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Abbonamenti versamento sul conto corrente bancario: Banca Intesa IBAN: IT37 G030 6901 4950 5963 0260 158 intestato a SATURA ASSOCIAZIONE CULTURALE AnnuAlE € 40,00 SoStEnitoRE A PARtiRE DA € 50,00 Anno 5 n° 20 quarto trimestre Autorizzazione del tribunale di Genova n° 8/2008 in copertina LA TRAVIATA Preludio (dittico), 2001, tecnica mista, 100x160 SATURA è un trimestrale di Arte Letteratura e Spettacolo edito dall'Associazione Culturale Satura Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l'autorizzazione scritta della Direzione e dell'Editore Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile per la redazione per la pubblicazione vanno inviati a: SAtuRA associazione culturale, piazza Stella 5/1 16123 Genova Le opinioni degli Autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quella della direzione della rivista Tutti materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti SaTuRa Trimestrale di arte letteratura e spettacolo Redazione Giorgio Bárberi Squarotti, Milena Buzzoni, Giuseppe Conte, Gianluigi Gentile, Rosa Elisa Giangoia, Mario Napoli, Mario Pepe, Giuliana Rovetta, Stefano Verdino, Guido Zavanone Redazione milanese Simona De Giorgio via Farneti,3 20129 Milano tel.: 02 74 23 10 30 e-mail: [email protected] Direttore responsabile Gianfranco De Ferrari Segreteria di Redazione Virginia Cafiero Collaboratori di Redazione Francesca Camponero, Manuela Capelli, Wanda Castelnuovo, Elena Colombo, Fiorangela Di Matteo, Maura Ghiselli, Marta Marin, Flavia Motolese, Lucia Pasini, Andrea Rossetti Editore SATURA associazione culturale Amministrazione e Redazione SATURA piazza Stella 5, 16123 Genova tel.: 010 2468284 cellulare: 338 2916243 e-mail: [email protected] sito web: www.satura.it Progetto grafico Elena Menichini Stampa Essegraph Via Riboli 20, 16145 Genova

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Anno 5 n° 20quarto trimestreAutorizzazione del tribunale di Genova n° 8/2008

in copertina LA TRAVIATA Preludio (dittico), 2001,tecnica mista, 100x160

SATURA è un trimestrale di ArteLetteratura e Spettacolo editodall'Associazione Culturale SaturaProprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, ancheparziale, di testi pubblicati senzal'autorizzazione scritta della Direzionee dell'Editore

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Collaboratori di Redazione Francesca Camponero,

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sommario

3 III EDIZIONE PREMIO DI POESIA INEDITASATURA - CITTÀ DI GENOVA

3 Giglio di mare4 Donna al mare con bambino5 Ritratto di donna al mare

con bambinoFrancesco Macciò

6 ArsuraIgnazio Gaudiosi

7 FuniviaOtello Soiatti De Crivis

8 La compagnaFederico Ghillino

9 Invocazione paganaFrancesco Magnanego

10 Ragazze di mareLoriana Capecchi

11 A Edoardo SanguinetiMarco Fabio Gasperini

12 Riflessi di NebbiaGabriella Cinti

13 LA VOLPONAGuido Zavanone

16 UNA POESIA Tetti rossiRodolfo Di Biasio

17 MANATI E TRAMONTIFRA I BORDI FRASTAGLIATIDELLE KEYSMilena Buzzoni

23 UNA POESIA De senectuteGuido Zavanone

24 VENEZIAACQUA, PAROLE E PIETREGiuliana Rovetta

32 DUE POESIEPèi d’OrfeoLitre d’ënvernRemigio Bertolino

40 I DIALOGHI DI ANGELO MUNDULAGuido Zavanone

44 TRE POESIEAldino Leoni

47 LA FILOSOFIA IN GIARDINO Rosa Elisa Giangoia

52 UNA POESIA Oasis du bonheurPhilippe Popiéla

54 UNA POESIA E Dio sorriseSergio La China

55 PROSPEZIONICompagno di viaggioCorrado CalabròIl segreto dentro la scritturaGiuliana RovettaIl corpo ha una storiaGiuliana RovettaLibertà va cercandoRosa Elisa Giangoia

La poesia della vitaRosa Elisa GiangoiaGli elementi della realtàRosa Elisa GiangoiaIl tempo e i ricordiRosa Elisa GiangoiaParole e immaginiRosa Elisa GiangoiaLa centrale Montemartini: la scoperta di un raffinato museo romanoMilena Buzzoni

CRITICA 65 L’UNITÀ, GIUSEPPE VERDI,

LA PITTURA DI NEVIO ZANARDIDino Molinari

69 VERDI E I SUOI “COLORI”Roberto Iovino

SPECIALE ARTEGENOVA 201372 MOSTRA MERCATO

DI ARTE MODERNA E CONTEMPORANEAMario Napoli

VETRINA76 MATTEO BRACCIALI

Elena Colombo78 PAOLA PASTURA

Andrea Rossetti80 PEIHAN

Andrea Rossetti82 ANDREA QUAGLINO

Narcisismo europeoAndrea Rossetti

84 ETTORE ROSSELLIPaesaggiElena Colombo

86 NATALIE SILVAAndrea Rossetti

88 ROBERTO SOZZIThe daily realityAndrea Rossetti

90 ANTONELLA STELLINISculture in trasparenzaElena Colombo

92 MARIA TERESA VITTONEDonneElena Colombo

94 TE.TA.BU. GALLERY

LA MOSTRA95 PICASSO A MILANO

Francesca Camponero

MUSICA97 INTERVISTA A MARIUS PATYRA

Francesca Camponero

99 ANDANDO PER MOSTRE Wanda Castelnuovo

109 I LIBRI DI ELENA COLOMBOElena Colombo

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SATURA arte letteratura spettacolo3^ EDIZIONE PREMIO DI POESIA INEDITA “SATURA - CITTÀ DI GENOVA”

GIURIA:Giorgio Bárberi Squarotti, Milena Buzzoni, Giuseppe Conte, Rosa Elisa Gian-goia, Mario Napoli, Mario Pepe, Giuliana Rovetta, Stefano Verdino, Guido Zavanone.

PRIMO PREMIO alle poesie Giglio di mare, Donna al mare con bambino, Ritrattodi donna al mare con bambino di Francesco MacciòSECONDO PREMIO alla poesia Arsura di Ignazio GaudiosiTERZO PREMIO alla poesia Funivia di Otello Soiatti De CrivisQUARTO PREMIO alla poesia La compagna di Federico GhillinoQUINTO PREMIO alla poesia Invocazione pagana di Francesco Magnanego

POETI SEGNALATI con pubblicazioneLoriana Capecchi per la poesia Ragazze di mareMarco Fabio Gasperini per la poesia A Edoardo SanguinetiGabriella Cinti per la poesia Riflessi di Nebbia

POETI SEGNALATI con letturaMarina Benedetti, Domenico Bogliolo, Maria Antonietta Cancellieri, Nino Casalino,Franco Castellani, Antonio Contoli, Ada Giaquinto, Marco Maccianti, Cristina Man-tisi, Renzo Piccoli, Marilina Severino, Angela Torta.

POETI FINALISTIGiacomo Abbate, Fiorella Armani, Gianluigi Bavoso, Andrea Bolfi, Margherita Bo-scolo Abate, Luigi Carpineti, Alberto Collina, Marcellino Dini, Danilo D'Acunto,Edda De Boni, Giuseppe Di Lorenzo, Emilia Fragomeni, Roberto Gennaro, GraziaGodio, Maria Luisa Gravina, Maddalena Leali, Luciana Libralon, Donato Lotito, Ma-riuccia Martini, Domenica Mauri, Riccardo Melotti, Riccardo Minissi, Antonella Mo-daffari Bartoli, Tommaso Montorfano, Lucia Morlino, Deborah Orbetello, OlgaPatrone Grigoletto, Mauro Roversi Monaco, Dario Salvi, Giorgia Zamboni.

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I PREMIOFRANCESCO MACCIÒ

GIGLIO DI MARE

Il giglio di mare è un fiore di sabbia,di poca acqua, un nodo di salsedinee risacca, è lama che affonda nell’arsura di questa stanza, bianca campanula che s’innalzasciolta dai lacci nella calma di una tempesta, dissolta tra Lerici e Turbía in questo infinito golfo di pietra e di vento, nei calcoli scombinati di formule floreali che bloccano la memoria.

(Eccoti, non reciso, un fiore, che dura quanto durano la memoriae le parole)

Francesco Macciò sulla Riviera Ligure con la Mamma Giovanna Carraro negli anni ‘60

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DONNA AL MARE CON BAMBINO (due movimenti)

per mia madre a Sestri Levante

È già tutto dentro di meil tuo viso che sfiorisce,il mistero di insetti come nuvole che offuscano il sole, quest’albero di foglie dureche non ci appartiene e i suoi grandi fiori bianchidove risorge il mondo in un nientee diventano mie le tue scarne parole.

E poi, come su un foglio stanco, quel tuo sapere sempre di noi ciò che dobbiamo fare:le piccole incombenze quotidianee le cose serie e importanti che non riesco mai a ricordare.

**“Le poesie non sono un’arte,”mi diresti per aiutarmi un pocoa non ricordare. “Ti portano a perderti quando le scrivi e appena le hai scritte sono già tutteperse in un’altra parte.”

Ma oggi con il tuo bambino – lo tenevi sicura per mano al riparo dal sole – risalivi la sabbia come un’ondache esce dal mare e non ritorna. Lungo la riva intanto,ignari di noi, i miei figliscavavano fino all’acquauna buca profonda.

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RITRATTO DI DONNA AL MARE CON BAMBINO(tre movimenti)

ut pictura...

“Se ne contiamo dieci, dieci soltanto, vedraiche arriva... arriva per la cenacon la sua Millecento caffelatte.Lo sai, ha paura del mare,ma è un asso al volante.Lo vedremo salire come semprecon la ruota sul marciapiede,appoggiarsi dolcementecon il paraurti alla ringhiera.

Contiamone dieci, una ad una, noi due insieme,perché non ha fortunaquesta sera la tua mamma...ne passano poche e tutte nere.Nessun faro da lontanoin galleria, nessuna lingua di drago vortica dalle bocche di Sant’Anna.”***“Non devi avere paura: non finisce qui la terra,c’è ancora altra terra sotto il mare, e ci sono radici, scogli, erba,paesi nuovi da esplorare.

Si dice che sulla terrasi appoggi, non so come, tutta l’acqua e sul fuocol’aria e il fondo del mare...un mare che come un lago senza onde ci circonda su questa nostra lingua di terra e di sabbia.”***“È sempre più tardi e il Tempo,sai, non si fa aspettare...Oggi si è messo a giocareun poco con quella pietruzza bianca che si rotolava nella risacca.Ricordi? Volevi salvarla, e se l’è portata via il mare.”

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II PREMIOIGNAZIO GAUDIOSI

ARSURA

Perché questo silenziocos’è quest’afasia?Più non si incendiano favilledi accorati accenti o lievi, e nemmenoqualche sparuta sillaba s’avanza,sia pure di malcerta intelligenza.O, per quanto concepite,si vanno costipando questeentità novelle insofferenti,nell’antro senza uscitaper colpa dei congegni in confusione?Nulla c’è che ancora avvengada quando, zittita interamentenel suo tombale atteggiamento,questa coscienza è stata depredatadel proprio accorgimento.Lo sa colui che attendee viaggia con ansia nell’attesaper quelle antiche consonanzemai dismesse, a volte divagate,che eternamente temono l’arsurad’un’avvilita mente,come lo scempio d’una fioritura.

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III PREMIOOTELLO SOIATTI DE CRIVIS

FUNIVIA

C’è una funivia invisibile di giornosolo per chi non riesce a immaginarlae la ignora quando annotta senza sogni.

E’ filo teleferico a lembo di cieloall’altezza delle rondini nel volovien dal San Tommaso in riva a Pola.

Viaggia la cabina aerea del pensiero,raggiunge un sommo di cupola a Novaradove sosta in attesa il viaggiatore.

La funivia da San Guadenzio non ripartee il bigliettaio non vende più bigliettima c’è della legna che arde al caminetto.

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IV PREMIOFEDERICO GHILLINO

LA COMPAGNA

La Solitudine giungecon passo elegante;la osservo: è sedutasu una seggiola vuotada cui mi scrutacon due occhi vivie l’espressione impietosa.A volte alza una manoche poggia sulla mia nucaaccompagnandomi il capofin dentro le mani.Non mi dispero:solo provo l’emozionedel vuoto ed io nel centro,e mi sento lacerare il petto,un po’ come l’amore.Ho gli occhi apertie nella luce che filtraio rifletto:la vita sfiancaquanto il singhiozzo del piantointrappolato nella mente.Ma fuori tutto è distacco;poi chiudo gli occhied è solo silenzio.

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V PREMIOFRANCESCO MAGNANEGO

INVOCAZIONE PAGANA

Riempimi della tua forzadella tenacia che mille voltecolpisce lo scoglio e lo frantumain sabbia. Dammi la rabbiache disarma l’avversarioquella che cercoe che non trovo nel rimario.Fammi conoscerela passione dei tuoi marosie l’amore dei tuoi seni quieti.

Svelami alcunidei tuoi mille segretie quando poi sarò più saggioe il mio tempo scadràdammi il coraggio d’affrontarel’ebbrezza della tua profondità.

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POETI SEGNALATI

LORIANA CAPECCHI

Ragazze di mare

Le ragazze di mare hanno sottaneleggereche rigonfia e scuote il vento

quando nel sole che trabocca vannoa frotte lungo il battere dell’onda.

Vanno cercando il laccio dell’amorecantando con il passo che ha del voloe un’anima di lune e di chimere intantoche un vecchio siede solo e guarda il mare

svuotato ormai di linfa e di ricordinell’aria graffiando con mano di fogliala rotta che mena a perduti orizzonti.

Vanno e alle spalle il vento le sospingeverso l’inganno delle sabbie d’oro

le ragazze che indossano sottanea fiori come fieni a primavera. Vanno

e non hanno destino di tornarealla stagione breve dell’incanto.

Lo sa stranito un vecchio pescatoree l’onda che alla riva se ne muore

un tempo io ragazza di scogliera il corpo mio di sole che correva

come stregato ad incontrare amore.

E sopra il mare gli occhi degli uccelliche volano lievi e non lasciano traccia.

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MARCO FABIO GASPERINI

A Edoardo Sanguineti

Un pomeriggio a villa Rossi, alto sul palco,noi infiammati dal tuo viso antico(ma lo sguardo giovane) e affilatocome lama di pensiero,seducente e travolgente controil potere del linguaggio eil linguaggio del potere.

Così sempre negli anni ti ho rivistocambiato ma uguale, con il tuo dolce rigore,la tua durezza lucida,il tuo parlar sottile, che ci apriva la mentesenza mai ferire.

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GABRIELLA CINTI

Riflessi di nebbia

Per eleggerti fuori dall’ombra,luce invisibiledella mia vita di pagine,che tu rendi di un biancoche non respinge.Parlami di ciò che non vedo,per guidarmi dietro i colorie decifrare la sottrazionecome arcana presenza.Fammi sentirenella pioggia del buio,i riflessi di nebbia,tremule fiaccole del conoscere,perché, brancolando nella luce,io non ti vedo.Sveglia il mio sonno vivente,e dammi appuntamentoin un punto segreto della notte,dove io trovi,nella luce dell’enigma,il pensiero appagantedel tuo sorriso.

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LA VOLPONA

di Guido Zavanone

Riassunto delle puntate precedenti (1)

Maria, detta la Volpona, è un’anziana e ricca vedova, che vive nel culto del denaro.Ha una sua piccola corte: una lontana parente, Laura, che vive buona parte dell’an-no con lei, due domestiche, Eufemia ed Elisabetta, e un’insegnante di yoga. Tuttel’accudiscono quasi gratuitamente per la speranza di ereditare da lei. La Volpona è tutta tesa ad incrementare il proprio patrimonio e, con ingegno-si quanto spregiudicati artifici, acquista, a prezzo irrisorio, un grande appar-tamento di proprietà della Parrocchia per adibirlo poi a casa di riposo, traen-done cospicui guadagni.Ma una mattina irrompe nell’Istituto la Guardia di Finanza che sequestra la docu-mentazione contabile e interroga gli anziani ospiti. Ne nasce una denuncia per fro-de fiscale, maltrattamenti e persino omicidio colposo. Nel processo la Volpona vie-ne assolta per l’abilità del suo difensore che prospetta tesi ingegnose, come quel-la che la Casa per anziani, il “San Pio” è un istituto religioso, esente da tasse.Finito il processo, la Volpona si ammala, e le viene brutalmente comunicato che haun tumore e neppure un anno di vita. Il parroco don Carlo, appresa la notizia, vi-sita più volte l’inferma e riesce a farsi promettere, anche a riparazione della truffasubita, che il “San Pio” verrà lasciato in eredità alla Parrocchia. A questo aspira an-che Laura per il figlio che amministra da anni la Casa di riposo.

(1) Apparse sui numeri 5 e da 7 a 19 di questa rivista.

Eufemia ed Elisabetta avevano chiesto, l’una all’insaputa dell’altra, di pre-stare servizio esclusivamente in casa di Maria; per esserle più vicine, diceva-no, in realtà, pensava la Volpona, per sottrarsi al faticoso lavoro presso il “SanPio” e, magari, per cogliere l’occasione di sottrarle qualche argento.

La vicina di casa era venuta espressamente ad assicurarsi che i due mo-bili antichi a lei promessi fossero ancora lì, al loro posto, e per dire che sareb-be stato un vero peccato che i quadri che sormontavano i mobili e “si armo-nizzavano così bene con questi” non avessero la medesima destinazione.

Quanto al figlioccio Carlo, che si presentava ogni giorno per il rendicon-to, era molto dignitoso e non chiedeva nulla, il che faceva sospettare alla Vol-pona che volesse tutto.

Le avances ereditarie della cugina Laura conoscevano un crescendo impres-sionante. Nel testamento era destinato a lei l’appartamento in cui abitava Maria.Ma ora Laura tormentava la cugina con la richiesta del “San Pio” per il figlio, chevi dedicava – diceva lei – tutto il suo tempo con generoso slancio. L’aggettivo eraambivalente, alludendo anche discretamente al fatto che Carlo prestava la suaopera senza chiedere alcun compenso. Laura aveva anche adocchiato lo splen-dido anello di brillanti che Maria portava al dito, l’anello lasciatole dalla madre

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e da cui non si separava mai. Laura suggeriva che un tale monile doveva assolu-tamente restare in famiglia e non cadere in mano ad estranei.

Tanta avidità, a lungo nascosta, disgustava Maria che candidamente nonrilevava tutta la specularità esistente tra lei e la cugina. Questa, d’altra parte,intensificava vieppiù l’assistenza e, adesso, dormiva nella camera da letto diMaria, su uno scomodo divano, per rispondere prontamente alle continue chia-mate e richieste dell’inferma, in quelle sue notti insonni e insopportabili. E Ma-ria si aggrappava alla cugina, anche se, nel volto sempre sorridente e nell’at-teggiamento tanto premuroso, le sembrava di leggere la propria morte.

Decise di convocare, finché era lucida la mente, il notaio di famiglia perdettare le sue ultime volontà. Il notaio venne al letto della Volpona, con la pro-fessionale sollecitudine che il caso richiedeva. Era scortato da due sue impie-gate tutto fare; anche fungere da testimoni.

La Volpona volle che nessun altro, e tanto meno gli interessati, fosse pre-sente all’atto.

Con questo nuovo testamento Laura veniva proclamata erede e la don-na, che origliava alla porta, se ne rallegrò. Ma non udì il seguito per cui il “SanPio” veniva dato in legato alla Parrocchia, sia pure con l’obbligo di mantenerequale amministratore il figlioccio Carlo.

Vi erano poi altri cospicui lasciti a favore di Istituzioni benefiche, e qual-cosa andava pure alle due domestiche e all’infermiera; nonché alla vicina di casa,che si prendeva anche i due agognati mobili antichi. Sorprendentemente l’anel-lo tanto desiderato da Laura veniva assegnato a Gianna in segno di rappacifi-cazione.

In definitiva, Laura ereditava il solo appartamento dove abitava con Ma-ria e alcuni terreni agricoli di modesto valore. “Quale ingratitudine!” avrebbepoi detto Laura alla lettura del testamento, e “Vergogna!”, riferendosi agli al-tri beneficiari, che riteneva tanto intriganti quanto immeritevoli.

La Volpona si sentiva in pace con la sua coscienza; e tuttavia la rattrista-va il pensiero di doversi separare dai suoi beni, che sentiva quasi come una por-zione delle proprie viscere; e in favore di persone di cui ben poco le importava.

Quanto alle prospettive per l’Aldilà, la Volpona riteneva di aver regola-to soddisfacentemente i conti al termine della sua vita. E volentieri si abban-donava a quella Fede in cui, misericordiosamente, non occorre migliorare persalvarsi.

***

Nonostante tutto, Maria non disperava di vivere ancora qualche anno. Idolori erano sedati e il geriatra le aveva assicurato che negli anziani i tumoriprocedono lentamente.

Ogni giorno la Volpona dedicava qualche ora alla lettura di testi religiosi– in particolare quelli che parlavano di miracoli – e di giornali finanziari, per poitelefonare a Don Carlo e all’agente di Borsa per i chiarimenti di competenza.

Questa mescolanza d’interessi religiosi ed economici nella Volpona nondeve sorprendere e tanto meno essere rimproverata se si considera che tuttala storia della Chiesa militante ne è impregnata e che a tutt’oggi banche ed al-tari, conventi e alberghi convivono pacificamente e fruttuosamente l’uno ac-canto all’altro. Del resto, se si allarga l’orizzonte temporale, già il poeta lati-

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no parlava di sacra auri fames. E, venendo a più modesta citazione, lo stesso“San Pio” era, sulle tracce del Santo, una felice combinazione tra i due elemen-ti, tale da portare all’esenzione dell’Istituto da ogni balzello passato, presen-te e futuro e alla giusta assoluzione in giudizio della Volpona.

***

Recuperate un poco le forze, Maria aveva ripreso a recarsi alla Casa diRiposo, e già in giro si parlava di una seconda miracolosa guarigione.

Un giorno Maria volle salire alle camere degli ospiti per invitarli a scri-vere, in un apposito registro, eventuali rimostranze circa il trattamento lororiservato in Istituto. Un vecchietto, credendosi preso per i fondelli, inferocito,si avventò contro la Volpona brandendo un tagliacarte. La donna arretrò, per-se l’equilibrio e cadde pesantemente al suolo.

E qui, di fronte all’iniziativa benevola di Maria e alla sconsiderata reazio-ne dell’ospite, sia permesso osservare amaramente come, in questo mondo, del-le azioni malvage ci si penta qualche volta, delle buone quasi sempre.

La Volpona fu soccorsa prontamente, mentre lo sconsiderato vecchiet-to si ritirava, ringhiando, in un angolo della camera.

Da quel momento le condizioni di salute di Maria ebbero un brusco peg-gioramento. Adesso era il cuore che risultava indebolito, forse per la malattiache avanzava, per le troppe medicine assunte, ma anche per lo spavento chela proditoria aggressione le aveva procurato. Ma non solo per questo.

Un giorno, mentre era in visita da Maria Don Carlo, che le parlava, a con-forto, delle beatitudini celesti, squillò il telefono e il sacerdote udì una voce con-citata e la Volpona che, tutta in affanno, chiedeva “Come va oggi la Borsa?”.

Don Carlo era proprio accanto a Maria e sentì distintamente la voce che ri-spondeva: “E’ il default, signora, il default. Qui stiamo chiudendo gli sportelli.”

E con essi, si chiuse, d’improvviso, la vita della Volpona.

FINE

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UNA POESIA

di Rodolfo Di Biasio

Tetti rossi

Sono poche le case che hanno tetti,quelli rossi di una volta,quando la pioggia vi battevae le rondini sbirciavano dal nidola nenia delle gocce alla grondaia.

Non c’è giorno che non ne muoia uno:e viene il cementoche la superbia scaglia verso il cielocon lucide pareti.Né i passeri vi cantanoSpinti, come sono, nella selva.

È una morte silenziosacome tutte le morti.A vegliare un mondo che scomparesono pochi, i vecchiche hanno accanto la morte.

(da Poesie dalla Terra)

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MANATI E TRAMONTIFRA I BORDI FRASTAGLIATI DELLE KEYS

di Milena Buzzoni

Non stupisce questa laguna vista dall’alto con isole coperte di vegetazio-ne e grattacieli bianchi lungo il margine dell’acqua. E’ la città di tanti film e te-lefilm, da Miami Vice a Scarface, degli inseguimenti sui ponti e i cavalcavia chela intersecano, delle spiagge, delle onde percorse dai surfisti, delle finestre spa-lancate su baie di palme e motoscafi, dei caffè al sole e delle basse villette conl’auto parcheggiata davanti al box e il prato rasato attorno.

Dopo due ore di coda per ritirare la macchina a noleggio, ne perdiamo un’al-tra buona per interpretare il navigatore che si ostina a tacere. Finalmente pren-de il satellite e arriviamo a Miami Beach con un tramonto che sale tra i gratta-cieli alle nostre spalle. Siamo vicini ad Halloween e uno scheletro con mantelloe falce ci accoglie nella hall del “Nassau Hotel”, 14° strada di Miami Beach, a po-chi passi dalla spiaggia. Anche questo, come la quasi totalità degli edifici dellazona, è un esempio di architettura decò: disegni geometrici, piastrelle, scanala-ture, tinte pastello. Li scopriremo la mattina successiva perlustrando il quartie-re sotto un bel sole limpido che però non riesce a temperare il vento piuttostofreddo lasciato dal passaggio dell’uragano Sandy, adesso su New York.

Spesso chiamata “la riviera americana”, Miami Beach, un secolo fa, era unastriscia di sabbia raggiungibile solo in barca. La costruzione di un ponte nel 1913permise di avviare lo sviluppo dell’isola che, dopo alterne vicende, rifiorì neglianni Trenta con la costruzione di centinaia di palazzi Art Decò che ne costitui-scono la più alta concentrazione al mondo. Il meglio del quartiere di South Be-ach, formato da circa 800 palazzi, si trova su Ocean Drive, la famosa passeggia-ta a mare dove si incontrano, tra uno stile chic e bohèmien, modelle, palestrati,attori, gay nonché auto d’epoca e lussuose vetture sportive. Fu Barbara Capitana fondare, nel 1976, la lega per la tutela artistica di Miami Beach, quando la zonasembrava destinata a sparire sotto il cemento dei grattacieli. Nelle facciate di que-sti edifici, per la maggior parte hotel, si mescolano diversi stili che vanno dallegeometrie del Decò tradizionale, al futuristico Streamline con torri e strisce, alRevival mediterraneo con finestre ad arco e tenui colori. Palazzi non molto alti,una vegetazione rigogliosissima, zone pedonali, caffè, ristoranti, negozi rendo-no piacevole la nostra passeggiata in attesa del tour pomeridiano. Il pullman at-traversa i quartieri residenziali di Coral Gables, Coconut Grove, Little Avana. Unasosta ci porta al primo insediamento preistorico di Miami, scoperto nel 1998 echiamato “Miami circle”: 24 buchi di palo tagliati nella roccia e disposti in circo-lo risalenti a 2000 anni fa. Gli archeologi ritengono che sia stato opera degli in-diani tequesta, i più antichi abitanti di cui si abbia notizia in queste zone, la cuicultura resta praticamente sconosciuta: la tribù venne quasi interamente distrut-ta dall’arrivo degli Spagnoli, che portarono violenza e malattie sconosciute, e isopravvissuti si unirono ai locali indiani seminole (un’alterazione della parola spa-gnola cimarrones che significa “gente libera” o “selvaggia”). Dopo la vendita del-

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la Florida agli Stati Uniti nel 1821 e due lunghe e sanguinose guerre contro que-sta tribù concluse senza nessun trattato di pace, i Seminole continuano a con-siderarsi “un popolo mai sconfitto”. Quelli di loro rimasti in Florida, una comu-nità di non più di 3000 persone, sono ora organizzati sotto un governo tribalee gestiscono niente meno che la catena mondiale dell’Hard Rock Café, acquista-ta nel 2007 per 965 milioni di dollari ricavati dalle entrate del gioco d’azzardo!

Proseguiamo il nostro tour tra palme, banani, bamboo, Bengali tree dal-l’enorme fusto composto da molteplici tronchi che circondano case a un pia-no con giardini perfettamente tenuti.

Il giro con il battello ci fa scoprire dal mare le magnifiche ville affacciatesulla baia in contrasto con la spinta verticale data dalla prospettiva dei gratta-cieli. Gli eleganti edifici lungo l’acqua sembrano non voler disturbare il paesag-gio: ci si nascondono piuttosto e verso sera, quando il cielo diventa violetto e siaccendono i fanali, il tutto assume la suggestione di un imbrunire familiare, an-tagonista dell’avvenirismo delle costruzioni più moderne. Il battello procede scor-tato dal guizzo dei delfini in un paesaggio quanto mai vario: navi-containers, tran-satlantici da crociera, yacht, barche da pesca. Ogni villa ha il proprio motosca-fo parcheggiato davanti e, soprattutto quelle dei vip più famosi come Frank Si-natra e Cher, sono immortalate dagli scatti dei turisti che affollano il battello. Con-statiamo che le toilettes della nostra imbarcazione sono piuttosto fatiscenti e man-canti d’acqua; in fondo siamo soddisfatti della scoperta: in tutta questa profu-sione di efficienza, una lieve imperfezione ci fa sentire a casa!

Riprendiamo il pullman, dove il nostro autista, un esagitato ispanico, ciintrattiene scherzando e cantando. Tra i passeggeri, due coppie di tranquilliragazzi neri, una con un giamaicano rasta e una bianca grassottella, un’altra,di recente formazione, di avvenenti cinquantenni californiani che si scolano unabirra dietro l’altra.

Lunedì, mattinata soleggiata e fresca. Ancora una passeggiata sull’Oce-an Drive dove ragazze molto carine ci invitano ad entrare nei loro locali a farcolazione e dove ragazzi muscolosi si allenano nelle aree attrezzate lungo laspiaggia. Il mare ci accompagna nel nostro percorso dietro una duna copertada bassa vegetazione. Con un taxi raggiungiamo la Bay Side un centro commer-ciale sull’acqua a ridosso della struttura circolare dell’Hard Rock Caffè. La strut-tura è a diversi piani con caffè e chioschi di hot dog. Giriamo tra i negozi dimerce varia, ma non c’è niente che valga la pena di essere comprato. Tornia-mo a Miami Beach per prendere la nostra auto, un enorme, molto americano,suv chevrolet, e raggiungere Key Biscane, l’isola dove si disputano i famosi tor-nei di tennis. E’ un vero paradiso della natura con strade larghe che la inter-secano e una vegetazione che si infittisce per diventare, a ridosso dell’acqua,quasi una giungla, anche se organizzata con sentieri e panchine. Ne percorria-mo il bordo esterno e scrutiamo il mare tranquillo nella speranza di scorgereuno di quegli enormi pesci, chiamati manati, che nuotano nelle tiepide profon-dità della Florida. Si tratta di gentili, curiosi, colossali mammiferi che, nono-stante i 450 chili di stazza, giocano a fare surf sulle onde, pare, da più di 45milioni di anni! Timidi e lenti, non hanno alcuna difesa a parte le loro impo-nenti dimensioni e sono spesso vittime delle eliche delle imbarcazioni di pas-saggio: fenomeno che ne costituisce la prima causa di morte. Arriviamo a unaltissimo faro ottocentesco, smagliante nel suo candore, che sorveglia la spiag-gia e svetta tra le frange lucide delle palme. Dalla terrazza di un ristorante poco

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affollato, lanciamo qualche pezzetto di frutta a una famiglia di procioni qui piut-tosto familiari. Si alzano sulle zampe posteriori e ci guardano riconoscenti dal-le loro mascherine bianche e nere.

In pomeriggio ci aspetta il primo di numerosi appuntamenti con il tra-monto: qui dove la natura è protagonista, andarlo a vedere diventerà un ritoquotidiano, un omaggio a queste chiare giornate che si congedano accenden-do falò nel cielo.

La ristrutturazione del “Mondrian Hotel” si ispira ad Alice nel Paese del-le Meraviglie: colonne intagliate come gigantesche gambe di tavoli, candelabria cascata, mattonelle importate da Delft con immagini balneari al posto dei mu-lini a vento, e muri magici con volti di celebrità che cambiano forma. Attraver-sato l’ingresso, usciamo sulla terrazza affacciata direttamente sul mare e, inattesa del sunset, ordiniamo caipirinha e mojito, chiudendoci le giacche finoal collo perché si è alzato un forte vento non propriamente tiepido. Cerchia-mo di goderci lo stesso una straordinaria skyline con il sole tra le sagome deigrattacieli e la luce che si spegne tra i padiglioni velati, i lettini, la piscina e lepalme della terrazza del” Mondrian”.

Ceniamo sulla Lincoln Road al “Van Dyck” caffè, uno dei più noti presi-di turistici, a buon prezzo, con cibo discreto tra cui una carbonara veramen-te ottima! Serata a gironzolare tra la folla della zona pedonale, i ristoranti al-l’aperto, i negozi e le gallerie d’arte .

