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SEMINARI E CONVEGNI

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Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico

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Atti delle seste giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale nel contesto mediterraneoErice, 12-16 ottobre 2006

Workshop «G. Nenci» diretto da Carmine Ampolo

Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico

Redazione a cura di Chiara Michelini, vol. IMaria Adelaide Vaggioli, vol. II

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EDIZIONI DELLA NORMALE

Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo anticovol. I

a cura diCarmine Ampolo

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© 2009 Scuola Normale Superiore Pisaisbn 978-88-7642-366-6 (opera completa)

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Indice

IntroduzioneCarmine Ampolo IX

Abbreviazioni XI

Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico

Isole di storia, storie di isoleCarmine Ampolo 3

Insularità e talassocrazia nello spazio egeoUgo Fantasia 13

Isole e terraferma: la percezione della terra abitata in Grecia arcaica e classicaPaola Ceccarelli 31

Insularità e assetti politiciMauro Moggi 51

Nel Mediterraneo antico. La Sicilia tra insularità e continentalitàAnna Maria Prestianni Giallombardo 67

Identità siciliana in età romano-repubblicanaJonathan R.W. Prag 87

Isole e isolani nella prospettiva di TucidideCinzia Bearzot 101

Insularità, etnografia, utopie. Il caso di DiodoroStefania De Vido 113

Le isole in StraboneGianfranco Maddoli 125

La circumnavigazione come strumento di conoscenzaFederica Cordano 133

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VI Indice

La Sicilia nella cartografia anticaFrancesco Prontera 141

L’isola improbabile. L’«insularità» della Sicilia nella concezione greca di età arcaica e classicaFlavia Frisone 149

La Sicilia delle ‘immagini’ nella cartografia storica (XV-XVIII secolo)Maria Ida P. Gulletta 157

«Questa rovina è indicibilmente bella e pittoresca»: le antichità della Sicilia e il culto della Grecia classica nel XVIII secoloMaurizio Paoletti 195

Bianche rovine scurite dal tempo, templi colorati della Sicilia, tra ’700 e ’800Maria Cecilia Parra 221

Storie di statue di Sicilia: tra realtà e immagineChiara Michelini 231

Arte e insularità. Il caso delle metope del tempio F di SelinunteClemente Marconi 259

Arte ad Agrigento tra età arcaica e classica: problemi di metodoGianfranco Adornato 269

Il Pittore della Scacchiera e la nascita della ceramica figurata siceliotaMonica de Cesare 277

Le isole toscane tra storia e mito: l’arcipelago che non c’èAlessandro Corretti 295

L’insediamento degli Cnidî a Lipari nel quadro della colonizzazione arcaicaLeone Porciani 315

Drepane, Scheria, Corcira: metonomasie e immagini di un’isolaClaudia Antonetti 323

La lega dei Nesioti: le vicende storicheLuigi Gallo 335

L’organizzazione istituzionale dei NesiotiStefania Gallotta 341

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VII Indice

Creta nel Mediterraneo: insularità o isolamento?Francesco Guizzi 347

Gli sviluppi della società cipriota nei secoli XIV e XIII a.C. ed i primi rapporti con il Mediterraneo centraleGiampaolo Graziadio 359

Coesistenza di culture a Cipro in età arcaicaAnna Cannavò 385

Rapporti fra grandi isole e la rete di isole del Mediterraneo

I rapporti fra Sicilia e Sardegna nel II millennio a.C.Fulvia Lo Schiavo 401

Specificità e trasformazioni del ruolo della Sicilia nell’interazione mediterranea fra l’Età del Bronzo e la I Età del FerroAnna Maria Bietti Sestieri 421

La Sicilia e le isole del Tirreno in età arcaicaRosa Maria Albanese Procelli 437

Sicilia e Sardegna nel mondo punico: relazioni, funzioni, distinzioniSandro Filippo Bondì 457

Da Paro al MediterraneoEugenio Lanzillotta 467

Thera arcaica: spazio e scrittura nell’agora degli dèiAlessandra Inglese 475

Presenze minoiche nel Salento. Roca e la saga di MinosseRiccardo Guglielmino 481

Ustica tra il Tirreno e la Sicilia. Storia del popolamento dell’isola dalla Preistoria all’età tardo-romanaFrancesca Spatafora 507

Naxos tra Egeo e Sicilia. Ricerche nel più antico abitato coloniale (scavi 2003-2006)Maria Costanza Lentini 519

Illustrazioni

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Introduzione

È necessario chiarire brevemente scopi e struttura di questo convegno e degli Atti. Queste Seste Giornate di Studi sull’area elima e la Sicilia occidentale sono infatti dedicate al tema Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico, che occupa interamente il primo volume degli Atti: è questo il tema generale scelto per saldare lo studio delle realtà della Sicilia antica al quadro mediterraneo. Invece la seconda parte è dedicata, come nella tradizione delle Giornate, a rapporti e comunicazioni relative a scavi e ricerche nella Sicilia occidentale – ricche di novità –, cui fanno seguito studi su vari aspetti epigrafici, numismatici, archeologici, topografici della Sicilia antica; conclude il secondo volume una sezione comprendente la presentazione di alcune ricerche condotte presso la Scuola Normale Superiore.

