2012 Scalise, Morfologia 94

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f.196 Sergio Scalise, Morfologia, il Mulino, Bologna, 1994 PREFAZIONE Questo manuale fa parte di un’opera in quattro volumi dedicata alle strutture del linguaggio: oltre alla presente introduzione alla morfologia, appartengono alla stessa serie un volume sulla fonologia di Marina Nespor, uno sulla sintassi di Giorgio Graffi, ed uno sulla semantica di Gennaro Chierchia. Ognuno di questi quattro lavori è, al tempo stesso, autonomo (nel senso di ‘autosufficiente’) ed integrato con gli altri, non solo per una fitta serie di rimandi interni, ma anche perché tutto il progetto è stato concepito come un insieme unitario. Per la sua realizzazione ci siamo incontrati di frequente a Milano, prima per discutere l’impianto organizzativo da dare ai singoli volumi e gli obiettivi che desideravamo raggiungere, e poi per esaminare i ‘prodotti’ effettivi. Ognuno di noi ha letto e commentato tutti i manoscritti degli altri man mano che erano pronti, capitolo per capitolo. Ciò ha assicurato un alto grado di coesione tra i quattro volumi previsti. Inutile dire che qualche incongruenza è rimasta, a continua memoria dell’imperfezione del lavoro umano... Poiché l’idea iniziale di questa piccola impresa collettiva è stata del sottoscritto, desidero chiarirne le motivazioni. La spinta più forte mi è venuta dall’imbarazzo che puntualmente mi coglie ad ogni inizio d’anno accademico quando devo consigliare agli studenti un manuale di linguistica. Alcuni appaiono ormai invecchiati, altri, più fortemente centrati sulla storia del pensiero linguistico, non forniscono esempi di analisi, altri ancora, seppur di buon livello, presentano tracce troppo evidenti della loro origine anglosassone. Il secondo punto che mi è stato chiaro fin dall’inizio, è che, oggi, dato lo sviluppo degli specialismi nei vari settori, un manuale non può essere scritto da un’unica persona. Devo dire che, alla fine di questo lavoro, ne sono ancora più convinto. Ho quindi illustrato la proposta a colleghi che da anni praticano la loro disciplina con ampi riconoscimenti internazionali: l’idea è piaciuta subito e ci siamo messi al lavoro. /pag. 5/ 1

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f.196 Sergio Scalise, Morfologia, il Mulino, Bologna, 1994

PREFAZIONE

Questo manuale fa parte di un’opera in quattro volumi dedicata alle strutture del linguaggio: oltre alla presente introduzione alla morfologia, appartengono alla stessa serie un volume sulla fonologia di Marina Nespor, uno sulla sintassi di Giorgio Graffi, ed uno sulla semantica di Gennaro Chierchia. Ognuno di questi quattro lavori è, al tempo stesso, autonomo (nel senso di ‘autosufficiente’) ed integrato con gli altri, non solo per una fitta serie di rimandi interni, ma anche perché tutto il progetto è stato concepito come un insieme unitario.

Per la sua realizzazione ci siamo incontrati di frequente a Milano, prima per discutere l’impianto organizzativo da dare ai singoli volumi e gli obiettivi che desideravamo raggiungere, e poi per esaminare i ‘prodotti’ effettivi. Ognuno di noi ha letto e commentato tutti i manoscritti degli altri man mano che erano pronti, capitolo per capitolo. Ciò ha assicurato un alto grado di coesione tra i quattro volumi previsti. Inutile dire che qualche incongruenza è rimasta, a continua memoria dell’imperfezione del lavoro umano...

Poiché l’idea iniziale di questa piccola impresa collettiva è stata del sottoscritto, desidero chiarirne le motivazioni.

La spinta più forte mi è venuta dall’imbarazzo che puntualmente mi coglie ad ogni inizio d’anno accademico quando devo consigliare agli studenti un manuale di linguistica. Alcuni appaiono ormai invecchiati, altri, più fortemente centrati sulla storia del pensiero linguistico, non forniscono esempi di analisi, altri ancora, seppur di buon livello, presentano tracce troppo evidenti della loro origine anglosassone.

Il secondo punto che mi è stato chiaro fin dall’inizio, è che, oggi, dato lo sviluppo degli specialismi nei vari settori, un manuale non può essere scritto da un’unica persona. Devo dire che, alla fine di questo lavoro, ne sono ancora più convinto. Ho quindi illustrato la proposta a colleghi che da anni praticano la loro disciplina con ampi riconoscimenti internazionali: l’idea è piaciuta subito e ci siamo messi al lavoro. /pag. 5/

L’obiettivo principale è stato quello di realizzare un manuale rivolto innanzi tutto agli studenti universitari. Un manuale ‘non tradotto’ (con esemplificazione prevalentemente in italiano), esauriente (senza tendere ad una enciclopedia) e moderno, cercando di sviluppare al massimo la parte metodologica e di ridurre al minimo l’aspetto trattatistico-nozionistico. Abbiamo cercato, così, di rendere trasparente ai lettori (tra i quali, oltre agli studenti, vorremmo contare anche chi si occupa di discipline vicine alla nostra ed il pubblico colto in generale) il meccanismo della ricerca linguistica, il gioco complesso delle ipotesi e della verifica empirica. Abbiamo cercato, inoltre, di fare un manuale che riuscisse a conciliare la specificità della cultura universitaria italiana con il carattere decisamente internazionale degli studi linguistici contemporanei. L’Italia è oggi in grado di produrre ricerche specialistiche di ottimo livello e, di conseguenza, di elaborare strumenti didattici più che adeguati, senza dover ricorrere a traduzioni, come dimostra, ad esempio, la Grande Grammatica di Lorenzo Renzi, pubblicata presso questa stessa casa editrice. È in questo spirito, mirando ad una circolazione non solo nazionale, che abbiamo lavorato per realizzare un manuale “di metodo”, chiaro, e, nei limiti del possibile, aggiornato alle teorie più recenti.

Per quanto riguarda il presente volume, va detto che la morfologia ha subito oscillazioni degne di rilievo nel corso di questo secolo. Schematizzando molto, si può dire che la morfologia è stata ben presente nel programma di indagine della linguistica strutturalistica dall’inizio del Novecento agli anni Cinquanta. Questa ‘attenzione’ derivava dal fatto che il programma della corrente nota col nome di “strutturalismo linguistico” prevedeva che una lingua fosse studiata a partire dai componenti “più piccoli” via via verso i “più grandi”: prima

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veniva lo studio dei suoni (fonologia), poi lo studio delle parole (morfologia), poi lo studio dei sintagmi e delle frasi (sintassi). Tale impostazione ha fatto sì che lo strutturalismo abbia, di fatto, sviluppato fonologia, morfologia e sintassi in misura decrescente.

Con l’avvento della grammatica generativa, la cui data convenzionale si suole far coincidere con la pubblicazione di Strutture della Sintassi di Chomsky, nel 1957, il metodo strutturalistico viene, per così dire, capovolto: di una lingua va studiata, innanzi tutto, la struttura sintattica. ll nuovo programma fa presa nelle comunità scientifiche di tutto il mondo, gli studi sulla sintassi si moltiplicano, i modelli si susseguono. Anche la fonologia subisce un profondo rinnovamento, mentre la morfologia viene letteralmente dimenticata , a parte qualche lavoro isolato, come quello di Lees [1960], dedicato ai composti, dove, comunque, alla morfologia si applicano un po’ troppo meccanicamente le procedure dell’allora nascente sintassi generativa.

Un rinnovato interesse per la morfologia suscita il lavoro pionieristico di Halle [1973], che postula l’esistenza di regole specificamente morfologiche . Da questo momento in poi il panorama cambia ad un ritmo vertiginoso: continuano il lavoro di Halle, Dorothy Siegel [1974], che imposta una morfologia basata su livelli diversi; Jackendoff [1975], / pag. 6 / che studia il rapporto tra la parte formale e la parte semantica delle operazioni morfologiche; si giunge così ad Aronoff [1976], il quale, con la prima monografia organica sull’argomento, fonda un intero settore disciplinare. Aronoff affina la nozione di regola, imposta in modo sistematico la nozione di restrizione sulle regole morfologiche, intravvede l’importanza della produttività, e 1) propone una morfologia “basata sulle parole” (e non sui morfemi). Seguono poi varie applicazioni, quella di Booij [1977] all’olandese; di Allen [1978] all’inglese (che allarga anche la discussione ai composti); di Pesetsky [1979] al russo; di Scalise [1980] all’italiano. Altri tre lavori - di Lieber [1980], Williams [1981], e Selkirk [19821 - raffinano le ipotesi precedenti, introducono altre nozioni importanti, rafforzando definitivamente il campo.

Questo è il nucleo originario di una teoria morfologica nota col nome di Morfologia Lessicale. Ovviamente, questa non è l’unica teoria oggi esistente in ambito internazionale: esistono anche la 1) “Morfologia Funzionale [Dik 1979] , 2) la Morfologia Naturale [Dressler et al. 1987], la 3) Morfologia Non Lineare [McCarthy 1979]. A queste va aggiunta, inoltre, la cosiddetta Morfologia Estesa “Parole e Paradigmi” - ad opera soprattutto di Anderson [1982], Thomas-Flinders [1981], ed altri che si rifanno al modello di Matthews [1972] - nata principalmente allo scopo di render conto dei fenomeni flessivi.

A tutt’oggi, la morfologia è un settore disciplinare molto vivace, ricco di ipotesi, di indagini empiriche applicate ormai a moltissime lingue. L’approfondimento della ricerca in morfologia ha avuto conseguenze rilevanti per tutti gli altri settori della linguistica, divenendo un campo di studi riconosciuto, dove teorie diverse possono essere misurate sulla base dei risultati prodotti e della semplicità e coerenza delle analisi proposte.

In Italia, tra le varie teorie elencate sopra, quelle maggiormente presenti sono la 1) Morfologia Lessicale e 2) la Morfologia Naturale. Questo manuale si inserisce nella linea della Morfologia Lessicale, teoria caratterizzata da assunti molto semplici e da obiettivi mediamente ambiziosi, che presenta il vantaggio di essere altamente integrabile ed ormai consolidata da quasi due decenni di intensa ricerca in tutto il mondo.

È una sensazione confortante quella di sentirsi parte di una comunità scientifica, ed è questo che ho provato dando in lettura le diverse versioni del mio manoscritto a molti colleghi ed amici, ricevendone una grande quantità di osservazioni critiche, di spunti che hanno decisamente migliorato il testo. Ai miei ‘soci’ Marina, Giorgio e Gennaro va un ringraziamento caloroso per l’infinita serie di commenti e di suggerimenti. Ha inizialmente fatto parte del gruppo anche Emilio Manzotti, che ringrazio altrettanto calorosamente per le discussioni programmatiche e per la lettura dei capitoli iniziali. Ringrazio Paolo Ramat, che ha letto e commentato il capitolo sulla tipologia.

Sono molto grato anche ad Andrea Fassò dell’Università di Bologna, ed a Sharon

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Peperkamp dell’Università di Amsterdam (borsista, all’epoca, presso l’Università di Ferrara), per una lettura accurata del manoscritto. Ringrazio, inoltre, Annamaria Thornton ed Antonietta Bisetto che hanno letto il manoscritto da specialiste fornendomi, con grande generosità e competenza, indicazioni indispensabili. /pag. 7/

Un ringraziamento particolare va ad Alberto Mioni che ha ‘tempestato’ il manoscritto di osservazioni critiche ed ha discusso con me su molte questioni, e a Giulio Lepschy, che ho disturbato nel bel mezzo delle sue vacanze con pacchi di posta celere, fax e telefonate: i loro commenti, acuti e rilevanti come sempre, hanno migliorato in modo decisivo il testo qui presentato. Lepschy, poi (ma come fa?), risponde a tutti ed a tutto praticamente a stretto giro di posta... A lui debbo anche parole di incoraggiamento, per le quali gli sono molto grato.

Naturalmente, la responsabilità della redazione finale di questo manuale non può che restare del suo autore.

Non avrei potuto portare a compimento questo lavoro senza attingere ai fondi ministeriali del 40% e del 60% e senza ricorrere alle strutture della Facoltà di Lettere e Filosofia di Ferrara.

Gli amici de “Il Mulino” hanno subito reagito positivamente all’idea di un manuale collettivo di linguistica. In particolare, mi è gradito ringraziare Ugo Berti, con il quale ho discusso un primissimo piano dell’opera e dal quale ho avuto tutto l’appoggio necessario per impostare il lavoro e Nicola Rainò e Biagio Forino per la precisione e l’accuratezza con cui hanno seguito la produzione di questo libro. Mala collaborazione di tutta la casa editrice è stata decisiva per poter ultimare il lavoro intrapreso.

Ho scritto parte di questo manuale durante un periodo particolarmente complesso della mia vita professionale: facendo il Preside di Facoltà a Ferrara. La difficoltà maggiore è stata quella di trovare la concentrazione necessaria tra le mille piccole, ma ben collaudate, assurdità della nostra burocrazia. In questo sforzo, a volte davvero arduo, ho sempre avuto accanto Loretta, cui dedico questo lavoro. /pag. 8/

S. S.

Suoni dell’italiano(nella trascrizione dell’Alfabeto Fonetico Internazionale)

CONSONANTI E SEMICONSONANTIp occlusiva, bilabiale, sorda come in pappa, impero, rimpiantob occlusiva, bilabiale, sonora come in-bar, rabbià, ambientet occlusiva, dentale, sorda come in tutto, tara, ratad occlusiva, dentale, sonora come in dado, indice, addiok occlusiva, velare, sorda come in caro, bacca, ancheg occlusiva, velare, sonora come in gara, angolo, leggof fricativa, labiodentale, sorda come in faro, afa, baffov fricativa, labiodentale, sonora come in varo, avido, avvios sibilante, alveolare, sorda come in scarpa, sale, rebus, assez sibilante, alveolare, sonora come in rosa, sbaglio, asinoS sibilante, palatoalveolare, sorda come in sciame, asceta, scienzaZ sibilante, palatoalveolare, sonora come in garagets affricata, alveolare, sorda come in stazione, pazzia, oziodz affricata, alveolare, sonora come in zanzara, azzerato, zaffirotS affricata, palatoalveolare, sorda come in ciao, cenere, acinodZ affricata, palatoalveolare, sonora come in ragione, giro, raggiom nasale, bilabiale come in maremma, amo, impervio nasale, labiodentale come in invidia, arifibio, infuriato

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n nasale, alveolare come in nonno, antico, insidia¯ nasale, palatale come in ragno, gnomo, agnello˜ nasale, velare come in anche, angusto, inchiostrol laterale, alveolare come in albero, alloro, lato¥ laterale, palatale come in aglio, gli, pagliar vibrante, alveolare come in raro, ferro, arietej semiconsonante, palatale come in iodio, aia, arpionew semiconsonante, labiovelare come in uomo, quadro, ruota

VOCALIi anteriore, alta, labbra distese come in pino, ira, ramiu posteriore, alta, labbra arrotondate come in uva, puro, ciurmae anteriore, media, labbra distese come in nero, edera, perchéo posteriore, media, labbra arrotondate come in rosso, odioso, artoE anteriore, medio-bassa, labbra distese come in bene, festa, èO posteriore, medio-bassa, labbra arrotondate come in poveri, oro, porroa centrale bassa, labbra distese come in lama, arso, fiaba

INDICEI. Grammatica e morfologia 17

1.0. Introduzione 171.1. La grammatica 18

1.1.1. Organizzazione della grammatica 201.2. Morfologia 221.3. Morfologia e altri componenti 24

1.3.1. Morfologia e fonologia 241.3.2. Morfologia e semantica 251.3.3. Morfologia e sintassi 27

1.4. Identificazione delle categorie 291.4.1. La nozione di contesto 301.4.2. I1 criterio distribuzionale 32

1.5. Morfologia come classificazione delle “parti del discorso” 331.6. Morfologia come processo 341.7. La base empirica della morfologia 35

1.7.1. Il corpus 361.7.2. Corpus e segmentazione 381.7.3. La competenza dei parlanti 391.7.4. Morfologia minore 41

1.8. Sommario 421.9. Indicazioni bibliografiche 42

II. Morfema e parola 452.0. Introduzione 452.1. Morfema 45

2.1.1. Morfema e allomorfi 462.1.2. Analisi in morfemi 472.1.3. Morfemi liberi e morfemi legati 532.1.4. Morfemi lessicali e morfemi grammaticali 532.1.5. Analisi in costituenti 542.1.6. I1 morfema classico 552.1.7. Problematicità della nozione di morfema 56

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2.2. La parola come “primitivo” 592.2.1. Problematicità della nozione di “parola” 602.2.2. Tema e radice 632.2.3. Forma di citazione 642.2.4. Parola come “parola astratta” 65

2.3. Sommario 682.4. Indicazioni bibliografiche 69

III. Rappresentazioni lessicali 713.0. Introduzione 713.1. Ancora su morfologia e sintassi 71

3.1.1. Memorizzato vs. costruito tramite regole 723.1.2. Esistente vs. Possibile 743.1.3. Struttura interna vs. struttura esterna 753.1.4. Parole semplici e parole complesse 76

3.2. Obiettivi di una teoria morfologica 773.3. Rappresentazione 78

3.3.1. Unità del componente lessicale 783.3.2. Confini e parentesi 793.3.3. Parole semplici 803.3.4. Semiparole 813.3.5. Lessicalizzazioni 813.3.6. Affissi 82

3.4. Entrate lessicali 823.4.1. Quadri di sottocategorizzazione 833.4.2. Struttura Argomentale 88

3.5. Sommario 903.6. Indicazioni bibliografiche 91

IV. Le Regole di Formazione di Parola 934.0. Introduzione 934.1. Generalità 944.2. Le Regole di Formazione di Parola (RFP) 96

4.2.1. Semantica delle RFP 1014.2.2. Le RFP costruiscono struttura 1034.2.3. Le RFP agiscono su parole 1044.2.4. Produttività 1064.2.5. Centro e periferia delle RFP 107

4.3. Restrizioni sulle RFP 1084.3.1. Restrizioni sintattiche 1084.3.2. Restrizioni semantiche 1094.3.3. Restrizioni fonologiche 1124.3.4. Restrizioni morfologiche 1134.3.5. Tratti di strato 1154.3.6. Restrizioni sull’uscita 116

4.4. Sommario 1184.5. Indicazioni bibliografiche 119

V. Composizione 1215.0. Introduzione 1215.1. Composizione 122

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5.2. Composti dell’italiano 1235.3. Composti larghi e composti stretti 1255.4. Testa dei composti 127

5.4.1. Ancora sulla testa dei composti 1295.4.2. Testa nei composti “latini” 1295.4.3. Testa e calchi dall’inglese 131

5.5. Composti endocentrici e composti esocentrici 1325.6. Composti di subordinazione e composti di coordinazione 133

5.7. Composti Verbo + Nome 1345.8. Composizione e derivazione 1365.9. Composizione e flessione 137

5.9.1.Flessione di Parola2 e flessione di tutto ilcomposto 1385.10. Composti e sintagmi 139

5.10.1. Incorporazione 1445.10.2. Composti e struttura argomentale 144

5.11. Sommario 1485.12. Indicazioni bibliografiche 149

VI. Le Regole di Riaggiustamento 1516.0. Introduzione 1516.1. Regole di Riaggiustamento e Regole Fonologiche 1526.2. Regole di Cancellazione 154

6.2.1. Cancellazione di vocale in suffissazione 1546.2.2. Cancellazione di vocale con gli avverbi in-mente 1566.2.3. Cancellazione di vocale in prefissazione 1576.2.4. Cancellazione di vocale in composizione 1586.2.5. Cancellazione di sillaba 1606.2.6. Cancellazione di suffisso in derivazione 1636.2.7. Cancellazione di suffisso in composizione 165

6.3. Regole di allomorfia 1666.4. Altre regole 169

6.4.1. Regole di inserzione in derivazione 1696.4.2. Regole della composizione dotta 1716.4.3. Regola di palatalizzazione delle velari 172

6.5. Regole di ríaggiustamento dell’accento secondario 1746.6. Sommario 1796.7. Indicazioni bibliografiche 180

VII. La nozione di testa 1817.0. Introduzione 1817.1. Percolazione 1837.2. La testa nelle parole suffissate 184

7.2.1. Stessa categoria e tratti diversi 1857.2.2. Stessa categoria e stessi tratti 187

7.3. La testa nelle parole prefissate 1887.3.1. Un controesempio in inglese 189

7.4. La testa nelle parole flesse 1917.5. La testa nelle parole composte 1937.6. Testa sintattica e testa semantica 1957.7. Sommario 1967.8. Indicazioni bibliografiche 197

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VIII. Condizioni sulle Regole di Formazione di Parola 1998.0. Introduzione 1998.1. L’integrità lessicale 1998.2. La condizione di adiacenza 2018.3. L’ipotesi della base non flessa 2058.4. La condizione sui sintagmi 2088.5. La base unica 210

8.5.1. N, V, A + Suffisso 2128.5.2. N, V + ata 2138.5.3. Base unica e deverbali 215

8.6. Ramificazione binaria 2178.6.1. I parasíntetici 2188.7. I1 blocco 2228.8. Sommario 2258.9. Indicazioni bibliografiche 227

IX. Interazione tra le regole 2299.0. Introduzione 2299.1. Regole di derivazione e regole di flessione 2299.2. Regole di composizione e regole di derivazione 2379.3. Regole di composizione e regole di flessione 2419.4. Combinazioni di affissi 241

9.4.1. Combinazioni di suffissi 2419.4.2. Combinazioni di prefissi 2449.4.3. Ricorsività 2449.4.4. Combinazioni di suffissi e prefissi 246

9.5. Struttura interna delle parole derivate 2479.5.1. Quale struttura? 2479.5.2. Quale categoria? 2489.5.3. Quale semantica? 249

9.6. Struttura interna delle parole flesse 2519.7. Sommario 2549.8. Indicazioni bibliografiche 256

X. Alcuni casi speciali 25710.0. Introduzione 25710.1. Prefissazione 258

10.1.1. Classificazioni 26010.1.2. Prefissi verbali 262

10.2. Suffissi valutativi 26410.3. I pronomi clítici 26710.4. Semiparole 26910.5. Suffisso zero 271

10.5.1. I1 participio passato e il suffisso zero 27210.5.2. Un falso caso di suffisso zero? 274

10.6. Allomorfia della base o del suffisso? 27510.7. Allomorfia e suppletivismo 27910.8. Sommario 28110.9. Indicazioni bibliografiche 282

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XI. Questioni di tipologia 28311.0. Introduzione 28311.1. Tipologia morfologica 28311.2. Non esistono tipi puri 287

11.2.1. Violazioni della corrispondenza uno-a uno 28811.3. Tipologia basata sull’ordine delle parole 28911.4. Morfologie concatenative e morfologie non concatenative 292

11.4.1. Il suffisso -able 29311.4.2. Approccio multilineare 29511.4.3. Reduplicazione 297

11.5. Sommario 29811.6. Indicazioni bibliografiche 299

XII. Conclusioni e riepilogo: la morfologia dell’italiano 301

CAPITOLO 1: GRAMATICA E MORFOLOGIA

1.0. Introduzione

Nel presente capitolo verrà introdotto il quadro teorico generale all’interno del quale opereremo, che è quello della grammatica generativa. Tale teoria, sviluppata da Noam Chomsky a partire dagli anni Cinquanta, è soprattutto una teoria del linguaggio umano, inteso come il principale dei sistemi cognitivi che gli esseri umani hanno per dotazione biologica. I parlanti di una lingua hanno uri insieme di conoscenze (per lo più inconsapevoli) relative alla propria lingua che costituiscono la loro competenza linguistica. ll linguista cerca di costruire una g r a m m a t i c a, vale a dire un modello di tale competenza.

Il linguista formula cioè delle ipotesi sulle conoscenze linguistiche dei parlanti, vale a dire tutto ciò che i parlanti di una data lingua “sanno” per poter parlare come parlano e per poter capire una lingua come la capiscono. Forse non siamo consapevoli del fatto che le conoscenze linguistiche che abbiamo della nostra lingua sono immense. Non ne siamo consapevoli così come, pur sapendo camminare, ignoriamo cosa davvero facciamo per muovere un passo: l’altissimo numero di muscoli implicati, tutti gli spostamenti del corpo, delle braccia, tutti i fatti di equilibrio che entrano in gioco. Il linguaggio non è meno complesso: per esempio, per pronunciare una [b] dobbiamo provocare un flusso di aria egressivo (dai polmoni verso l’esterno), l’aria passa ai bronchi e quindi alla trachea, attraversa la laringe, dove le corde vocali vibrano, l’aria si accumula poi dietro le labbra che restano chiuse per un istante prima di aprirsi in modo da causare una sorta di esplosione.

Si pensi ora a cosa è necessario “sapere” e “fare” per realizzare una parola come decongestionamento: non solo si debbono mettere insieme diciotto suoni, ma anche diverse sottoparti. Poniamo che si tratti di sei “ sottoparti” diverse, (de-congest-ion-a-ment-o), ebbene la combinazione /pag. 17/ di queste parti non è casuale e non è priva di problemi: -mento non si può aggiungere a tutte le parole in -ione (cfr. delusione -> *delusionamento2, concussione ---> *concussionamento), e d’altra parte -ione non si può aggiungere liberamente a qualsiasi tipo di parola (tavolo -> *tavolione, povero ---> *poverione). L’ordine delle sottoparti è quello dato e non può essere altrimenti: non si può dire *decongestamentione con l’inversione di -mento e di -ione, ecc.

Si pensi ancora alle capacità necessarie per costruire frasi complesse come la seguente: Se solo avessi potuto lontanissimamente immaginare l’uso che avevi intenzione di fare di quel

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flauto - un uso, lasciamelo dire, francamente improprio - pensi tu che mi sarei data tanto da fare prima per andare a cercarlo in soffitta, poi per toglierlo dal suo contenitore ed infine per spedirtelo tramite un corriere espresso fino a Maglie?. In una frase come questa ci sono fatti di sintassi assai complessi (subordinazione e coordinazione, frasi ipotetiche, frasi interrogative, parentetiche, ecc.), ci sono fatti di accordo, di reggenza ecc. di enorme complicazione. Anche la comprensione del significato di una frase come quella appena citata non è cosa di poco conto. Di tutte queste questioni si occupa la “grammatica” che, come vedremo, è suddivisa in vari componenti, quello fonologico, quello morfologico, quello sintattico e quello semantico3.

In questo primo capitolo, dopo aver introdotto la nozione di grammatica (l. L) daremo un primo, approssimativo, quadro di cosa si intende per morfologia (1.2.) e di come essa interagisca con gli altri componenti della grammatica (1.3. ). Passeremo poi a discutere i modi in cui vengono identificate le cosiddette parti del discorso (1.4.) e discuteremo due approcci alternativi (1.5. e 1.6.) per finire col dare una risposta alla domanda: quali sono i dati di cui la morfologia deve rendere conto? (1.7. ).

1.1. La grammaticaLa “grammatica”, intesa come quel sistema cognitivo che i parlanti di una lingua hanno

interiorizzato, è concepita nelle teorie correnti come un insieme modulare. 1 vari moduli, o c o m p o n e n t i4 corrispondono, grosso modo, a quelli che, in tradizioni linguistiche precedenti, si chiamavano 1 i v e 11 i 1 i n g u i s t i c i. Fondamentalmente, una grammatica consta, al minimo, dei seguenti componenti: /pag. 18/

______________2 Qui ed in seguito, un asterisco premesso ad una stringa (parola, gruppo di parole, frase),

indica che quella stringa è non grammaticale, non ben formata. Sulla nozione di b u o n a f o r m a z i o n e, cfr. 1.1. più avanti e [SINTASSI 1.1.1.].

3 A questi componenti, si può aggiungere quello pragmatico testuale, che in questo libro, però, non discuteremo. Cfr. Levinson [1983].

4 Un componente è un sottosistema coerente di regole che formano un livello di rappresentazione o che collegano un livello di rappresentazione ad un altro. Cfr. Sproat [1985: 480].

FONOLOGIAMORFOLOGIA

SINTASSISEMANTICA

Una grammatica esplicita deve a) avanzare proposte su qual è la struttura interna di ogni componente e b) avanzare ipotesi sui modi in cui questi componenti interagiscono tra di loro per poter produrre il risultato finale e cioè frasi ben formate5 di una data lingua.

Non ci addentreremo qui in questo compito difficile e delicato; il nostro obiettivo in questo volume è di sviluppare nei dettagli quel componente che nella fig. 1.1. abbiamo chiamato m o r f o 1 o g i a. La morfologia è - a dire il vero - a sua volta parte di un componente più ampio, il componente lessicale che è composto da un 1 e s s i c o vero e proprio (o Dizionario) e da un insieme di regole morfologiche. Possiamo schematizzare la struttura interna di questo componente nel modo seguente :

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Componente Lessicale

LESSICO

REGOLE MORFOLOGICHE

Ogni componente della grammatica consta di determinati elementi di base e di regole per combinare tali elementi6. Per esempio, la fonologia consta di suoni e di regole per combinare i suoni in sequenze ben formate o grammaticali (parole e frasi). La fonologia dell’italiano consterà dunque di un inventario di suoni come ad esempio [a], [e], [p], [n]7, ecc. e di regole che permettano la formazione della sequenza [pane],

____________5 La buona formazione è come una condizione sul prodotto della grammatica, cfr.

[SINTASSI 1.3.2.]. La grammatica deve produrre (o “generare”) stringhe (cioè sequenze) ben formate, siano esse frasi, combinazioni di parole o parole. Una frase come I quadri trafugati furono ben presto ritrovati è una frase ben formata, al contrario di I trafugati ritrovati furono quadri presto ben. Una combinazione di parole come con sette valige èben formata al contrario di valige sette con. Una parola come divertentissimo è ben formata di contro a úsimodivertent che è malformata.

6 Con i limiti con cui valgono i paragoni si può dire che anche la chimica consta di elementi di base e di “regole” per combinarli. Ad esempio per ottenere l’elemento complesso “acqua” c’è bisogno dei due elementi semplici H (idrogeno) e O (ossigeno). Questi due elementi vanno però combinati in certi modi e non in altri (due parti di idrogeno e una di ossigeno) per ottenere il prodotto finale corretto H20.

In fonologia, le parentesi quadre racchiudono dei suoni (ad es. [a], [s], ecc. Cfr. [FONOLOGIA 1.2.]). In morfologia, come si vedrà più avanti, le parentesi quadre racchiudono parole (ad es. [libro], [donna], ecc.). /pag. 19/che è una sequenza grammaticale in italiano (è una parola ben formata) ma che escludano la sequenza *[pnae] che è costituita sì dagli stessi elementi ma che non è ben formata.

Allo stesso modo, il componente lessicale consta di unità di base (vedremo quali) e di regole che le combinano in modo da produrre tutte le parole di una data lingua, dalle più semplici alle più complesse. Ad esempio, per formare la parola barista si parte dall’unità di base bar (che è rappresentata nel Lessico) alla quale le Regole Morfologiche aggiungeranno - secondo modalità che si verranno chiarendo via via -il suffisso -ista. Le regole non dovranno formare, per contro, sequenze malformate. Così, vi saranno dei meccanismi che eviteranno di aggiungere -ista ad una parola come avventuroso, dato che *avventurosista non è una sequenza ben formata.

1.1.1. Organizzazione della grammatica1 componenti visti nella fig. 1.1. interagiscono naturalmente tra di loro in vari modi.

Un’ipotesi di come questi componenti debbano interagire costituisce già una teoria sul linguaggio umano. In questi ultimi trent’anni è stata molto accreditata in ambito internazionale la teoria cosiddetta generativo - trasformazionale che ha avuto il grande merito di sviluppare tutti i componenti della fig. 1.1., anche se il componente più studiato è stato

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quello sintattico. Seguiremo qui tale impostazione che vede i componenti di cui sopra organizzati come segue1:

Componente Componentedi struttura sintagmatica lessicale

struttura sintattica profonda

Sintassi(movimenti)

struttura sintattica superficiale

Fonologia Semantica_______

1. I termini “struttura profonda> e “struttura superficiale” sono stati sostituiti in tempi più recenti rispettivamente da “ struttura-p” e “struttura-s”. /pag. 20/

Questa proposta di organizzazione della grammatica si può descrivere (semplificando molto) nei termini seguenti. Vi è un primo componente (quello chiamato di struttura sintagmatica) che introduce la struttura di base di una frase. In particolare, introduce le categorie di cui è costituita una frase. Tali categorie sono rappresentate in un diagramma ad a1b ero1 come esemplificato in (1):

(1)F

SN SV

Det N V SN

Det N

(1) rappresenta la struttura profonda di tutte le frasi dichiarative attive semplici. Il diagramma si legge come segue: una Frase (F) è analizzabile in due sintagmi2: il Sintagma Nominale (SN) e il Sintagma Verbale (SV); a loro volta questi due sintagmi sono analizzabili il primo in un Determinante (Det) e in un Nome (N) e il secondo in un Verbo (V) e in un Sintagma Nominale. Quest’ultimo è ancora analizzabile in un Determinante e in un Nome.

In questa struttura (se si vuol realizzare, ad esempio, una frase come Il fornaio vende il pane) si dovranno inserire le singole parole dal componente lessicale; si otterrà così un diagramma ad albero come quello seguente, dove in corrispondenza alle varie categorie Det. N, V, sono state inserite le parole specifiche:

F

SN SV

Det N V SN

Det N

il fornaio vende il pane

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(2)

_______1. Tecnicamente, tale diagramma è chiamato indicatore sintagmatico (ingl. phrase marker).2. Un sintagma è un’unità del livello sintattico. È, di norma, “più grande” di una parola e “più piccolo” di una Frase. Le unità che formano un sintagma hanno una certa coesione interna e sono spostate in blocco dalle regole di movimento. La casa, scrivere lettere, con le valigie, sono esempi di sintagmi, nominale il primo, verbale il secondo e preposizionale il terzo. /pag. 21/

Ad ogni livello della rappresentazione ad albero corrisponde una rappresentazione, del tutto equivalente, con parentesi etichettate:

(3) a. [il fornaio vende il pane]F

b. [[il fornaio]SN [vende il pane]SV]F

c. [[[il]Det[fornaio]N]SN[[vende]V [il pane]SN]SV]F

d. [[[il]Det[fornaio]N]SN[[vende]v [[il]Det[pane]N]SN]sv]F

(3a) rappresenta il livello “frase”; (3b) rappresenta il livello in cui la frase è analizzata in un sintagma nominale e in un sintagma verbale, e così via.

Alla struttura in (2) si possono poi applicare diversi tipi di regole sintattiche (trasformazioni) che sono sostanzialmente regole di movimento. Per esempio la sequenza SN + SV può essere mutata in SV + SN, ciò che dà luogo all’interrogativa vende il pane il fornaio?.

A questo punto, la struttura superficiale della frase riceve un’interpretazione fonologica e un’interpretazione semantica. Ritornando ora alla parte che qui ci interessa, vediamo in prima approssimazione in che cosa consiste la morfologia.

1.2. MorfologiaSu cosa sia la morfologia, quali i suoi compiti, quali le sue relazioni con gli altri

componenti della grammatica, diverse teorie hanno dato risposte diverse. La morfologia infatti è stata definita di volta in volta come lo “studio delle forme”, lo “studio della struttura delle parole”, lo “studio delle regole che reggono la struttura interna delle parole nella loro formazione e nella loro flessione”, ecc. In 1.5. e s. ritorneremo su queste definizioni. Per ora, ci limitiamo a constatare che nel quadro dato sopra (cfr. la fig. 1.2.), la morfologia consta di regole che si applicano alle unità del lessico.

Tali regole dovranno formare (e quindi ‘definire’) l’insieme delle parole possibili in una data lingua L (cfr. il cap. 3). Ma devono altresì definire quali sono i processi morfologici possibili (cfr. il cap. 4), stabilire su che basi un processo morfologico è diverso da un processo fonologico (cfr. 1.3.1.) o sintattico (1.3.3. e 3.1.) e definire i principi generali della formazione delle parole (cfr. il cap. 4).

I processi morfologici più comuni sono 1) la derivazione e 2) la composizione. Accanto a queste bisogna poi collocare la 3) f 1 e s s i o n e, anch’essa un processo morfologico ma di natura diversa, come sarà chiaro più avanti. Il termine “derivazione” raggruppa tre diversi processi: /pag. 22/(4)

Derivazione(affissi)

Prefissazione Infissazione Suffissazione(prefissi) (infissi) (suffissi)

Si può definire la derivazione come aggiunta di un affisso ad una parola. Se l’affisso si aggiunge a sinistra della parola, allora l’affisso sarà un prefisso e il processo si chiamerà di prefissazione (5a); se l’affisso si aggiunge a destra della parola, allora l’affisso sarà un

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suffisso e il processo si chiamerà di suffissazione (5b); se l’affisso si aggiunge nel mezzo della parola, allora l’affisso sarà un infisso e il processo si chiamerà di infissazione (5c):(5) a. marito ex + marito (prefissaxione)

b. dolce dolce + mente (suffissaxione )c. cantare cant + icchi + are (infissaxione) 1

La composizione forma invece parole nuove a partire da due parole esistenti(6) capo, stazione capostazione

dolce, amaro dolceamaroLa flessione è un processo nel senso che ‘aggiunge’ alla parola di base informazioni

relative a genere, numero, caso, tempo, modo, voce, aspetto 2 come si vede qui sotto:(7) genere: bello ––––> bella

numero: bello ––––> bellicaso: lat. rosa ––––> rosam ‘rosa - la rosa (acc.)’tempo: ama ––––> amavamodo: ama ––––> amandovoce lat. amo -j ––––> amor ‘amo - sono amato’aspetto: scrivo ––––> sto scrivendo

______________1. L’italiano, in realtà, non possiede infissi per formare parole nuove (nell’esempio dato l’infisso aggiunge al verbo un valore frequentativo). Per un esempio di infissazione che forma una parola nuova, cfr. il tagalog (lingua parlata nelle Filippine), dove su:lat ‘uno scritto’ può diventare sumu:lat ‘uno che scrisse’ tramite infissazione di um. Cfr. Bloomfield [1933 (1974: 218)].2. In italiano, il genere può essere maschile (allegro) o femminile (allegra); il numero singolare (allegro) o plurale (allegri); il tempo presente (amo), passato (amai) o futuro (amerò); il modo indicativo (amo), congiuntivo (che io ami), condizionale (amerei), ecc.; la voce (o diatesi) attiva (amo) o passiva (sono amato); l’aspetto imperfettivo abituale (scrivo), durativo (sto scrivendo), perfettivo (scrissi). L’italiano non ha casi (se non dei ‘residui’ nel sistema pronominale: io, me, mi). /pag. 23/

La flessione funziona nello stesso modo sia nelle parole semplici (8a), sia nelle parole derivate (8b), sia nelle parole composte (8c), come si vede qui sotto per la formazione del plurale:(8) a. Dolce ––––> dolci

b. Dolciume ––––> dolciumic. Dolceamaro ––––> dolceamari

Quelli appena elencati sono i processi morfologici più comuni dell’italiano. Naturalmente non esauriscono l’intero campo delle possibilità delle lingue del mondo, le quali ricorrono ad una grande varietà di processi 1 come avremo modo di illustrare più avanti.

1.3. Morfologia e altri componentiNel quadro che abbìamo sin qui delineato, le regole morfologiche costituiscono un

sottoinsieme specifico ed autonomo della grammatica. Tali regole non agiscono però del tutto isolatamente rispetto agli altri componenti della grammatica. La morfologia interagisce in modi complessi con tutti gli altri componenti, come si vedrà brevemente nei prossimi tre paragrafi e come sarà più chiaro nel corso di tutto questo manuale.

1.3.1. Morfologia e fonologiaMorfologia e fonologia interagiscono in modi assai complessi. Innanzi tutto perché nelle

lingue del mondo vi sono processi morfologici che si realizzano attraverso un processo esclusivamente fonologico. Per esempio in inglese vi è una classe di nomi che si differenziano

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dal verbo corrispondente solo per la posizione dell’accento2:

(9) Verbo Nomecontrást cóntrast ‘contrastare - contrasto’impórt ímport ‘importare - importazione’tormént tórment ‘tormentare - tormento’

La formazione del plurale in tedesco può realizzarsi sia attraverso un processo morfologico, come in (l0a) (aggiunta di una desinenza di plurale), sia attraverso un processo fonologico, come in (l0b) (mutamento del timbro di una vocale), sia attraverso una combinazione dei due, come in (l0c):

__________1. Per esempio: spostamento di accento allungamento vocalico, tono, apofonia,

reduplicazione, cambiamento consonantico, suffisso zero (o conversione), ecc. Diversi di questi fenomeni saranno illustrati e discussi nelle pagine seguenti.

2. In italiano sono invece frequenti differenze di tempo legate all’accento, cfr. porto versus porto, càpito versus capito versus capito. /pag. 24/(10) singolare plurale

a. Berg Berg+e ‘montagna/e’b. Apfel Äpfel ‘mela/e’c. Artz Ärtze ‘medico/i’

Vi sono poi processi morfologici che causano l’applicazione di regole fonologiche.Si considerino due parole come dúttile e sottile: hanno l’accento in posizioni diverse.

L’aggiunta del suffisso -mente fa sì che le due parole derivate (duttilménte e sottilménte) abbiano uno schema accentuale identico. Vi sono pertanto delle regole fonologiche (che spostano gli accenti delle parole) che entrano in funzione in seguito all’opèrazione di regole morfologiche (aggiunta di un suffisso).

Le regole fonologiche ‘indotte’ da quelle morfologiche non riguardano solo fatti accentuali. Si pronuncino le due parole amico e amici: si noterà che nella prima vi è una velare [k], laddove nella seconda vi èuna palatale [tS]. È l’aggiunta della vocale i (un processo morfologico per la formazione del plurale) che causa la palatalizzazione di [k] in [tS] (un processo fonologico).

I rapporti tra fonologia e morfologia sono stati sempre al centro delle varie teorie linguistiche, al punto che nella tradizione strutturalista 24 si era individuato un livello intermedio tra questi due, chiamato appunto “morfofonemica” (o “morfofonologia”) e nella tradizione generativa più recente si è sviluppato un intero modello di fonologia, basato sui rapporti tra regole morfologiche e regole fonologiche, detto “fonologia lessicale”.

Ai rapporti tra fonologia e morfologia sarà dedicato l’intero capito1o VI.

1.3.2. Morfologia e semanticaLa semantica, che si occupa del significato delle parole 1 è rilevante per la morfologia sotto

diversi aspetti, innanzi tutto perché un processo morfologíco in genere modifica non solo la forma ma anche il significato della parola di b a s e, e poi perché il significato delle parole può favorire o bloccare determinati processi morfologici.

Che i processi morfologici cambino il significato delle parole, si può facilmente constatare:911) statalizzare ––––> destatalizzare

bagnasciuga ––––> bagnaasciugacane ––––> canile

______1. Questa definizione riguarda la semantica lessicale, cui si può opporre una semantica

frasale che si occupa del significato delle frasi. /pag. 25/

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In (11), infatti le parole a destra della freccia non hanno lo stesso significato delle parole da cui derivano.

Ma vi sono fatti assai più sottili di questo. Per esempio, i processi morfologici non si applicano globalmente a tutti i significati e sottosignificati che una parola può avere. Al contrario, operano delle scelte. Per esempio, la parola rivoluzione ha sia il significato a) ‘rivolgimento dell’ordine politico-sociale’ che il significato b) ‘movimento di un corpo intorno a un asse’. Se formiamo la parola rivoluzionario è evidente che è stato selezionato, per così dire, il significato (a), ad esclusione del significato (b ).

Un processo derivazionale può essere bloccato dall’esistenza di una parola con significato contrario. In (12a) si vede che ad un aggettivo si può premettere un prefisso negativo, ma se esiste (come in (12b)) un contrario che già esprime quel significato, il processo è bloccato.(12) a. elegante –––> in + elegante

b. bello –––> *in +bello (brutto)Il significato delle parole è dunque molto importante per i processi morfologici, non solo

perché tali processi cambiano il significato delle parole ma anche perché il significato delle parole di base può condizionare in vari modi l’applicazione (o la mancata applicazione) dei processi in questione.

Va tenuto presente che il cambiamento di significato operato da processi sincronici e produttivi è sempre regolare e prevedibile. Le irregolarità di significato nascono quando una parola non è più formata tramite regole ma è immagazzinata nel lessico e, col tempo, assume significati imprevedibili, idiosincratici.

Quando le parole sono formate tramite regole produttive, hanno significato composizionale1: il loro significato globale è cioè ricavabile in maniera regolare dalla combinazione dei significati dei singoli componenti che la costituiscono:(13) ricicla + bile

lava + bilerimedia + bile

1. Una parola (o una frase) ha significato composizionale quando il significato del tutto è desumibile dalla composizione del significato delle parti. Cfr. [SEMANTICA.]. Capostazione ha significato composizionale, madreperla no. La frase prendere il treno per Milano ha significato composizionale, prendere lucciole per lanterne no.

Tutte queste parole in -bile hanno la stessa parafrasi: ‘che può essere /pag. 26/ V+ato’ (dove V sta per Verbo). Se il Verbo è riciclare, allora riciclabile significa ‘che può essere riciclato’, se il verbo è lavare allora lavabile significa ‘che può essere lavato’, ecc. Ma per una parola come dirigibile, che non significa soltanto ‘che può essere diretto’ ma anche ‘aerostato’, si deve sostenere che ha acquisito nel corso del tempo, accanto ad un significato composizionale anche un significato idiosincratico, non più ricavabile dalle sue parti componenti. Dei rapporti tra semantica e morfologia ci occuperemo in seguito a più riprese.

1.3.3. Morfologia e sintassiMorfologia e sintassi interagiscono a tal punto che diverse tradizioni grammaticali, anche

recenti, le hanno fuse insieme. In questo manuale assumeremo invece che morfologia e sintassi; pur interagendo in molti modi, siano due componenti ben distinti della grammatica. Quindi, prima di discutere i punti di contatto tra morfologia e sintassi, ne metteremo in evidenza alcune differenze.

Una prima differenza sta nel fatto che la sintassi tipicamente “sposta” categorie, mentre la morfologia tipicamente “cambia” categorie. La formazione delle interrogativo, per esempio (cioè un’operazione sintattica) consiste nel collocare il predicato prima del soggetto:(14) dicbiarativa: [il vigile] [fa la multa]

interrogativa: [fa la multa] [il vigile?]Per formare l’interrogativa, come si vede, si è applicata un’operazione sintattica che ha

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invertito di posto il soggetto (il vigile) e il predicato (fa la multa) A dire il vero l’italiano ha un’altra possibilità di formare le interrogative sì-no, mutando soltanto l’intonazione della frase senza spostare i costituenti: il vigile, fa la multa?]

La morfologia non ha regole di spostamento, ha invece, come vedremo meglio in seguito, regole che cambiano la categoria, come ad esempio in (15):(15) a. [vigile]N –––> [vigilare]V

b. [atomo]N –––> [atomizzare]V

In (15a) un nome (vigile) è diventato, tramite una regola morfologica che ha aggiunto un affisso ad una parola, un verbo (vigilare). Lo stesso /pag. 27/] cambiamento si verifica in (15b). La sintassi non ha, per contro, regole che cambiano la categoria delle parole.

Una seconda differenza tra morfologia e sintassi sta nel fatto che la prima identifica delle categorie mentre la seconda attribuisce delle funzioni35. Alla morfologia spetta dunque il compito di stabilire, per esempio, che una certa parola è un nome, mentre alla sintassi spetterà decidere se quel nome svolge la funzione di soggetto, oggetto, oggetto indiretto o altro ancora. Si considerino le due frasi seguenti:(16) a. I magistrati amano i democratici

b. I democratici amano i magistratiLa parola magistrati è morfologicamente identica nelle due frasi, ma non svolge una

medesima funzione sintattica. È morfologicamente identica perché si tratta in entrambi i casi di un nome comune, animato, maschile, plurale. È sintatticamente diversa perché in (16a) funziona come un soggetto mentre in (16b) funziona come un oggetto [Ad essere precisi, negli esempi dati, sia il soggetto che l’oggetto sono costituiti dal sintagma nominale i magistrati.].

Nozioni come quelle di “nome”, “verbo”, “aggettivo”, ecc. sono nozioni c a t e g o r i a 1 i, mentre nozioni come quella di soggetto, oggetto, predicato, ecc. sono nozioni f u n z i o n a 1 i.

Semplificando un po’ si può dire che le nozioni categoriali si individuano tramite la relazione “E UN” mentre quelle funzionali tramite la relazione “FUNZIONA COME”. Così negli esempi dati sopra, la parola magistrati “È UN” nome (sempre) ma “FUNZIONA COME” un soggetto in (16a) e come un oggetto in (16b).

Le nozioni di tipo categoriale valgono sempre o, almeno, valgono indipendentemente dalla funzione che quelle categorie si trovano a svolgere all’interno della frase. La parola cane, per esempio, è un nome: questa proprietà non cambia col variare delle funzioni sintattiche che il nome in questione può svolgere; il nome cane è sempre nome sia che funzioni come soggetto (cfr. il cane corre), come oggetto (cfr. Gianni vede il cane), come agente (cfr. Gianni è stato morso dal cane), o come complemento di termine (cfr. non si danno calci al cane).

Morfologia e sintassi, però, come abbiamo detto all’inizio del paragrafo, interagiscono; innanzi tutto vi è una nozione, quella di parola, che costituisce un sicuro punto di contatto tra le due. Si può infatti dire che un verbo (per es. leggere) rientra nel dominio della morfologia per quel che riguarda la sua flessione (leggevo, leggeste, leggerebbero, ecc.) o la sua derivazione (rileggere, leggibile, lettura, ecc.) ma rientra nel dominio della sintassi per quel che riguarda i rapporti che intrattiene con gli altri membri di una frase, per esempio se ammette un SN oggetto (leggere un libro), se entra in costruzioni dette ‘progressive’ /pag. 28/ (sto leggendo un libro), se ammette degli oggetti indiretti (leggere il giornale ai nonvedenti), ecc.

Le parole interessano dunque morfologia e sintassi, ma in modi diversi: per la morfologia la parola è l’unità massima, per la sintassi la parola è l’unità minima, dato che - di norma - la sintassi tratta gruppi di parole (sintagmi) o frasi. La morfologia costruisce, per così dire, le parole e dà conto delle variazioni che le parole possono subire (sicuro, sicuri, sicura, sicure, sicurezza, sicuramente...). La sintassi, al contrario, istituisce delle relazioni tra le parole in virtù di certe proprietà che le parole stesse hanno: l’aggettivo sicuro, per esempio,

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può reggere un complemento come di se stesso (ma non può reggere un complemento come D’agli altri) mentre un aggettivo come utile esibisce il comportamento opposto (cfr. utile agli altri ma ‘‘‘utile di se stesso).

Oltre a condividere la nozione di ‘categoria sintattica’, morfologia e sintassi interagiscono in diversi domini grammaticali. Per esempio in quello che si chiama accordo: perché una frase sia grammaticalmente corretta debbono essere rispettate le regole dell’accordo. In italiano, per esempio, il verbo si accorda in numero col soggetto (17a-a’ ), l’aggettivo si accorda in genere e numero con il nome (17b-b’):(17) a. il bambino afferra il giocattolo

a’. i bambini afferrano il giocattolob. la casa nuova e costosab’. le case nuove e costose

Ora, come si vede, l’accordo è un fenomeno che riguarda sintagmi interi e non una singola parola (per esempio in (17b’) si vede che tutto il sintagma nominale è al plurale) e in questo senso è un fenomeno ‘sintattico [Le categorie sintagmatiche sono al di fuori della portata della morfologia in quanto tipicamente la morfologia (secondo quanto visto in 1.2.) aggiunge un affisso ad una parola di una determinata categoria e non ad un sintagma. Cfr. più avanti 8.4.]) ma l’aggiunta delle desinenze flessive è un’operazione compiuta dalle regole morfologiche.

Riassumendo, potremmo dire che sintassi e morfologia sono due componenti separatí della grammatica ed hanno funzioni diverse nel senso che la sintassi si occupa della costruzione dei diversi tipi di frasi, mentre la morfologia si occupa della costruzione dei diversi tipi di parole. La nozione di “parola” è però quel che sintassi e morfología hanno in comune, dato che la parola ha sia aspetti morfologici (per esempio le diverse forme che può assumere) sia aspetti sintattici (per esempio i complementi che può reggere).

1.4. Identificazione delle categorieNel diagramma ad albero in (1) vi sono due tipi di categorie: le /pag. 29/ categorie

sintagmatiche e le categorie lessicali. Le prime sono di esclusiva pertinenza della sintassi e sono del seguente tipo:(18) sintagma nominale (SN): i magistrati

sintagma aggettivale (SA): molto intelligentisintagma verbale (SV): leggono gli attisintagma preposizionale (SP): con attenzione

Le categorie lessicali, come si è detto sopra, sono di dominio sia della sintassi, che della morfologia; sono anzi al confine tra le due come si vedrà meglio in seguito, e sono del seguente tipo:(19) nome (N): magistrati, atti, attenzione

aggettivo (A): intelligentiverbo (V): leggonopreposizione (P): conavverbio (Avv): molto, intelligentemente

Il problema che affronteremo ora è il seguente: come si identificano le categorie lessicali? In altre parole, come facciamo a “sapere” che magistrato “ E UN” nome? Oppure che intelligente “E UN” aggettivo mentre intelligentemente “È UN” avverbio?

La tradizione aristotelica risponderebbe a questo quesito su basi semantiche: i nomi rappresentano una ‘sostanza’ (ed infatti quelli che noi qui chiamiamo “nomi” vengono chiamati nella tradizione aristotelica “sostantivi”), gli aggettivi rappresentano ‘qualità’ e così via39.

Questo criterio è stato soppiantato in tempi recenti per via di incongruenze ovvie cui va incontro: ad esempio, difficilmente si potrebbe sostenere che un nome come leggerezza rappresenta una sostanza. In luogo di criteri semantici, si è fatto strada un criterio

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distribuzionale, che si basa fondamentalmente sulla nozione di contesto.

1.4.1. La nozione di contestoOgni unità linguistica (suono, parola, frase...) può occorrere in certe posizioni, o contesti, e

non in altri. Il suono [p] in italiano per esempio può occorrere nei seguenti contesti [Il segno # indica il confine di parola, sia l’inizio sia la fine, per cui una parola come fame può essere rappresentata come #fame#. Il segno - indica il luogo in cui un’unità designata si trova. Quindi # - indica la posizione iniziale di parola, altrimenti detto, la posizione che segue immediatamente il confine di inizio, quella occupata da f in #fame#. - # indica la posizione “fine di parola”, altrimenti detto, la posizione che precede immediatamente il confine, quella occupata da e in #farne#. La posizione V - V (cioè tra due vocali) indica ad esempio la posizione di m infame; la posizione C - C (cioè tra due consonanti) indica la posizione occupata da a sempre in fame.] /pag. 30/(20) inizio di parola prima di Vocale # –– V [p]are

inizio di parola prima di Consonante # –– C [p]rima[Una [p] può stare all’inizio di parola prima di certe consonanti, ma non di tutte, cfr. premere plenilunio pneumatico, ecc. ma *pf_ *pb_ *pv.. ecc.]tra due vocali V –– V a[p]e

lo stesso suono non può occorrere in un’altra serie di contesti:(21) fine di parola –– # * ... p

[In italiano, parole come stop sono un’eccezione dato che di norma in questa lingua le parole terminano in vocale. Fanno eccezione poche parole ‘indigene’ come non, per (che terminano in sonorante - o “prestiti” come sport, scoop, spot, audience [O: djans].]dopo una occlusiva b –– *bpprima di una occlusiva –– b *pbtra due consonanti occlusive C –– C *tpg, *kpt[p], [b], [t], [d], [k] [g] sono suoni occlusivi. Se le due consonanti sono invece due [r] o [r] ed [1], allora la sequenza è possibile (cfr. sorpresa, surplus).

Un suono può essere definito (formalmente) attraverso la somma dei contesti in cui può comparire. Lo stesso può valere per le parole. Gli articoli, per esempio, quando vi sono, occorrono obbligatoriamente in italiano [Ma anche in inglese, francese, spagnolo ecc. Non cosi in rumeno, per esempio, dove la sequenza cursurile ‘i corsi’ significa letteralmente ‘corsi i’.] prima del nome (cfr. (22a)), mai dopo il nome (cfr. (22b)):

(22) a. un ufficiale b. *ufficiale unil libro* *libro il

Si potrà simbolizzare questo fatto, dicendo che l’articolo in italiano occorre nella posizione “ –– N” cioè in posizione prenominale. L’aggettivo è definito invece da contesti di occorrenza diversi, dato che (in italiano) può occorrere sia in posizione prenominale che postnominale:(23) un alto prezzo Det ––– N

un prezzo alto DetN –––Sulla nozione di “occorrenza” in un dato contesto o in una certa serie di contesti si basa il

criterio distribuzionale. /pag. 31/

1.4.2. II criterio distribuzionaleCerchiamo ora di dare risposta al quesito che ci siamo posti sopra: come fare a distinguere

tra l’aggettivo intelligente e l’avverbio intelligentemente. Iniziamo col considerare i diversi

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contesti in cui le due parole possono o non possono occorrere:(24) a. G. è intelligente

b. il cantautore intelligentec. l’intelligente gattinoa’. *G. è intelligentementeb’. *il cantautore intelligentementec’. *l’intelligentemente gattinod. *G. discute intelligentee. *è intelligente che G. discuted’. G. discute intelligentementee’. è intelligentemente che G. discutef. intelligente +issimo (intelligentissimo)g. intelligente + i (intelligenti)f’. *intelligentemente +issimo (*intelligentementissimo)g’. *intelligentemente +i (*intelligentementi)

In (24) si osserva che l’aggettivo può comparire in posizione predicativa (24a), in posizione postnominale (24b) e in posizione prenominale (24c) mentre nelle corrispettive costruzioni in (24a’-c’) l’avverbio non può comparire. Si osserva ancora che l’aggettivo non può occorrere dopo un verbo come discutere (24d) e nemmeno in costruzioni scisse (24e), mentre il contrario è vero per l’avverbio (24d’-e’). Infine, si osserva che l’aggettivo può essere unito al suffisso del superlativo (24f) o alle desinenze del plurale (24g) mentre l’avverbio, essendo invariabile, non può prendere tali terminazioni (24f -g’ ).

In sostanza, la forma intelligente può comparire in un certo numero di contesti, mentre la forma intelligentemente può comparire in un altro insieme di contesti. Questa “distribuzione” delle due forme ci dice che si tratta di due categorie grammaticali diverse [A dire il vero, aggettivo e avverbio sono sl categorie diverse, ma non poi tanto lontane, come potrebbero esserlo, per esempio Nome ed Avverbio. Ed infatti esiste almeno un contesto comune sia all’aggettivo che all’avverbio, come si può vedere dal seguente esempio: meno intelligente e meno intelligentemente.].

Per l’identificazione delle varie categorie, sono stati sviluppati dei veri e propri test. Un test per ‘“aggettività”, per così dire, prevede risposte positive ad interrogativi come i seguenti:(25) si può trovare dopo il nome?

[Come si è visto, in italiano l’aggettivo può trovarsi sia in posizione prenominale sia in posizione postnominale, anche se la seconda è quella più normale. Vi sono, infatti, certi aggettivi che possono comparire solo in una delle due posizioni, quella postnominale, come si vede con i seguenti esempi: la scatola cranica ma *la cranica scatola, l’orario ferroviazzo ma *il ferroviario orario.] /pag. 32/si può trovare in posizione predicativa?si può trovare prima di -issimo?

Concludendo, si può supporre che ogni categoria sintattica (nome, aggettivo, verbo, avverbio, ecc.) sia caratterizzabile in base alla somma dei contesti in cui può occorrere e che la somma dei contesti in cui occorre una categoria sia diversa dalla somma dei contesti in cui può occorrere un’altra categoria.

1.5. Morfologia come classificazione delle “parti del discorso”Se consultiamo una buona grammatica di impostazione tradizionale, come Battaglia e

Pernicone [1951], apprendiamo che la morfologia “distingue e valuta la parola [...] come semplice ‘categoria’ o ‘parte del discorso’“ (p. 82). In altri termini, alla morfologia è assegnato, in questa prospettiva, il compito di classificare le “parti del discorso” e le loro variazioni formali. La morfologia di una data lingua dovrà dunque identificare i verbi, i

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nomi, gli aggettivi, ecc. e definire le loro possibili variazioni formali (singolare/ plurale, presente/ passato, ecc.) [La morfologia classica dell’italiano identifica nove parti del discorso di cui cinque variabili (nome, aggettivo, verbo, pronome, articolo) e quattro invariabili (avverbio, esclamazione, congiunzione, preposizione)].

Questa visione della morfologia, che è di tipo classificatorio, è una fase necessaria, ma non esaurisce tutti i possibili obiettivi della morfologia. È una fase necessaria [L’identificazione delle categorie non è di per sé un compito né facile né banale. In somalo, ad esempio, esistono parole per le quali è molto difficile decidere se si tratti di verbi o di aggettivi, ma anche in lingue più studiate e più note esistono problemi di classificazione. In italiano, per esempio, vecchio è nome o aggettivo? Ridente è verbo 0 aggettivo? Sopra è avverbio o preposizione?] perché l’identificazione delle categorie grammaticali è fondamentale per la conoscenza di un sistema linguistico; basti pensare a quante differenze (morfologiche, sintattiche, semantiche) vi sono tra le diverse categorie e al fatto che, comunque, ogni frase ha un impianto categoriale che ne costituisce, per così dire, l’ossatura.

L’identificazione delle categorie non è però sufficiente perché se la morfologia deve includere lo studio delle forme, deve poter cogliere anche l’aspetto dinamico della ‘formazione’ delle parole e cioè per esempio quali sono i derivati possibili di vecchio (vecchiaia e vecchiezza ma non *vecchitudine o *vecchità). Tale aspetto è affidato ai processi dei quali ci si serve per formare parole nuove e cioè derivazione e composizione. /pag. 33/

1.6. Morfologia come processoSi consideri una parola come indubitabilmente. Dal punto di vista categoriale è un

avverbio. Il compito classificatorio potrebbe dunque concludersi qui. Dal punto di vista che abbiamo chiamato “dinamico” invece ci si può chiedere ‘come’ questo avverbio è stato costruito. Per esempio, si può supporre che all’aggettivo indubitabile sia stato aggiunto il suffisso -mente secondo la modalità suggerita qui sotto:

(26) indubitabile aggettivo di baseindubitabile + mente aggiunta di -menteindubitabilmente cancellazione di ‘e’

Ma l’aggettivo da cui siamo partiti, indubitabile, è a sua volta scomponibile in un prefisso in- più un aggettivo, dubitabile, e quest’ultimo èa sua volta costruito a partire dal verbo dubita(re) [Abbiamo posto tra parentesi la desinenza flessiva del verbo (re) perché supporremo qui che la forma del verbo cui si applicano i processi derivazionali non sia l’infinito (dubitare) ma il tema (cioè la radice dubit più là vocale tematica a, che in italiano segnala l’appartenenza del verbo alla prima coniugazione)] più un suffisso -bile. Ricostruendo tutto il processo, possiamo supporre che le varie ‘fasi’ di formazione della parola in questione siano le seguenti 54:(27) dubita verbo di base

dubitabile aggiunta di -bileindubitabile aggiunta di in-indubitabilemente aggiunta di -menteindubitabilmente cancellazione di ‘e’

La parola indubitabilmente, che è categorialmente un avverbio, è stata costruita attraverso una serie di processi, ognuno dei quali ha portato ad una nuova categoria: Verbo ––> Aggettivo ––> Aggettivo ––> Avverbio. È questo aspetto di ‘formazione’ che chiameremo “dinamico”.

Anche per quel che riguarda la composizione, ci si può concentrare sul solo ‘risultato’ (capostazione è un nome, dolceamaro è un aggettivo), oppure sul processo: capostazione è formato da due nomi, capo e stazione, che intrattengono tra di loro un certo tipo di relazione grammaticale e semantica, nel senso, per esempio, che si tratta del ‘capo della stazione’ e non

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della ‘stazione del capo’; dolceamaro è un aggettivo formato da due aggettivi che stanno tra loro in un rapporto di coordinazione. Ci si può quindi domandare quali nomi, quali aggettivi, quali verbi possono essere combinati per formare parole composte, dato che, come si vede qui sotto per un piccolo campione, non tutte le combinazioni portano a risultati accettabili (come composti): /pag. 34/(28) Nome Nome *capo-telefono

*sollievo-autarchia*luce-interrogazione

Agg Agg ‘‘dolce-vecchio*amaro-dispari*contrario-agricolo

Si può poi affrontare la questione dell’ordine degli elementi costitutivi dei composti, detti costituenti. Perché capostazione è un composto ben formato mentre stazionecapo sembra non esserlo? Perché cassaforte è ben formato mentre fortecassa no? Si può ancora cercare di capire perché stazioncina e fortissima sono due parole del tutto normali ma poste in un composto rendono il composto anomalo: ?capostazioncina [Un punto interrogativo premesso ad una forma indica grammaticalità dubbia. Vi sono quindi diverse gradazioni di grammaticalità: a) forme perfettamente grammaticali, b) forme di grammaticalità dubbia, precedute da “?“, c) forme non grammaticali, precedute da “*”.], ?cassafortissima. E perché, ancora, la combinazione di categorie uguali non dà sempre, come risultato, la stessa categoria, come si vede qui sotto:(29) Nome +Nome ––> Nome: capo stazione ––> capostazione

Agg +Agg ––> Agg: dolce amaro ––> dolceamaroVerbo + Verbo ––> Nome: sali scendi ––> saliscendi

Possiamo ancora chiederci come mai nella combinazione di Aggettivo e Nome una volta ‘prevalga’ il nome e una volta prevalga l’Aggettivo:(30) Agg +Nome ––> Agg: verde botiglia ––> verde-botiglia

Agg +Nome ––> Nome: alto piano ––> altopianoCi si può pertanto porre il problema non solo di classificare le parole, ma anche di capire

attraverso quali vie sono state formate, obbedendo a quali principi, violandone quali altri.In conclusione, esiste un punto di vista che abbiamo chiamato “dinamico” che consiste

nello scoprire attraverso quali vie le parole arrivano ad essere costruite. Naturalmente questo punto di vista presuppone ed integra l’approccio che abbiamo chiamato classificatorio, il cui scopo principale è quello di identificare le parti del discorso o le categorie lessicali.

1.7. La base empirica della morfologiaSulla base di quanto si è visto sin qui, si può sostenere che la morfologia ha sì un compito

classificatorio, che consiste nella individuazione /pag. 35/ delle parti del discorso o, come diremmo con terminologia più aggiornata, nella individuazione delle categorie lessicali di cui dispone una lingua, ma la morfologia deve occuparsi anche dei processi produttivi che sottostanno alla formazione delle parole (e quindi dei processi di derivazione e di composizione) e della loro flessione.

È importante che i criteri e i presupposti delle analisi siano definiti esplicitamente. Ma quali sono i “dati” che la morfologia è chiamata a descrivere ed a spiegare? Fondamentalmente sono state fornite, nel corso del tempo, due risposte diverse a questo quesito, e cioè “il corpus” e la “competenza dei parlanti”. Anche in questo caso, sosterremo che si tratta di due punti di vista non antitetici ma necessariamente complementari.

1.7.1. II corpusLa morfologia tradizionale si basa essenzialmente sulla nozione di corpus, vale a dire su un

insieme di dati (nel caso della morfologia di parole, nel caso della sintassi di frasi) derivanti

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da testi scritti o da registrazioni di testi orali. La Divina Commedia potrebbe costituire un corpus, ma anche i copioni cinematografici dei film di Antonioni, così come le registrazioni dei discorsi di Pannella, ma anche i graffiti sui muri di una città o i fax di una ditta, e così via. Anche la somma di tutti questi “corpora” costituirebbe un corpus, ma naturalmente un corpus eterogeneo, dato che - mescolando tutti i corpora indicati qui sopra - si troverebbe che la terza persona plurale del presente indicativo del verbo potere è presumibilmente possono nell’italiano contemporaneo (Antonioni, Pannella) ma ponno (Inf XXI, 10) o posson (Inf. VII, 126) in Dante.

Naturalmente ogni tipo di corpus avrà delle proprietà specifiche: se confrontiamo un corpus scritto con un corpus orale troveremo delle differenze dovute alle due diverse condizioni d’uso. Per esempio, potremmo trovare geografia nel corpus scritto (con la conservazione della struttura morfologica della parola, cioè geo+grafia) ma giografià in quello parlato (dove la struttura morfologica è parzialmente oscurata).

Dato un corpus, il linguista dovrà analizzare le forme ivi contenute e da quelle estrarre delle regolarità. Ogni corpus ha però delle limitazioni intrinseche. Basta un piccolo esperimento per provarlo. Il LIF è un Lessico di frequenza della lingua italiana ricavato a partire da mezzo milione di occorrenze tratte da diversi tipi di testi (opere teatrali, romanzi, copioni cinematografici, periodici, sussidiari scolastici). /pag. 36/ Scegliamo a caso un verbo, il verbo incidere. Le forme elencate sono le seguenti:(31) incidere

incideincidendogliincidereincidersiincisainciseinciso

Qualunque parlante nativo dell’italiano è in grado di aggiungere altre forme che il LIF non contiene, come ad es. incido, incidiamo, incideva, incisero ecc. e forse incisore, incisori, re-incidere, ecc.

Se la base empirica da cui partiamo è un corpus i risultati cui possiamo pervenire sono predeterminati dal corpus stesso. Un corpus non ci può dire per esempio se un dato fenomeno è produttivo oppure no: se il corpus in questione, ad esempio, contempla parole come ramingo, casalingo e solingo, saremo portati a pensare che esiste un suffisso -fingo, ma non possiamo interrogare il corpus su quante altre formazioni in -fingo sono possibili. Molte altre? Oppure pochissime altre? Se interroghiamo invece un parlante nativo avremo la risposta, dato che solo a fatica sarà in grado di trovare altre parole in -fingo. .

Un corpus è un insieme chiuso. Può essere molto ampio, ma sempre chiuso. In genere, un corpus non contiene indicazioni di forme non grammaticali. Il confronto tra forme grammaticali e forme non grammaticali è invece prezioso. Se il nostro corpus, ad esempio, contiene la forma comodoso [neologismo coniato nella prima metà degli anni Ottanta e usato nella propaganda di una autovettura.] avremo l’impressione che il suffisso -oso si può aggiungere ad aggettivi (comodo +oso). Ma è solo il controllo con diversi aggettivi (‘facile + oso, *dolce + oso, *gentile + oso, ecc.) che ci rivela come questa prima impressione sia erronea e che la ‘stranezza’ di comodoso deriva proprio dal fatto che si tratta di una parola costruita in violazione di qualche norma (per esempio una norma che impone che -oso si aggiunga a nomi, come in famoso, scrupoloso, ecc.). E però altamente improbabile che in un corpus si trovino le forme asteriscate che hanno reso possibile la conclusione che -oso di norma non si aggiunge ad aggettivi.

Se ne può concludere che ogni corpus è incompleto e che è necessario integrare i dati di un corpus con altri tipi di dati.

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Il corpus però non è solo un insieme di dati incompleto, è anche un insieme di dati che condiziona le analisi possibili, come si vedrà nel paragrafo seguente. /pag. 37/

1.7.2. Corpus e segmentazioneAnalizzare un corpus (scritto od orale che sia) di una lingua significa innanzi tutto

segmentarlo in unità (parole); tali unità vengono poi analizzate nelle loro parti costituenti più piccole. ll prodotto finale di tali operazioni sarà fondamentalmente una lista di parole elencate come “parti del discorso” e una lista di unità come prefissi, suffissi, desinenze flessive, ecc. Ad esempio una parola come ineludibile può essere segmentata nel modo seguente: in +eludi +bil +e [Quella data non è l’unica analisi possibile (cfr., per es. in +elud+ibil+e, in +elud+i+bil+e).] e le sue parti classificate come Verbo (elud-ere), prefisso (in-), suffisso (-bil(e), e desinenza flessiva (-e).

I limiti di tali procedure sono molteplici. Lo strumento della segmentazione come tecnica di analisi, porta sì all’identificazione dei costituenti [Un “costituente” è un elemento che entra a far parte, insieme ad altri costituenti, di una costruzione più grande. Se “ a+b” formano una costruzione, si può dire che “a” e “ b” sono due costituenti di quella costruzione.

La nozione di “costituente” vale per tutti i componenti della grammatica. In sintassi, per esempio nella “costruzione frasale> Giovanni lesse, vi sono due costituenti: Giovanni e lesse. Nella “costruzione morfologica” dolcemente vi sono due costituenti: dolce e mente. In fonologia, nella sillaba con vi sono tre costituenti, l’incipit (c), il nucleo (o) e la coda (n)] delle forme complesse, ma poco ci dice sul tipo di rapporti che intercorrono tra i costituenti stessi. Le parole complesse sono più che una semplice giustapposizione di pezzi: la parola famoso è evidentemente costruita a partire da fama +oso ma in che modo? è fama che seleziona il suffisso o è oso che seleziona la parola? Le due unità stanno allo stesso “livello” o fanno parte di livelli linguistici diversi? Una analisi della parola famoso in fan +oso non può rispondere a quesiti di questo tipo. Inoltre, le parole complesse non sono solo formate per semplice giustapposizione; in certi casi si può dimostrare infatti che esiste una ‘storia derivazionale’ e una sola, si può cioè dimostrare che se la formazione di una parola richiede più processi, tali processi debbono essere ordinati in un modo e non in un altro.

Si consideri, ad esempio, la parola immangiabile, una parola con una base (mangia) un prefisso (in-) e un suffisso (-bile). L’analisi di questa parola non può essere soltanto in+ mangia+ bile (vale a dire una semplice concatenazione di elementi) perché tale analisi non rende espliciti i processi attraverso cui la parola in questione è stata formata. Vi sono diversi modi in cui si può ipotizzare che tale parola sia stata costruita, tra cui i seguenti:(32) a. mangia mangia +bile in + mangia + bile

b. mangia -in + mangia in + mangia + bileAlle due analisi di (32) corrispondono ipotesi diverse su qual è / pag. 38/ la struttura

interna della parola in esame: a (32a) corrisponde (33a) ed a (32b) corrisponde (33b) [La struttura data qui è molto semplificata. Sulla struttura interna delle parole complesse, cfr. cap. 4 e 9.5.]:(32) a. in [mangia + bile]

b. [in + mangia] + bileSecondo (33a) la parola è stata “prima” suffissata e “poi” prefissata, (33b) presenta invece

l’ordine inverso. Ora (33b) non è accettabile perché prevede una fase (in + mangia) altamente controintuitiva e cioè l’aggiunta di un prefisso negativo ad un verbo [il prefisso negativo in- si aggiunge ad aggettivi (cfr. in +adatto, in +elegante, ecc.) non a verbi. Vi è un prefisso in- che si aggiunge a verbi (cfr. in +mettere, in +correre) ma ha significato ‘direzionale’].

Da questo esempio si possono trarre alcune conclusioni (che dovranno tutte essere sviluppate più avanti) e cioè: a) esistono modi diversi per ‘costruire’ una parola complessa, b) le parole complesse hanno una struttura interna, che è desumibile dalla loro storia derivazionale, c) la tecnica della segmentazione, basata su un corpus ‘statico’, non fornisce

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elementi per scegliere tra analisi alternative. E pertanto necessario corroborare i dati tratti da corpora con altri dati.

1.7.3. La competenza dei parlantiUn parlante nativo di una data lingua possiede, come si è detto, delle conoscenze sulla

propria lingua. Queste conoscenze o sono acquisite nel corso della vita o sono parte di una dotazione biologica innata. Non entreremo qui in questo importante dibattito della linguistica contemporanea, ma assumeremo che ogni parlante abbia presente nella propria mente una certa competenza linguistica. Tale competenza è tutto ciò che un parlante “sa” della propria lingua.