La mattina seguente lasciamo il” Nassau Hotel” per iniziare il nostro tourdella Florida. Ci dirigiamo verso nord, destinazione Vero Beach con sosta a PalmBeach, l’isola che il magnate Henry Flagler, primo costruttore del sud della Flori-da, creò come un parco giochi invernale per i ricchi di fine Ottocento. Negli anniVenti, l’architetto Addison Mizner trasformò l’aspetto del luogo costruendo splen-dide ville in stile spagnolo. Negli anni Sessanta, d’estate, la città era praticamen-te chiusa, mentre oggi è aperta tutto l’anno ma frequentata soprattutto d’inver-no. Alti viali di palme tagliano perpendicolarmente la zona delle ville di solito aun piano o articolate in vari padiglioni; davanti e attorno prati talmente perfet-ti da assomigliare piuttosto a tappeti di verde moquette e siepi rigorosamente squa-drate. Nulla è fuori posto, le strade immacolate, le facciate appena restaurate, igiardini usciti dalle pagine di un trattato di architettura del paesaggio.

Arriviamo a Vero Beach e ci dirigiamo subito alla scoperta della casa sull’ocea-no della cognata americana di Fede. Sulla A1A, tra la fitta vegetazione che separala strada dalla spiaggia, non è facile individuare l’accesso di questa villa di cemen-to armato fatta come una ciambella, che porta al suo interno una piscina a mez-zaluna circondata, sia sul pavimento che sui muri, da fantasiosi mosaici di piastrel-le. Finalmente Fede riconosce l’accesso e riusciamo a visitarla dall’esterno giran-do attorno alla casa fino ad arrivare al mare. Il colore e i disegni delle mattonelleche ne ornano l’interno contrasta con l’uniforme color ocra del basso edificio chesomiglia a un disco volante. Torniamo verso il centro di Vero Beach alla ricerca delfamoso Driftwood Resort, costruito nel 1935 da un eccentrico personaggio loca-le con legname di recupero. Gli edifici che lo compongono sono molteplici e crea-no una specie di villaggio tutto in legno caratterizzato, in questi giorni, dall’icono-grafia di Halloween, dalle ragnatele alle streghe, agli scheletri, alle zucche. Decidia-mo di cenare qui: l’ambiente è molto accogliente e cominciano ad entrare perso-ne mascherate: pirati, ammiragli, diavoletti, ma anche tutù, piume, code e insoliticappelli! Constatiamo con soddisfazione che, a parte noi, non ci sono turisti: sia-

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mo capitati in uno spaccato di America vera, una Florida dove anche gli anziani nonrinunciano a divertirsi. I ristoranti sono pieni, le candele accese e qualche vecchiet-ta appoggiata a un girello con il suo cappello da strega scende da un macchinoneper la sua serata di festa. La piscina, all’esterno del Driftwood crea un unico chia-rore con la scia della luna piena sul mare. Su una pedana una coppia di giovani suo-na e canta; purtroppo fa freddo e non riusciamo a stare fuori per molto.

Giovedì partenza alle nove alla volta di Naples, costeggiando l’Okeecho-bee Lake, un enorme bacino, secondo per estensione negli Stati Uniti, paradi-so delle più svariate tipologie di uccelli: riusciamo a fotografare aironi blu, cor-vi e uno stormo di sinistri avvoltoi che, con le loro inconfondibili ali frastaglia-te, planano sul bordo del lago contendendosi una preda. Ci fermiamo lungola strada a mangiare una pizza prima della successiva tappa sull’isola di Sa-nibel, dove la spiaggia è una distesa bianca di conchiglie frantumate.

L’obbligo dei limiti di velocità rallenta la nostra andatura e raggiungiamoNaples quasi alle cinque. Troviamo un piccolo albergo, il “Lighthouse Inn”, a duepassi dal mare, per la modica cifra di 65 dollari e ceniamo ad aragosta su unapiattaforma di legno, proprio dietro l’albergo, con una suggestiva vista sul ca-nale rischiarato da una perfetta luna piena e dai fanali delle case sulla riva.

Il giorno successivo sarà quasi interamente dedicato alle Everglades. Leraggiungiamo attraversando zone di fitta vegetazione e radure dove spesso sonoriunite le tipiche case prefabbricate montate su ruote.

Entriamo nell’Everglades National Park con un biglietto d’ingresso di 10dollari (5 se fossimo in bicicletta) e ci troviamo in un’area che non può essereconsiderata solo una zona umida o semplicemente una palude, un lago, un fiu-me, una prateria o una distesa d’erba: è un insieme di tutto questo che si me-scola a una serie di ampi paesaggi con isole alberate, rettili dall’aspetto prei-storico, uccelli di ogni tipo, dall’aninga che flette le ali prima di librarsi in untuffo a spirale all’airone azzurro con il suo lento volo.

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Quando i bacini della Florida centrale esondano, le acque si riversano nelterritorio che digrada verso il Golfo del Messico, in una zona sotto il livello delmare. La lentezza del flusso (un quarto di miglio al giorno) conferisce al paesag-gio in costante movimento, un’apparenza di immobilità. Non sorprende che gliindiani Calusa chiamassero l’area Pa-hay-okee (mare d’erba). L’ambientalista Mar-jory Douglas coniò l’espressione River of grass (fiume d’erba) e nel libro dall’omo-nimo titolo racconta che Gerard de Brahm, un cartografo d’epoca coloniale, chia-mò la regione River Glades cioè “paludi erbose del fiume”, poi evolutosi in EverGlades nelle carte inglesi dei periodi successivi. Alimentate soprattutto dalle ac-que deviate in una serie di canali dell’Okeechobee Lake , non solo costituisconoun filtro per gli agenti atmosferici inquinanti, ma fanno anche da barriera controgli uragani. Le attraversiamo a bordo di un trenino che percorre una stretta stra-da asfaltata creata nel 1945 e fotografiamo alligatori (più piccoli dei coccodrilliqui inesistenti) dall’aria pigra e sorniona, uccelli, tartarughe, pesci.

Lasciate le Everglades, arriviamo al “Lime tree bay Resort” di Long Keyproprio all’ora del tramonto che ci godiamo da questa tropicale postazione incui il basso edificio in legno dell’hotel è fronteggiato da un giardino affaccia-to sull’acqua e ombreggiato da palme, immancabili mangrovie, bouganville elignum vitae, un albero locale molto diffuso dai piccoli fiori celesti.

Ceniamo a sei miglia verso nord a meno di 20 dollari a testa con pesce,il solito contorno di riso e fagioli, e birra. Il giorno seguente percorriamo su egiù la One fiancheggiata dall’Atlantico a est e dal Golfo del Messico a ovest. Quae là compaiono piccole isole di mangrovie che spuntano dall’acqua come aiuo-le. Non troviamo le bianche spiagge tropicali che ci si potrebbero aspettare inquesti posti, perché le mangrovie occupano interamente la cimosa terrestre cre-ando brevi accessi al mare. E neppure riusciamo a scorgere la sagoma di qual-che manate capriolante nell’acqua trasparente. Ci rifacciamo con qualche orain piscina in attesa del secondo tramonto qui a Long Key.

Per cena raggiungiamo Robbie’s Marina, il porto turistico di Islamoradache non è solamente una banchina per le imbarcazioni in partenza per la pe-sca d’altura, ma un luogo pittoresco dove si può cenare a buffet assaggiando,per 30 dollari, ogni sorta di pesce o salire su un pontile di legno dove il Wa-hood’s Restaurant, affacciato sul porticciolo, permette di guardare i pellica-ni appollaiati sui pali d’attracco. Ovunque sono esposti enormi pesci imbalsa-mati frutto delle più spettacolari battute di pesca.

La mattina seguente partenza per la leggendaria Key West, l’ultima del-le isole percorse finora, a sole 90 miglia da Cuba. Anche questa strada corresul mare e per un tratto è affiancata da un lunghissimo ponte dismesso, in-terrotto qua e là, sul quale qualcuno corre e qualcun altro pesca.

Arriviamo finalmente a Key West penetrando in uno spaccato di Ame-rica ottocentesca, con casette di legno dai tenui colori e dai tetti a spioven-ti, fronteggiate da verande con il tipico “sopracciglio” intagliato per ripara-re dal sole e collegate alla strada da una scala larga e bassa. Le vie si inter-secano perpendicolarmente e i loro nomi sono scritti in verticale sui pali del-la luce; sugli angoli, incrociamo ville liberty, di solito trasformate in hotel,banchi di frutta, chioschi per la vendita delle escursioni alle isole vicine. Tro-viamo il nostro albergo senza difficoltà e, visto che manca circa un quartod’ora, ci affrettiamo fuori per raggiungere il punto più panoramico dell’iso-la e fotografare anche questo tramonto. Percorriamo di buon passo un’af-

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follata Duval street, l’arteria principale della Old Town, anch’essa caratte-rizzata da un susseguirsi di piccole case in legno dai colori pastello: ognu-na è stata trasformata in un albergo, in un ristorante, in un locale o in unagalleria d’arte e musica dal vivo suona a tutte le ore rendendo ancora piùvivace l’atmosfera. Arriviamo all’appuntamento con il nostro sunset, la Mal-lory Square, giusto in tempo per vedere , tra la ressa che si è concentrataqui, i bagliori di un sole che dà fuoco a tutto l’orizzonte creando uno sfon-do pennellato da tutte le sfumature del rosso, in contrasto con la nostra po-stazione, un porticciolo dove dondolano bianche imbarcazioni su un placi-do mare senza colore. Qui è tutto un via vai di gente giovane e allegra conbicchieri appannati in mano e macchine fotografiche al collo. Torniamo in-dietro ripercorrendo con calma la Duval con soste d’obbligo nei negozi e nel-le gallerie, in attesa dell’ora di cena. Abbiamo scelto il Blue Heaven, a ridos-so della strada principale, dove si consumano le pietanze in un vasto cor-tile, lo stesso in cui Hemingway arbitrava gli incontri di boxe. Il bar è alle-stito sotto un grande chiosco di legno, le toilettes sono collocate all’inter-no di un edificio adiacente, ricavato da un ex bordello, la musica dal vivoviene da una chitarra e da una voce solista che ricorda i gorgheggi di Are-tha Franklin! I gamberi cotti sul barbecue e conditi con una salsa speziatasono buonissimi come la famosa torta di lime delle Keys, croccante e rico-perta da una soffice meringa.

Dedichiamo la mattina successiva alla visita della casa di Hemingway, chevisse qui dal 1931 al 1940, con la seconda moglie, fashion editor di Vogue, ei figli Patrick e Gregory. Si tratta di una casa coloniale in stile spagnolo cir-condata da un’ampia poggiolata che gira attorno al secondo piano, sulla qua-le si affacciano le stanze. Nello studio, sistemato in un piccolo edificio sepa-rato, collegato alla casa da una passerella, furono scritti il racconto “La brevevita felice di Francis Macomber” e i romanzi “Verdi colline d’Africa”, “ Averee non avere”, “Per chi suona la campana”. Ma sull’isola lo scrittore non si limi-tava a lavorare: tutti conoscono le sue leggendarie battute di pesca e la pas-sione per il mare. Nel giardino della villa, la moglie Pauline gli fece costruireuna piscina di acqua salata il cui costo fu talmente elevato che l’artista con-ficcò “il suo ultimo penny” nel cemento del bordo esterno della vasca. La mo-neta è ancora qui insieme ai discendenti del suo famoso gatto con sei dita: sul-le panchine del giardino, sulle soglie delle finestre, sui cuscini del letto matri-moniale la cui testiera è un vecchio cancello spagnolo, sulle poltrone, sui tap-peti questi gatti dalle zampe enormi, incuranti dei visitatori, sonnecchiano conun’annoiata aria di superiorità. Nel 1940 Hemingway lasciò l’isola e riparò aCuba con la terza moglie. La casa fu venduta e successivamente trasformatain museo. Nel 1968 fu riconosciuta patrimonio nazionale.

Usciamo e continuiamo il giro di Key West. Arriviamo al mare curiosi divedere anche noi il sito turistico più sopravvalutato e più fotografato dell’iso-la! Il Southernmost Point è un’enorme boa rossa e nera che segna il punto piùmeridionale degli Stati Uniti (quello vero in realtà è situato all’interno della basenavale dietro l’angolo, che è off limits!) e la distanza minima (90 miglia da Cuba)da Cuba.

Come tutti i luoghi di frontiera, le Keys hanno sempre attratto le perso-nalità più eccentriche e un po’ borderline. Qui, frontiera estrema degli Stati Uni-ti, si danno appuntamento le più svariate culture che possono contare su va-

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ste sacche di tolleranza e anticonformismo: hippy, redneck, omosessuali, ar-tisti, residenti stranieri e turisti convivono in un vivace scambio di energie. Cer-to non è più l’isola degli anni Ottanta e Novanta, quando giovani nerboruti eabbronzati tiravano rishò coperti solo da un perizoma, gay di ogni età si sba-ciucchiavano per strada e la maggior parte dei negozi erano sexy shop… Nonpiù. Fede, che la conosce dalla fine degli anni Settanta e ci è vissuto per mesi,constata con un certo rammarico che la trasgressione è scomparsa per lascia-re il posto a morigerate famiglie con bambini, anziane coppie di americani invacanza, turisti di vario genere, anche se ogni tanto qualche hippy attempato,con barba e lunghi capelli bianchi, ancora si fa notare con un’improvvisa ac-celerata della sua Harley Davidson!

-Che delusione!- ripete Fede –che delusione!--Ma vuoi scherzare? – obietto- E’ un’isola deliziosa! Queste romantiche

abitazioni caraibiche sono addirittura commoventi! Unite a una folla allegra cheentra e esce dai negozi, che gira per i locali, alla musica che riempie le strade,ai fiori, alle piante creano un insieme piacevole e indimenticabile!-

- No! - insiste - Non è più la Key West che ho conosciuto! Niente sexy shop,niente transessuali, niente di niente! Che peccato! Era uno spettacolo, una veracomedie humaine che si poteva vedere soltanto qui!- E non si sa se rimpian-ga di più la fine dei suoi anni ruggenti o di quelli di Key West…

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UNA POESIA

di Guido Zavanone

DE SENECTUTE

Com’è duro il mestiere di viverequando tuttoci chiede di far posto alle vite nuove che incalzanoe intorno a noi ad uno ad uno muoionoquelli che amiamo.Guardiamo smarriti e sgomentiquesta giostra impazzitadi morti e di vivi sperandoche tutti gli eventisiano frutto del casoe non di un disegno spietato.E le mille pupilledel cielo e del maree gli occhi di tutto quello che vivefissano impazienti e impietosinoi tardi ostinati a restare.Com’è duro il mestiere di viverequand’è suonata l’ora di morire!

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VENEZIAACQUA, PAROLE E PIETRE

di Giuliana Rovetta

Se l’omaggio a Venezia rischia di sembrare ovvio, prendiamo allora provo-catoriamente spunto dalle parole pronunciate da D’Annunzio in occasione dellaprima Biennale d’arte in laguna. Siamo nel maggio 1895. Nel discorso di chiusu-ra, ascoltato da un folto pubblico, il Vate contesta con foga la concezione roman-tica di una Venezia in progressiva decomposizione, secondo lo stereotipo privi-legiato da artisti in vena di languide fantasticherie, per sviluppare invece l’imma-gine di una città capace di sprigionare vitalità e di convogliare le sue energie ver-so realizzazioni di tipo commerciale e industriale. Per D’Annunzio la vera stagio-ne d’oro veneziana non è tanto quella che ha visto la città lagunare primeggiarenegli scambi di spezie, gemme e sete preziose, ma piuttosto quella più aggiorna-ta che la accrediterà nel nuovo secolo come luogo ideale per il dibattito delle idee.

Il cliché di Venezia “gloria morente”, più cara al cuore dei suoi estima-tori nei giorni della disgrazia e della desolazione che nel momento della pie-na magnificenza, attraversa come si sa le pagine di molti poeti: Byron, affasci-nato dal visibile deteriorarsi dei palazzi sui canali, mentre è ormai spenta lamusica che prima colpiva a ogni istante l’orecchio, constata nostalgico: “Queigiorni sono passati, solo la bellezza è rimasta.”1. La città che descrive nel re-soconto del viaggio di Aroldo in Italia è sottratta agli schemi della storia tan-to quanto alle leggi mercantili: sembra un luogo senza passato, un’entità sor-ta dalle onde “per un colpo di bacchetta magica”. Giunto nella città lagunareintorno al 1806, una decina d’anni prima di Byron, ma comunque sempre dopoche il trattato di Campoformio aveva decretato la fine della Repubblica, smor-zando le magiche luci e i loro suggestivi riflessi in laguna, Chateaubriand, ugual-mente ne apprezza l’aspetto “esangue” che suggerisce snervanti rêveries, mo-dellate su capricciose fantasticherie o su miraggi orientaleggianti2.

Esiste però anche un’altra Venezia che, superata l’emergenza futurista d’ini-zio secolo, specchio di una città “estenuata e sfatta da voluttà secolari”3, permet-te di inquadrare questo luogo in modo inedito: crogiuolo dei valori modernisti, lasua topografia e il suo patrimonio culturale inducono a decifrarne i misteriosi co-dici secondo criteri etici ed estetici novecentisti, proprio per la specifica ambigui-tà delle sue forme, come la fluidità e impenetrabilità degli elementi, la labile con-tiguità fra cielo e mare, il predominio di sentimenti evanescenti e indefinibili4.

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1 George Byron, Childe Harold’s Pilgrimage, 1818; Aroldo, Sansoni, Firenze,1923, traduzione di A.Ricci.2 René de Chateaubriand, Mémoires d’Outre-tombe, 1849; Memorie d’oltretomba, Einaudi-Gallimard,Torino-Parigi, 1995, introduzione di Cesare Garboli, traduzione di Ivanna Rosi.3 Filippo Tommaso Marinetti, Contro Venezia passatista, discorso diffuso con un volantinaggio in800.000 esemplari il 27 aprile 1910.4 Per una visione della città come precorritrice della cultura moderna, R. Mamoli, J. Gery, M. Baci-galupo. S. Casella, In Venice with Ezra Pound, Supernova, Venezia, 2007.

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Già nel Cinquecento c’era chi osservava che a proposito di Venezia cosìtanto era stato scritto e detto da rendere difficile escogitare una nuova moda-lità d’approccio5. Da quel passato lontano ad oggi un coro di voci da Goethe aPlatt, da Foucault a Mary McCarthy, da Jan Morris a Erica Jong ribadisce in tem-pi e con modulazioni diverse lo stesso concetto: niente altro si può trovare dadire, se non personali impressioni, e anche queste spesso non originali, per-ché ogni commento ha già trovato qualcuno disposto a pronunciarlo. Gore Vi-dal poi, con ironia pungente, inaugura un paradosso: sarebbe triste se un gior-no ci fosse qualcosa di nuovo da dire su Venezia... 6. Eppure questo “non dire”si sviluppa in un’infinità di pagine, di immagini cinematografiche, di cronachee ricordi di viaggio: la città, come obietta da Ca’ Foscari Shaul Bassi, continuaa rappresentare “un’insidiosa trappola discorsiva”7. In effetti una volta attrat-ti dalla sua forza magnetica ci si trova imprigionati nella ragnatela dei contro-sensi, delle figure retoriche, dei riferimenti simbolici. Per Calvino “Venezia èuna città fatta solo di eccezioni, esclusioni, incongruenze, contraddizioni”, unluogo in cui il passato dovrebbe sforzarsi di convivere col presente in una di-mensione permeabile ad ogni suggestione e digressione. Ed è sempre Calvinoche per testimoniare l’onnipresenza della città lagunare in qualsivoglia fanta-sia di viaggio trova parole diventate emblematiche come queste, intrise di ine-ludibile nostalgia, con cui Marco Polo si giustifica d’aver omesso al cospettodi Kublai Kan proprio il ricordo della città che gli ha dato i natali: “Ogni voltache descrivo una città, dico qualcosa di Venezia”8..

Nel microcosmo venezia-no vi sono elementi legati a unequilibrio delicatissimo: bastapoco per danneggiarlo. Tra glieventi arrischiati citiamo a tito-lo d’esempio il concerto dei PinkFloyd del luglio 1989, o l’impru-dente liberalizzazione delle licen-ze alberghiere in occasione delGiubileo del 2000, due avveni-menti che rientrerebbero nel-l’ordinaria amministrazione diqualunque città a vocazione tu-ristica. Per Venezia non è così: aldi là dell’anomalia urbanisticaquesta città incarna un modo inedito di stare al mondo e pertanto richiede unostatuto, mentale e materiale, irrituale rispetto agli schemi classici. Il modo stes-so in cui è sorta rappresenta un processo unico: “I palazzi che vedi, le archi-tetture di marmo, le case di mattoni non si potevano costruire sull’acqua, sa-

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5 Pietro Casola (1427-1507), in Robert Davis e Garry Marvin, Venice: the Tourist Maze, Universityof California Press, Berkeley, 2004. 6 Sergio Perosa e Fondazione Cini, Vidal in Venice, album fotografico, Weidenfeld & Nicolson, Lon-dra,1985.7 Shaul Basssi, Venezia tra incanto e disincanto, California Italian Studies Journal, 2 (1), 2011, con-sultabile sul sito http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj.8 Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1971.

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rebbero sprofondati nel fango. I veneziani hanno conficcato nella laguna mi-lioni di pali. Sotto la basilica della Salute ce ne sono almeno centomila; e an-che ai piedi del ponte di Rialto, per contenere la spinta dell’arco di pietra. Labasilica di San Marco poggia su zatteroni di rovere sostenuti da una palafittad’olmo. I tronchi li hanno procurati nei boschi del Cadore, li hanno fatti scen-dere fino alla laguna lasciandoli galleggiare lungo i fiumi, sul Piave”9. Questoinno che Tiziano Scarpa, autore di un’insolita guida sentimentale di Veneziarivolge alla laboriosa inventiva degli artefici di un tale miracoloso agglomera-to, trova il suo controcanto nella presa di posizione assunta in modo alquan-to provocatorio da Régis Débray, figura controversa di rivoluzionario, già fian-cheggiatore di Che Guevara col nome di battaglia di Danton. Nel suo libello Con-tre Venise se la prende con la città dei Dogi: “Ne consommez pas du Venise,raccomanda, perché si tratta di una droga che è dolce soltanto al primo viag-gio”. Al di là del tono messianico del suo pamphlet, le osservazioni di Debrays’innestano sull’impressione non certo infondata che la città, così magica e iso-lata nella sua unicità, abbia un che di artificioso, priva com’è di contestualiz-zazione rispetto al suo hinterland. Come un’isola estranea al resto del mon-do, come uno specchio acqueo senza bordi geografici ma ricco di storia, Ve-nezia occulta i riferimenti al proprio retroterra (Padova, l’Austria, Trieste e laDalmazia), da cui pure trae la sua profondità, l’afflato dei suoi venti, le sugge-stioni di un passato che intensamente la riguarda. Il difetto, sempre rinfaccia-to, sarebbe dunque l’immobilità, quell’attitudine a fermarsi in una contempla-zione narcisistica che fa esclamare a Debray “A Venezia non ci sono più ap-parizioni, ma solo conferme.”10

I due poli d’attrazione che si contendono l’immaginario veneziano ruo-tano tradizionalmente attorno alla raffigurazione della città come luogo di de-cadenza e progressiva corruzione, e qui prende corpo la materia evocativa trat-tata da Thomas Mann, oppure s’identificano in un altro dato, vale a dire la sug-gestione esercitata da una Venezia prevalentemente onirica, ed è questo il casodi Marcel Proust, succube del fascino dei luoghi attraverso il filtro ammalian-te delle pagine di Ruskin. Sia l’uomo, ovvero lo scrittore Proust, sia il Narrato-re della Recherche du temps perdu11, una volta assunta la postura di un diver-so Je, sono magicamente attratti da Venezia. Nel primo caso sappiamo che ilquasi trentenne Proust d’inizio secolo aveva consegnato alla gloria di un suopersonale pantheon tre découvertes care al suo spirito: le cattedrali, soprat-tutto quella di Notre-Dame d’Amiens con l’insolita statua dell’angelo piangen-te, le opere dello scrittore inglese Ruskin e infine la città lagunare con tutto ilsuo corredo di arte architettonica e pittorica. Il famoso testo di Ruskin Stonesof Venice12, un compendio di arte medievale esposto in forma altamente liri-ca, espone varie tesi critiche e stilistiche prima apprezzate ma poi contestatenella loro coerenza storica: l’influenza che questa lettura ha avuto su Proust

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9 Tiziano Scarpa, Venezia è un pesce, Feltrinelli, Milano, 2002.10 Régis Debray, Contre Venise, Gallimard, Parigi, 1995; Contro Venezia, Baldini e Castoldi, Milano,1996. 11 Marcel Proust, À la recherche du temps perdu: il primo volume, Du coté de chez Swann, è pub-blicato da Grasset, Parigi, nel 1913. Gli altri sei volumi sono pubblicati da Gallimard, Parigi, 1918-27; in versione italiana ci riferiamo all’edizione Mondadori, Milano, 1950-51.12 Joseph Ruskin, Stones of Venice, 1853; Le pietre di Venezia, Mondadori, Milano, 1982, traduzio-ne di Jan Morris.

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è andata nella direzione di confermare il primato della sensibilità e dell’istin-to sulla pura conoscenza.

Nella sua vita le petit Marcel si è recato a Venezia una prima volta conl’amatissima madre13, e sappiamo che in quell’occasione resta affascinato dailavori art déco di Mariano Fortuny in particolare dai tessuti creati a partire daimodelli dei quadri caravaggeschi. Questa capacità artistica di coniugareun’estetica di tempi e stili disparati, sviluppata in una città che è la quintes-senza dell’arte, innesca in lui unsenso di spaesamento e la sua sensi-bilità ne è colpita con l’effetto di ac-crescere il legame privilegiato già esi-stente con la città: “Quando sono an-dato a Venezia mi sembrava al tem-po stesso incredibile e semplice cheil mio sogno fosse diventato il mio in-dirizzo”. Così come nella sua vita siconcretizza infine il progetto delviaggio a lungo accarezzato, anchenelle pagine della Recherche l’inten-zione è prima dissimulata e tenuta insospeso sotto forma di una prolun-gata rêverie: il soggiorno nella Vene-zia di Giorgione, di Tiziano e di Carpaccio, in quello che è il più affascinantemuseo all’aperto dell’architettura gotica, è sognato fin dall’infanzia e già nel-l’esordio del primo capitolo la città lagunare viene associata dal Narratore ailuoghi di culto custoditi fra i ricordi giovanili: Combray, Balbec, e Parigi congli scorci preferiti dei Champs-Élysées e del Bois14. Nel caso di Venezia si ag-giungono però fantasie intrecciate su incontri amorosi facilitati dall’estranei-tà al contesto cittadino e anche misteriose suggestioni propiziate dall’impene-trabile ambiente veneziano. Ciò che s’intuisce è che Venezia non è luogo adat-to per Albertine, la donna che si è allontanata da lui senza spiegazioni, e in cuiviene forse adombrata la figura maschile di un uomo veramente amato da Proust,il suo autista Agostinelli. Fin dal primo capitolo di Albertine disparue15, terzovolet della Recherche, il Narratore, mentre cede alla sofferenza per l’improv-visa separazione, fa dipendere il suo impedimento a recarsi a Venezia dalla pre-senza/assenza di lei. Una volta disparue (e non solo metaforicamente, perchéresterà poi vittima di un mortale incidente a cavallo) sarà ancora necessarioaverla dimenticata per poter decidere finalmente di compiere il viaggio tantosospirato. Durante il Soggiorno a Venezia16 non si completa ancora l’emanci-

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13 Il primo viaggio si svolge nell’aprile 1890, in compagnia della madre (che correggerà per lui la tra-duzione da Ruskin della Bible d’Amiens), di Reynaldo Hahn, Frédéric Madrazo e Marie Nordlinger,cugina inglese di Hahn, che durante il soggiorno veneziano legge per lui le pagine di Ruskin. Il se-condo viaggio, più segreto, lo compie da solo nell’ottobre 1900, forse come sopralluogo per ride-finire i temi e i luoghi della sua opera. 14 Marcel Proust, Du coté de chez Swann, Grasset, Parigi, 1913; La strada di Swann (Dalla parte diSwann), Einaudi, Torino, 1937, traduzione di Natalia Ginzburg.15 Marcel Proust, Albertine disparue (La fugitive), pubblicato postumo da Gallimard, Parigi,1925; Al-bertine scomparsa, Einaudi, Torino, traduzione di Franco Fortini, 1951 e Giovanni Raboni, 1993.16 Marcel Proust, Albertine disparue, cit., pp. 207-234.

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pazione dalla incombente figura materna, così determinante al momento del-la partenza17. Citata a più riprese soprattutto nelle prime pagine del capitolo,questa donna amatissima, colta, poliglotta, volitiva, da poco rimasta vedova,sembra condizionare anche la fruizione della città e la lettura che il Narrato-re tenta di darne. A marcare silenziosamente il progressivo distacco, tanto dafargli accarezzare l’idea di fermarsi da solo a Venezia nonostante la contrariavolontà materna, sono due fatti: gli sguardi scambiati con la giovanissima ad-detta a un negozio di souvenirs, sulla cui disponibilità a trasferirsi a Parigi ilprotagonista sembra illudersi, in cerca com’è di un antidoto al veleno denomi-nato Albertine, e un equivoco dai contorni vagamente esoterici che gli fa in-terpretare il testo di un telegramma come indirizzatogli a partire da chissà qua-le zona dell’etere proprio da Albertine, mentre gli è stato più semplicementeinviato da un’amica in carne ed ossa. Due spunti travisati per eccesso di fan-tasia che sono, come si vede, strettamente addebitabili alla città nella sua di-mensione sia di vetrina, in cui si esibisce spontaneamente la grazia femmini-le, sia di collettore di misteriose esperienze. Il parallelismo che si stabilisce trala città e il sentire proustiano è ben illustrato dal dilemma circa la partenza:“Il sole continuava a calare. Mia madre non doveva essere lontana dalla stazio-ne. Presto sarebbe partita e io sarei rimasto solo a Venezia, solo con la tristez-za di saperla addolorata e senza la sua presenza consolatrice. L’ora della par-tenza si avvicinava. La mia irrevocabile solitudine era tanto prossima che mipareva già iniziata e compiuta. Perché mi sentivo solo. Le cose m’erano dive-nute estranee, non avevo più la calma sufficiente per dedurre qualche stabili-tà dai palpiti del mio cuore e introdurla in esse. La città che mi stava dinanziaveva smesso di essere Venezia”18. In realtà il ricordo della città lagunare, ap-parentemente labile, non sbiadirà mai, rimarrà semplicemente sepolto per riaf-fiorare, alla maniera proustiana, in un momento disperato della vita del Nar-ratore. Deluso dalle false relazioni affettive e sociali e dubitando del propriotalento si troverà a rivivere una sensazione di gioia quasi ultraterrena, nel mo-mento in cui, mettendo il piede in un avvallamento del selciato davanti al pa-lazzo dei nobili Guermantes, il meccanismo della memoria involontaria lo por-terà a riconoscere e contestualizzare il ricordo di un simile senso di vertiginegià avvertito nel passato e capace ora di restituirgli la speranza: “E quasi su-bito la ravvisai, era Venezia, di cui nulla mi avevano mai detto i miei sforzi perdescriverla e le pretese istantanee della mia memoria, e che la sensazione, dame provata un giorno su due lastre diseguali del battistero di San Marco, m’ave-va restituita insieme a tutte le altre sensazioni unite a quella in quel giorno, erimaste in attesa -al loro posto, donde all’improvviso il caso le aveva tratte im-periosamente- nella schiera dei giorni dimenticati”19.

Se la Venezia di Proust resta l’inimitabile inquadratura di un’esperien-za soprattutto intima, la Venezia di Mann, malata e contaminata da un’epide-mia che minaccia di coinvolgere gli inconsapevoli abitanti, è il luogo deputa-to a far precipitare un destino. “Questa è Venezia, la bella lusinghiera e ambigua,la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tem-

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17 Marilla Battilana, Venezia, elemento letterario, in Civiltà di frontiera, Campanotto, Udine, 1990.18 Marcel Proust, Albertine scomparsa, traduzione di Franco Fortini, cit., p. 230.19 Marcel Proust, Il tempo ritrovato, Einaudi, Torino, 1951, traduzione di Giorgio Caproni, p. 176.

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po si sviluppò rigogliosa”: così viene presentata da Mann la città scelta dal pro-tagonista di La morte a Venezia, come destinazione per risanare il suo cuoresofferente. Il Lido diventerà invece teatro della sua morte, dopo un’esperien-za che regala alla fine di Gustav von Aschenbach, poeta nel quale viene adom-brata la figura del compositore Mahler, un significato simbolico. Nell’insegui-re, a debita distanza, l’oggetto del suo desiderio di bellezza, solo ambiguamen-te erotico, Gustav sembra spostare in una dimensione totalmente di fantasial’aspirazione a quell’ideale di perfezione che l’adolescente Tadzio incarna a me-raviglia, col suo aspetto efebico, la sua eleganza, il suo giovanile distacco: “Se-parato dalla terraferma da una distesa d’acqua, separato dai compagni dal suofiero capriccio, egli errava laggiù, visione distaccata e senza legami, nel mare,nel vento, davanti all’immensità nebulosa”20.