Come nelle Giornate precedenti, la Sicilia occidentale (comprendente la cd. area elima) costituisce il nostro terreno privilegiato, ma accompagnato dalla scelta consapevole di inserire quest’ultima e la Sicilia in genere nelle vicende del Mediterraneo antico. Come avevo già sottolineato, la Sicilia occidenta-le con la sua forte presenza di genti e culture diverse (Sicani, Elimi, Siculi, Fenici, Greci, Italici e Romani), con un’ampia gamma di relazioni reciproche (dall’integrazione al conflitto più aspro) offre una documentazione particolar-mente preziosa per analizzare e valutare realtà multietniche e multiculturali del Mediterraneo antico e non solo. Il tema monografico generale è stato scelto proprio per riflettere su come tale complessa realtà si collegasse con l’insularità, come si fossero sviluppate col tempo forme di identità collettiva, come autori antichi intendessero l’insularità. Inoltre, molto importante è vedere se e come si siano sviluppati già dal II millennio a.C. stretti rapporti tra le maggiori isole del Mediterraneo, formando in alcuni casi una sorta di rete insulare, che tocca-va anche la penisola italiana (il sito di Roca nel Salento è ormai essenziale per archeologi e storici per comprendere realtà del II millennio e presenze egee); arcipelaghi e legami tra isole minori rivestono ugualmente grande rilievo per comprendere le forme specifiche che ha assunto il contesto mediterraneo. Non sono mancati studi su singole isole, utili a comprendere caratteri specifici o ele-menti comuni o possibili rapporti. Il caso di Cipro è poi particolarmente inte-ressante per il fatto di essere anch’essa una grande isola con apporti culturali ed etnici differenti, una caratteristica che invita ad un confronto con la Sicilia. L’immagine della Sicilia presso i Moderni, a partire da geografi e viaggiatori, e la stessa cartografia, offrono una cospicua documentazione e consentono spesso di unirne l’immagine ‘ideale’ a quella ‘concreta’, alla carta, forse tanto più rivelatrice quanto più si allontana dalla nostra realtà.

Raccogliere documentazione e studi molto diversi su tali temi è un modo di contribuire ad una visione rinnovata di popoli e culture dell’isola. Come

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X Carmine Ampolo

avevo scritto presentando nel 2003 le Quinte Giornate, «negli ultimi decenni gli studi hanno giustamente valorizzato il ruolo delle popolazioni locali, Siculi, Sicani ed Elimi, non più considerati soggetto passivo della storia. D’altro canto si è rinnovato anche lo studio dei Greci e dei Fenici in Occidente dall’età micenea fino ad età romana, anche grazie alla documentazione archeologica ed epigrafica. I colonizzatori non sono più gli stessi degli studi tradizionali e la decolonizzazione è andata avanti… Insomma vorrei che i lavori del nostro convegno servissero anche a valorizzare quella mescolanza culturale ed etnica che mi pare un segno vitale della Sicilia occidentale antica – e non solo di quella». Come e perché si sia giunti da tante componenti, da tali diversità, a forme di identità comune, di singole componenti prima (i Sicelioti in senso stretto o ethne locali come gli Elimi) e degli isolani in generale dopo (i Sicelioti e i Siculi nel senso ormai più allargato di abitanti dell’isola, come rispettiva-mente in Diodoro Siculo e in Cicerone) resta un soggetto affascinante quanto importante da indagare ulteriormente.

Infine i ringraziamenti, doverosi e sentiti. In primo luogo al Presidente della Fondazione Ettore Majorana e centro di cultura scientifica di Erice, prof. Antonino Zichichi, che ha inserito ancora una volta, noi “umanisti”, ma fratelli degli scienziati, nei programmi delle loro attività; un grazie per l’aiuto dato e per l’impegno profuso dai suoi collaboratori di Erice, in particolare alla dr.ssa Fiorella Ruggiu. Un grazie di cuore ai funzionari delle Soprintendenze di Trapani e di Palermo, che consentono alla Scuola Normale Superiore di Pisa di portare avanti tante iniziative e ricerche nella loro Sicilia, con spirito di collaborazione e con sempre rinnovata amicizia. Desidero anche ricordare l’ap-poggio e l’incoraggiamento costante del Direttore della SNS, Salvatore Settis, e degli amici delle Edizioni della Normale. Senza l’aiuto e la dedizione del per-sonale e dei collaboratori del Laboratorio di Storia Archeologia e Topografia del Mondo Antico della SNS, che tanto hanno fatto sia per la buona riuscita di questa come delle precedenti Giornate sia per la preparazione degli Atti, sarebbe stato impossibile realizzare e continuare questa iniziativa culturale. La signora José Rallo e l’azienda Donnafugata anche in questa occasione non ci hanno fatto mancare il loro appoggio; e nelle loro cantine storiche a Marsala è stato consegnato il premio, che essi stessi finanziano, intitolato al prof. Giuseppe Nenci, il cui nome è giustamente ricordato anche nel nostro workshop di Erice.

