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273 Con il termine ergomouzaika 1 si vuole indicare, seppure con qualche libertà linguistica, la particolare tecnica artistica del micromosaico prodotto in area bizan- tina in un arco cronologico piuttosto circoscritto che va dal tardo XI secolo al XIV 2 . L’ambiguità terminologica è tuttavia solo uno degli aspetti ancora irrisolti che riguarda la raffinata tecnica artistica che riunisce insieme le peculiarità forma- li del mosaico, le difficoltà tecniche e il gusto ricercato dell’oreficeria, la funzione cultuale delle icone portatili, nonché il valore simbolico di status e prestigio sociale 3 . 1 Il termine trae il suo più antico riferimento dal De Cerimoniis (Bonn, I: 582), in particolare nel passo che descrive il pentapyrghion, vale a dire il mobile “turrito” in cui l’imperatore bizantino custodi- va le sante reliquie. Oltre ai preziosi oggetti di culto, si fa riferimento anche ai cosiddetti ergomouka, termine che però non ha trovato una più precisa traduzione. Nell’Ottocento, Jules Labarte interpreta il termine in questione come la corruzione di ergomouzakia, riferendolo, appunto, alle icone musive. Vedi J. LABARTE, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, p. 47. 2 Tra i primi studi sul micromosaico bizantino ricordo qui quelli di Victor Lazarev (V. LAZAREV (LASAREFF), ‘Byzantine Ikons of the Fourteenth and Fifteenth Centuries’, in BurlM, I/XI, pp. 249-261; e i molti esemplari citati nella sua Storia della pittura bizantina, Torino 1967); l’ampia panoramica di Sergio Bettini nell’articolo del 1938 (S. BETTINI, ‘Appunti per lo studio dei mosaici portatili bizantini’, in FR, XLVI, 1938, pp. 7-39) e i fondamentali studi di Otto Demus ( O. DEMUS, ‘Byzantinische Mosaik- miniaturen’, in Phaidros, III, pp. 190 ss.; ID., Byzantine Mosaic Decoration: Aspects of Monumental Art in Byzantium, London 1948 e ID., ‘Two Paleologan Mosaic Icons in the Dumbarton Oaks Collection’, in DOP, 14, 1960, pp. 87-199. Solo nel 1978 Italo Furlan pubblica un primo elenco e catalogo delle ico- ne musive fino ad allora note (I. FURLAN, Le icone bizantine a mosaico, Milano 1979). Negli ultimi an- ni è stato dedicato all’argomento un più cospicuo numero di contributi che ha permesso di riporta- re la questione delle icone musive, al centro del dibattito sulla produzione e sullo stile figurativo me- dio e tardo bizantino. Si vedano a tale riguardo gli studi della Krickelberg-Pütz (A.-A. KRICKELBERG- PUTZ, ‘Die Mosaikikone des Hl. Nikolaus in Aachen-Burtscheid’, in AachenerK, 50, 1982, pp. 10-141) e di Ryder (E. C. RYDER, ‘Reception and Re-interpretation: Portative Mosaic Icons in Western Europe’, in Thirtieth Annual Byzantine Studies Conference, October 28-31, 2004, The Walters Art Museum and The Johns Hopkins University Baltimore, Maryland; ID., Micromosaic icons of the late Byzantine period, Ann Ar- bor, Mich., PhD, New York University, ed infine ID., ‘Byzantine Mosaic Icons in the Medici Collection’, in The Fifty-Sixth Annual Meeting of the RSA, Venice, Italy 8-10 April 2010 (in corso di stampa). Più re- centemente, in occasione del Congresso Internazionale di Studi Bizantini, svoltosi a Sofia (Bulgaria), Italo Furlan è nuovamente tornato sull’argomento delle icone musive con un intervento dal titolo ‘Les icones à mosaïque mediobyzantines’, in Proceedings of the 22 nd International Congress of Byzantine Studies (Abstracts of Round Table Comunications), Sofia, 22-27 August 2011, p. 196. 3 In molti casi questi piccoli oggetti realizzati con tessere auree o argentee appartenevano ad espo- nenti dell’aristocrazia imperiale e all’imperatore stesso. Su questo argomento si veda in particolare RYDER 2010, cit. a nota 2. Tra le icone a micromosaico appartenute o donate da ricchi membri della famiglia imperiale si ricordano qui: la ben nota icona di San Demetrio a Sassoferrato, quella delle do- dici feste al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, l’icona di Cristo di Galatina e infine quelle por- tate in Italia dal Cardinale Bessarione per salvarle dalla minaccia dell’avanzata turca sui territori bizan- tini. Cfr. C. BIANCA, Da Bisanzio a Roma: Studi sul Cardinal Bessarione, Roma1999; M. R. MENNA, ‘Bisan- zio e l’ambiente umanistico a Firenze’, in RINASA, 53, s. III, anno XXI, 1998, pp. 111-158; D. CHER- RA, ‘Collezionismo e gusto per l’arte bizantina in Italia tra Trecento e Quattrocento’, in Bollettino del- la Badia Greca di Grottaferrata, III, s. 3, pp. 175-204. SILVIA PEDONE ERGOMOUZAIKA: ALCUNE NOTE SUL MICROMOSAICO DI PRODUZIONE BIZANTINA TRA XIII E XIV SECOLO