Ciò che il parlante “sa” è un insieme difficilmente determinabile di conoscenze, dalle più banali alle più complesse. Banalmente, un parlante nativo dell’italiano “ sa” che tavolo è una parola della sua lingua mentre Tafel non lo è. In modi più complessi da spiegare, un parlante “ sa” che mentre da (34a) può ricavare (34a’), da (34b) non può ricavare (34b’) [La non grammaticalità della frase in b’ è determinata dalla violazione della condizione di soggiacenza, per la quale]:(34) a. G. ha trovato una foto di qualcuno

a’. di chi G. ha trovato una foto?b. G. ha sentito una storia su una foto di qualcunob’. *di chi G. ha sentito una storia su una foto? /pag. 39/

Ciò che il parlante “sa” della propria lingua costituisce la sua competenza linguistica mentre ciò che il parlante “ fa” appartiene al dominio della esecuzione. ll paragone non è perfetto, ma si può pensare al fatto che dello stesso spartito musicale diverse orchestre possono dare esecuzioni diverse. Così come un’esecuzione musicale può essere influenzata da fattori non musicali (come l’acustica del luogo, l’indisposizione del primo violino, ecc.) i fatti di esecuzione linguistica possono essere influenzati da diversi fenomeni extralinguistici (limiti di memoria, false partenze, patologie varie, ecc.) e riguardano l’uso concreto che i parlanti fanno della lingua.

Ci si può a questo punto chiedere, che cosa un parlante nativo dell’italiano “sa” delle parole della propria lingua. Egli sa che certe parole appartengono alla sua lingua (35a) mentre altre no (35b) o (35c):(35) a. cane b. buna c. drloto

libro tiso PferdUn parlante sa anche che vi è differenza tra le parole di (35b) e quelle di (35c) e cioè che le

prime sono parole non esistenti ma pur sempre possibili in italiano, mentre le seconde non solo non esistono ma non sarebbero nemmeno possibili.

Un parlante sa che una data parola è un verbo o un nome e quindi conosce le categorie lessicali delle parole, sa se un verbo è transitivo oppure intransitivo, sa se un nome è astratto o concreto, sa, a partire da un verbo (o da un nome), coniugarlo (declinarlo) in tutte le sue possibili forme flesse, sa che certe unità sono semplici mentre altre sono complesse. Un parlante sa formare parole nuove, per esempio un avverbio in -mente a partire da un aggettivo (dolce -> dolcemente), sa formare una parola in -bile a partire da un verbo (mangia ---> mangiabile), sa formare diminutivi (libro ––> libretto), accrescitivi (libro ––> librone), vezzeggiativi (libro -j libricino). Sa formare parole prefissate (moglie ---> exmoglie), sa formare parole suffissate e prefissate (ex-mogliett-ina). Sa formare parole composte (uomo-radar, uomo-scimmia, uomo-rana, uomo-civetta). Un parlante sa fare tutte queste cose e sicuramente molte altre ancora: una lista esaustiva delle capacità linguistiche dell’uomo non è ancora stata fatta, ma quanto visto sin qui è sufficiente a dare un’idea della complessità del campo che stiamo delineando.

Ci basti pertanto concludere dicendo che il compito della morfologia è di dar conto di tutto ciò che i parlanti nativi di una data lingua “sanno” sulle parole di quella lingua e sui processi

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che sottostanno alla loro formazione. /pag. 40/

1.7.4. Morfologia minoreIn italiano esistono dei procedimenti di formazione di parola che sono sporadici, non

prevedibili. Si tratta di processi, che chiameremo di morfologia “minore”, che non possono essere descritti né come derivazione né come composizione, si tratta piuttosto - nella maggioranza dei casi - di “cancellazioni”. Si considerino i seguenti esempi:(36) a. anche la CGIL può sbagliare

b. la TV potrebbe avere una grande funzione educativac. la prof di scienze è severad. due parole di spiega non farebbero male

Le parole in corsivo risultano tutte dall’abbreviazione di unità più lunghe: Confederazione Generale Italiana (del) Lavoro, televisione, professoressa, spiegazione.

Naturalmente si tratta di processi diversi: in (36a) è stato formato un acronimo a partire dalle lettere (“lettere”, si noti, non suoni [Il suono iniziale di confederazione è velare [k], mentre quello della sigla CGIL è palatale [tS]]) iniziali di ogni parola del sintagma di partenza. Acronimi si possono formare anche sulla base delle sillabe iniziali (cfr. ALPRO da alleanza (per il) progresso, ASCOM da associazione commercianti). Fondamentalmente anche tv è un acronimo, ma la base di partenza è una parola (complessa), non un sintagma.

Altri processi si debbono supporre per parole come polfer da polizia ferroviaria. Tali formazioni sono chiamate “parole-macedonia” o “incroci” e derivano da abbreviazioni di parti di parole. Altri esempi, di origine inglese, ma ormai penetrati stabilmente in italiano sono motel (da motor + hotel) o smog (da smoke ‘fumo’ e fog ‘nebbia’).

(360 e (36d) sono invece diversi: qui si tratta di sottrazione di una parte della parola iniziale. I due casi non sono però assimilabili. In prof la parte sottratta è essoressa che non è un’unità morfologica (per esempio non è un suffisso).

In spiega invece, la parte ‘sottratta’ è una unità morfologica e cioè -zione: in questo caso sembra lecito pensare che si sia partiti da destra e ci si sia arrestati al confine di un’unità morfologica: la parte cancellata cioè è il suffisso -zione. Tra gli esempi (36a) e (36b) da una parte e gli esempi (36c) e (36d) dall’altra esiste però una differenza di ‘registro’ linguistico: (36a) e (36b) fanno parte della lingua standard, mentre (36c) e (36d) appartengono piuttosto a linguaggi settoriali e in certi contesti sarebbero stigmatizzati.

Vi sono anche altri modi in cui le parole entrano a far parte di una data lingua, per esempio attraverso prestiti (come croissant dal francese o yogurt dal turco), calchi (come grattacielo dall’inglese skyscraper [Si noti che la forma inglese combina i suoi elementi in modo diverso dall’italiano. Skyscraper può essere così parafrasato alla lettera: ‘cielo + gratta + tore’.], /pag. 41/ retroformazioni (come la creazione in inglese del verbo edit da editor) ed ideofoni (come ad es. glu glu; bla bla, ecc.).

Queste formazioni sono il prodotto di una morfologia che abbiamo chiamato “minore” perché si tratta di fenomeni sporadici, non prevedibili, in alcuni casi limitati alle lingue che posseggono alfabeti. Parole formate con questi procedimenti hanno struttura interna, ma tale struttura non è facilmente riconoscibile: parole come NATO, OPEC, sentite per la prima volta non sono in alcun modo analizzabili.

1.8. SommarioIn questo capitolo abbiamo introdotto la nozione di “grammatica”, intesa come l’insieme di

conoscenze linguistiche che i parlanti hanno della propria lingua (1.1. ). Abbiamo poi delineato un modello generale di grammatica elencando i suoi componenti fondamentali (1. 1. 1. ). Abbiamo quindi rivolto la nostra attenzione ad uno di questi componenti, la morfologia, che si è detto consistere principalmente di derivazione, composizione e flessione (1.2.) e ne abbiamo visto i rapporti con altri componenti della grammatica (1.3. ), in particolare con la

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fonologia (1.3.1. ), con la semantica (1.3.2.) e con la sintassi (1.3.3. ). Data la centralità delle categorie lessicali in morfologia, si sono visti i criteri per la loro identificazione (1.4.) che sono basati principalmente sulla nozione di distribuzione e di contesto (1.4.1. ).

Abbiamo poi esaminato una definizione tradizionale di morfologia (classificazione delle parti del discorso) (1.5.) e l’abbiamo confrontata con una visione più “dinamica” (studio dei processi morfologici) (1.6.). Se ne è concluso che la morfologia ha sì dei compiti classificatori ma che, accanto a questi, deve studiare i processi dinamici che soggiacciono alla formazione delle parole e della loro flessione. Ci siamo infine chiesti quali sono i dati che la morfologia è chiamata a spiegare (1.7.) ed abbiamo concluso che accanto ai dati che provengono da “corpora” (1.7.1.) ai quali si applica la tecnica della segmentazione (1.7.2.), la morfologia deve dar conto della competenza dei parlanti e cioè di tutto quel che i parlanti di una lingua sanno della morfologia di quella lingua (1.7.3. ).

Abbiamo infine escluso dall’ambito del nostro studio la “morfologia minore”, vale a dire la formazione delle sigle, degli acronimi, e delle cosiddette parole-macedonia (1.7.4.). /pag. 42/

1.9. Indicazioni bibiiograficheLa nozione di grammatica: Chomsky [1957; 1965; 1975; 19851.Morfologia: Anderson [1988]; Aronoff [1976]; Bauer [1988]; Carstairs [1992]; Lieber [1980]; Marchand [1969]; Matthews [1974]; Mioni [1992]; Scalise [1984]; Spencer [1991]; Varela [1990].Strutturalismo: Lepschy [1966].Morfologia minore: Mioni [1990]; Thornton [1993].

CAPITOLO 2: MORFEMA E PAROLA

2.0. IntroduzioneNel capitolo precedente, si è detto che il componente lessicale consta di unità di base e di

regole morfologiche. Non ci siamo però pronunciati sulla natura delle unità di base. Le teorie morfologiche contemporanee sono - grosso modo - divise tra teorie che assumono la parola e quelle che assumono il morfema come unità di base. Vi sono dunque teorie morfologiche basate sulle parole e teorie morfologiche basate sul morfema. In questo capitolo, dopo aver preso in esame la nozione di morfema (2.1. s.) e la nozione di parola (2.2. s. ), giungeremo alla conclusione che l’italiano ha una morfologia basata sulle parole e non sui morfemi.

2.1. Morfemall m o r f e m a è la più piccola unità linguistica dotata di significato [Cfr. Hockett [1958:

123]. Harris [1942: 169] definisce morfema “Ogni sequenza di fonemi che ha significato e che non è composta di sequenze più piccole dotate di significato”.]. Nella parola inglese boys ‘ragazzi’ sono riconoscibili due morfemi, boy e s: il primo è un morfema lessicale (dal significato ‘umano’, ‘maschio’, ‘non adulto’) e il secondo è un morfema grammaticale (il significato di s infatti è ‘plurale’). Nella parola italiana celermente sono riconoscibili due morfemi: il morfema lessicale celer e il suffisso mente; nella parola amavo sono riconoscibili i seguenti morfemi: il morfema lessicale am, la vocale tematica a, il morfema di tempo e modo v e il morfema di persona e numero o.

Un morfema può essere così “piccolo” da essere costituito da un /pag. 45/ solo fonema:per esempio il morfema s del plurale inglese nell’esempio inglese visto sopra è costituito da un solo fonema, /s/; e in italiano èun morfema (una congiunzione, come ad es. in giallo e verde) ed è costituito da un solo fonema / e /. Generalmente, però, un morfema è costituito da più fonemi.

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Morfema e parola possono coincidere: in italiano, bar, ieri, che, sempre, tribù, sono parole costituite da un solo morfema: si dicono pertanto monomorfemiche. Celermente, avantieri, ragazzo sono invece parole bimorfemiche mentre una parola come crocerossine è plurimorfemica (croc+e+ross+in+e).

2.1.1. Morfema e allomorfiIl termine morfema designa propriamente una unità astratta che èrappresentata a livello

concreto da un allomorfo (o morfo). La distinzione è parallela a quella nota in fonologia:fonologia morfologia

livello astratto fonema morfemalivello concreto allofoni allomorfi

Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo. Vi sono casi però in cui un morfema può essere rappresentato da più allomorfi, come esemplificheremo con un caso molto noto di allomorfia: la formazione del plurale in inglese. Graficamente, il plurale regolare inglese è marcato con una s [Questa regola non si applica, ovviamente a plurali irregolari come mouse/mice ‘topo/i’, ox/oxen ‘bue/buoi’, man/men ‘uomo/ uomini’, child/children ‘bambino /i’] (per es. cat ––> cats ‘gatto, gatti’, dog ––> dogs ‘cane, cani’, rose ––> roses ‘rosa, rose’). Foneticamente invece, si riscontrano tre realizzazioni diverse [s], [z] e [iz], infatti si dice cat [s] con la sibilante sorda, ma dog [z] con la sibilante sonora e rox [iz] con un suono vocalico più la sibilante sonora. Queste tre realizzazioni sono condizionate dal contesto, come si vede in (2):(2) a. [-s] dopo consonanti sorde (come [k t p f])

b. [-z] dopo consonanti sonore (come [b g d v 1 m n r] e vocali)c. [-iz] dopo consonanti stridenti (come [s z S dZ]) /pag. 46/

Il plurale dei seguenti gruppi di parole sarà dunque come segue:(3) a. rock[s] ‘rocce’, rat[s] ‘ratti’, hip[s] ‘fianchi’, cliff[s] ‘scogliere’

b. tub [z], ‘vasche’, rug [z] ‘tappetini’, head [z] ‘teste’, stove [z] ‘stufe’, fool [z] ‘folli’, room [z] ‘camere’, ton [z], ‘tonnellate’, car [z] ‘macchine’, toy [z]

‘giochi’, cow [z] ‘mucche’, shoe [z] ‘scarpe’, bra [z] ‘reggipetto’c. loss [iz] ‘perdite’, dish [iz] ‘piatti’, pinch [iz] ‘pizzichi’, edg [iz] ‘angoli’, ax [iz]

‘asce’, adz [iz] ‘asce’Come si vede, ognuno di questi tre allomor$ compare in contesti definiti e in quei contesti

gli altri allomorfi non possono comparire. In casi come questi, si dice che i tre allomorfi hanno distribuzione c o m -p 1 e m e n t a r e. Una rappresentazione grafica di quanto abbiamo detto sin qui è la seguente:(4) morfema del plurale s

allomorfi s z izUna soluzione alternativa a quella appena vista sarebbe di sostenere che in inglese vi sono

tre morfemi distinti di pluralità, ciò che si rappresenterebbe in questo modo:(5) morfema del plurale s z iz

allomorfi s z izAi motivi che spingono verso la prima soluzione, evidentemente più ‘economica’, è

dedicato il paragrafo seguente.

2.1.2. Analisi in morfemiL’analisi in morfemi è stata codificata in modi esemplari dalla tradizione dello

strutturalismo statunitense. Per un esempio, seguiremo qui Nida", da cui deriviamo due principi di analisi e i dati per l’illustrazione del primo principio.

Principio l: Forme che hanno significato uguale e forma fonemica uguale in tutte le loro

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occorrenze costituiscono un solo morfema.Si consideri un insieme di dati tratti da un dialetto azteco di Veracruz:

(6) a. nicoka ‘io piango’b. nicoka? ‘io piansi’ {[?] è una occlusiva glottidale} /pag. 47/c. nimayana ‘io ho fame’d. nimayana? ‘io avevo fame’e. nimayanaya ‘io avevo fame (e ne ho ancora)’f. tímayana ‘tu hai fame’g. nimayanas ‘io avrò fame’h. ticoka ‘tu piangi’i. nicokaya ‘io piangevo (e piango ancora)’1. nicoka ‘io piangerò’

La procedura di analisi deve seguire le seguenti ‘tappe’:1. si confrontino forme e significati;2. isolata una possibile coppia forma/significato, si controlli la sua validità in tutti i dati a disposizione;3. si cerchino altre coppie forma/significato;4. si identifichino i possibili residui;5. si assegnino i residui rinvenuti ai morfemi già trovati oppure si mettano “ in attesa” di

ulteriori dati.Se si confrontano i dati in (6a) e (6b) si vede che le forme sono identiche tranne che per [?]

che compare in (6b) ma non in (6a). Il significato di (6a) e (6b) è diverso nel senso che (6a) significa ‘io piango’ mentre (6b) significa ‘io piansi’. ‘Io piansi’ però può essere analizzato come ‘io + piango + passato’. In altri termini, la differenza di forma nei dati in esame è ‘?’, la differenza di significato è ‘passato’. Pertanto la prima (possibile) coppia forma significato è ‘?/passato’.

Si applichi ora il punto 2 della procedura: il confronto tra (6c) e (6d) ci dice che l’ipotesi fatta sopra è giusta. ll primo morfema identificato è dunque “?” il cui significato è ‘passato’.

Il punto 3 è una ripetizione: si confrontino per esempio (6a) e (6h) e (6c) e (6f): se ne conclude che ni significa ‘prima persona singolare’ (‘io’) mentre ti significa ‘seconda persona singolare’ (‘tu’). Ma si noti: non possiamo a questo punto essere certi che il morfema sia ni o ti, potrebbe essere anche n o t ed i potrebbe avere un altro significato non ancora noto. Ripetendo le analisi sempre sullo stesso campione di dati, si arriva alla seguente ‘conclusione’:(7) a. ni (o forse n) prima persona singolare

b. ti (o forse t) seconda persona singolarec. -cok- radice dal significato ‘piangere’d. mayan- radice dal significato ‘aver fame’e. -y- o -ay- o -ya passato (azione non completata)f. -s o -as futurog. ? passato

I problemi ‘residui’ di cui al punto 4. sopra sono ovviamente, quelli relativi ai dati in (7a), (7b), (7e) e (7f). A questo punto dell’analisi non si sa, ad esempio, se la i di ti e ni abbia un significato a parte (per esempio che significhi ‘soggetto singolare’) o se faccia parte del morfema che indica la persona. La a finale del verbo fa parte della radice o indica qualche altra caratteristica del verbo come transitività o altro? A queste /pag. 48/ domande non si può rispondere sulla base dei dati a disposizione ed elencati in (6). Vi è bisogno di altri dati, forniti qui di seguito:(8) m. ankwake ‘voi mangiate’

n. nitehkawi ‘io salgo’o. titehkawi? ‘tu salisti’

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p. nitehkawiya ‘io salivo (e sto salendo ancora)’q. nitehkawis ‘io salirò’r. nikwake ‘noi mangiamo’

Da questi nuovi dati emerge, per esempio, che la i non può significare ‘soggetto singolare’ perché compare anche con un soggetto plurale (cfr. (8r)).

Non spingeremo oltre l’analisi di questi dati e dal principio 1 passiamo al secondo principio.

Principio 2: Forme che hanno lo stesso significato ma che sono diverse dal punto di vista fonologico possono essere un morfema unico ammesso che le differenze osservate si possano spiegare in termini fonologici. Si considerino i seguenti dati:(9) sfortunato

disabileineleganteimmangiabileirragionevoleillogicoamoraleanabbagliante

Si tratta di aggettivi “negativi”, vale a dire di aggettivi preceduti da un elemento che rende il significato dell’aggettivo negativo: inelegante significa ‘non elegante’, immangiabile significa ‘non mangiabile’ ecc. Se ora proviamo ad isolare quegli elementi che esprimono negatività, arriviamo alla seguente analisi:(10) s ( + fortunato)

dis ( + abile)in (+ elegante)im ( + mangiabile)ir ( + ragionevole)il ( + logico)a ( + morale)an ( + abbagliante)

Secondo la procedura adottata sopra possiamo dunque isolare le seguenti ‘coppie’ di forma / significato:(11) a. s / NEGAZIONE

b. dis / NEGAZIONEc. in / NEGAZIONEd. im / NEGAZIONE /pag. 49/e. ir / NEGAZIONEf. il /NEGAZIONEg. a / NEGAZIONEh. an / NEGAZIONE

A questo punto ci si potrebbe fermare e concludere: l’italiano ha almeno otto ‘4 morfemi di negazione dell’aggettivo. Questa sarebbe comunque la conclusione obbligata se avessimo a disposizione solo il Principio 1. ll Principio 2 invece ci permette di spingere più a fondo l’analisi, con l’idea che se vi sono differenze formali che si possono spiegare fonologicamente, allora le diverse varianti possono essere considerate un morfema unico.

Si considerino i morfemi in (llc, d, e, f) (che hanno una certa aria di famiglia). Tutti questi morfemi iniziano con una vocale i e sono seguiti da una consonante. Si raccolgano ora altri dati, in modo da osservare in quali contesti compaiono i diversi morfemí:(12) a. in + abile

in + elegante

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in + utile in + intellegibile in + operoso

b. in + tollerabile in + distruttibile in + numerevole

c. im + mangiabile im + probabile im + battuto

d. ir + ragionevoleir + razionaleir + realeil + logicoil + letteratoil + legale

Analizzando da vicino questi dati, appare che la natura della consonante del morfema “negativo” è determinata dalla natura del suono con cui inizia l’aggettivo. Si vede infatti che a) si trova [n] (che è una nasale dentale) se la parola seguente inizia per vocale, b) si trova ancora [n] se la parola seguente inizia per consonante dentale, c) si trova [m], che èuna nasale bilabiale, se la parola seguente inizia con [m], [p], [b] che sono consonanti bilabiali, d) si trova [r] se la parola seguente inizia per [r] ed infine e) si trova [1] se la parola seguente inizia per [l].

In sostanza, vi sono le seguenti possibilità: 1) la consonante non cambia, 2) la consonante si assimila per ‘punto di articolazione’ a quella /pag. 50/ seguente e 3) la consonante si assimila totalmente alla consonante seguente. In altre parole, dato in come morfema negativo, possiamo sempre prevedere le possibili variazioni cui sarà soggetto: dipendono dalla consonante seguente secondo quella regola fonologica molto nota chiamata ‘assimilazione della nasale [Vi sono altri casi che qui non abbiamo considerato, per semplicità, e sono l’assimilazione alla velare e l’assimilazione alla labiodentale. In altre parole se abbiamo [in + cruento] o [in + grato] la /n/ si assimila nel tratto di velarità alla velare seguente /k/ o /g/ e diventa [˜] o se abbiamo [in +fido], [in +vincibile] la [n] si assimila al tratto labiodentale di [fj o [v] e diventa [Â].].

In virtù del principio 2, diremo quindi che in italiano esiste il morfema negativo in e che questo morfema ha diversi allomorfi determinabili fonologicamente [Si tratta di varianti di tipo combinatorio o contestuale, vale a dire dipendenti dal contesto], situazione che si può così schematizzare:(13 ) morfema

in / NEGAZIONE

allomorfi in im il irQuesto schema suggerisce che vi è una forma di base del morfema (in) e che questa forma

di base ha diverse realizzazioni. Tali realizzazioni, dette allomorfi, dipendono dal contesto: si troverà in prima di vocale o di consonante dentale, im prima di consonante labiale, il prima di l, ir prima di r [Voléndo mettere insieme questi due ultimi casi, si dirà che [n] si assimila totalmente alla liquida che segue].

Si considerino ora le due forme s- e dis- di (11). Sono due allomorfi dello stesso morfema anch’essi? Per rispondere alla domanda è necessario raccogliere più dati, che elenchiamo qui sotto:(14) s + Aggettivo dis +Aggettivo

a. *S+onesto a’. dis + onesto

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*s + abile dis + abile* s + utile dis + utile* s + incantato dis + incantato* s + educato dis + educato

b. s + conveniente b’. *dis+convenientes + cortese *dis + corteses + fortunato *dis + fortunatos + leale *dis + leale

Se i dati a nostra disposizione fossero solo questi, potremmo concludere che s- e dis- sono due allomorfi dello stesso morfema, in particolare /pag. 51/ due allomorfi condizionati dal contesto in quanto dis- sembra comparire se l’aggettivo inizia per vocale, ma compare invece s- se l’aggettivo inizia per consonante. Questa ipotesi non è però suffragata da tutti i dati, come si può facilmente constatare allargando il campione:(15) a. * s + continuo b. dis + continuo

*s + convenevole dis + convenevole*s + giungibile dis + giungibile

Questi ultimi dati dimostrano infatti che la comparsa di s- o di dis- non è motivata solo fonologicamente, infatti sia l’uno che l’altro possono comparire nello stesso contesto fonologico, per esempio davanti a [k]:(16) s + conveniente

dis + continuoLa conclusione è che s- e dis- non possono essere considerati due allomorfi di uno stesso

morfema, ma che sono due morfemi diversi.Passando ora brevemente alla coppia a/an, si considerino alcuni dati:

(17) a. a + critico b. an + abbagliantea + partitico an + alfabetaa + simmetrico an + archia

Da (17) risulta che a e an sono due allomorfi di uno stesso morfema la cui distribuzione si spiega fonologicamente: a ricorre prima di parole che iniziano per consonante (17a) mentre an ricorre prima di parole che iniziano per vocale (17b ) [Altrimenti la negazione di abbagliante sarebbe *aabbagliante].

Arrestando qui l’analisi dei prefissi negativi, possiamo provvisoriamente concludere (almeno sulla base dei dati visti in (10)) che i morfemi di negazione dell’aggettivo in italiano non sono certamente otto ma quattro (s-, dis-, in-, a-). ll morfema in-, poi, può realizzarsi in almeno quattro varianti diverse (in-, im-, il-, ir-), mentre per a- vi sono due varianti (a- ed an-). Tali varianti sono di tipo contestuale. La “soluzione” morfemica del problema visto in (10) è dunque la seguente:(18) morfemi s dis a in

allomorfi s dis a an in im il irL’analisi morfemica permette dunque di ridurre le unità osservabili (allomorfi) ad un

numero ridotto di unità astratte (morfemi). /pag. 52/

2.1.3. Morfemi liberi e morfemi legatiI morfemi possono essere l i b e r i o 1 e g a t i (in inglese free o bound, rispettivamente) a

seconda che possano ricorrere da soli in una frase o meno. Un morfema come ieri è libero perché può ricorrere da solo in una frase (cfr. ieri sono uscito), un morfema come -ura (in frsttura, andatura, calzatura ecc.) è legato perché, per poter ricorrere in una frase, deve aggiungersi a un altro elemento.

Sono morfemi legati tutti gli affissi di una lingua e quindi tutti i prefissi, tutti gli infissi, tutti i suffissi, sia quelli di tipo derivazionale che di tipo flessivo; sono invece morfemi liberi

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tutte le parole (nomi, verbi, aggettivi, preposizioni, ecc.).

2.1.4. Morfemi lessicali e morfemi grammaticaliI morfemi di una lingua possono essere distinti in morfemi lessicali e morfemi

grammatica1i. Si tratta di una distinzione molto antica e ripresa più volte nel corso del tempo {Può essere, infatti, fatta risalire ad Aristotele [cfr. Robins 1951]. Si tratta di una distinzione che ha ricevuto una lunga serie di denominazioni: parole categorematiche/sincategorematiche (Husserl), autosemantiche/sinsemantiche (Marty, ripresa da Ullmann), operatori/ parole proposizionali (Russell e Carnap), o, più comunemente, parole piene/ parole vuote.}. Con questi termini si vogliono identificare le parole che hanno un significato “lessicale”, che non dipende cioè dal contesto (per esempio nomi, aggettivi, verbi) e parole che esprimono soprattutto delle funzioni grammaticali e ricevono (in parte) significato dal contesto in cui compaiono.

Si considerino le due forme donna e di. Donna ha un significato che le deriva dalla sua collocazione nel lessico dell’italiano: si oppone a uomo per quel che riguarda il genere, si oppone a bambina per quel che riguarda l’età, si oppone a leonessa per quel che riguarda il tratto [umano], ecc. {Donna è [+umano] mentre leonessa è [-umano]}. Sulla nozione di tratto in fonologia]. Il significato del morfema funzionale di è invece in gran parte legato al contesto (cfr. i vari significati che può assumere in frasi diverse come le seguenti: il patto di Clelia, la farfalla di carta, un odore di fumo, i reali di Francia, ecc.).

La distinzione tra morfemi lessicali e morfemi funzionali (o tra elementi significativi ed elementi di relazione) non è naturalmente sempre netta, come si può osservare ad esempio nelle locuzioni: il morfema parte è lessicale o funzionale nella locuzione da parte di?

Un’ultima osservazione relativa a queste due classi di morfemi èche la loro frequenza nei testi si avvicina al 50%, vale a dire che molto /pag. 53/ spesso vi è alternanza perfetta tra morfemi lessicali e morfemi funzionali (cfr. l’inizio dei Promessi Sposi dove i morfemi lessicali sono sottolineati: Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno).

2.1.5. Analisi in costituentiUna frase non è costituita da una stringa lineare di morfemi. Come si è visto nel paragrafo

1.2. sopra, una frase ha “struttura”, nel senso che non è analizzata immediatamente in parole o in morfemi, ma innanzi tutto in sintagmi e poi giù fino alle unità più piccole. Questo tipo di analisi è nota come analisi in costituenti immediati ed ha una lunga tradizione che risale almeno a Bloomfield, un cui passo, molto noto, riportiamo qui di seguito:(19) Qualsiasi parlante inglese, che ci rifletta, ci dirà sicuramente che i costituenti

immediati di Poor John ran away [Il povero Giovanni corse via] sono le due forme Poor John e ran away; che ognuna di queste due è, a sua volta, una forma complessa; che i costituenti immediati di ran away sono ran, un morfema, e away, una forma complessa, i cui costituenti sono i morfemi a e way; e che i costituenti di Poor John sono i morfemi poor e John.

L’analisi in costituenti immediati trovò una sua sistemazione, per così dire, formale, nelle tipiche costruzioni a “scatola” utilizzate da Hockettzb. Si consideri, ad esempio, l’analisi della frase inglese john treats bis older sisters very nicely ‘John tratta (le) sue sorelle maggiori molto gentilmente’:(20)a. John treats his older sisers very nicelyb. John treats his older sisers very nicelyc. John treats his older sisers very nicelyd. John treats his older

sisers very nicely

e. John treats his older sisers very nicely

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f. John treats his older sisters very nicelyg. John treats his older sisters very nicelyh. John trea

t s hi s ol

der

sister

s very nice

ly

/pag. 54/L’analisi in costituenti parte dunque dalla frase (20a) e la segmenta in unità sempre più

piccole: il livello (20b), per esempio, è quello del Sintagma Nominale più il Sintagma Verbale, il livello (20g) è quello delle parole, fino ad arrivare ai morfemi (livello (20h)), che in una lingua sono, appunto, le unità più piccole dotate di significato.

2.1.6. II morfema classicoLa nozione di morfema - insieme a quella di fonema - è stata la pietra angolare su cui è

stato costruito gran parte dell’edificio strutturalista. La nozione di ‘morfema’ come si venne sviluppando nel corso del tempo assunse questi connotati:(21) Il morfema classico

a. I morfemi sono unità atomiche omogenee ed indivisibili di forma linguistica.b. Le parole sono esaustivamente composte di morfemi.c. Ogni morfema è fonologicamente rappresentato esattamente da un modo ed

ogni morfo rappresenta esattamente un morfema.d. I morfi stessi sono coerentemente e unicamente (anche se non biunivocamente)

collegati a una forma fonemica di superficie.e. I morfemi sono disposti in una struttura di costituenti immediati che corrispon-

de ad un indicatore sintagmatico come analisi della stuttura interna di una parola.

In quel che segue, esemplificheremo punto per punto gli assunti precedenti:a) in una parola come farmers ‘agricoltori’ si possono identificare tre morfemi: farm - er -

s: ognuna di queste unità è una unità ‘atomica’ nel senso che se procediamo oltre con la scomposizione (se scomponiamo cioè farm in pezzi più piccoli, come far+m o fa +rm) non si ottengono altri morfemi più piccoli: far/m/fa/rm, ecc. non hanno significato alcuno [A dire il vero far ha un significato: in inglese significa ‘lontano’, ma si tratta di una coincidenza. La parola farm non contiene il significato di ‘lontano’, senza contare, poi, che il “resto” m non avrebbe alcun significato.]: non sono dunque ‘morfemi’.

b) La parola farmers è composta esaustivamente di tre morfemi: non vi sono altri morfemi visibili o nascosti.

c) Questo punto è stato chiamato principio di biunivocità: ad un morfema corrisponde un morfo ed uno solo e viceversa. Per continuare con l’esempio inglese sin qui adottato, tale biunivocità può essere rappresentata come segue: /pag. 55/(22) morfema ‘coltivare’ ‘persona che’ ‘plurale’

morfi farm er sd) Questo punto si comprende bene se si pensa che il livello di rappresentazione

morfologico non coincide con quello fonetico-fonologico. Nel nostro esempio, in effetti, si può constatare che la rappresentazione del morfema ‘plurale’ è ‘s’ a livello morfemico ma [z] a livello fonetico 3°:(23) morfemi farm er s

forma fonetica farm er ze) La parola in questione, che è una parola complessa, può essere analizzata nel modo

seguente (in (24a) con una scatola come quelle utilizzate da Hockett, in (24b) con un indicatore sintagmatico):

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(24)a. farm er s

farm er sfarm er s

Queste “analisi> indicano a) che la parola è formata da tre costituenti; b) che questi costituenti sono organizzati in un certo modo, per esempio che i tre costituenti della parola non sono tutti sullo stesso piano, ma che farm ed er formano un costituente complesso e che a questo costituente si aggiunge s.

2.1.7. Problematicità della nozione di morfemaL’analisi in morfemi di porzioni di enunciato funziona in modo particolarmente efficace

per lingue che “costruiscono” le parole (principalmente) per aggiunta di segmenti ben individuabili. Da questo punto di vista si cita spesso il turco come una lingua di tipo cosiddetto agglutinante (cfr. 11.1.), in cui il principio della biunivocità visto sopra (ad ogni morfema corrisponde un modo e viceversa) è rispettato in alto grado. Si consideri infatti la seguente serie di parole in turco:(25) ev ‘casa (nom., sing.)’

ev + ler ‘le case (nom., Pl’ev + i ‘la sua casa (sing., poss.)’ev + den ‘dalla casa (abl., sing.)’ev + ler + i ‘le sue case’ (nom., pl., poss.)’ /pag. 56/

Si osservi che a partire da questi dati risultano prevedibili altre sequenze (effettivamente possibili) come le seguenti [A dire il vero per una perfetta predicibilità mancano le regole relative all’ordine reciproco dei vari morfemi (legati), ad esempio una regola del tipo: se c’è, il morfema del plurale appare prima del morfema possessivo (cfr. evleri), prima del morfema ablativo (cfr. evlerden), ecc. Infine, in evlerinden vi è una n che non corrisponde ad alcun morfema.]: (26) evlerden ‘dalle case’

evlerinden ‘dalle sue case’Naturalmente non tutte le lingue funzionano in questo modo. L’analisi in morfemi delle

varie lingue del mondo ha prodotto una casistica di problemi abbastanza estesa che elenchiamo qui di seguito:

1. Infissi. Ad esempio il latino rumpo ‘rompo’ (rispetto a rupi ‘ruppi’) dove l’infisso nasale m viene inserito all’interno del morfema radicale rup. In questo caso la parola non è esaustivamente analizzabile in morfemi dato che se da rumpo si isola l’infisso m ciò che “resta” non sono morfemi (ru e po).

2. Morfemi superflui, cioè marche ridondanti o ‘inappropriate’, come il presunto femminile in amaramente dove la marca di “femminile> espressa da a non ha un significato evidente .

3. Morfemi cumulativi come la o di amo che significa sia ‘prima persona’ che ‘singolare’ che ‘tempo presente’ che ‘modo indicativo’. Con questi morfemi (tipici di lingue dette flessive come il latino o l’italiano) si viola il principio di biunivocità, dato che ad un elemento formale corrispondono più significati, non uno solo.

4. Struttura senza morfemi significativi, come ad esempio ri- in riferire, ri-durre, con-durre dove vi sono le condizioni formali per una analisi in due morfemi, ma dove sarebbe difficile assegnare un significato ai costituenti (che significato hanno, negli esempi visti, ri, ferire, durre?).

5. Morfemi ‘portemanteau’ (o “amalgamati”) come in francese du ‘del’ ( = de + le ‘di + il’ ) dove alle due “porzioni” di significato ‘di + il’ non corrispondono due “porzioni” di forma: non si può cioè segmentare du in d + u e sostenere che al primo corrisponde il significato ‘di’

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farmersb.

farmer

farm er s

e al secondo il significato ‘il’.6. Morfologia sottrattiva. Fin qui si sono visti quasi esclusivamente casi di morfologia

“additiva> o “concatenativa”, vale a dire casi in cui la morfologia viene realizzata da aggiunta di segmenti: farm -j farm+er ~ farm+er+s. Esistono anche casi in cui la morfologia sembra funzionare per sottrazione più che per aggiunta [Alcuni linguisti (ad es. Matthews (1972]; Anderson [1988]; Zwicky [1988], ecc.) ritengono che i morfemi non siano delle unità ma delle operazioni formali che si applicano alle voci lessicali.]: in un dialetto tedesco del1’Assia il plurale di hond ‘cane’, è bon ‘cani’. Anche in russo esiste un /pag. 57/ fenomeno simile: logika -> logik ‘logica - logico’; lirika ---> link ‘lirica -(poeta) lirico’ [Hockett aveva notato questo tipo di morfologia ed aveva utilizzato il termine di “morfi sottrattivi” (ingl. subtractive morphs) per questi casi.]

7. Ablaut e Umlaut. Tutti i processi morfologici che vengono espressi tramite variazione del vocalismo (noti anche come apofonia e metafonia) costituiscono ovviamente un problema per la nozione di morfema. Si pensi alla formazione del plurale in tedesco (Vater/Vàter ‘padre-padri’) o all’inglese sing, sang, sung (‘canto, cantai, cantato’) dove la differenza tra i vari tempi viene espressa non attraverso l’aggiunta di uno o più segmenti ma attraverso la sostituzione di una vocale. In questo caso, la parte formale del morfema qual è? Si pensi ancora all’inglese foot ‘piede’ che al plurale fa feet: si dirà che la base è f ––– t e che il plurale si forma tramite sostituzione di oo con ee? [Anche per questo caso è stata proposta una terminologia morfemica: morfema sostitutivo (ingl. replacive morpheme).]

8. Morfemi discontinui. Un tipico morfema discontinuo può essere rappresentato dalla negazione in francese: ne ––– pas (cfr. Je ne ris pas ‘Io non rido’). In morfologia, tali affissi vengono spesso chiamati c i r c u m f i s s i. Si consideri la formazione del participio passato in tedesco:(27) ge-sag-t (da sag-en) ‘detto - dire’

L’affisso che forma il participio passato ha la forma ge ––– t, vale a dire un affisso discontinuo o circumfisso. Questa nozione è problematica per la teoria dei morfemi in quanto non vi è modo di suddividere il significato equamente tra la parte prefissale e la parte suffissale. Nell’esempio dato il circumfisso deriva un participio passato. Di questo cambiamento in che misura è responsabile ge ––– e in che misura è responsabile -t? In altri termini, in un circuriifisso il rapporto forma/ significato non è ben chiaro.

9. Morfologia non concatenativa. Come si è visto al punto 7. vi sono morfologie che non funzionano tramite concatenazione di segmenti. Si considerino i seguenti dati dell’arabo:(28) a. kataba ‘egli scrisse’

b. kutiba ‘fu scritto’c. ka:tib ‘scrittore’d. ka:tibat ‘scrittrice’e. kita:b ‘libro’

In morfologie di questo tipo, il meccanismo soggiacente sembra essenzialmente diverso da quello concatenativo. Vi è un radicale consonantico /k t b/ e le varie forme morfologiche si ottengono inserendo sequenze vocaliche diverse (cfr. 11.1.). /pag. 58/

10. Metatesi morfologica. Un altro problema per la teoria dei morfemi è dato da quel fenomeno che si può chiamare metatesi morfologica. Di solito la metatesi non ha “significato”: è spesso il prodotto di un lapsus (cfr. cimena per cinema o, ormai diffuso, areoplano per aeroplano). In alcune lingue, però, ad una metatesi può corrispondere un cambio di significato, come in questo esempio del klallam [una lingua del gruppo Salish dello stato di Washington] dove la forma dell’infinito diventa gerundio tramite metatesi dei segmenti u e kw:(29) ckwu-t ‘sparare’

cukw-t ‘sparando’Da quanto visto, si può concludere che la nozione di morfema è una nozione problematica

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soprattutto perché non tutte le parole possono essere suddivise in porzioni coerenti di morfemi, come si può verificare molto facilmente anche in italiano. La coppia di parole libro/libri ci suggerisce che i è il morfema del plurale. Ma tale analisi non si può applicare a uomo/uomini. Se, infatti, da uomini togliamo i, resta uomin, vale a dire una radice uom comune a quella che si trova nel singolare, ma poi questa analisi lascia un ‘resto’, cioè in, che è di difficile interpretazione.

A volte il morfema è formalmente identificabile ma non è semplice attribuirgli un significato. Una parola come indurre è analizzabile in due morfemi, in e durre ma avremmo difficoltà ad attribuire un significato a durre. Lo stesso dicasi per una serie di parole prefissate come conferire, deferire ecc.[ Questi prefissati sono stati studiati da Aronoff [1976]. Lo stesso problema era stato identificato dalla linguistica strutturalista ed era designato come il problema delle parole cranberry, dove berry significa ‘bacca’ ma cran in isolamento non ha significato.]

Il morfema è una unità di analisi, vale a dire un oggetto linguistico che non è “dato” ma che il linguista “scopre” in seguito ad analisi condotte con tecniche specifiche.

Per tutte le ragioni viste in questo paragrafo, la nozione di morfema non sembra adatta a costituire la base di una teoria morfologica.

2.2. La parola come “primitivo”Ogni teoria può assumere come unità di base dei “primitivi”, vale a dire delle nozioni non

ulteriormente analizzate ma sulle quali vi è un accordo intuitivo: unità come nuvola, lupo, libro sono “parole dell’italiano”. Dati i problemi cui dà origine la nozione di morfema, assumeremo convenzionalmente come primitivo della teoria morfologica la “parola”. In altri termini, supporremo che nel “lessico” siano immagazzinate delle parole e non dei morfemi.

Una parola come dedurre sarà dunque elencata nel lessico come tale e non “costruita” mettendo insieme il morfema de e il morfema durre /pag. 59/ (che sono due morfemi, formalmente, ma che non hanno un significato chiaro).

Per l’italiano in particolare, poi, l’ipotesi che il lessico contenga parole è ricca di conseguenze, come si vedrà più avanti. Una parola come banca, ad esempio, è analizzabile come bimorfemica, e cioè costituita da un morfema lessicale (banc) più un morfema grammaticale (a). Ma se nel lessico dell’italiano fossero elencati solo i morfemi (e non le parole), allora, tale lessico elencherebbe il morfema banc e il morfema a. A questo punto, per formare la parola banca sarebbe necessario supporre che esistano delle regole che mettano insieme i due morfemi costituenti (banc+a). Non è però chiaro in che senso questa sarebbe una “regola” dato che non vi è nulla in banc che richieda una a, né vi è nulla in a che richieda il radicale banc, tanto è vero che esiste una parola come banco dove lo stesso radicale è unito ad una o. Dunque tanto vale sostenere che banca e banco (ma anche forme come dedurre) sono elencate nel lessico come tali, cioè come “parole” e non formate tramite regole a partire dai morfemi costituenti.

2.2.1. Problematicità della nozione di “parola”Dire che assumiamo la “parola” come un primitivo non ci autorizza a pensare che si tratti

di una nozione del tutto semplice.La nozione di “parola” solo a prima vista può sembrare molto semplice ed intuitiva. È

invece una nozione complessa perché la parola è una unità di “confine”; è infatti una nozione sia fonologica, sia sintattica, sia semantica.

Diverse definizioni a prima vista intuitive e semplici comportano, ad un esame più approfondito, conseguenze non sempre desiderabili. Si consideri per esempio una definizione come la seguente: è parola ciò che è compreso tra due spazi bianchi. Una definizione come questa èintuitivamente semplice e sembra molto efficace ma ha un immediato limite di

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applicazione in quanto può funzionare solo per lingue dotate di scrittura e non per lingue che ne sono sprovviste: gli “spazi bianchi” sono evidentemente un criterio ortografico.

Un’altra possibilità è definire “parola” quelle unità della lingua che possono essere usate da sole, che possono, cioè da sole formare un enunciato, come Franco (in risposta a cbi è?), domani in risposta a quando? ecc. Ma questo criterio escluderebbe le parole grammaticali come di, e, ecc. che di norma non possono da sole costituire un enunciato.

Nonostante le difficoltà, non si può abbandonare la nozione di parola dato che le si è sempre riconosciuta una importante realtà psicologica {Come dice Lepschy [1979: 31], “La difficoltà o l’impossibilità di definire in maniera rigorosa e valida interlinguisticamente la nozione di parola non detrae dalla sua centralità”. Cfr. ancora Ramat [1990: 3] “Ciò indica da un lato che la ‘parola’ si presenta ai parlanti (segnatamente quelli alfabetizzati) con una sua certa evidenza intuitiva e dall’altro che i parlanti interiorizzano solitamente un’immagine della propria lingua come articolata in sotto-unità: appunto le parole [...]” }. Le soluzioni contemporanee a questo problema si fondano sulla /pag. 60/ assunzione che non è possibile definire la nozione una volta per tutte. Si possono distinguere varie accezioni di “parola”, a seconda del punto di vista a partire dal quale si considera questo “oggetto”. Così, la nozione di parola fonologica non coincide con la nozione di parola morfologica o di parola sintattica.

Dal punto di vista fonologico sono state tentate diverse vie per identificare le parole: la posizione dell’accento, le restrizioni sulle combinazioni di suoni permesse in fine di parola, il dominio di applicazione delle regole, come esemplificheremo brevemente qui di seguito.

Le parole hanno un accento primario (e, di norma, uno solo) [Le parole cása, lámpada, útile hanno tutte un solo accento, un accento primario sulla prima sillaba (segnato qui con un accento acuto). Parole più complesse possono avere anche degli accenti secondari (per es. dóttrinàrio, mènziondto hanno un accento secondario - segnato qui con un accento grave - sulla prima sillaba e l’accento primario sull’ultima). Sull’accento secondario in italiano, cfr. 6.5], e spesso l’accento cade obbligatoriamente in una data posizione. Per esempio, in francese l’accento cade sempre sull’ultima sillaba [Lingue diverse presentano situazioni diverse: in ceco l’accento è sempre sulla prima sillaba, in polacco sulla penultima, in latino sulla penultima o sulla terzultima (quando la penultima è breve), ecc.] di una parola e quindi, in una frase, ad ogni accento corrisponde una parola, o meglio, ogni accento segnala la fine di una parola e l’inizio di un’altra. Si consideri la frase seguente:(30) cette femme achètera deux maisons somptueuses

‘questa donna acquisterà due case lussuose’In questa frase vi sono sei accenti e dunque sei parole: la fine di ogni parola è segnalata

dalla posizione dell’accento [Questo criterio si fonda, naturalmente, sulla pronuncia e non sulla grafia: graficamente in cette si ‘vedono’ due sillabe ma se si pronuncia la parola, si osserverà che vi èuna sola sillaba, dato che la e in francese standard è muta. La trascrizione fonetica di tutta la frase è [sEt fam aStra dø mezõ sõptyø:z].

Questo criterio non può però essere generalizzato perché esistono lingue ad accento libero, come ad esempio l’italiano, dove l’accento non può avere questa funzione, date coppie come péro e peró, cánto e cantó o àncora e ancóra [Un altro limite di questo criterio sta nelle parole cosiddette clitiche che non hanno accento proprio ma che si ‘appoggiano’ o alle parole seguenti (proclitiche: ad es. lo in lo mangio) o a quelle precedenti (enclitiche: ad es. lo in mangialo). Sui clitici, cfr. 10.3. più avanti.]

Un altro criterio - sempre di natura fonologica - si basa sul fatto che certe sequenze di suoni sono ammesse in posizione finale di parola ma non internamente, o viceversa. Per esempio, in sanscrito la sequenza “Vocale-Vocale” è possibile solo in posizione iniziale di parola mentre viene invece eliminata (tramite contrazione o formazione di /pag. 61/ semi-consonante) all’interno di parola. Sempre in sanscrito, al contrario, in fine di parola non possono comparire sequenze di consonanti (che sono invece ammesse all’interno della parola) e le sole consonanti ammesse in fine di parola sono occlusive sorde non aspirate. Tutti questi

37

fatti possono essere considerati come delle ‘spie’ su dove inizia o dove finisce una parola in sanscrito. Ma anche questo criterio si è rivelato non generalizzabile dato che tali fenomeni possono sì essere comuni a diverse lingue ma non necessariamente a tutte le lingue.

La tendenza della linguistica contemporanea è di considerare “parola fonologica” quella stringa cui si applicano regole puramente fonologiche. Per esempio, nell’italiano settentrionale vi è una regola, chiamata “sonorizzazione della sibilante”, per cui / s/ diventa sonora, [z], quando si trova tra due vocali.

Questa regola si applica all’interno di una parola semplice (31a), si applica alle parole flesse (31b), si applica sempre nelle parole suffissate (31c), si applica nelle parole prefissate se il prefisso finisce con/s/ (31d), ma non si applica attraverso i due costituenti di un composto (32a), né dopo un prefisso che termina in vocale (32b), né tra due parole diverse (32c):(31) a. ca[zla, ro[z]a

b. ca[z]e, ro[z]ec. ca[zlina, ro[z]ettad. di[z]onesto, mi[z]antropo

(32) a. tocca[s]lana *tocca[z]anab. a[s]ociale *a[z]ocialec. tu[s]enti *tu [z]enti

Da questo punto di vista, dunque, sono parole “fonologiche” le parole semplici, le parole flesse, le parole suffissate e le parole prefissate con prefissi che terminano in /s/, mentre in tutti gli altri casi dovremo concludere che si tratta di sequenze di due parole.

Se la parola fonologica coincide con quel dominio entro cui si applicano regole fonologiche, da quanto appena visto, si constata che la nozione di parola fonologica non può coincidere con la parola morfologica, dato che - intuitivamente - si può dire che, dal punto di vista morfologico, sono parole le parole semplici, le parole flesse, le parole suffissate, le parole prefissate e le parole composte. Da un punto di vista strettamente morfologico, solo in (32c) vi sono due parole diverse.

In generale, la parola morfologica e la parola sintattica coincidono: anche per la sintassi tutte le forme elencate in (31) e (32) sono una parola sola, con l’eccezione di (32c).

Per quanto riguarda (32c), in effetti, qualcuno potrebbe sostenere /pag. 62/ che in realtà si tratta (sintatticamente) di una parola sola come in effetti è in latino (sentis ‘tu senti’) dove la s finale corrisponde al pronome “tu”). In realtà, l’espressione tu senti non costituisce in italiano una parola sola perché gli elementi sono separabili e vi si può inserire del “materiale” linguistico (cfr. tu oggi non senti), cosa che non si potrebbe fare nel latino senti-s. Inoltre l’ordine degli elementi può essere invertito in italiano (senti tu?) ma non in latino (*s-senti). Dobbiamo concluderne dunque che anche sintatticamente, tu senti è costituito da due parole autonome.

Tra morfologia e sintassi, cambia però il punto di vista, dato che alla prima (per la quale la parola è il costituente massimo) interessa soprattutto la struttura interna delle parole, mentre alla seconda (per la quale la parola è il costituente più piccolo) interessano soprattutto le relazioni esterne che una parola può intrattenere con le altre parole di una frase.

Mentre da un punto di vista morfologico è importante sapere come una certa parola è stata costruita, alla sintassi interessa, per così dire, solo il risultato finale. Più tecnicamente, potremmo dire che la morfologia studia la struttura interna di una parola, mentre alla sintassi importa solo la sua “ valenza” sintattica.

Dal punto di vista terminologico, è importante distinguere, ancora tra tema e radice da una parte e forma di citazione dall’altra, cosa che faremo nei due paragrafi seguenti.

2.2.2. Tema e radice

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Si consideri il verbo amare ed in particolare le seguenti forme:(33) infinito: amare

tema: amaradice: am

Guardando alle forme appena citate, si può dire che in italiano (e in molte lingue romanze) il tema si ricava sottraendo all’infinito la marca [Con “marca” si intende un indicatore di classe o di funzione grammaticale. In italiano si può dire che o è la marca di una certa classe di nomi (ad es. libro, tavolo), v è la marca del tempo imperfetto in amavo, i la marca del plurale in libra’, ecc.] di tempo e modo -re e che la radice si ottiene sottraendo al tema la vocale tematica (a nell’esempio in (33), e per un verbo della seconda coniugazione, i per un verbo della terza).

Amare è quindi trimorfemico (ed è costituito dalla radice, dalla vocale tematica e dalla desinenza flessiva), il tema ama è bimorfemico (ed è costituito dalla radice e dalla vocale tematica) e la radice am- è monomorfemica. /pag. 63/

La procedura appena descritta è empirica e sostanzialmente affidabile. Naturalmente si può immaginare una procedura diversa, sostanzialmente opposta: la radice è “data” e dalla radice si forma il tema mediante l’aggiunta della vocale tematica; l’infinito si ottiene poi mediante l’aggiunta di -re:(34) a. am

b. am + ac. am + a + re

Come nel caso di banca visto in 2.2., però, il tema non può essere ricavato tramite regole a partire dalla radice: non vi è nulla che “obblighi” la radice am a “prendere” la vocale tematica a invece di e o di i. Non vi è alcun modo per prevedere che la radice am si unisca alla vocale tematica a. In altri termini, nella morfologia di lingue come l’italiano o il latino, non è possibile “dare” la radice e poi “derivare” attraverso regole il tema [Il “tema” verbale è quindi “dato” (e ciò implica assumere che il tema deve essere appreso dai parlanti in quanto tale e in quanto tale memorizzato). Il significato della vocale tematica è un significato “grammaticale”, anzi interamente morfologico. La vocale tematica segnala l’appartenenza di un determinato radicale verbale ad una data classe di coniugazione: a alla prima, e alla seconda, i alla terza. La vocale tematica non ha alcun tipo di rapporto con la ‘sintassi’ dei verbi: non segnala, per esempio se un verbo è transitivo o intransitivo (cfr. ama(re) / vola(re), teme(re) / ride(re), senti(re) / nitri(re). La vocale tematica ha conseguenze solo per quel che riguarda la forma interna del verbo (cfr. ascoltavamo / temevamo / sentivamo) e non la sua sintassi “esterna”. La distinzione tra radice e tema consiste nel fatto che la prima è morfologicamente semplice, non ulteriormente analizzabile; il tema invece è analizzabile (in quanto consiste della radice più la vocale tematica) ma non si può “formare” tramite regole: è “dato” come tale.]

(33) rappresenta una analisi, tramite segmentazione, a partire da una parola data. (34) rappresenta invece la costruzione di una parola a partire dai suoi costituenti [Si osservi però che (34c) si può ricavare per regola da (34b), mentre (34b) non si può ricavare per regola da (34a)]

2.2.3. Forma di citazioneMolto spesso la nozione di parola è identificata con la nozione di “forma di citazione” di

una parola. Con questo termine si intende la forma di una parola che è normalmente usata nei dizionari e nelle grammatiche di quella lingua. In italiano, la forma di citazione del nome è il singolare (libro), la forma di citazione dell’aggettivo è il maschile singolare (bello), la forma di citazione del verbo è l’infinito presente (amare). In questa accezione, la forma di citazione è chiamata anche “lemma”.

La forma di citazione è una scelta convenzionale e non ha alcun valore in una teoria del linguaggio, tanto è vero che diverse tradizioni lessicografiche o grammaticali hanno scelto

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forme di citazione diverse. In latino e in greco, la forma di citazione del verbo è la prima persona /pag. 64/ singolare del presente indicativo, in sanscrito è la radice, in italiano e francese è l’infinito, nelle lingue semitiche è la terza persona maschile singolare del perfetto (per es. kataba ‘scrisse’). In altri casi ancora, quando non vi è una tradizione ben definita, diversi dizionari o grammatiche usano forme di citazione diverse.

La forma di citazione ha una realtà convenzionale che può non trovare riscontro nei fatti. Se si chiede, infatti, ad un parlante italiano di spiegare come è costruita la parola amministrazione, con molta probabilità risponderà: “ da amministrare più -zione”. Se si osserva però la parola con attenzione, ci si rende conto che nel passaggio supposto amministrare +zione --> amministrazione i conti non tornano perché il risultato coerente con la risposta dell’ipotetico parlante avrebbe dovuto essere *amministrarezione, che è una costruzione palesemente non corretta. Lo stesso tipo di osservazione vale per parole come nuotatore (non *nuotaretore), mangiabile (non *mangiarebile), comandamento (non *comandaremento), ecc.

Possiamo concluderne che la forma di citazione, pur essendo una forma molto radicata nella nostra tradizione lessicografica e grammaticale, non coincide necessariamente con le unità di base della teoria morfologica esplicita che stiamo delineando.

2.2.4. Parola come “parola astratta”Una parola come amministrare ha dunque due realtà: una astratta per cui diciamo che è

una forma di citazione (1’“indirizzo” nel vocabolario, il lemma) e una concreta, realizzata nelle frasi, per cui diciamo che è la forma infinitivale di quel verbo (e quindi entra in costruzioni sintattiche come non desidero amministrare le industrie di stato).

Si consideri ancora la parola amministrazione insieme ad altre parole come amministratore, amministrativo, amministrabile. Tutte queste parole sembrano costruite a partire dalla stessa forma di base tramite aggiunta di suffissi diversi:(35)

zioneamministra tore

tivobile

La forma amministra può essere o il tema del verbo, o la terza persona singolare del presente indicativo o la seconda persona singolare dell’imperativo presente. In questi tre casi il ‘significato’ della a finale di amministra è diverso:(36) amministra (tema) a = prima coniugazione

amministra (ind. ) a = terza pers. sing. pres. ind.amministra (imp.) a = seconda pers. imperativo pres. /pag. 65/

Nelle parole di (35) non vi è traccia di un significato ‘imperativo’. Ma non vi è traccia nemmeno della terza persona singolare dell’indicativo perché la ‘stessa’ forma amministra è alla base anche di forme flesse come le seguenti:(37) amministra i (pass. remoto seconda pers. sing.)

vo (imp. ind. prima pers. sing. )ssi (imp. cong. prima pers. sing. )

Ora se la forma di base amministra fosse il presente l’analisi di amministrai sarebbe la seguente: radice (amministr), terza persona presente indicativo (a ) prima persona passato remoto indicativo (i ): a ed i darebbero informazioni contrastanti sia per quel che riguarda la persona sia per quel che riguarda il tempo. Se invece amministra fosse il tema, la lettura di amministrai sarebbe la seguente: radice (amministr), vocale tematica (a ) dal significato ‘prima coniugazione’, prima persona passato (i ), che è una lettura più coerente con tutti i fatti osservati. Alle stesse conclusioni si giunge verificando tutte le forme di (37).

Si osservi che lo stesso tipo di problemi riguarda tutti i processi morfologici. Si

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considerino le seguenti forme:(38) porta + vo

porta + toreporta + bagagli

In tutte queste parole (parola flessa, derivata e composta, rispettivamente) compare la stessa forma di base, porta. Sarebbe molto antieconomico supporre che alla base della forma composta vi sia un imperativo, alla base della forma derivata la terza persona e alla base della forma flessa il tema. È - ancora - più coerente supporre che la forma di base sia il tema e che il significato della a di porta sia sempre lo stesso, ‘(verbo della) prima coniugazione’.

Si osservi infine che l’ipotesi secondo cui alla base dei vari processi morfologici vi è la terza persona singolare dell’indicativo se è plausibile (dal punto di vista formale) con i verbi della prima coniugazione, non lo è con i verbi della terza: si dice infatti bollitore e non *bolletore.

Assumeremo dunque che la base della morfologia verbale sia il tema. Ora, il tema non è né un’unità monomorfemica (può essere sempre analizzato in una radice più una vocale tematica [Con la sola eccezione dei verbi atematici che, appunto, non hanno la vocale tematica, come ad es. il verbo essere.]) né una “parola esistente” perché il tema non compare mai da solo in una frase: per poter comparire in una frase deve essere o flesso o derivato o composto. Il tema è dunque una “parola astratta”.

Se ora passiamo dalla morfologia verbale a quella nominale [Con morfologia nominale intendiamo in questo passaggio la morfologia del nome e quella dell’aggettivo. Queste due categorie hanno una morfologia molto simile (cfr. ragazzola i i l e e bellola / i / e) e completamente diversa dalla morfologia verbale.], ci /pag. 66/ troviamo dinnanzi a un problema. Se infatti alla forma di citazione del nome togliamo la flessione non otteniamo un tema (come per il verbo) ma piuttosto una “radice”(39) libro –––> libr

bello –––> bellDue sono le soluzioni praticabili. O si sostiene che la morfologia verbale e quella nominale

in italiano sono diverse (nel senso che la prima èbasata sul tema e la seconda sulla radice, vale a dire sul morfema) o si tenta un approccio unificato.

In questo secondo caso, si dovrà assumere che anche per la morfologia nominale esistano temi astratti e che anche qui esistano dei ‘temi’ formati da radice più vocale tematica:

(40) libr+ocas+apan + ebell + oelegant + e

La vocale tematica ha nel nome la stessa funzione che ha nel verbo: determina l’appartenenza della radice ad una classe flessiva. La o in libro determina l’appartenenza della radice libr alla classe flessiva dei nomi maschili che hanno il plurale in -i. La a in casa determina l’appartenenza della radice cas alla classe dei nomi femminili che hanno il plurale in -e, ecc.

In questo quadro, si deve pertanto assumere che una forma come libro possa essere sia una forma astratta (quella che si troverà dunque nel dizionario) sia una forma concreta (flessa) proprio come ama può essere ambiguamente forma astratta o forma flessa.

L’ipotesi appena delineata permette di trattare in modo unificato la morfologia dell’italiano, come si può vedere dai seguenti due esempi che intendono dar conto, in modo intuitivo, di come si giunge alla formazione delle due parole flesse (tu) ami e (i) libri:(41) Lessico ama libro

Flessione ama + i libro + i

41

Riaggiustamentoss ø øUscita ami libri

[Il riaggiustamento cancella la seconda vocale a di ama e la vocale o di libro prima di un’altra vocale. Per questo tipo di regole]

In conclusione, per l’italiano, si può sostenere l’ipotesi di una morfologia basata sulle parole e non sui morfemi, a patto però che la nozione di “parola” non coincida necessariamente con la nozione di /pag. 67/ “parola esistente” o di “forma di citazione” ma sia interpretata come parola “astratta” e cioè come “tema” [Bloomfield [1933 (1974: 261)] osservava che l’inglese presenta flessione della parola, derivazione della parola, e composizione della parola. Così in voci come plays ‘gioca’, player ‘giocatore’, playground ‘campo da gioco’ c’è sempre la parola play ‘gioco’.

In altre lingue, come il greco classico, il latino, il sanscrito, ecc. vi sono composti e derivati “tematici”. In greco classico, ad esempio, nella derivazione e nella composizione troviamo forme che non coincidono con nessuna forma flessa.

Nel derivato [hippo-te:s] ‘cavaliere’, e nel composto [hippo-kantharos] ‘scarafaggio-cavallo’, ad esempio, troviamo l’elemento comune [hippo] ‘cavallo’ che non coincide con nessuna forma flessa: nom. [hipp-os], gen. [hipp-ow], dat. [hipp-o:j], acc. [hipp-on], voc. [hipp-e].

La forma hippo può essere considerata una parola solo nel senso di “tema” (cioè una radice (hipp) più una vocale tematica (-o)).

2.3. SommarioLa nozione di morfema, che è stata la pietra angolare di tutta la linguistica strutturalistica

statunitense, è una nozione molto articolata per la quale bisogna distinguere un piano astratto (quello del morfema vero e proprio) da un piano concreto (che è quello delle varianti effettivamente osservabili, o allomorfi (2.1.1.)). ll morfema è un’unità della lingua la cui individuazione riposa su principi formali ben codificati (2.1.2.) ed ha dato luogo a classificazioni ben consolidate (2.1.3, 2.1.4). La segmentazione dell’enunciato in morfemi ha prodotto la classica “analisi in costituenti” che si presenta come un metodo unificato per analizzare le frasi in sintagmi, i sintagmi in parole, le parole in morfemi, i morfemi in fonemi (2.1.5.). Abbiamo quindi visto le principali proprietà definitorie del “morfema classico” (2.1.6.).

La nozione di morfema, però, se applicata coerentemente ad un ampio spettro di fenomeni e di lingue, rivela diverse incongruenze (2.1.7. ). Siamo pertanto passati ad analizzare la nozione di “parola”, una nozione intuitivamente più evidente di quella di morfema, ma non per questo meno problematica dato che sfugge da decenni ad un’adeguata definizione. Abbiamo pertanto convenuto di assumere la parola come un “primitivo” della teoria (2.2.). È importante, tuttavia, avere presente che la nozione di parola sfugge ad adeguate definizioni non solo perché vi è grande variazione da lingua a lingua, ma anche perché èun’unità che interessa tutti i componenti della grammatica: vi è dunque una “parola fonologica”, una parola “morfologica” e una parola “ sintattica” e queste accezioni di “parola” possono non coincidere (2.2.1.). Anche la nozione di parola è ben articolata e pertanto si sono analizzate le nozioni collegate di radice, tema (2.2.2.) e forma di citazione (2.2.3.) concludendone che la forma che sta alla base dei processi morfologici dell’italiano è il tema, dunque una nozione di parola astratta (2.2.4.).

2.4. Indicazioni bibiiograficheMorfema: Aronoff [1976]; Bloomfield [1933]; Hockett [1958]; Nida [1970].Parola: Anderson [1985a; 1985b; 1988]; Di Sciullo e Williams [1987]; Lyons [1968]; Matthews [1974]; Sapir [1921, cap. 2].Parti del discorso: Jespersen [1924]; Lyons [1968].

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CAPITOLO III: RAPPRESENTAZIONI LESSICALI

3.0. Introduzione

Nel capitolo precedente, si è analizzata nei dettagli la nozione di morfema e si è concluso che non si tratta di un’unità adeguata per essere posta alla base dei processi morfologici . Si è quindi proposto che alla base di tutti i processi morfologici ci sia la parola, intesa come “tema ” . In sostanza , dunque, le parole costituiscono l’entrata, o come si direbbe in inglese, 1’input di un sistema di regole che dà in uscita l’insieme delle parole di una determinata lingua L. Delle regole ci occuperemo nel capitolo seguente; in questo capitolo ci soffermeremo ancora sulla nozione di parola, con lo scopo di definire meglio l’ambito della morfologia, di definire i compiti di una teoria della morfologia e di avanzare una proposta su come le parole possano essere rappresentate nel lessico.

3.1. Ancora su morfologia e sintassiNel cap. 1 si è visto che lo scopo della morfologia tradizionale è di classificare le varie

unità che costituiscono il livello linguistico “morfologico”. In questo quadro, la tecnica utilizzata è quella della s e g m e n t a z i o n e e i dati sono tratti da un corpus. Data una parola morfologicamente complessa, come ad es. scontentezza, si cerca di segmentarla nei suoi costituenti s+content+ezz+a, ognuno dei quali èun morfema: s- significa ‘non’, content- significa ‘felice’, -exz significa ‘lo stato di’, -a significa ‘femminile singolare’, per cui tutta la parola, che ha significato composizionale, significa ‘lo stato di essere non felice (nome femminile singolare)’.

Abbiamo poi visto, o almeno intravisto, che gli obiettivi di una teoria morfologica possono essere più ambiziosi. Così come si ritiene che la sintassi debba definire l’insieme delle frasi possibili di una lingua, si può parimenti ritenere che la morfologia debba definire l’insieme delle parole possibili di una lingua. /pag. 71/

Per il momento, in completa analogia con la sintassi [In realtà si potrebbe obiettare che oggi è scomponibile in ogg+i. Questa analisi presenta però delle difficoltà perché non si saprebbe che significato attribuire alla i. Non può significare ‘plurale’ (come il lup+i) dato che nella parola in questione non vi ètraccia della nozione di pluralità. Anche problematico sarebbe volervi vedere un morfema connesso con una qualche nozione di temporalità (come in doman +i e ier+i)], si può proporre che l’obiettivo di una teoria morfologica sia quello di formare tutte le parole di una lingua e di assegnare loro una struttura univoca. Una teoria morfologica deve riuscire anche a dar conto delle conoscenze che i parlanti hanno della morfologia della propria lingua. Come si è visto nel cap. 1, un parlante nativo “sa” diverse cose sulle parole della propria lingua, in particolare un parlante a) conosce quali sono le parole della propria lingua (mediatore è una parola dell’italiano, handelaar non lo è), b) sa che certe parole hanno struttura interna mentre altre non sono scomponibili (in-util-ità VS. oggi), c) sa che la struttura interna delle parole è data anche dall’ordine in cui sono disposti i vari costituenti (cfr. in-util-ità vs. *util-ità-in oppure dur+evol+mente ma non *dur+ment + evole).

Ci sono però delle differenze fondamentali tra sintassi e morfologia. Anche tali differenze possono aiutarci a definire più chiaramente i compiti della morfologia, come vedremo nei prossimi paragrafi.

3.1.1. Memorizzato vs. costruito tramite regolePer la morfologia esiste una differenza cruciale tra “memorizzato” e “formato per regola”.

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Questa differenza non esiste per la sintassi. O meglio, esiste solo come caso limite. Si suppone infatti che di norma le frasi di una lingua vengano “costruite” tramite “regole sintattiche”. Si supponga che un parlante dica una frase come la seguente: Oggi, leggendo un romanzo di Amado, mi sono improvvisamente ricordato di Carla che in effetti aveva due fidanzati e a causa di ciò trascorreva le sue giornate tra l’euforia e l’affanno. È plausibile ipotizzare che il parlante in questione non abbia memorizzato una frase dalla struttura tanto complessa ma che l’abbia costruita. Le poche frasi memorizzate sono quelle idiomatiche, frasi che hanno acquisito significati non prevedibili, non regolari (ad es. fare di tutte l’erbe un fascio, va al diavolo, chi è fuori è fuori, ecc.).

Si può ipotizzare che le parole semplici siano tutte “memorizzate” e che, al contrario, siano costruite tramite regole solo le parole complesse che abbiano struttura regolare. Diciamo che una parola come attivo deve essere memorizzata come tale mentre una parola come disattivato è costruita tramite una serie di operazioni regolari:(1) parola di base: attivo

suffissazione con -a (re): attivo + afre)prefissazione con dis-: dis + attivo + a (re)aggiunta della flessione: dis + attivo + a(re) + ato

quindi: la morfologia deve poter distinguere tra unità formate tramite regole e unità memorizzate. Questa distinzione - in termini linguistici - può essere resa con la distinzione tra il 1 e s s i c o e il componente delle regole, nei termini già visti nel cap. 1 e che qui ripetiamo per comodità:

LESSICO

REGOLIUn altro dominio “regolare” è quello della flessíone. Si consideri il verbo. Ogni verbo

regolare può essere flesso per modi, tempi, ecc. per circa un centinaio di forme diverse. È assai ragionevole pensare che vi sia una forma di base (rappresentata nel lessico) e che tutte le altre forme possibili siano costruite tramite regole. L’ipotesi, invece, secondo cui noi avremmo immagazzinate in memoria tutte le forme flesse del verbo sarebbe molto dispendiosa.

Nel lessico troverà luogo tutto ciò che non è predicibile (come la parola semplice attivo) e tutto ciò che non è regolare (come la parola nontiscordardimé il cui significato - nel senso del fiore - non è predicibile a partire dalle sue parti) [Per esempio alla forma negativa non in nontiscordardimé non corrisponde alcun significato “negativo” del fiore in questione.]

Le regole formeranno unità in base a principi, appunto, regolari e predicibili. Per una parola come industrializzavano si supporrà dunque che nel lessico vi sia una rappresentazione della sua base (industria) mentre la forma complessa sarà costruita, passo dopo passo, da regole a ciò preposte:(2) industria

industria + ale industria + ale + izza industria + ale + izza + v + a + no

Così, nel lessico si troveranno aggettivi come attivo, acre o vistoso mentre le parole “regolari” derivate attivamente, acremente, vistosamente saranno formate tramite regole.

Elencare tutte le parole con idiosincrasie imprevedibili nel lessico non priva la morfologia del suo contenuto e della sua validità perché l’obiettivo di una teoria morfologica è di definire le parole “nuove” che i parlanti possono formare o, più esattamente, i processi “regolari” con cui vengono formate le parole nuove.

3.1.2. Esistente vs. possibile

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La morfologia, al contrario della sintassi, deve distinguere tra le due nozioni di possibile e di esistente. Quando si ha a che fare con le parole dobbiamo, infatti, tenere conto che si danno le seguenti tre possibilità: (a) parole effettivamente esistenti, (b) parole possibili ma non esistenti, (c) parole non possibili (e non esistenti). I tre casi sono esemplificati, rispettivamente, qui di seguito:(3) a. tavolo

completarevorticoso

b. tabola campletire verticosto

c. ttrae pprdeona bbrstou

Quelle in (3a) sono parole esistenti a tutti gli effetti: ogni parlante dell’italiano le riconosce come tali, sa cosa significano, come funzionano ecc. Quelle in (3b) sono parole che potrebbero esistere ma non esistono. “Potrebbero esistere” significa che non violano le regole che presiedono alla formazione delle parole. Se ve ne fosse bisogno, le parole in (3b) potrebbero essere usate normalmente. Le parole in (3c) invece violano tutte almeno un principio fonologico dell’italiano, quello secondo cui i gruppi di consonanti ttr, ppr, bbr non possono stare all’inizio di parola anche se possono trovarsi all’interno di parola (cfr. attraversare, apprendere, abbrustolito). Le parole in (3c) sono dunque parole fonologicamente non possibili in italiano.

Oltre a criteri fonologici di buona formazione delle parole, esistono criteri morfologici. Si considerino esempi come i seguenti:(4) a. violinista

baristafiorista

b. triangobsta alberghista verdurista

c. scrivista corrista cucista /pag. 74/

Anche in questo caso vi sono parole esistenti come in (4a), parole non esistenti ma possibili (4b) ed infine parole non possibili (4c). Le parole in (4b) non violano alcuna regola morfologica: sono tutti possibili nomi di ‘mestiere’ in cui il suffisso -ista si aggiunge ad un nome. Le parole in (4c) invece non sono ben formate in quanto il suffisso -ista di norma non si può aggiungere a verbi.

In sintassi, diversamente da quanto appena visto per la formazione delle parole, vi sono solo due classi: quella delle frasi possibili (5a) e quella delle frasi non possibili e (5b):(5) a. Ieri sera ho incontrato sei musicisti allegri

b. *Ho musicisti sei sera allegri incontrato ieriManca cioè in sintassi la classe delle frasi possibili ma non esistenti.A quanto appena detto, va aggiunto che le parole sono particolari sotto molti punti di vista.

Innanzi tutto, non tutte le parole che potrebbero esistere esistono effettivamente. Ad esempio, il verbo di base di concussione non esiste in italiano. Oppure vi sono ‘lacune’ lessicali come si vede dalla seguente serie: esistono i nomi conferma e consegna ma non *confermazione e *consegnazione mentre al contrario non esistono i nomi *considera e *consolida ma esistono considerazione e consolidazione. Inoltre, le parole esistenti non significano sempre quello che si suppone dovrebbero significare. Una parola come trasmissione, ad esempio, che secondo le

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regole dovrebbe avere il significato di nominale astratto ‘l’azione del trasmettere’, ha invece un significato diverso quando si riferisce ad una parte dell’automobile o ad un programma televisivo. Trasmissione (nel senso di ‘parte di un’automobile’) deve perciò essere elencata nel lessico in quanto parola con un significato non “regolare”.