Carmine Ampolo

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Abbreviazioni

Autori antichi

Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Oxford Classical Dictionary, Oxford-New York 19963 o del dizionario di H.G. Liddell, R. Scott, Oxford 19689, e del Thesaurus Linguae Latinae. Index, ed. Teubner, Lipsiae 1904, ad eccezione dei seguenti casi: Aristoph., Artemon, Demosth., Diod., Hesych., Plato, Ps.-Arist., Ps.-Eratosth., Ps.-Plut., Ps.-Scyl., Ps.-Scymn., Ps.-Xen., Strabo, Tim.

Opere generali

AE = L’Annèe épigraphique, Paris 1888-BÉ = Bulletin Épigraphique, in «Revue des Études Grecques».BMC = Catalogue of the Greek Coins in the British Museum.BTCGI = Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle

Isole Tirreniche (fondata da G. Nenci e G. Vallet, diretta da C. Ampolo), Pisa-Roma 1977-1994, Pisa-Roma-Napoli 1996-

CAH = J. Boardman, I.E.S. Edwards, C.J. Gadd, N.G.L. Hammond, E. Sollberger, F.W. Walbank, A.E. Astin, M.W. Frederiksen, R.M. Olgivie (eds.), The Cambridge ancient history, Cambridge, London, New York 19612-

Chron.Lind. = Chronicle of Lindos, ed. by Chr. Blinkenberg, Die Lindische Tempelchronik, Bonn 1915; ed. by F. Jacoby, FGrHist, ii p. 1005.

CIG = Corpus Inscriptionum Graecarum, Berlin 1828-1877, I-IV.CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin 1863-CIS = Corpus Inscriptionum Semiticarum, Paris 1881-CTh. = Th. Mommsen, P.M. Meyer (eds.), Theodosiani libri XVI cum

Constitutionibus Sirmodianis et Leges novellae ad Theodosianum pertinentes, Berolini 1954.

CVA = Corpus Vasorum Antiquorum.DANIMS = Documentazione Archeologica delle Necropoli dell’Italia Meridionale

e Sicilia, in «ASNP», s. III, XIV, 1984-.DNP = Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, Stuttgart 1996-EAA = Enciclopedia dell’Arte Antica, Classica ed Orientale, Roma 1958-FGrHist = Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923-FHG = C. Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Parisiis 1841-1870.GGM = C. Müller, Geographi Graeci Minores, Parisiis 1855-1861, I-III.HCT = A.W. Gomme, A. Andrews, K.J. Dover, A Historical Commentary on

Thucydides, 5 vols. (1945-1981).

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XII Abbreviazioni

I.Chr.UR = Inscriptiones Christianae Urbis Romae, Romae 1922-I.Délos = Inscriptions de Délos, Paris 1926-1972, I-VII.I.Eph(esos) = Die Inschriften von Ephesos, Bonn 1979-.IG = Inscriptiones Graecae consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae

Borussicae editae, Berolini 1873-IGUR = L. Moretti (a cura di), Inscriptiones Graecae Urbis Romae, Roma

1968-1979.I.Iasos = W. Blümel, Die Inschriften von Iasos, Bonn 1985.ILLRP = A. Degrassi, Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae, Firenze 1957-

1963, I-II; 19652, I-II.ILS = H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berlin 1892-1916.I.Mus.Cat. = K. Korhonen, Le iscrizioni del Museo Civico di Catania: storia

delle collezioni, cultura epigrafica, edizione, Helsinki 2004.Inscr.Ital. = Inscriptiones Italiae, Rome 1931-I.Oropos = B.C. Petrakos, OiJ ejpigrafh;~ tou` ∆Oropou `, Athens 1997.KAI = H. Donner, W. Röllig, Kanaanäische und aramäische Inschriften,

Wiesbaden 1962-1964, I-III.LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologie Classicae, Zürich-München

1981-LSJ = H.G. Liddell, R. Scott, Greek-English Lexicon, Oxford 19689 [reprint

of the 9th ed. (1925-1940) with a new supplement edited by E.A. Barber and others].

MGH = Monumenta Germaniae Historica, Berlin 1892-MRR = T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, III,

Supplement, Atlanta 1986.OED2 = J. Simpson, E. Weiner (eds.), Oxford English Dictionary, Oxford

19892.OGIS = W. Dittenberger (hrsg.), Orientis Graeci Inscriptiones Selectae,

Leipzig 1903-1905, I-II.POxy = B.P. Grenfell, A.S. Hunt (eds.), The Oxyrhynchus Papyri, London

1898-PSI = Papiri Greci e Latini (Pubblicazioni della Società italiana per la ricerca dei

papiri greci e latini in Egitto), Firenze 1912-RAC == Reallexikon für Antike und Christentum, Stuttgart 1941-RE = Paulys Real-Encyclopädie der klassischen Altertums-wissenschaft (neue

bearb.), Stuttgart-München 1893-1972.RPC = Roman Provincial Coinage, London 1992-RRC = M.H. Crawford, Roman Republican Coinage, London 1974.SEG = Supplementum Epigraphicum Graecumupplementum Epigraphicum Graecum, Leiden 1923-SGDI = F. Bechtel et al., Sammlung der Griechischen Dialekt-Inschriften (hsrg.

von H. Collitz), Göttingen, 1884-1915, I-IV.Syll.3 = W. Dittemberger, Sylloge Inscriptionum Graecarum, Leipzig 1915-

19243, I-IV.