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Con il termine ergomouzaika1 si vuole indicare, seppure con qualche libertà linguistica, la particolare tecnica artistica del micromosaico prodotto in area bizan-ti na in un arco cronologico piuttosto circoscritto che va dal tardo XI secolo al XIV2. L’ambiguità terminologica è tuttavia solo uno degli aspetti ancora irrisolti che riguarda la raffinata tecnica artistica che riunisce insieme le peculiarità forma-li del mosaico, le difficoltà tecniche e il gusto ricercato dell’oreficeria, la funzione cultuale delle icone portatili, nonché il valore simbolico di status e prestigio sociale3.

1 Il termine trae il suo più antico riferimento dal De Cerimoniis (Bonn, I: 582), in particolare nel passo che descrive il pentapyrghion, vale a dire il mobile “turrito” in cui l’imperatore bizantino custodi-va le sante reliquie. Oltre ai preziosi oggetti di culto, si fa riferimento anche ai cosiddetti ergomouka, termine che però non ha trovato una più precisa traduzione. Nell’Ottocento, Jules Labarte interpreta il termine in questione come la corruzione di ergomouzakia, riferendolo, appunto, alle icone musive. Vedi J. LABARTE, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, p. 47.

2 Tra i primi studi sul micromosaico bizantino ricordo qui quelli di Victor Lazarev (V. LAZAREV (LASAREFF), ‘Byzantine Ikons of the Fourteenth and Fifteenth Centuries’, in BurlM, I/XI, pp. 249-261; BurlM, I/XI, pp. 249-261; BurlMe i molti esemplari citati nella sua Storia della pittura bizantina, Torino 1967); l’ampia panoramica di Sergio Bettini nell’articolo del 1938 (S. BETTINI, ‘Appunti per lo studio dei mosaici portatili bizantini’, in FR, XLVI, 1938, pp. 7-39) e i fondamentali studi di Otto Demus (FR, XLVI, 1938, pp. 7-39) e i fondamentali studi di Otto Demus (FR O. DEMUS, ‘Byzantinische Mosaik-miniaturen’, in Phaidros, III, pp. 190 ss.; ID., Byzantine Mosaic Decoration: Aspects of Monumental Art in Byzantium, London 1948 e ID., ‘Two Paleologan Mosaic Icons in the Dumbarton Oaks Collection’, in DOP, 14, 1960, pp. 87-199. Solo nel 1978 Italo Furlan pubblica un primo elenco e catalogo delle ico-DOP, 14, 1960, pp. 87-199. Solo nel 1978 Italo Furlan pubblica un primo elenco e catalogo delle ico-DOPne musive fino ad allora note (I. FURLAN, Le icone bizantine a mosaico, Milano 1979). Negli ultimi an-ni è stato dedicato all’argomento un più cospicuo numero di contributi che ha permesso di riporta-re la questione delle icone musive, al centro del dibattito sulla produzione e sullo stile figurativo me-dio e tardo bizantino. Si vedano a tale riguardo gli studi della Krickelberg-Pütz (A.-A. KRICKELBERG-PUTZ, ‘Die Mosaikikone des Hl. Nikolaus in Aachen-Burtscheid’, in AachenerK, 50, 1982, pp. 10-141) e AachenerK, 50, 1982, pp. 10-141) e AachenerKdi Ryder (E. C. RYDER, ‘Reception and Re-interpretation: Portative Mosaic Icons in Western Europe’, in Thirtieth Annual Byzantine Studies Conference, October 28-31, 2004, The Walters Art Museum and The Conference, October 28-31, 2004, The Walters Art Museum and The ConferenceJohns Hopkins University Baltimore, Maryland; ID., Micromosaic icons of the late Byzantine period, Ann Ar-Micromosaic icons of the late Byzantine period, Ann Ar-Micromosaic icons of the late Byzantine periodbor, Mich., PhD, New York University, ed infine ID., ‘Byzantine Mosaic Icons in the Medici Collection’, in The Fifty-Sixth Annual Meeting of the RSA, Venice, Italy 8-10 April 2010 (in corso di stampa). Più re-centemente, in occasione del Congresso Internazionale di Studi Bizantini, svoltosi a Sofia (Bulgaria), Italo Furlan è nuovamente tornato sull’argomento delle icone musive con un intervento dal titolo ‘Les icones à mosaïque mediobyzantines’, in Proceedings of the 22nd International Congress of Byzantine Studies nd International Congress of Byzantine Studies nd

