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UNIVERSITÀ CARLO CATTANEO – LIUC, RIVISTA STUDI ORGANIZZATIVI

Il change managementnelle imprese

e nelle pubbliche amministrazioni

Atti del workshop di Castellanza5-6 giugno 2006

a cura diFederico Butera e Gianfranco Rebora

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1221–5

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: giugno 2007

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IL CHANGE MANAGEMENT NELLE IMPRESE E NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Workshop di Studi Organizzativi

Università Carlo Cattaneo – LIUC Castellanza - 5/6 giugno 2006

Presentazione ……………………………………………… Pag. 11 Relazioni introduttive 1. Gianfranco Rebora/Eliana Minelli Università Carlo Cattaneo - LIUC Change management: un modello di lettura e interpretazione ... 2. Federico Butera Università di Milano Bicocca Il change management strutturale e la alleanza per un pro-gramma nazionale di cambiamento delle Pubbliche Ammini-strazioni. La proposta Acropolis/2006 ………………. 3. E. Friedberg Institut d'Etudes Politiques di Parigi The management of change in firms and public administration ……………………………………... 4. Anna Grandori Università Bocconi Governo del cambiamento organizzativo e incertezza ...……... Definizione dei modelli organizzativi e change management 1. Stefania Palmisano Università degli studi di Torino Il mito dell'unicità tra le banche italiane .......………………….

Pag. 15 Pag. 53 Pag. 107 Pag. 123 Pag. 139

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2. Raffaella Cagliano, Evelyn Micelotta, Gianluca Spina, Poli-tecnico di Milano Modelli organizzativi nel settore retail ed evoluzione del mer-cato del lavoro .…………………………………………… 3. Giuseppe Delmestri Università degli studi di Bergamo Il change management tra bricolage istituzionale e generazione progettuale …………………………………………………….. 4. Andrea Montefusco SDA Bocconi - Scuola di direzione aziendale Per una pragmatica del cambiamento: un ipotesi di approccio costruttivo e normativo alla gestione dei processi di cambia-mento ………………………………………………….. Comportamento organizzativo e manageriale 5. Antonio Giangreco Università Carlo Cattaneo Castellanza The role of organisational commitment in the analysis of resis-tance to change: direct, mediating or moderator effects? .. 6. Andrea Martone Università Carlo Cattaneo Castellanza La transizione verso la managerialità: il caso dello IED ……… 7. Raimondo Ingrassia Università degli studi di Palermo Empowerment del responsabile del procedimento e cambia-mento organizzativo nelle amministrazioni pubbliche ... 8. Luciano Traquandi Università Carlo Cattaneo Castellanza Cambiamento organizzativo e paradigmi manageriali non con-venzionali: l'esempio della black box………………………

Pag. 161 Pag. 183 Pag. 217 Pag. 269 Pag. 301 Pag. 347 Pag. 377

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9. Vittorio D'Amato Università Carlo Cattaneo Castellanza Una visione sistemica del cambiamento: migliorare il presente e creare il futuro ........…………………………………………. Prospettive e casi di trasformazione della PA e del non pro-fit 10. Alessandro Hinna, Emanuela Berna Berionni Università Tor Vergata Roma Quando la norma non basta: l'azienda pubblica tra innovazione reale e cambiamento apparente ......…………………………... 11. Eugenio Nunziata Scuola sup. dell'Economia e delle Finanze, Partner Tesigroup Consulting Gestione strategica e Cambiamento organizzativo nelle ammi-nistrazioni pubbliche: il potere di una Visione condivisa.. 12. Michela Arnaboldi, Giovanni Azzone, Daniela Vitali Politecnico di Milano NPM, principi e strumenti per cambiare l'amministrazione pubblica: la valutazione delle prestazioni dei dirigenti nei mini-steri italiani ....…………………………………………….. 13. Andrea Lippi, Davide Nicolini Università degli studi di Firenze La pratica delle "Buone Pratiche" nella Pubblica Amministra-zione Italiana ...…………………………………… 14. Donatella Chiodo, Carlo Ippolito Gola Università degli studi di Napoli Il change management in una grande associazione: il caso WWF italia ……………………………………………………

Pag. 401 Pag. 421 Pag. 481 Pag. 513 Pag. 541 Pag. 573

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15. Ilaria Bettella, Paolo Gubitta, Francesca Prandstraller CUOA impresa, Università di Padova, Università Bicocca Mi-lano Da Ufficio a Centro. Il cambiamento organizzativo nei nuovi Centri per l'Impiego …………………………………………… 16. Marco Giannini, Maria Zifaro Università degli studi di Pisa Analisi del processo del Cambiamento Organizzativo in un Comune di piccole dimensioni ...……………………………… 17. Lucia Biondi, Carmela Gulluscio, Marta Leonori Università degli Studi Roma 3, Università Tor Vergata Roma Il Change Management nella Camera di Commercio di Roma .. Il cambiamento nelle aziende sanitarie 18. Marco Meneguzzo, Mario Ferrari, Luca Merlini Università della Svizzera italiana Lugano (CH) "Vacanze intelligenti Sanità CH". Viaggi e culture del cam-biamento tra pubblico e privato ...………………………… 19. Bernardo Abbate, Gabriella Doccisi, Giovanna Mereu, Giuseppe Piterà, Maurizio Dal Maso Azienda sanitaria 10 di Firenze Il problem setter: a caccia di strumenti per il benessere orga-nizzativo ………………………………………………….. 20. Fabiola Bertolotti, Diego Maria Macrì, Elisa Mattarelli Università di Modena e Reggio Emilia L'uso di evidenze etnografiche per favorire il cambiamento or-ganizzativo: il caso della progettazione del sistema informativo gestionale di una unità ospedaliera ……………….

Pag. 601 Pag. 637 Pag. 655 Pag. 673 Pag. 695 Pag. 713

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Misurazione della performance e cambiamento 21. Matteo Turri Università Carlo Cattaneo Castellanza L'impatto della valutazione in termini di cambiamento organiz-zativo. Riflessioni sul metodo di ricerca applicato al caso di tre università ………………………………………….. 22. Angelo Riccaboni, Federico Barnabè Università degli Studi di Siena Il ruolo della misurazione delle performance nel processo di cambiamento dell'Università italiana. Il caso dell'Università degli Studi di Siena ……………………………………………. 23. Maria Michela Spadavecchia, Antonio Nisio, Università degli studi di Bari Social responsability e social reporting: aziende private profit-oriented e non-profit, aziende pubbliche ……………………… Complessità ambientale e cambiamento 24. Mariano Corso, Andrea Giacobbe Politecnico di Milano Progettare le comunità di pratica per cambiare l’organizzazione…………………………………….................. 25. Mauro Sciarelli, Valentino Vecchi Università degli studi di Napoli Federico II Il cambiamento organizzativo nei processi di outsourcing stra-tegico dei servizi di Facility Management ………………… 26. Ernesto De Nito, Paolo Canonico, Gianluigi Mangia Univ. degli studi Magna G. Catanzaro, Uniersità. Degli studi di Napoli Federico Il Progetto come strumento per la creazione delle community of practice .......…………………………………………………

Pag. 743 Pag. 777 Pag. 803 Pag. 821 Pag. 845 Pag. 881 Pag. 903

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27. Emma Di Marino, Roberto Micera Università degli studi di Napoli Federico II Il cambiamento del sistema di trasporto pubblico locale: il caso della Campania ...……………………………………………… 28. Remo Dalla Longa Università L. Bocconi Milano Processi di trasformazione urbana e framework di riferimen-to.................................................................................... Sistemi informativi e cambiamento 29. Martina Gianecchini, Andrea Furlan Università degli studi di Padova ERP e cambiamento organizzativo ……………………………. 30. Marco Manni Università Carlo Cattaneo Castellanza I processi di e-government come leva per il cambiamento ……. 31. Gian Carlo Cainarca, Francesca Sgobbi Università degli studi di Genova Cambiamento dell'ambiente lavorativo e prestazioni individua-li. Un'indagine preliminare sui lavoratori italiani .…...

Pag. 923 Pag. 979 Pag.1011 Pag.1033

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IL CHANGE MANAGEMENT NELLE IMPRESE E NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

PRESENTAZIONE

Federico Butera e Gianfranco Rebora

Questo volume contiene gli atti del workshop scientifico sul tema “Il change management nelle imprese e nelle pubbliche amministrazio-ni”, promosso dalla Rivista Studi organizzativi, unitamente all’Università Cattaneo – LIUC, che si è tenuto a Castellanza il 5 e 6 giugno 2006. L’obiettivo fondamentale dell’iniziativa era stato così definito nella sua presentazione: “dare evidenza al contributo progettuale e culturale che gli studiosi delle discipline organizzative possono offrire per favo-rire il miglioramento strutturale, sistemico e duraturo delle aziende e delle istituzioni”. La risposta dei docenti e ricercatori italiani è stata molto buona e si è concretizzata nella presentazione di oltre 30 paper nell’ambito delle 5 sessioni parallele del workshop, che si sono aggiunti alle 4 relazioni di apertura dei lavori. Sono stati presentati contributi da parte dei molteplici settori discipli-nari potenzialmente coinvolti dal tema del change management. La partecipazione di studiosi delle università italiane è stata rilevante e geograficamente diversificata, con il coinvolgimento di 18 diversi ate-nei, del Nord, centro e Sud Italia, oltre che della Svizzera italiana. Ma è stata significativa anche la differenziazione degli approcci, attra-verso l’intervento di aziendalisti, ingegneri gestionali, sociologi e psi-cologi, oltre che di alcuni operatori e consulenti aziendali.

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Il Change management nelle imprese e nelle P.A.

