A12 · 2017. 9. 20. · biguità. Gli Stati Uniti, principale attore della coalizione...

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  • Maurizio Delli Santi

    L’ISIS e la minaccia del nuovo terrorismo

    Tra rappresentazioni, questioni giuridiche e nuovi scenari geopolitici

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    I edizione: aprile

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  • Aux policiers Clarissa Jean-Philippe,Ahmed Merabet, Franck Brinsolaro

  • Indice

    Prefazione: terrorismo, ritorno al grande gioco e nuovo dialogo

    Parte IScenari del terrorismo

    Capitolo IDopo Charlie Hebdo

    Capitolo IILa nuova minaccia alla stabilità internazionale

    Parte IIL’IS tra rappresentazioni e geopolitica

    Capitolo IL’epilogo delle primavere arabe

    Capitolo IILa proclamazione dell’Islamic State

    Capitolo IIIIl ritorno al Califfato

    Capitolo IVAlle origini del jihadismo contemporaneo

    Capitolo VLa lotta per la leadership jihadista

    Capitolo VIL’attrazione dei foreign fighters e « la profezia che si autoavvera »

  • Indice

    Capitolo VIIL’Islamic State tra rappresentazioni e realtà

    Capitolo VIIIIl finanziamento dell’IS

    Capitolo IXL’altra rappresentazione dell’Islam

    Parte IIIL’international law e le nuove sfide del terrorismo

    Capitolo ILe domande sull’Islamic State

    Capitolo III temi della territorialità e della statualità dell’ISIS

    Capitolo IIIDal diritto di Ginevra alla Corte Penale Internazionale

    Capitolo IVUn nuovo ibrido: il conflitto interno/internazionale

    Capitolo VIl differente quadro giuridico: l’aggressione e il terrorismo

    Capitolo VIIl dilemma tra organizzazione militare e terroristica

    Capitolo VIIIl ricatto degli ostaggi

    Capitolo VIIILa transnazionalità dell’ISIS e l’intervento della comunità inter-nazionale

    Conclusioni

    Tributi

  • Indice

    Appendice

    Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

    Dichiarazione di Marrakesh sui diritti delle minoranze religiose

    Dichiarazione dei Ministri degli Affari Esteri dello Small Groupdella Coalizione Globale anti–Daesh

    Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea sull’Iraq del agosto

    Statuto della Corte Penale Internazionale

    Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi

  • Prefazione

    Terrorismo, ritorno al grande gioco e nuovo dialogo

    La drammatica sequenza degli attacchi terroristici perpetrati a Parigiil novembre , con le vittime al teatro Bataclan, allo Stade deFrance e ai bar e ristoranti del ° e ° arrondissement, hanno ripro-posto la rappresentazione del jihad che meno di un anno fa, il e gennaio , aveva colpito la capitale francese con gli attentati allarivista satirica Charlie Hebdo e ad un supermercato kosher. Già in queigiorni, cupi e carichi di tensione per la comunità occidentale, il terrori-smo dell’Islamic State si presentava con un nuovo e più insidioso livellodi minaccia, rielaborata sul tema dell’aggressione all’Occidente e alsuo universo “culturale”. Da qui l’esigenza di proseguire nel percorsodi ricerca volto a cogliere gli aspetti sociologici del terrorismo legatialla radicalizzazione dell’islam nella crisi della società contemporanea,ma pure gli ambiti geopolitici di un’area che vede i controversi disegniegemonici di un nuovo grande gioco, e, non ultime, le questioni giu-ridiche legate soprattutto alla legittimazione ad agire della comunitàinternazionale per la tutela delle popolazioni civili e della sicurezzaglobale.

    Sotto il profilo dell’analisi sociale, le prime informazioni sulla in-dividuazione degli autori degli attentati offrono importanti confermesu chiavi di lettura ormai ben definite: si tratta ancora di giovanimusulmani comunque cittadini francesi o belgi, legati per lo più allacomunità islamica di Molenbeek, quartiere di Bruxelles in cui sonocresciute la seconda e la terza generazione musulmane delle periferieurbane fortemente marginalizzate, anche se non necessariamente inpovertà assoluta. Sono anche nuovi foreign fighters “di ritorno”, chedalla Siria sono tornati in Europa per compiere missioni suicide, se-guendo i canoni del mimetismo e della miniaturizzazione, ovvero delladissimulazione della scelta radicalizzata e della organizzazione su unitàoperative elementari. Sulle cellule dei jihadisti europei è innegabile in