Mentre Proust convoca per campi e calli tutte le figure del suo personaleteatro immaginario, Mann fa scaturire dalla città grigia e asfissiante le suggestio-ni di un’inconsapevole volontà di contendere alla morte gli ultimi spasmi vitali.In uno stesso sentimento di idolatria si sovrappongono i canali col loro fluire egli elementi topografici veneziani con la personalità del ragazzo idealizzato e ap-pena sfiorato una volta da una carezza sulla nuca. Sfuggente e distante come con-tinua a restare la città, così anche Tadzio non scioglie il suo enigma.

La costruzione dell’immaginario veneziano ad opera di Mann e Proust neidue testi citati, praticamente contemporanei, affonda le radici nel terreno ferti-le del pensiero europeo d’inizio Novecento. Diversamente con The Aspern Papersci troviamo di fronte a uno scrittore di fine Ottocento, un esponente del milieuintellettuale newyorkese, che porta uno sguardo altrimenti strutturato sulla cit-tà (alla quale peraltro ha dedicato una maggior mole di pagine) e di cui Il carteg-gio Aspern è esempio significativo21. I protagonisti del racconto sono un giova-ne ricercatore nordamericano che si stabilisce a Venezia presso un’antica aman-te del famoso poeta Aspern (da cui spera di ottenere nuovo materiale utile peri suoi studi) e insieme la città lagunare che lo avvolge nelle spire delle sue lusin-ghe: una rappresentazione emblematica del conflitto tra l’innocenza e la natu-ralezza di matrice americana da una parte e l’estenuata raffinatezza europea dal-l’altra. L’animo con cui lo studioso di Aspern approda a Venezia è in sintonia conla città. A guidarlo è l’amore per l’arte e soprattutto per la ricerca letteraria, va-lore positivo quando non assume aspetti di eccessiva ossessione o di banale uti-litarismo, il che nel quadro di Venezia, luogo di spaesamento, artefatto per ec-cellenza, è possibile che accada. E tuttavia la città non è il luogo del disfacimen-to come per Mann, né delle reminiscenze oniriche proustiane, ma è soprattuttouna città-teatro: “Non so perché [in tale circostanza] mi accadde di restare col-pito da quella strana atmosfera di affabilità, di parentela, di vita di famiglia checostituisce in buona parte il tono particolare di Venezia. Così senza strade, sen-za veicoli, con le sue calli tortuose dove si formano capannelli di persone, dovele voci risuonano come nei corridoi di una casa, dove il passo umano si posa comea evitare gli spigoli del mobilio e le scarpe non si consumano mai….”. Per Jamesqui tutto sembra svolgersi come in una rappresentazione scenica, e il momen-

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20 Thomas Mann, Der Tod in Venedig, Hyperion, Monaco, 1912; La morte a Venezia, Einaudi, Tori-no, 1971, traduzione di Anita Rho.21 Henry James, The Aspern Papers, in The Atlantic Monthly, 1888; Il carteggio Aspern, Mondado-ri, Milano, 1994, traduzione di Franco Garnero.

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to clou dello spettacolo dovrebbe essere la scoperta del forziere contenente lepreziose carte, mentre a fare da colonna sonora provvede il fruscìo ininterrot-to dell’acqua. Su questo palcoscenico il protagonista del racconto non appare comeun ammirato visitatore ma interagisce, interpretando la parte di un “residenteabituale di Venezia”22: in qualche modo, al di là delle circostanze pratiche che l’-hanno condotto in questa lontana città (invano, secondo la conclusione del rac-conto), è rimasto soggiogato da quelle atmosfere incantate così estranee al suopaese d’origine.

Nell’alternarsi di adesioni fra una Venezia mito della decadenza o inve-ce trionfo dell’art de vivre, Diego Valeri con la sua sensibilità poetica introdu-ce sottilmente un nuovo concetto. La lettura di una Venezia impregnata di “ozio-sa e morbosa e contagiosa tristezza” sarebbe soprattutto patrimonio di spiri-ti che per natura indulgono già di per sé a suggestioni decadenti, come LucienFabre, amico e sodale di Valéry, che in un famoso saggio sulla storia della cit-tà lagunare così inveisce contro la sua inhumanité: “Il mare qui è prigioniero,la luce ingannevole, la luna mercenaria; gli uccelli qui camminano sulla terra,i cavalli sui muri, gli uomini sull’acqua; e gli dei in nessun posto…”23. A lui, ea Maurice Barrès, autore di un indimenticabile saggio24 in cui Venezia, in sin-tonia con l’ispirazione stendhaliana25, assurge a eterno simbolo del culto del-l’io, Valeri contrappone la sua Venezia “città di vita”, ricordando che “Non pernulla è nata qui la più affermativa e libera e gaudiosa pittura che il mondo co-nosca”.26 Rincara la dose Dominique Fernandez: “Chi ha introdotto la vivacitànella musica se non Vivaldi? Nella pittura se non Tiepolo? Chi è stato il mae-stro della commedia italiana se non Goldoni?”27 .

Se Stendhal, visitatore atipico nel primo ottocento di una Milano dallabellezza intrigante con i suoi gloriosi monumenti e il fascino dei Navigli an-cora non coperti, afferma di preferire di gran lunga questa città brillante di vitamondana alla mesta Venezia, è con Roma e Firenze che il filosofo tedesco Ge-org Simmel instaura un confronto da cui la città lagunare esce, a suo giudizio,ancora perdente. Sia Roma che Firenze, con le loro strutture architettoniche,rappresentano la solidità di una realtà retrostante, mentre essendo la dimen-sione in cui vive Venezia quasi irreale, ciò che si rende visibile è pura imma-gine priva di vere radici: una volta avvenuta questa “separazione dall’esisten-te”, la cifra della città resta quella di una colpevole doppiezza, di una bellez-za ingannevole, dissimulata dietro una maschera.28

L’esistenza di Paul Morand, scrittore, diplomatico e instancabile viaggia-tore, è stata lunga (1888-1976), ricca di avventure, intessuta di relazioni, dina-mica e intensa. Venises, città plurale, è un testo scritto nella meditativa pienez-

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22 L’osservazione è di Marilla Battilana, Venezia elemento letterario: strategie di assimilazione in H.Ja-mes, T.Mann, M.Proust, Olschki, Firenze, 1987.23 Lucien Fabre, Bassesse de Venise, Gallimard, Parigi, 1924.24 Maurice Barrès, La mort de Venise, Emanuel-Paul Frères, Parigi, 1916; La morte a Venezia, 25 Stendhal, Rome, Naples et Florence, Delaunay, Parigi, 1817; Roma, Napoli e Firenze, Laterza, Roma-Bari, 1990, traduzione di Bruno Schacherl, prefazione di Carlo Levi. 26 Diego Valeri, Guida sentimentale di Venezia, Passigli, Firenze, 1997, p. 14.27 Dominique Fernandez, Le promeneur amoureux, Plon, Parigi, 1980, p. 28.28 Georg Simmel, Zur Philosophie der Kunst, Kiepenheuer editore, Postdam, 1922. Questa edizione(postuma) riunisce tre diversi articoli Rom, 1898, Florenz, 1906 e Venedig, 1907 già apparsi su ri-viste. Per le citazioni facciamo riferimento a Rome, Florence, Venise, Allia, Parigi, 1998, traduzio-ne di Christophe David, pp. 37-46.

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za dei suoi ultimi anni29 e la città è il prisma attraverso cui la vita di questo scrit-tore si rifrange, svelando significati reconditi. L’esposizione non è quella tipi-ca del memoir ma procede come un distillato di ricordi personali, dalla primagiovinezza (quando “non conoscevo ancora il mio tempo; quel che vivevo erail tempo dei miei, l’aria che respiravo era la loro aria”) all’età matura e, allar-gando lo sguardo, dalla giovinezza all’età adulta di un’Europa ben conosciu-ta e assimilata, e per questo tanto più amata e criticabile. L’osservatorio chia-mato Venezia permette di evocare tutti i cambiamenti storici e sociali, dal bril-lante cosmopolitismo di primo Novecento all’ubriacatura fascista fino all’espan-dersi della società affluente per arrivare alla comparsa dei primi hippies: “Quan-ti anni, mondi, mode, fedi, speranze avrò visto passare sotto le Procuratie, nelviavai del dopocena…I militari del tempo della Triplice, la sciabola sotto il brac-cio, mai abbandonata; i loro calzoni da cavallo a sbuffo, gli stivali flosci stileTor di Quinto [...] Poi le camicie nere, le barbe alla Balbo, ancora calzoni da ca-vallo ma questa volta fino al ginocchio, stile knicher-bocker…Intorno al 1935lo stile mussoliniano cede il passo alle uniformi hitleriane [….] Per seguire laStoria di corsa ora è la Liberazione, dappertutto il giubbotto americano, gli sti-valetti militari con i lacci fino in alto, i bracciali MP, la camicia alla cow-boy, laKodak col teleobbiettivo, le Lucky nella fondina della pistola. Eccoci a oggi: lecapigliature da salice piangente, i pantaloni a zampa d’elefante che spuntanosotto la cerata, una veste ritagliata da vecchie tende che spazza il fango…” Maanche in tono più meditativo: “Venezia riassume, nel suo spazio forzato il miotempo sulla terra”.

Per Philippe Sollers, già enfant terrible del milieu letterario francese, Ve-nezia, a cui ha dedicato molte pagine30 non è un museo, ma una creazione con-tinua. Durante i suoi lunghi soggiorni nella città lagunare, che si sono susse-guiti a partire da 1963, molte pagine sono state scritte per interpretare que-sto luogo che sembra tutto di sé voler esteriorizzare e al tempo stesso nascon-dere e proteggere: perfetta sintesi di passato, presente e futuro, per Sollers Ve-nezia possiede anche un’ulteriore dimensione che è l’infinito in cui si fondo-no tutte le istanze. E conclude il suo omaggio alla città lagunare osservando“Tutto sta a sapere che cosa si viene a fare a Venezia. Ognuno ha i suoi gusti.Per me da molto tempo è semplice: scrivere, respirare, dormire e ancora scri-vere. Qui “31.

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29 Paul Morand, Venises, Gallimard, Parigi,1971; Venezie, Neri Pozza, Vicenza, 1995, traduzione diMaurizio Ferrara30 Philippe Sollers, La fête à Venise, Gallimard, Parigi, 1991. Vedi anche Gaëtan Brulotte, Sollers: versun’esthétique existentielle, Liberté, vol. 33, n. 4-5, 1991.31 Philippe Sollers, Dictionnaire amoureux de Venise, Plon, Parigi, 2004.

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DUE POESIE

di Remigio Bertolino (in dialetto monregalese)

PÈI D’ORFEO

Quand ël ciochéo bata mesdì,chila a traversa la viasventajand ij brasspèi d’un parpajon j’alee a vòla giùvers l’òrt.Con ël man a trombataca a ciamelo:«La mnestra a së sfregiadrinta al piat...»Ma chel peu pa sentilada sota la lòsaland arpòsa da agn...Peu chila artorna sij cercc dl’arbomb:pèi d’Orfeoa sà che a dev nen viresse,che chel fonga ij passdrinta soe trasse ëd lus...As seta al tavoe a mangia ën silensi.Ògni tant campa j’euja l’atr piat che o së sfregia...

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COME ORFEO

Quando il campanile batte mezzogiorno lei attraversa la via sventagliando le bracciacome una farfalla le ali e vola giù verso l’orto. Con le mani a tromba inizia a chiamarlo: «La minestra si raffredda nel piatto...» Ma lui non può sentirla da sotto la lastra di marmo dove riposa da anni... Poi lei ritorna sui cerchi dell’eco: come Orfeo sa che non deve voltarsi, che lui affonda i passi nelle sue tracce di luce... Si siede a tavola e mangia in silenzio. Ogni tanto getta l’occhio all’altro piatto che si raffredda...

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LITRE D’ËNVERN

I.

La litra dë stassèirai la scriv ën brass a la stiva.Ël feu disegnasògn sël feuj.Saveissa sa lengua,tuta lus.Ma ël paròleche fatigaa tirele su dal caramàsensa tajòla,ël piumin gonfi d’ënciòstrcome ël possaj drinta al poss…E peu che sgranfignade,che vërtoj nejsël feuj,drinta l’ànima,mentre ël fiame pàsiescrivo litre ëd lusal neucc d’ënvern,botaj ëd silensi.

II.

Om giutava a scriveël litre d’ënvernël vent.Ronsonand entravadal filure dij veri cioch.Pei d’un vej maestroom virava ëntorn;om piava la mandrinta la soa – fregia –.«Pì fòrsa…» o bësbijavae sofiand sël paròleo-j scrolava, o-j torzavacome ij branch nej,là feura, a la neuccch’i lusivo ëd gibr...

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LETTERE D’INVERNO

I.

La lettera di staserala scrivo in braccio alla stufa.Il fuoco disegnasogni sul foglio.Sapessi questa lingua,tutta luce.Ma le parole,che faticaa tirarle su dal calamaio,senza carrucola,col pennino gonfio d’inchiostrocome il secchio dentro il pozzo…E poi che graffi,che grovigli nerisul foglio,dentro l’anima,mentre le fiamme quietescrivono lettere di lucealle notti d’inverno,botti di silenzio.

II.

Mi aiutava a scriverele lettere d’invernoil vento.Ronzando entrava dalle fessure dei vetri ubriachi.Come un vecchio maestro,mi girava attorno;mi prendeva la manodentro la sua – fredda –.«Più forza…» mi bisbigliavae soffiando sulle parolele scrollava, le torcevacome le ramaglie nere,là fuori, alla nottegemmate di galaverna…

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III.

J’heu scriccna litracon la fiòcaa feme lusdai veri.

«Com o l’è nej l’ënciòstr,»am diva sbalucandme j’euje come ti a grignavadël mie man.«Slòire?»

Peu con ij sò piuminfin finche ëd litre càndiea scrivava a sò moros,sij montruch dl’òrt,sij grisantem sèch,sle spin-e dla s-cioendra …

IV.

Oh mè prussòt,staneucc, ël lecco vira come na barcas’un mar ën tëmpesta.

Feura, ël ventgiuva a cartecon ël faròsche:o jë strenza ën manpeu o-j franda dëscòstsël tavo nej dla neucc.

Àora entra ënt l’ànima dël bòsch;sij veri ij sò basinis fan bianche reuse.

It tje manddrinta sa busta celestche chelcon un sofio sigila.

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III.

Ho scrittouna letteracon la nevea farmi lucedai vetri.

«Com’è nero l’inchiostro,»mi dicevaabbacinandomi gli occhie come te ridevadelle mie mani:«Aratri?»

Poi con i suoi penninifini finiquante lettere d’amorescriveva al suo innamorato,sui monticelli dell’orto,sui crisantemi secchi,sugli spini della siepe…

IV.

O mio amore,stanotte, il lettogira come una barcasu un mare in tempesta.

Fuori il ventogioca a carte con le falde:le stringe in manoe poi le lancia lontanosul tavolo nero della notte.

Ora entra nell’anima del legno,sui vetri i suoi bacisi fanno bianche rose.

Te le mandodentro questa busta azzurrache luicon un soffio sigilla.

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V.

Rùpie ëd silensiënt ij lënseu dla fiòcaland dreuma la neucc,ënt ij mè ëd can-a ch’a ponsa.

Cuchìe ëd silensitra n’ora e soa binela,tra cioché ràucce tor ëd brassabòsch,tra un sògn e l’atr.

Al matin chi consola mè eujdla brasa dël stèile,dla greuja rota dij mè sògn?

J’è dël trasse sla fiòca,reptit, pàssore,i van vers mè sògngià pin-e ëd lus.

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V.

Rughe di silenzionelle lenzuola di nevedove dorme la notte,nelle mie, di canapa che punge.

Conchiglie di silenzitra un’ora e sua gemella,tra campanili rochie torri di edera,tra un sogno e l’altro.

Il mattino chi consola i miei occhidella brace delle stelle,del guscio spezzato dei miei sogni?

Ci sono tracce sulla neve,scriccioli, passeri,vanno verso i miei sogni,già piene di luce.

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I DIALOGHI DI ANGELO MUNDULAPer un’idea di letteratura spirituale e responsabile

di Guido Zavanone

In questo libro – uscito nelle edizioni Feeria nel 2011 – Angelo Mundu-la ha raccolto i suoi interventi letterari sull’”Osservatore Romano” dal 1996 al2005. Questi interventi, che sarebbe improprio e limitativo chiamare recensio-ni, prendono spunto, prevalentemente, dai libri che andavano uscendo via viaad arricchire il patrimonio della letteratura italiana e straniera.

Già nella scelta dei testi l’autore prende posizione rispetto agli accadi-menti letterari del tempo, rappresenta la sua personale visione del mondo, lasua “idea di letteratura”. Di qui l’unità di fondo dell’opera, nonostante la mol-teplicità dei contributi e delle loro occasioni. Si delinea, tra le pagine, il voltodi un critico che è anche, e soprattutto, un poeta, uno dei maggiori nell’attua-le panorama della poesia italiana. Questo “stato di grazia” permette a Mundu-la di affiancarsi, per così dire, agli autori di cui parla, di dialogare con essi –come significativamente c’indica il titolo – in un cammino letterario di ascesaspirituale schiettamente cristiana.

Come scrive nella sua bellissima prefazione Carmelo Mezzasalma – e valeparticolarmente a illuminare il pensiero di Mundula – “soltanto la spiritualitàpuò salvarci da questo nuovo diluvio che minaccia non solo la comunicazio-ne umana, ma anche la sua verità.”

Accanto al dialogo, che è necessario per la crescita dell’umanità, deve es-serci – ci dice Mundula nello scritto che apre, non a caso, la raccolta – “una fit-ta, incessante interrogazione di noi stessi” anche per meglio aggirarci in quellabirinto che è la scrittura, nel mistero della parola.

Per ragioni di spazio potremo soffermarci soltanto su alcune di questeanalisi munduliane, dovendo avvertire che questi interventi sono collocati nellibro non in ordine cronologico, ma raggruppati in otto capitoli, secondo l’ar-gomento principale che li anima.

Nella prima sezione, è notevole particolarmente l’articolo su “i classicidel futuro” di cui ha scritto Giuseppe Pontiggia con un “excursus – scrive Mun-dula – sempre scintillante, volentieri ironico, spiritoso, sorridente” che ci mo-stra come dietro (vorrei dire meglio dentro) quelle parole c’è qualcosa che puòmodificare la nostra vita, può mostrarcene la parte più insondabile e vera, puòrinnovarla con la forza antica e sempre nuova della parola.

In altro articolo si leggono approfondite riflessioni che prendono l’av-vio dal Dizionario dei simboli di Jean Eduardo Cirlot. “Tutta la nostra vita dal-la nascita alla morte è attraversata da simboli”. Attingendo alla sua persona-le, vasta enciclopedia, esemplificando, cita l’Apocalisse in cui si parla di “Al-bero della vita”, di “Acque della vita” e di “Libro della vita”, Platone, secondoil quale, “il sensibile è il riflesso dell’intelliggibile”, San Paolo con il suo illumi-nante Per visibilia ad invisibilia, i Padri della Chiesa e Dante, che ha fondato

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la sua Commedia su basi simboliche. Ma l’autore ricorda anche i Persiani peri quali il palmizio rappresenta “la terra celeste”, i Greci e i Latini che con l’al-loro simboleggiano lo status di poeta, i Cinesi che chiamano il bambù, il susi-no e il pino “i tre amici” esaltandone la fertilità. “Siamo letteralmente assedia-ti da una selva di simboli – conclude -. Tutto ha un nome palese e un nome na-scosto (…). Ogni piccola nostra creazione rimanda alla Creazione”.

Non si può non parlare dell’approccio dell’autore al libro di Pietro Cita-ti La luce della notte. Qui assistiamo alla critica della critica e viene posta inrilievo la straordinaria capacità di Citati di sovrapporsi in qualche modo agliautori di cui dice, dandoci l’impressione che i libri esaminati li abbia scritti lui.Come il grande critico scrisse di Ulisse: “Nessuno conosce, quanto lui, l’arte diappropriarsi e di adattare le più diverse esperienze”. Ma, quello che più con-ta, Citati non si stanca di raccontare il “molteplice”, il “multiforme”, il “colo-rato” delle letterature di ogni tempo “individuando come Chuang-tzu, “l’Unonel mutevole e il mutevole nell’Uno”.

Nella seconda sezione vi è un’attenta rilettura di Leopardi, di cui vieneposta in rilievo l’altissima tempra morale, il suo amore per la pace e la fratel-lanza fra gli uomini contro ogni forma di guerra per salvarsi, come la ginestra,“dallo sterminator Vesevo”.

Le traduzioni in italiano delle liriche del russo Alexander Kusner, ci fan-no conoscere questo grande poeta che risuscita i miti dell’antica Grecia con-tro l’oppressione dei regimi totalitari e proclama che la lirica gioca al rialzo ditutti i valori. Mundula ne parla con ammirazione e in piena consonanza ricor-dandone anche la fede in Dio, quale presenza amica, familiare, insieme cele-ste e terrena.

Dalle pagine ispirate e commosse del Nostro, ci giunge poi l’eco delle vocidei poeti statunitensi, ma anche di quelle “scandite nel ritmo del cuore” dei poe-ti africani, ingiustamente rimasti ai margini della nostra conoscenza, pur con-tando grandi scrittori (si pensi ai nigeriani Wole Soynka e Christofer Okigbo);e viene ricordata la polacca Wislawa Szymborska, grande poetessa pressochéignota in Italia fino al conseguimento del Nobel nell’anno 1996; che – ci dicel’autore – sotto l’apparente leggerezza del verso, spesso venato d’ironia, na-sconde una visione complessa, a volte tragica, dell’esistenza.

In un articolo intitolato Quando il verso diventa alchimia di parole Mun-dula parte, puntuto lo sprone, contro una poetica diventata soltanto una fu-cina di alchimie linguistiche, di funambulismi verbali, di più o meno esercita-zioni formali, senza sostanza e senz’anima”; e contro una critica, che ha per-duto il senso del bello e dimentica che la parola “è lo strumento, non il finedella poesia” se si vuole che questa torni in mezzo alla gente.

La terza sezione è un “caleidoscopio d’immagini e di volti”. Sono quel-li, tra gli altri, di Carlo Betocchi, così consonante poeticamente con Mundula,di Enrico Morovic, da annoverarsi nel cosiddetto “realismo magico”, di NicolaLisi, fondatore della rivista “Frontespizio”, di Stefano e Angelo Jacomuzzi, diGiuseppe Pontiggia, di Carlo Bilenchi.

La quarta sezione è riservata a scrittori sardi, tra cui Sergio Atzeni, Sal-vatore Loi, Costantino Nivola (noto soprattutto come scultore), AntonangeloLieri.

La quinta sezione, dedicata all’arte, inizia con Il viaggio nei Paesi Bassidi Albrecht Dürer. Dice Mundula, del grande incisore: “Con quanta libertà di

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sguardo egli ‘vede’ il mondo che gli sta intorno; e come ne giudica, con quan-ta acutezza di giudizio, ma anche con quanta implacabile precisione”.

Poi Mundula, in due splendide “letture”, che si integrano a vicenda, par-la di Leonardo scrittore, di quegli Scritti letterari che stanno sempre più inte-ressando editori e lettori; e pone in evidenza come la scrittura letteraria di Leo-nardo e la sua capacità inventiva anche in questo campo siano servite a ren-derci più accessibile la sua scienza. Certo questi due articoli meriterebbero unospeciale approfondimento che, almeno in questa sede, non appare possibile.

Le visite dell’autore allo studio di Cézanne e all’atelier di Renoir sono rap-presentate con maestria e ci comunicano forti emozioni; così come il ricordo,venato d’amicizia, di Alberto Burri con i suoi sacchi “ove il colore si spande conla stessa forza del sangue” e “lo strappo” dice “la desolazione dell’uomo nelturbine della guerra”.

Si passa con emozione alla sesta sezione del libro, intitolata Le ragionidel cuore, quella che svela più di ogni altra l’anima profonda dell’autore e, in-sieme, la sua poetica.

E’ “lo scordato strumento / cuore” con il suo rimante “amore” a vince-re la freddezza della ragione, tenendo in vita la vita.

L’amore – dice poeticamente Mundula – è “un albero che mette semprenuove foglie e gemme e dà sempre nuovi frutti. C’è banalità in un albero? Puòdirsi stucchevole e ripetitivo il pesco che conosce un’altra primavera?”

L’amore è anche “invenzione”, è “l’originalità del pensiero che lo dice”.Ed “è il cuore che sente Dio e non la ragione”, come dice Pascal. E la preghie-ra – chiosa il Nostro autore – è un atto d’amore supremo perché si rivolge di-rettamente a Dio, al Creatore, cioè alla fonte prima dell’amore, da cui discen-dono tutti gli altri.

Ancora in questa sezione si affronta una delle domande più ardue chesi pone l’uomo: “Quid est Veritas?”. “In realtà – dice onestamente Mundula –ognuno ha una sua verità, che abita dentro di noi ed è attraversata e resa piùforte dal dubbio, “suo rampollo”, per dirla con Dante; ed ha come faro la vir-tù, come avverte il Manzoni. Per il cristiano la verità è la parola di Dio, espres-sa particolarmente nel Vangelo.

Voglio qui osservare che la religiosità del Nostro non ha fortunatamen-te nulla di chiesastico ed è un rapporto diretto con la Divinità, alto e sofferto,che suscita, anche per il laico, un profondo rispetto. E la sua preghiera è per-vasa da quella confidenza, da quella speranza che, secondo Peguy, trascina lealtre due virtù teologali, solo apparentemente maggiori; e senza la quale la vitaperde senso. Quanti poeti – soggiunge Mundula – anche lontani dalla fede, han-no pregato e sperato scrivendo i loro versi!

Nella settima sezione si leggono alte riflessioni morali, che cerchiamo diriassumere.

Il materialismo imperante ci allontana dai veri valori della vita: di que-sta, come di tutto ciò che ci circonda, non riusciamo più a cogliere il mistero,la magia, il prodigio della creazione, immiseriti in una sorta di meccanismo alie-nante che pone in cima la cosa, la roba, l’utilità. Abbiamo smarrito persino quel-le regole di cortesia e di galateo che erano importanti nel passato e ci aiutava-no a vivere in mezzo ai nostri simili, sostituendole con l’altezzosità, l’arrogan-za e l’uso sguaiato del linguaggio.

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Questa straordinaria raccolta è chiusa, riceve il suo sigillo, dalla sezio-ne dedicata al “sentimento del tempo”. Si parla della vita che nasce, dono diDio, della Grazia, della Resurrezione, in cui Mundula ravvisa una nuova, per-petua nascita. E poi dell’altro estremo della vita, la vecchiaia, vista come acqui-sto di saggezza, di lungimiranza, di conoscenza umana. Si ricorda quanto è scrit-to nella Bibbia: “Vera longevità è una vita senza macchia”. E la vecchiaia ne siail degno compimento.

Poeticamente l’autore dice che la senectus ci dà il privilegio “di domina-re come da sopra un colle tutto lo scenario della vita” e che la vecchiaia, neisuoi aspetti fisici indesiderabili, si sconfigge con la giovinezza dell’anima.

Dal tempo limitato in cui ci è dato vivere si potrà approdare – concludeMundula forte della sua fede, non incrinata dal dubbio – all’eternità.

Noi, con la nostra modesta visuale, possiamo dire soltanto che questolibro, per la sua profondità e acutezza dello sguardo con cui vengono colti gliaspetti letterari più significativi del nostro tempo, per l’attenzione commos-sa e partecipe ai grandi interrogativi dell’uomo e al suo destino, per l’intrepi-da difesa della spiritualità come “giustificazione” dell’esistere dell’uomo nel-l’universo, si è assicurato una giusta durata in quel tempo che il critico-poetaha illuminato con la fiaccola della speranza.

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TRE POESIE

di Aldino Leoni

Il tempoche sembra leniremi fa domandare:ma sono esistiti davverocon mani operose, leggerecon occhi radenti socchiusicon voci?Tu, tempo,lenisci e confondiDissolvipensati e pensantiBen solida lascimestizia

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Si distendono uguali questi tramontisulla collina di gennaioAnni di queste sere, si spegnevala sua voceNoi, tornati dai montie un pappagallo mai visto primasempre ritornare sul davanzaleQuando fu quasi buioe ci si preoccupavaper la fredda nottenel suo corpo equatoriale,fece volo e disparve

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Bruciòbruciò in silenzioe senza danza-un carnevale male interpretato-e di aria fu la sciae qualche sguardo

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LA FILOSOFIA IN GIARDINO

di Rosa Elisa Giangoia

I giardini dell’antica Roma, in città e nelle ville suburbane, delle quali la te-stimonianza più elevata che oggi ci resta è senz’altro la Villa Adriana di Tivoli,esprimono tutto l’insieme della civiltà che li ha prodotti. In essi si fondono si-gnificati religiosi e simboli mistici, con apporti di eredità indoeuropea e contri-buti provenienti dall’Oriente. Questi luoghi inoltre ebbero grande influenza sullapittura e sull’architettura e segnarono profondamente anche la letteratura, cheriflette sempre fedelmente le variazioni del gusto e della sensibilità. Può essere,quindi, interessante, esaminare quale eco i giardini abbiano avuto nella lettera-tura, con particolare riguardo al fatto che essi rappresentano lo scenario in cuisi svolgono diversi dialoghi filosofici di Cicerone. Egli apprezza molto quest’am-biente, in quanto considera il vivere a contatto con la natura, ma senza capacitàdi modificarla a proprio vantaggio utilitaristico o estetico, una delle caratteristi-che dell’uomo primitivo, non ancora consapevole della sua humanitas.1

Dobbiamo osservare che l’arte dei giardini si diffuse a Roma all’epocadi Silla, per cui solo con gli autori di età cesariana questa nuova arte ha potutoesercitare delle influenze sulla letteratura. Negli storici e negli oratori non nesono riscontrabili tracce, mentre indicazioni interessanti si possono ritrovareinnanzitutto in Cicerone, ma anche in Varrone e nei poeti Lucrezio e Catullo.

Cicerone, borghese sradicato, appartenente alla gens Tullia non più con-tadina solo da una generazione2, aveva rotto i legami con la terra come pro-prietà produttiva, ma possedeva case di campagna e dimostrò grande amoreper i giardini e per le proprietà eleganti, quelle che definisce voluptuariae pos-sessiones3, sentimento accresciuto probabilmente dalla sua vanità, anche senon si può negare la sua propensione per le altre novità tipiche dell’ellenismo,dalla scultura alla filosofia. Nei confronti dei giardini egli appare quasi un pre-cursore, soprattutto per il suo divertito interesse per l’attività dei topiarii4,che rappresentano qualcosa di completamente nuovo a Roma.

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1 De inv. I, 2: “Infatti ci fu un tempo, quando gli uomini vagavano qua e là nei campi come bestie eperpetuavano la vita con rozzo sostentamento e senza alcuna razionalità […]. In quel tempo unuomo davvero grande e saggio […] sospinse e radunò gli uomini dispersi nei campi e riparati dacampestri coperture in un unico luogo”. 2 Da quanto ci dice Cicerone stesso (De Leg., II, 3), sappiamo che la casa di famiglia dei Tulli di Ar-pino era sempre stata un podere all’antica che solo il padre dell’oratore aveva trasformato, dotan-dola di un giardino, e che successivamente era stata ulteriormente trasformata in base ai nuovi gustidella moda introdotta innanzitutto a Roma dagli Scipioni.3 Ad Att., XIII, 25.4 Topiarius è un aggettivo sostantivato del tipo che di solito viene usato per designare un indivi-duo che svolge una particolare mansione, nel caso specifico indica il giardiniere incaricato del giar-dino decorativo. L’ars topiaria è l’arte di far arrampicare armoniosamente le piante su colonne e,soprattutto, quella di potare gli alberi in forme diverse, facendo anche assumere aspetti di altre re-altà (animali, oggetti, ecc.). Cicerone, in una lettera al fratello (Ad Q. fr., III, 1, 55), del 54 a.C., ci for-nisce la più antica menzione di quest’arte: “Ho fatto i complimenti al topiario: ha rivestito tutto diedera, tanto la terrazza su cui sorge la villa quanto gli intercolunni del camminamento; tanto beneche, alla fine, le statue greche hanno l’aria di praticare l’arte topiaria e di vendere edera”.

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Al di là, però, delle sue esperienze abitative, l’interessante è che i suoi dia-loghi filosofici e retorici abbiano come sfondo i giardini, anche se quest’ uso let-terario aveva già diversi precedenti a Roma. Infatti, come attesta lo stessoCicerone5, il giureconsulto Bruto aveva posto come cornice ai suoi tre libri sul di-ritto civile tre delle sue ville. Questo perché in epoca ellenistica la vita sociale siera trasformata in modo tale che il dialogo letterario si era allontanato dalla pa-lestra o dalla piazza pubblica, cioè dai luoghi in cui per lo più si svolgevano i dia-loghi socratici, per circoscriversi in ambito privato, come testimoniano Eraclide6,che aveva rievocato un convito in una casa di campagna, e Prassifane7, che avevarappresentato una riunione di carattere intellettuale in casa di Platone, alla peri-feria di Atene.