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Gli autori delle relazioni e dei paper presentati in tale occasione hanno successivamente perfezionato i loro elaborati in base anche alle indi-cazioni derivate dalla discussione e dai commenti dei chairmen delle diverse sessioni del workshop. Il presente volume comprende quindi le 4 relazioni di base e 31 paper suddivisi nelle seguenti sezioni:

1. Definizione dei modelli organizzativi e change management 2. Comportamento organizzativo e manageriale

3. Prospettive e casi di trasformazione della PA e del non profit.

4. Il cambiamento nelle aziende sanitarie

5. Misurazione della performance e cambiamento

6. Complessità ambientale e cambiamento

7. Sistemi informativi e cambiamento

Un interesse notevole dei ricercatori si è indirizzato verso le proble-matiche del change management nei settori delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, della sanità e degli organismi non profit. Contemporaneamente sono stati affrontati problemi metodologici di ordine generali ed analizzati casi di imprese industriali e di aziende dei servizi. Ne risulta un quadro variegato, un materiale certamente disomogeneo, ma che offre testimonianza della sensibilità che gli studiosi italiani di management dimostrano nel considerare le organizzazioni in una pro-spettiva di cambiamento e anche della ricchezza dei possibili tagli di interpretazione. Studiosi già affermati nel mondo accademico e giovani di valore si sono impegnati a fondo nel presentare i risultati delle loro ricerche ed

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Federico Butera, Gianfranco Rebora

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elaborazioni. Il loro lavoro ha tratto beneficio dalle indicazioni svilup-pate dai chairmen delle sessioni, i professori Sebastiano Bagnara, Maurizio Catino, Giovanni Costa, Bruno Dente, Riccardo Mercurio, Giorgio De Michelis, Dario Romano. Inoltre, la concomitanza di questa iniziativa di forte caratterizzazione universitaria con il II° Convegno nazionale di Assochange, svoltosi nell’ambito di una cornice unitaria negli stessi giorni nella sede della LIUC, ha consentito di arricchire la discussione con l’apporto dell’esperienza di. manager e specialisti aziendali. Le due giornate di giugno 2006 a Castellanza sono state un momento significativo di approfondimento di una problematica che le nostre or-ganizzazioni, private e pubbliche, sono chiamate ad affrontare nel prossimo futuro con molto maggiore impegno e con il ricorso a meto-dologie e strumentazioni meglio affinate e più caratterizzate in senso professionale. Il metodo di lavoro sperimentato in questa occasione si è rivelato anch’esso innovativo e quindi coerente con la natura del problema affrontato, che richiede forte tensione collaborativa, di dia-logo e di interazione creativa tra soggetti diversi. Nel dare alle stampe questi atti vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito, gli autori, i chairmen, tutti i partecipanti al nostro Workshop e al convegno di Assochange. La rivista Studi organizzativi, edita da Franco Angeli, ha pubblicato nel primo numero del 2007 una sezione dedicata al Workshop di Ca-stellanza, che ha compreso in particolare le relazioni introduttive e al-cune note dei chairmen. Ringraziamo l’editore Franco Angeli di aver-ci concesso di includere le relazioni anche in questo volume degli atti, che ci offre così documentazione completa dei contenuti sviluppati in tale occasione.

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IL CHANGE MANAGEMENT: UN MODELLO DI LETTURA E INTEPRETAZIONE

Gianfranco Rebora

Eliana Minelli

1. Ambiguità dei processi del cambiamento e inerzia dell’organizzazione

Nell’affrontare il tema del cambiamento di organizzazioni complesse si è esposti al rischio di perdersi nella Babele dei diversi linguaggi specialistici, o di confondersi di fronte all’ambiguità che caratterizza questo tema quando è riferito a organizzazioni sociali che ripongono la loro stessa origine in un ideale di stabilità. La nostra società è sensibile a una retorica del cambiamento che trova alimento in fenomeni come l’incalzare della globalizzazione, le di-scussioni sul declino economico-industriale, la transizione demografi-ca, gli scandali via via esplosi. Ma al tempo stesso è anche bloccata dall’inerzia degli interessi e dei poteri costituiti, o, più semplicemen-te, dalla forza delle abitudini e del quieto vivere. In Italia si risente di una polarizzazione eccessiva di posizioni e ri-schiamo così di perderci tra Scilla e Cariddi, tra la roccia di coloro che vorrebbero cambiare tutto, come certi economisti fanatici della con-correnza chiave risolutiva di tutti i problemi, e il gorgo delle lobbies e delle corporazioni che resistono a ogni proposta di innovazione. Qualcuno vede il nostro paese come affetto da una sorta di sindrome di Dorian Gray, la presenza insuperabile di un divario tra valori, desi-deri, atteggiamenti, da un lato, e realtà vissuta dall’altro, quasi che fossimo scissi tra quello che vorremmo essere e quello che siamo in realtà, ma preferiamo non vedere rappresentato. L’ambiguità insita nei processi del cambiamento sociale si estende na-turalmente a quanto avviene nelle organizzazioni. La ritroviamo nel possibile duplice significato della sempre citata frase del Gattopardo “dobbiamo cambiare se vogliamo restare gli stessi”: alla più diffusa e banale interpretazione nel senso di una furbesca forma di quieto vive-

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Il Change management: un modello di lettura ed interpretazione

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re, si può infatti contrapporre una molto più problematica (e ambigua, certo) constatazione che alla corrente del cambiamento non ci si può sottrarre in alcun modo. Ma non si tratta di un problema solo italiano. Esiste infatti documen-tazione di come il tasso di fallimento dei progetti di innovazione e cambiamento condotti all’interno delle organizzazioni di tutti i paesi e di tutti i tipi sia alto, vicino al ‘70%. Le cause di questi fallimenti non sembrano legate alle caratteristiche delle spinte esterne che premono per il cambiamento, quanto a ragioni interne alle organizzazioni: la difficoltà di integrare i diversi apporti, la prevalenza di approcci setto-riali, la confusione dei linguaggi e delle culture professionali coinvol-te, le incertezze nel comportamento dei leader.

Molte volte le proposte di cambiamento portate avanti nelle organiz-zazioni reali riflettono mode e precetti generici di management, che magari hanno alle spalle affascinanti teorie di qualche celebre guru, oppure si configurano come pacchetti di intervento ben studiati dalle maggiori società di consulenza. Nell’un caso e nell’altro le conse-guenti azioni possono essere anche molto distanti dalle situazioni or-ganizzative specifiche e dai problemi minuti che i lavoratori coinvolti percepiscono e vivono nel quotidiano. Inoltre, altrettanto spesso, i manager e i consulenti che li assistono negli interventi di cambiamen-to fanno poco per rielaborare e contestualizzare questo tipo di propo-ste, si limitano spesso a fare eco a ricette di valenza generica e, in più, non di rado suppliscono con un eccesso di arroganza alla debolezza dei loro progetti. Ne deriva una micidiale miscela tra scetticismo dif-fuso già in partenza tra gli operatori di base ed errori o superficialità nel management del cambiamento, che finisce inevitabilmente per moltiplicare i problemi di resistenza e inerzia dell’organizzazione.

Una controprova di quanto giochino elementi di questo tipo nell’alimentare gli ostacoli al cambiamento è data dai livelli quasi in-credibili di diffusione di una “letteratura popolare”, che compie una parodia della vita di lavoro e specialmente del comportamento mana-geriale, come ha mostrato di recente una intelligente riflessione critica (Czarniaska - Rhodes, 2006). Dilbert, da un lato, The Simpsons, dall’altro, hanno seguito, lungo tutti gli anni ’90 e oltre, lo stesso per-corso espansivo delle teorie e delle mode di management, dagli Stati

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Gianfranco Rebora, Eliana Minelli

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Uniti all’Europa e al mondo, con una sola rilevante differenza, quella di aver saputo parlare a un pubblico molto più ampio, che coincide in gran parte con i lavoratori dipendenti delle grandi organizzazioni e con i loro familiari. Si riscontra che le strisce comiche di Dilbert, vi-ste per la prima volta nel 1989, appaiono in 2000 giornali in 65 paesi. Sono usciti 22 libri di Dilbert con la stampa di più di 10 milioni di copie. Il libro del 1996 The Dilbert Principle è stato il numero 1 nella lista dei bestseller di business di New York Times e Business Week. E che The Simpons negli Stati Uniti è la trasmissione televisiva di prime time di più lunga durata e maggior successo. E’ andata in onda in più di 60 paesi e nel 1999 Time magazine l’ha proclamata la mi-gliore trasmissione televisiva del XX secolo (Czarniaska - Rhodes, 2006).

Il richiamo a questi contributi di tipo non convenzionale alla teoria e alla pratica del management ci aiuta quindi a considerare l’inerzia qualcosa di molto diverso da un’anomalia o un incidente nell’ambito di un percorso lineare di gestione del cambiamento organizzativo.

L’inerzia non è solo un ostacolo da considerare, per superarlo, proiet-tandosi verso il risultato desiderato. L’inerzia è qualcosa di molto di-verso da una patologia ed esprime invece la naturale e fisiologica am-bivalenza di ogni organizzazione. La preferenza per la continuità fa parte di un “modo di essere” necessario per qualsiasi organizzazione, che utilizza proprio la rigidità e ripetitività del funzionamento come essenziale fattore di economia di risorse nel raggiungere uno scopo dato; a questo carattere costitutivo, proprio dell’organizzazione e quindi fisiologico, si aggiunge quasi sempre, in modo assai difficile da distinguere e da separare nettamente, il dato del possibile compor-tamento opportunistico e del perseguimento d’interessi “autonomi” rispetto a quelli istituzionali. Ma anche l’esistenza di questi interessi è fisiologica e rappresenta anzi una risorsa preziosa per l’efficacia dell’organizzazione. Ambiguità, incertezza e opacità impediscono di cogliere con chiarezza il punto in cui viene oltrepassato il confine fra fisiologia e patologia dell’organizzazione.

E’ necessario avere consapevolezza di questa ambiguità e di queste aporie se si vuole affrontare in modo realistico la prospettiva del cam-

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Il Change management: un modello di lettura ed interpretazione

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biamento. Un percorso per ridurre il divario tra aspirazioni e realtà de-ve così innanzitutto attraversare questo territorio di ambiguità ricono-scendone le determinanti. Un approccio di change management può sostenere gli attori nell’affrontare questo percorso. Con questo non intendiamo però ri-chiamare la vasta precettistica che chiarisce la sequenza dei passi che sarebbero necessari per condurre a buon fine i processi di cambiamen-to aziendale. Per change management intendiamo invece un metodo di intervento che si fonda sulla capacità di tratteggiare un ritratto realisti-co della realtà oggetto di trasformazione, di accettare e fare accettare questa diagnosi, di individuare linee di azione aderenti al concreto, di coinvolgere i responsabili reali della attività ai diversi livelli, di e-sprimere infine una genuina volontà degli attori di sostenere i rischi del cambiamento ed acquisirne i benefici in caso di successo. Si tratta di un metodo che parte quindi dalla realtà di base e può da questa risa-lire ai più ampi aggregati anche interaziendali e riferiti a sistemi inte-rorganizzativi. Esso richiede competenze professionali specifiche, multidisciplinari, ma integrate in una visione d’insieme.