(Abstracts of Round Table Comunications), Sofia, 22-27 August 2011, p. 196.3 In molti casi questi piccoli oggetti realizzati con tessere auree o argentee appartenevano ad espo-

nenti dell’aristocrazia imperiale e all’imperatore stesso. Su questo argomento si veda in particolare RYDER 2010, cit. a nota 2. Tra le icone a micromosaico appartenute o donate da ricchi membri della famiglia imperiale si ricordano qui: la ben nota icona di San Demetrio a Sassoferrato, quella delle do-dici feste al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, l’icona di Cristo di Galatina e infine quelle por-tate in Italia dal Cardinale Bessarione per salvarle dalla minaccia dell’avanzata turca sui territori bizan-tini. Cfr. C. BIANCA, Da Bisanzio a Roma: Studi sul Cardinal Bessarione, Roma1999; Da Bisanzio a Roma: Studi sul Cardinal Bessarione, Roma1999; Da Bisanzio a Roma: Studi sul Cardinal Bessarione M. R. MENNA, ‘Bisan-zio e l’ambiente umanistico a Firenze’, in RINASA, 53, s. III, anno XXI, 1998, pp. 111-158; D. CHER-RA, ‘Collezionismo e gusto per l’arte bizantina in Italia tra Trecento e Quattrocento’, in Bollettino del-la Badia Greca di Grottaferrata, III, s. 3, pp. 175-204.

SILVIA PEDONE

ERGOMOUZAIKA: ALCUNE NOTE SUL MICROMOSAICO DI PRODUZIONE BIZANTINA

TRA XIII E XIV SECOLO

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È su questo scenario che si collocano i circa quaranta esemplari oggi cono-sciuti e conservati nei principali musei europei, in alcuni tra i più celebri mona-steri bizantini o fondazioni ecclesiastiche occidentali e orientali4. Le vicende perso-nalissime di ciascun oggetto sono state argomento di diversi studi che hanno ten-tato di ricostruire la vicenda storico-critica, valutandone poi l’apporto innovativo in seno alla tradizione musiva su scala monumentale5.

Dal punto di vista generale questi oggetti sono caratterizzati da dimensioni assai ridotte, e rappresentano il prodotto del paziente dell’accostamento di minu-scole tessere d’oro, d’argento, di pietre colorate (lapislazzuli, malachite, ardesia) o paste vitree, spesso non più grandi di uno o due millimetri di lato, adagiate su un letto di cera o di resina6. Il valore e il pregio di queste “miniature” è rappre-sentato proprio dalle dimensioni spesso poco più grandi di un palmo di una ma-no. L’estrema meticolosità nella disposizione delle microtessere permette agli arti-sti bizantini di raggiungere effetti cromatici e pittorici paragonabili, per ricchezza e raffinatezza, sia a quelli delle più complesse composizioni dei cicli musivi mo-numentali, sia a quelli della miniatura dipinta o dell’oreficeria, con un sorpren-dente gusto per la complessità ornamentale e per la finezza dei dettagli decora-tivi. Proprio tra gli aspetti meno valutati e considerati dalla storiografia specifica, vi sono, infatti, alcune caratteristiche formali che insistono sulla scelta di partico-lari schemi ornamentali che solo apparentemente assolvono un ruolo di secondo piano nell’economia dell’immagine. Infatti, rispetto alle scelte iconografiche fissa-te dalla consuetudine devozionale – scelte iconografiche che insistono su sogget-ti sacri isolati, come le figure di Cristo, della Vergine, dei Santi e dei Profeti (raf-figurati stanti, assisi o a mezzo busto), o su scene evangeliche e liturgiche (il do-dekaerton) – l’ornato del fondo, delle cornici nonché delle vesti e delle aureole svolgono, a mio avviso, un importante ruolo nella creazione complessiva dell’im-magine che concede più libertà all’inventiva e alla capacità tecnica delle singole botteghe, di permette di esprimere un più personale estro artistico. L’analisi rav-vicinata delle cornici o dei tappeti musivi formati da croci scalinate, elementi geo-metrici, motivi a scacchiera e così via, seppur legati alla trasmissione repertoriale, costituiscono un importante elemento per stabilire dipendenze tra i singoli esem-plari, oltre far intravvedere, dietro citazioni più puntuali, addirittura la cifra stili-stica di una o più botteghe di artisti.