In quasi tutti i dialoghi Cicerone manifesta una grande cura nel precisarela scena in cui si trovano i personaggi e, in particolare, nel porre come sfondo ungiardino.

Nel De oratore le introduzioni che fanno da cornice ai tre successivi collo-qui8 ci riportano a quelle di Platone, in particolare al Protagora, al Simposio, alFedro e a tutti i dialoghi socratici più elaborati. Ma, mentre Platone evoca la casadi Callia, la strada che dal Pireo sale verso Atene, o le rive dell’Ilisso, Cicerone ciporta nei giardini di Crasso a Tuscolo e fa esplicita menzione del dialogo di Pla-tone che più di ogni altro può giustificare quest’ambientazione nella natura, cioèil Fedro9. La scena, però, in Cicerone è piuttosto diversa, soprattutto perché sottoil platano compaiono dei cuscini10: la campagna del Fedro si è trasformata in unluogo elegantemente arredato, siamo cioè passati da un semplice angolo di cam-pagna ad un giardino, per cui possiamo dire che la scelta dei giardini come cor-nice dei dialoghi intellettuali è una vera e propria innovazione di Cicerone,sensibile alle novità della moda del suo tempo.

Per Cicerone il giardino è di per sé un luogo che lo porta alla meditazione ealla riflessione11, come possiamo dedurre, oltre che dal fatto che ne faccia lo sfondodei suoi dialoghi, anche da diversi passi delle lettere in cui allude alle conversazionireali che aveva avuto nei viali delle sue ville con Attico e con altri amici12. In parti-

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5 De Or., II, 224.6 Diogene Laerzio, VIII, 67.7 Diogene Laerzio, III, 8.8 I, 28 sgg; II, 20 sgg.; III, 18.9 De Or., I, 28: “Perché non imitiamo, o Crasso, Socrate, il Socrate del Fedro di Platone? A ciò mi in-duce questo tuo platano, il quale non meno si protende con i lunghi rami ad ombreggiare questoluogo di quello la cui ombra ricercò Socrate, il quale mi sembra essere cresciuto non tanto per lostesso corso d’acqua, che viene descritto, quanto per la citazione di Platone; e poiché egli, dallepiante dei piedi incallite (per il camminare scalzo), si sdraiò sull’erba e così parlava di quelle coseche i filosofi dicono essere state dette in modo divino, ciò è senz’altro più giusto che sia concessoai miei piedi”.10 Ibid., I, 29: “e fece portare dei cuscini e ciascuno prese posto su quei sedili, che erano sotto il pla-tano”.11 De Or., II, 19: “forse in definitiva o non sembra adatto questo luogo, nel quale questo stesso por-tico dove ora passeggiamo e la palestra e in tanti posti i sedili non richiamano alla memoria i gin-nasi e le dispute dei Greci?”. De Or., III, 18: “E dunque, disse, quale luogo mai? Forse è preferibilein mezzo al bosco? E’ infatti quanto mai ombroso e fresco. – Davvero, disse Crasso; e infatti inquel luogo c’è una sede non inadatta al nostro discorrere. Essendo stati d’accordo anche gli altri,si andò nel bosco e lì ci si sedette con grande impazienza di ascoltare”.12 Ad Att., IV, 10, 1; II, 1, 11.

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colare si era fatto costruire a Tusculo un’Accademia e un Liceo, nomi che forni-scono un’indicazione precisa di cosa rappresentassero per lui i giardini. Infatti ilgiardino era il luogo privilegiato dove, tra le opere d’arte greca, i miti familiari e leforme tradizionali di una campagna, in parte sacra in parte idillica, Cicerone potevasentire il pensiero libero davanti a sé, tanto da potersi dedicare alla stesura delle sueopere, in quella serenità in cui l’otium trovava conforto soprattutto nell’indissolu-bile unione della biblioteca con il giardino.

A mano a mano che le circostanze politiche gli lasciano più tempo li-bero, Cicerone soggiornava sempre di più nelle sue ville e si godeva i suoi giar-dini e poi, quando perse l’amatissima figlia Tulliola, fu proprio nei giardiniche cercò quella consolazione che la filosofia non riusciva a dargli13, come pos-siamo capire da diverse sue lettere della prima metà del 45 a.C. Infatti, dopoqualche mese, decise di abbandonare ogni compagnia per ritirarsi nella suavilla di Astura, immersa in un bosco solitario, non lontano da Napoli, e permolti mesi non fece altro che camminare per il bosco, piangendo, come scrissead Attico. In seguito progettò di far erigere un piccolo tempio alla memoria diTullia, ma poi non portò a termine il progetto, per ragioni rimaste ignote. E’chiaro che, per onorare la figlia ed elaborare il suo lutto, avrebbe voluto far ac-quisire a Tulliola una sorta di eternità, un’”apoteosi”, il cui strumento terrenopoteva essere soltanto la consacrazione di un giardino sacro, un témenos, un(h)eroon, cioè uno di quei giardini sacri che si vedevano ai margini della città,in quanto il giardino funebre era stato adottato come luogo di sepoltura perdue imperatori divinizzati, Augusto e Claudio. Questo desiderio nasce indub-biamente in Cicerone per ben precise letture, come egli stesso testimonia14.Ma la realizzazione di questo fanum per Tullia ci rivela anche il significatonuovo che il giardino aveva acquisito per un romano, certamente un luogo pri-vilegiato di comunione con la Natura e con gli dei, a cui Cicerone aderisce inquesto suo particolare momento di crisi, superando la precedente visione deigiardini come fonte di piacere sensuale: freschezza del Liri e del Fibreno neigiardini di Arpino15, bellezza del paesaggio sul golfo di Napoli16, fascino del-l’ombra, nella calura estiva, in un bosco dove non penetra il sole17.

Dopo la morte della figlia Tullia, Cicerone decise di ritirarsi definitiva-mente nella sua villa di Tusculum, da lei particolarmente amata, dove si dedicòall’approfondimento della filosofia e scrisse le Tusculanae disputationes, cheaffrontano il tema della morte e del dolore e di come si deve porre il saggio difronte a queste situazioni che turbano l’animo.

Tusculum durante l’età repubblicana era diventata sede del soggiornoestivo del patriziato romano, grazie alle sue caratteristiche orografiche, al-l’amenità dei luoghi ed alla salubrità del clima. Tra l’età repubblicana e quellaimperiale sorsero quei famosi Tusculani recessus di cui parla Marziale, che re-sero l’ager Tusculanus l’area più fittamente occupata da ville patrizie assiemeal litorale partenopeo: si trattava di ville suburbane, spesso grandiose e ma-

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13 Ad Att., III, 18.14 Ad Att., XII, 18: “infatti ho alcuni tra quegli autori che ora continuo a leggere che dicono esserenecessario fare ciò…”.15 Tusc., V, 74:16 Ad Fam., VII, 1, 1.17 De Or., III, 18.

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gnifiche, che portavano il nome dei facoltosi romani che le avevano fatte edi-ficare e ne erano proprietari. Oltre a Cicerone, ebbero dimore in questa zonaAsinio Pollione, Lucullo, Aulo Gabinio, Lutazio Catulo, Catone Uticense e Silla.Anche se Cicerone non ne fa esplicita menzione, si intuisce che le conversa-zioni delle Tusculanae disputationes devono essere avvenute in quello che sipuò immaginare un vasto e sontuoso giardino. Che la villa fosse ampia ce lorivela il fatto che Cicerone avesse molti ospiti18, anche se non può essere con-fermato dagli scavi archeologici19, mentre dal fatto che Cicerone dica che di-scuteva “un po’ da seduto ed un po’ passeggiando”, possiamo immaginare ungiardino ampio, ben architettato ed elegantemente arredato20.

Anche la scena in cui si svolgono i dialoghi del De Republica ci riportaad un giardino, in quanto sono collocati durante le Feriae Latinae dell’anno129 a.C. e si dice che P. Scipione Africano senex aveva deciso di starsene inhortis21, cioè nella sua villa, dove l’avevano raggiunto parecchi parenti ed amici.Dapprima gli incontri avvengono all’interno, poi “indossati i calzari ed i ve-stiti”, si spostano all’esterno, camminano per un po’ nel portico, mentre accol-gono altri ospiti, finché, quando la compagnia è al completo, decidono disedersi in un prato ben soleggiato, dato che era inverno22. Anche negli Acade-mica posteriora, in cui Cicerone supera lo scetticismo approdando al proba-bilismo, il dialogo con Attico e Varrone avviene in una villa, precisamente aCuma23, mentre le conversazioni del De fato si svolgono nella villa di Pozzuoli24

Così pure per le riflessioni sull’amicizia che il pontefice Scevola esponenel De amicitia (44 a.C.) l’ambiente è un giardino, più precisamente Ciceronedice in hemicyclio25, cioè nell’emiciclo o esedra, una costruzione semi-circolare,provvista di sedili, in cui si poteva conversare all’aria aperta, pur essendo alriparo dal vento e dal sole.

Possiamo supporre che anche le conversazioni tra P. Cornelio Scipionee Massinissa, a cui si accenna all’inizio del VI libro del De Republica (più notocome Somnium Scipionis26), tenutesi a Cartagine, si siano svolte in un giar-dino, data la mitezza del clima e la ricchezza dei palazzi che gli scavi archeo-logici ci fanno oggi immaginare, nonché la rigogliosità della vegetazione chela situazione attuale del sito alle porte di Tunisi sempre ci offre.

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18 I; IV, 7: “essendo con me parecchi amici nella villa di Tusculo”.19 L’ imponente struttura, di cui sono rimaste visibili solo le imponenti sostruzioni e parte del pianosuperiore (scavato dal Canina nel 1859), che era stata identificata fin dal Cinquecento con la villadi Marco Tullio Cicerone, in seguito è stata riconosciuta come la villa di Tiberio, grazie al ritrova-mento di una statua acefala dell’imperatore ora conservata presso il castello di Agliè (TO). Più re-centemente è stata proposta l’identificazione con un santuario extra-urbano dedicato a Giove, dicui parlano Tito Livio (XXVII 4) e Macrobio (Saturn. I 12). Quel che è certo è che l’edificio sia ricon-ducibile a due fasi costruttive, tra il I ed il II secolo.20 Ibid: aut sedens aut ambulans disputabam .21 De Rep. I, 14.22 De Rep. I, 18.23 Acc. post., I: “Essendo con me nella villa di Cuma il nostro amico Attico”.24 De fat. 2: “Essendo nella villa di Pozzuoli”.25 De am. I, 2.26 De Rep. VI, 9 :“Poi io gli chiesi molte cose del suo regno ed egli mi interrogò sulla nostra repub-blica, scambiateci molte parole, terminò per noi quel giorno”.

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Cicerone è quindi l’autore latino che, anche per quanto riguarda i giar-dini, si appropria di tendenze ellenistiche, pur vivificando la novità secondoun suo gusto e stile personale, che sarà appunto quello che verrà ripreso nelRinascimento italiano e consegnato all’Europa e al mondo come elemento distretto connubio tra natura e cultura. Per Cicerone infatti è la natura rielabo-rata con arte e finezza dall’uomo quella che può fare da degna cornice allepiù elevate elaborazioni intellettuali che cercano di dare risposte ai più pro-fondi e sofferti interrogativi dell’uomo. Il raccordo tra natura e cultura av-viene quindi non nell’immediatezza occasionale di un paesaggio anche ameno,ma nella ricercatezza e nella creatività, sempre all’insegna dell’armonia.

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UNA POESIA

Di Philippe Popiéla

OASIS DU BONHEUR(à la ville du Touquet Paris-Plage et à Louise)

Mer et Forêt Air iodé et air boiséTouquettois accueillants Villas mirobolantesentourés de renards, sangliers et oiseauxde toutes les couleurs. Vert aimé!

La belle Louise qui offre les glacesentre passion et vanille n’oubliejamais de sourire, l’amour du sourirepour donner aimer partager.

Le passant ne va pas chercher la glacemais son sourire qui offre millecontinents de pafums enchantésaux couleurs de ses boucles d’oreille reluisantes.

[…]

Les Mignardises et le bon café Florio de Céline.Que ce soit une grâce d’être dans ce mondeféerique où la fête des fleurs des enfants et des musiciensoffrent stupeur, beauté des couleurs, confettis en folie.

Coucher de soleil oranger se reflétant sur la mer.La plage de sable blanc déserte caressée par la brise nonchalanteannonce la venue d’une autre saison tandis que labeauté d’un ciel rougeâtre rappelle celle de Louise, l’Immaculée.

Le silence répond à l’absence.Puis, le cri des mouettes saluent le passantqui repense au bel été touquettoisTandis que le soleil tout doucement se couche en demi-lune.

Oh! Lumière aimée!Dans le Juste de la VieDans l’Oeuvre du MondeIllumine-nous de Béatitude.

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OASI DELLA FELICITÀ(alla città di Touquet-Paris-Plage e a Louise)

Mare e foresta. Aria iodatae profumata di boschi.Gli abitanti di Touquet Come sono accoglienti!Mirabolanti ville attorniateda volpi, cinghiali ed uccellidai mille colori. O verde amato!

La bella Louise che offre i gelatitra passione e vaniglianon scorda mai il sorrisoil sorriso amorosoche dona e ama e condivide.

Il passante non va cercando il gelatoquanto il sorriso che offremondi d’incantati saporiche hanno la tintadegli orecchini suoi rilucenti.

[…]

Les Mignardises e il buon caffè Florio di Céline.quale grazia essere in questo sferico mondoove la festa dei fiori, dei fanciulli e dei musicistioffrono meraviglia, bellezza di coloricoriandoli di follia.

L’arancio del tramonto si specchia nel mare.La spiaggia di sabbia bianca, ora deserta,accarezzata dalla brezza indolente,annuncia l’arrivo di un’altra stagione,mentre la bellezza d’un cielotinto di rosso ricordala beltà di Louise, l’Immacolata.

Il silenzio risponde all’assenzapoi i gridi dei gabbiani salutanoil passante che va ripensandoalla bella estate tuchettiana.Mentre adagio adagio il soletramonta in mezzaluna.

O luce amata!Nel punto esatto della Vitanel centro della Creazioneilluminaci di beatitudine!

(Traduzione di Guido Zavanone)

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UNA POESIA

Di Sergio La China

E DIO SORRISE

In principio era il Nulla.Non attese, speranze, paure,i mali dell’esistere.Vuoto, silenzio.E d’improvviso un vortice di stelleaccese la notte eterna,fiamme, splendori, colori,strade di luce si lanciarono nell’infinito,vette aspre di monti lacerarono i cieli,mari furenti si ribellavano ai venti.Si aprirono lo spazio e il tempo,si avviò la catena dei giorniche ci fa prigionieri e mortali.Ma da un grumo di terra spuntò un fioreE Dio sorrise.

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COMPAGNO DI VIAGGIOCorrado Calabrò

“Guido, i’ vorrei che tu e Dante ed io…”Mi era piaciuta molto l’espressione “com-pagno di viaggio” che avevo letto nella de-dica, ma non potevo intenderne la veritàpolisensa (molti luoghi della Divina Com-media sono polisensi) fin che non avessiletto il poemetto.Il viaggio – anche quello reale, che compor-ta lo spostamento fisico – è tale solo se de-termina un cambiamento dentro di noi:l’Ulisse che arriva non è lo stesso ch’è par-tito.Il viaggio è quindi sempre, e soprattutto,un viaggio interiore nel quale abbiamo i no-stri Virgilio, le nostre Beatrice. Essi fannointendere a Dante (e, ora, al poeta Zavano-ne) quanto sia effimera la vicenda umanae come essa sia guidata da fili ultraterre-ni.Ne Il viaggio stellare i fili sono tutti rettidalla coscienza-incoscienza dello spazioe del tempo, arricchita dalla nostra fonda-mentale memoria poetica (quella di nostropadre Dante); questa fornisce la filigranaper cercare di intravvedere (come nelle ban-conote) l’autenticità della natura umana aldi là delle apparizioni fuggevoli sul palco-scenico della nostra fugace esistenza.Certo la “Commedia” di Zavanone non puòessere divina perché abbiamo ormai assi-stito al crepuscolo degli Dei (“Però consi-dera che il Dio creatore, / se pur esiste etenti immaginarlo, / ha la parvenza d’om-bra e nel suo fondo, / nell’infinita cavitànasconde / la realtà e irrealtà d’un sogno”).Grande è il silenzio di Dio.Il viaggio del nostro poeta è, sì, ultrater-reno, ma non nell’aldilà: è galattico. Nel-lo scenario cosmico vano è porsi le doman-de “troppo terrene (d’ieri e di sempre: /“Chi muove il mondo, quale / l’origine no-stra, ove la meta”).“E quindi uscimmo a riveder le stelle”.Ma se questo significa per Dante l’uscitadall’Inferno, per Zavanone (e per me) la stu-

pefazione di trovarsi in balia di stelle sco-nosciute non è per nulla rassicurante.Sono innumerevoli le espressioni del poe-metto che restano stampate dentro (“Dovedinanzi alla smarrita mente / il passato eil futuro si confondono / se più non li di-vide la parete / mobile e familiare del pre-sente. // Esploratori intrepidi di mondi /sconosciuti, forse / d’un tempo diverso.// “Vengo da un pianeta chiamato Terra/ mi porta il dubbio per cui mi tormento,/ vago nel cosmo cercando qualcosa / chenon conosco / o più non rammento”. //Ci partorisce il grembo della notte, / co-nosciamo senza il tramite dei sensi. // “Sal-varsi da che, salvarsi come” / - domandòsorridendo la compagna / leggendo comesempre il mio pensiero - / “ma per salvar-si basta forse crederci / nascondendo latesta nel mistero.” // Guarda morire i mo-naci birmani, / in fila tutti contro l’oppres-sione; / li aiuta il mondo con appelli vani”.E quanto sono vere certe osservazioni incui si rivela la vena satirica di Zavanone:“Ma plaudite anche voi al Presidente / delquale sono socio e confidente.” / Così con-cluse e da tutti ossequiato / s’allontanòsenz’aver salutato. // Conoscerli di perso-na sminuisce / l’alta stima che n’accom-pagna il nome, / troppo minori di quelloche scrivono / inducono sovente a com-passione. / Così è dei poeti e dei pittori,/ invidiosi l’un l’altro dei successi, / pie-ni di tic, di debiti, meschini, / con un giu-sto disgusto di se stessi. / Mi limito a par-lare dei migliori, / non dei tanti che giun-sero a fama / per intrallazzi e scambi difavori.”Ma basta citazioni. Voglio trattenere nel-l’orecchio interiore, come impressionecomplessiva, la musicale suadenza dei ver-si, quei richiami al sogno che ricorrono tan-to anche nella mia ispirazione (La stellapromessa e non pochi altri miei poemet-ti – ad esempio L’esorcismo dell’Arcilus-surgiu – sono essenzialmente onirici).Nessun viaggio ci trasporta tanto altrovequanto i sogni.

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PROSPEZIONILetture di Corrado Calabrò, Milena Buzzoni, Rosa Elisa Giangoia e Giuliana Rovetta

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L’andamento dantesco, con qualche accen-to leopardiano, e le evocazioni virgilianee omeriche (“Oh andar per strada laceroe stanco / ma esser vivo tra la follaviva!”) arricchiscono di memorabilità il ver-seggiare, perché gli uomini nascono, vivo-no e spariscono senza lasciare traccia, male parole dei poeti – che ci hanno rivela-to qualcosa che avevamo sotto gli occhi enon vedevamo – potenziano per sempreil nostro intelletto. Poiché i poeti, malgrésoi, a questo servono: a fornirci le paroleche cercavamo e non trovavamo, a forni-re al mondo le parole di cui aveva bisogno– e non lo sapeva.

Guido Zavanone, Il viaggio stellare, Ed. Sanmarco dei Giustiniani, Genova 2009, pp.99, € 10,00.

IL SEGRETO DENTRO LA SCRITTURAGiuliana Rovetta

Sarebbe un’ingiusta e inutile semplificazio-ne parlare di questo testo che raccoglie i pro-fili di undici donne scrittrici (è stata aggiun-ta Anna Maria Ortese alle dieci figure di nar-ratrici della prima edizione del 1986),come di una rassegna o di una pur prezio-sa panoramica della scrittura al femmini-le. Non è la continuità di una letteratura digenere che Nadia Fusini vuole testimonia-re in queste pagine, né intende disegnareil ritratto di un’epoca (si va infatti da MaryShelley e le sorelle Brontë a Marguerite Your-cenar che è figura del pieno novecento) eneppure l’autrice si lascia tentare dall’evo-cazione di un’area particolarmente conno-tata dai sentimenti o dalla memoria fami-liare. La traccia che Fusini ricerca nella suaesplorazione è la voce che viene prima del-la parola, molto prima della scrittura, unavoce maternanon in quanto femminile matale perché suona come originaria e irrinun-ciabile. Non è quindi senso ma suonoquel particolare segreto che tutte coinvol-ge e in tutte, consapevolmente o meno, siripete come un tono basso d’accompagna-mento che conferisce alla scrittura il suo rit-mo. Ma la vita non è a parte, anzi respiraproprio secondo quel ritmo anche nell’uni-verso fiabesco di Karen Blixen, la conteu-

se che intreccia mondo reale con costruzio-ni immaginarie, o nel torturante appartar-si di Anna Maria Ortese, “eterno naufrago”nel mondo della creazione, in quelle pro-fondità che permettono l’accesso a una vi-sione nitida e profetica. L’esperienza del-la scrittura novecentesca passa attraversola microsparizione (effacement, nel lessicodi Fusini) della forma e dell’aspetto, men-tre va in cerca di un valore più radicale at-torno a cui coagulare l’opera: un movimen-to che si mostra evidente nell’eccentricitàdi parola di Gertrude Stein, l’americana cheper prima nominò a lost generation, e nel-la nervosa impresa di Virginia Woolf di al-ternativamente ora sottomettersi, ora sot-trarsi al démone che la abita. Ma già primaEmily Dickinson, nella solitudine che rac-chiude la sua fedeltà alla parola, aveva an-ticipato la ricerca di questo valore che è mo-vimento e sonorità con la cadenza di un sof-fio vitale.Se il luogo, un Yorkshire lugubre e selvag-gio, è teatro e movente della scrittura del-le sorelle Brontë, e della tonalità tragica cherisuona nelle loro voci, la loro specificità dilinguaggio è impregnata dall’impossibilitàdi liberare non solo in azioni, ma anche inparole la pena di vivere che scorre in loro:più controllata, in obbedienza a moduli “dacontabile”, come dice Fusini, è Charlotte, ti-morosa di essere travolta dall’immaginazio-ne o dall’opzione di una sensibilità esteti-ca fuorviante; più avanti nella strada di al-lontanamento dal mondo reale, Emily si ri-fugia invece nell’idea che l’intera creazio-ne abbia i connotati di una condanna, di unatto dolorosamente punitivo. La sintonia profonda che regge la costru-zione di questo saggio, una tappa conso-lidata nelle letture di storiografia lettera-ria contemporanea, non è solo filo condut-tore o elemento guida, ma sostanza stes-sa che anima e alimenta le pagine. In re-altà, a proposito di suoni, l’autrice auspi-ca che l’opera possa essere letta, un capi-tolo dopo l’altro, come una partitura in cuil’orecchio riconosca la melodia sottintesaalla parola scritta. In quest’ottica sono par-ticolarmente illuminanti il profilo di Vir-ginia Woolf, a cui già si è accennato, e diMarguerite Yourcenar. Questa scrittrice, eil suo progressivo avvicinarsi a un perso-

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naggio, dilatandone poi l’habitat fino acomprendervi un intero contesto, suscitain Fusini l’immagine di una voce alta e pro-fonda che si propaga in onde concentri-che. Al centro di questo movimento cam-peggia l’uomo, e il tema è il suo rappor-to con la morte: Zeno, Adriano, Mishimasono figure sole nell’ultimo passaggio, masono anche creature che appartengono persempre alla storia. Se la parola scritta è latrasformazione di un pensiero in imma-gine, questo pensiero va inteso, affermal’autrice, come “una nebulosa pressioneche opprime la mente, l’abita e la tormen-ta” e forse sceglie la via della lingua perdire qualcosa che, da quel momento,vive.

Nadia Fusini, Nomi, Roma Donzelli, 2012,pp. 298, € 19,50.

IL CORPO HA UNA STORIAGiuliana Rovetta

Dalla chirurgia alla biologia, passando perle tecnologie e metodologie scientifiche ap-plicate alla salute, esiste oggi una genera-le tendenza a intervenire sul corpo per ot-tenere un miglior risultato estetico e piùelevate performances: l’involucro, il con-tenitore delle nostre pulsioni vitali men-tre viene messo al centro di un program-ma di valorizzazione sembra al tempostesso essere negato, o comunque non ac-cettato, nella sua materialità. Prendendole mosse dall’assunto che “Plus on l’ana-lyse, ce corps moderne, plus on l’exhibeet moins il existe” il protagonista di que-sto nuovo romanzo di Pennac si applicaa scrivere un diario in cui anziché anno-tare riflessioni e speculazioni intellettua-li, mozioni di sentimento, trasalimenti del-lo spirito, registra con puntualità tutte leevoluzioni e gli elementi di novità che ri-guardano il suo corpo dall’età di 12 annifino alla vigilia della morte, sopraggiuntaall’età di 87 anni. Il risultato di questo pro-getto è una riscoperta del corpo attraver-so le prove a cui lo sottopone (a volte bi-strattandolo, a volte lusingandolo) la cre-scita prima e l’esperienza poi, partendodalle incertezze adolescenziali per arriva-re alla pratica sportiva, alle malattie, alle

funzioni materiali di base, alle reazioni psi-cosomatiche, alla sessualità, fino alla de-cadenza fisica della vecchiaia. La conoscen-za del mondo attraverso i sensi è un per-corso di autenticità: Pennac si esercita inquesto lavoro d’indagine accurata e di af-fettuosa verbalizzazione organizzando lamateria in ordine alfabetico e immaginan-do come destinataria del journal la figliadell’autore, la quale avrà fra le mani que-ste carte solo dopo i funerali. L’espedien-te, a detta dello scrittore, è servito a darevivacità a un racconto che col suo approc-cio estremamente realistico avrebbe potu-to risultare monotono: la durata stessa deltempo necessario alla stesura (circa 5 anni)viene messa in conto alla non facile ricer-ca di un punto d’equilibrio fra comicità einevitabile scoramento esistenziale, fra ge-neralizzazione e tentazione autobiografi-ca. La decriptazione delle sensazioni epi-dermiche, alcune isolate con brillanteperspicacia in relazione ai cinque sensi,come l’ascolto della voce aspra e sgrade-vole di una madre poco propensa a slan-ci affettivi, o il sapore acidulo della mar-mellata di mosto gustata in campagna, oancora l’odore rassicurante sprigionato dal-la rustica tata Violette, o infine la pelle gra-nulosa al tatto di una certa Brigitte, pas-sano attraverso l’invenzione di un linguag-gio idoneo a trasferire sulla pagina una ma-teria a tratti decisamente sgradevole,spesso bruciante, ma comunque semprepercepita con l’intensità propria di un sog-getto ipersensibile, cocciuto e complessa-to, afflitto da incubi (interpretati noncome proiezioni della mente, ma come “de-iezioni cerebrali dell’organismo”), piutto-sto ipocondriaco: acufeni, ansia, coliche,diarrea, epistassi, dolori agli arti, vertigi-ni sono voci, tra le altre, che ricorrono apiacere nel suo vocabolario. Se l’effetto di solidarietà partecipativapuò in parte essere stato raggiunto (comenon riconoscersi in almeno un paio dei fe-nomeni corporei portati ad esempio?), l’ec-cesso di concentrazione sul sé materialeche quest’opera sceglie come cifra narra-tiva, spiazzante all’inizio, finisce poi percondurre in un labirinto tappezzato di spec-chi e senza via d’uscita. Pennac è un benia-mino dei lettori francesi notissimo anche

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all’estero, in prima linea nella difesa dei va-lori dell’individuo e dell’ambiente: la suaprossima fatica è uno spettacolo sul temadegli imballaggi e sui conseguenti dannid’inquinamento che s’intitolerà Il sesto con-tinente, con allusivo riferimento ad unamassa di rifiuti “grande sei volte la Fran-cia” galleggiante nell’Oceano. Dalla saga del-la famiglia Malaussène alla storia delle dif-ficoltà scolastiche di un giovane je raccon-tato, a titolo di esempio universale, in Cha-grin d’école, Daniel Pennac mostra nel la-voro narrativo di una vita, una capacità tut-ta moderna di piegarsi in modo solidale sualcuni lati oscuri che la nostra società sot-tovaluta e quasi sempre è in grado di far-lo con felice intuito e mano leggera. Alleprese col corpo che invecchia, lo spazio direlazione fra fisico e spirito risulta diffici-le da padroneggiare e il tono tragicomicoche gli conosciamo abitualmente si smor-za in una plumbea tristezza.

Daniel Pennac, Storia di un corpo, Feltri-nelli, Milano, 2012, pp.341, € 18,00, tradu-zione di Yasmina Melaouah

LIBERTÀ VA CERCANDO…Rosa Elisa Giangoia

Questa silloge di Carlo Paludi presenta im-mediatamente un motivo di attrazione perl’originalità del titolo Vespeggiare, a cui silegano anche le due immagini, quella di co-pertina e quella di quarta che ritraggonol’una la moglie dell’autore, l’altra l’autorestesso su questo popolarissimo mezzo ditrasporto. Ma dal punto di vista letterarioil titolo risulta interessante perché ciporta subito una testimonianza della ca-pacità inventiva a livello linguistico dell’au-tore, che dal nome del mezzo di traspor-to crea questo verbo, che è anche il tito-lo della lirica d’apertura, per indicarequell’emozione particolarissima che dava,soprattutto negli anni Sessanta (quelli del-la sua giovinezza!) l’andare in vespa. Eraindubbiamente una forte sensazione di au-tonomia e di libertà, che trovava quasi ilsuo corrispettivo oggettivo nel vento chesi godeva muovendosi con la vespa, permodesti divertimenti, quali le condizionieconomiche del tempo permettevano a chi

viveva in condizioni piccolo borghesi (“ilcinema in seconda visione”, la compagniadi una ragazza, il panorama della città dal-l’alto, ecc.). Il muoversi diventava quasi un“volare” e tutto il mondo intorno sembra-va diverso e più allettante! Questa capacità di creazione linguisticaemerge dalla lettura dei testi come una del-le caratteristiche fondamentali della poe-sia di Carlo Paludi, che sa coniare sintag-mi di assoluta novità, molto efficaci nel-la loro funzione espressiva. Basta ricorda-re “cielo intabaccato” (p. 10), “sguardo cavoovale” (p. 12), “occhio serpente” (p. 13), acui se ne potrebbero aggiungere molti al-tri, per capire che Paludi lavora soprattut-to sui significanti al fine di costruire la suapoesia, in modo tale da tratteggiare que-gli Uomini della prima sezione della sillo-ge (La maliarda, La signora del salotto, L’uo-mo saggio, L’hidalgo, Il cardinale, Il polac-co) con un’arguzia ed una penetrazionepsicologica che va al di là della loro sem-plice apparenza, ma che diventa uno sca-vo che abilmente fa emergere le pieghe piùnascoste ed autentiche della loro persona-lità. Questo vuol dire che la poesia di Car-lo Paludi non descrive la realtà, ma la pe-netra e ne mette in rilievo aspetti e carat-teristiche nascoste, che, però, si rivelanole più autentiche ed essenziali nella con-figurazione del personaggio. Esemplare aquesto proposito può essere la liricaL’uomo saggio, in cui l’autenticità della sag-gezza, caratteristica tipica di quest’uomo,emerge luminosa al di fuori di un’apparen-za banale e dimessa, che lo colloca in unpassato che sembra ormai superato.La lettura in profondità della parvenza fe-nomenica della realtà da parte del poetacontraddistingue in modo particolare la se-conda sezione della silloge In città, comeben si evince già dalla prima lirica PiazzaGirasole, in cui una qualunque piazza ge-novese (nella realtà piazza Paolo da Novi),ben nota all’autore che da tempo vi abitae la osserva dalle finestre di casa, assumeuna dimensione diversa da quella reale, di-ventando un luogo pulsante di vita, vita-lità che pare imprimerle un movimento ro-tatorio alla costante ricerca del sole. A de-formare soggettivamente la percezione del-la realtà può anche essere un atteggiamen-

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to o comportamento momentaneo, comeavviene nella lirica Il pulpito, in cui è il fil-tro del ridere della “faccia di marmo” a con-ferire al luogo una dimensione stravoltae straniante. Così anche Il balcone è sen-tito come qualcosa che sta nel mondo, manello stesso tempo, fuori di esso, tanto dapermettere di vedere, ma con orizzonti am-pliati, con una proiezione spaziale diver-sa da quella quotidiana, di modo che il poe-ta può non solo guardare il reale, ma an-che cogliere il mistero insito nella natura,un altro balcone da cui si affacciano mi-racolosamente bambini e sciami di santi.Anche l’autobus (Fermata d’autobus) as-sume una dimensione altra, tanto che conil suo vistoso colore arancio diventa qua-si una “zattera” di salvezza, in grado di faruscire dal mondo di grigia caligine di cuisi avverte il peso insostenibile per il lavo-ro, sempre troppo faticoso, troppo impe-gnativo. Pure la città di New York è guar-data con un occhio capace di penetrare nel-l’inquietante realtà dei suoi grattacieli, os-servati ancor prima del crollo delle TorriGemelle, però con l’occhio dubbioso di chine avverte la fragile precarietà. Con queste caratteristiche proseguono an-che le successive sezioni della silloge (La Na-tura, Gli artisti, L’angolo folk), conferman-do le caratteristiche di personale origina-lità di questo poeta che sa costruire versiarmoniosi, ricchi di rilevanze foniche checonferiscono loro musicale sonorità, ma che,attraverso la lettura penetrante della real-tà sa anche farci riflettere sugli aspetti pro-blematici e negativi del nostro mondo.

