2014 - Annunciazioni Percorsi Di Semioti

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    Annunciazioni

    D i tutte le annunciazioni che popolano la storia umana e le sue svariate tradizio-ni, al semiologo non interessa la fonte in sé, il numinoso che all’umano si rivol-ge per significargli di volta in volta la propria presenza, intenzione, sensibilità; inte-ressa, piuttosto, il modo in cui a seconda delle epoche storiche, dei contesti culturali,delle vicende sociali, ma anche delle sensibilità individuali, uomini e donne hanno uti-lizzato i materiali del mondo, quelli dell’immanenza, per f orgiare i significanti del di-

     vino. Ovvero, specularmente, il modo in cui hanno immaginato, e creduto con fermezza,che tali materiali divenissero d’un tratto appannaggio di una divina intenzione di co-municare, stoffa della rivelazione, parole annuncianti. Al teologo, non al semiologo,spetta immaginare la ricostruzione della totalità a fronte della quale si dipana il mes-saggio divino nella sua vicenda immanente. Al semiologo tocca invece un compito cheè insieme più modesto e più costrittivo; innanzitutto raccogliere e inventariare que-ste tracce: in quali circostanze gli uomini e le donne hanno raccontato e raccontanodi un loro incontro con il divino? Utilizzando quali segni? Piegandoli a quali neces-sità comunicative? Il compito successivo, più arduo, è analizzare questi segni, con glistrumenti di cui dispone la metodologia semiotica, per capire se si possano in qual-che modo catalogare, suddividere in tipologie, distribuire in atlanti che, anche al dilà e a dispetto delle differenze d’origine storica e confessionale, manifestino nondi-meno dinamiche comuni nella costruzione e nell’elaborazione del linguaggio.

    Massimo Leone è docente di semiotica e semiotica della cultura presso il Dipartimento di Fi-losofia dell’Università di Torino. È stato ricercatore invitato presso il CNRS di Paris e il CSICdi Madrid, professore “Fulbright” presso il Graduate Theological Union di Berkeley, professore“Endeavour Research Award” nella Monash University di Melbourne, professore “Faculty Re-search Grant” presso l’Università di Toronto, professore invitato “Mairie de Paris" presso la Sor-bona e professore invitato presso l'École Normale Supérieure di Lione (Collegium de Lyon). Lesue ricerche si concentrano sulla semiotica e sulla semiotica della cultura. È autore di tre mo-nografie: Religious Conversion and Identity — The Semiotic Analysis of Texts, Routledge, Lon-dra e New York 2004; Saints and Signs – A Semiotic Reading of Conversion in Early ModernCatholicism, Walter de Gruyter, Berlino e New York 2010; e dell’opera in tre volumiSémiotique de l’âme , Presses Académiques Francophones, Berlin et al. 2012. È stato curatore di quindici vo-lumi collettivi e autore di circa trecento articoli su riviste specializzate in italiano, inglese, fran-cese, spagnolo, portoghese, tedesco, bulgaro, cinese, lettone, persiano e altre lingue.

    In copertina

    Deborah Bell, The Annunciation, 1995, tecniche miste su carta, Washington, DC, National Museum of African Art

    (Due tomi indivisibili)

    euro 52,00

    I SAGGI DI exi / 13

    | I SAGGI DI exi

    13

     PERCORSI DI SEMIOTICA DELLA RELIGIONE

    Tomo 1

    A RA C NE

    Prefazione diUgo Volli

    ISBN 978-88-548-6392-7

    LEXS

    13

    L   e  on e 

    Ann un c i   az i   oni  —

    T  om o1 

    Massimo Leone

    ANNUNCIAZIONI

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    I SAGGI DI LEXIA

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     Direttori

    Ugo VUniversità degli Studi di Torino

    Guido FUniversità degli Studi di Torino

    Massimo LUniversità degli Studi di Torino

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    I SAGGI DI LEXIA

     Aprire una collana di libri specializzata in una disciplina che si vuolescientifica, soprattutto se essa appartiene a quella zona intermediadella nostra enciclopedia dei saperi — non radicata in teoremi o espe-rimenti, ma neppure costruita per opinioni soggettive — che sonole scienze umane, è un gesto ambizioso. Vi potrebbe corrispondereil debito di una definizione della disciplina, del suo oggetto, dei suoimetodi. Ciò in particolar modo per una disciplina come la nostra:

    essa infatti, fin dal suo nome (semiotica o semiologia) è stata intesa inmodi assai diversi se non contrapposti nel secolo della sua esistenzamoderna: più vicina alla linguistica o alla filosofia, alla critica culturaleo alle diverse scienze sociali (sociologia, antropologia, psicologia). C’èchi, come Greimas sulla traccia di Hjelmslev, ha preteso di definirnein maniera rigorosa e perfino assiomatica (interdefinita) principi econcetti, seguendo requisiti riservati normalmente solo alle disciplinelogico–matematiche; chi, come in fondo lo stesso Saussure, ne haintuito la vocazione alla ricerca empirica sulle leggi di funzionamentodei diversi fenomeni di comunicazione e significazione nella vita socia-le; chi, come l’ultimo Eco sulla traccia di Peirce, l’ha pensata piuttostocome una ricerca filosofica sul senso e le sue condizioni di possibilità;altri, da Barthes in poi, ne hanno valutato la possibilità di smaschera-mento dell’ideologia e delle strutture di potere. . . Noi rifiutiamo unpasso così ambizioso. Ci riferiremo piuttosto a un concetto espresso daUmberto Eco all’inizio del suo lavoro di ricerca: il “campo semiotico”,cioè quel vastissimo ambito culturale, insieme di testi e discorsi, di

    attività interpretative e di pratiche codificate, di linguaggi e di generi,di fenomeni comunicativi e di eff etti di senso, di tecniche espressivee inventari di contenuti, di messaggi, riscritture e deformazioni cheinsieme costituiscono il mondo sensato (e dunque sempre socialeanche quando è naturale) in cui viviamo, o per dirla nei termini diLotman, la nostra semiosfera. La semiotica costituisce il tentativo pa-radossale (perché autoriferito) e sempre parziale, di ritrovare l’ordine(o gli ordini) che rendono leggibile, sensato, facile, quasi “naturale”per chi ci vive dentro, questo coacervo di azioni e oggetti. Di fatto,quando conversiamo, leggiamo un libro, agiamo politicamente, ci

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    divertiamo a uno spettacolo, noi siamo perfettamente in grado nonsolo di decodificare quel che accade, ma anche di connetterlo a valori,significati, gusti, altre forme espressive. Insomma siamo competenti e

    siamo anche capaci di confrontare la nostra competenza con quella al-trui, interagendo in modo opportuno. È questa competenza condivisao confrontabile l’oggetto della semiotica.

    I suoi metodi sono di fatto diversi, certamente non riducibili oggi auna sterile assiomatica, ma in parte anche sviluppati grazie ai tentatividi formalizzazione dell’École de Paris. Essi funzionano un po’ secondola metafora wittgensteiniana della cassetta degli attrezzi: è bene che cisiano cacciavite, martello, forbici ecc.: sta alla competenza pragmatica

    del ricercatore selezionare caso per caso lo strumento opportuno perl’operazione da compiere.Questa collana presenterà soprattutto ricerche empiriche, analisi

    di casi, lascerà volentieri spazio al nuovo, sia nelle persone degli au-tori che degli argomenti di studio. Questo è sempre una condizionedello sviluppo scientifico, che ha come prerequisito il cambiamentoe il rinnovamento. Lo è a maggior ragione per una collana legata almondo universitario, irrigidito da troppo tempo nel nostro Paese daun blocco sostanziale che non dà luogo ai giovani di emergere e diprendere il posto che meritano.

    Ugo Volli

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    Massimo Leone

    AnnunciazioniPercorsi di semiotica della religione

    Tomo 

     Prefazione diUgo Volli

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    Copyright © MMXIV

     ARACNE editrice S.r.l.

    [email protected]

    via Raff aele Garofalo, /A–B Roma() 

    -- --

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

    con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

    Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

    I edizione: giugno 

    http://www.aracneeditrice.it/http://localhost/var/www/apps/conversion/tmp/scratch_7/[email protected]://localhost/var/www/apps/conversion/tmp/scratch_7/[email protected]://www.aracneeditrice.it/

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     Ai colleghi e amici di CIRCE 

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    Indice

      Prefazione

      Introduzione generale

    Parte IOntologie del senso religioso

        Introduzione

      Capitolo I Libertà: metafisica e fisica

        Capitolo IIInfinito: natura e cultura

    Parte IIPneumatologie del senso religioso

      Introduzione

      Capitolo I Rivelazione: trascendenza e storia

      Capitolo II Legge: mediazione e immediatezza

      Capitolo III Anima: volatilità e ra ffi gurazione

      Capitolo IVGrazia: volontà e predestinazione

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      Annunciazioni

      Capitolo VConversione: permanenza e cambiamento

    Parte IIITopologie del senso religioso

      Introduzione

      Capitolo I Ascesi: luogo e vuoto

      Capitolo IITempio: realtà e virtualità

      Capitolo IIICittà: omofilia ed eterofilia

      Capitolo IV Processione: stasi e movimento

        Capitolo VCaduta: dannazione e salvezza

    Parte IVSomatologie del senso religioso

        Introduzione

        Capitolo ICorpo: interiorità e manifestazione

        Capitolo II Reliquia: intangibilità e commercio

        Capitolo IIITransustanziazione: rapporto e identificazione

        Capitolo IV Miracolo: fede e scienza

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      Annunciazioni

        Capitolo IIVelo: nascondimento e immaginazione

      Capitolo III Reliquiari: ostensione e occultamento

      Capitolo IV Diagrammi: immaginazione e trascendenza

      Capitolo V Fotogrammi: trapasso e resurrezione

    Parte VIIIFonologie del senso religioso

      Introduzione

      Capitolo ITa’zieh: performance e sacrificio

      Capitolo IICampana: prossimità e distanza

    Parte IXAssiologie del senso religioso

      Introduzione

      Capitolo ITentazione: forma e forza

      Capitolo II Morale: rigore e lassità

      Capitolo III Fondamentalismo: rigidità e mutevolezza

      Capitolo IVViolenza: interpretazione e uso

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    Indice  

      Capitolo V Estasi: fuoriuscita e dimora

    Parte XTeleologie del senso religioso

      Introduzione

      Capitolo IComunità: convivenza e conflitto

      Capitolo IITradimento: necessità e rottura

      Capitolo IIIOspitalità: divisione e accoglienza

      Conclusioni

      Indice analitico

      Ringraziamenti

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      Prefazione

    Volendosi  scientifica, la semiotica ha a lungo dimenticato questarelazione, si è rifugiata in un tecnicismo che le ha spesso impedito dipercepire la dimensione assiologica di ogni senso. Quando si è occupata

    di testi religiosi, come la maggior parte dei prodotti letterari e artistici(ma spesso anche pubblicitari e sportivi, politici e perfino pornografici)non troppo nascostamente sono, essa si è per lo più impedita di vederequesta dimensione, l’ha celata nello spazio privato della soggettività,o l’ha tacitamente presupposta senza cercare di analizzarla. Gli studidi Massimo Leone presentati in questo volume hanno innanzituttoil grande merito di prendere la strada opposta, interrogandosi sulsenso religioso di testi, luoghi, immagini, ricostruzioni biografiche e

    altre forme ancora di testualità diff use, in primo luogo naturalmentequelle esplicitamente e ovviamente religiose, come le preghiere e leagiografie. Da tutti questi lati Leone mette in gioco il meccanismoreligioso e la sua necessità di dirsi, di rivelarsi o di annunciarsi, la suadimensione di “messaggio portatore di valore” (“Annunciazione” neltesto biblico greco si dice appunto euangelismòs).