A titolo di esempio, vale la pena osservare più da vicino uno tra gli esempla-ri meno conosciuti tra quelli conservati a Roma, ovvero la piccola icona di Santa

4 Per uno schema generale con l’elenco gli esemplari noti, i dati tecnici e un inquadramento cro-nologico si vedano: KRICKELBERG-PUTZ 1982, cit. a nota 2 e S. PEDONE, ‘L’icona di Cristo di Santa Ma-ria in Campitelli: un esempio di «musaico parvissimo»’ in RINASA, s. III, anno XXVIII, 2005 (2010), pp. 95-131, in part. Appendice I-II, pp. 119-131. Molti di questi preziosi oggetti sono stati esposti in occasione delle più recenti mostre internazionali dedicate alla produzione artistica bizantina (Ibidem, nota 34, a cui si deve aggiungere la più recente esposizione dal titolo ...).

5 Per più estesi riferimenti bibliografici si veda PEDONE 2010, passim.6 Sebbene dal punto di vista tecnico i micromosaici differiscano totalmente dai loro più lontani

antenati di età romana, si deve tuttavia far presente che dal punto di vista degli effetti ottici e dell’ar-ditezza esecutiva esiste tra i due esempi cronologicamente distanti una certa analogia (cfr. O. M. DAL-TON, Byzantine art and archéology, Oxford 1911, pp. 328-430; FURLAN 1979, cit. a nota 2, pp. 8-11, KRI-CKELBERG-PUTZ 1982, cit. a nota 2, pp. 106-107). Resta da spiegare meglio una eventuale linea evoluti-va della più antica tecnica romana che possa arrivare ad un prodotto, in realtà così diverso e assai più complesso (opera musiva o d’oreficeria?) come quello delle icone bizantine.

7 Per una bibliografia specifica, vedi: C. A. ERRA, Storia della immagine e chiesa di S. Maria in Por-tico di Campitelli, Roma 1750, pp. 8, 115-119; A. COLASANTI, ‘Reliquiari medioevali in chiese romane’, in Dedalo, XIII, II, 1933, pp. 282-296, in part. pp. 288-295; P. F. FERRAIRONI, Santa Maria in Campitel-

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Maria in Campitelli7 (fig. 1). Nella sua attuale collocazione, al centro di una più grande tavola lignea su cui si dispongono alcune reliquie, essa risulta scarsamente visibile, poiché celata dietro un doppio vetro. Sul retro, una lamina argentea de-corata, identificata come coperta di evangeliario, ne completa l’aspetto frutto, in realtà, di un pastiche che risale al XVIII secolo, i cui elementi dovevano comun-que, verosimilmente, essere già stati assemblati molto tempo prima, anche se in un momento non meglio precisabile. Per quel che qui ci interessa specificamen-te, pare lecito supporre che all’icona di Cristo fosse annessa, già in antiquo, una speciale valenza storico-simbolica oltre che semantica e devozionale legata al cul-to che in genere si porta ai reliquiari.

Sul medesimo supporto ligneo, come si diceva, sono infatti inseriti, entro quat-tro piccole teche ovali, diversi frammenti di reliquie (ossa, particelle di tessuto e di legno), parzialmente identificate da minuti cartigli. Ai lati del mosaico, fissati da appliques settecentesche, si dispongono verticalmente due foglietti rettangolari: a destra, ormai non più leggibile, l’originale, di epoca non facilmente precisabi-le, e sul lato opposto la trascrizione moderna, la cui iscrizione sembra identifica-re esplicitamente la struttura con un altare portatile riferibile (o forse appartenu-to) a Gregorio Nazianzeno e contenente le sante reliquie degli apostoli, dei marti-ri, dei confessori e delle vergini. La frammentarietà del testo, registrata anche dal trascrittore settecentesco, non permette tuttavia di chiarire meglio la situazione e dunque l’effettiva attendibilità dell’identificazione, che in realtà potrebbe essere spuria o leggendaria, sebbene regolarmente ripetuta dalle fonti storiche.

