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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 2|2014 febbraio www.cem.coop ® Cure come bene comune Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIII - n. 2 - Febbraio 2014 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene IR .I.R.

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

SegreteriaMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Lubna Ammoune, Daniele Barbieri, Mas-simo Bonfatti, Silvio Boselli, Luciano Bosi,Gianni Caligaris, Chiara Colombo, StefanoCurci, Marco Dal Corso, p. Arnaldo De Vi-di, Fiorenzo Ferrari, Sara Ferrari, Lino Fer-racin, Antonella Fucecchi, Lorenzo Luatti,Rita Roberto, Nadia Savoldelli, Eugenio

Scardaccione, Elisabetta Sibilio, AlessioSurian, Aluisi Tosolini, Sebi Trovato, LauraTussi, Marco Valli-Osel Dorje

Collaboratori CEM dell’annata 2013-2014Lara Albanese, Lui Angelini, Mohamed Ba,Francesco Caligaris, Giacomo Caligaris, Pa-trizia Canova, Emanuela Colombi, AgneseDesideri, Francesco Marrella, Maria Maura,Clelia Minelli, Roberto Morselli, Maria Clau-dia Olivieri, Riccardo Olivieri, Roberto Pa-petti, Simona Polzot, Candelaria Romero,Roberto Varone, Martina Vultaggio

Hanno collaborato a questo numeroMaria Cristina Mannocci, Mattia Baiutti,Claudia Cocco, Anna Riva, Domenico La-marca, Anna Martelli, Giovanna Ghenga.

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamento10 num. (gennaio-dicembre) € 30,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 80,00Prezzo di un numero separato € 4,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

[email protected]

www.cem.coop

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Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeIn direzione ostinata e contraria 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeSe cinque son troppi 3Maria Cristina Mannocchi

rebusLa legge di Gresham (prima parte) 4Gianni Caligaris

Sommarion. 2 / febbraio 2014

Avarizia. Radice di tutti i mali 23

sesta puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

ascuolaeoltre

bambine e bambini

27 gennaio, giorno della bi-memoria 6Sebi Trovato

ragazze e ragazzi

Memoria e pace 8Sara Ferrari

generazione y

Cura e inclusione a scuola 10Stefano Curci

In cerca di futuro

Competenz* intercultural* 13Matteo Baiutti

educazione degli adulti

Bangla Tour 14Rita Roberto

saggezza folle

La magia dell’incontro 16Marco Valli - Osel Dorje

agenda interculturale

Erasmus + 35Alessio Surian

seconde generazioni

Il razzismo spiegato a un bambino 36Lubna Ammoune

domani è accaduto

L’ultimo criminale nel paese 37dei gentilia cura di Dibbì

spazio CEM

L’esperienza CEM a Nomadelfia 38Candelaria Romero

spazio CEM-SUD

Ho costruito la mia casa 39Domenico Lamarca

crea-azione

Il Festival dell’Intercultura Solidale 40«TumìAmì»Nadia Savoldelli

mediamondo 41

nuovi suoni organizzati

Fatoumata Diawara 43Luciano Bosi

saltafrontiera

Alex e il suo «doppio» 44Lorenzo Luatti

cinema

Uno sguardo partecipato 45Lino Ferracin

i paradossi 47La mia fede relativaArnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

Il senso delle cure 17come bene comuneRita Roberto

La cura come visione 30di mondoMarco Dal Corso

Cose

Le cose e l’immaginazione 33creativaClaudia Cocco

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davvero fuori misura, che finisce per apparirci inevita-bilmente il sunto dell’intera produzione deandreiana, ilsuo messaggio definitivo. Un affresco e un atto d’amoreper le minoranze, «per chi viaggia in direzione ostinatae contraria/ col suo marchio speciale di speciale dispe-razione» contro una maggioranza, come sempre, inclinea coltivare le sue meschinità e inesauribili astuzie. Nelbrano, di grande forza poetica, c’è in effetti tutto Fabrizio:quello che insegue la libertà tra i vomiti dei respinti conun titanismo che rimanda al Leopardi della sua estremapoesia, La ginestra. E quello che si rivolge al divino perinvocare, con profonda umanità, la salvezza degli emar-ginati che «dopo tanto sbandare è appena giusto cheFortuna li aiuti/ come una svista, come un’anomalia,come una distrazione, come un dovere». Tra lui e Mutis, ovviamente, nacque un’amicizia. Tantoche lo scrittore, definito da García Márquez uno dei piùgrandi scrittori della nostra epoca, intervistato nel do-cumentario Dentro Faber - Gli Ultimi dichiarò che la sin-tesi del proprio lavoro di una vita, offerto dalla canzone,è di un’efficacia di cui egli stesso non sarebbe stato ca-pace. Lui che, sradicato due volte, la prima da Bogotà,città natale lasciata per l’Europa e per Bruxelles al seguitodi un padre diplomatico, e la seconda causata dallamorte di quest’ultimo, per tornare da dove era venuto,porterà costantemente dentro di sé l’idea dello strappoche non si riannoda. Fino a dividere la vita tra materia eordine, conseguenza di tanti sbarchi senza reali approdi:la materia, la disperanza di Maqroll, nella scelta di un’esi-stenza errante; e l’ordine, una maturazione di tipo reli-gioso, la certezza di un destino finale che dovrà essereprovvidenziale, il luogo dove finalmente ogni cosa andràal suo posto. Anche per chi, ora, si trova a viaggiare indirezione ostinata e contraria. nnn

brunetto salvarani | direttore [email protected]

In direzione ostinatae contraria

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

T @BSalvarani

editoriale

Curioso destino, quello dello scrittore colombianoÁlvaro Mutis, morto novantenne il 22 settembre2013, nel nostro paese. I suoi romanzi e racconti

più felici - a partire dalla splendida saga di Maqroll ilgabbiere - sono infatti usciti in Italia con ritardo, neglianni Novanta del secolo scorso, ma soprattutto nel pienodi una stagione in cui la letteratura latinoamericana stavaconoscendo un enorme favore di pubblico: per cui sonopassati un po’ inosservati a fronte dei bestseller firmatidai vari García Márquez, Vargas Llosa, Soriano e IsabelAllende, e tanti altri. Non solo. La sua notorietà, allenostre latitudini, è derivata dal fatto che, in quello chesarebbe stato l’ultimo suo CD, Fabrizio De André sac-cheggiò consapevolmente la produzione poetica di Mutisper creare quell’autentico capolavoro che resta Smisuratapreghiera (cuore dell’album del ’96 Anime salve, com-posto a quattro mani con Ivano Fossati). La canzone è modellata, appunto, sulla figura di Maqroll,marinaio che ha attraversato il mondo divenendo espertodi ogni bruttezza e grandezza umana, avendo superatoogni sconfitta e ogni dolore con la disperanza: un neo-logismo mutisiano che l’autore usava spesso, nella con-vinzione che l’uomo è stato creato sì da Dio, ma da unDio malato (altrimenti, perché «nessuno ascolta nessu-no?»). Maqroll non ha nulla da insegnare a nessuno,ama trasgredire le leggi degli uomini, ma certo nonquelle superiori che sa di dover rispettare: «Ricorda Si-gnore che il tuo servo ha osservato paziente le leggi delbranco. Non dimenticare il suo volto», esclama lui rivol-gendosi a Dio. E sono state proprio queste leggi delbranco ad aver ispirato il cantautore genovese per lasua Smisurata preghiera. Egli s’imbatté, casualmente, ne La Neve dell’Ammiraglio,donatogli da un amico, e poi divorò l’intera opera diMutis. Approdato alla raccolta di liriche Summa di Ma-qroll il Gabbiere, prese il coraggio a quattro mani: «Glidomandai - raccontò Fabrizio - se avesse qualcosa incontrario a che mi appropriassi di qualche pezzo pregiatodella sua sterminata gioielleria per incastonarlo in unacanzone che avevo in mente». Ne uscì una preghiera

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I l numero di febbraio 2014 arricchisce la riflessione sul tema dei beni comuni, che caratterizza l’annata 2013-2014 della

rivista, con un dossier a cura di Rita Roberto dedicato a «Il senso delle cure come bene comune». «Cura come gesto,

azione, accompagnamento, attenzione - scrive Roberto - implicano vicinanza fisica e un coinvolgimento istintivo e im-

plicito. La cura ha a che fare con la vita e la morte e con tutte le azioni che permettono di vivere e accompagnano a morire:

non ci si può sottrarre dalla cura in particolare di fronte a un bambino molto piccolo, a un adulto in difficoltà o a un anziano

che sta morendo. In questa forma la cura è istintuale e naturale perché sollecitata da situazioni che chiedono di curare

ma anche da azioni e gesti di cura, quasi automa-

tici, sulla scorta di “memorie corporee”, impresse

dalle cure soprattutto materne, di cui è stato og-

getto chi cura». [...] «Penso che alla radice della

parola cura - continua l’autrice - vi sia la respon-

sabilità degli uni verso gli altri: che sia una preoc-

cupazione, un accudire il progetto di una vita al-

trui, che sia curare una relazione o una terapia

medica, la cura è responsabilità».

Il dossier propone un’approfondita e originale pa-

noramica del significato e della portata della pa-

rola «cura», esaminata sotto numerosi profili, tra

cui quelli del «diritto» alle cure e alla salute, dello

strapotere delle grandi società farmaceutiche, del-

le buone prassi in medicina.

L’inserto centrale del «dossier», dedicato nell’annata

2013-14 alla serie «I vizi collettivi, tra etica pubblica

e nichilismo», curata da Antonio Nanni e Antonella

Fucecchi, è dedicato a «Avarizia. La radice di tutti

i mali». Segnaliamo altresì, nella prima parte della rivista, per la rubrica «Generazione Y», l’articolo di Stefano Curci «Cura e

inclusione a scuola», una riflessione sui «Bisogni educativi speciali» (Bes), tema che vede posizioni vivacemente contrapposte.

Nella terza parte, segnaliamo, nella rubrica «Cinema», l’articolo di Lino Ferracin intitolato «Uno sguardo partecipato», che ri-

costruisce la figura e l’opera del regista Andrea Segre, autore attento al sociale, all’introspezione psicologica, alla delicatezza

dei sentimenti.

Cari lettori, consultate il sito www.cem.coop, vi troveretearticoli e documenti non disponibili sulla rivista!

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Questo numero

a cura di Federico [email protected]

Pierluigi PintoriLe illustrazioni di questo numero sono state realizzate da PierluigiPintori, che ringraziamo di cuore.

«Illustratore Ceramista. Illustratore di fantasia. Creatività, che tuttocontiene. È il grande calderone dove posso esprimere, inillustrazione, pittura e modellazione d’argilla il mio mondo. Elaboroidee che propongo in laboratori creativi per bambini e ragazzi, corsidi pittura a olio e acquerello per adulti e sperimentazioni, per tutti! Il disegno mi permette di arrivare dove la parola non riesce. Ildisegno condisce, allarga il senso della parola e ne mostra aspettinascosti, per diversa modalità espressiva. La parola diventatridimensionale, grazie all'illustrazione. Talvolta un disegno, unsegno o un colore sono gli elementi che scatenano nella mia mentefiumi di parole che avvolgono di significato l’opera realizzata».

www.pierluigipintori.comcell. 392.9346277

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maria cristina [email protected]

Auspicare una durata del liceo diquattro anni come riforma cherenda finalmente internazionale lascuola italiana significaconcentrarsi sul dito che indica laLuna senza vedere che poggia ipiedi su un suolo di macerie, e, datele condizioni a Terra, la Luna lassùpuò essere raggiunta solo da pochi.E invece la scuola è per tutti: comedice la nostra Costituzione, comel’hanno pensata negli anni SessantaDon Milani, pedagogisti comeVisalberghi e Corda Costa. Lascuola allora ha funzionato da«ascensore sociale»: il figlio di unoperaio è potuto diventareavvocato, medico, professore.

Le statistiche ci dicono che ormai da anni la scuolaitaliana non svolge più questo ruolo, per carenzadi mezzi, svuotamento di riforme. Ma ora il Ministro

della pubblica istruzione, Maria Chiara Carrozza, pro-muove la sperimentazione di corsi di scuola media su-periore di quattro anni anziché di cinque: un’innovazioneche potrebbe essere presto estesa a tutta la scuola italianaper facilitare l’immissione nel mondo del lavoro dei nostriragazzi in età competitiva con gli standard europei. Levatadi scudi dei sindacati che temono perditadi posti di lavoro, ma il problema è piùcomplesso.I licei paritari Guido Carli di Brescia e SanCarlo di Milano sono stati i primi ad attivarela sperimentazione, seguite da scuole pub-bliche del nord e del sud. Ma sono soprattutto idue prestigiosi licei privati di Brescia e di Milanoa comparire sui media come modello estensi-

l’altroeditoriale

Se cinque son troppi

bile a tutta la scuola italiana. Istituti che, grazie a rette da9 mila euro all’anno, possono permettersi l’organico fun-zionale, classi di 20 alunni, insegnanti tutor, percorsi in-dividualizzati, metodo laboratoriale, collegamenti con legrandi imprese, scambi con l’India, l’Australia, il SudAfrica. Perché la Luna è fatta così: ha tutto quello che laTerra non ha. E la Terra è la scuola pubblica che cadeletteralmente a pezzi. Ma non solo questa sperimenta-zione è poco estensibile a tutta la scuola italiana perchési basa su un campione di Pierini, come direbbe DonMilani, cioè di ragazzi già fortunati per condizioni di vita,ma anche perché premia i bravi a 14 anni, che hannosuperato un rigido test di selezione. Spesso però gli ado-lescenti hanno il dono di crescere ognuno con il propriotempo. Una delle cose più belle di insegnare alle superioriè vederteli arrivare in prima un po’ «carciofi», svogliati ecapricciosi, e poi sbocciare durante gli anni: Silvia chepensava solo a truccarsi ora spiega con passione Pasolinialla classe; Andrea che non voleva far nulla, arriva allamaturità con la media del 9. Eppure un liceo di quattroanni non sarebbe una cattiva idea, se realizzato in altrecondizioni. Perché è vero che i nostri ragazzi in quintamordono il freno e si sentono sconfitti quando si con-frontano con i loro colleghi europei che si laureano ehanno un lavoro prima di loro. Ma allora occorre rivedere

tutto il curricolo scolastico: varare una riformadei cicli, decostruire la scuola media che

non tiene più, iniziare il percorso scolasticoprima, a 3 anni, superando le classi di età con

una programmazione per competenze. Come spiega Maurizio Tiriticco1, per unabuona uscita dal liceo a 18 anni occorre

un ripensamento complessivo della scuolaitaliana. Ma per far questo ci vuole tempo,

stabilità, mezzi e cervelli che sappiano pensarla.E la Luna è sempre più lontana. nnn

1 http://www.educationduepuntozero.it/politiche-educa-tive/uscire-sistema-d-istruzione-18-anni-eta-si-ma-

4089495910.shtml

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La legge di Gresham

PRIMA PARTE

Il titolo di questa rubrica (declinazione di res)indica che essa si occupa di «cose», seppure

dal ristretto ma esiziale punto di vista dell’eco-nomia, soprattutto dell’economia finanziariz-zata. In questa puntata e nella seguente ci oc-cuperemo della Cosa fra le cose, quella chedalla fine dei tempi del baratto è diventata in-termediario indispensabile ed insindacabiledello scambio di cose. La Moneta.Rispolvererò un po’ di archeologia economica,ma tessendo un filo rosso che ci porterà, so-prattutto nella seconda puntata, a fenomenimolto attuali, per certi versi futuribili. Segui-temi con pazienza, perché merita.La legge di Gresham prende il nome dall’agen-te finanziario inglese del XVI secolo, Sir Tho-

mas Gresham, che per primo la descrive. Se-condo la legge di Gresham, la moneta cattivascaccia la moneta buona. Se in un’economianazionale circolano due monete con il mede-simo valore nominale ma con valore intrinsecodiverso (il cosiddetto «bimetallismo»), adesempio una moneta in metallo semplice euna moneta con contenuto d’oro, aventi en-trambe lo stesso valore di facciata, quella convalore intrinseco maggiore viene tesaurizzata,fusa o utilizzata per gli scambi con l’estero.La moneta cattiva con valore intrinseco infe-riore, invece, è utilizzata per i pagamenti cor-renti. Dopo pochi anni la moneta buona scom-pare del tutto dalla circolazione, essendo com-pletamente tesaurizzata o fusa o spesa al-

AI GIORNI NOSTRI SI REGISTRA

UN FIORIRE DI INIZIATIVE CHE

CERCANO DI CREARE SISTEMI

DI MONETAZIONE PARALLELI O

ALTERNATIVI A QUELLI

UFFICIALI, PREROGATIVA

DEGLI STATI SOVRANI

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gianni [email protected]

al posto delle monete (se non ricordo male,valeva prima 50, poi 100, infine 200 lire). Allora le banche, alcune banche, iniziarono ademettere quantità industriali di assegni cir-colari da 50, 100, 200, 250 lire ed a distribuirleallo sportello per i resti ed ai clienti commer-cianti al dettaglio. Lo strumento raggiunse loscopo, ma fu un’operazione selvaggia; le ban-che emittenti guadagnarono follie, poiché allafine enormi quantità dei cosiddetti «mini as-segni» non furono mai incassati; la carta eravile e si logoravano (ve lo dice uno che all’epocafaceva il cassiere), i numismatici di mezza Eu-ropa li tesaurizzavano, la gente si scordava diincassarli (un assegno circolare vale per dieci

anni), come è successo a molti noi con le mo-nete in lire al passaggio all’euro, le bancheemittenti ebbero il loro lauto tornaconto extralarge (altro che il signoraggio sull’emissionedi carta moneta da parte di Bankitalia). Questo aneddoto potrebbe portare ad una pa-rafrasi della legge di Gresham, ovvero «Quandomanca la moneta buona, arriva la cattiva», manon essendo un economista, me ne guardobene.Il tutto mi serviva per venire, a passi non tantofelpati, ai giorni nostri.Giorni che registrano un fiorire di iniziativeche cercano di creare sistemi di monetazioneparalleli o alternativi a quelli ufficiali, prero-gativa degli Stati sovrani.

Il primo di cui voglio parlarvi sono gli«SCEC» (Solidarietà Che Cammina).

In realtà non è una moneta alter-nativa o parallela, ma comple-mentare. Nei fatti sono «buonisconto» da usare in un territo-rio circoscritto. Credo che inItalia uno dei precursori sia sta-

to il mio buon amico Tonino Per-na (con cui ho condiviso l’emozio-

nante esperienza del primo ComitatoEtico di Banca Etica), all’epoca presidentedel Parco dell’Aspromonte, che concepìgli «Eco Aspromonte», ovvero buonispendibili insieme agli (non al posto de-gli) euro. La differenza con i buoni sconto

tradizionali è che gli SCEC non si esauri-scono col primo utilizzo, ma possono cir-

colare; chi li ha accettati può a sua volta usarliper i proprio acquisti. L’obiettivo è evidente;con la collaborazione del piccolo commercio,dell’artigianato e dell’agricoltura locali, pri-vilegiare l’economia di territorio, le filierecorte, la ricaduta locale dei consumi sia dei

turisti sia degli stanziali. Ottimi e nobili obiet-tivi, infatti l’esperienza ha fecondato altri ter-ritori, ma con alcuni rischi di auto sopravva-lutazione. È una bellissima esperienza di mar-keting territoriale, ma non è la panacea. Chivuole saperne di più può cercare «ArcipelagoScec» in rete (www.scecservice.org). Nella prossima puntata, parleremo di Bitcoin,e qui il gioco si fa duro. Stay tuned, restate sin-tonizzati! nnn

GLI «SCEC» (SOLIDARIETÀ CHE

CAMMINA) NON SONO UNA

MONETA ALTERNATIVA

O PARALLELA,

MA COMPLEMENTARE. NEI FATTI

SONO «BUONI SCONTO»

DA USARE IN UN TERRITORIO

CIRCOSCRITTO

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l’estero, mentre resta in circolazione soltantola moneta cattiva. Altrettanto accadeva conmonete auree di uguale valore intrinseco, mache venivano limate ai bordi (dopo fu inventatala zigrinatura), per cui le monete limate re-stavano in circolazione e quelle intatte venivanotesaurizzate. Le consapevolezze create dallapredetta legge decretarono la fine del bime-tallismo.Nei tempi moderni sono successe cose diver-se, gli Stati che battevano moneta si ridusserodrasticamente, riducendosi agli Stati nazionalinati dalla Rivoluzione Francese e dai vari Ri-sorgimenti. Venendo finalmente più vicini a noi, vi raccontouna storia che solo i miei coetanei possono ri-cordare e che i più giovani ignorano del tutto.Verso la fine degli anni ’70, in Italia, vennero amancare le monete metalliche da 50, 100 e200 lire. I motivi restarono sconosciuti, ma ildato di fatto è che banche e commercianti nonriuscivano più a dare il resto, in un’economiain cui mille lire avevano ancora il loro peso enon erano pensabili arrotondamenti per ec-cesso o per difetto. Basti pensare che alloraebbe quasi corso legale il gettone telefonico,che veniva disinvoltamente usato ed accettato

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Fino a poco più di una decina di anni fa, i programmi di storia ci venivano in aiuto.In quinta si affrontava la storia quasi contemporanea,

27 gennaiogiorno della bimemoria

bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

Fino a poco più di una decinadi anni fa, i programmi di sto-ria ci venivano in aiuto: inquinta si affrontava la storiaquasi contemporanea, si in-vitavano i partigiani nelle clas-si, gli Istituti Storici per glistudi sulla Resistenza orga-nizzavano incontri con i bam-bini per raccontare le storiedi piccoli deportati della no-stra città e, quantomeno, unavaga consapevolezza del qua-dro storico in cui inserire siaVerdi senatore dopo l’Unitàd’Italia e compositore, sia laShoà, si riusciva a farla ma-turare. Oggi le cose sonocambiate: in quinta si studia-no i romani, così, mentre rac-conti di Cincinnato, ecco chespunta il giorno della bi-Me-moria e devi riuscire ad intro-durre due tematiche prive dicontestualizzazione.