Carlo Paludi, Vespeggiare, Golden Press,Genova 2012, pp. 91, € 8,00.

LA POESIA DELLA VITARosa Elisa Giangoia

“Una folla di poeti / stanchi / con le co-rone d’alloro / tra le mani” è quella che vie-ne incontro all’autrice quando inizia a scri-vere le sue poesie… E’ il peso della tradi-zione letteraria, ormai “stanca”, in decli-no verso l’esaurimento di ispirazione, dirisorse espressive, disperse nell’allontana-mento dalla realtà della vita e vanificatedagli autoreferenziali funambolismi

espressivi. In aiuto alla poesia ormai puòsolo venire la normalità del quotidiano. In-fatti questa “folla” si rivolge all’autrice di-cendole “Ragazzina […] ci prepareresti unatorta di mele? / A forza di dire che non esi-ste / abbiamo dimenticato / la ricetta. / An-cora però / ne sogniamo / il sapore”. Que-sti poeti, che hanno tolto dalla loro testa“le corone d’alloro” e le tengono più mo-destamente “tra le mani”, sono gli epigo-ni dei “poeti laureati” di montaliana me-moria, che finalmente si rendono contodella loro inadeguatezza, dovuta all’averdimenticato che la poesia non si alimen-ta di se stessa, non nasce dalla finzione enon si può esprimere con la gratuità ver-bale, ma ha le sue radici d’ispirazione nel-l’autenticità della vita, quindi nella dimen-sione quotidiana, perché solo quest’espe-rienza è vera, in quanto è quella soltantoche tutti viviamo, sulla quale ci si può in-contrare e soffermare in uno scambio co-municativo. Il nucleo autentico ed originale della poe-tica e della poesia di Elena Buia Rutt, chetrova espressione efficace e compiutanella breve, ma significativa, silloge Ti strin-go la mano mentre dormi, sta appunto nel-la consapevolezza che la vera poesia na-sca dalla vita vera, perché la vita è in sé edi per sé un’esperienza che continuamen-te meraviglia e stupisce, per cui proprio daquesta meraviglia e da questo stupore puòderivare l’ispirazione per la creazionepoetica.Metafora della vita che è sempre un pro-rompere è “il tronchetto della felicità”, cheanche se “umiliato / dall’ombra / di lutti/ e ricapitolazioni” può stupire in un gior-no qualunque con “Il vaso / spaccato / dal-lo slancio / delle radici”. In quest’imma-gine c’è anche la consapevolezza che la vitavera sia nell’oscurità e nel nascondimen-to del terreno in cui affondano le radici enon nell’effimero e magari vistoso dispie-garsi delle foglie, destinate ad ingiallire, ap-passire, cadere. Per questo è nel terrenoe nel terrestre che bisogna affondare lemani per capire la verità, in quanto sono“Le palme delle mani / radici / rivolte ver-so il cielo”. Da questo contatto con l’auten-tico dell’esistenza promana l’aspirazionealla verità, il pensiero della quale si insi-

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nua prepotente nella quotidianità, per cuil’idea di Dio può farsi strada come richia-mo nel silenzio degli impegni domestici:“In un sonno / senza riposo / impigliatanei panni / da stirare / - chissà quando /forse domani – mi accorgo di Te”. Proprioquesto essere “impigliata” nella realtà delquotidiano dà all’autrice la possibilità diaperture su un’altra dimensione, perchéè un quotidiano fatto di quelle condivisio-ni e comunioni che nascono nella famigliae che quindi danno senso alla normalitàe forza per proseguire anche nella stan-chezza e nelle difficoltà di ogni giorno:“una forza indissolubile / ci unisce / e cisbilancia / in avanti e in alto / acrobati-ope-rai / sulla maestosa impalcatura / di unabellezza / inspiegabile a noi stessi”. La poe-sia della dimensione familiare tocca la suavetta nel delizioso quadretto di serale ri-composizione domestica nella lirica La por-ta: “E anche stasera / entri stanco / dallaporta / sbilanciato dai libri / e dal sollie-vo di essere / a casa. / E i bambini / ti siarrampicano sulla giacca / che sa di stra-da, / l’acqua bolle / la più piccola piange/ e qualcuno – forse te / non accusare me– / ha di nuovo perso le chiavi / del gara-ge. / Eppure / sera dopo sera / vivo in at-tesa / che questa porta si apra / che cistringiamo le mani / che la giornata si com-pia”. Ma quest’esperienza di vita tocca ilsuo punto più alto nella lirica Gravidan-za ed in altri accenni alla maternità, sen-tita come consolante perpetuarsi della vita,come conferma di senso ed autenticità del-l’esistere, al di là delle apparenze: “vedoil piede / della tua dolcezza / schiaccia-re deciso / ogni surrogato / di vita”. Cogliere le grandi emozioni che i momen-ti e le esperienze della vita danno è purefonte di fiducia, tanto che l’autrice, an-che di fronte all’esperienza della vita chefinisce, perché i mezzi umani nulla piùhanno potuto, in quanto “Queste sirin-ghe / non ti hanno trattenuta”, può espri-mere la sua fiducia nell’esistenza, alimen-tata dall’attesa e dalla speranza “che lamoneta vera / mantenga la promessa”.Leggere questo libro di poesie di ElenaBuia Rutt aiuterà senz’altro molti a ca-pire meglio la vita e a riconciliarsi con sestessi.

Elena Buia Rutt, Ti stringo la mano men-tre dormi, Fuorilinea, Monterotondo (RM)2012, pp. 140, € 13,00.

GLI ELEMENTI DELLA REALTÀRosa Elisa Giangoia

Il titolo della nuova raccolta di poesie diFrancesco Macciò Abitare l’attesa potreb-be essere un’involontaria memoria diEmily Dickinson, che inizia una sua liricadel 1862 con I dwell in Possibility (“Io abi-to la possibilità”, J657 F 466). In comunec’è l’idea dell’”abitare”, cioè dello stare den-tro in una condizione di sicurezza e pro-tezione, che per la poetessa americana èla “possibilità”, cioè la capacità di scrive-re poesia, sentita come ricchezza esisten-ziale, apertura al mondo e alla vita, finoalla felicità di poter cogliere il Paradiso. PerFrancesco Macciò, poeta genovese con ra-dici nella Liguria montana, alla sua terzasilloge poetica, l’abitare si circoscrivenell’”attesa”, che è pur sempre metaforadella voce poetica, cioè dell’ispirazione, cheil poeta fiducioso attende per dare vestedi parole al suo mondo interiore, sapen-do che solo così esso potrà trovare espres-sione compiuta e soddisfacente. Per en-trambi c’è il mistero arcano, rappresenta-to dalla magia della poesia.Quelle di Macciò sono liriche di osservazio-ne e di riflessione, di consapevolezza esi-stenziale e di ricchezza culturale, che si ar-ticolano in varie sezioni, le prime tre del-le quali richiamano altrettanti elementi pri-mordiali del creato (Terra, Acqua, Aria), inuna progressiva smaterializzazione dellarealtà e con l’esclusione del Fuoco, forsenella percezione della sua natura e forzadistruttiva della realtà stessa. Infatti, attra-verso le parole poetiche di Macciò è la re-altà che si svela e rivela, nella sua totalitàfatta di mutamenti che l’io percepisce e sucui si interroga, attendendo sempre con stu-pore, ma anche con fiducia, di pervenire allaconoscenza profonda ed autentica, pur nel-la consapevolezza del suo sfuggire. La ten-sione è verso la verità, ma nel percepire l’im-possibilità di possederla, il poeta si acquie-ta nella fruizione del Bello, nel tentativocombattivo di afferrarlo e trattenerlo nel-la dimensione dell’odierna realtà, in cui cor-

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re continuamente il rischio di essere tra-volto ed annientato dalla mercificazione edalla volgarità. La bellezza, irraggiungibi-le, non può che essere goduta nei suoi mi-nimi riflessi nella realtà del quotidiano, inscorci, anche urbani, come in Alla stazio-ne di Nervi, Verso Genova, sull’autostrada,Lungomare, nella condivisione di esperien-ze artistiche (A Bobbio, per il concerto deiChieftains), nei dialoghi degli affetti enelle esperienze amorose. Ma di fronte al-l’espropriazione della bellezza del mondo,dovuta alla meschinità e all’egoismo del-l’uomo, il poeta sa trovare toni polemici,che allargano il registro della sua espres-sione al versante della lettura critica contoni di poesia civile. Ma la voce più profon-da ed autentica di Macciò è quella della ri-flessione sul nostro essere qui ed ora, chelo porta, nella sofferta consapevolezza del-la continua mutazione e del progressivo di-venire, a percepire la vita degli uomini comeun cammino di migrazione, con l’infelici-tà dell’esilio e del disorientamento, nellarealtà della vita, sempre fonte di turbamen-to ed inquietudine, per l’impossibilità di af-ferrarne e possederne il senso. Quel sen-so che forse misteriosamente sta dentro lecose stesse e che la poesia potrebbe sve-lare, come metaforicamente dicono gli Inktablets quei biglietti lignei da Vindolandiaritrovati tra il 1973 e il 1992 in questo for-te, avamposto romano in Scozia, a cui ilpoeta dà voce, quasi a significare che la voceè per sempre dentro le cose e che sta a noi,in particolare alla poesia, scoprirla, espri-merla e comunicarla. A chiudere la raccolta è la sezione Inap-partenenza, in cui il poeta va oltre la for-ma della poesia per abbandonarsi ad unfluire espressivo concettualmente poeti-co, formalmente in prosa. Forma espres-siva questa adatta e funzionale alla ricer-ca da parte del poeta, del senso, sempremisterioso e sfuggente della poesia, cheproprio per questo ne sospende la formacanonica per un più libero riflettere ed in-terrogarsi.Questa terza prova poetica di Macciò è dav-vero convincente, innanzitutto per l’origi-nalità espressiva, per l’autentica capacitàcreativa del tessuto, con la realizzazionedi una tramatura lirica, che affronta con

sensibilità e profondità di riflessione i temisempre coinvolgenti per l’uomo del suostare nel mondo con l’affannata inquietu-dine di dare risposte alle sue costantemen-te eluse domande.

Francesco Macciò, Abitare l’attesa, La vitafelice, Milano 2011, pp. 97, € 12,00.

IL TEMPO E I RICORDIRosa Elisa Giangoia

Incontri e Incantamenti è il suggestivo ti-tolo in stringa allitterante della nuova rac-colta di liriche di Cinzia Demi, poetessa estudiosa di poesia, toscana di origine, maattiva a Bologna e nell’ambito della regio-ne Emilia-Romagna. I due termini, legati dalrincorrersi dei suoni, assumono, però,nel loro insieme un ben preciso valore si-gnificante che ben esprime il nucleo tema-tico ispiratore di tutte le liriche compresenella silloge: gli incontri tra le persone de-terminano “incanto”, cioè stupore, mera-viglia ed attrazione, attraverso l’intrecciar-si di fili misteriosi che trovano concretez-za ed attualizzazione nel processo memo-riale. Come suggerisce la prima sezione delvolumetto, Tempi e incontri, gli incontri sifanno nel tempo, ma a fissarli è la memo-ria, come dice l’aforisma di Kahlil Gibran“Il ricordo è una forma di incontro”, inquanto, ogni volta che ritorniamo con lamemoria ad una persona, abbiamo unanuova occasione di incontrarla. Le perso-ne che abbiamo incontrato rappresentanoun “ininterrotto vociare”, che “dicono lavita”, secondo quanto ci suggerisce lapoetessa nella lirica d’apertura come pas-serà in fretta. La vita, infatti, la apprendia-mo, e in qualche modo ce ne impossessia-mo, osservando gli altri, apprendendo econdividendo le loro esperienze, in una pro-spettiva composita e corale che tende a di-venire totalizzante. Dal tempo emergono per l’autrice innan-zitutto i ricordi dell’infanzia, legati almare della costa tirrenica, dove, appuntoa Piombino, è nata. E’ un mondo di sabbia,di onde, di “acqua salata”, di tamerici, incui, quasi in controluce, si disegnano labi-li figure di persone: “ho incontrato un ami-co / in quel gioco di ombre / fermava la sua

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bicicletta / si guardava intorno / (a quel-l’ora del giorno). In questo mondo di zol-le, di “perle di verderame”, di “biancospi-no candore”, di “calore di mimosa” , la poe-tessa affonda le sue radici, per ritrovare sestessa, essendo per lei “terra di padre / an-cora nel volto”. A riaffiorare sono anche igiochi dell’infanzia, caratterizzati da sol-datini, indiani e cowboys, guardati con lamalinconia della distanza ed il rimpiantodella perdita, fino a farsi metafora della per-dita in senso assoluto ed esistenziale, quel-la su cui la poetessa si interroga in “se sonofatta solo di carne / lo scoprirò”, con unamalinconia sottile, velata dalla speranza dipoter “ridestare dal sonno / gli eterni e labellezza”. Al di là dell’incertezza della per-sistenza fuori del tempo, la poetessa vedecomunque un proseguimento del suo es-sere nel “figlio dei vent’anni”, il “figlio del-la vita”, il “figlio del domani”, quel figlio chedeve andare per la sua strada, ma che leinon sa lasciare allontanarsi.Nella seconda sezione Voci e incontri, dopola prima lirica “quante voci in paese”, chetratteggia il mondo variegato ed affollatodi una strada principale in un’ora di pas-seggio, l’attenzione dell’autrice si sposta poisu singole figure, soprattutto femminili, chevengono tratteggiate con grazia ed argu-zia, in un susseguirsi di ritratti, da Anni-na, corta di vista, che non vedeva “i colo-ri dei vestiti / male assortiti / su maglie egonne plissettate / giacche unte e consun-te / cappelli demodé”, per passare a Stel-la, che “bella non era”, una “povera Stella/ neanche di luce vestita”, a “baffi rossi”che “metteva il rossetto rosso /ma porta-re no / non lo sapeva”, a Mariannina che“ha il seno grande”, ad Adriana “smilza elesta”, a “Maria Teresa, nebbia detta” che“toglieva le vedute / per la sua mole” ed al-tre ancora, con le loro storie d’infelicità edi piccole manie, fino alla “nonna”, abilis-sima a preparare le lasagne, intorno alla cuiteglia si intrecciava un “fitto raccontare /di fatti parenti conoscenti”. Sono piccoliscorci di un mondo scomparso, che trovala sua trionfale metafora nel “baule dellabiancheria”, in cui si coagula tutta la vita. La terza ed ultima sezione Figure e incon-tri si articola in omaggi a personaggi diver-si, ad iniziare da Giorgio Caproni, a cui Cin-

zia Demi dedica un testo il quale, oltre cherievocazione delle comuni origini nella To-scana tirrenica, è una dichiarazione di poe-tica, per proseguire con Raoul Grassilli, acui l’autrice rivolge versi di memoria e dirievocazione, ma anche di fiducia inun’apertura celeste ed eterna dell’esisterein una dimensione dove “le bellezze / can-tate dai poeti” potranno vivere per sempre,e la voce dell’attore, che ne è stata inter-prete, sarà ascoltata in un’”aurea ritrova-ta”, fino alla riflessione sulla vicenda,sempre problematica ed interrogante, diEluana Englaro, a cui la poetessa dedica unalirica di forte fiducia nella vita, che si con-clude con “Fosse il giorno di un solo mi-nuto / non potrebbe non essere vissuto”.Questo mondo sospeso nella luminositàdella memoria, che gli dà vita grazie alle pa-role, viene vivificato da Cinzia Demi attra-verso un tessuto lirico arioso e leggero, fat-to di parole, ma anche di vuoti, di sospen-sioni, affidate alla fantasia e all’immagina-zione. Sono poesie dall’andamento canta-bile, in cui una contenuta vena elegiaca siinnesta in un più sostenuto impiantopoetico che, come abbiamo accennato, hail suo ispiratore nella poesia di Giorgio Ca-proni, in particolare in quella livornese, piùche in quella genovese o romana, una poe-sia che rievoca e riflette, che tratteggia esuggerisce, più che argomentare nel tor-mento della ricerca. Questo vuol dire daparte dell’autrice la scelta di un linguaggiopoetico comunicativo, che oltrepassa lo spe-rimentalismo delle neoavanguardie o la pa-rola che si avvita su se stessa in un auto-compiacimento che ne rende difficilel’apertura dialogica. E’ uno scegliere la mo-dernità, fatta di essenzialità ed autentici-tà, di una sobrietà espressiva ricca di po-tenzialità comunicative, anche attraversoil tacito e l’alluso, una modernità che sa,però, far frutto di lezioni e prelievi della tra-dizione, come ben dimostrano i testi di Cin-zia Demi che si avvalgono della conoscen-za di Iacopone, di Metastasio, di Leopardie di tanti altri per trovare la sua voce au-tentica per dire in modo sempre nuovo leemozioni ed i palpiti del suo cuore.

Cinzia Demi, Incontri e Incantamenti, Raf-faelli Editore, Rimini 2012, pp. 79, € 12,00.

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PAROLE E IMMAGINI Rosa Elisa Giangoia

Questa plaquette che subito attrae per lasua raffinata eleganza, appena la si sfoglia,si impone all’attenzione per alcune parti-colari caratteristiche: è estremamente so-bria, solo quattro testi, ciascuno dei qua-li è corredato da un disegno a matita co-lorata, poi, a tutto questo, segue la ripro-duzione dei manoscritti dei testi poetici.Per questo bisogna precisare che gli auto-ri sono due, Renzo Olivieri, glottologo e sla-vista, docente nelle Università di Genovae Parma, da poco prematuramente scom-parso, e Salvatore Corda, che si occupa didisegno e di scultura, soprattutto rielabo-rando temi mitici e motivi del folklore. Sitratta quindi di un connubio tra parole poe-tiche ed immagini, ma, come opportuna-mente chiariscono i curatori (Enrica Salva-neschi e Silvio Endrighi), nella loro Nota in-troduttiva, il lettore non deve pensare chei quattro testi poetici e i “quattro testi di-segnati”, “vengano posti in relazione e re-sponsione, reciprocamente commentando-si”. Soprattutto il lettore non deve pensa-re “che la figura sia illustrazione della scrit-tura, o questa descrizione di quella; no: sitratta di un incontro di sensi e di senso fraesperienze espressive compiute, il cui ge-mellaggio genera un più alto e più profon-do valore semantico.” L’obiettivo, in defi-nitiva, è quello di realizzare il detto del poe-ta greco Simonide, secondo cui “la pittu-re è poesia muta, la poesia pittura parlan-te”. Si può quindi procedere tra le paginedel testo, sostenuti da questa penetrantechiave di lettura per verificarne e scoprir-ne subito l’evidenza immediata e la vali-dità. Il primo breve testo poetico Opacitàequatoriale, quasi affiorante da metafisi-che lontananze ed alterità, è un’invocazio-ne, in spirito di consonanza con l’”erebolento”, all’“aria persa” che filtra “da cupafinestra”. Sono espressioni che stabilisco-no un arcano rapporto tra dentro e fuo-ri, tra chiuso ed aperto e che nella sospen-sione tra ciò che è certo e ciò che è arca-no, aprono per la mente ed il cuore spa-zi senza limiti. Le stesse sensazioni e lestesse emozioni si producono a chi guar-di il disegno correlato a questi versi, Sa ven-

tana antiga (La finestra antica), in cui tut-ti gli elementi tratteggiati (il muro di pie-tra, la cornice, la grata di ferro, i vetri qua-drettati in legno) creano una duplice spa-zialità dentro / fuori, che, mentre disegnafigurativamente una chiusura, apre in re-altà l’occhio della mente ad altre dimen-sioni. Un intreccio simile lega la lirica Lasoglia del tempo al disegno Bosco dimirto: in entrambi centrale è il motivo dei“raggi di luce” che, illuminando, fanno rie-mergere nella memoria “oggetti muti” cheparlano “di un luminoso tempo / che fu”,mentre “la lettera morta rivive / sotto laluce dei nostri occhi / a raccontarci / uninfelice amore furtivo”. Tutto il resto è di-verso: nella lirica l’ambiente è quello di unacasa dal ricco arredo, nel disegno è un bo-sco, calligraficamente rappresentato nel-l’abbondanza del fogliame del mirto, al difuori del tempo e delle convenzioni socia-li, ma in entrambi “Più in alto, / rimossi ipesanti ferrami, / si schiude la porta delsole. / Sole! Misura dei nostri desideri, /delle nostre speranze / protese all’eterno.”La successiva lirica Fufluns, ovvero Occhitirreni, si lega al disegno Piedi nudi, pro-prio per la centralità degli occhi: “Occhi tir-reni / profusi di languida luce / scrutateamabilmente / dal dolce castone del viso/ radiosi e infelici.” Sono “paradisiaci oc-chi terreni” che sanno guardare oltre, mol-to lontano “nella profondità” “in cerca delmistero antico”, intorno alle cui tempie af-fiorano le vene in cui “scorre forse l’ata-vica linfa / di quegli umani dèi in terra.”Guardare lontano è per il poeta anche ri-scoprire la saggezza antica, forse donatada quegli dei che hanno avuto nel Tirre-no il loro regno, ed allora non resta che re-cuperare la lingua genovese nella lirica Ma-lina – Ramo di mirto, dove si riunisconogli elementi più suggestivi della tradizio-ne poetica (la Luna, le antiche danze, laDonna gentì, che in italiano diventa l’an-tico appellativo provenzale Midons, la rosa,la margarita, che ci riporta alla perla pre-ziosa): è un mondo della tradizione, da cuiperò nasce e rinasce sempre la novità del-la poesia, e questo ce lo dice anche il di-segno del Ramo di mirto, in cui le fogliesi riproducono all’infinito da un unico, ro-busto ceppo. Ancora una volta una con-

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ferma di quel particolare rapporto tra pa-role ed immagini che qui si è volutocreare e che si è certo realizzato in modopieno ed efficace.A chiudere questa pregevolissima plaquet-te troviamo la riproduzione dei manoscrit-ti delle poesie, che con le varianti e le glos-se di mano del poeta ci riportano visiva-mente al farsi materiale delle liriche,sempre tortuoso, arduo, difficile ed impe-gnativo: un itinerario verso la leggerezzadell’efficacia espressiva.

Renzo Olivieri – Salvatore Corda, Opacitàequatoriale, Book Editore, Ro Ferrarese (FE)2012, pp. 50, € 12,00.

LA CENTRALE MONTEMARTINI:LA SCOPERTA DI UN RAFFINATOMUSEO ROMANOMilena Buzzoni

Sulla riva sinistra del Tevere, davanti aiMercati Generali, lungo la via Ostiense, laCentrale Montemartini è un sorprenden-te esempio di riconversione di un edificiodi archeologia industriale. Il primo impianto pubblico per la produ-zione di energia elettrica, dedicato a Gio-vanni Montemartini, economista e teoricodelle municipalizzazioni delle aziende diinteresse pubblico, è diventato, dal 2000,il secondo polo espositivo dei Musei Capi-tolini e accoglie una parte consistente del-la scultura classica ritrovata in seguito agliscavi eseguiti a Roma tra la fine dell’Otto-cento e i primi decenni del Novecento. Scul-tura inserita nello sviluppo della cittàdall’età repubblicana fino a quella tardo im-periale con reperti particolarmente signi-ficativi e in parte sconosciuti al grande pub-blico. Così, nella Sala Caldaie, il vastissimomosaico con scene di caccia proveniente

da Santa Bibiana o l’insolita statua del to-gato Barberini ritratto mentre regge le te-ste del nonno e del padre, la cui riprodu-zione in cera era privilegio riservato alle fa-miglie patrizie che le potevano “indossa-re” durante le cerimonie pubbliche. O an-cora, come una parodia del fregio del gran-de altare di Pergamo, il gruppo dei satiriche combattono contro i giganti. I grandiosi ambienti della Centrale e in par-ticolare la Sala Macchine con i suoi arre-di Liberty conservano inalterati turbine,motori Diesel, un carroponte al soffitto chetaglia trasversalmente la sala e una colos-sale caldaia a vapore. In questo suggesti-vo scenario, sugli sfondi scuri delle mac-chine, si stagliano i marmi antichi con illoro nitore e i loro raffinati intagli. Sem-bra persino che alcuni capolavori, come ilciclo di statue che decorava il frontone deltempio di Apollo Sosiano, la colossale te-sta della dea Fortuna alta e proveniente dalargo Argentina nonché la pensosa figu-ra della musa Polimnia vengano esaltati inquesta atmosfera che rievoca da un latola grandezza monumentale di Roma an-tica e dall’altro un passato più recente ela memoria di uno dei primi ambienti in-dustriali romani. Il museo è infatti inseri-to all’interno di un progetto di riqualifica-zione della zona Ostiense Marconi che pre-vede la riconversione in polo culturale del-l’area di più antica industrializzazione del-la città (comprendente anche il Mattatoio,il Gazometro, strutture portuali, l’ex MiraLanza e gli ex Mercati Generali con il de-finitivo assetto delle sedi universitarie diRoma 3 e la realizzazione della Città del-la Scienza.

Musei Capitolini - Centrale Montemartini,Via Ostiense 106 Roma www.centralemon-temartini.org

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L’UNITÀ, GIUSEPPE VERDI, LA PITTURA DI NEVIO ZANARDIdi Dino Molinari

Il dualismo dialogante - musica/pittura - che contraddistingue il discorsofigurativo/cromatico di Nevio Zanardi si arricchisce di un terzo elementodi intensa e fragrante attualità: l’Unità d’Italia nel suo centocinquantenna-le di realizzazione.Da una fase dualistica si passa pertanto a una triangolazione dovuta al-l’innesto sulla duplicità di musica/pittura di un terzo elemento storico/po-litico, patriottico/sentimentale quale è appunto l’Unità. Dunque Nevio siimpone un più complesso itinerario che contemporaneamente tenga con-to dei tre fattori concorrenti presi a paradigma.Il Risorgimento italiano e la musica di Verdi variamente si intrecciano tan-to da formare un tragitto parallelo ma intersecante.Non sto ad analizzare detto percorso già delineato con maggiore compe-tenza dal professor Iovino, mi limito a citare due esempi particolarmen-te significativi: il “Nabucco” e la “messa di Requiem”. Significativi – ripe-to – della musica verdiana risorgimentale.

MESSA DI REQUIEM Dies irae, 2011, tecnica mista, 120x200

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Il “Nabucco” (1842) dà inizio a una serie diproposte e di eventi tali da essere accolti conspirito irredentista da molti italiani e consospetto dalla autorità austriaca.“Va pensiero”, grazie alla carica di nostal-gia per la patria perduta viene tutt’ora, spes-so, proposto, benché inidoneo – è un lamen-to più che un inno marziale – come nostroinno nazionale, in sostituzione a “Fratellid’Italia” di Mameli e Novaro, meno impor-tante ma più idoneo.Ancora oggi – come nei risorgimentali – la“cattività babilonese” che ha ispirato il pa-triottismo di Verdi si riverbera sulla più re-cente “cattività nazista” tramite la voce delpoeta: “E come potevamo noi cantare / conil piede straniero sopra il cuore,…/ Alle fron-de dei salici, per voto, / anche le nostre ce-tre appese / oscillavano lievi al triste ven-to”. La “Messa di Requiem” (1874), compo-sta in morte di Alessando Manzoni, altrogrande esempio di italianità. Nel “Re-quiem” si vuole anche vedere il commos-so ricordo del Maestro di Busseto per tut-te le vittime del momento storico, note enon note, spesso dimenticate, oscurate dal-la retorica patriottica. Dunque l’Unità, dun-que Verdi, infine la pittura di Zanardi.Nevio Zanardi si presenta con un comples-so di venti opere che – come ho anticipa-to e mi piace ancora sottolineare – metto-no in atto una sintesi – particolarmente sua– tra colore (pittura) in sé e per sé e anco-ra colore (pittura) più marcatamente sim-bolico e simbolicamente significante conl’elemento musicale – nel caso specifico lamusica di Verdi – nel quadro ideale dell’Uni-tà. Dunque, pittura, musica, storia. Sul to-tale dei venti quadri si distinguono quattor-dici tele “uniche”, un trittico (“Il lacerato spi-rito”, dal Simon Boccanegra), cinque ditti-ci (“Preludio”, da Un ballo in maschera; “Pre-ludio” da La Traviata; “Dies irae”, dalla Mes-sa di Requiem; “Patria oppressa, da Macbeth;“Si ridesti il Leon di Pastiglia”, da Ernani).Dette opere – come del resto è ormai con-fermata consuetudine in Nevio – si presen-tano tutte di ricca ed intensa pittura, di pit-tura / pittura sostanziale, consolidata,portante. Malgrado i referenti musicali e oraanche storici, Nevio è alla pittura che inten-samente mira e, tramite la pittura, alla dram-matica evocazione e alla poesia. Volendo

selezionare i dipinti sulla base della mag-gior componente cromatica, si potrebberodistinguere tre gruppi di opere.Il gruppo di maggior consistenza è quelloin cui predomina il rosso – e il rosso/nero– colore particolarmente simbolico, simbo-licamente risorgimentale. Rosso è il colo-re della bandiera, del sangue, della fiamma,della brace, del tramonto, a volte del sen-timento, dell’amore, della passione.Dieci sono i quadri in cui campeggia il ros-so (o il rosso/nero), creando la componen-te più cospicua di tutta la sequenza, iden-tificando con maggiore ampiezza (nel 50%dei casi) il rosso come colore di riscossa edi riscatto per eccellenza. Ovviamente lagamma dei rossi (con o senza confronto coineri) è talmente varia e svariata da presen-tarsi come una tavolozza in proprio, illu-minata ed illuminante, quale regia maggior-mente operante nel contesto Unità / Ver-di / Pittura.Particolarmente nel dittico “Si ridesti il Leondi Pastiglia” (Ernani) il rosso in tutte le sue

UN BALLO IN MASCHERA Preludio (particolare),2011, tecnica mista, 100x140

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variazioni dilaganti dilaga appunto come unincendio, un mare al tramonto infuocato,una colata di lava e di metallo fuso.Segue un secondo gruppo per un totale dicinque quadri – dove predominano gli az-zurri, piuttosto intensi, spiccatamente in-tensi, addirittura timbrici, cui si aggiungo-no dipinti più tonali, quasi silenti, dove l’az-zurro non più dirompente si maschera diverdi ancor più silenziosi che contribuisco-no a creare una dimensione di tipo natura-lista – diciamo informal / naturalista. Sonotele che inducono all’ottimismo, alla spe-ranza, al dopo / rivoluzionario, alla quie-te dopo le turbolenze, alla gioia e alla paceche seguono. Il terzo nucleo – che per l’esat-tezza si direbbe l’intermedio – conta an-ch’esso cinque tele che si sviluppano in pro-gressione dal nero – strutture o nuclei neri– a tonalità brune di variata intensità – piùbruni, meno bruni – inglobanti grumi trat-tenuti che approdano al buio.Fra queste opere vogliamo sottolineare i duedipinti (più marcatamente neri, luttuosi) det-tati dal : “Miserere” del Trovatore – scelto

da Nevio – e il “Dies irae” del Requiem – cal-deggiato da me – per ricordare come Risor-gimento non fu solo epopea, glorificazio-ne, ma anche sacrificio supremo troppospesso cancellato dalla retorica.La stagione, caro Nevio, volge al termine,non solo come evento cosmico. L’invernoè alle porte – anche se i giardini hanno unaloro vita e una loro bellezza invernali. Pen-so che pure la “grande ombra” incomba.Troppo spesso se ci crediamo eterni ma nonè così, tutto ha un traguardo. Teniamo purepresente il “Requiem” di Verdi che è cosìbello, solenne, tragicamente solenne cometutta la grande musica funebre da Mozarta Chopin. Io sono sempre stato un culto-re della musica funebre. E “La morte e la fan-ciulla” di Schubert così solennemente resaplasticamente in Staglieno da Giulio Mon-teverde? E il “Requiem tedesco” di Brahmscosì freneticamente rapinoso?Guardiamo ancora dalla finestra sul giar-dino e consoliamoci al sole che si spegne- ultima speranza - sul fogliame, sul prato,sui roseti che vogliono ancora rifiorire.