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XIII Abbreviazioni

Periodici

Sono state adottate, di norma, le abbreviazioni dell’Année Philologique, ad eccezione delle seguenti e dei titoli riportati per esteso:

AnnFaina = Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina».ASSir = Archivio Storico Siracusano.BollArch = Bollettino di Archeologia.JAT = Journal of Ancient Topography. Rivista di Topografia Antica.JbZMusMainz = Jahrbuch des Römisch-Germanischen Zentralmuseums

Mainz.OpArch = Opuscula archaeologica, ed. Inst. Rom. Regni Suaeciae.QuadAMessina = Quaderni dell’Istituto di Archeologia della Facoltà di

Lettere e Filosofia dell’Università di Messina.QuadCagliari = Quaderni della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle

province di Cagliari e Oristano.QuadMusSalinas = Quaderni del Museo Archeologico Regionale «A.

Salinas».SicA = Sicilia Archeologica.

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Uno dei pochi casi in cui la tradizione letteraria ci dà un’immagine precisa della divisione della terra in area coloniale è l’insediamento degli Cnidî nelle Eolie: un caso famoso, anche, per l’ecce-zionalità della forma collettivistica che, agli inizi dell’insediamento greco, caratterizza la proprietà fondiaria. Gli studi hanno indagato a fondo tutti gli aspetti di questo singolare episodio di alto VI secolo, da quelli strettamente storici alle questioni di storia della tradizione. A me sembra che l’inse-diamento greco sull’arcipelago possa dirci qualcosa di significativo per il dibattito degli ultimi anni sulla natura della colonizzazione arcaica, ed è in questa chiave che vorrei offrire qui una breve rilet-tura dell’episodio.

Gli accenni alla colonizzazione delle Eolie sono vari, ma è noto che solo due sono i testi più ricchi di informazioni: Diodoro (5,9, forse da Timeo) e Pausania (10,11,3-4; è il fr. 1 di Antioco in Jacoby, dall’opera sulla Sicilia). Nei lavori classici sulla colonizzazione d’Occidente c’è una tendenza a unificare i racconti delle due fonti, come se si pre-supponesse un’origine comune da Antioco (secon-do una linea Antioco-Timeo a cui avrebbero attinto le nostre fonti)1. Qui preferisco riepilogare le due versioni separatamente. L’asse narrativo in Diodoro è questo: molto tempo dopo Eolo e i suoi figli, quando ormai l’arcipelago si avviava verso un completo spopolamento, un gruppo di Cnidî e Rodî che non intendevano sottomettersi al giogo dei re d’Asia decise di lasciare i luoghi d’origine. Siamo nella cinquantesima olimpiade, 580-576. Eleggono come capo lo cnidio Pentathlos, che vanta una genealogia eraclide, e salpano alla volta del capo Lilibeo. Qui vengono coinvolti nello scontro fra Selinunte e Segesta e subiscono forti perdite, fra cui anche quella di Pentathlos; essendo stata sconfitta l’alleata Selinunte, i superstiti fanno ritorno in patria, guidati da tre parenti del capo.

A Lipari vengono accolti con benevolenza dagli abitanti, rimasti in circa cinquecento, i quali li per-suadono a rimanere e a vivere con loro. In seguito, sotto la pressione dei pirati etruschi e delle loro incursioni, viene allestita una flotta e il corpo civi-co è diviso in due parti (due classi funzionali): gli uni sono addetti alla coltivazione della terra – sulle isole che «hanno reso comuni», collettivizzandone cioè la proprietà – mentre gli altri si dedicano alla guerra contro i pirati. Tutti i beni (quindi anche quelli risultanti dal bottino) sono stati messi in comune; il sistema è quello dei pasti comuni di tradizione dorica: in questo modo di vita «comuni-tario» (koinwnikw~ biounte~) i Liparesi passano un certo periodo. In seguito si spartiscono il territorio di Lipari, dove sorge anche la città, continuando a coltivare in comune (koinh/) le altre isole. Infine (è la terza fase dell’ordinamento eoliano) sorteggia-no i lotti anche sulle altre isole assegnandoli per vent’anni, dopodiché avviene una redistribuzione. In seguito a ciò, scrive Diodoro, i Liparesi sconfig-gono gli Etruschi in molte battaglie navali: da qui le loro dediche a Delfi.

La versione di Antioco/Pausania va tenuta sepa-rata perché si distingue dall’altra per varie carat-teristiche: intanto è assai più sintetica (e alla sinteticità di Pausania, come già sembra implicare Jean Bérard, si può attribuire l’impressione che in questa versione Pentathlos non muoia in guerra e sbarchi sulle isole come ecista)2; non parla della partecipazione dei Rodî alla colonia; inoltre, per l’approdo siciliano della spedizione, parla di Capo Pachino anziché del Lilibeo (una localizzazione a lungo ritenuta erronea, ma interpretabile anche in altro modo, ossia come traccia di un’antica denominazione del capo occidentale dell’isola)3. Ma le differenze cruciali sono due: in Antioco-Pausania i coloni fondano una città al capo Lilibeo (ktivsante~ povlin); e sull’arcipelago non si assiste

L’insediamento degli Cnidî a Lipari nel quadro della colonizzazione arcaica

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316 Leone Porciani

a un incontro sereno tra Greci e popolazione locale, perché l’insediamento avviene su isole che sono «ancora disabitate» (ejrhvmou~ e[ti), o dalle quali i coloni hanno «cacciato gli abitanti» (ajnasthvsante~ tou;~ ejnoikounta~). Il testo di Pausania suggerisce anche, secondo me, un rap-porto di compensazione tra la perdita subita dagli Cnidî nella Sicilia occidentale e il secondo – e più riuscito – tentativo di insediamento liparese.

