pubblici cheoffrono servizi ai cittadini: le telecomunicazioni,la gestione del sistema autostradale,aeroportuale, portuale e altro. Sono state cosìtrasferite ai privati le grandi renditeprecedentemente gestite dal pubblico.Praticamente nessuno ha venduto più di noi:l'Italia è al secondo posto nel mondo, dopo ilRegno Unito e prima di Francia, Germania eSpagna. E abbiamo venduto per l'enormecontrovalore di circa 205 miliardi di euro, aivalori correnti. Nel 2001 il ministro del TesoroVincenzo Visco poteva introdurre il Libro Biancodelle Privatizzazioni scrivendo che «la legislaturasi conclude con la pressoché totale fuoruscitadello Stato dalla maggior parte dei settoriimprenditoriali dei quali, per oltre mezzo secolo,era stato, nel bene e nel male, titolare». E lodiceva con orgoglio.Ma, nei fatti, questo colossale susseguirsi dialienazioni non è stato fondato su un progettoindustriale, per esempio sul disegno (che pure erastato preso in considerazione) di creare«dieci/dodici gruppi industriali caratterizzati da

una dimensione che avrebbe permesso loro dicompetere a livello europeo»: è stato inveceguidato dalla ricerca della massimizzazione delvalore degli introiti, per la riduzione del debitopubblico. Ed è impossibile non osservare che se aridurre il debito fossero stati incanalati idividendi della imprese pubbliche che abbiamoinvece venduto, il risultato sarebbe stato forsemigliore.E se «dai governi Amato-Ciampi a quello di Montiil debito pubblico italiano, non è diminuito, anzi èaumentato», gli effetti delle privatizzazioni sulbenessere dei consumatori sembrano ancora piùcontroversi. Lo sono per quanto riguarda i servizibancari. E lo sono per i servizi autostradali e delleutilities. In particolare, analizzando nel dettaglio iprezzi dei servizi erogati dalle utilities (acqua,energia, trasporti, telecomunicazioni), si osservauna dinamica dei prezzi molto accentuatasoprattutto nei settori dell'acqua, del gas e delleautostrade, e una forte riduzione nelletelecomunicazioni.Ancora meno soddisfacenti appaiono i risultatidella privatizzazione delle banche per ciò cheattiene al livello degli oneri che il sistemabancario pone a carico della clientela, che da tuttele indagini anche di recente condotte risultasistematicamente e considerevolmente piùelevato di quello riscontrato nella maggior partedegli altri paesi europei. È stato anche questo aspingere 27 milioni di italiani a votare (per il 95,5%) contro la privatizzazione dell'acqua, nell'unicaoccasione (il referendum del 2011) in cui siamostati chiamati a pronunciarci su questo processoche ha cambiato profondamente le nostre vite. Sulpiano sociale i risultati sono stati anche peggiori:«considerando l'indice di Gini, negli anni 1991-93si osserva un brusco aumento delladiseguaglianza, che è tornata ai livelli dei primianni ottanta; l'indicatore si mantiene poi suglistessi livelli per gli anni successivi. Gli indicatoridi povertà assoluta mostrano una dinamica deltutto simile».E in più bisogna rammentare che, in Italia come intutto l'Occidente, «la stessa agenda dellaprivatizzazione e liberalizzazione è stataprofondamente corrotta: ha fatto confluirerendite elevate nelle mani di chi usava la propria

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influenza politica per portarla avanti». E quando,dopo un quinquennio di fuoco, la forza propulsivadella privatizzazione delle imprese statali iniziavaad affievolirsi (anche perché la materia primacominciava a scarseggiare), è stata la volta dellavendita del patrimonio immobiliare, decollataproprio con la creazione della Agenzia delDemanio (1999), ed ormai arrivata a cedereimmobili pubblici per un controvalore di circa 25miliardi di euro.Dopo una serie di tappe di avvicinamento, tuttedovute a governi di centro-sinistra, l'apice dellaprivatizzazione del patrimonio si toccò, grazie aGiulio Tremonti, con «la costituzione, nel 2002,della Patrimonio dello Stato spa, una società perazioni che, almeno teoricamente, avrebbe potutogestire e alienare qualunque bene della proprietàpubblica. In un colpo solo, lo Stato intero, ilcomplesso della proprietà pubblica, si sarebbepotuta dematerializzare nella forma di azioni».Ovviamente questa specie di escalation dellaprivatizzazione colpì e travolse anche la parte piùimportante del patrimonio dello Stato, il«paesaggio e il patrimonio storico e artistico dellanazione»: e di fronte all'enormità dell'attacco, sirisvegliò quel che rimaneva dell'opinionepubblica. Il libro Italia spa di Salvatore Settis - cheuscì proprio nel 2002, conquistando subito unruolo guida - aprì gli occhi agli scettici e agliincreduli, dimostrando con numeri e fatti che «ilpatrimonio culturale italiano non è mai statotanto minacciato quanto oggi, nemmeno duranteguerre e invasioni: perché oggi la minaccia vienedall'interno dello Stato, le cannonate dalle paginedella Gazzetta Ufficiale».Anche grazie a quella resistenza, il progettomegalomane della Patrimonio dello Stato spa siarenò, ma in questi dodici anni lo spirito del suoprogramma distruttivo è risorto molte volte. Si èreincarnato nella proposta «ancor più estremista»avanzata da Giuseppe Guarino nel 2006-07: quelladi costituire una enorme società per azioni chealieni il patrimonio dello Stato fino ad estinguereil debito pubblico. E, da ultimo, nell'analoga ideadell'imprenditore Marco Carrai, intimo delpresidente del Consiglio Matteo Renzi: il qualevorrebbe creare un «Fondo Patrimonio Italia,dove conferire gli asset morti dello Stato per