    Di qui la possibilità di trarne una teoria semiotica sul funzionamentodel discorso del sacro, che alcuni saggi importanti di questo libro cer-cano di esplorare. Tale direzione di ricerca non è semplicemente unaspecializzazione semiotica fra le altre, come la semiotica del cinemao quella della pubblicità, quella dell’abbigliamento o quella del cibo:è un riorientamento fondamentale, che ha l’ambizione di rintracciarenei “vestiti di segni” la traccia dei processi di valorizzazione che costitui-scono il fondamento di una cultura o di una società. Questa raccolta disaggi mostra l’ampiezza della ricerca e la profondità del cammino cheMassimo Leone ha intrapreso in tale direzione e permette di coglierel’importanza dei risultati che ne derivano.

    Vi è però una seconda novità metodologica che caratterizza la ri-cerca di Leone ed emerge nitidamente da “Annunciazioni”. Dopoessersi misurata nei primi decenni del suo sviluppo moderno nellaricerca di “codici” che caratterizzerebbero i diversi “linguaggi” dellacomunicazione, a partire dagli anni Ottanta la semiotica si è riorien-tata con la scuole di Greimas in direzione dell’analisi in profonditàdi testi singoli. La ragione di questa scelta sta nell’idea che il livellodella manifestazione, che dovrebbe essere regolato dai codici specifi-ci, non sarebbe decisivo, mentre il contenuto di ogni testo verrebbedeciso nella profondità del suo percorso generativo del senso. Il risul-

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     Prefazione  

    tato di questa metodologia sono state per lo più analisi locali miratea comprendere le specificità di un certo oggetto, oppure contributiteorici volti a perfezionare questo o quell’aspetto di una teoria del

    senso intesa come già data. La restrizione saussuriana della ricercalinguistica alla sincronia veniva estremizzata fino all’esclusione dalcampo semiotico di tutto ciò che non fossero singoli testi, per di piùintesi come “costruiti”, con la licenza cioè di escluderne ciò che nonfosse coerente col modello semiotico adottato.

    Massimo Leone lavora in maniera assai diversa. Pur usando glistrumenti greimasiani quando li trova utili, il suo oggetto d’analisi privi-legiato sono serie di testi, spesso serie diacroniche di testi che esprimono

    un motivo comune. Su queste serie Leone lavora di solito pervariazioni pertinenti, cioè indaga come le differenze cronologiche, religiose, cultu-rali, sociali modifichino i modi in cui un certo motivo iconografico o uncerto tema viene testualizzato. Non si tratta qui di trovare grammatichedi genere e neppure di disegnare voci di atlanti warburghiani, per quan-to sia evidente che entrambi questi approcci siano ben presenti a questaanalisi, ma piuttosto di scegliere un gruppo di testi per la loro specificapertinenza rispetto al problema affrontato e interrogarne la variabilità.Per riuscire in questa impresa c’è bisogno di quella larghissima cultura,di quella insaziabile curiosità, di quella erudizione nel senso antico deltermine che colpiscono immediatamente il lettore di ogni saggio diLeone; ma comporta anche un metodo di selezione altrettanto rigoroso,una chiara definizione della ricerca, una passione teorica, insomma unalucidità analitica che sono l’altro merito costante dell’autore.

    Da questo modo di concepire la ricerca deriva una trasformazioneradicale della stessa impresa semiotica, che nelle pagine di Leone nonsi definisce più come grammatica di generi o come semplice analisi di

    testi, ma saussurianamente come studio della loro vita sociale, vale adire dell’interazione fra tradizione culturale e attualità comunicativa chesempre li rinnova e li riformula, costituendo la vita di ogni cultura.La semiotica del discorso religioso di Leone è uno strumento essen-ziale di semiotica della cultura, ha la capacità di illuminare confini,crisi, sviluppi, identità culturali. Gli studi raccolti in questo volumesegnano anche in questo senso un modello di ricerca innovativo estraordinariamente appassionante.

    Ugo Volli

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    Introduzione generale

    Annunciazioni

    Di fronte a questo titolo, al lettore con una qualche familiarità con lacultura cristiana verranno subito in mente raffigurazioni pittorichecelebri di uno degli istanti più toccanti del racconto evangelico, quan-

    do un messaggero della trascendenza annuncia a un’ignara vergineche accoglierà l’incarnazione umana del divino. L’irrompere del sacronei destini della storia attraverso la luminescenza dell’arcangelo, e lasua parola tersa e definitiva; la gamma di emozioni sul volto e nelcorpo della fanciulla, dalla sorpresa allo sgomento; lo spazio di unacameretta che diviene improvvisamente tempio, squarcio atempo-rale nella tessitura della quotidianità: i grandi artisti della cristianità,primo fra tutti l’Angelico, ci hanno lasciato immagini straordinarie

    di questo avvenimento, visioni potentemente evocatrici del misterodell’Annunciazione.Il titolo però parla di annunciazioni al plurale, oltre che minuscole,

    perché non solo dell’Annunciazione cristiana intende occuparsi, enon solo di quella raccontata nei Vangeli e raffigurata dagli artisti, mapiuttosto di tante, variegatissime annunciazioni.

    Il libro parte dal presupposto che il sacro non è mai nudo.Non è di una trascendenza scevra da ogni determinazione umana

    che gli individui, i gruppi, e le culture fanno e tramandano l’esperien-

    za, bensì di una sacralità perennemente rivestita, abbigliata, acconciata(Eco ). La metafora vestimentaria vuole suggerire l’essenza del-l’approccio semiotico alla religione, al sacro, alla trascendenza. Ditutte le annunciazioni che popolano la storia umana e le sue svaria-te tradizioni, al semiologo non interessa la fonte in sé, il numinosoche all’umano si rivolge per significargli di volta in volta la propriapresenza, intenzione, sensibilità; interessa, piuttosto, il modo in cuia seconda delle epoche storiche, dei contesti culturali, delle vicende

    . I riferimenti bibliografici sono inseriti alla fine di ciascun capitolo.

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      Introduzione generale

    sociali, ma anche delle sensibilità individuali, uomini e donne hannoutilizzato i materiali del mondo, quelli dell’immanenza, per forgiare isignificanti del divino. Ovvero, specularmente, il modo in cui hanno

    immaginato, e creduto con fermezza, che tali materiali divenisserod’un tratto appannaggio di una divina intenzione di comunicare, stoff adella rivelazione, parole annuncianti.

    Un famoso storico e teorico dell’arte, Daniel Arasse, autore di unostudio assai noto sulla pittura italiana dell’Annunciazione, soleva ac-costare il nome di questo evento cristiano a quello dell’enunciazione,concetto fra i maggiori della teoria semiotica (). Che cos’è l’enun-ciazione, infatti? È l’insieme dei fenomeni di significazione che hanno

    luogo quando, a partire da un sistema di segni inconoscibile nellasua totalità, pura virtualità di linguaggio, emerge, grazie alla forza diun’intenzione comunicativa, il profilo definito di un discorso attuale,di una catena di segni che, pur nella loro finitezza, dicono tramite ilriferimento che essi incarnano al tutto da cui sono emersi, all’oceanod’inespresso contro il quale si stagliano.

     Allo stesso modo, le annunciazioni del divino, del sacro, della tra-scendenza, del numinoso, quelle che per convenzione o convinzionesi annoverano nel cerchio della religione — a inclusione dell’Annun-ciazione cristiana — significano in quanto tracce di un orizzonte piùampio, perché trascelte a partire da un insieme di virtualità rispet-to alle quali — e in un certo senso contro le quali — delineano ilproprio senso. Al teologo, non al semiologo, spetta immaginare laricostruzione della totalità a fronte della quale si dipana il messaggiodivino nella sua vicenda immanente. Al semiologo tocca invece uncompito che è insieme più modesto e più costrittivo; innanzituttoraccogliere e inventariare queste tracce: in quali circostanze gli uomini

    e le donne hanno raccontato e raccontano di un loro incontro conil divino? Utilizzando quali segni? Piegandoli a quali necessità comu-nicative? Il compito successivo, più arduo, è analizzare questi segni

    . La bibliografia sull’enunciazione comincia a divenire molto vasta. Benveniste e  contengono studi pionieristici sulla relazione fra forme pronominali, morfologiaverbale, deittici, ed enunciazione della soggettività del parlante; per una rassegna dellateoria di Benveniste sull’enunciazione, Ono ; Manetti  e  off rono una sintesiefficace di questa tradizione di studi; per un interessante approccio fenomenologico alla

    semiotica dell’enunciazione, Coquet . Una teorizzazione dell’enunciazione così comeviene formulata in questa introduzione è in Leone   e .

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    Introduzione generale  

    con gli strumenti di cui dispone la metodologia semiotica per capirese si possano in qualche modo catalogare, suddividere in tipologie,distribuire in atlanti che, anche al di là e a dispetto delle diff erenze

    d’origine storica e confessionale, manifestino nondimeno dinamichecomuni nella costruzione e nell’elaborazione del linguaggio.