3.1.3. Struttura interna vs. struttura esternaVi è un livello comune tra morfologia e sintassi che è dato dalle parole: se una parola è un

verbo e non un aggettivo, ciò riguarda sia la morfologia che la sintassi. Ma, come abbiamo già detto nel capitolo precedente, mentre la morfologia si occupa della struttura ‘interna’ delle parole (ad es. come è costruito il verbo destalinizzare) la sintassi si occupa della valenza ‘esterna’ delle parole (ad es. se il verbo destalinizzare è transitivo o meno) [Per valenza esterna di una parola si intende l’insieme degli elementi che una parola può richiedere sintatticamente. Spegnere è un verbo che richiede obbligatoriamente un oggetto (cfr. Ernesta spegne la luce vs. *Ernesta spegne); mettere richiede invece obbligatoriamente un oggetto e un locativo (cfr. Ernesta mette un libro sul tavolo, ma *Ernesta mette un libro o *Ernesta mette sul tavolo).. In altre parole, mentre alla sintassi interessa solo il risultato finale, alla morfologia interessano i modi in /pag. 75/ cui una certa parola è arrivata ad acquisire, per così dire, la sua forma ultima. Si considerino i seguenti verbi:(6) a. N –––> A –––> V centro –––> centrale –––> centralizzare

b. A –––> N –––> V –––> giusto –––> giustizia –––> giustiziarec. N –––> N –––> V –––> palla –––> palleggio –––> palleggiared. V –––> N –––> V –––> agire –––> azione –––> azionared. A –––> V –––> attivo –––> attivaree. N –––> V magnete –––> magnetizzaref. V –––> V giocare –––> giocherellareg. V rompere

Come si vede, vi sono diversi modi in cui un verbo arriva, per così dire, ad essere un verbo’. Un verbo può essere un verbo semplice (6g) o un verbo derivato (6a-f). Se un verbo è semplice, esso è “dato” nel lessico, se è derivato invece può essere formato in una ‘tappa’ (6d-f) o in due ‘tappe’ (6a-d). Le operazioni necessarie per costruire dei verbi complessi sono operazioni morfologiche. Alla sintassi però importa solo conoscere la categoria V e le proprietà ‘sintattiche’ di tale Verbo (ad es. che tipo di soggetti ammette, se è transitivo o meno, che tipo di complementi ammette, ecc.). La sintassi cioè fa riferimento solo all’etichetta categoriale più “esterna”. Si consideri, ad esempio, (6b) e la sua struttura:(7) [[[giusto]A +izia]N +are]V

La sintassi è interessata, per così dire, solo all’etichetta esterna V (e a ciò che da questa etichetta dipende) ma non alle altre etichette interne (A o N) che non sono di alcun interesse per alcuna operazione sintattica. In altri termini, non sembrano esservi regole sintattiche che discriminano tra un verbo denominale e un verbo deaggettivale o tra questi e un verbo semplice, non derivato.

3.1.4. Parole semplici e parole complesseIn sintassi si distinguono frasi complesse e frasi semplici8; una simile distinzione può

valere anche per le parole ma, ancora una volta, è necessario sottolineare che tra il dominio della sintassi e quello della morfologia vi sono delle differenze, come si vedrà subito [In questo manuale, per “parola complessa”, si intende una parola derivata e/o composta: in +civile, dimostra +zione, volta +gabbana, croce +ross + ina sono parole complesse.].

Parole come ieri, sempre, ogni sono parole che non si possono ulteriormente analizzare sul piano morfologico: ogni segmentazione (i-eri, /pag. 76/ ie-ri, ier-i) non porta ad unità morfologicamente riconoscibili’ [Naturalmente la i, che risulta dalla segmentazione i-eri, non è un articolo, così come la i che risulta dalla segmentazione ier-i non è un morfema di plurale:

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in ieri, infatti, non vi è alcun significato ‘maschile’, ‘plurale’.]. Parole invece come capostazione, velocemente, amministrazione possono essere ulteriormente analizzate (capo +staxione, veloce +mente, amministra + xione). Le prime sono parole semplici mentre le seconde sono parole complesse. Se segmentiamo parole come infelice, maoista, otteniamo in +felice, mao+ista: felice e Mao sono parole a tutti gli effetti, possono ricorrere da sole in una frase e perciò, come si è visto sopra, si chiamano “forme libere”, mentre in (prefisso con valore negativo) e irta sono morfemi che non possono ricorrere da soli in una frase e perciò si chiamano “forme legate”.

Le parole semplici sono “date”, costituiscono il “Lessico” o “Dizionario” dei parlanti, mentre quelle complesse sono “formate> tramite regole.

Diremo che le parole semplici sono quelle non derivate e non composte. Le parole complesse sono invece quelle derivate e/o composte. Un elenco dei vari tipi di parole complesse dell’italiano è il seguente:(8) a. parola suffissata (vin +aio, bar +ista)

b. parola prefissata (dis + adatto, in + elegante)c. parola composta (capo + stazione, alto + piano)d. parola suffissata più volte (industri + al + izza + zinne )e. prefissata più volte (ex-pro-console)f. composta più volte (tergi + lava + lunotto)g. suffissata e prefissata (in + desider + abile, dis + articola + zinne)h. composta e suffissata (croce + rossa + ina, ferro + via + ario )i. composta e prefissata (in + vero + simile)

La morfologia deve, nella prospettiva qui assunta, rendere conto della costruzione di tutte le parole complesse. Le parole semplici sono invece, come si è detto, “date”, cioè elencate nel lessico. Per quel che riguarda invece la sintassi non esistono frasi “date”, elencate nel lessico ["Solo le frasi idiomatiche (ad. es. prendere lucciole per lanterne, portare nottole Atene, ecc.) sono in qualche modo “date”, non costruite tramite regole.]. La sintassi deve, al contrario della morfologia, “costruire” tutte le frasi, da quelle più semplici a quelle più complesse. Non c’è un “ dizionario delle frasi”, dato che non potrebbe essere un dizionario “finito”.

3.2. Obiettivi di una teoria morfologicaNel cap. 1 e in 3.1, sopra si è visto che lo scopo di una teoria morfologica è quello di

rendere conto delle conoscenze che un parlante nativo ha della morfologia della propria lingua. Sulla base di quanto si è visto negli ultimi paragrafi, possiamo ora aggiungere che una teoria deve /pag. 77/ poter distinguere a) tra parole semplici e parole complesse, b) tra parole possibili e parole non possibili, c) tra forme memorizzate e forme costruite tramite regole.

Idealmente, come si è già detto nel cap. 1, si potrebbe dire che una teoria morfologíca adeguata dovrebbe metterci in grado di definire in termini espliciti la nozione di parola possibile in una data lingua, di fornirci gli strumenti per analizzare la struttura interna dei vari tipi di parole, dovrebbe infine metterci in grado di caratterizzare i processi morfologici possibili e i principi universali di formazione di parola.

3.3. RappresentazioneCi rivolgiamo ora al livello che abbiamo chiamato “lessico” nella figura 3.1. vista sopra.

Come si è detto, ogni componente di una grammatica comprende, fondamentalmente, delle unità di base e dei principi che regolano le combinazioni possibili di tali unità. ll componente lessicale, che è quello che qui ci interessa, è articolato in un livello di rappresentazione dove sono per l’appunto rappresentate le unità di base e un livello di regole che, per il momento, chiameremo genericamente regole morfologiche. Tale modello può essere rappresentato nel modo seguente:

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componente lessicale

LESSICO

REGOLE MORFOLOGICHE

Nel resto di questo capitolo cercheremo di definire nei dettagli quello che abbiamo chiamato il “livello di rappresentazione”, cioè il lessico, mentre alle regole morfologiche sarà dedicato il cap. 4.

3.3.1. Unità del componente lessicaleLa lista delle unità rappresentate nel lessico comprende: (a) parole semplici, (b)

semiparole, (c) tutte le altre unità che si suppone debbano essere “elencate” nel lessico, come ad esempio le espressioni idiomatiche. Prima di discutere delle varie unità lessicali, è però necessario /pag. 78/ soffermarsi su un aspetto formale della rappresentazione e cioè i confini e le parentesi.

3.3.2. Confini e parentesiPer rappresentare le parole semplici e le parole complesse di una lingua si ricorre

abitualmente a due tipi di confine, i confini di parola e i confini di morfema.I confini di parola (#), come si è visto in 1.4.1., delimitano inizio e fine di una parola, nel

modo seguente:(9) #casa#

#celermente##industrializzazione#

I confini definiscono l’ambito della “parola” in modo da delimitare un “dominio” all’interno del quale, come si è visto e come vedremo meglio più avanti, certe regole della grammatica non possono penetrare.

I confini di morfema ( + ) si usano per identificare i vari morfemi di cui consta una data parola:(10) celer + mente

avant + ieridis + adatt + o

Confini di parola e confini di morfema possono combinarsi nella rappresentazione di un’unica entità lessicale complessa:(11) #celer + mente#

#dis + adatt + o##industri + al + izza + zion + e#

La rappresentazione di una voce lessicale prevede anche una forma di parentesizzazione che si dice etichettata quando alla parentesi è unita la categoria lessicale della parola in questione 13:(12) [#disadatto#]A

[#enormemente#]Avv

[#industrializzazione # ]N

Tutti i dispositivi qui introdotti possono combinarsi, come si può vedere dalle rappresentazioni seguenti:(13) a. [#dis+adatt+o#]A

b. [#Industri+al+izza+zion+e#]N /pag. 79/Con la rappresentazione in (13a), per esempio, si intende rappresentare il fatto che l’unità

in questione è una parola, che tale parola è costituita da tre morfemi e che è un aggettivo.In quel che segue faremo spesso uso di rappresentazioni semplificate rispetto a quelle

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appena viste. E però importante tener presente che i confini (sia quelli di parola che quelli di morfema) sono elementi importanti delle rappresentazioni dato che la loro presenza o assenza può determinare l’applicazione o meno di vari tipi di regole, come si vedrà nel cap. 6.

3.3.3. Parole sempliciLe parole semplici hanno le seguenti caratteristiche: (i) sono parentesizzate, (ii) sono

etichettate con una categoria lessicale, (iii) sono delimitate da un confine di parola, (iv) contengono o meno un confine interno a seconda della lingua e/o della classe di parola. Esempi di rappresentazione di parole semplici sono:(14) a. [#am+a#]V [#pan+e#]N [#bell +o#]A

b. [#sotto#]P [#mai#]Avv

Le parole semplici (cioè non derivate e non composte) dell’italiano possono avere un confine interno, che è quello che divide il morfema della radice (am, libr, bell) dalla vocale tematica [Cfr. 2.2.4, dove abbiamo sostenuto la convenienza di allargare la nozione di vocale tematica dal suo ambito tradizionale (quello del verbo) all’ambito nominale: vocali come e di pane, o di libro o di bello sono pertanto qui considerate vocali tematiche]. Tale confine non è però introdotto da regole ma fa parte della rappresentazione lessicale.

La differenza tra le parole in (14a) e quelle in (14b) sta nel fatto che le seconde non hanno confine interno: questa non è altro che la differenza tra parole “variabili” e parole “invariabili”. Si noti infatti che la o di bello può essere sostituita da i (in belli), mentre la o di sotto non è sostituibile (*sotta, *sotti, ecc.).

La rappresentazione delle corrispondenti parole in inglese è la seguente:(15) a. [#1ove#]v

[#book#]N [# vice#]A

b. [#under#]P [#never#]Avv

Come si vede da (15a) le parole semplici dell’inglese, diversamente dalle parole :.talune, non sono analizzabili in radice e vocale tematica: non hanno confini interni. La preposizione e l’avverbio in (15b), invece, sono unità che, analogamente a quanto avviene in italiano, non hanno struttura interna e non sono ulteriormente analizzabili. /pag. 80/

3.3.4. SemiparoleLe semiparole {Chiamiamo semiparole quelle che la tradizione grammaticale chiama

spesso “affissoidi” (suddivisi in prefissoidi e suffissoidi). Si tratta di forme legate di origine greca e latina. Cfr. 10.4., ma anche Migliorini [1963], e Scalise [1993: 75]} sono: (i) parentesizzate, (ii) non hanno una categoria lessicale, (iii) non contengono confini interni, (iv) non sono delimitate da un confine di parola.(16) [gramma]

[logo][anemo][antropo][fono]

Il problema che queste unità lessícali presentano è che da una parte non sono forme libere ma dall’altra hanno un evidente collegamento con la categoria nome. Le forme in questione non sono libere perché non possono comparire da sole in una frase (cfr. *l’ànemo è forte oggi, *gli antropi hanno memoria, ecc.). D’altra parte sembrano collegate con la categoria nome perché o sono ‘traducibili’ con dei nomi ( per es . anemo con ‘vento’, antropo con ‘uomo’ ) o perché esibiscono un comportamento formale simile a quello dei nomi . Ad esempio, la forma fono èsoggetta ad una regola di derivazione che generalmente deriva aggettivi da nomi mediante l’aggiunta di -ico (cfr. storia –––> storico e fono –––> fonico). Quando una semiparola e un affisso si combinano, la categoria della parola derivata è data dal suffisso: fonico è un aggettivo perché -ico forma aggettivi da nomi. Date queste peculiarità delle

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semiparole, si può proporre che abbiàno una etichetta speciale, per es. un’etichetta come “ sN”, cioè, “ semiparola di N”, dove N significa nome. Le semiparole, infatti, non ‘sono’ nomi ma sono in qualche modo associate alla categoria nome.

3.3.5. LessicalizzazioniCome si è già detto, all’interno del Lessico debbono trovare posto tutte le unità che non

vengono formate tramite regole, vale a dire tutto ciò che ha significato idiosincratico, non prevedibile. Tali unità sono dette 1 e s s i c a 1 i z z a t e. Così, oltre a tutte le parole il cui significato non è più trasparente (come il già citato trasmissione di 3.1.2.) si dovranno elencare nel Lessico tutte le espressioni idiomatiche del tipo fare di tutte l’erbe un fascio, tagliare la corda, ecc. ma anche unità originariamente frasali come nontiscordardimé cui si è già accennato in 3.1.1. Si può supporre che tali unità abbiano struttura interna, ma che tale struttura sia opaca, vale a dire non analizzabile da parte di regole produttive della grammatica. Si può supporre che tali unità abbiano subito una /pag. 81/ ricategorizzazione, come è probabilmente il caso per nontiscordardimé che ha struttura frasale internamente ma che, per quel che riguarda i suoi rapporti sintattici, vale come un nome:(17) [#non + ti + scordar + di + me#]F ]N

Nontiscordardimé si comporta sintatticamente come un nome (cfr. raccoglimi dei fiori /raccoglimi dei nontiscordardimé) e la sua struttura frasale interna non è più trasparente. Se vi inseriamo un qualsiasi elemento, infatti, ne distruggiamo l’unità oscurandone il significato (cfr. *raccoglimi dei non ti scordar mai più di me).

3.3.6. AffissiGli affissi sono diversi dalle parole. Una parola è etichettata con una categoria lessicale:

cane, ad es., sarà etichettata con N, attivo con A e così via. Un affisso invece non è etichettato con una categoria lessicale: che categoria potremmo attribuire a -bile, a -izzare, ecc.? Un affisso esprime piuttosto una relazione tra due categorie, una di entrata e una di uscita, per così dire. -bile, ad esempio, esprime un rapporto tra la categoria di entrata Verbo e la categoria di uscita Aggettivo (cfr. controllare) ––> controllabile); -izzare invece esprime una relazione tra Nome e Verbo (cfr. atomo ––> atomizzare). -bile dovrà dunque contenere, nella propria rappresentazione, l’informazione V ––> A e pertanto (come sarà più chiaro nel capitolo seguente) non c’è alcuna differenza tra la rappresentazione degli affissi e le regole che li introducono. Diremo anzi che “ un affisso è una regola”.

Per la rappresentazione degli affissi rimandiamo pertanto al capitolo seguente, dove saranno introdotti come Regole di Formazione di Parola.

3.4. Entrate lessicaliOgni entrata lessicale deve contenere le informazioni necessarie al proprio funzionamento

sintattico, morfologico e fonologico. Naturalmente, il contenuto delle informazioni nelle entrate lessicali dipende dalla teoria. La teoria generativo-trasformazionale degli inizi, per esempio, non attribuiva troppa importanza alle entrate lessicali, occupata com’era a definire l’impianto sintattico della grammatica.

Solo verso la metà degli anni Sessanta, con la cosiddetta teoria generativa standard [Con “teoria generativa standard” ci si riferisce al modello di grammatica esposto in Aspetti della teoria della sintassi di Chomsky. Cfr. Chomsky [1965]., si arrivò ad una teoria ben articolata sulle entrate /pag. 82/ lessicali. Tale teoria era centrata soprattutto sulla nozione di t r a t t o e di sottocategorizzazione (cfr. 3.4.1.). Il modello di Aspetti è stato (e per molti versi lo è ancora) di importanza decisiva per quasi tutte le teorie morfologiche. Solo più recentemente, in aggiunta alla nozione di sottocategorizzazione, si è sviluppata la nozione di Struttura Argomentale (cfr. 3.4.2.), che ha ulteriormente arricchito la teoria delle rappresentazioni lessicali.

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3.4.1. Quadri di sottocategorizzazioneLe parole sono caratterizzate da certe proprietà inerenti. Tali proprietà sono

intrinsecamente connesse alle parole in questione: è una proprietà inerente della parola pazienza il fatto di essere una parola “astratta” e non “concreta”, è una proprietà inerente della parola tavolo di essere “concreta” e non “astratta”.

Tali proprietà possono essere organizzate come i tratti binari della fonologia 20. Si considerino, a mo’ di esempio, tre proprietà inerenti come “comune”, “astratto”, “animato”: dato un nome, tali proprietà possono essere presenti ( + ) o non essere presenti (- ), dando origine al seguente quadro di possibilità teoriche:(18) com astr an

+ + ++ + -+ - ++ - -- + +- + -- - +- - -

Se ora cerchiamo di trovare degli esempi di nomi per ognuna delle otto possibilità, arriveremo al quadro seguente:(19) com astr an

+ + + [non ci sono nomi di questo tipo]+ + - pazienza, virtù+ - + cane, gatto+ - - libro, tavolo- + + [non ci sono nomi di questo tipo]- + - [non ci sono nomi di questo tipo]- - + Carlo, Giuditta- - - Olanda, Somalia

Pazienza è dunque un nome [ + comune], [ + astratto], [ - animato], dove “ + “significa che il nome in questione ha quella tale proprietà mentre “ - “ significa che non ha talaltra proprietà. Pazienza è dunque [ + astratto] mentre tavolo è [ - astratto] (il che equivale a dire che tavolo è “non astratto”, dunque “concreto”).

In Aspetti, Chomsky propose un sistema di tratti inerenti come il seguente Ai tratti proposti da Chomsky, sarà necessario, in seguito, aggiungere per l’italiano il tratto [±maschile]. Quindi una parola come tesoro sarà specificato come [+maschile] mentre lampada sarà specificato come [-maschile].

(20) comune

numerabile animato

animato astratto umano umano Egitto

umano libro virtù spoercizia Carlo Fido

ragazzo caneQuindi, secondo questo sistema, la parola ragazzo è definibile come un nome [ + comune],

[ + numerabile] {Un nome è [+numerabile] se può essere ‘contato’ (cfr. sei libri, sette libri

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versus *sei burri, sette burri). Tavolo libro, automobile sono nomi numerabili, acqua, sangue, piombo sono nomi [-numerabili]. Questi ultimi sono anche detti nomi “massa” (o “di materia”). A volte si può fare il plurale di un nome massa (per es. queste acque minerali) ma si tratta spesso di una forma abbreviata che sottintende “tipi di (acqua minerale)”.}, [ + animato], [ + umano]. Allo stesso modo, scendendo lungo i rami dell’albero si possono definire le altre parole. Egitto sarà dunque un nome [ - comune], [ - animato].

Questi tratti sono rilevanti per la morfologia. Per esempio, solo nomi [ - astratto], cioè nomi concreti, possono combinarsi col suffisso -fiera ( cfr. banana + iena, balena + fiera, uccello + fiera, sale + fiera ) mentre nomi [ + astratto] non possono farlo (cfr. *pazienza + iéra, *speranza + fiera, *verosimiglianza + fiera ).

Oltre ai tratti inerenti, il sistema di Aspetti prevedeva dei tratti contestuali, vale a dire tratti che si definiscono attraverso il contesto in cui le unità in questione ricorrono. Tali tratti contestuali sono chiamati trattidi sottocategorizzazione stretta.

La sottocategorizzazione stretta riguarda il contesto immediato in cui una parola ricorre. Per esempio i nomi comuni possono trovarsi dopo un determinante (cfr. il cane, qualche cane, sei cani): avranno dunque la sottocategorizzazione stretta [ + Det - ], mentre i nomi /pag. 84/ propri non ricorrono dopo un determinante [Determinante è un termine che comprende tutto ciò che determina il nome e quindi articoli, ma anche partitivi, indefiniti, ecc. come in il viso, dei visi, qualche viso, ecc.] (cfr. *il Sandro, *qualche Sandro, *sei Sandri): avranno dunque la sottocategorizzazione stretta [–Det____ ] {Nel parlato colloquiale (e di preferenza nel nord Italia) i nomi propri possono essere preceduti dall’articolo (cfr. la Marta, il Marco) ma questa non è la norma dell’italiano standard. La situazione è diversa per quel che riguarda i nomi propri [-umano], come i nomi dei fiumi (l’Adige), dei monti (Il Monte Bianco), ecc. dove la presenza dell’articolo è del tutto normale. In alcuni casi, l’articolo è parte della rappresentazione del nome stesso: La Spezia, Il Cairo, ecc.}.

Per quel che riguarda i verbi, questi sono caratterizzabili, oltre che in base ai tratti inerenti, anche in base alla sottocategorizzazione stretta Balle restrizioni selettive .

Tratti inerenti importanti dei verbi sono quelli che ne definiscono l’appartenenza ad una coniugazione o quelli che identificano un verbo come regolare o come irregolare.

Dal punto di vista della sottocategorizzazione stretta nel verbo si guarda a ciò che può seguire il verbo stesso. Se un verbo è seguito da un SN, allora si tratterà di un verbo transitivo e l’informazione sarà simbolizzata come [+ ___ SN ] (cfr. amare Paola). Se un verbo non è seguito immediatamente da un SN allora si tratterà di un verbo intransitivo e l’informazione sarà simbolizzata come [ –___ SN] (cfr. *volare Paola). Vi sono anche dei verbi facoltativamente transitivi e cioè verbi che possono facoltativamente essere seguiti o meno da un SN oggetto (cfr. Paola legge un libro e Paola legge, entrambi grammaticali) e l’informazione sarà simbolizzata come [+ ___ (SN) ]. Un verbo come dire può avere come complemento un sintagma nominale o una frase (cfr., rispettivamente, dico sempre la verità e dico che Paola lo sa): avrà la sottocategorizzazione

[+ ___ SN] [+ ___ F]

dove la parentesi graffa indica “scelta” (il verbo dire può avere dopo di sé o un SN o una Frase).

Le restrizioni selettive sono restrizioni che riguardano la natura dei SN soggetto o dei SN complemento del verbo. Un verbo come leggere ad esempio impone delle restrizioni sui SN che possono fungere da soggetto: Antonio, il ragazzo, la studentessa sono SN soggetto possibili del verbo leggere ma non la luna, il coniglio, la radice. ll SN soggetto di leggere deve dunque contenere un nome [ + umano]: questa è una restrizione selettiva sul soggetto del verbo leggere. Un verbo come contare invece impone che il SN oggetto sia [ - astratto] e [ + numerabile] dato che non si /pag. 85/ può dire *contare la

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pazienza, il coraggio, o *contare il latte, il burro, ecc. Tutte queste informazioni dovranno far parte della rappresentazione di una voce lessicale, dato che si tratta di informazioni cruciali non solo per la sintassi ma anche per la morfologia verbale. Per esempio è l’informazione di sottocategorizzazione stretta [ + ___ SN] (cioè ‘verbo transitivo’) che permette la formazione di un aggettivo in -bile (ama + bile, leggi +bile) mentre la sottocategorizzazione [ - ___ SN] (cioè ‘verbo intransitivo’) non permette tali formazioni (cfr. *vola+ bile, *anda+bile).

(I lexueshëm/* i qashëm por mundshëm, i shkëlqyeshëm, i shkueshëm me shokët=LB.)

Possiamo rappresentare le entrate lessicali di un piccolo campione di voci lessicali come in (21)(21)

Categoria tratti sottocategroiz restrizionilessicale innerenti zione stretta selettive

Gianni [ + N] [+an] [+um] [-com] [ – Det ---- ]SN[-num][-astr] [+m]

ragazzo [ + N] [+an] [+um] [+com] [ + Det ---- ]SN[+num][-astr] [+m]

coniglio [ + N] [+an] [-um] [+com] [ + Det ---- ]SN[+num][-astr] [+m]

libro [ + N] [-an] [-um] [+com] [ + Det ---- ]SN[+num][-astr] [+m]

virtù [ + N] [-an] [-um] [+com] [ + Det ---- ]SN[-num] [+astr] [-m]

luna [ + ] [-an] [-um] [+com] [ + Det ---- ]SN[+num][-astr] [-m]

spaventare [ + V] [ + reg] [ + prog] [ + ---- SN ]SV --- SN[la con] [ + an]

scalare [ + V] [+reg] [+prog] [ + ---- SN ]SV SN ----[la con] [ + an]

cacciare [ + V] [+reg] [+prog] [ + ---- SN ]SV SN ---- SN[la con] [ + an] [ + an]

leggere [ +V] [-reg] [+prog] [ + ---- (SN )]SV Sn ---[2a con] F [ + um]

sapere [ +V] [ - reg] [ - prog] [ + ---- (SN )]SV SN ---[2a con] F [ + an]

[La legenda di (21) è la seguente: an = animato, un = umano, com = comune, num = numerabile, astr = astratto, m. = maschile, reg = regolare, con = coniugazione, prog = progressivo. Il simbolo “ + “ prima di un tratto o di una categoria indica che la voce in questione ha quel tratto o appartiene a quella categoria; “ - n indica che la voce non ha quel tratto o non appartiene a quella categoria; e “- “ indica la posizione nella quale la voce lessicale in questione può occorrere in un dato contesto.] /pag. 86/

Commenteremo solo due voci del quadro precedente. Luna è rappresentato come un nome, non animato, non umano, comune, numerabile concreto, femminile. Leggere è un verbo non regolare (cfr. il part. pass. letto), che può entrare in costruzioni di tipo progressivo (cfr. sto leggendo), ed è della seconda coniugazione. È facoltativamente transitivo: può non essere seguito da alcun oggetto (cfr. leggiamo) oppure può essere seguito o da un SN (leggere un libro) o da una Frase (leggere che il prof. Mirabelli è stato eletto preside). Il soggetto di questo verbo deve essere [ + umano] (cfr. Nilde legge versus *la spiaggia legge).

Riassumendo, possiamo dire che le entrate lessicali contengono le seguenti informazioni:(22) (a) categoria lessicale

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(b) tratti inerenti(c) tratti contestuali

(i) sottocategorizzazione stretta (ii) restrizioni selettive

Per comprendere come le informazioni associate ad una entrata lessicale abbiano influenza sul sistema della morfologia di una lingua , s i riconsiderino i nomi di (21). Ognuno di questi nomi può comparire unitamente a certi suffissi ma non a tutti come si vede qui sotto:(23) ata iera eria oso atico

Gianni - - - - - = øragazzo + - - - - = ragazzataconiglio - + - - - = coniglieralibro - - + - - = libreriavirtù - - - + - = virtuosoluna - - - - + = lunatico

Al nome proprio Gianni non può unirsi alcuno dei suffissi dati (ed infatti ai nomi propri possono unirsi quasi esclusivamente degli affissi valutativi [I suffissi valutativi hanno comportamenti diversi dagli altri suffissi] ad es. Giannino, Canone, Pinuccia, ecc.). -ara può unirsi a nomi [ + umano] come ragazzo a significare ‘azione da ragazzo’ [Il suffisso non si può aggiungere, però, a tutti i nomi [ + umano], cfr. bambinata versus *donnata. Si vedano i paragrafi sulle restrizioni più avanti, 4.3. ss.] ma non può unirsi a nomi [ + animato] [ - umano] come dimostra la non grammaticalità di *uccellata, *leonata, *gattata . [Esistono forme come asinata ma il significato non è ‘azione compiuta da un asino’ ma ‘azione di una persona che si comporta come un asino’.]

Procedendo, si verificherà che il suffisso -fiera nel senso di ‘contenitore’, si distribuisce nelle seguenti due possibilità:(24) a. conigliera b. formaggiera

uccelliera salierafagianiera teiera /pag. 87/baleniera cappelliera

zuppierafruttierazuccheriera

c. *Giovanniera d. *virtuiera*Franchiera *pazienziera*Teresiera *speranziera

Come si vede, il suffisso in questione non si aggiunge a nomi [ - comune] come quelli in (24c), né a nomi [ + astratto] come quelli in (24d). Si può dunque aggiungere a nomi [ + comune] [ + animato], come in (24a) e [ + comune], [ - animato] [ - astratto], come in (24b). Per quanto riguarda il tratto [ ± animato], dunque, il suffisso non sembra distinguere: si può aggiungere sia ai nomi [ + animato] sia a quelli [ - animato] con il significato apparentemente costante di ‘contenitore’.

Si vede quindi che categoria e tratti specificati nel lessico sono informazioni importanti per il funzionamento della morfologia di una lingua. Si può concludere dicendo che tutte le informazioni associate ad una determinata parola nella sua rappresentazione lessicale ‘servono’ per il funzionamento delle regole morfologiche che si possono applicare a quella parola.

3.4.2. Struttura ArgomentaleSviluppi più recenti della teoria sintattica hanno portato a delle modifiche per quel che

riguarda la rappresentazione delle parole nel lessico. In particolare, è stata sviluppata la teoria dei ruoli tematíci (chiamati anche ruoli theta o ruoli -O).

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Vi è un elemento che assegna determinati ruoli ai propri argomenti, detto elemento testa : (25) a. gli iracheni distrussero i pozzi

b. dormiva in salottoLe parole in corsivo sono delle teste, nel senso che assegnano a ciò che segue un

determinato ruolo: in (25a) il verbo distruggere assegna a ciò che segue un ruolo diverso da quello che il verbo dormire assegna in (25b): tradizionalmente diremmo che i pozzi è oggetto mentre in salotto un complemento di luogo. Le funzioni grammaticali, come soggetto, oggetto, ecc. possono essere associate con dei ruoli tematici come “agente (dell’azione)”, “tema (oggetto) dell’azione”, “origine dell’azione”, ecc. Una lista dei ruoli tematici è la seguente:(26) Agente (istigatore di un’azione)

Beneficiario (persona nel cui interesse viene compiuta un’azione) /pag. 88/ Esperiente (persona che subisce una esperienza)Locativo (luogo, la direzione o l’orientamento spaziale dell’evento o dell’azione identificata dal verbo)Origine (punto di inizio di un’azione)Paziente (entità che subisce un’azione )3^Meta (punto di arrivo di un’azione in senso astratto o concreto)Strumentale (lo strumento non animato attraverso il quale si effettua lo stato di cose descritto dal verbo)Tema (oggetto dell’azione)

Nelle frasi di (25) quindi gli iracheni sono l’agente in (25a), i pozzi sono il tema in (25a-b) e in salotto un locativo.

I ruoli tematici definiscono un tipo di rapporto (semantico) che intercorre tra l’elemento assegnatore e l’elemento assegnatario del ruolo. Lo stesso sintagma (il pompiere in (27)) può ricevere ruoli tematici diversi:(27) il pompiere spense il fuoco (Agente)

il gatto graffiò il pompiere (Paziente)Laura diede un milione al pompiere (Beneficiario)anche i pompieri hanno paura (Esperiente)

Per quel che qui ci interessa, la teoria dei ruoli tematici comporta che le entrate lessicali, per esempio del verbo, specifichino quali sono i suoi argomenti. Per esempio il verbo aprire avrà la seguente rappresentazione:(28) aprire <x,y,z >

dove x = Agente, y = Tema, z = Strumento. Una rappresentazione più esplicita, è la seguente:(29) aprire Giovanni porta chiave

Agente Tema StrumentoGiovanni , porta e chiave sono gli argomenti del verbo e quella in (29) è la struttura

argomentale del predicato aprire.I ruoli tematici offrono le basi per una classificazione dei verbi come “intransitivi”,

“transitivi” e “ ditransitivi”. I verbi intransitivi sono verbi con un argomento:(30) Angela sorrise

AgenteI verbi transitivi sono verbi con due argomenti:

(31) Angela urtò il cameriereAgente Paziente /pag. 89/

I verbi ditransitivi hanno tre argomenti e possono essere di diversi tipi come verbi “di dare” (32a), di “porre” (32b) e “strumentali” (32c):(32) a. Angela diede una mancia al cameriere

Agente Tema Beneficiario

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b. Angela mise un libro sullo scaffaleAgente Tema Locativo

c. Angela tagliò le dalie con la forbiceAgente Paziente Strumentale

Williams [1981] ha introdotto una distinzione importante tra l’argomento esterno e gli argomenti interni. L’argomento esterno coincide, grosso modo, con la nozione di soggetto, gli argomenti interni sono tutti gli altri. Come vedremo, la struttura argomentale può essere coinvolta in vari modi dalle regole morfologiche.

3.5. SommarioNella prima parte di questo capitolo, abbiamo ripreso la distinzione tra morfologia e

sintassi, introdotta nel cap. 1, con lo scopo di caratterizzare più dettagliatamente la morfologia e i suoi obiettivi. In particolare, si è visto che la morfologia deve fare una distinzione tra forme memorizzate e forme create attraverso regole (3.1.1.). Le forme memorizzate costituiscono il Lessico o il Dizionario dei parlanti, le forme create attraverso regole sono le parole “nuove” che i parlanti possono formare. In sintassi, al contrario, non vi è un lessico di frasi belle e fatte (a parte le espressioni idiomatiche): ogni frase è formata attraverso regole e non “ricordata”.

Una seconda differenza tra morfologia e sintassi sta nel fatto che mentre la morfologia deve tener conto di tre tipi di parole, (parole esistenti, parole possibili ma non esistenti, parole non possibili) in sintassi questa tripartizione non esiste. Le frasi, infatti, possono solo essere di due tipi: frasi possibili e frasi non possibili, dato che non ha senso parlare di frasi possibili ma non esistenti (3.1.2.).

Una terza differenza tra morfologia e sintassi sta nel fatto che i due componenti della grammatica, pur avendo in comune la nozione di “parola”, ne considerano aspetti diversi: alla morfologia interessa principalmente la struttura interna di una parola, alla sintassi invece principalmente la valenza esterna (3.1.3.).

Viste queste differenze, se ne è concluso che una teoria della morfologia deve metterci in grado a) di dare una corretta rappresentazione delle unità che sono rappresentate nel lessico e di caratterizzare i processi morfologici che sottostanno alla formazione delle parole, b) di definire in termini espliciti la nozione di parola possibile in una data /pag. 90/ lingua e c) di fornirci gli strumenti per analizzare adeguatamente la struttura interna delle parole.

Nella seconda parte del capitolo, si è presentata una teoria delle rappresentazioni lessicali. Si discutono in particolare due punti: a) quali sono le unità che debbono essere rappresentate nel lessico e b) qual è una forma di rappresentazione adeguata per gli scopi che ci siamo posti (3.3. e 3.3.1.).

Dopo aver introdotto alcuni dispositivi formali come i confini, le parentesi e le etichette categoriali (3.3.2.), abbiamo elencato le unità del lessico: a) parole semplici (3.3.3.), b) semiparole (3.3.4.), unità lessicalizzate (3.3.5.), ed affissi (3.3.6.).

Si è infine passati ad esemplificare un campione di entrate lessicali (3.4.) utilizzando i principi di sottocategorizzazione introdotti da Chomsky in Aspetti (3.4.1.) e completando il quadro con la nozione di struttura argomentale (3.4.2.).

3.6. Indicazioni bibiiograficheTeoria morfologica: Anderson [1992]; Aronoff [1976]; Di Sciullo e Williams [1987]; Dressler et al. [1987]; Lieber [1980]; Selkirk [1982]; Williams [1981a].Morfologia e sintassi: Anderson [1992]; Lieber [1992].Lessico: Laudanna e Burani (a cura di) [1993].Struttura argomentale: Gracia i Sole [1992]; Williams [1981b]. /pag. 91/

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CAPITOLO 4: LE REGOLE DI FORMAZIONE DI PAROLA

4.0. IntroduzioneNel cap. 1 abbiamo sostenuto che il componente lessicale di una grammatica consta di un

livello di rappresentazione (Lessico o Dizionario) e di un livello di “regole”. Nel cap. 2 abbiamo scelto le parole come unità di base del lessico e nel cap. 3 abbiamo dato un esempio di come le parole sono effettivamente rappresentate nel Lessico. Ci rivolgiamo ora al livello delle “regole morfologiche” (vale a dire le regole di derivazione, di composizione e di flessione) cui spetta il compito di formare l’insieme delle parole possibili di una lingua.

Le regole sono dei meccanismi che si trovano in tutti i componenti della grammatica e hanno il compito di collegare i diversi livelli di rappresentazione. Le regole fonologiche sostanzialmente hanno il compito di generare stringhe foneticamente corrette della lingua in questione a partire da una rappresentazione fonologica astratta, le regole sintattiche hanno il compito di generare le frasi corrette di una lingua portando da una struttura profonda ad una struttura superficiale e così anche le regole morfologiche hanno il compito di generare tutte le parole di una lingua a partire dagli elementi di base che si trovano nel lessico. Alle regole morfologiche, al loro formalismo e ad alcune loro proprietà sono dedicati i paragrafi 4.2. del presente capitolo.

Le regole sono un meccanismo largamente utilizzato dalla grammatica generativa fin dal suo inizio (fine anni Cinquanta). Una regola sostanzialmente si applica ad un’entrata E per portare ad un’uscita U. E, la regola stessa ed U debbono essere esplicitati fin nei minimi dettagli. In questo senso la grammatica che il linguista costruisce deve essere “esplicita”.

Col tempo, si constatò che le regole hanno il difetto di “ ipergenerare”: producono cioè più stringhe di quelle che effettivamente una lingua permette. Per ovviare a tale problema, sono state proposte diverse “restrizioni” sulle regole. A tali restrizioni è dedicata la seconda parte di questo capitolo. /pag. 93/

4.1. GeneralitàLa formazione delle parole è un processo attraverso il quale, a partire da unità esistenti, si

formano unità “nuove” ed è un processo governato da regole, le Regole di Formazione di Parola (RFP). Ma prima di passare al formalismo delle RFP, è necessario definirne meglio il dominio. Rientrano nella Formazione delle parole la composizione e la derivazione, come si è visto nel cap. 1:(1) capo + stazione –––> capostazione composizione

utile + ità –––> utilità derivazioneComposizione e derivazione si differenziano innanzi tutto perché la prima combina due

forme libere mentre la seconda combina una forma libera ed una forma legata [Nel caso delle semiparole (cfr. 3.3.4. e 10.4.) sia la composizione che la derivazione possono combinare due forme legate (cfr. per es., rispettivamente, fono +gramma e fon +ico).].

La composizione è molto diversa dalla derivazione, non solo per il motivo appena accennato ma anche perché, di tutti i processi morfologici, è quello in qualche modo più vicino alla sintassi (basti confrontare il composto sottoscala con il sintagma sotto la scala). È anche un dominio in cui si riscontrano le maggiori irregolarità [Basti pensare a quanto sia complessa la questione della formazione del plurale delle parole composte (cfr. 5.9.) di contro alla formazione del plurale delle parole derivate, che è del tutto regolare].

La derivazione può a sua volta come si è visto nel cap. 1 essere suddivisa in suffissazione, prefissazione e infissazione.

Suffissazione e prefissazione sono processi fondamentalmente simili anche se per certi

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aspetti possono divergere. Sono processi simili innanzi tutto perché entrambi formano “parole nuove”. In secondo luogo, sono simili in quanto entrambe prevedono l’aggiunta di una forma legata ad una forma libera:(2) Prefissazione: amorale è costituito dalla forma legata a- più la forma libera morale

Suffissazione: barista è costituito dalla forma libera bar più la forma legata -ista

Prefissazione e suffissazione si differenziano in primo luogo perché, come si è già visto, la suffissazione aggiunge un morfema legato a destra della parola mentre la prefissazione aggiunge un morfema legato a sinistra della parola:(3) Prefissazione Suffissazione

in + attivo attivo + itàs + fortunato inverno + aleex + presidente veloce + istari + scrivere magistrato + ura /pag. 94/

In secondo luogo, la prefissazione non cambia la categoria lessicale della parola cui si aggiunge, mentre la suffissazione, di norma, la cambia:(4) Prefissaxione

elegante in + elegante A –––> Apresidente ex +presidente N –––> Nscrivere ri + scrivere V –––> VSuffissaxioneatomo atomizzare N ––––> Vinverno invernale N ––––> Aveloce velocità A ––––> N

La suffissazione può operare i seguenti cambiamenti di categoria:(5) N –––> V atomo –––> atomizzare

N –––> A morte –––> mortaleV –––> N circola(re) –––> circolazioneV –––> A giustifica(re) –––> giustificabileA –––> N bello –––> bellezzaA –––> V elettrico –––> elettrificareA –––> Avv geloso –––> jgelosamente

Generalizzando su questi dati si può dire che ogni categoria lessicale maggiore (N, V, A) può diventare qualsiasi altra categoria lessicale maggiore. Questa generalizzazione esclude le Preposizioni, sia come categoria di entrata sia come categoria di uscita [La presenza versus l’assenza delle preposizioni è una differenza tra composizione e derivazione: la composizione coinvolge le preposizioni (cfr. composti come soprabito, senzatetto, ecc. che sono formati da P+N) mentre la derivazione non le coinvolge (non vi sono preposizioni prefissate o suffissate). Le eccezioni a quest’ultima affermazione sono sporadiche (cfr. ol. toetje lett. ‘piccolo dopo, dessert’) o possono riguardare il caso, molto particolare, delle cosiddette preposizioni “articolate” dell’italiano (della, dei).]. In più, gli aggettivi possono diventare avverbi.

In terzo ed ultimo luogo, la suffissazione di norma cambia la posizione dell’accento della parola di base, mentre con la prefissazione que-

sto non avviene:(6) Base Prefissaxione Suffissaxione

onésto disonésto onestàmorále amorále moralísmonáto innáto innatísmo

L’infissazione, vale a dire l’inserimento di un infisso all’interno di una parola è un

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processo, come si è detto nel primo capitolo, meno diffuso. Un infisso italiano potrebbe essere -isc- che compare in una voce come finisco ma non in una voce come finiamo. L’italiano non dispone /pag. 95/ però di infissi per la formazione di parole nuove; in quel che segue, dunque, non ci occuperemo di infissazione.

4.2. Le Regole di Formazione di Parola (RFP)Le Regole di Formazione di Parolas (RFP), come si è visto, aggiungono un affisso ad una b

a s e nel caso della derivazione (7a-b), oppure mettono insieme due parole, nel caso della composizione (7c), operazioni che possono essere formalizzate come segue:(7) a. [ ]X –––> [ [ ]X + Suf]Y Suffissazione

b. [ ]X –––> Pre + [ ]x]X Prefissazionec. [ ]X [ ]Y –––> [ [ ]X [ ]Y]Z Composizione

Gli schemi astratti in (7a-c) rappresentano tre tipi di regole, la suffissazione, la prefissazi-one e la composizione. I rispettivi esempi sono dati qui di seguito:(8) a. [ [atomo]N –––> [ [atomo]N +ico]A

b. [scrivere]V –––> [ri + [scrivere]V]V c. [capo]N, [stazione]N –––> [[capo]N + [stazione]N]N

La regola in (8a) aggiunge il suffisso -fico e trasforma così il nome in entrata in aggettivo. La regola in (8b) aggiunge il prefisso ti- ad un verbo che “resta” verbo. La regola in (8c) forma un nome composto a partire da due nomi semplici.

Alle rappresentazioni con parentesi etichettate in (8a-c) corrispondono dei diagrammi ad albero, come i seguenti:

(9) a. A b. V c. N

N Suf Pre V N N

atomo ico ri scrivere capo stazioneLe rappresentazioni con parentesi in (8) e quelle ad albero in (9) si equivalgono, per cui

nelle pagine che seguono useremo l’uno o l’altro tipo di rappresentazione indifferentemente [I diagrammi ad albero hanno “nodi” (come A, V, ecc.) e rami (che collegano i nodi). Un albero (come viene chiamato comunemente) visualizza bene certi rapporti, come quello di “dominanza”. Si dice che un nodo X domina direttamente un nodo Y quando X si trova più in alto di Y nell’albero e quando tra i due nodi non esistono nodi intermedi. Così, nel diagramma (9a) il nodo A domina direttamente il nodo N. Su questa nozione, che interessa tutti i livelli linguistici]./pag. 96/

Una RFP specifica l’insieme delle parole su cui può operare; questo insieme è chiamato la base [intermedi. Così, nel diagramma (9a) il nodo A domina direttamente il nodo N. Su questa nozione, che interessa tutti i livelli linguistici] di quella regola. Graficamente, si può rappresentare nei termini seguenti 8:

Y

XSuf

La base alla quale il suffisso si può aggiungere è l’insieme delle parole che possono sostituire il simbolo dominato da X. Così, nei termini degli esempi visti in 3.3., se il suffisso è -fiera la base di questo suffisso sarà l’insieme delle parole cappello, sale, uccello, formaggio, ecc. Il suffisso determina innanzi tutto la categoria lessicale della base che seleziona (X in (10)), ma si è visto che specifica anche i tratti associati alle unità cui può aggiungersi in modo tale da garantire che la stringa X+ Suf (cioè Y) sia una parola ben formata in una data lingua. Si considerino i seguenti dati:

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(11) a. accidia + oso b. *verde + osoaffanno + oso *allegro + osodecoro + oso *amaro + osodignità + oso *contento + osofama + oso c. *canta + osospavento + oso *ama + osovertigine + oso *solleva + osovigore + oso *dispera + oso

d. *tavolo + oso*vestito + oso*lampada + oso

e. *Gianni + oso*Paolo + oso*Piera + oso

f. *ragazzo + oso*bimbo + oso*vecchio + oso*donna + oso /pag. 97/

Il confronto di (11a) con (11b) rivela che -oso si aggiunge a nomi e non ad aggettivi, il confronto di (11a) con (11c) che il suffisso non si aggiunge nemmeno a verbi. Il confronto con (11d) suggerisce che il suffisso non si aggiunge a nomi concreti ed infine il confronto con (11e) e con (11f) suggerisce che il suffisso non solo non si aggiunge a nomi propri ma nemmeno a nomi animati. La regola può quindi essere espressa nei termini e col formalismo seguente:(12) [ [ ]N + oso]

[ + com][ + astr][ - anim]

La regola in (12) si legge: il suffisso -oso si aggiunge a nomi comuni astratti non animati. Ogni regola ha, in genere, dei limiti di applicazione, delle eccezioni, ecc., per cui è necessario procedere a verifiche empiriche. Una verifica si ottiene tramite l’allargamento della base, cercando, cioè, altri dati, come ad esempio i seguenti:(13) avventuroso

clamorosodolorosofragorosopaurosorumorosotimorosovaporoso

Tali dati confermano la correttezza della regola in (12). Un’ulteriore ricerca, ci pone però di fronte a dati come quelli seguenti:(14) carne+oso

danaro + osofosforo + ososciroppo + osozucchero + oso

Questi ultimi dati non confermano l’ipotesi che il suffisso -oso si aggiunge solo e soltanto a nomi astratti, come la regola in (12) suggerisce. La regola va quindi modificata, togliendo l’informazione [ + astratto]:(15) [ [ ]N + oso]

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[ + com] [ - anim]

-oso si aggiunge dunque a nomi non animati ma non discrimina tra nomi astratti e nomi non astratti, potendosi aggiungere ad entrambi i tipi (cfr. virtuoso e zuccheroso, rispettivamente).

Una RFP specifica, quindi, una singola operazione compiuta sulla base, ma specifica anche l’etichetta sintattica della parola risultante. Le parole cui si aggiunge -oso sono nomi, le parole in uscita sono sempre aggettivi e quindi la regola va completata nel modo seguente: /pag. 98/(16) [ [ ]N + oso]A

[ + com] [ - anim]

Ritornando, per un momento, alla rappresentazione in (10), si può constatare che essa rappresenta una regola astratta che potremmo riformulare nei termini seguenti:(17) [ [ ]X + Suf]Y

[...] (17) è uno schema astratto con delle variabili: se a Suf sostituiamo -oso, X sarà Nome e Y sarà aggettivo, se il suffisso è -bile, X sarà Verbo e Y sarà Aggettivo (cfr. amabile, numerabile), se il suffisso è -mento, X sarà verbo e Y nome (cfr. collocamento, inasprimento).

Come si è già detto, questo tipo di regole può anche essere visto come un meccanismo ad ‘entrata’ ed ‘uscita’: l’entrata è X e l’uscita della regola è Y. Sia X che Y debbono essere parole ben formate dell’italiano.

Nelle lingue con morfologia concatenativa [Questa operazione generalmente consiste nell’“aggiunta” di un affisso. In alcuni casi però non si tratta di una vera e propria aggiunta.

Vi sono casi che potrebbero dirsi di “aggiunta nulla”, per esempio quei casi chiamati di “transcategorizzazione” o “conversione” (cfr. 10.5.), o anche di “suffissazione zero”, cioè un cambiamento della categoria lessicale senza l’aggiunta di affisso manifesto (cfr. l’italiano [vecchio]A ––> [vecchio]N e l’inglese [paint]N ––> [paint]v ‘vernice/dipingere’).

In altri casi l’operazione consiste nel cambiamento delle vocali della radice come l’inglese sing/song ‘cantare/ canzone’, l’olandese drink / drank ‘bere/bibita’, o in una “sottrazione” invece che in una aggiunta, come in francese arréter/arrét ‘fermare/fermata’. Le regole di sottrazione sono state studiate da Dressler [1984], ogni RFP specifica una singola operazione di aggiunta compiuta sulla base’. Infine, ogni RFP specifica l’etichetta sintattica e il quadro di sottocategorizzazione della parola risultante, insieme ad una lettura semantica che è una funzione della lettura semantica della base. Una RFP può pertanto essere rappresentata come segue:(18) a. [P]X –––> [[P]X+ Suf]Y

[T] [T] [T]b. semantica di Y

(18) si legge come segue: una parola con la categoria lessicale X e con determinati Tratti [Ta] viene riscritta come una parola complessa con struttura interna, che consiste della parola di base, di un confine «+», e di un suffisso. La parola risultante ha la categoria lessicale Y e i tratti [TP]. Associata a questa parte “formale” della regola, vi è anche una parte semantica, una “lettura” composizionale che viene data generalmente in forma di parafrasi. Le RFP che formano le parole desiderabile e avvocatura possono, così, essere formulate come segue: /pag. 99/(19) a. [desidera]V –––> [[desidera]V+bile]A

[ + tr] [ + tr]‘che può essere desiderato’

b. [avvocato]N –––> [[avvocato]N + ura]N

[ - astr][ - astr] [ + astr] [ + um] [ + tun]‘professione esercitata dagli avvocati’

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(19a) illustra la RFP che aggiunge il suffisso -bile al verbo transitivo desidera, formando l’aggettivo derivato desiderabile. (19b) illustra la RFP che aggiunge il suffisso -ura al nome [ + umano] avvocato, formando il nome derivato astratto avvocatura. In (19a), la regola cambia la categoria lessicale V in A, mentre in (19b) essa cambia il tratto [ - astratto] nel tratto [ + astratto]. In entrambi i casi, le regole forniscono la lettura semantica delle parole derivate (ma vedi 4.3.3.). Il meccanismo delle RFP, che sarà meglio illustrato qui sotto, si basa su una serie di assunzioni.

La prima è che le RFP siano regole “lessicali”, cioè regole del componente lessicale che non possono coinvolgere unità sintattiche, come ad esempio i sintagmi. Una parola composta è (di norma) formata da due categorie lessicali maggiori, non da sintagmi" (portafiori è un composto formato da un verbo ed un nome ma “porta i fiori”, che è formato da un verbo e da un sintagma nominale non è un composto). Anche gli affissi (di norma) si aggiungono a categorie lessicali e non a sintagmi: fiore+aio ––> fioraio, ma ad un sintagma verbale come “porta i fiori” non si può aggiungere un suffisso (cfr. *porta i fioraio).

La seconda assunzione è che le RFP siano differenti dalle altre regole della grammatica anche nel modo in cui operano. Mentre le regole sintattiche e fonologiche sono necessarie per la formazione di qualsiasi frase, le RFP sono facoltative. Le RFP sono facoltative nel senso che non vi è alcun livello linguistico che necessariamente richieda la presenza di una parola complessa: tutti i livelli della grammatica possono essere costruiti senza ricorso alla nozione di “parola complessa”. Al contrario, vi sono livelli (per esempio quello che abbiamo chiamato di struttura superficiale) in cui la flessione deve necessariamente comparire.

Va notato che il carattere non obbligatorio delle RFP non implica che esse siano un meccanismo superfluo nella grammatica. Le RFP hanno due funzioni: danno conto non solo delle parole “nuove”, ma anche della struttura interna delle parole esistenti: In altri termini, le RFP sono regole sia di “formazione” che di “analisi”.

Una terza assunzione è implicita nella forma stessa delle RFP. Una regola come quella in (8), infatti, implica una distinzione cruciale tra le /pag. 100/ nozioni di “parola” e “affisso”, per lo meno per quanto concerne il “livello” di rappresentazione. Le parole sono immagazzinate nel lessico (o, per essere più precisi, nella lista di parole generalmente chiamata “Dizionario”); gli affissi sono collocati ad un livello “più basso”, cioè, nel (sotto)componente delle RFP:

Componente Lessicale

LESSICO

RFP

La diversa collocazione delle parole e degli affissi equivale a sostenere che parole ed affissi sono, in effetti, unità di natura diversa. Come si èvisto in 3.2.6., le parole sono associate ad informazioni “categoriali” (ad es. ragazzo “ È UN” nome), gli affissi sono associati ad informazioni “relazionali” (ad es. il suffisso -bile forma aggettivi da verbi). L’informazione V -j A, è una RFP, anche se in forma abbreviata. La rappresentazione di un affisso è dunque la RFP che aggiunge l’affisso a una data base.

Riassumendo, le Regole di Formazione di Parola (RFP) sono regole che formano parole complesse. Esse agiscono interamente entro il componente lessicale e di conseguenza possono prendere come base solo parole. Sono regole facoltative e servono ad un duplice scopo: quello di dar conto della formazione di parole nuove e quello di analizzare la struttura interna di parole complesse già esistenti.

4.2.1. Semantica delle RFP

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Le RFP, si è detto, constano di una parte formale e di una parte semantica. Si consideri il significato delle parole vinaio, giornalaio, verduraio, che può essere reso con le parafrasi in (20):(20) vino +aio = ‘persona che vende vino’

giornale + aio = ‘persona che vende giornali’verdura + aio = ‘persona che vende verdura’

Come si vede, il significato delle diverse parole in -aio consta di una parte fissa (‘persona che vende’) e di una parte variabile (‘vino’, ‘giornali’, ecc.). La parte “fissa” è la parte di significato, per così dire, introdotta dal suffisso, mentre la parte variabile corrisponde al nome di base. Possiamo quindi arrivare ad una parafrasi unica se formuliamo il significato utilizzando delle variabili: /pag. 101/(21) persona che vende N (dove N è la base)

Questa parafrasi può essere applicata ad un gran numero di parole in -aio. Non a tutte però. Per esempio un orologiaio ‘vende’ orologi ma li ‘ripara’ anche o addirittura li ‘fabbrica’. La parafrasi in (21) non è ancora abbastanza generale ed andrà quindi modificata con (22):

(22) ‘persona che svolge un’attività connessa con N’

Si noti che in altre occasioni a significati diversi possono corrispondere suffissi diversi: ad esempio giornalaio è chi ‘vende’ i giornali mentre giornalista è chi li scrive [Tra -aio ed -ista vi è infatti una differenza sistematica: il primo denota attività artigianali, preindustriali, il secondo attività più recenti (cfr. fioraio vs. fiorista)].

Passando ora ad un altro suffisso, il suffisso -bile, si può constatare che la sua semantica ha un significato “passivo” come rivelano le seguenti parafrasi:

(23) individuabile = ‘che può essere individuato’osservabile = ‘che può essere osservato’mangiabile = ‘che può essere mangiato’

Tale parafrasi si può riassumere, analogamente a quanto fatto sopra, in una forma astratta più generale come in (24):

(24) ‘che può essere X-ato’ (dove X è un verbo transitivo)La semantica di una RFP è trasparente o ‘composizionale’, vale a dire che il significato

della parola complessa si può ricavare dal significato degli elementi componenti. Ciò è vero quando la regola è produttiva mentre una parola che permane a lungo nel lessico può acquistare, come si è già detto, significati idiomatici non più desumibili dagli elementi che la costituiscono. Ad esempio, una parola come tavolaccio non significa soltanto ‘un pessimo tavolo’ si riferisce anche al ‘giaciglio del prigioniero’, significato, questo, che non si può desumere dai due costituenti tavolo e -accio.

La regola che aggiunge -bile consterà quindi di una parte formale (25a) e di una parte semantica (25b) che rappresenteremo al seguente modo:

(25) a. [ [ ]V + bile]A

[ + tr]b. ‘che può essere V + ato’ /pag. 102/

La regola che aggiunge il suffisso -aio potrà essere rappresentata invece nei seguenti termini:

(26) a. [ [ ]V + aio]A

[ - astr] [= um][+ com]

b. ‘persona che esercita un’attività connessa con N’Riassumendo: una RFP deve specificare la propria base nei termini della categoria lessicale

e di tutti i tratti sintattico-semantici necessari in modo da escludere la formazione di parole

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malformate. Abbiamo anche visto che, associata alla parte formale delle RFP, vi è una parte “semantica” che corrisponde generalmente ad una parafrasi di tipo composizionale.

4.2.2. Le RFP costruiscono strutturaLe parole semplici sono diverse dalle parole complesse perché le prime non hanno struttura

interna (cfr. (27a, c) mentre le seconde hanno struttura interna (cfr. (27b, d)):(27) a. [ ieri ]Avv b. [ [veloce]A +mente]Avv

c. [ogni]A d. [ [amministra]V +zione]N

La struttura interna è qui rappresentata tramite parentesi: se vi sono parentesi “interne” diremo che vi è struttura interna. Ricorrendo, invece, ai diagrammi ad albero, le parole in (27a e b) potranno essere rappresentate, rispettivamente come (28a) e (28b):(28) a. Avv b. Avv

A Suf

ieri veloce menteNei termini dei diagrammi ad albero diremo che una parola ha struttura se l’albero presenta

almeno una ramificazione (come in (28b), dove il nodo Avv ramifica nei nodi A e Suf).La maggioranza dei processi morfologici in italiano è di tipo concatenativo. Un affisso si

aggiunge ad una base (e questo è un primo livello), un secondo affisso si aggiunge alla nuova base (e questo è un secondo livello) e così via. Si è pertanto proposto che la affissazione sia intesa come un processo c i c 1 i c 016 che procede dall’interno verso l’esterno come si vede nella struttura della parola trasformaxionalmente qui sotto: /pag. 103/(29) 6[ 5[ 4[ 3[tras 2[ 1[forma]Nø ]V]V zion]N al]A mente]Avv

Soggiacente a questa idea è l’ipotesi che ogni RFP aggiunga un affisso ed uno solo alla volta. Ciò significa che parole come volontariato, industrializzazione, centralità hanno una struttura complessa rappresentabile nel modo seguente:(30) a. [ [ [volontà]N + ario]A + ato]N

b. [ [ [ [industria]N + ale]A + izza(re)]V + zione]N

c. [ [ [centro]N + ale]A + ità]N

Le rappresentazioni in (30) indicano che le parole in questione sono state formate, passo dopo passo, tramite l’aggiunta di un suffisso alla volta. Ad ogni “passo” devono venir soddisfatte, come si vedrà più avanti, le condizioni necessarie per la suffissazione. Quindi, considerando per esempio (30b), si vede che -ale è un suffisso che si aggiunge a nomi e forma aggettivi, -izza(re) è un suffisso che si aggiunge ad aggettivi e forma verbi, -zione è un suffisso che si aggiunge a verbi e forma nomi. ll “percorso” per la formazione di questa parola sarà dunque il seguente: N –––> A –––> V –––> N. Ad ogni “passaggio”, si forma una parola esistente (industriale, industrializza(re), industrializzazione). Nei termini di un diagramma ad albero, la struttura di questa parola sarà come segue:

N

V

A

Nindustria ale izza zione

NSi osservi che da ogni nodo dell’albero morfologico si dipartono due rami. Ciò significa

che la struttura che le regole morfologiche creano è di tipo binario. Non sembrano cioè

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esistere in morfologia strutture di tipo ternario, come si vedrà meglio in 8.6.

4.2.3. Le RFP agiscono su paroleVi sono almeno due modi di spiegare parole complesse come ad esempio bolognese e

cottura.Assumere l’ipotesi secondo cui i processi morfologici sono basati sui morfemi, significa

assumere che le forme di base siano appunto dei morfemi e quindi Bologn-, cott-; a queste forme si aggiungerebbero /pag. 104/ direttamente gli affissi. L’ipotesi che i processi morfologici siano basati sulle parole invece, comporta una procedura diversa, esemplificata qui di seguito:(32) a. Bologna b. cotto

Bologna + ese cotto + uraBologne+ ese cotte+ urabolognese cottura

In (32) si parte da una parola “esistente” (Bologna, cotto), si aggiunge poi il suffisso rilevante (-ese nel primo caso, -ura nel secondo), si aggiusta la forma fonologica (in entrambi i casi si cancella una vocale) e si arriva alla fase finale, la parola derivata.

Si confrontino le due parole milanista (col significato di ‘tifoso del Milan’) e milanese (col significato di ‘abitante di Milano’). Per queste due parole, si possono supporre le seguenti due derivazioni, rispettivamente:(33) a. Milan b. Milano

Milan + ista Milano + ese milanista milanoese

Per quel che riguarda (33a) non vi sono problemi dal punto di vista formale, la base più il suffisso danno origine a una parola ben formata. Ma per (33b) vi è bisogno di una regola che cancelli la vocale finale della parola di base. Si tratta di una regola molto semplice che funziona sempre quando si determina l’incontro di due vocali (cfr. (34a)):(34) a. fama +oso –––> famoso

vino + aio –––> vinaio Dante + ista –––> dantista

Se l’ipotesi della morfologia basata sulle parole può sembrare “ costosa” per la morfologia derivazionale (vi è bisogno di una regola di riaggiustamento che non è richiesta dall’ipotesi della morfologia basata sui morfemi) essa non lo è affatto, per la morfologia della composizione e della prefissazione. Per costruire un composto come capo stazione sarebbe l’ipotesi della morfologia basata sui morfemi ad essere “costosa” (si dovrebbero supporre due regole che inseriscono due morfemi: -o di capo ed e di stazione). Lo stesso dicasi per la morfologia della prefissazione: per costruire una parola come ex-marito, saremmo costretti a partire da una base marit e poi inserire il morfema mancante. Come si vedrà nel cap. 6, le regole di cancellazione di vocale sono molto diffuse e comunque necessarie qualunque teoria si assuma.

L’ipotesi della morfologia basata sulle parole è oggi largamente /pag. 105/ accettata, nonostante le difficoltà, discusse sopra, di definire la nozione di “parola”.

4.2.4. ProduttivitàLe RFP possono essere più o meno produttive. Un esempio di regola produttiva è la regola

che aggiunge -mente ad aggettivi per formare avverbi; un esempio di regola non più produttiva è dato dalle formazioni in -ingo (solingo, ramingo, ecc.) che costituiscono un insieme chiuso, limitato, non più espandibile.

La nozione di produttività è connessa alla facoltatività delle RFP: se una regola fosse obbligatoria non vi sarebbe questione di (maggiore o minore) produttività. La questione della produttività si pone, infatti, perché le RFP “possono” applicarsi a determinate basi. Per

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esempio alla base Aggettivo si possono applicare regole che formano nomi astratti e quindi si può applicare sia la regola che aggiunge -ezza (composto ---> compostezza) sia quella che aggiunge -ità (generoso ---> generosità). Per queste due regole si pone il problema di quale sia la più produttiva. La produttività di una RFP non è però identificabile con la frequenza con cui essa si applica né, di conseguenza, con il numero di parole che essa forma: è necessario invece tener conto delle restrizioni (morfologiche, fonologiche, ecc. 19) imposte sui tipi di parole che possono essere usate come basi per tale regola. Per esempio, in italiano i suffissi -mento e -zione formano entrambi nomi da verbi ma mentre una base in -eggiare favorisce la suffissazione in -mento e sfavorisce la suffissazione in -zione (35a), una base in -izzare favorisce, all’inverso, la suffissazione in -zione e sfavorisce la suffissazione in -mento (35b):(35) a. amoreggiamento *amoreggiazione

cannoneggiamento *cannoneggiazionecorteggiamento *corteggiazionefesteggiamento *festeggiazione

b. banalizzazione *banalizzamentocarbonizzazione *carbonizzamentoevangelizzazione *evangelizzamentomagnetizzazione *magnetizzamento

Non si può quindi parlare di produttività in senso assoluto, ma piuttosto della produttività di una regola relativamente a una classe di basi. Le regole non possono perciò essere semplicemente classificate come produttive o non produttive: vi sono, piuttosto, gradi diversi di produttività.

Infine, si può parlare di produttività solo per quelle regole che si aggiungono ad un ampio numero di classi di basi. Per esempio, volendo studiare la produttività dei suffissi che formano nomi da aggettivi, è /pag. 106/ necessario prima individuare le classi di aggettivi che sono basi possibili per tali suffissi. Si scoprirà così che -ezza, è produttivo con aggettivi che terminano in -evole, -ido, ed aggettivi (per lo più) bisillabici, a participi passati in -to che denotano una qualità, ecc.; -ità per contro si aggiunge ad aggettivi che terminano in -ico, -ace, -ale, -bile, ecc.; -ismo si aggiunge a parole che terminano con una varietà di suffissi e privilegia gli aggettivi che denotano sistemi di credenze.

La produttività, infine, dipende dalla facilità con cui un affisso si aggiunge alla propria base, vale a dire se il processo è trasparente dal punto di vista semantico, se è soggetto a poche restrizioni (cfr. 4.3.), se non richiede riaggiustamenti fonologici complessi (cfr. il cap. 6).

4.2.5. Centro e periferia delle RFPLe RFP colgono un c e n t r o di regolarità rispetto al quale esiste spesso una piccola

periferia di irregolarità. Per quasi tutte le generalizzazioni che si possono formulare nel dominio della formazione delle parole, vi sono delle eccezioni. Per esempio, in (19) si è visto che il suffisso -bile si aggiunge a verbi e che questi verbi debbono essere transitivi. Entrambe le affermazioni (se confrontate con un campione abbastanza vasto di dati) colgono un fatto “centrale” di questo suffisso. Entrambe le affermazioni, però, incontrano eccezioni. Eccezioni alla prima sono parole come papabile, tascabile, camionabile dove sembra che il suffisso si aggiunga a nomi (papa, tasca, camion) dato che non esistono i verbi *papare, *tascare, *camionare. Eccezioni alla seconda sono invece parole come conversabile, risibile, accessibile, deperibile. Ma si tratta di vere e proprie eccezioni, come si può controllare facilmente cercando nel proprio “dizionario mentale” dei dati a favore o contro le due affermazioni in questione. Un dato numerico può però essere significativo al proposito: da un controllo su 280 formazioni in -bile, risulta che duecentosettantasei hanno come base un verbo transitivo e solo quattro un verbo intransitivo.

Naturalmente le analisi debbono essere accurate. Per esempio, in una forma come

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maritabile l’assunzione più semplice è che la base sia il verbo maritare e non il nome marito. Lo stesso dicasi per una forma come orecchiabile 20.

Per una forma come passabile invece si può sostenere che non si tratta di una parola “formata tramite regola” dato che il significato della parola in questione non è trasparente. Si tratta di una parola ormai lessicalizzata; il suo significato, infatti non è ‘che può essere passato’ ma ‘decente’.

In tutte le lingue e a tutti i livelli linguistici, vi è un centro di regolarità e una piccola periferia di irregolarità, dovuta a resti, prestiti da altre lingue, evoluzioni storiche particolari. È sul “centro” che si può costruire una teoria del linguaggio, non sulla periferia. /pag. 107/

4.3. Restrizioni sulle RFPCome si è detto sopra, uno degli obiettivi principali di una teoria morfologica è di definire

la nozione di “parola possibile in una lingua”. Per raggiungere questo scopo, si devono formulare delle restrizioni sulle RFP, in modo da determinare (a) a quale tipo di informazioni le RFP possono avere accesso, e (b) quale tipo di operazioni esse possono effettuare.

Poiché le RFP si applicano ad una base e generano un’uscita, esamineremo prima le restrizioni sulla base (4.3.) e poi quelle sull’uscita (4.3.6.).

Come si è detto, la base di una RFP è costituita dall’insieme di parole alle quali la regola può essere applicata, ciò che abbiamo rappresentato con un diagramma in (10) e che qui ripetiamo per comodità:(36) Y

X Suf [shënim 21]Suf

[Questa rappresentazione esemplifica una parola più un suffisso. Se non sarà specificato diversamente, supporremo che lo stesso discorso valga anche per la prefissazione.]

Come si è visto, la base della regola alla quale si aggiunge il suffisso èl’insieme delle parole che possono sostituire il simbolo dominato da X. La categoria lessicale X, però, non è sufficiente da sola a delimitare adeguatamente la base di un suffisso, per cui è necessario ricorrere a restrizioni appropriate in modo che vengano escluse le combinazioni non grammaticali, e la stringa “X+ Suf” (cioè Y) sia una parola ben formata.

Le restrizioni sulla base di una RFP possono essere sintattiche, semantiche, fonologiche e morfologiche. Tali restrizioni saranno discusse nei paragrafi seguenti. Un altro tipo particolare di restrizione, l’Ipotesi della Base Unica, sarà invece discussa nel cap. 8.

4.3.1. Restrizioni sintatticheLe RFP hanno accesso alle informazioni contenute nella loro base. La base, di norma, è un

membro di una categoria lessicale maggiore. Ciò significa che le RFP non agiscono su un articolo, su un pronome, ecc . [In realtà esistono congiunzioni complesse come affinché, perciò ecc., o preposizioni ‘articolate’ come della, degli, ecc., ma si tratta di una lista chiusa di parole che non sono formate tramite regole produttive.]. Per quel che riguarda le categorie lessicali maggiori, bisogna distinguere tra derivazione e composizione e tra categorie di entrata e categorie di uscita.

In derivazione, le categorie di entrata (cfr. (5)) sono Nome, Aggettivo /pag. 108/ e Verbo. Le categorie di uscita comprendono anche la categoria Avverbio, dato che esiste una regola (molto produttiva) che forma avverbi in -mente da aggettivi. In composizione, le categorie in entrata sono di norma quattro, Nome, Aggettivo, Verbo e Preposizione [Vi sono anche parole come avantieri, posdomani con un avverbio in entrata, ma si tratta di formazioni non produttive.] (37) [capo]N [stazione]N

[dolce]A [amaro]A

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[sali]V [scendi]V

[senza]P [tetto]N

Le categorie di uscita della composizionale sono, produttivamente, solo due: Nome e Aggettivo. Ciò significa che l’italiano contemporaneo non forma produttivamente verbi composti, preposizioni composte e avverbi composti.

Le RFP sono sensibili, oltre che alla categoria lessicale della base (per esempio, il suffisso -bile, come si è detto, si aggiunge a verbi, non a nomi o aggettivi) anche ai tratti di sottocategorizzazione (-bile si aggiunge a verbi marcati come [ + transitivo], non a verbi marcati come [ - transitivo], cfr. [[lava]V + bile]A versus *[[sembra]V + bile]).

In linea di principio, tutte le informazioni linguistiche associate alla base possono avere un ruolo nella derivazione. In italiano, ad esempio, il suffisso -aio (con la parafrasi ‘persona che ha un’attività connessa con X’) si aggiunge solo a nomi marcati come [ - astratto], non a nomi marcati come [ + astratto] (cfr. giornale +aio ––> giornalaio, vino +aio ---> vinaio, vs. gloria +aio ---> *gloriaio, futuro+ aio -- > ‘*futuraio). [Esistono eccezioni, come usuraio, operaio, ma si tratta di poche eccezioni]

Supporremo, pertanto, che tutte le informazioni sintattiche presenti nella rappresentazione di una parola possano influenzare i processi derivazionali e possano da questi essere cambiate.

4.3.2. Restrizioni semantichePer quel che riguarda le restrizioni semantiche sulla base, manca un quadro teorico di

riferimento, per cui disponiamo di varie osservazioni che attendono una sistemazione più organica.

In generale, si può dire che gli affissi “selezionano” la loro base anche in relazione al significato. Ad illustrazione del tipo di problemi che sorgono in quest’area, si consideri come suffissi diversi scelgono significati diversi della stessa base. La parola francese fuste ‘giusto, equo’ può /pag. 109/ essere derivata aggiungendo due suffissi diversi, dando in entrambi i casi un nome: justice ‘giustizia’ o justesse ‘giustezza’. Un caso simile èquello dell’aggettivo large ‘ampio, generoso’ dal quale si può ottenere largesse ‘generosità’ o largeur ‘ampiezza’. Ciò che è interessante in questi casizb è il fatto che i due suffissi “rivali”, in entrambi i casi, sembrano selezionare significati diversi della medesima parola, come si può vedere in (38):(38) ‘equo’ –––> justice

juste‘giusto’ –––> justesse‘generoso’ –––> largesse

large‘ampio’ –––> largeur

Non sempre, però, parole con n significati danno luogo a n derivazioni diverse. Può succedere anche che quando una parola ha più di un significato (poniamo Significatol e Significato2) un suo derivato possa preservare solo uno di questi significati, ad esclusione dell’altro. Si consideri il seguente esempio:

‘che piace a molta gente –––> impopolare(39) large

‘della gente’ –––> *La negazione dell’aggettivo popolare può essere realizzata solo relativamente a uno dei

due significati, cioè solo relativamente al significato ‘che piace a molte persone’; la negazione non riguarda infatti l’altro significato ‘della gente’. In altre parole, l’aggettivo negativo impopolare può significare solo ‘che non piace a molta gente’.

Una conferma di come i suffissi scelgano la semantica della base èla seguente. Il verbo aderire ha almeno i seguenti significati: a) Significatoli ‘essere attaccato’, b) Significato2: ‘parteggiare’. La RFP che aggiunge -ivo selezionerà il Significatol mentre invece la regola che aggiunge -ione selezionerà il Significato:

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(40) aderire adesione adesivoSign. I + +Sign.2 – –

Questo tipo di scelte forse non sono del tutto casuali ed isolate. Si confrontino le derivazioni dal verbo tentare (Significatoli ‘cercare di corrompere’, Significato2: ‘cercare di riuscire’):(41) tentare tentazione tntativo tentatore

Sign. I + – +Sign.2 – + – /pag. 110/

Confrontando (40) e (41) si potrebbe avanzare l’ipotesi (che qui non verificheremo) per cui -ivo e -ione selezionano (se ve ne sono) significati diversi della loro base.