2. L’esigenza di un modello di lettura per il change management

Il change management pone quindi l’esigenza di un linguaggio condi-viso e di una capacità di lettura integrata delle diverse situazioni orga-nizzative. Il change management non evoca solamente lo sviluppo di un’adeguata conoscenza, un sistema concettuale e cognitivo di riferi-mento. Richiede di più, in particolare uno sviluppo di competenze non solo cognitive, ma legate alle abilità relazionali e comportamentali ed anche risorse di volontà e motivazione. L’estrema variabilità e mutevolezza delle situazioni profilabili ed i ricchissimi risvolti di natura multidisciplinare rendono però quanto mai arduo ed arbitrario pervenire a conclusioni generali, special-mente in forma di enunciazione di “leggi” o “teorie generali”, op-pure in termini direttamente normativi. L’analisi critica di casi ed esperienze di “gestione del cambiamento” non consente di arrivare

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Gianfranco Rebora, Eliana Minelli

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a questo con sufficiente grado di attendibilità e fondatezza, perché ciò che alcuni “casi” sembrano provare, molto facilmente trova smentita in altri, secondo modalità molto simili a quelle che si ma-nifestano nel più vasto campo del mutamento sociale (Boudon, 1985).

Casi ed esperienze opportunamente selezionati ed indagati offrono però materiale sufficiente per costruire schemi e modelli di analisi da cui derivi anzitutto un linguaggio utile per concettualizzare e in-terpretare le più svariate situazioni di cambiamento organizzativo; dai quali possano poi scaturire molte “indicazioni di possibilità”, linee e tracce per l’azione, sulla cui base il management (di impre-se o enti) possa trovare un orientamento di fronte alle scelte impe-gnative che contraddistinguono questo aspetto essenziale della sua attività.

In questa logica, la lettura e la comprensione del processo di cam-biamento è facilitata dall’impiego di schemi di riferimento che met-tano in rilievo le variabili critiche ed evidenzino le relazioni tra le stesse, in modo da favorire l’individuazione di spazi e margini di azione disponibili per una positiva gestione del processo e da con-sentirne quindi un’interpretazione più analitica, che lo scomponga in sotto-processi verso i quali siano indirizzabili più puntuali moda-lità di azione. Lo sviluppo di una capacità di lettura e visione com-plessiva dei processi del cambiamento, fondata sull’elaborazione di un linguaggio adeguato, diventa così risorsa fondamentale perché gli stessi attori ne comprendano il significato in modo condiviso.

A questo fine principale è orientato il modello di lettura dei processi del cambiamento di seguito sviluppato.

3. Il circuito critico: apprendimento-potere-risorse

Comprendere i processi del cambiamento organizzativo è cosa com-plicata, che porta a divenire debitori verso diverse ottiche e discipline. Quando esaminiamo questa complessa attività attraverso una lente so-la, come può essere quella dell'analisi economica e dei suoi modelli,

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Il Change management: un modello di lettura ed interpretazione

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cogliamo aspetti importanti. Altri e diversi aspetti emergono per e-sempio usando la lente concettuale dell'apprendimento organizzativo (Bower, 2000), oppure quella degli assetti di potere aziendale. Ciascu-no di questi diversi approcci propone una visione corretta del proble-ma, ma ignora dettagli rilevanti che possono rivelarsi decisivi per o-rientare l'azione. Non è detto che questo sia un problema nella pro-spettiva del ricercatore, che può accettare di compiere letture sfasate nel tempo di uno stesso fenomeno, se riesce ad accumulare le cono-scenze offerte dalle diverse prospettive. Ma per chi è direttamente im-pegnato nel change management "buchi" e sfasature possono portare a scelte inefficaci. Gran parte della ricerca condotta in argomento segue in effetti le linee proprie di un singolo contesto disciplinare. I ricercatori riconoscono in genere la complessità delle organizzazioni ma l'interconnessione dei diversi aspetti si perde il più delle volte nello sviluppo delle analisi di dettaglio. Occorre allora rovesciare il problema, partire dall’analisi di situazioni di cambiamento, che abbiano avuto esiti giudicati sia come successi che come fallimenti, e approfondirle per periodi lunghi, studiandone tutti gli aspetti, in modo da poterne trarre una visione d’insieme, il più possibile ampia e profonda. Da un lavoro di questo tipo ci è stato possibile estrarre una sintesi dei processi essenziali del cambiamento organizzativo. Nell’esporne i contenuti ci varremo di una serie di esemplificazioni, ricondotte in questa sede, per semplicità, ad un caso di riferimento principale, indi-viduato in Italcementi Group. I processi del cambiamento organizzativo sono tre ed esprimono logi-che ed andamenti molto differenti. Nonostante questo si intrecciano e condizionano reciprocamente, producendo un risultato d’insieme. Si tratta dei processi di apprendimento, di gestione del sistema di potere e di sviluppo delle risorse organizzative. Cominciamo da quest’ultimo. Ogni organizzazione non è altro che un sistema di risorse, nel senso che se ne constata la focalizzazione intor-no a risorse, attività, o capacità critiche (core), che fondano il successo aziendale ma anche pongono limiti ai processi di cambiamento. L'im-postazione di progetti innovativi deve quindi affrontare esplicitamente il problema di un adeguato assetto delle risorse aziendali, in termini di

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tecnologia, finanza, capacità e conoscenze incorporate nelle strutture e nel personale (Ansoff, 1984). Risorsa può essere qualcosa di fisico o di naturale, come può essere stato in passato per l’accesso privilegiato a materie prime o canali di approvvigionamento di particolari materiali, come la localizzazione centrale di un’attività commerciale, ma può essere anche qualcosa di immateriale, come la relazione con una base di clientela consolidata nel tempo, o il capitale di fiducia accumulato da un istituto di credito nella comunità locale di appartenenza. Può rientrare nel concetto di risorsa anche un insieme di competenze più complesso, quale la capa-cità di configurare e gestire sistemi di relazione stabili che consentono ai diversi soggetti coinvolti di creare valore (Normann, 2001). Il caso di Italcementi Group offre evidenza alla rilevanza del concetto di sviluppo delle risorse per un percorso di cambiamento. Lo sviluppo internazionale di questa impresa per acquisizioni successive discende dell’esigenza di diversificare il rischio in un settore stabile, dove i tas-si di sviluppo maggiori sono quelli dei paesi emergenti. Le potenziali-tà di un gruppo internazionale in questo campo richiedono forte inte-grazione e diffusione delle pratiche gestionali che si rivelano più effi-cienti.

Italcementi Group (1): lo sviluppo di risorse per l’internazionalizzazione

Italcementi è un’impresa le cui origini risalgono all’Ottocento, che ha saputo più volte rinnovarsi e rilanciarsi nel tempo. Lo sviluppo all’estero attraverso acquisizioni è stata una linea di riferimento co-stante. Nel 1992 l’acquisizione di Ciments Français costituisce una mossa che sorprende il mercato perché racchiude tre primati: la più ri-levante acquisizione industriale realizzata all’estero da un gruppo ita-liano, il più importante aumento di capitale effettuato alla Borsa di Pa-rigi e il più rapido aumento di dimensioni mai registrato da una società industriale italiana. Nel 1997 la nascita di "Italcementi Group" che comprende sotto un'unica identità corporate tutte le società interna-zionali, sancisce la rilevanza assunta dalla strategia di internazionaliz-zazione guidata da una chiara visione: diversificare i rischi, con il

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progressivo ingresso nei paesi emergenti, integrare il gruppo intorno a una identità condivisa a livello internazionale, generare sinergie a tutto campo ne costituiscono le linee portanti. Questa scelta di fondo comporta che si mettano in discussione i mo-delli organizzativi stabili e consolidati di Italcementi, in una prospetti-va nuova di efficienza di gruppo nel lungo periodo. Benché il modello di gestione realizzato in Italia fosse valido, il vertice aziendale decide di valorizzare ogni esperienza positiva, generando l’occasione per ri-mettere in discussione anche il modello italiano: “World Class Local Business” è lo slogan del Gruppo. L’azienda viene totalmente ripensa-ta per processi, in un momento in cui il modello organizzativo delle singole aziende è prevalentemente funzionale. L’organizzazione, intesa come insieme interconnesso di pratiche e di routine operative, che comprendono la gestione delle attivi-tà/operazioni, i flussi informativi, i sistemi di controllo e la gestione del personale, è posta al centro dell’attenzione del management. I pro-cessi di introduzione di nuove pratiche sono formalizzati e resi visibili a tutti attraverso progetti di innovazione definiti a livello corporate e condotti da gruppi operativi diffusi in tutte le realtà locali. Così il processo di sviluppo delle risorse interne assume fondamentale importanza per la realizzazione dell’obiettivo strategico della creazio-ne del gruppo. Si considerino al proposito i passaggi fondamentali realizzati a partire dall’acquisizione di Ciments Français:

- fin dal primo momento si pone l’obiettivo della mutualizza-zione della capacità di gestire la tecnologia; in questa logica le direzioni tecniche e i centri di ricerca di Italcementi e di Ci-ments Français confluiscono nel Centro Tecnico di Gruppo. Le due realtà aziendali, così diverse, iniziano a fare gruppo pro-prio dal loro know how. Le competenze tecniche convergono in un unico paniere a beneficio di tutto il gruppo.

- Il passo successivo consiste nel capire la necessità di rivedere tutti i processi aziendali e di promuovere il cambiamento nella logica dell’armonizzazione delle soluzioni e dei processi, anzi-ché attraverso l’imposizione dall’alto. Negli anni 95-96 viene realizzato uno studio di fattibilità dell’armonizzazione dei pro-cessi, partendo “dal basso” per tenere conto delle soluzioni or-

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ganizzative, di processo e tecnologiche attuate da ogni paese. Lo studio si propone anche di verificare la compatibilità delle opportunità offerte dalla tecnologia.