estrarne valore: l'immenso patrimonioimmobiliare pubblico».Dopo aver legiferato «a monte, per valorizzarlo,andando a rimuovere gli ostacoli burocratici chene impediscono la valorizzazione», questo mega-fondo dovrebbe essere gestito, continua Carrai,con «efficienza, fantasia, volontà»: praticamenteun incubo. Ma mentre i teorici si esercitano, lasoluzione finale prende corpo poco a poco, primain Parlamento e poi nella carne di un Paese cheappare ormai rassegnato. Tra i passi più recenti sipossono segnalare la legge 248 del 2005, per laquale «nell'ambito delle azioni di perseguimentodegli obiettivi di finanza pubblica attraverso ladismissione di beni immobili pubblici,l'alienazione di tali immobili è considerataurgente con prioritario riferimento a quelli il cuiprezzo di vendita sia determinato secondo criterie valori di mercato.L'Agenzia del demanio è autorizzata, con decretodirigenziale del Ministero dell'economia e dellefinanze, di concerto con le amministrazioni che lihanno in uso, a vendere». E ancora la legge 133del 6 agosto 2008, che dispone la ricognizione delpatrimonio immobiliare degli enti locali (il cespiteoggi più succoso), al fine «della redazione delpiano delle alienazioni» (art. 1). E poi soprattuttola legge più grave e disastrosa di tutte, la 85 del2010 sul cosiddetto 'federalismo demaniale', cheprevede il conferimento agli enti locali, e lapossibile, successiva alienazione di benidemaniali, ivi compresi quelli storici e artistici:com'è avvenuto, per esempio, a Venezia per CàCorner della Regina sul Canal Grande, venduta dalComune a Prada per far tornare i conti delbilancio ordinario.E infine il devastante Sblocca Italia di MaurizioLupi e Matteo Renzi (2014), che mette una tagliasul patrimonio immobiliare pubblico, promet-tendo una quota degli utili ai Comuni che nefavoriranno la dismissione. Come ha scritto ilvicepresidente emerito della Corte CostituzionalePaolo Maddalena: si tratta di provvedimentilegislativi di una gravità eccezionale, che vannocontro la lettera e lo spirito della Costituzione.Questa mira ad un'equa ripartizione dei beni tratutti i cittadini, ispirandosi al principio dieguaglianza sostanziale e ai criteri dell'utilità

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generale e del preminente interesse pubblico. Ildecreto legislativo in esame, invece, toglie a tutti icittadini per favorire, in un primo momento, iresidenti di ogni singola regione, e in un secondomomento, addirittura singoli privati cittadini.Questa ormai fitta legislazione consegna aimanuali di storia del diritto le differenze tra benidisponibili, beni indisponibili e demanioinalienabile dello Stato, e cancella l'idea stessa diun demanio inteso come una riserva inattingibilerivolta al futuro e finalizzata all'attuazione deidiritti fondamentali dei cittadini: tutto è, nei fatti,alienabile, tutto è anzi potenzialmente già invendita, e le differenze di stato giuridico tra i benicomportano solo trafile burocratiche differenti.Un'involuzione, questa, la cui insensatezza èdenunciata dal persistere di benemeriti istitutigiuridici, come la prelazione pubblica el'espropriazione per interesse culturale: che sensoha comprare, o espropriare, beni privati perdifenderli meglio, se in un domani non tantoremoto sarà possibile rimetterli sul mercato? Cosìl'incubo della Patrimonio dello Stato spa si è difatto avverato, anche se nella forma di unostillicidio: le tre inserzioni di Stato con cui si aprequesto capitolo sono tre gocce di un flussocontinuo di alienazioni del quale l'opinionepubblica sostanzialmente non si rende conto.Ma, di fatto, la nostra generazione lascerà ainostri figli molto meno di quanto ha ereditato. Emolti si accorgeranno di ciò che abbiamo fattosolo quando - magari da vecchi, accompagnando inipotini in una gita domenicale - troverannosbarrato da un cancello con su scritto «proprietàprivata» il parco, la chiesa, il castello in cui hannotrascorso lunghe ore della loro infanzia.Dev'essere chiaro che quel che si vende (anzi, sisvende) non è terra, e non sono mattoni: sonoinvece la carne e il sangue della democraziaitaliana. In gioco non c'è solo la conservazione delterritorio: in gioco ci sono valori come la libertà,la giustizia, l'uguaglianza. Una società in cui siriducano ancora gli spazi pubblici dove tuttisiamo uguali, i luoghi in cui non siamo clienti e glioggetti e i valori non commerciabili è una societàcondannata a divenire meno libera, più ingiusta,ancora più insanabilmente diseguale. È unsuicidio: lento, e travestito da cura.