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Nevio Zanardi, genovese, compiuti gli studi di violoncello con G. Lippi alConservatorio “N. Paganini”, ha successivamente seguito corsi di perfezionamentocon A. Janigro al Mozarteum di Salisburgo. La sua preparazione musicale comprendeanche gli studi di composizione e direzione d’orchestra. Violoncellista nell’Orche-stra Sinfonica del Teatro Comunale di Bologna, in seguito nell’Orchestra Sinfonicadel Teatro Carlo Felice di Genova, ha dato vita, per Enti e Associazioni, a importantimanifestazioni e stagioni concertistiche. Nel 1977 ha fondato l’Associazione “I Came-risti”, della quale è stato ininterrottamente direttore artistico e direttore dell’omo-nima orchestra fino al 1989. È chiamato a far parte di commissioni di concorsi nazionalie internazionali. Docente di violoncello già al Conservatorio Statale di Musica “G. Tartini”di Trieste e “G. Nicolini” di Piacenza, fino al 2008 presso il Conservatorio Statale di Musica“N. Paganini” di Genova. È stato altresì direttore dell’“Orchestra Giovanile” del suddettoConservatorio dal 1993 al 2009, e dell’Orchestra “Giovani Solisti”, da lui fondata nel 2000e che tuttora dirige, orchestra che svolge attualmente attività indipendente dal Conserva-torio. Con tale formazione ha realizzato sei CD e un DVD, quest’ultimo con la partecipa-zione di S.E. il Cardinale Tarcisio Bertone. All’attività musicale affianca quella di pittore eincisore. Inizia lo studio della pittura sotto la guida G. Cardillo e le tecniche dell’incisionecon A. Oliveri. Frequenta in seguito, presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti, corsi di di-segno, di incisione, di pittura, di storia dell’arte tenuti da E. Alfieri, N. Ottria, R. Sirotti, C.Mazzarello. Nel 1991, l’incontro con Carla Mazzarello ha segnato una svolta nell’attività pit-torica di Zanardi. Il rapporto tra linguaggio musicale e linguaggio visivo – tangenze e di-vergenze – sottolineato dalla Mazzarello, la suggerita attenzione alla qualità “ispiratrice”e alle possibili trasposizioni del linguaggio musicale, accolti dal musicista con fiduciosaapertura, hanno comportato l’avvio a più vibranti e articolate campiture cromatiche, asegni incrociati di nuova indefinitezza formale. Già dal 1986 Zanardi ha tenuto numerosepersonali e collettive. Nel 2001 gli sono stati commissionati due grandi quadri per la M/NOlympia della Soc. Minoan Lines; nel 2003 e nel 2007 ha ricevuto l’incarico di dipingere ri-spettivamente quattro grandi quadri per il salone delle feste della M/N La Suprema e ungrande quadro per la M/N Coraggio, Grandi Navi Veloci del Gruppo Grimaldi. Nel 2005, incollaborazione con la Cooperativa Sociale “Omnibus” di Genova Pegli, nell’ambito del-

l’evento “Finalmente Paganini replica”, ha organiz-zato tre concerti, tre conferenze e una mostrapittorica personale dedicati a Paganini stesso. Suoigrandi dipinti si trovano presso il Conservatorio Sta-tale di Musica “Niccolò Paganini” di Genova e pressoimportanti Istituti di Credito. Dal 1996 al 2008 hacollaborato con la Galleria San Bernardo curata daIvana Folle, risolvendo diversi appuntamenti esposi-tivi sul rapporto tra musica e pittura. Il 2010 lo havisto impegnato nella realizzazione ed esposizionedel nuovo ciclo dedicato a Don Chisciotte di R.Strauss e in altri due appuntamenti espositivi: uno inGermania per la 6a International Contemporary ArtExhibition nel castello “Plassenburg” di Kulmbach edun secondo in occasione della 53a edizione del Pre-mio Paganini presso il Teatro Carlo Felice di Genova.Fa parte dell’associazione Incisori Liguri. È presentenel “Repertorio degli incisori italiani” I, II, III, IV e Vedizione, nei volumi “La collezione d’arte” della ERG,1993 e “Il patrimonio artistico di Banca Carige”, 2008.

Nel giugno del 2009, su invito del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova, perl’evento “Pensare pittura, suonare pittura, Arte in dialogo”, ha realizzato una originale per-formance improvvisando al violoncello temi musicali davanti ad opere non figurative, inparticolare nella sezione monocroma statunitense, invito rinnovato nel 2011 nell’ambitodi una giornata in ricordo di Martino Oberto, trasferendo in suoni i colori di cinque impor-tanti lavori pittorici di O. M. Nel 2011 è stato invitato a risolvere pittoricamente “Le quat-tro stagioni” di Antonio Vivaldi, che sono state riprodotte tipograficamente dalla ScuolaGrafica Genovese Fassicomo, in occasione dell’annuale “Saggio didattico” degli allievi.

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VERDI E I SUOI “COLORI”di Roberto Iovino

“Quando scelgo una partitura a cui ispirarmi, la ascolto e la leggo conattenzione, più volte. Poi però nel momento in cui mi metto a lavora-re (con pennello spatola, mani, stracci) non la sento più. Mi disturbe-rebbe”. Nevio Zanardi mi aveva raccontato così, anni fa, all’epoca del-le tele dedicate a Frescobaldi, il processo che evidentemente esclude-va un atteggiamento descrittivo (nulla di ciò che nel mondo dei suo-ni è traducibile con “Musica e programma”) ma anche l’idea di una ispi-razione extra-pittorica appartata e intima della quale non fare paro-la allo spettatore (ciò che in musica fece ad esempio Schumann attin-gendo spunti dalle sue letture poetiche, ma tenendole per sé).

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I MASNADIERI “Amalia”, 2011, tecnica mista, 120x100

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Zanardi insomma ci mette a parte del suodiscorso inventivo, ma allo stesso temponon pretende dai suoi spettatori unacondivisione del “gesto pittorico” in sen-so narrativo, quanto piuttosto in sensoemotivo. Nella musica come nella pittura,Zanardi cerca emozioni per sé e per i suoiinterlocutori. Così accade pure in questoviaggio nel pianeta Verdi. Un viaggio im-pegnativo e complesso intrapreso percelebrare, attraverso il compositore di Bus-seto, i 150 anni dell’Unità d’Italia.Per questo il nostro autore ha program-mato 20 tele, ognuna dedicata a un lavo-ro verdiano con particolare attenzione,naturalmente al periodo risorgimentale,senza precludersi, tuttavia, la possibili-tà di “scantonare” per cogliere altriaspetti di quell’immenso, straordina-rio, mondo di sentimenti e di suggestio-ni che è appunto il teatro verdiano.

Si parte, dunque, con l’opera genoveseper eccellenza, il più straordinario omag-gio alla nostra città che musicista abbiamai fatto, Simon Boccanegra una dellepoche partiture che a distanza di moltianni Verdi volle riprendere per rivederee rilanciare (Il ves., 1857, II, 1881), perpassare poi ad Attila (1846), Rigoletto(1851), Stiffelio (1850), Un ballo in ma-schera (1859), La traviata (1853), Nabuc-co (1842), La battaglia di Legnano (1849),Luisa Miller (1849), I Masnadieri (1847),Ernani (1844), I vespri siciliani (1855), ILombardi alla prima crociata (1843), I dueFoscari (1844), Giovanna d’Arco (1845).A due opere Zanardi riserva due quadri:Macbeth (I vers. 1847, II, 1865) e Trova-tore (18539. Il repertorio si completa conla Messa di Requiem che Verdi dedicò nel1847 a Manzoni ad un anno dalla suascomparsa.

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Zanardi dunque ha ascoltato Verdi, in par-ticolare si è soffermato su alcune pagineper lui significative: un’aria, un concerta-to, un coro, una ouverture o una sinfoniaintroduttiva. E poi chiuso l’impianto ste-reo, ha lavorato sulla tela per fissare emo-zioni, sensazioni, ricordi, suggestioni.La musica ha dettato i colori, ma anchele architetture, gli spazi, le dimensioni.Ecco allora che il maestoso canto di Fie-sco (“Il lacerato spirto”) “cavallo di batta-glia” (si racconta) di Eugenio montalequando sognava da giovane una carrieradi cantante, ispira un trittico dalle ampiedimensioni (100x210) nel quale l’autoredà respiro a immagini corpose contrap-poste: una materia in movimento, desti-nata a generare i colori poi dominanti nel-la serie, il rosso, il nero e il marrone contutte le loro sfumature.Il rosso è uno dei colori maggiormente

amati da Zanardi: dà il senso della passionalità e i temi risorgimentali e anche la stes-sa musica verdiana ispirano slanci animosi. E così nell’Attila come nel Rigoletto, nelTrovatore (“Stride la vampa”, era obbligato!) come nei Vespri, il rosso campeggia, at-tirando a sé l’attenzione di una struttura che addirittura nell’Ernani (un ampio ditti-co, 100 per 140) fagocita totalmente.L’azzurro, invece, appare in questa serie il colore della pietà, dell’immaginario: cosìè per Traviata, ma anche per Giovanna d’Arco (“Qui, qui dove più s’apre libero ilcielo”). Ma la pietà ha anche il colore delle terre, si pensi al Macbeth della struggen-te pagina “Pietà, rispetto, amore”: quest’ultimo, che chiude la raccolta, senza nul-la togliere al fascino degli atri, è il mio preferito: sarà la suggestione delle note delMacbeth, ma ci leggo il dolore, la poesia, lo struggimento in un gioco magnifico diagglomerati colorati contrapposti, in sfumature di raffinata eleganza. Il verde nonè particolarmente frequentato da Zanardi se non in combinazione con altri colori.Domina, però, in due quadri e segnalo in particolare I due Foscari caratterizzatoda una leggerezza e una trasparenza del tutto particolari.Restano i marroni, i beige, i grigi che animano e raccontano le altre esperienze ver-diane in una combinazione di immagini assai eleganti. Emerge da molti di questilavori la sensazione di un sogno, di una impalpabile fantasia. Ed è ciò che mi “cat-tura” del quadro dei Masnadieri ispirato ad Amalia e distaccato dagli altri per unimpatto visivo del tutto autonomo, con una impostazione coloristica tenue e deli-cata che lo rende immateriale. Un sogno, appunto.

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SIMON BOCCANEgRA - "Il lacerato spirito" (trit-tico), 2011, tecnica mista, 100x210

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SPECIALE ARTEGENOVA 2013Mostra Mercato di Arte Moderna e Contemporanea

di Mario Napoli

ARTEGENOVA 2013PAD. C SECONDO PIANO - STAND: 250FIERA DI GENOVA15 – 18 FEBBRAIO 2013 DALLE ORE 10:00 ALLE ORE 20:00PIAZZALE KENNEDY / FIERA DEL MARE

SATURA PRESENTA I SUOI ARTISTI

Dal 15 febbraio al 18 febbraio 2013 Genova ospita ArteGenova 2013IX edizione della Mostra Mercato dedicata all’Arte Moderna e Contem-poranea. Con questo importante evento ormai consolidato, la città hadimostrato di essere in grado di mantenere nel tempo il ruolo conqui-stato nel 2004 quando venne proclamata Capitale Europea della Cul-tura, completando degnamente un calendario che si ripete ogni annoricco di grandi mostre d’arte figurativa, di spettacoli teatrali e musi-cali, di importanti convegni scientifici internazionali. Tutto nella cor-nice suggestiva di una città sospesa tra i monti e spinta ad occuparelo spazio del mare, crocevia di merci e di incontri da 2600 anni, sce-nario dinamico di fermenti sociali e culturali in una cornice di splen-didi palazzi pubblici e nobiliari che si affacciano sul Porto Antico. Ilvisitatore in cerca dei suoi tesori nascosti potrà partire dal centro sto-rico, proclamato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2006, per ar-rivare al Porto Antico dove i palazzi della Ripa Maris si fondono ar-monicamente con le architetture di Renzo Piano. Coronerà poi degna-mente l’itinerario artistico con una visita all’Arte Genova, ospitata nel-le strutture della Fiera, arricchite del nuovo padiglione B, collocato inposizione strategica all’ingresso del porto e mirabile equilibrio di fun-zionalità ed estetica.L’evento proporrà una pano-ramica eccezionale sulle piùimportanti e rinomate gallerieitaliane che presenterannoopere di alto livello e rappre-sentative dei più noti movi-menti artistici, dall’Espressio-nismo al Surrealismo, dal Fu-turismo al Dadaismo, dal Cu-bismo all’Astrattismo fino agiungere allo Spazialismo, al-l’Arte Concettuale e alla PopArt, non tralasciando l’Arte Po-

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vera, la Transavanguardia etutte le manifestazioni più attua-

li dell’Arte Contemporanea. La manifestazione sarà quest’anno viva-cizzata da numerose novità quali, adesempio, l’ampliamento degli spaziespositivi grazie all’apertura della sezio-ne nominata “Under 5000”, che ospite-rà le originali proposte delle gallerie e de-gli artisti emergenti, che si presenteran-no con una selezione delle loro miglio-ri opere. La direzione artistica di ArteGe-nova ha voluto, infatti, dare spazio alleespressioni più recenti dell’Arte Contem-poranea, perché proprio queste ultimeesprimono il suggestivo evolversi del ge-nio artistico e vengono considerate sem-pre più come un stimolante investi-mento. L’alto profilo culturale di ArteGenova sirivelerà dunque una risorsa fondamen-tale per il pubblico più accorto, in vistadi un aggiornamento sulle ultime tenden-ze dell’Arte. Questo evento è una vetri-na dedicata non solo al godimento este-

tico dell’oggetto, maanche alla compra-vendita delle opere,valutate anche dalpunto di vista econo-mico. L’attuale merca-to dell’Arte risulta in-fatti essere, come te-stimoniano le quota-zioni strabilianti rag-giunte da numerosimaestri, un buon set-tore di investimento:si è compreso, infatti,

come non solo le firme dei grandi auto-ri, ma anche le opere degli artisti contem-poranei ed emergenti, possano rivelarsiun bene di rifugio alternativo.La parola d’ordine di questa edizione è

dunque “rinnovamento”, al fine di garan-tire un’offerta estremamente articolatae originale.Satura art gallery è presente ad ArteGe-nova presso lo stand numero 250 padi-glione C al secondo piano, con opere di:

Aurelia Albertocchi, Guido Alimento,Achille Ascani, Adriana Bacigalupo, Raf-faella Bisio, Dalide Bolognesi, AnnamariaBonvicino, Luciana Bornheber, Pierange-lo Bottaro, Matteo Bracciali, Virginia Ca-fiero, Pietro Canale, Marina Carboni,Oretta Cassisi, Paolo Cau, Valentina Chil-lé, Milly Coda, Piergiorgio Colombara, Ni-

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coletta Conio, Antonio Corbo, ElisabethCyran, Marina Dagnino Isnaldi, Renato Da-metti, Riccardo Dametti, Valentina De Chi-rico, Gabriella de Filippis, Gigi Degli Ab-bati, Emanuele Dello Strologo, Walter DiGiusto, Pillino Donati, Sibilla Fanciulli, Giu-lia Ferretti, Silvana Franco, Silvia Fucilli,Erika Garbin, Ada Giaquinto, Luisa Gio-vagnoli, Francesca Giraudi, Iolanda Giuf-frida, Bruno Grassi, Giacomo Grasso,Edy Gree, Francesco Grigoletto, AlexIskandar, Iukari, Pia Labate, Claudio Ma-ria Laruccia, Grazia Lavia, Daniela Lecchi,

Giorgio Levi, Luciana Libralon, CristinaMantisi, Elena Mantovani, Fiorella Manzi-ni, Mirella Marini, Ilaria Messina, BrunaMilani, Maura Mironi, Patrizia Molinari,Pina Morlino, Anna Musi, Mario Napoli,Maddalena Palladini, Lucia Pasini, Ales-sandro Pastorino, Paola Pastura, MaribelPesce Maineri, Sergio Poggi, Giuseppe Pon-te, Marco Ponte, Andrea Quaglino, Mariel-la Relini, Francesco Rombaldi, EttoreRosselli, Alessandro Rossi, Gio Sciello, Ka-tia Scotti, Claudio Semino, SalvatoreSferrazza, Natalie Silva, Gabriella Solda-

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tini, Roberto Sozzi, Antonino Sparla,Claudia Steger, Antonella Stellini, MariaTagliafierro, TE.TA.BU., Flavio Ullucci, Ma-ria Vittoria Vallaro, Veronica Villarino, Va-leria Vittani, Maria Teresa Vittone, Ales-sandro Vullo, Nevio Zanardi, Zeta.

In occasione di Arte Fiera viene promos-sa la campagna di adesioni 2013 all’as-sociazione. La campagna di adesionepermetterà di sostenere le iniziativepromosse dall’Associazione a favoredell’arte e della cultura.

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MATTEO BRACCIALI

di Elena Colombo

Matteo Bracciali interpreta la realtà in maniera dissacrante, dando un nuo-vo valore – di segno diametralmente opposto alla consuetudine – alle ico-ne dello stile di vita occidentale. In quest’ottica vanno interpretati sia i suoilavori di design sia i disegni. Si tratta di scene oniriche vagamente inquie-tanti, vicine alle suggestioni del Pop Surrealism, sempre venate di una cer-ta inquietudine: nell’incubo dell’isolamento contemporaneo non è neces-sario essere soli per sentirsi marginalizzati e le scene quotidiane si trasfor-mano in altrettante performance del Teatro dell’Assurdo. “Non esiste fi-losofia o ideologia che non pensi che noi viviamo nell’alienazione” dicevaEugène Ionesco; e così l’artista milanese rielabora il linguaggio figurativosecondo una schematicità che, destrutturando e semplificando i sogget-ti, li rende più comprensibili e immediati, veicolando messaggi astratti. Ogniopera, quindi, sembra scaturire dalla giungla di stimoli che bombardanol’individuo ma, mentre i simboli ufficiali possono passare superficialmen-

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SENZA TITOLO, 2011, tecnica mista su tela, cm 130x130

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te, mescolandosi tra loro, queste rivisitazio-ni ribaltano la normale chiave di lettura. Taleprocesso d’appropriazione dei mezziespressivi si svolge su più direttrici: in pri-mo luogo l’osservatore è portato a consi-derare una gestione totalizzante dello spa-zio scenico che, essendo volutamente infan-tile nella composizione e nel riempimento,porta alla luce i sentimenti di denuncia piùintimi. Analogamente, l’uso delle linee e delcolore ricopre la funzione analitica di unarealtà distorta. Infatti, se alcune sceltetecniche possono ricordare persino il gu-sto erotico degli schizzi di Renato Guttu-so e soprattutto le scomposizioni cubiste- in cui la volumetria dell’oggetto si dispie-gava su di un unico piano visivo -, le tinteche emergono forti e contrastive dall’acco-stamento con il bianco e nero o con il rosafluo, mettono in risalto una singola porzio-ne del tutto, come se si trattasse di una sot-tolineatura o di una sineddoche letteraria.L’effetto di annullamento delle convin-zioni legate a referenti facilmente ricono-scibili è chiaro anche nelle opere di design,che ironizzano sul ruolo dei miti nella co-struzione dell’identità collettiva.

Matteo

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PINgUINO, 2012, grafica

SENZA TITOLO 3, 2011, tecnica mista su tela, cm130x130

SENZA TITOLO 2, 2011, tecnica mista, cm 130x130

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PAOLA PASTURA

di Andrea Rossetti

È d’origine schiettamente emotiva il colore di Paola Pastura, finissimoprodotto sensibile e formativo che in ogni traccia conserva tutte le ti-picità dell’esperienza viscerale; mirabile nella sua incoerenza costrut-tiva, protagonista assoluto di una pittura che può ricercare e trovarela sua più autentica vena espressiva unicamente in un informale daltratto deciso e risoluto, nel quale l’istinto conta più della razionalitàponderante e l’azione sa rendersi manifesta soltanto seguendo il ca-rattere spontaneo di un’as-soluta esigenza interiore. Astrattamente emoziona-le la Pastura, tuttavia esen-te dal soprassedere suquanto di piacevole e vali-do (soprattutto a livellosentimentale/sensitivo) larealtà è incondizionata-mente in grado di offrire,altrettanto esente perciòdal precludere al propriouniverso artistico/menta-le/estetico contatti diretticon un’esperienza natura-le di per sé avvincente.Contatti che non tardano asvelarsi come vivace sotto-fondo immaginativo e sen-soriale, si palesano attraver-so quel colore icastico epervicacemente espressio-nista assunto a cifra stilisti-co-concettuale suprema;forte e irriducibile nella di-vampante intrusione in-cendiaria del rosso acceso,nei blu intensi che si porta-no dietro potenti remini-scenze marinare (nonchéun vagheggiato ricordo ico-nico), o nei tocchi di verdebrillante scomposti, veloce-mente sfumati, ma cosìprecisi nel riportare espli-citamente l’anima sinteticae multi(in)forme di una ve-getazione che resta immer-sa, o forse irrazionalmentesospesa, tra cielo e terra.

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Marina 2, 2009, olio e acrilico su tela, cm 150x100

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Suggestioni eteree, ma che non esitano nelcomunicare una realtà afferrata, capita, in-terpretata e quindi citata seguendo perso-nalissime regole estetico-intellettive, spo-gliata e al tempo stesso cautamente esau-torata da ogni tipo di regolamentazionetotalitaristica: nessuna veridicità troppoterrena può intaccare un gesto tanto per-sonale e intimamente autosufficiente, néannientare l’eloquenza poeticamente mutache la Pastura insinua nei caratteristicispessori materici, nelle incisive scabrosi-tà scultoree, nei tratti di pennello appas-sionati e decisamente noncuranti di unaprecisione esteriore che qui risulterebbedel tutto priva di senso.

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Vegetazione, 2012, olio e acrilico su tela,cm 120x70

Marina, 2009, olio e acrilico su tela, cm 150x100

Vegatazione 2, 2012, olio e acrilico su tela, cm 120x80

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PEIHAN

di Andrea Rossetti

Piccoli tratti di colore, saldamente concatenati come solo la coscienzadi una fede cieca nella pittura potrebbe permettere, liberi da ingab-biamenti imitativi perché la loro funzione prescinde l’essenza ter-rena, perché essi sono specchio di qualcosa molto più profondo di untraguardo mimetico-estetizzante. PeiHan è artista intensa, appassio-nata, decisa quanto delicata nel creare accostamenti tonali incondizio-natamente precisi, istintivamente equilibrati, frutto di unameticolosità innata che non prevede le contaminazioni di interventieccessivi o ridondanti. Disgregazioni cromatiche pulviscolari si ricompongono per fondersiin un’unitaria esperienza materico-visiva, strappi e tagli perpetratiagli impasti alludono ad un’azione capace di far valere la pervasività

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L'umore, 2008, olio su tavola, cm 23,5x21,5

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cromatica e la natura dinamicamentepluridirezionale connaturata nel pro-prio segno. Un segno caratteristico, chesa restituire la costante presenza di unpreziosismo intimo, reiterato nell’operadi PeiHan come fosse impronta indele-bile, pronto a trasparire negli oli combi-

nati per accumulo o spatolati seguendouna diagonale di razionale memoria,splendida e tragicamente teatrale nelsuo manifestarsi immerso in un vorti-coso moto cromatico (e irrazionale) chetotale coinvolge la tela. Indotto verso una spiccata connota-zione materica, il colore è per PeiHancorposa sostanza che impressa sullatela sembra rispondere ad un’esigenzafisica ineluttabilmente ricercata, mani-polata ed esternata con la forza volitivadi un gesto tanto privatamente trasci-nante da non poter risultare manierato;gesto bloccato nelle sovrapposizioni dipossenti masse, lì dove assoluta si di-chiara tutta la sinestetica scabrositàdegli sbalzi tonali e dei movimentatigiochi increspanti elaborati dall’artista. Tuttavia qualsiasi intervento sulla mate-ria, seppur concreto o spinto a lambirecriteri di razionalità, non destabilizza ilvalore astrattamente simbolico insito nelcolore di PeiHan, incorruttibile allegoriadell’io sentimentale, sostanza egotica de-putata a calibrare ogni minima tensioneemozionale percettibile all’interno dellospazio pittorico.

PeiHan

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Il Pensiero, 2007, olio su tela, cm 70x50

Senza titolo 004 giallo, 2008, olio su tela, cm24x18

Senza titolo - Collezione World Museum Milano,2007

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ANDREA QUAGLINONarcisismo Europeo

di Andrea Rossetti

Nell’interesse di Andrea Quaglino per il mezzo fotografico si evidenziauna forte componente intellettuale, un distintivo automatismo specula-tivo assiduamente radicato nelle immagini e che posto in stretto contat-to con esse tende a condizionarne ogni dato estetico oggettivante. Indif-ferentemente rivolto a figure femminili, a paesaggi dalla spiccata ricchez-za cromatica o suggestive vedute notturne, con Quaglino il dato esteticoha travalicato (ma non soppresso) il proprio potere tacitamente sedutti-vo, si è ampiamente strumentalizzato, è divenuto il “contenitore” essen-ziale per confrontarsi con un “contenuto” fondato su meditati criteri diricerca e studio. Determinato a dichiarare quel contenuto, l’artista svelacontemporaneamente la sostanza di un estetismo depauperato, sfrutta-to e piegato a specifiche occorrenze per giungere all’analisi fondamenta-

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Narcisismo Europeo - Barcellona, 2006, fotografia digitale, cm 30x40

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le di sensazioni e percezioni, per compren-dere l’universo circostante o raccontare sen-timentalismi ideali altrimenti inconoscibi-li. L’istantanea diviene pertanto vettore diun polimorfismo espressivo d’eccezione,perimetro bidimensionale in cui il pensie-ro ha la netta precedenza (non solo tem-porale) sullo scatto quale azione, testimo-nianza di un perfetto equilibrio creativo (in-distintamente teorico e pratico) incapacedi compiacere esuberanze figurative arti-sticamente troppo esili per possedere unsignificato vero e potente. A caratterizzare ulteriormente gli scatti diQuaglino interviene un linguaggio figura-to rigorosamente antiretorico, affascinatodagli aspetti della costruzione formale al-meno quanto da quelli di un’accidentalitàmutevole colta en plein air e in nessunmodo alterata; un linguaggio che stigma-tizza la realtà, ma senza ricorrere ad esa-sperati accenti critici, semplicemente rece-pendo il dato visivo e riportandolo con lasua limpida franchezza individuale. L’artista, nella piena autonomia del pro-prio agire idiomatico universalmente

comprensibile, ha quindi la facoltà di po-ter reiterare articolati giochi di riflessi,bloccare il dinamismo come fosse un’es-senza latente da estrapolare o rendereconcretamente vivo il ricordo poveristadegli acciai specchianti di Pistoletto.

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oV E T R I N A

Narcisismo Europeo - Michela 2, 2007, fotografia digitale, cm 30x40

Narcisismo Europeo - Michela, 2007, fotografiadigitale, cm 30x40

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ETTORE ROSSELLIPaesaggi

di Elena Colombo

I paesaggi di Ettore Rosselli coniugano cielo e mare in uno spazio me-tafisico che, se da un lato spiega il legame dell’uomo con il territorio,dall’altro genera un’atmosfera di pura astrazione speculativa dove nu-vole, onde e linee costiere sono lo specchio delle emozioni dell’artista.In quest’ottica, i tratti che delineano gentilmente i contorni diventanotramiti di un discorso filosofico sulla solitudine e sugli stati dell’anima.L’uso di una delicata stratificazione di bianco e nero origina un giocodi trasparenze che sembrano voler indicare la “densità” introspettivaindividuale e la semplicità di queste illustrazioni richiama la tradizio-ne dell’acquaforte europea anche se, la morbidezza dei contorni sfuma-ti si avvicina di più alla sensibilità degli autori d’avanguardia della ban-de desinée francese o la raffinatezza della scuola cinese di Qi Baishi cheutilizzava l’inchiostro diluito su carta per delineare il romanticismo diun’ecologia lirica, punto d’incontro pieno e vuoto, disegno e calligra-fia. Attraverso il gesto compositivo, il pittore intraprende un viaggio co-noscitivo che travalica e fonde momenti di tensione a situazioni di quie-te, come in una sinfonia nella quale due sezioni strumentali si mesco-lano in un unico movimento. Il naufragio della soggettività – intesa come

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84 V E T R I N A

Capolungo, 2012, olio su tela, cm 125x185

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primato assoluto della fisicità – si riflet-te nella preponderanza dell’elementonaturale su quello sociale: i profili dell’am-biente rappresentano la compiutezzadella coscienza collettiva mentre la navi-gazione è il simbolo della formazione diun’identità definita. Tuttavia, pur in que-sta apparente assenza di vita, non c’è tri-stezza quanto piuttosto un riavvicinamen-to dell’Io al significato più vero dell’esi-stenza. Lo spettatore è portato a interpre-tare l’ampiezza prospettica che si svilup-pa sull’orizzonte a partire da un accenna-to punto di riferimento, e sembra quasidi rivedere il bellissimo finale del film“Dead Man” di Jim Jarmusch, quando ilredivivo William Blake sparisce su una bar-ca diretta nell’aldilà. È l’estrema sempli-ficazione della metafora del creativo giàproposta da Don Pedleto che, sulla scor-ta della memoria, vaga senza meta lascian-dosi trasportare dalle correnti.

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V E T R I N A

Paesaggio, 2012, olio su tela, cm 129x198

Paesaggio, 2012, olio su tela, cm 140x100

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NATALIE SILVA

di Andrea Rossetti

Democraticamente priva di ogni slancio gerarchizzante, la società im-mortalata nei lavori di Natalie Silva è libera da convenzioni qualunqui-ste, superficiali o concettualmente utopistiche, smitizzata seguendoun uso intelligentemente attuale della rappresentazione collettivo-sociale. Un uso che si può permettere d’incorniciare le gesta dellarampante borghesia incravattata - imperante senza distinzione a Mi-lano come a Dubai - non per sferrarle attacchi inutili o al massimogratuiti, ma piuttosto per impiegarne con consapevolezza il conte-nuto narrativo, coerentemente valido alla descrizione (soggettivata) diquel movimentato melting pot cittadino/mondiale cui la contempo-raneità ci ha ampiamente abituati.

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Morning briefing Beijing, 2006, tecnica mista su tela, cm 200x190

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Catturare l’essenza di quella mobilità me-tropolitana, analizzarla conformandosiad un dinamismo divenuto “status socia-le”, è per la Silva un’azione da compie-re attraverso l’uso tendenzialmente“sporco” e “irrequieto” delle cromie,impiegando la campitura piatta come cer-tezza stabilizzante da unire con precisio-ne alla colatura di stampo informale e al-

l’enfatica preponderanza del dettaglio di-stintivo appena accennato nelle scarnepennellate. E non è un caso che propriotra azione e colore esploda appienol’estro creazionistico della Silva, spanden-dosi come per influsso di un’energia fol-gorante sottesa nell’invasivo dominio deltratto rapido e volutamente frenetico; untratto particolarmente interessato a figu-razioni di carattere elementarizzante,spartiacque processuale per lavori che difatto portano in scena - senza trascen-derli - i numerosi riti del vivere moder-no fervente tra lavoro, migrazioni ricrea-

tive e un serrato tempo libero da lasciarscorrere calpestando i grigi marciapiedicittadini. Il tempo globale scorre, tra leriminiscenze pop di assembramenti de-contestualizzati attraverso la brillan-tezza abbacinante degli acrilici uniformi,tra i soggetti emblematici del modernocapitalismo stagliati di fronte al loro nuo-vo luogo di culto (la banca); tra simbo-liche fiumare completamente de-ideolo-gizzate e ri-modernizzate, dove c’è tut-ta la possibilità di riconoscersi, indistin-tamente si abiti da una parte o dall’altradel globo.

Natalie Silva

10 am Port Louis, 2006, tecnica mista su tela, cm 190x100

FOUR, 2012, tecnica mista su tela, cm 100x100

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ROBERTO SOZZIThe daily reality

di Andrea Rossetti

L’arte contemporanea, nello specifico quella rivolta all’uso del mez-zo fotografico, non sempre si presenta foriera di connotazioni sno-bistico-ascetiche; può capitare che essa lasci cadere la sua facciata pret-tamente estetizzante e muti così ogni aurorale azione macchinativain una basilare esperienza da compiere nell’ambito del reale e delleforme. È per questo che Roberto Sozzi opera in spontanea conformi-tà di concetto e azione, per raggiungere un contatto attivo con la fo-tografia e con i suoi soggetti, per riportare entrambi verso un gradodi autenticità formale in cui dare immagine al quotidiano equivale acondurre una poetica dove la parola “banale” non possiede valore ne-gativo, poiché connota qualcosa che può vedere modificata la propria“consuetudine esistenziale” in “espressione artistica unica”. La fruga-lità della fotocamera su cellulare, mezzo moderno semplice e ormaipiù che ampiamente diffuso, caratterizza la poetica e i lavori di Soz-zi così come stratifica culturalmente un’espressività che, equamentedivisa tra operazione concettuale e azione pratica, si lega indissolu-bile ai soggetti che ritrae.