  • Prefazione

    ogni caso una regìa unica dello stato maggiore dell’IS e della rinno-vata leadership di Abu Bakr Al–Baghdadi, il Califfo o Khalifa, ovvero il« delegato del Profeta », che nella narrazione del mito fondativo delloStato islamico fa risalire la sua genealogia niente meno che alla stir-pe dei Quraysh, la stessa del Profeta Maometto. Secondo l’intelligencestatunitense i combattenti stranieri, gli occidentali reclutati dall’IS, sa-rebbero ., provenienti da circa Paesi. Il centro studi libaneseQuantum ne ha scandagliato le motivazioni: la prima spinta a partireè data soprattutto dalla “ricerca di identità”; seguono poi lo spiritodi avventura e la ricerca di emozioni. Ma altre analisi evidenzianoancora la stretta connessione della psicologia dei giovani jihadisti conil nichilismo e l’istinto di tanatos delle generazioni post–moderne. Peril politologo Oliver Roy c’è un tratto comune tra gli attentati di Parigie lo “spirito di Breivick”: nel luglio il norvegese Andres Breivickuccise persone a Oslo e sull’isola di Utoya; dichiaratosi un anti–multiculturalista, anti–marxista, anti–islamista, e sionista, Breivik —che nel memoriale — Una dichiarazione europea d’indipendenza, di pagine, si definisce “salvatore del Cristianesimo” — presenta certa-mente i tratti di una personalità psicopatica, ma è anche l’espressionedi una deriva della radicalizzazione estremista propria della societàcontemporanea. Da qui l’idea che il jihadismo non è che un’altra de-clinazione del radicalismo, non vi è dunque « una radicalizzazionedell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo ». La seconda e terzagenerazione dei musulmani occidentali si confrontano con i giovanidei Paesi d’arrivo, e nel contesto di marginalità in cui si trovano —non solo delle banlieues ma anche dei quartieri piccolo–borghesi —maturano frustrazioni e ostilità dopo che tante aspettative di concretaintegrazione e benessere nella realtà non vengono corrisposte. E suquesti temi sono emblematiche anche le osservazioni di Scott Atran,un antropologo del Centre de la recherche scientifique di Parigi: « Il ji-had è un datore di lavoro ugualitario che garantisce pari opportunità:fraterno, esaltante e persuasivo [. . . ] le nostre “contronarrative” sonoprive di fascino e inefficaci; sono perlopiù negative e consistono nelbombardare di messaggi indistinti i giovani invece di ricorrere a undialogo personale [. . . ] »; e tutto ciò mentre nella sua campagna direclutamento l’Islamic State « può impegnarsi per centinaia di ore neltentativo di coinvolgere un solo individuo e capire come i suoi proble-mi e le sue recriminazioni personali si inseriscano nel tema universale

    https://it.wikipedia.org/wiki/Multiculturalismohttps://it.wikipedia.org/wiki/Marxistahttps://it.wikipedia.org/wiki/Antislamismohttps://it.wikipedia.org/wiki/Islamhttps://it.wikipedia.org/wiki/Sionismohttps://it.wikipedia.org/wiki/Cristianesimo

  • Prefazione

    della persecuzione di tutti i musulmani ». Il Califfato diventa dunqueun nuovo mito, favorito da una forte rappresentazione mediatica, incui la reazione alle frustrazioni e alle marginalità trova sbocco in unafolle regressione alle pulsioni primordiali di violenza e di morte enel modello di una identità semplificata che purtroppo è capace dicatturare i giovani più inquieti e fragili di una generazione rimastaorfana dei valori e delle ideologie del XX secolo.

    Questi richiami più generali allo smarrimento epocale vissuto dallegenerazioni che alimentano il terrorismo non assolvono tuttavia dalleresponsabilità storiche quel radicalismo islamico che ha una sua precisarappresentazione non solo nell’Islamic State, ma anche in esponentigovernativi e autorità religiose di altri Paesi arabi, oltre che in innu-merevoli canali televisivi religiosi che esercitano un grande potere diinfluenza nelle famiglie e nelle più remote aree desertiche e rurali. Sitratta soprattutto del wahabismo, una concezione radicale e messianicasorta nel XVIII secolo che ripropone la lettura sanguinosa dell’islamdelle origini, nato tra le lotte tribali ed il nomadismo del deserto, in cuil’idea di Califfato sorge come elemento unificante su un libro sacro,due luoghi santi, Mecca e Medina, e su principi forti che escludonopossibilità di confronto o di discussione, specie con riferimento allaconcezione della donna, dell’arte e dei rapporti con le altre religioni.E a differenza del cristianesimo o dell’ebraismo — che nella tradi-zione biblica hanno anch’essi tratti sanguinari e richiami alla guerraper la loro affermazione — l’islam wahabita non propone nessunarielaborazione “moderata” e moderna del messaggio religioso, edanzi rivendica espressamente un ritorno al rigore delle origini, perché èritenuto fondamentale per ricollocare l’unità della Umma, la comunitàintera dei musulmani, prima dello storico scisma sulla discendenza delProfeta — da cui è sorta la contrapposizione tra sunniti e sciiti — e perallontanare la decadenza sociale e morale portata dalla “corruzione”dell’Occidente.

    Sul fronte dell’analisi geopolitica, i nuovi inquietanti scenari pre-sentano ancora complesse divergenze nella comunità internazionale,così come si era tratteggiato circa un anno fa. È quindi indispensabilecoglierne l’evoluzione distinguendo il prima e il dopo degli attentati diParigi.