A volte è possibile prevedere la direzione della “scelta semantica”, per così dire, di un affisso. Per esempio il suffisso avverbiale italiano -mente, quando si aggiunge a basi che hanno sia un significato “letterale” che un significato “traslato” o “metaforico”, seleziona sempre il secondo z’:

‘di sapore acre’ –––> *(42) acido

‘maligno’ –––> acidamente

‘pieno di vortici’ –––> *vorticoso

‘frenetico’ –––> vorticosamenteLa strategia scelta da -mente non è però l’unica possibile. Alcuni prefissi, ad esempio,

sembrano scegliere la via opposta. Poniamo che la parola lucido abbia due significati: un Significatol ‘che riluce’ e un Significato2 ‘intelligente’:

‘che rilice’ –––> extralucido(43) lucido

‘intelligente’ –––> *È facile constatare che il prefisso extra- sceglie il Significatoli extralucido non può

significare ‘molto intelligente’ ma solo ‘molto rilucente’. In sostanza -mente ed extra- si comportano in modi opposti rispetto ai possibili significati delle loro basi, nel senso che il prefisso sceglie il significato ‘proprio’ e il suffisso sceglie il significato ‘traslato’:(44) extra Sign to 1 Sign.to 1 *

lucido* Sign.to 2 Sign.to 2 mente

Ne è riprova il fatto che se prefissiamo lucido con extra la derivazione con mente è bloccata (*extralucidamente). Le stesse osservazioni possono essere ripetute per altri casi simili (cfr. *antispasmodicamente, *semirigidamente, ecc.).

In conclusione, la semantica della base è rilevante in vari modi per le regole morfologiche, nel senso che queste non si applicano indistintamente a tutti gli aspetti semantici della base ma operano delle distinzioni in relazione ai vari (sotto)significati che una parola può avere. /pag. 111/

Vi sono casi in cui una determinata regola, che per quel che riguarda gli aspetti categoriali e semantici potrebbe benissimo applicarsi ad una serie di parole, non vi si applica perché la sua applicazione porterebbe alla formazione di una sequenza fonologica non possibile in quella data lingua. Si dice in questo caso che la regola è soggetta a una restrizione di tipo fonologico. Detto altrimenti, le RFP sono soggette a una restrizione fonologica quando il loro mancato funzionamento dipende solo ed esclusivamente da fattori fonologici. Per esempio, in inglese, il suffisso -al ‘-ale’ che forma nomi si aggiunge solo a verbi accentati sull’ultima sillaba (45a) e non a verbi accentati su altre sillabe (45b):

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(45) a. try [trai] –––> trial ‘tentare - tentativo’propose [prëpouz] –––> proposal ‘proporre - proposta’arrive [ëraiv] –––> arrival ‘arrivare - arrivo’

b. deposit [dipozit] –––> *deposital‘deporre’recover [rikavë] –––> *recoveral ‘ristabilirsi’promise [promis] - –––> *promissal ‘promettere’

Un esempio in italiano di questo tipo di restrizione è quello del prefisso negativo italiano s-. Questo prefisso si aggiunge di norma ad aggettivi, come si vede qui di seguito:(46) fortunato –––> sfortunato

leale –––> slealecorretto –––> scorrettogradevole –––> sgradevole

Ma non si aggiunge a tutti gli aggettivi del dizionario italiano, come si vede in (47):(47) umano –––> *sumano (disumano)

onesto –––> *sonesto (disonesto)educato –––> *seducato (diseducato)abitato –––> *sabitato (disabitato)

La differenza tra gli aggettivi di base in (46) e quelli in (47) è che i primi iniziano per consonante mentre i secondi iniziano per vocale. Questa, che è una differenza fonologica, sembra essere l’unica ragione significativa che impedisce la prefissazione di s- in (47). Possiamo pertanto sostenere che il prefisso negativo s- si aggiunge ad aggettivi, purché questi aggettivi non inizino per vocale. In caso contrario la regola viene bloccata.

Quella appena raggiunta è però una conclusione parziale. La formulazione data infatti fa supporre che il prefisso in questione si possa aggiungere a tutti gli aggettivi del dizionario dell’italiano purché inizino per consonante. Ciò non è vero, come si può constatare in (48): /pag. 112/(48) civile –––> *scivile (*#[stS]) (incivile)

giusto –––> *sgiusto (*#[sdZ]) (ingiusto)sano –––> *ssano (*#[ss]) (insano)sensibile –––> *ssensibile (*#[ss]) (insensibile)sicuro –––> *ssicuro (*#[ss]) (insicuro)

Se la base inizia per consonante dunque il prefisso fa una ulteriore selezione, come appare chiaro confrontando (46) e (48). La differenza tra (46) e (48) sta nel fatto che nel secondo caso l’aggiunta del prefisso porterebbe alla formazione di nessi consonantici che violano le restrizioni fonologiche generali sui nessi possibili dell’italiano all’inizio di parola.

Le parole derivate in (46) non violano queste restrizioni (cfr. le parole sforzo, slargo, sconto, sgravio), mentre quelle in (48) le violano, poiché /stS/, /sdZ/, /ss/ sono, infatti, tutti nessi iniziali impossibili in italiano.

Si osservi che le parole in (47) non violano alcuna restrizione fonologica dell’italiano: sono parole che iniziano con sequenze perfettamente accettabili dal punto di vista fonologico e cioè “#s+vocale” (cfr. succo, sonante, seducente, santo). Esse devono perciò essere escluse per altri motivi, tra cui forse il fatto che nella sequenza s + Vocale il prefisso non ha, per così dire, una salienza identificabile, dato che sono moltissime le parole dell’italiano che iniziano con tale sequenza senza che vi sia un prefisso.

4.3.4. Restrizioni morfologicheLe restrizioni morfologiche esprimono il fatto che una data RFP non si può applicare a

parole con una certa struttura morfologica. Ad esempio, il suffisso -ale si aggiunge normalmente a nomi per formare aggettivi:(49) [[sacramento]N + ale]A

[[strumento]N + ale]A

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[[monumento]N + ale]A

ll suffisso, però, non si aggiunge alla classe di nomi dalla forma XNmento, dove X è un verbo, come si può vedere dai seguenti esempi:(50) *[[[discerni]V +mento]N +ale]A

*[[[arrangia]V +mento]N +ale]A *[[[collega]V +mento]N +ale]A /pag. 113/

La restrizione qui all’opera non riguarda la categoria lessicale della base: -ale si aggiunge liberamente ad altri nominali deverbali astratti (cfr. [[[confess]V + ion]N + ale]N). Non è neppure fonologica, perché la sequenza fonologica Xmentale non è vietata, come si vede in (49). La mancata applicazione della regola dipende quindi dalla struttura interna della base, per cui si può esprimere questa restrizione nel seguente modo:(51) [[X]N + ale]A

ma dove: X :# V + mentoLa restrizione in (51) codifica il fatto che la base della regola di -ale non può essere una

parola morfologicamente complessa formata da un verbo più il suffisso -mento [Anche in questo caso è possibile trovare delle eccezioni, come ad esempio compartimentale. Ma, a ben vedere, l’eccezione si spiega perché in questa parola la presenza del Verbo (comparti) è oscurata: compartimento sembra una unità lessicalizzata e non più formata dal verbo + il suffisso -mento. La stessa osservazione si può estendere ad esempi come risorgimentale o sentimentale.]

Un altro caso di restrizione morfologica è il seguente, dove la restrizione è attivata dall’appartenenza di una classe di verbi ad una data coniugazione. Si considerino le seguenti due liste di verbi con i corrispondenti nominali derivati:(52) a. Allargare –––> allargamento

affossare –––> affossamentoimboccare –––> imboccaturaincollare –––> incollaturasbarcare –––> sbarcorincarare –––> rincaroscarcerare –––> scarcerazioneassimilare –––> assimilazioneatterrare –––> atterraggioallunare –––> allunaggioimbeccare –––> imbeccatainchiodare –––> inchiodata

b. alleggerire –––> alleggerimentoapprofondire –––> approfondimentoarricchire –––> arricchimentoinasprire –––> inasprimentoindurire –––> indurimentoimpoverire –––> impoverimento

Sia in (52a) che (52b) sono elencati dei verbi parasintetici, una classe speciale di verbi formati, a partire da un nome o da un aggettivo e con l’aggiunta di un prefisso e di un suffisso. In (52a) vi sono /pag. 114/ parasinteticí della prima coniugazione (la vocale tematica è a), in (52b) vi sono parasintetici della terza coniugazione (la vocale tematica è i ).

Ora, da tutti questi verbi è possibile derivare dei nominali astratti, come si vede nelle colonne di destra, ma si può notare la seguente differenza: se il verbo è un parasintetico della terza coniugazione, allora il suffisso nominalizzante può essere solo -mento (52b); se il verbo è della prima allora possono essere utilizzati tutti i suffissi nominalizzanti dell’italiano (-ura, -o, -zione, -aggio, -ata) come si vede in (52a).

È dunque evidente che nella derivazione di nominali astratti da un verbo parasintetico

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agisce la seguente restrizione morfologica: l’aggiunta del suffisso deve tener conto a) del tipo di verbo in questione e b) della classe di coniugazione cui il verbo appartiene.

4.3.5. Tratti di stratoll lessico di ogni lingua è stratificato, nel senso che è costituto da vari s t r a t i (spesso

dovuti a contatti tra sistemi linguistici, prestiti, ecc.). Per cogliere questo fatto, è stato propost un sistema di “tratti di strato” (sfrata] features), esemplificato in (53) {Non discuteremo qui questa classificazione: basti osservare che il tratto [ + nativo] è il tratto che caratterizza lo strato “centrale” di una lingua, mentre quello [-nativo] caratterizza strati più periferici. Si noti ancora che tratti come quelli qui esemplificati sono sempre stati usati, più o meno esplicitamente, in fonologia e in morfologia. Per esempio, i suffissi -iteit e -or in olandese sono sensibili, rispettivamente, ai tratti [+francese] e [+latino]}:(53) Nativo

+ –

[+lat] [+gr] [...]Lo strato [ + nativo] è quello “centrale” (nel senso visto in 4.2.5. ) di una data lingua,

quello [ - nativo] definisce gli strati “periferici” che spesso riflettono le vicende storiche, i contatti culturali della lingua in questione. II lessico dell’inglese, per esempio è caratterizato dal fatto di avere accanto ad uno strato [ + nativo] un ampio strato [ – nativo] di origine romanza. L’italiano ha diversi strati non nativi, come testimoniano voci di origine latina (parricida), greca (biografo), inglese (spot), francese (garage), araba (bazar), ecc.

Distinzioni di questo tipo sono rilevanti per le RFP perché affissi diversi possono scegliere ‘strati’ lessicali diversi. Per esempio, un tratto di strato che ha molta importanza in inglese è il tratto [latino]. ll suffisso -ity si aggiunge a parole che sono marcate come [ + latino] (come /pag. 115/ in (54a)) ma non a parole che sono marcate come [-latino] (come in (54b)):(54) a. profane –––> profanity ‘profano - profanità’

vivacious –––> vivacity ‘vivace - vivacità’b. wide –––> *widity ‘ampio’

strong –––> *strongity ‘forte’In questo senso, -ity contrasta con il suffisso -ness, che non discrimina tra parole [+latino]

(cfr. (55a)) e [ – latino] (cfr. (55B)):(55) a. common+ness ‘banalità’

strange + ness ‘stranezza’b. happy+ness ‘felicità’

white + ness ‘bianchezza’Bloomfield [1933] osservò che in morfologia radici normali si aggiungono ad affissi

normali e radici dotte ad affissi dotti, dove “normale” e “dotto” possono essere intesi rispettivamente come “nativo” e “non nativo”. In effetti, i tratti di strato attivi in italiano, soprattutto i tratti [ + latino] e [ + greco], operano delle selezioni nel senso indicato da Bloomfield: semiparole con tratto [ + latino] selezionano forme latine (56a) o inducono un riaggiustamento in i della vocale finale della parola cui si aggiungono (56a’) mentre invece semiparole col tratto [+greco] selezionano forme greche (56b) o inducono un riaggiustamento in o della vocale finale della parola cui si aggiungono (56b’ ):(56) a. agricolo b. anemometro

a’. colorificio b’. cartografiaIn realtà i tratti [ + latino] e [ + greco] sono rilevanti per la morfologia delle maggiori

lingue europee, dato che in tutte queste lingue la formazione di parole “colta” o “neoclassica” è presente e produttiva.

72

4.3.6. Restrizioni sull’uscitaLe restrizioni che limitano il potere di applicazione di una RFP non riguardano

esclusivamente la base ma possono riguardare anche l’uscita.Ci sono, fondamentalmente, due tipi di restrizioni sull’uscita delle RFP: una sintattica ed

una semantica.La restrizione sintattica prevede che ogni parola nuova creata da una RFP debba essere un

membro di una categoria lessicale maggiore. La categoria dell’uscita è determinata dalla RFP stessa. Abbiamo visto sopra in (5) che in derivazione le categorie Nome, Verbo, Aggettivo possono cambiare in qualsiasi altra categoria con l’aggiunta della /pag. 116/ categoria Avverbio. In composizione invece, le categorie Nome, Aggettivo, Verbo, Preposizione possono dare in uscita solo Nomi o Aggettivi.

L’uscita di una RFP è una struttura con una parentesizzazione etichettata, dove sono specificate sia la categoria dell’entrata che la categoria dell’uscita, insieme al confine richiesto dalla regola. Un’uscita come la parola famoso, per esempio, ha quindi la rappresentazione seguente:(57) [[fama]N+ oso]A

Quando ad una base si applicano più RFP, tutta la struttura costruita nella derivazione viene mantenuta. Un esempio astratto di derivazione multipla è quello in (58a), cui corrisponde l’esempio concreto in (58b):(58) a. [[[[[ ]X + Suf]Y + Suf]Z + Suf]W + Suf]T

b. [[[[[precipit]V +evol]A +issim]A +evol]A +mente]Avv

Per passare da queste strutture astratte alle parole così come vengono inserite nelle frasi, si rendono necessari dei riaggiustamenti fonologici per i quali si rimanda al cap. 6.

Per quel che riguarda la restrizione semantica, essa impone che il significato dell’uscita di una RFP debba essere una funzione del significato della base. ll significato dell’uscita viene rappresentato, come si èvisto in 4.2.1., da una parafrasi contenente una variabile, come mostrano ancora questi esempi:(59) a. [[X]V +bile]A ‘che può essere X-ato’

annullabile ‘che può essere annullato’b. [in + [X]A]A ‘non X’

infelice ‘non felice’c. [[X]V + tore]N ‘persona che professionalmente o abitualmente X’

nuotatore ‘persona che professionalmente o abitualmente nuota’d. [[X]V +ura] ‘l’azione del X-are’

potatura ‘l’azione del potare’ll significato di una parola complessa è composizionale solo quando quest’ultima viene

creata da una regola sincronicamente produttiva. Col tempo una parola può acquistare significati inaspettati, cioè significati che non possono più essere derivati dai suoi componenti. La parola osservatore, ad esempio, insieme al suo significato regolare ‘persona che abitualmente o professionalmente osserva’, può significare anche ‘chi partecipa a convegni, congressi e simili semplicemente osservando quanto vi accade, senza apportarvi comunicazioni. Significati così /pag. 117/ specializzati e così lontani dalla parafrasi “regolare” originaria, vengono acquisiti col tempo.

Le parole sono formate pertanto da processi regolari ma, una volta formate, possono assumere significati imprevedibili; possono cioè sottostare a deriva semantica. Ciò spiega anche il caso di trasmissione, che non ha più il suo significato composizionale (cioè ‘l’azione di trasmettere’) quando si riferisce ad una parte di un’automobile.

Se si considera il caso in (59d), si può osservare che diversi nomi in -una accanto al loro significato originario, hanno acquisito un significato non astratto. Nomi come frittura, cavalcatura, imbastitura ecc. non sono più nomi astratti ma nomi cosiddetti “risultato”.

Vi sono infine dei casi in cui la semantica della parola in uscita non è del tutto prevedibile

73

anche se il processo in questione è regolare e produttivo. Si tratta, per esempio, della ambiguità tra nomi d’agente (60a) e nomi strumentali (60b):(60) a. nuotatore b. coprocessore

lavoratore estintorecospiratore refrigeratoreusurpatore aspiratore

La stessa ambiguità si può trovare per altri suffissi (come ad es. -ino [Questo suffisso, che forma nomi di mestiere, non è il suffisso diminutivo che forma diminutivi, come ad es. orologino da orologio, per cui cfr. 10.2.], cfr. postino, bagnino, vetturino, questurino di contro a scaldino, frullino, macinino, passino) [Lo stesso fenomeno si riscontra nei composti Verbo +Nome (cfr. 5.7.) come ad es. portalettere vs. portasci.] L’ambiguità tra nomi d’agente e nomi strumentali è sistematica dato che esistono molti casi in cui la parola può essere sia l’una che l’altra cosa: un decifratore, un sollevatore o un ungitore possono essere in linea di principio sia persone che macchine {Anche in questo caso, la stessa ambiguità si riscontra nei composti, cfr. portabagagli. Sull’ambiguità agente/strumento, cfr. Thornton [1993].}

4.4. SommarioIn questo capitolo - dopo aver introdotto alcune nozioni di base (4.1.) - abbiamo sviluppato

il formalismo delle Regole di Formazione di Parola, in particolare delle regole di suffissazione, prefissazione e composizione (a queste ultime è però dedicato l’intero cap. 5). Si è visto che le regole si applicano ad una base e ne possono cambiare la categoria sintattica, i tratti sintattico-semantici e la semantica. Le RFP sono regole “lessicali” nel senso che operano interamente nel lessico, e sono regole facoltative (nel senso che non vi è alcun livello linguistico che richieda la presenza di una parola complessa) (4.2.).

La semantica delle RFP è di tipo composizionale, nel senso che le parole nuove, formate da regole produttive, hanno un significato /pag. 118/ globale che si può desumere dai significati dei vari costituenti (4.2.1.).

Le RFP sono regole che costruiscono struttura. Tale struttura, indicata nelle nostre rappresentazioni con delle parentesi interne, è di tipo binario (4.2.2.).

Si è poi visto che la morfologia dell’italiano può essere una morfologia “basata sulle parole”, vale a dire una morfologia che pone alla base di tutti i processi, sia derivazionali che composizionali, le parole (4.2.3.).

Le RFP possono essere più o meno produttive. La produttività di una RFP non si può misurare in termini assoluti, ma solo in termini relativi. Si può dire infatti che una regola è più produttiva di un’altra solo in relazione ad un certo tipo di base (4.2.4.). Le RFP, come tutte le regole della grammatica, hanno un centro di regolarità ed una periferia di irregolarità ed è ovviamente il centro quello che interessa maggiormente il linguista che voglia costruire una teoria della morfologia (4.2.5.).

Nella seconda parte del capitolo (4.3.) si sono esaminati i vari tipi di restrizioni cui sono soggette le RFP. Tali restrizioni sono intese a limitare il potere generativo delle regole. Sono state quindi discusse le restrizioni sulla base delle RFP, e cioè le restrizioni sintattiche (4.3.1. ), le restrizioni semantiche (4.3.2.), le restrizioni fonologiche (4.3.3.), le restrizioni morfologiche (4.3.4.), le restrizioni relative ai tratti cosiddetti di strato (4.3.5.) ed infine le restrizioni sull’uscita delle regole (4.3.6.). /pag. 119/

4.5. Indicazioni bibliografiche

Regole di Formazione di Parola: Allen [1978]; Aronoff [1976]; Booij [1977]; Halle [1973]; Moortgat et al. (a cura di) [1981]; Scalise [1984].Produttività: Anshen e Aronoff [1981]; Baayen [1989]; Corbin [1987]; Iacobini e Thomton [1992]; Lo Duca [1990]; Rainer [1989]; Schultink [1961].

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Restrizioni: Aronoff [1976]; Scalise [1984].

CAPITOLO 5: COMPOSIZIONE

5.0. IntroduzioneAbbiamo scelto di trattare la composizione in un capitolo a parte perché la composizione è

per molti aspetti diversa dalla derivazione. Abbiamo visto che una differenza fondamentale sta nel fatto che la derivazione è concatenazione di una forma libera e di una forma legata mentre la composizione è concatenazione di due forme libere. Un’altra differenza (sicuramente collegata a quella appenabista) sta nel rapporto che derivazione e composizione hanno rispettivamente con fonologia e sintassi. Per quel che riguarda la fonologia, vi è accordo generale tra i fonologi nel sostenere che una parola derivata è una sola parola fonologica, mentre per quel che riguarda i composti, in diverse lingue, tra cui l’italiano, un composto si comporta come se fosse costituito da due parole fonologiche. Per quel che riguarda la sintassi, i composti, al contrario dei derivati, sono spesso stati interpretati come se avessero un’origine frasale (portalettere interpretato come se derivasse da una frase del tipo l’uomo che porta le lettere). Per diversi motivi oggi si tende ad escludere questa interpretazione e si tende a pensare che i composti siano costruiti, come i derivati, tramite regole morfologiche. Una certa parentela tra composti e strutture sintattiche resta, però, un fatto innegabile, anche perché esistono certe forme per le quali è difficile decidere se si tratta di un composto o di un sintagma (come ad es. ferro da stiro).

In questo capitolo, dopo aver introdotto il formalismo necessario, daremo un elenco dei tipi di composti dell’italiano, discuteremo dettagliatamente una nozione importante come quella di testa del composto, forniremo una classificazione dei principali tipi di composti, discuteremo la questione dell’identificazione dei composti rispetto ai sintagmi e la struttura argomentale nel processo di composizione. /pag. 121/

5.1. ComposizioneLa composizione è un processo morfologico che, come la derivazione, consente la

formazione di parole nuove a partire da parole già esistenti; ma, come si è detto, mentre una parola derivata è costituita da una forma libera più una forma legata, una parola composta è costituita, di norma, da due forme libere, cioè da due parole (due “costituenti”) che, per comodità, chiameremo Parolal e Parola2, come nei seguenti esempi:(1) Parola 1 Parola2 –––> Composto

[campo]N [santo] A –––> [ [campo] N [santo] A ] N

[alto]A [piano] N –––> [ [alto] A [piano] N ] N

[lava]v [piatti] N –––> [ [lava] v [piatti] N ] N

[sali]v [scendi]v –––> [ [sali] v [scendi]v ] N

[senza]P [tetto] N –––> [ [senza] P [tetto] N ] N

[capo]N [stazione] N –––> [ [capo] N [stazione] N ] N

[agro] A [dolce] A–––> [[agro] A [dolce] A ] A

Come si vede, la composizione, da un punto di vista formale, consiste nella concatenazione di due parole etichettate con una data categoria lessicale. ll risultato è un’altra parola etichettata con una categoria lessicale che può coincidere o meno con la categoria lessicale dei costituenti. Tale processo può essere rappresentato da una regola come la seguente:

(2) [ ]X [ ]Y –––> [ [ ]X # [ ]Y ]Z

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X, Y e Z sono categorie lessicali, X è la categoria lessicale di Parolal, Y la categoria lessicale di Parola2 e Z la categoria lessicale della parola composta, # è un confine di parola (cfr. 3.2.2) [Dato quanto si è visto nel cap. 3 e cioè che le parole sono rappresentate nel lessico con i loro confini di parola (ad es. [#pesce#], [#cane#],) allora, a rigore, la rappresentazione non semplificata di un composto come pescecane è [#[#pesce#] [#cane#]#]), dove i due confini più esterni sono i confini della parola composta. In quel che segue faremo uso di rappresentazioni semplificate.].

Come si vede in (1) in italiano la categoria lessicale dei composti (cioè Z) si può ricavare a partire dalle categorie lessicali dei costituenti: il composto è in genere un nome a meno che entrambi i costituenti non siano aggettivi, nel qual caso il composto è un aggettivo. Si può pertanto formulare la seguente generalizzazione:(3) a. X+Y –––> N

b. A+A –––> A /pag. 122/ che si legge nel modo seguente: in composizione la combinazione di due categorie

qualsiasi (X e Y) dà sempre nome (3a); solo la combinazione di due aggettivi porta ad un aggettivo composto (3b) [Alla generalizzazione appena data esiste un’eccezione ed è il caso di composti formati da aggettivi di colore del tipo verde bottiglia, dove la combinazione A+B dà come categoria di uscita aggettivo. Questo tipo di composti (A+ N che dà A) è al tempo stesso produttivo (per es. si possono formare composti “nuovi” come “rosso cocomero”) ma limitato semanticamente agli aggettivi di colore. Altre possibili eccezioni come verbi composti (benedire, crocefiggere, manomettere) o come preposizioni o avverbi composti (soprattutto, perbene, sottosopra) rappresentano tipi di composti non produttivi in italiano.].

I composti non sono formati solo per concatenazione di due forme libere. Vi sono composti formati anche da due forme legate (4a), da una forma legata più una forma libera (4b) o da una forma libera più una forma legata (4c); si tratta di composti formati con quelle unità che abbiamo chiamato ‘semiparole’ [Cfr. sopra 3.3.4. Migliorini [1963] chiama queste forme legate “affissoidi”, mentre Martinet [1988] le chiama “confissi”. In Scalise [1983] si mette in dubbio che le unità in questione siano un tipo di affissi. Cfr. la discussione più avanti, 10.4.]:(4) a. bio + grafo (semiparola + semiparola)

b. dattilo + scritto (semiparola + nome)c. astro + nauta (nome + semiparola)

Anche in questo caso vale la generalizzazione data sopra: il composto è sempre un nome.Da quanto visto in questo paragrafo, si può concludere che le regole produttive di

composizione in italiano formano essenzialmente nomi, sporadicamente aggettivi e mai verbi [Ciò è vero al punto che, come si vedrà tra breve, anche la combinazione V+ V dà Nome (ad es. saliscendi). Questo non significa, come abbiamo già visto, che non esistono verbi composti in italiano (cfr. la nota 4 sopra e anche gli esempi in (5) più avanti) significa solo che la formazione di verbi tramite composizione non è un processo produttivo. In effetti verbi “nuovi” in italiano sono formati soprattutto tramite derivazione (con i suffissi -ixxa(re), -eggia(re), -ifzéa(re), -a(re)) e in particolare attraverso quel processo particolare di derivazione che è la parasintesi (cfr. 8.6.1.). Si deve ribadire, infine, che quanto qui sostenuto vale per l’italiano, non per tutte le lingue. Il greco moderno, per esempio, è ricco anche di composti verbali [cfr. Ralli 1992].

5.2. Composti dell’italianoQuella che segue è una lista delle possibilità combinatorie della composizione in italiano

(date le categorie maggiori N, V, A, P e Avv). Accanto vi sono altre specificazioni e cioè: a) se il tipo di composto esiste, b) se è produttivo, ed infine due esempi: /pag. 123/(5)

categorie esiste produttivo esempi

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i. N + N sì sì crocevia, pescecaneii. A + A sì sì dolceamaro, verdeazzurroiií. V + V s no1 saliscendi, giravoltaiv. P + P no *dicon, *senzaperv. Avv + Avv sì no malvolentieri, sottosopravi. V + N sì sì scolapasta, cantastorievii. V + A no2 *pagacaro, *vedibelloviii. V + P no *metticon, *saltasopraix. V + Avv sì no buttafuori, cacasottox. N + A sì no camposanto, cassafortexi. N + V sì no manomettere, crocefiggerexii N + P no *scalasotto, *abitosenzaxiii N + Avv no3 *casamale, *tavolobenexiv. A + N sì no biancospino, gentiluomoxv. A + V no *gentileparla, *caropagaxvi. A + P no *bellocon, *biancosenzaxvii. A + Avv no *bellobene, *biancooggixviii. P + N sì no sottopassaggio, oltretombaxix. P + A no *congentile, *soprabelloxx. P + V sì no ?contraddire, ?sottomettere4 xxí. P + Avv no5 *conbene, *senzaieriNote:1. Vi sono delle costruzioni V+cong+V come mordi e fuggi, usa e getta, va e vieni che sono forse produttive. Il loro statuto, però non è del tutto chiaro, dato che contengono al loro interno una congiunzione. Cfr. su questo argomento 5.10. più avanti.2. Una formazione come lavasecco è in realtà formata a partire da lava a secco.3. Un esempio di questo tipo potrebbe essere centravanti ma non è facile reperirne molti altri.4. Il punto di domanda riguarda il fatto che l’analisi di queste forme non è del tutto semplice. Si tratta di verbi composti (e quindi formati da Preposizione +Verbo) o di verbi derivati (e quindi formati da Prefisso + Verbo)? Non cercheremo di affrontare qui questo problema.5. Un’eccezione potrebbe essere perbene.

Come si può vedere, non tutte le combinazioni delle categorie teoricamente a disposizione sono possibili {Una lista esaustiva dei composti possibili dovrebbe comprendere anche forme morfologicamente più complesse come le seguenti: [N+V+ente] (nullatenente), [Aw+V+entel (malvivente, benestante, chiaroveggente), [V+P+N] (saltimbanco, saltimbocca), [N+P+N] (pomodoro), [V+Cong+V] (vaevieni), [Avv +Part pass] (sopracitato, benvenuto, malintenzionato). Questi tipi non sembrano però essere produttivi. Vi sono ancora costruzioni come Avv. +A (malsano, bendisposto) e Avv +V (maledire, benedire) che sembrano però limitate agli avverbi male e bene. Infine, forme come ferro da stiro, coda di cavallo ecc., sono considerate composti da bardano (1978].} Non si trovano (5iv), (5vii), (5viii), (5xii), (5xiii), (5xv), (5xvi), (5xvii), (5xix) e (5xxi) che ripetiamo qui sotto per comodità con un esempio e raggruppati diversamente: /pag. 124/ (6) a. *N + P *passaggiosotto

*A + P *bellosopra*V + P *batticontro*P + P *datra

b. *P + A *digentilec. *V + A *gírasvelto

*A + V *bellovedid. *N + Avv *copertamale

*A + Avv *gentilebene

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*P + Avv *disempreVi sono ragioni strutturali per la non esistenza di questi composti. Per esempio, si nota

subito che mentre per le categorie N e A sono possibili entrambi gli ordini (A+N e N+A), per le categorie N e P è possibile solo l’ordine P + N e non *N + P. In realtà nemmeno *A + P e *V+P esistono come si vede in (6a). Generalizzando, si può quindi dire che in italiano non si trova mai un composto costituito da una categoria lessicale X seguito da P:

(7) *X + P

(7) dunque esclude dalla grammatica composti con P in seconda posizione. La ragione sembra dovuta ai rapporti che intercorrono tra sintassi e morfologia: in sintassi (e quindi in composizione, dato che per certi aspetti essa ‘mima’ la sintassi) l’ordine è “preposizione + nome” e non viceversa (cfr. con pazienza versus *pazienza con).

Sempre per quel che riguarda P, si vede che P si può unire a nomi e a verbi e non ad esempio ad aggettivi (6b)) e ciò è dovuto al fatto che, in sintassi (e quindi anche in composizione) una preposizione può “reggere” un nome, non un aggettivo (cfr. con amore versus *con gentile). Per quanto riguarda (6c), si può osservare che in sintassi il verbo non può essere modificato da un aggettivo: ciò che spiega l’incompatibilità delle due categorie [Tale incompatibilità non è assoluta (cfr. costruzioni come corre veloce) ma è certo molto più ridotta di quanto non si verifichi, ad es., nelle lingue germaniche.]. Lo stesso tipo di considerazioni vale per (6d) e cioè l’avverbio modifica il verbo e non altre categorie lessicali.

Se ne può concludere che le regole che formano i composti agiscono in accordo con le regole di costruzione sintattica. Questa è ovviamente la norma; ogni lingua devierà poi in vari modi dalla norma in quella zona di irregolarità che abbiamo chiamato “periferia”.

5.3. Composti larghi e composti strettiNella regola per la composizione data sopra in (2) si è postulato che tra un costituente e

l’altro del composto venga introdotto un confine /pag. 125/ “forte” #, vale a dire un confine di parola [Si tenga presente che in italiano la grafia dei composti presenta tre possibilità: può essere congiunta (capostazione), disgiunta (nave traghetto), con trattino (verde-bottiglia). La grafia, però non è espressione di un criterio scientifico su cui si possa fare assegnamento per identificare diverse classi di composti.]. Tale confine mantiene, per così dire, separata l’individualità fonologica e semantica dei due costituenti ed impedisce operazioni di amalgama semantico e/o fonologico. Col tempo e con la frequenza d’uso, il confine forte si può indebolire secondo modalità che qui non esploreremo ma che potremmo indicare in questi termini:

(8) # –––> +

vale a dire: il confine forte (di parola) diventa un confine debole (di morfema).Si considerino i seguenti due insiemi di composti (9a) e (9b):

a. quinta essenza quintessenzasopra abito soprabitolungo Arno lungarno

b. prete operaio *pretoperaiovaligia armadio *valigiarmadiodolce amaro *dolcamaro

In (9a) ha operato una Cancellazione di Vocale, che chiameremo C [Per questa regola, cfr. il cap. 6. Qui basti osservare che la regola cancella la vocale finale di Parola l prima della vocale iniziale di Parola2.] (amalgama fonologico), in (9b) CV è stata bloccata dal “confine forte”. In realtà, CV non viene bloccata esclusivamente dal tipo di confine. CV infatti può operare o non operare nella stessa classe di composti, come si vede qui sotto (sia (l0a) che (l0b) sono composti V+ N, dove il confine è «+»):

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(10) a. spàrtiàcque –––> *spartacquepórtaàbiti –––> *portabiti

b. gíraarrósto –––> girarrostopórtaaérei –––> portaereipórtaombrélli –––> portombrelli

CV opera quando la sua applicazione non produce uno scontro accentuale{Si ha uno scontro accentuale (ingl. stress clash) quando due sillabe toniche vengono a trovarsi contigue (senza una sillaba atona che le separi). Tutte le lingue studiate hanno meccanismi per risolvere gli scontri accentuali. Cfr. Nespor e Vogel [1986].} come in ( lOb); non opera invece quando ne risulterebbe uno scontro accentuale. Per esempio, la cancellazione di vocale in spárti+ ácque avrebbe come “esito di rendere contigue due sillabe toniche (spárt+á), che è la configurazione dello ‘scontro accentuale’.

Diremo comunque che la presenza di un confine forte è segno di composto largo e che la presenza di confine debole di composto stretto. /pag. 126/

Le regole di composizione formano sempre composti larghi ma poi fatti di esecuzione come la frequenza d’uso possono indebolire la forza del confine tra i due componenti.

Se i composti larghi sono formati da regole produttive e i composti stretti sono il risultato della permanenza nel lessico di tali unità, ci si aspetta che i composti larghi abbiano significato composizionale mentre i composti stretti potranno esibire una certa opacità semantica. Così, un composto come galantuomo o gentildonna (che presentano un amalgama fonologico segnalato dalla cancellazione di vocale) non sono del tutto composizionali, nel senso che il significato, per es., di galantuomo non è precisamente desumibile dai componenti, ma ha acquisito un significato che deve essere appreso a parte.

Infine, sempre guardando agli stessi esempi, si constata che l’ordine A+ N di gentiluomo, gentildonna è un ordine marcato [L’ordine A+ N è marcato, in italiano, rispetto all’ordine N +A perché è meno naturale ed ha spesso significato non composizionale (cfr. un alto ufficiale vs. un ufficiale alto).] rispetto all’ordine sintattico:(11) G. è un uomo gentile N + A (ordine non marcato)

G. è un gentile uomo A + N (ordine marcato)In conclusione, i composti larghi si distinguono dai composti stretti per le seguenti

proprietà: a) non ammettono amalgami fonologici, b) hanno significato composizionale, c) presentano un ordine dei costituenti non marcato.

5.4. Testa dei compostiSi consideri un composto come camposanto. In base a quanto detto sopra, la sua struttura

si può rappresentare nel modo seguente:(12) [ [campo]N # [santo]A ] N

Come si vede, il composto ha la stessa categoria lessicale (nome) di uno dei suoi costituenti, campo, che è anch’esso nome. Diremo che campo è la testa del composto e che la categoria N del composto “deriva” dalla testa:

(13) a. b. N

campoN santoA campoN santoA /pag. 127/In altre parole, camposanto “È UN” nome perché campo “È UN” nome: è da campo che la

categoria nome viene passata a tutto il composto. Identificare la testa di un composto è importante perché è dalla testa che derivano al composto tutta una serie di proprietà. Per identificare la testa di un composto si può applicare il test “E UN”. Questo test vale sia per quel che riguarda la categoria lessicale che per quel che riguarda la semantica. Si consideri un composto come cassaforte, i cui costituenti sono N ed A:

(14) [ [cassa]N [forte]A]N

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Per l’applicazione categoriale del test ci si chiede: cassaforte “ È UN” aggettivo o “È UN” nome? Poiché la risposta è “ È UN nome” si può concludere che la testa del composto è il costituente con la stessa categoria lessícale, cioè cassa. Per l’applicazione semantica del test ci si chiede: cassaforte “ è una” cassa o “ è una” forte? Dato che cassaforte è un tipo di cassa, anche qui la risposta indica che cassa è la testa (categoriale e semantica) del composto. Si consideri ora un altro composto, capostazione, e si applichi il test “ È UN” per la categoria lessicale:

(15) [ [capo]N [stazione]N ]N

In questo caso il test categoriale non dà una risposta chiara: capostazione “E UN” nome, ma sia capo che stazione sono nomi. Se si approfondisce l’analisi si troverà però che capo è un nome [ + maschile], [ + animato] e che stazione, al contrario, è un nome [ - maschile], [–animato]. Capostazione “ È UN” nome [ + maschile], [ + animato] esattamente come capo e diversamente dastazione. Capo sarà quindi la ‘testa’ di capostazione.

Questo esempio suggerisce che se non si riesce ad identificare la testa sulla base della sola categoria lessicale, si può ricorrere ad altri tipi di informazioni, come ad esempio ai tratti sintattico-semantici che fanno parte della rappresentazione lessicale delle parole (cfr. 3.4.). Si noti che alla stessa conclusione saremmo portati dall’applicazione del test semantico: capostazione “ E UN” capo, non “E UNA” stazione [Solo ai tratti sintattico-semantici si può ricorrere nel caso dei composti “ reversibili” come ad es. ingl. Christmas cookie ‘biscotto di Natale’ vs. cookie Christmas ‘Natale di biscotti’, ol. (de) veld-sport ‘sport all’aperto’ vs. (het) sport-veld ‘area sportiva’.]ll meccanismo per cui le informazioni linguistiche passano dalla testa a tutto il composto può essere rappresentato nel modo seguente:

NOME[+animato][+maschile]

capoN stazioneN

[+animato] [-animato][+maschile] [-maschile]

/pag. 128/Ne possiamo concludere che è dalla “testa” del composto che passano a tutto il composto

a) le informazioni categoriali, b) i tratti sintattico-semantici, c) il genere. Diremo quindi che un costituente è testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che di tratti sintattico-semantici.

5.4.1. Ancora sulla testa dei compostiVi sono lingue in cui la testa dei composti può essere identificata “posizionalmente”. Per

esempio, in inglese, si dice comunemente che “la testa è a destra”, come si può verificare negli esempi che seguono 21:(17) N + N = N apron string ‘nastro del grembiule’

A + N = N black-board ‘lett. nera asse, lavagna’P + N = N overdose ‘overdose’V + N = N rattlesnake ‘serpente a sonagli’N + A = A honey-sweet ‘dolce (come il) miele’A + A = A icy cold ‘freddo (come il) ghiaccio’

Come si vede, la categoria lessicale di tutto il composto è sempre uguale alla categoria del costituente a destra. In italiano la situazione èpiù complessa. Si consideri ancora una lista di composti:(18) a. N + N pescecane È UN pesce testa a sinistra

N + A camposanto È UN campo testa a sinistra

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b. N + N manoscritto È UNO scritto testa a destraA + N gentiluomo È UN uomo testa a destra

I dati in (18) sembrano suggerire che in italiano la testa di un composto può essere sia a destra che a sinistra. In realtà, i composti in (18b), quelli con testa a destra, esibiscono alcuni tratti dei composti ‘stretti’ visti sopra. Si noti, infatti il contrasto tra gentiluomo e camposanto: il primo è A+N il secondo N+A; l’ordine A+N è un ordine marcato, mentre N +A è un ordine non marcato. Ne concluderemo pertanto che la regola sincronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera composti con testa a sinistra.

5.4.2. Testa nei composti “latini”Per quel che riguarda la posizione della testa nei composti dell’italiano, bisogna tener

presente che in una lingua possono convivere forme generate da processi produttivi sincronici e forme che sono residui di regole che appartengono a stadi precedenti della lingua: anche questa è una distinzione tra “centro” e “periferia”. Si considerino due composti come i seguenti: /pag. 129/(19) a. terremoto

b. caprifoglioIn questi due composti, la testa è a destra. In terremoto per esempio, si osserva che dal

punto di vista semantico si tratta di un ‘moto’, non di una ‘terra’, e dal punto di vista dei tratti il composto è maschile e non femminile (un terremoto non *una terremoto). Un analogo ragionamento si può fare per caprifoglio.

Interroghiamoci ora sulla natura del primo costituente in questo tipo di composti. Per esempio terre a prima vista sembra essere un plurale. Ma plurale non può essere per motivi strutturali: dato per accertato infatti che la testa è il secondo costituente, si può verificare facilmente che nei composti dell’italiano non si può avere flessione di Parola1 se Parola2 è la testa. Vi è flessione di Parolal se questa è la testa (cfr. capistazione). Se terre non è plurale, non resta che un’altra ipotesi: è il residuo di un genitivo latino (terrae), per cui tutto il composto aveva esattamente il significato di ‘moto della terra’. Ancora, analogo ragionamento si può tenere per caprifoglio.

L’analisi proposta per questi composti indica che sopravvivono in italiano composti di origine latina, la cui natura è provata da residui morfologici (come il caso genitivo) non più presenti nella morfologia dell’italiano contemporaneo.

Ma si considerino ancora dei composti Verbo + Nome come i seguenti:(20) a. apribottiglie b. sanguisuga

mangiafuoco parricidaÈ subito evidente che i composti in (20a) sono [+nativo] mentre quelli in (20b) sono [-

nativo] ed in particolare “latini”. Anche qui vi sono delle ‘spie’: la i di sangui e le forme suga e parri, che non sono parole dell’italiano.

I composti di (20), sia quelli in (20a) che in (20b), sono composti diversi da quelli visti sinora perché sono esocentrici (cioè non hanno testa) A e quindi la nozione di testa non è di alcun aiuto in questo caso. Si può però osservare che i composti in (20a) hanno l’ordine V+ N mentre quelli in (20b) hanno l’ordine N+ V. Questo dato è da mettere in relazione con il cosiddetto ordine basico delle lingue in questione. L’ordine basico di una lingua caratterizza una lingua in relazione all’ordine dei tre costituenti frasali, S(oggetto), O(ggetto) e V(erbo). Il latino può disporre questi costituenti in vari modi, ma quello tipico, soprattutto nella fase classica, è l’ordine SOV (puer puellam amat lett. ‘il fanciullo /pag. 130/ la fanciulla ama’) e l’italiano un ordine tipico SVO (il fanciullo ama la fanciulla).

Ora, morfologia e sintassi sono due componenti separati della grammatica, ma debbono interagire e, in una certa misura, “cooperare” verso determinati obiettivi comuni. Le regole di formazione di parola non possono costruire parole complesse in disaccordo con i principi di costruzione della sintassi. Pertanto se l’italiano presenta in sintassi un ordine basico SVO,

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è logico che presenti un ordine V + N (dove N èspesso l’oggetto di V, cfr. scacciapensieri); così se il latino presenta un ordine basico SOV, è logico che presenti un ordine N+ V (dove, ancora, N è spesso l’oggetto, cfr. sanguisuga). L’ordine SVO, poi, è coerente con l’ordine “Modificato (M.to) + Modificatore (M.tore)” (capo +stazione), mentre l’ordine SOV è coerente con l’ordine “Modificatore+Modificato” (terre+ moto).

Esiste pertanto una “cospirazione” di fattori tra sintassi e morfologia dei composti che possiamo riassumere come segue:(21) latino italiano

ordine sintattico SOV SVOordine nei composti NV VNordine costituenti M.tore/M.to M.to/M.toreposizione testa destra sinistra

Ne concluderemo che, analizzando i composti di una lingua, è necessario separare le formazioni arcaiche, i “resti” di stadi linguistici precedenti dalle formazioni più recenti. Le prime non sono il prodotto di “regole” ma forme lessicalizzate e come tali immagazzinate nel dizionario, le seconde sono invece il prodotto di regole produttive. In particolare, si può confermare che le regole di composizione dell’italiano formano produttivamente composti con testa a sinistra e che vi sono formazioni con testa a destra di origine latina.

5.4.3. Testa e calchi dall’inglesePer un quadro generale sulla posizione della testa in italiano, bisogna infine prendere in

considerazione alcuni composti come scuolabus. In composti di questo tipo la testa è il secondo costituente, come si può verificare con il test semantico “È UN” (È un bus, non una scuola) e con il test del genere (uno scuola bus e non *una scuola bus). Questo tipo di composti va distinto da altri composti con testa a destra visti sin qui, come ad es. gentiluomo. Scuola bus è infatti un calco dall’inglese (come si vede dal secondo costituente) e la posizione della testa si spiega con il fatto che in inglese, come abbiamo visto sopra, la testa dei composti è a destra. Per concludere, in italiano si trova la seguente situazione: /pag. 131/(22) a. testa a destra di origine latina: terremoto

b. testa a sinistra composti produttivi: camposantoc. testa a destra calchi dall’inglese: scuola bus

Solo le forme in (22b) sono quelle che interessano una teoria della formazione dei composti.

5.5. Composti endocentrici e composti esocentriciSopra abbiamo assunto tacitamente che tutti i composti abbiano una testa (che siano cioè

e n d o c e n t r i c i) e che da questa derivino tutte le informazioni necessarie al composto per funzionare sintatticamente in una frase. In realtà non tutti i composti hanno una ‘testa’. Si consideri un composto come il seguente:

(23) [ [dormi]V [veglia]V ]N

Se cerchiamo di applicare il test “È UN” a questo composto otterremo solo risposte negative: dormiveglia, infatti, dal punto di vista semantico, non “È UN” ‘dormi’ e non è un ‘veglia’ e dal punto di vista categoriale non “È UN” verbo: né dormi né veglia sono candidati possibili ad essere testa del composto. In casi come questi si dice che il compostoè esocentrico.

Identificare un composto come endocentrico o come esocentrico non è sempre semplice come l’esempio appena visto potrebbe far credere. Si consideri il seguente composto:

(24) [ [porta]V [lettere]N ]N

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Ad un esame superficiale, l’applicazione del test sintattico “È UN” sembra portare alla conclusione che il costituente lettere possa essere considerato testa del composto, almeno dal punto di vista categoriale, dato che lettere è un nome così come lo è portalettere. Dal punto di vista semantico, però tale conclusione non è accettabile: portalettere “NON È UN” lettere. Se estendiamo la nostra analisi, come abbiamo fatto in precedenza, ai tratti sintattico-semantici che caratterizzanno i due nomi, otteniamo il seguente quadro:(25)

N[+animato][+maschile][–-plurale)

V N #[–animato][–maschile][+plurale] /pag. 132/

Come si vede, non vi è identità tra il nome lettere e il nome portalettere in quanto il primo è non animato, femminile, plurale mentre il secondo è animato (designa una persona), maschile e singolare (cfr. le lettere pubblicate vs. il portalettere sollecito). Il nome lettere non può quindi essere testa del composto, che è dunque un composto esocentrico. Altri esempi di composti esocentrici sono i seguenti:(26) pellerossa

purosangue senzatetto

Anche per questi esempi è facile verificare la mancata corrispondenza tra categoria e tratti del costituente nominale e categorie e tratti dell’intero composto.

La discussione precedente permette di arrivare ad alcune conclusioni: a) esistono composti senza testa (e sono detti esocentrici [Gli antichi indiani chiamavano questi composti bahuvrihi. Letteralmente il composto (che rappresenta l’intera categoria di composti esocentrici) significa ‘molto’ (bahu) ‘riso’ (vrihi) ma il suo significato è ‘chi possiede molto riso’. I composti endocentrici erano invece detti tatpurusa.]), b) una apparente somiglianza di categoria non è sufficiente di per sé ad identificare la testa in un composto, c) per identificare la testa di un composto il criterio categoriale e quello semantico devono essere concordi (in altre parole: una testa categoriale deve anche essere una testa semantica)

5.6. Composti di subordinazione e composti di coordinazioneIn relazione ai soli composti endocentrici, sulla base del tipo di rapporto esistente tra i due

costituenti, è possibile distinguere tra composti endocentrici di subordinazione e composti endocentrici di coordinazione.

Si dicono “composti di subordinazione” quei composti endocentrici in cui è possibile identificare un elemento modificato, la testa morfologica, e un elemento modificatore subordinato: camposanto è un composto di subordinazione dal momento che la testa campo viene modificata dall’aggettivo santo ad essa subordinato. In sostanza, quindi, con “composti di subordinazione” si intendono quelle parole composte i cui costituenti esibiscono rapporti interni identificabili in termini di Testa/Complemento (cfr. acquavite, capostazione) o di Testa/Attributo (cfr. pescecane, cassaforte).

I “composti di coordinazione”, invece, sono quei composti endocentrici in cui tra i due costituenti esiste un rapporto di coordinazione e non di subordinazione. In questi composti, cioè, non è possibile identificare un elemento modificato ed un elemento modificatore, ma /pag. 133/ entrambi i costituenti sono contemporaneamente modificati e modificatori. Ai composti endocentrici di coordinazione appartengono quelle parole composte formate dalla

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concatenazione di due parole con categoria lessicale uguale e cioè dalla concatenazione di due nomi (cfr. caffelatte, cassapanca) o di due aggettivi [La concatenazione di due verbi, viceversa, non produce dei composti di coordinazione dal momento che in italiano la combinazione V+ V forma sempre dei composti esocentrici (cfr. bagnasciuga, andirivieni). La concatenazione di due preposizioni non è infine normalmente possibile (cfr. *disenza, *sopraverso).]. Questo tipo di composti, dove non vi è una relazione di dipendenza tra i due costituenti, sono chiamati anche “dvandva” (dal sanscrito ‘due e due’, ‘coppia’) e si usano per composti del tipo (la relazione) madre-figlio, (il rapporto) docente-discente. Questi composti hanno di solito un significato ‘congiuntivo’ (‘A e B’) o disgiuntivo CA o B’ ) [Secondo Anderson [1985a: 50], che discute composti dvandva cinesi del tipo fumu, hanno significato “unítario” e cioè non ‘padre-madre’ ma ‘genitori’.].

5.7. Composti Verbo + NomeUn tipo particolare di composti esocentrici in italiano è il composto [Verbo + Nome] che in

uscita è sempre nome, anche se, come si è visto in (24), il costituente N non può essere la testa del composto.

Discuteremo qui brevemente alcune questioni che riguardano il rapporto nome/verbo, l’ordine dei due costituenti e la natura dell’uscita.

Per quel che riguarda il primo punto, c’è da osservare che il nome sembra soddisfare sempre le restrizioni di selezione che il verbo impone al suo argomento interno diretto [In questo paragrafo, “argomento interno diretto” equivale, grosso modo, alla nozione di oggetto e argomento esterno a quella di soggetto]:(27) portalettere *portasinghiozzi

spazzacamino *spazzaprogrammalavapiatti *lavarecessione

In portalettere il nome lettere è l’argomento interno diretto del verbo, così come lo è in una costruzione sintattica (G. porta le lettere a casa); la forma portasinghiozzi non è grammaticale in quanto singhiozzi non è un argomento interno possibile del verbo portare.

Si noti ancora che solo l’argomento interno diretto di un verbo può comparire in un composto e non gli argomenti interni indiretti:(28) *portacasa (con casa locativo, come in porta a casa)

*spazzascopa (con scopa strumentale, come in spazza con la scopa)*lavacura (con cura modale, come in lava con cura) /pag. 134/

Sembra ancora che, di norma, l’argomento esterno del verbo non possa entrare a far parte di un composto:(29) *portaamico

*spazzauomo*lavaragazzo

Le tre forme appena viste non sono possibili con il nome inteso come argomento esterno del verbo [Vi sono alcune sporadiche eccezioni come batticuore, battiscopa, marciapiedi, dove il nome sembra essere l’argomento esterno (il soggetto) del verbo.]. I dati appena segnalati indicano che il verbo si comporta diversamente se compare in una costruzione sintattica (frase) o in una costruzione morfologica (composto). In particolare, nella composizione si possono saturare meno argomenti del verbo di quanti se ne possono saturare in sintassi [Secondo alcuni linguisti, il primo costituente di questo tipo di composti è un nominale con un suffisso zero o non realizzato, come se fosse ‘porta(tore di) lettere’. Cfr. Zuffi [1981], Di Sciullo [1992] e Bisetto [1993]. Questa ipotesi, se convalidata, avrebbe il vantaggio di ridurre il numero delle costruzioni esocentriche della morfologia.]

Per quel che riguarda il secondo punto, c’è da constatare che l’ordine è V + N e non l’inverso, cioè N + V. Abbiamo già visto sopra che l’ordine V+ N è un ordine che si accorda con l’ordine dei costituenti sintattici dato che l’italiano è una lingua (S)VO e non (S)OV. Ma,

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ancora una volta, mentre la morfologia esibisce una possibilità e una sola, la sintassi può esibire ordini diversi in superficie per effetto di regole di spostamento (cfr. Antonio ho visto ieri, con il Nome topicahzzato). In morfologia non sembrano possibili regole di movimento di questo tipo e quindi l’ordine V+ N non può mai essere invertito (cfr. *lettere porta, *caminospazza, ecc.).

Per quel che riguarda infine il terzo punto, si osservi che, parallelamente a quanto abbiamo osservato per alcuni suffissi in 4.3.6., i composti V+ N possono essere sia nomi d’agente (30a) sia nomi di strumento (30b):(30) a. guardaboschi b. tritacarne

piantagrane contagirivoltagabbana scolapastatirapiedi scaldavivandeportaborse reggicalzelustrascarpe dragamine

Vi possono anche essere composti con V identici dove il risultato in un caso è un nome d’agente (31a) e nell’altro un nome strumentale (31b):(31) a. portalettere b. portasci

rompiscatole rompighiaccio /pag. 135/Esistono anche casi in cui il nome può essere ambiguamente sia agente che strumento,

come portabagagli, lavapiatti, ecc. Per interpretare queste parole non ci si può dunque basare solo su informazioni linguistiche ma si deve ricorrere anche ad informazioni di tipo pragmatico, al contesto extralinguistico. È il contesto socioculturale, le nostre conoscenze del mondo che ci guidano nell’interpretare questi tipi di composti: non è impensabile una macchina lustrascarpe o un ragazzo portasci [Per completezza, segnaliamo che esistono alcuni casi, più rari, in cui il composto è un locativo come posacenere, attaccapanni, puntaspilli. Un puntaspilli, infatti, non è né una persona, né uno strumento con cui si appuntano gli spilli, ma piuttosto il ‘luogo in cui si puntano gli spilli’. Anche per l’interpretazione di questi composti come ‘locativi’ vale quanto detto sopra.].

5.8. Composizione e derivazioneLa generalizzazione secondo cui i composti sono costituiti da due forme libere e i derivati

da una forma libera più una forma legata è in genere valida e può essere utilizzata come criterio per distinguere tra composti e derivati. Tuttavia in certi casi la distinzione non può essere così netta. Si considerino i seguenti esempi:(32) a. sottocommissione b. sottoscala

sottobibliotecario sottogolasottoprefetto sottotettosottosegretario sottobicchiere

A prima vista i dati in (32) sembrano avere tutti la stessa struttura. Ma se si applicano le procedure viste sopra, appare evidente che così non è. Il test “È UN” dà infatti risultati diversi: in (32a) si può dire che una sottocommissione È UNA commissione, mentre in (32b) non si può dire che un sottoscala È UNA scala (è piuttosto ‘un determinato spazio che sta sotto una scala’). Ancora: in (32a) le informazioni linguistiche di tutta la parola complessa coincidono con quelle della parola a destra (cioè sottocommissione è un nome femminile singolare, così come lo è commissione), in (32b) invece mentre il tutto, sottoscala, è un nome maschile, la parola a destra è femminile (un sottoscala / *una sottoscala). Ciò significa che le parole in (32a) hanno la testa a destra mentre le parole in (32b) sono esocentriche. Dato che la composizione in italiano ha testa a sinistra, ne concluderemo che le forme in (32a) sono parole prefissate mentre le parole in (32b) sono parole composte di tipo esocentrico.

Un altro tipo di difficoltà nel distinguere tra composizione e derivazione riguarda le cosiddette semiparole, cui si è già fatto accenno sopra. Una parola come anemometro è una

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parola prefissata o una parola composta? La nostra risposta al quesito è che si tratta di una parola composta. Le motivazioni per cui una forma come anemo deve essere /pag. 136/ considerata una semiparola e non un prefisso o un prefissoide saranno presentate in 10.4.

Semiparole a parte dunque, sembra possibile concludere che regole di prefissazione e regole di composizione possono essere distinte soprattutto in virtù del fatto che le prime formano costruzioni sempre endocentriche con testa a destra mentre le seconde formano costruzioni con testa a sinistra ma possono formare anche costruzioni esocentriche. L’esocentrismo è dunque segno palese di composizione, mai di derivazione.

Per quel che riguarda la possibilità di istituire un ordine di applicazione tra le RC e le RD, si rimanda al cap. 9, in particolare a 9.2.

5.9. Composizione e flessioneLa flessione dei nomi composti è una zona molto irregolare della morfologia e non si

riescono ad identificare delle regolarità senza eccezioni. Un composto è formato da Parolai + Parola2. Possiamo avere le seguenti possibilità (dove “Fless” sta per ‘flessione’):(33) a. P1 + P2 + Fless

b. P1 + Fless + P2c. P1 + Fless + P2 + Flessd. P1 + P2e. P1 + (P2 + Fless)f. (P1 + Fless) + P2

I casi possibili possono pertanto essere i seguenti: flessione alla fine del composto (33a); flessione dopo la prima parola del composto (33b); flessione dopo entrambe le parole (33c). In questi tre casi, la flessione èflessione di tutto il composto. Vi è poi il caso di composti senza flessione possibile (33d) e due casi dove la flessione è flessione non di tutto il composto, ma di uno dei suoi costituenti: flessione di Parola2 (33e); flessione di Parola1 (33f).

Queste possibilità si realizzano tutte ad eccezione di (33f), come si può vedere:(34) a. mezzogiorni b. navi traghetto

ferrovie mobili barcamposanti capi stazione

c. cassepanche d. andirivienimezzelune tritacarneterreferme voltafaccia

e. portalettere f. *filiviaguardasigilli *maniscrittorompiscatole *palchiscenico /pag. 137/

Il plurale del tipo (33c), il plurale “doppio”, sembra avere una duplice natura: o è un plurale, per cosi dire, di accordo (tra nome ed aggettivo) o è un plurale di “doppia testa”: cassapanca “è sia una” cassa, “che una” panca e quindi flette entrambi i costituenti (cfr. sopra il paragrafo 5.6. sui composti di coordinazione).

Come si è detto sopra, però è difficile “prevedere” con regolarità il plurale del composto. Le considerazioni sopra svolte sulla “testa” in alcuni casi possono però aiutare. Si considerino questi tre composti: capostazione, capogiro, e capomastro; essi fanno il plurale in tre modi diversi e cioè capistazione (tipo (33b), capogiri (tipo(33a), e capimastri (tipo (33c).

Ora, il tipo (33b) è un composto con testa a sinistra e flessione della sola testa, il tipo (33a) è diverso perché la testa non è capo ma giro e quindi la flessione sta a destra, ed infine capimastri si può spiegare se si assume che si tratti un composto di coordinazione (come abbiamo assunto per cassapanca) che essenzialmente si compone di due teste, flesse entrambe.

Un accorgimento molto importante è comunque di assicurarsi che i composti in esame

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siano produttivi, solo per questi si può costruire una “regola”. Con un certo margine di approssimazione, si può dire che i composti produttivi oggi sono quelli del tipo (33b), vale a dire composti con testa a sinistra e flessione della sola testa. Nel corso del tempo (e probabilmente in relazione a fatti extralinguistici come la frequenza d’uso) i composti tendono a perdere trasparenza, nel qual caso la testa diventa meno identificabile e il composto, percepito come privo di struttura interna, viene flesso secondo la regola generale di flessione dell’italiano, vale a dire ‘a destra’ [Il caso emblematico è quello di pomodoro, composto con testa a sinistra, oggi normalmente flesso come pomodori.].

5.9.1. Flessione di Parola2 e flessione di tutto il compostoSi confrontino due composti come i seguenti:

(35) a. spazzacamini b. lavapiatti

Sebbene apparentemente costruiti con gli stessi ‘ingredienti’ (Verbo - Nome - Marca di plurale) questi due composti sono strutturalmente diversi. Si noti infatti che mentre al primo corrisponde una forma singolare (lo spazzacamino) ciò non è vero per il secondo (*la lavapiatto). In (35a) il morfema del plurale si aggiunge a tutto il composto, ed avrà dunque la struttura in (36a) mentre in (35b) il morfema del plurale si aggiunge solo a Parola2 e non a tutto il composto (che in effetti è singolare ed è femminile) ed avrà la struttura in (36b): /pag. 138/

(36) a. N b. N

N N

V N N N Pl

spazza camino i lava piatto i[[spazza][camino]] + i [[lava][piatto] + i]]

Le ragioni per cui si hanno composti con plurale di Parola2 possono in certi casi essere di natura pragmatica: stuzzicadenti, asciugamani ecc. sembrano infatti essere costruiti sulla base del fatto che gli esseri umani hanno più di un dente e più di una mano [È verosimile che nelle coppie stuzzicadente/stuzzicadenti o asciugamano lasciugamani la forma singolare sia derivata dalla forma plurale (che è quella pragmaticamente “precedente”).] Le forme plurali come quelle di lavapiatti (e sono molte [Cfr. guardasigilli, portalettere, scacciacani, portaombrelli, rompiscatole, appendiabiti, ecc.)] pongono un problema di difficile soluzione per i modelli morfologici “ordinati” come vedremo in 9.1., 9.2. e 9.3. perché in questo caso la flessione deve essere ordinata “prima” delle regole di composizione. Si osservi che questo caso di flessione è un caso molto particolare perché non ha alcuna conseguenza sintattica (in una lavapiatti infatti il determinante è singolare).

5.10. Composti e sintagmiI composti sono le costruzioni morfologiche più vicine alle costruzioni della sintassi, il che

ha sempre posto un problema di delimitazione tra i due domini.Di criteri per l’identificazione dei composti rispetto ai sintagmi ne sono stati proposti

diversi. Non tutti hanno la stessa ‘forza’ e, soprattutto, non si può dire che i criteri di cui

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disponiamo siano definitivi. Una lista di tali criteri - che discuteremo brevemente uno per uno - è la seguente:(37) I composti sono caratterizzati da:

1. Atomicità sintatticaa. Non permettono inserzionib. Non permettono regole di movimentoc. Non permettono relazioni anaforiche

2. Esibiscono costruzioni esocentriche3. Coinvolgono solo categorie lessicali maggiori4. Esibiscono un grado limitato di ricorsività5. Richiedono Regole di Riaggiustamento specifiche6. Soggiacciono a deriva semantica /pag. 139/7. Esibiscono lacune lessicali8. Esibiscono un ordine fisso dei costituenti9. Tendono a sopprimere le marche flessive e derivazionali interne

1) Uno dei criteri più ‘articolati’ è quello della cosiddetta atomicità sintattica. In altre parole, un composto è (così come lo è una parola semplice) un atomo all’interno del quale la sintassi non può “entrare”. Alcuni indicano la stessa cosa dicendo che i composti sono “opachi” rispetto alla sintassi. Per esempio, mentre si può inserire del materiale lessicale all’interno di un sintagma (38a) non si può fare altrettanto all’interno di un composto (38b):(38) a. G. porta ombrelli –––> G. porta grandi ombrelli

b. portaombrelli –––> *porta-grandi-ombrelliPer quel che riguarda (lb) di (37) non sembra che ai composti possano applicarsi le regole

di movimento che si applicano normalmente in sintassi [Negli esempi che seguono, t è una t r a c c i a. Su questa nozione, cfr. [SINTASSI 5.0. e cap. 8.1.] (39) a. Maria taglia carte –––> Cosa taglia t Maria?

b. M. ha un tagliacarte –––> *Cosa ha un taglia t Maria?Nel sintagma (39a) l’oggetto diretto carte può essere reso interrogativo (cosa) e mosso

all’inizio della frase. Nel composto invece l’oggetto carte non può essere “estratto” dal luogo in cui si trova e spostato lontano dal verbo che lo regge.

Per quel che riguarda (lc) si osserva che il costituente di un composto non può essere un antecedente di una anafora lessicale [In (40) la i sottoscritta ai due sintagmi indica che essi si riferiscono alla stessa entità.]:(40) a. queste cartei si mettono [le une sulle altre]i

b. *questi tagliacartei si mettono [le une sulle altre]i

In (40a) carte è parte dell’antecedente dell’espressione anaforica “le une sulle altre”. In (40b) invece non può svolgere tale funzione.

2) I composti possono presentare - come si è visto sopra - costruzioni esocentriche, mentre i sintagmi sono di norma endocentrici. 1 composti tipicamente esocentrici in italiano sono i composti V + N e P + N (per es. lavavetri e sottoscala, rispettivamente). Le costruzioni sintattiche corrispondenti sono i seguenti sintagmi:(41) a. [ [lava]V [[ i ]Det [vetri ]N]SN]SV

b. [ [sotto]P [[la]Det [scala]N]SN]SP /pag. 140/I sintagmi sono endocentrici (V è la testa in (41a), P in (41b)). Una conseguenza della

esocentricità dei composti è che non c’è necessariamente accordo tra un determinante e il nome contenuto in un composto, né per quanto riguarda il genere (42a) né per quanto riguarda il numero (42b):(42) a. [una]f/s lava [piatti]m/pl

b. [un]m/s taglia [carte]f/pl

3) I composti coinvolgono di norma solo categorie lessicali maggiorie cioè N, A, V e P [Con il problema relativo alla categoria Avverbio, che può essere, in composizione, sia una

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categoria “di entrata” (cfr. benvisto) sia una categoria “ di uscita” (cfr. avantieri ).]. Le rare eccezioni riguardano una classe chiusa e non produttiva come quella delle congiunzioni composte (benché, affinché, ecc.), una classe speciale di composti che è quella dei nomi propri (cfr. Bevilacqua) e una piccola serie di composti V + P + N come saltimbanco, saltimbocca. È però un fatto che la composizione utilizza solo una sottoclasse delle categorie lessicali utilizzate dalla sintassi.

4) Una volta formato, in genere, un composto in italiano non può più sottostare ad altre regole di composizione, le regole di composizione non sono cioè ricorsive. Composti come cassapanca, capostazione non possono essere costituenti di un altro composto. In inglese, olandese e tedesco (in generale nelle lingue germaniche, dunque) la situazione è esattamente contraria: di norma la composizione è ricorsiva, come si può constatare dal seguente esempio inglese {46 Cfr. Selkirk [1982: 15]. ‘Porta-asciugamani’ ‘porta-asciugamani da bagno’, ‘il designer di porta-asciugamani da bagno’, ‘il training del designer di porta-asciugamani da bagno’, ‘il corso per il training del designer di porta-asciugamani da bagno’, ‘gli appunti del corso per il training del designer di porta-asciugamani da bagno’.}:(43) towel rack

bathroom towel rackbathroom towel rack designerbathroom towel rack designer trainingbathroom towel rack designer training coursebathroom towel rack designer training course notes

Alcuni casi di composti ricorsivi sembrano esistere anche in italiano, come ad esempio: sala personale viaggiante, sala dirigente capo, campo tiro a volo, nave pesca d’altomare [[Esempi di Dressler [1988]. Altri esempi di composti ricorsivi dello spagnolo (che però non sono diversi in italiano) sono dei composti di coordinazione indicati da Rainer e Varela [1992: 139]: (el entramado) politico-económico-defensivo la struttura politicoeconomico-difensiva’. Anche semiparole e composti tecnico-scientifici posono esibire ricorsività (cfr. Spettrofotometro, sfigmomanometro, ecc.).] Questi composti, però, sembrano piuttosto dei sintagmi abbreviati, tanto è vero che - in violazione della atomicità sintattica - è qui possibile inserire del materiale linguistico: /pag. 141/ ‘sala grande personale viaggiante’, ‘sala grande personale viaggiante sindacalizzato’, ‘sala grande personale non viaggiante sindacalizzato’.

Questa questione si collega con i cosiddetti composti sintagmatici (phrasal compounds) studiati di recente [Cfr. Lieber [1992]. Ramat [1990: 8] ricorda le cosiddette “sinapsi” (o “sintemi”) cioè sintagmi fissi come camera da letto (non sala da letto) e sala da pranzo (non *camera da pranzo).]:(44) a pipe and slipper husband ‘un marito pipa e pantofole’

an ate too much headache ‘un mal di testa (da) mangiato troppo’God is dead theology ‘teologia (da) Dio è morto’a floor of a birthcage taste ‘sapore da pavimento di gabbia di uccelli’

Questo tipo di composti si ritrova nelle lingue germaniche:(45) ol. lach of ik schiet humor ‘un umore da ridi o sparo’

ted. die Muskel-fiir-Muskel-Methode ‘il metodo muscolo per muscolo’Malo statuto di queste espressioni come composti è dubbio. Se in italiano abbiamo una

costruzione come marito casa-ufficio è sempre possibile inserire del materiale lessicale tra un costituente e l’altro:(46) un marito tutto casa-ufficio

un marito tutto pantofole un po’ ufficio niente chiesaSi tratta di costruzioni che sembrano appartenere ad un registro linguistico di tipo

colloquiale-scherzoso, molte delle quali sono degli hapax legomena, cioè forme di cui è attestato un solo esempio.

5) Vi sono processi fonologici che si applicano solo ai composti; tra questi si possono

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annoverare la cancellazione di sillaba (aplologia) e la cancellazione di suffisso. Anche la cancellazione di vocale in composizione assume forme specifiche. Tutte queste Regole di Riaggiustamento saranno viste nei dettagli nel capitolo seguente.

6) I composti sono soggetti a deriva {Per la nozione di d e r i v a cfr. Sapir [1921 (1969: 148 ss.)].} semantica. Un composto, una volta formato, ‘sta’ nel lessico. Una lunga permanenza nel lessico può oscurare l’originaria trasparenza semantica del composto (cfr. madreperla).

7) La composizione può esibire “lacune” di tipo lessicale. Dato, per esempio, un dominio lessicale, la regola di composizione può non estendersi liberamente a tutti i membri di quel dominio:(47) mezzogiorno *mezzasera [Mezasera può essere usato in un limitato insieme di casi come abito da mezzasera.]

mezzanotte *mezzopomeriggiomezzodì *mezzamattina /pag. 142/

I composti sono costruzioni lessicali e come tali sono soggetti a restrizioni alle quali le costruzioni sintattiche non sono soggette. Si confronti una costruzione “sintattica> (48a) con una possibile costruzione morfologica equivalente (48b):(48) a. contatore di giri b. contagiri

contatore di scatti contascatticontatore della luce *contalucecontatore del gas *contagas

8) L’ordine dei costituenti di un composto è fisso (49a) e non può essere invertito in alcun caso (49b), mentre ciò non è vero per i sintagmi (49c-d):(49) a. caffellatte b. *lattecaffè

gentiluomo *uomogentilebarbanera *nerabarba

c. lattee caffè d. caffè e latteun uomo gentile un gentile uomouna barba nera una nera barba [La posizione prenominale

dell’aggettivo dà luogo ad un sintagma più marcato, ma non per questo non grammaticale.]

Si osservi infine che l’ordine dei costituenti delle costruzioni sintattiche può essere diverso da quello dei costituenti delle costruzioni morfologiche:(50) morfologia sintassi

sottomettere mettere sottosovrapporre porre sopramanomettere mettere mano

Esemplificheremo infine il punto 9) sullo spagnolo, lingua in cui il fenomeno è assai chiaro per quel che riguarda la soppressione di marche flessive interne al compostosi:(51) marche flessive soppresse:

estado(s)+unid(os)+ense –––> estadounidense‘stati uniti’ ‘statunitense’

I criteri qui discussi per distinguere i sintagmi dai composti non possono dirsi definitivi, ma costituiscono un buon insieme di test diagnostici. Il fatto però che tra la morfologia della composizione e la sintassi i confini siano meno netti che tra altri domini della morfologia e la sintassi, appare evidente nel caso della incorporazione (discussa brevemente nel paragrafo seguente) e nel caso dei cosiddetti composti verbali (discussi in 5.10.2. ). /pag. 143/

5.10.1. IncorporazioneSi ha i n c o r p o r a z i o n e quando una parola (di solito un verbo) forma una sorta di

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composto con il suo oggetto diretto (o con modificatori avverbiali) mantenendo la sua categoria lessicale. Più esattamente, l’incorporazione del nome (ingl. noun incorporation) riguarda un processo per cui un nome con il ruolo tematico di tema, paziente, strumentale, ecc. e con la funzione grammaticale di oggetto si combina con il verbo per formare un verbo compostosi. Si veda questo esempio dalla lingua amerindiana onondagas:(52) a. Pet wa? -ha -htu -?t -a? Ne o -hwist -a?

Pet pass 3MS/3Nperdere CAUS ASP il PRE danaro SUFPet perse danaro

b. Pet wa? -ha -[hwist - ahtu] ?t -a?Pet PASS 3MS [danaroperdere] CAUS ASP

Nel passaggio da (52a) a (52b) il tema hwist ‘danaro’ è stato incorporato dal verbo a formare un verbo complesso che significa ‘perdere danaro. (52a) e (52b) sono “parafrasi tematiche” l’una dell’altra, nel senso che presentano gli stessi ruoli tematici, le stesse restrizioni selettive.

L’incorporazione è spiegata come l’effetto di una regola di movimento5s il cui risultato è però una parola complessa. Questo fenomeno va tenuto distinto dalla composizione vera e propria perché (incorporazione è limitata a formazioni verbali e soprattutto, di norma, alla relazione verbo/tema. L’incorporazione, inoltre, soggiace a restrizioni semantiche molto forti: è noto che in varie lingue l’incorporazione è limitata ad oggetti [ - animato] 56 o il caso del pawnee dove i temi incorporati consistono solo di parole che indicano parti del corpo, fenomeni naturali e prodotti di consutnos’. Questo tipo di restrizioni è ignoto alla composizione.

5.10.2. Composti e struttura argomentaleMolti fatti relativi ai rapporti tra i due costituenti dei composti sono stati riformulati in

termini di Struttura Argomentale 58. In particolare, come vedremo, vi sono dei composti che sembrano esibire “soddisfazione dei ruoli tematici”.

Per l’inglese, si usa distinguere tra composti sintetici - o verbali o /pag. 144/ secondari - (syntetic/verbal/secondary compounds) e composti radicali - o primari - (root/primary compounds). Esempi del primo tipo sono i seguenti:(53) truck-driver lett. ‘camion guidatore’

music-lover lett. ‘musica amante’In questi composti, Parola2 è costituita da un verbo (drive ‘guidare’, love ‘amare’ più un

suffissos [Il suffisso può essere -er, -ing (checher playing ‘il giocare a scacchi’ ), o -ed ( panfried ‘fritto in padella’)]) e Parola1 sembra essere un argomento del verbo, in modo non

diverso dalle corrispondenti costruzioni sintagmatiche:(54) to drive a truck ‘guidare un camion’

to love music ‘amare la musica’I composti radicali (come ad esempio water-mill ‘mulino ad acqua’, schoolteacher

‘maestro di scuola’) non contengono un verbo e Parola1 non è un argomento di Parola2. La relazione semantica tra i due nomi di un composto radicale non è, inoltre, ben definita come quella tra i costituenti di un composto verbale {Water-mill ad esempio, può avere, teoricamente, molte parafrasi diverse: ‘mulino che produce acqua’, ‘mulino che funziona ad acqua’, ‘mulino collocato vicino all’acqua’, ecc. Al contrario, il composto verbale truck-driver ne ha una univoca: ‘persona che guida un camion’. Levi [1978] ha cercato di ricondurre ad un numero chiuso le possibili relazioni semantiche tra i costituenti di un composto, ma casi come fi~re-man (‘pompiere’, lett. ‘fuoco-uomo’) e lion-man ‘domatore’ lett. ‘leone-uomo’) segnalano che le relazioni semantiche tra i costituenti di questi composti non sono prevedibili. Allen [1978] ha infatti sostenuto che la relazione semantica tra i due costituenti di un composto radicale sia espressa tramite la cosiddetta “variabile R”, secondo cui un composto radicale non ha un significato unico ma una gamma di significati possibili.