Una strana associazione

Dico due, perché noi di Parmanon siamo come gli altri: noiabbiamo il Club dei 27, un’as-sociazione in cui 27 personerappresentano ciascunaun’opera del compositore, sichiamano con quel nome (peresempio c’è un signor «LuisaMiller»...) e che, soprattuttoin quinta, puntualmente ri-corda che noi maestre nondobbiamo dimenticare dispiegare cosa significhi l’acro-nimo VIVA davanti al cogno-me Verdi. È strano avere a chefare con il signor «Aida» o colsignor «La forza del destino»,

Art. 1: «La Repubblica italiana riconosce il gior-no 27 gennaio, data dell’abbattimento dei can-celli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, alfine di ricordare la Shoah (sterminio del popoloebraico), le leggi razziali, la persecuzione ita-liana dei cittadini ebrei, gli italiani che hannosubìto la deportazione, la prigionia, la morte,nonché coloro che, anche in campi e schiera-menti diversi, si sono opposti al progetto disterminio, ed a rischio della propria vita hannosalvato altre vite e protetto i perseguitati».

Art. 2: «In occasione del “Giorno della Memo-ria”, sono organizzati cerimonie, iniziative, in-contri e momenti comuni di narrazione dei fattie di riflessione, in modo particolare nelle scuoledi ogni ordine e grado, su quanto è accadutoal popolo ebraico e ai deportati militari e poli-tici italiani nei campi nazisti in modo da con-servare nel futuro dell’Italia la memoria di untragico ed oscuro periodo della storia nel no-stro Paese e in Europa, e affinché simili eventinon possano mai più accadere».

Non so nelle altre partid’Italia, ma le mae-stre del secondo

biennio, a Parma, il 27 gen-naio sono obbligate a svilup-pare temporaneamente unapersonalità bipolare: riusci-ranno, nella stessa giornata,a parlare della Shoà come lescuole di mezzo mondo sipropongono di fare e, nelcontempo, a dedicare la giu-sta considerazione all’anni-versario della morte del gran-de compositore GiuseppeVerdi che ha avuto i natalinella nostra provincia e cheha chiuso definitivamente gliocchi a Milano nel 1901 pro-prio in questa data? Chiaroche non sono eventi da con-frontare per importanza, machi ha elaborato il calendariodelle giornate mondiali diqualunque cosa da non di-menticare, di certo non hapensato ad inventare la gior-nata mondiale di GiuseppeVerdi in modo adeguato. Ricordiamo che la legge 20luglio 2000, n. 211, afferma:

Ricordare fabene o fa male ai

rapporti umani? I pareri sonocontrastanti.

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percorsi sensati (e pensati) pergli alunni, se possibile diversidall’anno precedente. A mesuccede inevitabilmente, ma citengo ad essere presente ognianno con qualcosa di nuovo esignificativo, perché l’attualedrammatica situazione in Me-dio Oriente è la ramificazionestorica dell’albero - con radicimolto antiche - che, per sem-plificare, dalla conferenza diBalfour del 1917, alla Shoah,alla risoluzione 181 dell’Onudel 1948, ha comunque sem-pre visto l’Europa - e dunquenoi - tristemente partecipi degliavvenimenti. Mi pare perfinodi viverla come se facesse partedi uno dei conflitti di famigliada quando in casa mia è arri-vata la televisione: Golda Meir,Henry Kissinger, Angela Davis,Arafat, la strage di Monaco,Settembre nero, sono entratinei miei ricordi infantili alla stre-gua di Goldrake, di Ufo Robote dei loro roboanti nemici. Agliocchi di una bambina arriva-vano pur sempre solo tramitegli unici due canali televisivi esi-stenti ed i cartoni venivano pri-ma del telegiornale. Faticavo acapire chi fosse vero e chi no,poi, a scuola, qualcuno mi haspiegato quel che c’era da sa-pere: «Ufo Robot non esiste,invece per quanto riguardaquella guerra ci sarebbe troppoda spiegare, è una questionecomplessa che non potresti ca-pire». Ah, grazie. A quei tempiil Giorno della Memoria nonesisteva neppure, avevano co-struito un bel muro in mezzoad una città, ma mio padreaveva visto la guerra in facciae nessuno avrebbe potuto far-gli credere che le deportazionied i campi di concentramentonon erano mai esistiti, e me loraccontava. nnn

bambine e bambini

La perdita della memoriaCon il tempo le cose sisono complicate: lamemoria è venutameno, i partigiani chevenivano a raccontare laResistenza nelle scuolesono via via deceduti,un sopravvissuto allager con il marchio diDachau l’ho frequentatoper alcuni anni e mi haraccontato coseraccapriccianti, ma poi èmorto. Per questohanno istituito il Giornodella Memoria: perchéla memoria è andatapersa. A Berlino hovisitato unmonumentale cimiteroebraico a forma dilabirinto che ricorda aicittadini qualcosa di cuisentono la vergogna edin questo caso lamemoria diventasempre più dolorosa edimbarazzante. Ricordarefa bene o fa male airapporti umani? I parerisono contrastanti.Comunque il Giornodella Memoria non citroverà impreparati,perché molti maestri, inrete, hanno raccolto imateriali che possonoservire: digitate suGoogle «Lager.it» o «Lateca didattica» o«maestramette.it» e,mentre scegliete qualeproposta, tra libri e film,fa al caso della vostraclasse, scrivetegli uncommento come post,per ringraziarli diesistere. Ne sarannofelici.

ma tenete presente che questiruoli sono molto ambiti e che,siccome ogni membro restain carica alla stregua di un se-natore a vita, la coda per lesostituzioni è abbastanza lun-ga ed io, se fossi uno dei 27,mi sentirei un tantino il fiatosul collo. Eppure non è così: i27 «signori-Opera» sono sim-paticissimi e determinati amantenere viva la Memoria diG.V. nelle menti delle giovanigenerazioni. Celebrano ognianno in forma ufficiale le ri-correnze della nascita (10 ot-tobre) e della scomparsa (27gennaio) di G.V., recandosidapprima in pellegrinaggio al-la casa natale di Roncole Ver-di, dove depongono 27 roserosse, e poi dinanzi al monu-mento, nel centro di Parma,dove collocano una corona dialloro... a Parma si prende lacosa molto sul serio! Quindiil 27 gennaio occorre orga-nizzarsi, chessò, con una visita

giorno della Memoria: dico,signor «Falstaff», lei che con-siglia? Come si fa? Dice dichiedere al signor «La batta-glia di Legnano» o chiamiamoil signor «Nabucco» che cinarri la storia di Nabuccodo-nosor con la diaspora ebrai-ca? Andiamo al Covo e can-tiamo tutti il Va’ pensiero conbuona pace dei leghisti?

Percorsi sensati (e pensati)

Comunque sia, anche senzail Vate del melodramma, ascuola gli argomenti da af-frontare seguendo i vari pro-grammi sono tali e tanti che,in genere, il vero Giorno dellaMemoria ci arriva addossoimprovvisamente e ci si ritro-va, spesso all’ultimo momen-to, a cercare di organizzare

Per questohanno

istituito ilGiorno della

Memoria,perché la

memoria èandata persa

in quello che loro chiamano«il Covo» e che i bambini ri-tengono un luogo straordi-nario, perché, in effetti è al-tamente suggestivo per viadell’atmosfera buia e di tuttii memorabilia che si possonoosservare e talvolta toccare.Ed è molto meno inquietanteche non affrontare un altroGiorno della Memoria intesocome Shoah, attualmente co-sì decontestualizzato per ibambini della Primaria. Eppu-re, in concomitanza, eccolo il

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ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

Ogni anno, in prossimità del 10 gennaio, la scuola è invitata a partecipare alla commemorazione di un eccidio nazifascista avvenuta nel 1945. Furono fucilati 18 ragazzi, poco più grandi dei miei allievi di terza.

Memoria e pace

Speranza «C’è qualcuno che miaspetta. Una corsapossibile, che potrebbe faree farà, per venire e - insieme- resistere, una giornataancora, tutta nuova, nessungesto distratto ancor fatto,non una parola sgarbataancora detta, nessunappuntamento saltato».Mariapia Veladiano

Ogni anno, in prossi-mità del 10 gennaio,la scuola è invitata a

partecipare alla commemo-razione di un eccidio nazifa-scista avvenuta sul territorionel 1945: furono fucilati 18ragazzi, poco più grandi deimiei allievi di terza. Già da ot-tobre mi domando (in modopiuttosto inquieto a dire il ve-ro, senza mancare di rispettoa nessuno) come affrontarequesto momento; mi con-fronto subito con i ragazzi eogni volta riescono a stupir-mi, perché a me sembra dinon averne più di idee e dimodi per ri-vivere, per ravvi-vare il ricordo; io per prima,collego la parola resistenza almio lavoro più che al feno-

meno storico. All’inizio mi so-no limitata a proporre di cal-care, fisicamente, gli stessipassi compiuti dai partigiani,dai rifugiati o semplicementeda coloro che sono sfuggitiai rastrellamenti, per raggiun-gere il luogo in cui sono statiuccisi. Lascio ai miei allievi,con un testo scritto a più ma-ni, la descrizione di quel mo-mento e il senso che vi hannoricostruito intorno.

Ricordo come Resistenza

«Primi di novembre. Quandosiamo andati era freddo, manon c’era la neve, c’era ilghiaccio per terra, ma il solesplendeva. Non come allora.La voce sicura ed esperta dellanostra guida, lo storico delpaese, ci ha guidati in unviaggio più nel tempo chenello spazio, ci sembrava divedere quella fila di persone,nera nella neve, il pozzo, ilfienile, la tavola apparecchia-ta con quel poco pane, ab-brustolito col lardo, per te-nere buoni i tedeschi. Ci sem-brava di sentire quegli spari,

lì vicini, come li avranno sen-titi altri in quel momento, ab-biamo pensato alle nostremamme, e ci siamo fatti si-lenziosi, come capita rara-mente, persino i più spavaldidi noi si sono fatti seri e cosìla storia è entrata dentro dinoi, in qualcuno resterà, ciauguriamo. Poi, al caldo dellanostra aula, abbiamo pensatoche il ricordo dobbiamo le-garlo non solo a quella mat-tina, ma a qualcosa più vicinoa noi, dargli un altro sensoperché altrimenti destinato aperdere il significato che ave-va 60 anni fa, quello della li-bertà di cui noi oggi conti-nuiamo a godere. Altri hannofatto Resistenza per noi, forsepensavano a noi che ancoranon eravamo? E noi a chipenseremo?Abbiamo fatto correre il no-stro pensiero a chi non ha li-bertà, a chi non ha pace, si èfermato al 4 ottobre, giornataper la Pace appunto, festeg-giata in aula magna con ilparroco, ma segnata da unnaufragio, uno dei tanti, unotra i troppi che ormai non toc-cano più il nostro cuore, il no-stro spirito. La prof nei giornisuccessivi ci ha distribuito unasmilza fotocopia (quattro co-pie per pagina per fare eco-nomia), di una poesia magrache le era arrivata via email il5 di ottobre, l’abbiamo rein-titolata Il mare sputa, sempli-cemente il primo verso, il pri-mo schiaffo al nostro tiepido

«Altri hannofatto

Resistenzaper noi,

forsepensavano

a noi cheancora noneravamo? E

noi a chipenseremo?»

Anna Chromy«Mantello della pace»

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Io mi impegnoSignore, fa’ di me uno strumento della tuapace. San Francesco d’Assisi

1. Per me la pace è non sentirsi a disagioperché sai che non ti giudicheranno. Io MIIMPEGNO a non giudicare gli altri.2. Si può avere la pace anche aiutandosi avicenda, IO MI IMPEGNO ad avere pazienza,perché ognuno ha un carattere diverso enon tutti riescono ad essere sempredisponibili, gentili, educati.3. La pace è un momento che si spera duriper sempre, in cui non si fanno guerre, nonsi usano le armi e non si usano le mani, IOMI IMPEGNO a parlare, a dialogare e adiscutere.4. Per me la pace è svegliarsi la mattina,andare a scuola o al lavoro sereni, senzatroppe preoccupazioni e senza contarequanti minuti mancano alla fine dell’ora, IOMI IMPEGNO a scandire il tempo col cuore.5. Per me la pace è quando sei solo e riflettisulla tua vita, quando non c’è nessunrumore e tu sei sereno, quando sei felicecon le persone che ti vogliono bene. IO MIIMPEGNO a far felici gli altri.6. Spero che la pace contagi tutto il mondo,arrivi anche nei paesi in guerra. IO MIIMPEGNO a NON fare la guerra.7. La mia pace c’è quando sono con i mieiamici, perché so che mi posso fidare di loro,mi aiutano quando ho bisogno, contiamol’uno sull’altro. IO MI IMPEGNO a non farmancare il mio aiuto.8. La pace è tutto ciò che è bello nel mondo,IO MI IMPEGNO a non avere pregiudizi sualtre culture o religioni.9. La pace secondo me è la cosa più positivache ci sia, è capace di far stare in armonia lepersone e fare stare bene tutti. IO MIIMPEGNO per creare armonia.

Io mi impegno, nonostante la mia personaleresistenza, ad accompagnare questi ragazzial meeting nazionale delle Scuole per lapace, la fraternità e il dialogo che si terrà adAssisi il 14 e 15 aprile. Credo se lo meritino.Credo che possa essere una buona stradaverso il loro personale impegno per la pace.

1 Cfr. A. Tosolini, Sui passi di Francesco, in «CEM Mondia-lità», ottobre 2013, p. 12.

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ragazzi e ragazze

autunno. Secca, fredda come quel-le acque in cui sono morti bambiniin cerca di una loro libertà. E il no-stro canto si è fatto muto».

Il mare sputaIl mare sputaSperanze morteCadaveri disprezzatiSulle rocceFredde di una terraChe io non riconoscoLa luna forsePuò testimoniareIl pianto del bambinoIn balia delle ondeDel suo destino?Nel cielole stelle sono morteE l’abbraccio caldoDella madreHa cantatoL’ultima canzoneOraLa regola di vivereÈ la morteDei corpi fragiliE stanchiE l’immagineDell’ultimo sorrisoDel bambinoÈ nel sole di domaniNina Sadeghi

Vivere l’oggi e la voglia di Pace

Che senso dare a tutto questo?Come trasformare un ricordo - ri-costruito da altri - in memoria?Come avvicinarli ad eventi distantifisicamente da loro? Hanno sceltoil presente e il futuro, hanno resotutto più vicino a loro, è talmentenaturale, tanto quanto questa loroscelta sarà apparsa una deviazione,uno smarrimento durante la ceri-monia, agli occhi dei partigiani se-duti in sala; in pochi avranno com-preso il passaggio memoria-futu-ro, concentrati sulla memoria-pas-sato, per necessità, per età, ma i

ragazzi erano davvero convinti diquello che facevano, mi frappongofra i nostri ultranoventenni e i fa-miliari delle vittime a difesa deimiei ragazzi. Loro avanti.Dopo il commento della poesia èsopravvenuta la speranza, quel soledi domani. «La Pace, scrivono loro,è l’unica speranza che ci proiettanel futuro, oggi siamo chiamati afare la nostra parte, quindi ci im-pegniamo per essere operatori dipace, nella vita di tutti i giorni e nelmondo. Stiamo usando gli stru-menti che sentiamo più nostri: laparola, le immagini, i suoni, com-puter e telefonini, perché anche latecnologia può essere buona. Cistiamo interrogando su cosa signi-fica Pace per tutti noi, vogliamo re-cuperare il senso di una parola cosìlisa, usurata, talmente usata a spro-posito - da noi per primi - che ab-biamo sentito la necessità di ripu-lirla di tutto ciò che non è necessa-rio, di quello che non le serve percamminare, per seguire i passi diFrancesco1. Per rendere meglio ilconcetto della pesantezza della Pa-ce ci è sembrato utile proporre lafoto del Mantello della Pace di An-na Chromy, un mantello vuoto, pe-sante, che pochi vorrebbero por-tare. Metaforicamente lo stiamo in-dossando, lo sorreggiamo con lanostra personale - quindi anche ba-nale per molti - dichiarazione di in-tenti». E non finisce qui. nnn

«La Pace èl’unica speranza

che ci proiettanel futuro, oggisiamo chiamatia fare la nostraparte, quindi ci

impegniamo peressere operatori

di pace, nellavita di tutti

i giorni e nel mondo»

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«La medicalizzazione della scuola sta progredendo inmodo inquietante, riducendo

sempre di più gli spazidisciplinari»

Giorgio Israel

scuola che sappia risponderea tutte le diversità individualidegli alunni, non soltanto aquelle classificabili come Bes:una scuola senza barriere chefaciliti partecipazione socialee apprendimento. La circolare ha provocato pe-rò anche disorientamento trai docenti, e non solo perchéin tempi di tagli economici edi spending review si chiedelavoro in più senza dare uncorrispettivo, o perché qual-cuno teme che l’innovazione

generazione ystefano [email protected]

ascuolaeoltre

La scuola deve fare selezione, dando gli strumenti ai più adatti e riorientando i meno adatti, o deve fare inclusione, preoccupandosi che nessuno resti indietro anche a costo di sacrificare le individualità di spicco?

Uno dei temi più caldidella scuola italiana èrappresentato dalle

novità portate dalla circolareministeriale n. 8/2013, appli-cativa della direttiva ministe-riale del 27 dicembre 2012,relativa agli Strumenti d’inter-vento per alunni con Bisognieducativi speciali (Bes): essaha dato indicazioni alle scuoleperché, a partire dall’annoscolastico 2013-2014, predi-spongano il Piano annuale perl’inclusività (Pai). Questa no-vità segue quella che ha in-trodotto il concetto di Dsa (Di-sturbi specifici di apprendi-mento), che però è sostan-zialmente diversa, in quantonel caso dei disturbi di ap-prendimento serve la certifi-cazione di un’autorità sanita-ria esterna, che poi va tradot-ta in percorsi didattici dai do-centi. Invece i Bes devono es-sere individuati, secondo lacircolare, in base a «ben fon-date considerazioni psicope-dagogiche e didattiche».

Cura e inclusionea scuola

Una personalizzazionedell’apprendimento

Il pedagogista Dario Ianesparlava già nel 2005 di biso-gni educativi speciali1: dal suopunto di vista si tratta di ungrande passo avanti, perchétener conto dei Bes significache la scuola osserva i singoliragazzi, ne legge i bisogni, liriconosce e di conseguenzamette in campo tutti i facili-

tatori possibili e rimuove lebarriere all’apprendimentoper tutti gli alunni, al di làdelle etichette diagnostiche.Secondo Ianes, si tratta di undiscorso di equità e di politi-ca, perché consente la per-sonalizzazione dell’apprendi-mento di cui si è parlato spes-so, ma che è di fatto rimastasulla carta. D’altra parte, aprela possibilità di riconosceretutte le condizioni di difficol-tà, non solo quelle certificatedalla 104/1992. Ianes parladi passaggio da una scuoladell’integrazione ad una del-l’inclusione, e indica come ri-ferimenti concettuali l’ap-proccio delle capabilities diSen e la sua ripresa fatta dallaNussbaum2. L’obiettivo piùampio da perseguire è una

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caso si forniscono agli stu-denti conoscenze e capacitàper compiere autonomamen-te le proprie scelte di vita; nelsecondo caso la scuola assol-ve una gran quantità di fun-zioni, intervenendo anche inproblemi psicologici e medici.Secondo Israel già dietro allecifre relative ai casi di Dsa cisono degli abusi, dovuti aldesiderio di certe famiglie disemplificare la vita ai figli, alpunto da affermare che «lamedicalizzazione della scuola

ascuola

eoltre

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generazione y

La scuola deve fare selezione o inclusione?

Come si vede, c’è spazio per un dibattito veramenteappassionante: la scuola deve fare selezione, dando glistrumenti ai più adatti e riorientando i meno adatti, o devefare inclusione, preoccupandosi che nessuno resti indietroanche a costo di sacrificare le individualità di spicco? Ce n’è abbastanza perché ogni insegnante e ogni studentepossa esprimere la propria esperienza. Personalmente, mipiace ricordare le parole sempre attuali di EmmanuelMounier, secondo cui l’educazione non ha «il compito difare, ma di suscitare persone: per definizione una persona sisuscita con un appello e non si fabbrica con

l’addestramento. L’educazione perciò non può avere per finequello di adattare il fanciullo al conformismo dell’ambientefamiliare, sociale e statale, né di limitarsi a prepararlo per ilcompito o la funzione che egli esplicherà da adulto»4. Ecco,credo che l’attenzione alla singola persona voluta dalconcetto di inclusione sia un punto necessario. Forse lacomplessa questione dei Bes può venire al momento giustoper restituire al gruppo dei docenti la propria sovranitàdecisionale e la consapevolezza della propria sapienzapedagogica: senza dover consultare Asl o altri enti esterni,spetta ai professori di quell’alunno - quel singolo - cercarel’equilibrio tra considerare i suoi bisogni speciali (che, proprioper l’estrema varietà, non possono essere classificati da altriin astratto) e pretendere che lo studente arrivi a certi livelli dicompetenze che ne giustifichino comunque il titolo finale.