    Già alla vigilia degli ultimi clamorosi attentati perpetrati in Franciae in Mali, nella capitale Bamako, i passaggi cruciali della guerra del

  • Prefazione

    Califfato hanno visto ancora un quadro molto controverso delle posi-zioni dei vari attori internazionali, e negli ultimi mesi sono intervenutedinamiche più problematiche, anche se solo apparentemente pocoprevedibili: non si può negare che le scelte della comunità internazio-nale nell’area si inseriscono da sempre in una difficile composizionedi interessi, dove la condivisione cede troppo spesso il passo alle am-biguità. Gli Stati Uniti, principale attore della coalizione anti–IslamicState, hanno proseguito la scelta di privilegiare l’azione dei raid aerei,mantenendo comunque l’impegno dei uomini della Delta Forcein Iraq e la dislocazione nell’area del gruppo navale della portaereiThedore Roosevelt. La strategia di Obama di evitare coinvolgimentipiù diretti nell’area è stata condivisa, oltre che dall’Italia, sostanzial-mente anche dagli altri Paesi Arabi, nell’ambito dei quali non vannotuttavia sottaciute le ambiguità di chi in passato ha segretamente favo-rito il traffico di armi e il finanziamento dell’Islamic State, specie percontrastare la crescente influenza dell’Iran.

    Ed è proprio l’Iran, la principale potenza regionale sciita dichiara-tamente ostile ai sunniti dell’Islamic State di Al Baghdadi, ad avereriguadagnato forza e credibilità internazionale grazie alle intese sulnucleare raggiunte nell’accordo di Vienna con il gruppo dei + (USA,Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Germania). L’ascesa dell’Iran,che rischiava un progressivo isolamento internazionale e una involu-zione economica con il perpetrarsi delle sanzioni, è stata sostenutasoprattutto dagli Stati Uniti che hanno ritenuto ormai da tempo diavvicinarsi alla leadership sciita per uscire dal pantano iracheno, af-fidando anche la guida governativa dell’Iraq ricostruito proprio allaminoranza sciita. Ma l’opzione iraniana/sciita — con i contributi an-che dei libanesi di Hezbollah, il “Partito di Dio”, e dei siriani alawiti— in funzione anti–IS va gestita con molta cautela, e gli Stati Unitine sono ben consapevoli perché proprio l’egemonia sciita in Iraq èstata all’origine della ribellione sunnita che ha portato alla nascita delCaliffato, e una ulteriore progressione delle intese americane con l’I-ran di Khamenei non può che attirare gli strali delle altre potenzeregionali, in primo luogo di Israele, ma anche di Turchia e ArabiaSaudita, quest’ultima già impegnata con una coalizione di altri paesiarabi contro le fazioni filo–iraniane dello Yemen. L’Iran è comunquecomparso come attore determinante nella lotta all’Islamic State coni uomini della brigata al Quds, altre truppe schierate tra Aleppo

  • Prefazione

    e Latakia, e pasdaran; ha inoltre sostenuto i peshmerga curdi chehanno contrastato davvero efficacemente l’avanzata dell’IS. Quando aMosul le truppe irachene contro l’IS si sono dileguate in una fuga dimassa di fronte all’avanzata del Califfo, sono stati proprio i curdi, gliodiati nemici del premier turco Erdogan, a rappresentare la miglioreresistenza alla progressione delle forze di Al Baghdadi. I combattenticurdi hanno quindi riconquistato coraggiosamente Kobane e liberatola zona di Sinjar, la città a nord ovest dell’Iraq a ridosso di Mosul,occupata dai miliziani dell’IS sin dall’agosto , in cui nei giorni dellutto di Parigi sono state scoperte fosse comuni con oltre corpi diuomini e soprattutto di donne e ragazzi della mite comunità yazida,che è stata soggiogata impunemente dai miliziani del Califfato anchecon il sistematico ricorso alla schiavitù sessuale.

    La Russia, dal suo canto, è scesa in campo in Siria a fianco del di-scusso regime di Assad (alawita, ovvero di impronta sciita) disponendoun significativo schieramento di forze per tutelare i propri interessistrategici sulla base navale di Tartus, ma probabilmente ha guardatoanche al futuro riassetto della Siria e di tutta l’area mediorientale, sucui altrimenti avrebbero avuto spazio solo le altre potenze. A fronte diciò si è vista la prospettiva di un’intesa più diretta tra Putin e Obama,che sono apparsi concordi nel delineare un progetto condiviso peril futuro della Siria e coordinarsi comunque, senza ostacolarsi, l’unonella tutela di Assad o se si vuole dell’attuale assetto siriano, l’altronella lotta all’Islamic State. Da ciò la risposta delle fazioni dell’IS delSinai con l’attentato del ottobre ad un airbus russo — che ha cau-sato la morte di civili, per lo più turisti provenienti da Sharm ElSheikh — che rispondeva anche all’esigenza di destabilizzare l’altraimportante potenza regionale filo–occidentale, l’Egitto di Al Sisi cheha emarginato gli integralisti della Fratellanza Musulmana. La Russiaha quindi rinsaldato la sua presenza nell’area forte del gruppo navaledell’incrociatore Moskva, con un sottomarino e sei unità di superficie,della flotta del Caspio che ha lanciato i missili Cruise, dei circa aerei caccia/bombardieri di livello tattico e strategico, e di circa milamilitari delle forze terrestri nella zona di Latakia, l’antica Laodiceaimportante porto siriano.