Chi unifica i due racconti (così avviene non solo nelle opere d’insieme sulla grecità occidentale, ma anche in studi specifici sul caso delle Eolie, come quello di Thomas Figueira)4 prende essenzialmente da Pausania il dato dell’effimera ktisis in Sicilia, e tutto il resto da Diodoro, che è più particolareggia-to (donde una trama che sembra prefigurare, come è stato più volte notato, l’avventura di Dorieo di settant’anni dopo). Per quanto mi riguarda, sarei perplesso non tanto sulla possibilità di intrecciare le versioni per cercare di capire che cosa sia succes-so agli Cnidî tra Sicilia ed Eolie nell’alto VI secolo, ma sull’ambizione di ricostruire un archetipo unico delle diverse linee della tradizione, e di riconoscer-lo in Antioco. A mio parere Diodoro non viene da Antioco: lo indica, secondo me, il diverso rapporto indigeni-coloni che emerge dalle due versioni, oltre ad alcuni particolari descrittivi. Le Eolie, in Diodoro, sono «sempre più spopolate»: punto di riferimento della notazione è l’età anteriore, quella di Eolo. In Pausania invece le isole, all’arrivo dei Greci, sono «ancora disabitate» oppure occupate da pochi locali che i Greci scacciano. «Ancora disabitate» è espressione che ha senso in rapporto con la contemporanea età della colonizzazione greca in Sicilia (ossia le Eolie appiaono qui come un angolo lasciato ancora libero dagli insediamenti greci di VIII-VII secolo); dunque l’età di Eolo, su cui Diodoro si è diffuso con ampiezza, è fuori del panorama storico di Pausania.

Mi interessa collegare questo specifico episodio, a noi noto da Pausania e Diodoro, con alcune vedute recenti sulla colonizzazione arcaica, che intendono ridisegnare il processo storico dell’in-sediamento greco in Sicilia e in Magna Grecia, e, riesaminando la sua natura, criticano la legittimità della definizione stessa di «colonizzazione». Com’è

noto, secondo questo nuovo paradigma5 il concet-to tradizionale di colonizzazione sarebbe anacroni-stico: l’idea di un insediamento pianificato da una comunità, sanzionato dall’oracolo, diretto verso un luogo prestabilito con determinati scopi di ordine militare o agrario, e implicante un’equa ripartizio-ne della terra fra i coloni, sarebbe in sostanza una proiezione sull’età arcaica di condizioni proprie del V secolo. Per l’alto arcaismo bisognerebbe parlare piuttosto di movimenti di individui o piccoli grup-pi, da collocare entro l’ampia mobilità caratteristi-ca del Mediterraneo antico; individui o gruppi che talora giungevano a concepire – come certi perso-naggi di Omero – progetti di stanziamento più o meno stabile in lidi stranieri. Greci che si mesco-lavano a non Greci, che decidevano di vivere in terra straniera e accanto a stranieri. E a poco poco gli insediamenti crescevano, e diventavano inse-diamenti greci gradualmente. «Colonie» non lo sarebbero mai state, perché questo termine «avreb-be più a che fare con l’invenzione di un passato – scrive Robin Osborne – che con un momento storico di invenzione». Gran parte della tradizione storica sulle ktiseis, a cominciare da quella antica, viene rimossa d’un colpo.

Proviamo ora a ripercorrere alcuni tratti della vicenda degli Cnidî nelle fonti: nessuna organiz-zazione statale; nessun oracolo delfico; iniziativa di un gruppo limitato (Knivdioiv tine~ kai; ÔRovdioi [...] e[gnwsan ajpoikivan ejkpevmpein in Diodoro); inse-diamento alle Eolie come frutto di una decisione non programmata, e frutto di una valutazione di opportunità (in Diodoro i greci «si persuadono» ad abitare a Lipari insieme ai locali); carattere gra-duale dell’insediamento, specie per quanto attiene alla riorganizzazione fondiaria (si arriva con len-tezza a stabilire la proprietà privata della terra); convivenza con i locali («benevola accoglienza» in Diodoro, e tutto il susseguente modus vivendi in cui Greci e barbari cooperano spartendosi compiti e funzioni). A me pare che soprattutto la versione diodorea (forse timaica) debba essere considerata, nelle nuove prospettive sulla colonizzazione, un esempio per così dire di contro-tradizione: ha molti di quei connotati empirici e non imperialistici che il nuovo modello interpretativo attribuisce

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317 L’insediamento degli Cnidî a Lipari nel quadro della colonizzazione arcaica

in generale agli stanziamenti greci della prima età arcaica (VIII-VII). La nostra è certo una fondazio-ne un poco successiva, ma si situa comunque sulla scia delle più antiche fondazioni di Sicilia (è infatti contemporanea di quella di Agrigento, che in Tucidide appare in continuità con le ktiseis di data più alta, condividendone la tipologia di fondazione voluta e organizzata da una comunità; peraltro per Lipari possiamo ricordare la datazione alternati-va al 628, riportata da Eusebio, anche se quella del 580 ca. ha solide conferme archeologiche: il Castello di Lipari infatti non presenta tracce abi-tative tra l’ultima fase dell’Ausonio II [metà del IX secolo] e il primo quarto del VI – mentre maggiore continuità si registra sulla sponda opposta della Sicilia, a Pozzo di Gotto e Longane)6.