4 E. Mounier, Le personnalisme, in «Oeuvres», Seuil, Paris 1961-63, p. 523.

sia propedeutica a nuova ri-duzione del personale. Certo,il macchinoso apparato con-cettuale dei burocrati nonaiuta: non è difficile turbarsidavanti ad espressioni come«Piano Educativo Personaliz-zato», «Piano Annuale del-l’Inclusione», «Autovalutazio-ne dell’Inclusione», «Rileva-zione dei Bisogni». Nelle saleprofessori delle scuole italianeil dibattito ferve: non c’è il ri-schio di medicalizzare i pro-blemi educativi? Di dareun’etichetta a differenze chenon hanno mai creato pro-blemi?

Il desiderio di semplificare la vita ai figli

Un articolo molto critico ver-so queste novità è stato scrit-to da Giorgio Israel sul quo-tidiano Il Messaggero3. Se-condo il matematico, la que-stione di fondo è decidere sesi preferisca una scuola comecentro d’istruzione o comeun luogo di educazione so-ciale complessiva. Nel primo

«L’educazionenon puòavere per finequello diadattare ilfanciullo alconformismodell’ambientefamiliare,sociale estatale, né dilimitarsi aprepararloper il compitoo la funzioneche egliesplicherà daadulto»Emmanuel Mounier

sta progredendo in modo in-quietante, riducendo sempredi più gli spazi disciplinari». In quest’ottica, i Bes sono vi-sti da Israel come carichi diminaccia, in quanto compor-terebbero il rischio di trasfor-mare la scuola in ente assi-stenziale globale. Il problemaè la vasta gamma di variabili:ogni alunno può rientrare,anche temporaneamente neiBes, per motivi fisici, biolo-gici, fisiologici, psicologici,sociali. Israel si chiede cosaresterà della didattica dopoche il docente si sarà occu-pato di tutte le implicazionidei Bes. Sconsolato, il mate-matico domanda: «è ragio-nevole attribuire alla scuolail compito universale di risol-vere qualsiasi problema dellavita dei singoli?». nnn

1 D. Ianes, Bisogni educativi speciali einclusione, Erickson, Trento 2005.2 M. Nussbaum, Creare capacità. Libe-rarsi dalla dittatura del PIL, Il Mulino,Bologna 2012.3 G. Israel, Addio bonus maturità: lascuola ritrova l’anima, in «Il Messagge-ro», 8 settembre 2013.

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Religioni fra tradizione e globalità

Una collana diretta da Brunetto Salvarani

1) FATTORE R*

2) INDUISMO

3) RELIGIONI TRADIZIONALI*

4) EBRAISMO*

5) BUDDHISMO*

6) CONFUCIANESIMO E TAOISMO

7) ALTRE RELIGIONI DELL’INDIA: GIAINISTI, SIKH E DINTORNI

8) SHINTOISMO

9) CRISTIANESIMO: CATTOLICI*

10) CRISTIANESIMO: ORTODOSSI

11) ISLAM*

12) CRISTIANESIMO: PROTESTANTI (E ANGLICANI)*

13) ALTRE CHIESE: TESTIMONI DI GEOVA, MORMONI, CHRISTIAN SCIENCE

14) CRISTIANESIMO: PENTECOSTALI*

15) NEW AGE/NEXT AGE E NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI (NMR)

16) DIZIONARIETTO DELLE RELIGIONI

* volumi pubblicati

Presentate come imprescindibili vie di salvezzae di pace, oppure come un atavico e violentoinganno, tra mistica e politica le multiformiesperienze religiose rimangono cruciali per ilnostro tempo. La collana Fattore R offre unaguida agile e autorevole per penetrarne ilsenso e l’attualità.

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - tel. 030.3772780 - fax 030.3772781 www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

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Competenz*intercultural*Work in progress

in cerca di futuromattia [email protected]

ascuolaeoltre

Sul treno notturno Ro-ma-Udine, condivido loscompartimento con un

signore filippino, in Italia daventitré anni. Mentre mi fac-cio avvolgere dal suo sorrisoottimista, imparo la ricettadel pollo al succo di cocco,nonché il concetto di paren-tela nella sua cultura d’origi-ne. Dal canto mio, gli spiegodove si trova il Friuli e cosa èla grappa.Nella vita quotidiana sononumerose le possibilità di in-contrare persone con unbackground culturale diversodal nostro: al lavoro, a scuola,in palestra, sulle scale del con-dominio. Allo stesso tempo,per molteplici ragioni, conpoche ore di aereo possiamotrovarci immersi in colori,odori, lingue, comportamentipiù o meno differenti da quel-li cui siamo abituati. I newmedia, inoltre, ci permettonodi creare e mantenere rap-porti di diversa natura conpersone che vivono in Argen-tina, in Australia, in Bhutan. All’interno di queste dinami-che relazionali si annida ilconcetto di «competenza in-

terculturale» (IC). Sebbene visia un ampio uso di taleespressione, ad esso non se-gue un consenso unanime.Da una quarantina d’anni, in-fatti, la comunità scientificadibatte su cosa sia la IC, qualielementi la compongano, co-me si acquisisca, come si svi-luppi, come si valuti, se siada declinare al singolare o alplurale. Perché è così difficiletrovare un accordo sulla de-finizione di IC? Una possibilespiegazione è la complessanatura della concetto: se sulladefinizione generale sembraragionevole pensare di trova-re un filo comune fra le varierintracciabili in letteratura, nelmomento in cui si scende nel-lo specifico, l’elenco degliaspetti costitutivi è alquanto

Nella vitaquotidiana

sononumerose

le possibilità di incontrare

persone con un

backgroundculturale

diverso dalnostro

eterogeneo. Un’altra motiva-zione è il confronto, tutt’altroche agevole, con mondi di-versi da quelli occidentali. Ènecessario sottolineare chel’area geografica maggior-mente feconda di riflessioneconcernente la IC è quella an-glo-americana (l’uso della lin-gua inglese non è seconda-rio!), che è figlia di una certaprospettiva culturale (cfr.Spitzberg, Changnon, in De-ardorff, 2009, pp. 43-45).Attualmente la definizione(generale) intorno alla qualesembra esserci maggiore ac-cordo, grazie anche alla me-todologia della ricerca impie-gata (Delphi method), è quel-la proposta da Darla K. De-ardorff: la IC è «the ability tocommunicate effectively andappropriately in interculturalsituations based on one’s in-tercultural knowledge, skills,and attitudes»1 (Deardorff,2006, pp. 247-248). La ICcontinua ad essere un con-cetto nebuloso (cfr. Dear-dorff, 2009, p. 479), a voltedepauperato da un suo usoeccessivamente sloganistico.È necessario, quindi, prose-guire la ricerca (in particolarequella sul campo) e aumen-tare gli spazi di confronto in-ternazionale per donarlemaggiore chiarezza. nnn

1 «La capacità di comunicare in modoefficace e appropriato in situazioni in-terculturali basata sulle proprie cono-scenze, abilità e attitudini interculturali»(traduzione mia).

I new media ci permettono di creare e mantenere rapporti di diversa natura con persone che vivono in Argentina, in Australia, in Bhutan.

Per saperne di più

D.K. Deardorff,Identification andAssessment ofInterculturalCompetence as aStudent Outcome ofInternationalization, in«Journal of Studies inInternationalEducation», 2006, 10,pp. 241-266.D.K. Deardorff (a curadi), The SAGE Handbookof InterculturalCompetence, ThousandOaks: Sage 2009.

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familiare è facile che di serarimangano i giovani a fare ilturno mentre i genitori pen-sano al resto della famiglia.Ma dopo le aggressioni ciònon sarà più possibile e la co-munità bengalese è piombatanella paura.

Una preda facile e indifesa

Il pestaggio viene giustificatodai giovani aggressori, chesono stati fermati, come unmezzo per combattere l’im-migrazione clandestina,mentre in realtà sappiamoche racchiude in sé molta vio-lenza ideologica e politicacontro la diversità. Questoperverso gioco è stato sco-perto di recente e segnalatoda un articolo di Repubblicache ne fa un’accurata descri-

Bangla Tour

educazione degli adultirita [email protected]

ascuolaeoltre

ascuola

eoltre

Il bengalese incarna con il suo modo di essere l’immigrato debole su cui si può facilmente infierire senza la paura di essere perseguiti.

zione per sollevare attenzio-ne su questo fenomeno. Sa-rebbero almeno una cin-quantina le vittime del «Ban-gla Tour». I numeri dei pe-staggi di ragazzi del Bangla-desh aggrediti da gruppi digiovani vicini alla destra ro-mana sono un dato allar-mante. Perché, tradotto in ci-fre, dal novembre del 2012fino a oggi, significa chequattro «bengalini» al mesehanno subìto percosse. Unamedia di un pestaggio a set-timana. Tutto è iniziato conla segnalazione di un testi-mone che la notte del 18maggio in via Oddi ha vistotutto dal suo balcone: ilgruppo di ragazzi che chie-deva ad un ragazzo benga-lese un accendino e mentrelui cercava nella tasca fu sca-raventato a terra e picchiatoa sangue con una violenzainaudita. Il ragazzo pensandoad una rapina, mentre venivapicchiato e insultato per il co-lore della sua pelle, tirò fuoriil suo cellulare e lo consegnò.Gli aggressori lo presero e poilo gettarono nel cassonettopoiché non era quello il bot-tino che volevano, il vero sco-po era picchiare il «bengali-no». Il testimone avvertì lapolizia che ritrovò sul luogodell’aggressione il cellulare diuno dei ragazzi, perso nellafuga, e così sono stati rin-tracciati e denunciati. Il datosconcertante che è emersodagli interrogatori è che que-

Se cerchiamo su internet«Bangla Tour» appaionobellissime immagini di

viaggi in Bengala con tanteimmagini di tigri e della giun-gla sempreverde, ma se cer-cate bangla tour a Romaavrete l’amara sorpresa discoprire che è un perversogioco degli adolescenti delladestra romana. Sembra il ciakdi un film dell’orrore cheprende avvio davanti alle sediromane di Forza Nuova, dadove le baby squadre partonoper dare la caccia e sconfig-gere «il nemico». Al grido«Dai, facciamoci un bengali-no!» inizia il gioco in squadreche partono per andare amassacrare di botte uno stra-niero, preferibilmente benga-lese, perché notoriamente diindole mite, che non reagiscee non denuncia. Il bengaleseincarna con il suo modo diessere l’immigrato debole sucui si può facilmente infieriresenza la paura di essere per-seguiti. Protetti dal gruppo ecarichi di adrenalina, salgonoin auto, guidata dall’unicomaggiorenne del gruppo, escelgono un quartiere dove

Non sidiventa

estremisti,razzisti e

picchiatorida un

giornoall’altro e

senza chenessuno se

ne accorga

andare a fare il tour: Prene-stino, Torpignattara, Casili-no… dove la comunità ben-galese è maggiormente pre-sente ed esercita la propriaattività nel commercio, te-nendo spesso aperti i propriesercizi anche di notte. Es-sendo i negozi a conduzione

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pati per indifferenza, inca-pacità o connivenza...Ho ascoltato per radio l’in-tervista di Radio 24 al rap-presentante della comunitàbengalese di Roma e sono ri-masta sconcertata nell’ap-

prendere un episodio ca-pitato a lui diretta-mente: «Sono pro-

prietario di un negoziodi cartoleria ed oggettistica

e da molto tempo subiscopiccoli furti ad opera di bam-bini tra gli otto e i dieci anni.Matite, pennarelli, gommepiccoli gadget e ogni volta liho rimproverati dolcemente,ho raccontato loro che que-sto è rubare e che non si fa,ma senza successo. Ho anchechiesto di parlare con i lorogenitori per arrivare ad un ac-cordo pacifico ma non sonostato ascoltato. Finché ungiorno, stanco dei furti e dellasituazione, mi sono deciso adun’azione dimostrativa. Co-me sono entrati i bambini nel

sti ragazzi vivono il «banglatour» come un rito iniziatico,di chiara matrice politica eideologica, per essere accet-tati dal gruppo. Esso è anchela conseguenza di un forteindottrinamento che vede nelpestaggio sia un modo perdivertirsi, per scaricare la ten-sione, sia una vera e propriabattaglia da combattere atutti i costi. Una forma di vio-lenza, questa, che tende avedere nello straniero, nel-l’immigrato, non tanto unpericolo, quanto l’opportu-nità di compiere un rito dipassaggio, violento e vigliac-co, che individua una predafacile e particolarmente indi-fesa. Ai ragazzi arrestati è sta-ta imposta la riabilitazionepsicologica e ora con l’aiutodelle famiglie stanno uscendocon fatica dal baratro in cuierano finiti.

negozio con l’evidente inten-zione di servirsi senza pagareho chiuso la porta a chiavein modo che non potesserouscire. Immediatamente sonoarrivati tutti i genitori e mihanno aggredito, minacciatononostante le mie spiegazionie la richiesta di poter parlarepacificamente. Lo so che housato una maniera sbagliataper poter parlare con i geni-tori ma nessuno di loro mi hachiesto scusa per gli innume-revoli furti effettuati dai lorobambini, nessuno di loro havoluto condividere con me laricerca di una soluzione chefosse anche educativa e nonviolenta. Allora mi domandose si sarebbero comportaticosì con un commercianteitaliano o se questo tratta-mento è riservato a noi chenotoriamente siamo pacificie che per paura che ci ritirinola licenza preferiamo subirepiuttosto che denunciare. Re-sto nel dubbio e vado avantisperando che l’interesse deimedia sulla questione attivilo Stato italiano a fare qual-cosa per noi».In tutta questa vicenda quelloche mi colpisce di più è chesia le vittime sia i carneficinella maggioranza dei casisono minorenni. Per questomotivo penso che, ancorauna volta, il cambiamentopossa venire dall’educazionedei figli impartita dagli adulti.Questi ultimi possono river-sare in famiglia e a scuolaun autentico comportamentoaccogliente e non giudicante,teso all’integrazione e alla va-lorizzazione di tutte le diffe-renze. Il cambiamento puòavvenire con l’aiuto di tuttima deve necessariamentepartire da noi. nnn

Bambini ladruncoli e genitori assenti

A questo punto mi pongouna domanda: ma i genitorie gli educatori di questi ra-gazzi non si sono mai accortidi nulla?. Faccio fatica a pen-sare che non ci siano statisegnali comportamentali,emozionali e verbali che que-sti ragazzi hanno lanciato al-la famiglia e alla comunità.Non si diventa estremisti,razzisti e picchiatori da ungiorno all’altro e senza chenessuno se ne accorga. E poii vestiti sporchi di sangue ele escoriazioni riportate nelpestaggio come mai sonosfuggite agli occhi degliadulti? Mi sento ancor peg-gio se penso che abbiano vi-sto e non se ne siano occu-

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educazione degli adulti

Mi pongo unadomanda: ma i genitori e gli educatori di questi ragazzi non si sono maiaccorti di nulla?

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saggezza follemarco valli - osel [email protected]

ascuolaeoltre

Ogni giorno incontriamo persone, libri, idee, che potrebbero cambiarci la vita o almeno arricchircidi prospettive differenti, spesso però la nostra chiusura ci preclude ogni possibilità.

Chi saremmo senza gliincontri che hannosegnato, in bene ed

in male, il nostro percorso esi-stenziale? Saremmo radical-mente differenti, non sarem-mo più noi… Il mio amico emaestro padre Cornelius Tho-lens soleva dire: «noi siamofatti di incontri!». Aveva per-fettamente ragione, noi siamoil frutto dell’incontro dei nostrigenitori e prima ancora deinonni e di tutti gli avi, ci siamoformati negli incontri con fa-miliari, amici, insegnanti, ope-re d’arte, libri e tutto ciò chepuò colpire il nostro cuore ela nostra mente. L’incontro,fortuito o cercato, è un mo-mento magico e unico in cuisentiamo che qualcuno oqualcosa tocca la nostra «ani-ma», lasciando un segno in-delebile; è un momento dicambiamento, di svolta, dopoil quale nulla è più lo stesso.L’incontro è pura magia, marichiede anche un’arte, unacapacità… quella di aprirsi,di lasciare il nostro cuore nu-do e vulnerabile, oppure l’in-contro fallisce e diventaun’opportunità mancata.

La magiadell’incontro

a casa)… l’incontro necessitadi motivazione.Se non siamo motivati da unprofondo bisogno (di amore,amicizia, saggezza, guida spi-rituale, a seconda dei casi)non muoviamo un passo,non ci poniamo in ascolto,non ci apriamo all’incontro.Incontrare l’altro è rischioso,ma ci offre la possibilità diuscire da noi stessi per poi ri-tornarvi arricchiti dagli stimoliche gli altri ci hanno donato.Anche imparare dagli incon-tri, positivi o negativi che sia-no, è un’arte che va appresa,non è così semplice, richiedeconsapevolezza, attenzione,capacità di analisi, compas-sione (per sé e per l’altro), vaappresa come ogni arte. Seci sforzeremo di apprenderlasaremo pronti per una vitapiù piena e più vera. nnn

Diceva R.P Kaushikche non ènecessarioincontrare incontinuazione ilMaestro, a volte, sec’è un veroincontro, bastanopochi minuti percambiare unavita!

nostra chiusura ci precludeogni possibilità, lasciandocisterili e impoveriti.La società attuale, con la suatecnologia avanzata, affasci-nata dal virtuale, ci porta ognigiorno di più verso un’inca-pacità comunicativa radicale,illudendoci di essere connessicol mondo.Internet, i social network, ri-schiano di illuderci di comu-nicare, di incontrare perso-ne... ma l’unico incontro rea-lizzato è quello a quattrocchi,è quello fra due esseri viventi,non fra due «profili» virtuali.Una vignetta mostra due vec-chietti, uno chiede all’altro:«perché vieni sempre qui da-vanti all’ingresso del Comu-ne?». L’altro risponde: «su Fa-cebook c’è scritto che ho dueamici in comune, e vorrei ca-pire chi sono…». A parte ilgioco di parole, la vignetta fariflettere su come le genera-zioni più anziane ancora cer-chino l’incontro reale e noncomprendano il senso del vir-tuale… Spesso mi viene chie-sto perché non apro una pa-gina su qualche social net-work, rispondo sempre chechi vuole incontrarmi deve fa-re la fatica di cercarmi, di per-correre strade, ecc... e cosìdebbo fare anch’io se voglioincontrare qualcuno.L’incontro spesso richiedepassione, desiderio, sforzo…io girovagai mezza Europaper incontrare Lanza del Va-sto (salvo poi trovarlo vicino

Incontrarel’altro è

rischioso, maci offre la

possibilità diuscire da noistessi per poi

ritornarviarricchiti

dagli stimoliche gli altri ci

hannodonato

ascuolaeoltre

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Aprirsi all’incontro, reale e fat-tivo, con l’altro, o con unanuova idea, una nuova pro-spettiva, richiede il coraggiodi uscire dai sentieri conosciutie di rischiare il nuovo, di met-tersi in discussione, di supe-rare le paure e i pregiudizi.Ogni giorno incontriamo per-sone, libri, idee, che potreb-bero cambiarci la vita o al-meno arricchirci di prospet-tive differenti, spesso però la

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TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE. ARTE PASSIONE INTERCULTURA

CURERITA ROBERTO

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CURE

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RITA ROBERTO

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

In questo dossier mi propongo di «curare» la parola stessacon cui cerco di «curare» questo dossier: prendendomenecura, esaminandone ricchezze, potenzialità, ambivalenze,

violenze e significati nascosti nel tempo e dalla cultura, maanche svolte e risorse in azione. Trovo utile questo approccioperché penso che ogni parola trattenga, in strati successivi,parte della storia dell’uomo, della sua coscienza; ricostruireil significato e il diritto di cura lungo questo percorso vuoldire chiarire i nostri legami con il passato e allo stesso tempocon il presente e con il futuro. Consultando il dizionario, allaparola cura c’imbattiamo nei seguenti significati:

1. Attenzione, pensiero, interessamento per qualcosa o perqualcuno. Sollecitudine, dedizione, impegno nel provvederea qualcosa o a qualcuno: sinonimo di premura.

2. Diligenza, zelo, accuratezza: mettere molta c. nello studio,nel lavoro; lavorare con c. Attenzione, cautela: maneggiarecon c.

3. Oggetto di attenzione e interesse costante. 4. Gestione, amministrazione, direzione: la c. dello Stato; le

cure domestiche. A cura di, per opera di, realizzato da.

5. Complesso di terapie, medicamenti e rimedi, usati per gua-rire una malattia o per migliorare una cattiva condizionefisica e o psicologica. L’opera prestata dal medico per gua-rire il paziente.

6. Ecclesiastico: ministero del sacerdote cattolico. La curadelle anime, assistenza diretta ai fedeli e somministrazionedei sacramenti. Estens. I fedeli che fanno parte di una co-munità il cui governo spirituale è affidato a un sacerdote.

7. [ant. o lett.] Angoscia, affanno: «secrete cure che al vivertuo furon tempesta» (Foscolo)

8. [ant.] Curatela.