    Obbiettivo ultimo è dunque quello di pervenire a una caratterizza-zione dal punto di vista della metodologia semiotica delle ideologieche insieme fondano le annunciazioni del sacro e ne sono fondate, nelsenso tecnico che la semiotica e l’antropologia semiotica attribuisconoal termine “ideologia” (Leone  b e  b): modo di concepire la na-tura dei segni nell’ambito sia sociale che individuale, sia culturale che

    psicologico, in cui si postula, si evoca, si racconta, o persino si nega,una dimensione trascendente e il suo commercio con una immanente.Ritornando alla metafora vestimentaria, è infatti vero che il sacro nonè mai totalmente nudo, giacché senza un pur sottilissimo vestimentodi segni non lo si potrebbe umanamente immaginare né immaginarneil dialogo con l’umano; tuttavia, è anche vero che in alcuni tempi eciviltà emergono annunciazioni che sono come pesanti paramentiliturgici, fabbricati con stoff e preziose e ingombranti, tempestati digemme dalla simbologia complicatissima; e in altri tempi e civiltà,invece, l’enunciazione del sacro, la sua annunciazione, predilige invo-lucri più lievi, quasi impalpabili, sino al paradosso di uno slancio — edi un discorso — mistico che intesse un ossimorico, ma pur sempreumano, vestimento della trasparenza.

    Fuor di metafora, il metadiscorso della semiotica deve coltivarel’ambizione di ordinare le molteplici annunciazioni che la storia regi-stra in un sistema che non sia organizzato solo per civiltà, o cronologi-camente, ma che tenga conto e dia conto, al contrario, delle forme

    di vita (Fontanille  ), delle ideologie, ma anche delle sensibilità,dei gusti e delle idiosincrasie con cui la materia immanente del mon-do viene trasformata in forma espressiva della trascendenza, del suodesiderio di significare all’umano.

    Con ciò forse s’intende che la semiotica della religione si occupasolo di formule espressive, e non di contenuti? Una tale presupposi-zione sarebbe assurda in sé, visto che allestire la significazione delcontatto fra trascendenza e immanenza — anche nei casi in cui ci sifiguri una coalescenza inestricabile dell’una e dell’altra — coincidecon il simultaneo allestimento di un immaginario (Leone  c), del

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      Introduzione generale

    sistema più o meno organizzato di modalità con cui si concepisce, sipensa, e si crede il divino. Annunciare il sacro non vuol dire infattimeramente articolarne l’espressione, ma segmentarne al contempo

    il contenuto; dare forma, non foss’altro che per presupposizione, alsistema di pensiero che la significazione insieme nutre e traduce.

    La semiotica della religione è allora una semiotica delle culture re-ligiose, e mette dunque fra parentesi l’idea di una sorgente numinosadel sacro per analizzare con rigore i mille rivoli attraverso cui essa simanifesta nella storia. Disciplina dell’umano, e non del divino, essa siconcentra sul modo in cui gli uomini fanno parlare gli dei, piuttostoche, come la teologia, sul modo in cui gli dei fanno parlare gli uomini.

    Con ciò s’intende forse che la semiotica della religione nega lalegittimità della credenza, della fede, del fervore religioso? Nient’af-fatto. Agnosticamente, essa non si pone il problema della veracità deldiscorso divino, della sua veridicità, ma esplora invece i canoni e imutamenti della sua verosimiglianza, ovvero le forme culturali che,condivise da intere civiltà o formulate da singoli individui, ascrivonoun segno, un discorso, un testo, un linguaggio o una cultura intera aun’origine trascendente, al di là della storia.

    Riconoscere che la semiotica si occupa di annunciazioni nella sto-ria, e non al di là di essa, implica anche suggerire che lo stesso me-tadiscorso semiotico è perennemente investito da questo continuoflusso di segni che irrora le culture umane nel tempo. Nell’annove-rare i segni del divino, nel catalogarli, nel distribuirli in tipologie dicui si riconoscano, con caratteristico piglio semiotico, le assiologiee le tensioni, la semiotica del discorso religioso è essa stessa situatanella storia, nel tempo, nello spazio e nella cultura, e dunque inevi-tabilmente prigioniera di un hic et nunc che, malgrado ogni sforzo

    dell’analista, condiziona la percezione delle ideologie, l’identificazionedelle espressioni, il deciframento dei contenuti, l’elaborazione di unimmaginario.

     Anche il semiotico, in altre parole, è sovrastato da una certa ideo-logia del senso e del senso religioso, che gli deriva in massima parteanche dagli accidenti della storia; è solo il continuo confronto, possi-

     bilmente internazionale e interdisciplinare, con altri studiosi, che gliconsente di limitarne le costrizioni.

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    Introduzione generale  

    Definizioni

    Nello studiare le annunciazioni del sacro, un primo ostacolo in cui il

    semiotico s’imbatte è quello, caro a molte discipline, della definizio-ne. Se la semiotica della religione studia i segni con cui gli uominifanno parlare gli dei, come circoscrivere il dominio di questi segni?Come identificare quali formule del senso possano essere annoveratenell’ambito della religione e quali no? E poi, come dissipare la gros-solanità di un approccio che non riconosca distinzioni fra religione,sacro, trascendenza, numinoso, divino?

    Come è noto, nello studio dei fenomeni religiosi si sono delineate

    due tendenze di definizione, una sostanziale, l’altra situazionale (Fi-loramo ). Nel primo caso, si è spesso preteso di aver penetrato edescritto il carattere essenziale del sacro. Note definizioni sostanziali,come quelle di Rudolph Otto (), Gerardus van der Leeuw ()e Mircea Eliade (), possono essere considerate tentativi di ripro-durre il modo in cui un credente evoca certe qualità dell’esperienzaassociabili con il sacro. Da questo punto di vista, il sacro è stato iden-tificato come una manifestazione misteriosa, terrificante o potentedella realtà, piena di significato ultimo.

     Al contrario, un’analisi situazionale, che si può far risalire all’operadi Émile Durkheim (), ha situato il sacro come nesso di prati-che umane e progetti sociali. Aderendo all’intuizione di Arnold vanGennep sul “ruotare del sacro” (), gli approcci situazionali hannosostenuto che nulla è inerentemente sacro. Il sacro da questa prospetti-va non è pieno di significato ma significante vuoto. Come ha propostoClaude Lévi–Strauss (), esso sarebbe un valore di significazioneindeterminata, in sé vuoto di significato e perciò suscettibile di recepir-

    ne uno qualunque. A tal riguardo, è allora meglio intendere il termine“sacro” come una forma aggettivale o verbale, un segno di diff erenzache può essere virtualmente assegnato a qualunque cosa attraversol’attività umana della consacrazione. Come termine situazionale, dun-que, il sacro non è né più né meno che un complemento nozionale alcontinuo lavoro culturale di sacralizzazione dello spazio, del tempo,delle persone e delle relazioni sociali.

    La divergenza fra una definizione sostanziale e una situazionale delsacro è forse particolarmente evidente nell’analisi dello spazio sacro.Mircea Eliade riteneva che il sacro irrompesse, si manifestasse o appa-

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      Introduzione generale

    risse in certi luoghi, trasformandoli in centri potenti di mondi pieni disignificato (). Al contrario, Jonathan Z. Smith ha mostrato comelo spazio sia sacralizzato a seguito di un’attività culturale o rituale, in

    situazioni storiche specifiche, che implicano un duro lavoro di atten-zione, memoria, disegno, costruzione, e controllo del territorio ().

     Alcuni hanno interpretato questo conflitto fra approcci sostanziali esituazionali alla definizione e all’analisi del sacro non soltanto comeun’opposizione fra la prospettiva del credente e quella del non creden-te, ma anche come un contrasto tra ciò che può essere chiamato una“poetica” e una “politica” dello spazio sacro.

    Per la semiotica, la scienza dei segni, dei testi, e dei linguaggi,

    questa tensione fra l’approccio sostanzialista e quello situazionale alsacro può essere vista alla luce di un complesso problema linguisti-co–semiologico, quello relativo alla natura motivata o arbitraria deilinguaggi (Volli  ). Da un lato vi sono coloro secondo i quali illinguaggio del sacro è tale che il suo significante, i segni di cui si serve,è fondamentalmente motivato dalla natura stessa del suo significato, eper ciò stesso immutabile. Dall’altro lato, invece, vi sono coloro peri quali il linguaggio del sacro è in ultima analisi arbitrario; non vi ènessuna ragione profonda per cui certi segni, certi codici, certe meta-fore, debbano esprimere la sacralità piuttosto di altri: è puro frutto delcontinuo divenire delle culture in seno alla storia.

    Qual è dunque l’approccio più fecondo alla questione del sacro,ossia quello che meglio consente di comprendere i fenomeni religiosio spirituali delle diverse epoche e dei diversi contesti culturali, dalleciviltà antiche fino a quelle contemporanee? In che modo una prospet-tiva semiolinguistica sul dilemma del sacro può aprire nuovi spiraglidi comprensione?

    Riferimenti bibliografici

     A D. () Annonciation / Énonciation: remarques sur un énoncé picturalau Quattrocento, “Versus. Quaderni di studi semiotici”, numero mono-grafico su “Semiotica della pittura: microanalisi” a cura di O. Calabrese,

     , gennaio–aprile:  – .

    B É. () Problèmes de linguistique générale I , Gallimard, Parigi.

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    Introduzione generale  

     ——— () Problèmes de linguistique générale II , Gallimard, Parigi.

    C J.–C. () Phusis et logos: Une phénoménologie du langage, PressesUniversitaires de Vincennes, Saint Denis.

    D É. () Les formes élémentaires de la vie religieuse: le système toté-mique en Australie, F. Alcan, Parigi.

    E U. () “Rappresentazioni iconiche del sacro”, in N. Dusi e G. Mar-rone (a cura di), Destini del sacro: discorso religioso e semiotica della cultura,Meltemi, Roma,  – .

    E M. () Traité d’histoire des religions, Payot, Parigi.

     ——— () Das Heilige und das Profane: vom Wesen des Religiösen, Rowohlt,

     Amburgo.F G. ()  Che cos’è la religione: temi, metodi, problemi, Einaudi,

    Torino.

    F J. (a cura di) () Les formes de vie, numero monografico di“RSSI”, ,  – , Association canadienne de sémiotique, Montréal.