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Per una discussione sull’argomento, cfr. Scalise [1984].}I composti verbali sono dunque caratterizzabili nel modo seguente:

(55) a. hanno una testa nominale o aggettivale che deriva da un verbob. la non testa è un argomento della testac. il ruolo tematico della non testa è quello di tema o paziented. hanno semantica trasparente

I composti verbali inglesi hanno un equivalente in composti italiani del tipo accettazione reclami, trasporto merci, raccolta profughi.

Il problema della struttura argomentale nei composti verbali si può suddividere in due parti: a) la struttura argomentale dei costituenti, b) la struttura argomentale di tutto il composto. In quel che segue, chiameremo uno dei due costituenti di un composto Testa e l’altro Non-testa. Dato che ogni parola può avere degli argomenti (di cui uno esterno e altri interni) potremo ricorerre alla seguente rappresentazione [Continueremo l’uso introdotto da Williams [1981b] di sottolineare l’argomento esterno (equivalente, grosso modo, al soggetto). Si noti che la rappresentazione data è quella utile per lingue come l’italiano. Ragionando su lingue con testa a destra, bisogna invertire i due costituenti.]:

/pag. 145/(56) Testa Non-testa

Arg Arg Arg Arg Arg ArgAlcune ipotesi relative alla struttura argomentale dei composti sono le seguenti:a) Una non testa può soddisfare uno degli argomenti della testa, come si può vedere negli

esempi seguenti, dove la non testa soddisfa l’argomento tema della testa:(57) testa non-testa

raccolta rifiutitrasporto carni

b) Una non testa non può soddisfare l’argomento esterno della testa. Si vedano per questo caso i seguenti esempi inglesi, dove il composto è tra parentesi [Selkirk 1982: 34]:(58) a. *[kid eating] makes such a mess

[il mangiare dei bambini] fa una gran confusioneb. [book buying] is on the decline

[comperare libri] è in declinoIn (58a), la non-testa kid ‘bambino’ non può essere l’argomento esterno del verbo eating

‘mangiare’. (58b) è invece grammaticale perché la nontesta book è l’argomento interno del verbo buy.

In italiano, si può osservare che un composto come trasporto bambini, non può essere interpretato con bambini come argomento esterno (cioè come “soggetto”) di trasporto, ma solo come argomento diretto interno [Una costruzione come caduta massi, se è un composto, è però un controesempio reale alla generalizzazione di b). Per una discussione di questo tipo di esempi, cfr. Kiefer [1992: 66 ss.] che analizza analoghi controesempi dell’ungherese ed osserva che si tratta di casi in cui il nome testa è una parola che designa un evento e che deriva da un verbo intransitivo, il cui unico argomento è quello esterno, che viene soddisfatto. Kiefer propone la seguente generalizzazione: “L’argomento esterno può essere soddisfatto in composizione se è l’unico argomento della testa”.]

c) Gli argomenti di una non-testa non fanno parte della struttura argomentale del composto. Si consideri un composto inglese come il seguente:(59) destruction story ‘storia di distruzione’ /pag. 146/

In inglese, come sappiamo, la testa è il costituente di destra, quindi story. Destruction, il costituente non-testa, ha degli argomenti (cfr. destruction of the city ‘distruzione della città’). In composizione, però, l’argomento della non testa non può diventare argomento di tutto il composto, come dimostra 1’agrammaticalità di *destruction story of the city ‘la storia della distruzione della città’.

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d) Solo l’argomento esterno della testa è parte della struttura argomentale del composto. Si consideri il nominale raccolta. Questo nome “eredita” la struttura argomentale dal verbo dal quale deriva:(60) la Croce Rossa raccoglie i profughi

la raccolta dei profughi da parte della Croce RossaIn un composto come raccolta profughi, l’argomento esterno della testa può essere

ereditato da tutto il composto:

(61) la [raccolta profughi] da parte della Croce Rossa

Riassumendo, alla struttura argomentale di un composto “verbale” può contribuire solo la testa e vi può contribuire solo con il suo argomento esterno.

In una lingua con testa a sinistra dunque, dovremmo supporre che gli Argomenti possano passare al nodo superiore nel modo seguente:(62) N

Arg

N NArg Arg Arg Arg

Si noti, infine, che se un verbo ha due argomenti interni obbligatori, entrambi debbono essere soddisfatti perché la costruzione sia grammaticale. ll verbo inglese put ‘mettere’ ha due argomenti interni obbligatori (un tema e un locativo):(63) to put a book on the table ‘mettere un libro sul tavolo’

*to put a book ‘*mettere un libro’*to put on the table ‘*mettere sul tavolo’

Dato che la struttura dei composti è binaria (cfr. 8.6.), non vi è posto per due argomenti, oltre alla testa, e quindi un composto come *book putter non è possibile per ragioni strutturali.

In conclusione, lo studio dei composti verbali conferma l’importanza della nozione di testa, dato che è dalla testa che può passare al composto intero la sua “nuova” struttura argomentale. /pag. 147/

5.11. Sommario1n questo capitolo si è visto innanzi tutto l’aspetto formale della composizione, che

consiste nella concatenazione di due forme libere. Per quel che riguarda la categoria lessicale dei composti, si è visto che le regole di composizione formano essenzialmente nomi, sporadicamente aggettivi, mai verbi (5.1.). Si è quindi visto un quadro dei composti dell’italiano e si sono discussi alcuni composti sistematicamente non esistenti (come ad esempio quelli con Preposizione come secondo costituente). La non esistenza di questi composti va ricercata nel fatto che la composizione sembra agire “in accordo” con le regole della sintassi. Morfologia e sintassi quindi “cooperano” (5.2.).

È poi stata introdotta una distinzione tra composti larghi e composti stretti: i primi si distingono dai secondi perché non ammettono amalgami fonologici, hanno significato composizionale e presentano un ordine dei costituenti non marcato (5.3.). Si è quindi affrontato un tema centrale, quello della posizione della testa nei composti (5.4.). Uno dei due costituenti dei composti è di norma la testa del composto, vale a dire quel costituente che determina la categoria lessicale dell’intero composto. È dalla “testa” del composto che passano a tutto il composto a) le informazioni categoriali, b) i tratti sintattico-semantici, c) il genere. Un costituente è dunque testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che di tratti sintattíco-semantici e morfologici.

Confrontando brevemente i composti dell’italiano con quelli dell’inglese (5.4.1.), abbiamo visto che mentre nei composti dell’inglese la testa è il costituente di destra, in italiano contemporaneo, nei composti formati da regole produttive, la testa è il costituente di sinistra.

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Abbiamo poi visto che in italiano, oltre ai composti con testa a sinistra, vi sono composti di origine latina con testa a destra (5.4.2.) e composti con testa a destra che sono dei calchi dall’inglese. In questa discussione, si èverificato ancora una volta che esistono dei rapporti tra l’ordine basico della sintassi e l’ordine dei costituenti dei composti (5.4.3.).

Abbiamo proseguito con ulteriori classificazioni dei composti, distinguendo tra composti endocentrici (che hanno effettivamente un costituente che funge da testa) e composti esocentrici (che non ce l’hanno) (5.5.), tra composti di subordinazione (quelli i cui costituenti esibiscono rapporti interni identificabili in termini di Testa / Complemento) e composti di coordinazione (quelli in cui i costituenti sono entrambi modificati e modificatori) (5.6.). Un esame a parte è stato dedicato ad alcuni aspetti dei composti Verbo + Nome (5.7. ), in particolare al rapporto tra il verbo ed il nome di queste costruzioni (il nome è l’argomento interno del verbo), all’ordine dei due costituenti (che è VN in accordo con la natura SVO dell’italiano) e alla natura ambigua tra agente e strumento di questi composti.

L’esame di alcuni dati (parole con primo costituente sotto), che si collocano tra la derivazione e la composizione, ci ha portato alla conclusione che prefissazione e composizione possono essere distinte /pag. 148/ soprattutto in virtù del fatto che la prefissazione forma sempre costruzioni endocentriche, mentre la composizione può formare costruzioni esocentriche (5.8.).

Per quel che riguarda i rapporti tra composizione e flessione, si èvisto che si tratta di un’area piuttosto irregolare della grammatica, dove vale però la stessa osservazione fatta a proposito dei rapporti tra composizione e derivazione, nel senso che nei composti produttivi si flette la testa (che è il costituente di sinistra) mentre nei composti lessicalizzati (che tendono a comportarsi come parole semplici) si flette il costituente di destra (5.9.). Ma, a proposito di quest’ultimo punto, si è visto che è necessario distinguere tra flessione di Parola2 e flessione di tutto il composto, (5.9.1.).

Abbiamo poi affrontato il problema di come si può distinguere tra composti e sintagmi (5.10.). Sono stati discussi diversi criteri. 1 composti, infatti, a differenza dei sintagmi, a) esibiscono atomicità sintattica, b) possono essere esocentrici, c) coinvolgono solo categorie lessicali maggiori, d) esibiscono (in italiano) un limitato grado di ricorsività, e) richiedono regole di riaggiustamento specifiche, f) soggiacciono a deriva semantica, g) esibiscono lacune lessicali, h) esibiscono un ordine fisso dei costituenti, i) tendono a sopprimere marche flessive e derivazioni interne.

Infine si sono discussi alcuni problemi relativi alla struttura argomentale dei composti, cosiddetti “verbali”; in particolare, si è visto come si formala Struttura argomentale del composto a partire dalla struttura argomentale dei due costituenti (5.10.2.).

5.12. Indicazioni bibliograficheComposti: Allen [1978]; Lees [1960]; Levi [1978]; Scalise (a cura di) [1992].Composti verbali: Botha [1984]; Roeper e Siegel [1978]; Selkirk [1982].Composti e sintagmi: Borer [1988].Struttura argomentale nei composti: Booij [1988]; Booij e van Haaften [1988]; Botha [1984]; Di Sciullo e Williams [1987]; Fabb [1984]; Lieber [1980]; Roeper e Siegel [1978]; Selkirk [1982]; Sproat [1985]. /pag. 149/

CAPITOLO 6: LE REGOLE DI RIAGGIUSTAMENTO

6.0. IntroduzioneQuesto capitolo riguarda le cosiddette R e g o 1 e di R i a g g i u -s t a m e n t o, vale a dire

quelle regole che “aggiustano” i dettagli fonologici che si rendano necessari dopo che una

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operazione morfologica ha creato (spesso per aggiunta) una sequenza non corrispondente alla forma fonetica di superficie.

Un esempio basta da solo a chiarire i due tipi di riaggiustamento segmentali) [La fonologia segmentale analizza gli enunciati in “segmenti” (cfr. la parola lana che viene segmentata in quattro fonemi [1-a-n-a]). Non tutti i fatti fonologici sono però segmentabili, come ad esempio l’accento, l’intonazione, ecc. Cfr. [FONOLOGIA cap. 5] e più avanti 6.5.] più frequenti. Data la forma di base caparbio per arrivare alla forma caparbietà si rendono necessarie le seguenti operazioni:(1) a. caparbio

b. caparbio +ità (aggiunta del suffisso)c. caparbi +ità (cancellazione di [o])d. caparbi +età (allomorFIa di -ità)

In altre parole, si suppone qui che alla voce lessicale caparbio si aggiunga il suffisso -ità (che normalmente può aggiungersi ad aggettivi per formare nomi, mostruoso ––> mostruosità, continuo ––> continuità). Si viene così a creare una sequenza, o + i, che viene semplificata tramite la cancellazione di o. A questo punto, viene a crearsi una sequenza (i + i ) che in questo caso [In altri casi, sia la sequenza oi sia la sequenza ii non vengono semplificate (cfr. buoi, varii)] viene eliminata tramite il cambiamento del suffisso -ità in -età. (1c), cioè un caso di c a n c e 11 a z i o n e, e (1d) cioè un caso di a 11 o m o r f i a, sono i fenomeni principali cui è dedicato il presente capitolo. Saranno poi discusse brevemente anche alcune regole /pag. 151/ di inserzione e la regola di palatalizzazione delle velari. Vedremo infine alcune regole di riaggiustamento necessarie per derivare lo schema accentuale delle parole complesse.

6.1. Regole di Riaggiustamento e Regole FonologicheLe Regole di Riaggiustamento (RR) sono comunemente considerate regole che operano

all’interno del componente lessicale. Si applicano cioè all’uscita delle RFP prima di tutte le altre regole fonologiche. Perciò, le RR vengono considerate di natura diversa dalle regole che operano nel componente fonologico. Si consideri una regola come la seguente:

(2) A –––> B/ ------ Z

Si chiami “B” 1’“obiettivo” della regola e “Z” il contesto della regola. Se A, B e Z sono segmenti fonologici, allora la regola è una regola fonologica.

Se, invece, Z è un segmento morfologico, allora la regola, in base alla definizione data, è una RR [In realtà, ci sono opinioni piuttosto divergenti sui requisiti che una regola deve soddisfare per essere considerata una RR. Secondo Aronoff [1976] e Carrier [1979], il contesto di una RR deve essere specificato in termini morfologici. Per quello che riguarda l’obiettivo, la definizione di Aronoff (l’obiettivo deve essere morfologico) è più forte di quella proposta da Carrier (l’obiettivo può essere anche fonologico).]. Si considerino ora i seguenti dati [Del suffisso -ione diamo in trascrizione fonetica solo il primo suono, quello rilevante per la discussione: la semiconsonante [ j ]]:(3) a. corretto +[ j ]one –––> corre [ts]+jone

ammonito + [ j ]one –––> ammoni [ts] +ioneingiunto + [ j ]one –––> ingiun[ts] +ionedescritto + [ j ]one –––> descri[ts] +ione

b. corretto + [ i ]vo –––> corre [tt] +ivoingiunto + [ i ]vo –––> ingiun[t] + ivodescritto +[ i ]vo –––> descri[tt]+ivo

Dopo la cancellazione di vocale, si può esservare che in (3a) - ma non in (3b) - agisce una regola come la seguente:

(4) (t)t –––> [(t)ts]/ –––> +j

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Secondo questa regola, una occlusiva dentale sorda {Per una definizione di questo suono e di quelli seguenti, cfr. [FONOLOGIA 2.1.]} (semplice o geminata), [t] o [tt], diventa una affricata (semplice o geminata [ts] o [tts] {Secondo Muljacié [1969] 1’affricata [ts] in posizione intervocalica è sempre lunga ed è trascritta [tts].}) prima di un confine di morfema “ + “ seguito dalla semivocale [ j ], e pertanto questa regola si applica ai dati in (3a), dove è presente il contesto [ j ] e non si applica ai dati in (3b), dove il contesto è [ i ] e non [ j ]. La /pag. 152/ regola (4), secondo la definizione data sopra, è da considerarsi una regola “fonologica”, in quanto A, B, e Z sono segmenti “fonologici” [La presenza del confine “+> non cambia la natura “fonologica” della regola (4), almeno in alcune definizioni di “regola fonologica”. Vedi, ad esempio, le seguenti definizioni date da Anderson (1975: 42-43): “Le regole morfolessicali [le nostre RR] sono quelle il cui contesto riguarda [...] morfemi specifici, voci lessicali o classi di morfemi, le regole fonologiche sono quelle il cui contesto comporta riferimento solo alla composizione fonologica degli elementi della stringa, a confini e forse a classi lessicali maggiori.]

Si può dimostrare, però, che la regola che cambia [t] in [ts] non può essere espressa in termini puramente fonologici. Si considerino, infatti, altri dati come i seguenti:(5) carretto + [ j ] ere –––> carre[tt]iere *carre[tts]iere

argento + [ j ]ere –––> argen[t]iere *argen[ts]iere moneta + [ i ] ere –––> mone[t]iere *mone[ts]iere

Questi esempi mostrano che la regola data in (4) è formulata in termini troppo generali. La regola in questione è richiesta dal suffisso (-ione) e non da un altro suffisso (-iere), anche se il contesto fonologico è lo stesso in entrambi i casi, e cioè [j]. Dobbiamo perciò formulare in modo diverso la regola che rende conto dei dati in (3), ad esempio come in (6):

(6) (t)t –––> [(t)ts]/ --- +ione

La menzione del suffisso -ione nel contesto della regola è necessaria perché in effetti, la regola (6) agisce con una certa serie di suffissi (7a), ma non con altri (7b):(7) a. Marte –––> marziano *martiano

lilliput –––> lillipuziano *lilliputianoEgitto –––> egiziano *egittiano

b. Biscotto –––> biscottiero *biscozierolatte –––> lattiero *lazierosalotto –––> salottiero *saloziero

Pertanto, la regola in discussione, oltre al suffisso -ione dovrà menzionare anche suffisso -iano:(8) (t)t –––> [(t)ts]/ ---- + ionejanë për kllapa gjarpërore]

+ ianoSi noti però che con il suffisso -iano la regola non si applica sempre, cfr. kantiano,

flobertiano, schubertiano. La mancata applicazione non è in relazione ai soli nomi che terminano in t, (Kant, Flaubert, Schubert) dato che non si applica nemmeno con parole come Donizetti o Monti. È quindi necessario definire i limiti di applicazione della regola con il suffisso in questione.]

In questa formulazione, Z (cioè il contesto della regola, come si vede in /pag. 153/ (2)) è un morfema “definito” (il suffisso -ione, o il suffisso -iano), e la regola non può, pertanto, essere una regola fonologica, secondo la definizione data sopra. La Regola (8) è pertanto una Regola di Riaggiustamento.

6.2. Regole di CancellazioneLe regole di Cancellazione si distinguono di solito in Regole di Troncamento e Regole di

Elisione. Entrambe sono regole di cancellazione di una vocale9 male prime sono di cancellazione di vocale davanti a consonante (cantiamo bene ––> cantiam bene) mentre le

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seconde sono di cancellazione di vocale davanti a vocale (porta occbiali ––> portocchiali). Useremo qui il termine cancellazione perché la distinzione appena fatta non è accettata da tutti.

Nei paragrafi seguenti analizzeremo una regola di Cancellazione in italiano, e cioè la regola di Cancellazione di Vocale (CV) che è una regola produttiva e regolare. Come si è già detto sopra, questa regola agisce (se pure con delle differenze) su tutte le uscite delle regole morfologiche e quindi sulle uscite della derivazione (suffissazione e prefissazione), della composizione e della flessione.

6.2.1. Cancellazione di vocale in suffissazioneLa Cancellazione di Vocale (CV) in italiano serve a dare conto dell’uscita finale di

derivazioni come le seguenti:(9) vino +aio –––> vinaio (non *vinoaio)

fama + oso –––> famoso (non *famaoso)fritto + ata –––> frittata (non *frittoata)bello +ino –––> bellino (non *belloino)morale +ità –––> moralità (non *moraleità)

In (9), si vede che l’aggiunta di un suffisso che inizia in vocale ad una parola di base determina la cancellazione della vocale finale di quest’ultima.

Sulla base dei dati in (9), la forma di CV può essere la seguente:

(10) V –––> ø/ ----- +V

CV però non opera su vocali toniche come si può vedere in (11): /pag. 154/(11) virtù + oso –––> *virtoso virtuoso

blu + astro –––> *blastro bluastrosci + istico –––> *scistico sciistico

La modifica che si rende necessaria può essere facilmente incorporata nella regola che potrà allora assumere la forma seguente:

(12) V –––> ø/ --- +V[ – acc]

Secondo (12), una vocale non accentata viene cancellata quando è seguita da un confine di morfema seguito a sua volta da vocale. Questa regola è di grande generalità, in suffissazione è obbligatoria {La regola proposta è senza eccezioni per quel che riguarda la cancellazione in suffissazione e in flessione, come si vedrà meglio più avanti. Vi sono delle eccezioni, invece, per quel che riguarda il requisito [ - accento] della vocale che viene cancellata (cfr. facoltà + oso --- facoltoso; unità --> unitario, verità ---> veritiero, maestà -> maestoso, dove la vocale della base, ancorché tonica, viene cancellata). Per il momento, si può osservare che le eccezioni riscontrate sembrano connesse con il suffisso -(i)tà. Si veda anche la proposta di Peperkamp [1993]} e basta a dar conto delle varie possibilità che si danno in italiano:(13) Parola + Suffisso CV Esempio

–– V + V opera Milano+ ese ––> milanese–– V + C non opera solleva + mento ––> sollevamento–– V + V non opera virtù + oso ––> virtuoso

La menzione del confine di morfema « + » nella regola (12 ) è necessaria per evitare che CV si applichi erroneamente all’interno di parola cancellando ad esempio la e di creatura o di beato. CV ha altri limiti di applicazione. Si considerino i seguenti esempi:

(14 ) a. idea + ale b. area + ale

In entrambi i casi è necessario che CV si applichi una volta sola, altrimenti si avrebbero le seguenti derivazioni erronee:(15) a. idea + ale b. area + ale

ø ø

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ø ø*idale *arale

La prima applicazione di CV porta a ide +ale (15a) e ad are + ale (15 b). Per evitare che CV si applichi ancora (portando alle uscite erronee *idale e *arale, supporremo che CV, operando, cancelli anche il confine di morfema « + », eliminando così automaticamente il contesto per una sua seconda operazione.

Come si è detto, CV è una regola di grande generalità dato che le parole dell’italiano finiscono in vocale e quasi tutti i suffissi iniziano con /pag. 155/ una vocale; in derivazione (e in flessione) CV è obbligatoria. Solo il suffisso -mente (che inizia con consonante) determina una cancellazione particolare di cui parleremo nel paragrafo seguente.

6.2.2. Cancellazione di vocale con gli avverbi in -menteVi è una sottoclasse specifica di derivati in cui opera una cancellazione un po’ diversa da

CV, come vista sin qui. Si tratta dei derivati da aggettivi in -e cui si aggiunge -mente, dove CV non può operare, così come è stata formulata sopra, dato che il suffisso inizia per consonante. Si considerino i seguenti dati:(16) a. veloce + mente –––> velocemente

audace + mente –––> audacementeprudente + mente –––> prudentemente

b. febbrile + mente –––> febbrilmentecivile + mente –––> civilmente

c. salutare + mente –––> salutarmentemilitare + mente –––> militarmente

Come si può osservare, esistono casi in cui la e finale dell’aggettivo non viene cancellata (16a) e casi in cui viene cancellata (16b) e (16c). L’ovvia differenza tra i due insiemi di dati è che in (16b) e in (16c) la -e è preceduta o da r o da l [" Queste due consonanti, per il fatto di essere liquide, hanno comportamenti simili tra loro e diversi da quelli di altre consonanti.].

La regola che dà conto dei dati in (16) è la seguente:(17) e –––> ø / l --- + mente

r che si legge: “la e viene cancellata quando è preceduta da r o da l e seguita dal suffisso -mente”. Questa regola è del tutto regolare e generale, ma va completata in relazione a questo ultimo insieme di dati:(18) pedestre + mente –––> pedestremente

alacre + mente –––> alacrementeIn questi ultimi casi si vede che se la r è preceduta a sua volta da una consonante (e non da

una vocale, come in (16c), allora la cancellazione non ha luogo, dato che si formerebbe un nesso non possibile in italiano (*alacrmente, *pedestrmente). Quest’ultima osservazione, porta alla seguente modifica della regola in (17):(19) e –––> ø / V l --- + mente

r pag.(19) prevede dunque che la cancellazione avvenga solo quando r o l sono precedute a loro

volta da una vocale. La regola data è molto generale e non ha eccezioni.

6.2.3. Cancellazione di vocale in prel7ssazioneNelle parole suffissate CV è obbligatoria (cfr. 20a), così come lo ènelle parole flesse (cfr.

20b): basta che la base termini per vocale non accentata e il suffisso inizi per vocale:(20) a. magistrato + ura –––> magistratura *magistratoura

fama +oso –––> famoso *famaosofelice + ità –––> felicità *feliceitàcontento + ezza –––> contentezza *contentoezza

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b. magistrato + i –––> magistrati * magistratoifelice + i –––> felici * feliceibello + e –––> belle * belloeama + ò –––> amò * amaò

Se la base termina in consonante (21a) o il suffisso inizia per consonante (21b) allora naturalmente CV, non può operare:(21) a. bar + ista –––> barista

b. defila + mento –––> defilamentoIn prefissazione, invece, CV opera molto meno di quanto ci si aspetterebbe. Come sempre,

ricorriamo ad alcuni dati:(22 ) stra + antico no ri + amare no

stra + intelligente no ri + eleggere nostra + esigente no ri + inviare sìstra + ordinario no ri + occupare nostra + urgente no ri + utilizzare node + ambulare no pro + avo node + enfatizzare no pro + eliocentrismo node + industrializzare no pro + imperatore node + ostruir no pro + otturazione node + umidificare no pro + università nopre + avviso nopre + evolutivo nopre + industriale nopre + ordinato nopre + umanista no

Dai dati qui riportati, sembra potersi concludere che in prefissazione /pag. 157/ CV non è possibile se non quando il prefisso è ti e quando si vengono ad incontrare due i. Ma anche questa subregolarità non è confermata:(23) ri + illustrare –––> *rillustrare

ri + inventare –––> *rinventareNon si può infatti concludere che CV opera sempre sui prefissati con ti quando la base

inizia per i perché *rillustrare, *rinventare non sono possibili. In questi casi infatti, compare un allomorfo re: re-illustrare, re-inventare .

Sembra dunque che la strategia seguita dal prefisso in questione sia complessa: a volte la cancellazione non avviene (ri-amare), a volte avviene (rinviare, rammodernare), a volte - se la parola inizia con i - compare un allomorfo re (re-inventare). Si allarghi ora la base empirica ad un più vasto campione:(24) extra + acido no

ultra + ubbidiente noanti + estetico nosemi + analfabeta noarci + energico novice + usciere nosovra + affollato sioltre + alpe sisotto + esposto facoltativacontro + offensiva facoltativa

Come si vede, CV in prefissazione è diversa da CV in suffissazione. In suffissazione infatti è obbligatoria, in prefissazione si verifica una casistica più varia: praticamente vietata se il prefisso è monosillabico (cfr. (22)), può essere obbligatoria, vietata o facoltativa se il prefisso è bisillabico [La cancellazione sembra comunque favorita quando si trovano a fronte vocali

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uguali. Si tratterebbe cioè di un caso di degeminazione vocalica.]

6.2.4. Cancellazione di vocale in composizioneLa cancellazione di vocale in composizione è simile (ma non identica) alla cancellazione di

vocale in prefissazione. Si considerino i seguenti dati:(25) a. Scolapasta *scolpasta

spartiacque *spartacqueb. Giraarrosto girarrosto

portaombrelli portombrelli /pag. 158/Come si vede, CV in composizione non è obbligatoria: può avere luogo (come in (25b)) o

non aver luogo (come in (25a)). I dati appena visti favoriscono la seguente ipotesi e cioè che in composizione CV si applica se (e solo se), applicandosi, non porta ad uno scontro. Come si è detto nel cap. 5, si ha uno scontro di accenti quando vengono a trovarsi adiacenti due sillabe con accento primario di parola. Quindi in scolapásta CV produrrebbe uno scontro: scól/pà sono due sillabe accentate. In pórtaombrélli invece CV non produrrebbe alcuno scontro: pórt/ombrél dato che le sillabe accentate pórt e brél non verrebbero a trovarsi adiacenti. L’ipotesi è interessante ma non verificata. Si considerino i seguenti dati:(26) valigia armádio –––> *valigiarmadio

dólce amáro –––> * dolciamarouómo ómbra –––> *uomombrapréte operáio –––> *pretoperaiouómo uccéllo –––> *uomuccello

In (26) CV non si applica, né quando potrebbe risultarne uno scontro (uómómbra) né quando non potrebbe risultarne uno scontro (uómuccéllo). Non si può quindi concludere che CV si applica quando non ne risulterebbe uno scontro. Vi sono infatti casi in cui non si applica anche se non ne risulterebbe uno scontro.

In composizione vi è poi una CV diversa da ,quella data in (10). Si considerino i seguenti dati:(27) a. galantuomo b. cavolfiore

lungarno gentildonnaterzultimo manrovescioquintessenza panforte

Sia in (27a) che in (27b) vi è stata una cancellazione di vocale, dato che le forme di base sono presumibilmente forme come quinta essenza o cavolo fiore. La regola di cancellazione qui all’opera è però diversa nei due casi:(28) a. V –––> ø / --- + [ – consonantico]

b. V –––> ø / [ + sonorante] --- [ + consonantico](28a) – che dà conto dei dati in (27a) – si legge: una vocale viene cancellata quando

precede un segmento non consonantico [I segmenti [-consonantico] sono le vocali e le semivocali e quindi, nell’esempio in questione, la [w] di uomo, la a di abito, la e di essenza ecc.]. (28b) – che dà conto dei dati in (27b) – si legge: una vocale viene cancellata quando si trova tra un segmento sonorante (come l di cavolo, r di fare, n di mano, l di gentile e una consonante ( f di fiore, forte, d di donna, ecc.).

/pag. 159/Come si vede, (28b) è molto simíle alla regola di cancellazione di vocale prima di -mente

vista sopra, ma mentre con -mente CV è regolare, in composizione si applica in alcuni casi (27b) ma non in altri (29):(29) cane poliziotto –––> *canpoliziotto

uomini rana –––> *uominranaparole fantasma –––> *parolfantasmacerniera lampo –––> *cernierlampo

100

Per concludere, si è visto che CV si applica in un grande numero di casi e cioè alle parole derivate, alle parole composte, alle parole flesse, come si può vedere dai dati seguenti:(30) Derivazione veloce + ità –––> velocità

amaro + ezza –––> amarezzagloria + oso –––> glorioso

Composizione fuori + uscito –––> fuoruscitosopra + abito –––> soprabitoporta + aerei –––> portaerei

Flessione casa + e –––> casebuono + i –––> buonivende + uto –––> venduto

Abbiamo però anche visto che la regola in questione in composizione ha sfumature diverse a seconda del dominio cui si applica. Ciò significa che questa regola assume forme diverse per le diverse uscite della morfologia: ogni livello morfologico ha bisogno, per così dire, della “propria” CV.

6.2.5. Cancellazione di sillabaUn altro caso di cancellazione è quello noto col nome di a p 1 o l o g i a. Una definizione

corrente di questo fenomeno è la seguente: “Nel1’aplologia, una o due sequenze di fonemi più o meno simili è cancellata” [Hockett, 1958]. Gli esempi che Hockett discute sono i seguenti:(31) ingl. morphophonemics –––> morphonemics ‘morfonemica’

lat. stipependium –––> stipendium ‘stipendio’lat. nutritrix –––> nutrii ‘nutrice’

A questi casi, Hockett aggiunge l’enunciato di un bambino che riduce Hello Lois / helolowis a / helowis /.

La definizione di Hockett è una definizione piuttosto generica e sicuramente poco ristretta: si tratta, a suo dire, di “sequenze di fonemi più o meno simili”. L’aplologia è in effetti un fenomeno sporadico e /pag. 160/ non regolare, ma si può tentare di affinare la definizione di Hockett. Si considerino i seguenti esempi:(32) morfofonemico –––> morfonemico

eroicocomico –––> eroicomicotragicocomico –––> tragicomico

Da questi esempi, risulta che la sequenza fo-fo è ridotta a fo e co-co a co. Si potrebbe essere tentati di ridefinire 1’aplologia come una cancellazione di sillaba, a condizione che le due sillabe siano uguali, almeno questa è la conclusione cui saremmo portati sulla base dei dati in (32) {E questa era la conclusione anche di Hjelmslev (1963 [1970: 58]): “L’aplologia èl’omissione di una sillaba a causa della sua somiglianza (o più spesso della sua identità) con la sillaba vicina [...]”}. Questa definizione, però è troppo larga perché, come si vedrà qui di seguito, a) non è vero che la cancellazione avviene solo quando le sillabe sono uguali e b) non è vero che la cancellazione avviene per qualsiasi coppia di sillabe uguali, in qualsiasi contesto morfologico. Per quanto riguarda a), allargando il campione di dati, troviamo i seguenti casi:(33) cavalli leggeri –––> cavalleggeri

esente tasse –––> esentasseminerale logo –––> mineralogofotogramma metria –––> fotogrammetriaostrica coltura –––> ostricoltura

Consideriamo più da vicino i dati in (33) che non confermano l’ipotesi che per la cancellazione siano necessarie due sillabe uguali:(34) caval[li-leg]geni –––> leg

esen[te-tas]se –––> tasminera[le-lo]go –––> lo

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fotogram[ma-me]tria –––> meostri[ca-col]tura –––> col

I dati in (34) ci permettono di affinare l’ipotesi: vi è in effetti cancellazione di sillaba ma non a condizione che le sillabe siano uguali. La condizione è che le sillabe inizino con consonanti uguali.

Per quel che riguarda il punto b), è necessario definire l’ambito di applicazione o dominio della regola. La regola non si applica all’interno delle parole semplici:(35) rococò –––> *rocò

titanico –––> *tanicomemoriale –––> *morialecocomero –––> *comero

Parole semplici con sillabe uguali o con sillabe con consonanti /pag. 161/ uguali sono del tutto normali e non sembrano soggette, nemmeno sporadicamente, ad aplologia.

L’esempio di Hockett (/helowis/) potrebbe far pensare che 1’aplologia funzioni nel dominio della frase, ma questa possibilità sembra piuttosto rientrare nel dominio degli errori linguistici dove le semplificazioni sono molto frequenti, ma dove rispondono a logiche diverse. L’aplologia non ha come dominio nemmeno il sintagma, come provano i seguenti esempi:(36) parente testardo –––> *parentestardo

pista telecomandata –––> *pistelecomandatafotogramma meraviglioso –––> *fotogrammeraviglioso

La differenza significativa tra i casi in (32), (33) e quelli in (36) èche i primi formano dei composti. Un’ipotesi, dunque, è che in italiano il dominio dell’aplologia sia la composizione, non la frase, il sintagma o la parola semplice. In effetti, non sembra che la regola di cancellazione possa applicarsi ad altri domini, dato che non si applica in derivazione, né in prefissazione (37a) né in suffissazione (37b):(37) a. Antitirannico –––> *antirannico

semiminaccioso –––> *seminacciosoextratrasgressivo –––> *extrasgressivo

b. enormemente –––> *enormenteavventatezza –––> *avventezzaaccasermamento –––> *accasermento

Sembra dunque che la regola in questione si applichi solo all’uscita dei composti. Definito in questi termini il dominio di applicazione della regola, si ritorni ora alla forma della regola stessa.

Si è visto che la regola riguarda solo la cancellazione di certe sillabe, quelle con la consonante iniziale uguale a quella della sillaba seguente. Le due sillabe coinvolte nel processo (una come “obiettivo” e l’altra come “contesto”) possono differire. Ma in che modi? Guardiamo più da vicino la struttura delle sequenze coinvolte dei dati esaminati [Si noti che le forme con cancellazione e quelle senza cancellazione possono convivere, morfofonemico/morfonemico, tragico comicoltragicomico, ecc.]:(38) a. fo-fo –––> fo morfonemico

co-co –––> co eroicomicob. le-lo –––> lo mineralogo

ma-me –––> me fotogrammetriac. li-leg –––> leg cavalleggeri

te-tas –––> tas esentasseca-col –––> col ostricoltura

d. tri-trix –––> trix nutrixpe-pen –––> pen stipendium /pag. 162/

A parte i casi latini (38d), in (38) vi sono tre casi diversi: a) cancellazione di sillaba uguale

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(38a); b) cancellazione di sillaba con consonante iniziale uguale e vocale diversa (38b) e c) cancellazione di sillaba con consonante iniziale uguale, vocale diversa e presenza di una consonante finale nella seconda delle due sillabe della sequenza ma non nella sillaba cancellata (38c).

Le strutture sillabiche delle due sillabe coinvolte nel caso di ostricoltura sono le seguenti {Legenda: a = sillaba, i = incipit, r = rima, n = nucleo, c = coda. Cfr. [FONOLOGIA 7.1.]. La sillaba ca consta dunque di un incipit (c) e di un nucleo vocalico (a) (e non ha una ‘coda’), mentre la sillaba col consta di un incipit (c), di un nucleo vocalico (o) e di una coda (l). In sostanza, le due sillabe hanno incipit uguali e rime diverse.]:(39)

i r i r

n c n c

c a ø c o lLa struttura in (39) e quanto visto sin qui permettono la seguente formulazione della regola

in esame: 1’aplologia in italiano è una regola non obbligatoria [Che la regola non sia obbligatoria si può constatare attraverso il fatto che, dato un composto in cui Parola1 termini con una sillaba e Parola2 inizi con sillaba 2, dove e 2 hanno attacco uguale, non sempre si verifica la cancellazione di ol, per esempio battitacco non diventa *battacco, oppure un ipotetico composto, peraltro benformato, come aggiustategole difficilmente potrebbe diventare *aggiustegole.] di cancellazione di una sillaba finale di parola prima di una sillaba iniziale di parola (in composizione). La condizione (necessaria ma non sufficiente) che si deve dare per la cancellazione è che l’incipit delle due sillabe sia uguale. Il nucleo (cioè la vocale) può essere diverso, così come diversa può essere la coda.

6.2.6. Cancellazione di suffisso in derivazioneAl contrario di CV, la cancellazione di suffisso in italiano è un fenomeno piuttosto

sporadico e più frequente in composizione che in derivazione, come si vedrà qui sotto.In derivazione, può succedere che l’aggiunta di un suffisso ad una base (già derivata)

determini la cancellazione del suffisso adiacente. Ad esempio, l’aggiunta del suffisso -ico ad una base derivata come antipatia porta alla forma antipatico, dove non c’è più traccia del suffisso -ia. Altri esempi sono i seguenti:(40) difterite –––> difterico *difteritico

eclettismo –––> eclettico *eclettismicometamorfosi –––> metamorfico *metamorfosico /pag. 163/

Come si vede, si tratta sempre del suffisso -ico che, aggiunto a basi dotte di origine greca, determina la cancellazione del suffisso adiacente. D’altra parte -ico non comporta di necessità la cancellazione del suffisso adiacente:(41) surrealista –––> surrealistico non *surrealico

imperialista –––> imperialistico non *imperialicoSe ne può concludere che -ico provoca la cancellazione del suffisso precedente solo in basi

dotte di origine greca:(42) [ X + Suf ]Y + ico

1 2 3 ––>1 ø 3Condizione: Y è una base dotta [ + greco]

Vi sono ancora altri casi di cancellazione, discussi in Migliorini [1957], come i seguenti:(43) Erzegovína –––> erzegovese *erzegovinese

Garfagnana –––> garfagnino *garfagnanino

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strampalato –––> strampaleria *strampalateriaIn queste parole ciò che viene cancellato non è tanto un suffisso, quanto una sequenza

interpretabile come suffisso (-ina, -ana, -ato). Un’altra strategia è quella di non aggiungere affatto il suffisso, come aveva visto sempre Migliorini [1957], parlando della “tendenza ad evitare il cumulo dei suffissi” e citando i casi seguenti:(44) linguaggio animale

vino valtellinoerba spagnaciliege ravennecavoli brisselli

In questi esempi non si ha alcun motivo di ritenere che vi sia stata cancellazione, sembra piuttosto all’opera una strategia preventiva: nessun suffisso, tra quelli possibili, viene aggiunto (animalesco, valtellinese, spagnola ecc.) ma si transcategorizza il nome in aggettivo. Prova di questa transcategorizzazione è il fatto che in due casi è manifesto un morfema flessivo “di accordo” col nome: valtellino (invece di valtellina) e brisselli (da Bruxelles, più il morfema di plurale i, più qualche aggiustamento per adeguare la parola alla fonologia dell’italiano).

Questi casi possono essere quindi trattati come casi di “derivazione mancata”, dove il nome diventa aggettivo e poi viene regolarmente flesso. /pag. 164/

Per quel che riguarda la prefissazione, infine, non si conoscono regole di cancellazione di prefissi, almeno in italiano [In prefissazione si può invece verificare una cancellazione particolare: non so se èpro- o anticomunista mentre la stessa operazione non si può fare con i suffissi *non so se è un Corista o un -aio. Questo tipo di cancellazione è però possibile con una certa classe di prefissi, non con tutti, come dimostra la non grammaticalità di *non so se è in- o disumano.].

6.2.7. Cancellazione di suffisso in composizioneSi consideri un composto come socialcomunista. Se il primo elemento del composto sta,

come è verosimile, per socialista, allora il suffisso -ista è stato cancellato. La regola di cancellazione che ha operato èformalizzabile nel modo seguente:(45) social ista comun ista

1 2 3 4 ––>1 ø 3 4

Questa regola (che si legge: dati i morfemi 1, 2, 3, 4 cancella il morfema 2) è simile da una parte alla regola vista per la derivazione (cfr. (42)) ma è anche simile ad una regola sintattica chiamata “ semplificazione delle coordinate” (cfr. anelli d’oro e braccialetti d’oro –––> anelli e braccialetti d’oro). Quel che vi è in comune tra la regola (45) e la regola sintattica è che il costituente cancellato è uguale ad un altro costituente (-ista di comunista nel composto e d’oro nel sintagma). Quest’ultima osservazione, dovrebbe imporre, accanto alla regola (45) una Condizione del tipo “2 deve essere uguale a 4.

Lepschy e Lepschy [ 1981: 162] osservano che gli aggettivi in -ale abitualmente cancellano o la vocale finale (46a) o l’intero suffisso (46b):(46) radicale socialista –––> a. radical-socialista

b. radico-socialistaLa cancellazione della vocale è facilmente spiegabile quando si consideri il contesto della

cancellazione che è VL - #C (cioè tra liquida preceduta da vocale e confine di parola seguito da consonante). Questo contesto sembra favorire la cancellazione (probabilmente perché una liquida può chiudere una sillaba) ed in effetti lo abbiamo già incontrato sia in composizione (cfr. cavolfiore), sia in derivazione (cfr. coralmente). Il caso (46b) invece è un po’ più complesso. Si immagini che abbia operato la regola (45):(45) radic ale social ista

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1 2 3 4 ––>1 ø 3 4 /pag. 165/

In questo caso il risultato non è accettabile: *radicsocialista. Viene pertanto inserita una o che è una marca della composizione (come si vedrà in 6.4.2. ). La derivazione di radico-socialista è dunque la seguente:(45) radic ale social ista composto

ø canc. di suff.1 ø inserizione di oradicosocialista uscita

È naturalmente necessario controllare che le regole proposte servano più casi e non siano ad boc. In effetti, la procedura proposta vale per diversi altri casi, per es. agro-minerario (da agrario-minerario).

La derivazione in (48) presenta però un problema perché viola la condizione 2 = 4 data sopra; in (48) 2 (cioè -ale) è diverso da 4 (cioè -ista). La condizione, in effetti, non è né necessaria né sufficiente, dato che vi sono casi in cui la cancellazione avviene anche con suffissi diversi (49a) e casi in cui la cancellazione non si verifica anche se vi sono suffissi uguali:(49) a. post + ali telegrafon + ici –––> postelegrafonici

b. stor + ico filosof + ico –––> *storfilosoficoIn conclusione, la cancellazione di suffisso in composizione è un fenomeno sporadico, a

volte si verifica quando i due costituenti hanno suffissi uguali, ma questa condizione non è né necessaria né sufficiente.

6.3. Regole di allomorfiaUn dominio di fenomeni di cui le RR sono chiamate a rendere conto è quello

dell’allomorfia. Si ha allomorfia, come si è visto nel cap. 2, quando lo stesso morfema si realizza in forme diverse (= allomorfi) a seconda del contesto. In italiano, possiamo dire, per esempio, che i e gli sono due allomorfi del morfema “articolo maschile plurale”. Una definizione di allomorfia è la seguente [Corbin [1987: 285]. La definizione data qui è leggermente modificata.]:(50) L’allomorfia è una variazione di natura fonologica che non si può spiegare in termini

esclusivamente fonologici. Essa riguarda un morfema che appartiene ad una categoria lessicale maggiore o un affisso nel corso di una operazione derivazionale.

L’aggiunta di un suffisso alla propria base richiede spesso il riaggiustamento o del suffisso (allomorfia del suffisso) o della base stessa (allomorfia della base). Abbiamo già visto sopra un esempio di allomorfia del suffisso in italiano e cioè il suffisso -ità che diventa -età se la parola di base, dopo che CV ha operato, termina con una i, come confermano questi altri dati: /pag. 166/(51) ansia –––> ansietà

bonario –––> bonarietàempio –––> empietàereditario –––> ereditarietà

Un altro esempio piuttosto complesso è quello dei nominali inglesi in -ion. Si consideri il seguente elenco di vociz8:(52) realize realization *realizion *realizition

‘realizzare’ ‘realizzazione’educate *educatation education *educatition‘educare’ ‘educazione’repeat *repetation *repetion repetition‘ripetere’ ‘ripetizione’commune *communation communion *communition

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‘comunicarsi’ ‘comunione’resume *resumation resumption *resumition‘riprendere’ ‘ripresa’resolve *resolvation *resolvtion resolution‘risolvere’ *resolvion ‘risoluzione’

Da questo elenco risulta che il suffisso in questione ha cinque varianti: -ation, -ion, -tion, -ition, -ution. -ation è la variante che presenta il minor numero di restrizioni fonologiche poiché può essere aggiunto a parole terminanti in labiali (per es. [p], [b]), coronali (per es. [t], [d]), e velari (per es. [k], [g]) come si può vedere dai seguenti esempi:(53) labiale coronale velare

perturbation cessation deportation evocation‘perturbazione ‘cessazione’ ‘deportazione’ ‘evocazione’formation degradation manifestation purgation‘formazione’ ‘degradazione’ ‘manifestazione’ ‘purgazione’exhutnation elicitation consultation prolongation‘esumazione’ ‘elicitazione’ ‘consultazione’ ‘prolunga’usurpation accusation affectation‘usurpazione’ ‘accusa’ ‘affettazione’

revelation commendation‘rivelazione’dedaration sensation‘dichiarazione’ ‘sensazione’examination indorsation‘esame’ ‘conferma’representation‘rappresentazione’ /pag. 167/

Le varianti -ion e -tion si aggiungono invece a radici [ + latino], in particolare, -tion si aggiunge a radici non coronali (54a), e -ion a radici coronali (54b):(54) a. consume/consumption ‘consumare - consunzione’

absorb/absorption ‘assorbire - assorbenza’b. rebel/rebellion ‘ribellarsi - ribellione’

decide/decision‘ decidere - decisione’Per questo piccolo sottogruppo di dati, si può proporre la seguente regola di allomorfia

{Cfr. Aronoff [1976: 104]. La regola è data qui in una forma leggermente modificata. Non discuteremo qui le altre due varianti del suffisso, -ition e -ution.}:(55) Allomorfia di -ion:

+ ion + cor+ ation /X

+ tion – cor

dove X è una radice [ + latino] (55) descrive il fatto per cui il suffisso -ation (cioè la variante fonologicamente non

ristretta) diventa +ion quando viene aggiunto a radici latine terminanti con un segmento coronale, e diventa +tion quando viene aggiunto a radici latine terminanti con un segmento non coronale.

La letteratura specialistica riporta un gran numero di esempi di tali riaggiustamenti. In olandese, ad esempio, è stato descritto un caso di allomorfia in una intera classe di suffissi che cambiano la vocale da [ - arretrato] a [ + arretrato], quando il suffisso è seguito da un altro suffisso marcato come [ - nativo], come si può vedere dai seguenti esempi:(56) eel –––> aal fundamenteel/fundamentalisme **

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[**Una vocale doppia diventa semplice quando si trova in una sillaba aperta secondo una convenzione ortografica dell’olandese. Così quando i suffissi in questione sono seguiti da un altro suffisso che inizia con una vocale, troviamo una vocale sola invece della vocale doppia della forma di citazione.

‘fondamentale/fondamentalismo’air –––> aar militair/militarist

‘militare/militarista’eur –––> oor directeur/directoraat

‘direttore /direttorato’eus –––> oos rehgieus/religiositeit

‘religioso/religiosità’Un cambiamento vocalico simile (ma nella base e non nel suffisso) /pag. 168/ è stato

osservato in francese per coppie come vain/vanité ‘vano-vanità’, fleur/floral ‘fiore-floreale. Bisogna sottolineare qui che questi cambiamenti sono governati morfologicamente nel senso che, sia in olandese che in francese, la regola funziona solo per un gruppo specifico di parole. Essa si applica, cioè, prima dei suffissi marcati [ – nativo] in olandese, e prima dei suffissi marcati con un tratto di strato [ + dotto] in francese.[Anche in italiano si trovano alternanze che si spiegano con un’origine dotta delle parole in questione, come ad es. toro / taurino.]

Data una variazione allomorfica, si osserva in genere che 1’allomorfia viene conservata nelle derivazioni ulteriori {È il cosiddetto “Principio di proiezione allomorfica” per cui cfr. Corbin [1987: 324].}:(57) a. coupable –––> culpabiliser –––> culpabilisation

discours –––> discursif –––> discursivité b. scuola –––> scolare –––> scolarità

padre –––> paterno –––> paternitàLe regole che trattano i fenomeni di allomorfia operano nel componente morfologico della

grammatica, o, secondo la terminologia qui usata, all’interno di quel blocco di regole che abbiamo chiamato Regole di Riaggiustamento e che si applicano all’uscita delle RFP.

6.4. Altre regolePer ottenere tutte le uscite ben formate dal componente morfologico, vi è bisogno di

diverse altre regole di riaggiustamento, come regole di inserzione (6.4.1.), regole necessarie per la composizione dotta (6.4.2.), la regola di palatalizzazione delle velari (6.4.3.) ed altre ancora che qui non esplorereM038.

6.4.1. Regole di inserzione in derivazione

Di norma le parole dell’italiano terminano in vocale. Vi sono però alcune parole che terminano, eccezionalmente, in consonante e che possono essere derivate con gli stessi suffissi che si aggiungono alle parole che terminano in vocale. In questi casi, però, è necessario un riaggiustamento diverso da quello della cancellazione. Si considerino i seguenti dati:(58) gas –––> gassoso /pag. 169/

autostop –––> autostoppistasnob –––> snobbarecognac –––> cognacchinochic –––> chicchissimo

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In (58) CV non può operare perché non si forma il contesto richiesto V+V. Sembra invece operare una regola che raddoppia la consonante finale della base. Questo raddoppiamento non è però generalizzato, come si può constatare dagli esempi che seguono:(59) a. bar –––> barista

poker –––> pokerinorevolver –––> revolveratazar –––> zarista

b. nord –––> nordistafilm –––> filmicosport –––> sportivo

c. deficit –––> deficitariocamion –––> camionista

Ciò che distingue i casi in (58) da quelli in (59) sono i seguenti fatti: in (58) la consonante finale è un’ostruente mentre in (59a) è una sonorante; in (58) la consonante finale è preceduta da una vocale mentre in (59b) la consonante finale è preceduta da una sonorante; in (58) la vocale che precede la consonante finale è tonica mentre in (59c) è atona. Tutti questi fatti si possono integrare nella seguente regola:(60) C–––> C: / V ---- + V

[ – sonor] [ + acc]La regola si legge nel modo seguente: una consonante non sonorante {Per le definizioni di

[±ostruente], [±continuo] e [±sonorante], cfr. rispettivamente [FONOLOGIA 2.1., 3.8. e 3.4.]. Sono, ad ogni modo, suoni sonoranti le vocali, le nasali, le liquide e le semivocali. La precisazione [ - sonorante] è necessaria per evitare che parole che terminano in sonorante, come bar o come camion (la prima termina in liquida, la seconda in nasale), soggiacciano alla regola (*barrista, *camionnista).} diventa lunga quando si trova dopo una vocale accentata e prima di un confine di morfema seguito da vocale. La regola ha l’effetto di raddoppiare la consonante finale della base in parole come quelle in (58) ma non in parole come quelle in (59).

Vi è infine un ultimo caso in cui CV non può operare ed è quando la vocale finale della parola è accentata. In luogo della cancellazione, si verificano altri fatti, di cui un campione è dato qui di seguito:(61) a. papà –––> paparino

b. città –––> cittadino /pag. 170/ c. caffè –––> caffettinod. Perù –––> peruviano

In basi come queste, di norma, si verifica l’inserzione di consonante [Mentre una forma come papino è possibile (ma potrebbe derivare dalla forma vezzeggiativa papi), non lo sono invece *cittino, *caffi’no, *periano.]. Non è però possibile in questo caso formulare una regola perché la natura della consonante non è prevedibile fonologicamente, infatti in (61a) e in (61b) si ha un contesto fonologico identico (à ––– + ino) ma le “soluzioni”, come si vede, sono diverse, dato che nel primo caso si inserisce una r e nel secondo una d.

6.4.2. Regole della composizione dottaVi sono due vocali, presumibilmente introdotte da RR, che sono la marca della

composizione dotta, e cioè o ed i. La prima è la spia di composizione dotta [ + greco] (62a) e la seconda è spia di composizione dotta [+latino] (62b):(62) a. lacrimogeno b. callifugo

storiografo coloriferodietologo filiformedantofilo erbivoro

Nei casi in esame, Parola2 è sempre una semiparola [ – nativo], Parola1 invece è una

108

parola [ + nativo]. Le semiparole di orgine greca cambiano la vocale finale di Parola1 in o (cfr. ad es. lacrima ---> lacrimogeno), mentre le semiparole di origine latina cambiano la vocale finale di Parola1 in i (cfr. ad es. erba --> erbivoro) [Alle volte si verificano delle oscillazioni come nel caso di bustometrolbustimetrolbustametro o come nel sistema decimale: decimetro, centimetro, millimetro versus decametro, ettometro, chilometro.]. Quindi, la derivazione di una parola come storiografo, in quest’ottica, è la seguente:(63) Less. storia - grafo

RFP storia + grafoRR oUscita storiografo

La regola in questione cambia dunque la vocale finale di Parolal. Se invece la parola termina in consonante, la vocale appropriata viene inserita:(64) computer + logia –––> computerologia

E stato sostenuto [Bauer 1979] che per questi casi non serve ipotizzare delle RR, dato che si può ipotizzare che la vocale in questione appartenga /pag. 171/ a Parola2 e dunque (64) dovrebbe essere analizzata come computer + ologia. Questa soluzione comporterebbe però che venissero analizzate allo stesso modo tutte le semiparole e quindi anche -ografià, -ofilo, -ofobo, -ometro ecc. Se così fosse però oscureremmo il rapporto che intuivamente deve esserci tra, per esempio, grafo in storiografo e grafomania dato che dovremmo sostenere che nel primo caso la semiparola è -ografo e nel secondo grafo. Lo stesso dicasi per filo in germanofilo e in filantropico, e per molti altri casi. Preferiremo, quindi, sostenere che i casi discussi siano il risultato di due regole di riaggiustamento sensibili ai tratti di strato [ + greco] e [ + latino].

6.4.3. Regola di palatalizzazione delle velariSia le forme flesse (65a) che le forme derivate (65b) possono sottostare ad una regola nota

col nome di palatalizzazione delle velari (PV). Si consideri la formazione di due parole come amici e amicizia:(65) a. Ami[k]o b. ami[k]o base

ami[k]o +i ami[k]o +izia suffissazami[k] +i ami[k] +izia CVami[tS] +i ami[tS] +izia PVami[tS]i ami[tS]izia uscita

Come si vede, la velare [k], venendosi a trovare (a seguito dell’operazione di CV) a contatto con una vocale palatale [Chiamiamo qui i ed e vocali “palatali”.] [ i ], diventa a sua volta palatale [tS]. La regola non riguarda solo la velare sorda [k] ma anche la velare sonora [g] (che si palatalizza in [dZ]) (66a) e il contesto può essere dato anche dalla vocale [e] (66b):(66) a. Bel[g]a –––> bel[dZ]i

b. por[k]o –––> por[tS]elloLa regola in questione non è una regola puramente fonologica, nel senso che non si può

formulare in termini esclusivamente fonologici [come ha ben dimostrato Dressler (1985a), da cui deriviamo molte delle idee e degli esempi che seguono] per i seguenti due motivi. In primo luogo vi sono dei comportamenti non prevedibili come i seguenti:(67) belga –––> belgi (PV opera)

duca –––> duchi (PV non opera)comico –––> comici (PV opera)carico –––> carichi (PV non opera)

In secondo luogo, il funzionamento della regola dipende da /pag. 172/ informazioni morfologiche: per esempio la regola funziona sempre con certi suffissi (per es. -ico (68a) e -izia (68b)), quasi sempre con altri suffissi (ad es. -issimo (69a) e -izzare (69b)), mai con altri (ad es. -iere (70a) e -iero (70b)):

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(68) a. stori[k]o –––> stori[tS]icriti[k]o –––> criti[tS]i

b. pudi[k]o –––> pudi[tS]iziaspor[k]o –––> spor[tS]izia

(69) a. cattoli[k]o –––> cattoli[tS]issimo maspor[k]o –––> spor[k]issimo

b. gre[k]o –––> gre[tS]izzare matur[k]o –––> tur[k]izzare

(70) a. musi[k]a –––> musi[k]iereb. alber[g]o –––> alber[g]iero

La regola in questione non può essere formulata una volta per tutte per flessione e derivazione perché la sua applicazione non presenta regolarità assoluta nei due domini. È vero che in genere la regola sembra applicarsi o non applicarsi in modi coerenti per le parole derivate e le parole flesse, come si può vedere in (71a), ma è anche vero che tra flessione e derivazione si osservano comportamenti discordi, come si vede in (71b):(71) Flessione Derivazione

a. ami[k]o ami[tS]i ami[tS]iziaami[k]e ami[k]evole

b. por[k]o por[tS]i por[tS]ilepor[k]e por[k]eria, por[k]etta ma por[tS]ello

spor[k]o spor[k]i ma spor[tS]iziafun[g]o fun[g]i ma fun[dZ]iformemona[k]o mona[k]e ma tuona[tS]ella / tuona[k]ella

Riassumendo, PV è una regola di riaggiustamento soggetta a molte eccezioni non sempre prevedibili. ll suo funzionamento è condizionato da molti fattori morfologici e quindi è una regola di riaggiustamento. La sua applicazione a parole flesse e parole derivate non è generalizzabile.

Fin qui si sono viste, fondamentalmente, regole che agiscono su “segmenti” fonologici, o cancellandoli o cambiandoli. Nel paragrafo seguente, vedremo invece un fenomeno “non segmentale”, vale a dire i raggiustamenti necessari per derivare lo schema accentuale delle parole complesse dell’italiano. /pag. 173/

6.5. Regole di riaggiustamento dell’accento secondarioLe parole possono avere accenti primari e accenti secondari [Non cercheremo qui di

definire questi due tipi di accenti.] Una parola come cánto ha solo un accento primario sulla prima sillaba. Una parola come dùttilménte ha un accento primario sulla terza sillaba e un accento secondario sulla prima. Rappresenteremo, informalmente lo schema accentuale di quest’ultima parola nel modo seguente:(72) # + – ≠ – #

dut til men teLa parola è formata da quattro sillabe, due toniche (marcate con « + ») e due atone

(marcate con « - »). Una convenzione generale ci dice che l’accento primario, in italiano, è l’accento più a destra. Non esistono, cioè accenti secondari a destra dell’accento primario [Possono esservi, tuttavia, degli accenti ritmici.]. Data la rappresentazione in (72), dunque, si sa automaticamente che l’accento primario è quello di men. La parola in esame è però una parola complessa: come e giunta ad avere lo schema accentuale assegnatole in (72)?

Nel quadro teorico qui adottato, la risposta sta nella derivazione della parola. In (73a) vi è la derivazione morfologica (da cui omettiamo il confine di morfema « + » per evitare confusioni con il « + » che in questo paragrafo significa “tonico”); in (73b) vi è lo schema accentuale parallelo ai vari passaggi di (73 a):(73) a. duttile b. + – –

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duttile mente + – – + –RR 19 + – + –duttilmente + - + –

Duttilmente arriva dunque ad avere il suo schema accentuale in base alle fasi richieste dalle regole morfologiche e delle RR: nel caso specifico, la regola morfologica è quella che aggiunge il suffisso -mente all’aggettivo di base e la RR19 è quella, vista in 6.2.2., che cancella la vocale finale e dell’aggettivo. Il caso visto in (73) però, è il più semplice possibile, nel senso che lo schema accentuale segue, per così dire, le varie fasi di costruzione morfologica senza richiedere altri riaggiustamenti. Vi sono casi più complessi che analizzeremo qui di seguito.

Si consideri ora la parola sottilmente, che ha uno schema accentuale identico a quello di duttilmente ( + – + – ). Si costruisca la derivazione:(73) a. sottile b. – + –

sottile mente – + – + + –RR 19 – + + + –sottilmente * – + + – /pag. 174/

Come si vede, il risultato è erroneo: invece di esserci uno schema + – + – c’è uno schema + – + – Vi deve pertanto essere un correttivo, una regola di riaggiustamento, che cambi, motivatamente, lo schema erroneo in quello corretto.

Si considerino ora alcuni schemi accentuali di parole semplici dell’italiano, con accento primario sulla prima sillaba (75a), sulla seconda (75b), sulla terza (75c) e sulla quarta (75d):(75) a. gru, cane, lampada

+ + – + – –b. meta, lavoro, catastrofe

- + – + – – + – –c. colibri, obelisco, Aristotele

+ – – + – + – + – + – –d. mercoledi, temperatura

+ – – + + – – + –Osservando attentamente queste parole, se ne possono ricavare le seguenti

generalizzazioni:(76) a. Non vi sono scontri di accento

b. Le parole iniziano con sillabe accentate (a meno che ciò non produca uno scontro)c. Non vi sono sequenze di più di due sillabe non accentate.

Vi sono cioè delle restrizioni sugli schemi accentuali possibili, che sim-bolizzeremo, rispettivamente, come segue:

(77) a. * + + (non vi sono scontri accentuali)b. * # – (le parole non iniziano con sillabe atone) c. * – – (non vi sono sequenze di tre sillabe atone)

Si allarghi ora il campione, dalle parole semplici a tutti i tipi di parole complesse, suffissate (78a), prefissate (78b) e composte (78c) [per ragioni di spazio, negli esempi seguenti segneremo l’accento primario con un accento acuto (‘) e quello secondario con un accento grave (‘ ). Entrambe queste notazioni corrispondono dunque ad un « + » (si ricordi che l’accento primario è sempre quello più a destra). Le sillabe senza accento corrispondono dunque a « - ».]:(78) a. Parole suffissante

i. … stórico, gràfico ii. … bontà, vináio, grafía, algébrico, oftàlmico iii. … pàritá, sóttilménte, òftalmía, sòlitúdine, lògicíssimo iv. càpacitá, lìberaménte, psìchicaménte, bèatitúdine v. … pròbabìlità, èlegànteménte, èffervèscentíssimo

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vi. … màtemàticaménte, lògicìssimaménte /pag. 175/vii. …viii. …ix. …x. …n. …

b. Parole prefissantei. … áfonoii. … rifá, ridúrre, inútileiii. … prèmatúro, prèferíre, ìmpossíbileiv. ìnterferíre, ùltrasinístra, ànticattólicov. … sùperèlegánte

c. Parole compostei. … filantropo, centrifugaii. … sègnalíbri, flloàraboiii. … pòrtafortúna, ònnipoténteiv. … psìcotèrapía, pòrtasìgarétten) …… blú nótteo) …… valigia armadiop) …… carcere modéllo, màcinacaffé

Da questo più ampio campione di dati, si constata (a parte gli ultimi tre tipi di esempi) che le restrizioni riscontrate per le parole semplici, valgono per tutti i tipi di parole complesse dell’italiano.

Abbiamo quindi individuato il motivo per cui l’esito della derivazione di (74) è erroneo: vi sono due sillabe toniche adiacenti, cioè uno “scontro accentuale”, vale a dire uno schema che non compare nelle parole dell’italiano.

Ciò significa che per ognuna delle generalizzazioni viste in (76) vi deve essere una regola che ne assicuri la realizzazione quando - a causa di accostamenti morfologici o per l’azione di varie RR - si crea uno schema non desiderato. Tali regole sono le seguenti:(79) a. Regola di Eliminazione dello Scontro

+ + ––> – +b. Regola dell’Accento (Secondario) Iniziale

– + ––> + – / # ––c. Regola di Inserzione di Accento

– – – ––> – + –(79a) assicura che non si verifichino scontri di accenti, deaccentando la prima di due sillabe toniche adiacenti, (79b) assicura che tutte le parole inizino con una sillaba accentata ed infine (79c) assicura che non vi siano sequenze di tre sillabe atone. Vediamo ora come funzionano le regole in questione, cominciando da sottilmente:(80) sottile – + –

sottile mente – + – + –RR 19 – + + – /pag. 176/

A questo punto ci eravamo fermati in (74) constatando che la sequenza in uscita non era corretta. Ora disponiamo però delle regole in (79). Si applichi pertanto la regola (86b) [Alla sequenza in questione si potrebbe applicare sia la regola (79a) sia la regola (79b). Non entreremo qui nella discussione su quale delle due regole sia corretto applicare per prima. Cfr. Vogel e Scalise [1982].]:(81) sottile – + –

sottile mente – + – + –RR 19 – + + –79b + – + –

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sottilmente + – + –La regola (79b) assicura che la sequenza – + in posizione iniziale di parola venga

mutata nella sequenza + – a rispetto della generalizzazione per cui le parole iniziano con sillaba accentata (a meno che ciò non produca uno scontro di accenti). ll cambiamento ha come effetto anche quello di eliminare lo scontro di accenti + + all’interno di parola.

Si considerino ora alcune parole e si applichino, ove possibile, le regole date:(82) a. Vino + –

vino aio + – + –CV + + –

79a – + –vinaio – + –

b. febbre + –febbre ile + – + –febbre ile mente + – + – + –CV + + – + –RR 19 + + + – (scontro)79a + – + –febbrilmente + – + –

Nell’uscita di (82a) la prima sillaba non è accentata perchè altrimenti vi sarebbe uno scontro ( + + – ).

In (82b) si noti che la regola di eliminazione dello scontro (79a) avrebbe potuto applicarsi anche alle prime due « + + ». Il risultato corretto sarebbe comunque assicurato, solo che vi sarebbe bisogno di una regola in più. Si riparta dalla sequenza che contiene la violazione e si applichi sempre (79a) ma alle prime due sillabe toniche. L’applicazione causa una violazione di (76b) con la conseguente azione di (79b):(83) + + + –

86a – + + –86b + – + –

In genere, tra due soluzioni che portano allo stesso risultato si preferisce /pag. 177/ quella che comporta un minor numero di operazioni e dunque, nel nostro caso, preferiremo la derivazione in (82b) che richiede l’applicazione di una regola sola.

Gli schemi accentuali visti sin qui sembrerebbero dare ragione a chi, come Camilli [1965], riteneva che le parole dell’italiano avessero un andamento alternante a destra e a sinistra dell’accento primario. Secondo Camilli, dunque, dato l’accento primario, gli accenti secondari sarebbero ricavabili. Così non è, in realtà, come gli schemi accentuali di matematicamente, di effervescentemente e di dolorosissimamente, tutti ricavabili attraverso le regole date sopra, dimostrano:(84) a. matematica mente

+ – + – – + –b. effervescentemente

+ – – + – + –c. dolorosissimamente

+ – – + – – + –Le regole di riaggiustamento dell’accento viste in questo paragrafo funzionano piuttosto

bene e danno conto dello schema accentuale della gran parte delle parole complesse dell’italiano. Vi sono, però, due limitazioni. Le restrizioni che valgono per la maggior parte delle parole sia semplici sia complesse non sembrano valere per i composti larghi, come si può vedere qui di seguito dove vi sono violazioni di tutte e tre le restrizioni viste sopra:(85) blú nótte (scontro)

valigia armádio (la prima sillaba non è accentata)

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cárcere modéllo (tre sillabe atone)Queste violazioni si spiegano col fatto che i composti larghi si comportano non come una

parola fonologica, ma come due parole fonologiche (e quindi ognuna con accento primario).Il secondo limite è dato da un certo ambito di variabilità, come evidenziato da parole con

una “doppia pronunzia”, relativamente alla restrizione sull’accento iniziale di parola:(86) a. caratterizzabile b. caratterizzabile

+ – + – + – – – + – – + – –elettricità elettricità+ – + – + – + – – +genericamente genericamente + – + – + – – + – – + –comunicazione comunicazione + – + – + – – + – – + –encefalogramma encefalogramma+ – + – + – – + – - + – /pag. 178/

Non tenteremo qui delle spiegazioni di questo fenomeno52, ma ci Emiteremo a constatare che tutti i casi di (86b) costituiscono una violazione della restrizione (77b). Ciò equivale a dire che le parole in (86) possono essere pronunziate in due modi diversi.

Le RR dell’accento secondario discusse in questo paragrafo agiscono, come si è visto, in connessione e in dipendenza dalle regole morfologiche, a riprova della forte interconnessione che esiste tra le varie regole della morfologia e della fonologia.

6.6. SommarioIn questo capitolo abbiamo introdotto e discusso le Regole di Riaggiustamento, che sono l’ultimo insieme di regole del Componente Lessicale, le regole che si occupano di dare alle parole complesse la loro forma di superficie (6.0.).

Tali regole sono diverse dalle regole fonologiche vere e proprie che agiscono, di norma, sulla base di sole informazioni fonologiche (6.1.). Le Regole di Riaggiustamento si dividono in due grandi sottoinsiemi: Regole di Cancellazione e Regole di Allomorfia (6.2.).

Nella prima parte di questo capitolo abbiamo studiato nei dettagli una regola di cancellazione, la cancellazione di vocale (CV), che si applica a tutte le parole morfologicamente complesse e quindi alle parole suffissate (veloce + ità ––> velocità) (6.2.1.), alle parole prefissate (ri + ammodernare ––> rammodernare (6.2.1.), e alle parole composte (sopra +abito ––> soprabito) (6.2.4.). Si è anche visto che la regola non funziona sempre allo stesso modo: è obbligatoria in suffissazione (ed ha una forma particolare se il suffisso aggiunto alla base è -mente (6.2.2.)), si applica molto meno in prefissazione dove può anche essere facoltativa o essere totalmente bloccata se il prefisso è monosillabico. Infine anche in composizione può essere del tutto bloccata o facoltativa. In composizione, inoltre, (ma solo in certi casi) la regola assume una forma specifica, potendosi applicare anche prima di consonante (cavolo + fiore ––> cavolfiore).

Abbiamo poi visto una regola di cancellazione di sillaba (detta aplologia) che si applica saltuariamente in composizione (eroico + comico ––> eroicomico) (6.2.5.) e la cancellazione di suffisso in derivazione (difterite + ico ––> difterico) e in composizione (social + ista comun + ista ––> socialcomunista) (6.2.6.).

Nella seconda parte del capitolo si è visto un caso di allomorfia in inglese (quella relativa alle diverse varianti del suffisso -ation) e, brevemente, in altre lingue (6.3.).

Si sono viste, poi, altre regole di riaggiustamento, in particolare /pag. 179/ alcune regole di inserzione in derivazione (6.4.1.), una regola della composizione dotta (6.4.2.), e la palatalizzazione delle velari (6.4.3.).

E stata infine avanzata una proposta per derivare lo schema accentuale delle parole complesse dell’italiano. Si sono individuate tre restrizioni cui obbediscono tutte le parole: non

114

presentano scontri accentuali, non iniziano con sillabe atone, non presentano tre sillabe atone consecutive. In base a queste tre restrizioni, sono state proposte tre regole (la regola di eliminazione dello scontro, la regola dell’accento iniziale e la regola di inserzione dell’accento) la cui interazione permette la derivazione degli schemi accentuali dell’italiano. Le regole viste (che hanno due tipi di eccezioni: a) i composti larghi e b) una certa variabilità in relazione alla regola dell’accento iniziale) agiscono sulla base della struttura morfologica creata dalle RFP (6.5.).

/pag. 180/

6.7. Indicazioni bibliograficheRegole di naggiustamento (generalità): Anderson [1974]; Aronoff [1976]; Booij [1977]; Chomsky e Halle [1968]; Dressler [1985a]; Kiparsky [1982].Regole specifiche: Booij [1985]; Dell e Selkirk [1978]; Dressler [1984]; Nespor e Vogel [1976]; Scahse [1986]; Vogel et al. [1983].Accento secondario: Lepschy [1992]; Vogel e Scalise [1982].

CAPITOLO 7: LA NOZIONE DI TESTA

7.0. IntroduzioneSi dice t e s t a di una costruzione quell’elemento che determina la categoria a cui

appartiene tutta la costruzione i. Si consideri una parola come moralità: la base è un aggettivo (morale) ma tutta la parola èun nome. Da dove viene la categoria “nome”? Viene evidentemente dal suffisso -ità. Tutte le parole formate da un aggettivo e dal suffisso -ità sono infatti nomi (cfr. ad es. verticalità, vistosità; continuità, ecc.). Diremo quindi che il suffisso è la testa della parola complessa. Il che può essere verificato con altri esempi di suffissazione:(1) amministrare)]V +zione]N

veloce]A +mente]Avv atomo]N +izzare]V confrontare)]V +bile]A

In tutti questi casi, la categoria della parola complessa (che è diversa dalla categoria della parola di base) è determinata dal suffisso; è quindi il suffisso la “testa” della costruzione. Si considerino ora alcune parole prefissate:(2) [ri + [scrivere]V ]V

[ri + [trovare]V ]V [ri + [spuntare]V ]V

Il fatto che riscrivere, per esempio, sia un verbo dipende dal verbo scrivere e non dal prefisso ti- perché il prefisso non ha la capacità di cambiare la categoria della base. Ciò è vero non solo per il prefisso ti- e non solo per la prefissazione verbale, ma per la prefissazione in genere, come si può constatare dagli esempi qui sotto:(3) a+morale A –––> A

iper + saturo A –––> As + fortunato A –––> Aex-preside N –––> Npost + impressionismo N –––> Nco + inquilino N –––> Ndis + armare V –––> Vs + caricare V –––> Vde + fluire V –––> V

Se si considerano gli esempi di suffissazione in (1) e gli esempi di prefissazione in (2) e in

115

(3), si osserva che la posizione della testa è sempre a destra:(4) non testa testa

ri scrivereex presidentemorale itàveloce mente

Sulla base dell’osservazione di fatti come questi, si è sostenuto z che in morfologia “la testa è sempre a destra” e che le proprietà della parola complessa “derivano” dalla testa tramite uno spostamento di informazioni come indicato dalla freccia:(5) a. V b. Avv-

ri scrivere V veloce mente AVV

(5) è stata chiamata regola della testa a destra (RTD), e si può riassumere in termini molto semplici: nelle parole complesse la testa è il costituente di destra.

In questo capitolo, dopo aver introdotto il meccanismo detto di “percolazione” (7.1.) discuteremo nei dettagli la nozione di testa, prima in relazione alla derivazione, separando la suffissazione (7.2.) dalla prefissazione (7.3), poi in relazione alla flessione (7.4) ed infine alla composizione (7.5), con lo scopo di mostrare quanto segue: 1. i suffissi derivazionali sono “ sempre” teste (vi sono eccezioni masi possono spiegare); 2. i prefissi non sono teste (anche in questo caso, vi sono eccezioni ma possono essere spiegate); 3. i morfemi flessivi, in morfologia3, non sono mai teste; 4. nei composti, come si è visto nel cap. 5, la testa non si può identificare sulla base della posizione (destra o sinistra) ma dipende dal tipo di lingua in questione. Prima di tutto, però, è necessario soffermarsi sul /pag. 182/ meccanismno specifico attraverso il quale le informazioni rilevanti vengono trasferite dal costituente testa a tutta la parola complessa.