Da questo lungo elenco di significati maturo l’idea che quandoparlo, scrivo o ascolto la parola «cura» non posso omettereniente di quanto citato e ne deduco che la prevalenza dei si-gnificati riguarda anzitutto la dimensione affettiva. Cura, allora,come gesto, azione, accompagnamento, attenzione che im-plicano vicinanza fisica e un coinvolgimento istintivo e implicito.L’impressione che ne ricavo è che la cura abbia a che farecon la vita e la morte e con tutte le azioni che permettono divivere e accompagnano a morire: non ci si può sottrarre dalla

IL SENSO DELLE CURECOME BENE COMUNE

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dossierIL SENSO DELLE CURE

QUANDO LA CURA È LEGATA ALLA

MALATTIA LE SI RICONOSCE UNA

CONNOTAZIONE TERAPEUTICA E

QUINDI PROFESSIONALE, CHE LA

DISTINGUE DALLA CURA FAMILIARE

O «NATURALE» ED EDUCATIVA. IN

TUTTO CIÒ, SI ATTRIBUISCE SEMPRE

A CHI CURA L’ASSUNZIONE DI UNA

RESPONSABILITÀ DI UN RUOLO

«GUIDA», DI UNA VOLONTÀ DI

ACCOMPAGNARE, DI STARE

ACCANTO, DI PROTEGGERE

cura in particolare di fronte a un bambino molto piccolo, a unadulto in difficoltà o a un anziano che sta morendo. In questaforma la cura è istintuale e naturale perché sollecitata da si-tuazioni che chiedono di curare ma anche da azioni e gesti dicura, quasi automatici, sulla scorta di «memorie corporee»,impresse dalle cure soprattutto materne, di cui è stato oggettochi cura. Essa è anche azione educativa tesa a promuovereautonomia nei soggetti e dà luogo a un processo in cui l’au-tonomia è vista come frutto di un apprendimento. Accanto atali finalità compare la dimensione «assistenziale»: dove l’at-tenzione al bisogno, a esigenze particolari, corrisponde al-l’intervento che si effettuaper colmare, rassicurare,evitare complicazioni edestinguere urgenze. Quan-do la cura è legata alla ma-lattia le si riconosce unaconnotazione terapeutica equindi professionale, chela distingue dalla cura fa-miliare o «naturale» ed edu-cativa. In tutto ciò, si attri-buisce sempre a chi cural’assunzione di una respon-sabilità di un ruolo «guida»,di una volontà di accompa-gnare, di stare accanto, di proteggere qualcuno divenendopartecipe del suo destino, delle sue ricerche, delle sue soffe-renze e dei suoi successi, in buona sostanza, della sua vita. In sintesi, penso che alla radice della parola cura vi sia la re-sponsabilità degli uni verso gli altri: che sia una preoccupa-zione, un accudire il progetto di una vita altrui, che sia curareuna relazione o una terapia medica, la cura è responsabilità.San Giuseppe Moscati, medico, così si rivolgeva ai suoi col-leghi: «ricordatevi che, seguendo la medicina, vi siete assuntila responsabilità di una sublime missione. Perseverate conDio nel cuore, con gli insegnamenti di vostro padre e vostramadre sempre nella memoria, con amore e pietà per i derelitti,con fede ed entusiasmo, sordo alle lodi e alle critiche, tetragonoall’invidia, disposto solo al bene».

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dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

LE CULTURE DELLE CUREDIVERSE OPINIONI SONO STATE ESPRESSE NELTEMPO, IN OCCIDENTE, SUL CONCETTOSALUTE/MALATTIA/CURE E POSSONO ESSERERAGGRUPPATE ATTRAVERSO SEI MODELLI:

magico-religioso: tipico delle culture antiche; lo sciamano,il sacerdote, lo stregone sono coloro che «diagnosticano» lamalattia, comunicano con il mondo spirituale e guariscono ilmalato. biomedico: si basa sul pensiero filosofico che vede l’uomoin una prospettiva dualistica. La malattia colpisce l’uomo dal-l’esterno e la salute non è che l’assenza di malattia. psicosomatico: sviluppato negli anni Trenta, interpreta lamalattia come risultato di una continua relazione tra mente ecorpo. esistenziale: nato negli anni Quaranta, sottolinea la sogget-tività dell’individuo, supera la visione dualistica e considerala persona in fenomelogico, cioè analizzata e descritta nellesue emozioni, pensieri, fantasie, immaginazioni e nei suoimodi di essere, quindi si può entrare nel suo mondo attraversol’empatia, l’ascolto e l’intuizione. umanistico: sviluppatosi negli anni Cinquanta, considera lapersona in senso olistico e capace di assumersi le responsa-bilità nei confronti della salute. trans-personale: è uno sviluppo dei due modelli precedenticon l’integrazione di teorie e conoscenze orientali. La personaè in salute quando acquista consapevolezza del dualismoperché è lo sperimentare questa scissione che provoca sof-ferenza e malattia.

SECONDO IVAN ILLICH, «LA SALUTE DESIGNA UN

PROCESSO DI ADATTAMENTO. ESPRIME LA

CAPACITÀ DI ADATTARSI ALLE MODIFICHE

DELL’AMBIENTE, DI CRESCERE E DI

INVECCHIARE, DI GUARIRE QUANDO SI SUBISCE

UN DANNO, DI SOFFRIRE E DI ATTENDERE PIÙ O

MENO SERENAMENTE LA MORTE. LA SALUTE

ABBRACCIA ANCHE IL FUTURO PERCIÒ

COMPRENDE L’ANGOSCIA E LE RISORSE

INTERIORI PER VIVERE IN ESSA. ESPRIME UN

PROCESSO DI CUI OGNUNO È RESPONSABILE

ANCHE SE SOLO PARZIALMENTE»

Come la salute è definita dallo stile di vita con cui una societàsi esprime nell’arte di vivere, anche la malattia è percepitadiversamente dalle persone che la vivono, l’appartenenza diciascun individuo ad uno specifico contesto sociale, culturale,etico e giuridico influisce moltissimo. Durante l’intero arcoevolutivo ogni persona interiorizza una serie di modelli suiquali costruisce la sua identità e all’interno questo processoha luogo anche la «socializzazione primaria della malattia»che favorisce il costituirsi di specifici comportamenti cultu-ralmente determinati, che si riattivano quando il soggetto deveaffrontare una malattia. In base alla cultura di appartenenza eai relativi modelli di salute/malattia/guarigione interiorizzatiegli attua determinate scelte e instaura relazioni di cura ba-sandosi su elementi universali: la vita, la morte e il destino.La situazione di sofferenza, malattia e disagio viene elaborata

D

EV

INT

COST

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dossierIL SENSO DELLE CURE

Il diritto alle cure (v. sopra fig. 1) nella sua accezione piùampia è sancito dall’art. 25 della Dichiarazione Universale

dei Diritti Umani del 1948 che afferma: «1. Ogni individuo hadiritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e ilbenessere proprio e della sua famiglia, con particolare ri-guardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle curemediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezzain caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza,vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenzaper circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2. La maternitàe l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti ibambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono goderedella stessa protezione sociale». L’art. 25 non parla di merasopravvivenza di persone e popoli e del superamento dellasoglia di povertà, ma di un tenore di vita che assicuri il be-nessere integrale della persona e della sua famiglia, cioè del-l’essere umano fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia.

da ogni persona mediante gli elementi costituenti «l’Io cul-turale», che diventa un luogo del pensiero dove dare sensoe significato agli eventi. È questo anche lo scopo di tutti i si-stemi medici: dare un senso alla malattia, controllarne glieffetti ed orientare l’azione terapeutica. In questo modo lacultura ed il sistema medico, per mezzo del quale essa siesprime, permettono di trasformare le angosce dei singoliin un linguaggio provvisto di significato. È dunque evidente come i concetti di malattia, cura ed ef-ficacia siano fortemente determinati da costrutti sociali di-versi e come sia riduttiva un’analisi che prescinda dal con-testo culturale all’interno del quale consideriamo questenozioni, è pertanto necessario costruire «ponti» per attra-versare tali distanze. Se prendiamo ad esempio il modelloantropologico statunitense, notiamo che ha coniato tre di-

versi concetti di malattia: di-sease è il punto di vista delmedico, cioè la malattia in-tesa come realtà oggettiva,misurabile e quantificabilecon metodi separati dalcontesto culturale; illnessdefinisce la malattia comeè vissuta dal paziente conla sua cultura, i suoi senti-menti ed emozioni; sick-ness è la percezione dellamalattia da parte dell’am-

biente non medico che circonda la persona. Secondo ildottor Aldo Morrone, responsabile del Servizio di medicinapreventiva per le migrazioni di Roma, la salute di una per-sona dipende dal modo con cui la cultura, la politica e lasocietà condizionano l’ambiente e creano quelle circostanzeche favoriscono in tutti e specialmente nei più deboli la fi-ducia in se stessi, l’autonomia, la dignità di essere umani.Secondo Ivan Illich: «la salute designa un processo di adat-tamento. Esprime la capacità di adattarsi alle modifichedell’ambiente, di crescere e di invecchiare, di guarire quan-do si subisce un danno, di soffrire e di attendere più omeno serenamente la morte. La salute abbraccia anche ilfuturo perciò comprende l’angoscia e le risorse interioriper vivere in essa. Esprime un processo di cui ognuno èresponsabile anche se solo parzialmente». Il concetto disalute definito dalla Costituzione dell’Organizzazione mon-diale della sanità (Oms) considera tutte le culture e le dif-ferenze e afferma: «una condizione di completo benesserefisico, mentale e sociale, e non meramente l’assenza dimalattia [...]; il godimento del più alto livello conseguibiledi salute costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni es-sere umano senza distinzione di razza, di religione, di fedepolitica, di condizione economica o sociale e la salute ditutti i popoli è fondamentale ai fini del conseguimento dellapace e della sicurezza ed è dipendente dalla più pienacollaborazione degli individui e degli Stati».

IL DIRITTO ALLE CURE

DURANTE L’INTERO ARCO

EVOLUTIVO OGNI PERSONA

INTERIORIZZA UNA SERIE DI

MODELLI SUI QUALI

COSTRUISCE LA SUA IDENTITÀ

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dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

È ovvio che, nel contesto di promozione della dignità umanasu scala mondiale e in chiave di responsabilità condivise, ilbenessere derivante dal rispetto dei diritti umani non consistein lussi e consumismi, anzi è un invito alla sobrietà nel consu-mare da mettere in atto nelle famiglie e nelle comunità socialidi appartenenza. La traduzione operativa dell’art. 25 si attuanelle politiche sociali, nei settori della casa, dell’occupazione,della sanità, dell’assistenza, della protezione dei bambini edella maternità, ma soprattutto nella prevenzione della violenzacome massima causa di malattia e morte nel mondo. È risaputo che la salute è compromessa nelle situazioni incui persiste la violenza: il dolore dei bambini che subisconoabusi da parte delle persone che dovrebbero proteggerli,delle donne percosse o umiliate da partner violenti, degli an-ziani maltrattati da chi li assiste, dei giovani tiranneggiati daaltri giovani, per non parlare di chi vive situazioni di guerra epovertà. Come altri problemi di salute, la violenza non è di-stribuita in modo uniforme tra i diversi gruppi di popolazioneo nelle diverse situazioni. L’Oms la definisce la violenza come«l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciatoo reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppoo una comunità, che determini o che abbia un elevato gradodi probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico,cattivo sviluppo o privazione». Il termine «utilizzo del potere» permette di includervi l’incuriao gli atti di omissione, l’ipercuria, oltre ai più scontati attiviolenti. La sofferenza quotidiana individuale e collettiva acausa della violenza è un peso che fa ammalare soprattutto ibambini, per questo riservo particolare attenzione alla «pato-logia delle cure» esercitata dai genitori sui minori, sofferman-domi sulla definizione di incuria, discuria e ipercuria. L’incuriaè la privazione delle risorse o delle cure necessarie con uncomportamento intenzionalmente negligente e non consonoalle reali disponibilità e ai canoni culturali e sociali, tale dacompromettere lo sviluppo psicofisico del bambino. Si realizzacon atteggiamenti di trascuratezza, negligenza, abbandono,disattenzione, disinteresse, distrazione, indifferenza, noncu-ranza, sbadataggine, trasandatezza, trascuratezza, sciatteria.La discuria compare quando le cure indirizzate al minore ven-gono fornite in maniera distorta e inadeguata rispetto al mo-

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LA SOFFERENZA QUOTIDIANA

INDIVIDUALE E COLLETTIVA

A CAUSA DELLA VIOLENZA

È UN PESO CHE FA AMMALARE

SOPRATTUTTO I BAMBINI,

PER QUESTO RISERVO PARTICOLARE

ATTENZIONE ALLA «PATOLOGIA

DELLE CURE» ESERCITATA

DAI GENITORI SUI MINORI

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a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI58

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BENI COMUNI E... VIZI CAPITALI

LA SUPERBIA

Considerato radice e culmine di ogni male moraleda sant’Agostino e san Tommaso, la superbia ènel canone dei sette vizi la violazione principale,

perché contiene e p

spreca fiumi di denaro; nelle gozzoviglie trova facilmente

compagni di ventura pronti alla fuga nel momento del

crollo.

In questo caso le risorse vengono consumate senza

produrre effetti positivi: lo sperpero di denaro conduce

alla schiavitù. La perdita della libertà interiore è il tratto

caratteristico dell’alterazione patologica del rapporto

con il denaro che accomuna prodigalità ed avarizia. La

parabola del figliol prodigo lo rivela chiaramente. Dopo

aver esaurito tutte le sue sostanze, il giovane è costretto

a cibarsi delle ghiande dei porci: il giorno in cui con la

faccia a terra contende il cibo ai maiali, si vede riflesso

negli occhi dei suini che lo circondano e decide di ri-

tornare al palazzo del padre, chiedendo di essere trattato

come l’ultimo dei servi, ma sentendo così di avere re-

cuperato la sua dignità di essere umano.

La raffigurazione allegorica dell’avarizia spesso coglie

i diversi aspetti di questo vizio poliedrico: nella Divina

Commedia, il cammino di Dante è impedito, all’uscita

della selva, dalle tre fiere, la lonza (lussuria), il leone

(la superbia), ma soprattutto dalla lupa, magra e pun-

golata da una fame inestinguibile. Tale ostacolo è insu-

perabile senza l’aiuto della ragione (Virgilio) e della

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI2124

febbraio 2014 | cem mondialità | 23

AVARIZIARADICE DI TUTTI I MALI

Tra tutti i vizi, l’avarizia sembra il più ignobile,

quello che si addita con riprovazione negli altri,

ma non si coglie nelle proprie scelte di vita; nel-

l’acronimo medievale che riunisce i sette vizi capitali,

SALIGIA, l’avarizia è collocata in prima posizione come

radix omnium malorum, cioè radice di ogni male; a dif-

ferenza della superbia che è un vizio ontologico ed è la

passione dell’essere, l’avarizia è la passione dell’avere,

del possedere senza usare, dell’accumulo compulsivo:

una delle sue caratteristiche è l’insaziabilità e la ten-

denza a saturare tutti gli orizzonti di vitalità emotiva e

relazionale. L’avaro è solo perché recide volutamente

legami e attaccamenti che rischiano di distoglierlo dalla

sua adorazione idolatrica del denaro. Non ha tempo né

spazio per la condivisione, la famiglia, la socialità. Non

ha figli, non vuole discendenti, non ha compagni di

viaggio, ma solo rivali e nemici: chi è avido di denaro è

avaro di sentimenti e vede nell’altro una minaccia co-

stante. Contrariamente agli altri vizi, questo presenta

un suo doppio simmetrico ed opposto: la prodigalità, la

tendenza a scialare, a sperperare, a dilapidare, dissipare

beni e sostanza, indizio di un rapporto squilibrato con

il denaro di segno contrario. Il dilapidatore sciupa,

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Grazia. Come altri vizi, l’avarizia è un deragliamento,una lussazione del desiderio che prende il sopravventoe imprigiona in una spirale distruttiva chi ne è affetto.Nasce dal bisogno deformato di possedere, in modo au-toreferenziale e non partecipativo, paralizzando la cir-colazione dei beni venerati in una dimensione idolatrica.È interessante soffermarsi sul profilo dell’avaro e sullaspecificità di questo vizio comparandolo con affini in-clinazioni.L’avaro, a differenza del tirchio e dello spilorcio, non èossessionato esclusivamente dal risparmio, ma si dedicaad un accumulo continuo di ricchezze sempre insuffi-cienti e non adeguate al bisogno di fagocitare. L’avarizia,secondo Teofrasto, consiste in «un eccesso di lucro tur-pe» superando in questo la tirchieria che è «una man-canza di amor proprio che rifugge dallo spendere» e laspilorceria definita «un risparmio oltre la giusta misura».L’avaro è molto più attivo del tirchio e dello spilorcioperché è creativo e non si limita a non spendere, mausa le proprie energie per aumentare il patrimonio.Le raffigurazioni allegoriche aiutano a focalizzare meglioi vari aspetti di questo vizio, spesso rappresentato attra-verso animali cui può essere associato per aspetto fisico,o per atteggiamenti etologici della bestia di volta in voltascelta: la lupa per l’insaziabilità e l’inesausta attività dicaccia, il rospo, al contrario, per l’obesità e la ripugnanzache ispira, il cammello per la tendenza a conservare eaccumulare, lo squalo per aggressività e rapacità.

UN VIZIO CARICATURALE E SENILE

Di tutti i vizi capitali l’avarizia è uno di quelli che la let-teratura e il teatro hanno descritto e indagato con mag-giore continuità depositando nell’immaginario collettivouna rassegna di figure archetipiche indimenticabili: daiCaratteri del filosofo greco Teofrasto, all’Arpagone diMolière, passando per Ebeneezer Scrooge di Dickens finoalla creatura disneyana Paperon de’ Paperoni. Tale inte-resse per l’avarizia è dovuto alla natura di tale vizio ealle sue ricadute sociali più evidenti e compromettenti,essendo associato all’usura e alla fame di potere e di ric-chezze. A differenza di altri difetti per i quali non c’è unabbinamento generazionale ed anagrafico preciso o ca-ratterizzati da irruenza e dismisura che ben si coniuganocon il vigore della giovinezza, l’avarizia è un vizio senile;

ne sono affetti vegliardi cui la canizie non ha donato lasaggezza, ma ha reso più tenacemente egoisti. È il trattopeculiare di chi detiene il potere ed ha perso altre formedi attrazione e seduzione, di chi rinuncia anche a com-prare perché non vuole spendere e non si vuole spendere.Però è un vizio polimorfico: una delle sue caratteristicheconsiste nella tendenza a mascherarsi e ad assumeresembianze molteplici, non di rado vestendo anche i pannidi virtù come parsimonia, frugalità, sobrietà, ma, inrealtà, si allea con la cupidigia, la bramosia, la concupi-scenza ed un numeroso corredi di difetti affini, variamentestigmatizzati dalla letteratura. Per le sue caratteristichel’avarizia è stata oggetto di studi fisiognomici, di stralifilosofici e di raffigurazioni teatrali che ne colgono il ca-rattere individualistico ed egocentrico.

UN VIZIO POLITICO (EUROPEO)

L’avarizia è la radice di ogni male perché non esita, perraggiungere i suoi fini, a coniugarsi con altri vizi, maanche per il suo inestricabile rapporto con la politica:la lupa di Dante si ammoglia ad una serie di difetti, è

L’AVARIZIA. ACQUAFORTE DI G.M. MITELLI (1679)

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contagiosa, attacca un tessuto sano e lo corrompe, chesia la città medievale dominata dai mercanti, dal trafficoe dallo scambio o la Chiesa guastata dall’avidità e dallafame di denaro. È un vizio che deforma e fa degenerarela relazione con il denaro, i beni comuni, le risorse, imezzi e gli strumenti che divengono il fine ultimo diogni agire. L’avarizia è ricchezza senza amore, è inca-pacità di dono. È il rapporto con il denaro liquido a ca-ratterizzarla nelle sue manifestazioni quotidiane minutee non grandiose: la taccagneria, la tirchieria e la spilor-ceria nel piccolo, l’usura, l’accumulo capitalistico nelgrande. Proprio perché è in stretta relazione con l’eco-

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effetti sulla società nel suo complesso. La sua consa-crazione a pubblica virtù avviene con l’affermazionedel capitalismo, additata come buona pratica ed incen-tivo alla crescita, prova dello straordinario slittamentosemantico che tale vizio ha subito. Paperon de’ Paperoni rappresenta il personaggio avaropiù completo perché esemplifica tutti i difetti del capi-talismo rampante e dell’egoismo del mercato: condannase stesso e i numerosi nipoti alla miseria, è gretto, me-schinamente ossessionato dal possesso e dal terrore divedere diminuite le sue sostanze. La sua unica soddi-sfazione è il «bagno» periodico tra le monete del depositonel quale ha tumulato tutta la sua vita relazionale, men-tre il suo principio fondamentale è illustrato da unadelle massime riprodotte sulle pareti del deposito: «Iltempo è denaro». È il tardo Novecento a cogliere conmaggiore sensibilità ed evidenzia gli aspetti più distrut-tivi dell’accumulo, della tesaurizzazione e della naturaintrinsecamente nemica del bene comune presenti nel-l’avarizia; ma anche il doppio rovesciato della prodigalitàha trovato riscontro nel secolo scorso e nei nostri tempiin atteggiamento opposti, ugualmente dannosi e di-struttivi: sprechi, consumi sfrenati, uso ed abuso dibeni comuni, di risorse non rinnovabili, esaurimentoed inquinamento che producono squilibri ambientali eclimatici planetari.

AVARIZIA VS COMUNITÀ E FRATERNITÀ

Il vero volto rapace e distruttivo della avarizia sma-scherata è sintetizzato da Zamagni con tre illuminantiaffermazioni:

accumula, ma non investe conserva, ma non usa possiede, ma non condivide.