    G A.   () Les rites de passage: étude systématique des rites de la porte et du seuil, de l’hospitalité, de l’adoption, de la grossesse et de l’accou-chement, de la naissance, de l’enfance, de la puberté, de l’initiation, de l’or-

    dination, du couronnement des fiançailles et du mariage, des funérailles, dessaisons, etc., É. Nourry, Parigi.

    L M. () Le Repentir: Une énonciation fragmentaire, “Nouveaux Ac-tes Sémiotiques”,   dicembre; disponibile al sito http://epublications.unilim.fr/revues/as/ [ultimo accesso l’ aprile ].

     ——— ( b) “Semiotic Ideology and its Metamorphoses”, in D. Teters (acura di), Metamorphoses of the World: Traces, Shadows, Reflections, Echoes,and Metaphors, Riga Technical University, Riga:  – .

     ——— () Négation et englobement , “NAS: Nouveaux Actes Sémiotiques”, aprile; disponibile al sito http://epublications.unilim.fr/revues/as/ [ultimo accesso l’ aprile ].

     ——— ( b) “Dall’ideologia linguistica all’ideologia semiotica — Sullasmentita”, in M. Sbisà, S. Carlomagno, e P. Labinaz (a cura di), Atti del° Congresso della Società Italiana di Filosofia del Linguaggio, Trie-ste,  –  settembre , numero monografico di Esercizi filosofici, , ,

      – .

     ——— (a cura di) (

    c) Immaginario / Imaginary

    , numero monograficodi “Lexia”,  – , Aracne, Roma.

    http://epublications.unilim.fr/revues/as/4925http://epublications.unilim.fr/revues/as/4925http://epublications.unilim.fr/revues/as/4925http://epublications.unilim.fr/revues/as/2581http://epublications.unilim.fr/revues/as/2581http://epublications.unilim.fr/revues/as/2581http://epublications.unilim.fr/revues/as/2581http://epublications.unilim.fr/revues/as/4925http://epublications.unilim.fr/revues/as/4925

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      Annunciazioni

    L  G.    () Inleiding tot de phaenomenologie van den godsdienst ,De erven F. Bohn, Haarlem.

    L –S C. () Anthropologie structurale, Plon, Parigi.

    M G. () La teoria dell’enunciazione: L’origine del concetto e alcuni più recenti sviluppi, Protagon, Siena.

     ——— () L’enunciazione: Dalla svolta comunicativa ai nuovi media, Mon-dadori Università, Milano.

    O A. () La Notion d’énonciation chez Émile Benveniste, Lambert–Lucas,Limoges.

    O R. () Das Heilige: Über das Irrationale in der Idee des Göttlichen und

    sein Verhältnis zum Rationalen, Trewendt & Granier, Breslau.S J.Z. () Map is not Territory: Studies in the History of Religions, Brill,

    Leiden.

    V U. () Manuale di semiotica, Laterza, Roma–Bari.

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    Introduzione

    La semiotica, come è noto, non si occupa di ontologie. Sia nella suaversione strutturalista, di derivazione saussuriana (, ), sia inaltro modo nella sua versione filosofico–interpretativa, di derivazionepeirceana (Eco  ), la scienza dei segni ha come oggetto il senso

    quale esso emerge nella manifestazione dell’enunciazione, e di ciò cheprecede tale emersione si occupa tuttalpiù lavorando per presupposi-zioni, ricostruendo quale sia il sostrato sistemico contro cui si stagliauna certa formazione discorsiva.

    Tuttavia, come ha sottolineato soprattutto la semiotica d’ispirazio-ne peirceana che più ha collaborato con le attuali scienze cognitive,ogni sistema semiotico in qualche modo postula, sia pure implicita-mente, non solo una certa ideologia del senso ma anche, come partedi essa, e al tempo stesso come suo fondamento, una certa immagi-nazione dell’essere, di quelle pieghe, di quei corrugamenti, di queidiverticoli ontologici che, pur non essendo materia d’indagine semioti-ca, sono però essenziali nel giustificare la conformazione dei percorsidel senso (Eco ).

    Ritornando alla contrapposizione fra definizioni sostanzialiste esituazionaliste del sacro, si potrebbe aff ermare che la semiotica svilup-pata in questo libro adotta, come la maggior parte della disciplina nelsuo stato attuale, una via media: da un lato le configurazioni discorsive

    sono considerate come suscettibili di una continua, e sempre legitti-ma, rielaborazione — vuoi come frutto d’intenzionalità comunicativeesplicite, vuoi perché perennemente sottoposte al giogo della storia edei suoi influssi; dall’altro lato, tuttavia, questo stesso approccio ipotiz-za che i segni con cui il sacro si manifesta scaturiscano da un’infinitàper così dire qualificata, ovverosia da determinazioni — che sono an-che limiti — dettate dal modo in cui s’immagina e si concepisce nonsolo il senso, ma anche il suo sostrato ontologico, l’una concezioneessendo di fatto inscindibile dall’altra.

    Come sarebbe possibile, infatti, caratterizzare una manifestazione

     

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        Annunciazioni

    del senso a partire dal sistema di cui è espressione, senza presupporrenon solo tale sistema, e non solo il vincolo generativo che lo lega allamanifestazione del senso, ma anche una vera e propria metafisica del

    senso, vale a dire una concezione, quantunque non interamente espli-cita e razionalizzata, del legame tra il senso che è ed il senso che non è ma

     potrebbe essere? I vestimenti del sacro sono sì sempre arbitrari, perchétessuti dall’immaginazione umana nella sua straordinaria varietà neltempo, negli spazi, nelle civiltà. E tuttavia, se cambiano i tessuti delsacro, e i suoi colori, e persino i filamenti coi quali ne è intrecciata lamanifestazione sensibile, si potrebbe dire che, al contrario, non mutail principio di fondo della tessitura, quella dinamica dell’intreccio che

    alla fin fine produce ogni paramento.Fuor di metafora, il primo capitolo della sezione “Ontologie delsacro”, intitolato “ Libertà: metafisica e fisica” cerca di definire quale siala concezione, o meglio la presupposizione ontologica, a partire dallaquale i capitoli successivi sviluppano uno studio del senso religioso.Come tutti i capitoli del libro, anche questo è imperniato attorno aun concetto chiave, in questo caso quello di libertà, che viene peròaff rontato, con indole tipicamente strutturale, attraverso la contrap-posizione sia diff erenziale che dialettica fra due poli, in questo primocapitolo quello della “metafisica del senso religioso” e quello della sua“fisica”.

    Introducendo un principio che resterà il Leitmotiv di tutto il libro,e al tempo stesso una delle sue maggiori ipotesi di fondo, il primocapitolo lega l’evoluzione dell’ontologia del senso religioso a quel-la dello stesso linguaggio, astrattamente inteso. Esplicita, insomma,un postulato secondo cui l’essere su cui poggia il senso religioso èfondamentalmente quello stesso su cui poggia il senso tutto, inteso

    come prodotto del linguaggio. Da questo punto di vista, cioè, comepuntualizzeranno i capitoli successivi, che la religione sia un linguag-gio, e che il senso religioso sia studiabile semioticamente, non è piùmera convenzione metodologica, metafora disciplinare; è, al contra-rio, ipotesi in un certo senso metafisica: la religione  è linguaggio, e illinguaggio è religione. Il senso religioso è senso semiolinguistico, eviceversa.

    Come giustificare la proposta di questa coincidenza, apparentemen-te controintuitiva? La sua tenuta dipende interamente dalla definizioneche si proponga di linguaggio, definizione che in ultima istanza poggia

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    Introduzione  

    da un lato sull’immaginazione metafisica dell’ontologia che lo sotten-de, e dall’altro sull’analisi “fisica” dei meccanismi che ne sostanzianol’emersione a partire da tale sostrato.

    Il primo capitolo della prima sezione ipotizza che il linguaggiosia essenzialmente infinitudine. Capacità, forse solo umana, di ela-

     borare costruzioni simboliche infinite a partire da un numero finitodi materiali simbolicamente inerti. È allora concependo l’ontologiadel linguaggio come ontologia dell’infinito che il senso religioso puòessere a sua volta circoscritto quale manifestazione fra le più alte delprincipio a fondamento del linguaggio, e al contempo dell’umano: nelsenso religioso, insomma, gli esseri umani coltivano, come forse in

    pochi altri ambiti della civiltà e dell’esistenza, il gusto dell’infinitudineche al tempo stesso li distingue e li condanna.Dal nesso tra infinitudine del linguaggio e infinitudine del senso

    religioso derivano conseguenze essenziali per la definizione del la-voro semiotico. Come si è già sottolineato, la semiotica non si curadi ontologie, ma di fenomenologie del senso. Tuttavia le secondenon possono non presupporre le prime, ed esserne inesorabilmenteinfluenzate. Porre l’ontologia del senso religioso quale epitome dellinguaggio inteso come esercizio d’infinitudine significa situare lafenomenologia all’insegna di due concetti: potenzialità e libertà.

    Da un lato, se il linguaggio si esercita a partire da un orizzonted’infinitudine, ogni manifestazione del senso non è comprensibile edelucidabile se non sullo sfondo di una negatività potenziale illimitata:il senso di ogni detto, di ogni espresso, è scintilla che si accende nelvasto cielo di una notte infinita, gravida di tutte le scintille che sisarebbero potute accendere al suo posto ma che invece rimangononell’oscurità. L’accesso all’infinitudine insomma fonda il linguaggio,

    e con esso l’umanità, eppure tale accesso è sempre viziato dal fattoche ogni manifestazione prodottasi grazie ad esso è ineluttabilmentefinita. Gli esseri umani possono elaborare infinite catene di simboli,ma solo potenzialmente. Di fatto, essi rivelano soltanto frammentifiniti dell’infinitudine, somma dannazione.

    Dall’altro lato, se ogni manifestazione del senso, pur nella sua fi-nitezza, si staglia sullo sfondo di una potenzialità infinita, allora nedecorre che ogni scintilla di senso gode, pur nella sua finitudine, diuna sconfinata libertà. Già nella negatività essa si esprime: giammai illinguaggio obbliga a dire, esso ne dà piuttosto l’opportunità. Dietro

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        Annunciazioni

    ogni detto si cela la possibilità di un non detto, o di un detto altrimenti,ed è in questa instabilità continua che consiste da un lato l’incomprimi-

     bile libertà del linguaggio, e dall’altro la sua altrettanto ineliminabile

    responsabilità. Ogni volta che si dà voce all’infinito non solo si sceglie,ma ci si prende, consciamente o meno, la responsabilità di una scel-ta, quella d’intrappolare un’infinitudine potenziale in una finitezzaattuale.