Nella parte inferiore della tavola, ai piedi del mosaico, è collocata una picco-la lamina metallica che doveva coprire e fissare anticamente la reliquia del “sacro chiodo” di Cristo. La superficie della lamina porta incisa una lunga iscrizione, poi trascritta nel ’700 nel cartiglio posto nella parte superiore della tavola.

Il primo a descrivere dettagliatamente l’altarolo è Padre Antonio Erra8, chie-rico dell’Ordine della Madre di Dio, il quale, nella sua “Storia dell’Immagine e chiesa di santa Maria in Portico di Campitelli” del 1750, dedica un intero capito-lo all’Altare portatile di san Gregorio Nazianzeno. L’attenzione è probabilmente motivata dal fatto che lo stesso Erra fu testimone dell’apertura dell’altare portati-le e della sua risistemazione, nonché del rinvenimento del mosaico di cui, eviden-temente, si era persa la memoria già da molto tempo.

La circostanziata descrizione di Erra fornisce una serie di notizie su cui var-rà la pena soffermarsi. In primo luogo, egli pone l’accento sulla “scuoperta” del mosaico il che ci porta a credere che prima del 1738 gli stessi religiosi non fos-sero a conoscenza dell’esistenza della piccola immagine. In secondo luogo, la te-stimonianza del sacerdote ci informa sulla condizione in cui l’oggetto doveva ve-rosimilmente presentarsi prima della sua “riapertura”, con la lastra d’argento del-la crocifissione che ricopriva interamente la faccia superiore delle due tavole so-vrapposte, occultando così tanto il “sepolcrino” delle reliquie, quanto l’icona mu-siva di Cristo.

li, Roma 1934, pp. 73-74; A. VALENTE, ‘Intorno a un orafo del secolo XII’, in Bd’Arte, 31, 1937-1938, Bd’Arte, 31, 1937-1938, Bd’Artepp. 261-267, 1937/1938; FURLAN 1979, cit. a nota 2, p. 60; P. MONTORSI, ‘Cimeli di oreficeria romani-ca. Un bronzetto modenese e due reliquiari romani’, in Federico II e l’arte del Duecento italiano, Atti del-la III Settimana di Studi di Storia dell’Arte Medievale dell’Università di Roma, Galatina 15-20 maggio 1978, a cura di A. M. Romanini, II, Roma 1980, pp. 127-152, in part. pp. 149-152; KRICKEL BERG- PUTZ 1982, cit. a nota 2, p. 73; M. P. BERTONI, Santa Maria in Campitelli, Roma 1987; RYDER 2007, Roma 1987; RYDER 2007, Roma 1987; R , cit. a nota 2, pp. 75-78, e da ultimo PEDONE 2010, cit. a nota 4.

8 ERRA 1750, cit. a nota 7.

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Padre Erra osserva che:

“una parte del Mosaico è caduta, e l’altra, che è molto maggiore, si conserva, benché sia staccata in più luoghi dal suo fondo, che non è pietra, ma legno; cosa veramente stupenda. Il Mosaico rappresenta Gesù Cristo come indicano anco le cifre Greche a destra, e a sinistra IC, XC. Egli sta in piedi, porta in capo il diadema intersecato con la Croce, e tiene nella sinistra mano un libro serrato. La destra con la spalla e fianco non vi sono più. Il suo manto dà nel turchino e la veste nello scuro. Questo Mosaico ora è coperto di cristallo invece della lastra di argento, che si è collocata nella parte posteriore. A piedi di questa Effige si vede un sepolcrino coperto con lamina trafora-ta ove stava il suddetto sacro chiodo di Cristo”9.

Dalle sue parole si apprende inoltre che furono fatti fare alcuni saggi dagli “Artefici, che lavoravano di Mosaico in San Pietro” per assicurarsi della materia di cui era composta tale immagine e di una successiva “relazione”, ad oggi purtroppo non ancora ritrovata, di un suo confratello, padre Antonio Perona, circa le “nuo-ve scoperte” rese possibili dall’intervento di restauro.