La prodigalità al contrario dispone, ma non sa sceglieree perde, possiede, ma non sa conservare, consumasenza fruire. È nemica delle generosità perché dà allacieca senza alcuna considerazione etica, non è una virtùperché non sa trovare il giusto limite, arde finché nonbrucia tutto. Entrambi i vizi sono nemici della comunitàperché subordinano il vissuto relazionale al denaro e

È UN VIZIO CHE DEFORMA E FA DEGENERARE LA RELAZIONECON IL DENARO, I BENI COMUNI, LE RISORSE, I MEZZI E GLI STRUMENTI CHE DIVENGONOIL FINE ULTIMO DI OGNI AGIRE.L’AVARIZIA È RICCHEZZA SENZAAMORE, È INCAPACITÀ DI DONO

nomia e la gestione dei beni comuni tende ad esserepercepita in modo significativamente diverso nel corsodelle varie epoche storiche essendo al confine tra sceltaetica e pratica commerciale e finanziaria. Il saggio di Stefano Zamagni Avarizia. La passione del-l’avere a questo riguardo offre una panoramica efficacee ben documentata proprio ripercorrendo in modo tra-sversale la storia d’Europa e delle sue teorie economiche.Da radix di ogni male (San Paolo) viene rivalutata conla rinascita della città e lo sviluppo del commercio cheoppone ad una ricchezza immobile fondata sulla pro-prietà terriera, una ricchezza mobile centrata sulloscambio e sulla circolazione della moneta. In realtà, inquesta fase storica l’avarizia si configura come virtù,come stimolo e sprone al progresso economico. Dal-l’epoca umanistica in poi l’avarizia smette i panni delvizio, si riabilita e si legittima per i presunti benefici

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ne fanno un fine e non un strumento costruttivo. Delresto nel Vangelo il denaro è uno degli ostacoli piùtenaci alla crescita spirituale e alla conversione assaipiù del sesso. In molte circostanze la ricchezza si tra-sforma in prigione della volontà e del cuore: la figuradel giovane ricco che pratica tutte le virtù, ma si rifiutadi rinunciare ai suoi beni, la parabola del ricco epuloneche nega gli avanzi della sua mensa al povero Lazzaro,il cammello che passa nella cruna di un ago più facil-mente di quanto un ricco possa entrare nel regno diDio. La riprovazione che Giuda prova per la donna checosparge di nardo prezioso il capo di Gesù dichiarandoche tale profumo si sarebbe potuto vendere per donareil ricavato ai poveri è indice di un’avarizia camuffata dafilantropia.«Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt. 6,24). Alcontrario, la vedova che dona due spiccioli, ma con ilcuore, ha offerto tutto quello che aveva e lo fa con di-screzione e con spirito di fraternità.In queste notazioni emerge con chiarezza che l’avariziasia il vizio che più di altri intacca la vita comunitariaminandola alla base per il suo potere distruttivo: negala condivisione, esclude e separa contribuendo alla la-cerazione del tessuto sociale, si arrocca su posizioni di-fensive, isolate, che imprigionano in primis chi è vittimadel vizio. Gli avari sono sempre soli e sempre tormentatidall’angoscia della perdita. Paradossalmente, propriol’avarizia è, invece, nemica di ogni autentico sviluppoeconomico, perché ha come obiettivo la paralisi defini-tiva. La bulimia produce l’arresto dello scambio e lanecrosi di ogni buon sostrato sociale negando equitàsolidarietà. Rifiutando atteggiamenti gratuiti, per l’im-possibilità di concepirli, l’avarizia arresta il motore emo-tivo e relazionale di ogni società.

LA RECIPROCITÀ COME BENE RELAZIONALE

L’avarizia si combatte nel privato e nel pubblico soloattraverso una serie di mutamenti di parametri che ri-baltano la piramide valoriale su cui ha costruito la suavisione del mondo: l’ottica del dono e la prospettivadella reciprocità aprono la strada alla riconoscenza e alriconoscimento dell’altro e dell’essenzialità della rela-

zione per la definizione di sé. Il rapporto di reciprocitàè paritario e non asimmetrico perché lo scambio ha va-lore non per la perfetta equivalenza dei beni oggetto ditransazione, ma perché l’aspetto relazionale assume ilvalore fondamentale in quanto etimologicamente è ilvero inter-esse, cioè il condividere, lo stare in mezzo,insieme, l’essere interrelati. Il dono ha come unico pro-fitto l’interesse per l’altro e non all’altro e ha comeobiettivo la creazione di legami e di relazioni che sipossono identificare come beni relazionali. Tali beni didifficile definizione non si possono comprare, ma sonocapaci di generare denaro, ma non è questo il loro fine,perché non sono generati dal denaro e s’identificanocome beni non materiali, non quantificabili, essenzialiperché il corpo sociale sia sano ed equilibrato: sonol’armonia familiare, l’affiatamento e la concordia al-l’interno di un gruppo di volontari, le reti di buon vici-nato, le reti amicali, l’associazionismo non lucrativoche producono frutti e benefici non monetizzabili edinstaurano un clima che non si può imporre giuridica-mente e non si configura come mero rispetto delle re-gole, ma è un surplus di senso che nasce dalla ricono-scenza, dalla convinzione liberante che non si è mairicchi possedendo, ma solo accettando di donare; Za-magni evoca l’immagine finale del canto di Natale diDickens: il vecchio Scrooge, tra lo stupore generale,inizia a distribuire i beni accumulati tutta la vita e sor-ridendo, ringrazia coloro che vengono beneficati dalsuo denaro esprimendo tutta la sua riconoscenza peraver assaporato con la scoperta del dono gratuito, perla prima volta, la felicità.

BIBLIOGRAFIA

E. Bianchi, Avarizia. Il rapporto deformato con le cose e il denaro,

San Paolo, Milano 2012

L. Bruni e S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità

pubblica, Il Mulino, Bologna 2004

P. Prodi, Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occi-

dente, Il Mulino, Bologna 2009

S. Zamagni, Avarizia. La passione dell’avere, Il Mulino, Bologna 2009

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PER ORA POCHI METTONO IN RELAZIONE

L’ART. 25 CON L’ART. 1 DELLA DICHIARAZIONE

UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI CHE RECITA:

«TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI

ED EGUALI IN DIGNITÀ E DIRITTI. ESSI SONO DOTATI

DI RAGIONE E DI COSCIENZA E DEVONO AGIRE

GLI UNI VERSO GLI ALTRI IN SPIRITO

DI FRATELLANZA»

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IL GRANDE INGANNO

Nonostante la progressiva diffusione a tutti i livelli dellinguaggio dei diritti umani, questo strumento con-

cettuale non sembra avere ancor messo in grado gli Statidi assicurare alcuni di tali diritti, a cominciare da quelloalla salute, alla propria popolazione. L’incapacità o megliola non volontà dei go-verni di affrontare lacrisi economica a favo-re della popolazione enon della classe domi-nante non ha finora in-dotto i movimenti dimassa a esigere daipropri governi il «ri-spetto, la protezione ela piena realizzazione»dei diritti umani fonda-mentali, compreso il diritto alla salute. A questo scopo, invari ambiti si comincia a proporre un uso più efficacedello strumento dei diritti umani, intesi sia come paradigmaconcettuale per analizzare i rapporti all’interno della societàumana, sia come strumento giuridico che disciplini le re-sponsabilità legali, etiche e politiche degli Stati. Finora

dossierIL SENSO DELLE CURE

SOLTANTO 160 PAESI,

DEI 193 APPARTENENTI

ALLE NAZIONI UNITE, HANNO

RATIFICATO IL PATTO

INTERNAZIONALE SUI DIRITTI

SOCIALI E CULTURALI

mento evolutivo del bambino. L’ipercuria è la somministra-zione di cure eccessive o sproporzionate ad età e bisogni esi attua con eccessi di perfezionismo, rigore, pignoleria,iperprotezione dettata da ansia. Nel caso dei minori rientranoin questa definizione la sindrome di Munchausen per pro-cura, il chemical abuse, il medical shopping e la sindromeda indennizzo, che si verifica quando i genitori, in seguitoad un incidente avvenuto al figlio, lo inducono a manifestaresintomi per ottenere un indennizzo. Ma la violenza non èinevitabile: gli individui, le famiglie e le comunità, le cui vitevengono distrutte, possono essere protetti; le cause profondedella violenza possono essere contrastate. Alcuni degli interventi di prevenzione primaria per ridurre laviolenza e migliorare le cure consistono nell’assistenza pre-natale e perinatale per le madri, così come in programmiprescolari per bambini e adolescenti; in attività di formazioneal ruolo di genitori; in miglioramenti dell’infrastruttura urbana;in provvedimenti volti a ridurre le lesioni da arma da fuoco;in campagne dei media per modificare atteggiamenti, com-portamenti e norme sociali. I primi due interventi sono im-portanti per ridurre l’abuso e l’incuria nei confronti dei bambinicosì come la violenza nell’adolescenza e nell’età adulta. Quo-tidianamente, medici, personale infermieristico, altri operatori

dell’assistenza sanitaria , assistenti sociali, consulenti familiaried insegnanti si trovano in una posizione vantaggiosa per in-dividuare i casi di abuso e per indirizzare le vittime ad altriservizi di cura, terapia, di follow-up o di protezione. A livellodi programmi, gli ospedali, le altre strutture sanitarie, i con-sultori familiari pubblici e privati, i centri ascolto pressoscuole o strutture assistenziali volontarie come Caritas, ecc.,possono rappresentare contesti utili per gli interventi, utiliz-zando le proprie risorse e infrastrutture per attività di pre-venzione. È giunto il momento di un’azione più decisa e co-ordinata e di estendere gli sforzi a luoghi in cui non esistonoancora, nonostante l’estremo bisogno. Qualsiasi impegno divalore inferiore rappresenta un insuccesso del settore socio/educativo/sanitario ma anche in campo umano.

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troppo spesso l’appello ai diritti umani non ha ottenuto risultaticoncreti e non ha stimolato l’azione. Ciò è dipeso probabil-mente anche dall’immagine dei diritti umani «spiritualizzata»e vista come un’utopia a cui aspirare ma, purtroppo, irrag-giungibile. I governi, di conseguenza, appaiono sempre più«scrupolosamente» ligi e fedeli al rispetto di un’ortodossiaeconomica che condanna a disoccupazione, miseria e con-seguente disagio/malattia gran parte della popolazione mon-diale. I dati parlano chiaro e ci mostrano il grande inganno:soltanto 160 paesi, dei 193 appartenenti alle Nazioni Unite,hanno ratificato il Patto internazionale sui diritti sociali e cul-turali1. Di questi, solo 56 riconoscono l’esistenza del dirittoalla salute. C’è da dire però che molti governi hanno inseritoi diritti umani nella legislazione nazionale in modo tale cheuna persona che si sente danneggiata può ottenere l’interventodel tribunale. Tuttavia tale modalità non sempre risulta sufficiente e non èfacilmente attuabile sia per la scarsa consapevolezza di moltepersone circa i propri diritti, sia per la difficoltà di mettere loStato di fronte alle proprie responsabilità. L’esercizio dei dirittiumani non è impossibile ma richiede la messa in atto di pro-cessi di sensibilizzazione in grado di mobilitare la gente co-mune ad impegnarsi nell’azione sociale e politica. Se ci foca-lizziamo sul diritto alla salute possiamo affermare con sicurezzache c’è un’esigenza universale alla salute che la rende il dirittoumano per eccellenza, prima ancora dei diritti sociali. Mastabilire i confini tra salute e malattia non è facile. A volte queiconfini sono chiari e netti, le malattie sono reali e dolorose, ela cura con farmaci e terapie è quanto di più auspicabile cipossa essere. In altre circostanze, però, i limiti che delineanola patologia tendono sempre più ad ampliarsi con un mecca-nismo ricorrente: si parte da una patologia esistente e curabilefarmacologicamente e poi, con operazioni ad hoc, la si de-scrive in termini generici tali da coinvolgere quanti più soggetti

dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

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possibili. Seguendo le logiche economico-politiche di BigPharma, potente lobby delle multinazionali del farmaco (v.fig. 2 a p. 29), si riduce il bene del medicinale a un puro pro-dotto commerciale, si crea e favorisce il meccanismo della«medicalizzazione» della società occidentale, che tende adalimentare un ideale di immortalità dove la medicina si pre-senta come una protesi tecnica della vita, promette eternagiovinezza e salute deicorpi ad ogni costo,mentre si trascurano lemalattie che affliggonoi paesi più poveri. Big Pharma ha inoltreideato l’operazione dimarketing chiamata di-sease mongering, fina-lizzata alla creazionevera e propria di malat-tie (osteoporosi, sindro-me della stitichezza,sindrome premestrua-le, colon irritabile, iper-colesterolemia, ansia sociale, l’Adhd sindrome da iperattivitàe deficit di attenzione dell’infanzia, fino ad arrivare e malattieepidemiche, pandemie, ecc.) e alla medicalizzazione di aspettinormalissimi della vita (gravidanza, parto, menopausa, vec-chiaia, ecc.) con il duplice obiettivo di vendere farmaci da unaparte e avere il controllo delle persone dall’altro, facendo levasulla paura di invecchiare, di ammalarsi e morire. Il tutto sirealizza attraverso tre meccanismi: trasformare comuni disturbiin problemi medici, farli apparire pericolosi, proporre terapiedelle quali si esaltano i benefici e si sottostimano i rischi.

OGNI ANNO LE AZIENDE

FARMACEUTICHE DEDICANO GRAN

PARTE DI FONDI A PATOLOGIE COME

OBESITÀ O IMPOTENZA, MENTRE

MALARIA E TUBERCOLOSI, CHE DA SOLE

UCCIDONO 5 MILIONI DI PERSONE OGNI

ANNO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO,

NON ATTIRANO ALCUN FINANZIAMENTO

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dossierIL SENSO DELLE CURE

IN OCCIDENTE, QUESTO SI MANIFESTA NEL «GIO-

CO RELAZIONALE» (FIGURA 2) CHE S’INSTAURA

TRA CASE FARMACEUTICHE, MEDICI, PAZIENTI,

CULTURA E MEDIA, ALIMENTATO E VOLUTO DA

TUTTI E QUATTRO GLI ATTORI. TECNICAMENTE

QUESTO PROCESSO AVVIENE IN 3 PASSAGGI:

1. PIANO QUANTITATIVO: SI ABBASSANO LE SO-

GLIE DEI VALORI DI «NORMALITÀ» RELATIVA-

MENTE A PRESSIONE ARTERIOSA, COLESTERO-

LO, TRIGLICERIDI, GLICEMIA, DENSITÀ OSSEA,

ECC. DA UNA PARTE, E SI AUMENTANO GLI

«SCREENING DI MASSA» DALL’ALTRA, RENDEN-

DO «MALATE» MILIONI DI PERSONE, OGGETTI-

VAMENTE SANE.

2. PIANO TEMPORALE: GRAZIE ALLA DIAGNOSI

PRECOCE CON GLI SCREENING DI MASSA S’IN-

VITANO, MEDIANTE LA PAURA E IL TERRORISMO

PSICOLOGICO, PERSONE OGGETTIVAMENTE SA-

NE A CERCARE QUALCHE MALATTIA CHE NES-

SUNO VORREBBE AVERE.

3. PIANO QUALITATIVO: NUOVE MALATTIE. IN

QUESTO CASO GLI ESEMPI SONO COSÌ NUMEROSI

CHE PER PROBLEMI DI SPAZIO NON È POSSIBILE

ELENCARLI TUTTI. CON QUESTO NON STO DI-

CENDO CHE È SBAGLIATO CONTROLLARSI O FA-

RE PREVENZIONE, MA BISOGNA STARE ATTENTI

A QUANDO QUESTE AZIONI VENGONO STIMOLATE

A denunciare questo stato di cose sono molte associazionicome «Giù le mani dai bambini», campagne informative emedici come Carlo Urbani2 che affermava: «Il 90% del denaroinvestito in ricerca sui farmaci è destinato a malattie che col-piscono il 10% della popolazione mondiale. Un paradosso sututti: ogni anno le aziende farmaceutiche dedicano gran partedi fondi a patologie come obesità o impotenza, mentre malariae tubercolosi, che da sole uccidono 5 milioni di persone ognianno nei paesi in via di sviluppo, non attirano alcun finanzia-mento». Inoltre le aziende farmaceutiche si rivolgono ai medicidestinando loro ogni anno azioni di marketing per oltre 50 mi-liardi di dollari, qualcosa come il 20% del fatturato farmaceutico.L’azione di marketing continua attraverso corsi di aggiorna-mento, tenuti da professori universitari, consulenti, conferen-

zieri molto spesso pagati appositamente dalle aziende far-maceutiche di Big Pharma. Questi esperti sono anche quelliche stilano le linee guida della pratica medica, che svolgonoi programmi di educazione continua in medicina, che pubbli-cano le recensioni nelle riviste mediche relativamente allemalattie che affliggono la popolazione mondiale. In sostanza,si tratta di modalità indirette di promozione del proprio inte-resse, rivolte a promuovere una nuova, migliore immaginesociale della ricerca farmaceutica in un settore più ampio ri-spetto al novero ristretto dei soggetti decisionali pubblici. BigPharma è anche accusata di svolgere ricerca su malattie spe-cifiche, ad elevato tasso di allarme sociale, al fine di vendere,con ampi margini di profitto, rimedi farmacologici brevettatiin via esclusiva e di mantenere elevati i prezzi di ogni categoriadi farmaco venduta. Se da una parte non possiamo negarel’importanza di una sempre migliore qualità delle cure medichedall’altra bisogna aprire finalmente il sipario sulle crudeltà, ilcinismo e le menzogne di quella che possiamo legittimamentedefinire l’industria del male.

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dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

LA CURA COME VISIONE DI MONDOMARCO DAL [email protected]

La cura esprime non solo un’opzione eti-ca ma anche un modo di essere-nel-mon-do: curare, guarire, liberare quello chec’è prima di pensare, produrre, crearequello che non c’è. Per un progresso cheverrà, come proclama il modo di esse-re-nel-mondo rappresentato dal lavoro,la visione della cura contrappone la ne-cessità di una storia che c’è e che chiededi essere curata, «salvata» prima che in-ventata. L’atteggiamento e la preoccupa-

zione per la cura si pone di fronte allavita non in una dimensione di passività,quanto di recettività: la vita ci è stata datae bisogna accompagnare il suo scorreresoprattutto quando si presentano delleombre e si avvicina il tramonto.

IL CONTRIBUTO DELLE RELIGIONI ALLA CURA DEL MONDO

Le esperienze religiose del sacro pos-sono, quando in dialogo, contribuire allacostruzione di un nuovo paradigma diumanità. Possono accettare la vulnera-bilità e promuovere la contaminazionedell’umano. Le religioni, infatti, quandointerpretano l’essere umano come «es-sere di bisogno» gli riconoscono la vul-nerabilità fondante, mentre quando ri-pensano alla storia della formazione dellapropria comunità religiosa non possononon riconoscere il sincretismo e la con-taminazione derivante dall’incontro conl’altro, gli altri. Circa l’identità, ad esempio, le religionisuggeriscono un primo passaggio: quel-

lo che dal paradigma identitario offertodal famoso cogito ergo sum matura nelparadigma dell’ospitalità riassunto nellafrase «sono accolto, dunque sono». Primadi pensare, l’essere umano è stato pen-sato, accolto. Questo il fondamento del-l’essere. Che non esime le persone dalleloro responsabilità: esse possono nonaccogliere, ma la vocazione umana prin-cipale è, invece, proprio quella dell’ac-coglienza. Questo le religioni lo sanno.Come sanno, di conseguenza, che lacondizione umana fondamentale, quelladell’affidamento, si espone alla vulnera-bilità. Niente di più vulnerabile che es-sere affidati e fidarsi. Eppure questo dicela verità dell’io e aiuta a descrive la nar-razione sull’identità: essa non sta nell’au-tonomia, ma nell’eteronomia. Occorrematurare la rivendicazione dell’autono-mia del soggetto che ha attraversato tuttala storia occidentale moderna nel rico-noscimento della fondazione eteronomadell’essere umano come le sensibilitàorientali dicono da tempo. Per questo lereligioni, come e soprattutto quello ebrai-co-cristiana, possono pensare all’amore

BUONE PRASSI E CONCLUSIONIConcludo riportando le parole di S. Giuseppe Mo-scati (1880-1927, v. foto a fianco), che definisce lacura come il paradigma dell’amore stesso, un amo-re non fatuo, non impalpabile, ma concreto. Se nonvogliamo la morte dell’amore e della cura, dobbia-mo attuare una rivoluzione culturale in cui ci sia laresponsabilità degli uni verso gli altri per attuare,anche nel nostro piccolo, qualsiasi gesto possibileper non interrompere il circolo dell’amore.

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dossierIL SENSO DELLE CURE

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SEGUENDO LE LOGICHE ECONOMICO-POLITICHE

DI BIG PHARMA, POTENTE LOBBY DELLE

MULTINAZIONALI DEL FARMACO, SI RIDUCE IL

BENE DEL MEDICINALE A UN PURO PRODOTTO

COMMERCIALE, SI CREA E FAVORISCE IL

MECCANISMO DELLA «MEDICALIZZAZIONE»

DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE, CHE TENDE AD

ALIMENTARE UN IDEALE DI IMMORTALITÀ DOVE

LA MEDICINA SI PRESENTA COME UNA PROTESI

TECNICA DELLA VITA, PROMETTE ETERNA

GIOVINEZZA E SALUTE DEI CORPI AD OGNI COSTO,

MENTRE SI TRASCURANO LE MALATTIE CHE

AFFLIGGONO I PAESI PIÙ POVERI

Per rendere più efficaci le mie parole, ho intervistato padreDomenico Correra S.J., che ha fondato 51 anni fa il ConsultorioFamiliare Ucipem di Napoli, dedicato al medico santo, che sioccupa della cura delle famiglie durante il suo intero ciclo divita.

Chi è Giuseppe Moscati e perché è stato definito «speranza inazione»? È stato un uomo comune con il senso di responsabilità per sestesso, per gli altri e verso Dio. In questa versione si sviluppa lareligiosità. L’impegno di docente, di medico, di uomo deditocompletamente agli altri. La sua vita è attività continua, che di-venta speranza per ogni persona che lo ha avvicinato e lo avvi-cina. Quali elementi emergono dall’esempio del Santo Moscati sulrapporto tra scienza e fede? In San Giuseppe Moscati scienza e fede erano radicate nellasua identità di persona come medico e come cristiano. Dovec’era la scienza c’era anche la fede; dove c’era la fede, c’eraanche la scienza. Il rapporto tra l’una e l’altra si fondava sullasua identità di persona.