Ma è un suicidio. Difendere l'esperienza diMondeggi - come quelle del Teatro Valle di Roma,della Cavallerizza Reale di Torino, del Teatro Rossidi Pisa e molte altre ancora - significa difenderequel che resta della nostra sovranità. Perché èevidente che stiamo tornando alla teoriaabbracciata con fervore da uno dei personaggi delMulino del Po, scritto da Riccardo Bacchelliintorno al 1938: «la teoria per cui Buongoverno èdove uno comanda in piazza, e tutti sono padroniin casa propria». Nel discorso berlusconiano, e orain quello renziano, «padroni in casa propria»aveva un significato letterale (compendiare e'lanciare' il Piano Casa), ma ne aveva anche unotraslato e generale: la casa è il Paese, l'Italia, el'essere padroni è l'insofferenza radicale degliitaliani ad ogni regola.È il ribaltamento letterale dell'articolo uno dellaCostituzione: alla sovranità del popolo basatasull'idea ciceroniana di una comune libertà basatasulla comune sottomissione alle leggi, si opponel'idea 'texana' di una proprietà individuale dalvalore assoluto: la legge finisce dove inizia laproprietà. Ecco, invece, noi vogliamo unaRepubblica senza un uomo solo al comando, e unaterra senza padroni. È per questo che ringraziodal profondo del cuore tutti coloro che, aMondeggi, coltivano il futuro della democraziaitaliana.

Intervento scritto per l'Assemblea pubblica alla Casadel popolo di Grassina, 28 giugno 2015

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Glifosato: innocuo a Firenze,cancerogeno a Bolzanodi Gian Luca Garetti

medico “sentinella” della Piana fiorentina, attivo in

perUnaltracittà

Il Consiglio Provinciale di Bolzano ha approvatoin questi giorni una mozione che vieta l'utilizzodel glifosato e dei prodotti contenenti glifosato sututte le aree pubbliche.Il glifosato, un diserbante molto usato nei vignetie per diserbare strade e parchi, è ritenutoprobabile cancerogeno dalla IARC (Agenziainternazionale per la ricerca sul cancro) direttaemanazione della Organizzazione Mondiale dellaSanità. Provoca alla salute umana, sempre secondo loIARC, i seguenti danni: linfomi, carcinoma dellamammella, tumori della sfera riproduttiva,infertilità maschile ed altre patologie. Invece indata 4 maggio 2015, i responsabili della CittàMetropolitana, in una informativa ai vari comunidella provincia di Firenze (Valdarno Superiore,Chianti, Valdisieve, e Mugello), dichiarano diusare 'fitoinibitori assolutamente innocui neiconfronti di operatori ed ambiente', per lagestione del primo metro della banchina stradale,per tutelare gli operatori stradali, gliautomobilisti, l'ambiente, la salute dei cittadinipersino di quelli che soffrono di allergie.Il prodotto utilizzato per i trattamenti è il RodeoGold, della Monsanto, che contiene solo glifosato,senza coformulanti. Questo col nulla osta igienicosanitario dell'U.F.Igiene e Sanità Pubblica, ZonaSud-est. In Trentino-Alto Adige si è applicato ilPrincipio di precauzione mentre a Firenze non losi fa mai, ne sanno qualcosa gli abitanti dellaPiana, che si vedranno impiantare unbell'inceneritore! Russia e Danimarca da tempohanno vietato la vendita del glifosato,l'Olanda loha fatto da qualche mese,la Francia ci stalavorando e noi si fa finta di nulla? Riteniamopertanto indispensabile che sia bandito l'uso delglifosato.

