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Metodologia per lo studio dell’infragilimento da idrogeno in lamiere sottili di acciai duttili L. Bertini 1 , M. De Sanctis 2 , G. Lovicu 2 , C. Santus 1 , R. Valentini 2 1 : Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Nucleare e della Produzione, Università di Pisa; 2 : Dipartimento di Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali, Università di Pisa. Abstract L’idrogeno è il più leggero e il più piccolo fra gli elementi della tavola periodica. Tale caratteristica, associata alla sua presenza in numerosi composti o come idrogeno molecolare nell’atmosfera di numerosi processi industriali e non, fa sì che l’idrogeno possa facilmente essere assorbito dai materiali metallici. L’idrogeno possiede inoltre elevatissima diffusività all’interno di reticoli cubici a corpo centrato, cosicché gli acciai risultano essere particolarmente sensibili al suo assorbimento. Fra gli effetti della presenza dell’idrogeno nei metalli risulta particolarmente dannoso il cosiddetto “infragilimento da Idrogeno” che si estrinseca in una consistente perdita di duttilità del materiale. Sebbene gli acciai più suscettibili a tale fenomeno siano quelli alto resistenziali con microstrutture fragili, nessun acciaio può considerarsi intrinsecamente immune da infragilimento da idrogeno. Il metodo più efficace per l’analisi dell’infragilimento da idrogeno è lo studio della tenacità a frattura con provini massivi, in grado di fornire il valore di soglia del fattore di intensificazione degli sforzi necessario per l’insorgenza dell’infragilimento da idrogeno (K IHE ). Tale analisi risulta discostarsi dalle condizioni operative per lamiere sottili in cui la distribuzione degli sforzi risulta essere differente. Il lavoro presente ha lo scopo di validare una metodologia per valutare l’infragilimento da idrogeno in acciai utilizzati per la realizzazione di lamiere sottili tramite la realizzazione di prove di trazione a bassa velocità di deformazione su provini intagliati precedentemente caricati con idrogeno e simulazioni agli elementi finiti della distribuzione delle tensioni all’interno del materiale. La presenza di concentrazioni degli sforzi in un acciaio è in grado di aumentarne localmente la concentrazione. In tal modo la concentrazione locale di idrogeno può risultare significativamente maggiore di quella media e, unitamente ad un maggiore sforzo agente sul materiale può portare a condizioni molto più gravose di quelle attese. Per testare tale metodologia sono stati estratti dei provini di trazione sia lisci che intagliati da lamiere utilizzate per tubazioni e recipienti in pressione di basso spessore in acciai basso legati al C. Tali provini sono stati idrogenati in autoclave a diverse pressioni di idrogeno e successivamente la valutazione dell’effetto dell’idrogeno sulle caratteristiche meccaniche dell’acciaio è stata fatta tramite prove di trazione a bassa velocità di deformazione su provini idrogenati. Le simulazioni agli elementi finiti elasto-plastiche hanno permesso di determinare la ditribuzione di tensioni nell'intorno dell'apice dell'intaglio. In particolare, determinando la tensione idrostatica, è stato possibile calcolare l'aumento di concentrazione locale di Idrogeno. In corrispondenza dell'apice dell'intaglio, si ha un'elevata concentrazione di tensione, dovuta al piccolo raggio di raccordo rispetto alla profondità dell'intaglio, oltre all'elevato effetto di triassialità. La concetrazione di Idrogeno si accentua quindi proprio nella zona interessata alla frattura. Come ben noto l'elevata severità dell'intaglio è di per sé causa di accentuazione del comportamento fragile di leghe metalliche. A questo si unisce l'effetto di infragilimento prodotto dall'Idrogeno aggravato dalla locale maggiore concentrazione. E' stato quindi possibile confrontare la deformazione plastica a rottura, in corrispondenza dell'apice dell'intaglio, con e senza Idrogeno offrendo quindi un criterio spendibile in termini di progetto al

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Metodologia per lo studio dell’infragilimento da idrogeno in lamiere sottili di

acciai duttili L. Bertini1, M. De Sanctis2, G. Lovicu2, C. Santus1, R. Valentini2