7.1. PercolazioneLa p e r c o 1 a z i o n e (ingl. percolation) è il meccanismo attraverso il quale la categoria

lessicale e i tratti sintattico-semantici della testa vengono trasferiti al nodo superiore di una costruzione morfologicamente complesse.

Poniamo che si debba formare la parola femminilità. Come al solito si parte dalla parola di base, che è femmina. Tale parola non ha struttura interna e quindi non ha parentesi interne: la si può rappresentare nel modo seguente:(6) N

femmina

A questa base si aggiunge il suffisso -ile, e si ottiene la struttura seguente:(7) A

N SufA

femmina ileOra, la parola è un aggettivo. Ma è aggettivo perché le informazioni sono passate dal nodo

Suf (che è la testa) al nodo superiore:(8) A

N SufA

femmina ile

116

A questa struttura viene poi aggiunto il suffisso -ità che provoca il seguente cambiamento:(9) N

A SufN

N SufA

femmina ile ità /pag. 183/Naturalmente il nome di partenza e quello di arrivo sono diversi, dato che femmina è [ –

astratto] ed invece femminilità è [ + astratto].Si intende che dalla testa passano al nodo superiore tutte le informazioni, non solo quelle

relative alla categoria. Si consideri il composto pescespada, che ha la seguente struttura:(10) N

[ + an] [ + m]

N N[ + an] [ – an][ + m] [ – m]

pesce spadaDalla testa, pesce, vengono trasferite al nodo superiore non solo la categoria nome ma

anche i tratti [ + maschile] e [ + animato]. Diremo quindi che tra una parola complessa e la sua testa vi è identità di categoria lessicale e di tratti sintattico-semantici e che tale identità è l’effetto di un’operazione di trasferimento di informazioni linguistiche ad opera della “percolazione”.

7.2. La testa nelle parole suffissateChe i suffissi derivazionali siano teste discende dal fatto che i suffissi cambiano la

categoria della base cui si aggiungono:(11) [[colloca]v + mento]N –––> [collocamento]N

[[vento]N +oso]A –––> [ventoso]A

[[tiranno]N +eggiare]v –––> [tiranneggiare]v

Da questi esempi si può estrarre la seguente generalizzazione:

(12) [[ ]X +Suf]Y ––> [ ]Y

Il formalismo in (12) vuole indicare che l’aggiunta di un suffisso cambia sempre la categoria della base (X ––> Y). (12) non è però privo di eccezioni, dato che si può trovare anche la seguente possibilità:

(13) [[ ]X +Suf ]X

In (13) l’aggiunta del suffisso non cambia la categoria della base; in termini descrittivi si direbbe che X “resta” X. (13) può essere suddiviso in due sottocasi a seconda che il suffisso cambi o non cambi i tratti associati alla parola di base nella sua rappresentazione lessicale:(14) a. ]X + Suf ]X b. ]X + Suf ]X

T T T T /pag. 184/(14a) rappresenta pertanto il caso in cui l’aggiunta del suffisso non cambia la categoria

lessicale ma cambia i tratti sintattici della base (T –––> ). (14b) rappresenta il caso in cui l’aggiunta del suffisso non cambia né la categoria né i tratti della base (T –––> T). Analizzeremo queste due possibilità separatamente nei due paragrafi seguenti.

7.2.1. Stessa categoria e tratti diversi

117

Come si è detto, vi possono essere casi in cui la suffissazione non cambia la categoria ma cambia i tratti della base. Un esempio chiaro di cosa si intende è il seguente:

(15) vino –––> vinaio

In (15) l’aggiunta del suffisso [Ci riferiamo qui solo al suffisso -aio (lat. -arius) che forma nomi di persona con parafrasi ‘persona che svolge un’attività connessa con X’. Vi sono ragioni per ritenere [cfr. Scalise 1983] che esista un altro suffisso -aio (lat. -arium) con parafrasi ‘luogo pieno di X’ (cfr. vespaio, ginepraio, letamaio, ecc.).] ha gli effetti che si possono vedere in (16) e cioè la categoria Nome “resta” Nome, il tratto [ + comune] resta [ + comune], ma il tratto [ – animato] della base diventa [ + animato] nella parola in uscita:(16) N –––> N

[–an] –––> [+an][+com] –––> [+com]

Ora, per quanto ne sappiamo, non esistono regole (con l’eccezione del caso che discuteremo nel paragrafo seguente) che, cambiando la categoria, lasciano le altre informazioni immutate. Lo si può controllare su un campione molto ampio della regola N –––> N dell’italiano:(17) forno ––> fornaio artigiano ––> artigianato

maestro ––> maestria magistrato ––> magistraturapaglia ––> pagliume bastone ––> bastonatabanca ––> banchiere Petrarca ––> petrarchistaisola ––> isolano posta ––> postinocane ––> canile schiavo ––> schiavitùbosco ––> boscaglia bosco ––> boscaiolocanna ––> canneto Calabria ––> calabreselegno ––> legname simbolo ––> -simbolistapietra ––> pietraia cittadino ––> cittadinanza

Come si può constatare, in tutti questi casi la categoria Nome ‘resta’ Nome. La prima conclusione che si potrebbe trarre, dunque, è che la testa di questo tipo di parole è a sinistra /pag. 185/:(18) N

cannaN eto

Si osservi però che non vi è coincidenza perfetta tra il nome di base e il nome derivato per quel che riguarda i tratti: in canna -> canneto, per esempio, è diverso il tratto di genere, in forno ---> fornaio è diverso il tratto [ ± animato], (come in artigiano -> artigianato è diverso il tratto [ ± astratto], in Petrarca -- > petrarchista è diverso il tratto [ ± comune].

Se si suppone che la regola che porta, diciamo, da simbolo a simbolista non cambi la categoria (o, in altri termini, che nome “resti” nome) dobbiamo pur sempre giustificare la presenza in simbolista del tratto [ + umano] che non esiste nella base, dato che la base è [ - umano]

(19) N [+um]

simboloN ista[–um]

Data la struttura in (19), dovremmo supporre che esista una regola che NON cambi la categoria ma che cambi il tratto [ ± animato]. Ma se consideriamo ora Petrarca ––> petrarchista, dovremmo concludere che esiste un’altra regola che aggiunge -ista che non cambia la categoria e nemmeno il tratto [ ± animato] (dato che Petrarca e petrarchista sono

118

entrambi [+animato]), ma che cambia il tratto [comune]. Si può facilmente ipotizzare che alla fine avremmo tante “regole -ista” quante sono le basi diverse cui il suffisso si può aggiungere.

Un’altra possibilità è di supporre che vi siano informazioni che percolano dalla base (la categoria) ed altre che percolano dal suffisso (tratti). L’ipotesi comporta dunque un meccanismo di “doppia percolazione”, come si vede in (20a) per simbolista e in (20b) per petrarchista { In petrarchista vi è poi un problema in più, dato che bisogna decidere da quale dei due costituenti proviene il tratto [ + umano].}.(20) a. N b. N

[+um] [+com] [-astr] [+um]

N ista N N ista N [–um] [+um] [–com] [+com] [+astr] [–astr] [+um] [+um]

Questo meccanismo “doppio” non sembra però avere altre motivazioni /pag. 186/ indipendenti. Adottando invece una ipotesi che provvisoriamente potremmo chiamare dell’Uscita Unica, si potrebbe supporre che ogni RFP cambi sempre la categoria della base per la semplice ragione che la regola ha un suo contenuto costante indipendente dalle informazioni associate alla base. In altre parole, la regola che aggiunge -ista avrebbe una sua informazione costante rappresentabile come segue:(21) + istaN ‘persona che...’

[ + an] [ + com]

Il contributo della base alla parola complessa dovrebbe pertanto, in quest’ottica, essere limitato alla semantica: il fatto che parole come marxista, violinista, ecc. siano nomi [ + animato], ecc. deriva dalle proprietà del suffisso -ista, non dalle proprietà della base (che, infatti può essere sia [ + animato] come in Mari, sia [ – animato] come in violino). Si noti che se non si ammette che i suffissi abbiano contenuto costante, nei tre casi appena visti bisognerebbe codificare la differenza tra il primo caso, dove la base è [ + animato], e gli altri, dove la base è [ – animato], o tra il secondo caso ( dove la base è [ + concreto] ) e il terzo (dove la base è[ – concreto] ).

La presente proposta comporta dunque una modifica del linguaggio descrittivo: nel caso di violino ---> violinista (e degli altri esempi dati in (17)), si dirà che “nome diventa nome” e che il contenuto (formale, non semantico) delle informazioni presenti nella parola in uscita a) è indipendente dalle possibili variazioni della base e b) è costante.

7.2.2. Stessa categoria e stessi trattiEsiste un solo caso in cui l’aggiunta di un suffisso, a prescindere dalla semantica, non

cambia nulla, né la categoria lessicale né i tratti associati alla base, ed è il caso dei cosiddetti suffissi valutativi, che in italiano sono tradizionalmente suddivisi in diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi, ecc. Lo schema di regola valido per questo tipo di affissi è il seguente, dove si può osservare che la categoria e i tratti associati alla base sono gli stessi di quelli associati all’uscita:(22) [ [ ]X + Suf]X

T TSe si confrontano gli effetti dell’aggiunta del diminutivo -ino con gli effetti dell’aggiunta

del suffisso -aio ad una stessa base, otteniamo il seguente quadro: /pag. 187/ (23) libro]N +ino]N libro]N +aio]N

[+com] [+com] [+com] [+com][-an] [-an] [-an] [+an]

119

… …Come si può constatare, l’aggiunta di -ino, dal punto di vista formale, non cambia

assolutamente nulla. È quindi pensabile che il meccanismo attraverso il quale le informazioni vengono trasferite dai costituenti alla parola complessa per questa classe di suffissi possa essere rappresentabile nel modo seguente:(24) x

[T]

X Suf. Val.[T]

I valutativi costituiscono una genuina eccezione alla RTD, in quanto in questo caso è plausibile ipotizzare che tutte le informazioni (sempre senza tener conto della semantica) vengano trasferite alla parola complessa dal costituente di sinistra. Ma non si tratta di un’eccezione relativa a un qualche membro dell’insieme: tutti i suffissi valutativi si comportano allo stesso modo e quindi è necessario trovare una spiegazione generale di questo fatto. Come si vedrà più avanti, i suffissi valutativi occupano una posizione particolare nella grammatica dato che sembrano essere una categoria intermedia tra gli affissi derivazionali e quelli flessivi. Ora, i suffissi derivazionali cambiano “sempre” la categoria della loro base, mentre i suffissi flessivi non la cambiano mai (cfr. 9.1. più avanti). Da questo punto di vista, i suffissi valutativi assomigliano ai suffissi flessivi.

Nel caso in analisi, la conclusione è che i valutativi più che costituire un’eccezione alla RTD non vi sottostanno per ragioni strutturali: essi non cambiano né la categoria né altre informazioni della base e quindi non possono, per definizione, essere “teste” [In certi casi i valutativi sembrano cambiare il genere (ad es. donna -> donnino); questo tipo di cambiamento non sposta la questione, nel senso che se il cambiamento riguarda informazioni relative al genere grammaticale, si tratta di un cambiamento di tipo flessivo; più avanti si sosterrà che i morfemi flessivi non sono teste.]

7.3. La testa nelle parole prefissateI prefissi non sono teste; non lo sono per definizione dato che (come si è visto sopra) non

cambiano la categoria della loro base:(25) in +adatto]A]A

ex +Jugoslavia] N]N stra + parlare]V]V /pag. 188/

Dati come quelli in (25), e come quelli in (3), possono essere raccolti da uno schema di regola come il seguente (dove a indica identità):(26) [ Pre + [ ] x] x

(26) si legge come segue: la prefissazione mantiene inalterata la categoria lessicale della base.

In italiano, la generalizzazione appena espressa è valida e differenzia nettamente la prefissazione dalla suffissazione. Vi è solo un piccolo gruppo di parole che fanno eccezione e sono le seguenti:(27) in + colore

in + sapore in + odore

Come si vede in (27), esistono dei nomi che prefissati con in- diventano aggettivi (cfr. una sostanza incolore). Questi dati, però, non costituiscono un insieme produttivo e non costituiscono dunque un serio controesempio alla RTD [I dati in (27) sembrano infatti un insieme chiuso, come dimostra I’agrammaticalità di altre combinazioni in + N (*in + valore, *in +piacere, *in +rossore).] per quanto riguarda la prefissazione. Per altre lingue, invece

120

(come ad es. per l’inglese o per il tedesco), si è sostenuto che esistono prefissi che possono cambiare la categoria della base. Analizzeremo qui il caso del prefisso en- in inglese.

7.3.1. Un controesempio in ingleseIn inglese, il prefisso en- sembra essere invece un’eccezione sistematica alla RTD:

(28) [en + [ ]A]V Es. [en + [rich]A]V ‘arricchire’

Come si vede, il prefisso in questione si comporta come una testa dato che cambia la cate-goria della base. In altre lingue germaniche, in effetti si può constatare un fenomeno analogo lo:(29) tedesco: be-freund-en ‘farsi amico’

ver-jung-en ‘ringiovanire’olandese: be-lichaam-en ‘incorporare’

ont-haar-en ‘depilare’In realtà, in inglese, vi sono due schemi possibili: uno in cui è fisicamente presente solo il

prefisso aggiunto alla base (30a) e uno in cui oltre al prefisso e alla base è presente un suffisso (30b)(30) a. en + noble b. em + bold + en ‘rendere A’

de + louse de + solfar + ate ‘rimuovere N’de + gas de + gas + ify ‘rimuovere N’ /pag. 189/

Questi due tipi di formazione sono semanticamente equivalenti, ed infatti hanno la stessa parafrasi. Gli schemi delle due strutture in questione sono dunque, rispettivamente, i seguenti:(31) a. en + Agg + en

b. en + Agg + ø semantica: ‘rendere A’

Le strutture in (31) presentano forti analogie con un tipo particolare di forme derivate, tipiche delle lingue romanze, e cioè con i cosiddetti parasintetici. Queste costruzioni hanno la proprietà qui schematicamente riassunta:(32) a + b + c in-giall-ire

ma *a+b *ingiallo*b + c *giallire

Un parasintetico è formato da tre costituenti (a + b + c) che, almeno apparentement, sono aggiunti simultaneamente alla base, dato che i primi due costituenti *(a+b) non formano una stringa grammaticale e nemmeno gli ultimi due *(b + c).

Sulla base di questa osservazione, ai parasintetici è stata tradizionalmente assegnata una struttura ternaria. Si vedrà più avanti, però, che è possibile proporre un’analisi binaria sulla base di due osservazioni: a) in italiano esiste, indipendentemente dal caso in esame, una regola che forma verbi da aggettivi(33) zitto –––> zittire

attivo –––> attivareb) i prefissi coinvolti in queste formazioni sono prefissi che si aggiungono a verbi (non ad

aggettivi): il prefisso di in-giallire è diverso dal prefisso di in-elegante [Il significato di in aggiunto ad aggettivi è di tipo negativo, mentre il significato di in aggiunto a verbi è o direzionale o intensivo.]. Ora, è un fatto che le costruzioni en +A o en + N dell’inglese sembrano corrispondere sistematicamente a costruzioni parasíntetiche delle lingue romanze:(34) en +rich ‘a(r)+ricch+ire’

en +large ‘a (1)+larg+are’ en + cage ‘in + gabbi + are’ en + bark ‘im + barc + are’

[Il prefisso a- provoca il raddoppiamento della consonante iniziale della base (cfr. ammattire, annoiare, affettare, ecc.).]

Un secondo fatto è che la semantica di questi verbi è la stessa in /pag. 190/ italiano ed in

121

inglese. Ed infine va notato che la regola vista in (33) per l’italiano funziona anche per l’inglese [Questo tipo di regole, cui abbiamo già fatto cenno sopra, è noto col nome di “conversione” o come “aggiunta di un suffisso zero”. Si tratta di regole che cambiano la categoria della base senza l’aggiunta di un affisso manifesto. Cfr. più avanti 10.5. Cfr. anche Thornton [1990] e Crocco Galèas e Iacobiní [1993]}:(35) dryA dryV ‘secco -seccare’

waterN waterV ‘acqua - innaffiare’La conclusione che se ne può trarre è che una parola considerata problematica come enrich

potrebbe essere derivata nel modo seguente:(36) a. Lessico [rich]A

b. Suffissazione [[rich]A + ø]V

c. Prefissazione [en+ [[rich]A + ø]V]V

E cioè: nel lessico vi è l’aggettivo rich; una regola di conversione (o di “suffisso zero” (cfr. 10.5)) trasforma “prima” l’aggettivo in verbo e solo a questo punto si aggiunge il prefisso en-.

Non è probabilmente un caso che tutti gli esempi problematici dell’inglese corrispondano a verbi parasintetici dell’italiano [Oltre alla corrispondenza sincronica, vi sono casi documentati di prestito: per esempio l’inglese enbark deriva dal verbo parasintetico francese embarquer.]. Si noti anche che sia in olandese che in tedesco vi è un suffisso verbale manifesto (-en), come in italiano (-are). La differenza tra inglese da una parte e olandese, tedesco, italiano e francese dall’altra sta nel fatto che in certi casi in inglese il morfema verbale non è manifesto:(37) Pre - Base -ø ingl.

Pre - Base - Suf it./ol./ted./ingl.In conclusione, in italiano non sembrano esservi prefissi che cambiano la categoria della

base. Il caso inglese esaminato (quello delle parole prefissate con il prefisso en-) sembra poter essere risolto rapportando tali costruzioni ai cosiddetti parasintetici e supponendo che l’assenza di un suffisso manifesto sia dovuta all’azione di una regola di conversione.

7.4. La testa nelle parole flesseI morfemi flessivi cambiano alcune informazioni grammaticali della base (genere, numero, ecc.) ma non cambiano la categoria lessicale e quindi non possono essere considerati teste:(38) semplice –––> semplici A –––> A

contento –––> contenta A –––> Aoroscopo –––> oroscopi N –––> Nmano –––> mani N –––> N /pag. 191/ama –––> amava V –––> Vcolloca –––> collocheremo V –––> V

Per l’inglese, è stato sostenuto che certi morfemi flessivi, come ad esempio il morfema di “tempo”, si possono trovare in posizione testa. In inglese, infatti, i morfemi di tempo occupano la posizione più a destra della parola:(39) want+ed ‘voluto’

re + consider + ed ‘riconsiderato’under + determin + ed ‘sottodeterminato’

Dato che i morfemi flessivi sono strettamente collegati alla sintassi sembrerebbe potersi concludere che sono “teste” perché occupano una posizione “testa” e che le informazioni rilevanti passano al nodo superiore nel modo seguente:(40) N

X FlessTale ipotesi si fonda però su un’osservazione parziale dei dati. Vi sono infatti lingue in cui

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ad una voce verbale si possono aggiungere più affissi flessivi e i morfemi di tempo non sono necessariamente in posizione testa. Si confrontino un esempio inglese (41a) con due esempi dell’italiano e del tedesco (41b-c):(41) a. love – ed

b. ama – v – ic. lieb – te – st

Mentre in inglese il morfema di tempo (-ed) ricorre in posizione testa, sia in italiano che in tedesco i morfemi di tempo (v e te, rispettivamente) non ricorrono in posizione testa: essi sono infatti seguiti dai morfemi di persona e numero (i e st, rispettivamente). Ciò che deve essere modificato qui non è tanto la nozione di testa, ma il meccanismo di trasferimento dei tratti dalla testa al nodo superiore, la cosiddetta percolazione, in modo che i tratti rilevanti possano derivare anche da costituenti non testa. /pag. 192/(42) amavi

amav

ama v iNe concluderemo che i morfemi flessivi non sono teste soprattutto perché non cambiano la

categoria lessicale della loro base e quindi non possono determinare le proprietà distribuzionali della parola in uscita. Concluderemo anche, però, che informazioni specifiche debbono poter percolare anche da un nodo non testa.

7.5. La testa nelle parole composteDella posizione della testa nei composti, si è già detto nel cap. 5. Riprendiamo qui, per

completezza, alcuni degli argomenti già visti, integrandoli nella presente discussione.La RTD si applica dunque anche ai composti. Ma, ancora, se questo è vero per lingue

come l’inglese (e, in generale, per le lingue germaniche), non è vero per le lingue romanze i cui composti hanno normalmente la testa a sinistra.

Identificare la testa di un composto italiano è relativamente semplice dato che tutte le informazioni grammaticali passano dalla testa al nodo superiore. In particolare, passano al nodo superiore:(43) a. la categoria lessicale

b. il generec. i tratti come [ ± animato], [ ± astratto], ecc.d. il significato,, come si può controllare dalla applicazione della condizione “E

UN”Si consideri la seguente lista di composti endocentrici in italiano:

(44) P1 P2 Uscita Esempioa. A N N altopianob. N A N camposantoc. N N N nave traghettod. N N N caporepartoe. N N N pescecane

In (44a) e in (44b) la testa è sempre il nome, indipendentemente dalla posizione in cui ricorre. Il nome è testa sia sintatticamente (tutto il composto è un nome e non un aggettivo) che semanticamente, come si può facilmente controllare applicando il test semantico “È UN”: un camposanto “È UN” campo (non È UN santo). Per i restanti casi, il test sintattico non dà risultati univoci: entrambe le parole in entrata sono nomi, così come è nome la categoria in uscita. Ma in (44c) Parolal è femminile mentre Parola2 è maschile; tutto il composto è femminile (una nave /pag. 193/ traghetto non *un nave traghetto). In (44d) entrambi i

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costituenti sono nomi ed entrambi maschili, ma Parolai è [ + animato] mentre Parola2 è[ - animato]: tutto il composto è [ + animato] (cfr. il caporeparto fa un gesto di stizza vs. *il reparto fa un gesto di stizza ). In (44e) tutti i test falliscono: quello sintattico, quello del genere, quello dei tratti; in questo caso è ancora possibile individuare la testa tramite il test semantico “ ÈUN”: un pescecane “È UN”’(tipo di) pesce’ non un ‘(tipo di) cane’.

Come si vede, negli esempi dati la testa del composto è a sinistra ed è individuabile grazie al fatto che tutte le informazioni associate alla testa percolano al nodo superiore.

Un altro criterio cui si fa spesso ricorso per identificare la testa riguarda il punto in cui si applica la flessione, dato che in genere viene flesso l’elemento testa del composto, come si può vedere qui sotto in alcuni esempi scelti:(45) nave traghetto –––> navi traghetto

divano letto –––> divani lettoIl criterio della flessione non dà però risultati univoci. Si formi il plurale dei composti dati

in (44):(46) a. altopiano –––> altopiani / altipiani

b. camposanto –––> camposanti / campisantic. nave traghetto –––> navi traghettod. caporeparto –––> capirepartoe. pescecane –––> pescecani

Come si vede, i risultati attesi si riscontrano solo in (46c) e (46d). In (46a) e (46b) gli esiti possono essere variabili e in (46e) vi è flessione alla fine del composto. Queste differenze di comportamento hanno a che fare con un complesso di fattori che si possono fondamentalmente ricondurre alla distinzione tra composti stretti e composti larghi, all’età relativa e alla frequenza d’uso del composto, nel senso che, col tempo, i confini interni del composto tendono ad indebolirsi e la parola viene percepita senza struttura interna e così ricondotta allo schema generale della flessione in italiano, cioè “a destra della parola” (cfr. giorno ––> giorni).

Stando alle nostre conoscenze attuali, non sembra che una lingua possa avere liberamente composti con testa a sinistra e composti con testa a destra. Per quanto riguarda l’italiano, infatti, i .due tipi di composti riflettono, come si è visto nel cap. 5, due diversi stadi diacronici, evidentemente collegati all’ordine sintattíco basico. Molti composti italiani con testa a destra infatti riflettono l’ordine basico della sintassi del latino (lingua SOV) mentre i composti con testa a sinistra rappresentano lo schema sincronico, l’unico produttivo; che riflette l’ordine SVO dell’italiano: /pag. 194/E7) a. Composti latini Plurale

terremoto terremotisanguisuga sanguisughe

b. Composti produttivinave traghetto navi traghettodivano letto divani letto

L’origine latina dei due composti in (47a) è evidente anche per la presenza di una vocale “latina” alla fine del primo costituente (terre / sangui ).

In conclusione, si può affermare che nei composti la testa non può essere identificata universalmente una volta per tutte: la posizione della testa può variare da lingua a lingua soprattutto in relazione all’ordine di base dei costituenti in sintassi.

7.6. Testa sintattica e testa semanticaIn questo, ed in altri capitoli ci siamo occupati solo degli aspetti “formali” della testa; ci

siamo ,cioè occupati principalmente del problema categoriale. Se si considera però anche il lato del significato, si giunge necessariamente ad un quadro diverso. Si consideri un deverbale come derisione. Sulla base di quanto si è visto sin qui, la testa della parola è il suffisso - ione,

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dato che è il suffisso a determinare la categoria Nome. La parafrasi di tale parola è ‘l’atto di deridere’. Il contributo “ semantico” del suffisso al significato di tutta la parola è dunque parziale, dato che all’interpretazione della parola contribuisce in modo sostanziale la non-testa deriso.

È dunque logico pensare che vi siano due tipi di testa: una testa sintattica e una testa semantica. In derivazione, la prima è il suffisso e la se conda la base. Zwicky (1985) ritiene infatti che in derivazione la testa semantica sia sempre la base e che ciò sia vero sia in quei casi di derivazione che non cambiano la categoria della base (come in gallo -> galletto), sia in quei casi di derivazione che cambiano la categoria (come deriso ––> derisione). Se dovessimo dunque rappresentare le osservazioni fatte in questo paragrafo in un diagramma ad albero, dovremmo dunque concludere che il meccanismo di percolazione in derivazione si può rappresentare nel modo seguente: (48) categoria

semantica

base suffisso /pag. 195/ Come si vede, si tratta di un meccanismo “doppio”, ma nel senso che dal costituente di

destra vengono trasferite al nodo superiore le informazioni categoriali e parte delle informazioni semantiche, mentre dal costituente di sinistra al nodo superiore solo informazioni semantiche.

7.7. SommarioDopo aver introdotto la nozione di testa (il costituente che attribuisce la categoria alla

parola complessa), abbiamo visto brevemente il meccanismo, detto di percolazione, che trasferisce le informazioni rilevanti dalla testa a tutta la parola complessa (7.1.). Si è poi visto che i suffissi sono sempre teste perché cambiano la categoria lessicale della loro base (7.2.). Anche quando sembra che un suffisso non cambi la categoria della base (come ad esempio nel caso dei suffissi che formano nome da nome) è plausibile sostenere che il suffisso ha un suo contenuto indipendente dalle variazioni ammesse nella base. In caso contrario si sarebbe costretti a suddividere una regola in varie sottoregole. Per codificare questo fatto, si è proposta una Ipotesi dell’Uscita Unica (7.2.1. ).

Vi è tuttavia una classe di suffissi che non cambia né la categoria né i tratti della base: è la classe dei suffissi cosiddetti valutativi. Tali suffissi costituiscono però una classe particolare di affissi, a metà strada tra derivazione e flessione (7.2.2.).

Per quel che riguarda i prefissi, si è qui sostenuto che non sono teste. Questa generalizzazione è più semplice da sostenere per certe lingue (come l’italiano) che per altre (come l’inglese) (7.3.).

Uno dei casi più resistenti alla generalizzazione della testa a destra è quello del prefisso en- in inglese, che è tradizionalmente descritto come un prefisso che cambia la categoria della base. Constatata la somiglianza tra le costruzioni inglesi en +Nome / en +Aggettivo e le costruzioni parasintetiche delle lingue romanze, si è proposta un’analisi diversa da quelle tradizionali. Ricorrendo, infatti, a dati contrastivi inglese-italiano, si è dimostrato che il prefisso in questione non è una testa poiché prima della sua aggiunta si può ipotizzare che agisca una regola di suffissazione zero (o di conversione) che porta l’aggettivo a verbo (7.3.1. ).

Esaminando la posizione dei morfemi flessivi, siamo giunti alla conclusione che questi non sono mai teste dal punto di vista categoriale, nel senso che non cambiano mai la categoria della base cui si applicano. Si è poi discussa l’ipotesi che i morfemi flessivi possano essere teste in virtù della posizione che occupano: dato che ricorrono sempre “ a destra” - è stato sostenuto - essi potrebbero essere teste. Si è mostrato, però, che questa posizione non vale per lingue come l’italiano dove vi sono morfemi flessivi che non occupano la posizione testa

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(7.4.).Si sodo analizzati poi i composti. Riconsiderando oggi le varie posizioni sostenute nei

confronti di questa classe di parole complesse, si è visto che la posizione della testa nei composti dipende dalla lingua in oggetto. In inglese la testa è sistematicamente a destra ma vi sono lingue /pag. 196/ con composti la cui testa è a sinistra (come, ad esempio, le lingue romanze). Non solo, anche all’interno di una stessa lingua si può dare la doppia possibilità. Per spiegare questo fatto, si è suggerito che in italiano la ragione è da ricercarsi nell’interferenza di due schemi: uno dovuto ad una sopravvivenza di forme “latine” e uno produttivo. Le due possibilità sono poi legate all’ordine basico degli elementi in sintassi. In nessun caso, però, è possibile sostenere che la testa dei composti si può localizzare solo posizionalmente: la posizione della testa dei composti di una data lingua deve essere individuata in base a confronti incrociati morfologia/sintassi (7.5.). Si è poi precisato che la testa categoriale può essere diversa dalla testa semantica, il che è particolarmente evidente per quel che riguarda la derivazione, dove il contributo semantico della non-testa è determinante per l’interpretazione della parola complessa (7.6.).

In conclusione, la posizione della testa in italiano è a destra per quel che riguarda la derivazione (prefissazione e suffissazione) ed è a sinistra per quel che riguarda la flessione e la composizione.

/pag. 196/

7.8. Indicazioni bibliograficheTesta: Scalise [1988b]; Trommelen e Zonneveld [1986]; Williams [1981].Percolazione Di Sciullo e Williams [1987]; Lieber [1988]; Selkirk [1982]; Sproat [1985].

CAPITOLO 8: CONDIZIONI SULLE REGOLE DI FROMAZIONE DI PAROLA

8.0. IntroduzioneUn problema cui dà luogo un approccio basato sulla nozione di “regola”, come quello che

abbiamo qui adottato, è che le regole possono essere dei meccanismi molto potenti che “ipergenerano”, che formano cioè più tipi di stringhe di quelli che la lingua in questione effettivamente ammette. Le condizioni hanno lo scopo di limitare il potere delle regole, in modo che esse si applichino correttamente alla propria base generando solo le uscite grammaticali.

Le condizioni sulle RFP che discuteremo in questo capitolo possono essere distribuite in tre grandi gruppi: a) condizioni di visibilità (ipotesi lessicalista, ipotesi dell’integrità lessicale e condizione di adiacenza), b) condizioni sulla base (ipotesi della base non flessa, condizione sui sintagmi e ipotesi della base unica) ed infine c) condizioni sull’uscita (ipotesi di ramificazione binaria e blocco).

8.1. L’integrità lessicaleLa differenza tra due teorie o tra due subteorie è anche una differenza di “vocabolario”. Si

potrebbe dire, nel nostro caso, che il vocabolario della sintassi è naturalmente distinto dal vocabolario della morfologia, così come quello della fonologia è distinto da quello della morfologia.

Tra i vari componenti della grammatica, però, vi è sempre qualche zona di sovrapposizione. Abbiamo infatti visto che la sintassi opera su frasi, sintagmi e categorie lessicali) e che la morfologia opera su categorie lessicali e su forme legate di vario tipo, e che pertanto sintassi e morfologia hanno un livello in comune, quello delle categorie lessicali:

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/pag. 199/ (1) dominio Frasi

della Cat. sintagmatichesintassi cat.lessicali dominio

Forme legate della morfologiaCiò significa che le regole morfologiche non operano su categorie sintagmatiche e che le

regole sintattiche non operano su forme legate, come gli affissi [L’ipotesi secondo cui le regole morfologiche non operano su categorie sintagmatiche verrà discussa nel paragrafo 8.4.]

Ma in che senso la sintassi può operare sulle categorie lessicali? Mentre la morfologia può operare dei cambiamenti di categoria, la sintassi non può farlo, ma si limita a tenere conto della loro valenza esterna. Alla sintassi, come si è già detto nei primi capitoli, non importano i modi in cui un verbo è arrivato ad essere un verbo ma importa, per es., che un verbo sia transitivo o intransitivo perché da questo dipende la presenza o meno di un complemento oggetto.

Nel cap. 3, abbiamo proposto una rappresentazione delle parole di cui sono parte integrante i confini di parola. Tali confini delimitano ogni tipo di parole e quindi sia le parole semplici che le parole complesse:(2) #ieri#

#disatomizzeranno# #precipitevolissimevolmente#

I confini di parola possono essere interpretati come un limite invalicabile per la sintassi. Alla sintassi sarà possibile “conoscere” la categoria esterna della parola, ma nessuna informazione interna. In altri termini, alla sintassi, l’etichetta Nome che è interna alla parola dis[atom1ixzeranno non è accessibile sotto alcun riguardo [In realtà, come si vedrà nel paragrafo seguente, anche alle regole morfologiche tale informazione non è più accessibile a ciclo ultimato.].

Non esistono dunque regole sintattiche la cui applicazione o il cui funzionamento può dipendere da una informazione “interna” alla parola. Questo è il nucleo della cosiddetta ipotesi dell’ i n t e g r i t à lessicale (IL).

Questa ipotesi sancisce una netta differenza di ruoli tra i due componenti della morfologia e della sintassi. Una versione dell’ipotesi dell’integrità lessicale è la seguente:(3) le regole sintattiche non possono fare riferimento ad alcun aspetto della struttura interna delle parole

La parola darvinista è una parola derivata, la cui struttura interna abbiamo imparato a rappresentare nel modo seguente: /pag. 200/

(4) [[Darwin]N +ista]N

La parola Darwin (un nome [ – comune] [ + animato], ecc.), che fa parte della struttura interna della parola, non è accessibile alle regole sintattiche, come prova la non grammaticalità della frase seguente, dove lui non può essere coreferenziale con Darwin:

(5) Questo [darwini ista] non è d’accordo con lui*i

La stessa situazione si verifica con i composti. Si consideri la frase in (6), dove il pronome li non può essere coreferente con piatti che è il secondo membro del composto lavapiatti:

(6) Ho comperato una [[lava][piattii ]] che non li*i lava bene

Le regole sintattiche possono quindi spostare delle categorie sintagmatiche o mettere in relazione delle categorie, ma non possono manipolare categorie più “piccole” delle categorie lessicali o entrare all’interno della struttura delle parole complesse. L’ipotesi dell’integrità lessicale non è propriamente una condizione sulle RFP: essa sancisce un confine tra morfologia e sintassi. Una vera condizione sulle RFP che riguarda la “visibilità” delle informazioni linguistiche all’interno delle parole è la condizione di adiacenza.

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8.2. La condizione di adiacenzaLimiti di accesso alla struttura interna delle parole ne esistono non solo per la sintassi, ma

anche per la morfologia. In questo quadro, il problema è di stabilire quali informazioni della base sono accessibili ad una data RFP. In altri termini, cosa “vede” una RFP? Sopra abbiamo detto che i confini di parola sono confini invalicabili per le regole sintattiche. Ciò è vero anche per le RFP? Si consideri la seguente struttura astratta:

(7) [#[#[#[# #]T +Suf1#]X +Suf2#]Y +Suf3#]Z

ll problema è il seguente: l’ultimo suffisso, Suf3, quanto può “vedere” della struttura interna della sua base? In altri termini, l’aggiunta di Suf3 può in qualche modo dipendere da informazioni realizzate su X, o su T, oppure dipende solo dalle informazioni relizzate su Y, cioè da informazioni realizzate sull’ultimo suffisso aggiunto?

Naturalmente lo stesso problema si pone anche per la prefissazione, e lo si può visualizzare come segue:

(8) [#Pre3 + [#Pre2 + [#Pre1 + [# #]X #]X #]X #]X

Una possibilità ovvia è che le RFP possano essere sensibili solamente ai tratti associati all’ultimo affisso aggiunto. In generale, /pag. 201/ possiamo dire che, data la seguente struttura morfologica, un affisso (Z) ha accesso a Y ma nona X:(9) ]X ]Y ]Z

x È questa la cosiddetta condizione di adiacenza {La formulazione originaria di CA è la

seguente: “Nessuna RFP può coinvolgere Z e Y, dove Z è un affisso, a meno che Y non sia unicamente contenuto nel ciclo adiacente a Z” [Siegel 1977]} che è un principio generale, valido per tutte le regole operanti nel componente morfologico {CA è una derivazione della condizione di soggiacenza elaborata in sintassi [cfr. Chomsky 1973 e SINTASSI 8.4.2.]. Sull’adiacenza in altri componenti della grammatica, cfr. van Riemsdijk [1982]. Per una applicazione alla composizione, cfr. Scahse [1983]}.(10) [ [ ] [ ]X ]Y + Suf]Z

X

La condizione di adiacenza è una condizione importante perché limita il numero delle regole concepibili [Per esempio elimina dalla grammatica tutte le regole che si basano su nozioni come “deverbali”, “denominali”, ecc. Un suffisso che si aggiungesse solo, per es., ai nomi deverbali violerebbe CA. Per vedere questo punto, si consideri la struttura seguente: “... ]VIN + Suf”. Se Suf si aggiungesse solo a deverbali vorrebbe dire che l’aggiunta di Suf dipenderebbe, oltre che da N, anche da V. In altri termini, Suf “vedrebbe” il nodo V, ciò che appunto è impedito da CA]. (CA)], anche per la composizione. Essa prevede che un suffisso sia sensibile all’ultimo morfema della base e che un prefisso sia invece sensibile al primo morfema della base. Oppure, nel caso della composizione, che un suffisso sia sensibile alle informazioni realizzate sulla parentesi più esterna, come si vede qui sotto:] e il loro funzionamento. Vediamo alcuni casi iniziando dalla struttura in (11):(11) A. Z

Y

X Sufl Suf2b. [[[ ]X + Suf1]Y + Suf2]Z

CA prevede che l’aggiunta di Suf2 sia sensibile alla presenza di Suf1, e non a X. Cioè, Suf2 “vede” solo i tratti realizzati su Y (cfr. (1la)), ed ètotalmente indifferente a X (sia esso semplice o derivato). In questo esempio, si noti che le informazioni linguistiche (come categoria e tratti) passano, attraverso quel meccanismo che abbiamo chiamato di percolazione in 7.1., da Sufl a Y.1 seguenti dati confermano la previsione: /pag. 202/

128

(12) a. X Suf1 Suf2organ izza zinneorgan izza *mentofavol eggia *zíonefavol eggia mento

b. odi oso itàodi oso *ezzalod evole *itàlod evole ezza

In (12a) -zione si aggiunge a basi in X-izza (e non a basi in X -eggia), mentre -mento si aggiunge a basi in X-eggia (e non a basi in X-izxa). In (12b) -ità si aggiunge a basi in X-oso e non a basi in X-evole, mentre -ezza si aggiunge a basi in X-evole ma non a basi in X-oso. In entrambi i casi è confermato dunque che l’aggiunta di Suf2 dipende da Suf1 e non da X.

La condizione di adiacenza non è una condizione di adiacenza lineare, ma di adiacenza strutturale. Per apprezzare questa differenza, si consideri la struttura seguente:

(13) Z

Y

Pre X SufSe CA si riferisse soltanto all’adiacenza lineare, allora l’aggiunta del prefisso sarebbe

sensibile solo a X e -non alle informazioni realizzate su Y (che derivano, per percolazione, da Suf). In realtà, CA funziona in congiunzione con la nozione di testa e il prefisso è sensibile alla testa presente nella sua base, che è il suffisso. In sostanza, in (13 ) il prefisso èsensibile alle informazioni realizzate sul nodo Y e non alle informazioni realizzate su X. A riprova di quanto detto, si considerino i seguenti dati. In italiano, vi sono degli aggettivi deverbali in -bile e -ato:(14) a. alienabile b. abitato

domabile adattatocontrollabile ancoratomangiabile preparatoosservabile disciplinato

Tra i prefissi negativi in italiano vi sono in- e dis-. Se, in strutture come quelle in (13), i prefissi negativi non fossero sensibili al suffisso di una parola, potremmo trovare tutte le combinazioni seguenti: /pag. 203/ (15) a. A b. A

Pre A Pre A

V Suf V Suf

in X bile in X ato

c. A d. A

Pre A Pre A

V Suf V Suf

dis X bile dis X ato

129

Non tutte queste combinazioni sono, però, possibili. Infatti, (15c) deve essere escluso, come si vede in (16c):(16) a. in-mangiabile** b. in-preparato

in-praticabile in-disciplinatoin-controllabile in-vendicato

c. *dis-mangiabile d. dis-abitato*dis-osservabile dis-adatto*dis-praticabile dis-ancorato

[**A queste forme si dovrà poi applicare la RR di assimilazione della nasale (cfr. [FONOLOGIA 4.1.]) che porta, per es., in +mangiabile a im+mangzizbile.]

Questi esempi mostrano che la prefissazione è sensibile alla presenza del suffisso. In questo caso specifico, se la base del prefisso termina in -ato, allora può essere negata con entrambi i prefissi in- e dis- (16b-d); invece, se la base termina con -bile, può essere negata solo con in- (16a) ma non con -dis (16c) {Esistono parole come dissolvibzle, disponibile, ma queste parole non hanno la struttura richiesta, che è [dis+ [[V] +bile]]. Hanno invece la struttura [[dis+ [V]] + bile]}.

In sostanza, per poter negare un aggettivo complesso tramite prefissazione, è necessario che il prefisso “veda” la testa dell’aggettivo di base.

Ciò conferma che la condizione di adiacenza non è una condizione lineare ma una condizione che riguardala “profondità” delle strutture morfologiche. In altri termini, la condizione di adiacenza prevede che l’aggiunta di un suffisso aduna parola con etichetta esterna Y sia sensibile solo alle informazioni realizzate su Y {In questa formulazione, si è tenuto conto anche della versione di CA data da Williams [1981 a] e da lui chiamata Condizione Atomo: “Una restrizione sull’aggiunta di Affisso a Y può riferirsi soltanto a tratti realizzati su Y”. Per un confronto tra la condizione di adiacenza e la condizione atomo, cfr. Scalise e Zannier [1983]}. La condizione di adiacenza /pag. 204/ dipende pertanto dalla nozione di testa e dal meccanismo di trasferimento delle informazioni dalla testa al tutto.

8.3. L’ipotesi della base non flessaSecondo l’ipotesi della b a s e n o n f 1 e s s a (IBNF) la base di una regola morfologica

non ha marche di flessione o, detto in altri termini, una forma flessa non può fungere da base ad una RFP.

L’assunto iniziale di questo manuale è che nel Lessico le parole siano immagazzinate sotto forma di “tema” (es. pens+a, libr+o). Tale assunto è quindi in linea con l’ipotesi qui in discussione, nel senso che la a di pensa e la o di libro sono vocali “ tematiche” e non morfemi flessivi. Nei derivati non si osservano di norma forme flesse (cfr. vinaio) nemmeno quando la semantica richiede una lettura “plurale” della base (libraio è un ‘venditore di libri’ non un ‘venditore di libro’). Nei derivati (con suffissi che iniziano per vocale) a rigore, non si possono osservare né forme flesse né forme non flesse, dato che CV cancella la vocale rilevante come si può vedere per dantista che è sicuramente uno ‘specialista di Dante (singolare)’, versus dentista che è sicuramente uno ‘specialista di denti (plurale)’. In derivazione, dunque, è difficile controllare empiricamente la validità dell’IBNF perché la vocale rilevante non è fisicamente presente (con l’eccezione delle formazioni in -mente, cfr. amaramente, che discuteremo in 9.1.).

Per quanto riguarda la composizione, l’ipotesi è verificata nella stragrande maggioranza dei cas [Possono costituire un’eccezione a quanto detto composti A+ N come mezzanotte (di contro a mezzogiorno), mezzaluna, ma anche composti N +A come terracotta cassaforte. In questi composti, sembra esservi, come si è visto, una sorta di “accordo” Nome–Aggettivo, come si constata anche nei plurali mezzenotti, casseforti.], come si può constatare osservando vari tipi di composti, sicuramente formati con basi non flesse:

(17) cassapanca

130

porcospino capogiro

È però proprio in relazione alla composizione che IBNF incontra due tipi di problemi. Il primo problema riguarda la forma del verbo di composti V + N come portabagagli.

Sono state avanzate almeno tre proposte diverse relativamente alla forma del costituente V: il verbo potrebbe essere a) l’imperativo, b) la terza persona singolare del presente indicativo, c) la forma del semplice tema (cioè radice più vocale tematica). La forma che i verbi assumono in composizione è regolare e costante: “radice+a ” per i verbi della prima coniugazione (18a), “radice+i ” (18a), per i verbi della seconda (18b), “radice +i ” peri verbi della terza (18c): /pag. 205/ (18) a. Portapacchi b. rompiscatole c. spartiacque

grattacielo perditempo dormivegliavoltagabbana prendisole copriletto

Si osservi ora il comportamento di alcuni nomi deverbali derivati da verbi della prima (19a), della seconda (19b) e della terza coniugazione (190:(19) a. lavoratore b. bevitore c. cucitore

formazione ripetizione ammonizioneaffondamento accadimento irrigidimentosceneggiatura mungítura fioritura

Si può facilmente constatare che la distribuzione delle vocali in esame èesattamente identica a quella che si trova in composizione. Intuitivamente, quindi, sembra corretto pensare che qualsiasi proposta di soluzione venga avanzata debba valere sia per la composizione che per la derivazione.

Si osservi ora la distribuzione che si trova, rispetto alle vocali tematiche, nell’imperativo, nella terza persona singolare del presente indicativo, in composizione e in derivazione:(20) coniugazione I II III

vocale tematica a e iimperativo a i iIII pers. ind. pres. a e ecomposizione a i iderivazione a i i

Come si vede, la soluzione formalmente più semplice sarebbe di sostenere l’ipotesi “imperativo”, ma dal punto di vista semantico nei composti V + N non vi è alcuna traccia di “imperatività”. Se poi la soluzione proposta per i composti deve valere anche per i derivati, allora l’ipotesi “imperativo” è del tutto insostenibile. Per derivati come fioritura, accadimento, lavoratore nessuno, a nostra conoscenza, ha mai sostenuto che la base possa essere un imperativo. Sia nei composti che nei derivati non v’è traccia di significati né di tipo imperativo, né di tipo “indicativo presente”, per cui sembra plausibile assumere che le vocali in questione siano le vocali tematiche e che pertanto il primo costituente di composti V + N e di derivati deverbali sia il tema.

La soluzione appena proposta, permette di concludere che gli esempi qui discussi non sono controesempi alla IBNF. Per giungere a questa conclusione, si è visto anche che delle tre vocali tematiche dell’italiano, due restrano inalterate (a ed i) ed una subisce un cambiamento sistematico (e ––> i ). Ciò è vero per tutta la morfologia delle parole complesse il cui primo costituente è un verbo. Tutta la morfologia deverbale ha dunque come base il tema (cfr. anche quanto visto in 2.2.4.) ed abbisogna di una sola regola di riaggiustamento che cambi la vocale tematica dei verbi della seconda coniugazione. /pag. 206/

Il secondo problema riguarda ancora i composti V + N, in particolare il costituente N. In questo tipo di composti si trovano infatti sia casi in cui N è singolare (21a), sia casi in cui N è plurale (21b):(21) parafulmine b. portalettere

131

paravento accendisigarisalvagente rompiscatolecavalcavia portamoneteportabandiera tirapiedi

Si noti innanzitutto che anche per alcune forme del tipo (21a) sono possibili forme plurali: almeno nel parlato si può dire parafulmini. Ma parafulmini e portalettere (come sappiamo dalla discussione sul plurale dei composti di 5.9.) rappresentano strutture diverse: il primo infatti è il plurale di parafulmine ed ha la struttura illustrata in (22a) mentre il secondo non è il plurale di ‘‘portalettera ed ha la struttura in (22b):(22) a. N b. N

N V N

V N porta lettera i

para fulmine iCome si è visto in 5.9.1., il plurale in parafulmini è un plurale “esterno” al composto

mentre il plurale in portalettere è un plurale “interno” ed èquest’ultima forma che è problematica per IBNF dato che qui la regola di composizione ha aggiunto al verbo un nome plurale. (22b) è una eccezione genuina alla IBNF perché l’unica conclusione che se ne può trarre è che il plurale di lettera è stato formato “ prima” che la RC abbia agito. Si noti che il plurale del nome lettere non ha alcun effetto sintattico dato che portalettere (come accendisigari e gli altri nomi di questo tipo) sono ambiguamente sia nomi singolari che plurali.

Da quanto visto, si può concludere che l’ipotesi della base non flessa è un’ipotesi corretta sia per la derivazione che per la composizione. Delle due potenziali eccezioni discusse in questo paragrafo ed entrambe riguardanti i composti V+ N, la prima, quella relativa al costituente V, non è un’eccezione in quanto la forma verbale è un tema, non una forma flessa; la seconda, quella relativa al costituente N, è più problematica. II composto, in questi casi, prende come base una forma flessa, un nome plurale. Tale plurale però è esclusivamente lessicale e non ha conseguenze per la sintassi: si può infatti dire un portalettere premuroso, /pag. 207/ dove l’accordo tra il determinante (maschile singolare), l’aggettivo (maschile singolare) e il nome composto non è fatto sulla base di lettere (femminile plurale)).

8.4. La condizione sui sintagmiLa condizione sui sintagmi (CSS) esprime il fatto che una RFP può avere per base solo

categorie lessicali maggiori ma non categorie sintagmatiche o frasali. Questo punto è stato verificato praticamente in tutto questo manuale dato che tutte le RFP che abbiamo visto e discusso si applicano a categorie lessicali maggiori (nomi, verbi, aggettivi, preposizioni) ma non ad unità ‘più grandi’. Che questo sia il caso deriva dalla organizzazione della grammatica che si è propo-

sta nei primi capitoli. Il componente lessicale è costituito dal lessico e dalle RFP: è dunque logico che l’entrata delle RFP sia costituita da ciò che è immagazzinato nel lessico, dunque - di norma - parole (ma non sintagmi o frasi che vengono costruiti nel componente sintattico).

Sembrano però esistere delle eccezioni alla CSS. Si considerino le formazioni seguenti:(23) a. guerrafondaio (da guerra a fondo)

acquacedrataio (da acqua cedrata)b. pressapochismo (da press’a poco)

radiosomaggismo (da radioso maggio)c. doppio lavorista (da doppio lavoro)

centometrista (da cento metri)

132

In tutte queste costruzioni, il suffisso si aggiunge all’intero sintagma e non solo all’ultima parola. Si consideri acquacedrataio: se -aio fosse aggiunto solo all’ultima parola allora avremmo un passaggio *cedrataio che non è grammaticale dato che -aio si aggiunge a nomi non ad aggettivi (e infatti *cedrataio da cedrata non è una parola possibile). La struttura (semplificata) di acquacedrataio è dunque quella in (24a) e non quella in (24b):(24) a. [acqua + cedrata] +aio

b. *acqua + [cedrata + aio]Se si osservano attentamente i sintagmi in (23), però, si può constatare che si tratta di

sintagmi lessicalizzati, vale a dire sintagmi con significati non regolari o non prevedibili (ad es. cento metri, che in questo caso si riferisce ad una specialità atletica). I sintagmi lessicalizzati non sono formati da regole ma, come si è visto in 3.3.5., sono immagazzinati nel lessico con i loro significati idiomatici. Dato che tutto ciò che è nel lessico è potenzialmente soggetto all’azione delle regole morfologiche, èlogico che sintagmi lessicalizzati possano costituire delle entrate per le RFP.

Non ci aspettiamo invece che sintagmi non lessicalizzati possano soggiacere alle RFP ed infatti, come si può controllare qui di seguito, se tentiamo di aggiungere gli stessi suffissi a sintagmi non lessicalizzati, otterremo forme non accettabili: /pag. 208/(25) centosettantanove metri –––> *centosettantanovemetrista

radioso pomeriggio –––> *radiosopomeriggismodi riflesso –––> *diriflessaio

Inoltre, la possibilità che un affisso ha di prendere per base un sintagma è molto ristretta. In particolare, in (23) vediamo che questo processo è limitato ad alcuni suffissi: -ista, -ismo, e -aio, e, in realtà, possiamo ridurre questa lista ai primi due suffissi, poiché -aio non è più produttivo in italiano.

Esistono in afrikaans alcuni esempi che sembrano violare la CSS. Si tratta di strutture del tipo SN +postposizione (ad es. kerk-toe-stapery ‘il fermarsi in chiesa’), preposizione + SN (ad es. agter-die-muur-rook-er ‘fumatore dietro il muro’),’ avv. + SP (ad es. laat-in-die-bed-kom-ery ‘l’andare tardi a letto’), SN + SP (ad es. boek-in-die-bed-lees-ery ‘il leggere libri a letto’), e SP +SP (ad es. met-die-band-in-die-band-staan-ery ‘lo stare mano nella mano’). Queste formazioni sembrano essere piuttosto produttive in afrikaans, ma, ancora una volta, si tratta di formazioni possibili solo con un piccolo gruppo di suffissi e sembrano essere formazioni in qualche modo marcate (ad es., possibili solo in registri colloquiali-scherzosi).

Per quel che riguarda la composizione, la restrizione in esame sembra confermata da esempi come il seguente:(26) sintassi morfologia

The Bronx *The Bronx hater*Bronx Bronx hater‘Il Bronx’ ‘odiatore del Bronx’

Una costruzione equivalente a un sintagma (Tbe Bronx) se viene incorporata in una struttura morfologica come un composto, perde il suo stato di sintagma e ‘diventa’ un nome: nel composto, pertanto, non compare l’articolo tbe ‘il’. In italiano, questo si può verificare con la composizione V+ N dove N non è un sintagma ma un nome (portascarpe vs. *portalescarpe, che non è un composto possibile) [Questa osservazione non è vera, però, per gli antroponimi (cfr. Bevilacqua, Segalerba, Cantalamessa) o per i toponimi (cfr. Scaricalasino (oggi Mongbidoro)).].

Altri dati, come i cosiddetti composti sintagmatici, di cui si danno alcuni esempi in (27), sono stati discussi nel cap. 5 dove si è messo in dubbio che si tratti di veri e propri composti:(27) a pipe and slipper husband

‘un marito pipa e pantofole’a pleasant to read book‘un libro piacevole da leggere’

133

Se ne può concludere che la CSS è una condizione che correttamente /pag. 209/ delimita le basi possibili di una RFP. Vi sono infatti forti restrizioni all’applicazione delle RFP a basi più grandi di una parola, o meglio, più grandi di una categoria lessicale maggiore. In particolare questa possibilità sembra essere limitata ai sintagmi lessicalizzati un punto rilevante per l’organizzazione del lessico, poiché conferma che nel lessico, oltre alle parole semplici, deve essere elencato anche questo tipo di sintagmi.

8.5. La base unicaSecondol’ipotesi della base unica (IBU),unaffisso si aggiunge ad una categoria lessicale e

ad una sola [Aronoff [1976]. Ciò significa che una regola di suffissazione non può prendere come base sia verbi che nomi, ma o verbi o nomi. E se si trova un affisso che si aggiunge ad entrambe queste categorie, allora se ne deve concludere che si tratta di due affissi omofoni [Per corroborare tale conclusione, sarà poi necessario riscontrare altre differenze formali. Cfr. Aronoff [1976]].

Prima di esaminare la validità empirica dell’ipotesi della base unica è necessario fare due osservazioni. Innanzi tutto, oltre all’ipotesi in discussione è necessario ricorrere ad un’altra ipotesi e cioè all’ipotesi del1’ u s c i t a u n i c a. Questa seconda ipotesi, cui si è già accennato in 7.2.1., esclude che un solo affisso possa produrre uscite categorialmente diverse o con semantica diversa. In altri termini, se un affisso forma nomi e verbi, o se forma parole con semantica diversa, allora è possibile che si tratti di due affissi diversi. Si considerino due parole come quelle in (28):(28) a. sbloccare

b. sgobbareLe due parole sembrano a prima vista essere del tutto simili. Non sembra però possibile

analizzare il prefisso s- come “lo stesso” prefisso. Infatti la semantica non è la stessa nei due casi. In (28a), s- ha un significato “contrario”, mentre in (28b) ha un significato “iterativo” o “intensivo”. È possibile dunque supporre che vi siano due prefissi s- come sembra potersi efettivamente concludere sulla base di altri dati come i seguenti:(29) a. contrario b. iterativo

sconfessare sferruzzarescombaciare sfarfallarescongelare sgroppare

In questo caso specifico, poi, alla differenza semantica si aggiunge una /pag. 210/ differenza formale di non poco conto, e cioè che se si toglie il prefisso alle forme in (28a) e (29a) resta un verbo, se si toglie il prefisso alle forme in (28b) e (29b) non resta un verbo esistente. Ciò fa supporre che i verbi in (29b) siano un tipo particolare di verbi e cioè dei parasintetici.

La seconda osservazione è che, analizzando le basi selezionate da un certo affisso, è necessario prendere in considerazione solo dati dello stesso asse sincronico poiché la produttività di un affisso con basi specifiche può cambiare nel corso del tempo; si vengono così a creare dati contrastanti che, per la correttezza delle analisi, debbono essere tenuti separati. Ad esempio, forme come amabile e come risibile potrebbero portare alla conclusione che il suffisso -bile seleziona ora il tema ora il participio passato. Un’analisi più accurata dei dati rivela che sincronicamente il suffisso seleziona il tema e che le forme in cui il suffisso seleziona il participio passato sono di origine “latina” (cfr. 8.5.4.).

Nei paragrafi seguenti esamineremo la validità empirica della IBU ed eventuali suoi limiti di applicazione.

Vi sono molti suffissi che scelgono una base ed una sola: ad esempio -mento, -zione, -tore si aggiungono solo a verbi, -ezza, -ità, -itudine si aggiungono solo ad aggettivi, -ale, -evole, -ico si aggiungono solo a nomi, ecc.

È tuttavia facile imbattersi in esempi di suffissazione che a prima vista sembrano violare

134

l’IBU. Si considerino i seguenti dati:(30) a. -anza V –––> N tolleranza (da tollerare)

A –––> N lontananza (da lontano)b. -esimo N –––> N incantesimo (da incanto)

A –––> N umanesimo (da umano)c. -im V –––> N mangime (da mangiare)

A –––> N grassime (da grasso)d. -ia N –––> N maestria (da maestro)

A –––> N cortesia (da cortese)Questi esempi sembrano violare la IBU per il fatto che lo stesso suffisso viene aggiunto a

due basi categoriali diverse. Per esempio, -anza sembra potersi aggiungere a verbi e ad aggettivi, -esimo a nomi e ad aggettivi, e così via. Un esame più attento dei dati rivela che, in realtà, c’è una sottoregolarità nella violazione riscontrata. Cioè, in tutti i casi elencati in (30) il suffisso si aggiunge ad aggettivi e nomi, o ad aggettivi e verbi. Nei termini della teoria dei tratti sintattici, il primo gruppo può venir caratterizzato come [ + N], mentre il secondo gruppo come [ + V] {Si ricordi che nella teoria X-barra [cfr. Chomsky 1970 e SINTASSI 5.3.], il nome èclassificato come [ + N, - V], aggettivo come [ + N, + V] e il verbo come [ - N, + V]. [+N] comprende nomi ed aggettivi, mentre [+V] comprende verbi ed aggettivi.}. Non è dunque vero che i suffissi si aggiungono sempre ad una Non è dunque vero che i suffissi si aggiungono sempre ad una /pag. 211/ base unica caratterizzata nei termini delle categorie lessicali tradizionali; è però vero che essi si aggiungono a basi che possono essere caratterizzate da un unico tratto di categoria lessicale. IBU può essere pertanto riformulata nei termini seguenti:(31) Ipotesi Modificata della Base Unica (IMBU)

Un suffisso può essere aggiunto solo a basi che formano una classe sintattica definibile

o come [ + N] o come [ + V].Secondo IMBU, un dato suffisso può essere aggiunto o ad Aggettivi ed a Nomi ([ + N] ), o

ad Aggettivi e a Verbi ([ + VI), ma non a Nomi e a Verbi contemporaneamente, poiché queste due categorie non hanno un tratto di categoria lessicale in comune.

La IMBU permette di rendere conto della maggior parte dei casi di suffissazione (per esempio tutti quelli in (30)). Restano tuttavia ancora dei casi che sembrano violare anche questa ipotesi. Si considerino i seguenti suffissi italiani:(32) a. -ic- A –––> V zoppicare

N –––> V nevicareV –––> V affumicare

b. -ingo A –––> A solingoN –––> A ramingoV –––> A guardingo

c. -ismo/ N –––> N petrarchismo/ista-ista A –––> N socialismo/ista

V –––> N determinismo/istad. -ata N –––> N cucchiaiata

V –––> N mangiatae. -ino N –––> N postino

V –––> N imbianchinoN –––> A bovino

In (32a-c), uno stesso suffisso si aggiunge a tre basi categorialmente diverse (A, N, V), e in (32d-e) a due basi (N, V). In tutti questi casi, è impossibile caratterizzare le basi nei termini di un unico tratto di categoria lessicale, poiché comprendono la combinazione di Nome e Verbo. Nei paragrafi seguenti esamineremo alcuni di questi casi problematici e mostreremo che i dati

135

visti, se analizzati nei dettagli, non sono veri controesempi all’ipotesi in esame.

8.5.1. N, V, A + SuffissoI suffissi -ic-, -ismo/-ista e -fingo sembrano aggiungersi a basi appartenenti a tre diverse

categorie lessicali: Nome, Verbo, Aggettivo.Si consideri per primo il caso di -ic-. Tekavcic (1972: 136) lo considera /pag. 212/ un

suffisso ma vi sono elementi per ritenere che si tratti piuttosto di un infisso. Infatti, -ic- ricorre solamente all’interno di parole, non alla fine. Inoltre, nell’esempio dato da Tekavcic (affumicare), non è per nulla sicuro che -ic- si aggiunga ad un verbo, sembra invece che si aggiunga ad un nome: non si tratta quindi di una normale derivazione ma di un caso di formazione di parola parasintetica, per cui la base non è il verbo fumare ma il nome fumo.

I soli casi in cui -ic- si aggiunge a verbi sono quelli in cui viene infisso all’interno di un verbo già esistente, aggiungendo solamente un valore frequentativo (ad es. inciampare/inciampicare). In questi casi, quindi, non si tratta evidentemente dello stesso processo che si applica ai nomi (es. neve / nevicare), ed agli aggettivi (es. zoppo / zoppicare), dove l’aggiunta di -ic- funziona come una vera RFP, cambiando la semantica ed anche la categoria lessicale della base. Ne possiamo concludere che vi sono due regole diverse di aggiunta di -ic-: una di infissazione frequentativa che si applica a verbi, ed una di derivazione che si applica a nomi ed aggettivi. Questa seconda regola, quindi, non viola la IMBU poiché si applica ad un insieme di parole caratterizzate dal tratto sintattico [+N].

Il secondo suffisso, -fingo, pone un problema diverso. Infatti, come si è già detto (1.7.1. ), le sole parole elencate nel Dizionario Inverso dell’italiano sono le seguenti: casalingo e ramingo derivate dai nomi casa e ramo, solingo dall’aggettivo solo, e guardingo dal verbo guardare. Da questi pochi esempi, risulta evidente che -fingo non viene aggiunto da una regola produttiva dell’italiano contemporaneo, e pertanto non costituisce un controesempio alla IMBU.

Considerazioni analoghe possono essere fatte in relazione al terzo tipo di suffissi, -ista e -ismo. In un vasto campione di nomi terminanti in -ista e -ismo, solo tre risultano derivati da un verbo: apprendista da apprendere, determinista/determinismo da determinare e arrivista/arrivismo da arrivare. Ancora una volta, il fatto che si trovino così pochi esempi di applicazione di questa regola dimostra che essa non è produttiva, e quindi non è in conflitto con la regola generale dell’aggiunta di -asta/ -ismo. La regola generale aggiunge molto produttivamente i suffissi in questione a Nomi e ad Aggettivi, che è una combinazione caratterizzabile come [ + N]. Anche in questo caso, pertanto, quello che sembrava essere un controesempio alla IMBU si rivela non essere tale.

8.5.2. N, V + ataIl suffisso -ata, sembra aggiungersi produttivamente sia a nomi che a verbi, violando sia

l’IBU che 1’IMBU. Consideriamo innanzi tutto la semantica relativamente complessa di questo suffisso: /pag. 213/ (33) a. piede –––> pedata ‘colpo di X’

b. cucchiaio –––> cucchiaiata ‘quantità contenuta in X’c. cretino –––> cretinata ‘atto da X’d. cancello –––> cancellata ‘insieme di X’e. anno –––> annata ‘periodo di X’f. arancio –––> aranciata ‘spremuta di X’g. mangiare –––> mangiata ‘singolo atto di X’

Quando -ata si aggiunge a nomi presenta una grande varietà di parafrasi (33a-f), ma quando si aggiunge a verbi ha solamente la parafrasi (33g), che è diversa da quelle date per i nomi [Può sembrare che -ata possa aggiungersi anche ad aggettivi (cfr. stupido ---> stupidata). In questi casi, però l’aggettivo in questione è sempre sostantivato (cioè stupido =

136

“persona stupida”)]. Consideriamo, in secondo luogo, i seguenti tre nomi derivati da basi verbali:(34) a. camminata (da camminare)

b. bevuta (da bere)c. dormita (da dormire)

Tutte e tre le parole in (34) hanno la stessa parafrasi (‘singolo atto di X’), ma si noti che la forma del suffisso varia: -ata, -ita, -uta. Per spiegare questa variazione, possiamo supporre, come sempre, che la base della derivazione deverbale sia il “tema” cammina, beve, dormi, cioè la radice verbale più la vocale tematica. Questo spiegherebbe le forme del suffisso in (34a) e (340 ma non l’esempio in (34b). Quest’ultimo caso potrebbe essere trattato con una regola di allomorfia della base, che effettua il cambiamento e ––> u. Questa regola di allomorfia (oltre ad essere poco motivata) non risolve però il problema, poiché si applicherebbe prima della Regola di Cancellazione di Vocale dell’italiano che cancellerebbe poi la vocale in questione, dando un risultato errato, come si può vedere in (35):(35) Diz. beve

RFP beve + ataRA bevu + ataCV øUscita *bevata

Si noti, però, che la distribuzione delle vocali che si osserva in (34) è la stessa distribuzione che si trova nel participio passato degli stessi verbi, come vediamo in (36):(36) a. camminato

b. bevutoc. dormito

Sulla base di queste alternanze, si può supporre che le voci in /pag. 214/ questione si formino tramite l’aggiunta del suffisso -ata al participio passato. Questa ipotesi non è però priva di problemi che diventano evidenti se ne tentiamo una formalizzazione esplicita:(37) a. camminato+ ata

b. bevuto + atac. dormito + ata

Se si assume che nelle rappresentazioni date in (37) la Cancellazione di Vocale operi normalmente (in questo caso cancellando la -o finale del participio passato) si otterranno le seguenti forme non corrette *camminatata, *dormitata, e ‘‘bevutata. Una soluzione alternativa è di mantenere solo una parte dell’ipotesi e cioè che la base sia un participio passato, ma di supporre che la forma del suffisso non sia -ata, bensì -a, il che dà luogo alle seguenti derivazioni:(38) a. camminato + a

b. dormito + ac. bevuto + a

A queste forme si applica la Cancellazione di Vocale e le uscite finali sono, rispettivamente, camminata, dormita e bevuta, che sono i risultati corretti. Una conferma di questa analisi viene dal fatto che il suffisso ipotizzato non è il prodotto di una soluzione ad hoc applicabile soltanto al problema di -ata; il suffisso in questione esiste indipendentemente come si può osservare dagli esempi in (39):(39) letto+a –––> letta

messo + a –––> messapreso + a –––> presapromesso + a –––> promessa

In ognuno di questi casi il suffisso -a viene aggiunto al participio passato (forma irregolare), ed ha la parafrasi ‘singolo atto di X’.

Possiamo pertanto concludere che il problema originario di un unico suffisso -ata che si

137

aggiunge sia a Nomi che a Verbi, non è un problema. Abbiamo a che fare, in realtà, con due suffissi diversi: -ata che si aggiunge a nomi (e non produce allomorfia), e -a che si aggiunge a verbi (in particolare a participi passati, ciò che spiega l’allomorfia). Anche in questo caso, pertanto, l’IMBU non viene violata.

8.5.3. Base unica e deverbaliIn italiano vi è un’ampia classe di suffissi deverbali (come ad es.

-mento, -zione, ecc.). Tali suffissi, in genere, non solo scelgono la categoria Verbo ma scelgono anche la forma del verbo. In genere, le basi verbali selezionate dai suffissi sono o il tema o il participio passato, non l’una o l’altra indifferentemente. Anche qui, come altrove, è possibile identificare una zona di regolarità e alcuni margini di irregolarità. /pag. 215/

Un esempio di regolarità assoluta si riscontra con il suffisso -mento che sceglie sempre il tema del verbo come base:(40) armamento

allontanamentooffuscamentorapimentoapprendimentosommovimento

Una spia del fatto che il suffisso si aggiunge al tema è l’alternanza ali, di cui abbiamo discusso in 8.3. Che la base sia il tema risulta poi inequivocabile se si osservano forme derivate da verbi con participi passati irregolari: apprendimento (e non *appresimento) e sommovimento (e non ‘sommossimento ).

Esempi di irregolarità si manifestano con alcuni suffissi, per esempio con il suffisso -bile che sembra scegliere come base ora il tema (41a) ora il participio passato (41b):(41.) a. dicibile b. risibile

*dettibfe *ridibfeMa dati come questi non debbono trarre in inganno. Le forme in -bile aggiunte a participi

passati sono poche. Se si esamina un campione esteso e casuale (ad esempio le forme che iniziano con la lettera c del dizionario) si trovano i seguenti dati:(42) tema part. pass.

cedibile *cessibilechiedibile *chiesibilecomponibile *compostibilecomprimibile *compressibileconducibile *condottibileconoscibile *conosciutibilecontrovertibile *controversibileconvincibile *convintibilecorreggibile *correttibilecorrompibile *corrottibilecredibile *credutibile

L’andamento regolare che si riscontra in (42) può bastare per concludere che il suffisso di norma si aggiunge al tema. In certi casi, però, si trovano attestati dei doppioni, come i seguenti:(43) diffondibile diffusibile

digeribile digestibileestendibile estensibilecomprendíbile comprensibiledescrivibile descrittibile

Una particolarità della lista in (42) è però una spia interessante: abbiamo infatti asteriscato

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*corrottibile perché non è una forma grammaticale. Esiste invece corruttibile. Ebbene la u di questa parola (invece della o del participio italiano corrotto) è una chiara indicazione che la forma corruttibile è di origine latina (corruptus è infatti il participio passato latino). Una ipotesi interessante (che non perseguiremo) è che il suffisso, di origine latina, poteva aggiungersi, in quella lingua, al participio passato. Il suffisso italiano -bile ha modificato la sua scelta, ma, come è ovvio, restano in italiano dei ‘residui’ di uno stadio precedente.

In conclusione, si può dire che l’ipotesi della base unica sembra valere, nell’insieme, anche per quel che riguarda la forma verbale. In altre parole, un suffisso non sceglie solo la categoria Verbo, ma sceglie anche la forma del verbo cui aggiungersi.

8.6. Ramificazione binariaSecondo l’ipotesi di ramificazione binaria (IRB), per quanto complessa possa essere la

struttura interna di una parola derivata, tale struttura sarà sempre binaria. Diciamo che la struttura di una parola è binaria se da ogni nodo si formano due rami e due soltanto [Questa ipotesi ha avuto diverse formulazioni, tra cui l’ipotesi “Un affisso una regola” [Aronoff 1976] e la “condizione di incassamento massimo” di Kiparsky [1983]. Si veda Strauss [1982] per una discussione di questa condizione.].

In accordo con questa ipotesi, le regole morfologiche possono costruire strutture come quelle in (44a), ma non come quelle in (44b):(44) a.

b.

Un albero morfologico può, pertanto, ramificare a sinistra e/o a destra, ma ogni nodo sarà sempre binario. Questa ipotesi può essere illustrata con le parole utilitaristicamente e indeformabilità: /pag. 217/(45) a. b.

[[[[[[utile]A ità]N ario]A ista]N ico]A mente]Avv [[in [[de [forma]V]V abile]A]A ità]N

Per quel che riguarda la composizione, in italiano 1’IRB è valida nel senso banale del termine che la stragrande maggioranza dei composti è costituita da due elementi [Una possibile eccezione è stata segnalata da Rainer [1989: 39], per composti del tipo (l’asse) sovietico-cubano-nicaraguense. Non sono state però presentate delle analisi a conferma di un’ipotetica struttura n-aria di forme di questo tipo.]

Per quel che riguarda la derivazione, 1lIRB sembra essere generalmente valida, con un’unica eccezione, i parasintetici, che discuteremo nei dettagli nel paragrafo seguente.

8.6.1. I parasinteticiUna definizione largamente accettata di ‘parasintetici’ è la seguente: un parasintetico è una

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parola complessa formata da tre elementi, una base (nominale o aggettivale) e due morfemi legati che vengono aggiunti simultanéamente a destra e a sinistra della parola di base [In questo caso alcuni linguisti [per es. Dressler 1992: 30] parlano di c i r c u m -fissi come se il prefisso e il suffisso formassero una specie di affisso discontinuo: Pre ----- Suf..]. In altre parole, possiamo dire che un parasintetico è formato da tre elementi, a, b e c (dove b è la base) ma dove solo abc è una parola ben formata, mentre *ab o *bc non lo sono. Si considerino i seguenti esempi:(46) a. in + grande + ire –––> ingrandire *ingrande *grandire

b. s + faccia + ato –––> sfacciato *sfaccia *facciato /pag. 218/In (46a) la base è l’aggettivo grande. Ad essa sarebbero stati aggiunti ‘simultaneamente’

sia il prefisso in- sia il suffisso -ire. In questa costruzione non esiste né la combinazione *ingrande (corrispondente a *ab sopra), né la combinazione *grandire (corrispondente a *bc sopra). In (46b), la base è il nome faccia cui sono stati aggiunti il prefisso s- e il suffisso -ato. Anche qui non esiste né la combinazione *sfaccia né la combinazione *facciato. La differenza tra (46a) e (46b) è che nel primo caso la costruzione parasintetica è un verbo mentre nel secondo caso è un aggettivo. Queste costruzioni sono molto produttive nell’italiano contemporaneo. In quel che segue, ci occuperemo però solo del tipo (46a), vale a dire dei verbi. Si consideri un elenco (non esaustivo ma rappresentativo) di queste formazioni:(47) Prefisso Categ. Sint. Suffisso

a Aggettivo ire abbellirea Aggettivo are arrossarea Nome are abbottonarea Nome ire appuntirede Nome are decaffeinarede Aggettivo are denudaredi Aggettivo ire dimagriredi Aggettivo are dirozzaredi Nome are diramarein Aggettivo are ingrossarein Aggettivo ire inasprirein Nome are imboccarein Nome ire immalinconires Aggettivo are svecchiares Aggettivo ire smagrires Nome are sbarbareri Aggettivo are rallegrareri(n) Aggettivo ire ringiovanireri(n) Nome are rinfoderareper Nome are pernottaretra Nome are tracimarestra Nome are straripare

Una forma come ingrandire avrebbe dunque - data la definizione vista sopra - la seguente struttura (ad albero (48a), e con parentesi (48b)): (48) a. Y b. [in [grande] ire]

Pre X Suf

in grande ire /pag. 219/Questa analisi, però, pone almeno due problemi, uno di natura descrittiva e l’altro di natura

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formale. ll primo problema è che nelle analisi tradizionali dei parasintetici, il suffisso viene generalmente descritto come un elemento flessivo. Negli esempi visti in (47) si tratterebbe del morfema dell’infinito. In base a questa analisi, la regola che forma i parasintetici deve aggiungere contemporaneamente due diversi tipi di affissi: un affisso derivazionale (il prefisso) e un affisso flessivo (il suffisso). Questa proposta non è però convincente. Innanzi tutto, come si vedrà nel capitolo seguente, una differenza fondamentale tra regole di derivazione e regole di flessione è che le prime possono cambiare la categoria della base, le seconde non possono farlo. In italiano, come in altre lingue, vi sono regole che derivano normalmente verbi da aggettivi o da nomi:(49) a. A –––> V b. N –––> V

zitto –––> zittire arma –––> armareattivo –––> attivare olio –––> oliarecalmo –––> calmare firma–––>firmare

Se si guarda agli esempi appena dati, si nota che le regole, in effetti, cambiano la categoria lessicale delle parole di base. Se ne può concludere che le regole in questione non possono pertanto essere regole flessive, ma devono invece essere regole derivazionali. Infatti le parole a destra della freccia in (49) non possono essere considerate forme flesse delle parole a sinistra della freccia.