    È in questo quadro di situazione che sono stati diversamente inter-pretati gli ultimi attentati di Parigi. Le milizie del Daesh, in questa fase,per effetto dei raid aerei della coalizione a guida USA e della resistenza

  • Prefazione

    curdo–irachena, hanno rallentato la loro progressiva avanzata in Iraqe Siria, per cui non è peregrina l’ipotesi secondo cui l’Islamic State siain serie difficoltà; secondo diverse fonti il Califfato ha visto continuedefezioni dal suo esercito e per superare questa crisi interna ha decisodi rilanciarsi, ancora mediaticamente, nella conquista della leadershipglobale sui radicalizzati dell’islam, muovendo un nuovo attacco “strate-gico” sulla via più facile della “guerra asimmetrica”, grazie alle celluleterroriste inviate o reclutate in Europa.

    Veniamo dunque al dopo gli attentati di Parigi. Non vi è dubbioche la comunità internazionale ne è stata scossa, e la Francia ha avutopiù dirette e concrete manifestazioni di solidarietà da molti Stati. IlConsiglio dell’Unione Europea ha aderito alla richiesta francese diattivare la clausola di assistenza militare reciproca — uno strumentosinora mai attuato — prevista dall’articolo , paragrafo del Trattato diLisbona, che così dispone:

    Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio,gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tuttii mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo della Carta delleNazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica disicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazionein questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambitodell’Organizzazione del trattato del Nord–Atlantico che resta, per gli Statiche ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza diattuazione della stessa.

    E, soprattutto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, all’una-nimità, ha deliberato l’approvazione della Risoluzione () sullabase del testo presentato dall’ambasciatore francese Francois Delattre.I quindici membri del Consiglio di Sicurezza non hanno richiama-to il capitolo VII della Carta che riguarda espressamente le misureimplicanti l’uso della forza, ma hanno comunque fatto appello agliStati di « rafforzare e coordinare gli sforzi per prevenire e reprimereatti terroristici specificamente commessi dall’ISIS, e di sradicare lebasi che l’ISIS ha stabilito in Siria e Iraq », tenuto conto che « lo statoislamico dell’Iraq e del Levante costituisce una minaccia globale senzaprecedenti alla pace e alla sicurezza internazionale ». Inoltre la risolu-zione indica di « prendere tutte le misure necessarie, nel rispetto dellalegge internazionale e in particolare dei diritti umani internazionali,

  • Prefazione

    dei profughi e del diritto umanitario », riaffermando in ogni caso « ilrispetto per la sovranità, l’integrità territoriale, l’indipendenza » di tuttigli Stati della regione.

    L’unanimità dei membri permanenti del Consiglio non era scontata,soprattutto per le possibili riserve che avrebbero potuto esprimereRussia e Cina. Ma la dimostrazione di una raggiunta unità di intentidella comunità internazionale non è durata molto. E così, mentreancora si dava la caccia ai terroristi di Parigi e bisognava forse scenderein campo più uniti in Iraq e Siria per aggredire la regìa terroristicadell’Islamic State, sono deflagrate le gravi crisi che hanno allontanatoogni ipotesi di intesa tra Iran e Arabia Saudita da un lato e dall’altrotra Russia e Turchia, tutti importanti Paesi la cui unitarietà d’intentiavrebbe dato un sicuro e risolutivo peso strategico alla lotta al Califfato.

    La crisi tra Iran e Arabia Saudita, in particolare, ha confermatocome le rivalità tra sciiti e sunniti siano ancora fortemente suggestivenell’alimentare i conflitti dell’area, anche se gli elementi scatenantisono oggi sempre più riconducibili a concreti interessi economici egeopolitici di controllo dell’area. Se da un lato, la Repubblica di Tehe-ran — specie dopo l’accordo sul nucleare e l’acquisita leadership per lastabilizzazione dell’Iraq e della Siria — vive un momento decisamentefavorevole dopo anni di crisi interne e di isolamento, dall’altro il Re-gno di Riad si deve confrontare con seri problemi di stabilità internaed internazionale. La dinastia saudita è provata da problemi legati aidiscussi criteri di successione tra linee consanguinee e guarda conpreoccupazione tanto il Sud che il Nord Est dei confini del Paese:da una parte ha ingaggiato la lotta ai ribelli sciiti Houthi sostenutidall’Iran, dall’altro deve anche misurarsi con la minaccia del Daesh,accettando peraltro che ogni successo dell’esercito iracheno sull’Isis difatto rafforza l’influenza sciita e iraniana nell’area. Le tensioni tra Irane Arabia saudita sono quindi esplose quando il governo di Riad hadeliberato l’esecuzione capitale dell’imam sciita Nimr al Nimr, figuradi spicco non solo dell’opposizione al regno ma soprattutto simbolodell’attivismo sciita nel mondo. La reazione iraniana non si è fatta at-tendere ed ha portato all’occupazione popolare dell’ambasciata sauditae alla rottura delle relazioni diplomatiche. Iran e Arabia Saudita hannoormai la netta percezione di rappresentare ciascuno un nemico perl’altro, e probabilmente per i sauditi la “minaccia iraniana” appare orapiù seria di quella rappresentata dagli stessi jihadisti sunniti del Daesh.

  • Prefazione

    E probabilmente saranno soprattutto questi che si avvantaggerannoancora una volta della divisione all’interno dell’universo musulmano.