    La seconda parte del capitolo si soff erma dunque su un ventaglio ditemi che saranno poi ripresi da molti capitoli successivi: innanzitutto,la semiotica presuppone una metafisica del senso religioso, ma nonse ne occupa. Essa si applica, invece, a osservarne le manifestazioni

    per caratterizzarne la “fisica”, ovvero le leggi, o perlomeno le costanti,secondo cui individui, gruppi, o anche intere civiltà “addomesticano”la vertigine dell’infinito, regolarizzando il passaggio da potenzialitàinfinita a finitudine attuale, elaborando “grammatiche dell’infinito”,costruendo codici che, più o meno condivisi, separano il discorso delsacerdote da quello del “folle”, la parola della liturgia da quella dellamistica.

    Di questa fisica del senso religioso si occupa dunque la semiotica,e nel farlo non può che rivelare il rovescio della medaglia di quellaconcezione di libertà che discende dall’equazione fra linguaggio e infi-nitudine. Se la metafisica del linguaggio è impregnata d’infinitudine,e se la sua ontologia è gravida di potenzialità, la fisica del linguaggioè invece un continuo bagno nell’umiltà dei limiti, delle costrizionidell’attualità. Vero è che per avvicinare il senso, e soprattutto quelloreligioso, è necessario immaginarne una metafisica, e dunque un’on-tologia, ma vero è pure che da queste presupposizioni, alle soglie deldominio semiotico, deriva una concezione del senso come addomesti-

    camento, regolamentazione, vincolo. Se il senso, e quello religioso inmassimo grado, ha alle spalle una notte infinita, esso ha di fronte ungiorno il cui scorrere è regolato da annuari, calendari, orologi. Questi,e solo questi, può analizzare la semiotica.

    Ecco dunque una prima definizione di semiotica del senso religioso:disciplina che studia le grammatiche — astrattamente intese — attraversocui, a seconda delle contingenze spazio–temporali, delle civiltà, e anche delleidiosincrasie personali, si è “catturato”, nell’arco della storia umana, il sensodell’infinito; secondo una duplice accezione di tale cattura: catturarenel senso fotografico di “dare espressione”; ma catturare anche nel

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    Introduzione  

    senso cinegetico di “imprigionare”, costringere entro una griglia che,per esprimere l’infinito, inevitabilmente ne frustra le potenzialità.

     Al pari di ogni definizione, anche questa non può che sfociare in

    un’assiologia. Come risulterà evidente soprattutto nelle ultime sezionidel libro, quelle sulle “assiologie” e sulle “teleologie” del senso reli-gioso, concepire quest’ultimo come espressione della consustanzialeinfinitudine del linguaggio, ed ergo dell’umanità, significa predisporreun percorso assiologico in cui si contrappongano modi del senso reli-gioso che decantano l’infinito senza frustrarlo e modi che, al contrario,lo intrappolano sino alla sclerosi.

    Frutto di una concezione metafisico–ontologica, e dunque al con-

    tempo di un’ideologia del senso, il postulato del senso religioso comeesaltazione intrinseca della libertà — ma anche della responsabilità — dell’umano non è senza conseguenze: essa suggerisce, sia purevelatamente, una svalutazione di tutte quelle “grammatiche dell’infi-nito” che, eccessivamente timorose della vertigine dell’infinitudine,ne catturano le manifestazioni in gabbie troppo anguste, nelle qualila religione diviene da esercizio di libertà a pratica della necessità,macchina, attualità pura, scintilla che, privata di ogni riferimento allanotte, non ha più sfondo su cui brillare. È il caso, come si vedrà, deifondamentalismi di ogni sorta.

    Tuttavia, la predisposizione di un’assiologia conduce alla svalutazio-ne non solo delle gabbie troppo anguste, ma anche di quelle troppolasche. Essa porta a un deprezzamento del balbettio del sacro, delmisticismo d’accatto, della parola pigra, di tutte quelle manifestazionidel senso religioso che non aff ogano il gusto dell’infinito nell’insen-satezza della ripetizione meccanica (sia essa interpretativa, liturgica,o quant’altro), bensì in quella dell’assenza di ogni ripetizione, nella

    variabilità continua, una variabilità così eslege da smarrire la stessa bussola della variazione.Dati i suoi presupposti metafisici e le sue coordinate ontologiche,

    la semiotica del senso religioso che questo libro propone non può chesfociare, pur nella pretesa freddezza dell’analisi, in un’ideologia chericonosca lo statuto di senso religioso non a un solo vestimento delsacro (ipotesi sostanzialista) e neppure a ogni vestimento del sacro(ipotesi situazionista), bensì ai vestimenti che meglio si attagliano allaforma dell’infinito, sfidando paradossalmente la constatazione chel’infinito non ha forma. È pienamente religioso insomma non solo

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        Annunciazioni

    il senso della tradizione, e non solo quello dell’invenzione, non soloquello della gerarchia, e non solo quello del mistico.  È pienamentereligioso il senso che nella mistica scardina la tradizione e che al tempo stesso

    la mistica ordina con la tradizione, fedele a quella dialettica impossibilefra infinitudine e finitezza che è il linguaggio, che è l’uomo.

    Il secondo capitolo della sezione (“Infinito: natura e cultura”) si sfor-za, esplorando il concetto d’infinito attraverso una seconda dialettica

     — quella fra natura e cultura — di qualificare in senso naturalisticol’ipotesi metafisico–ontologica enunciata nel capitolo precedente.

    Sfondo della riflessione è la volontà, in un certo senso postula-ta, di tendere verso un superamento della classica opposizione na-

    tura–cultura, fondativa dell’antropologia strutturalista. Il punto dipartenza è però fornito dall’assunzione tratteggiata nel capitolo pre-cedente: l’umano è, ontologicamente, interfaccia fra infinitudine efinitezza, fra capacità astratta di linguaggio e composizione di concretipercorsi di senso e di parola. Il senso religioso, dunque, non fa cheesaltare, quasi poeticamente, questa collocazione paradossale.

    Tuttavia, volendo situare tale nesso particolarissimo non soltantonel quadro di un’ipotesi metafisica sul rapporto fra potenzialità di unsistema infinito e attualità delle sue realizzazioni finite, e non solonell’ambito, pure assai astratto, dell’ontologia che ne deriva, bensìcol desiderio di riposizionare la dialettica della libertà — quella frametafisica e fisica del senso — lungo una dimensione empirica, ebbenerestano poche alternative alla decisione di fare i conti con la scienzadell’uomo, e in particolare con l’ipotesi che, almeno allo stato dell’arte,meglio ne illustra il fiorire: l’evoluzionismo.

    Qual è il pendant della dialettica metafisica fra potenzialità e attuali-tà se traslata nel dominio empirico delle scienze naturali? Il secondo

    capitolo del libro ipotizza che una spiegazione plausibile dell’umanocome interfaccia linguistica fra infinitudine e finitezza non possa parti-re che dal presupposto, corroborato da indizi empirici, di un universocaratterizzato da potenzialità intesa come possibilità di moto. È sol-tanto in un universo mutevole, ove la scomponibilità in elementi ela mutabilità delle posizioni si presuppongono reciprocamente, chepuò giustificarsi l’esistenza della potenzialità intesa come possibili-tà di un ente qualsiasi nell’universo di mutarvi la propria situazione.Un universo perfettamente immobile sarebbe puro atto, macchinaferma, staticità impassibile, laddove la caratteristica del moto intro-

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    Introduzione  

    duce immediatamente una connotazione di mutabilità, e dunque dipotenzialità.

    Tuttavia, come sanno gli studiosi del moto browniano, se ogni

    moto nell’universo è attualizzazione reale in un sistema virtuale dipotenzialità, non ogni moto è movimento, nel senso che non ognimoto è sotteso da un’agentività, e dunque da un’intenzionalità, capacedi scegliere fra diverse direzioni potenziali. Nondimeno, laddove taleagentività si annidi, si coglie già uno scarto tra moto e movimentoche introduce nell’universo non solo il principio dell’alternativa, edunque della scelta, ma anche quello della semiosi, germe astrattodella significazione. Che cos’è infatti la significazione se non il risultato

    di un’alternativa? Non vi è senso senza scelta possibile, e dunquesenza potenzialità. Non vi è senso nella meccanicità di un moto senzaalternative. L’ipotesi di un universo in moto generalizzato, ove lasemiosi non sia che il prodotto della vita, consente di collegare, conipotesi certo ardita ma senz’altro degna di considerazione, l’interocorso dell’evoluzione.

    Questo collegamento è possibile, secondo il punto di vista adot-tato dal secondo capitolo, riscrivendo la storia dell’evoluzione, cheè anche storia del senso, come emersione e selezione di dispositivisempre più sofisticati di “navigazione della potenzialità”. Se nel motosenza vita non vi è potenzialità alcuna, o vi è una potenzialità di così

     basso rango che essa si riduce a sorta d’interruttore meccanico frastasi e moto, posizione zero e posizione uno, non appena si percorrail cammino dell’evoluzione ci si imbatte non solo, come si è detto,in alternative, ma anche in dispositivi che permettono di esplorarle.La biosemiotica è impegnata in un dibattito sempre più intenso sudove sia opportuno collocare il discrimine fra moto senza vita, e

    dunque senza semiosi, e movimento che, scegliendo, non è solovivo ma, in un certo senso molto astratto, anche significante. Pareche persino i batteri siano provvisti di una qualche forma di capacitàdi navigazione e dunque di scelta rispetto ai movimenti da compierenell’ambiente circostante.

    Tralasciando tale dibattito, o meglio relegandolo sullo sfondo, ilcapitolo ipotizza che il simbolo sia, dal punto di vista di una storiaevolutiva della cognizione umana, e della sua intrinseca ontologia,dispositivo raffinatissimo di navigazione della potenzialità, in grado dicostruire scenari simulacrali di alternative possibili invece di testarle di-

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        Annunciazioni

    rettamente attraverso il movimento. Nel simbolo il movimento vieneesplorato nella sua anticipazione mentale, per quanto imperfetta essapossa essere; in assenza del simbolo, invece, il movimento non può

    che tastare l’universo, esplorarlo alla cieca, cambiare direzione solo aseguito di un infortunio reale. Attraverso riferimenti alle più attualiricerche sui sistemi cognitivi degli esseri viventi, il capitolo sostienequeste ipotesi: la cognizione è navigazione della potenzialità, intesacome potenzialità di mutamento rispetto all’universo; la cognizionesimbolica consiste in un salto di qualità adattivo nel suo fornire, aiviventi che ne siano provvisti, una sorta di anticamera simulacrale delmovimento.