1: Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Nucleare e della Produzione, Università di Pisa; 2: Dipartimento di Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei Materiali, Università di Pisa. Abstract L’idrogeno è il più leggero e il più piccolo fra gli elementi della tavola periodica. Tale caratteristica, associata alla sua presenza in numerosi composti o come idrogeno molecolare nell’atmosfera di numerosi processi industriali e non, fa sì che l’idrogeno possa facilmente essere assorbito dai materiali metallici. L’idrogeno possiede inoltre elevatissima diffusività all’interno di reticoli cubici a corpo centrato, cosicché gli acciai risultano essere particolarmente sensibili al suo assorbimento. Fra gli effetti della presenza dell’idrogeno nei metalli risulta particolarmente dannoso il cosiddetto “infragilimento da Idrogeno” che si estrinseca in una consistente perdita di duttilità del materiale. Sebbene gli acciai più suscettibili a tale fenomeno siano quelli alto resistenziali con microstrutture fragili, nessun acciaio può considerarsi intrinsecamente immune da infragilimento da idrogeno. Il metodo più efficace per l’analisi dell’infragilimento da idrogeno è lo studio della tenacità a frattura con provini massivi, in grado di fornire il valore di soglia del fattore di intensificazione degli sforzi necessario per l’insorgenza dell’infragilimento da idrogeno (KIHE). Tale analisi risulta discostarsi dalle condizioni operative per lamiere sottili in cui la distribuzione degli sforzi risulta essere differente. Il lavoro presente ha lo scopo di validare una metodologia per valutare l’infragilimento da idrogeno in acciai utilizzati per la realizzazione di lamiere sottili tramite la realizzazione di prove di trazione a bassa velocità di deformazione su provini intagliati precedentemente caricati con idrogeno e simulazioni agli elementi finiti della distribuzione delle tensioni all’interno del materiale. La presenza di concentrazioni degli sforzi in un acciaio è in grado di aumentarne localmente la concentrazione. In tal modo la concentrazione locale di idrogeno può risultare significativamente maggiore di quella media e, unitamente ad un maggiore sforzo agente sul materiale può portare a condizioni molto più gravose di quelle attese. Per testare tale metodologia sono stati estratti dei provini di trazione sia lisci che intagliati da lamiere utilizzate per tubazioni e recipienti in pressione di basso spessore in acciai basso legati al C. Tali provini sono stati idrogenati in autoclave a diverse pressioni di idrogeno e successivamente la valutazione dell’effetto dell’idrogeno sulle caratteristiche meccaniche dell’acciaio è stata fatta tramite prove di trazione a bassa velocità di deformazione su provini idrogenati. Le simulazioni agli elementi finiti elasto-plastiche hanno permesso di determinare la ditribuzione di tensioni nell'intorno dell'apice dell'intaglio. In particolare, determinando la tensione idrostatica, è stato possibile calcolare l'aumento di concentrazione locale di Idrogeno. In corrispondenza dell'apice dell'intaglio, si ha un'elevata concentrazione di tensione, dovuta al piccolo raggio di raccordo rispetto alla profondità dell'intaglio, oltre all'elevato effetto di triassialità. La concetrazione di Idrogeno si accentua quindi proprio nella zona interessata alla frattura. Come ben noto l'elevata severità dell'intaglio è di per sé causa di accentuazione del comportamento fragile di leghe metalliche. A questo si unisce l'effetto di infragilimento prodotto dall'Idrogeno aggravato dalla locale maggiore concentrazione. E' stato quindi possibile confrontare la deformazione plastica a rottura, in corrispondenza dell'apice dell'intaglio, con e senza Idrogeno offrendo quindi un criterio spendibile in termini di progetto al