    Ma prima della crisi arabo–iraniana, subito dopo gli attentati diParigi del novembre, era già apparsa la gravità dell’altra importantecrisi scoppiata tra Russia e Turchia: si apriva così un nuovo squarcionella tela del già compromesso quadro strategico mediorientale e delmediterraneo.

    L’abbattimento del caccia russo Su– del novembre da partedella Turchia non è stato un incidente casuale: il governo turco hasubito ammesso di avere reagito a quelle che ritiene essere state reite-rate e volute violazioni dello spazio aereo turco da parte dell’aviazionerussa. Avallata dal Pentagono, la ricostruzione presentata ufficialmentedalla Turchia ha denunciato che i due velivoli russi, avvicinatisi allospazio aero della regione di Yayladagy/Hatay ai confini con la Siria,avevano avuto, nello spazio di cinque minuti, dieci formali avverti-menti attraverso il canale radio di emergenza, per cui gli F– turchi inazione di pattugliamento avevano poi aperto il fuoco. Ed è verosimileche la reazione — che presenta, sotto il profilo del diritto interna-zionale, certamente forti margini di dubbio in termini di necessità eproporzionalità — sia stata autorizzata dall’autorità governativa centrale,piuttosto che da un livello militare di comando. In sostanza, la sceltadi Ankara è stata tutta protesa a coinvolgere l’alleanza atlantica in unarisposta decisa contro il governo di Mosca: la Turchia ha manifestatotutta la sua insofferenza per le attività operative intraprese dalla Russiada quando ha insediato le sue forze aeree nella base di Latakya, adappena chilometri dal confine turco, da dove sono partiti anchei bombardamenti sui ribelli siriani sostenuti dalla Turchia a ridossosulla frontiera. Il nodo centrale quindi non sta soltanto nel diversoorientamento delle potenze schierate contro l’IS rispetto all’attualegoverno di Assad, sostenuto dai russi e osteggiato dai turchi: la postain gioco più importante è ben altra, il controllo strategico dell’area.

    Basta scorrere una cartina e guardare i confini e gli schieramentiper rendersi conto della preoccupazione della Turchia per la presenzainvasiva della Russia con le sue flotte navali e aree nelle basi di Tartuse di Latakia; queste non solo rappresentano un ostacolo in un’areaprossima ai confini fisici della Turchia e che può comunque interes-sare una naturale estensione della sua influenza nello scacchiere, masoprattutto sono esclavi militari della grande potenza russa che a que-

  • Prefazione

    sto punto possono favorire il consolidamento territoriale e, perché no,anche la costituzione di un vero proprio Stato dei nemici storici dellaTurchia, i curdi. Il governo di Ankara, dopo qualche modesto inizialetentativo di ricercare una intesa, ha confermato la ferma opposizioneal Partito dei lavoratori del Kurdistan turco (Pkk), che ha ricambiatol’ostilità ribadendo la linea separatista e cercando di ottenere appoggiinternazionali forte del ruolo assunto dall’Ypg, le unità di difesa del po-polo curdo–siriano che rappresentano i migliori alleati della coalizioneanti–Isis e sono stati protagonisti attivi nella difesa di Kobane e nellariconquista di altri importati territori del Califfato. E probabilmente adallarmare la Turchia sono stati proprio i segnali che la sua intelligenceha acquisito sulle intese raggiunte dall’Ypg curdo con le forze russeschierate nell’area. In sostanza, Erdogan insieme ad Arabia Saudita edEgitto teme l’espansione sciita–iraniana su Iraq e Siria, ma soprattuttoguarda con forte preoccupazione la possibile formazione di uno Statocurdo che potrebbe incunearsi nelle attuali zone confinanti di Tur-chia, Iraq e Siria; da qui il suo obiettivo strategico di mantenere sottocontrollo una “fascia di sicurezza” sulle proprie frontiere e su quellecontermini del territorio siriano, un disegno non osteggiato dagli USA,alleati nella coalizione anti–Isis e nella Nato, che ora però trova unostacolo nel robusto intervento della Russia a fianco di Assad nell’areasiriana. Tra l’altro in questo modo Putin ha allontanato l’attenzionedella comunità internazionale sulla crisi con l’Ucraina e si è garantitouna presenza significativa in Mediterraneo e nello scacchiere medio-rientale, puntando a consolidare il controllo di un’area sicuramentestrategica anche in vista della inevitabile ricomposizione territorialedegli spazi.