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LE RUBRICHE

Cultura sì, cultura noa cura di Franca Falletti

ex direttrice della Galleria dell'Accademia di Firenze

Scompare un'altra eccellenzafiorentina: l'ex Istituto d'artedi Porta Romanadi F.F.

Alle pendici della collina di Boboli, nel complessodi quelle che furono un tempo le scuderie diPalazzo Pitti, ha sede il Liceo artistico statale diPorta Romana, meglio conosciuto nella città diFirenze e nel mondo, come Istituto d'Arte di PortaRomana. La scuola nacque nel 1869 nella zona diSanta Croce per formare artigiani del legno etrasformarsi nel 1880 in scuola di Arti decorativee Industriali.Dall'inizio degli anni Venti del Novecento, aseguito del trasferimento nel prestigioso edificioche tuttora occupa, la scuola iniziò a vivere unastagione di vivace e intenso sviluppo che la videprimeggiare nel campo della formazione diartigiani di primario livello nonché di artisti estilisti.Dalle sue aule, in molti casi prima come studenti epoi come insegnanti, sono passate personalitàquali Galileo Chini, Libero Andreotti, GiovanniMichelucci, Ottone Rosai, Armando Spadini,Marcello Guasti, Sandro Chia, Gino Coppedè,Enrico Coveri, Franco Zeffirelli. Senza tralasciareche lì si sono formati tutti quegli artigianiintelligenti e colti che hanno raccolto nel secolopassato l'eredità del nostro Rinascimento, quandoMichelangelo esaltava "la man che obbedisceall'intelletto" e un sovrano come Francesco I diFrancia ordinava la saliera per il suo tavolo aBenvenuto Cellini. Insomma, quando era a tuttichiaro che si pensa anche con le mani e fra arte eartigianato non esisteva che una labile linea diconfine.Oggi l'ex Istituto d'Arte, divenuto Liceo Artisticoper volere di una delle tante riforme che hanno

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prostrato la nostra scuola, ha perso il senso delsuo stare all'interno del sistema produttivo e lacapacità di alimentarlo, in una città dove i"prodotti tipici" sono tutti made in China.Perse o sminuite molte attività di laboratorio,passate mediamente da 8 a 2 ore settimanali, sisono sviluppati gli insegnamenti teorici che nellaloro genericità si affiancano come inutili replicheimpoverite a quelli dei licei classici e scientifici.Del resto, nel circolo vizioso che si è creato frascuola e società, vengono meno ogni anno gliartigiani in grado di insegnare le materie pratichetradizionali, come la formatura in gesso, tramitecui era possibile realizzare copie di sculturefamose dai calchi presenti nella ricchissimaGipsoteca storica.E di fatto la Gipsoteca non esiste più, perché dopoessere stata quasi interamente svuotata circa 15anni fa per lavori di ristrutturazione, non è maistata riallestita e serve ora come spazio da dare inconcessione per serate ed eventi privati, mentredelle forme in negativo indispensabili per farecopie sembra si sia persa la traccia, salvo ungruppo che è stato consegnato all'Accademia diBelle Arti.Forse (e chi di competenza dovrebbe dircelo) sonoin un deposito, insieme ad altro materialeugualmente non rintracciabile, come lescenografie fatte dall'Istituto per il MaggioFiorentino, che qualche solerte funzionario deveaver valutato di nessun interesse. Invece uninteresse c'era, perché l'Istituto d'Arte era ingrado di realizzare in proprio, grazie al possessodelle sue forme in negativo alcune addiritturaottocentesche, anche le costose copie del David diMichelangelo, di cui non raramente fannorichiesta soprattutto i ricchi signori dei paesiarabi e degli Stati Uniti.Infine, nemmeno dobbiamo preoccuparci che ilaboratori con i loro strumenti e apparecchi quasialtrove introvabili vengano lasciati in unimproduttivo abbandono, dato che per tenerli inattività si affittano regolarmente alla Scuolad'Arte Sacra, istituto dell'Opus Dei, inauguratoalla presenza del Cardinale Betori da MatteoRenzi il 31 maggio 2013 e con la partecipazioneeconomica dell'Ente Cassa. Quindi, tranquilli: toutse tient!

Pistoia l'altra faccia della Pianaa cura di Antonio Fiorentino

urbanista, attivo in perUnaltracittà

Il recupero di un'areaindebitata: l'ex ospedale Ceppodi A.F.