- come strumento centrale di armonizzazione si individua SAP, perché in quel momento costituisce il sistema ERP più stabile e di maggiore affidamento per il futuro, che promette, inoltre, il recupero dell’efficienza complessiva, attraverso la diffusione delle best practices nell’intero gruppo. SAP in sé non richiede una riorganizzazione interna, tuttavia la sua introduzione di-viene occasione di una riorganizzazione su basi nuove

Attraverso questi rapidi passaggi il top management del gruppo pro-muove così un obiettivo chiaro e ambizioso: costruire un’organizzazione evoluta e razionale, indipendente dalle esperienze precedenti anche positive, completamente nuova quindi e all’altezza della dimensione internazionale raggiunta dal gruppo. E’ in questa logica di sviluppo della risorsa “organizzazione” che ne-gli anni successivi al 1997 si afferma così il progetto SAP. Non sono tanto le caratteristiche tecniche del sistema informativo integrato a sancirne il successo. Da questo punto di vista anzi emergono subito i limiti del sistema che richiederanno nel tempo robuste azioni corretti-ve. Ma il top management sente il bisogno di disporre di un riferimen-to unitario, di mobilitare le energie diffuse presenti nelle singole unità aziendali facendole convergere in un unico grande progetto. In questo senso c’è bisogno di un oggetto specifico, qualcosa che sia complesso ma anche sufficientemente concreto, identificabile in termini pratici. Qualcosa che costituisca una risorsa nel senso indicato in precedenza. E SAP ha tutte le caratteristiche necessarie, configura una sfida ardua, ma verificabile nei suoi esiti. Non si tratta di un problema solo tecnico, come ben presto emerge. Il processo di sviluppo delle risorse aziendali, sia fisico-tecniche che economiche, informative, intellettuali e relazionali, non può essere i-solato rispetto alle altre dimensioni che convergono nella complessiva corrente del cambiamento organizzativo. Si tratta in particolare dei processi di apprendimento e di gestione del potere. Ancora il caso I-talcementi Group ci mostra l’intreccio tra questi svolgimenti.

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Italcementi Group (2): apprendimento e gestione del potere Il progetto avviato comprende una importante componente tecnologi-ca ma ripone nel corretto coinvolgimento del personale la chiave fon-damentale per il successo. La preparazione al cambiamento si rivela cruciale: si capisce subito che il problema non sta nel realizzare le nuove soluzioni (tecniche e organizzative) ma nel preparare il cam-biamento coinvolgendo al più presto tutti gli interessati. La prepara-zione alla nuova soluzione organizzativa è curata molto, almeno sulla carta, ma ciò non risparmia errori. L’apprendimento si realizza princi-palmente attraverso la formazione: prima ancora che la soluzione sia pronta, tutti coloro che direttamente o indirettamente ne sono interes-sati vengono coinvolti nella preparazione al cambiamento attraverso seminari, pubblicazioni interne, varie altre attività di comunicazione. Il processo di formazione coinvolge a cascata tutti gli addetti in un ar-co temporale di circa un anno con un numero di giornate non inferiore a 8 per persona e questo ancora prima dell’addestramento tecni-co/operativo sulla soluzione finale. Il picco della formazione cade poi durante la fase di addestramento quando la soluzione tecnologica è pronta. Dove la formazione di avvicinamento è carente si verificano i maggio-ri problemi. La mancanza di comprensione delle motivazioni rende complesso ed inefficace l’addestramento, specie quando operatività locali consolidate sono modificate per congruenza e/o armonizzazioni in una chiave di Gruppo. Lo sviluppo di risorse nel senso indicato richiede quindi un parallelo e intenso impegno nel generare processi di apprendimento, riferiti non solo a conoscenze ma a stili operativi e approcci relazionali da parte dei diversi soggetti attivi nell’organizzazione. Tutto questo si verifica in misura decisamente accentuata intorno al progetto SAP. Per la sua conduzione Italcementi deve acquisire il supporto di molti mediatori tecnici dall’esterno e accelerare la cono-scenza del prodotto con sforzi decisamente intensi. In meno di 14 mesi viene sviluppato il nucleo della soluzione (Kernel ovvero il nocciolo - nov.97-giugno 98) ed il suo adattamento alle esi-genze locali di ogni paese coinvolto (giugno-dicembre 98). Il 1° gen-naio 99 la soluzione è diventata operativa per le società belghe, gre-

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che, francesi, italiane, nordamericane e spagnole. In una seconda fase SAP è esteso anche agli altri paesi del mondo. Nel nucleo del proget-to entrano tutti i processi aziendali fondamentali, sviluppati però a li-velli diversi di completezza. Il più completo è il processo di manuten-zione, che rappresenta il cuore dei benefici ricercati e dell’armonizzazione strategica. Peraltro, con il passare del tempo si comprende che il modello adotta-to (Kernel-Roll-out) pur essendo efficace per la prima installazione, presenta importanti controindicazioni gestionali poiché tende a far perdere di vista l’armonizzazione delle soluzioni e costituire una bar-riera nell’adozione delle emergenti best practices. Così il modello di gestione delle soluzioni è rivisto in modo da assicurare una vera ar-monizzazione. La soluzione realizzata evidenzia le opportunità di ridisegno dei ruoli e delle mansioni con importanti miglioramenti di efficienza a regime anche se durante il periodo di transizione sono necessarie integrazioni importanti di risorse a supporto dell’aumento del carico di lavoro connesso alla trasformazione Dal punto di vista del processo di gestione del potere, l’imprenditore, nella figura dell’Amministratore Delegato (Gianpiero Pesenti) è lo sponsor primario ed attento dell’iniziativa. Con l’identificazione dell’ing. Carlo Pesenti (la nuova generazione) come Direttore del Pro-getto, egli ne sottolinea l’importanza strategica ed esplicita la sua vi-sione: il progetto non può fallire, in quanto si lega al futuro stesso dell’azienda. Questo messaggio è recepito a tutti i livelli anche nella identificazio-ne dei process owners, ricercati tra le persone più autorevoli e credibi-li e con un chiaro ruolo nel futuro del Gruppo. I collaboratori più di-rettamente coinvolti nel progetto (e quindi più vicini alle scelte opera-tive nella quotidianità) avranno poi un ruolo importante in azienda con il passare degli anni, mentre i pochi casi di modesto contributo com-portano, nei fatti, la “scomparsa” dai ruoli chiave della nuova organiz-zazione. In sostanza, nessun progetto tecnico contribuisce davvero a potenziare gli asset aziendali, o genera reale cambiamento organizzativo, se non è accompagnato da processi di apprendimento. In questo caso l’introduzione di sistemi informativi complessi comporta conseguenze

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importanti per gli operatori aziendali a tutti i livelli. Costoro non de-vono solo assimilare nuove conoscenze tecniche ma modificare i pre-cedenti modelli e comportamenti. In una grande organizzazione que-sto implica un ricorso alla formazione, intensa e diffusa, ed anche alla mediazione di consulenti specializzati, presenti per lunghi periodi in affiancamento alle strutture operative. Ma l’apprendimento non si svolge in modo così lineare e sequenziale, non si tratta solo di condur-re per mano il personale aziendale ad attivare i nuovi sistemi operativi acquisiti sul mercato utilizzando i servizi di formatori e consulenti. L’impegno in reali processi di apprendimento mostra presto che le so-fisticate tecnologie in corso di introduzione presentano difetti, anche rilevanti, in ordine agli obiettivi fissati inizialmente ed anche a quanto prospettato dai fornitori come potenziale beneficio. Lo sviluppo della risorsa “armonizzazione dei sistemi gestionali” incontra ostacoli inat-tesi. Occorre anche correggere le soluzioni tecnologiche, riprogettarne aspetti rilevanti, compiere quantomeno un’opera paziente e diffusa di adattamento. Apprendimento e sviluppo di risorse si intersecano e sembrano alla fine capaci di generare un risultato positivo, sia pure ri-chiedendo all’azienda di sostenere costi superiori a quanto preventiva-to. Emerge anche un terzo aspetto, di grande rilievo: è difficile pensare alla riuscita di processi di innovazione così ampi senza azioni con-gruenti anche sul terreno della gestione del potere. Ostacoli, difficoltà, costi vari del cambiamento non impediscono di raggiungere l’obiettivo perché una spinta forte e comunque condizioni favorevoli sono presenti anche sotto il profilo del potere. Il vertice aziendale, l’imprenditore che detiene il saldo controllo proprietario della società, sostiene in prima persona il progetto. Delegando poi alla direzione del progetto il figlio, come proprio successore designato che personifica il futuro stesso del gruppo, indirizza un messaggio forte verso tutti i soggetti interessati. Le azioni conseguenti di gestione del potere a-ziendale sono coerenti con questa impostazione: i responsabili inter-medi (process owners) vengono scelti fra persone di riconosciuta competenza e i pochi casi di comportamento inefficace sono risolti con misure adeguate come la rapida sostituzione. In questo modo la gestione del potere appiana gli ostacoli che limitano l’apprendimento e facilita lo sviluppo di risorse nel senso voluto. Gli inconvenienti di

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percorso e gli stessi limiti progettuali dei nuovi sistemi possono così essere affrontati per quello che sono, attraverso un impegno più inten-so e qualche costo aggiuntivo, ma non avviano dinamiche negative o tali da interrompere il processo del cambiamento. Il circuito critico del cambiamento organizzativo può quindi essere raffigurato come nella Fig. 1.

+ SVILUPPO DELLE RISORSE

APPRENDIMENTO

POTERE

SVILUPPO DELLE RISORSE

RISULTATI DELCAMBIAMENTOORGANIZZATIVO

Fig.1 - Il circuito critico

E’ il processo di sviluppo delle risorse aziendali che determina i bene-fici inerenti una trasformazione organizzativa, come avviene nel caso Italcementi con l’armonizzazione dei sistemi informativi, l’integrazione tra le aziende del gruppo, la promozione di comporta-menti collaborativi e proattivi da parte del personale a tutti i livelli, con i conseguenti riflessi sui risultati di ordine economico finanziario e competitivo. Ma non è pensabile che questo sviluppo avvenga senza che il circuito virtuoso trovi alimento in processi di apprendimento partecipati e ricchi di stimoli, che escano anche da canoni di prevedi-bilità, e senza che lo stesso recuperi ordine attraverso una opportuna gestione del sistema di potere. Nell’esempio esposto, il circuito critico

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non solo esprime coerenza tra le sue fondamentali componenti ma conferisce energia al processo di cambiamento. Ciò assume una va-lenza positiva dal punto di vista del conseguimento degli obiettivi a-ziendali ed anche dell’attivazione di un potenziale di innovazione superiore alle attese inerenti la strategia esplicitamente formulata.

