21. Francesco del Cossa (Ferrara, 1436 ca - Bologna, 1478 ... · nell’Ottocento sono invece...

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Contro un cielo luminoso che ora sappiamo doveva essere saturo e compatto i santi si accampano su due rialzi rocciosi. Diversamente se- gnati, l’uno dall’età, l’altro dalla pe- nitenza, si stagliano davanti a pilastri decorati all’antica che intuiamo im- mensi. Ne vediamo infatti, all’altez- za dei volti, parte della trabeazione mentre il fusto, che le ombre ci fan- no intuire distante, sprofonda dietro le rocce, fino a raggiungere, molto più in basso, il terreno pianeggian- te. In quest’aria tersa ogni dettaglio è inciso e riportato con precisione, dalle erbe stente che si fan strada nel terreno calcinato, ai capelli più corti intorno alla calvizie di Pietro, alle perle rosse non di corallo ma di ve- tro, perché il loro colore diventa più fondo in corrispondenza del porfido e più brillante contro il cielo. Dopo gli studi degli ultimi decenni (per tutti, con bibliografia prece- dente Benati 1984, pp. 172-174; Bacchi in Pinacoteca di Brera 1991, pp. 60-72; Cavalca 2014, pp. 136- 151, 334-336) possiamo dire che di questi dipinti conosciamo molto. Conosciamo infatti, almeno a gran- di linee, l’assetto dell’insieme da cui provengono e gli spostamenti delle tavole con apprezzabile precisione. Ne conosciamo la storia museale e la cronologia, tanto che possiamo permetterci di restituire tutti questi aspetti, che tanti dibattiti hanno su- scitato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in estrema sintesi. I due pannelli facevano parte del polittico realizzato da Francesco del Cossa insieme a Ercole de Roberti per la cappella della famiglia Griffo- ni in San Petronio a Bologna. Tra il 1725 e il 1731 l’ancona, dedicata a san Vincenzo Ferrer, venne smem- brata per volontà del nuovo pro- prietario, Pompeo Aldrovandi, che desiderava rimodernare la cappella: la cornice fu distrutta e le porzioni dipinte, ridotte a singoli quadri da stanza, portate nella villa di campa- gna degli stessi Aldrovandi (per una puntuale ricostruzione, sostenuta dall’appendice documentaria, si veda Cavalca 2014, pp. 335-336). Non sappiamo se tra esse ci fossero anche le due tavole braidensi, che nell’Ottocento sono invece attestate a Ferrara, nella collezione Barbi Cin- ti, formata in prevalenza raccoglien- do le opere di seconda scelta dalla raccolta del marchese Costabili, di cui Giovanni Barbi fu procuratore per giungere poi, «attraverso a più mani» (Malaguzzi Valeri 1908, pp. 249-250) e anche con un certo scandalo dopo la liquidazione del- la collezione da parte degli eredi, a Giuseppe Cavalieri, che le vendette alla Pinacoteca nel luglio 1893. Nel catalogo Barbi Cinti comparivano come di autore incerto, chiamando in causa Marco Zoppo e Andrea Mantegna, ma a Brera arrivarono come Francesco del Cossa e non a caso l’acquisto, come testimoniato dalla documentazione conservata in Soprintendenza (Archivio Antico I/ 57), fu sostenuto da Adolfo Venturi, tra primi ad affermare la paternità del ferrarese (V enturi 1888). Esso era finalizzato a completare, acco- standole alla Pala Portuense di Ercole de Roberti, alla Adorazione dei Magi di Lorenzo Costa e al San Sebastiano di Dosso, il panorama della scuola ferrarese presente a Brera «secondo un piano razionale e scientifico» (Carotti 1894, p. 3), e dalle sale dedicate a quella scuola, di volta in volta la XX o la XXI, le due tavole non si sono mai allontanate. In più si trattava di opere in buono stato di conservazione e provenienti da un insieme importante, poiché già allora era chiaro che il San Pietro e il San Giovanni stavano ai lati del- la tavola di San Vincenzo Ferrer che dalla collezione Costabili era transi- tata nel 1858 alla National Gallery di Londra. L’intuizione di Gustavo Frizzoni (Frizzoni 1888) che que- sti tre pezzi, insieme alla predella raffigurante Miracoli di san Vincen- zo Ferrer dalla Pinacoteca Vaticana, facessero parte del polittico per la cappella Griffoni in san Petronio descritto da Giorgio Vasari (V asari 1568 ed. 1878-1881, III, p. 428) e Pietro Lamo (Lamo 1560, ed. 1996, p. 101) come opera congiun- ta di Francesco del Cossa e Ercole de Roberti, sarà poi precisata da Ro- berto Longhi (Longhi 1956, V, pp. 32-34) e l’articolazione dell’insieme sarà definitivamente confermata dal ritrovamento del disegno di Orlan- di realizzato prima dello smontaggio (1725) e dagli studi di Cecilia Ca- valca (Cavalca 2014) che hanno incrociato evidenze documentarie e materiali, restituendo un convin- cente assetto proporzionale e archi- tettonico dell’insieme. Ora, di quella stupefacente macchi- na d’altare conosciamo ben sedici pezzi superstiti, conservati però in nove sedi differenti (da ultimo Ca- valca 2014, p. 334). Attorno alla ta- vola principale si disponevano i due scomparti che stiamo esaminando, nel registro superiore San Floriano e Santa Lucia, ancora più sopra tre tondi, rappresentanti la Crocifissione – quest’ultima e i due Santi conser- vati alla National Gallery di Wa- shington –, l’Angelo annunciante e la Vergine Annunciata (Gazzada, Col- lezione Cagnola); il tutto era chiuso in basso dalla predella unitaria che racconta i Miracoli di san Vincenzo Ferrer. Dunque solo a prezzo di uno sforzo intellettuale riusciamo a ri- comporre un insieme dove cornice e porzioni dipinte davano vita a un autentico sistema visivo che coinvol- geva lo spettatore in un gioco spazia- le straordinariamente audace e mo- derno. La cornice, grazie ai suoi ag- getti e al rapporto che stabiliva con la figurazione (su di essa andavano visivamente a cadere le aste che par- tono, al di sopra della testa dei santi, dalla trabeazione verso lo spettatore con un’invenzione affine a quella – spettacolare – già realizzata da Cossa nella Pala dell’Osservanza), si propo- neva come elemento di giunzione tra due mondi, quello dello spetta- tecnica/materiali tempera e oro su tavola dimensioni San Pietro: 111,4 × 54,5 cm; San Giovanni Battista: 113,5 × 55,5 cm iscrizioni sul cartiglio retto da san Giovanni Battista: «EG[O SUM] VOC[ES] C[LAMAN]TES IN DESERTO» provenienza Bologna, Basilica di San Petronio, cappella Griffoni collocazione Milano, Pinacoteca di Brera (Reg. Cron. 1182; Reg. Cron. 1183) scheda Emanuela Daffra restauro Barbara Ferriani s.r.l., Milano direzione del restauro Emanuela Daffra indagini Laboratorio fotografico della Pinacoteca di Brera, Centro Ricerche sul Dipinto (CSG Palladio, Vicenza), ierry Radelet * tavola non in mostra perché presente nell’esposizione Piero della Francesca. Indagine su un mito (Forlì, Musei San Domenico, 13 febbraio - 26 giugno 2016) Francesco del Cossa (Ferrara, 1436 ca - Bologna, 1478 ca) San Pietro; San Giovanni Battista* 1470-1473 21.

