2014 CROCIANI La Difesa Della Spiaggia Romana 1800-1815

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La difesa della Spiaggia Romana nelle guerre napoleoniche di Piero Crocianini

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La difesa della Spiaggia Romana

nelle guerre napoleoniche

di

Piero Crocianini

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La difesa della Spiaggia Romana nelle guerre napoleoniche

di Piero Crociani

La proclamazione della Repubblica Romana nel 1798 e la successiva partenza con la spedizione francese d’Egitto di quasi tutto il naviglio già pontificio, andato perso sul Nilo, fecero sì che, con la prima restaurazio-ne, il nuovo papa, Pio VII, non trovasse quasi più traccia della sua mari-na. Non a caso il padre Alberto Guglielmotti, lo storico della marina pon-tificia, intitola il volume che ne conclude la collana “Gli ultimi fatti della squadra romana da Corfù all’Egitto”1.

La prima restaurazione

Quel che trova il nuovo pontefice sono, oltre ad un lancione, tre galere alla fonda nel porto di Civitavecchia, la Padrona, la Capitana e la San Pietro, non più in grado di prendere il mare ed adibite alla custodia dei forzati2. Custodia che, legata alla propulsione a remi, era demandata co-me in tutti gli stati mediterranei alle cure della marina. Nel 1801, venduto il mal ridotto lancione e mancando quindi unità di proprietà statale, “per l’ispezione delle spiagge” vengono noleggiate due barche da pesca, come si verificherà ad Ancona l’anno successivo3.

Sulle coste tirreniche, invece, il 1802 segna un deciso progresso: a lu-glio sono allestiti due lancioni4 per i cui equipaggi sono spedite le armi

1 Alberto Guglielmotti, Gli ultimi fatti della squadra romana, da Corfù all'Egitto, 1700-

1807, Roma, Tip. Vaticana, 1893. C. Paoletti, “La Marina Pontificia 1802-1808”, co-municazione presentata al convegno La Marina Pontificia, Roma, Archivio di Stato, 23 novembre 2004. Id., “La Marina pontificia dal 1706 al 1808”, in Bollettino d’archivio dell’USMM, marzo 2011. 2 Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Soldatesche e Galere (d’ora in poi SG) b. 742. C. Paoletti, “La Marina Pontificia 1802-1808”, comunicazione presentata al convegno La Marina Pontificia, Roma, Archivio di Stato, 23 novembre 2004. 3 ASR, SG, b.752. 4 ASR, SG, b.745.

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da Roma il mese successivo: 24 tromboni guarniti d’ottone, 50 carabine guarnite in ferro, 31 pistole, 50 brandistocchi e 50 sciabole con guardia di ottone. Si stanno invece ultimando gli 8 tromboni di bronzo che devono guarnire i lancioni – dal che possiamo desumere che si tratti di petrieri o spingarde- e altre 31 pistole5. Non sappiamo se, pur con l’armamento in-completo, i due lancioni – San Francesco e San Ferdinando – abbiano ugualmente intrapreso la crociera estiva. A dicembre – quasi a risarci-mento delle precedenti rapine e dei danni arrecati ( tra l’altro a Civita-vecchia ci sono da pagare le pensioni ad una settantina di vedove di ma-rinai morti in Egitto)- la Francia cede allo Stato Pontificio due brick, uno da 16 cannoni che verrà chiamato San Pietro ed uno da 12, che sarà il San Paolo, per ciascuno dei quali è previsto un equipaggio di 120 uomi-ni. Sullo specchio di poppa i due legni recano, in lettere d’oro, l’iscrizione “Il Primo Console della Repubblica Francese ne ha fatto do-no a Nostro Signore6.

Il 1803, anno in cui la marina è comanda-ta dal Colonnello Bussi, non registra eventi di nota. L’anno successivo, il 28 mar-zo, Bussi è sostituito dal Tenente Colonnel-lo Ottavio Falzacap-pa, un nobile di Cor-neto (Tarquinia) pro-veniente dal servizio spagnolo, che è nominato anche capitano di porto e commissario di sanità di Civitavecchia7. Ad agosto il Capitano Zara, col San Pietro, cattura al largo di Civitavecchia una galeotta corsara con 22 “turchi” 8, galeotta che viene immessa nella marina pontificia col nome di

5 ASR, SG, b.747. 6 ASR. SG, b.745. 7 Archivio Segreto Vaticano (d’ora in poi ASV), Segreteria di Stato – Età Napoleonica – Biglietti (d’ora in poi Biglietti) n. 21. 8 ASR, SG, b.745.