4. Il risvolto negativo e i circuiti viziosi: opportunismo, sfruttamento, perverse learning

Gli elementi considerati nell’ambito del circuito critico del cambia-mento esprimono una capacità di lettura dei processi organizzativi a-perta a una molteplicità di situazioni. Se il caso esaminato presenta un percorso leggibile in positivo rispetto agli obiettivi del cambiamento aziendale, altre situazioni possono configurarsi come assetti molto più contrastati, dove ciascuno dei tre elementi costitutivi può essere letto in negativo, oppure la reciproca interazione può rivelarsi priva di coe-renza. In caso estremo, il circuito virtuoso può rovesciarsi nel suo opposto, come spirale negativa o viziosa, manifestando una valenza avversa al cambiamento, oppure produttiva di risultati di cambiamento non posi-tivi con riferimento all’ottica e agli obiettivi dell’organizzazione(v. Fig. 2).

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APPRENDIMENTO:Forme di perverse

learning

POTERE:Uso opportunistico

- RISORSE:Concezione disfruttamento ?

Fig. 2 - Il risvolto negativo

Il film Dogville del regista danese Lars von Trier analizza quasi in vitro il processo del cambiamento sociale, considerato nei suoi risvolti negativi e di spirale distruttiva, valendosi della potenza congiunta di diversi mezzi espressivi e utilizzando il laboratorio di analisi di un piccolo gruppo di persone isolato da relazioni esterne. Dogville: il circuito perverso o negativo Un notte d’inverno, negli anni ’30 in piena grande depressione, com-pare Grace (Nicole Kidman), una donna giovane e bella inseguita da strani spari e braccata, come poi si scopre, da un gruppo di gangsters. Grace viene accolta dagli abitanti del villaggio che dapprima decidono in assemblea di ospitarla per 2 settimane di prova, poi di tenerla con loro e proteggerla. Grace si pone al loro servizio e si guadagna rispet-to e amicizia. Ma più tardi arriverà lo sceriffo ad attaccare un manife-sto in cui Grace risulta ricercata. E gli abitanti di Dogville comince-

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ranno a pretendere da lei favori sempre più “pesanti”, scivolando via via lungo una china che li coinvolgerà tutti, compreso Tom, il ragazzo aspirante filosofo che si era di lei innamorato. Si scopre così il volto feroce della piccola comunità chiusa, fatta di persone semplici, emar-ginate dal mondo che conta e apparentemente animate da buoni senti-menti. La possibilità di esercitare il proprio potere verso una persona che si presenta debole apre il varco a tutti i peggiori comportamenti: opportunismo e inganno, ricatto, menzogna, avarizia, fino all’abuso sessuale e alla riduzione in schiavitù. E in questo sono tutti coinvolti, uomini e donne, vecchi e giovani, compreso i bambini che assorbono naturalmente i modelli di comportamento degli adulti. Ma è anche Grace stessa che procede in questa spirale negativa: in fuga dal padre (che è il capo dei gangsters) rifiuta ogni autorità e ogni difesa, rifu-giandosi nella altrui bontà e umanità. In questo modo si espone, ed e-spone i propri interlocutori, a forme ambigue di rapporto, che finisco-no per fare emergere le qualità peggiori delle persone. Alla fine Grace deciderà di uscire dalla propria illusione buonista e di riassumere il proprio ruolo sociale di figlia del gangster. Punirà così orribilmente tutti gli abitanti del villaggio mostrando lo zelo del convertito e del neofita, fino ad uccidere con le sue mani Tom colui che più di tutti a-veva voluto accoglierla all’inizio della storia e l’aveva poi tradita e venduta. Ma la trama del racconto significa poco, scissa dalle modalità della scena e della narrazione, dall’uso spinto di simboli. Nella piattaforma teatrale aperta, sulla quale le case, le strade, gli alberi sono tracciati col gesso, i muri sono più reali e spessi di quelli di cemento. Il mix dei linguaggi propri del teatro, del cinema e della letteratura moltiplica la capacità espressiva e riesce a dare ritmo alla storia. La rapida sequenza delle scene del film consente di cogliere almeno quattro fasi: l’incertezza iniziale che culmina nella scena dell’assemblea di villaggio; l’accettazione della nuova venuta che rie-sce a legittimarsi ponendosi al servizio di tutti; la sua progressiva ca-duta in disgrazia con l’avvio di una dinamica di sfruttamento; il tradi-mento, che prelude alla scena finale che rovescia il senso di tutta la vi-cenda.

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In ogni fase agiscono processi rilevanti di cambiamento sociale, che la tecnica narrativa consente di scomporre nelle sue componenti fonda-mentali: del potere, dell’apprendimento e delle risorse. Nella prima fase la scoperta di Grace costituisce per Tom una risorsa, che gli offre opportunità di avere influenza nel villaggio, di essere propositivo; egli riesce ad avviare un processo di apprendimento nel quale coinvolge i due o tre abitanti inizialmente ostili alla nuova venu-ta. Convincendoli legittima anche se stesso fino ad assumere quel ruo-lo di persona autorevole nel villaggio, cui aspirava ma che gli era ne-gato. Nella seconda fase Grace stessa conduce i processi di cambiamento; attiva la sua abilità relazionale come risorsa e supera il muro di diffi-denza degli abitanti del villaggio facendo loro imparare modi di rap-porto ed opportunità che non conoscevano. Attraverso il servizio co-struisce un proprio spazio di influenza che si rivelerà peraltro difficil-mente difendibile nel tempo. Nella terza fase la spirale di evoluzione positiva e costruttiva delle in-terazioni sociali si arresta bruscamente e muta di segno quando un po’ tutti i personaggi assumono un ruolo più attivo ed escono allo scoper-to. Non è facile cogliere l’elemento scatenante di questa inversione, che solo apparentemente emerge da una serie di perturbazioni esterne, come l’intervento dello sceriffo e le notizie sullo status di ricercata di Grace. E’ il potere il vero elemento perturbatore: i vari personaggi, sconfitti nella vita e frustrati dai rapporti ripetitivi e asfittici di una piccola comunità chiusa, si scoprono “padroni” di un essere umano. E scelgono di esercitare il loro piccolo potere secondo i propri specifici profili caratteriali. Si apre una spirale di apprendimento in senso eti-camente negativo; ma nondimeno di apprendimento si tratta. Ciascuno di loro fa cose nuove, uscendo dalla routine delle abitudini consolida-te. I personaggi scoprono che possono essere malvagi, possono sentir-si vivi umiliando una persona e facendole violenza. Infine, la quarta fase: l’inganno e il tradimento verso l’ospite è ancora riconducibile alla regia di Tom, che aveva innescato tutta la vicenda. Questa volta la risorsa sono gli elementi esterni, i gangsters che cerca-no Jane. In un contesto chiuso l’unico contatto con l’esterno diventa un piccolo tesoro; la tensione si indirizza verso questo unico sbocco. L’esercizio del potere non più supportato da processi di apprendimen-

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to e da sviluppo di risorse significative si isterilisce e diviene brutale. L’oggetto del dominio perde ogni caratteristica personale e umana e diviene una cosa, non più una persona da utilizzare e sfruttare, ma una merce da vendere. Ma la rarità di questo confronto e dell’interazione con il mondo esterno comporta anche un difetto di realismo e di com-prensione delle situazioni: la decisione di tradire è sbagliata non solo eticamente e produce la rovina di chi la prende.

Il laboratorio delle dinamiche di cambiamento sociale offerto dal film evidenzia l’importanza dei nessi potere/risorse/apprendimento e la molteplicità dei percorsi possibili, sia in senso costruttivo che distrut-tivo. L’uso del potere è l’ambito critico e il momento di verità delle organizzazioni sociali. I vizi e le degenerazioni così efficacemente il-lustrati trovano alimento proprio nel carattere chiuso del sistema, nell’impossibilità di rinnovamento, bilanciamento e impulso attraver-so nuovi rapporti, attraverso lo stimolo di diversi ambienti, idee, cultu-re. Il bigottismo, l’ipocrisia, la lunga coltivazione di illusioni o di idee fisse formano il contesto che favorisce la spirale negativa dell’apprendimento, la concezione di sfruttamento delle risorse, l’utilizzo opportunistico del potere.

Non divenire Dogville, non essere un piccolo villaggio dove anche l’osso del cane diviene una risorsa da sfruttare, questo è l’ammonimento che il film offre e che riguarda noi tutti, come persone e come organizzazioni cui partecipiamo. Dal punto di vista concettuale, il film ci offre la possibilità di vedere all’opera le forme di decadimento e degenerazione dei processi del cambiamento. L’apprendimento può rovesciarsi in forme di negative or perverse learning attraverso la graduale erosione del significato as-sunto da parametri e misure riferite ai risultati attesi o agli obiettivi as-segnati alle diverse strutture nell’ambito dei processi aziendali di pro-grammazione e controllo. Il semplicismo e la staticità dei parametri comportano una perdita di contenuto informativo nel tempo di fronte a comportamenti degli operatori orientati a perseguire un miglioramento nell’apparenza slegato dai fatti. I “giochi di budget” ne costituiscono una tipica manifestazione, che porta a una lenta degradazione dei si-stemi di controllo. Gli operatori giocano contro un sistema del quale

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hanno imparato i punti deboli che consentono di evitare di essere chiamati personalmente in causa di fronte a un andamento negativo per l’organizzazione nel suo insieme che nessuno alla fine riesce a contrastare. A sua volta il potere è esposto alle tentazioni dell’opportunismo tutte le volte in cui è considerato e gestito come una risorsa in sé, che con-sente l’appropriazione di vantaggi personali, indipendentemente dal ruolo giocato verso il conseguimento di risultati positivi per l’organizzazione. Al concetto di potere come fine in sé si ricollega naturalmente una vi-sione di sfruttamento delle risorse aziendali. In sostanza viene interrot-ta la connessione tra le diverse risorse disponibili e il conseguimento di risultati validi in chiave organizzativa e aziendale. Viene meno quindi il concetto di sviluppo delle risorse come processo dinamico, che genera energia e produce valore: i diversi asset, sia di tipo tecno-logico, che intellettuale o relazionale vengono considerati non più nel-la prospettiva di alimentare un circuito virtuoso ma come valore stati-co che l’appropriazione o l’utilizzo può solo consumare senza che ne resti nulla per il futuro. La figura di Grace nel film Dogville esprime questo passaggio da fi-gura generativa, che aggiunge valore alla piccola comunità, offre oc-casioni di apprendimento e crescita personale, a mera risorsa da sfrut-tare in ottica di breve e nell’ambito di un progressivo impoverimento di prospettive. Da una situazione di contesto sociale, quale una piccola comunità, il tipo di dinamiche interattive prospettate da Dogville può essere facilmente trasposto a contesti aziendali, per esempio di picco-le aziende dove la risorsa originaria rappresentata dalla competenza tecnologica di un imprenditore non riesce a dare vita a un circuito po-sitivo di apprendimento, non si sviluppa trasferendo conoscenze e competenze in un contesto intersoggettivo, ma resta soffocata nelle difficoltà di relazione interpersonale, attiva modalità di gestione del potere solo conservative e si inaridisce gradualmente innescando rou-tine abitudinarie, fino a spegnersi del tutto. Il confronto alla fine fra le due situazioni estreme del circuito positivo e negativo (entrambi contrassegnati da un assetto di coerenza) offre la possibilità di meglio comprendere e mettere a fuoco i concetti fonda-

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mentali illustrati, depurandoli dalle sfumature normalmente presenti nella realtà. E’ chiaro che nella maggior parte delle situazioni reali la lettura sarà più contrastata, ma i concetti esposti si prestano ad orientare l’analisi.