Una volta supposto che il suffisso che forma un parasintetico è un suffisso derivazionale, resta un altro problema da risolvere e cioè la struttura data in (48), che è problematica rispetto ad IRB. Se accettiamo l’analisi proposta in (48) infatti, i parasintetici rappresenterebbero un caso di struttura morfologica ternaria, vale a dire una struttura morfologica marcata. Vi sono pertanto delle ragioni per dubitare della validità di questa struttura o, perlomeno, si tratta di una struttura che può essere accettata solo in presenza di argomenti forti. Conviene dunque esaminare i dati più da vicino.

Iniziamo col considerare una parola come imbruttire. Guardando al prefisso, bisogna innanzi tutto ricordare che in italiano ci sono due diversi prefissi in-: uno è il prefisso negativo in- che si aggiunge ad aggettivi con significato non negativo. Il prefisso di imbruttire non può essere analizzato come il prefisso negativo che si aggiunge ad aggettivi e non può esserlo per due motivi: a) in- di imbruttire non ha alcun significato negativo e b) abbiamo visto che in- negativo non si aggiunge ad aggettivi con significato già negativo, come per l’appunto brutto (cfr. 1.3.2.), Il prefisso in questione sembra piuttosto essere il prefisso finche ha un valore ‘spaziale’, ‘direzionale’ o semplicemente ‘intensivo’.

/pag. 220/ Il prefisso con valore intensivo si aggiunge produttivamente a verbi (50a), mentre il

prefisso negativo si aggiunge ad aggettivi (50b):(5o) a. in + Verbo b. in + Aggettivo

in + rompere in + elegantein + mettere in + adattoin + porre in + compiuto

Il fatto che il prefisso in- con valore intensivo o direzionale si aggiunga a verbi e non ad aggettivi, costituisce un problema per la struttura ternaria di (48), dove si assume che il prefisso e il suffisso vengano aggiunti contemporaneamente ad un aggettivo di base. Questo problema può essere risolto se analizziamo le voci in questione nei termini di una struttura binaria, nella quale il prefisso viene aggiunto al verbo, invece che all’aggettivo:(51) V

V

Pre A Suf

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In base a questa analisi, “prima” viene creata una forma verbale e “poi> a questa forma viene aggiunto un prefisso. Dal punto di vista categoriale questa analisi non solleva problemi, è anzi in accordo con quanto sappiamo sulle RFP: la suffissazione cambia la categoria (A -- > V) e la prefissazione non la cambia (V –––> V).

L’analisi appena vista risolve adeguatamente il problema della struttura dei parasintetici, nel rispetto della IBU, ma non va esente da problemi. In particolare, in (51) è problematica l’uscita della regola di suffissazione, cioè, ‘‘bruttire, *rozzare, ‘svecchiare, tutte parole non esistenti. Bisogna però ricordare che ci sono in italiano processi derivazionali produttivi che formano precisamente strutture del tipo [A + Suf]v, come si è visto in (49). Le forme che hanno questa struttura, sono quindi parole possibili (anche se non esistenti). Possiamo pertanto ipotizzare, contrariamente alle analisi tradizionali, che i parasintetici vengano formati in due stadi: primo, la suffissazione crea una parola possibile, anche se non necessariamente esistente; secondo, la prefissazione genera la parte restante della forma, come illustrato in (52)(52):

a. [ ]A [brutto]A

b. [[ ]A+ Suf]V [[brutto]A] ire]V

c. [Pre+[[ ] A +Suf] V] V v [in +[[brutto] A +ire] V] V

Riassumendo, gli aspetti vantaggiosi di questa analisi sono i seguenti: a) spiega meglio di quanto faccia l’analisi tradizionale la natura del prefisso dei parasintetici, che è palesemente un prefisso che si aggiunge /pag. 221/ a verbi non a nomi o ad aggettivi; b) impone, correttamente, che la regola di suffissazione sia di tipo derivazionale (e non flessiva); tale regola è comunque necessaria nella morfologia dell’italiano (cfr. (49)); c) riconduce una presunta struttura ternaria ad una struttura binaria, eliminando così una struttura “marcata” dalla grammatica. Il punto “debole” dell’analisi, invece, riguarda il fatto che la tappa intermedia proposta (52b) forma parole possibili ma non esistenti. Il che comporta che la base di una RFP possa essere anche una parola possibile ma non esistente [Questa possibilità, è stata prevista non solo da Allen [1978] nel quadro di una “morfologia ipergenerante”, ma anche da Halle [1973], Booij [1977], Corbin [1980], ed altri.].

8.7. Il bloccoIl blocco è una restrizione negativa che esprime una certa resistenza nei confronti della

formazione di sinonimi. Una definizione di blocco èla seguentez8:(53) Il blocco è la non occorrenza di una forma a causa della semplice esistenza di un’altra forma.

Da (53) è possibile ricavare due accezioni diverse di bloccoz9. La prima è la seguente:(54) In una sequenza ...]X1 + Suf1]Y + Suf2]X2

l’aggiunta di Suf2 viene bloccata se Xl e X2hanno la stessa categoria lessicale,lo stesso significatoe la stessa radice

(54) comporta tre insiemi di parentesi etichettate: quelle della voce “bloccante”, quella della prima parola derivata e quella della seconda parola derivata, cioè la voce bloccata. Un esempio di blocco è il seguente:

(55) gloria]N1 +oso]A + *ità]N2

Se da gloria si deriva glorioso, da glorioso non si può più derivare *gloriosità. La voce bloccante è gloria e la voce bloccata *gloriosità. Gloria e *gloriosità hanno la stessa categoria lessicale (N), hanno la stessa radice in comune e avrebbero lo stesso significato.

In altri termini, il blocco dà conto dei casi in cui una derivazione viene bloccata quando esiste già una parola con la stessa base e con /pag. 222/ lo stesso significato {**Questa versione della nozione di blocco è esclusivamente morfologica. Di Sciullo e Williams [1987:

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10-14] ritengono che il blocco non sia esclusivamente un fenomeno morfo-lessicale, suggeriscono anzi che una forma morfologica possa bloccare una costruzione sintattica: per es. la costruzione comparativa inglese con -er (morfologica) blocca la costruzione comparativa (sintattica) con more: botterl*more hot ‘più caldo’. Su problemi di questo tipo, cfr. Kiparsky [1983] e Rainer [1989].}. I verbi nella seguente lista non ammettono alcun derivato nominale perché la base del verbo è già un nome:(56) nome verbo nominale derivato

disciplina disciplinare "disciplinamentorovina rovinare *rovinamentocondanna condannare *condannazioneinganno ingannare *ingannamento

Nei seguenti casi si può osservare il contrasto tra quando esiste la voce bloccante (57a) e quando tale voce non esiste, ciò che permette un’ulteriore derivazione (57b):(57) a. delizia delizioso *deliziosità

furia furioso *furiositàorgoglio orgoglioso *orgogliositàansia ansioso *ansiosità"

b. * Curioso curiosità* prezioso preziosità* ampolloso ampollosità* bellicoso bellicosità* generoso generosità

Esistono diverse eccezioni al blocco, ma molte di queste si possono spiegare col fatto che il significato di X2 non è esattamente lo stesso di X1 (il che in qualche modo è normale visto che tra X1 e X2 vi è la fase intermedia Y che può modificare il significato della parola di partenza). A questa categoria appartengono esempi come i seguenti:(58) veleno velenoso velenosità

legno legnoso legnositàcallo calloso callositànodo nodoso nodositàgas gassoso gassositàmuscolo muscoloso muscolosità

In tutti questi esempi si noterà che la forma di partenza è [ - astratto] e la forma di arrivo è [ + astratto]; ciò significa che Xl e X2 non hanno lo stesso significato, come invece è richiesto dalla definizione in (54). La presenza del tratto [ + astratto] nella voce di base, non assicura però automaticamente il blocco di un astratto derivato: /pag. 223/(59) musica musicale musicalità

tempo temporale temporalitàvento ventoso ventositàspazio spazioso spaziosità

La difficoltà evidente, qui, riguarda il fatto che il significato di Xl (la voce bloccante) e X2 (la voce potenzialmente soggetta al blocco) sono difficilmente “uguali” (come richiesto) perché vi è l’intervento del nodo intermedio Y che comunque modifica il significato della base. Lo si può constatare con una varietà di strutture:(60) ]N ]V ]N2 categor+izza+zione

]A1 ]N ]A2 alt +ezz+oso]A1 ]V ]A2 util + izza + bile]V1 ]N ]V2 parla + ment + are]V1 ]A ]V2 vola + til + izzare

Molte strutture potenzialmente soggette al blocco, non vi sottostanno, dunque, perché base bloccante e voce bloccata spesso hanno significati diversi. Ciò è dovuto all’intervento del

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suffisso intermedio (che è richiesto nella definizione del blocco vista in (54)).Vi è una seconda accezione di blocco, che chiameremo “regola del blocco”, per

distinguerla dalla prima, che si può formulare nei termini seguenti:(61) Data la regola produttiva ...]X+Sufl]Y

altre regole con la stessa semantica vengono bloccate se Sufl è unsuffisso produttivo per la classe di parole ]X.

Secondo (61) un suffisso che si applica produttivamente ad una base X, blocca la possibilità che alla stessa base si applichino altri suffissi. In sostanza, la regola del blocco implica la nozione di “suffissi rivali”, vale a dire di suffissi che virtualmente potrebbero applicarsi alla medesima base. Come abbiamo fatto sopra, elencheremo prima degli esempi della regola del blocco, poi dei controesempi apparenti ed infine dei controesempi reali.

I suffissi -zinne e -mento sono entrambi suffissi che si aggiungono a verbi, masi può constatare la seguente distribuzione:(62) a. amputazione *amputamento

amministrazione *amministramentoammirazione *ammiramento

b. mmaccamento *ammaccazioneaccadimento *accadizioneampliamento *ampliazione

L’applicazione di un suffisso ad una data base, come si vede, blocca l’applicazione del suffisso “rivale”. Si potrebbe dire che i due suffissi sono mutualmente esclusivi, in applicazione della “regola del blocco”.

In altri casi, però, si può verificare una distribuzione più complessa. /pag. 224/ Esistono casi in cui due suffissi rivali si bloccano l’un l’altro (63a) e (63b), ma esistono anche casi in cui i due suffissi si applicano alla stessa base (630:(63) a. *farmaciaio farmacista

*dentaio dentista*chitarraio chitarrista*fuocaio fuochista

b. ciabattaio * ciabattistafiascaio *fiaschistafornaio * fornistavinaio *vinista

c. fioraio fioristacestaio cestista

Esempi come quelli in (63c) non sono però controesempi netti alla regola del blocco perché il significato dei due suffissi non è lo stesso, avendo -aio un significato meno tecnico-specialistico di -ista. Dei veri e propri controesempi, tuttavia, esistono, come si può vedere qui di seguito:(64) a. ammonizione ammonimento

dislocazione dislocamentob. andamento andatura

dissacrazione dissacramentoc. incitazione incitamento

incoronazione incoronamentoBisogna concluderne che sia il blocco che la regola del blocco incontrano una difficoltà di

non poco conto: entrambe le nozioni si fondano sulle nozioni di “significati diversi” o “significati uguali”. Tali nozioni sono però sfuggenti e comunque non siamo in grado di definire formalmente ‘quanto’ distanti debbono essere i significati in questione per permettere un allentamento del blocco o della regola del blocco. Ne deriva che queste due nozioni non possono, in realtà, essere considerate condizioni formali sulle RFP, ma piuttosto l’espressione

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di una tendenza abbastanza generale del lessico ad evitare la formazione dei sinonimi.

8.8. SommarioIn questo capitolo abbiamo visto alcune condizioni sulle Regole di Formazione di Parola.

In particolare, abbiamo discusso a) l’ipotesi lessicalista, b) la condizione di adiacenza, c) l’ipotesi della base non flessa, d) la condizione sui sintagmi, e) l’ipotesi della base unica, f) l’ipotesi di ramificazione binaria, g) il blocco e h) la regola del blocco.

L’ipotesi lessicalista limita la possibilità che la sintassi ha di operare /pag. 225/ all’interno delle parole complesse. La sintassi infatti non può fare riferimento ad alcun aspetto della struttura interna delle parole (8.1.).

La condizione di adiacenza limita le possibilità che le RFP hanno di accedere alle informazioni interne ad una parola complessa. In particolare, si è visto che l’aggiunta di un affisso è sensibile solo alle informazioni realizzate sull’ultimo nodo della parola complessa (8.2.).

L’ipotesi della base non flessa limita le entrate possibili di una RFP alle parole non flesse. Nel lessico stanno le parole nella loro forma tematica (dunque non flessa) e sono queste che costituiscono l’entrata delle RFP. Si sono discussi anche alcuni potenziali controesempi (8.3.).

La condizione sui sintagmi (le RFP si applicano a categorie lessicali maggiori non a sintagmi) sembra avere alcune eccezioni, ma nell’insieme sembra cogliere una generalizzazione: ci sono forti restrizioni sull’applicazione delle RFP a basi più grandi delle parole. Le RFP possono applicarsi ad unità più grandi delle parole, cioè sintagmi, solo quando i sintagmi in questione sono lessicalizzati. Ciò è coerente con l’organizzazione del componente lessicale proposta in questo libro, poiché si suppone che i sintagmi lessicalizzati siano immagazzinati nel lessico e non generati da Regole di Struttura Sintagmatica (8.4.).

Secondo l’ipotesi della base unica una RFP si applica solo e soltanto ad una categoria lessicale: se una regola si applica ad esempio a verbi, non si può applicare ad aggettivi o a nomi. Tale formulazione è però troppo forte e le eccezioni sono molte. E stata pertanto proposta una versione modificata di tale ipotesi che, ricorrendo ai tratti di categoria lessicale invece che ad etichette categoriali, può trattare insiemi più ampi di dati. Questa nuova formulazione risolve un gran numero di problemi, a patto che il funzionamento delle RFP venga studiato nei dettagli, come si è fatto qui per il suffisso -ata che a prima vista sembrava violare anche l’ipotesi modificata della base unica (8.5.).

Secondo l’ipotesi di ramificazione binaria, la maggior parte delle strutture morfologiche create dalle RFP sono di tipo binario (8.6.). Si èvisto un controesempio potenziale, quello dei verbi parasintetici, e si èmostrato che anche queste costruzioni possono essere analizzate in termini binari. In questo caso, però, bisogna supporre che le RFP possano trattare anche parole possibili ma non esistenti, una possibilità che implica una modifica dell’ipotesi della morfologia basata sulle parole (8.6.1.).

Si è infine studiato il Blocco, vale a dire la possibilità che l’esistenza di una parola semplice possa bloccare la costruzione di parole complesse con significato uguale. Le diverse eccezioni riscontrate, ci hanno fatto concludere che il blocco non è un vero principio del lessico, ma solo una tendenza generale verso la limitazione della formazione di sinonimi. Abbiamo anche visto che la nozione di blocco può essere efficacemente divisa in due diverse nozioni: il “blocco”, dove la parola bloccante è una parola semplice e la parola bloccata una parola da questa derivata (delizia / *deliziosità) e la “regola del blocco”, dove l’applicazione di un affisso blocca la possibile applicazione di un altro affisso (si tratta cioè di affissi “rivali”). In entrambi i casi, comunque, si rinvengono /pag. 226/ eccezioni, dovute per la maggior parte al fatto che voce bloccante e voce (potenzialmente) bloccata difficilmente hanno lo “stesso” significato. Ne abbiamo pertanto concluso che il blocco e la regola del blocco possono esprimere una tendenza del lessico verso 1’“economia”, ma non una condizione formale sulle RFP (8.7.).

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8.9. Indicazioni bibliograficheIpotesi lessicalista: Chomsky [1970].Condizione di adiacenza: Siegel [1977]; Williams [1981a].Condizione sui sintagmi: Allen [1978]; Botha [1981].La base unica: Aronoff [1976]; Scalise [19841.Ramificazione binaria: Rainer [1989].Parasintetici: Corbin [1980]; Crocco Galèas e lacobini [1993].Blocco: Kiparsky [1983]; Rainer [1989]; Scalise et al. [1983]; Zwanenburg [1981].

CAPITOLO 9: INTERAZIONE TRA LE REGOLE

9.0. IntroduzioneNei capitoli precedenti è stata avanzata una proposta relativa all’organizzazione del

componente lessicale di una grammatica. Più specificamente, si è proposto che tale componente sia organizzato in blocchi di regole, cioè regole di composizione, regole di derivazione, regole di flessione e regole di riaggiustamento.

In questo capitolo affronteremo il problema dell’interazione tra questi tipi di regole. In particolare, vedremo che le regole di flessione sono diverse dalle regole di derivazione, e che devono essere ordinate dopo di esse. Esamineremo poi le interazioni possibili tra le regole di derivazione e le regole di composizione e tra queste e le regole di flessione. Affronteremo infine il problema di come le RFP possano riapplicarsi alla propria uscita producendo parole con più affissi diversi o con più affissi uguali (ricorsività). Concluderemo il capitolo discutendo alcuni aspetti problematici della struttura interna delle parole derivate e delle parole flesse.

9.1. Regole di derivazione e regole di flessioneSe derivazione e flessione siano trattabili con lo stesso insieme di regole o debbano essere

trattate da regole diverse è un problema che, nelle sue varie accezioni, è stato discusso da tutti coloro che si sono occupati di morfologia.

A nostro parere si tratta di due insiemi di regole che operano nel medesimo componente (il componente lessicale) ma che debbono essere separate e ciò per le varie ragioni che discuteremo qui di seguito, raggruppate in otto punti.

(I) Le Regole di Flessione (RF) non cambiano mai la categoria lessicale di una parola, mentre le Regole di Derivazione (RD) possono cambiarla. Questo punto è essenzialmente già stato visto nei capitoli precedenti. /pag. 229/ Riportiamo qui, per comodità, degli esempi di flessione (la) e di derivazione (lb) a conferma dell’ipotesi:(1) a. [atomo]N –––> [[atomo]N +i]N

[conta]V –––> [[conta]V +iamo]V

b. [atomo]N –––> [[atomo]N +ico]A

[conta]V –––> [[conta]v +bile]A

Vi sono anche dei casi in cui le RD non cambiano la categoria di una parola, come in (2):(2) [avvocato]N –––> [[avvocato]N + ura]N

[cucchiaio]N –––> [[cucchiaio]N +ata]N

Come abbiamo visto sopra, in 7.2.1., vi sono però ragioni per sostenere che una RD cambia sempre la categoria lessicale della sua base, anche quando questo cambiamento non è evidente, come negli esempi in (2). Un caso in cui la flessione sembra cambiare la categoria della base potrebbe sembrare quello del participio:

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(3) amare –––> l’amato (sorriso)vedere –––> il visto (per la Cina)

Come si vedrà in 10.5.1., però, non vi è un passaggio diretto tra il verbo e il nome o l’aggettivo. La regola flessiva forma il participio passato e questo passa per “conversione” (o suffissazione zero) ad aggettivo o a nome [Quanto appena detto, si applica anche al participio presente (cfr. cantare (il) cantante, ridere ––> (il paesaggio) ridente).]

(II) La flessione è periferica rispetto alla derivazione. Questo punto è in realtà una riformulazione dell’Universale n. 28 di Greenberg [1963], e per lingue che costruiscono a destra come l’italiano [Per “lingue che costruiscono a destra”, si intendono le lingue che mettono l’oggetto (sia nominale che frasale) dopo il verbo, il genitivo dopo il nome, ecc. Cfr. Graffi [1980] e Antinucci [1977]. Nelle lingue che “costruiscono a sinistra”, si troverà invece l’oggetto prima del verbo, il genitivo prima del nome, ecc. In una lingua che costruisce a sinistra, lo schema in 4 sarà “Flessione - Derivazione - Parola”. Si osservi che anche in questo caso la flessione è “periferica” rispetto alla derivazione.], può essere rappresentato nel modo seguente:(4) Parola - Derivazione - Flessione

*Parola - Flessione - DerivazioneIn base a (4), gli affissi derivazionali non possono essere aggiunti a parole flesse. Questa

ipotesi è stata anche denominata Ipotesi della Base Non Flessa [Cfr. sopra 8.3. Bybee [1985] sostiene che la posizione della flessione rispetto alla derivazione discende da un principio più generale e cioè che la vicinanza o la distanza degli affissi alla loro base dipende da quanto essi siano rilevanti per il significato della parola.] /pag. 230/

Uno dei controesempi più spesso citati è la formazione degli avverbi di modo, problema comune a varie lingue romanze, come si può vedere in (5):(5) fr. maladroitement [maladrwatëmõ] ‘goffamente’

sp. conservadoramente [konservadoramente] ‘conservativamente’it. certamente [tSErtamente]

In ognuno di questi casi, almeno a prima vista, la base sembra essere la forma flessa (femminile) (6a) e non la forma non flessa (6b):(6) a. maladroite [maladrwatë] ‘goffa’

conservadora [konservadora] ‘conservativa’certa [tSerta]

b. maladroit [maladrwa]conservador [konservador]certo [tSerto]

Alcuni linguisti hanno effettivamente sostenuto che la base di queste formazioni è un aggettivo femminile.

Questa soluzione è però controversa, soprattutto perché è ad hoc. Per esempio, non spiega perché solo gli aggettivi dovrebbero essere elencati nel Lessico nella loro forma femminile. È una soluzione con scarso valore di generalità.

In secondo luogo, gli avverbi in questione non contengono alcuna ‘nozione’ di femminile. Tale nozione era presente nelle costruzioni latine originarie, ma non sembra esserlo sincronicamente {Il tipo certamente deriva da un sintagma latino formato da un aggettivo (certa) e da un nome (mente), entrambi femminili ed al caso ablativo. L’intero sintagma ha il significato letterale ‘con una mente certa (determinata)’. In italiano però, questa composizionalità è andata perduta e mente non è più un nome indipendente in questo tipo di costruzioni, ma un affisso. Diverso è il caso delle lingue iberiche, dove sono possibili costruzioni come clara y distintamente ‘chiara(mente) e distintamente’ [cfr. Zagona 1990]}.

Una soluzione molto naturale nel quadro di morfologia qui sviluppato è che questa a venga introdotta non da regole flessive ma da semplici regole di riaggiustamento, che, come

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si è visto nel cap. 6, non introducono materiale morfologico ma “aggiustano” dettagli fonetico-fonologici di superficie. La derivazione di una parola come certamente procederebbe dunque nel modo seguente:

(7) Less. certoRFP certo + menteRR aUscita certamente /pag. 231/

Si noti che il passaggio o ––> a della regola di riaggiustamento è, a quanto si sa, senza eccezioni [Violentemente sembra un’eccezione, ma non lo è perché deriva da una forma arcaica violente.]

Un secondo tipo di controesempio citato spesso riguarda l’aggiunta di un suffisso derivazionale ad un comparativo. Dato che i comparativi sono comunemente ritenuti di dominio della flessione, una parola come maggioranza violerebbe l’universale 28 nel senso che sarebbe da analizzarsi come “parola + comparativo + suffisso” [Si noti, però, che in maggiore è tutt’altro che semplice identificare il morfema lessicale e il morfema comparativo.]

Tale violazione non ci pare però definitivamente accertata. Dipende dallo status che si attribuisce al comparativo maggiore. Si noti, infatti, che maggiore e grande esibiscono distribuzione complementare per quanto riguarda gli affissi che vi si possono aggiungere:(8) grande maggiore

grandezza *maggiorezza*grandanza maggioranzagrandioso *maggiorosoingrandire *immaggiorire*grandenne maggiorenne*grandato maggiorato

Poiché le due voci in questione mostrano un diverso comportamento morfologico, devono essere elencate nel lessico come forme separate; rappresentano un caso di suppletivismo (cfr. 10.7.) e non possono essere derivate una dall’altra. Una forma come maggioranza non è pertanto derivata da una forma flessa, ma da una base, maggiore, e perciò le forme comparative non costituiscono un controesempio.

(III) Le RD e le RF “fanno cose diverse”. Se consideriamo la lista delle informazioni che sono associate alle rappresentazioni lessicali e ci chiediamo quali tipi di informazioni contenute nella base possono essere cambiate dalle RD e dalle RF, arriviamo ai risultati elencati nella tabella seguente, dove « + » indica che il cambiamento è possibile, e « - »che non lo è.(9) RD RF

(1) categoria sintattica + –(2) coniugaz./classe di declinaz. + –(3) tratti di sottocategorizzaz. + –(4) tratti selettivi + –(5) tratti inerenti

(5a) numerabile + –(5b) animato + –(5c astratto + –(5d) comune + – /pag. 232/

Come si vede a prima vista, le RD possono cambiare praticamente qualsiasi informazione associata alle voci lessicali, mentre le RF non hanno questa prerogativa.

In relazione al punto 1, abbiamo già visto che le RD possono cambiare la categoria lessicale della loro base, mentre le RF non possono farlo.

In relazione al punto 2, si può osservare che le RD possono cambiare la classe di

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declinazione dei nomi e la classe di coniugazione dei verbi (cfr. rispettivamente (l0a) e (lOb)). Questo non è vero, invece, per le RF.(10) a. colombo ( pl. Colombi) –––> colombaia (pl. colombaie)

b. dormire (III coniug.) –––> dormicchiare (I coniug.)Il punto 3 indica che le RD possono cambiare i tratti di sottocatgorizzazione, come si vede

nel seguente esempio:(11) ridere di Antonio –––> *deridere di Antonio

*ridere Antonio –––> deridere AntonioIn altre parole, la derivazione di deridere da ridere cambia la sottocategorizzazione del

verbo da intransitivo [---- SP] a transitivo [--- SN]. Non sembra, invece, che le RF possano operare tali cambiamenti.

Al punto 4, vediamo che le RD possono cambiare i tratti selettivi, come viene illustrato in (12). Ciò non può dirsi, invece, per le RF.(12) Giorgio ruba i risparmi di Antonio

*Giorgio deruba i risparmi di AntonioGiorgio deruba Antonio dei risparmi

ll verbo derubare è derivato da rubare; questa derivazione cambia i tratti selettivi nel modo seguente:(13) rubare ---SN, ---SP ––>

[- anim] [ + anim]derubare ---SN, ---SP

[ + anim] [ - anim]Si osservi, a questo proposito, che le Regole di Derivazione sembrano essere un

meccanismo molto potente nel senso che possono trasferire restrizioni selettive da una posizione all’altra. Si consideri la seguente rappresentazione di un verbo come interpretare:(14) Soggetto interpretare Oggetto

[+um] [–an]Da (14) risulta che il verbo interpretare richiede soggetti [ + umano] ed oggetti [ –animato]. Perciò, le frasi in (15a) sono grammaticali, mentre quelle in (15b) non lo sono: /pag. 233/ (15) a. Giorgio interpreta le rune

il ragazzo interpreta il volo degli uccelliil filologo interpreta il manoscritto

b. *la volpe interpreta le rune *Giorgio interpreta Anna’ [Questa frase è grammaticale solo se al verbo

interpretare si danno dei significati particolari, come ad es. ‘interpretare il ruolo’, ‘interpretare il pensiero’, ecc.]

Se ora da interpretare si deriva interpretabile, non solo abbiamo formato una parola nuova, un aggettivo, ma abbiamo formato una parola con una “sintassi” diversa e cioè, per esempio, da Giorgio interpreta le rune si è passati a le rune sono interpretabili da Giorgio: Giorgio da soggetto diventa complemento di agente (facoltativo) e rune da oggetto diventa - in senso lato - soggetto:

(16) le rune sono interpretabili (da Giorgio)

la rappresentazione di interpretabile è quindi cambiata nel seguente modo:(17) soggetto interpretabile agente

[ – an] [ + um]In particolare, (17) - confrontato con (14) - evidenzia che le restrizioni selettive

sull’oggetto del verbo sono le stesse di quelle sul “soggetto” dell’aggettivo derivato.Le RFP dunque operano dei cambiamenti sostanziali [Interpretare infatti richiede due

argomenti, l’argomento esterno e il tema (cfr. *Giorgio interpreta), mentre interpretabile ne richiede uno solo (cfr. le rune sono interpretabili).] anche per quel che riguarda la valenza sintatica delle parole. Questa possibilità è del tutto preclusa alle regole flessive. [Per quel che

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riguarda le forme dei participi, dove si potrebbe pensare che la flessione cambia la categoria di base, cfr. 10.5.1. più avanti.]

Ai punti (5a-d), si vede che le RD possono cambiare i tratti [ ± numerabile], [ ± animato], [± astratto], [ ± comune] della base, come si può constatare in questa serie di esempi:(18) a. [ - numerabile] –––> [ + numerabile]

pattume –––> pattumierapaglia –––> pagliaio

b. [ - animato] –––> [ + animato]giornale –––> giornalaiodogana –––> doganiere

c. [ - astratto] –––> [ + astratto]artigiano –––> artigianatomagistrato –––> magistratura

d. [ - comune] –––> [ + comune]Piemonte –––> piemontesePerugia –––> perugino /pag. 235/

Se ne può concludere che le RD possono operare dei mutamenti molto estesi sulla propria base e che le RF non hanno analoga possibilità.

(IV) Le RD cambiano il significato concettuale della base, le RF cambiano solo il significato grammaticale della base. Come abbiamo visto nel cap. 4, una RFP consta di due parti, una formale ed una semantica. La parte semantica di una RFP è espressa in termini composizionali, approssimativamente nel modo seguente:(19) a. X+aio ‘persona che svolge un’attività connessa con X’ (ad es., orologiaio)

b. X+bile ‘che può essere Xato’ (ad es., mangiabile)L’aggiunta di un morfema flessivo non cambia il significato nello stesso modo, aggiunge

solo delle informazioni grammaticali relative ad un insieme chiuso (come genere, numero, ecc.).

(V) Le RD non sono totalmente produttive, mentre le RF lo sono. È generalmente possibile aggiungere a qualsiasi parola l’intero gruppo di terminazioni flessive associate alla classe di parole in questione. Ciò non è vero in pochi casi marginali, come per i nomi tipo nozze che hanno solamente la forma plurale (pluralia tantum), o con i verbi cosiddetti difettivi [Urgere, vertere e vigere sono, ad esempio, verbi difettivi, nel senso che mancano di alcune forme, per esempio del participio passato]. Questi casi sono, però, fortemente marcati, e devono necessariamente essere specificati nel Lessico. Possiamo pertanto affermare che la flessione è tipicamente paradigmatica. Questo non è vero, invece, per la derivazione, dove non è mai possibile aggiungere ad un dato verbo tutti i suffissi che si possono potenzialmente aggiungere ai verbi. In morfologia derivazionale, infatti, vi sono tipicamente molte lacune, dovute a diversi fattori che non cercheremo di esplorare in questa sede. Nella lista che segue, si vede che a verbi specifici si aggiungono certi suffissi nominali ma non altri:

(20) a ata enza zione ura aggiomentorevoca(re)** + – – – – – –chiam(are) – + – – – – –preferi(re) – – + – – – –amministra(re) – – – + – – –arde(re)/arso – – – – + – –boicotta(re) – – – – – + –suggeri(re) – +[Urgere, vertere e vigere sono, ad esempio, verbi difettivi, nel senso che mancano di alcune forme, per esempio del participio passato]

Ad uno qualsiasi dei verbi in (20), diciamo revocare, è invece possibile aggiungere tutto il paradigma flessivo dei verbi della prima coniugazione e quindi formare revoco, revochi,

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revocammo, revochereste, revocando, ecc. /pag. 235/(VI). La flessione è rilevante per la sintassi, mentre la derivazione non lo è. Basti pensare

ad un fenomeno come l’accordo (per esempio in genere, numero e caso dell’aggettivo con il nome [Ogni lingua ha il proprio sistema di accordo: in latino l’aggettivo si accorda col nome in genere numero e caso, in italiano (dove non ci sono casi) si accorda in genere e numero, in inglese (dove non ci sono casi e i nomi e gli aggettivi non hanno genere) soltanto in numero.]; o l’accordo di numero tra il soggetto e il verbo). Vi è interazione tra flessione e sintassi nel senso che è la sintassi a richiedere certe marche flessive o altre. Tra sintassi e derivazione, al contrario, non sembrano esistere rapporti, come si èvisto in 8.1.

(VII). Le RF sono obbligatorie mentre le RD sono facoltative. A questa differenza tra i due insiemi di regole abbiamo già accennato nel cap. 4, dove si è osservato che non esistono livelli della grammatica che richiedano l’applicazione di una RD, mentre vi sono livelli, come ad esempio quello di struttura superficiale, in cui la flessione deve necessariamente comparire.

(VIII) Data una parola, i suoi esiti flessivi possibili sono prevedibili e “chiusi” mentre lo stesso non è vero per gli esiti derivazionali. Per esempio ad un nome come atomo, si può applicare solo la regola flessiva che ne forma il plurale, atomi. Le regole derivazionali che si possono applicare ad atomo possono portare a atomico, atomista, atomizzare, atomistico, antiatomico, atomicità..., vale a dire a una molteplicità di esiti. Oltre a questo, nel dominio della flessione non ha senso parlare di “forma flessa possibile ma non esistente”, mentre invece per la derivazione questa è, come abbiamo visto, una nozione usuale. Per esempio atomiera è una parola non esistente, ma che potrebbe essere formata, se ve ne fosse la necessità. Da atomo non possiamo formare una “forma flessa non esistente”.

Sulla base di tutti gli argomenti sin qui discussi, si può concludere che derivazione e flessione sono insiemi diversi di regole della grammatica [La letteratura sull’argomento è imponente e, inutile dirlo, controversa. Si potrebbe dire che tutti i punti sopra discussi sono stati messi in dubbio. Osserveremo qui soltanto che in una serie di lavori [per es. Miceli e Caramazza 1987] Caramazza ha studiato casi di pazienti cerebrolesi che manifestavano una perdita di controllo della flessione ma non della derivazione.]. In particolare, le regole di derivazione sembrano essere più “potenti” delle regole di flessione, nel senso che possono cambiare tutte le informazioni associate alle loro basi. Le regole flessive, in generale, si limitano ad aggiungere alle loro basi informazioni grammaticali da un insieme chiuso (genere, numero, caso, tempo, modo, ecc.).

Mentre i processi derivazionali consistono nella formazione di una parola nuova, quelli flessivi non formano parole nuove ma comportano un cambiamento nelle informazioni grammaticali della stessa parola.

Per quel che riguarda l’ordine di applicazione di questi insiemi di /pag. 236/ regole, le regole di derivazione si applicano prima di quelle di flessione. Ciò dà conto della distribuzione normale di queste forme legate, dato che la flessione è periferica rispetto alla derivazione. Supporremo dunque che nel componente lessicale, vi sia la seguente organizzazione:

Lessico

RD

RFQuest’ordine delle regole (prima le regole derivazíonali, poi le regole flessive) assicura la

corretta distribuzione dei morfemi in parole come bar-ist-i, supplich-evol-i, lava-tric-i dove i

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suffissi derivazionali vengono dopo la base e precedono quelli flessivi.

9.2. Regole di composizione e regole di derivazioneRegole di Composizione (RC) e Regole di Derivazione sono, nel quadro teorico qui

adottato, due insiemi di regole diverse che operano nello stesso componente della grammatica (il componente lessicale). Tra i due insiemi di regole sono ipotizzabili le seguenti modalità di relazioni reciproche: tutte le RC precedono le RD (21a); tutte le RD precedono le RC (21b); RC e RD interagiscono liberamente (21c); RC e RD non interagiscono in alcun modo (21 d):(21) a. b. c. d.

RC RD RC RD RD RC

RD RC

Le ipotesi (21c) e (21d) non hanno conferme empiriche nel senso che (21d) è falsificata dal fatto che si trovano parole che sono sia derivate che composte (cfr. gli esempi in (23) più avanti) mentre (21 c) è falsificata dal fatto che non si possono liberamente derivare i composti o comporre parole derivate (un composto come senzatetto non può essere derivato, cfr. *sottotettoia; un derivato come campetto non può essere composto, cfr. *campettosanto). Restano dunque (21a) e (21b). (21a) predice che vi siano parole “prima” composte e “poi” derivate, nel qual caso esisterebbero solo due strutture possibili dato che le regole di derivazione non possono “entrare” nel composto; esisterebbero dunque solo composti suffissati (22ai) e composti prefissati (22aii). (21b) predice il contrario e cioè che esistano parole “prima” derivate e “poi” composte /pag. 238/ e qui voi sono diverse strutture possibili, a seconda che sia suffissata o prefissatta Parola1 (rispettivamente (22bi) e (22bii)) o Parola2 (rispettivamente (22biii) e (22biv)), e così via, fino a strutture molto complesse come quelle in (22bvii-viii), che probabilmente sono solo ipotetiche:(22) a. i. [[[ ] # [ ]] + Suf]

ii. [Pre + [[ ] # [ ]]]b. i. [[[ ] + Suf] # [ ]]

ii. [[Pre + [ ]] # [ ]]iii. [[ ] # [[ ] + Suf]]iv. [[ ] # [Pre + [ ]]]v. [[[ ] + Sufj # [[ ] + Suf]vi. [[Pre + [ ]] # [Pre + [ ]]

..................vii. [[[Pre +[ ]] + Suf] # [[Pre + [ ]] + Suf]]]viii. [[Pre + [[ ] + Suf]] # [[Pre + [[ ] + Suf-]]]]

Vi sono esempi della struttura (22ai) come i seguenti:(23) ferrovia –––> ferroviario

crocerossa –––> crocerossinamalavita –––> malavitosoguardaroba –––> guardarobieradopolavoro –––> dopolavoristicofotocopiare –––> fotocopiatrice

Che i composti appena dati abbiano la struttura (22ai) e non quella in (22biii) può essere provato. Si consideri infatti crocerossina. È una parola costituita da tre elementi croce, rossa e ina. Il suffisso -ina non è un suffisso diminutivo ma è il suffisso (qui al femminile) che forma nomi di mestiere (cfr. postino). Tale suffisso si aggiunge a nomi ( posta +ino) non ad aggettivi. La struttura di crocerossina è pertanto la seguente:

(24) [[[croce] # [rossa]] + ina]

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Ne è riprova il fatto che *rossina non esiste, così come del resto non esistono *vitoso, *robiera, ecc.

I dati appena visti non debbono però trarre in inganno. Non si può infatti concludere che i composti possono essere normalmente derivati. Se si considerano composti con la stessa struttura di quelli visti sopra, si potrà constatare che non possono essere derivati:(25) crocevia –––> *croceviario

campo santo –––> *camposantinaaltopiano –––> *altopianuralavapiatti –––> *lavapiattierasaliscendi –––> *risaliscendiretroterra –––> *retroterrestre /pag. 238/

Diverso è il caso in cui Parola2 sia costituita da una semiparola. In tal caso i composti sembrano derivabili (anche se quasi esclusivamente col suffisso -ico):(26) filantropo –––> filantropico

talassografia –––> talassograficobiografo –––> biograficoastronauta –––> astronautico

Se dall’ambito dei composti stretti si passa invece ai composti larghi, si osserva un’altra tendenza. Si considerino infatti dati come i seguenti:(27) a. aiuto macchinista

fondo assistenzacittà dormitorio

b. trasmissione radio formazione base

c. disegnatore progettistamarxista leninista

I composti in (27a), (27b) e (27c) realizzano, rispettivamente, le strutture (22biii) (22bi) e (22bv). Più precisamente, i composti in (27a) presentano suffissazione di Parola2, i composti in (27b) presentano suffissazione di Parolai ed infine i composti in (27c) presentano suffissazione sia di Parolai che di Parola2. Che le strutture siano quelle date può essere provato - analogamente a quanto visto sopra - dal fatto che le strutture intermedie (*aiuto macchina, *trasmette(re) radio e *disegnaprogetta) non esistono.

Da quanto visto, si può concludere che la grammatica tratta i composti stretti in modi analoghi a come tratta le parole semplici (cioè si può aggiungere del materiale morfologico a destra della parola di base), mentre tratta i composti larghi come parole complesse effettivamente costituite da due componenti. Si noti che nei composti larghi vi è una struttura non possibile:

(28) ‘‘‘[[Parola1] # [Parola2]] +Suf

L’impossibilità di (28) si spiega col fatto che nei composti larghi la testa è Parolai e Suf sembra essere troppa lontano da questa. Se ne può concludere che non si può aggiungere materiale morfologico (né derivazionale né flessivo) “troppo lontano” dalla testa (almeno fino a quando questa è percepita come tale).

In conclusione, i rapporti composizione/derivazione vanno analizzati /pag. 239/ separatamente a seconda che si tratti di composti stretti o di composti larghi [Un problema è rappresentato dai composti V+ N dove si hanno casi sia di derivazione di tutto il composto, sia di derivazione di Parola2, come si può vedere in paracadutista e in portatovagliolo, rispettivamente.]:

(29) composti larghi composti stretti

RD RC

153

RC RD

Si osservi infine che per quel che riguarda la questione in esame, la derivazione sembra rappresentata quasi esclusivamente dalla suffissazione [Tra i rari esempi di interazione prefissazione/composizione, si possono ricordare inverosimile, andirivieni, il primo con prefissazione di tutto il composto il secondo con prefissazione solo di Parola2.].

Riassumendo quanto visto sin qui con un diagramma, si potrebbe pensare che il compo-nente lessicale della grammatica, nella sua parte “centrale” è organizzato nel modo seguente:

Lessico

RD

RC

RF

RRQuesto ordine delle regole dà conto di un buon numero di formazioni regolari e produttive.

Le uscite possibili di questo componente sono a) parole semplici non flesse, non derivate non composte (ieri, auto); b) parole (solo) flesse (case, dicevano); c) parole derivate non flesse (enormemente, dispari); d) parole derivate flesse (gondolieri); e) parole composte non flesse (senzatetto); f) parole composte flesse (navi traghetto); g) parole derivate, composte e flesse (trasmissioni radio). Le RR si applicheranno automaticamente quando ve ne sia bisogno. Per esemplificare il meccanismo proposto, si consideri la derivazione (semplificata) della parola gondolieri: /pag. 240/ (30) Less. gondola]N

RD gondola] N + iere] N

RF gondola] N + iere] N + i] N

RR gondol ] N + ier ] N + i] N

Uscita gondolieri] N

Questa proposta di ordinamento delle regole funziona adeguatamente, come si è appena detto, per il “centro” della morfologia, con due eccezioni, però, cui si accennerà nel paragrafo seguente.

9.3. Regole di composizione e regole di flessioneI rapporti tra composizione e flessione sono già stati visti nel capitolo dedicato alla

composizione. Basti qui ricordare le conclusioni alle quali eravamo giunti.Innanzi tutto, si è constatato che la flessione dei nomi composti è una zona molto irregolare

della morfologia ed ogni generalizzazione incontra eccezioni.La flessione dei composti deve tenere conto di due fattori cruciali: a) la posizione della

testa, b) il grado di lessicalizzazione del composto. La regola produttiva nell’italiano contemporaneo è la seguente: le RC formano composti endocentrici con testa a sinistra. In questi casi la flessione è flessione della testa (es. navi traghetto). I composti lessicalizzati, al contrario, vengono trattati come parole semplici e quindi la flessione si applica a destra del composto (cfr. pomodori). Tra questi due estremi si colloca una varia casistica, che abbiamo visto nel cap. 5.

154

Vi è un tipo di composti, del tutto produttivo, dove la flessione sembra agire prima delle regole di composizione, è il tipo N + N(pl) (lavapiatti). In questo tipo di composti, come si è visto in 5.9.1., il plurale è plurale solo del Nome e non di tutto il composto (cfr. una lavapiatti) per cui si tratta di una eccezione al quadro proposto nella fig. 9.1.

L’altra eccezione, come si è visto in 8.3. (nota 11), è costituita dalla forma al femminile dell’aggettivo nei composti A+ N e N +A.

9.4. Combinazioni di affissiNei paragrafi precedenti abbiamo visto quali sono i rapporti tra i vari blocchi di regole del

componente lessicale. Ci rivolgiamo ora all’interno dei singoli blocchi di regole per discutere alcuni aspetti relativi alla combinazione di suffissi, alla combinazione di prefissi e alla ricorsività.

9.4.1. Combinazioni di suffissiI suffissi si applicano in sequenza, uno dopo l’altro. Quest’ordine lineare può essere

espresso dalla grammatica, come si è visto sopra, con /pag. 241/ un meccanismo molto elegante e cioè attraverso l’ordine di applicazione. Si immagini che l’italiano disponga solo dei suffissi -ico, -izza(re) e -zione. Se questi tre suffissi potessero combinarsi liberamente, allora avremmo le seguenti possibilità:(31) a. ico + izza + zione

b. ico + zione + izzac. izza + zione + icod. izza + ico + zionee. zione + ico + izzaf. zione + izza + ico

In realtà l’unico ordine possibile è quello in (31a) (cfr. storicizzazione, periodicizzazione, ecc. ) [Alcuni degli ordini in (31) sono esclusi per questioni categoriali, per esempio (31b) è escluso perché -zione si aggiunge a verbi (e quindi non può aggiungersi ad aggettivi in -ico); (31d) è escluso dal fatto che il suffisso -ico non si aggiunge a verbi ma a nomi. Altre esclusioni derivano invece da restrizioni che i vari suffissi impongono alla propria base.]. La grammatica potrebbe quindi “ordinare”’ questi tre suffissi, nel modo seguente:(32) Lessico

1. ico2. izza3. zione

Questo semplice meccanismo permetterebbe alla grammatica di formare solo parole in Xicizzazione e di escludere tutte le altre sequenze non grammaticali di (31b-f). Permetterebbe anche di classificare tutti i suffissi in tre categorie: iniziali (si aggiungono solo direttamente alla base), mediani (si aggiungono dopo il primo suffisso) e terminali (non permettono l’aggiunta di altri suffissi).

In realtà, i suffissi di una lingua non possono essere ordinati in questo modo. Si considerino i tre suffissi -zione, -ile e -izzare. Date parole come derivazionale e industrializzare si arriva alla seguente conclusione:(33) a. -zione precede -ale

b. -Ile precede -izzareQueste due osservazioni ci portano a predire, per la transitività, che il suffisso -zione

dovrebbe sempre precedere il suffisso -izzare. Così non èperò, come dimostrano le parole seguenti, dove -zione segue il suffisso -izzare:(34) industrializzazione

lessicalizzazionecentralizzazione

155

nazionalizzazioneglobalizzazione /pag. 242/

Inoltre, il principio della transitività non trova piena attuazione. Negli esempi che seguono, infatti, date le combinazioni (35a) e (35b), ci aspetteremmo anche la combinazione (35c), che invece non si dà:(35) a. evole + ezza arrendevolezza

b. ezza + osocarezzosoc. *evole+ezza+oso *lodevolezzosoa. ano + ità romanitàb. ità + ario utilitarioc. *ano + ità + ario romanitarioa. ifico+ità *scientificitàb. ità + ario utilitarioc. *ifico + ità + ario *scientificitario

Una classificazione dei suffissi in iniziali, mediani e finali è stata tentata e ne sono risultate quattro categorie:(36) a. suffissi iniziali e finali23:

-astro, -eto, -ime, -toriob. suffissi iniziali (non preceduti da altri suffissi):

b1 (nominali): -ite, -izia, -tore b2 (aggettivali): -aneo, -evole, -escente, -torio

c. suffissi intermedi (possono essere preceduti e seguiti da altri suffissi):c1 (N –––> N): -iere, -istac2 (A –––> A): -ile, -esco, -izio, -ico, -osoc3 (N –––> V): -eggiare, -izzare, -arec4 (A –––> N): -ezza, -ità, -istac5 (V –––> N): -zione, -mento

d. suffissi terminali (non possono essere seguiti da altri suffissi): -ismo, -aio, -mente, -ume

ll problema cui classificazioni di questo tipoz^ vanno incontro però èche la categoria dei suffissi intermedi non può essere ulteriormente ordinata: vi si ritrovano dunque i problemi già visti con -ile, -izzare, -zione. Vi sono poi alcuni casi in cui due suffissi possono presentare entrambi gli ordini:

(37) a. X-ic-ista storicistab. X-ist-ico artistico

In conclusione, non sembra sia possibile imporre ai suffissi un ordine di applicazione. La grammatica deve rinunciare ad esprimere un ordine formale tra le varie regole di suffissazione: le varie /pag. 243/ incompatibilità dovranno dunque essere espresse per mezzo di restrizioni, come si è visto nel cap. 4.

9.4.2. Combinazioni di prefissiTutte le lingue del mondo mostrano una spiccata preferenza per la suffissazione invece che

per la prefissazione25, e a questa tendenza non sfugge l’italiano, dove la norma - casi di ricorsività a parte (cfr. il paragrafo seguente) - è che le regole di prefissazione si possano applicare una volta sola. Sono rari i casi di doppia prefissazione (in +de +formabile, ex +pro+console, ri+ con+giunzione). L’italiano ha una serie di prefissi bisillabici (arci-, extra-, ultra-, ecc.) e una serie di prefissi monosillabici (in-, a-, pre-, ecc.). Da queste due serie possono nascere delle combinazioni prefissali, ma di preferenza con il prefisso bisillabico in posizione periferica:(38) a. in +felice b. a + morale

arci + felice ultra + morale

156

arci + in + felice ultra + a + morale*in + arci + felice *a(n) + ultra + morale

Gli esempi appena citati, pur possibili e perfettamente grammaticali, non sembrano rappresentare una tendenza produttiva dell’italiano, lingua in cui la combinazione di prefissi è un fenomeno marginale.

9.4.3. RicorsivitàCon ricorsività si intende l’applicazione ripetuta della stessa regola. Una parola come iper-

iper-iper-saturo illustra bene un’uscita costruita tramite una regola ricorsiva: la prefissazione di iper-.

Nel dominio della ricorsività bisogna distinguere composizione da derivazione. Per quel che riguarda la composizione vi è una distinzione netta tra famiglie linguistiche diverse. Come si è già visto nel cap. 5, e come si vede qui sotto con altri esempi, infatti, la composizione è ricorsiva nelle lingue germaniche:(39) ted. Donaudampfschiffahrtgesellschaftkapitànwitwe

ingl. student filia society committee scandal inquiryol. brandweerladderwagenknipperfchtinstallatiemonteurs**

[**‘Vedova del capitano della compagnia di navigazione di navi a vapore del Danubio’; ‘inchiesta sullo scandalo del comitato della società filmica

studentesca’; ‘montatori per l’installazione di luci lampeggianti sulle scale dei pompieri’.]Nelle lingue romanze invece questa possibilità è assai ristretta, come si è già visto. /pag. 244/

Per quel che riguarda la derivazione, invece, vi sono delle restrizioni strutturali che limitano la ricorsività in tutte le lingue, ma bisogna ancora distinguere tra prefissazione e suffissazione. La suffissazione, di norma, cambia la categoria della base e con ciò elimina di fatto le condizioni per la riapplicabilità della stessa regola. Si consideri il suffisso -ico, che si aggiunge a nomi e forma aggettivi. Dopo che il suffisso è stato aggiunto, la stessa regola non si può più applicare come si vede bene qui sotto:

(40) ]N + ico]A + *ico]

Naturalmente può intervenire una regola intermedia che ricrei le condizioni di applicabilità del suffisso:

(41) storia]N + ico]A + asta]N + ico]

Lo stesso schema si ritrova nelle lingue germaniche:(42) ted. Einheitlichkeit

ingl. industrializationalol. Kleurloosheidloos [‘unitarietà’; ‘industrializzazionale’; ‘assenza della

proprietà di essere incolore’]Se ne può concludere che in derivazione esistono sporadici casi di ricorsività ma non in

cicli adiacenti.Per quel che riguarda la prefissazione, invece, dal punto di vista categoriale non vi sono

problemi, dato che la prefissazione non cambia la categoria della base e vi sono diversi prefissi ricorsivi come meta-, para-, ultra- ecc.(43) meta-meta-metalinguaggio

para-para-paranormale ultra-ultra-ultrascientifico

Esistono tuttavia limiti semantici o fonologici anche alla ricorsività dei prefissi. Per esempio, il prefisso in-, come si è visto, si aggiunge ad aggettivi con significato non negativo. L’aggiunta di in- ad un aggettivo, dunque, rendendo negativo l’aggettivo di base, rende automaticamente non possibile la reiterazione della regola:

(44) *in+ [in+ [felice

157

L’aggiunta del prefisso s- ad una base, rende impossibile una sua reiterazione, per motivi fonologici innanzi tutto, perché due prefissi di questo tipo produrrebbero un nesso consonantico iniziale non possibile (cfr. ‘‘ssfortunato).

Un ultimo caso da considerare è quello relativo a tutti quegli /pag. 245/ elementi affissali (esclusi i morfemi flessivi) che non cambiano la categoria della base:(45) car[in + in]issimo

beli[issim + issim]oafrikaans kind[jie + (t)jie] ‘bambinettino’

I suffissi valutativi si possono applicare ripetutamente, ma con tutta probabilità solo limitatamente a certe espressioni intensive leggermente marcate. Ne possiamo concludere che il fenomeno della ricorsività raggiunge dimensioni interessanti - tra i casi sopra discussi - solo per i composti delle lingue germaniche.

9.4.4. Combinazioni di suffissi e prefissiPer una parola che sia suffissata e prefissata, vi sono due strutture minime possibili:

(46) a. b. (47)

pre X suf pre X suf in confuta bile mente (46a) è la struttura di parole come presentimento, intrattenimento, deformabile, quella in

(46b) di parole come, deatomizzare, antistalinismo.A partire da queste due strutture semplici, si possono immaginare diverse strutture più

complesse come in (47)Per quel che riguarda le regole e/o le restrizioni con cui prefissi e suffissi si aggiungono

alle proprie basi, si ricordi quanto si è visto nel cap. 7 sulla nozione di testa.Esistono limiti al numero degli affissi che si possono aggiungere ad una base? O, in altri

termini: quanto complessa può essere una parola complessa? La risposta a questa domanda deve ricorrere alle nozioni di “grammaticalità” e di “accettabilità”: dal punto di vista della grammaticalità non vi sono limiti alla complessità delle parole. Di fatto, dal punto di vista della accettabilità, le parole delle lingue a noi più vicine /pag. 246/ hanno dei limiti: precipitevolissimevolmente si cita come esempio (oggi scherzoso) della parola più lunga dell’italiano. Certo, la si potrebbe rendere ancora più complessa (iperprecipitevolissime-volmente), ma in realtà un parlante nativo dell’italiano ha la consapevolezza che le parole della sua lingua hanno una “lunghezza media” e che non esistono parole di venti sillabe o con quindici affissi. Ricorrendo alla ricorsivita, in teoria è possibile allungare all’infinito una sequenza come neo + neo +capitalismo ma la complessità trova un limite effettivo in fatti di esecuzione.

9.5. Struttura interna delle parole derivateA volte non è del tutto semplice stabilire quale sia la struttura interna di una parola

complessa.Vi sono almeno tre ordini di problemi che possono presentarsi: a) decidibilità della

struttura; b) problema categoriale; c) discrepanze tra morfologia e semantica. Vediamoli in ordine, prima di discutere la struttura interna delle parole flesse.

9.5.1. Quale struttura?Una parola come inutilità è una parola sia prefissata che suffissata: utile è la base, in- è il

prefisso e -ità è il suffisso. Qual è la struttura interna di questa parola, dato che diverse soluzioni sono proponibili? La nostra parola infatti può essere analizzata almeno in tre modi diversi:

158

(48) a. b. c.

in utile ità in utile ità in utile itàSecondo l’analisi in (48a) la parola sarebbe “prima” prefissata e “poi” suffissata; secondo

l’analisi in (48b) invece sarebbe prima suffissata e poi prefissata; secondo l’analisi in (48c), infine, sarebbe prefissata e suffissata contemporaneamente. Le tre strutture corrispondono, rispettivamente, alle seguenti derivazioni:(49) a. [utile] A b. [utile]A

[in + [utile] A ]N [[utile] A +ità] N

[[in+ [utile] A ] A +ità] N [in+[[utile] A +ità] N] N

c. [utile] A

[in + [utile] A + ità] N /pag. 247/In questo caso si può dare una risposta univoca al quesito. L’analisi in (49c) deve essere

esclusa su basi generali perché le RFP, come si è visto, non aggiungono due affissi contemporaneamente (cfr. 8.6. ), ma uno alla volta. L’analisi in (49a) è conforme alla ipotesi della base unica (cfr. 8.5.) (in- negativo si aggiunge ad un aggettivo) mentre l’analisi in (49b) non è conforme a tale ipotesi in quanto prevede che in- negativo si aggiunga ad un nome (utilità). Possiamo concludere che una parola come inutilità è costruita partendo dalla base utile che viene prefissata [in + [utile]] e poi suffissata [[in + [utile]] +ità].

In molti altri casi, come in questo, la struttura interna può essere definita ricorrendo all’ipotesi della base unica.

9.5.2. Quale categoria?Un secondo caso in cui la struttura interna di parola è problematíca è quello in cui la base è

ambigua per quel che riguarda la categoria lessicale. Si considerino le seguenti parole:(50) mangiabile definibile

adorabile raggiungibilePer tutti questi casi, l’intuizione più immediata (ma anche l’unica possibile) è che il

suffisso -bile si aggiunga ad una base verbale. Si consideri ora un altro insieme di parole in -bile:(51) valicabile varcabile

replicabile ossidabilemusicabile ideabilesolcabile

Le parole in (51) sono suscettibili in linea di principio di essere analizzate in due modi diversi. Per esempio, valicabile potrebbe in apparenza derivare sia dal nome valico, sia dal verbo valicare. Le due strutture in alternativa sono dunque, rispettivamente, quelle in (52a) e (52b):(52) a. [ ]N +bile b. [ ]V +bile

In questo caso vi sono forti argomenti per decidere a favore della struttura interna rappresentata in (52b).

Se -bile si aggiungesse a nomi (come in (52a)), allora bisognerebbe supporre che si aggiunga anche ad aggettivi, stando almeno a dati come i seguenti: /pag. 248/(53) seccabile (da secco)

autenticabile (da autentico)celebrabile (da celebre)

Vi sarebbero quindi tre categorie lessicali che -bile potrebbe scegliere (V, A, N) il che è decisamente contrario all’ipotesi della base unica, anche nella sua forma modificata (cfr. 8.5.). Se invece si assume che la base è Verbo, non vi sarebbero difficoltà dato che anche le parole

159

in (53) hanno un verbo corrispondente, seccare, autenticare, celebrare.In secondo luogo, vi sono moltissimi casi in cui la base dell’aggettivo non può che essere

un verbo:(54) giudicabile (non *giudiziabile da giudizio)

vendicabile (non *vendettabile da vendetta)spiegabile (non *spiegazionabile da spiegazione)

Infine, il suffisso esibisce una allomorfia (-abile, -ibile) che si spiega solo con una base verbale, dato che l’alternanza a/i è tipicamente quella della vocale tematica. Anche in questo caso, come in quello precedente, il problema si può risolvere ricorrendo alla “base unica”.

9.5.3. Quale semantica?Il terzo problema che discuteremo qui riguarda la discrepanza tra struttura morfologica e

lettura semantica delle parole complesse, casi noti col nome di “paradossi della parentesizzazione”. Se l’interpretazione semantica di una parola complessa è funzione dei significati dei suoi costituenti, allora tali costituenti debbono essere parentesizzati in modo da rendere possibile (e univoca) tale interpretazione. Una guardarobiera è una ‘persona di sesso femminile’ (-fiera) che si occupa del guardaroba:(55) [[guardaroba] [iera]

In questo caso, guardaroba è un costituente di guardarobiera e la sua parentesizzazione rende possibile una interpretazione corretta della parola. Ma non sempre si verifica questa situazione. Vediamo due casi dall’inglese.

Un caso in cui si crea un conflitto tra parentesizzazione e lettura semantica è quello del comparativo inglese -er. L’aggiunta di questo suffisso soggiace a restrizioni fonologiche: si aggiunge solo a basi monosillabiche (56a) o bisillabiche con la seconda sillaba atona (56b):(56) a. ripe riper ‘maturo - più maturo’

b. happy happier ‘felice - più felice’c. pluralist *pluralister ‘pluralista’ /pag. 249/

Aggettivi come ripe o happy possono essere negati: un +ripe, un +happy. Gli stessi aggettivi possono sottostare ad entrambi i processi: unriper, unhappier. Ma qual è la struttura di queste parole? La restrizione fonologica indica che le forme debbono essere prima suffissate e poi prefissate: le forme unripe e unhappy infatti non possono essere basi del suffisso -er perché unripe è bisillabica con la seconda sillaba tonica e perché unhappy è trisillabica. La struttura morfologica di unhappier deve dunque essere quella in (57a) e non quella in (57b):(57) a. un + [happy + er]

b. [un + happy] + erLa struttura in (57a), però, contrasta con la lettura semantica che è ‘più [non felice]’

piuttosto che ‘non [più felice]’ e quindi corrispondente a (57b). Vi è dunque una discrepanza tra la struttura morfologica corretta (57a) e il significato (57b).

Lo stesso tipo di discrepanza è stato osservato in costruzioni come le seguenti:(58) atomíc scientist ‘scienziato atomico’

nuclear physicist ‘fisico nucleare’hydro electicity ‘idroelettricità’

Ora, un nuclear physicist è uno ‘specialista di [fisica nucleare]’ non è un ‘fisico che è nucleare’... ll costituente semantico ‘fisica nucleare’ non corrisponde ad alcun costituente morfologico, come si vede dalla seguente struttura:

(59)

nuclear physic ist

160

Il problema è dunque come collegare due strutture (una richiesta dalla semantica e una dalla morfologia). Un tentativo di risposta “lessicale”, dovuto a Williams [1981] {Altri tentativi si basano sull’ipotesi che vi siano strutture diverse a livelli diversi di rappresentazione, con vari meccanismi per collegare le due rappresentazioni [cfr. Pesetsky 1985 o Sproat 1984].}, fa ricorso ad una nozione di ‘collegamento lessicale’ così definita:(60) X può essere lessicalmente collegato a Y se X e Y sono diversi

solo per una posizione-testa [...]Questa nozione di “collegamento lessicale” permette a Williams di risolvere il paradosso

nel modo seguente: nuclear physic è “lessicalmente collegato” a nuclear physicist perché i due sono diversi solo per una posizione testa (ist): /pag. 250/(61)

nuclear physic istY

La soluzione qui delineata è una tra le tante soluzioni che sono state proposte. Noi non approfondiremo però oltre il problema.

Discuteremo, invece, alcuni problemi relativi alle parole flesse, in particolare delle forme verbali che, in italiano, presentano più di un aspetto problematico.

9.6. Struttura interna delle parole flesseAbbiamo visto che la struttura delle parole complesse è binaria. Ciò significa che una

parola con due affissi avrà la struttura in (62a) e non quella in (62b):(62) a. b.

PAROLA a b PAROLA a bLa struttura in (62a) tuttavia non sembra sempre adeguata perché i due nodi a e b non

risultano differenziati. Se i nodi a e b sono nodi dello stesso tipo (per esempio tutti nodi derivazionali), non vi sono inconvenienti, ma se sono di tipo diverso e si desidera differenziarli, allora la struttura in (62a) è inadeguata. Si supponga ora, invece, che la rappresentazione delle parole flesse preveda un nodo di Flessione (FL) specifico (in (63a) la flessione si aggiunge direttamente alla base, mentre in (63b) si aggiunge ad un suffisso derivazionale, rappresentato come « c »):(63)

a. b.

FL FL

PAROLA a b PAROLA c a b /pag. 251/Le strutture in (63) presentano diversi vantaggi. In primo luogo danno conto del fatto che

se ci sono due morfemi flessivi a destra della parola, l’aggiunta di uno solo dei due non dà una parola esistente:(64) ama+v+o (v = tempo, o = persona /numero)

161

dove *amav- non è una parola ben formataIn altre parole, tutti i morfemi flessivi debbono essere aggiunti prima che la parola

raggiunga la sua forma di superficie. Data la struttura in (63a), non ci si può fermare a qualsiasi punto: tutte le regole che aggiungono i morfemi flessivi debbono applicarsi per formare una parola flessa completa.

In secondo luogo, (63) formalizza una differenza tra i nodi flessivi e i nodi della derivazione: in (63b) lo status del morfema derivazionale (c) è diverso dallo status dei morfemi flessivi (a e b), ciò che è in accordo con quanto si è detto sulla differenza tra flessione e derivazione.

In terzo luogo, questa struttura dà conto del fatto che il nodo FL sembra ‘pre-associato’ con la sua base. Ogni parola può essere flessa per un insieme chiuso e prevedibile di tratti: in italiano i nomi sono flessi per numero, gli aggettivi per numero e genere, i verbi per tempo, modo, ecc.(65)

FL

PAROLAdove FL varia secondo la categoria lessicale di PAROLA, ma sempre in modi definiti e prevedibili

Si consideri la parola atomo: abbiamo già visto che la sola RF che si può applicare a questa base è quella che forma il plurale. Ma se dovessimo applicare una RD non si può predire quale si applicherà: da atomo possiamo formare un verbo (atomizzare), un aggettivo (atomico) o un nome (atomismo).

Ed ancora, la struttura proposta dà conto di una speciale interdipendenza che esiste tra i morfemi dominati dallo stesso nodo FL. Si consideri la prima persona singolare del futuro indicativo e la terza persona singolare del passato remoto:(66) am + e + r + ò

am + ø + ø + òÈ evidente che non si può assegnare un significato grammaticale al morfema flessivo ò in

isolamento: la sua interpretazione è legata a ciò che si trova (o non si trova) alla sua sinistra. Questa interdipendenza /pag. 252/ dei morfemi flessivi funziona anche nella direzione opposta. Si considerino le due parole seguenti:(67) a. am + e + r + ò

b. am + e + r + eiDi nuovo, sembra evidente che il morfema e (o er, a seconda delle analisi) non sia

interpretabile senza l’ultimo morfema: e /r significano ‘futuro’ (67a) o ‘condizionale’ (67b) non in assoluto ma in connessione con i morfemi di Persona/Numero. Questo tipo di interdipendenza non sembra valere per i morfemi derivazionali. Si consideri infatti una struttura come quella in (68), dove a e b sono morfemi derivazionali e c e d morfemi flessivi.(68)

FL

PAROLA a b c dCiò che la struttura data evidenzia qui è che il rapporto tra a e b èdiverso dal rapporto che

intercorre tra c e d.Infine, la struttura proposta dà conto del fatto per cui nella morfologia dell’italiano, non c’è

corrispondenza biunivoca tra morfi e morfemi e quindi nel caso dei morfemi flessivi la

162

percolazione di un tratto alla volta non è possibile. Si consideri la struttura della desinenza flessiva -rebbero come viene analizzata da Matthews [1970 (1974: 125)l:(69) Cond III p. pl.

r e bb (e) roCome si vede, il quadro è molto complesso e risulterebbe difficile attribuire i diversi morfi

ai vari morfemi. Matthews osserva inoltre che la r appare solo nel condizionale o nel futuro, la terza plurale ro appare soltanto nel condizionale o nel congiuntivo imperfetto. Sembrerebbe che i tre morfemi - condizionale, terza persona e plurale - siano segnalati dall’intera terminazione -rebbero e che non vi siano criteri per localizzarli individualmente.

Sembra quindi necessario supporre che una terminazione flessiva, pur essendo analizzabile (a volte con difficoltà) in vari segmenti, funzioni come un tutto.

ll nodo FL che abbiamo qui proposto, è naturalmente diverso a /pag. 253/ seconda che si tratti di flessione nominale o di flessione verbale. Volgendoci a quest’ultima, che è decisamente più complessa, una proposta interessante relativa alla struttura interna dei costituenti di un verbo è la seguente:(70) V

tema Fless

radice VT M/T N/PUn verbo è analizzabile in “radice + vocale tematica” più “morfemi di modo e tempo” e

“morfemi di numero e persona”.La radice più la vocale tematica forma il tema, i morfemi di modo, tempo, numero e

persona costituiscono il nodo ‘flessione’. Tra i morfemi della flessione esistono interdipendenze complesse. Per riassumere, la struttura di una parola come centralizzavate è, in prima approssimazione, la seguente (Legenda: TE = tema, R = radice, VT = vocale tematica, T/M = tempo e modo, P/N = persona e numero):(71) V

TE FL

R

centraliz a v ateQuesta rappresentazione ha il vantaggio di differenziare tra morfemi derivazíonali e

morfemi flessivi, e di trattare come un tutto (ancorché analizzabile) i morfemi flessivi.

9.7. SommarioIn questo capitolo abbiamo affrontato tre punti principali: a) i rapporti tra i vari blocchi di

regole del componente lessicale, b) la riapplicazione dei vari blocchi di regole alla propria uscita ed infine c) alcuni aspetti problematici della definizione della struttura interna delle parole complesse.

Nella prima parte del capitolo abbiamo dunque studiato i rapporti a) tra regole di derivazione e regole di flessione, b) tra regole di composizione e regole di derivazione, c) tra regole di composizione e regole di flessione. /pag. 254/

Per quel che riguarda il rapporto tra RD e RF, si è potuto dimostrare che le RD e le RF sono due tipi distinti di regole per il fatto che a) le RD possono cambiare la categoria lessicale della loro base, mentre le RF non possono farlo; b) le RF sono sempre periferiche rispetto alle

163

VT

T/M P/N

RD; c) le RD e le RF “fanno” cose diverse, ed in particolare le RD sono regole più “potenti” delle RF nel senso che possono operare mutamenti più radicali sulla loro base di quanto non possano fare le RF; d) le RD cambiano il significato concettuale della loro base, mentre le RF cambiano solo il significato grammaticale; e) le RD non sono totalmente produttive, mentre le RF lo sono; f) certi aspetti della flessione (per esempio l’accordo) sono strettamente dipendenti dalla sintassi, mentre la derivazione è totalmente indipendente da questa; g) le RD sono facoltative mentre le RF sono obbligatorie; h) gli esiti flessivi di una parola sono prevedibili a partire dalla categoria della base mentre in derivazione non è così (9.1.).

Per quel che riguarda il rapporto tra RC e RD, abbiamo esaminato varie ipotesi di relazione tra questi due insiemi di regole e ne abbiamo concluso che i composti lessicalizzati sono trattati dalla grammatica come parole senza una chiara struttura interna, per cui questi composti possono essere derivati. La derivazione di composti è però un fenomeno sporadico, non sistematico. I composti larghi invece, possono avere strutture più complesse: non possono essere derivati (anche perché hanno testa a sinistra e difficilmente si può aggiungere materiale morfologico ‘lontano’ dalla testa), ma i due costituenti possono essere formati da parole a loro volta derivate (generalmente suffissate) (9.2.).

Per quel che riguarda i rapporti tra composizione e flessione, che sono già stati affrontati nel cap. 5, si è potuto concludere che la flessione dei composti deve tenere conto di due fattori cruciali: a) la posizione della testa; b) il grado di lessicalizzazione del composto. La regola produttiva oggi è la seguente: le RC formano composti endocentrici con testa a sinistra. In questi casi la flessione si applica alla testa del composto (navi traghetto). I composti lessicalizzati, al contrario, vengono trattati come parole semplici e quindi la flessione si applica a destra del composto (cfr. pomodori). Tra questi due estremi si colloca una varia casistica, che abbiamo visto nel cap. 5 (9.3.).

Nella seconda parte del capitolo, abbiamo visto come si possono combinare tra di loro i suffissi (9.4.1.) e i prefissi (9.4.2.). Come quasi tutte le lingue del mondo, anche l’italiano mostra una marcata preferenza per la suffissazione invece che per la prefissazione: è dunque normale che ad una base si possano aggiungere diversi suffissi mentre sono rari i casi di doppia prefissazione.

L’ipotesi che i vari suffissi dell’italiano possano essere ordinati in tre classi (iniziali, mediani e terminali) non può essere mantenuta perché ai suffissi non si può imporre un ordine assoluto di applicazione.

Si è poi brevemente analizzata la nozione di ricorsività, vale a dire la possibilità che una RFP si riapplichi alla propria uscita. Sono ricorsive alcune regole di prefissazione e, sporadicamente, le regole che aggiungono suffissi valutativi; le regole di composizione, invece, sono /pag. 255/ ricorsive solo nelle lingue germaniche, ma di norma non lo sono nelle lingue romanze (9.4.3.).

Per quanto riguarda i limiti di complessità delle parole derivate, si èvisto che teoricamente non vi sono limiti alla possibilità di aggiungere affissi ad una base. I limiti sembrano di fatto dovuti a ragioni di accettabilità più che di grammaticalità (9.4.4.).

Negli ultimi paragrafi sono stati discussi tre problemi relativi alla struttura interna delle parole complesse (9.5.). Un primo problema ha a che fare con la decisione su qual è la struttura corretta che possiamo assegnare ad una parola complessa. Si è esaminato un caso in cui è possibile giungere ad una conclusione utilizzando il principio della “base unica” (9.5.1.). Il secondo problema riguarda la corretta identificazione della categoria lessicale della base nei casi in cui essa è ambigua (valicabile viene da valico o da valicare?). Anche in questo caso la soluzione èaffidata ad una corretta applicazione del principio della base unica (9.5.2.). Il terzo problema esaminato è quello di quei casi noti col nome di paradossi della parentesizzazione, in cui la struttura morfologica sembra non coincidere con la lettura semantica delle parole complesse (9.5.3. ).

Infine si sono esaminati alcuni problemi relativi alla struttura interna delle parole flesse,

164

per la quale è stato proposto un nodo specifico “Flessione”, che raggruppa i morfemi di tempo e modo e di numero e persona (9.6.). /pag. 256/

9.8. Indicazioni bibliograficheDerivazione e flessione: Anderson [1985b]; Miceli e Caramazza [1987]; Scalise [1988a].Composizione e derivazione: Allen [1978].Flessione e composizione: Lepschy e Lepschy [1981].Combinazioni di affissi: Chapin [1970]; Zannier[1982].Ricorsività: Rainer [1989].Struttura interna delle parole complesse: Allen [1978]; Pesetsky [1985]; Selkirk [1982]; Sproat [1984].

CAPITOLO 1O: ALCUNI CASI SPECIALI

10.0. IntroduzioneNon sempre le distinzioni che sono necessarie per procedere nell’analisi dei dati di una

lingua possono essere nette. A volte il confine tra due fenomeni è netto e regge anche quando vengano analizzati dati nuovi della stessa lingua o altre lingue. A volte il confine appare incerto e una decisione può essere presa solo in base alla teoria adottata. Ad esempio, nel capitolo precedente si è discusso nei dettagli se flessione e derivazione siano trattabili dallo stesso insieme di regole o se richiedano regole di tipo diverso. Abbiamo li sostenuto, in accordo con il quadro teorico adottato, la seconda posizione, ma non mancano punti di vista diversi, come ad esempio quello di Bybee [1985] secondo cui la differenza tra derivazione e flessione non è netta ma si pone lungo un continuum: vi è un estremo dove si collocano fatti certamente derivazionali; all’altro estremo si collocano fatti certamente flessivi, poi nel mezzo le cose si confondono e le distinzioni diventano più sfumate, meno nette.