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Santa Firmina e che nell’agosto dell’anno seguente coopera alla cattura di una scampavia tunisina, con 18 uomini a bordo, da parte del San Pie-tro, che ha imbarcato, come “guarnigione” 25 soldati del presidio di Civi-tavecchia.

Con un’ordinanza del 1° giugno di quello stesso anno la marina è stata riordinata e dovrebbe comprendere 230 elementi tra personale a terra (23) e navigante (207). A Roma devono risiedere un colonnello deputato alla Congregazione Militare con un aiutante, un commissario ordinario, un sotto-commissario ed uno scrittore, a Civitavecchia, invece, il colon-nello comandante con un aiutante, un commissario ordinario, un sotto-commissario, uno scrittore, un maestro di nautica ed uno di artiglieria (ciò che farebbe pensare ad una scuola o, almeno, a dei corsi di istruzio-ne, di cui però non si è trovata traccia), un ingegnere delle costruzioni, un munizioniere generale e due particolari, un ministro dell’arsenale, un maestro d’ascia e di vele, un maestro calafato, un maestro bozzellaro ed un maestro ferraro. Il personale da imbarcare sul “San Pietro” (il “san Paolo” è già fuori uso) deve comprendere il maggiore comandante, capi-tano, tenente, scrivano, chirurgo, 1° e 2° piloto, 1° e 2° capo cannoniere, 1° e 2° nocchiere, padrone di carico, maestro d’ascia, maestro e 2° mae-stro calafato, maestro bottaro, 8 cannonieri, 4 timonieri, 2 gabbieri, 68 marinai e 4 mozzi. I due lancioni imbarcano complessivamente 73 uomi-ni, comandati da due tenenti, e 29 la “Santa Firmina”, comandati da un capitano9.

9 ASR, SG, b.761.

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Ma ormai non è più solo con i Barbareschi che devono vedersela i ma-rinai pontifici, sul mare operano anche legni, militari o armati in corsa, francesi (liguri compresi) ed inglesi (cui si aggiungeranno tra poco i cor-sari siciliani) rendendo difficile la navigazione anche dei neutri e facendo nascere pure qualche incidente internazionale, come quello provocato dall’evasione ad Anzio, nell’ottobre 1804, di cinque comandanti di legni inglesi che erano a bordo di navi corsare francesi attraccate in quel por-to10.

L’occupazione francese

I problemi maggiori, comunque, stanno per nascere a terra, dopo che Ferdinando iv di Borbone si è schierato a fianco dell’ Inghilterra e della Russia. Infatti con il passaggio delle truppe napoleoniche destinate all’occupazione del regno di Napoli inizia, nel 1806, una strisciante, len-ta, progressiva occupazione dello Stato Pontificio destinata a concludersi con un decreto di Napoleone del 10 giugno 1809 che annette all’Impero Francese Lazio ed Umbria( le Marche erano già state annesse in prece-denza al Regno d’Italia).

Il periodo dell’occupazione e della forzata convivenza fra le truppe imperiali e quelle pontificie è assai difficile. Il Papa è obbligato a cedere alla forza – e ci tiene a sottolinearlo – ma cerca, finché può, di non far nascere incidenti che possano ulteriormente aggravare la situazione. Tol-lera quindi che i francesi occupino Civitavecchia, Anzio ed infine Terra-cina e le 33 torri che guarniscono il litorale.

La presenza della Divisione Francese delle Coste del Mediterraneo, lungi dallo scoraggiare, finisce per giustificare le incursioni inglesi. I piani di Napoleone non prevedevano la ricostituzione di una flotta napo-letana: le unità d’altura assegnate all’Armée de Naples erano le 10 unità leggere riunite a Civitavecchia al comando del capitano di vascello Chaunay-Duclos. Due soltanto, i brick Endymion (XII-8) e Abeille (XVIII-8, II-36 carronate e 160 uomini) possono tuttavia raggiungere il Golfo, mentre la corvetta Bergère (XVIII-12, I-36 carronata) si arrende il 17 aprile 1806, davanti a Fiumicino, alla fregata inglese Sirius, e le altre,

10 ASV, Biglietti, n. 23.

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dopo essersi rifugiate nel Tevere, rientrano a Civitavecchia e di qui a To-lone.