5. L’inerzia organizzativa e gli agenti del cambiamento Una realtà più vasta e complessa è presente intorno al circuito essen-ziale e critico del cambiamento organizzativo che abbiamo sin qui de-scritto. Per leggerla è necessario arricchire il modello con ulteriori e-lementi.

Consideriamo due altri fattori che agiscono all’interno dell’organizzazione: l’inerzia e gli agenti del cambiamento (v. Fig. 3). In un momento successivo sarà utile considerare anche fattori esterni.

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Agenti del cambiamentoe leadership

INERZIAAPPRENDIMENTO

POTERE

RISORSE

ORG T1

ORG T2

Fig. 3 – Inerzia e agenti nel processo di cambiamento

E’ necessario considerare l’inerzia, o comunque le diverse forme di resistenza al cambiamento, perché i sistemi organizzativi non sono neutri, o plasticamente adattabili, rispetto alle molteplici finalità e alle cangianti strategie che animano le imprese e le istituzioni. La cono-scenza accumulata sul funzionamento delle organizzazioni apparte-nenti alle più diverse tipologie mostra invece che le stesse, una volta messe in atto, acquisiscono una propria soggettività, parzialmente au-tonoma rispetto alle variabili di ordine ambientale e istituzionale. Le organizzazioni risentono di dinamiche autonome di espansione di-mensionale, di tutela della continuità/stabilità, di sensibilità ad inte-ressi e fini differenti, anche non istituzionali o non legittimi (Rebora, 1984).

Per inerzia si può intendere la tendenza delle forme e funzioni orga-nizzative esistenti a permanere, anche quando inefficienti e non fun-zionali rispetto agli scopi ufficiali (Rumelt,1995). Di fatto, si constata

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una diffusa presenza di forme inefficienti, anche in contesti di forte pressione al cambiamento.

L’inerzia organizzativa non significa solo impermeabilità e resistenza al cambiamento e alle ragioni che lo legittimano e richiedono; ma si-gnifica, piuttosto, che la logica stessa del cambiamento è soggetta alle condizioni d’inerzia e quindi il suo procedere può trovarsi facilmente indirizzato e deviato da istanze e fini diversi da quelli che siamo abi-tuati a considerare istituzionali.

L’esame delle esperienze di cambiamento, che hanno proceduto con successo almeno parziale, evidenzia quanto conti, anche per vincere o superare le forme naturali o costruite di inerzia, il ruolo degli attori organizzativi. Questo esame conferma quanto ampi siano gli spazi che si aprono alla soggettività e pone quindi la questione degli agenti di cambiamento. Sempre l’esame dei casi suggerisce una tipologia dei possibili agenti del cambiamento orientata a metterne in evidenza i rispettivi connotati di tipo comportamentale e interattivo.

La leadership rappresenta il primo e il più importante degli elementi soggettivi che alimentano e sostengono il cambiamento. In ogni caso di trasformazione organizzativa si rivela presente, con ruolo fonda-mentale, almeno una figura di leader, e spesso più di una; ben diffi-cilmente invece il cambiamento si sviluppa in direzione positiva quando emergono leader deboli o addirittura il tessuto dei rapporti in-tersoggettivi non lascia spazio a ruoli di leadership.

La descrizione prima riportata del processo di cambiamento in Italce-menti non ha dato tanto spazio all’analisi dei fenomeni di inerzia e al ruolo degli agenti di cambiamento, al di là delle figure chiave dei Pe-senti. E’ chiaro che le resistenze sono state superate, ma non si è trat-tato in realtà di una situazione semplice neppure da questo punto di vi-sta. Italcementi Group (3): i fattori di inerzia La configurazione dell’Italcementi Group ha risentito molto, nella sua fase iniziale, della caratteristica di business locale, con forte influenza

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della cultura del territorio, che incide profondamente sugli atteggia-menti diffusi e sui valori condivisi all’interno dell’azienda. Al momento dell’acquisizione, Ciment Français è già una realtà mul-tinazionale con una ben precisa cultura gestionale. La cultura dell’internazionalizzazione “alla francese” è profondamente diversa da quella italiana: Ciment Français aveva una holding estremamente snel-la, mentre in Italcementi il processo di ottimizzazione su scala nazio-nale ha generato un headquarter molto operativo. La valenza internazionale del progetto di integrazione (il cambiamento è portato avanti in 8 paesi contemporaneamente) comporta anche pro-blemi di interazione: è difficile trovare una piattaforma comunicativa comune, in quanto non appare ragionevole adottare come lingua uffi-ciale l’italiano. La scelta di una lingua comune di interazione si rivela cruciale anche in termini di possibilità di integrazione: alla fine si ac-cetta l’inglese. La presenza del gruppo si caratterizza in modo non aggressivo, secon-do un modello di progressiva armonizzazione. Nella filosofia del cambiamento di Italcementi, quindi, tutti devono fare uno sforzo per venire incontro agli altri, per armonizzarsi, per cui tutti si devono im-pegnare a parlare in inglese. Inoltre, il cambiamento avviene in corsa: il progetto di cambiamento cambia durante il cambiamento stesso, costringendo il management a un grande sforzo di adattamento e flessibilità . Il processo ha un impatto forte sulla quotidianità. Alle persone è ri-chiesto di partecipare attivamente al cambiamento pur rimanendo im-pegnate nella routine quotidiana: in un certo senso, di cambiare le ruote al treno in corsa. Questo fatto genera un forte senso di sovrac-carico strategico a tutti i livelli. La routine operativa crea spesso problemi di soffocamento della stra-tegia. Si introducono alcune soluzioni tattiche, per esempio l’outsourcing tattico nei sistemi informativi, per supportare la routine quotidiana. All’interno, si individuano le persone più capaci di portare avanti il processo di cambiamento. Anche il divario tra risorse e capacità richieste dal cambiamento e quelle effettivamente disponibili è sensibile : in primis, il gap di cono-scenze di ingresso nell’introduzione di SAP, che rende lo strumento utilizzabile in modo non sempre ottimale. In generale lo sforzo richie-

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sto per l’introduzione di SAP è maggiore rispetto a qualsiasi altro pro-getto informatico e non può essere realizzato unicamente con risorse interne. SAP configura una barriera di ingresso alta: bisogna ricorrere a mediatori esterni che proprio per questo non hanno alcuna cono-scenza del processo produttivo dell’azienda. Ciò comporta la necessità di una interazione costante tra i mediatori e i manager a qualsiasi livel-lo. La sensazione finale dopo l’introduzione di SAP è che sia necessa-rio riadattarlo totalmente al business. Il problema è duplice: da una parte, la pressoché totale ignoranza dello strumento ERP da parte dei manager coinvolti, mentre, dall’altra, i mediatori non conoscono lo specifico business. Il problema maggiore è dunque il divario tra le competenze richieste e quelle possedute, sia dai manager che dai con-sulenti, con la conseguenza di necessari e continui adattamenti del modello di interazione. Il percorso di cambiamento compiuto da Italcementi ha implicato quindi la necessità di intervenire su fattori importanti di ordine cultu-rale, come è naturale per un processo di armonizzazione dei sistemi su scala internazionale. Ma è stato anche necessario affrontare un divario forte tra competenze disponibili e competenze richieste. Emerge qui una distinzione fondamentale, nell’ambito dei fattori di inerzia, tra quanto è legato alla sfera dei comportamenti e quanto co-stituisce un ostacolo di ordine strutturale, una carenza di risorse che determina una strozzatura, un impedimento del percorso che non di-pende dalla semplice volontà e disponibilità delle persone coinvolte. Queste difficoltà sono state comunque risolte e superate anche attra-verso l’applicazione e la determinazione dei leader aziendali, sostenuti anche da una serie di attori chiave o agenti del cambiamento. Italcementi Group (4): leadership e agenti del cambiamento La leadership del progetto è detenuta dalla nuova generazione della famiglia, rappresentata da Carlo Pesenti, destinato a prendere le redini del gruppo. In questo caso, la leadership è coincisa con il soggetto che, seppur non dotato all’epoca di piena autorità formale, possiede una contiguità con questa ed un chiaro ruolo futuro. Ciò ha sicuramen-

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te rafforzato l’efficacia dell’azione di leadership. Inoltre, la chiara vi-sione strategica, la conoscenza approfondita del business, la profes-sionalità, l’energia e l’entusiasmo manifestati da Carlo Pesenti hanno arricchito le valenze positive della leadership, connotandola come leadership trasformatrice (Mc Gregor Burns, 1978; Bass, Avolio, 1996). Carlo Pesenti, destinato a dirigere l’azienda nel futuro prossimo, as-sume il ruolo formale di responsabile del progetto. Il processo di cambiamento non avrebbe potuto fallire, perché ad esso era connessa la sopravvivenza stessa del gruppo. L’autorevolezza della leadership è continuamente confermata e soste-nuta dalla grande attenzione del Comitato Esecutivo di Gruppo (CO-MEX) che manifesta un forte commitment al processo di cambiamen-to. Numerosi altri agenti del cambiamento sostengono l’azione del re-sponsabile di progetto, in seguito amministratore delegato, nel proces-so di trasformazione di Italcementi in un gruppo di livello mondiale. All’inizio l’assetto organizzativo del progetto è definito soltanto da li-nee tratteggiate, non da schemi rigidamente fissati. La definizione di una struttura precisa delle soluzioni si delinea progressivamente nel tempo non senza errori e ripensamenti. Il modello che ne scaturisce alla fine si basa su un duplice livello di responsabilità: da un lato, il leader presidia il processo complessivo, mentre il process owner è re-sponsabile del risultato del cambiamento nella propria area. Tutti i manager sono coinvolti nel processo secondo un criterio di responsa-bilità oggettiva, anche se apparentemente non hanno un ruolo attivo. Ciò ha consentito di meglio accettare la turbolenza legata all’inevitabile conflitto di disponibilità di risorse per il cambiamento e per la normale operatività. Il Direttore del progetto, l’ing. Carlo Pesenti, riferisce direttamente al COMEX (massimo organismo operativo di gruppo in quel periodo), con il supporto del Project Manager (l’ing. Renzo Passera), sull’andamento del progetto e sui passaggi più importanti e strategici. A livello più operativo agisce uno Steering Committee composto da senior manager dei processi fondamentali, identificati tra le figure più rappresentative e/o dotate di potenziale, prescindendo dalla nazionali-tà. Lo Steering Committee si riunisce per i passaggi fondamentali del