LE ESPERIENZE RELIGIOSE

DEL SACRO POSSONO,

QUANDO IN DIALOGO,

CONTRIBUIRE ALLA

COSTRUZIONE DI UN NUOVO

PARADIGMA DI UMANITÀ.

POSSONO ACCETTARE LA

VULNERABILITÀ E

PROMUOVERE LA

CONTAMINAZIONE

DELL’UMANO

per i nemici senza che questo suoni co-me un pensiero disumano. Esse indicanonon l’amore di identità, ma quello di al-terità, non la reciprocità, ma l’ospitalità,non la simmetria, ma l’asimmetria. C’èquindi, nella costruzione di una nuovanarrativa sull’identità, un superamentodella legge dell’essere che risponde soloe principalmente all’io, nella legge deldisinteresse che invece risponde a par-tire dall’altro e dal suo bisogno. E, comeci dice la sensibilità islamica, la voca-zione «religiosa» dell’io non è quella diessere un soggetto sovrano, quanto unsoggetto «sottoposto all’altro». Ne deriva,infine, che il rapporto con il mondo chie-de un superamento logico quanto nonontologico rispetto al canone identitariomoderno: oltre il principio dell’auto-af-fermazione e del possesso a quello dellarecettività e della cura.

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RITA ROBERTO

PEDAGOGISTA, CONSULENTE FA-

MILIARE, COLLABORATRICE CEM E

FORMATRICE NEL VOLONTARIATO

SOCIALE, SPECIALIZZATA IN TEC-

NICA DI COMUNICAZIONE E IN AN-

TIVIOLENZA SU DONNE E MINORI.

IDEATRICE DEL METODO MANDA-

LAVITA® CHE INTEGRA I LINGUAG-

GI ARCHETIPICI DEL MANDALA E

DEL LABIRINTO COME VIE PEDA-

GOGICHE DI PACE IN AMBITO FA-

MILIARE E SOCIALE. WWW.MANDA-

LAVITA.ORG

[email protected]

L’A

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dossierEDUCARE AI BENI COMUNI

SE DA UNA PARTE NON POSSIAMO NEGARE L’IMPORTANZA

DI UNA SEMPRE MIGLIORE QUALITÀ DELLE CURE MEDICHE

DALL’ALTRA BISOGNA APRIRE FINALMENTE IL SIPARIO

SULLE CRUDELTÀ, IL CINISMO E LE MENZOGNE

DI QUELLA CHE POSSIAMO LEGITTIMAMENTE DEFINIRE

L’INDUSTRIA DEL MALE

Quale etica dell’accoglienza e della cura si evincono dal suo operato?In lui c’era l’etica della carità, per cui accoglieva e dava senza ri-chiedere ricompensa, anzi spesso aiutava anche economicamentele persone malate che gli si rivolgevano. La cura dei malati erafondata su una profonda consapevolezza di essere al loro servizio e,servendo loro, serviva Dio. Quale sentiero traccia per tutte le persone, ma soprattutto per i pro-fessionisti che sono impegnati nella cura, sia fisica sia psicologica,delle persone? Il senso dell’interesse di aiutare gli altri, prendendosi l’interesse ne-cessario per sé. Era tutto per gli altri, attuandosi come medico, do-cente, scienziato e cristiano. Un uomo valido in tutti i sensi e daimitare. Come ha influito il suo esempio nella tua vita e nella nascita e nel-l’attività del consultorio «La famiglia» di Napoli da te fondato? Inizialmente ho affidato l’andamento del consultorio a San Giuseppe

e all’allora Servo di Dio Giuseppe Moscati. Nel tempo, con labeatificazione e santificazione l’ho tenuto come esempio e

come protettore. Tuttora cerchiamo di imitarlo. nnn

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

M. Angell, Farma&Co, Il Saggiatore, Milano 2006

R. Beneduce, Dimensioni antropologiche della cura, in «Saperi,linguaggi e tecniche nei sistemi di cura tradizionali», a cura di R.Beneduce, L’Harmattan Italia, Torino 1997

J. Law, Big Pharma, Einaudi, Torino 2006

A. Morrone, L’altra faccia di Gaia, Armando, Roma 1999

P. Rost, Global Pharma, Rizzoli, Milano 2007

P. Russo, Multinazionali farmaceutiche e diritti umani, Le lettere,Firenze 2012

R. Terranova Cecchini, L’Io culturale: luogo del pensiero, luogodello sviluppo, in «Avanzamenti in psicologia transculturale», a curadi P. Inghilleri, R. Terranova Cecchini, Franco Angeli, Milano 1991

VIOLENZA E SALUTE NEL MONDO

quaderni di sanità pubblicalibdoc.who.int - World Health ...whqlibdoc.who.int/publications/2002/9241545615_ita.pdf

Diritti dei bambini ed adolescenti in ospedalewww.abio.org ( carta dei diritti )

Per i diritti dei bambini e degli adultiwww.giulemanidaibambini.org - www.soschild.orgwww.ucipem.it - www.cfc.italia.it

1 Firmato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976.2 Carlo Urbani (1956-2003) è stato un medico e microbiologo italiano, consulente dell’Omse membro dell’ong Medici senza frontiere, che per primo ha identificare e classificatola Sindrome Respiratoria Acuta Severa (nota anche come SARS o polmonite atipica), lamalattia al centro dell’epidemia verificatasi in Estremo Oriente tra il 2002 e il 2003 pro-vocando 775 vittime accertate. Egli stesso contrasse la malattia che lo portò alla morte.Secondo l’Oms il metodo anti-pandemie predisposto da Urbani nel 2003 rappresenta,ancora oggi, un protocollo internazionale per combattere questi tipi di malattia.

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claudia cocco [email protected]

Le cosee l’immaginazionecreativa

In letteratura, attraverso l’immaginazione, le cose possonoassumere nuove forme e nuove funzioni. Questo accade,

soprattutto e in modo particolare nella letteratura cosiddetta«per l’infanzia» a seconda del modo in cui le percepisce ilpersonaggio che le osserva: un semplice oggetto di uso quo-tidiano può diventare una cosa carica di tenerezza, magia,meraviglia o al contrario può rivelare o nascondere aspettiche provocano un senso di paura. David Hume afferma che la Bellezza non è una qualità insitanelle cose ma esiste solamente nella mente di chi le guarda.È il punto di vista di chi osserva, dunque, che fa la differenza.Allo stesso modo si può dire che il genio dell’artista, delloscrittore, risieda proprio nella capacità di osservare il mondointorno a sé, comprese le piccole cose, da un punto di vistaparticolare. Nella creazione di un’opera d’arte il propulsorepiù forte di tutti è la curiosità e l’immaginazione l’ingredientefondamentale. Nel Pittore della Vita Moderna Baudelaire parla di «uomo-bambino»1, nel senso che l’artista, per essere tale, deveessere come un bambino che «si interessa ad ogni cosa» e«vede tutto come nuovo». Quello che ha attirato la mia at-tenzione è la figura del personaggio bambino-artista, in par-ticolar modo nella letteratura per l’infanzia. Il personaggiobambino diventa un artista grazie alla sua immaginazionecreativa. A partire dalla fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo,con lo svilupparsi della letteratura per l’infanzia come generevero e proprio, con un proprio pubblico, il personaggio bam-bino ha assunto sempre più rilevanza. Nella letteratura perl’infanzia troviamo dunque bambini ribelli, curiosi e vivaci.La curiosità porta alla scoperta di tesori nascosti o perduti,ma i tesori di cui si parla sono oggetti che non hanno un ele-vato valore economico, il loro valore cresce solo grazie al-l’immaginazione dei personaggi che li osservano. Questi og-getti diventano cose poiché attraverso la fantasia diventanorecipienti di sogni, di speranze, custodi di grandi segreti o distorie vissute. Nel Ripostiglio di Saki, il personaggio principale,

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A CURA DI ELISABETTA SIBILIO [email protected]

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1 C. Baudelaire, Il pittore della vita moderna, tr. it. diG. Violato ed E. Sibilio, 2a ed., Marsilio, Venezia 2002.2 Anne Chevalier et Carole Dornier (sous la directionde), Le récit d’enfance et ses modèles, colloque deCerisy-la-Salle (24 septembre-1er octobre 2001),Caen, Presses Universitaires de Caen, 2003, p. 74.

«OGNI OGGETTO AMATO

È IL CENTRO

DI UN PARADISO» Novalis

Nicholas, è un bambino che grazie alla suaimmaginazione porta alla vita una scena ri-portata in un arazzo che trova in un ripostiglio,la osserva con attenzione e quello che vedesi anima con la sua fantasia creatrice, inoltrevi trasferisce la sua iniziale paura di esserepunito dalla zia per averle disobbedito, ma allafine come l’uomo dell’arazzo nella storia dalui immaginata, riesce a scappare dai lupi,senza farsi punire. Nello stesso ripostiglio,che lui definisce «un deposito di inimmaginabilitesori», trova oggetti che non venivano utilizzatida tempo, oggetti particolari come una teieraa forma di anatra e un grande libro quadratocon la copertina bianca, apparentemente pocopromettente ma che rivela al suo interno im-magini molto colorate di uccelli esotici che luinon aveva mai visto e questo stimola la suafantasia.John, il protagonista di Oggetti Solidi di VirginiaWoolf, non è un bambino ma ha lo sguardopieno di quella meraviglia di cui parla Baude-laire, passeggiando sulla spiaggia si ferma acercare con le mani qualcosa nella sabbia, tro-va un oggetto indefinito, «una goccia piena dimateria solida». Si trattava di un pezzo di vetroche aveva quasi la forma di una goccia, rovinatodall’acqua del mare non era possibile capiredi cosa facesse parte un tempo, ora non eranient’altro che un pezzo di vetro e proprio daqui John lasciò correre la fantasia, immagi-nando che si trattasse di una pietra preziosa,parte di un anello appartenuto probabilmentead una principessa che lo aveva perso immer-gendo le mani in mare, oppure parte del tesoroelisabettiano. In letteratura, dunque, attraverso l’immagi-nazione, gli oggetti possono assumere carat-teristiche e funzioni nuove. Inoltre, possonocaricarsi emotivamente, acquisire un valoresentimentale, causare paura o avere una nuo-va vita. In Fanciulle Modello della contessa deSégur, la piccola Sophie e le sue cugine co-struiscono candele insieme alla tata per fe-steggiare la decisione della matrigna di la-

sciarla vivere a casa delle zie, con semplicigusci di noce e cera. Quei gusci di noce di-ventano preziosissimi, da maneggiare con cu-ra, e le ricorderanno sempre la gioia provatanel momento in cui le era stata comunicatala decisione che tanto desiderava. Tutto, tuttigli oggetti possono divenire nuovi giochi, ca-ricandosi così di un valore affettivo soggettivo.Nei testi per l’infanzia in particolare, la fun-zione degli oggetti non è quasi mai esclusi-vamente legata alla rappresentazione o al-l’imitazione della realtà storica in cui il rac-conto è ambientato, anzi, al contrario spessol’oggetto porta dei cambiamenti, sconvolgel’ordine del tempo e della realtà. Si pensi agli oggetti ritrovati, cose che ricor-dano ai bambini qualcosa del loro passato oche vengono da un futuro immaginario, futurotutto da inventare. Le cose costituiscono dun-que un ponte tra presente, passato e futuro. Il libro è una delle cose che troviamo più fre-quentemente sia nei testi per l’infanzia sia nel-le autobiografie in cui gli autori parlano della

loro infanzia. La loro funzione naturalmente èdiversa: per l’adulto c’è la consapevolezza cheil libro sia stato un contenitore di sogni, nellaletteratura per l’infanzia è una cosa che con-tiene una sorta di magia intrinseca. Nelle au-tobiografie di molti autori del XIX e XX secoloil libro è ricordato come l’ambìto premio pergli studenti migliori: «grossi libri con la co-pertina rossa, rifilata in oro»2. Il libro trovato spesso per caso, o regalato, èuna cosa di particolare interesse. Molto spessoè il punto di partenza per creare nuove avven-ture, a volte il personaggio della storia narratadiventa il protagonista della storia del libroche ha trovato e con lui lo diventa anche ilbambino lettore, come accade ad esempio nel-la Storia infinita. Altre volte si hanno personaggiche escono dalla narrazione. Il libro come cosamateriale, tangibile, con le sue immagini, isuoi colori è forse la cosa che più di tutte lealtre ha una connotazione magica anche quan-do non è descritto come un vero e proprio og-getto magico, come molti altri che si trovanonelle storie fantastiche, come le scarpette ros-se di Dorothy che hanno il potere di riportarlaa casa.Citiamo infine gli oggetti di uso comune, chepossono dare l’impressione di non avere moltoda raccontare, ma in letteratura non è quasimai così. Ad esempio Ariel, la Sirenetta, ritrovain una grotta nel suo mare tanti oggetti ap-partenuti agli umani: come una bambina sidomanda cosa siano e nel tentativo di capirnel’utilità si mette una forchetta tra i capelli. Cer-ca di immaginare la vita sulla terra, tanto di-versa dalla sua ed ecco che quelle cose di-ventano indizi preziosi.Nello sguardo del bambino, libero dalle costri-zioni della società c’è il tocco di genialità, il giu-sto modo di percepire il mondo: andare oltre leapparenze per cogliere l’aspetto meravigliosoe alle volte magico che si nasconde nelle piccolecose, nei piccoli avvenimenti di tutti i giorni chefin troppo spesso l’adulto dà per scontati e dipoco valore. Troppo poco spesso ci chiediamose non dovremmo essere noi ad apprenderedai bambini il vero segreto della vita. nnn

IL LIBRO TROVATO SPESSO PERCASO, O REGALATO, È UNA COSA

DI PARTICOLARE INTERESSE.MOLTO SPESSO È IL PUNTO DI

PARTENZA PER CREARE NUOVEAVVENTURE, A VOLTE IL

PERSONAGGIO DELLA STORIANARRATA DIVENTA IL

PROTAGONISTA DELLA STORIADEL LIBRO CHE HA TROVATO ECON LUI LO DIVENTA ANCHE IL

BAMBINO LETTORE

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agenda interculturaleErasmus+Alessio [email protected]

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agenda interculturale

F inora il nome Erasmus, quando associato all’UnioneEuropea, aveva significato soprattutto opportunitàdi trascorrere un periodo di studio all’estero per chi

frequenta l’università. Infatti era l’acronimo di European Re-gion Action Scheme for the Mobility of University Students,un’iniziativa nata nel 1987 e simbolicmente ispirata daErasmo da Rotterdam e dalle sue visite ai diversi paesi eu-ropei in chiave interculturale.Il nuovo programma Erasmus+, approvato lo scorso di-cembre dal Parlamento europeo e promosso dalla Com-missione Europea per il periodo 2014-2020, è ben più am-pio del precedente Erasmus e diventa così il principale vei-colo di esperienze interculturali in Europa. Esso ora riguardail sostegno a quattro settori: l’istruzione, la formazione,la gioventù e lo sport. Non sarà invece una sorpresa cheparole chiave siano promuovere le competenze e occupa-bilità, oltre all’attenzione alla «modernizzazione» dei sistemid’istruzione, formazione e gioventù, avendo a disposizioneuna dotazione di bilancio di 14,7 miliardi di euro, un au-mento del 40% rispetto a quanto investito nelle precedentilinee di bilancio - ora raggruppate nel nuovo programma- i programmi di apprendimento permanente (Erasmus,Leonardo da Vinci, Comenius, Grundtvig), Gioventù in azio-ne e cinque programmi di cooperazione internazionale(Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink e il programmadi cooperazione con i paesi industrializzati).L’ambizione della Commissione Europea è che più di 4 mi-lioni di persone ricevano così un sostegno per studiare,formarsi, lavorare o fare attività di volontariato all’estero:

2 milioni di studenti universitari, 650 mila studenti dellaformazione professionale e apprendisti, più di 500 milapersone partecipanti a scambi giovanili o ad attività di vo-lontariato all’estero. Una veloce panoramica degli ambitidi azione e delle cifre relative al programma sono riassuntein tredici diapositive all’indirizzo: http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/promo/erasmus-plus/pub/erasmus-plus-at-a-glance_en.pdfTutte le informazioni e la guida al programma sono reperibilinel sito generale Erasmus +: http://ec.europa.eu/educa-tion/erasmus-plus/index_en.htmLa guida1 è un manuale di 263 pagine che mette in rilievotre ambiti di azione principali:

la mobilità e gli scambi a sostegno dei processi di ap-prendimento degli individui; la collaborazione fra istituzioni e organizzazioni a livellointernazionale in modo da favorire l’innovazione e lo scam-bio di pratiche, il sostegno a processi di riforma delle politiche educativee giovanili.

Si tratta di una lettura indispensabile, almeno per moduli,per poter eventualmente identificare i bandi utili messi di-sposizione di volta in volta dalla Commissione Europea, iCall for proposals2.In ambito universitario, col nuovo programma, gli studentiche prevedono di seguire un corso integrale di laurea magi-strale all’estero, per i quali sono raramente disponibili prestitio borse nazionali, potranno avvantaggiarsi di un nuovo si-stema di garanzia dei prestiti gestito dal Fondo europeo pergli investimenti. Erasmus+ erogherà inoltre finanziamentiper l’istruzione e la formazione del personale e degli animatorigiovanili nonché per partenariati tra università, college,scuole, imprese e organizzazioni non profit.

1 http://ec.europa.eu/programmes/erasmus-plus/documents/erasmus-plus-pro-gramme-guide_en.pdf2 http://new.eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv%3AOJ.C_.2013.362.01.0062.01.ENG

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Per questo mese vipropongo il contributodi Anna Riva.

La mia famiglia è una delle tanteche negli anni Ottanta lasciaronolo Sri Lanka per fuggire dalla guerra

civile. La pelle dei miei genitori era mar-rone scuro, ma nessuno ci badò, datoche sull’aereo da Colombo erano tuttiscuri. Ma più i miei genitori si allontana-vano dalla loro isola nell’Oceano Indianoe si avvicinavano alla terra promessa,maggior consapevolezza acquistavanodi quanto fossero vistosamente scuri, conla loro (per gli standard occidentali) ec-cessiva pigmentazione, la quale (teme-vano) non sarebbe stata certamented’aiuto nello sforzo di un’assimilazioneil più possibile lineare e silenziosa.In meno di dodici ore di volo erano di-ventati degli estranei. Erano cioccolatafondente in un paese di pallide tazze dilatte. Quanto volentieri avrebbero lavatovia il loro essere diversi, che cominciavagià dall’aspetto fisico e che li etichettavaimmediatamente come stranieri, cancel-lando in maniera irreversibile i geni col-pevoli dal dna!Siccome ciò naturalmente non era pos-sibile, le loro quattro figlie, di cui iosono la più grande, nacquero con i ca-pelli neri e la carnagione scura. E questonon era mai stato fonte di disagio perla mia sorellina S., otto anni, che fre-quenta la seconda classe in un tranquillopaesino del semicantone svizzero di Ba-silea Campagna. Fino a ieri, quando tor-nò a casa da scuola e mi disse con vocespezzata che un bambino durante lapausa l’aveva chiamata «nera». «E io

Lubna [email protected]

a questo sapere nel prepararmi a spie-gare il razzismo a mia sorella.Alla domanda se si ricorda del film Il Releone 2, S. risponde con un deciso «Sì».E rammenta la lotta trascinatasi per moltianni tra il branco di Simba («il gruppodei buoni», dice S.) e quello di Zira («icattivi»)? Altro annuire. Alla mia doman-da se i due gruppi hanno un aspetto si-mile, S. risponde «No», cui segue la tem-pestiva spiegazione: mentre Simba e isuoi amici hanno la pelliccia chiara, glialtri sono decisamente più scuri.Tramite il tono sorpreso della sua voce,capisco che la mia sorellina non ha fattocaso a questo aspetto durante la visionedel film. Come si è risolta la situazionenel film, chiedo. Mi viene esposto, conqualche difficoltà, un riassunto confuso,infantile. E però giusto: Kiara e Kovu, ri-spettivamente figlia e figlio dei due ca-pibranco, decidono attraverso il loroamore il destino dei due gruppi avversi,distogliendoli con parole di tolleranza emisericordia dall’idea di un sanguinososcontro ed esortandoli ad una coesisten-za pacifica, armoniosa.Il lieto fine in stile Disney vede lo sciogli-mento dei due branchi e la nascita diun’unica comunità, in cui aspetto fisicoed origine non sono più d’alcuna im-portanza.A questa frase gli occhi scuri di mia so-rella si rischiarano: ha capito il messag-gio. E mentre il sorriso torna a riabbellireil suo viso, sospiro sollevata tra me eme: sia lodato Walt Disney!Grazie a lui, oggi S. ha imparato una le-zione fondamentale, che le riassumo inun’ultima frase: «L’unico colore che contaè quello del tuo cuore». nnn

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In meno didodici ore di

volo eranodiventati degli

estranei. Eranocioccolata

fondente in unpaese

di pallide tazzedi latte

seconde generazioniqueste sconosciute

Il razzismo spiegatoa un bambino

sono solo marrone scuro...», aggiunse,abbassando la testa. Da che ho memoria, sono sempre statauna sognatrice. Vivrei volentieri in unmondo fiabesco, dove tutti si amano avicenda e la parola «esclusione» è soloun buffo scioglilingua. Dentro di me enonostante tutte le cicatrici della vita,non ho mai smesso di credere in unmondo utopico, simile a quello deglispot pubblicitari più kitsch o degli indi-menticati cartoni Disney. Mi rifaccio ora

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L’ultimo criminalenel paese dei gentili