La Torre Cervia alla fine dell’Ottocento, ancora coi segni dell’incursione inglese

In giugno, in due riprese, i britannici sbarcano alla torre di Santa Bar-bara, inchiodandone un cannone ed asportandone un mortaio11. Il 3 mar-zo 1807 un corsaro al servizio inglese preda al Circeo, davanti a Torre Cervia, due imbarcazioni ed effettua uno sbarco. Lo stesso si verifica il 13 maggio, nonostante i 30 colpi di cannone sparati dalla guarnigione pontificia di Tor San Lorenzo; e due giorni dopo, alla Torre di Sant’Anastasia, dopo aver predato tre barche coralline, cento uomini sbarcano da un brick e da due altri legni inglesi per inchiodare i cannoni della torre e bruciarne gli affusti12. Casi del genere sono destinati a ripe-tersi negli anni successivi. Logico quindi che in questo periodo la marina pontificia non abbia alcun ruolo, tanto più che ora i francesi armano, per

11 ASV, Biglietti, n.30. 12 ASV, Biglietti, n. 33.

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conto loro, a Civitavecchia dei legni da corsa13. Così nel 1808 gli equi-paggi contano solo 5 ufficiali e 126 sottufficiali e marinai mentre il per-sonale di terra conta 11 elementi oltre agli addetti al servizio di sanità.

Il 1° febbraio 1809, incalzato dalle continue richieste francesi, il papa, per non prestare alcuna ulteriore collabo-razione, decide di sciogliere la marina, giubilando, cioè pensionando, i suoi 133 componenti: 44 a soldo intero, 33 a due terzi, 35 a mezzo soldo e 27 ad un terzo. La mossa del papa coglie di sorpresa i francesi che contavano sui marinai pontifici per seguitare ad ar-mare i due lancioni (divenuti, per l’occupante, le cannoniere Bacco e San Pio), la goletta “Vigilante” (già Santa Fermina) e le imbarcazioni di servizio o per adibirli alle torri costiere in quanto capaci di riconoscere le na-vi14.

Gran parte dei marinai – senza contare i 22 riconosciuti inabili al servi-zio – non vorrebbe continuare a servire sotto l’imperatore, pur consape-vole che persistendo nel rifiuto perderà il diritto alla pensione; perciò servirà un decreto della Consulta Straordinaria per gli Stati Romani per imporre a 105 di loro l’arruolamento nella marina imperiale sotto uffi-ciali francesi (insegne di vascello Combarieu, Aubert, Chauland e Audi-bert). Seguiranno qualche dissenso e parecchie destinazioni a terra, in porto, così a luglio i tre legni conteranno 5 ufficiali, chirurgo, scrivano, 2 maîtres d’équipage, 3 maestri cannonieri, calafato ed aiuto, 6 timonieri, 2 marinai di 1a classe, 34 marinai, un novizio e 4 mozzi15.