    Dunque le accuse che si sono mosse reciprocamente i due conten-denti ora hanno posto nuovi interrogativi sull’alone delle ambiguitàche da tempo appanna la discesa in campo di questi importanti attorischierati contro la guerra al Califfato. Da un lato il Ministero dellaDifesa russo ha convocato una conferenza stampa in cui ha proietta-to una serie di filmati che mostrano centinaia di autoarticolati concisterne che attraversano sistematicamente il confine tra la Siria e laTurchia a Reyhnali. La Russia ha quindi accusato la Turchia di averecolpito i caccia russi che bombardano proprio i convogli di greggiodell’Isis, e di importare il greggio estratto o depositato nell’area diRaqqa, a Deir Ez–zourin e in Iraq, per trasportarlo nei porti turchi

  • Prefazione

    di Iskanderum e Dertyol o alla raffineria di Batman a est. Il governorusso non ha poi risparmiato gli attacchi personali contro il premierturco, segnalando che nel contrabbando internazionale del petroliosarebbe interessata direttamente la famiglia Erdogan, in cui il generoricopre la carica di Ministro dell’energia, il figlio Bilal è azionista delgruppo BMZ che si occupa di fonti energetiche e trasporti marittimi, eil figlio maggiore Burak sarebbe proprietario di un’altra compagnia ditrasporti marittimi, la MB Shipping con sede a Malta. Dall’altro cantola Turchia ha risposto alle accuse definendole « totalmente assurde » eprive di riscontri, confermando la protratta ingerenza dell’aviazionerussa nello spazio aero turco, accusandola inoltre di avere colpito in-distintamente anche i civili, in particolare oltre turkmeni siriani,circostanza che comproverebbe come la Russia sia più interessata asostenere il dittatore Bashar al Assad, e le fazioni che lo appoggiano,piuttosto che a combattere realmente il Califfato.

    Su queste opposte ricostruzioni non è facile trarre giudizi conclu-sivi. Gli Stati Uniti, chiaramente più schierati a fianco della Turchia,hanno confermato che anche dalle acquisizioni dei tracciati NATOgli aerei russi abbattuti si trovavano nello spazio aero turco, ma nonhanno precisato se la reazione turca fosse giustificata e/o opportuna.Ed è chiaro che l’intendimento americano, e degli altri Paesi dellacoalizione, è quello di riportare i due Paesi a concentrarsi sulla preoc-cupazione comune della lotta all’Isis. Va anche detto che la questionedel contrabbando di petrolio nell’area siriano–irachena è molto con-troversa, atteso che si tratta del retaggio storico di un traffico che dasempre è stato incontrollato e favorito da reti locali e internazionali dicomplicità e corruzione, con il coinvolgimento dell’% delle popo-lazioni locali ma anche di intermediari di tutte le nazionalità, inclusii potenti oligarchi russi. È proprio sfruttando indirettamente questarete che l’Islamic State riesce a contrabbandare il petrolio con terminaliche giungono a Damasco, in Kurdistan, in Turchia ed anche moltopiù lontano pure attraverso i canali leciti del commercio internazio-nale: si tratta di un traffico che è stato stimato in circa milioni didollari l’anno, che certamente è un dato non ininfluente sul miliardodi dollari rappresentato dal budget complessivo del Califfato.

    Ma il dopo Parigi ha rappresentato anche l’occasione di un ulteriorerafforzamento delle intese tra i principali soggetti internazionali della“Cohalition of the Willing” a guida americana. Il governo di Berlino ha

  • Prefazione

    stanziato milioni di euro per il nella lotta all’Isis, dichiarandosipronto a schierare in Siria aerei da ricognizione, velivoli di rifornimen-to, ma anche una nave da guerra e militari, specificando che idati operativi sulla manovra delle forze saranno resi partecipi alla solacoalizione a guida Usa, quindi non alla Russia. Il governo di Came-ron è riuscito anche ad avere ragione della opposizione pacifista delleader laburista Corbyn, che è rimasto fortemente isolato all’internodel partito; secondo il Dayly Mirror è verosimile che il Regno Unitorafforzi con due cacciabombardieri Tornado e sei Eurofighter gli altriotto Tornado già schierati nella base cipriota di Akrotiri. Gli Stati Unitihanno annunciato l’invio di forze speciali in Iraq per sostenere la lottaal Daesh, per assistere le forze irachene e i peshmerga curdi, ma ancheper condurre operazioni unilaterali in Siria. Gli Emirati Arabi Unitihanno manifestato il proposito di organizzare una missione di terra inSiria, in una coalizione internazionale preferibilmente guidata da altriPaesi Arabi: è in fondo il progetto perseguito anche da Obama che hasempre auspicato che la “lotta sul terreno” contro l’Isis fosse compiutanon da soldati occidentali ma da una forza araba sunnita, in grado diaccollarsi anche gli oneri successivi di una “stabilizzazione” duratura.

    Quanto al ruolo dell’Italia, non può certamente sottacersi che èguardato sempre con maggiore attenzione in seno alla coalizione, nelcui ambito soprattutto gli Stati Uniti hanno richiesto un impegno an-cora maggiore. Non è un caso che proprio a Roma il febbraio si sia svolta la riunione dello Small Group dei Paesi anti–Daesh, in cuiil Segretario di Stato statunitense John Kerry ha rinnovato l’apprezza-mento per il contributo dato dall’Italia specie per il sostegno logistico ela leadership assunta nel programma di addestramento dei peshmergacurdi e delle forze di sicurezza e di polizia irachene. Il vertice, che si èsvolto ad un anno di distanza dalla prima riunione dello Small Group, èstato co–presieduto dal Ministro degli Esteri Gentiloni e dal Segretariodi Stato John Kerry ed ha visto la partecipazione di delegazioni: Au-stralia, Bahrain, Belgio, Canada, Danimarca, Egitto, Unione Europea,Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Nuova Zelanda,Paesi Bassi, Norvegia, Qatar, Arabia Saudita, Spagna, Svezia, Turchia,EAU, Regno Unito e Stati Uniti, e le Nazioni Unite come osservatore.A conclusione della riunione le delegazioni hanno manifestato pienasoddisfazione per l’annunciato ingresso nella coalizione dell’Afgha-nistan ed hanno sottoscritto anche un importante documento che

  • Prefazione

    efficacemente fa il punto dell’azione strategica intrapresa contro l’Isis,la Dichiarazione dei Ministri degli Affari Esteri dello Small Group dellaCoalizione Global anti-Daesh del // (in appendice).