Non è attualmente possibile stabilire quando e per quale motivo il piccolo mosaico venne nascosto e ricoperto con la lastra d’argento sbalzata che, ancora nel 1738, era “fermata con chiodetti” sulla tavola superiore. Sembra comunque im-probabile che l’occultamento possa essere dipeso dalle cattive condizioni di con-servazione dell’icona, giacché la precisa testimonianza del padre Erra ci confer-ma che, allorché il reliquario (o l’altare) venne aperto, il micromosaico del Cri-sto doveva risultare pressoché invisibile, evidentemente ricoperto da uno spesso strato di sporcizia.

Il minuscolo mosaico (cm 19 x 11) presenta dunque l’immagine frontale di Cristo (fig. 2), in piedi su un suppedaneo di profilo tondeggiante e raffinatamen-te decorato da un motivo a croci rosse e dorate su fondo bianco. La figura, iden-tificata appunto in alto dai monogrammi IC e XC – di cui resta oggi integro solo quello di destra (fig. 3) – tiene nella mano sinistra il libro gemmato del Vange-lo, formato da tessere verdi e rosse, ed è atteggiato secondo un’iconografia piut-tosto comune, ampiamente utilizzata nella produzione di icone di età post-ico-noclasta così come nell’arte suntuaria di epoca medio e tardo-bizantina. Un’am-pia porzione sul lato sinistro della tavoletta è gravemente compromessa dalla ca-duta delle tessere (fig. 4), così che la cospicua lacuna permette di vedere il fon-do chiaro del legno e il leggero strato di cera indurito, su cui è stato tracciato, forse con uno stilo, un reticolato irregolare grosso modo corrispondente al dise-gno dello sfondo realizzato con le tessere nello strato superiore a mosaico. Non è immediatamente chiaro a cosa potesse servire questo trattamento del supporto. È gno dello sfondo realizzato con le tessere nello strato superiore a mosaico. Non è immediatamente chiaro a cosa potesse servire questo trattamento del supporto. È gno dello sfondo realizzato con le tessere nello strato superiore a mosaico. Non è

improbabile, vista la grossolana irregolarità della griglia, che l’artista potesse uti-lizzarlo come “guida” per la realizzazione del pattern decorativo dello sfondo; la stessa irregolarità si riscontra peraltro anche nei casi delle icone con san Giorgio di Tiblisi10 (fig. 5) e con quella di Cristo dell’Athos11 (fig. 6). Forse questa tecni-

9 Ibidem, pp. 115-116.10 Esposta la prima volta alla mostra Arte di Bisanzio nelle collezioni dell’Unione Sovietica orga-

nizzata nel 1975 dall’Istituto Georgiano di Storia dell’Arte, l’icona presenta una grande lacuna su gran parte della superficie lignea. L’identificazione del santo è stata possibile grazie alle poche lettere gre-che ancora leggibili in alto O Agios Ge(orgios) e dall’abbigliamento tipico del “santo-militare”. Anche in O Agios Ge(orgios) e dall’abbigliamento tipico del “santo-militare”. Anche in O Agios Ge(orgios)questa icona il fondo è campito con motivi geometrici differenti: il decoro a quadrati alternativamente rossi e verdi con motivo stellare bianco centrale, confrontabile con quello del Pantocratore dell’Athos della seconda metà del XIII secolo. Cfr. Furlan 1979: 59, fig. 14.

11 M. CHATZIDAKIS, HºI¢øTH ??? EIKONA TOY XPIETOY ETH MYPAHºI¢øTH ??? EIKONA TOY XPIETOY ETH MYPA, in Deltion, 1974, pp. 149-157; FURLAN 1979, p. 90, fig. 36, cit. a nota 2. L’icona proviene dal monastero della Grande Lavra e

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ca, evidentemente non occasionale, serviva a migliorare la tenuta della prepara-zione del letto di cera o di resina per la disposizione finale delle tessere musi-ve. L’ampia lacuna ha comportato la quasi completa perdita del braccio destro di Cristo, il che non ci consente di stabilire con assoluta certezza la posizione della mano, sebbene proprio i confronti con le altre quattro icone di analogo soggetto – i due Pantocratori dell’Athos, quello di Galatina, nonché quello della Peribleptos (oggi San Clemente) di Ocrida – lascino in realtà pochi dubbi circa il gesto be-nedicente del Salvatore. Le cadute interessano inoltre una piccola porzione della veste all’altezza del ginocchio.