«I l delitto non è una malattia, è un sintomo»spiega l’affascinante detective, partorito daRaymond Chandler, che risponde al nome

di Philip Marlowe. Eppure, fuori dalla fiction, apochi sembra interessare la diagnosi: se ovunquela criminalità (giovanile o senile, politica, comuneo ultras che sia) cresce - o così strombazzano imassmedia, di solito tacendo che una percentualealtissima di «reati» è costituita da casi sociali e nonda scelte criminali - l’unica medicina sembra esserela costruzione di nuove galere, magari senza car-cerieri (visto che costano troppo), come nel Pa-nopticon immaginato dal «riformatore» JeremyBentham nel 1791. Galere con qualche amnistiain mezzo. La ricetta è nota. Si vorrebbe che questa«tolleranza zero» fermasse il crimine: invece i de-linquenti aumentano ancora, come mostrano lestatistiche in arrivo dagli Usa, capofila della «lineadura». Non è più all’ordine del giorno la questione(era solo una battuta efficace?) se in democraziale carceri siano sovraffollate o la gente sovra-car-cerata.E domani? Vi sarà una società nella quale i delin-quenti confessi saranno maggioranza, avranno «ilpotere»? Oppure lo scenario opposto: una societànella quale nessuno violi la legge? Fra le tante op-zioni «criminali» che la science fiction ci ha messosotto il naso - in forma romanzata - eccone unpaio che in qualche modo si collegano a questidue poli estremi.Lo strepitoso, anche come scrittura, romanzo L’uo-mo disintegrato di Alfred Bester prova a rovesciareil nostro abituale punto di vista. Portandoci in unfuturo assai lontano per dirci cose del genere: «Uncriminale è un malato. Naturale che lo si porti al-l’ospedale e gli si mandino regali. In che altro

«Chi non spera quello che non sembra sperabile nonpotrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare,con il suo non sperarlo, qualcosa che non può esseretrovato, e a cui non porta nessuna strada».Eraclito

a cura di Dibbì[email protected]

domani è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

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modo lo si potrebbe trattare? [...] Tre o quattro-cento secoli fa la polizia eliminava gente così. Manon ha senso: chi ha il talento e il fegato di sfidarela società è potenzialmente un uomo di valore».È una provocazione da respingere o da meditare?Invece in un mondo senza «delitti», il criminalepotrebbe diventare una rarità, unico sopravvissutodella «preistoria umana» nella quale regnò la vio-lenza. È la visione che propone Damon Knight nellungo racconto Il paese dei gentili. L’ultimo degliassassini è libero, anche se ha ucciso una ragazzaa 15 anni: pensa di essere fortissimo, cerca complicicon i quali «spartire il mondo». Contro di lui peròla società - senza galere e (quasi) senza crimini -adotta una triplice difesa. «Una punizione: la solaammessa in questa società umanitaria»; è scomu-nicato, è vittima di un ostracismo totale, nessunopuò parlargli, toccarlo o far segno di coglierne lapresenza. «Una precauzione: approfittando di unalieve predisposizione all’epilessia gli è stata appli-cata una tecnica per prevenire qualunque atto diviolenza, determinando in lui attacchi epilettici».Infine - scrive Knight - «un ammonimento» o uncampanello d’allarme: «È stata effettuata un’at-tenta alterazione della chimica del suo corpo per-ché le secrezioni esalative ed essudative emettanoun odore pungente e sgradevole». In poche parole,nessuno alza un dito contro l’ultimo dei violenti:eppure lui - l’unico che può e vuole spaccare,ferire, uccidere - è destinato a perdere. nnn

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a cura di Candelaria Romero | [email protected]

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L’esperienza CEMa Nomadelfia

All’interno del Festival del cinema XVI - Religion Today- 2013, presso la Comunità di Nomadelfia, dopo la vi-sione di due cortometraggi, un intenso dibattito con iragazzi della comunità e con allievi di scuole esterne. Il 14 novembre 2013, il CEM si è presentato alla plateatramite la testimonianza di Candelaria Romero, colla-

boratrice del CEM da anni. La sera precedente avevaportato in scena una versione ridotta dello spettacoloHijos - Storie di viaggi. La breve ma intensa perma-nenza a Nomadelfia è stata un’esperienza ricca di ri-flessioni e una preziosa opportunità per conoscerestili di vita alternativi.

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Domenico LamarcaCentro interculturale «Baobab», Foggia

Oggi, più che mai, l’accessoall’alloggio è un problema

non solo per i cittadini italiani, maanche e soprattutto per i cittadinistranieri, che spesso incontrano di-versi ostacoli nell’avviare un per-corso di reale integrazione, in cuil’abitazione ha un ruolo fondamen-tale. A Foggia, la condizione abita-tiva dei migranti è davvero difficile.La loro domanda di abitazioni nontrova risposta sia per mancanza dialloggi, sia per l’impossibilità daparte dei cittadini stranieri di forniregaranzie per il credito bancario, siaper i pregiudizi che ostacolano ogniforma di incontro. Poi ci sono situazioni di estremadrammaticità, dove «l’umanità nonc’è più» e parlare di diritti e inte-

grazione è pura utopia. Di fronte atutto questo, il progetto «Ho costrui-to la mia casa», finanziato dal FondoEuropeo per l’integrazione, ha cer-cato di dare risposte, di avviare per-corsi verso l’integrazione. Diverse sono state le azioni messein campo: dall’informazione al-l’orientamento, dall’accompagna-mento alla formazione, fino a giun-gere all’autocostruzione e autore-cupero di metodologie edificativedi abitazioni, nelle quali i parteci-panti, cittadini stranieri, si sono sen-titi protagonisti attivi, e non solo delprocesso costruttivo. «Abbiamoscoperto che i vantaggi sono tanti:dalla possibilità di dotarsi di un’abi-tazione a un prezzo contenuto allamaggiore aderenza dell’alloggio aibisogni, aspettative e desideri dichi lo abiterà, alla creazione di unsenso di appartenenza al proprio

luogo di vita alla promozione di unsenso di comunità tra i partecipanti,alla riappropriazione di tecnichetradizionali, semplici e maggior-mente legate ai contesti locali, equindi spesso anche a abitazioni apiù basso impatto ambientale e piùsostenibili».Tra gli strumenti e prodotti del pro-getto, abbiamo realizzato un dvdche raccoglie quattro video spot,al fine di sensibilizzare, far rifletteree attivare percorsi positivi, che èpossibile visionare su www.hoco-struitolamiacasa.it. «Dimmi doveabiti e ti dirò a che punto è il tuopercorso di integrazione - dimmicome e dove vivi e ti saprò dire delmio livello di civiltà». È lo slogandi uno dei video raccolti. La storiadi ogni uomo passa da una casa: ilvivere in un appartamento in affittoin città a pochi passi dai servizi, ilvivere in 10-12 persone in poco piùdi 80 m2, senza un contratto, ma so-lamente una promessa, il vivere incase occupate nelle periferie dellecittà ci dice molto chiaramente delpercorso di integrazione di un cit-tadino straniero. La qualità abitativa è un fattore de-terminante del benessere fisico emorale di ogni persona. Con il pro-getto «Ho costruito la mia casa»pensavamo di facilitare l’incontrotra domanda e offerta di alloggi,ma in realtà ci siamo accorti comesia indispensabile avviare un per-corso verso l’autonomia abitativa,a volte liberando tanti cittadini stra-nieri dagli «alloggi-prigione», cheli rende schiavi e non liberi di sce-gliere anche di tornare indietro.«Sei tu la tua casa», un altro slogan,oltre a ricordarci che la dignità diun essere umano va al di là delcontesto abitativo, costituisce an-che l’appello e l’invito rivolto aquanti, cittadini stranieri, sembranoessersi arresi. Il percorso versol’autonomia abitativa si avvia solose siamo in grado di scegliere, sesiamo liberi da forme di ricatto edi dipendenza.

La qualitàabitativa è un

fattoredeterminante

del benesserefisico e

morale di ognipersona

a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Ho costruito la mia casa

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Il festival dell’interculturasolidaleTumìAmì

a cura di Nadia [email protected]

crea-azione

In lingua bengalese l’espressioneTumìAmì, traslitterata in italiano,significa: tu, io, noi. Essa intendecomunicare in sintesi e nella piùcompleta armonia il sensodell’altro, dell’io e dell’insieme; initaliano questa espressionecorrisponde ad un’affermazionebellissima: «tu mi ami». Ecco allorail messaggio del Festivaldell’Intercultura Solidale che sisvolge a Palermo: è incardinatosulla reciprocità, l’interazione trapopoli e culture diverse, nonchésull’amore per l’essere umano nellasua totalità. Palermo, dunque, sicandida ad essere sintesi e simbolodell’intero Mediterraneo.

«L IFE and LIFE» organizza ilFestival sotto l’Alto Patro-nato della Presidenza della

Repubblica per promuovere l’inter-cultura e l’integrazione tra popoli,per una cultura della solidarietà vistanon come mera beneficenza, ma co-me volano di sviluppo e di pace, perraccogliere fondi per l’acquisto deimateriali necessari alla costruzionedel Vincenzo Cicirello Medical Center«Vin Center». Si tratta di una inizia-tiva per un ospedale pediatrico inBangladesh. La progettazione saràcurata da due poli universitari, laFacoltà di Ingegneria dell’Universitàdi Palermo e la BUET, ossia l’Univer-sità di Dhaka. È in corso la raccoltafondi per l’acquisto dei materiali ne-cessari alla costruzione della strut-

Da segnalare la danzatricealgerina Sabah Benziadi, che haespresso la sua arte nel mondocon rappresentazioni cheriassumono l’abilità e la dolcezzadei suoi spettacoli, attraverso unlavoro che comprende vari tipi didanze racchiuse nell’unicotermine di «danze orientali». Sitratta di danza del ventreautentica: danza d’Algeri (dettaraksat al Aasma), danza dei 7 veli,danza del bastone, danza delcandelabro e del vassoio (danze diouwled nail, danzeWahrani), danza sahariana, danzeTuareg. Sabah ha registratosuccessi in tutto il mondo,semplicemente perché le suecoreografie evocano stupore perla grazia delle movenze,suggestione di atmosfere magichee gioia di vivere. Ha partecipato anumerosi manifestazioni e festivalinternazionali, ha vinto il premiodi merito al Festival di Babilonia inIraq, ha partecipato a variprogrammi televisiviinternazionali, in particolare nelbacino Mediterraneo, ha danzatoin varie città del mondo. Hacollaborato a spettacoli in Italia eall’estero con il cantautoresiciliano Franco Battiato e ilcantante algerino Khaled. SabahBenziadi è una delle pochedanzatrici orientali che portanoavanti una ricerca al di fuori deicircuiti turistici convenzionali, delcabaret e dello spettacolo disemplice intrattenimento,rispettando i canoni tradizionalidelle danze dell’Algeria.

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Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

tura. Da qui l’idea del Festival comemomento d’informazione, promo-zione dell’iniziativa e sensibilizza-zione al progetto. Dal 10 al 17 marzo 2014 il Festivalprevede un programma molto ricco,nel quale vengono coinvolte asso-ciazioni, medici, scuole, università,volontari e società civile. Tra gli artisticitiamo l’associazione Fala Brasil inrappresentanza del Brasile; per l’Al-geria l’Accademia Danze Orientalidiretta da Sabah Benziadi; per lo SriLanka la scuola di danza MalathyKalai Palli; per le Isole Mauritius ilG.K.M. il gruppo multietnico No Co-lors; per il Bangladesh il cantanteMiraz Uddin Khan; per il Perù il grup-po danze tradizionali diretto da QaryBastidas. Darà il via al Festival il «Vil-laggio Solidale» e l’apertura dellamostra fotografica «TumìAmì». Il fe-stival si concluderà con lo spettacolodallo stesso nome. nnn

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Paolo Dall’OglioCollera e Luce. Un prete nella rivoluzione sirianaEmi, Bologna 2013, pp. 208, euro 12.90. Disponibile in e-book (Epub)

Una domanda che l’autore pone e si pone: «a partire da quale momento la nonviolenza diventa col-pevole rassegnazione? E quando la violenza, assunta come legittima difesa, si trasforma di nuovo inaggressione colpevole?» riassume l’attuale tragica situazione della Siria. Se il desiderio di libertà e diautodeterminazione di un popolo non può essere soddisfatto attraverso l’esercizio della nonviolenza,l’alternativa è la lotta armata. Ma questa lotta armata si è trasformata in una guerra di tutti controtutti. Una voce che conosce da vicino la realtà siriana è quella di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuitache ha trascorso in questo paese molti anni della sua vita e che ci offre una visione diversa e moltopiù profonda. Il suo stesso percorso di vita lo ha portato ad un superamento delle divisioni, sianoesse religiose o ideologiche e all’impegno volto al conseguimento della libertà e della convivenza pa-cifica. Il dialogo è la sua arma, dialogo che lo ha portato a mediare fra le varie fazioni, anche fraquelle più estremiste. La sua analisi mette in luce impietosamente l’incapacità e la non volontàpolitica dell’Occidente a «prestare soccorso», le diverse posizioni dei cristiani che temono una isla-mizzazione della Siria, i tentativi vani di creare un fronte unito di resistenza, le prove di dialogo coni «terroristi» ascoltando anche le loro motivazioni. La «collera» del titolo è quella umana, la rabbiaper il dolore e l’ingiustizia e la «luce» è la sua fede incrollabile, la speranza e la fiducia in Dio. Il librosi conclude con un testamento nel quale Padre Paolo esprime il suo desiderio di «essere ponte»: unponte che unisca, anche a costo della vita. Parole sulle quali riflettere. Di padre Dall’Oglio in Siria sisono perse le tracce. Da mesi ormai non se ne hanno più notizie. (Anna Martelli)

Samir Khalil SamirQuelle tenaci primavere arabeEmi, Bologna 2013, pp. 64, euro 5

Agli occhi di molti le speranze che erano sorte con le «primavere arabe» si sono spente. Non locrede, invece, Samir Khalil Samir che, nella sua premessa, dichiara il proprio sostanziale ottimismo. «Una “primavera” non consiste nei primi frutti che si possono cogliere, spesso acerbi e aspri, bensìnello slancio verso la coscienza democratica che germina nella testa di milioni e milioni di persone,in gran parte giovani». I primi frutti di cui sopra sono la presa di coscienza, la richiesta di libertà egiustizia, ideali per la cui realizzazione occorrono una maturità ed un progetto politico. Una societàdemocratica deve prevedere la parità di genere, la diffusione dell’istruzione, la lotta alla corruzionema anche il soddisfacimento dei bisogni primari. L’istruzione è un punto fondamentale. Riferendosiall’Egitto, l’autore evidenzia un tasso di analfabeti pari al 40%. Sarà quindi solo attraverso l’istruzionee l’educazione che si potrà fondare una società nuova. Dopo aver passato in rassegna la rivoluzionetunisina, egiziana e siriana, una riflessione sulla democrazia e la sua compatibilità con l’islam. Igiovani che sono scesi in piazza non discriminano sulla base della religione. È questo lo spirito dellaprimavera che deve crescere e fiorire. Ci vorrà tempo e sostegno da parte di tutti per poter arrivaredavvero a un’apertura sull’uomo. (Anna Martelli)

Anna FoaPortico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ‘43Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 162, euro 15

Anna Foa (Storia moderna - Università di Roma La Sapienza) si è occupata di storia della culturanella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei e, nel recente libro Porticod’Ottavia 13, si è occupata di un’antica casa medioevale con un vasto cortile rinascimentale. È quiche il 16 ottobre del 1943 i nazisti arrestano più di trenta ebrei, un terzo dei suoi abitanti, tra i piùpoveri della Comunità ebraica di Roma, per lo più vecchi, donne e bambini. Altri quattordici sarannocatturati nei mesi successivi. La storia degli abitanti di quella Casa (sempre con la maiuscola nel

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libro), sta nello sfondo dei nove mesi segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni.Nelle antiche tecniche mnemoniche, il riferimento ad una casa ed alle sue stanze serviva comeespediente per indicizzare, gerarchizzare i ricordi, le stanze della casa diventavano sedi della memoriadove tutto può stare contemporaneamente. La casa al numero 13 di Portico d’Ottavia, più concre-tamente della metafora mnemonica, era ed è un bricolage architettonico; memoria delle varieepoche e architetture. Il libro di Anna Foa ricostruisce gli avvenimenti del 16 ottobre, agganciandoluoghi, date persone. La storia avviene alle persone, tocca i corpi, scende nei vicoli, come eventocollettivo e individuale. La memoria si addensa e diventa memoria di una città, vi confluisconodiverse generazioni che vanno incontro a distruzione o salvezza incrociata tra corridoi e ballatoi diquella Casa, il giorno della razzia. Le fonti di questo libro sono orali e di archivio; quelle delleautorità costituite e quelle di chi la vicenda racconta. Le fonti scritte, per il periodo dal 1938 alla Li-berazione, sono quelle del regime e dei persecutori nazisti, oltre che quelle dei processi alle spie delperiodo successivo alla Liberazione. Le voci nel libro sono quelle dell’ebreo di piazza Giudia, delquartiere dove erano rimaste a vivere le famiglie povere anche dopo l’abolizione del Ghetto romanodopo il 1870. Gli ebrei poveri che non avevano né mezzi né relazioni; scampati al 16 ottobre dopouna prima fuga, tornarono nelle loro case ma la frattura della deportazione non consentì più la ri-

costruzione di quel mondo. Si trattava di ambulanti,piccoli commercianti, ebrei che solo molto tardi avreb-bero rilasciato testimonianza alla Shoah Foundation. Illibro dà voce pubblica a chi è abituato a raccontaresolo in privato; emerge un microcosmo che trova l’egua-le nei primi racconti di Settimia Spizzichino, unicadonna tornata a Roma dalla deportazione del 16 otto-bre. Nel libro si affronta la questione dei delatori ebrei,cercando di comprenderne percorsi e motivazioni. Perogni ebreo italiano scampato alla deportazione po-trebbe esserci stato un italiano che lo ha salvato ma dicerto per ogni ebreo consegnato c’è stato un italianoche lo ha denunciato. Salvatori e delatori sono espres-

sione della nostra storia e del nostro presente. E non si dimentichi che i processi del dopoguerrafurono rivolti a chi avesse guadagnato dalle denunce non a chi agì per antisemitismo. Alcuniabitanti della casa ebbero la fortuna di rifugiarsi in un convento senza alcuna richiesta in cambioma non per tutti questo fu possibile. Si torna nel libro alla questione cruciale. Ci fu un ordine di ac-cogliere nei conventi? Il numero notevole di case religiose, censite già nel 1960, che divenneroluogo di rifugio motiva da allora questa ipotesi. Il rifugio nelle case religiose fu per gli ebrei sceltacollettiva o individuale? L’autrice esamina con lucidità che dopo il 16 ottobre 1943 non vi furonopiù razzie collettive. Quale negoziato diplomatico permise questa non prevedibile scelta degli oc-cupanti? La razzia del 16 ottobre fu realizzata dai nazisti di Dannecker sulla base di una suddivisioneterritoriale, per case ed interni, a cui collaborarono anche poliziotti italiani; sulla base delle listedegli ebrei compilate durante il censimento del 1938, su quelle dei suoi aggiornamenti, sull’elencodei contribuenti della comunità romana sottratto alla comunità stessa il giorno dopo l’episodio del-l’oro. Invece, gli arresti dei nove mesi successivi furono operati principalmente dai fascisti italiani, eanche quelli operati dai nazisti lo furono su delazione italiana. Come mai non furono usati i famosielenchi, si domanda l’autrice, dal momento che molti ebrei non lasciarono la loro abitazione? Nellastessa via Portico d’Ottavia 13 ben quattro uomini di una stessa famiglia furono arrestati all’internodella loro casa nel mese di febbraio del 1944 e ammazzati alle Fosse Ardeatine. (Giovanna Grenga)

mediamondo

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.

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La casa al numero 13di Portico d’Ottavia era

ed è un bricolagearchitettonico;

memoria delle varieepoche e architetture

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Qui ed ora... ma non solo

Il nostro amato PaulSimon1, tra i padri dellaworld music, ci haregalato nel 2011, oltre20 anni dopo Rhythm ofthe Saints e, ancoraprima, il miticoGraceland, un altrocapolavoro sull’incontrotra culture musicalidifferenti. È il caso di direche gli anni non sonopassati invano, e la suacuriosità non si èesaurita. I dieci brani checompongono SoBeautiful or so What ciregalano atmosfere diogni dove, che rievocanotutto il suo percorsoumano e musicale,caratterizzato da ununico e profondo sentire.