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Contro un cielo luminoso che ora sappiamo doveva essere saturo e compatto i santi si accampano su due rialzi rocciosi. Diversamente se-gnati, l’uno dall’età, l’altro dalla pe-nitenza, si stagliano davanti a pilastri decorati all’antica che intuiamo im-mensi. Ne vediamo infatti, all’altez-za dei volti, parte della trabeazione mentre il fusto, che le ombre ci fan-no intuire distante, sprofonda dietro le rocce, fino a raggiungere, molto più in basso, il terreno pianeggian-te. In quest’aria tersa ogni dettaglio è inciso e riportato con precisione, dalle erbe stente che si fan strada nel terreno calcinato, ai capelli più corti intorno alla calvizie di Pietro, alle perle rosse non di corallo ma di ve-tro, perché il loro colore diventa più fondo in corrispondenza del porfido e più brillante contro il cielo. Dopo gli studi degli ultimi decenni (per tutti, con bibliografia prece-dente Benati 1984, pp. 172-174; Bacchi in Pinacoteca di Brera 1991, pp. 60-72; Cavalca 2014, pp. 136-151, 334-336) possiamo dire che di questi dipinti conosciamo molto. Conosciamo infatti, almeno a gran-di linee, l’assetto dell’insieme da cui provengono e gli spostamenti delle tavole con apprezzabile precisione. Ne conosciamo la storia museale e la cronologia, tanto che possiamo permetterci di restituire tutti questi aspetti, che tanti dibattiti hanno su-scitato a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in estrema sintesi.I due pannelli facevano parte del