L’abito, che, come ricorda la relazione dell’Erra, conservava all’indomani della ripulitura del ’700 ancora i toni azzurri del lapislazzulo, è oggi piuttosto ingiallito dall’amalgama ceroso che fu probabilmente aggiunto a protezione della superfi-cie. In origine, l’abbinamento cromatico tra l’azzurro del mantello, il rosso-bruno della tunica e l’oro delle lumeggiature, doveva essere più spiccato e produrre un più vivace effetto visivo. La calligrafica crisografia (fig. 7) con cui vengono stiliz-zate le pieghe e il disegno del panneggio ricorda, nella ricerca di nitidi contrasti, la più antica tecnica degli smalti cloisonné. A questo proposito può essere sugge-stivo il confronto con la figura del Salvatore benedicente che compare al centro della coperta di evangeliario oggi conservata alla Biblioteca Marciana di Venezia (fig. 8), che, pur risalente all’età macedone, offre un chiaro esempio del tipo di effetti grafici cui gli artefici delle microicone potevano ispirarsi. Per altro verso, proprio il risalto della trama bidimensionale del disegno delle vesti ottenuto con tessere dorate richiama il lavoro di stilizzazione tipico dell’oricalco12.

Per quanto riguarda i rapporti dell’immagine di Campitelli con le altre ico-ne a micromosaico considerate dalla critica più o meno coeve, le analogie più ri-levanti sembrano ravvisabili con il Cristo di Ocrida (fig. 9), con il quale effettiva-mente condivide, nonostante la differente iconografia (l’icona macedone raffigura il Pantokrator in trono), più di un dettaglio. Oltre a una certa rigidità di postura, vanno infatti sottolineati il medesimo trattamento del panneggio, con un analogo rapporto dimensionale tra tessere dorate e disegno complessivo, nonché l’identi-ca resa del suppedaneo, con l’analogo profilo e gli stessi motivi decorativi, e an-cora il dettaglio del particolare disegno dei sandali. Questi elementi potrebbero anche far pensare a più che una semplice consonanza stilistica e spiegarsi invece con una comune provenienza da un unico atelier.

L’icona di Campitelli è stata datata intorno alla fine del XIII secolo, se non agli inizi del successivo, collocandola dunque nello stesso gruppo in cui figurano pure il Cristo di Galatina, quelli del Monte Athos, nonché il san Giovanni Batti-sta di San Pietroburgo. Tuttavia, proprio un confronto ravvicinato tra queste im-magini mette pure in evidenza, di là dalle consonanze, degli scarti stilistici di cui bisogna tener conto. In particolare, il mosaico romano mostra un trattamento più rigido e meno elegante della postura, un disegno più sommario, semplificato ed astratto della crisografia, con una disposizione delle tessere dorate che serve assai meno alla resa delle pieghe del panneggio, soprattutto in confronto con il pon-dus falcato e movimentato delle vesti che compare invece nelle figure del Cristo dell’Athos e di Galatina. Nell’icona pugliese e in quella athonita il Salvatore appa-re meno tetragono e animato da un leggero contrapposto, nonché sensibilmente

rappresenta il più rovinato dei due esemplari di analogo soggetto provenienti dall’Athos. Il secondo proviene invece dal monastero di Esphigmenou (Esphigmenou (Esphigmenou ibidem, p. 89).

12 Per le porte bizantine in oricalco, ornate dalle figure sacre di Cristo di santi, profeti, ecc. si ve-da: Le porte del Paradiso. Arte e tecnologia bizantina tra l’Italia e il Mediterraneo (Milion, 7), a cura di A. Iacobini, Roma 2009, passim.

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più slanciato, come si può notare più precisamente considerando il diverso rap-porto tra la misura della testa e le proporzioni del corpo. Tutti questi elementi fa-rebbero pensare non solo a una provenienza da una diversa bottega, ma anche a una datazione leggermente più precoce dell’icona di Campitelli rispetto agli altri esemplari citati, presumibilmente intorno alla metà del XIII secolo.