    Seguendo la stessa logica, e risalendo la china dell’evoluzione — emersione e selezione — dei dispositivi cognitivi, il linguaggio, sem-pre astrattamente inteso come facoltà, costituisce un ulteriore saltodi qualità: grazie al meccanismo della ricorsività — all’innesto, fra lecapacità cognitive dell’essere umano, dell’abilità di costruire cateneinfinite di simboli a partire da un numero finito di materiali simbolici

     — tale essere si dota di uno strumento potentissimo di navigazionedella potenzialità, il quale non solo supera la necessità di un’esplora-zione meccanica dell’universo, che coincida con la navigazione, maoltrepassa altresì lo stadio della navigazione simbolica intesa comesemplice anticipazione simulacrale del mutamento.

    Nel linguaggio, gli esseri umani possono elaborare un’anticipa-zione fittizia del movimento e concepire un numero virtualmenteinfinito di scenari potenziali. In ciò consiste il carattere precipuo del-l’umano, la sua risorsa cognitiva principale, ma anche la sua condanna:da un lato, l’umano vive ogni attualizzazione come scelta a partire daun numero virtualmente infinito di alternative; dall’altro lato, il dispo-

    sitivo cognitivo della ricorsività e della generazione simbolica infinitaintroduce nella cognizione umana la vertigine della libertà. Il linguag-gio genera un principio d’infinitudine non solo nella libertà della sceltafra alternative potenziali senza fine, ma anche nella responsabilità chene decorre.

    Di qui la possibilità della paralisi: generatore di scenari infiniti, ildispositivo cognitivo del linguaggio è sempre passibile di produrrecortocircuiti della cognizione, e soprattutto del movimento, o meglioancora della scelta, in cui l’interfaccia fra infinitudine potenziale efinitezza attuale si perda a tutto vantaggio della prima, in una vertigine

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    Introduzione  

    simulacrale diametralmente opposta alla meccanicità dell’essere senzacognizione, ma altrettanto paralizzante.

    Ne emerge, per l’umano, la necessità di arrangiare i simboli in

    grammatiche, ove con tale termine s’intende, astrattamente, l’impo-sizione di una serie di limiti — tutti convenzionali, tuttavia, non piùnatura ma cultura — all’infinita potenzialità di navigazione. E che cosasono, infatti, le culture, se non sedimenti di tentativi di limitazione che si so-no rivelati particolarmente adattivi? Vi è infatti un’evoluzione dei sistemidi limitazione della capacità simbolica così come vi è un’evoluzionedei sistemi di navigazione dell’universo, in un continuo ove l’emersio-ne del linguaggio introduce sì il discrimine fra natura e cultura, ma

    soltanto se la prima e la seconda vengano interpretate l’una come ilnaturale, o meglio il culturale prolungamento dell’altra.Il secondo capitolo del libro da un lato tenta di riallacciare questa

    speculazione astratta ad alcune delle ipotesi scientifiche più recentisul ruolo del moto, della motilità, e del movimento nell’evoluzionedell’universo; dall’altro lato, ritornando al tema principale del libro,ipotizza anche che quelle particolari “grammatiche dell’infinito” chevanno sotto il nome di “religioni” siano in realtà ambito simbolicoprivilegiato nel quale gli esseri umani testano nuove modalità per“addomesticare” il linguaggio, o meglio per “catturare”, come si èdetto, la vertigine dell’infinitudine senza frustrarla in una finitezzameccanica. Producendo senso religioso, l’umano non fa che ideare,tramandare, ma anche modificare e a volte distruggere, sistemi di vin-coli che a un tempo costringono ed esaltano la sua natura d’interfacciadell’infinito.

    Questa ipotesi, evidentemente ardita, apre una serie d’interessantipiste teoriche: in primo luogo, suggerisce la possibilità di una filosofia

    naturalistica del senso religioso, tendente a situarlo nell’ambito di unateoria scientifica dell’evoluzione.In secondo luogo, e contemporaneamente, mette in guardia contro

    ogni facile riduzionismo: il passaggio dalla cognizione della finitezzaa quella dell’infinitudine comporta che la seconda possa non essermai compresa né studiata dal punto di vista delle scienze esatte, dellescienze della necessità, e vada invece sempre inquadrata, a dispettodi ogni tentativo di riduzionismo della cognizione a mero dispositivoneurofisiologico, nella prospettiva delle scienze umane, di quelle dellalibertà: non essendovi necessità nell’infinito, i costrutti umani che

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    cercano di “addomesticarlo”, le sue grammatiche, non sono mai sem-plicemente natura; sono, al contrario, sempre cultura, negoziazionesimbolica in cui il vivente non è più solo di fronte all’universo ma

    lo esplora a mezzo di ipotesi simulacrali necessariamente condivisenonché perennemente cangianti.

    In terzo luogo, questa filosofia del senso religioso istituisce l’op-portunità, ma anche il problema, di uno scardinamento dei confinidefinitori abituali del concetto di sacro. Se il fondamento del sacro èil linguaggio, inteso come facoltà d’infinitudine, allora in ogni feno-meno semiotico può rilucere, in un certo senso, questo barlume disacralità; manifesta dunque il sacro ogni significazione in cui l’uma-

    no eserciti efficacemente la propria natura d’interfaccia dell’infinito,istituendo significazioni che lo evocano pur nella loro finitezza, chelo catturano senza scadere né nell’abisso di una potenzialità eslegené nel vicolo cielo di una meccanicità insensata. I discorsi del sacrosarebbero dunque — da questo punto di vista evidentemente moltoastratto — assai prossimi a quelli della poesia, dell’arte, e di tutte quel-le forme di semiosi il cui principio fondamentale poggi sul desideriodi costruire un equilibrio perfetto fra abbraccio di un’infinita libertà econsapevolezza di una finitezza necessaria.

    Produrre una fenomenologia che discenda senza salti né ostacolida questa ontologia del sacro, prodotto a sua volta di una precisa ipo-tesi metafisica, è impresa assai ardua: come distinguere fra diverse“grammatiche del sacro”, e come categorizzarle? Come osare disporlein un’assiologia che ne valuti la corrispondenza con un telos? E poi,passando dalla metafisica del senso religioso alla sua fisica: come de-scrivere, analizzare e giustificare il cambiamento culturale, inteso inquesto quadro come l’evoluzione di forme sempre nuove di “addo-

    mesticamento” dell’infinito? La storia del senso religioso può forseessere riscritta naturalisticamente, come storia dei tentativi che unaspecie vivente, quella umana, ha prodotto senza interruzioni al finedi regolare l’accesso degli individui e dei gruppi a una cognizionesimbolica potenzialmente senza limiti?

    Sarebbe bellissimo poter sostenere che il presente libro si lancia eriesce in un’impresa di tal portata, ma non è così. Ricollegare quantosi scrive nei primi due capitoli, quelli sulla metafisica e l’ontologia delsenso religioso — ovverosia le ipotesi di una sua filosofia evoluzionista

     — alla miriade di forme significanti colle quali il sacro si manifesta

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    Introduzione  

    nella storia umana, è impresa che richiederebbe un viaggio ben piùprodigioso di quello alle Galapagos: un’esplorazione sovrumana delpassato e del presente non solo delle religioni, ma anche delle altre

    “grammatiche dell’infinito”, al fine di cogliere il nesso profondo franatura e cultura del senso religioso.

     Assai più modestamente, le sezioni successive, a partire da quellaintitolata “Pneumatologie del senso religioso”, non sono che carotaggiimperfetti, analisi puntuali che non possono che relegare sullo sfondol’ipotesi generalissima enunciata nella prima sezione. Esse rivendicano,tuttavia, un approccio coerente, un’attitudine univoca: quella che,pur nell’inevitabile abbandono alla specializzazione di un ambito

    religioso particolare, di un’epoca particolare, di una civiltà particolare,non cessa di considerarne l’evoluzione e le forme, la diacronia e lasincronia, come manifestazione di un unico teatro del senso, quello incui l’umano è protagonista a seguito dell’emersione del linguaggio.

    Riferimenti bibliografici

    E U. () Kant e l’ornitorinco, Bompiani, Milano.

    G A.J. () Du Sens, essais sémiotiques, Éditions du Seuil, Parigi.

     ——— () Du Sens , Éditions du Seuil, Parigi.

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    Capitolo I

    Libertà: metafisica e fisica∗

    : .. Metafisica della libertà religiosa,  –  .. Fisica della libertàreligiosa,   –  . . Verso una manutenzione dell’infinito, .

    Vi sono almeno due contributi che una riflessione sulla significazionepuò off rire rispetto al tema della libertà religiosa. Qui di seguito li sievoca con le locuzioni di “metafisica” e “fisica” della libertà religiosa.

    .. Metafisica della libertà religiosa

    In primo luogo, tale riflessione suggerisce una riformulazione dellaconcezione di libertà, e in particolare di quella religiosa, comprenden-dola dal punto di vista della relazione fra esseri umani e linguaggio. Inquesto ambito, la prospettiva delle discipline del senso si traduce inun’impostazione filosofica che pone il concetto stesso di linguaggio, inun’accezione particolarmente astratta e allargata del termine, al centrodella definizione di libertà, e dunque anche al cuore della definizionedell’umano.

    È ormai un assunto degli studi sul senso che l’abilità umana di

    significare si fondi essenzialmente sulla capacità di porre ed esplorarele potenzialità del reale in modo diverso da quello della maggior partedelle altre specie viventi. Gli esseri umani possono non solo esperirela realtà attraverso la percezione, e sono in grado non soltanto di co-struirne simulacri alternativi attraverso complessi dispositivi simboliciradicati nella dotazione cognitiva della specie. Essi possono altresìaccedere a un’infinità di tali elaborazioni, attraverso un meccanismoche è anch’esso probabilmente ancorato nella fisiologia dell’umano

    ∗ Questo capitolo rielabora Leone .