Il recupero dell'area dell'ex Ospedale del Ceppo èuna delle operazioni di rigenerazione urbana trale più significative e importanti attualmente incorso in Toscana. Si tratta di un intervento suun'area di sette ettari e mezzo circa, interna allacerchia delle mura medicee, e liberatasi in seguitoal trasferimento del nuovo ospedale costruito inarea periferica con project financing.L'intervento di recupero, in un luogo di altovalore storico e monumentale, ben collegato allacittà, rischia di trasformarsi in un'operazione dimera ragioneria immobiliare: in questastraordinaria occasione di rinnovo urbano,Regione e ASL devono "fare cassa" alla ricerca dei18 milioni che quest'ultima si è impegnata aversare per compensare la follia del nuovoospedale.Il recupero dell'ex Ceppo nasce quindi con undebito congenito che non potrà non condizionarele successive scelte sull'area. Scelte che sarannonecessariamente orientate nel senso dellamassima valorizzazione immobiliare, per di piùorchestrata da soggetti pubblici quali la Regione el'ASL. Non è un caso se il Piano per il centrostorico (Cervellati, 2006-2008), efficace da unpunto di vista del recupero storico-architettonicodell'area, accoglie la destinazione del 41% circadella superficie utile a residenze private e attivitàcommerciali, più o meno di vicinato, la cuivendita dovrebbe consentire il rientro dal debito.Le previste funzioni culturali e museali, le areeverdi, il parcheggio e le restanti attività sanitarie(molte delle quali sono ancora molto incerte),sembrano di corredo alla scelta iniziale. Siamoinsomma al debito come principio motore di unaprassi urbanistica poco corretta. Ma è proprioquesto il futuro che ci aspetta? Vale la penaricordare che, tra le soluzioni del piano Cervellati,quella approvata nel 2007 - sindaco Renzo Berti,

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dipendente ASL -, è stata la più impattante: quellacioè che prevedeva l'inserimento delle nuoveresidenze.Ma il Comune, che istituzionalmente è ilresponsabile ultimo della definizione delledestinazioni e della qualità del piano, che ruologioca in questa vicenda? L'amministrazione Berti(sindaco fino al 2012) ha sposato in toto lerichieste della Regione/ASL: l'accettazione deldiktat del fallimentare project financing delnuovo ospedale e il recupero "immobiliarista" delCeppo. La giunta successiva, sindaco Bertinelli(già capogruppo DS in Consiglio comunale),vorrebbe smarcarsi dal venefico abbraccio. Ma almomento, ci sembra, con scarsi risultati. UnProtocollo d'intesa del 2013 affida la regiadell'operazione a un gruppo di lavoro compostodai rappresentanti di Regione, ASL e Comune.Al gruppo, coordinato dalla Regione, è demandatala definizione degli interventi, delle destinazionid'uso degli immobili e delle procedure perl'attuazione del recupero/valorizzazione. Lapresenza ingombrante di Regione e ASL rischiacosì di limitare l'autonomia decisionale delComune, ipotecando di fatto gli esiti del PianoParticolareggiato Attuativo che l'amministrazionesi è impegnata a presentare entro giugno del2016. Ma la competenza di governo del territorio,che la Legge urbanistica mette in capo al Comune,è messa seriamente in pericolo dall'impegno,sottoscritto con l'Accordo di programma del 2015,di corrispondere all'ASL fino a 2 milioni di euro("Clausola di salvaguardia") nel caso in cui l'ASLnon realizzi i 18 milioni previsti dalle alienazioniai privati. Si teme che, per evitare la clausolacapestro, l'Amministrazione - dal deficit dibilancio dell'ordine di 2,5 milioni - farà i saltimortali pur di accontentare le pretese divalorizzazione immobiliare di Regione/ASL, conbuona pace degli interessi della cittadinanza.Non solo. L'intera operazione risultaestremamente onerosa per l'amministrazionecomunale, cui è ceduta tutta la partemonumentale dell'area, ma che in cambio deveprovvedere alla realizzazione delle opere diurbanizzazione e alla sistemazione dell'area,realizzare gli interventi relativi alla destinazionemuseale e culturale, gestire e mantenere l'intero

complesso. Oltre alla citata clausola disalvaguardia. Cos'altro ancora? Varie fontiritengono che a conti fatti il Comune dovràsborsare non meno di 8-10 milioni di euro. Doveandrà a prenderli?Certo, la Regione si è impegnata "a verificare lapossibilità di attivare finanziamenti", ancheeuropei, ma al momento il quadro finanziariodell'operazione è molto nebuloso, considerataanche l'attuale grave crisi del mercatoimmobiliare. E i cittadini stanno a guardare? Più omeno, dato che i soggetti interessati hanno fattoquadrato intorno alle scelte fondamentalisull'area. Il Comune intanto ha promosso unpercorso partecipativo che, seppur interessante, èlimitato alle destinazioni d'uso possibili dellafutura Casa della Città.Il futuro dell'area si gioca sulla capacità dicittadini, associazioni e comitati, di svolgere unruolo attivo nella definizione, dal basso enell'interesse generale, di proposte per latrasformazione dell'area. Ma, nel frattempo, ilComune sarà in grado di far valere la propriaautonomia decisionale? Sarà in grado di farprevalere gli interessi diffusi sulle preteseimmobiliari di Regione e ASL o si limiterà adaddolcire i bocconi amari che questi soggettivorrebbero impartire alla cittadinanza? Non sidimentichi infine che nella partita si pretende diinserire anche la "valorizzazione" dell'ex-ospedale psichiatrico delle Ville Sbertoli, almomento tenute al riparo dagli esiti di un recentepercorso partecipativo, ma sulle quali è benetenere alta la guardia.