La tradizione diodorea sulle Eolie potrebbe valere come testimonianza a favore della rein-terpretazione dei movimenti coloniali; ma non dobbiamo dimenticare che, con le nuove tesi sulla colonizzazione, siamo entro un quadro interpreta-tivo in cui al racconto «letterario», al resoconto diretto delle fonti, viene in sostanza negata una forza probatoria. Quella di Osborne è piuttosto una lettura contropelo dei testi storiografici anti-chi, tesa a smascherare il carattere in certo modo ‘ideologico’ dei loro contenuti: ben poca rilevan-za avrebbe di per sé, in una simile prospettiva, il riscontro di una fonte. La questione va vista invece da tutt’altra angolatura, quella della storia della tradizione sulle apoikiai nel loro insieme: se davvero si deve concepire una «invenzione» della storia coloniale a partire dagli sviluppi di età classica, come si giustifica nella tradizione antica la smagliatura del caso di Lipari? Perché il racconto sulle Eolie appare vicino alla realtà storica, laddove in casi come quelli di Siracusa o Gela vediamo proiettate le pratiche di un’età successiva? La risposta è inevitabilente questa: non esiste una sola tradizione, conformata in un certo modo e procedente secondo topoi fissi. La tradizione storiografica antica non si limita a tipiz-zare gli eventi coloniali dell’arcaismo scandendoli secondo moduli narrativi prefissati, e proiettando esperienze recenti sul passato. Quella tradizione, evidentemente, ospita una pluralità di forme: è

tutt’altro che convenzionale o schematica7. Gli storici antichi conoscono molti modi di ‘coloniz-zare’, e questa pluralità storiografica coincide con una pluralità storica: senza ovviamente riproporre un’ingenua teoria del rispecchiamento, per cui le singole narrazioni riproducono o rappresentano i rispettivi Realien, bisognerà ammettere che la nuova immagine della colonizzazione si ritrova nell’ampio spettro di soluzioni che la storiografia antica già conosce per i fenomeni coloniali. Un compito dello storico moderno è quindi compren-dere quale modello coloniale meglio si adatti a spiegare i casi specifici, senza recepire passivamen-te il racconto storico, che può certamente essere errato o fuorviante; ma anche senza illudersi di accantonare la tradizione storiografica nel suo insieme, che offre le coordinate fondamentali del processo, in quanto – sia pure con molte media-zioni – filtra un’intera esperienza storica. In questa prospettiva, sembra difficile adottare un unico modello capace di includere le molte forme della colonizzazione arcaica.

Questa conclusione comporta innanzi tutto che, per l’arcaismo greco, dobbiamo aspettarci sia dei casi di colonie inquadrabili grosso modo in un modello tradizionale, ‘apecistico’, sia dei casi più rispondenti a una lettura «minimalista»8 della colonizzazione. Ma dobbiamo anche attenderci che un caso di norma non rientri appieno in nes-suno dei due modelli, e che si manifestino dei tratti misti. Prendiamo ancora come riferimento la ver-sione diodorea: caso tipico, come abbiamo visto, di colonizzazione ‘leggera’, contiene un particolare a mio avviso di storicità molto dubbia, ossia il clima di serena e amichevole accoglienza – da isola dei Feaci – che prepara la scelta delle Eolie da parte dei Greci9 e l’istituzione del sistema collettivistico. Il comunismo eoliano si può spiegare, ed è stato spiegato, in vari modi: come un’organizzazione sociale legata a una fase di guerra «permanente» contro i pirati10; come fattore sociale stabilizzante, utile ad attutire tensioni e squilibri scaturenti dalla divisione del corpo civico in classi funzionali11; come modo di distribuire fra tutti i guadagni e soprattutto le perdite, quelle provocate dalle devastanti incursioni dei pirati12. Il collettivismo

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potrebbe essere stato anche (come suggerisce Figueira, senza togliere spazio ad altre motivazioni) un progetto originario degli Cnidî, una sorta di reazione estremistica al clima autocratico da cui erano fuggiti13. Nell’ipotesi di successivi rincalzi coloniali, si è peraltro autorizzati a supporre che la fase comunistica fosse un modo di lasciare in sospeso il bisogno di dividere la terra, non essendo possibile estendere il territorio delle Eolie come invece poteva accadere su coste dotate di un ampio entroterra: in questa prospettiva avremmo un nesso robusto tra insularità (o meglio, una par-ticolare forma di insularità) e forme di proprietà della terra, con un condizionamento del quadro naturale sui fenomeni sociali.