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    e che dal punto di vista linguistico coincide con l’esercizio della ri-corsività. Gli esseri umani, e forse anche qualche altra specie vivente,possono ricombinare in modi infinitamente diversi un numero finito

    di elementi (Leone ; Leone  b; Leone c; Leone In stampa).L’espressione più lampante di questa capacità si trova nel linguag-

    gio verbale, ove un numero esiguo di fonemi, tra loro contrappostiper determinati tratti distintivi, possono essere ricombinati in serieinfinitamente lunghe e varie. Tuttavia, il linguaggio verbale non èche la manifestazione più cristallina di questo accesso a una poten-zialità infinita che caratterizzerebbe l’umano, dato che tale accessosarebbe all’opera in ogni aspetto dell’esistenza umana, o perlomeno

    in ogni aspetto di essa che sia dotato di senso. L’uomo è tale, secondoquest’angolatura filosofico–linguistica, perché può rappresentarsi ecostruire infinite alternative rispetto all’ambiente percepito, senza li-miti apparenti che non siano quelli delle energie e del tempo di talesperimentazione.

    La nozione di libertà umana, sempre in questo quadro di riflessionefilosofica sui meccanismi profondi del linguaggio, sarebbe dunqueuna conseguenza del rapporto privilegiato che la specie umana in-trattiene con l’infinito. È soltanto perché l’essere umano può porrelinguisticamente infinite varianti del reale, o meglio elaborarne infini-te attualizzazioni alternative — ognuna parto di un diverso percorsopotenziale — che tale essere non è schiavo della necessità. Il suo col-locarsi nel tempo e nello spazio, infatti, così come il suo dar luogo amovimento e azione in rapporto all’ambiente circostante, non è mainecessario, perché sempre sotteso da un’intenzionalità che, avendoaccesso a un infinito potenziale, e dunque a un potenziale infinito, ècostantemente soggetto a una scelta. In altri termini, secondo questa

    prospettiva filosofico–linguistica l’essere umano non è schiavo se nondella libertà. Esso è schiavo della responsabilità delle sue scelte, contutto ciò che ne consegue sul piano morale (Leone  b).

    Il primo contributo che le discipline del senso possono off rire a unariflessione sulla libertà religiosa è dunque la considerazione che essa èin realtà il portato, ma forse anche l’espressione più pura, di un’eman-cipazione dalla necessità del reale, dalla sua univocità, emancipazioneche emerge probabilmente come espediente adattivo per meglio con-trollare il rapporto con l’ambiente, prefigurandolo in modi moltepliciprima che essi si realizzino di fatto, ma che produce quale sottopro-

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    .   Libertà: metafisica e fisica  

    dotto la possibilità della libertà, intesa anche quale fondamento dellacultura (Leone c; Leone d; Leone e).

    È infatti solo a partire da una concezione dell’uomo come ineso-

    rabilmente potenziale, e quindi inesorabilmente libero, e dunqueinesorabilmente responsabile, che si delinea la possibilità di una tra-smissione non genetica di informazioni fra essere umano ed essereumano, sia nello spazio che nel tempo. Una cultura non può esistere,infatti, senza il tesoro di scelte che comporta la sua continua selezione,trasmissione, memoria, ma anche cancellazione, distruzione, oblio.Da questo punto di vista, la libertà religiosa non sarebbe nient’altroche la palestra nella quale l’umano si confronta costantemente con il

    dramma della potenzialità, con l’impossibilità di non essere umani,con il fardello di un’immaginazione che non può non trascendere ilreale.

    Le tradizioni religiose sarebbero dunque grammatiche dell’infinito,codici amorevolmente condivisi da gruppi e comunità e tuttavia pe-rennemente cangianti, attraverso cui l’abisso della potenzialità vienein un certo senso addomesticato, ma non soltanto nel senso deterioredel termine, ovvero intendendosi con esso un annacquamento del-l’esperienza del turbinio e della vertigine dell’infinito, bensì anchenel senso, più vicino all’etimologia, di un accasamento dell’infinito.Nelle culture e nelle tradizioni religiose l’uomo perviene ad abitarel’infinito, a farne la propria dimora, a convivere con il paradosso diun’infinita finitezza e di un’infinitezza finita.

    Vi sono molti modi di costruire la casa dell’infinito, intesa come spa-zio in cui gli umani esplorano l’abisso della potenzialità senza caderenel vuoto dell’insensatezza. La storia e l’antropologia off rono un calei-doscopio fra i più variopinti di linguaggi, forme, e testi coi quali diversi

    gruppi, in contesti e periodi diff erenti, hanno fatto i conti con la consu-stanziale infinitudine del predicamento umano, anche nel senso chehanno dovuto raccontarla, ricondurla a una scala di commensurabilità.L’idea di rivelazione, per esempio, astrattamente intesa come squarciodella trascendenza nell’immanenza, breccia dell’infinito nella finitezza,incarnazione dell’assolutamente potenziale nell’assolutamente empi-rico, è solo uno dei modi, centrali nelle religioni abramitiche e oltre,di convivere con il paradosso della potenzialità (Leone ).

    Da questo punto di vista, la varietà delle “grammatiche dell’infini-to”, ovverosia delle elaborazioni storiche prodotte dai diversi gruppi

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    religiosi, è un’ulteriore, vertiginosa conferma della libertà intrinsecadell’umano. Vi è varietà di tradizioni religiose perché quello stessoprincipio di continua diversificazione, di continuo smarcamento dal

    reale, che è incessantemente all’opera nell’umano, permea di sé an-che i costrutti culturali che vorrebbero riportarlo alla dimensione diuna pacifica commensurabilità. In altri termini, è nella stessa varietàdelle religioni che si esprime in maniera stereoscopica quel princi-pio di elezione di cui esse sono intrise. Una realtà umana ove nonesistesse che una grammatica dell’infinito, una sola religione, una solapoesia, un solo dipinto, contraddirebbe lo stesso principio di cui talereligione, tale poesia, tale dipinto si direbbero intrisi: è solo nell’in-

    finito che l’umano si svincola dal necessario, ed è solo nell’infinitoche si concepisce la vita quale emancipazione dalla meccanica di leg-gi immutabili. Ne consegue che le religioni e le altre grammatichedell’infinito non sono solo tali perché paradossalmente costruisconopercorsi di commensurabilità all’interno del proliferare di potenzialità,ma anche perché sono esse stesse soggette a tale proliferazione. Nonesistono solo grammatiche dell’infinito, dunque, ma anche un’infinitàdi grammatiche.

    La storia e l’antropologia delle religioni ne off rono una testimo-nianza copiosa: se da un lato le culture e le tradizioni religiose possonoessere fendute da una sezione ortogonale che ne mostri come in uncristallo le articolazioni interne in un certo tempo e luogo, non appenasi abbandoni questa pratica da laboratorio tali culture e le loro tradi-zioni esplodono in una miriade di e ff ervescenze più o meno salienti,ognuna aggiungendovi una virgola o un intero capitolo, eppure co-stantemente diversificando, in una mutazione incessante che esplorasenza sosta non solo l’infinito con le religioni ma anche l’infinito delle

    religioni.Non foss’altro che per questa loro concezione del rapporto frapotenzialità, infinito, e linguaggi, le discipline del senso non possononon fondare un approccio alle culture e alle tradizioni religiose che neesalti la varietà, o meglio che ne certifichi la consustanziale incapacitàd’intrappolare l’infinito in una casa tetragona. Al contrario, è semprenomadico l’accasamento di queste grammatiche, in una paradossaledialettica che rilancia la proliferazione di sensi possibili nello stessomomento in cui pare limitarne la moltitudine.

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    .   Libertà: metafisica e fisica  

    .. Fisica della libertà religiosa

    Tuttavia le discipline del senso non off rono solo una lettura in chiave

    linguistica della metafisica della libertà. In virtù e sulla base di talelettura esse ne propongono altresì una fisica, non una sintesi gene-ralizzante ma un’analisi puntuale dei modi specifici in cui le singoleculture e tradizioni religiose costruiscono il senso delle proprie formeprecipue, nonché dell’interazione fra tali forme e quelle alternativeelaborate dallo stesso gruppo in tempi di ff erenti, o da gruppi diversiin spazi diff erenti.

    Non è solo nel proprio foro interiore che i credenti vivono la reli-

    gione, misurando grazie alle sue forme condivise da una comunitàlo spazio paradossale tra finitudine e infinito. Tutte le culture e letradizioni religiose, infatti, sia pure in misura e modi diff erenti, pren-dono corpo nello spazio e nel tempo attraverso segni, discorsi, testi,linguaggi. Lo stesso foro interiore, poi, è pur esso metafora archi-tettonica, a indicare che anche nell’immaginazione dell’intimità, delsegreto, del silenzio, gli umani non sono pura credenza bensì credenzache si fa enunciato tappezzandone la stoff a con gli scampoli off ertida una cultura religiosa e dal suo tempo. È proprio qui che consistel’interesse di una riflessione sulla libertà religiosa dal punto di vistadella significazione. Se da un lato le discipline del senso riconoscononell’infinito la definizione dell’umano, e nel religioso l’espressionepiù alta della codificazione di tale infinito, dall’altro lato hanno benpresente che tale codificazione è innanzitutto edificazione, nel sensoche non avviene nel vuoto ma, come ogni significazione umana, siesprime attraverso l’arrangiamento di un certo numero di materialitàin un tempo e in uno spazio precisi, con attori e modalità specifici

    (Leone d; Leone e).Si è già detto che anche nel foro interiore del credente la libertà re-ligiosa non consiste semplicemente in un librarsi entro una spiritualitàsenza confini, bensì nel costruire intorno alla credenza una strutturapiù o meno cogente di spazi e tempi immaginari, la cui modulazioneinvisibile fornisce al fedele l’indispensabile architettura della propriaadesione religiosa. Lo stesso ritirarsi dentro di sé, il concentrarsi nellapreghiera, l’assentarsi dal mondo, sono già gesti mentali che separanoun dentro e un fuori, ma anche un prima e un dopo, un centro dellaspiritualità e una periferia, nonché un certo rapporto con il corpo, i

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    sensi, l’ambiente. Anche pregare da soli, per esempio, sia pure nellavuota solitudine di un deserto, comporta una struttura interiore dellasignificazione che è inevitabile che si costruisca con gli elementi for-

    niti da una certa tradizione, sia pure labile, sia pure lontana (Leoneg).