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Kill Billya cura di Gilberto Pierazzuoli

attivo in PerUnaltracittà

Le radici di una fede.Per una storia del rapportofra moneta e credito inOccidente, di Massimo Amatodi G.P. per la serie Lo scaffale del debito

Un saggio che apparentemente tratta della storiadella moneta e del suo evolversi in rapporto allefunzioni da essa svolte, ma che in realtàsmaschera e decostruisce uno dei fondamenti chehanno reso e rendevano la moneta stessa capacedi svolgere dette funzioni. Si giunge cosìall'ipotesi per la quale soltanto un atto di fedepermetta alla moneta di essere taleimparentandosi sia formalmente, ma anchepsicologicamente, con il fenomeno del debi-to/credito.La tesi annunciata nell'introduzione è che ilsistema monetario attuale in quanto basato suuna moneta fiduciaria o moneta di credito, nonsia l'espressione del superamento del sistema delGold standard, inteso come sistema monetariofondato sull'oro e delle sue presunte inefficienze,ma la manifestazione di una natura profonda chevede il sistema monetario contemporaneo comeuna commistione incistata di moneta e credito.La fede del titolo corrisponderebbe dunque alfatto che «la possibilità di accantonare un mezzodi scambio con la certezza (la fede),istituzionalmente garantita, che esso conserviinalterato il suo valore nei termini dell'unità diconto; ovvero, simmetricamente, la possibilità didenominare un credito con la fede (la certezza)che l'unità di conto in cui esso è denominatocorrisponda sempre, per definizione, allamedesima quantità di mezzi di pagamentonecessari per onorarlo» (p.9).Visto che si sa sempre meno su che cosa abbiavoluto davvero dire la convertibilità, alloral'unica cosa che resterebbe da fare sarebbe didichiararla intoccabile, «come un articolo di fede»dice ancora Amato (p.252). E, su questa fede,sarebbe di fatto costruito anche l'attuale sistema

tanto da giustificare un titolo così particolare perun trattato sulle monete in occidente.Secondo questa visione, quello che abbiamo intasca (per chi ancora ce l'ha) sarebbe solo esoltanto un pezzo di carta e il fatto che abbia undato valore corrisponderebbe semplicemente adun atto di fede, un credo, che avrebbe e avrebbeavuto nel tempo più o meno delle buone ragioniper essere creduto. In tempi a noi più vicini, unavolta sganciato da ogni connessione con unaqualsiasi contropartita, l'atto di fede sarebbeaddirittura una trappola nella quale sarebbeprobabile cadere. Storicamente le contropartitepossibili sono state la corrispondenza e laconvertibilità della moneta con i metalli preziosiin cui erano coniate o la corrispondenza in orocostituita dalle riserve auree che le banchecentrali dovevano avere a giustificare la loropossibilità di emettere moneta, ma questo, comevedremo, non era bastante.Per coloro che sono interessati a questionieconomiche o strettamente monetarie, il saggio èricco di documenti e considerazioni, quello checomunque emerge è che anche là dove la monetaera garantita da una sua corrispondenza con imetalli, questa era soltanto un'apparenza e che ilreale funzionamento dipendeva egualmente da unatto di fede. L'analisi prende in considerazionevari stadi di questo processo che sgancia sempredi più la moneta dalle garanzie preposte alla suaautorevolezza e quindi alla sua funzionerappresentativa. L'autore traccia come unaparabola che vede al culmine il sistema del Goldstandard (la parità in oro delle riserve auree) e ilsuo declino che porta la moneta contemporaneaalla valenza di cui abbiamo parlato. Anche inquesto caso ci sono delle tappe piene di paradossie incongruenze. Dietro a questi elementi c'èinfatti una questione che domina il loro evolversi,la propensione dei creditori ad usare i crediticome valori, per la quale si ha che, se si dà unosguardo alle regole del gioco, emergaimmediatamente un elemento apparentementeparadossale. Ad esempio, per quanto riguarda ilperiodo relativo al Gold standard, la conversionesarebbe consistita nel momento del pagamentodel debito contratto, ma il il debito che le banchehanno costruito (più che concesso) era, come