Il discoPaul Simon So Beautiful or so WhatHear Music 2011

1 V. «CEM Mondialità»,novembre 2010, p. 40.

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Non tagliate il fiore che mi rende donna.La circoncisione femminileprovoca problemi di salute.Ti prego mamma, non circoncidermi, fa troppo male!Fatoumata Diawara, Boloko

Ben ritrovate e ben ritrovati. Nata in Costad’Avorio da genitori maliani di etniabambara, e in seguito trapiantata in

Francia, la 32enne Fatoumata Diawara è indi-scutibilmente un’artista da annoverare tra lepiù significative della scena attuale dedita aimeticciamenti sonori. Forse perché cresciutain un contesto favorevole, forse per fortuna oper predeterminazione, Fatoumata ha fre-quentato il palcoscenico fin da piccola. Ancorabambina danza nella compagnia del padre,in seguito una zia attrice la introduce nel mon-do del cinema, dove il regista Cheik OumarSissoko la include nel set di La Genèse (1999);ma è il mondo del teatro che darà la spintadefinitiva alla sua crescita musicale. Nei primianni 2000 entra nella compagnia teatrale fran-cese Royal Deluxe, con la quale girerà il mondointerpretando diversi ruoli, tra i quali Antigone;non sono pochi gli spettacoli dove, oltre a re-citare, canta, suona e danza. A questo puntoè fatta: Fatoumata inizia ad esibirsi nei localidi Parigi, incide demo dove nel cantare suonain sovraincisione tutti gli strumenti, infine vienenotata da Cheik Tidiane Seck, ottimo produt-tore e musicista maliano, che decide di pro-muoverla. In poco tempo la nostra giramondosi trova a collaborare con artisti di fama inter-nazionale, come Dee Dee Bridgewater, can-tante jazz nota per le sue incursioni nelle tra-dizioni dell’Africa occidentale; Oumou San-garé, cantante e diva dello stile Wassoulou(Mali); e non ultimo, ma sicuramente speciale,

Fatoumata Diawara Bellezza, artee autodeterminazione

Herbie Hancok, che la coinvolge nel progettoImagine, lavoro che varrà al grande jazzista epatriarca degli sconfinamenti musicali l’enne-simo Grammy. Ora però dobbiamo spenderedue parole su Fatou, il suo album d’esordiouscito nel 2011; un lavoro splendido e pre-zioso, che trasferisce nelle tracce che lo com-pongono tutto il sentire delle tradizioni afri-cane. Un sentire profondo, di pancia, che ciaccompagna anche grazie alla ricchezza tim-brica delle lingue africane (tutti i brani sonocantati in bambara), in un luogo intenso, avolte distante, ma pregno di una poetica am-maliante. In questo viaggio sonoro Fatoumataè accompagnata da musicisti significativi delpanorama musicale dell’Africa contempora-nea; tra tutti: Toumani Diabaté alla kora, ilpercussionista nigeriano Sola Akingbola, daanni sodale collaboratore di Jamiroquai, e,anche se solo per un brano (Wililé), il pulsantedrumming di Tony Allen, co-creatore agli inizidegli anni ’70 con Fela Ransome-Kuti dell’afro-beat. Buon ascolto a tutte e a tutti. nnn

nuovi suoniLuciano Bosi

organizzati

Il disco

Fatoumata DiawaraFatouWorld Circuit 2011

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saltafrontieraAlex e il suo «doppio»

Lorenzo [email protected]

proprio il suo diritto a scegliere, igno-rando le sue richieste di ascolto, smi-nuendo i suoi bisogni. Alex cambia scuo-la, impara a truccarsi, prova e riprovaabiti nei camerini, viene scelta per unasfilata di moda, si confronta con le di-namiche delle amicizie femminili e conmodi di fare che deve imparare, senzatradire nulla di sé. Per prima cosa suopadre sparisce per un po’ di casa e suamadre dà di matto un’altra volta, ten-

tando di rifilargli le medicine nel cibo ecercando di capire cosa abbia sbagliatonella vita di genitore e perché suo figlioabbia deciso di proclamarsi femmina evegetariana nello stesso istante.Genitori da una parte ed Alex dall’altra.Ma nel romanzo, oltre ad una sentita etoccante nota sulle difficoltà di comuni-cazione tra genitori e figli, c’è altro. Cisono incontri, amori, amicizie, scoperte,decisioni… c’è il precipitare degli eventi,ci sono momenti drammatici e altri di-vertenti, ci sono personaggi salvifici, cisono quelli odiosi… C’è il rapporto coni coetanei, con la scuola, con l’impor-tanza di scegliere e di scegliersi. C’è lafatica di crescere, di affermare se stessi,di accettarsi, mostrarsi al mondo per co-me si è e pretendere rispetto, di usciredal branco, di essere coraggiosi. E, sopraa tutti, c’è Alex, che è la voce narranteche racconta la vicenda. C’è Alex che èsimpatica, tenera, coraggiosa, forte, de-cisa, un po’ impertinente, talvolta disar-mante, ambigua, ogni tanto ingenua,sofferente. Alex parla di se stessa comedi due persone, perché lei di fatto lo è:in Alex ragazza vive anche quell’altroAlex, il maschio, c’è e parla, inutile farefinta che non esista.La tematica affrontata da questo «co-raggioso» romanzo è delicata e contro-versa, l’argomento è tosto e spiazzante,persino imbarazzante: sensibilità, garbo,realismo e una buona dose di ironia con-sentono all’autrice di offrirci un raccontovibrante, profondo, attento alle sfuma-ture dell’anima. Che non ha nulla di sca-broso. Pagine che raccontano di adole-scenti e destinate agli adolescenti, mache arrivano a parlare di questioni - comel’identità/ambiguità sessuale resa straor-dinariamente con la duplicazione del per-sonaggio - in grado di far riflettere tuttele famiglie e tutti gli educatori. nnn

«Alex e io siamo una sola persona ma è come se fossimo due, è questo il problema. È sempre stato così, ma da quando ho smesso di prenderele medicine, cinque giorni fa, è chiaro come il sole che non possopiù essere l’altro Alex».Alyssa Brugman, Alex&Alex

A lex è un nome neutro: può fun-zionare sia per un ragazzo siaper una ragazza o per chi, come

nel caso della protagonista del romanzoAlex & Alex della scrittrice australianaAlyssa Brugman (EDT-Giralangolo, 2013,p. 321), è un po’ maschio e un po’ fem-mina. Uno dei rari casi di ambiguità ses-suale - compresenza di entrambi gli or-gani sessuali -, questo è Alex. Alla nascitai medici suggeriscono ai genitori di os-servare attentamente i suoi comporta-menti per poter stabilire se sia più ma-schio o più femmina ed educarlo di con-seguenza. Destabilizzante per i genitori,in particolare per la madre, che scelgonodi privilegiare la parte maschile e di im-bottire Alex (a sua insaputa) di ormoniperché anche il corpo - come poi i gio-cattoli, gli abiti, le scuole - segua questascelta. Una condizione basata però sullamenzogna che rapidamente crolla quan-do Alex decide di ribaltare tutto e di im-postare la vita sulla sua parte più sentita.A quattordici anni Alex decide di esseredonna, perché è così che si è sempresentita. Padre e madre non accettano lascelta della figlia, anzi non contemplano

La tematicaaffrontata da

questo«coraggioso»

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controversa,l’argomento è tosto

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RegiaAndrea Segre

InterpretiZhao Tao, Rade Sherbedgia, Marco Paolini, Roberto Citran,Giuseppe Battiston.

Italia/Francia, 2011; 105min.;Parthenos

La trama. Li è una giovane madre ci-nese immigrata in Italia senza il figlio etramite un’organizzazione a cui deve re-stituire i soldi del viaggio e alla quale diconseguenza è tenuta ad obbedire, nonsolo per la scelta del lavoro, ma ancheper i luoghi dove risiedere e per alcuneregole nei rapporti con gli italiani. Li èmandata a Chioggia per gestire una ti-

Uno sguardo partecipato

pica osteria veneta, luogo di ritrovo dipensionati e pescatori. Tra Li e uno deiclienti, Bepi, detto «Il poeta», nasce unrapporto di rispetto che si incamminaverso iniziali sentimenti di affetto sincero.La relazione però non piace né agli amicidi Bepi né agli avventori né ai padroni diLi, che è trasferita e allontanata da Chiog-gia. Il rapporto tra Li e Bepi cresce all’in-terno di una comunità che appare ca-pace di accogliere il diverso purché ognu-no resti al proprio posto. Un amore peròpuò scardinare un ordine sociale e met-tere in discussione tranquillizzanti ste-reotipi.

L’apparente pacesociale nascondesofferenze e solitudiniche si potrebberocolmare, se non fossela paura dell’incertopiù decisiva dellasperanza nel nuovo.

Lino [email protected]

cinema

Andrea Segre

Andrea Segre, nato a Dolo (Ve)nel 1976, è dottore di ricerca e docente di Sociologiadella comunicazionenell’Università di Bologna,esperto di analisi etnograficadella produzione video e di pratiche e teorie di comunicazione sociale. Inizia a 22 anni come regista di documentari e a quellatipologia di testo filmico rimanefedele negli anni successivi,raccontando situazioni di popolie culture marginali (Lo sterminiodei popoli zingari, Ka Drita?,L’Albania è Donna) storie di immigrazione (A Sud di Lampedusa, Sangueverde, Come un uomo sullaterra), realtà economiche e socialiproblematiche del Veneto(Marghera Canale Nord, Pescatoria Chioggia e La mal’ombra).Spesso presente a festivalnazionali e internazionali, nel 2012 vince il Premio FrancoCristaldi per il miglior film con Io sono Li, il suo primolungometraggio di finzione, e il Premio Vittorio De Seta per ilmiglior documentario con Mare Chiuso. Nel 2013 esce La prima neve.

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luogo dove si è cresciuti, perdere una moglienel momento in cui nasce una vita sono pu-gni alla tua anima, un pugno a chi sei. Inter-rogare l’umanità in quei punti di crisi credosia una delle cose più profonde che la lette-ratura e il cinema possano fare». «L’Italia èpiena di isole felici come quella, in cui non cisi pone il problema se un rapporto in famigliao di lavoro lo hai con uno straniero. Il nostroPaese è pieno di luoghi dove l’integrazionequotidiana si è costruita nella necessità reci-proca e nella conoscenza, come avviene aipersonaggi del film. Il vero problema è chel’Italia è sormontata da una forma di schizo-frenica paranoia alimentata dai demagoghidella paura pubblica che hanno fermato que-sto processo di integrazione. Chi lo fa deter-mina scelte politiche molto chiare, che pre-feriscono strutture infami di accoglienza eaccordi con le dittature per i respingimenti».

La trama. Nel paese di Pergine, in Tren-tino, sono ospitati alcuni immigrati inattesa di documenti per potersi trasferirein altre nazioni europee. Tra questi Dani,fuggito prima dal Togo, poi dalla Libia,che ha perso la moglie per parto subitodopo lo sbarco; di questa morte non rie-sce a darsi pace e della tragedia accusala figlioletta, trascurandola fino a pro-gettare pensieri di abbandono. Dani la-vora come falegname presso il vecchioPietro, nonno di Michele, adolescenteferito dalla morte del padre e in rottacon la madre che faticosamente tentadi rimettere in piedi la propria vita e ilrapporto con il figlio. Due situazioni sim-metricamente opposte: i due dolori siavvicinano, silenziosamente si comuni-cano e iniziano a guarirsi a vicenda.

Le parole del regista. «I temi dell’in-tegrazione e della paternità sono entrambilegati ad un tema che mi è caro, quellodella crisi dell’identità, dell’uomo che nonsa più chi è. Perdere un padre, lasciare il

Mare ChiusoRegiaStefano Liberti, Andrea SegreItalia, 2012, 60min.; ZaLab

Il documentario. Il lavoro èuna precisa denuncia della poli-tica dei respingimenti attuata dalgoverno italiano tra il maggio2009 e il settembre 2010. Par-tendo da quanto avvenuto il 6maggio 2009 a sud di Lampe-dusa, quando 200 emigranti suun barcone, alcuni dei quali aven-ti diritto di asilo perché in fugada una guerra, furono intercettatida una motovedetta italiana inacque internazionali e senza al-cuna identificazione portati a Tri-poli e consegnati alla polizia libi-ca. La storia è raccontata in primapersona da alcuni di quegli uo-mini che ricostruiscono le lorostorie, le violenze subite al ritornoin Libia, la fuga in Tunisia dopola caduta di Gheddafi, il nuovotentativo di attraversata, le delu-sioni cocenti della nuova realtàrispetto alle attese. Per uno di lo-ro il ricongiungimento con la mo-glie e la figlia nata dopo l’arrivoin Italia due anni prima. Le riprese sono state effettuatesul confine libico-tunisino, nelcampo profughi di Shousha e indue centri per richiedenti asilo nelsud Italia. Contribuiscono ancordi più a mettere lo spettatore da-vanti alla realtà tragica dei fattialcune immagini riprese con il te-lefonino da uno degli uomini suuna di quelle zattere bloccate erespinte. Il documentario si apree si chiude con immagini del pro-cesso intentato da alcuni di quegliuomini davanti alla Corte Europeadei Diritti Umani, dove l’Italia fucondannata proprio per gli epi-sodi ricordati da questo lavoro.

Lo sguardo del regista

L’occhio del regista alterna efonde lo sguardo deldocumentario, che presenta conla giusta distanza storie di uominie donne dentro a precisiambienti, a quello del cinemanarrativo psicologico che scavadentro a situazioni e personaggi.Questo alternarsi di linguaggipermette l’obiettività e la realtàdella situazione e l’altrettantodecisiva attenzione alle dinamichepsicologiche, che sonoriconosciute a tutti, immigraticompresi. Non vorrei esserefrainteso nella mia affermazionequasi volessi dire che alcuni registinel parlare di immigrati nonriconoscono loro una pienaumanità, ma qui è come se Segreriuscisse a superare lo stereotipomettendoti di fronte ad un altroche senti molto te stesso e a cuinaturalmente riconosci unidentico sentire e sognare. È comese la distanza si cancellasse e diconseguenza la realtà si svelassecon ancor più sensibilità edefficacia di coinvolgimento. C’è inSegre la capacità di narrare ladelicatezza dei sentimenti e nellostesso tempo di sapernesottolineare la profondità dellesofferenze; si toccano pochissimoi corpi mentre comunque senti ildialogare delle anime.

RegiaAndrea Segre

InterpretiJean Christophe Folly (Dani), MatteoMarchei (Michele), Anita Caprioli(Elisa), Peter Miterrutzner (Pietro),Giuseppe Battiston (Fabio).

Italia, 2013; 105min.; Parthenos

cinema

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La mia fede relativa

«S e un uomo confessa: Questa è la mia fede!,fin qui egli difende la verità. Ma non puòconcludere: Questa è la sola Verità, qualsiasi

altra è falsa». Questa frase di Buddha mi sta incomo-dando da tempo, poiché noi cristiani ci riteniamo i de-positari di tutta la verità. La rivelazione sarebbe la provadel nove che rende la nostra religione l’unica vera, perchéfondata sulla parola di Dio. La cultura rinforza tale con-vinzione: ogni popolo costruisce la sua cultura scegliendoil meglio a livello materiale, sociale e simbolico; ergo, ilpopolo cristiano si considera detentore della migliorecultura e della verità.Forse, più semplicemente, noi occidentali ci riteniamosuperiori perché siamo i compagni ai quali Ulisse disse:«Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a vivercome bruti,/ ma per seguir virtute e conoscenza»1. Noicerchiamo virtute e conoscenza, cioè superamento erisposte metafisiche, mentre gli animali vivono e basta(e per questo sono perfetti!). Ma grandi maestri comeBuddha, Confucio e lo stesso Gesù Cristo non incenti-varono la conoscenza metafisica. Un giorno Màlunkyaputta andò dal Buddha e disse: «Cisono dei problemi che il Beato non spiega: l’universo èeterno o non è eterno; l’universo è finito o infinito; l’animaè la stessa cosa che il corpo o l’anima è una cosa e ilcorpo un’altra; il Tathagata dopo la morte esiste o nonesiste...? Il Beato non mi ha risolto questi problemi e miha deluso». Buddha rispose: «Qualsiasi opinione si abbiasu questi problemi, esistono nascita, vecchiaia, decadi-mento, morte, sofferenza, lamento, dolore, angoscia, la

cessazione dei quali io proclamo in questa stessa vita».Confucio disse: «Non sappiamo ancora servire i vivi, comevogliamo saper servire gli spiriti? Non conosciamo ancorabene la vita, perché congetturare su (dopo) morte?».E Gesù ha annunciato d’essere venuto «perché tutti ab-biano vita e in abbondanza», attraverso la giustizia, lacompassione, la condivisione (e non l’ortodossia).

Il caso della cultura cristiana occidentale

Senza dubbio c’è originalità nella cultura ebraica: il con-cetto di tempo lineare anziché circolare, il Creatore uni-co-trascendente-e-demiurgo, l’umanità ferita fin dall’ori-gine, l’attesa di Dio Messia... Il cristianesimo s’è innestatoin tale universo culturale-religioso e l’ha sviluppato ancherazionalmente, al punto di ritenersi l’interprete ufficialedella realtà (oggi pensiero unico).Ma non sono in pochi a dissentire. Mark Twain ritennela Bibbia crudele, contraddittoria, oscurantista. JohanGaltung, relatore in due Convegni CEM, diceva che lepromesse di YHWH al popolo ebraico sono identiche aquelle della dea Amaterasu al popolo giapponese (l’al-lora direttore p. Milani avrà colto la provocazione?)... ELin Yutan si meravigliava che la cultura occidentale, tantoassurda, sia riuscita a sopravvivere. Essa, però, oltre asopravvivere, ha conquistato il mondo. Con l’attuale mobilità e il meticciato arrivano esperienzealtre, scristianizzazione, esodi religiosi...; essi esigonola «relatività», come cammino di mezzo, equidistante dalrelativismo e dal dogmatismo. L’etnocentrismo religioso,comune al tempo di jus soli, jus sanguinis, è oggi obso-leto, anche se resiste nel cristianesimo e nell’islam. Senzala «cifra della relatività», si sbaglia l’intero cammino uma-no, così come in un esercizio di matematica dimenticareuna cifra è fatale. Buddha ci ha ammonito che è sbagliatodire: «Il contenuto della mia fede è l’intera ed esclusivaverità». Giusto è dire: «Io credo, io ringrazio Dio dellamia fede cristiana, e so che essa è relativa, perciò iodialogo civilmente con i fratelli». nnn

1 Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, 118-120.

arnaldo de [email protected]

i paradossi

febbraio 2014 | cem mondialità | 47

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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Non solo a scuolaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

Atti del Convegno tenuto a Parma il 17 marzo 2012 in occasione del 70° anniversario della fondazione di CEM

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Arte e intercultura R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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10|2012dicembre

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Atti del 51° convegnoR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

2|2013febbraio

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Arte e politicaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

9|2012novembre

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Arte e naturaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

Sentinella

Oltre ogni crisiper un nuovo patto generazionale

quanto resta della notte?

1|2012gennaio

R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Ricordando GFZR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Educare ai beni comuniQuello che le cose ci dicono

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NUMERO PROGRAMMATICO 2013-2014

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

1|2013gennaio

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Arte e corpoR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

8|2013ottobre

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AcquaR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Arte e nuovi media R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Educare ai beni comuniQuello che le cose ci dicono

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NUMERO PROGRAMMATICO 2013-2014

intestato a CEM Mondialità

Ufficio AbbonamentiCentro Saveriano Animazione Missionariavia Piamarta 9 | 25121 Brescia | tel. 0303772780 | fax [email protected]

Chiediamo a tutti i lettori, i simpatizzanti e gli amici di sottoscrivere la

a partire da Euro 25,00

euro30,00

Abbonamenti cumulativi 2014

Per maggiori informazioni rivolgersi all’ufficio abbonamenti: 030 [email protected]

MISSIONE OGGI + CEM € 52,00 invece di € 60,00 M ISSIONE OGGI ONLINE + CEM € 40,00 invece di € 50,00 AZIONE NONVIOLENTA + CEM € 51,00 invece di  € 62,00 CONFRONTI + CEM € 67,00 invece di € 80,00 GAIA + CEM € 40,00 invece di € 50,00 MISNA ONLINE + CEM € 60,00 invece di € 110,00

MOSAICO DI PACE + CEM € 52,00 invece di € 60,00 MOSAICO ONLINE + CEM € 45,00 invece di € 50,00 NIGRIZIA + CEM € 54,00 invece di € 62,00 QOL + CEM € 42,00 invece di € 55,00 SATYAGRAHA + CEM € 52,00 invece di € 60,00 AFRICA + CEM € 50,00 invece di € 60,00

CEMcard

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MATTINAPRESIEDE BRUNETTO SALVARANI

9:30P. MARIO MENIN SALUTO9:50PIERO STEFANITI FARAI MOLTE IMMAGINI DI QUANTO È LASSÙ NEL CIELOE DI QUANTO QUAGGIÙ SULLA TERRA10:30ROBERTO ALESSANDRINI IL CANTIERE PARALLELO. BIBBIA, ARTE E DOPPI SGUARDI

11:10-11:30 COFFEE BREAK

11.30 LAURA NOVATILA SCRITTURA, LA LETTURA. IL CANONE DELLA TRADIZIONEOCCIDENTALE12.10 ANTONELLA FUCECCHITRA ATENE E GERUSALEMME.IL GRANDE CODICE DELLA CLASSICITÀ

POMERIGGIO PRESIEDE LUCREZIA PEDRALI

14:30 MANUEL KROMERBIBBIA E CULTURA15:00 ALUISI TOSOLINI BIBBIA E SCUOLA15:30 MARCO DAL CORSO«UN GIOCATORE LO VEDI DAL CORAGGIO,DALL'ALTRUISMO E DALLA FANTASIA». SPUNTI DIDATTICI DI TEOLOGIA LUDICAORE 16:00 GIANNI VACCHELLIPER UNA LETTURA SIMBOLICA ED INTERIORE DELLA BIBBIA TRA RISVEGLIO E RI-SCRITTURE ANTICHE E MODERNE16:30P. GIUSEPPE TANFOGLIOVISITA GUIDATA DELLA CHIESA DI S. CRISTO (BRESCIA)

CARTELLINA € 5,00 ABBONAMENTO A CEM MONDIALITÀ + CARTELLINA € 25,00

PER INFO E ADESIONISEGRETERIA CEM MONDIALITÀTEL. [email protected]

Hotel della TorreS.S. Flaminia km. 147Località Matigge Trevi (Perugia)

Tel. 0742.3971 fax 0742.391200 www.folignohotel.com [email protected]

TREVI (PG) 27-31 AGOSTO 2014

Informazionitel. 030.3772780

[email protected]

53OCONVEGNO NAZIONALECEM

CONVEGNO ORGANIZZATO DACEM Mondialità e BIBLIA/BeS

BIBBIAeARTE

12 04 2014SALA ROMANINO | MISSIONARI SAVERIANI VIA PIAMARTA 9 BRESCIAAMPIO PARCHEGGIO GRATUITO

LA PAROLASI FECEIMMAGINE.

IN COLLABORAZIONE CON LA COMUNITÀ DI RICERCA CRDN DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

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