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fine di determinare la resistenza statica di componenti intagliati a contatto con elevata pressione (parziale) di Idrogeno. Introduzione L’infragilimento da idrogeno è un problema comune alla maggior parte delle leghe ferrose[1][2][3]. Molte sono le variabili da cui tale fenomeno può dipendere. A parte la composizione chimica, la microstruttura, il tenore di impurezze e la resistenza meccanica sono fra le variabili che più influenzano la suscettività all’infragilimento da idrogeno di un acciaio[4][5][6]. L’idrogeno presenta un elevata diffusività all’interno del reticolo cubico a corpo centrato degli acciai ferritici. Tale fatto, unitamente alla facilità con cui un acciaio può venire a contatto con ambienti idrogenanti (sia nelle fasi di produzione o di montaggio e assemblaggio, che in quelle di servizio di un particolare componente) conferisce a tale problema un’intrinseca pericolosità. Gli sviluppi più recenti della cosidetta Hydrogen Economy, che prevede la produzione e l’utilizzo massiccio di idrogeno come combustibile per alimentare fuel cell o motori a combustione interna, pone al centro della ricerca l’analisi dell’infragilimento da idrogeno di tutta la componentistica che verrà utilizzata. A tal scopo anche la classe di acciai duttili a basso carbonio dovrà essere presa in considerazione, costutuendo la prima scelta per condutture e recipienti per il trasporto e lo stoccaggio di idrogeno gassoso[7][8]. In particolare i materiali per le condotte e i recipienti che trasportano o immagazzinano idrogeno ad alta pressione devono essere adeguamente selezionati in modo da non comprometterne l’integrità e da assicurare la sicurezza di lavoratori ed utenti. Inoltre, dato che una delle applicazioni principali dell’idrogeno come combustibile riguarderà l’autotrazione la ricerca di leggerezza delle autovetture passa attraverso l’utilizzo di materiali ad alta resistenza che permettano spessori, e quindi pesi, minori a parità di applicazioni. In tutti questi campi di applicazione la progettazione di componenti che operino in presenza di idrogeno deve passare attraverso una profonda conoscenza delle dinamiche di infragilimento di ogni singolo acciaio utilizzato. La presente ricerca propone un criterio di infragilimento che possa essere sfruttato in sede di progetto di componenti meccanici che operino in ambienti idrogenanti. L’attività sperimentale è stata incentrata sull’analisi delle proprietà meccaniche di un acciaio per tubature di grado API X52 dopo esposizione per tempi lunghi ad atmosfere di idrogeno gassoso ad alta pressione (50, 100 e 150 bar) tramite prove di trazione a bassa velocità di deformazione su provini sia intagliati che lisci. E’ stato quindi implementato un modello agli elementi finiti per il calcolo dello stato tensionale del provino durante la prova di trazione, con particolare attenzione alla zona di intaglio. Sulla base delle curve di trazione dei provini idrogenati e dei risultati della modellazione meccanica, è stato quindi proposto un modello di infragiliemento per questa tipologia di acciai. Il modello sarà quindi facilmente estendibile ad altre classi di acciai e ad altri meccanismi di assorbimento di idrogeno. Materiali e Metodi Sperimentali Il materiale testato in questo lavoro è un tipico acciaio per tubature di grado API X52, la cui composizione chimica è riportata in Tab.1. Il materiale in esame è stato scelto in quanto rappresenta un acciao di riferimento per la classe di lamiere sottili di acciai duttili per la realizzazione di pipelines.

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El C Mn Si P S Cr Ni Mo Cu V Al Ti B Nb

W% 0,154 0,919 0,254 0,0135 0,007 0,054 0,016 0,013 0,017 0,004 0,024 0,003 0,0001 0,033

Tab.1: Composizione chimica dell’acciaio analizzato. Da una tubatura di diametro esterno pari a 168 mm e di spessore di parete di 7 mm sono stati prelevati alcuni provini per l’analisi microstrutturale. Tale analisi, effettuata al microscopio ottico sulla sezione longitudinale del tubo, ha evidenziato una struttura ferritico-perlitica a bande tipica di questa classe di acciai.

Fig.1: Micrografia ottica dell’acciaio ferritico/perlitico X52 nella direzione di laminazione. Struttura ferritico-perlitica a bande. Attacco metallografico utilizzato: Nital 2%. Inoltre, dalla stessa tubatura sono stati estratti una serie di provini di trazione sia lisci che intagliati secondo le geometrie riportate in figura 2.

Fig.2: Schema dei provini di trazione lisci (a sn) e intagliati (a dx) utilizzati per le prove di trazione a bassa velocità di deformazione. I provini lisci permettono di misurare le caratteristiche meccaniche dell’acciaio in presenza di soli sforzi monoassiali presenti nel materiale, a di avere quindi i dati per poter predire la distribuzione di sforzi nel materiale in presenza di intaglio, nella fase di modellazione agli elementi finiti.