13 ASR, SG, b.769. 14 ASR, Miscellanea Governo Francese, b 34. 15 ASR, Ibidem.

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La 30e Division Militaire

L’11 aprile 1810 Lazio ed Umbria formano ufficialmente la 30e Divi-sione Militare francese ed il 22 maggio la Marine Imperiale prende for-malmente possesso di tutti i legni pontifici presenti a Civitavecchia che vengono così descritti: brick San Paolo, carenato in rame, adibito ad al-loggio dei forzati, brick San Pietro con una scialuppa e due canotti, una grossa scialuppa per scaricare i bastimenti, galere Capitana e San Pietro, adibite anch’esse ad alloggio dei forzati, galera Padrona, colata a fondo, trabaccoli San Pietro e Casto Giuseppe con due canotti, un canotto per il servizio al faro, un canotto e una scialuppa per rimorchiare le due bette “cavafango”, cannoniere S. Pio e Bacchus, ciascuna con un cannone da 18 e quattro petrieri, galeotta La Vigilante con un cannone da 6 e quattro petrieri16. Non un gran che, dunque, soltanto gli ultimi tre legni – ed il Bacchus è destinato da lì a non molto a naufragare – possono considerar-si operativi e formeranno negli anni successivi la squadriglia di Civita-vecchia, cui si affiancheranno, ad intervalli, altre imbarcazioni francesi come lo sciabecco Dauphin, che nel 1810 perde il suo capitano, il 26 giugno, in uno scontro con un corsaro siciliano, o come la goletta L’Eclair nel 1811 o la cannoniera Le petit page, che dovrebbe essere il nuovo nome del corsaro siciliano “Il paggetto”, catturato nel settembre, o la cannoniera Le poisson volant che un rapporto di polizia vorrebbe persa davanti a Fiumicino nello scontro del 4 luglio 1811 in cui va’ persa anche La Vigilante, che troviamo però ancora menzionata l’anno successivo in-sieme all’omologa La Fedele ed alla goletta La Torche. Tutte queste no-tizie, tranne l’ultima, dedotta dall’almanacco di quell’anno, ci sono per-venute non dalle gazzette dell’epoca ma dalle più affidabili segnalazioni contenute nel volume, curato da Nicole Gotteri “La police secrète du Premier Empire- Bulletins quotidiens adressés par Savary à l’Empereur”

Se, come si vede, la Marina Imperiale non ha a Civitavecchia una forza navale di qualche rilievo, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la sua organizzazione a terra, aumentata negli anni fino a comprendere, nel 1813, un capitano di fregata comandante militare della marina, un sotto-ingegnere, un alfiere di vascello capo di stato maggiore della flottiglia, un capo dell’amministrazione, un sotto-ispettore, un sotto-commissario, un

16 ASR, Miscellanea Governo Francese, b. 35.

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sotto-guardamagazzino, un commesso di 1a classe e due di 2a, un sotto-ingegnere marittimo per le costruzioni (la goletta La Torche è stata co-struita a Civitavecchia ed un’altra è in costruzione), un ingegnere dei ponti e strade (Napoleone si era già interessato della situazione del porto in due lettere del 22 aprile e del 4 maggio 1811) ed un commesso straor-dinario ai viveri. Tutto questo personale è di stanza a Civitavecchia, dove risiede anche uno dei “sindaci” addetti all’iscrizione marittima, cioè alla tenuta delle liste di leva della gente di mare, mentre gli altri risiedono a Roma, Fiumicino, Terracina e Porto d’Anzio.

La leva marittima incontra, come quella per l’esercito, grandi difficol-tà, specie quando Napoleone, con una lettera del 31 luglio 1811, ordina

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che “i porti romani” forniscano 100 marinai per l’equipaggio del vascello Rivoli, in allestimento a Venezia e destinato ad esser catturato alla prima uscita in mare. Infatti, imitando il sistema della press-gang dell’aborrito nemico britannico, il 2 e 3 settembre uno (o secondo altre fonti più d’uno) dei legni di Civitavecchia risale il Tevere fino al porto di Ripa Grande e vi sbarca delle squadre armate che rastrellano, il primo giorno, nell’ambito portuale 50 “marinai, molinari ed altra gente robusta” e, il giorno dopo, proseguono la ricerca nelle case, portando poi via queste re-

clute forzate, in parte al-meno, poi rilasciate17.

La difesa costiera

Date le limitate forze a disposizione e considera-to anche che i legni napo-letani non si spingevano al di là di Gaeta (il confi-ne era allora poco oltre Terracina) e che quelli francesi raramente scen-devano, da Livorno, sotto l’Argentario, la difesa del litorale si imperniava ne-cessariamente sulle 33 torri di avvistamento e sulle fortificazioni di Ci-vitavecchia, le sole vali-de, Fiumicino, Porto d’Anzio, Nettuno e Ter-racina. Le torri, come in precedenza, servivano,

oltre che per l’avvistamento, per offrire la limitata protezione del pezzo o

17 Anonimo, Diario degli anni funesti di Roma dall’anno MDCCLXXXVII al MDCCCXIV, (a cura di Maria Teresa Bonadonna Russo); Roma, Tipografia del Senato, 1995.

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dei pezzi di cui erano dotate ai legni di piccola stazza che potevano loro accostarsi. Inoltre non era stata estesa al Lazio la rete di segnalazione semaforica con il sistema Chappe.