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abbiamo sospettato, fatto per non essere pagato.La conversione sarebbe allora il momento in cui ildebito costruito per non essere pagato dovràessere pagato. Questa sarebbe la fine di unsistema che viveva e vive invece di un continuorilancio esprimendo così anche la sua potenza(capacità di agire e di riprodursi). Finale di partitaè dunque lo sganciamento perseguito primadall'Inghilterra in due fasi (prima nel 1914, poi nel1931) e soprattutto dagli Stati Uniti (RichardNixon il 15 agosto del 1971 dichiara la nonconvertibilità del dollaro con l'oro, si ha di fatto iltotale sganciamento della moneta da unqualsivoglia sistema di garanzie). Si scopre così laconnessione tra moneta e credito che è alfondamento dell'attuale sistema: «con il 1971, lasostituibilità fra moneta e oro è definitamenterimpiazzata dalla sostituibilità tra moneta ecredito» (p.254).Ci piace allora far notare, aggiungeremo noi, ilpassaggio dalla Lira all'Euro che vede dunque enon a caso la soppressione della dizione: "pagabilia vista al portatore" presente soltanto sullebanconote precedenti. Si ha così che la relazionedebito credito perda i connotati di una relazionetra i due attanti dello scambio, in un certo senso,si sia spersonalizzata. Al creditore viene fattocredere che ci sia una solvenza garantita e, nellostesso tempo, al debitore non vengono richiestepiù garanzie in maniera tale da poter espandere ladomanda in termini infiniti spostando sempre inavanti il momento della cessazione del rapportoche in teoria doveva coincidere con il pagamentodefinitivo del debito. Qui Amato conferma leconsiderazioni sollevate da Ross nello scorsonumero de La Città invisibile.La storia del debito e del credito cheapparentemente dovrebbe essere la stessa storia,ha come un'origine che marca in modidiversificati le due azioni e i due attoriproducendo un'eccedenza di senso nella relazioneper la quale il ruolo del creditore e quello deldebitore non sono (e non devono essere) inequilibrio. Lo scambio originario non era e nondoveva essere a pareggio; occorreva un plusvaloredi codice che tenesse aperta la relazione, che, inqualche modo la permettesse e l'attuasse. Questoè il punto nodale del rapporto debito/credito che,

pur non essendo al centro dell'indagine del nostroautore, viene comunque anche da luiriconosciuto: «La ragione dell'eccedenza di sensodella relazione debito-credito rispetto alla suadimensione puramente economica va cercatanello strutturale squilibrio che il rapporto fradebitore e creditore porta con sé. [Perché]"debitore" è spesso sinonimo di "colpevole" senon di "colui che deve espiare", "creditore" ècolui che ha in suo potere il debitore» (pp. 17-18).Con il corollario per il quale il debitore era ed è difatto assoggettato al creditore.La figura della merce che emerge da questeriflessioni non sarebbe né una cosa né un serviziointesi nella loro possibilità di essere oggetti discambio e quindi nel valore a loro attribuito, ma ilfatto che è diventato il valore di scambio stesso lamerce da prendere in considerazione. Laconvertibilità non sarebbe quindi quella tra lacarta e l'oro (misurata dall'aggio), ma quella tracredito e moneta, misurata dal tasso di interesse.Si chiude con una considerazione che vede questiparadossi e queste incongruenze essere inqualche modo legati con una considerazione,quella insensata della possibilità di unaperpetuazione senza rischi dell'ottimismo cheinvece dovrebbe fare i conti con la radicaleincalcolabilità del rischio. E, detto da unbocconiano, non è poca cosa.

Massimo Amato, Le radici di una fede - Per una storia delrapporto fra moneta e credito in Occidente, BrunoMondadori, Milano 2008. Pagine 274. Euro 23.00

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Ricette e altre storiea cura di Barbara Zattoni e Gabriele Palloni

chef attivi in perUnaltracittà

Orzata di risoCime… tempestose,recupero di bellezzedi B.Z.

Creuza de mäUmbre de muri muri de mainé/ dunde ne vegnì duve l’èch’ané/ da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa/ e aneutte a n’à puntou u cutellu ä gua/ e a muntä l’àsegh’é restou Diu/ u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu/ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria/ e afuntan-a di cumbi ‘nta cä de pria/ E ‘nt’a cä de pria chighe saià/ int’à cä du Dria che u nu l’è mainà/ gente deLûgan facce da mandillä/ qui che du luassupreferiscian l’ä/ figge de famiggia udù de bun/ che tipeu ammiàle senza u gundun/ E a ‘ste panse veue coseche daià/ cose da beive, cose da mangiä/ frittûa depigneu giancu de Purtufin/ çervelle de bae ‘nt’umeximu vin/ lasagne da fiddià ai quattru tucchi/paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi/ E ‘nt’a barcadu vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi/ emigranti durìe cu’i cioi ‘nt’i euggi/ finché u matin crescià da puéilurechéugge/ frè di ganeuffeni e dè figge/ can d’a cordamarsa d’aegua e de sä/ che a ne liga e a ne porta ‘nte‘na creuza de mä.