     A maggior ragione, quando la credenza prende corpo non solonel tempo e nello spazio al di fuori del foro intimo del fedele, masoprattutto nella condivisione che questi instaura con il passato diuna tradizione, con il presente di una comunità, e con il futuro diun’escatologia, allora ancor di più la libertà religiosa non si esercitasolo come principio astratto e inalienabile di esplorazione dell’infinito,

    ma anche come costruzione di un mondo simulacrale fatto non già dispazi, tempi, e attori, ma di luoghi, calendari, e celebranti.Le discipline del senso hanno dunque l’ambizione di osservare,

    descrivere, analizzare, e interpretare i modi in cui le religioni, gram-matiche dell’infinito, adottano i materiali del mondo, a cominciaredal tempo e dallo spazio — ma senza negligere il corpo, le forme,i colori, e in generale tutto ciò che è manifestabile ai sensi — rita-gliandoli e articolandoli per edificare la propria presenza nel mondo,una certa casa dell’infinito che i fedeli di una determinata comunitàsono invitati ad abitare. Il modo in cui le culture religiose plasmanoil linguaggio verbale entro la sintassi, la semantica, e la pragmaticadi specifici discorsi spirituali — quelli dei testi sacri, del rito, dellapreghiera — fornisce senza dubbio l’esempio più ricco, e forse an-che il più studiato, del modo in cui la libertà religiosa si traduce insignificazione. Tuttavia lo stesso meccanismo di trasformazione dellamaterialità sensibile dell’ambiente in superficie espressiva di una certagrammatica dell’infinito si riscontra in ogni molecola di senso di una

    certa cultura e tradizione religiosa, a cominciare, come si è detto, dauna certa immaginazione del rapporto fra interno ed esterno, intimoe pubblico, spirituale e mondano, un’immaginazione fatta di pensierovisivo interno ma nondimeno influenzata dalla percezione che unadeterminata comunità di fedeli ha del mondo e delle sue forme.

    Se il primo contributo delle discipline del senso a una riflessio-ne sulla libertà religiosa consisteva nell’enfatizzarne il legame conla nozione d’infinita potenzialità, e dunque nel negare ogni limite almodo in cui l’umano può liberamente esplorare l’infinito attraverso idispositivi di senso di cui è cognitivamente dotato, il secondo contri-

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    .   Libertà: metafisica e fisica  

     buto procede nella direzione opposta di segnalare che ogni codificadell’infinito non può non affiorare alla percezione se non rivestitadi una superficie significante, e che la materialità intrinseca di tale

    superficie significante condanna alla finitudine ogni spiritualità umana.Financo lo spazio e il tempo, le coordinate in cui si muovono le scenediscorsive del religioso, sono concepibili come infinitamente vuotesolo in astratto; non appena si riempiano di segni, suoni, forme, colori,etc. divengono luoghi e ritmi con limiti precisi.

    Ma è proprio questo il motivo per cui, come si accennava, le discipli-ne del senso non elaborano solo una metafisica della libertà religiosama anche una sua fisica. Si prenda anche il caso estremo dell’indivi-

    duo che prega nel deserto: sia pure nell’agone dell’ascesi, la sua tatticaspirituale dovrà fare i conti se non altro con l’alternanza fisiologicadella veglia e del sonno, con la finitezza delle energie corporee, conl’obnubilamento della concentrazione. È soltanto nel mito che vivela fantasia di una preghiera continua, come un sibilo senza fine chesquarci il velo fra immanenza e trascendenza. In realtà, anche neldeserto si esercita la libertà religiosa, costruendo un pensiero verbaleinteriore — o un pensiero iconico interiore — con le risorse finitedella propria fisiologia, tradotte in questo caso in materia significantedi un monologo spirituale; l’estenuante ricerca di un continuo affina-mento nell’uso di tali risorse, lungo l’asintoto mistico diretto versol’orazione incessante, non è che conferma del giogo della finitezza.

     Anche in ciò consiste la lacerante paradossalità del predicamentoumano: gli umani hanno accesso all’infinito in virtù della fisiologiadella loro cognizione, eppure è sempre in virtù di tale fisiologia chetale accesso deve estrinsecarsi in forme finite, con risorse limitate.Ciò si coglie in maniera dirompente non tanto nella mistica solitaria,

    quanto nella comunità spirituale, e ancor di più nell’incontro/scontrocon altri gruppi.Una prima serie di limiti che la fisica della libertà religiosa impone

    alla sua metafisica deriva dalle dinamiche della comunità. Sappiamodall’etimo di questa parola che essa si oppone all’immunità proprioper la volontà di rinunciare a una certa parte del sé per farne dono algruppo (Leone  b). Ebbene, questa rinuncia è il primo limite, maanche la prima risorsa, che scaturisce dal vivere una fede non in manie-ra solitaria bensì nello scambio con altri umani. È un limite che, al dilà delle diff erenze fra le varie “grammatiche dell’infinito”, incombe su

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    tutti, anche sull’eremita: come si è suggerito, infatti, deve cedere allapressione di una comunità simbolica non soltanto chi condivide conaltri lo spazio e il tempo della spiritualità, ma anche chi ricerchi una

    via del tutto idiosincratica all’infinito. Come non esistono linguaggiindividuali, così non si danno idioletti della spiritualità, nemmenonella follia. Essendo gli umani intrisi di linguaggio, un primo limitedell’umano accesso all’infinito è l’impossibilità della sua solitudine:intrinsecamente, l’umano non esplora l’infinito con una parola chegli appartiene in modo esclusivo, ma con una parola condivisa, nonfoss’altro che per il fatto di essere parola.

    Libertà religiosa, allora, ma sempre con il limite consustanziale che

    impone la dimensione linguistica dell’esistenza, che è poi dal punto divista delle discipline del senso l’esistenza in sé, o il suo fondamento.Nuovo paradosso, dunque: il linguaggio è matrice della libertà umana,intesa come capacità di esplorare il potenziale ad libitum, eppure essoè al contempo sua definizione, ovvero sua costrizione, in quanto ma-trice che pur consentendo tale esplorazione non può esserne trascesa,ma anche in quanto dispositivo condiviso da una specie, ancorato nellasua fisiologia. Insomma, non vi sono superuomini di fronte all’infinito,ma solo uomini.

    L’intrinseca natura comunitaria dello spirituale impone alla metafi-sica della libertà religiosa il limite della condivisione del linguaggioquale dispositivo di esplorazione dell’infinito, ma anche il limite, piùspecifico e concreto, della condivisione di una certa grammatica del-l’infinito. Si può scegliere di vivere la spiritualità nella solitudine delproprio foro interiore, o persino nella “follia” di un supposto idiolettoreligioso, eppure anche in questi casi, come si è detto, emerge l’esi-genza di collocarsi in una semiosfera, ovvero in una congerie di segni,

    discorsi, testi, e linguaggi condivisi da una comunità.Ciò è vero in maniera lancinante nel caso delle culture e tradizionireligiose che hanno solcato la storia dell’umanità e che, come in unprocesso di selezione non naturale ma culturale, hanno vinto la sfi-da, in termini ancora misteriosi e da chiarire, rispetto a quale di essefosse la più appropriata per commisurare l’infinito, per renderlo com-mensurabile, per costruirne la casa e consentirne una sia pur difficilecoabitazione con l’umano. In queste culture e tradizioni nulla è per-fettamente statico: cambiano le lingue naturali, le immagini, le effigi,tutte le forme della ritualità; cambiano senz’altro le interpretazioni dei

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    .   Libertà: metafisica e fisica  

    testi “sacri”; e cambiano persino i testi “sacri”, considerando non solole traduzioni ma anche le modifiche apportate dalle scienze dei testi,o semplicemente dalle ricodifiche prodotte dall’arbitrio interpretativo

    dei gruppi o dei loro leader.Eppure, sia pure in questa nebulosa sempre cangiante che è ogni

    cultura religiosa — la quale come si è detto non può apparire comestaticamente fissa che nella finzione del laboratorio o nella concentra-zione della credenza — anche in questa continua evoluzione i fedelinon sono perfettamente liberi di riarrangiare a proprio piacimento glielementi di una “grammatica dell’infinito”. Affinché tale grammaticasia tale, e affinché essa produca il risultato desiderato di commensura-

    re l’infinitudine e renderla fruibile da una comunità di credenti, talegrammatica deve, di nuovo paradossalmente, imporre limiti, confini,cioè divieti tra percorsi di esplorazione dell’infinito potenziale cherientrano nel patrimonio di una comunità e percorsi che, al contrario,non ne fanno parte. Tali limiti, confini, divieti, possono essere più omeno flessibili, eppure sono indispensabili. Senza le costrizioni di unagrammatica il linguaggio rimane pura virtualità, meccanismo senzaesercizio, dispositivo inceppato, “follia”. È soltanto grazie ai limitialla libertà d’immaginare l’infinito che la casa dell’infinito può esserecostruita e abitata dall’uomo.

    In concreto, e ritornando alla materialità del significante: ognigrammatica dell’infinito, ogni codice di spiritualità, ogni linguaggioreligioso irradia intorno a sé un certo numero di direttrici, le qualiorientano il disporsi dello spazio e del tempo in luoghi e calendari sacri,arrangia le posture e i movimenti dei corpi, le espressioni dei volti, ilproferimento di parole, la costellazione d’immagini, suoni, e sensibiliadi ogni tipo che compongono le atmosfere precipue di una cultura

    religiosa. Da tali direttrici si può tralignare, ma solo fino a un certopunto, pena il rompersi dell’incantesimo che consente la costruzionedi una comunità, il suo fondarsi sul mutuo sacrificio delle idiosincrasiea vantaggio dell’edificazione di una casa comune dell’infinito, di unagrammatica ove come in una danza attori diversi possano all’unisono(o quasi) esplorare l’infinito trasformando il giogo del linguaggio inespressione di poesia condivisa.

    Sbaglia poi chi separa la communitas del religioso dalla sua immu-nitas. Il costituirsi di un edificio comune grazie al dono delle idio-sincrasie non solo unisce, ma separa anche chi a tale dono non è

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    disposto, chi traligna dalle direttrici disegnate da una grammatica, osemplicemente chi di grammatica ne segue un’altra, in condivisionecon un’altra comunità.

    . . Verso una manutenzione dell’infin