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La presenza di difettosità superficiali con effetto d’intaglio è da considerare sempre presente in pezzi reali in servizio. L’utilizzo di provini intagliati permette quindi di esplorare condizioni più gravose per il materiale idrogenato rispetto al caso di provini lisci e fornisce pertanto risultati maggiormente cautelativi. Sono quindi stati testati provini con intaglio a V, secondo lo schema riportato in figura 2. La presenza di un intaglio permette di avere un’intensificazione degli sforzi in corrispondenza dell’apice dello stesso. Una serie di provini è stata sottoposta a idrogenazione gassosa in un autoclave riempita con idrogeno puro ad alta pressione. Lo schema dell’autoclave utilizzato è mostrato in Fig. 3. Per limitare la perdita di idrogeno durante le prove di trazione i provini sono stati precedentemente nichelati tramite nichelatura electroless.

Fig.3: Schema dell’autoclave utilizzato per l’idrogenazione dei provini. Sono stati effettuati caricamenti a pressioni parziali di idrogeno pari a 50, 100 e 150 bar. Insieme ai provini di trazione sono stati caricati anche alcuni provini preparati secondo le stesse procedure, che sono stati in seguito utilizzati per la misura della concentrazione d’idrogeno assorbito. Il tempo di idrogenazione è stato pari a 1 settimana per tutte le pressioni esplorate, notevolmente superiore al tempo di saturazione previsto (pari a circa 9h) necessario al raggiungimento di una concentrazione costante d’idrogeno su tutto lo spessore del provino. Tale tempo è stato calcolato come il tempo necessario per uniformare la concentrazione d’idrogeno (concentrazione a cuore del campione pari al 99 % di quella alla superficie) in un campione di dimensioni infinite spesso 4 mm, con un coefficiente di diffusione per l’idrogeno pari a 2,5·10-6 cm2/s, secondo la formula seguente[9]:

2

12

=⋅

L

tD

da cui si ricava t = 32000 s ∼ 9 h. Il coefficiente di diffusione è stato determinato tramite prove di permeazione elettrochimica, secondo il metodo di Devanathan-Stachurski[10]. Estratti dall’autoclave i campioni sono stati conservati in azoto liquido in modo da annullare le perdite di idrogeno dovute alla sua diffusione verso l’esterno. Alla temperatura dell’azoto liquido (196 °C) infatti, l’energia termica dell’idrogeno non è sufficiente ad attivare moti diffusivi che ne

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permettano il moto. Grazie a tale sistema è stato possibile effettuare le prove di trazione anche a distanza di giorni dalla fine dell’idrogenazione. Successivamente sono state effettuate prove di trazione a bassa velocità di deformazione, secondo norma ASTM G-129 [11]. Si considera bassa velocità di deformazione una velocità inferiore a circa 5⋅10-4 ÷ 1⋅10-3 s-[12]. La velocità di deformazione utilizzata è stata quindi pari a circa 3⋅10-5 s-1. Ciò è stato fatto perché le dinamiche di infragilimento da idrogeno sono pilotate dalla diffusione dell’idrogeno all’interno del metallo, e pertanto le prove di trazione condotte a usuali velocità di deformazione non permettono di evidenziare l’effetto infragilente di tale elemento. Al termine delle prove di trazione è stata determinata l’area a rottura ed è stata effettuata un’analisi frattografica in modo da confrontare la modalità di frattura assistita dall’idrogeno con quella in assenza di idrogeno. E’ stata inoltre misurata a posteriori la concentrazione di idrogeno prelevando un campione dal provino post-trazione. La misura di concentrazione d’idrogeno è stata effettuata tramite metodo di estrazione ad alta temperatura, utilizzando un determinatore d’idrogeno LECO DH603. Dalle prove condotte è stato quindi ricavato il valore della resistenza e della duttilità dell’acciaio in funzione del tenore di idrogeno assorbito. Alcuni provini non idrogenati sono stati trazionati dopo aver verificato che il contenuto d’idrogeno nell’acciaio allo stato di fornitura fosse nullo. Inoltre, oltre al carico massimo e all’allungamento percentuale a rottura, è stata analizzata anche la strizione percentuale a rottura, tramite misura delle sezioni di frattura post trazione. La strizione percentuale a rottura è stata misurata tramite un software analizzatore d’immagini ImageJ, secondo la procedura mostrata in figura 4.