Mulattiera di mareOmbre di facce facce di marinai/ da dove venite dov’èche andate/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ ela notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montarel’asino c’è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fattoil nido/ usciamo dal mare per asciugare le ossadell’Andrea/ alla fontana dei colombi nella casa dipietra/ E nella casa di pietra chi ci sarà/ nella casadell’Andrea che non è marinaio/ gente di Lugano facceda tagliaborse/ quelli che della spigola preferisconol’ala/ ragazze di famiglia, odore di buono/ che puoiguardarle senza preservativo/ E a queste pance vuotecosa gli darà/ cose da bere, cose da mangiare/ fritturadi pesciolini, bianco di Portofino/ cervelli di agnellonello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/posticcio in agrodolce di lepre di tegole/ E nella barca

del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti dellarisata con i chiodi negli occhi/ finché il mattinocrescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani edelle ragazze/ padrone della corda marcia d’acqua e disale/ che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.

Se con una pistola puntata alla tempia, dovessiscegliere solo una, dico una, canzone di Fabriziosceglierei questa. Legata da “cime” di acqua e disale, è per me il più bel racconto di un progettoiniziato da tempo e compiuto, che si mostra, sirichiude e risale nell’incavo dell’onda, in unguazzabuglio di lingue diventate una lingua.Quest’uomo di porto, porto di mare, che con noinaufraga e ritorna pieno di doni. Vengono da tuttii mari di tutte le terre, ( e eeanda e eeanda eeeanda eo) e da dove tutti gli uomini, nella fatica diessere, diventano uno solo e capace di grandisguardi, all’orizzonte, imparando a livello delmare. E nella casa di Andrea, saranno le cose dabere e cose da mangiare, che a queste pance vuotesi offrirà.Non più un piatto, una ricetta (‘a cimmà) maidentità e memorie, capacità e tripudio di dignità,dal pasticcio di lepre al bianco di Portofino, iprofumi di molti gesti. Tra 2 muri di confine siapre una creuza, così come quando all’improvvisoci appaiono “viottoli di mare” che il vento,crespando l’acqua, li rende simili e noi,consapevoli di poter o dover scegliere; è unapertura che passando tra Due, convoglia tutto inUno, che può contenerle tutte.Io non scriverò le “ricette” di casa di Andrea, michiamo Barbara e non vivo a Genova, anche se inLiguria ho passato molto tempo. Di cose da bere eda mangiare, sulla mia tavola virtuale ce ne sonomolte, potete scegliere; solo vorrei dedicareancora una cosa, oltre a quella proposta inoccasione della manifestazione “coda di lupo”,quando attaccammo alle pareti tutte le foto chegli organizzatori ci spedirono per un’esposizionededicata a Fabrizio, cosi come inserimmo nelmenu un piatto ligure: i pansotti col sugo di noci.Rimane il rammarico di non aver potuto frugarenel libro di cucina di casa De Andrè, comepromesso, ma forse è stato meglio così: troppaemozione. Allora scelgo una bevanda, assai diffusanel mondo, diversa ed uguale a seconda delle

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genti che ne bevono.E così stappando la bottiglia di orzata dovegalleggiava Milano, la ricetta che vi scrivo, èinvece allegra e solare. Serve a prepararel’Horchata de arroz, che con questo caldo…

Ingredienti: riso bianco, acqua, alloro, cannella,zucchero semolato, latte di mucca

Si mettono 250 gr di riso (tutti quei fondi neicartoccini di risi di varia natura e con cotturedifferenti che altrimenti non sapresti cosa farne)in un contenitore con 4 litri di acqua fredda,facendo riposare in frigo per una notte.Aggiungere 1 stecca di cannella spezzettata e 4foglie di alloro spiegazzate (più aroma) erimettere in frigo per 3 ore. Ora si toglie l’alloro esi frulla con una frusta a immersione. Così com’è,tutto a crudo.Prendiamo un colino fitto e rovesciamo piano, inun altro contenitore, solo il liquido, senza il risofrullato che renderebbe tutto troppo amidoso. Siaggiusta con zucchero a piacere ed un litro dilatte.Indicatissima per grandi e piccini, si conserva infrigo per 4 o 5 giorni ed è, in fondo, solo un’altrotipo di orzata, come se ne inventarono molti altri.