polittico realizzato da Francesco del Cossa insieme a Ercole de Roberti per la cappella della famiglia Griffo-ni in San Petronio a Bologna. Tra il 1725 e il 1731 l’ancona, dedicata a san Vincenzo Ferrer, venne smem-brata per volontà del nuovo pro-prietario, Pompeo Aldrovandi, che desiderava rimodernare la cappella: la cornice fu distrutta e le porzioni dipinte, ridotte a singoli quadri da stanza, portate nella villa di campa-gna degli stessi Aldrovandi (per una puntuale ricostruzione, sostenuta dall’appendice documentaria, si veda Cavalca 2014, pp. 335-336). Non sappiamo se tra esse ci fossero anche le due tavole braidensi, che nell’Ottocento sono invece attestate a Ferrara, nella collezione Barbi Cin-ti, formata in prevalenza raccoglien-do le opere di seconda scelta dalla raccolta del marchese Costabili, di cui Giovanni Barbi fu procuratore per giungere poi, «attraverso a più mani» (Malaguzzi Valeri 1908, pp. 249-250) e anche con un certo scandalo dopo la liquidazione del-la collezione da parte degli eredi, a Giuseppe Cavalieri, che le vendette alla Pinacoteca nel luglio 1893. Nel catalogo Barbi Cinti comparivano come di autore incerto, chiamando in causa Marco Zoppo e Andrea Mantegna, ma a Brera arrivarono come Francesco del Cossa e non a caso l’acquisto, come testimoniato dalla documentazione conservata in Soprintendenza (Archivio Antico I/ 57), fu sostenuto da Adolfo Venturi,

tra primi ad affermare la paternità del ferrarese (Venturi 1888). Esso era finalizzato a completare, acco-standole alla Pala Portuense di Ercole de Roberti, alla Adorazione dei Magi di Lorenzo Costa e al San Sebastiano di Dosso, il panorama della scuola ferrarese presente a Brera «secondo un piano razionale e scientifico» (Carotti 1894, p. 3), e dalle sale dedicate a quella scuola, di volta in volta la XX o la XXI, le due tavole non si sono mai allontanate. In più si trattava di opere in buono stato di conservazione e provenienti da un insieme importante, poiché già allora era chiaro che il San Pietro e il San Giovanni stavano ai lati del-la tavola di San Vincenzo Ferrer che dalla collezione Costabili era transi-tata nel 1858 alla National Gallery di Londra. L’intuizione di Gustavo Frizzoni (Frizzoni 1888) che que-sti tre pezzi, insieme alla predella raffigurante Miracoli di san Vincen-zo Ferrer dalla Pinacoteca Vaticana, facessero parte del polittico per la cappella Griffoni in san Petronio descritto da Giorgio Vasari (Vasari 1568 ed. 1878-1881, III, p. 428) e Pietro Lamo (Lamo 1560, ed. 1996, p. 101) come opera congiun-ta di Francesco del Cossa e Ercole de Roberti, sarà poi precisata da Ro-berto Longhi (Longhi 1956, V, pp. 32-34) e l’articolazione dell’insieme sarà definitivamente confermata dal ritrovamento del disegno di Orlan-di realizzato prima dello smontaggio (1725) e dagli studi di Cecilia Ca-