Forse la più efficiente difesa della costa era data, almeno per una parte dell’anno, dalla malaria che infestava il litorale. E la maggior resistenza dei locali agli attacchi dell’anofele non fu estranea alla creazione del battaglione dei Veterani Guarda Coste formato nell’agosto 1808 con gli elementi dell’esercito pontificio meno adatti ad entra-re in campagna, soprattutto per motivi di età, e che perciò non avevano seguito i loro commilitoni nelle Marche per esservi inqua-drati nell’esercito del Regno Italico. Questo battaglione contava, il 16 agosto, 12 ufficiali e 524 sottufficiali e soldati, mancando al completo 3 dei primi e 62 dei secondi. Era su quattro compagnie fucilieri, una granatieri, un distaccamento di cavalleria ed uno di artiglieria18. Co-me precisava un rapporto del 30 aprile 1809, che ne avrebbe ufficializza-to l’esistenza come Battaglione Romano Guarda Coste, riorganizzandolo sul piede francese e facendo transitare gli uomini a cavallo nella Gen-darmeria Imperiale, il battaglione doveva essere impiegato per guarnire le coste, le torri ed i porti dato che aveva molti ammogliati, parecchi ina-bili alle fatiche di guerra e (soprattutto, anche se non era scritto) dato che così si sarebbero evitati agli altri reparti i tanti ammalati che avrebbero avuto se avessero prestato servizio lungo le coste durante l’estate.

Il battaglione svolse questi ed altri compiti almeno per i due anni suc-cessivi, venendo poi trasformato, per motivi legati al suo particolare re-clutamento, in un normale battaglione Veterani, accentrato soprattutto nelle fortificazioni, mentre il servizio ai pezzi venne affidato, come nel resto dell’impero, alle compagnie Cannonieri Guarda-Coste, che per il Lazio furono la 111a e la 112a, con residenza dei comandanti a Civita-vecchia e a Nettuno. L’organizzazione di queste compagnie, giusta un

18 ASR SG b.770.

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decreto imperiale del 18 aprile 1810, era affidato al prefetto che, una vol-ta immessi in queste i veterani provenienti dall’artiglieria, le avrebbe do-vute portare ad una forza di 140 uomini ciascuna mediante la chiamata in servizio, obbligatorio e retribuito, con turni di 15 giorni, di elementi tra i 25 ed i 45 anni, alti almeno 5 piedi, designati dai sindaci tra i celibi o i figli di famiglia numerosa19. Le difficoltà incontrate per mantenere que-ste compagnie al completo si rivelarono enormi, tanto che si doveva at-tingere soprattutto ai comuni dell’interno, così, ad esempio, nell’ottobre del 1812 Bracciano, Manziana, Canale ed Oriolo dovevano contribuire rispettivamente con 8, 6, 3 e 6 coscritti. Di solito alla chiamata del sinda-co si presentavano soprattutto gli inabili, certi di esser scartati per motivi fisici, e molti dei chiamati non si presentavano affatto rendendo necessari le ricerche e l’intervento della Gendarmeria, salvo, magari, poi, una suc-cessiva diserzione20. Così nell’agosto 1813 Bracciano, per fornire 8 can-nonieri, ne aveva messi in lista 19, di cui due, però, già arruolati nell’esercito, uno inabile, due da eccettuare ed otto che non si erano fatti trovare. L’istruzione era impartita da ufficiali di artiglieria. Nell’ottobre del 1811, durante un’ispezione del comandante dell’artiglieria dell’Armata d’Italia, le compagnie vennero fatte esercitare a Civitavec-chia e Terracina.

Le torri e le fortificazioni costiere non potevano ovviamente coprire tutta l’estensione del litorale e Napoleone, da Parigi, studiando le mappe delle diverse zone aveva cercato di intervenire. L’8 aprile 1811 dichiara-va per lettera il suo scontento per l’assenza di batterie da costa sul Cir-ceo, entro 24 ore dal ricevimento dell’ordine occorreva iniziare la costru-zione di due batterie (aumentate poi a quattro) con tre pezzi di grosso ca-libro per non far interrompere le comunicazioni tra Civitavecchia e Na-poli. Il 5 luglio, poi, stanziava 12.000 franchi per continuare i lavori ne-cessari, chiedeva notizie sulla ricostruzione delle torri Cervia, Paola e del Fico, danneggiate dagli inglesi, e dava ordini per l’aumento di torri e bat-terie e per l’impianto di un campo militare per ospitarvi un presidio.