Possiamo individuare queste e altre ragioni14; quali che siano, non convince il modo aproblema-tico in cui Diodoro presenta la «messa in comu-ne» della terra e dei beni. Le fasi o i momenti di collettivismo noti all’esperienza politica dell’età arcaica sono sempre calati in situazioni di con-flitto. Penso in particolare alla decisione croto-niate, ispirata secondo una celebre tradizione da Pitagora, di lasciare indivisa la terra di Sibari dopo la distruzione della città (Giamblico [VP, 255], da Apollonio di Tiana e in ultima analisi proba-bilmente da Timeo)15: qui il piano collettivistico (mh; kataklhrouchqh`nai) si inserisce tra un atto di violenza e l’altro – la presa della città nemica, prima, e la ribellione generale al piano pitagorico dopo – e ha lo scopo di contenere e contrastare forti pressioni sociali a favore di un’assegnazione dei lotti. A Sparta, la redistribuzione della terra che Plutarco elenca tra i provvedimenti di Licurgo va nella medesima direzione (Lyc., 8)16: essendo la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, eij~ ojlivgou~, e provocando ciò un vasto males-sere sociale (sopraffazione, invidia, criminalità), Licurgo convince i cittadini a mettere in comu-ne tutta la terra (th;n cwvran a{pasan eij~ mevson

qevnta~) e redistribuirla ex novo. La procedura è descritta con il linguaggio tipico dell’isonomia (eij~ mevson)17, e risente quindi probabilmente di una riconcettualizzazione successiva, ma ha qui una valenza concreta molto specifica. È come se a Lipari trovassimo ampliato, e prolungato, questo

momento provvisorio di collettivismo spartano. La relazione tra i due fatti (Sparta e Cnidî a Lipari) può avere una sua plausibilità e un suo interesse, se si pensa al gran numero di elementi di ambito dorico che si ritrovano nella versione diodorea sui Rodio-Cnidî a Lipari (i sissizi, i tre hegemones, le classi funzionali), e alla tradizione di V secolo su Cnido come colonia lacedemone e parte atti-va in quello che è stato definito «Mediterraneo spartano»18. Ora, anche dal passo plutarcheo su Licurgo (dalla sua analisi storica, meglio ancora) risulta che lo stadio collettivistico della proprietà è l’effetto di un’azione di forza: se prima c’era spe-requazione e poi invece equità, o maggiore equità, è chiaro che di mezzo c’è stato qualcosa di vicino all’espropriazione, al riassorbimento dei grandi patrimoni nella comunità – anche se le fonti sono evasive su questa fase inevitabilmente violenta, e Plutarco parla di una «persuasione» esercitata dal riformatore.

In base a questi paralleli, uno dei quali col-legato da più fili al caso eoliano, possiamo ragionevolmente pensare che anche la versione diodorea ometta un passaggio storico conflittua-le; in questo caso tra Greci e indigeni. Non così, però (e questa è una conferma del ragionamento), Antioco/Pausania. Qui è esplicito il riferimento alla cacciata degli abitanti in alcune delle isole, mentre altre, forse le più esposte agli attacchi di pirateria, erano già libere; così almeno interpre-terei il testo. Gli Cnidî sembrano cioè procedere per gradi nella conquista delle isole, alcune delle quali sono disabitate al loro arrivo, mentre altre ospitano residui della popolazione precedente; l’occupazione greca viene in sostanza a costruire o ricostruire la rete dell’arcipelago. Ho citato solo alla fine Pausania per evitare quel montaggio di più fonti dietro il quale si nascondono a volte dei pericoli metodologici. È emerso un punto debole della versione diodorea sugli Cnidî a Lipari: la deproblematizzazione del rapporto fra Greci e stranieri – che è anche, curiosamente, uno dei punti deboli di alcune moderne riletture della colonizzazione arcaica.

Leone Porciani

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1 Come implica Dunbabin 1948, 328 n. 2; cfr. Bérard

1957, 256; trad. it, 247 (ammette che Antioco possa essersi

sbagliato, ma sembra preferire l’ipotesi che Pausania l’abbia

male interpretato).2 Ibid.3 Vd. Nenci 1988; Porciani 1997.4 Vd. supra, nota 1; Figueira 1984, 180-185.5 Vd. soprattutto Osborne 1998; cfr. Id. 1996, 4-17; sulla

stessa linea «revisionista», Owen 2005 (sulla deformazione

insita nella categoria analogica di colonizzazione) e Wilson

2006 (in particolare sul ruolo dell’ecista, l’oracolo delfico, il

culto dei fondatori); alcuni elementi in Antonaccio 2007,

204-205, 210-213. Tra gli antecedenti cfr. il concetto di

mobilità secondo Purcell 1990 (in particolare 55 sul siste-

ma apoikia-metropolis come «epiphenomenon on mobility»,

dove la mobilità è intesa nel senso di «perennial currents

of Mediterranean communications, currents whose kinetic

energy depended on ecology»); ma si rilegga specialmente

quanto scriveva Pierre Lévêque sulla «colonisation désordon-

née» (Lévêque 1964, 198; trad. it., 194: «La caratteristica più

evidente delle installazioni dei Greci in Occidente è l’estrema

disorganicità delle iniziative: all’inizio si tratta solo di imprese

individuali e incoerenti di coloni che desideravano innanzi tutto

sfuggire al soffocamento delle metropoli»; il corsivo è mio).6 Vd. Bernabò Brea, Cavalier 1980, 717. Vale forse la

pena di mettere in rilievo come il ‘vuoto’ archeologico del

Castello di Lipari non possa implicare un completo spopola-

mento dell’isola e delle altre Eolie prima dell’arrivo dei Greci.