Fig.4: Esempio di misura della sezione di frattura del provino sottoposto a prova di trazione. Da queste prove si è notato che i valori di concentrazione raggiunti con idrogenazione gassosa sono stati molto bassi (pari a circa 0,35 ppm per l’idrogenazione condotta a 150 bar) e che pertanto l’effetto risultante dell’idrogeno sulle caratteristiche meccaniche è stato modesto. Si è scelto, pertanto, di effettuare anche un caricamento di tipo elettrochimico che permettesse di raggiungere concentrazioni superiori. Il caricamento è stato effettato con una soluzione di acido solforico 0,1 N, con l’aggiunta di 10 mg/L di As2O3 come veleno di ricombinazione, alla corrente di 1 mA/cm2. In tal modo è stato possibile raggiungere la concentrazione di 1,5 ppm e l’effetto di diminuzione delle proprietà meccaniche è stato molto più marcato. I dati ottenuti dalle prove di trazione sono stati utilizzati quindi come input per la realizzazione di un modello agli elementi finiti che permettesse la determinazione dei livelli locali di tensione nelle

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vicinanze dell’intaglio e l’implementazione di un criterio di frattura spendibile in termini di progetto al fine di determinare la resistenza statica di componenti intagliati a contatto con ambienti di servizio idrogenanti. Risultati e Discussione Contenuto d’idrogeno degli acciai

Fig.5: Concentrazione d’idrogeno ottenuta in funzione della pressione parziale utilizzata per il caricamento. In figura 5 sono riportati i valori di concentrazione d’idrogeno misurati in funzione della pressione d’idrogeno. L’assorbimento di idrogeno si basa sulla reazione di dissociazione dell’idrogeno molecolare in idrogeno atomico catalizzata dalla superficie metallica. Essa segue la legge di Sievert che lega la concentrazione d’idrogeno nella superficie del metallo (concidente con la concentrazione di bulk una volta raggiunta la saturazione) e la pressione parziale d’idrogeno secondo una formula del tipo[1]:

20 HH PCC ⋅=

in cui CH rappresenta la concentrazione e C0 è una costante dipendente dal materiale. In figura 5 è riportata la curva interpolante i dati sperimentali secondo l’espressione suddetta. E’ da notare l’ottimo accordo ottenuto fra dati sperimentali e curva teorica. Prove di trazione a bassa velocità di deformazione In figura 6 sono riportate le curve di trazione ingegneristiche, sia per provini lisci (a sn) e intagliati (a dx), sia nel caso di assenza di idrogeno che dopo idrogenazione in autoclave a diverse pressioni parziali di idrogeno. Come è possibile notare in figura 6, l’effetto di un tale caricamento di idrogeno non modifica sostanzialmente le caratteristiche meccaniche dell’acciaio esaminato sia nel caso di provini lisci che nel caso di provini intagliati. Sia il valore del carico massimo che dell’allungamento a rottura sono molto vicini alla dispersione statistica dell’acciaio analizzato.

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(a) (b) Fig.6:(a): Esempio di curve sforzo-deformazione ottenute con provini lisci non idrogenati (curva in nero) e sottoposti a caricamento in idrogeno gassoso a 100 bar per 7 giorni (curva rossa). (b): Esempi delle curve sforzo-deformazione ottenute su provini intagliati idrogenati a diverse pressioni parziali d’idrogeno. I dati di duttilità (allungamento e strizione a rottura) e quelli di resistenza (carico massimo) in funzione del tipo di caricamento effettuato sono riportati nella figura 7. Da tale analisi è possibile vedere come l’effetto di una pressione d’idrogeno di 100 bar sulle caratteristiche meccaniche dell’acciaio analizzato non sia molto marcato, con una modesta perdita di duttilità.

(a) (b) Fig.7: a): Valori della riduzione d’area e dell’allungamento percentuale a rottura ottenuti su provini intagliati sottoposti ad idrogenazione a diverse pressioni parziali d’idrogeno. (b): Valori carico di rottura ottenuti su provini intagliati sottoposti ad idrogenazione a diverse pressioni parziali d’idrogeno. Sia l’allungamento a rottura che la riduzione d’area dei provini idrogenati mostrano valori che si discostano da quelli misurati in assenza di idrogeno sempre meno del 15 %. La modesta influenza dell’idrogeno sulle caratteristiche meccaniche dell’acciaio analizzato è confermata inoltre anche dai valori del carico di rottura (variazioni inferiori al 10 %). Come evidente dalle frattografie riportate in figura 8, le modalità di frattura per i provini in presenza o in assenza di idrogeno sono le stesse e non si evidenzia nessuna perdita di comportamento duttile nel raggiungimento della rottura.