Gli inglesi non restavano inerti – come risulta anche dall’elenco delle torri danneggiate- e già il 3 maggio una fregata distruggeva le opere pre-

19 Archivio comunale di Velletri, SPR, 2/3. 20 Archivio Comunale di Bracciano, Pre-Unitario, III, 73.

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parate per installare una delle batterie del Circeo. Nonostante alcuni suc-cessi delle difese costiere- puntualmente riportati ed enfatizzati dalle gaz-zette- con mercantili salvati dalle salve delle torri, con tentativi di sbarco respinti o con imbarcazioni predate dal nemico e recuperate dalla flotti-glia di Civitavecchia, la sicurezza lungo le coste andava progressivamen-te diminuendo, specie dopo che gli anglo-siciliani avevano ripreso pos-sesso delle isole pontine. Dai rapporti di polizia si ricava che lungo il li-torale era continua la crociera delle navi inglesi e di quelle armate in cor-sa, che non mancavano di effettuare sbarchi, come il 9 maggio 1811, quando presso Palo erano inchiodati i cannoni di Torre Flavia, o il 17 agosto 1813, quando era catturata la guarnigione di Tor Paterno e la torre stessa era fatta saltare, o il 28 settembre dello stesso anno, quando la me-desima sorte toccò a Tor Caldara, che perdeva anche sei dei nove soldati della guarnigione, ed in seguito anche a quella di Santa Marinella.

Il colpo più forte venne inferto la sera del 5 ottobre 1813 con l’arrivo davanti ad Anzio del vascello da 74 Edinburgh con due fregate da 40, una corvetta da 30 e due brick. Il fuoco navale metteva ben presto a tace-re i sei pezzi che difendevano il porto e 25 scialuppe prendevano terra di-struggendo le fortificazioni ancora in piedi, inchiodandone i cannoni, in-cendiando i magazzini, saccheggiando le case, liberando i forzati e riti-randosi infine con le barche trovate in porto cariche di bottino, mentre i

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400 uomini della guarnigione battevano in ritirata, salvo 30 elementi del 2° Reggimento Straniero che coglievano l’occasione per passare al nemi-co.

Il generale Miollis, a capo delle truppe francesi, ed il prefetto di Roma Tournon temettero allora uno sbarco inglese alla foce del Tevere e la possibilità di un attacco nemico su Roma. In realtà il vero pericolo in-combente non si era ancora manifestato: Gioacchino Murat, re di Napoli, aveva cambiato bandiera e le sue truppe, giunte a Roma come alleate alla fine dell’anno, occuparono subito dopo la città in nome del loro re. Le truppe francesi, assediate a Castel Sant’Angelo, dovettero arrendersi ai napoletani e lo stesso avvenne per i 1.400 uomini della guarnigione di Civitavecchia, bloccati anche sul mare da una squadra inglese.

In conclusione, le coste laziali, come quelle di tutta Italia, se non addi-rittura quelle di tutta l’Europa continentale, rappresentarono nelle guerre dell’età napoleonica uno dei punti deboli dell’impero. Dopo Trafalgar il dominio dei mari, saldamente detenuto dalla Royal Navy con un limitato concorso dei suoi alleati e dei corsari, non si limitava soltanto ad insidia-re le comunicazioni marittime, obbligando all’uso delle assai più disage-voli comunicazioni terrestri. La maggiore mobilità dei legni britannici, infatti, rendeva sempre possibili incursioni e sbarchi, costringendo la Francia a far presidiare le coste da truppe che sarebbero state necessarie altrove. Queste incursioni e questi sbarchi, almeno nel Lazio, ebbero un carattere episodico, ma la sola minaccia era sufficiente a far preoccupare Parigi. Roma era forse la sola grande città dell’impero non provvista di difese adeguate, facilmente raggiungibile dal mare ed abitata, inoltre, da una popolazione tutt’altro che affidabile. Probabilmente solo il passaggio di Murat dalla parte degli Alleati e la sua occupazione impedì che Roma seguisse la sorte di Livorno e di Genova costrette alla resa dalla squadra britannica e dalle truppe anglo-siciliane nella primavera successiva.