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Sozzi

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Pomegranate, 2012, fotografia, cm 80x120

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La realtà quotidiana fissata dall’occhiodigitale di Sozzi si mostra con la poten-za iconica del suo spontaneo “splendo-re”, tra espressione naturale e costrutti-va modifica intercalata nell’utilizzo in-vasivo di effetti tendenzialmente linea-ri-pittorici. Allora è piuttosto facileestrapolare e comprendere l’eleganza flo-reale, pienamente e in modo assoluto in-serita nella poetica del bello-banale; piùcomplessa si rivela la tendenza kitsch diceramiche tanto decorate quanto esitodella standardizzazione produttiva, og-getti che cambiano valore formale rivi-sitando l’ideale pittorico di una “naturamorta” riproposta qui in immagine di og-getto tutt’ora in uso e artistico solo di ri-flesso, solo dal momento in cui Sozzi hadeciso di soffermarsi su di esso e quin-di sulla sua indipendente esistenza. In al-tri casi ad essere esaltati sono gli effet-ti pop che appartengono alla realtà intrin-secamente pop delle cose, sprizzantecome automatismo sostanziale nei con-trasti accattivanti di forme e colori, na-turalezza nella naturale espressione ri-cercata da Sozzi.

Rob

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V E T R I N A

Three hairbrushes, 2012, fotografia, cm 80x120

Redflower 2, 2012, fotografia, cm 120x80

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ANTONELLA STELLINISculture in trasparenza

di Elena Colombo

Le installazioni di Antonella Stellini contengono oggetti riciclati, resti epiccoli frammenti della realtà quotidiana post-moderna: ritagli, bigliet-ti e scale che misurano e bloccano lo spazio-tempo di una dimensionealiena e proteiforme. Ogni opera è una trasparenza che intrappola i mitiartefatti della nostra società. Cannucce colorate e perline, tubicini fluoe liquidi accesi entrano ed escono dai perimetri spezzati e levigati di cel-lule artificiali, sintetizzando la visione stroboscopica di universi fittizi,vicini a un linguaggio onirico non infantile, quasi da techo-rêve. La fu-sione di fili metallici, plastica e scarti di vetreria crea Wonderland inquie-tanti come scenografie di Tim Burton. Ci sono foreste contorte e paesag-

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Porta Rosa, 2002, inglobati nel metacrilato, cm 50x45x4

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gi bruciati, mari con delicate ondulazioniazzurre, e poi globi primordiali – testimo-nianza delle origini dell’evoluzione – e al-gidi pianeti blu ghiaccio che ci trasporta-no in atmosfere rilassanti ma carichedella tristezza dell’uomo contempora-neo. Il viaggiatore si ritrova, straniero, inun mondo dai riferimenti distorti, confu-so dai riflessi sferici: l’unica possibilità èlasciarsi guidare, fluttuando tra i mille mi-cro-stimoli della percezione. Bambole im-prigionate rimandano alla rivendicazionedel ruolo femminile, alla denuncia scon-volgente di una donna relegata a giocat-tolo ideale e strumentalizzato, rinchiusonella gabbia dorata della moda. I reticoliintrecciati ricordano un’esperienza, ma lamodificano fino a mostrare una nuda as-senza disperante e le astrazioni scompon-gono i soggetti per rappresentare unsubconscio brillante e aggrovigliato. Cosìle linee sinuose e gli accostamenti sono ladescrizione schematica degli elementi vi-sibili per come s’imprimono nella mentedell’individuo, che li seziona e li riuniscesecondo il suo sentire personale. Lo spet-

tatore è invitato a seguire i movimenti cro-matici – flessuosi come pennellate – e gliabbinamenti visivi di un impressionismotridimensionale e minimale, mentre gli ac-cenni dinamici e la sequenza di pieni e vuo-ti suggeriscono panorami e partiture in-time che, attraverso lo sguardo, risuona-no nella coscienza, minuscoli punti nell’in-certezza del presente.

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V E T R I N A

Inverno, 1999, inglobati nel metacrilato, cm 48x97x3

Mondo Rosa (particolare), 2003, inglobati nelmatacrilato, cm 40x30

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MARIA TERESA VITTONEDonne

di Elena Colombo

Attraverso le forme morbide della sua scultura, Maria Teresa Vittoneriscopre la femminilità come tramite di dialogo con lo spazio e con laNatura. Il protagonista assoluto di queste opere è, infatti, il corpo del-la donna, plasmato secondo infinite declinazioni che vanno dalle sug-gestioni mitologiche a espressioni di puro movimento, quasi astratte.Le nudità flessuose riproducono l’impulso dinamico della creazione:la ragazza è la madre universale che, superando l’opulenza delle pri-me Veneri preistoriche, elabora una personalissima tensione delle li-

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Incontro, 2011, bronzo, 28x32x24

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nee, snelle ed essenziali fino atrasformarsi in puro segno,un grafema che incide l’am-biente in maniera similealle calligrafie arabe dell’Al-hambra di Granada. I sog-getti sembrano nascereda un moto interioreche rielabora liberamen-te racconti, miti e leg-gende popolari per con-vogliarli in un unicomeccanismo d’invenzionedell’identità individuale che,riprendendo gli stereotipi diuna costruzione sociale pa-triarcale (o – viceversa – quel-li di chiara impronta femmini-sta), trova il senso della grazia edel sacrificio. È la stessa dicotomiaformale che si notava negli studiplastici di Edgar Degas: le ballerine,solo abbozzate, erano da consi-derarsi come simbolo dell’op-posizione tra estasi esteticae dolore che rimane sottin-tesa in qualsiasi lavoro ar-tistico. Si spiega così anchel’incompiutezza voluta deimodelli di cera dell’autorefrancese, continuamenterimaneggiati: i tratti soma-

tici non definiti richiamano al pri-mitivismo, cancellando le categoriz-zazioni dell’arte figurativa e lascian-do intatto il valore comunicativodella danza. Per la scultrice non sitratta solo di studi ma di un incon-

tro liberatorio, rivisita-zione contempora-nea dell’unione traAmore e Psiche.Diluendo o annul-lando i connotati,si mette in risaltola forza vitale chescaturisce dal ge-

sto: le mani esplo-rano le possibilitàduttili dei diversimateriali, giocandocon la loro consisten-za e con il riverberodella luce (parte inte-grante dell’esperien-za) in un discorso visi-vo e tattile a trecento-

sessanta gradi. È un’on-da che, mostrandosi can-giante – ora liscia e oragrezza; ora fluida e oraspezzata – coniuga la pas-sione carnale e l’urgenzadel pensiero.

Maria T

eresa Vitto

ne

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Pudore, 2000, bronzo, 51x10x15

Passione, 2012, bronzo, 17x50x40

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Te.Ta.Bu.

Gallery

Te.Ta.Bu. Gallery nasce a novembre del 2010 da un progetto collettivodi tre orafe: Camilla TEglio, Barbara TAramasso ed Emanuela BUrlando.Il concept della galleria è quello di proporre pezzi unici, nati dalla con-tinua ricerca personale di forme, materiali e linguaggi, che danno vita agioielli e ad inaspettati ornamenti per il corpo.

TaramassoStrutture:

argento

Taramasso Sojuz:

argento

BurlandoShopwindow n. 2:

argento

Burlando Il dievolo veste Prada:

smalti e argento

Teglio Flamenco:

Alluminio

Teglio Dania:

Carta giapponese,legno, argento

Originalità, cura dei dettagli,

creatività e conoscenza dei mate-

riali sono i tratti distintivi dei lavo-

ri proposti nel nostro laboratorio.

Altra mission della Te.Ta.Bu. Gal-

lery è quella di dare impulsoallo sviluppo di una cultura del gio-

iello moderno più vicina, come lin-

guaggio, al mondo dell’arte con-

temporanea che a quello dell’or-

namento tradizionale.Un lavoro di promozione e divul-

gazione di un nuovo modo di fare

ed  interpretare il gioiello, renden-

dolo sempre più partecipe dell’

espressione culturale ed emozio-

nale del nostro tempo.”

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PICASSO A MILANO

di Francesca Camponero

Ci era stato consigliato di arrivare a visitare la mostra dopo le 17,30perché prima si trovava una coda infinita, ma la coda persisteva an-che dopo le 17,30. Per fortuna da giornalista conservo ancora qualcheprivilegio come quello di aver prenotato un accredito che mi ha per-messo di entrare velocemente dopo una chiamata interfono fatta da

Picasso a M

ilano

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La lecture, 1932

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un operatore all’ingresso verso la bigliet-teria al primo piano. Racconto questonon certo per farmi vanto di questo fa-vore (di cui ringrazio naturalmente l’uf-ficio stampa della mostra), ma per farpresente quanto sia ancora massiccia l’af-fluenza alla mostra più attesa dell’annoa Palazzo Reale a Milano, dopo ben tremesi da che è stata inaugurata. Del re-sto il protagonista è lui, il pittore del no-vecento per eccellenza, l’ineguagliabileartista spagnolo Pablo Picasso. Artistache affascina e cattura chi ha competen-ze nel mondo dell’arte e chi non ne haaffatto perché si tratta di “lui” e non sidiscute. Le 250 opere esposte emoziona-no non c’è dubbio, anche se si sente unpo’ la mancanza di qualche titolo di ri-lievo. Infatti c’è una grande assente edè Guernica, che non arriva in Italia dal1953, dove fu portata proprio a Milano,sotto l’occhio vigile del Picasso stesso. Incompenso l’opera viene “sostituita” nel-la sezione d’apertura dove sugli scher-mi della grande sala che porta ancora isegni dei bombardamenti del ’43 scorro-no le fotografie con cui venne immorta-lata la creazione del capolavoro. Al fon-do della sala Guernica viene proiettata.Certo, nulla a che spartire con l’origina-le, ma questa ricostruzione suggestivaforse serve ad introdurre i visitatori allaconoscenza del percorso artistico del pit-tore, per cui arrivano preparati alla vistadei dipinti veri che catapultano subitonella dimensione viva e vivace del gran-de estro del maestro. Il primo ritratto checattura lo sguardo ed attrae con energianella prima sala espositiva è quello de LaCelestina, la donna anziana con l’occhiocieco dipinta dal ventitreenne Picasso nel1904 in quello denominato suo “perio-do blu”. La tela di cm 74 x 58 ha una for-za magnetica che non ti lascia anchequando ci si appresta alle opere a segui-re. Ma non è l’unica meraviglia a cui si as-

siste, appesi anche “Uomo con il mando-lino” e “Uomo con la chiatarra”. E anco-ra, di periodo in periodo, “Ritratto diDora Maar”, “Due donne che corrono sul-la spiaggia”, “Paul come Arlecchino”. Ecosì di sala in sala si entra sempre piùnello spirito del pittore che attraverso levarie esperienze della sua vita ha datosenso e colore in maniera sempre nuo-va e innovativa al mondo che ha cono-sciuto, vissuto, amato, odiato, a cui si ap-procciato con quella genialità che lo hareso grande. La mostra è pensata comeun excursus cronologico sulla produzio-ne dell’artista, che mette a confronto letecniche e i mezzi espressivi con cui siè cimentato nel corso della sua lunga car-riera. 250 opere che vanno dal periodoblu e quello rosa, a quello della ricerca“africana” o proto-cubista, per arrivareal Cubismo Sintetico e al Cubismo Clas-sico, ed ancora le pitture surrealiste, ilperiodo del coinvolgimento politico e idipinti sul tema della guerra, l’interludiopop e le variazioni sul tema ispirate aigrandi maestri dell’arte rinascimentalee moderna, fino alle sue ultimissime pro-duzioni prima delle morte, avvenutanel 1973. Presenti anche tante sculturein bronzo tanto belle quanto vigorose,dalla fisicità viva e pulsante, a cui ci sivorrebbe avvicinare di più, ma non si può.Le opere sono sistemate su ampie piat-taforme in cartongesso bianco che nonconsentono un agevole percorso il che fasì che spesso parta il fastidioso allarmeogni qualvolta ci si accosta. Questo for-se l’unico neo di un’allestimento ben pen-sato e ben riuscito ad opera di Anne Bal-dassari, riconosciuta a livello internazio-nale fra i più importanti studiosi di Pa-blo Picasso e curatrice del Musée Natio-nal Picasso di Parigi. La mostra durerà an-cora fino al 27 gennaio e come non con-sigliare a chi può di andarci… vale sen-z’altro la pena anche di una lunga coda.

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INTERVISTA A MARIUS PATYRA

di Francesca Camponero

Come non cedere alla tentazione di conoscere meglio il violinista cheha saputo dar risalto alle note del concerto di Giovanni Allevi presen-tato in prima nazionale al Carlo Felice di Genova, Mariusz Patyra, iltrentacinquenne vincitore del Premio Paganini 2001. Un’armonia di bel-lezza tra l’aspetto fisico e la gestualità perfettamente integrata col suoviolino appendice oramai naturale di sé. Un prodigio e un talento in-discusso ancora genuino che farà molto parlare di sé.

Ho letto che hai iniziato gli studi di violino a 7 anni, ma avevi già qual-cuno in famiglia violinista o musicista?Sono il più piccolo di tre fratelli, abbiamo studiato tutti e tre il violi-no ed anche la mamma aveva studiato violoncello.

Nel 2001 hai vinto il Premio Paganini, quanto ti sei preparato per l’au-dizione?Ho iniziato a preparami a maggio quando il concorso era a ottobre, quin-di mi ci sono dedicato 4 mesi. Ho puntato sull’esecuzione dei capricci n.7 e n. 24. Il 7 è difficilissimo e non tutti i violinisti riescono ad eseguirlocon precisione, ci vogliono doti particolari che per fortuna Dio mi ha dato.

Intervista a M

arius Patyra

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Il 24 invece racchiude l’essenza di Pagani-ni, è un brano completo ed ha tutto il co-lore e carattere diabolico del musicista.

Chi ti ha consigliato a partecipare al con-corso sapendo che saresti stato in gra-do di vincere?Ho avuto insegnanti stupendi che hannosempre creduto in me, come il maestro A.Hoffmann che mi ha seguito quando eropiccolo impostandomi molto bene e dan-domi l’opportunità di studiare in sala daconcerto, cosa molto emozionante per unbambino. Poi a 15 anni ho proseguito conil maestro J. Kucharski, ed è stato propriolui a capire quando per me era arrivato ilmomento giusto per partecipare al Con-corso Paganini, che ce la potevo fare. Io dalcanto mio volevo far sentire agli italianicome ero in grado di suonare Paganini. Ecosì nel 2001 ho raggiunto il mio sogno.Nelle ore finali del concorso ero felice diessere con l’orchestra dietro di me sul pal-coscenico del Carlo Felice. Eseguire Paga-nini mi esalta perché Paganini ha svilup-pato tutte le tecniche possibili con il vio-lino, sperimentando da solo i suoi senti-menti, quel fuoco dentro che gli dava lapassione per la lirica e l’amore per le can-tanti che contribuivano a rendere seducen-te la sua musica.

Quali opportunità ti ha dato vincere ilPremio Paganini?Vincere il premio Paganini mi ha dato noto-rietà ed è stato l’inizio della mia carriera.

Quante ore al giorno studi il violino?Da piccolo studiavo due ore dopo icompiti di scuola, poi le ore sono diven-tate 5, la mia vita di ragazzo e adolescen-te era senza svaghi. Mia madre usava unatecnica tutta sua per farmi studiare: mifaceva ripetere una frase musicale per 5volte senza errore, solo così poi si pas-sava ad un’altra.

Nelle foto sul tuo sito ho visto anche tuofiglio col violino. Anche lui è indirizza-to alla carriera di violinista?No, il bimbo non studia violino ed io nonvoglio fargli alcuna pressione in questosenso. Ad oggi che ha 8 anni studia in

una scuola di recitazione. Chissà che nonsia quella dell’attore la sua strada.

Ho visto che oltre al violino hai una pas-sione per la pesca, riesci malgrado i tuoiimpegni lavorativi a dedicarti a tuoihobbies?Sono nato a Orzysz e cresciuto a Olsztyn,una città a nordovest della Polonia, lì cisono tanti laghi e pescare è sempre sta-to un piacere per me, ora vivo ad Han-nover, anche lì fuori città trovo luoghidove andare pescare ed è bellissimo ar-rivato vicino al lago, spegnere il motoredell’auto, stare qualche minuto in silen-zio, poi prendere la canna ad avvicinar-mi alla riva. Non è importante se pren-do un pesce o no. Il bello è la sensazio-ne che mi dà quel rito.

Come ti ha convinto Giovanni Allevi asuonare per lui?Il marzo scorso mi ha scritto l’agente diAllevi, mi aveva ascoltato su YouTube egli ero piaciuto. Giovanni mi ha manda-to subito il primo movimento del suoconcerto per violino ma io gli ho chiestodi farmi avere al più presto anche gli al-tri due per avere una visione completadell’opera. Quando ho avuta la partitu-ra completa mi è stato più facile analiz-zarla e cominciare a lavorarci soprausando tutto il mio sentimento per tra-durre quelle note. Ci sono voluti 3 mesidi intenso lavoro perché i pezzi non sonofacili. Con Giovanni si comunicava viaSkype. Lui mi ha dato tutta la libertà dicui avevo bisogno per interpretare al me-glio la sua musica, fidandosi totalmen-te di me. “Io sono un pianista, non un vio-linista- mi ha detto - fai tu”.

La collaborazione con Allevi ti ha datomaggior notorietà? Ti sono arrivati altriingaggi?Per la notorietà si vedrà più in là. Fini-ta questa con l’appuntamento di Romail 28 novembre non ci sono progetti dialtra tournèe. Io ho in programma deiconcerti in Polonia e uno in Slovacchiaa Bratislava dove eseguirò un concertodi Carl Nielsen, poi uno anche per la ra-dio di Varsavia.

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MARCEL IMSAND E LA FONDATION PIERREgIANADDA

Un lungo sodalizio quello che lega LéonardGianadda, carismatica figura di costruttoree mecenate, a Marcel Imsand - fotografo diorigine vallesana, ma nato nel piccolovillaggio di Pringy (Gruyères nel cantone diFriburgo) nel 1929 e applicatosi in varimestieri finché nel 1964 si dedica con esitiestremamente positivi alla fotografia -cominciato nel 1984 con il successo dellesue fotografie su un’esposizione di operedi Rodin e saldatosi nel 1986 con una sfidaa interpretare in modo insolito le sculturedi Giacometti. Da allora il simpaticofotografo ha seguito gli avvenimenti piùsignificativi della Fondazione (esposizioni,concerti, conferenze, artisti celebri…) e hadonato in segno di amicizia e riconoscenzaad Annette e Léonard Gianadda e allaFondazione più di quattrocento scattitestimoni dei trent’anni (1984-2012) dilegame. La rassegna - articolata pertematiche - riesce a riportare in vita conicastica pregnanza momenti, eventi,situazioni restituendo atmosfere e spiritodi un’epoca: il dipanarsi di una storiafantastica e prodigiosa in una piccola cittàresa più preziosa dalla vis di un uomosostenuto da una grande donna.Particolarmente toccante e poetica la primasezione che racconta la dura realtà dellatransumanza e della vita dei pastorinomadi in Svizzera con le fotografie inbianco e nero di Luigi le berger (1989-1991), Luigi Cominelli, originario di Parre,uso a svernare nel Vaud: testimonianzedella dura esistenza del pastore sempreimpegnato a difendere il gregge e se stesso

dal freddo e dall’umido e a lottare per ilproprio sostentamento. Tre anni di vitacomune e condivisa fatta di gesti e azionisemplici hanno permesso a Imsand ditrasmettere nelle foto cuore, tenerezza,amore, rispetto, finezza e pudoresommesso nel raccontare un quotidianodifficile e faticoso.Fanno seguito le immagini di MauriceBéjart (1975-1995), comune amico conLéonard, di Alberto Giacometti (1984-1986), quelle relative ai vernissage e aiconcerti (1982-1992), e infine le quattroserie della collezione personale:un’amicizia saldissima testimoniata da unaserie di opere d’arte da vedere per coglierel’anima di ciascuna.↪ Marcel Imsand e la Fondation PierregianaddaMartigny/CH: Fondation Pierre Gianadda,Rue du Forum 599.00 – 18.00 tutti i giorniFino al 3 marzo 2013Biglietto mostra: individualeadulti € 12.50 (Fr 15.00), senior € 11.00(Fr 13.00), famiglie € 29.00 (Fr 35.00),studenti € 6.50 (Fr 8.00). gruppo da 10 personeadulti € 11.00 (Fr 13.00), senior € 9.00 (Fr11.00), studenti € 5.00 (Fr 6.00).Consente di visitare anche il Museo gallo-romano, il Parco delle sculture, laCollezione Franck e il Museodell’automobile. Il prezzò in euro varia conill cambioNB: Per chi, anche in pullman, utilizza iltunnel del Gran S. Bernardo il ‘pedaggio diritorno’ (entro tre giorni) in Italia è gratuitopresentando la ricevuta di andata e il biglietto di ingresso alla FondationGianadda.Informazioni: 0041 27 7223978,www.gianadda.chCatalogo: Fondation Pierre Gianadda Editore

BOHÈMESBohème è un termine affascinante e pregnodi significati che, ispirandosi alla culturadel popolo Rom, si diffonde dalla metà delXIX secolo, tra Romanticismo e Realismo, asignificare una vita libera, disordinata e

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ANDANDO PER MOSTRE di Wanda Castelnuovo

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anticonformista propria del nuovo statusdell’artista povero non più sotto laprotezione di un principe, genio solitariomitizzato che raccoglie successi erivisitazioni attraverso opere, poesie,canzoni, film…La mostra organizzata a Parigi da SylvainAmic (direttore del Museo di belle Arti diRouen) ne racconta le infinite sfaccettature- ecco perché il termine è al plurale -attraverso l’arte che si è ispirata alnomadismo, richiamando le radici nomadinon solo dell’identità europea, madell’uomo stesso che dalla sua comparsa siè sparso popolando la terra con migrazionie poi, spinto dal desiderio di conoscere levarie culture, si è mosso per indagarleconservando sempre integra la sua essenzapur nel continuo vagare e ‘spaesarsi’.“Se tu non sai dove vai, ricordati da dovevieni…” così recita un vecchio adagio romriferendosi agli zigani, popolo nomadedalle radici incerte, sempre in movimento einvidiati da pittori, musicisti e scrittori perla vita senza troppe radici geografiche,assolutamente libera, appassionata ecaratterizzata da un continuo vagare.Un fascino romantico inalterato nei secoliespresso anche dalla letteratura che,indagando sul mistero della loro origine,forse greco-balcanica, ha coniato numerosinomi per definirli: Voltaire ad esempioafferma che discendono dai sacerdoti diIside. Attraverso questa mostra - che conoltre 200 opere (suddivise in 15 temi) daTurner a Corot, da Courbet a Manet, da VanGogh a Matisse, abbraccia 5 secoli daLeonardo da Vinci a Picasso - si ha lapossibilità di approfondire le misterioseorigini di questo personaggio errante dalle

infinite sfumature: simbolicamente l’uomosulla terra.Non a caso le Chaussures (1886) di VanGogh, splendide scarpe dalla forzaevocatrice di un faticoso peregrinare sonola significativa icona della mostra e oggettodi un delizioso video.↪ BOHÈMESParigi: grand Palais (entrata Clemenceau),Avenue Winston Churchill10.00 – 20.00 lunedì, giovedì, venerdì,sabato e domenica10.00 – 22.00 mercoledìmartedì chiusoFino a gennaio 2013Biglietto mostra: intero € 12.00, ridotto € 8.00Informazioni e prenotazioni: 0033 (0)1 44 13 17 17, www.grandpalais.fr

VALERIANO TRUBBIANIDE RERUM FABULA

Le ampie sale della settecentesca MoleVanvitelliana con la loro maestositàvalorizzano le opere di Valeriano Trubbiani(Macerata 1937) di cui è esposta un’ampiaantologica con sculture in occasione diquesto evento presentate in ambientazioniper le quali sono utilizzati anche disegnicome per Ciriaco de’ Pizzecolli e la suaAncona e pirografie su legno come quelleaffascinanti dedicate a Giacomo Leopardi.Lo splendido percorso ha l’aspetto di unarappresentazione teatrale in 20 scene inordine cronologico tra un ‘prologo’ e un‘epilogo’, tutti introdotti da braniestrapolati da scritti dell’artista.Suddivise secondo i cicli tematici che nehanno caratterizzato il percorso artistico ela ricerca creativa, le 160 opere - create daTrubbiani dagli anni ’60 al primo decenniodel 2000 - sono anche fruibili da parte deinon vedenti potendo essere oltreché viste

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anche toccate così come succede a tuttequelle ospitate in questo Museo Tattile, unodei pochi al mondo, fondato nel 1993 ericonosciuto come Statale nel 1999: unmodo per permettere ai non vedentil’osservazione tattile e ai vedenti dicompletare la percezione della realtàartistica.Indagine e analisi lunghe e notevoli quellesui lavori di Trubbiani - figlio di un fabbroferraio di macchine agricole e maniscalcocome il nonno paterno - scultore,disegnatore e incisore di vaglia con unavasta produzione di qualità, espressione diuna poetica innovatrice, autentica, ironica,tendente al negativo e capace di esprimereattraverso i metalli incoerenze,contraddizioni e inquietudini dell’uomo dioggi. De rerum fabula è una ‘favola’ irrealee fantastica ‘sulle cose’ secondo l’artistache pare non curarsi della meraviglia e avolte dell’insofferenza suscitata in chiosserva i suoi lavori, anzi è lecitointerrogarsi sulle motivazioni che hannospinto uno scultore così creativo arappresentare devastazione e disperazioneanche quando l’uomo è simboleggiato daun animale come tra gli Animali incravattatil’Incravattato cartoccio.Trubbiani si rivela così in sintonia con quelLeopardi melanconico e tormentato,‘pastore errante’ che Move la greggia oltrepel campo, e vede greggi che non sonocoscienti della loro miseria diversamentedall’uomo.↪ VALERIANO TRUBBIANI - DE RERUMFABULAANCONA: Museo Tattile Statale Omero,Mole Vanvitelliana, Banchina g. da Chio 2816.00 – 20.00 da martedì a sabato10.00 – 13.00 e 16.00 – 20.00 domenicaFino al 17 marzo 2013Biglietto mostra: intero € 7.00, ridotto € 5.50Info: 071 2811935, 071 2225031 (orario mostra); sito vocale 800.202220,www.museoomero.itCatalogo: Silvana Editoriale

gIOVANNI BELLINI DALL’ICONA ALLA STORIAL’interessante mostra che il Museo PoldiPezzoli fa seguire al restauro dell’ImagoPietatis, capolavoro giovanile di GiovanniBellini (1435 ca-1516), racconta la genesi el’evoluzione del suo linguaggio artistico e

spirituale durante il periodo che va dal1457 circa, data cui risalirebbe il dipinto, al1470 - cioè dagli esordi giovanili alla pienamaturità - in particolare relativamente altema della Pietà, uno dei più importanti eantichi dell’iconografia sacra.Il soggetto di derivazione bizantina viene‘respirato’ dall’artista in ambito veneziano etrasformato raffigurando in modonaturalistico il Cristo, aggiungendo ilpaesaggio come sfondo e introducendonelle successive Pietà altri personaggi sacrivicino alla figura divina dall’espressionesofferta e dolente alla quale la naturasolitaria ed essenziale pare esprimere lapropria partecipazione.Bellini, la cui data di nascita è incerta, vedela luce a Venezia forse figlio illegittimo diJacopo che è a capo di una bottegaall’epoca importante nella città lagunarequanto a Murano a partire dagli anniquaranta quella di Antonio Vivarini eGiovanni d’Alemagna.Durante la giovinezza di Bellini sono attivia Padova Donatello e Andrea Mantegna chesposa Nicolosia Bellini, sorella maggiore diGiovanni.Inizialmente influenzato nello stile daquesti due autori, Bellini pian pianoacquisisce un proprio linguaggio artisticomaturo e innovativo tale da influenzare asua volta altri artisti venezianicontemporanei come si evince dalla

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presenza in mostra di testimonianzepittoriche quali la Madonna in trono con ilBambino e angeli di Antonio Vivarini, laDeposizione dipinta su pergamena diLazzaro Bastiani, la Madonna con ilBambino sempre del Bastiani e laCrocefissione di Alvise Vivarini.Un interessante video sul restauroeffettuato permette di “entrare” nell’operascoprendone oltre agli interventi compiutiil disegno preparatorio e il dispiegarsi dellasua costruzione.↪ gIOVANNI BELLINI dall’icona alla storiaMilano: Museo Poldi Pezzoli, Via Manzoni 1210.00 – 18.00 da mercoledì a lunedìmartedì chiusoFino al 25 febbraio 2013Biglietto mostra e Museo Poldi Pezzoli:intero € 9.00, ridotto € 6.00, fino a 10 anni gratuitoInformazioni: tel. 02 794889/796334,www.museopoldipezzoli.itCatalogo: Allemandi & C. Editore

EDWARD WESTON

Un fascino indiscutibile la visione delle fotodi Edward Weston (Highland Park/Illinois1886 – Wildcat Hill/California 1958), unodei più grandi maestri della fotografiacontemporanea, i cui bianchi e neridall’innegabile modernità approdano, aquindici anni dalla sua ultima personale inItalia, presso il CIAC (Centro italiano ArteContemporanea) di Foligno.Galeotto per lui il regalo a sedici anni daparte del padre di una fotocamera KodakBull’s Eye #2: da quel momento lafotografia diviene compagna inseparabiledi un lungo percorso tra luoghi e personealla ricerca di un modo personale diindagare il mondo.

Le 110 opere fotografiche originali daiprimi anni ’20 ai ’40 - provenienti quasitutte dal Center for Creative Photographydi Tucson, il più grande archivio di Westonche le ha realizzate, mai manipolandole, inprima persona o supervisionate in modoche rivelassero il suo ideale di perfezione -sono frutto di un’intelligente, acuta econtinua indagine sul mezzo tecnico erivelano lo spirito curioso, critico, generosoe insieme passionale e cinico dell’artistaassetato di conoscenza e attentoall’esistente.Sempre pronto a nuovi stimoli e disponibileai cambiamenti anche nei confrontidell’universo femminile da cui traeispirazione continua, l’artista supera il‘pittorialismo’, senza mai rinnegarlo, perarrivare a pure forme espressive, pitture-sculture della mente scevre daintellettualismi e pregne di élan vital:essenze reali dell’esistere in tutti i suoiaspetti.Come non restare ammaliati dalla plasticavitalità di White Radish che sembraguizzare fuori dall’immagine, frutto del‘sodalizio’ con Sonya Noskowiak nel 1933,o dalla dinamicità del corpo della donnache vibra di energia su un cuscino disabbia in Nude o ancora dalla sinuositàdelle dune, onde giganti dell’oceanosabbioso californiano in Dunes, Oceanoentrambe del 1936: emozioni da provaresoffermandosi di fronte agli scatti che,sottendendo una sensuale ed eleganteseduzione, ammiccano silenziosamenteintriganti.↪ EDWARD WESTONFoligno/Pg: CIAC (Centro italiano ArteContemporanea), Via del Campanile 1310.00 – 13.00 e 15. 30 – 19.00 venerdì,sabato e domenicaFino al 17 febbraio 2013Ingresso gratuitoInformazioni: 347 4581221, 0742 357035/621022,www.centroitalianoartecontemporanea.comCatalogo: Skira Editore

IL SEgRETO DEI SEgRETII TAROCCHI SOLA BUSCA E LA CULTURAERMETICO-ALCHEMICA TRA MARCHE EVENETO ALLA FINE DEL QUATTROCENTOUna singolare mostra, in occasione delbicentenario della fondazione dellaPinacoteca di Brera, disvela i segreti del

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mazzo Sola Busca - il più antico e completodi tarocchi italiano, anzi al mondo - il cuinome deriva dalla marchesa Busca e dalconte Sola (precedenti possessori).Acquistato nel 2009 dal Ministero per iBeni Culturali e destinato a Brera (che giàconserva 48 carte del mazzo Brambilla,parte di un mazzo tardo-gotico eseguitoper il duca di Milano), il mazzo (di fine‘400) sarebbe opera del pittoreanconetano Nicola di maestro Antonioforse per Marin Sanudo il giovane, comeindica il recente studio delle armi(stemmi) sulle carte. Per comprovare taleipotesi sono esposte 4 opere di questoartista onde compararne lo stile.Il gioco dei tarocchi - termine del 1505,prima detti triumphi - è proprio dei cetielevati dal quinto decennio del XV secolo inparticolare nell’area ferrarese dove, però,non ne sono rimaste testimonianze;numerose, invece, quelle in Lombardia,

Bologna e Firenze.Diffuso nelle corti per la sua valenzaintellettuale e la raffinatezza ben lontanadai giochi d’osteria, molti dei quali vietati,ha assunto aspetti divinatori dal XVIII: diottimo auspicio trovare la Papessa, laFortuna e l’Imperatore.Formato da 78 carte con immagini (22“trionfi” e 56 carte dei quattro semitradizionali italiani: denari, spade, bastonie coppe), tutte stampe su carta da incisionia bulino, montate su cartoncino e infineminiate a colori e oro, il mazzo costituisceuno splendido unicum.Tra le particolarità l’iconografia dei “trionfi”con rappresentazioni di guerrieri romani oeroi biblici dal Medioevo assurti aprotagonisti di Exempla (brevi racconti conintenti morali). Tra gli Uomini illustriAlessandro Magno - cui è dedicato il semedi Spade - secondo la leggenda elevato alcielo su un carro condotto da grifoni e peralcuni signori italici simbolo di immortalità.Singolari tra le immagini, da scoprirevisitando le 5 sezioni, quelle del seme diDenari che raccontano le fasi dellamonetazione - il sei di denari l’orlatura -collegandosi alla tradizione alchemicamedievale che ricerca la pietra filosofale ol’elisir di lunga vita.↪ I TAROCCHI SOLA BUSCA E LA CULTURAERMETICO-ALCHEMICA TRA MARCHE EVENETO ALLA FINE DEL QUATTROCENTOMilano: Pinacoteca di Brera, Via Brera 288.30 – 19.15 da martedì a domenicalunedì chiusola biglietteria chiude 35 minuti primaFino al 17 febbraio 2013Biglietto mostra: intero € 10.00, ridotto € 7.00Abbonamento annuale per Pinacoteca eMostre: € 22.00Informazioni: 02 72263264/229/257,www.brera.beniculturali.itPrenotazioni: tel. 02 92 800 361Catalogo: Skira Editore

I DILUVI E LE PROFEZIEContinua la mirabile opera disfascicolazione dei 1119 fogli del CodiceAtlantico esposti a Milano fino al 2015attraverso 24 mostre (della durata di tremesi ciascuna) nelle due sedi dellaPinacoteca Ambrosiana (Sala Federiciana) edella Chiesa di Santa Maria delle Grazie(Aula Leonardi).