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(a) (b)

(c) (d) Fig.8: Frattografie realizzate tramite SEM della superficie di frattura dei campioni intagliati. (a) campione in assenza di idrogeno. (b) campione caricato a 50 bar. (c) campione caricato a 100 bar. (d) campione caricato a 150 bar. Dalle misure effettuate è possibile affermare che per pressioni parziali di idrogeno fino a 150 bar l’acciaio di grado API X52 analizzato non presenta fenomeni di infragilimento. Analisi tensione-deformazione e criterio di frattura La curva tensione-deformazione ingegneristica, direttamente ricavabile sperimentalmente, può essere convertita nella curva tensione-deformazione vera introducendo l’area della sezione di frattura in corrispondenza della strizione (vedi figura 9(a) [13]). La curva vera è stata ottenuta per due provini non sottoposti a caricamento d’idrogeno, ottenendo una buona ripetibilità, e successivamente nel caso di caricamento per contatto gassoso con idrogeno in pressione a 100 bar, a cui corrisponde una concentrazione d’idrogeno assorbito pari a circa 0.3 ppm, vedi figura 9(b). Dalla figura è evidente come la deformazione a frattura del provino contenente idrogeno, pari a circa fH 1.00ε = , non si discosti apprezzabilmente dalla deformazione a frattura del provino senza

idrogeno ( f 1.05ε = ) ed inoltre è da notare che tale differenza è dell’ordine della dispersione del

risultato stesso. Alla luce di questa evidenza sperimentale è stata affrontata la modellazione del componente intagliato assumendo un’unica curva tensione-deformazione, implementata nel modello agli Elementi Finiti (EF), mostrata in figura 10(a), abbinata ad un modello di incrudimento isotropo, figura 10(b) [14].

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0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.20

200

400

600

800

1000

1200

strain, [ 1 ]

stre

ss, M

Pa

Engineering curveYield pointNeckingFinal fractureTrue curve

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

0

200

400

600

800

1000

1200

strain, [ 1 ]

stre

ss, M

Pa

No HNo HH 100 bar

(a) (b) Fig.9. (a) Curva ingegneristica e curva vera. (b) Curva vera ottenuta per due provini senza caricamento da idrogeno, confronto con la curva ottenuta mediante caricamento per contatto gassoso con idrogeno in pressione a 100 bar.

0 0.1 0.2 0.30

100

200

300

400

500

600

700

strain, [ 1 ]

stre

ss, M

Pa

True curveMultilinear model

f

f

1.05

1035MPa

ε

σ

=

=

eq Yσ σ=

InitialYield

surface

Subsequent

Yield

surface

(a) (b) Fig.10. (a) Curva vera introdotta nel modello EF. (b) Modello di incrudimento isotropo. Il modello EF relativo al provino intagliato è mostrato in figura 11(a). La simmetria geometrica del provino è stata sfruttata permettendo la modellazione di 1/8 dell’intera geometria con evidente risparmio in termini di onere computazionale. Nonostante il rapporto fra lo spessore e il raggio di fondo intaglio suggerisse la modellazione basata sull’assunzione di uno stato piano di deformazione, è stata preferita la modellazione tridimensionale in modo da descrivere con maggiore accuratezza la multiassialità dello stato di tensione nella zona dell’intaglio. Il livello di infittimento del modello EF ritenuto adeguato, sulla base di un’analisi di convergenza, è mostrato in figura 11(b). Il tipo di elemento usato è il classico solido 3D esaedro con 8 nodi ai vertici. La diversa multiassialità di deformazione fra il caso di provino liscio e provino intagliato è risolta mediante la deformazione equivalente di von Mises definita secondo la relazione riportata nell’Eq.(1) [15]:

2 2 2 2 2 2vM

vM vM

2d (d d ) (d d ) (d d ) 6(d d d )