valca (Cavalca 2014) che hanno incrociato evidenze documentarie e materiali, restituendo un convin-cente assetto proporzionale e archi-tettonico dell’insieme.Ora, di quella stupefacente macchi-na d’altare conosciamo ben sedici pezzi superstiti, conservati però in nove sedi differenti (da ultimo Ca-valca 2014, p. 334). Attorno alla ta-vola principale si disponevano i due scomparti che stiamo esaminando, nel registro superiore San Floriano e Santa Lucia, ancora più sopra tre tondi, rappresentanti la Crocifissione – quest’ultima e i due Santi conser-vati alla National Gallery di Wa-shington –, l’Angelo annunciante e la Vergine Annunciata (Gazzada, Col-lezione Cagnola); il tutto era chiuso in basso dalla predella unitaria che racconta i Miracoli di san Vincenzo Ferrer. Dunque solo a prezzo di uno sforzo intellettuale riusciamo a ri-comporre un insieme dove cornice e porzioni dipinte davano vita a un autentico sistema visivo che coinvol-geva lo spettatore in un gioco spazia-le straordinariamente audace e mo-derno. La cornice, grazie ai suoi ag-getti e al rapporto che stabiliva con la figurazione (su di essa andavano visivamente a cadere le aste che par-tono, al di sopra della testa dei santi, dalla trabeazione verso lo spettatore con un’invenzione affine a quella – spettacolare – già realizzata da Cossa nella Pala dell’Osservanza), si propo-neva come elemento di giunzione tra due mondi, quello dello spetta-

tecnica/materiali tempera e oro su tavola

dimensioni San Pietro: 111,4 × 54,5 cm; San Giovanni Battista: 113,5 × 55,5 cm

iscrizioni sul cartiglio retto da san Giovanni Battista: «EG[O SUM] VOC[ES] C[LAMAN]TES IN DESERTO»

provenienza Bologna, Basilica di San Petronio, cappella Griffoni

collocazione Milano, Pinacoteca di Brera (Reg. Cron. 1182; Reg. Cron. 1183)

scheda Emanuela Daffra

restauro Barbara Ferriani s.r.l., Milano

direzione del restauro Emanuela Daffra

indagini Laboratorio fotografico della Pinacoteca di Brera, Centro Ricerche sul Dipinto (CSG Palladio, Vicenza), Thierry Radelet

* tavola non in mostra perché presente nell’esposizione Piero della Francesca. Indagine su un mito (Forlì, Musei San Domenico, 13 febbraio - 26 giugno 2016)

Francesco del Cossa(Ferrara, 1436 ca - Bologna, 1478 ca) San Pietro; San Giovanni Battista*1470-1473

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Dopo il restauro, San Pietro Dopo il restauro, San Giovanni Battista

tore e quello dipinto, creando una sorta di portico aperto sul paesaggio sopravanzato nella parte alta dagli spazi dorati abitati da san Floriano e santa Lucia. E sempre la cornice, seguendo la proposta di ricostruzio-ne di Cecilia Cavalca, evocando gli elementi di un arco trionfale, dava all’insieme un aspetto di precoce modernità, soprattutto in conside-razione della data di realizzazione.Questa cade tra il 1470, anno in cui Francesco abbandona Ferrara scuotendosi la polvere dai sandali per il cattivo trattamento riservato-gli dal duca Borso nella decorazio-ne di Schifanoia, e il 19 luglio del 1473, quando lo scultore e maestro di legname Agostino de Marchi vie-ne pagato per la conclusione della capsa che conteneva l’opera. Ma la