    La posizione italiana ne è dunque riuscita rafforzata, anche se nel-la sostanza cautamente ha confermato i caveat rispetto alle azioni dibombardamento diretto e negli schieramenti di forze nel territoriosiriano. L’Italia già valuta considerevole l’impegno in missioni in-ternazionali in Paesi, di cui le principali sono comunque quellestrettamente collegate alla stabilità dell’area come le missioni in Liba-no (. militari), Afghanistan ( militari), Iraq ( addestratori e Tornado per la ricognizione), ma anche nel Mediterraneo centrale,in Somalia, nel Corno d’Africa e nell’Oceano indiano occidentale inparticolare contro la pirateria. Il governo italiano ha quindi sottolinea-to la scelta di conferire attenzione preferenziale a svolgere compiti disupporto nell’area irachena e al controllo strategico del Mediterraneopiù prossimo. In Iraq l’Italia ha deciso di schierare anche unità apresidio dei lavori sulla diga di Mosul, una costruzione lunga oltre chilometri e alta metri che assicura la maggior parte delle risorseidro–elettriche della regione; la diga sta subendo processi di erosionesu cui occorrono interventi tecnici urgenti affidati ad un’impresa ita-liana, ma soprattutto rappresenta una struttura fondamentale per ilfuturo sociale ed economico dell’Iraq, e quindi un obiettivo strategicoper l’Isis. Attualmente la zona è affidata al controllo dei peshmerga cur-di, invero non senza qualche difficoltà: se l’Isis riuscisse a danneggiarela diga, sarebbe messa in pericolo la vita di oltre mila persone, daqui l’esigenza di elevare il livello operativo della difesa della struttura.

    Con riferimento al vicino Mediterraneo, l’Italia ha confermatol’impegno sul monitoraggio dei flussi migratori e sulla questionelibica, per la quale è segnalata l’allarmante ascesa delle fazioni diretta-mente collegate al Daesh. L’Isis controlla Sirte da febbraio, punta suiprincipali campi petroliferi del bacino libico e minaccia di estendersiad est, approfittando dello stallo delle trattative di pace tre le duefazioni “riconosciute” dalla comunità internazionale di Tobruk e diTripoli. Il gennaio la Camera di rappresentanti di Tobrukha bloccato l’intesa promossa dalle Nazioni Unite, rifiutando il so-stegno al “Governo di unità nazionale” libico presieduto da Fayezal Sarray e composto da membri rappresentanti delle diverse re-gioni della Libia. La soluzione era apparsa già fragile alle origini: le

  • Prefazione

    figure di alcuni ministri si sono rilevate di basso profilo e il gover-no, annunciato dall’estero, a Tunisi, è apparso più un’imposizioneesterna che il frutto di una espressione propriamente libica. Tra lequestioni più critiche anche la posizione di Tobruk che non intenderidimensionare la figura controversa del capo del Libyan NationalArmy, Lna, sicuramente la principale milizia dell’est del Paese, ilgenerale Haftar, sostenuto dagli Emirati e da Giordania ed Egitto.Il panorama libico è quindi ancora estremamente rischioso per leforti frammentazioni interne e l’Italia è chiamata a svolgere un ruo-lo centrale di mediazione per il buon esito di una definitiva intesasul nuovo governo di unità nazionale, presupposto indispensabiledi ogni eventuale azione diretta sul terreno per fermare le miliziejihadiste. Non è uno scenario rassicurante di per sé, specie se si con-siderano le preoccupazioni di Paesi vicini come Algeria, Tunisiaed Egitto, le segnalazioni di possibili spostamenti di jihadisti chepotrebbero partire da porti libici — e aeroporti — algerini e tunisini,e, non ultimo, l’incalzare degli altri fronti della minaccia provenientedal Shael e dall’africa sub–sahariana di Boko Aram, Al Shabab e dellealtre milizie terroristiche schierate a fianco dell’ISIS.

    Ma anche nella Conferenza MED – Mediterranean Dialogues,“Beyond Turmoil, a positive Agenda”, svoltasi a Roma dal al di-cembre , l’Italia ha tracciato il disegno da perseguire sul pianostrategico, individuando le priorità delle sfide, che sono state definitenell’ordine: ) la sconfitta del Daesh; ) l’avvio della transizione po-litica in Siria; ) la nascita di un governo nazionale in Libia. I RomeMed Dialogues sono stati pure l’occasione per riaffermare comunquel’esigenza di un progetto più ampio, rivolto ad un nuovo ordine regio-nale in cui « immaginare una Pace di Westfalia per il Mediterraneoglobale » seguendo tre pilastri: ) per non ripetere gli errori del passato,affidare alle potenze regionali la stabilizzazione della pace, cui certamentela comunità internazionale dovrà dare un contributo operativo ini-ziale e “di legittimità”; ) riattivare il dialogo regionale — come è statofatto per le intese sul nucleare, sul prezzo del petrolio e sulla lotta alDaesh — specie per accordarsi sul futuro di Siria e Libia; ) elaborare« un’agenda positiva per il Mediterraneo globale », senza rassegnarsial pessimismo e guardando piuttosto al pluralismo delle culture, e anuove idee e opportunità di cooperazione economica e sociale, « oltre ledivisioni, oltre i conflitti ».