3

d

p p p p p p p p p p

x y x z y z xy xz xz

p p

ε ε ε ε ε ε ε ε ε ε

ε ε

= − + − + − + + +

= ∫

(1)

È lecito considerare la sola deformazione plastica in quanto la componente di deformazione elastica è molto più piccola. In figura 12(a) si riporta il confronto fra le curve sperimentali (carico-allungamento) dei provini intagliati senza idrogeno e con idrogenazione a 100 bar, e il relativo risultato del modello EF. Si

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evince che il modello riproduce bene la prima parte della curva fino al manifestarsi della frattura, ossia in corrispondenza della condizione di carico per il quale la deformazione a fondo intaglio raggiunge la deformazione a frattura f 1.05ε = , figura 12(b). In questa prima fase non c’è

un’evidente distinzione fra le due curve sperimentali. Inoltre, il modello EF riproduce accuratamente tali curve.

Symm.B.C.

Symm.B.C.

Symm.B.C.

Load

Refinement

volume

17170elements

19877 nodes

(a) (b) Fig.11. Modello EF: (a) condizioni al contorno, (b) livello di infittimento.

0 0.5 1 1.5 20

5

10

15

20

estensometer, mm

load

, kN

No H, exp.H 100 barFEFracture onset

MX

MAR 16 2010

NODAL SOLUTION

EPPLEQV (AVG)

vM f(max)pε ε=

(a) (b) Fig.12. (a) Riproduzione mediante modello EF della curva di trazione del provino intagliato in assenza di idrogeno e con caricamento a 100 bar. (b) Deformazione plastica equivalente, condizione di incipiente frattura. La distribuzione della deformazione plastica equivalente, a partire da fondo intaglio, lungo la bisettrice dell’intaglio stesso, è riportata in figura 13(b). La condizione di carico del provino intagliato (o del generico componente) per la quale si raggiunge la massima deformazione plastica pari alla deformazione a rottura (ottenuta sperimentalmente con il provino liscio) costituisce il criterio di frattura. Tale criterio sarebbe generalizzabile al caso di materiale suscettibile all’idrogeno, ossia nel caso in cui fH fε ε< , offrendo quindi uno strumento di progetto, richiedendo

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tuttavia la curva tensione-deformazione vera del materiale con quel dato livello di idrogeno. Come detto in precedenza non si evidenzia una significativa differenza della deformazione a frattura senza idrogeno, rispetto alla deformazione a frattura con idrogeno fH fε ε≈ , quantomeno per il materiale

investigato e per il livello di caricamento di idrogeno imposto.

Stress, Deformation,

Concentration

Distancefrom the notch root

x

y

z

0 0.5 1 1.50

0.5

1

1.5

distance from notch root, mm

eq. (

vM)

plas

tic

stra

in, [

1]

vM f(max)pε ε=

Fig.13. (a) Sistema di riferimento. (b) Distribuzione della deformazione plastica equivalente, criterio di frattura. Lo stato di tensione all’apice dell’intaglio è rappresentato nella figura 14, che si riferisce alla condizione di incipiente innesco della frattura. La tensione Idrostatica è definita come:

H ( ) / 3x y zσ σ σ σ= + + ed è responsabile della locale concentrazione di idrogeno secondo la

relazione[16]:

H H

H 0

V

RTC C e

σ

= (2)

in cui HC è la locale concentrazione di idrogeno, 0C è la concentrazione di idrogeno iniziale a stato

di tensione nullo, J8.31

molKR = , la temperatura ambiente 295KT = ,

3

H

cm2.0

molV = , ed infine Hσ è

da introdurre espressa in MPa. La plasticizzazione nell’intorno dell’intaglio produce il ben noto effetto di rendere lo stato di tensione localmente uniforme, e quindi anche la relativa concentrazione di idrogeno, in accordo con l’Eq.(2). Assumendo uniforme tensione idrostatica, pari a H 525MPaσ = , nell’intorno dell’apice