sua elaborazione può restringersi ul-teriormente a prima del 1472, vista la presenza nel secondo registro di santa Lucia, che evocava la prima moglie di Floriano Griffoni, passato a seconde nozze in quell’anno.Ancora da indagare a fondo sono alcune scelte iconografiche assai so-fisticate, come l’idea di ambientare i santi del registro superiore, vestiti con abiti moderni, contro un astrat-to fondo oro, mentre quelli del re-gistro principale vivono contro un cielo di lapislazzulo e un paesaggio continuo che rielabora le prove pa-dovane di Mantegna, avendo però bene in mente le immagini fiam-minghe capaci di conciliare infini-tamente lontano e infinitamente vicino. Il fondo oro compare anche nella parte superiore dello scompar-

Ricostruzione del polittico realizzato da del Cossa in collaborazione con Ercole de Roberti per la cappella Griffoni in San Petronio a Bologna (da C. Cavalca, La pala d’altare a Bologna nel Rinascimento. Opere, artisti e città 1450-1500, Cinisello Balsamo 2014)

Prima del restauro, San Pietro Prima del restauro, San Giovanni Battista

Prima del restauro, San Pietro, riflettografia a infrarossi

Prima del restauro, San Giovanni Battista, riflettografia a infrarossi

to centrale, dietro il Cristo Giudice, con una scelta rara (per altri esempi quattrocenteschi di alternanza tra sfondi naturalistici e campiture do-rate si veda De Marchi, Mazzalu-pi 2008, pp. 48-49) forse funzionale a esaltare il significato escatologico

delle scene, sottolineandone uno stato ontologicamente diverso. La scelta del santo domenicano, canonizzato nel 1458, infaticabile predicatore e fautore dell’unità della Chiesa negli anni del grande scisma, è stata collegata (Torella 1985-

1987) con la volontà di Sisto IV di lotta contro gli infedeli e in questo senso sono stati letti dettagli come il cartiglio retto da san Giovanni, che rispetto al testo evangelico evoca una pluralità di ‘voci’ che gridano nel de-

serto o la presenza, nel paesaggio di fondo, della volpe, allusiva agli infe-deli. Allo stesso modo è stata suppo-sta la presenza, dietro la scelta delle immagini, dell’umanista Giovanni Garzoni, che di Vincenzo Ferrer

scrisse una biografia e che conosce-va personalmente Floriano Griffoni (Torella 1985-1987, pp. 46-47). Il coinvolgimento non è certo, ma la viva attenzione del pittore al mon-do umanistico è testimoniata anche

dalle raffinate capitali all’antica usa-te nel cartiglio.Le tavole, si è scritto sopra, al mo-mento dell’acquisto erano dette in buone condizioni e il dato è confermato oltre che dal riscontro

Prima del restauro, San Pietro, particolare del volto, riflettografia a infrarossi

Prima del restauro, San Giovanni Battista, particolare con il disegno preparatorio, riflettografia a infrarossi

Dopo il restauro, San Giovanni Battista, particolare con i piedi e le rocce sulla destra Durante il restauro, San Pietro, dopo la pulitura e parziale stuccatura

oggettivo dalla esiguità di restauri documentati, a onta dei ricorren-ti problemi di sollevamento della pellicola pittorica. Oltre a quello di Giovanna Turinetti, nel 1984, soltanto un altro può essere indi-viduato e collocato ai primi anni del secolo scorso fondandosi sulla documentazione fotografica più antica. Essa testimonia la presenza di lacune sul manto, sulla veste e sull’aureola di san Pietro, lacune che poi risultano risarcite nelle im-magini pubblicate sul catalogo di Francesco Malaguzzi Valeri (Ma-laguzzi Valeri 1908).Il restauro e le osservazioni che ha stimolato hanno portato accresci-menti a una conoscenza già tanto assestata soprattutto in relazione alla tecnica di esecuzione e al modo di operare del pittore. Le due figure e le architetture sono definite sulla preparazione da una incisione sottile e senza ripensamenti. Questa griglia molto dettagliata è poi ripresa da un minuzioso disegno preparatorio che, attraverso tratti diagonali più o meno spessi e variamente intrec-ciati, segna la trama chiaroscurale ripresa poi nella stesura dei pig-menti. Il paesaggio di fondo invece non presenta incisioni, era eviden-