«Archaeological exploration of the islands does not give us

grounds for a conclusive judgment on the presence of the

Aiolians» (Figueira 1984, 183): le versioni storiografiche,

nelle quali si parla di una popolazione esigua, cacciata o inglo-

bata dai nuovi arrivi, non sono dunque smentite da questi

dati.7 Cfr. l’importante critica a Osborne di Malkin 2002, 208-

216, con l’analisi delle tradizioni su Calcidesi e Megaresi in

Sicilia. Per Malkin il cosiddetto «modello classico» di coloniz-

zazione, che le fonti proietterebbero sull’età arcaica, ha scarse

basi nella realtà documentaria; sul dossier di età classica di

Osborne vd. anche Lombardo 2006, 22-23.8 Cfr. ibid.9 «Establishing a settlement overseas was, no doubt, a vio-

lent business», come conviene Hall 2004, 39. Va peraltro

detto che la violenza non esaurisce mai la complessità del

rapporto fra Greci e popolazioni locali, che include momenti

o fasi di fusione etnico-culturale. Di grande interesse è la

prospettiva della «contraddizione» (Ampolo 2005, 52-53),

in cui si osserva l’interazione fra locali e individui o gruppi

minoritari di Greci.10 Cfr. Dunbabin 1948, 331 (adozione di un sistema comu-

nistico solo dopo che la pressione dei pirati etruschi ebbe

indotto a lasciare alcuni membri della comunità liberi per il

combattimento); Buck 1959 (misura di emergenza dettata

dal bisogno di contrastare la pirateria etrusca, e abbandonata

all’affievolirsi della minaccia che questa rappresentava, ossia

a partire dal secondo quarto del V sec. a.C.: un’ipotesi che si

contrapponeva in particolare all’idea di «comunismo primi-

tivo» alla George Thomson); Austin, Vidal-Naquet 1972,

259; trad. it., 232; trad. ingl., 236.11 Cfr. Figueira 1984, 197.12 Ibid., 198 («The system of common property helped

distribute the losses as well as the profits equally among the

population»). Ciò può valere anche per la fase di collettivi-

smo ‘temperato’, quella della rotazione ventennale dei lotti

(cfr. Buck 1959, 38-39; cfr. l’obiezione di Link 2002, 53, che

in quella misura non ravvisa affatto delle preoccupazioni di

equità). A minacciare i Greci delle Eolie fu forse anche una

violenta attività vulcanica sull’isola di Lipari, che a giudicare

da una testimonianza (ben messa in rilievo da Zunino 1997)

potrebbe essere stata frequente, e più volte osservata, fra IX e

VII sec. 13 Figueira 1984, 187. Le idee collettivistiche, secondo

Figueira, avrebbero avuto un’«ampia circolazione tra gli Ioni

delle classi alte» nel VI sec. (ibid., 199).14 Vi è peraltro chi nega che la tradizione diodorea fac-

cia riferimento a una «kommunistische Grundidee» (Link

2002, 47): sarebbero i lettori moderni di Diodoro a pre-

supporla, deformando il senso della testimonianza antica.

L’ordinamento lipareo, secondo Link, parte da una divisione

del lavoro, ed è solo in base alle esigenze di questa che si

avrebbe la condivisione di prodotti descritta nel passo di

Diodoro: una condivisione che si concretizza nei sissizi e, lungi

dal mettere in crisi la proprietà privata, la presuppone. Ma

nella ricostruzione di Link resta in ombra la fase in cui le terre

rimangono indivise (in cui si coltiva «in comune»): fase prov-

visoria, se si vuole, e legata senza dubbio alle esigenze della

guerra, ma in ogni caso caratterizzata dalla sospensione della

proprietà privata del mezzo di produzione agraria (ejgewvrgoun

ta;~ nhvsou~ koina;~ poihvsante~, Diod., 5,9,4). Tant’è che lo

stesso Link, a proposito del successivo sorteggio dei lotti, parla

di «Neuprivatisierung der Ländereien» (Link 2002, 54); il

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sorteggio stesso, con la concessione delle terre per vent’anni,

avviene in un quadro in cui l’assegnazione di terre non si

prevede definitiva.15 Vd. Giangiulio 1989, 26-28. Sulle conseguenze della

decisione di non lottizzare il territorio sibarita, e sul significato

della posizione pitagorica, ibid., 277-278, 311-314.16 Per una discussione recente del controverso passo e dei

problemi relativi al sistema spartano dei kleroi, vd. Figueira

2004.17 Anticipato da alcune testimonianze che portano a una

cronologia intorno alla metà del VI sec., non lontano cioè

dai fatti di Lipari: cfr. lo studio di Jean-Pierre Vernant su

Espace et organisation politique en Grèce ancienne (in Id. 1971,

I, 216-217; Id. 19853, 247-248; trad. it., 254). Sul caso di

Lipari in rapporto con il sistema spartano cfr. Figueira 2004,

61-62.18 Vd. Malkin 1994 (su Cnido, 10, 212).

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