dell’intaglio, si può dedurre la concentrazione di idrogeno nei tre casi di caricamento proposti, riportata in Tab.2. Le concentrazioni di idrogeno ottenute sono effettivamente basse, anche considerando la maggiore concentrazione locale dovuta allo stato tensionale. Quindi è del tutto lecito non riscontrare un sensibile infragilimento, come si evince dal risultato di figura 12. Superato il punto di innesco della frattura, il modello non è più in grado di riprodurre correttamente la perdita di resistenza, dato che la fessura che si crea non viene modellata. Al fine di modellare correttamente questa successiva fase sarebbe necessaria l’informazione sperimentale di tenacità a frattura, non investigata in questa attività. Inoltre l’analisi EF sarebbe più complessa dato che richiederebbe la modellazione della fessura. Dall’analisi della figura 12 è evidente che la presenza dell’idrogeno produce differenze apprezzabili proprio durante questa seconda fase, dove entra in gioco la resistenza della fessura, ovvero la tenacità a frattura. Tuttavia, la parte finale della curva

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non è di interesse se si progetta a componente integro, ossia se si impone che la condizione di carico non sia tale da generare l’innesco della frattura.

0 0.5 1 1.50

500

1000

1500

distance from notch root, mm

stre

ss, M

Pa

s xs ys zs H

Fig.14. Stato di tensione all’apice dell’intaglio.

H , barp H , MPaσ 0 ,ppmC H , ppmC

50 525 0.20 0.31 100 525 0.30 0.46 150 525 0.35 0.54

Tabella 2. Concentrazione di idrogeno nella zona dell’intaglio. Per verificare l’attendibilità del modello in un caso di maggiore infragimento, è stato successivamente testato un provino intagliato con la stessa geometria di intaglio, dopo averlo sottoposto a caricamento elettrochimico, raggiungendo una concentrazione pari a 0 1.5 ppmC = . La

curva di trazione ottenuta ha mostrato una sensibile riduzione di duttilità, come visibile in figura 15.

0 0.5 1 1.5 20

5

10

15

20

estensometer, mm

load

, kN

No H, exp.H 100 barElectrCh.FEFracture onset

Fig.15. Confronto con caricamento elettrochimico. La prima parte della curva EF riproduce correttamente la curva sperimentale del provino intagliato, analogamente ai casi precedenti, tuttavia il punto di incipiente frattura si trova ad un allungamento sensibilmente più basso rispetto ai due casi precedenti. E’ quindi stato possibile dedurre il valore di

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limite di deformazione plastica fHε modellando la condizione di carico di incipiente manifestazione

della frattura, ottenendo fH 0.729ε = . Inoltre, nell’intorno dell’intaglio la tensione idrostatica è pari a

H 500 MPaσ = , e quindi la locale concentrazione di idrogeno è pari a: H 2.25 ppmC = . Pertanto, il

valore fH 0.729ε = è da associare alla concentrazione H 2.25 ppmC = , avendo a disposizione il valore

di f 1.05ε = per il caso di assenza di idrogeno è possibile estrapolare una semplice relazione lineare,

figura 16, per ottenere una stima di fHε per concentrazioni diverse da quelle testate.

0 0.5 1 1.5 2 2.50

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

fHε

0 , ppmC

NoHPressure gas charging

Electrochemical

charging

Fig.16. Relazione fra concentrazione di idrogeno e deformazione plastica a rottura. Conclusioni

• Le prove di trazione a bassa velocità di deformazione condotte su provini caricati in autoclave a contatto con un atmosfera di idrogeno ad alta pressione hanno permesso di evidenziare che la diminuzione delle caratteristiche meccaniche è trascurabile per pressioni fino a 150 bar

• L’utilizzo di attività di idrogeno maggiori (raggiungibili tramite caricamento elettrochimico) ha mostrato una evidente diminuzione di duttilità associata con tenori maggiori di idrogeno.

• La buona riproduzione, ottenuta mediante il modello EF, della curva forza-allungamento del provino intagliato, ha validato il criterio di resistenza proposto, ossia massima deformazione plastica equivalente a fondo intaglio pari alla deformazione di frattura del materiale, offrendo uno strumento di progetto che permette di analizzare una generica geometria con intaglio raggiato.

• Le basse concentrazioni di idrogeno non permettono una distinzione fra caso di assenza di idrogeno e caso di caricamento per contatto gassoso.

• Il provino sottoposto a caricamento elettrochimico ha mostrato un ben maggiore assorbimento di idrogeno e quindi una deformazione a rottura più bassa. È stato quindi possibile legare la concentrazione di idrogeno alla deformazione plastica massima di incipiente frattura.

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