temente meno pianificato, e in es-so si incontrano scostamenti tra la traccia disegnativa e la realizzazione pittorica, in alcuni casi anche piut-tosto significativi. Nel pannello con San Giovanni Battista a destra era previsto un frammento di capitello e dei resti di architetture, esattamen-te come a sinistra nella tavola con San Pietro. A questa soluzione, che avrebbe chiuso simmetricamente le parti estreme del registro principale, e che si intravvede anche a occhio nudo, il pittore ha preferito lo spro-fondare di una grotta invasa dalla vegetazione, vuoto cavernoso che fornisce il basamento a una impos-sibile città sopraelevata. L’avere ora ripianato e liberato da ingrigimenti la superficie pittorica rende più agevole leggere la struttura luminosa che è veramente elemento portante della figurazione. Le nitide profilature bianche nelle porzioni dove batte la luce, i grigi fondi del-le ombre, per esempio, definiscono con precisione un decoro architet-tonico di straordinaria qualità, che testimonia come l’autore guardasse con attenzione al completamento dell’Arca di San Domenico. Ma in-seguono anche con padronanza as-soluta, e lo mostra la mano anziana

Durante il restauro, San Pietro, particolare con l’aureola, rimozione delle reintegrazioni e delle stuccature

Prima del restauro, San Pietro, particolare con il filo di perle, distacchi delle stesure pittoriche

Prima del restauro, San Pietro, particolare con il libro, deformazioni delle stesure pittoriche e restauri alterati

Dopo il restauro, San Pietro, particolare con la fila di perle in vetro

Dopo il restauro, San Pietro, particolare con la cicogna e il ponte sullo sfondo

di san Pietro che regge il volume, le più difficili articolazioni anatomi-che, oppure l’inaridirsi e il cedere della pelle. Sono ancora sottili pen-nellate chiare, intrecciate con altre del tono più cupo di una medesima tinta, a restituire i volumi, i cartocci dei panneggi e sono le variazioni lu-minose a far vibrare i riflessi e a diffe-renziare le superfici, pur mantenen-do, con la loro costruzione grafica, una funzione soprattutto di defini-zione delle forme. Mentre grazie alle ombre portate rileva i gesti e misura le distanze, come per l’addensarsi dell’ombra in basso a scandire la di-stanza dei pilastri, e conferisce salda monumentalità alle figure.Cossa si serve di materiali tradizio-nali legati a tempera, con varianti che si incontrano in altri esponen-

ti della pittura ferrarese. Si pensi, ad esempio, all’uso dell’indaco, riscontrato anche in Tura, che qui ritorna non solo come fondo del cielo ma anche, insieme al giallo, a dare il verde particolare del volume retto da san Pietro (Poldi, Villa 2007, pp. 190-191).Tuttavia la arricchisce con leganti tissotropici per rendere lo spesso-re materico di alcuni dettagli, con velature di lacche per restituire non solo la stereometria delle figure e il loro affondare nello spazio, ma an-che minute finezze luminose, alter-na oro e stagno per differenziare le lucentezze, confermando l’impor-tanza – da sempre individuata dalla critica – che per il pittore avevano avuto gli esempi fiamminghi. Que-sti sono leggibili anche nell’impagi-

Dopo il restauro, San Giovanni Battista, particolare con il filo di perle in vetro: si noti il riflesso sul porfido

Dopo il restauro, San Giovanni Battista, particolare con il paesaggio e il cavaliere sullo sfondo

Dopo il restauro, San Pietro, particolare con i piedi e l’ombra

nazione del registro principale, con l’affondare lontanissimo del paesag-gio, così che con la medesima luci-dità vengono restituiti i dettagli più minuti e vicini e quelli lontanissimi.È in questi dettagli che trionfa una scioltissima capacità disegnativa. La tempera, ora più liquida ora più corposa, coglie i gesti vitali delle fi-gurette sullo sfondo, l’agile immo-bilità della lucertola, la convincente pienezza dell’agnello simbolico po-sto sul pastorale di san Giovanni, lo sprofondare delle acque verso l’oriz-zonte, il muto insinuarsi delle radici tra le pietre, che all’interno della im-paginazione architettonica originale

acquistavano certo una aumentata incisività.