  • Prefazione

    Un grande progetto dunque di dialogo cui sembra avere rispostofinalmente la stessa comunità islamica con una significativa iniziativa lacui rilevanza storica probabilmente non è stata ancora sufficientemen-te apprezzata dagli organi di informazione e in alcune sedi istituzionali.Il e il gennaio , il Ministero della Promozione e degli Affariislamici del Marocco e il Forum per la Promozione della Pace degliEmirati Arabi hanno promosso una conferenza internazionale che havisto la partecipazione di ulema e dei maggiori studiosi islamici delmondo — con diversi esponenti anche vicini alla componente radicaledella Fratellanza Musulmana — insieme a leader di altre religioni,intellettuali e ministri: dalla loro volontà di aprire concretamente unnuovo capitolo sul dialogo interreligioso è nata la Dichiarazione diMarrakesh sui diritti delle minoranze religiose (Marrakesh Declaration, inappendice). Il documento esordisce con la constatazione che i dirittidelle minoranze religiose, la loro protezione, la convivenza “in molteparti del mondo musulmano si sono deteriorati in modo pericolosonegli ultimi tempi a causa dell’uso della violenza e della lotta armatacome mezzo per dirimere i conflitti e imporre il proprio punto divista”. Prosegue con un emblematico richiamo storico all’anniversariodei anni della Carta di Medina ( circa), un contratto cui l’Islammoderato e diversi autori riconoscono il valore una sorta di “cartacostituente” per i principi di libertà religiosa estesi a tutti, inclusi gliebrei e i pagani, stabiliti dal Profeta per regolare i rapporti tra le tribù ei clan maggiormente significativi della città-oasi di Yathrib, in seguitochiamata Medina. La nuova dichiarazione congiunta si propone quin-di di sviluppare il concetto di “cittadinanza”, che — richiamando unanozione cara al costituzionalismo moderno — risulti “inclusivo deidiversi gruppi” e sia “radicato nella tradizione islamica e nei principi enegli elementi frutto dei cambiamenti globali”. Viene dunque ribaditoil fermo proposito di rispettare i principi della storica Carta di Medina,così come la dimensione dei nuovi tempi richiede, ovvero afferman-do la libertà di movimento, il diritto alla proprietà, la solidarietà e ladifesa dei principi di giustizia e di eguaglianza davanti alla legge. Neltesto si invitano quindi i rappresentanti delle varie religioni, sette eformazioni, a rifondare tali principi su una “parola comune”, su nuoviintenti di collaborazione che vadano oltre la tolleranza e il rispettoreciproco, e garantiscano piena protezione ai diritti e alle libertà ditutti i gruppi religiosi, in un’ottica civile che rifugga la coercizione, il

  • Prefazione

    biasimo e l’arroganza, e che contrasti definitivamente tutte le formedi discriminazione e denigrazione di ciò che è sacro, anche per leminoranze, così come tutti i discorsi che promuovono odio e fanati-smo religioso. Nella Carta si invita anche ogni istituzione culturaleislamica, e le autorità preposte, a condurre una revisione coraggio-sa dei programmi educativi, affinché si affronti in modo onesto edefficace ogni argomento che fomenti l’aggressione e l’estremismo,conduca alla guerra e al caos, e comporti la distruzione delle nostresocietà condivise. La Dichiarazione di Marrakesh conclude affermandosolennemente che « is unconscionable to employ religion for the pur-pose of aggressing upon the rights of religious minorities in Muslimcountries »: « è inconcepibile usare la religione per colpire i diritti delleminoranze religiose nei Paesi musulmani ».

    Con questo documento gli ulema e i principali rappresentanti dellacomunità islamica nel mondo hanno dato risposte molto serie e im-pegnative alla richiesta di una rilettura dei valori « sostenuti dai testifondanti dell’Islam »: il rispetto della libertà religiosa, dei principi digiustizia e non discriminazione, il rispetto della dignità umana. Oraserve tradurre questi propositi in una pratica politica e in atti concreti.

    I progetti di una nuova apertura al dialogo interreligioso e inter-culturale appaiono dunque finalmente chiari e ben definiti sia nellacomunità occidentale che nell’ambito della più autorevole rappresen-tanza del mondo musulmano; si tratta di perseguirli con impegno econvinzione senza dimenticare le ragioni di una crisi che l’umanità stavivendo drammaticamente nella sua sfida al terrorismo, proseguendoperciò nel percorso di conoscenza intrapreso per comprendere me-glio e superare tutti gli ostacoli che impediscono la costruzione di unfuturo di pace per le nuove generazioni.