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Una lenta e stupefacente scoperta dellagenialità di Leonardo da Vinci (Vinci 1452 -Amboise 1519), artista-architetto-scienziato, attraverso gli appunti dallacaratteristica grafia ‘speculare’ (da destra asinistra), leggibile davanti a uno specchio.La tematica di questa XIV serie di fogliriguarda i fenomeni drammatici delleinondazioni e dei vortici delle grandi acquesu cui Leonardo ha lavorato con serietàscientifica coniugandovi fantasia e tensioneprofetica.La piccolezza dell’uomo spazzato dalleforze della natura - che peraltro secondo lagiusta intuizione del Nostro, se ben usata,avrebbe potuto dare enormi beneficiall’umanità - rientra in un pessimismoapocalittico che aleggia alla fine del XVsecolo. Certo Leonardo sarà statoinfluenzato anche da episodi coevi qualinel 1456 una devastante tempesta inToscana e nel 1513 una disastrosa frana aBellinzona seguita nel 1515 dal crollo di undiga con conseguente inondazione.Pur ponendosi le ricerche leonardeschenell’ambito di un “ipernaturalismo”,altrimenti definito “naturalismo intensificatoo sintetico”, tuttavia si può arguire che

quelle sul tema del disfacimento del mondosiano indotte non solo dall’aura dicatastrofismo generale, ma anche dallasituazione di disagio e di conseguentescoramento che l’artista vive dal 1513 al1516 in Vaticano alla corte di papa Leone X.Certo è che le sue satiriche profezieassumono un carattere allucinato come lapresunta comparsa di una creaturamostruosa: il “toracopago parassita”(apparso secondo il Landucci a Firenze nel1513), disegnato nel foglio 48 “tra notesulle bombarde e disegni di compassi”,interpretato come presagio di una prossimafine del mondo.↪ I DILUVI E LE PROFEZIEMilano:Pinacoteca Ambrosiana (Sala Federiciana),Piazza Pio XI 210.00 – 18.00 da martedì a domenicalunedì chiusoLa biglietteria chiude mezz’ora primaBiglietto mostra: intero € 15.00, ridotto € 10.00, ridotto scuole € 5.00Sacrestia del Bramante (Chiesa di SantaMaria delle grazie), Via Caradosso 19.30 – 13.00 e 14.00 – 18.00 lunedì8.30 – 19.00 da martedì a domenicaBiglietto mostra: intero € 10.00, ridotto scuole € 5.00Fino al 12 marzo 2013Biglietto cumulativo mostre: intero €20.00, ridotto € 15.00, ridotto scuole € 8.00Informazioni e prenotazioni: 02 80692248,www.ambrosiana.euCatalogo: DeAgostini Editore

ANNI TRENTAARTI IN ITALIA OLTRE IL FASCISMOUn periodo fervido, vivace e creativo -malgrado sia conculcata la libertà - quellodegli anni ’30 del ‘900 in Italia quandovigente la cultura fascista e forse in partegrazie alla spinta data dallo stesso regimeal sapere, anche se di parte, sboccianonovità in tutti i settori: pittura, scultura,design e comunicazioni di massa grazie aradio, cinema, manifesti, fumetti e ai primirotocalchi che veicolano al grande pubblicoimmagini e idee mediate dalle belle arti,‘mass media’ ante litteram.Non tutti, però, sono omologati e chi va‘oltre gli standard’ stabiliti come futuristi(all’inizio alleati di Mussolini), astrattisti e

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lo stesso De Chirico viene etichettato“irrealista” mentre in Germania vieneclassificato tra gli “artisti degenerati” di cuia Monaco è realizzata un’esposizione diopere vietate prima della distruzione dimolte testimonianze preziose.96 dipinti, 17 sculture e 20 oggetti didesign raccontano in sette sezionicambiamenti e trasformazioni di unasocietà che si sta modernizzando negli stilidi vita e nella concezione stessa di uomoattivo, dinamico e al passo con i tempi,soprattutto nelle grandi città più a contattocon Berlino, Parigi e New York. Divengonocentri propulsori della nazione Milano,Roma, Torino, Trieste e naturalmenteFirenze particolarmente vitale, creativa e

cosmopolita con la presenza di vivaciriviste culturali e la nascita come altrove diFestival, esposizioni e di imponenti edificiarchitettonici.Un pulsare di tutti gli stili e tendenzecompreso il ‘muralismo’ e la nascita dello“stile italiano” con trionfali testimonianze diartisti affermati e giovani: il fiorentino OttoneRosai con I muratori (Operai) severi e quasiinscritti in un triangolo, il romano AntonioDonghi con Donna al caffè magicamenteraffinata, il corleonese Pippo Rizzo con Ilnomade elegantemente statico, il fiorentinoGuido Peyron con il Ritratto del poeta

Montale circondato dai suoi simboli poetici, ilgenovese Pietro Gaudenzi con Il granocomposizione magniloquente velata dimelanconia e il fiorentino Thayaht (ErnestoMichahelles) con il raffinatissimo Tuffo.↪ ANNI TRENTA. ARTI IN ITALIA OLTRE ILFASCISMOFirenze: Palazzo Strozzi, Piazza Strozzi 19.00 – 20.00 lunedì, martedì, mercoledì,venerdì, sabato e domenica9.00 – 23.00 giovedìLa biglietteria chiude un’ora primaFino al 27 gennaio 2013Biglietto mostra: intero € 10.00, ridotti € 8.50/8.00/7.50, ridotto scuole € 4.00Informazioni: 055 2645155,www.palazzostrozzi.orgPrenotazioni: Sigma CSC, tel. 0552469600, fax 055 244145,[email protected] (diritto diprevendita € 1.10)Catalogo: giunti Editore

SALVATORE SCARPITTATorino omaggia l’artista italo-americanoSalvatore Scarpitta (New York, 1919 –2007) con un’affascinante mostraantologica. Figlio delle seconde nozze diSalvatore Sr., (architetto, insegnante escultore che vive tra Palermo e gli StatiUniti) con Nadia Yarotsky, attrice russapreclusa nella carriera dalla gelosia delmarito, Salvatore Jr recita in piccole parti dialcuni film.A 11 anni l’episodio che segna una fortematurazione e da cui trarrà ispirazioneCalvino per il ‘Barone rampante’: per evitareun castigo del padre si rifugia sul grandealbero del pepe della dimora di famiglia aHollywood. Risponde di volere battere ilprimato di permanenza sugli alberi a ungiornalista locale che ne crea un caso e laboutade diventa una sfida. Si costruisce unapiccola piattaforma su cui dormire e vi restaper 602 ore, 40 minuti e 30 secondidiventando un eroe e incassando un pingueassegno donatogli da un’ereditiera ammirataper la sua tenacia.A 17 anni arriva a Palermo per cercare leradici italiane palpabili nel padre ammirato,pur se di personalità opposta. Si diploma aRoma nella stessa Accademia di Belle Arti,ma gli eventi bellici lo costringono alconfino e poi alla clandestinità. Malgrado ledifficoltà, temprato dal famoso albero del

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pepe, si sposa, ha una figlia, dipinge edisegna.Dopo la guerra, reinseritosi nel mondodell’arte, produce opere che vanno dal‘poverismo’ all’astrazione. Noto per latecnica della fasciatura (anni ’50 e ’60) conbende che disegnano, circoscrivono enascondono la forma degli oggettimodificandone il significato, si distingueanche per le tele estroflesse dipinte e peressere sempre alla ricerca di nuovetecniche e materiali.Energia e movimento sono i pilastriportanti della sua produzione in perfettasintonia con la sua passione per le corseautomobilistiche in cui gareggia con autoda lui costruite con i materiali più vari inmodo da restituire lo spirito del mondo deicircuiti della periferia americana da luifrequentati in gioventù.Singolarissima tra le opere Cot and LockStep n. 2 Cargo, slitta simbolica cheognuno può caricare di infiniti significati.↪ SALVATORE SCARPITTATORINO: gAM, Via Magenta 3110.00 – 18.00 da martedì a domenicalunedì chiusoLa biglietteria chiude un’ora primaFino al 3 febbraio 2013Biglietto mostra: intero € 10.00, ridotto € 8.00, gratuito fino a 18 anniInformazioni: 011 4429518,www.gamtorino.it Catalogo: Silvana Editoriale

UN ALTRO TEMPO. TRA DECADENTISMO EMODERN STYLEUn centinaio di opere curiose, ricercate,eccentriche e audaci tra dipinti, sculture,disegni, oggetti d’uso, libri, grafica

editoriale, fotografie e arredi - nonconosciuti al di fuori dell’Inghilterra equindi esposti per la prima volta -ricostruisce “un altro tempo” oggiscomparso in parte e mai preso inconsiderazione dalla storia dell’arte.Artefice di questa appassionante e raffinatarinascita Lea Vergine, studiosa e criticad’arte contemporanea e curatrice dinumerose esposizioni, che invitando ilvisitatore a oltrepassare la singolare(decorata da armadi bianchi) porta dellamostra lo introduce in dieci stanze dalleatmosfere incantate, remote, edonistiche eappassionate tipiche di gruppi attivi inInghilterra nei decenni 1910, 1920 e 1930e interagenti fra loro in nome della culturae del credo che “l’unione fa la forza”.Tra questi il gruppo di Bloomsbury, ‘circolo

artistico’ caratterizzato da personaggidell’alta e media borghesia quali VirginiaWoolf e sua sorella Vanessa Bell, lo scultoreHenri Gaudier-Brzeska la cui genialità èstata tarpata dalla guerra a 24 anni e di cuicolpisce il moderno Autoritratto, i fratelliSitwell tre poeti tra cui la carismatica Edith,Cecil Beaton e altri “divini mondani”: nongrandi artisti, ma “arbitri del gusto” nonsempre in accordo tra loro e legati dapassioni non solo amicali.

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Nemico di ogni conformismo in polemicacon le predominanti convenzioni vittoriane,produce tramite una sinergica e sottile retedi intenti e gusti affini, oltre a riviste comeBlast, progetti e oggetti ingegnosi comequelli degli Omega Workshops (laboratorid’arte applicata) del critico d’arte Roger Frye dei pittori Vanessa Bell e Duncan Grant(estremamente elegante come evidenziatoin Abstract), i gioielli della collezione diEdith Sitwell, una suggestiva serie di‘vortografie’ su Ezra Pound a opera di AlvinLangdon Coburn e di Cecil Beaton isingolari ritratti del trio Sitwell.Un tuffo in un passato sconosciuto chemerita di essere approfondito con l’aiutodell’affascinante saggio-catalogo.↪ UN ALTRO TEMPO. TRA DECADENTISMO E MODERN STYLERovereto: Mart, Corso Bettini 4310.00 – 18.00 martedì, mercoledì, giovedì,sabato e domenica10.00 – 21.00 venerdìlunedì chiusoFino a gennaio 2013Biglietto mostra: intero € 11.00, ridotto € 7.00, famiglia € 22, gratuito finoa 14 anni. Il biglietto dà diritto a visitareanche le altre mostre in corso al MartInfo e prenotazioni: n. verde 800.397760,[email protected], www.mart.trento.itCatalogo: il Saggiatore Editore

CARRà

La ‘Fondazione Ferrero’ - nata nel 1983come Opera Sociale con il motto “Lavorare,creare, donare” e attiva sia nella cultura (èsede del ‘Centro di documentazione BeppeFenoglio’), sia nel sociale con particolareriferimento alla ‘persona in pensione’ -ospita una mostra che con una selezione di

76 dipinti abbraccia l’intero percorsoartistico di Carlo Carrà (Quargnento/Al1881 - Milano 1966), legato al territorio diAlba per essere stato tra gli artisti predilettidall’albese Roberto Longhi.Apprendista-decoratore a Valenza Podall’età di 12 anni, Carrà si trasferisceprima a Milano, poi a Parigi e a Londra e,ritornato in patria, realizza decorazioni ecomincia a dipingere paesaggi aderendo aldivisionismo.Seguendo i corsi di Cesare Tallone incontraBoccioni, nel 1910 conosce Marinetti concui stende il ‘Manifesto dei pittori futuristi’insieme a Boccioni, Balla, Russolo eSeverini e partecipa con costoro alla storicamostra di Parigi. Attivo anche nella grafica,dopo qualche esperienza primitivista, siavvicina alla pittura metafisica dei DeChirico compiendo ampie riflessioni alriguardo e dedicandosi alla critica. Attratto dalla natura, soggiorna a Moneglia(qui nasce Pino sul mare, il suo capolavoropiù conosciuto e icona della mostra albese)e poi scopre la Versilia di cui lasciasplendidi dipinti in particolare di ‘marine’.S’indirizza poi verso la grande pitturamurale e per i meriti acquisiti ottiene lacattedra di Pittura all’Accademia di Brera.L’autobiografia La mia vita (1942) divieneun’essenziale testimonianza della storiadell’arte vista dall’interno.Milano nel 1962 gli dedica una grandemostra a Palazzo Reale. Tra le molte opere ammalianti Vele nelporto (1923) dove pur nell’idealizzazionesintetica delle forme si avverte la forza delmaestrale sulle vele e sulle onde increspateche più agitate compaiono in Donna sullaspiaggia (1931) facendo da contraltare allafigura umana arroventata dal sole.Illuminante il film documentario Solo mestesso, propedeutico alla visita alla mostra,e agilissimo il catalogo.↪ CARRàAlba (Cn): Fondazione Ferrero, Strada diMezzo 4415.00 – 19.00 martedì, mercoledì,giovedì e venerdì10.00 – 19.00 sabato, domenica e festivilunedì chiusogruppi e scuole: visite guidate da lunedì avenerdì su prenotazione (0173 363480)Fino al 27 gennaio 2013Ingresso gratuitoFondazione Ferrero: tel. 0173 295259,

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fax 0173 363274,www.fondazioneferrero.itCatalogo: 24 ORE Cultura Editrice

WASSILY KANDINSKY DALLA RUSSIAALL’EUROPA

Palazzo Blu propone un nuovo eaffascinante ciclo sulla nascita in pitturadell’astrazione - tipico aspettorivoluzionario del modernismo - chetramite mezzi espressivi puri (spazio, lineae colore) crea un linguaggio formale nonfigurativo, espressione dell’interioritàdell’artista.Inventore e teorizzatore dell’astrattismo èWassily Kandinsky (Mosca 1866 - Neuillysur Seine 1944), di padre con ascendenzemongole e di madre moscovita, che nel1871 si trasferisce con la famiglia aOdessa, studia musica (pianoforte evioloncello) e al liceo impara il tedesco.A 14 anni ha comprato i primi colori, ma silaurea in legge e proprio durante unviaggio di studio in Siberia rimane colpitodalla ricchezza decorativa e cromatica delleizbe (tipiche case rurali di tronchi d’albero)che gli danno l’impressione di “viveredentro un quadro”.Sposato con una cugina, rifiuta unacattedra universitaria in Estonia, va astudiare pittura a Monaco di Baviera e,dopo essersi iscritto alla scuola di AntonAzbé, diviene allievo di Von Stuckall’Accademia di Monaco.Si dedica completamente alla pittura e inoccasione di viaggi, esposizioni epermanenze collabora con gli artisti delleavanguardie sia in patria, sia a Monacodove fonda il gruppo Blauer Reiter conJawlensky, Marc, Macke e Gabriele Münter,compagna da cui si separerà allo scoppiodella guerra per poi sposare Nina

Andreevsky e partecipare attivamente allarivoluzione ricoprendo incarichi importanti.Nel 1922 accetta l’invito a insegnare conPaul Klee al Bauhaus, prende la nazionalitàtedesca e, quando nel 1933 i nazistichiudono la scuola di Gropius, si trasferiscea Neuilly sur Seine decidendo di diventarefrancese.Un’esistenza intensa con una notevoleproduzione artistica di cui la mostra di Pisaesamina attraverso una cinquantina diopere tra il 1901 e il 1921 le radici nellamadre Russia dove il giovane Kandinsky -già influenzato dall’infanzia dalle fiabetradizionali narrategli dalla zia - vive latendenza a recuperare cultura, canzoni efolclore del mondo contadino qualeespressione autentica della civiltà russa: unmondo favoloso ed esoterico contrappostoal razionalismo occidentale.Un mondo colorato e magico di cui è datoun esauriente saggio nella prima partedella mostra con singolari manufatti di artepopolare e altri provenienti dallosciamanesimo per mostrare come abbianoinfluenzato insieme al simbolismo ilMaestro.Segue un’interessante comparazione tradipinti di rappresentanti dell’avanguardiatedesca e russa fino alle opere diKandinsky del periodo Murnau in cui icolori si impongono in modomisteriosamente alchemico nella sequenzadi casette di Murnau (paesaggio d’estate).Stupefacenti nel rievocare l’antica animarussa Nuvola dorata e Amazzone sui monti,opere in cui viene utilizzata la tecnica dellapittura su vetro tipica dell’arte popolaretedesca da parte di questo straordinariorivoluzionario capace di innovare legandopassato e futuro, Occidente e Oriente.↪ WASSILY KANDINSKY DALLA RUSSIAALL’EUROPAPisa: Palazzo Blu, Lungarno gambacorti 910.00 – 19.00 lunedì, martedì, mercoledì,giovedì e venerdì10.00 – 20.00 sabato e domenicaLa biglietteria chiude un’ora primaFino al 3 febbraio 2013Biglietto mostra: intero € 10.00, ridotti €8.50/8.00, ridotto scuole € 4.00Informazioni Blu Palazzo d’Arte e Cultura:050 916950, www.mostrakandinsky.itPrevendite (servizio a pagamento):199199100, www.vivaticket.itCatalogo: giunti Arte Mostre Musei

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1Q84 Libro 3 Ottobre – DicembreHaruki MurakamiEinaudi, 395 pp., 18,50 €Ci sono amori chetrascendono il tempo e lospazio, amori che non hannobisogno di parole. La storia di Aomame eTengo è questo: la ricercaspasmodica di due animeche si completano avicenda, ma è anche moltodi più. Con 1Q84, HarukiMurakami ha raggiunto lasua vetta creativa più alta,condensando tutte le suesuggestioni in un nuovomondo, un luogo in cuisplendono due lune e dovela vita scorre al di fuori diqualsiasi logica. Gliaffezionati potrebberodivertirsi a rintracciarepiccoli indizi e frammentiautobiografici e citazioni trale righe; i neofiti invece silasceranno deliziaredall’incanto assolutamenteplausibile delle descrizioni. Il secondo volume delromanzo (che in realtà è ilLibro 3) esce a diversi mesidi distanza dal primo, con

CADUTO FUORI DAL TEMPO David GrossmanMondadori, 183 pp., 18.50 €

Caduto Fuori dal Tempo èun libro intenso, da leggere erileggere per coglierne laprofondità. Ogni parola diquesta lirica è come unagemma preziosa, una pietramiliare che si posa sullapagina – in un equilibrio dipieni e di vuoti – e guida unaricerca che da individuale sifa collettiva e da particolarepassa a essere universale.Infatti, se nel romanzoprecedente, il trauma di unafamiglia era connesso a unpanorama sociale definito,qui la scena è spoglia quantoil palco di un teatro. Ildramma dei singoli siamplifica in tragedie simili,la scomparsa di un figliodiventa il sintomo di unaferita storica e i personaggi,che erano partiti soli versoun “Laggiù” ultraterreno –simile al Dream-Land di Poeo al mito della remota isoladi Thule –, s’incontranoformando un’unicaprocessione di spettri, quasipiù morti dei morti stessi,che riecheggiano la tristezzadi Pedro Páramo di Rulfo. Le

una scelta editorialeabbastanza discutibile.Sarebbe stato meglio – forse– pensare a un cofanetto incui riunire i tre tomi,magari con un cd allegatoper calarsi totalmente inuna magica dimensioneparallela in cui esistono iLittle People e le Crisalidid’Aria … Scoprire il sensodi questi misteri spetta ailettori, che tuttavia nonpotranno trovare unaspiegazione univoca eplastificata ai loro dubbiperché, parafrasandoCechov, un buon raccontodeve porre interrogativi enon risolverli. I detrattoridello scrittore giapponese –in odor di premio Nobel –troveranno ancora lanarrazione un po’ troppolenta e misurata, maproprio in quest’attenzioneal dettaglio, che sfocia nellapoesia di una metaforainaspettata, sta lagrandezza del suo stile e lasua unicità. Inoltre, se nellaparte introduttiva la letturaera effettivamente resa unpo’ difficoltosa dalledigressioni didascaliche,qui, con l’aggiunta di unterzo punto di vista – quellodell’investigatore Ushikawa– i fili della trama si tiranouno a uno e il cerchio sichiude velocemente intornoai protagonisti e al lorouniverso, per aprirsi subitodopo verso infinitepossibilità. In ogni senso, èla volontà a plasmare ilcammino, a far combaciarele coincidenze e a creareriflessi inaspettati neglispecchi. Lui è un professoredi matematica e un ghostwriter, lei lavora in unapalestra e conosce unatecnica mortale … dal lorore-incontro potrà nascerequalcosa di puro.

I LIBRI di Elena Colombo

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voci si uniscono in un corodi Viandanti che procedonolungo il cammino come sefossero sospesi nel tempo,ognuno con il dolore di unaperdita prematura difficileda raccontare. Soltantograzie alla scrittura èpossibile provare a spiegare(e forse accettare) il male:attraverso il suono delracconto si riempiono glispazi, si ricordano lepersone assenti e si perpetrala memoria di un popolo. Laliberazione di unanarrazione a lungo repressaconsente di muoversi, direagire senza scappare:l’arte è un mezzo perconcepire un utero maternoe rappresenta la possibilitàdi fronteggiare il muro chesepara il mondo dei vivi daquello ignoto dell’aldilà.Ecco allora che l’autoredistilla la sua esperienzapersonale nelle millesfaccettature della perditaprematura di un figlio etrova una sua amarasensibilità femminileincarnandosi in ogni figura.Congiungendo gli opposti inun’azione armonica comequella delle dieci dita di unamano che compone, loscrittore è sia il cronachistacondannato a riportare levicende degli altri sia il“Centauro” – mezzo uomo emezzo scrivania – costrettoa restare legato alla sua casa,è sia madre piangente siapadre pellegrino. Ed èproprio il camminare chepermette di prenderenuovamente coscienza di sé,dei fatti e dell’ambientecircostante.

FURARI Sulle Orme del VentoJirô TaniguchiRizzoli, 216 pp., 17€Camminare spesso cirestituisce il piacere di gioiredelle piccole cosequotidiane, stupendoci perla bellezza di un paesaggio e

Primavera, Estate, Autunno,Inverno … e di nuovoPrimavera, come nel film diKim Ki-duk. Il protagonistasi muove in balia del vento(l’espressione giapponese“furari”significa proprioquesto) ma non porta con séil peso dell’emarginazionecome avveniva perl’hojarasca di GarcíaMárquez e non ha la stessaamara assurditàdell’agrimensore K di Kafkaanzi, insieme alla moglie Ei,egli trasmette un messaggiodi serenità e dolcezza chetravalica il tempo e leepoche storiche per arrivareai confini della terraconosciuta e fino ai nostrigiorni. Questo funzionario,con la sua passione per lameccanica e l’astronomia, èl’antenato ideale de L’Uomoche Cammina e del Gourmetche assaporava condettagliata attenzione criticai piatti della cucinanipponica – altri duepersonaggi indimenticabilidel fumettista più raffinatoed “europeo” del Giappone,unico orientale ad averottenuto un riconoscimentoal Festival Internazionale diAngoulême.

IL CORPO UMANO Paolo GiordanoMondadori, 309 pp., 19 €Il corpo umano è un libroche può trarre in inganno. Iprotagonisti sono soldatiitaliani di stanzanell’Afghanistan meridionalema non si tratta di unromanzo di guerra. O meglionon è solo la guerramacroscopica che si svolgeall’esterno a mostrare lasensazione d’insicurezza chederiva dalla precarietà di untempo sospeso all’infinito: lesituazioni e gli oggetti – cosìcome il dolore fisico –testimoniano il logorarsi deidialoghi e si trasformano inappigli ai quali sostenersi

facendoci riscoprirel’importanza delle creaturepiù umili di fronte allagrandezza del mondo che cicirconda. Il cartografo di JirôTaniguchi percorre a piedi levie di Edo – l’antica Tokyo –e la descrive con le misurelente dei suoi passi cheattraversano i ponti e iquartieri cari a Hokusai,osserva i mille dettagli deipanorami cangianti ed entracompletamente nella natura,assumendo punti di vistainconsueti. Il suo sguardo èquello trasognato e pazientedell’artista che aspetta lascintilla di una nuovaispirazione, la nascita diun’immagine poetica “dipoco conto”capace però dirisvegliare la magia.Calcolando le distanze silascia trasportare dall’attostesso di procedere lungo lestrade e colleziona piccoliistanti preziosi e insoliti tipiumani, descritti con la grazialirica di un haiku, conl’ironia del teatro comico ocon l’incisività dellacaricatura. Non ha una meta,se non la conquista di spazisempre più vasti, e la suatraiettoria sembra dettatadal piacere della casualità edall’alternarsi delle stagioniche regola l’esistenza insenso filosofico e inseriscel’individuo nella società –

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per scandagliare laprofondità dei turbamentipsicologici privati. Ognipersonaggio appare quindivolutamente categorizzato,riconoscibile per le suecaratteristiche drammatiche,e combatte la propriabattaglia personale contro sestesso, contro la famiglia,contro il mondo. In questosenso, lo status dei militari èsolo simbolico e consente diadottare un registrodissacrante, scorretto, avolte brutale, che sostituiscel’impatto incisivo delpresente alla morbidamediazione del passato

remoto. Sullo scenariodell’altopiano – visto inprima persona – PaoloGiordano mescola reportage,frammenti autobiografici etrasfigurazione narrativa:ciascuna voce di questoracconto corale e affollato èuna declinazione diversadello stallo in cui gliindividui si comportanocome osservatori passivi,come avveniva a Mattia eAlice, i due ragazzi de Lasolitudine dei numeri primi(2008). Il contesto estremodella base in mezzo aldeserto permette di ricrearele dinamiche di unaconvivenza giovanile,

magica – Cortázar, Calvino,García Márquez – hannotratto spunto dallaluminosità malinconica emisteriosa di queste storie

brevi in cui l’anima si rivelanel colore di una vetrata eun oggetto emerge dallapenombra appenarischiarata da lampadefumose. Una parte del corposi anima di vita propriamentre le singole noteassumono spessore e gravitàricadendo nello spazionarrativo come pietre. Da unlato l’autore /esecutore siallontana da se stesso e parequasi fluttuare in unospettrale viaggioextracorporeo grazie alquale conosce l’amore,confondendo i pianitemporali e imbrogliando idestini. Dall’altro il lettore silascia trascinarenell’atmosfera liberty,passando in una sequenzache ha l’ordine precisamentealeatorio delle battute sulpentagramma, come coseallineate nel buio cheognuno può indovinare solocon lo sguardodell’immaginazione. Ilprotagonista salta tra lerighe, dai tasti neri a quellibianchi creando uno spaziocontinuo di percezione che

cameratesca e istintiva: ilgruppo diventa il surrogatoideale degli affetti socialima è anche un insiemecoeso, simile a un corpo o aiclan primitivi in cui nonesistevano tabù.L’esperienza della missionecorrisponde al rito dipassaggio che segnavairrevocabilmente l’ingressonell’età adulta, piena di vereresponsabilità. Allontanatitemporaneamente dallarealtà quotidiana, cis’interroga sul senso dellescelte da compiere per ilfuturo, si acquisiscono nuovipunti di vista – tantodistaccati quantopartecipativi –, si intuisconole conseguenze del propriolibero arbitrio e, attraversola sublimazione collettiva, cisi abbandona lentamente aldestino, tentando diaccettare i mutamenti intimi.

NESSUNO ACCENDEVA LELAMPADEFelisberto HernándezNuova Frontiera, 126 pp., 13€Questo spazio si potrebbeintitolare “Quando è tempodi riscoprire”. La casaeditrice Nuova Frontiera cidà, infatti, l’occasione diritrovare una perlasommersa della letteraturafantastica latinoamericana,che s’inserisceperfettamente in quellatraiettoria narrativa che vadal modernismo di Darío aimicrocuentos di Monterossofino ai racconti grafici diGaleano. C’è la poesia e labrevità dell’infinito gioco deirimandi, ma nel libro diFelisberto Hernándezscrittura e musicas’incontrano sul palco di unteatro o nelle stanze privatedella buona borghesiauruguaiana, con un gustoper la ricerca sonora semprein bilico sulle corde delvirtuosismo. I grandi dellaletteratura combinatoria e

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forse avrebbe soddisfatto lefatiche di Pekish, ilcostruttore dell’umanofonodi Baricco. Hérnandez hatradotto la sua esperienzaquotidiana in siparietti velatidell’umorismo inquieto diChaplin nei siparietti comicidelle sale da concerto.Allitterazioni erocamboleschi passaggifigurativi spostano ilsignificato simbolico da uncontenitore semanticoall’altro, stropicciando leregole del buon de Saussuree spingendosi nel territoriodell’illusione, descrivendo leutopie polverose di sognoalla Fitzcarraldo.

VALIGIE SMARRITEJordi PuntíMondadori, 442 pp., 18.50 €A volte sono i “ricordiusurpati” che ti aiutano e ticompletano salvandoti lagiornata: “non ti possono farmale perché non li haivissuti davvero” magenerano immagini indelebilicome “un tatuaggiosull’anima”. Capita chel’identità personale siastrutturata intorno a unabugia che se viene scoperta,implica il perdonoimmediato trasformandosiin una parte fondamentaledella storia, non meno verain quanto parziale eillusoria. Christof,Christophe, Christopher,

(idealizzata, sbiadita, odiata)di un uomo assente. Sullosfondo della ricerca, c’è laCatalogna che è in Spagna –perché la penisola spiccaingigantita al centro dellamappa nel logo della ditta ditrasporti La Ibérica – ma ègià qualche cos’altro perchéil catalano è la linguadell’intimità domestica,accanto a una mescolanzafranca e internazionalementre il castigliano soloformale, innaturale. Il nastro asfaltato delleautostrade internazionalitraccia i contorni di tantitipi di amore famigliare eraccontano i cambiamenticulturali degli ultimiquarant’anni attraverso gliocchi dei protagonisti, e seil franchismo è sempre unaferita aperta nellacoscienza civica, larivoluzione del ’68 – con laconvinzione del maggiofrancese e l’accentopsichedelico della swingingLondon – s’impone nellaformazione di un’interagenerazione transnazionale. L’originalità di Jordi Puntísta nell’armonia polifonicadi questo romanzo coraleche, se si dilunga un po’troppo in certi passaggi,ritrova poi il giusto ritmo diuna narrazione musicale cheè letteralmente composta dimovimenti e assoliindimenticabili.

Cristòfol … sono quattrofratelli sparsi per l’Europacome le voci di unadeclinazione latina, quattroassi nel poker di GabrielDelacruz con un destinotravestito da casualità. È lui il padre che li haabbandonati, non per incuriao disinteresse ma per quelbisogno inquieto di libertàche si traduce con continuospostamento inseguendol’idea contraddittoria diradici temporanee; un padrescomparso ufficialmente chediventa il motivo di unincontro. Il passato –ricostruito come un mosaicoche unisce Barcellona aParigi, Francoforte a Londra– è il punto di partenza percapire il presente e perrecuperare l’immagine

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