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progetto, valida le scelte più importanti e fornisce indicazioni per le opzioni aperte. Il progetto si articola ulteriormente in team tecnici per processo, com-posti da professionisti informatici supportati da personale delle singole funzioni interessate scelto tra coloro che dimostrano maggior attitudi-ne a compiere analisi del processo. A sua volta il Project Manager trova supporto da parte di due unità di staff fondamentali per il buon risultato finale: il team di Change Management ed il Project Office. Il team di Change Management prepara e gestisce il cambiamento nel modo di operare, sia nella fase di preparazione (marketing del cam-biamento), sia in quella di identificazione dei ruoli emergenti e ces-santi, sia nella fase finale dell’addestramento. Il Project Office, oltre ai tradizionali ruoli di amministrazione e con-trollo del progetto, assicura integrazione e congruenza tra i vari team. Un ruolo critico è svolto dai process owner, responsabili di funzioni o di processi. Generalmente il process owner è un senior manager re-sponsabile della funzione maggiormente coinvolta nel processo. Il più delle volte questi è estraneo alle technicalities di implementazione, ma è in grado di comprendere gli aspetti strategici del progetto. Egli partecipa alla vita del progetto anche attraverso un suo assistente più coinvolto negli aspetti tecnici ed operativi. I process owner e gli assi-stenti garantiscono al contempo la quotidianità ed il cambiamento, pa-gando il prezzo di un notevole carico di lavoro e sopportando spesso condizioni di stress. Ma proprio questo assicura il corretto allineamen-to e la continuità tra i diversi obiettivi di progetto. L’importanza del contributo degli assistenti dei process owner è con-fermata dalla tendenza che ha visto queste figure assumere negli anni successivi ruoli fondamentali nella nuova organizzazione. Essi rappre-sentano una sorta di rete emergente (Tichy, 1983; Rebora, 2001) che opera a sostegno del cambiamento intrapreso. Non è stato invece di particolare rilievo e valore il contributo della consulenza al progetto di cambiamento. Questa descrizione manifesta come il ruolo della leadership sia essen-ziale nel condurre il processo di cambiamento e nell’affrontare e risol-vere i problemi derivanti dalle diverse forme di inerzia presenti in una

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situazione organizzativa consolidata, messa in atto in altri tempi e con scopi differenti. In questa analisi introduttiva emergono due aspetti centrali :

- la leadership non riguarda soltanto il ruolo giocato dai massimi responsabili, o dagli attori di vertice; è importante invece la diffusione di figure capaci di contribuire alla guida dei proces-si a diversi livelli dell’organizzazione, in modo diffuso; è op-portuno riferirsi anzi a figure diversificate di agenti del cam-biamento, che non sono solo leader veri e propri ma possono svolgere ruoli organizzativi critici, intervenendo negli snodi fondamentali del percorso o dei processi, come avviene nel ca-so dei process owner, così importanti in Italcementi;

- la leadership e gli agenti del cambiamento intervengono certo al livello del sistema di potere, ma il rispettivo ruolo è molto più ampio e si rivela decisivo anche dal punto di vista del pro-cesso di apprendimento e dello sviluppo di risorse; così in Ital-cementi, figure apparentemente secondarie come gli assistenti dei process owner hanno avuto un ruolo importante nello svi-luppare quel livello di apprendimento necessario per allineare gli obiettivi strategici del progetto alle esigenze operative an-che di breve e hanno alla fine consentito di integrare quel vuo-to che rischiava di realizzarsi tra competenze di business (pre-senti all’interno) e competenze sui sistemi informativi (di cui l’organizzazione era tributaria nei confronti di fornitori e con-sulenti).

Alla fine, in questa esperienza di change management, i leader di ver-tice hanno saputo dare le necessarie garanzie e coperture gestendo in modo incisivo e coerente il sistema di potere aziendale. L’attivazione però di una rete di agenti di cambiamento più vasta e ramificata, con i process owner e i loro assistenti, ha consentito di sostenere processi di apprendimento diffusi e capaci anche di materializzarsi in competenze intellettuali ampiamente distribuite e in sistemi operativi e informativi funzionanti, sotto l’ombrello di un potere aziendale forte e motivato al risultato. Questa complessa e coerente combinazione di ruoli ha sviluppato così risorse specifiche utili a garantire i risultati richiesti, limitando anche l’impatto delle diverse forme di inerzia ad uno scostamento accettabile

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e sostenibile, in termini di tempi e costi, rispetto all’idea progettuale iniziale.

6. Il contesto ambientale e le spinte al cambiamento

Qualsiasi organizzazione non opera nel vuoto e i suoi stessi percorsi di trasformazione devono essere interpretati nel contesto delle sue con-nessioni con una realtà più ampia. Un ulteriore e ultimo passaggio nell’elaborazione del nostro modello di lettura del cambiamento orga-nizzativo deve quindi chiarire le condizioni di inserimento nelle più ampie correnti di trasformazione che interessano le organizzazioni del nostro tempo, sempre più inserite in una realtà globale.

Del resto, i processi di cambiamento organizzativo hanno le loro radi-ci e le loro fondamentali forze motivanti nell’incessante riprodursi e rinnovarsi delle relazioni tra aziende e ambiente. Dal punto di vista degli attori interni all’azienda è utile considerare che la propria attiva partecipazione al cambiamento ha probabilità di successo solo se si inserisce in una corrente prodotta da forze di trasformazione di deri-vazione esterna.

Sono forze che mettono in tensione l’assetto aziendale e si traducono in alcune fondamentali spinte, o fattori motivanti per il cambiamento strategico e organizzativo.

Interpretando con una certa libertà quanto emerge dalle ricerche in materia, possiamo raggruppare le diverse spinte in due distinti gruppi, capaci di generare, rispettivamente, tensione strategica e tensione sul-le risorse (Lawrence- Dyer, 1983; Normann, 1978; Pralahad-Hamel, 1990).

La tensione strategica deriva dalle condizioni di variabilità e incer-tezza presenti nell’ambiente, che generano opportunità e minacce per il futuro dell’azienda e comportano per l’organizzazione l’esigenza di governare una complessità informativa più o meno rilevante.

La pressione sulle risorse deriva da vincoli e restrizioni che limitano la disponibilità di risorse (finanziarie, tecnologiche, umane) per ali-

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mentare il funzionamento del sistema organizzativo e il suo adatta-mento alle esigenze e opportunità che si manifestano (v. Fig. 4).

Agenti delcambiamentoe leadership

INERZIA

APPRENDIMENTO

POTERE

SVILUPPOdi

RISORSEORGT1

ORGT2

Pressione sulle risorse

Fattori di tensione strategica

Changemanagement

Fig. 4 – Il modello completo di change management

Nell’insieme possiamo valutare la portata di questi fattori come indi-spensabili condizioni di ogni cambiamento, dei quali hanno bisogno e dei quali si alimentano gli attori istituzionali, al fine di impostare e realizzare le loro strategie. Non bisogna quindi dimenticare che di per sé questi fattori non garantiscono alcun mutamento, ma è la capacità degli attori di accogliere tali stimoli, di orientare il modo in cui si combinano tra loro, di amplificarne anche in taluni casi manifestazio-ne e impatto, una delle qualità essenziali per realizzare qualsiasi stra-tegia innovativa.

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Nel caso di Italcementi è particolarmente evidente questa attenzione degli attori aziendali per le macrotendenze che interessano il settore e i mercati di riferimento a livello globale e lo sforzo compiuto per an-ticiparne la percezione in chiave di tensione strategica e amplificarne gli effetti in termini di pressione sulle risorse.

Italcementi Group (5): le spinte al cambiamento Fino al momento dell’acquisizione di Ciments Français (1993) Italce-menti ha una posizione dominante in Italia, ma una scarsa presenza in-ternazionale, dato che le partecipazioni estere sono trascurabili, nell’ordine del 2-3%. I fattori strutturali del settore profilano limitate possibilità di sviluppo dato che il bene prodotto (cemento, principal-mente, ed i collegati inerti e calcestruzzo) è una commodity; la tecno-logia produttiva è matura; il business è locale, in quanto il trasporto incide molto sul costo totale; vi sono forti differenziazioni di maturità tra i differenti mercati di sbocco, per cui la domanda è in calo nei pae-si industrializzati, mentre è in ascesa nei paesi in via di sviluppo. Il settore è anche caratterizzato da un andamento ciclico (sia stagionale che pluriennale). A ciò si aggiungono eventi contingenti, legati alla si-tuazione economica e politica del momento, che determinano una contrazione ulteriore del mercato che si sovrappone al ciclo fisiologi-co del business. Dal punto di vista strategico nel 1993 Italcementi è quindi indubbia-mente sotto tensione, ma non vive una immediata pressione sulle ri-sorse data la sua posizione forte sul mercato italiano e le buone condi-zioni di redditività e liquidità proprie di un settore stabile difeso dalla natura locale del business. In queste condizioni la presenza sul territo-rio italiano con 30 unità produttive consente un presidio forte del mer-cato. L’acquisizione di Ciments Français costituisce una svolta radica-le: si tratta certo di una risposta agli elementi di tensione strategica de-rivanti dalla prospettiva statica di una presenza sul solo mercato na-zionale; inoltre, la destinazione della liquidità disponibile e soprattutto di quella generata dalla vendita delle partecipazioni finanziarie, fino ad allora detenute, all’acquisizione di un’azienda che ha un valore pari a circa due volte e mezzo Italcementi, non solo conferma la vocazione

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industriale del gruppo, ma genera spinte al cambiamento di ordine su-periore. Da un lato, i fattori di tensione strategica si amplificano in una dimen-sione internazionale, dove la competizione si gioca sulla qualità dei prodotto e dei servizi collegati e sulla ricerca dell’efficienza. Dall’altro si genera una pressione sulle risorse sconosciuta in passato e legata in una prima fase all’impegno finanziario e organizzativo di un’acquisizione di così rilevante entità. Ma viene subito anche alimen-tata e gestita consapevolmente dal management nell’affrontare la sfida dell’internazionalizzazione, ponendo esplicitamente come obiettivo manageriale specifico, la mutualizzazione delle best practices per as-sicurare la leadership dell’efficienza. Questo ha rappresentato la chia-ve di volta del cambiamento in un settore molto normato, in cui il con-tenuto tecnologico è noto ed è facilmente trasferibile. Tale obiettivo manageriale ha rappresentato un potente fattore di tensione sulle risor-se, che ha trascinato quella serie di importanti cambiamenti che ab-biamo considerato nelle pagine precedenti.