Questo non significa, peraltro, che l’esecuzione dell’icona romana non mostri passaggi di notevole finezza, ad esempio nell’espressione severa del volto (fig. 10), realizzato con sfumature tonali assai delicate e ottenute con l’uso di tessere minu-tissime, in modo da definire con precisione le labbra rossastre, l’arcata sopracciliare e lo sguardo con gli occhi rivolti leggermente verso sinistra. Ma anche dal punto di vista del parato decorativo il mosaico romano presenta soluzioni di grande ricer-catezza. Merita in questo senso un’attenzione particolare la decorazione dell’ampia aureola crucisignata, con una doppia fascia rossa, al cui interno si alternano tesse-re bianche, blu e dorate. Ancora più complesso è poi il motivo dello sfondo, che rappresenta quasi un unicum nel panorama delle icone musive: invece di un’uni-forme campitura in tessere dorate, esso presenta due differenti pattern ornamen-tali che giocano sulla varietà cromatica delle tessere di colore verde, azzurro, ros-so e bianco. Lo sfondo è appunto suddiviso in due zone sovrapposte, secondo la proporzione spesso ricorrente di 2/3. Ma qui la parte superiore è caratterizzata da una trama di quadrati regolari, formati dall’incrocio di una duplice fila di tessere auree, alternativamente campiti con un motivo a croci rosse, verdi e blu (fig. 11). Il segmento inferiore è invece decorato con un più fitto tappeto di croci a tesse-re d’oro su un fondo blu scuro (fig. 12). Ancora differente è il trattamento del bordo perimetrale, che prevede un filare continuo di tesserine verdi e un motivo scalinato che alterna i colori blu, bianco, rosso e verde (fig. 13).

Proprio questa inedita ricchezza di elementi decorativi fa dell’icona di Campi-telli un caso esemplare, e per certi versi ineguagliato, delle istanze stilistiche che distinguono la produzione dei micromosaici all’interno della cultura figurativa bi-zantina. Come abbiamo già osservato all’inizio, nella creazione delle icone a mi-cromosaico sembrano confluire, da una parte, le risorse della tecnica tradiziona-le degli smalti, con la loro ostentata preziosità dei materiali e il carattere astratta-mente calligrafico dei motivi ornamentali, dall’altra, le possibilità di una resa cro-matica e luministica tutta giocata su sottili sfumature e delicati accostamenti to-nali, che sfidano i raggiungimenti della pittura e della miniatura. A tale proposi-to sembra davvero molto vicina alla nostra icona, per concezione e impaginato, la piccola immagine della Vergine stante posta in apertura del Tipikon di Palermo13

(fig. 14); accostabile anche per la suddivisione del fondo in 2/3 e per la scelta di un motivo decorativo a quadrati alterni colorati della parte inferiore. Non esclu-derei, in conclusione, che analogamente ai cosiddetti “libri di modelli”, potesse-ro esistere repertori comuni alla miniatura e all’oreficeria, che diffondessero alcu-ni dettagli decorativi, e non solo figure e iconografie, analoghi a quelli messi in opera nella piccola icona di Campitelli.

13 L’età normanna e sveva in Sicilia. Mostra storico-documentaria e bibliografia, Catalogo della mostra, Pa-lermo, Palazzo dei Normanni 1994, a cura di R. La Duca, Palermo 1994, p. 28.

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Fig. 1 – Roma, Santa Maria in Campitelli. Altarino reliquiario con l’icona musiva bizantina (da PEDONE 2010, cit. nota 4).

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Fig. 2 – Roma, Santa Maria in Campitelli. Parti colare della sola icona musiva di Cristo (foto M. Necci).

Fig. 3 – Particolare del monogram ma cristo-logico “XC” (foto M. Necci).

Fig. 4 – Dettaglio della lacuna del-l’icona musiva e dei segni incisi sul letto di cera (foto M. Necci).

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Fig. 5 – Tiblisi, Istituto Georgiano di Sto-ria dell’Arte. Icona musiva con San Giorgio (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 6 – Athos, Monastero della Grande Lavra. Icona musiva con Cristo benedi-cente (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 7 – Icona di Campitelli, dettaglio della criso-grafia della veste (foto M. Necci).

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Fig. 8 – Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, cod. Lat 1, 100. Coperta evangeliario con icona di Cristo realizzata a smalto.

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Fig. 9 – Ocrida, Chiesa della Peribleptos (San Clemente). Icona musiva con Cristo assiso (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 10 – Icona di Campitelli, dettaglio del volto di Cristo (foto M. Necci).

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Fig. 11 – Icona di Campitelli, particolare del fondo della por-zione superiore (foto M. Necci).

Fig. 12 – Icona di Campitelli, particola-re del fondo della porzione inferiore (fo-to M. Necci).

Fig. 13 – Icona di Campitelli, parti-colare della fascia di bordo con mo-tivo scalinato (foto M. Necci).

Fig. 14 – Palermo, Cappella Pa-latina, Tipikon della Confraterni-ta di Santa Maria la Naupatti tissa (da L’età normanna 1994, cit. a L’età normanna 1994, cit. a L’età normannanota 13).