BibliografiaLamo 1560 ed. 1844, pp. 12, 31, 39; Vasari 1568 ed. 1878, III, pp. 131-148; Frizzoni 1888, pp. 299-302; Venturi 1888, 1, pp. 74-80; 2, pp. 96-101; Carotti 1894; Malaguzzi Valeri 1908; Longhi 1956, pp. 28-36, 40 ss., 128-131, 179 ss.; Smith, A. Reeve, A. Ray 1981, pp. 44-57; Be-nati 1984, II, pp. 143-194; Torella 1985-1987; Bacchi in Pinacoteca di Brera 1991, pp. 60-72; Poldi, Villa 2007, pp. 159-181; Cavalca 2014.

Bibliografia di riferimento

1560 ed 1996 P. Lamo, Graticola di Bologna [1560], Bologna 1996.

1568 ed. 1878 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti [1568], a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878.

1857 C. Laderchi, La pittura ferrarese, Ferra-ra 1857.

1871 ed. 1912 J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, A Hi-story of Painting in North Italy [1871], a cura di T. Borenius, London 1912.

1885 A. Venturi, L’arte a Ferrara nel periodo di Borio d’Este, in «Rivista storica italia-na», II (1885), pp. 689-749. 1888 G. Frizzoni, Zur Wiederherstellung eines altferraresischen Altarwerks, in Zeitschrift für bildende Kunst, XXIII (1888), pp. 299-302.

A. Venturi, Les arts à la cour de Ferrare, F. D., in «L’Art», XIV (1888), 1, pp. 74-80; 2, pp. 96-101.

1894 G. Carotti, La R. Galleria di Brera in Milano, in Le Gallerie nazionali italiane. Notizie e documenti, I, 1894, pp. 3-13.

1908 F. Malaguzzi Valeri, Catalogo della R. Pinacoteca di Brera, con cenno storico di C. Ricci, Bergamo 1908.

1956 R. Longhi, Officina ferrarese 1934 segui-ta dagli Ampliamenti 1940 e dai Nuovi ampliamenti 1940-1955, Firenze 1956, («Edizione delle opere complete di Ro-berto Longhi», V).

1981A. Smith, A. Reeve, A. Ray, Francesco del Cossa’s S. Vincent Ferrer, in «National Gallery Technical Bulletin», 5, 1981, pp. 44-57.

1984 D. Benati, La pittura rinascimentale, in La Basilica di san Petronio in Bologna, Bologna 1984, II, pp. 143-194.

1985-1987F. Torella, L’ombra della mezzaluna nell’arte italiana. Il polittico Griffoni, in «Musei ferraresi», 15, 1985-1987, pp. 43-60.

1991 Pinacoteca di Brera. Scuola Emiliana, Milano 1991, pp. 60-72.

2007 G. Poldi, G.C.F. Villa, Il morello e il segno. Spigolature per un atlante iconogra-fico, in Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte a Ferrara nell’età di Borso d’Este, ca-talogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Palazzo Schifanoia, 23 set-tembre 2007 - 6 gennaio 2008), a cura di M. Natale, Ferrara 2007, pp. 59-181.

2008 A. De Marchi, M. Mazzalupi, Pitto-ri ad ancona nel Quattrocento, Milano 2008.

2014 C. Cavalca, La pala d’altare a Bologna nel Rinascimento. Opere, artisti e città 1450-1500, Cinisello Balsamo 2014.