Le diverse spinte esaminate convergono quindi nel porre sotto tensio-ne l’assetto organizzativo, determinando un divario forte (stretch) tra la realtà esistente e le esigenze percepite dagli attori (Pralahad-Hamel, 1990). Il primo gruppo di fattori (la tensione strategica) agisce evi-denziando uno scenario di possibilità e di tendenze, positive e negati-ve, che richiedono adeguamento e prospettano innovazione; il secon-do gruppo di fattori (la tensione sulle risorse) si caratterizza per l’immediatezza dell’impatto, la necessità di far fronte subito a qualco-sa di critico. Naturalmente, sono i fattori del primo gruppo a dare un significato compiuto, un inquadramento più generale a quelli del se-condo, a consentirne una lettura non solo contingente ed episodica. Per rispondere ai primi occorre capacità di elaborazione, occorre riu-scire a gestire la complessità informativa per capire le tendenze rile-vanti e governare l’incertezza. Per affrontare i secondi occorre invece disporre di un minimo di margine di manovra, occorre riuscire a con-centrare sufficienti risorse per far fronte all’immediatezza delle rispo-ste attese.

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Nel caso Italcementi questo avviene come abbiamo visto con graduali-tà e determinazione allo stesso tempo. Assistiamo a una serie di pas-saggi: prima lo sforzo per condividere il know how e le competenze tecnologiche delle direzioni tecniche e di ricerca italiana e francese, poi lo sforzo di armonizzazione dei processi “dal basso”, quindi il più complesso progetto SAP con i suoi obiettivi di integrazione di sistemi e cultura gestionale nell’ambito di un gruppo internazionale dove or-mai il 70% del fatturato è prodotto all'estero e meno di un terzo dei circa 20.000 dipendenti opera in Italia.

7. I risultati di cambiamento

Resta un ultimo importante aspetto da considerare per dare comple-tezza al modello illustrato. Si tratta dei risultati del processo stesso, un aspetto quindi di rilevanza decisiva, perché in una prospettiva pragma-tica sono proprio i risultati a dare il segno complessivo all’esperienza compiuta dagli attori coinvolti. E’ utile quindi a questo punto completare anche l’analisi del caso Ital-cementi che ci è servito da principale riferimento, considerandone i risultati raggiunti e il modo in cui sono stati valutati. Italcementi Group (6): i risultati del cambiamento Da una conversazione con gli attori aziendali che hanno avuto modo di seguire tutto il processo si è tratta la seguente valutazione qualitati-va: “si deve osservare innanzitutto che l’introduzione di SAP come strumento di armonizzazione ha consentito di realizzare condizioni di alta differenziazione tra i vari paesi e di efficace integrazione, in una prospettiva di creazione di un gruppo industriale globale, con una for-te identità comune e realizzando le opportune sinergie. La realizzazione di questo obiettivo strategico ha avuto la sua chiave di volta nel processo di apprendimento, che ha sorretto l’intero siste-ma in quanto ha favorito il coinvolgimento di tutto il personale e ha consentito di introdurre lo strumento di integrazione a livello di grup-po.

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Il progetto, pur avendo raggiunto i suoi obiettivi in termini di tempo e completezza delle soluzioni, ha però anche evidenziato errori impor-tanti nella fase di stima del costo complessivo. Alla fine si è consun-tivato un importante incremento di costi, che, seppur in linea con le esperienze internazionali, ha richiesto una revisione seria dei mecca-nismi di stima dei costi di questi tipi di progetto. Alcuni obiettivi si sono invece rivelati irrealistici o non immediata-mente realizzabili (quali, ad esempio, l’efficienza nel breve dei cicli amministrativi), altri sono stati rimossi nel tempo. Ma anche molte altre opportunità di miglioramento sono nate invece nel corso del progetto grazie a una migliore conoscenza dello strumen-to e delle sue opportunità (fattori di integrazione) o in virtù di espe-rienze eterogenee dei singoli membri dei team di lavoro che hanno generato una varietà positiva (mutualizzazione delle culture). Molti benefici sono poi sopraggiunti inaspettati anche dopo la prima operatività della soluzione. Così la disponibilità di una soluzione unica e standard per i processi gestionali ha consentito una pressoché gratui-ta integrazione di due distinte società operative del cemento e del cal-cestruzzo con enormi miglioramenti di efficienza ed efficacia. Ciò si è verificato in Italia poco dopo la partenza, ma anche in Grecia e in Francia. Inoltre, l’aumento della flessibilità organizzativa ha consenti-to di ridisegnare le strutture con impatti modesti o nulli sui sistemi in-formativi ed ha costituito quindi un beneficio difficilmente quantifica-bile ma chiaramente percepito come tale. Infine, si deve sottolineare l’importanza del progetto nel diffondere a tutti i livelli una chiara visione imprenditoriale e la percezione di un forte impegno della leadership, sostenuta adeguatamente dai ruoli ma-nageriali. Ciò ha rafforzato la legittimazione dell’intero corso di azioni intraprese per giungere al cambiamento e si è tradotto indirettamente in un aumento dell’autorevolezza della leadership aziendale e della sua “presa” rispetto ai molteplici interlocutori interni ed esterni.” In pratica in azienda si riconosce che per un progetto di questa portata difficilmente si può dire di raggiungere il 100% degli obiettivi ipotiz-zati nella fase di studio della fattibilità. Una misurazione puntuale dei risultati economici e organizzativi di un progetto di questo tipo è del

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resto quasi impossibile, anche perché un confronto con l’eventualità di non avere avviato il progetto non dispone di basi certe. Per un progetto, tuttavia, che coinvolge l’assetto complessivo di un grande gruppo industriale sono gli andamenti complessivi, economici, finanziari, competitivi e sociali, per l’arco dei 2-3 anni successivi al suo completamento, a costituire il riferimento di maggiore importanza. E, sotto questo profilo, l’andamento di Italcementi è stato confortante, rispondendo pienamente agli obiettivi di sviluppo in chiave interna-zionale. Al di là di questo, la stessa testimonianza raccolta sottolinea il rilievo degli impatti di ordine organizzativo, sintetizzabili nella classica di-stinzione degli aspetti di efficienza, qualità, flessibilità, soddisfazione, innovazione (Rebora, 2001). Sono aspetti soggetti ad una valutazione di ordine qualitativo, il che non significa trattarsi di aspetti privi di concreta manifestazione. Il posporsi nel tempo di risultati di efficien-za, con l’aggravio anche dei costi di progetto, dovrebbe trovare ampia compensazione negli altri aspetti più legati ai fattori di qualità, flessi-bilità e innovazione. In questa chiave di lettura rientrano largamente i benefici non previsti inizialmente. La logica dell’apprendimento e del-lo sviluppo di risorse è del resto ampiamente inscritta in un percorso non completamente prevedibile e programmabile. Le notazioni finali sugli effetti di rafforzamento della leadership e della accresciuta legit-timazione e autorevolezza del management sviluppano ulteriormente questa direttrice. Alla fine il segno positivo di un percorso complesso di change management non può essere dato altro che dai risultati ottenuti dall’azienda nel suo insieme, considerati non in modo meccanico e so-lo quantitativo, ma in connessione con una valutazione degli asset a-ziendali, comprensiva degli elementi immateriali riferiti al capitale in-tellettuale, relazionale e organizzativo.

8. Una riflessione conclusiva sul change management

E’ chiaro che il concetto generico di cambiamento accomuna modi-ficazioni di ben diversa entità e rilievo. Di fatto ogni azienda, e con

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essa la sua organizzazione, modifica continuamente il suo assetto, attraverso un incessante divenire, introducendo cambiamenti in-crementali, che non modificano né il suo modo di essere né, dal punto di vista dell’organizzazione, la conformità alla forma in pre-cedenza assunta, né comportano rilevanti ripercussioni sui risultati conseguiti. La nostra proposta di metodo, collegata alla prospettiva che abbia-mo chiamato di change management, non si pone su questo piano del cambiamento in senso generico ma si concentra invece sui pro-cessi di trasformazione di maggiore portata che comportano l’introduzione di cambiamenti fondamentali nell’organizzazione, finalizzati a importanti miglioramenti nei risultati aziendali. Il modello di lettura dei processi di trasformazione descritto è fina-lizzato a facilitarne la comprensione e ad orientare l’intervento dei soggetti che intendono porsi come agenti del cambiamento orga-nizzativo. In questo opera anche una forzatura, interrompendo ide-almente il fluire incessante dei processi del cambiamento organiz-zativo, fissando una sequenza di accadimenti nell’ambito di un ci-clo temporale definito che danno luogo al passaggio da un assetto, o una situazione O1 a un assetto o situazione O2. Siamo consapevoli che si tratta di una forzatura rilevante rispetto alla fluidità del reale; il change management si differenzia però dal-le più ampie prospettive delle scienze sociali, in quanto espressione dell’esigenza di accompagnare gli sforzi di governo e gestione nell’ambito delle stesse organizzazioni. In questo, una lettura integrata delle dinamiche e dei percorsi che segnano il passaggio da O1 a O2 si rivela utile non solo a ricostruire ex post il cambiamento realizzato, ma anche come strumento di pianificazione degli interventi organizzativi e di definizione delle politiche aziendali in questo campo. Vi è sempre il rischio che questo ordine di forzature si traducano in letture rigide delle situazioni, o in modi troppo meccanici di conce-pire e dettare le linee di intervento. Questo rischio può essere però superato da un uso critico e consapevole del modello, la cui costru-zione si presta a recepire diverse concezioni e logiche organizzati-ve, compreso quelle che rifuggono da riferimenti meccanici e de-terministi.

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