Nei paragrafi di questo capitolo prenderemo in esame alcuni di questi fenomeni dai confini non netti.

Discuteremo la prefissazione (che è un fenomeno poco studiato), i suffissi valutativi, che stanno a cavallo tra la flessione e la derivazione, i pronomi clitici per i quali si discute se siano trattabili con regole morfologiche o non piuttosto sintattiche, le semiparole che secondo alcuni sono assimilabili agli affissi mentre secondo altri sono assimilabili alle parole, il participio passato che ha una doppia natura, verbale e aggettivale. Discuteremo anche un falso caso di suffissazione zero.

Affronteremo infine il problema della delimitazione tra fenomeni di allomorfia e di suppletivismo. /pag. 257/

10.1. PrefissazioneLa prefissazione è un ‘caso speciale’ solo in quanto è stata meno studiata degli altri

processi morfologici. Nei paragrafi che seguono, discuteremo diversi punti tra cui se i prefissi siano aggiunti alla loro base da regole lessicali o da regole sintattiche, forniremo un primo elenco di che cosa “fanno” i prefissi, e una classificazione degli stessi.

Sulle modalità con cui un prefisso si aggiunge alla propria base, vi sono correntemente due ipotesi: una “sintattica” e una “lessicale”. Si consideri un caso di prefissazione come il seguente:

(1) ridere de-gli altri –––> deridere gli altri

Sembrerebbe qui che la prefissazione del verbo si ottenga tramite uno “spostamento” della preposizione de. Dato che si assume comunemente che il componente lessicale non abbia

165

regole di spostamento, non resterebbe che pensare ad un movimento (sincronico) di tipo sintattico. In effetti, una proposta di questo tipo è stata avanzata da Baker [1988]. Si considerino i due indicatori in (2) [Nell’indicatore di destra, “t” sta per una “traccia”]:(2) SV SV

V SP SN1 Í V SP SN1

P SN2 V P t SN2

Baker sostiene che nelle lingue in cui ci sono costruzioni applicative {Con costruzioni applicative si intende un tipo di cambiamenti di funzioni grammaticali (per es. locativi che diventano oggetti). Cfr. Baker [1988: 9 ss.]}, la preposizione, testa di un SP, viene spostata e diventa un affisso applicabile al V, testa del SV: è un movimento “sintattico” in quanto le relazioni funzionali del verbo non cambiano dopo il movimento. Lo schema di Baker non si ripete, però, in italiano. Si consideri infatti il seguente esempio:(3) abito con Sandro –––> coabito con Sandro

abito con Sandro a U. –––> coabito con Sandro a U.abito a Utrecht –––> ‘coabito a Utrecht

La differenza tra (1) e (3 ) sta nel fatto che il verbo prefissato in (1) è ”lessicalizzato”, cioè derivato con un prefisso non più produttivo; il verbo in (3), al contrario, è prefissato con un prefisso produttivo. Nella prefissazione produttiva dell’italiano vi è spesso un cambiamento nella struttura argomentale del verbo. Come si vede in (3), la prefissazione /pag. 258/ rende obbligatorio il sintagma “con +SN”. Questo cambiamento non può essere trattato da regole trasformazionali che possono solo spostare categorie, non cambiare informazioni lessicali. Si noti anche che un’ipotesi “sintattica” è pensabile solo per la prefissazione verbale e non per quella nominale. La prefissazione può essere trattata da regole di formazione di parola lessicali, come quelle abituali:

(4) [ ]X ––> [Pre + [ ] X l X

I prefissi sono dunque delle RFP; come tali possiedono certe proprietà. Ne elencheremo qui alcune:

a) Formano parole nuove; per esempio insieme alla suffissazione, come si è visto in 8.6.1., formano costruzioni parasintetiche:(5) Prefisso Categ sint. Suf Esempio

a Aggettivo a(re) arrossarea Aggettivo i(re) abbellirea Nome a(re) abbottonarea Nome i(re) appuntire

b) Influenzano la suffissaxione in vari modi. Per esempio possono ‘potenziarla’ come in (6), dove si osserva che l’aggettivo (6a) o il verbo (7a) non può essere suffissato, ma se l’aggettivo (6b) o il verbo (7b) viene prefissato, la suffissazíone diviene possibile:(6) a. qualificabile –––> *qualificabilmente

b. inqualificabile –––> inqualificabilmente

(7) a. sorgere –––> *sorgenzab. insorgere –––> insorgenza

La prefissazione può determinare distribuzioni suffissali diverse:(8) a. correre –––> corsa corso

b. rincorrere –––> rincorsa rincorsoc. ricorrere –––> ‘ricorsa ricorsod. incorrere –––> *incorsa *incorso

Dal verbo semplice si possono formare due nominali (8a), ma se il verbo viene prefissato

166

(8b-d), allora tale possibilità subisce ogni tipo di variazione. c) I prefissi presentano una fonologia di riaggiustamento che non coincide totalmente con

quella delle parole suffissate o composte. Questo punto è stato discusso nel cap. 6, in particolare in 6.2.3., dove si è visto che la cancellazione di vocale in prefissazione non è obbligatoria ma agisce di rado e in modi non del tutto prevedibili.

d) Impongono restrizioni alla loro base. Quanto alle restrizioni che i prefissi impongono, si può dire che non vi sono sostanziali differenze tra prefissazione e suffissazione. Abbiamo già avuto modo di /pag. 259/ esemplificare restrizioni fonologiche e semantiche di diversi prefissi (per es. in 4.3.3 o in 9.4.3.).

Per quanto riguarda la restrizione che abbiamo chiamato della “base unica”, il quadro si presenta complesso perché sembra che non tutti i prefissi vi obbediscano. In- negativo, per esempio, seleziona solo aggettivi (con sporadiche eccezioni per ‘in + N’come ad es. inazione) come si vede in (9a); altri prefissi (9b-c) non discriminano tra categorie lessicali diverse:(9) a. in + adatto / *-in + coraggio / *in + sentire

b. V/A/N postdatare / postmoderno / postimpressionismoc. V/A/N superaffaticarsi / superdotato / superuomo

Per quel che riguarda le proprietà della base, prefissi e suffissi sono sensibili a tratti differenti. Mentre alcuni suffissi distinguono tra base transitiva e intransitiva (l0a) ed altri non distinguono (l0b), i prefissi sembrano non discriminare sistematicamente (l0c):(10) a. suffissi V. transitivi V. intransitivi

-bile mangiabile *volabilecontabile *camminabile

b. -ione invasione esplosioneuccisione emersione

prefissic. pre- pre + annunziare pre + valere

pre + eleggere pre + dominareri- ri + appendere ri + apparire

ri + appiccicare ri + approdaresotto- sotto + intendere sotto + entrare

sotto + scrivere sotto + stareIn conclusione, la prefissazione è parte del componente lessicale ed è distinta dalla

suffissazione (con la quale interagisce in modi complessi) non solo per quella che è la differenza più ovvia (il punto di attacco alla propria base) ma per diverse proprietà formali.

10.1.1. ClassificazioniI prefissi esibiscono comportamenti non sempre predicibili (1’abbíamo visto, per es., nel

caso della cancellazione di vocale in 6.2.3. ) ciò che ha indotto molti studiosi a tentarne delle classificazioni. Sopra abbiamo visto, sempre in relazione alla cancellazione di vocale, che può risultare conveniente distinguere tra prefissi monosillabici e prefissi bisillabici.

Dardano [1978] ha distinto tra prefissi che derivano da preposizioni e da avverbi (come avan(ti)-, ante-, circum, con-, sopra- sotto- ecc.) da altri prefissi che non derivano né da avverbi né da preposizioni (per es., stra-, dis-). Questa distinzione ha rilevanza per la sintassi esterna della /pag. 260/ parola derivata; per esempio un verbo prefissato con circum- cambia il verbo di base da intransitivo a transitivo (11a) mentre nulla di questo accade con il prefisso dis- (1 lb):(11) a. navigare attorno al globo

circumnavigare il globob. attivare il circuito

disattivare il circuitoNespor e Vogel [1986: 127 ss.] distinguono, su basi esclusivamente fonologiche, tra

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prefissi che terminano in vocale (che non formano una parola fonologica con la propria base) e prefissi che terminano in consonante (che formano una parola fonologica con la propria base). Infine, Bisetto, Mutarello e Scalise [1990] distinguono tra tre tipi di prefissazione:

1. Lessicalixxaxioni: il verbo prefissato ha una semantica che rende le sue parti costituenti non più analizzabili, per cui il confronto con la base è pressoché inutile (il caso limite è quello in (12c) dove la base è un verbo latino):(12 ) a. giurare / congiurare

b. seguire / conseguirec. “cepire” / concepire

2. Prefissazione produttiva. Il prefisso apporta un significato trasparente:(13) ri-costruire ‘costruire di nuovo’

pre-eleggere ‘eleggere prima’co-operare ‘operare con’

3. Prefissaxione rafforzativa: il prefisso non apporta un significato netto e non sembra cambiare alcuna proprietà sintattica della base. La parola derivata può essere usata in alternativa alla parola semplice (mi si [con]gelano le mani; [ri]piegalo con cura; [ri]chiudi la porta dolcemente):(14) piegare / ripiegare

chiudere / richiudere ornare / adornare

Questa tripartizione ha confini meno netti di quel che appare, dato che non è sempre facile collocare un prefisso in un’unica categoria. A volte uno stesso prefisso sembra far parte di sottogruppi diversi:(15) lessic. produttivo rafforzativo

de: detenere decodificare derubareri: rimordere riabbracciare ripiegareinter: interdire interagirecon: corrompere cogestire contorcere /pag. 261/

Si può infine osservare che nella stragrande maggioranza dei casi, i prefissi possono dividersi in due grandi gruppi: quelli nominali (che si aggiungono a nomi e ad aggettivi) e quelli verbali.10.1.2. Prefissi verbali

Il contributo di un prefisso alla sua base verbale è costante? Una risposta positiva implica a) che il prefisso possegga informazioni “costanti” che trasmette sempre al nodo superiore e b) che le informazioni del derivato siano una somma delle informazioni dei suoi costituenti.

Né a) né b) si verificano. Si considerino due verbi ergativi, con la relativa struttura argomentale: (seguiamo qui la convenzione proposta da Williams [1981] di sottolineare l’argomento esterno):(16) crescere [ Th ]

correre [ Th ]Se si derivano questi due verbi con lo stesso prefisso, si ottengono risultati diversi:

(17) accrescere [ Ag, Th] accorrere [ Th ]

Accrescere diventa un normale verbo transitivo mentre accorrere rimane un ergativo. Ciò significa che le informazioni apportate dal prefisso non sono costanti ma che il risultato “finale” dipende da forme di interazione tra i[ prefisso e la base che non ci sono notes. I prefissi, a[ contrario dei suffissi, sembrano essere sprovvisti di una categoria propria, di un Quadro di Sottocategorizzazione o di una Struttura Argomentale propri. È d’altronde innegabile l’influenza che i[ prefisso ha sul processo di derivazione: i prefissi spesso mutano la valenza sintattica e la semantica della base. Si può quindi sostenere che anche i prefissi hanno un “contenuto” che, in qualche modo, interviene nella derivazione. Tale contenuto,

168

essenzialmente semantico e difficilmente definibile in termini di tratti, interagisce con la parola-base e con le informazioni ad essa associate. L’apporto dei prefissi nella derivazione verbale può essere sintetizzato nei punti seguenti:

1) Selezione semantica: i prefissi “scelgono” (come d’altronde fanno i suffissi) tra i significati della base. Per esempio, ad accezioni diverse del verbo si aggiungono prefissi diversi (18a) oppure, in altri casi, un prefisso si aggiunge solo ad una accezione del verbo (18b): /pag. 262/(18) ‘arrivare’ [ – tr] –––> sopraggiungere [ – tr]

a. giungere‘unire’ [ + tr] –––> aggiungere [ + tr]

‘credere’ [ +---- che F] –––>b. pensare

‘volgere’ il pensiero a’ [ + ---SP] –––> ripensare [ + ---SP]I prefissi degli esempi in (18) distinguono tra i tratti associati a ciascun significato della

base. Si specializza in tal modo anche la valenza esterna del derivatoti.2) Transitività. Si è detto sopra che i prefissi non discriminano sulla base del tratto [ ± tr]

dell’entrata. Tuttavia sembra che questo tratto abbia una qualche influenza sulla prefissazione:(19) a. Luigi segue Alberto ––> Luigi insegue Alberto

Alla conferenza segue il dibattito ––>*Alla conferenza insegue il dibattito

b. Francesca cambia (orologio (con un quadro) ––>Francesca scambia l’orologio (con un quadro)Il tempo cambia ––> *Il tempo scambia

I verbi seguire e cambiare hanno una doppia lettura: transitiva e intransitiva. I prefissi selezionano la lettura transitiva selezionando anche uno dei significati del verbo. Non sempre, tuttavia, questo accade:(20) Gianni sale le scale ––> Gianni ri-sale le scale

Gianni sale a cavallo ––> Gianni ri-sale a cavalloIn (20) si vede che l’affisso non opera alcuna selezione sulla base.3) Sottocategorizzazione stretta. La prefissazione modifica i tratti di sottocategorizzazione

stretta in relazione alla obbligatorietà o all’ordine di realizzazione degli argomenti. In (21a) si vede infatti che con il verbo venire il locativo è facoltativo, mentre in (21b) si vede che il verbo provenire esige un locativo:

(21) a. Mario viene ––> Mario viene dal Brasileb. *Mario proviene ––> Mario proviene dal Brasile

In (22), come si è già visto in 9.1., si mostra che il verbo rubare richiede una sottocategorizzazione con il SN oggetto [ - animato] e il SP [ + animato] (22a), mentre il verbo derubare richiede un SN oggetto [ + animato] e il SP [ - animato] (22b):

(22) rubare [+ --- SN1 SP [a SN2]] orologi ai passantiderubare [+ --- SN2 SP [di SN1]] i passanti degli orologi

4) Restrizioni selettive. Si considerino i seguenti esempi: /pag. 263/ (23) Sara scrive una lettera –––> Sara descrive una lettera

*Sara scrive Luigi –––> Sara descrive LuigiGianni vede Antonio –––> *Gianni prevede AntonioGianni vede il futuro –––> Gianni prevede il futuro

Anche da questi dati si può osservare che il prefisso opera una selezione: pre- sceglie il verbo che sottocategorizza un SN [ + astratto]; de- cambia le restrizioni selettive di scrivere: descrivere può avere un SN [ + animato].

Concludendo, abbiamo visto che i prefissi agiscono come selezionatori di significato (cfr. (18)), possono cambiare le restrizioni selettive delle basi verbali (cfr. (23)), e modificare i

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tratti di sottocategorizzazione stretta (cfr. (21) e (22)).L’azione dei prefissi è di natura prevalentemente semantica e, come tale, è difficilmente

formalizzabile. Inoltre, l’azione modificatrice non ècostante e non può essere fatta derivare esclusivamente dal costituente di sinistra.

10.2. Suffissi valutativiUn caso che sembra essere al limite tra derivazione e flessione è quello dei suffissi

valutativi. In italiano questi suffissi vengono solitamente divisi nei seguenti gruppi: diminutivi (ad es. -ino), accrescitivi (ad es. -one), peggiorativi (ad es. -accio, -ucolo), ed altri (ad es. -ello, -etto, -uzzo) [Allo stesso gruppo di suffissi vengono spesso ascritte quelle forme che si trovano nei verbi, con valore frequentativo: cantare - cantimbiare giocare - giocberellare, parlare -> parlottare. Si noti che, formalmente, si tratta degli stessi suffissi che si trovano aggiunti ai nomi (avvocatz’ccbio, sembiello, cosciotto).]. La discussione che segue si limiterà al suffisso diminutivo -ino, ma è sottinteso che le stesse considerazioni valgono anche per gli altri gruppi. Si considerino gli esempi in (24):(24) a. [Tavolo]N ––> [tavolino] N

b. [giallo]A ––> [giallino] A

c. [bene] Avv ––> [benino] Avv

Come si vede, -ino può essere aggiunto a tre categorie sintattiche diverse: nomi, aggettivi e avverbi. Si possono dunque scrivere le tre regole seguenti per dar conto dei tre rispettivi esempi di (24):(25) a. [[ ]N + ino]N

b. [[ ] A + ino] A

c. [[ ]Avv + ino]Avv

Le rappresentazioni in (25) sono però palesemente ridondanti e non colgono una generalizzazione importante, che pure emerge chiaramente dai dati in (25), e cioè che il suffisso -ino non solo si può aggiungere a /pag. 264/ categorie diverse ma non cambia la categoria sintattica della propria base. Possiamo quindi riscrivere le tre regole separate di (25) come una sola regola:

(26) [[ ]x + ino]x

dove X sta per una categoria sintattica maggiore e a è un simbolo d’identità. Questa regola non solo è più economica rispetto a (25), ma coglie anche il fatto che la categoria sintattica dell’uscita è sempre la stessa della categoria dell’entrata. In realtà, l’aggiunta di un suffisso valutativo non solo non cambia la categoria sintattica della base, ma non cambia neppure i tratti della base, come si può vedere in (27) per il tratto sintattico [ ± astratto] (ma come può essere facilmente provato per qualsiasi altro tratto):(27) a. [letto]N ––> [lettino]N

[ - astr] [ - astr]b. [idea]N ––> [ideuzza]N

[ + astr] [ + astr]Si ricordi che le RD possono cambiare la categoria della base così come possono

cambiarne i tratti sintattici e il quadro di sottocategorizzazione, mentre le RF non possono effettuare questi cambiamenti. ll problema ora è di determinare se le regole che aggiungono i suffissi valutativi sono RD o RF. Consideriamo un più ampio gruppo di proprietà che caratterizzano il comportamento dei suffissi valutativi in italiano8.

Le proprietà dei suffissi valutativi si possono riassumere nei seguenti punti: (a) non cambiano la categoria della loro base; (b) non cambiano i tratti sintattici della loro base; (c) cambiano la semantica della base (se da macchina si forma macchinina, la semantica cambia da ‘autovettura’ a ‘piccola autovettura’); (d) permettono l’applicazione consecutiva di più di una regola dello stesso tipo, e ad ogni applicazione il risultato è una parola esistente come si può constatare qui di seguito:

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(28) fuoco ––> fuocherello ––> fuocherellinouomo ––> omaccio ––> omaccione

(e) Sono esterni rispetto ai suffissi derivazionali, e interni rispetto ai morfemi flessivi, come si può vedere nel seguente esempio:

(29) contrabbandierucoli

che ha la struttura «Parola composta (contrabbando) + Suffisso derivazionale (-iere) + Suffisso valutativo (-ucolo) + Morfema flessivo (-i )» [Una parola come castagnacciaio ‘venditore di castagnaccio’ non è una vera eccezione al punto (e) in quanto la base di -aio, castagnaccio, è lessicalizzata, come si capisce dal fatto che la parola non ha significato componenziale: castagnaccio non significa ‘castagno cattivo’ così come cagnaccio significa ‘cane cattivo’.] /pag. 265/ (con il suffisso valutativo che si trova tra il suffisso derivazionale e quello flessivo).

(f) Richiedono delle regole di riaggiustamento specifiche, in parte prevedibili, in parte idiosincratiche. Una regola di riaggiustamento prevedibile con grande regolarità è l’inserimento di una /tS/ tra una parola che finisce in one e i diminutivi -ino -ello)(30) balcone ––> balconcino ––> *balconino

cannone ––> cannoncino ––> *cannoninobuffone ––> buffoncello ––> * buffonellogarzone ––> garzoncello ––> *garzonello

Mentre le proprietà (a) e (b) avvicinano i suffissi valutativi agli affissi flessivi, le proprietà (c) e (d) li avvicinano agli affissi derivazionali. Le proprietà (e) e (f), invece, differenziano i suffissi valutativi sia dagli affissi derivazionali che da quelli flessivi. Sulla base di questa analisi, possiamo concludere che i suffissi valutativi non possono, in realtà, essere assimilati del tutto né agli affissi derivazionali né a quelli flessivi. In una morfologia ordinata per livelli, come quella qui adottata, questa situazione può essere trattata facilmente ordinando un blocco separato di “Regole Valutative” (RV) dopo le RD e prima delle Regole di Flessione, come rappresentato in (31):

RD

RV

RF

Quest’ordine dà conto della distribuzione lineare dei suffissi in questione. Così, troviamo sequenze come “Parola + Suffisso derivazionale + Suffisso valutativo + Suffisso flessivo”, ma non troviamo sequenze come “Parola + Suffisso valutativo + Suffisso derivazionale + Suffisso flessivo” (cfr. sopra il punto (e)). I suffissi valutativi possono pertanto essere considerati come un blocco separato di regole, diverse sia dalle RD che dalle RF [I valutativi interagiscono poco con la composizione, come testimoniano le seguenti parole che, tutte, sembrano molto marginali: ‘pescecanino, *capostazionaccio, *agrodolciastro, *verde bottiglino. In altre parole, sembra che un composto non possa, di norma, soggiacere alle regole che aggiungono i valutativi. Questa restrizione viene ad essere allentata se il composto è lessicalizzato (cfr. Pomodorino).]

/pag. 266/

10.3. I pronomi cliticiIn italiano, vi sono due serie di pronomi, quelli cosiddetti l i b e r i (esemplificati in (32a) e

quelli cosiddetti c l i t i c i (esemplificati in (32b):(32) a. cercano me b. mi cercano

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cercano te ti cercanocercano lei/lui la/lo cercano

I pronomi liberi sono delle parole a sé stanti, con un proprio accento di parola, separabili dal verbo che li regge (cercano solo lei). I pronomi clitici non hanno invece un accento proprio e non sono separabili dal verbo (*la solo cercano).

I pronomi clitici sono un altro caso limite nel senso che presentano problemi di analisi dato che non sono chiaramente né affissi, né parole indipendenti. Ci si può pertanto chiedere se debbano essere trattati, rispettivamente, da regole morfologiche o da regole sintattiche. Per rispondere a questo quesito, si osservino le seguenti proprietà dei clitici.

1. Categoria sintattica. I clitici, al contrario dei suffissi derivazionali, non cambiano la categoria dell’elemento al quale sono cliticizzati; come si vede in (33), il verbo resta verbo dopo l’aggiunta di un clitico:(33) ascolta ––> ascoltami V ––> V

leggere ––> leggerlo V ––> Vvedendo ––> vedendoti V ––> V

2. Ordinamento. I suffissi possono (sporadicamente) presentare ordini alternativi (34a-b); i clitici, al contrario non possono presentare ordini alternativi (34c-d). In alcuni casi, in cui sembra che l’ordinamento dei clitici possa essere cambiato, quello che abbiamo, in realtà, non sono due clitici, ma un clitico ed un pronome libero (preceduto da una preposizione), come in (34e):(34) a. X-ic-ista (storicista)

b. X-ist-ico (artistico)c. di-glie-1o13d. *di-lo-glie. di(l)lo a lui

3. Distribuzione. Si osservino alcune proprietà di distribuzione dei clitici: /pag. 267/(35) P]V + Fless]V + Clitico]V + Fless]V

ama r 1 i amarli

b. P]A + Der]V + Fless]V + Clitico] V + Fless] V

concret izza r 1 e concretizzarlec. *P] + Clitico] + Der] + Fless]

Un clitico compare dopo i suffissi derivazionali (35b) e non si dà il caso inverso. Un clitico può comparire tra due morfemi flessivi (35a-b). Inoltre si noti che il nodo Fless alla sinistra del clitico (sia in (35a) che in (35b)) deve appartenere ad un gruppo definito di nodi Fless. Cioè, i clitici possono essere aggiunti alla destra di un verbo solo se il verbo è all’infinito (cfr. amarli in (35a)), al participio passato (cfr. arresi-si), al gerundio (cfr. amando-li), all’imperativo (ama-li). Se il verbo è, invece, all’indicativo (o al congiuntivo o al condizionale), in italiano contemporaneo i clitici non possono essere aggiunti a destra (36a), ma appaiono a sinistra e come forme libere (36b):(36) a. *Amoli b. li amo

*concretizzole le concretizzoDobbiamo concludere, pertanto, che i clitici non possono essere considerati affissi perché

occorrono normalmente alla destra degli affissi flessivi e perché sono sensibili, in un modo in cui gli affissi derivazionali non lo sono [Si è visto (cfr. 8.3.) che gli affissi derivazionali non si aggiungono al modo infinito, gerundio o imperativo, ma solo al tema c/o al participio passato.]

, al tipo di flessione dell’elemento al quale vengono aggiunti.4. Fonologia. Vi sono infine diversi casi in cui i clitici si comportano diversamente dagli

affissi derivazionali per quel che riguarda la fonologia.Con i clitici, la regola fonologica (dell’italiano del nord) per cui una s diventa sonora in

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posizione intervocalica {La parte rilevante di questa regola può essere formulata come s ––> z / V — V, ma cfr. [FONOLOGIA 7.3.].} non si applica (37b) mentre è obbligatoria in affissazione (37a):(37) a. Affissi

di[s]+onesto ––> di[z]onestoci[s]+alpino ––> ci[z]alpino

b. Cliticiarreso + [s]i ––> arreso[s]ipentito+[s]i ––> pentito[s]i

Un’altra differenza è che i clitici, contrariamente agli affissi derivazionali, si comportano come parole indipendenti rispetto al cosiddetto /pag. 268/ Raddoppiamento Sintattico dell’italiano del centro e del sud ‘6. I clitici, cioè, quando vi sono le condizioni fonologiche richieste, soggiacciono a questa regola, mentre gli affissi non vi soggiacciono:(38) a. Parole indipendenti ––>

a[k]asa ––> a[kk]asatre [g]atti ––> tre[gg]atti

b. Clitici dà + [m]i ––> da[mm]idi + [1]o ––> di[ll]o

c. Affissia + [t]ipico ––> ‘‘a[tt]ipico ma atipicori + [f] are ––> *ri[ff]are ma rifare

Sulla base dei fenomeni discussi in questo paragrafo, possiamo concludere che gli affissi e i clitici costituiscono due insiemi diversi e che, pertanto, i pronomi clitici non possono essere trattati dalle regole morfologiche.

10.4. SemiparoleCome si è già visto nel cap. 3, con s e m i p a r o l e intendiamo quelle forme legate che

hanno uno statuto incerto tra le parole e gli affissi.Voci come anglo, bio, elettro, franco, ecc., sono spesso chiamate prefissi (o prefissoidi), e

voci come Grate, filo, ecc., suffissi (o suffissoidi). In questo paragrafo si sosterrà che le voci in questione non sono degli affissi ma delle forme legate con uno statuto più simile a quello delle parole che a quello degli affissi.

Se spingiamo alle estreme conseguenze il punto di vista secondo cui le voci in questione sono affissi, una parola come francofilo avrebbe la struttura in (39) e cioè si tratterebbe di una parola formata da un prefisso più un suffisso:

(39) [[franco]Pre [filo]Suf]

Questa analisi, però, è insoddisfacente per diverse ragioni:1. Una voce come filo può essere il secondo elemento di una parola, come in francofilo,

ma può essere anche il primo elemento come in filantropo. Un “vero” affisso non è così libero; se si trova a sinistra della propria base è un prefisso, se si trova a destra è un suffisso. Nei composti, al contrario, lo stesso costituente può essere ora Parola1 ora Parola2 (cfr. ferma porta e porta finestra).

2. Le voci in questione possono essere “fattorizzate”. Si può dire, /pag. 269/ ad esempio, non importa se sono filo- o anti-sovietici, ma con ‘veri’ affissi ciò non è possibile (cfr. *io non im- ma esporto).

3. Le voci in questione possono combinarsi piuttosto liberamente con altre; si può dire: è una produzione anglo-italo-sovietica così come si può dire: una produzione italo-anglo-sovietica. Anche questa libertà combinatoria non è possibile con ‘veri’ affissi, cfr. indeformabile vs. *deinformabile, collosità vs. *collitoso.

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4. Una struttura come quella in (39) è fortemente marcata ed, inoltre, non ricorre con ‘veri’ affissi (cfr. *in + ico, *super + oso, *de + ata, ecc.). In altri termini, gli affissi si aggiungono a parole, non ad altri affissi.

5. Una struttura come quella in (39) si comporta più come un composto che come una parola derivata. Questo è evidente, ad esempio, nei casi (già visti in 6.4.2.) in cui nei composti appare una o (cfr. italo-americano), ed anche in combinazioni nelle quali il secondo elemento è una delle voci in questione, in particolare, una voce con il tratto “di strato” [+greco] (ad es., musica +logia ––> musicologia, computer + logia ––> computerologia). La o negli esempi appena citati non può essere parte dell’elemento [ + greco] (cioè *ologia ), poiché questo tipo di analisi richiederebbe che venissero ipotizzate forme contenenti tale o anche per voci come -ograf(ia), -ofilo, -ofobo, -ometro, ecc. (cfr. storiografia, germanofilo, germanofobo, galvanometro). In questo caso però, verrebbero oscurate le relazioni tra -graff(ia) in storiografia e in grafologia, grafomania, tra filo in germanofilo e in filantropico, ecc.

Tutti i problemi visti si risolvono considerando le voci in questione come “semiparole” piuttosto che come affissi. Tali semiparole sono caratterizzate da “tratti di strato” come [ ± greco], [ ± latino], ciò che permette di prevedere sistematicamente la comparsa della vocale o (effetto di un riaggiustamento) prima di una semiparola di origine greca, cioè caratterizzata dal tratto [+greco] (cfr. (40a)), e la comparsa della vocale i (riaggiustata) prima di una semíparola di origine latina cioè caratterizzata dal tratto [+latino] (cfr. (40b)):(40) a. musica +logia ––> musicologia

storia + grafia ––> storiografiaDante + filo ––> dantofilo

b. ombrello + fera ––> ombrelliferainsetto + cida ––> insetticidaerba + voro ––> erbivoro

Si osservi infine che la relazione semantica che intercorre tra certe semiparole e certe parole è diversa dalla relazione che intercorre tra una parola ed un affisso. La relazione tra bio e vita, tra uomo e antropo è una relazione di tipo suppletivo, per esprimere la quale è necessario supporre l’esistenza di entrate lessicali complesse. In altre parole, si può /pag. 270/ assumere che esista una relazione lessicale tra le forme appena citate che potremmo rappresentare nel modo seguente:

(41) bio uomovita antropo

le voci in questione semiparole invece che affissi presenta un altro vantaggio: si potrà cioè definire una voce come filo nello stesso modo sia quando è il primo elemento di una parola sia quando èil secondo (cfr. filantropico, anglofilo). Infine, possiamo identificare anche tre differenti tipi di composti nei quali almeno un elemento è una semiparola (oltre al tipo normale formato da due parole, ad es. capobranco):(42) a. [[semiparola] [semiparola]] anglofilo, biologo

b. [[semiparola] [parola]] geofisica, grafomaniac. [[parola] [semiparola]] musicologia, insetticida

Tutte queste considerazioni mostrano che ci deve essere una sottoparte speciale del lessico che dia conto del funzionamento di un ristretto insieme di unità lessicali che sono però piuttosto produttive sincronicamente in tutte le lingue europee. Il lessico deve comprendere una lista di semiparole [ + greco] e [ + latino] per la formazione del lessico dotto. Le semiparole sono immagazzinate nel lessico insieme alla parola dalla quale dipendono semanticamente e alla quale sono associate da un rapporto di suppletivismo:(43) derivazioni

parola vita ––> vitale, malavitoso, ...semiparola bio ––> biologico, biosfera ...

Le semiparole formano dunque un sottoinsieme dotto del lessico e contribuiscono

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produttivamente alla formazione di parole nuove.

10.5. Suffisso zeroTalvolta una voce lessicale può avere due funzioni sintattiche diverse senza che tali

funzioni siano segnalate da una marca esplicita, come ad esempio caldo in italiano che funziona sia come nome che come aggettivo. Di fronte ad alternanze come queste, il linguista tende a ipotizzare che una delle due funzioni sia basica e (altra derivata. Questo fenomeno derivazionale è noto col nome di s u f f i s s a z i o n e zero o di c o n v e r s i o n e. Esempi molto netti si trovano in inglese:

/pag. 270/(44) water ––> (to) water ‘acqua - innaffiare’

answer ––> (to) answer ‘risposta - rispondere’saw ––> (to) saw ‘sega - segare’

Dal punto di vista formale, questi casi si possono descrivere nel modo seguente, a seconda che si preferisca l’ipotesi “suffisso zero” (45a) o “conversione” (45b). La differenza sta nel fatto che la conversione è un passaggio di categoria senza la presenza di alcun tipo di suffissazione mentre l’ipotesi suffisso zero deve ricorrere ad un tipo particolare di suffisso:(45) a. [ ]X ––> [ [ ]X + ø ]Y

b. [ ]X ––> [ [ ]X]Y

Uno dei problemi più seri per questo tipo di derivazione è la “ direzionalità”. In (44), per esempio, si è supposto che la forma di base sia il nome e che la forma derivata sia il verbo. Si potrebbe pensare che un criterio valido possa essere la precedenza diacronica: la forma attestata prima è quella di base. Ma tale criterio, ad una verifica, ha dato risultati non del tutto univoci. È stato infatti dimostrato, per l’inglese che il rapporto nome/verbo non ha una direzione diacronica univoca:(46)Prime attestazioni Precedenza diacronica

nome verboarray 1300 1297 V di 3 anni ‘equipaggiamento’change 1225 1230 N di 5 anni ‘cambio’charm 1300 1300 nessuna ‘fascino’count 1325 1325 nessuna ‘conto’trouble 1230 1225 V di 5 anni ‘problema’vow 1290 1300 N di 10 anni ‘voto’

Un altro criterio è quello della precedenza semantica. Come dice Marchand “ [...] non si può segare senza una sega; il concetto di sega è quindi implicato nel concetto verbale di segare”. Non tenteremo qui di affrontare questo problema; ci basti concludere con l’osservazione che la grammatica deve fondarsi su criteri sincronici per definire la “precedenza” tra due forme di conversione. Nel paragrafo seguente vedremo un fenomeno dell’italiano che può essere convenientemente analizzato in termini di suffisso zero.

10.5.1. II participio passato e il suffisso zeroUn participio passato può condividere pressoché tutte le proprietà di un aggettivo:

(47) a. la legge è inosservata /pag. 272/b. il suo orgoglio sembra feritoc. Giorgio è annoiatissimod. Giorgio è molto annoiatoe. la donna amata è ricomparsaf. l’amata cugina non scrive più

In (47a) il participio passato (osservata) è negato con prefisso negativo proprio come vengono negati gli aggettivi (felice ––> infelice); in (47b) il participio passato (ferito) ricorre in posizione predicativa proprio come gli aggettivi (cfr. Giorgio sembra buono); in (47c) e

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(47d) il participio passato è modificato come possono essere modificati gli aggettivi: rispettivamente con il suffisso superlativo -issimo (cfr. alto ––> altissimo) e con la particella di grado molto (cfr. alto ––> molto alto); ed infine in (47e) e (47f) il participio ricorre, rispettivamente, sia in posizione postnominale che prenominale (cfr. il grande tavolo VS. il tavolo grande).

Proprio per questa sua doppia natura, il participio passato non si lascia analizzare semplicemente, perché spesso è a metà strada tra il verbo (ed allora è un fenomeno flessivo) e l’aggettivo o il nome (ed allora èun fenomeno derivazionale). Si considerino i seguenti esempi:(48) a. Il disastro è stato determinato da molte cause

b. Sandro è molto determinatoQueste due occorrenze di determinato sembrano evidentemente essere diverse: (48a) è

verbale (occorre con un complemento d’agente) mentre (48b) è aggettivale (occorre con il modificatore aggettivale molto).

Un modo di dar conto delle diverse proprietà sintattiche delle due forme in questione è di supporre che siano derivate tramite due regole diverse:

(49) RF ––> determinato]V

determina]V RD ––> determinato]A

Lo svantaggio della soluzione appena proposta, però, è che tra le forme flessive del participio passato e quelle aggettivali non vi è mai nemmeno una differenza morfologica. Le due forme sono sempre uguali, ciò che indebolisce la possibilità che i processi di formazione siano diversi [Un esempio in cui vi è differenza tra participio ed aggettivo potrebbe essere risolto versus risoluto. Ma non è un caso produttivo sincronicamente.].

Un modo di ovviare a questo problema è di supporre che le normali regole flessive formino il participio passato e che poi il participio passato ‘diventi’ un aggettivo:(50) [determina]V ––> [determinato]V ––> [determinato]A

La seconda regola (quella che porta da un participio passato ad un /pag. 273/ aggettivo) può essere descritta come una regola a suffisso zero, una regcola che non aggiunge un suffisso fisicamente presente ma che ha l’effetto di cambiare la categoria della base. Si spiega così la costante uguaglianza delle due forme [La soluzione proposta sembra ragionevole. Pone solo un problema per le teorie in cui le regole flessive debbono seguire le regole derivazionali, a meno che non si attribuisca una statuto speciale alla regola di formazione del participio passato.]

La regola appena presentata non agisce sempre. Vi sono dei participi che non hanno la possibilità di diventare aggettivi:(51) amministrato (cfr. *molto amministrato)

mangiato (cfr. *molto mangiato)I participi passati in (51) sfuggono infatti a tutti i test per 1’aggetti;.jo (cfr. 1.4.2.): sono

participi passati che non hanno nulla di aggettival- e, La regola vista sopra, si applica dunque solo a certi participi passateti, non a tutti.

Si osservi, infine, che i cambiamenti di categoria senza la presen2ga manifesta di un suffisso in italiano non sono limitati a quello visto soptra ma si tratta di un fenomeno molto diffuso, come si può vedere qtui sotto:(52) A ––> N vecchio ––> il vecchio

V ––> N cantare ––> (il) cantarePart. pass. ––> A deciso ––> (molto) decisoPart. pass. ––> N coperto ––> (un) copertoPart. pres. ––> A tagliente ––> (molto) taglientePart. pres. ––> N cantante ––> (un cantante)

ll passaggio da una categoria ad un’altra segue poi un proprio corso. Si consideri ad

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esempio il caso V ––> N. In certi casi il passaggio è pietnamente consolidato (la forma ha assunto tutta la morfologia nominale: il potere / i poteri / il poterucolo, ecc. ) [Si confronti anche la serie parallela con lo stesso etimo, ma con lenizione consonantica ([t] ––>[d]), podere - poderi - poderucolo, in cui si è persa traccia dell’origine infinitivale del nome.]. In altri casi il passaggio noIn è consolidato: un verbo come contare può diventare nome il contare ma con una morfologia limitata (*i contati non è grammaticale) e cote una sintassi ancora “verbale” e non nominale, per esempio può aver un complemento oggetto (cfr. il contare i propri soldi in pubblico ,è disdicevole).

10.5.2. Un falso caso di suffisso zero?Esiste un tipo di suffissazione deverbale che viene spesso definita a suffisso zero, ma che

probabilmente è di tipo diverso. Si tratta di casi come bonifica, delibera, revoca. Su questo tipo di forme va detto innanzi /pag. 274/ tutto che non è semplice stabilire la direzione del processo, se si tratta cioè del passaggio N ––> V o, al contrario, V ––> N. In secondo luogo, queste formazioni non sembrano affatto diverse da formazioni come accordo, realizzo. Vi è solo una differenza formale tra il tipo bonifica e il tipo accordo ed è il morfema finale che nel primo caso è -a e nel secondo è-o. Ora, se può sembrare plausibile parlare di conversione o morfema zero nel primo caso (bonifica potrebbe essere il tema verbale puro e semplice), non lo è nel secondo caso dato che accordo non è il tema verbale. Né è plausibile supporre che la o in questione sia quella della prima persona singolare dell’indicativo per i motivi discussi nel par. 8.3. a proposito dell’ipotesi della base non flessa. È plausibile, invece, supporre che -o sia un suffisso nominale a tutti gli effetti, che si aggiunge al tema verbale: accorda + o ––> accordo, con la solita regola di cancellazione di vocale. A questo punto, le vie sono due: o si suppone che il tipo bonifica e il tipo accordo siano due formazioni diverse (dove solo il primo tipo sarebbe un caso vero di suffisso zero) oppure, se si desidera giungere ad una analisi unificata, si può supporre che le due parole siano derivate attraverso un processo del tutto analogo, nel modo seguente:(53) bonifica + a ––> bonifica

accorda + o ––> accordoAmmesso che la derivazione in (53) sia quella corretta, resterebbero da determinare le

ragioni della distribuzione di -a e di -o ma non è compito facile. Tre osservazioni si possono fare al riguardo e cioè che a) i casi di “doppioni” sono rarissimi (cfr. fermo vs. ferma o (ri )sveglio vs. sveglia) e, naturalmente con significati diversi in ossequio al principio del blocco (cfr. 8.7.); b) i due suffissi in questione, aggiunti al tema verbale, compaiono esclusivamente con i verbi della prima coniugazione; c) l’inversione dei suffissi forma nomi nettamente agrammaticali:(54) *ripiega *rinuncio

*sfregia * sosto*spruzza ‘‘discolpo*declina *derogo

L’unica vera differenza tra i due tipi è che il tipo in -a in alcuni casi può avere tutt’altra origine: può essere cioè derivato per sottrazione da una forma in -zione, come il caso spiegazione ––> spiega già visto in 1.7.4.

10.6. Allomorfia della base o del suffisso?Un altro dominio di fenomeni la cui definizione non ha dei confini netti è quello

dell’allomorfia e del suppletivismo. Ad alcune regole di allomorfia abbiamo già accennato nel cap. 6, Discuteremo qui un problema di attribuzione di allomorfia e, dopo aver introdotto la nozione /pag. 275/ di suppletivismo, discuteremo i confini tra allomorfia e suppletivismo (10.7.).

I fenomeni di allomorfia si verificano spesso al confine tra la base e il suffisso per cui è

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necessario attribuire l’allomorfia all’una o all’altro. In certi casi, la decisione è semplice. Si considerino i seguenti esempi:(55) a. cantabile b. udibile

controllabile eccepibilederivabile guaribile

La variazione (cantabile /udibile) in questo caso sembra si possa attribuire alla base dato che la variazione corrisponde, per gli esempi dati, alle vocali tematiche della prima e della terza coniugazione (a ed i, rispettivamente). Questa attribuzione comporta due conseguenze: a) che il suffisso ha forma costante (-bile); b) che il suffisso si aggiunge al tema del verbo (canta+ bile, udi +bile). Se, al contrario, si supponesse che l’allomorfia sia suffissale, allora, ne deriverebbe a) che la forma del suffisso non sarebbe costante: vi sarebbero al contrario due forme suffissali (-abile, -ibile) e b) che i suffissi si aggiungerebbero alla radice del verbo (cant+abile, ud+ibile). Tutte queste considerazioni indicano che la soluzione più semplice è di supporre che vi sia un suffisso -bile che si aggiunge al tema del verbo e che la variazione si possa attribuire alla base, come variazione della vocale tematica [In questa discussione si sono considerati solo i verbi della prima e della terza coniugazione. Alla stessa conclusione si giunge prendendo in considerazione anche i derivati della seconda coniugazione come ad es. leggibile. Per questi verbi però valgono argomentazioni più complesse relative alla vocale tematica e al riaggiustamento e ––> i che si rende necessario. Cfr. la discussione in 8.3.]

In altri casi non è facile decidere se 1’allomorfia che si riscontra è allomorfia della base o allomorfia del suffisso. Si considerino due parole come interpretazione e ammonizione. Utilizzando il solo strumento della segmentazione, sono possibili (almeno) le seguenti due analisi [Cfr. Tekavèié (1972) che propone anche un’analisi che isola la vocale tematica, e cioè amministr+a +zione, ammon +i +zione. Tekavcié scarta poi questa analisi in quanto “non economica”.]:(56) a. interpret + azione

ammon + izioneb. ammoni + zione

interpreta + zione(56a) attribuisce la variazione al suffisso (vi sono due forme suffissali: -axione/-ixaóne),

mentre (56b) la attribuisce alla base (il suffisso è unico: -xione).È spesso utile formalizzare le ipotesi e spingerle fino ai limiti estremi per controllare se e

quanto “tengono”. In questo caso, per esempio, /pag. 276/ le ipotesi formulate in (56) hanno conseguenze la cui portata è tale da suggerire decisamente una soluzione piuttosto che un’altra.

L’ipotesi (56a) suggerisce a) che la base è costituita dalla radice del verbo e b) che la forma del suffisso è -azione o -izione, cioè da «Vocale + zione»(57) radice + [vocale+ zione]Suf

Se si allarga la base dei dati, si perviene ad un quadro come quello qui sotto:(58) a. interpretazione a’. invasione a". compassione

ammonizione derisione ammissionecorrezione coesione annessionepromozione erosione riscossionesoggezione reclusione concussione

b. inserzione b’. inversionediserzione emersioneingiunzione espansione

espulsionec. impiccagione

Da (58) appare che la situazione, almeno dal punto di vista della semplice segmentazione, è parecchio complessa. Limitandoci qui per semplicità ai dati in (58a, a’ e a"), si può

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constatare che si tratta di un si stema con tre varianti principali [A questi dati bisognerebbe poi aggiungere quelli dei suffissi -(t)orio, -(t)ivo, (t)ore che presentano un comportamento formale identico.] («Vocale +zione », «Vocale +sione », «Vocale +ssione ») che si articolano poi in una serie di sottovarianti:(59) azione asione assione

izione isione fissioneuzione usione ussioneezione esione essioneozione osione ossione

Come si vede, l’ipotesi implicita in (57) causerebbe una variazione allomorfica suffissale notevolissima: senza contare infatti i casi in (58b), (58b’) e (58c), avremmo quindici forme suffissali diverse.

Questa variazione può essere ridotta modificando l’ipotesi, per esempio attribuendo la vocale alla base e non al suffisso. Attribuire la vocale alla base significa aggiungere la vocale alla radice. Ora, come sappiamo, radice + vocale = tema. Questa sarà dunque la nostra nuova ipotesi:(60) tema + suffisso /pag. 277/

Ma anche questo passo porta a dei risultati contraddittori, perché funziona per un insieme di dati ma non per un altro. Funziona bene per tutte le formazioni in -zione che derivano da verbi regolari, di cui qui sotto si dà un piccolo campione:(61) interpreta + zione ammoni + zione

amministra + zione maledi + zioneidentifica + zione defini + zione

Non funziona invece per le formazioni che derivano da verbi irregolari (cfr. correzione) e per le formazioni in (58a’) e (58a’’). Infatti, se applicata alla parola derisione l’analisi proposta porterebbe all’analisi seguente:

(62) deri+sione

Questa analisi è palesemente controintuitiva: deri non è né una radice né un tema. Un’altra analisi intuitivamente possibile di derisione è la seguente:

(63) deriso + ione

Dopo la semplice applicazione di CV, si ottiene il risultato desiderato. Ma quali sono le conseguenze di (63)? Sono le seguenti: a) la base è il participio passato e b) la forma del suffisso è -ione. Se si controllano ora i dati in (58) sopra, si osserverà che questa ipotesi funziona bene per i dati in (58a’) con l’eccezione di adesione e di coesione. Ma se ora si ammette che questo suffisso agisce su participi passati latini, si vedrà che l’ipotesi “participio passato + ione” spiega tutti i dati di (58a’) e di (58a") [Per esempio, la base di adesione, compassione, ammissione è costituita dalle forme latine adhesum, compassus, ammissus.] Restano i dati di (58a). Qui abbiamo due soluzioni: applicare coerentemente l’ultima ipotesi vista o cercare un’altra soluzione ancora. Se estendiamo coerentemente l’ipotesi a tutto il dominio dei dati in (58), allora, per derivare una parola come interpretazione, sarà necessario supporre la seguente derivazione:(64) Less.: interpreta

Part. Pass.: interpreta + atoRFP interpreta + ato + ioneCV øCV øRegola 4** [ts]Uscita interpretazione

[Questa regola, come si è visto nel par. 6.1., muta una [t] in una [ts] (resa graficamente in italiano con “z”), cioè una occlusiva dentale nella corrispondente affricata prima di -ione]

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In conclusione, l’ultima ipotesi si può riassumere così: la forma del /pag. 278/ suffisso è unica ed è -ione. ll suffisso si aggiunge a verbi nella forma del participio passato [Si osservi che ancora una volta siamo portati ad ipotizzare che la regola del participio passato agisca prima di una regola derivazionale.]. In questo caso, tutta l’allomorfia - che all’inizio di questo paragrafo sembrava a carico del suffisso - può essere imputata alla base.

10.7. Allomorfia e suppietivismoSi ha s u p p l e t i v i s m o quando, in una serie morfologicamente omogenea, si trovano

radicali diversi che intrattengono evidenti rapporti semantici senza evidenti rapporti formali. Un caso emblematico di suppletivismo è quello della flessione del verbo andare, dove, a seconda delle desinenze flessive, si alternano le radici and- e va (d)-:(65) vado andiamo

vai andateva andaivanno andrei

ll suppletivismo è un fenomeno lessicale e quindi si ritrova non so-lo nella flessione ma in tutto il dominio della formazione delle parole. Per quel che riguarda la derivazione, si considerino i seguenti esempi:(66) acqua idrico

fuoco piricocavallo equestremaiale suino

Idrico ha con acqua un evidente rapporto semantico ma nessuna somiglianza formale, ciò che è evidente per tutte le altre coppie di (66).

Idrico può poi essere ulteriormente analizzato come idro +ico. La semiparola idro è connessa nel lessico alla “parola” con cui intrattiene uno stretto rapporto semantico, acqua. Le due unità formano un’entrata lessicale complessa e i suffissi che si possono aggiungere a tali unità sono, di norma, in distribuzione complementare, come si può vedere qui sotto:(67) -oso -ico -atico -osi

acqua + – + –idro – + – +

Un’entrata complessa può arrivare a comprendere diverse unità; per esempio in italiano può succedere spesso che accanto alla voce “principale”, /pag. 279/ per così dire, siano elencate due forme suppletive una [ + greco] e l’altra [+latino]. Anche in questo caso, vi è distribuzione complementare degli affissi:(68) cavall + eria *cavall + estre *cavall + ico

*equ+eria equ+estre *equ+ico*ipp + eria *ipp + estre ipp + ico

ll suppletivismo può essere sia forte che debole. È forte quando vi è alternanza dell’intera radice (Chieti/Teatino), è debole quando tra i membri della coppia vi è una base comune riconoscibile e la differenza è di singoli segmenti fonologici (Arezzo/Aretino). Non è semplice distinguere tra suppletivísmo forte e suppletivismo debole da una parte, così come non è semplice distinguere tra suppletivismo e allomorfia dall’altra. Si considerino tre casi come seguenti:(69) a. Chieti - Teatino

b. Arezzo - Aretinoc. corretto - correzione

L’alternanza in (69c) è diversa da quella in (69a) perché tra le due forme alternanti in (69c) vi è un evidente rapporto semantico accanto ad un altrettanto evidente rapporto formale. Nell’alternanza in (69a) vi èun rapporto semantico ma non vi è alcun rapporto

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formale. (69a) è un caso netto di suppletivismo e (69c) è un caso netto di allomorfia.Il rapporto tra le forme alternanti in (69a) è un rapporto “lessicale”, cioè è “dato” e deve

essere memorizzato come tale. Il rapporto tra le forme di (69c), invece, può essere espresso da una regola anche perché la regola ipotizzata non è ad hoc ma può dar conto di molti casi analoghi (perfetto / perfezione, distratto / distrazione, circospetto / circospezione, ecc.)

Si consideri ora (69b), un caso di suppletivismo debole. La differenza tra (69b) e (69a) è netta. Più difficile è distinguere tra (69b) e (690 .

Un criterio al quale si fa spesso ricorso è quello della “distanza fonologica” : si contano i segmenti diversi tra una forma e l’altra. Nel nostro caso, questo criterio pone le forme alternanti di (69b) e (69c) sullo stesso piano: entrambe si differenziano per un segmento: [t] - [ts] nel caso di (69b) e [t] - Rs] nel caso di (69c). Ora, mentre la prima alternanza si ritrova quasi esclusivamente in nomi etnici (cfr. Fidenza - fidentino, Piacenza - piacentino) e rappresenta una regola fossile 34, la seconda ha un dominio meno limitato lessicalmente (come si è visto nel cap. 6, dove si è discusso della regola [t] -[ts] e non è una regola fossile.

Ne concludiamo che le alternanze (69a) e (69b) sono alternanze suppletive e (69c) un’alternanza allomorfica. Le forme in (69a) e in (69b) dovranno entrambe essere rappresentate nel lessico mentre per le /pag. 280/ forme in (690 sarà rappresentata nel lessico la base (corretto) e l’altra forma derivata attraverso la normale azione di RFP e RR.

Il suppletivismo rappresenta dunque il polo estremo dell’allomorfia: il primo è un’alternanza senza motivazioni fonologiche, la seconda si esprime attraverso un’alternanza motivata fonologicamente.

10.8. SommarioIl capitolo si è aperto con un primo approccio al problema della prefissazione. Dopo aver

brevemente discusso (e scartato) la proposta di derivare i prefissati tramite una regola sintattica, si sono esaminate alcune proprietà dei prefissi (10.1). Si sono poi visti diversi tentativi di classificazione dei prefissi (a seconda che terminino in consonante o in vocale, che siano mono- o bisillabici, che derivino storicamente da preposizioni o meno, che siano lessicalizzati, produttivi o rafforzativi) (10.1.1. ). Si sono infine analizzate alcune proprietà dei prefissi verbali per concludere che l’azione dei prefissi non è costante né facilmente formalizzabile (10.1.2. ).

Sono poi stati analizzati i cosiddetti suffissi valutativi, le cui proprietà non sono del tutto assimilabili né alle regole derivazionali né alle regole flessive. Si è pertanto proposto che i suffissi valutativi siano aggiunti da regole specifiche, che si applicano “dopo” le RD ma “prima” delle RF (10.2. ).

1 pronomi clitici, invece, pur aggiungendosi alla destra di una parola (ascolta-mi) non possono essere trattati da regole morfologiche, per una molteplicità di motivi; di essi dovrà dunque occuparsi la sintassi (10.3.).

Un altro tipo di unità di difficile collocazione sono quelli che la tradizione grammaticale italiana ha chiamato “affissoidi”, sottolineandone con ciò la natura affissale. Si è qui proposto di chiamare queste forme legate “ semiparole” motivando la scelta terminologica sulla base dell’effettivo comportamento di queste forme più simile a quello delle parole che a quello degli affissi (10.4. ).

Un altro caso ‘a metà’ tra due categorie è il participio passato che ha natura sia verbale che aggettivale. Si è qui proposto che i participi passati aggettivali siano derivati da quelli verbali tramite una regola di suffissazione zero o conversione (10.5.1.). Si è poi analizzato un caso spesso descritto come suffissazione zero (ad es. revoca) e si è mostrato come non si tratti di una suffissazione zero ma di una derivazione vera e propria (10.5.2.) .

Infine si è discusso un problema di attribuzione di allomorfia (10.6.) e la differenza tra allomorfia e suppletivismo, due fenomeni che potrebbero essere i poli estremi di una scala: il primo riguarda forme alternanti fonologicamente motivate (amico ––> amici), il secondo

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forme alternanti formalmente non motivate (Chieti / Teatino) ma lessicalmente collegate (10.7.).

10.9. Indicazioni bibliografichePrefissi: Baker [1988]; Bisetto, Mutarello e Scalise [1990]; Iacobini [1991].Suffissi valutativi: Jaeggli [1980].Pronomi clitici: Zwicky [1985].Suffisso zero: Berretta [1986]; Clark e Clark [1979]; Crocco Galèas [1992]; Jacobini e Thornton [1993]; Lieber [1981]; Marchand [1969].Suppletivismo: Crocco Galèas [1991]; Dressler [1985]; LoiCorvetto [1989]; Melèuk [1976].

CAPITOLO 11: QUESTIONI DI TIPOLOGIA

11.0. Introduzione“Con t i p o 1 o g i a linguistica si intende la determinazione di categorie linguistiche

generali come base per classificare le lingue secondo tipi, indipendentemente dalla loro origine storica [...]. In particolare Tipologia linguistica significa tipologia generalizzante delle lingue secondo la somiglianza o non somiglianza della loro struttura linguistica.

Uno degli scopi della tipologia linguistica è di classificare le lingue del mondo in tipi strutturalI. Questa classificazione è diversa dalla classificazione genetica delle lingue (quella secondo cui francese, italiano e spagnolo fanno parte delle lingue romanze che derivano dal latino, che fa a sua volta parte della grande famiglia indoeuropea, a differenza, poniamo, dell’arabo e dell’ebraico che sono membri del ramo semitico della famiglia afroasiatica).

La classificazione tipologica prescinde dalla storia delle lingue e tende ad individuare proprietà strutturali che accomunano certe lingue e non altre. Essa si è basata principalmente sui criteri morfologici e solo più recentemente sull’ordine delle parole, prendendo spunto dal lavoro di Greenberg (1963), ma sono possibili classificazioni da altri punti di vista, ad esempio morfosemantici [Comrie 1981], sintattici [Rizzi 1980], attanziali [Lazard 1978], fonologici [Gil 1986], ecc.

11.1. Tipologia morfologicaLa tipologia delle lingue su base morfologica [Uno dei tentativi più organici e tuttora

interessanti di classificazione morfologica delle lingue è quello di Sapir [1921] riconosce di solito tre tipi linguistici: quello isolante, quello a g g l u t i n a n t e e /pag. 284/ quello f l e s s i v o. [II tipo flessivo è detto anche “fusivo”: questo termine è stato proposto da Sapir [1921] per non oscurare il fatto che anche le lingue agglutinanti hanno flessione.] A questi tre tipi si sogliono aggiungere il tipo incorporante, quello polisintetico e quello, cosidetto, introflessivo.

Una lingua isolante ha una morfologia molto ridotta: i diversi significati sono espressi da parole diverse. In questo tipo di lingua parola e morfema tendono a coincidere e le parole ad essere invariabili. I rapporti grammaticali tra le parole non sono dunque segnalati da marche [In latino, ad esempio i rapporti grammaticali tra le parole sono segnalati dalle marche dei casi cfr. puella amat la ragazza ama’ vs. puellam amat ‘ama la ragazza’): nel primo caso puella è il soggetto del verbo nel secondo è oggetto e questa differenza è segnalata dal caso nominativo (puella) e dall’accusativo (puellam), rispettivamente.] ma o dalla posizione nella frase o da particelle che definiscono determinate funzioni sintattiche. In queste lingue, di norma, non dovrebbero esistere forme legate ma solo forme libere; al massimo vi sono forme che occupano prevalentemente certe posizioni nella frase e non altre.

Come lingua tipicamente isolante si cita spesso il vietnamita

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(1) Khi toi den nha ban toi chung toi bat dau lam bai quando io venire casa amico mio pl. io cominciare fare lezione ‘Quando giunsi alla casa del mio amico, noi cominciammo a preparare la lezione’

La lingua qui esemplificata è “isolante” nel senso che ogni parola consiste di un morfema, come si vede molto bene nel confronto tra “io” e “noi”: io è toi [toi significa anche ‘mio’ ed è quello il significato di quella occorrenza di toi che segue ban ‘amico’] mentre “noi” è costituito da toi più un plurale, cioè chung. Si potrebbe dire che una lingua isolante non ha morfologia [Le lingue isolanti sono state chiamate anche “monosillabiche”, termine che coglie genericamente una caratteristica di questo tipo di lingue ma che non è del tutto esatto [cfr. Comrie 1981 (1983: 78)]. Niente impedirebbe infatti ad una lingua di essere isolante ma non monosillabica.

Il grado di “isolamento” di una lingua potrebbe essere calcolato sulla base del rapporto tra il numero di morfemi ed il numero di parole in un testo: un rapporto 1,00 esprimerebbe un grado totale di isolamento nel senso che ogni morfema corrisponderebbe ad una parola e viceversa [Greenberg [1954 (1976: 190)] ci informa che un calcolo fatto su dei testi continui mostra che il rapporto parole/morfemi è 1,68 in inglese, 2,59 nel sanscrito e 3,72 nell’eschimese.]

In una lingua agglutinante le parole tendono ad essere plurimorfemiche nel senso che le parole constano di una base cui si aggiungono i vari affissi. Nelle parole di una lingua agglutinante vi è corrispondenza biunivoca tra forma e significato, cioè ad ogni morfema corrisponde un morfo e viceversa. Si è già visto un esempio in 2.1.7. dove si è citato il /pag. 284/ turco, una lingua tipicamente agglutinante. Le forme in (2) ‘° esemplificano molto bene il punto. Il paradigma è agglutinante nel senso che alla base (adam ‘uomo’) si aggiungono dei morfemi che sono ben segmentabili ed hanno ciascuno un unico significato costante e riconoscibile:(2) Sing Pl

Nom adam adam-larAcc adam-i adam-lar-iGen adam-in adam-lar-inDat adam-a adam-lar-aLoc adam-da adam-lar-daAbl adam-dan adam-lar-dan

Da questo esempio si può constatare che i vari morfemi sono perfettamente individuabili e che sono disposti in sequenze lineari prevedibili: ad esempio il morfema lar significa ‘plurale’ ed occupa sempre la stessa posizione, tra la base e le desinenze del caso (se vi sono); i significa sempre (e solo) ‘accusativo’ sia al singolare che al plurale.

Per caratterizzare dunque una lingua agglutinante diremmo che vi è corrispondenza biunivoca tra morfi e morfemi e che i morfi sono perfettamente segmentabili secondo uno schema come quello seguente (dove X è la base):X morfemal morfema2 morfema3

X morfolmorfo2 morfo3Le lingue flessive (ad es. russo, latino, greco, sanscrito, italiano) invece sono segmentabili

con più difficoltà e non vi è corrispondenza biunivoca tra morfi e morfemi. In latino una parola come puella ‘ragazza’ èsegmentabile in due morfi, puell+a ma puell è una forma legata ed il morfo a significa quattro cose ad un tempo: nominativo, singolare, femminile e appartenente alla prima declinazione. Il paradigma intero di questo nome è il seguente:(4) Sing Pl

Nom puell + a ‘la ragazza’ puell + ae ‘le ragazze’Gen puell + ae ‘della rag.’ puell + arum’ delle rag.’Dat puell + ae ‘alla rag.’ puell + is ‘alle rag.’

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Acc puell + am ‘la ragazza’ puell + as ‘le ragazze’Voc puell + a ‘oh ragazza’ puell + ae ‘oh ragazze’Abl puell + a ‘con la rag.’ puell + is ‘con le rag.’

Come si vede, qui il quadro è diverso da quanto visto per il turco: ae, per esempio, ha infatti una molteplicità di significati, dato che può significare sia ‘genitivo’ che ‘dativo’, ma anche sia (‘genitivo’) ‘singolare’ /pag. 285/ che (‘nominativo’, ‘vocativo’) ‘plurale’. In questo caso, ad un morfo (ae) corrispondono più morfemi:(5) morfemi gen dat nom voc

sing sing pl pl

morfo aeIl tipo linguistico polisintetico si distingue da quello incorporante per il fatto che il primo è

caratterizzato dalla presenza di molti affissi aggiunti ad un morfema lessicale, mentre il secondo è caratterizzato da quella particolare relazione che coinvolge almeno due morfemi lessicali e che si chiama appunto “incorporazione”. Una lingua polisintetica è lo swahili, come si vede nel seguente esempio:(6) ni - li - cho - ki - on - a

io perf rel/ogg ogg vedere ind ‘che io ho visto’

L’incorporazione è una sorta di processo di composizione, come si è visto nel cap. 5, e come si può vedere dal seguente esempio ":(7) a. Ni-k-qua in-nakati

‘io mangio la carne’b. Ni-naka-qua

‘io carnemangio’L’oggetto carne è stato incorporato nel verbo principale della frase cosicché si è formato

una sorta di verbo composto. Polisintesi e incorporazione possono poi combinarsi, come si vede nei seguenti esempi:(8) angya-ghlla-ng-yug-tuq [yupik – eskimese, siberiano]

barca-accrescitivo-acquistare-desiderativo-3 sing‘vuole acquistare una grande barca’iqalussuarniariartuqqusaagaluaqaagtunnuuq [eskimese, Groenanda occidentale]‘è stato detto che abbiamo avuto l’ordine tassativo di andare fuori apescare

pescecani’Comrie osserva che il tipo linguistico polisintetico-incorporante non èsempre presente

nelle classificazioni perché è riconducibile a casi (estremi) di agglutinazione. Il tipo polisintetico, occupa il polo opposto rispetto /pag. 286/ al tipo isolante poiché nel primo una parola è costituita da un morfema, nel secondo una parola è costituita da un alto numero di morfemi.

L’ultimo tipo cui accenneremo qui è quello introflessivo che è rappresentato dalle lingue semitiche (arabo, ebraico, ecc.). In arabo, la parola può essere rappresentata da una radice triconsonantica (per es. k-tb ‘scrivere’) e le diverse parole sono formate essenzialmente variando le vocali, come abbiamo già visto sopra (cfr. 2.1.7.) e come ripetiamo in (9) per comodità:(9) a. kataba ‘egli scrisse’

b. kutiba ‘fu scritto’c. ka:tib ‘scrittore’d. ka:tibat ‘scrittrice’e. kita:b ‘libro’

Si osservi che processi “introflessivi” come quello appena visto non sono esclusivi

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dell’arabo, ma si possono trovare in diverse lingue, ad esempio in inglese:(10) sing ‘cantare’

sang ‘cantai’sung ‘cantato’

Anche in questo caso, si può dire che vi è una radice consonantica e che le varie forme si ottengono variando la vocale. La differenza è che il procedimento in questione rappresenta il “centro” per l’arabo e la “periferia” (l’irregolarità) per l’inglese. Sui modi di dar conto, formalmente, di processi morfologici come quelli appena visti, ritorneremo in 11.4.2.. Per ora ci basti osservare come ogni lingua realizza con una certa approssimazione un dato tipo linguistico, mai completamente, come vedremo nel paragrafo seguente.

11.2. Non esistono tipi puriL’analisi di vari sistemi linguistici ha convinto da tempo gli specialisti che non esistono

tipi pur. Si può dire che ogni lingua mostra una certa tendenza ad essere classificata in uno dei tipi visti. Si potrebbe anche dire che si tratta di una questione di grado: una lingua non è dunque “agglutinante” ma “prevalentemente agglutinante”. È stato anche proposto che non siano le lingue ad essere chiamate isolanti, flessive ecc. ma piuttosto le singole regole.

L’inglese, ad esempio, ha flessione molto ridotta per cui sembrerebbe largamente isolante (ma presenta anche agglutinazione per quel /pag. 287/ che riguarda la derivazione (lonely+ness ‘solitudine’, overt+ly ‘apertamente’, drink+er ‘bevitore’), e perfino un grado limitato di incorporazione (cfr. horseriding ‘andare a cavallo’). Anche in tedesco si possono trovare proprietà di tutti i tipi 16: a) isolanti: mehr tot ‘più morto’ contrapposto ad un’espressione flessiva come toter; b) agglutinanti: ziehen, anzieben, miteinbeziehen ‘tirare’, ‘indossare’, ‘includere’; c) flessive Kind-es ‘del bambino’, (gen.) dove -es rappresenta tre morfemi: numero, genere e caso; d) introflessive: tragen - trug ‘portare - portai’, e) polisintetiche: Kleinstad ‘piccola città, cittadina’ dreizimmerwohnung ‘abitazione di tre stanze’.

Secondo Comrie [1981] vi è un continuum che va dal massimo di analiticità ad un massimo di sinteticità, però mentre ci sono lingue (come il vietnamita) che si avvicinano all’estremità analitica dello spettro (si avvicinano cioè ad una corrispondenza biunivoca parola/morfema) all’estremità opposta non vi sono lingue in cui sia obbligatorio combinare un altissimo numero di morfemi in un’unica parola (dove cioè vi sarebbe identità tra parola e frase). In eschimese, infatti, si trovano sia frasi che consistono di un’unica parola che frasi che consistono di più parole.

11.2.1. Violazioni della corrispondenza uno-a-unoUn sistema morfologico “perfetto” dovrebbe essere costituito da corrispondenze

biunivoche di “forma-significato”. In altri termini, in un sistema ideale ad una forma dovrebbe corrispondere un significato (ed uno solo) e viceversa:1) significato

formaLa realtà linguistica si allontana da questa “perfezione” sostanzialmente in due modi: a) ad

un significato corrispondono forme diverse; b) ad una forma corrispondono più significati:(12) a. Sign. b. sign.1 sign.2

forma1 forma2 formaDato però che i fatti della lingua si possono distribuire su due assi, quello sintagmatico e

quello paradigmatico, le deviazioni dallo schema uno-a-uno possono essere quattro [cfr.

185

Carstairs 1992: 156]: /pag. 289/a) Deviazione uno-più (sintagmatica). Una proprietà può avere diverse realizzazioni. Si

consideri per esempio il ‘tempo perfetto’ in greco antico: il perfetto di ly-o ‘sciolgo’ è lé-ly-k-a ‘ho sciolto’ dove al significato ‘perfetto’ corrispondono tre forme diverse (il raddoppiamento le, il suffisso k e la desinenza flessiva a).

b) Deviazione uno-più (paradigmatica). Si consideri l’esempio precedente, in particolare la nozione di “prima persona”. Come si vede, lo stesso significato ha realizzazioni diverse: è o in lyo ma è a in lelyka. Si osservi che mentre la realizzazione di ‘perfetto’ è sintagmatica nel senso che le tre marche che segnalano questo tempo sono tutte presenti nella parola lelyka, la realizzazione di ‘prima persona’ è paradigmatica nel senso che in una forma troviamo o ed in un’altra troviamo a.

c) Deviazione più-uno (sintagmatica). In latino il dativo plurale di puella è puellis ‘alle ragazze’: la desinenza flessiva è dunque -is. Questa desinenza realizza in sé, cumulativamente, il significato di ‘dativo’ e di ‘plurale’.

d) Deviazione più-uno (paradigmatica). Si consideri ancora puellis: questa forma latina non è solo un dativo plurale ma anche un ablativo plurale: is realizza dunque cumulativamente (ma questa volta paradigmaticamente) i significati di ‘ablativo’ e di ‘dativo’.

11.3. Tipologia basata sull’ordine delle paroleUn forte impulso agli studi tipologici è stato dato da un breve articolo di Greenberg [1963]

nel quale egli, sulla base di un campione di trenta lingue, propose 45 universali di tipo implicazionale unidirezionale. Un universale implicazionale funziona grosso modo in base al seguente sillogismo: «se una lingua ha la proprietà X, allora avrà sicuramente la proprietà Y». 11 contrario non è però vero. Per esempio: se una lingua ha il duale [Il duale è presente, per esempio, nel greco classico: anthropos ‘uomo’ ha le forme di duale anthropo ‘due uomini’ e anthropoin ‘a/di due uomini’.] allora sicuramente avrà il plurale. ll greco classico, infatti, ha il duale e quindi, a fortiori, il plurale.

Dei 45 universali, 20 (26-45) riguardano specificamente la morfologia. Gli universali morfologici sono classificabili in quattro gruppi: a) marche morfologiche, b) categorie morfologiche, c) relazione tra categorie e marche flessive, d) distribuzione delle categorie morfologiche. In quel che segue, esemplificheremo brevemente, ove possibile sull’italiano, i punti a), b) e c).a) Marche morfologiche

Universale 26: «Se una lingua presenta affissi discontinui, essa presenta sempre o prefissi, o suffissi, o entrambi». L’italiano non ha affissi discontinui. L’unica eccezione potrebbe essere rappresentata dalle /pag. 289/ costruzioni parasintetiche, per le quali però in questo manuale abbiamo proposto una analisi diversa (cfr. 8.6.1. sopra).

Universale 27: «Se una lingua è esclusivamente suffissante, è posposizionale [ll giapponese è una lingua con posposizioni per esempio, yuusyoku go corrisponde a (letteralmente) ‘cena dopo’.]

.; se è esclusivamente prefissante, è preposizionale». L’italiano non è esclusivamente suffissale (ha prefissi) e nemmeno esclusivamente prefissale (ha suffissi).

Universale 28: «Se tanto la derivazione quanto la flessione seguono il radicale, o se esse precedono entrambe il radicale, la derivazione si trova sempre tra il radicale e la flessione». L’universale 28 sembra essere universalmente rispettato. Per la presunta eccezione (costituita dagli avverbi italiani in -mente, in cui il suffisso derivazionale seguirebbe il morfema del femminile a, come in amaramente) è stata proposta un’analisi che non contraddice l’universale in questione (cfr. 9.1.).

b) Categorie morfologiche

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Universale 34: «Nessuna lingua ha un numero triale se non ha un duale. Nessuna lingua ha un duale se non ha il plurale»[Il triale designa gruppi costituiti da tre unità. Spesso è costituito da una marca che significa ‘tre’, aggiunta al plurale. In Buandik occ. (regione di Victoria) nuro ‘tu’ ha un duale nutpui ‘voi due’, un plurale nutpuer ‘voi’ e un triale nutpuer-wun ‘voi tre’. [Tagliavini 1966: 207]. L’italiano ha solo il plurale, non ha né duale, né triale. Naturalmente ciò non significa che l’italiano non ha un’espressione linguistica del duale, non ce l’ha di tipo morfologico ma può avere (come infatti ha) un’espressione lessicale del duale (cfr. entrambe le donne, tutte e due le raccbette).

Universale 36: «Se una lingua ha la categoria del genere, ha sempre la categoria del numero». Anche questo universale implicazionale è rispettato in italiano, dato che in italiano vi è sia la categoria del genere (maschile e femminile) che quella del numero (singolare e plurale).

Universale 41: «Se in una lingua il verbo segue sia il soggetto nominale sia l’oggetto nominale come ordine dominante, tale lingua ha quasi sempre un sistema di casi». In italiano l’ordine di base è SVO e non ha un sistema di casi. Discutendo alcuni tipi di composti, abbiamo visto in effetti che il latino, che ha ordine SOV, ha un sistema di casi (cfr. 5.4.2.).

c) Relazione tra categorie e marche flessiveUniversale 35: «Non c’è lingua in cui il plurale non abbia qualche allomorfo diverso da

zero. Il duale e il triale non sono quasi mai espressi dal grado zero soltanto».In inglese abbiamo visto (cfr. 2.1.1.) che gli allomorfi del plurale del nome sono tre: [s],

[z], [iz]. In italiano, gli allomorfi dell’articolo /pag. 290/ plurale maschile sono due: i e gli , la cui distribuzione dipende dal suono iniziale della parola seguente. Nel plurale del femminile, vi è un solo allomorfo, le. Anche in questo caso, dunque, vi è un allomorfo diverso da zero.

Universale 38: «Quando c’è un sistema di casi, l’unico caso che ha sempre e soltanto allomorfi zero è quello che include tra i suoi significati (funzioni) quello di soggetto del verbo intransitivo». Un esempio di questo universale si vede in (2) sopra.

Universale 39: «Quando sono presenti sia i morfemi del numero sia quelli del caso ed entrambi precedono o entrambi seguono la base nominale, l’espressione del numero viene a cadere quasi sempre tra la base nominale e l’espressione del caso». L’universale è confermato dall’esempio del turco visto in (2), infatti il morfema del plurale lar si trova tra la base e le marche del caso (i, in, ecc.).

Le conseguenze più rilevanti della proposta di Greenberg per la morfologia derivano, però, non tanto dagli universali specificamente morfologici quanto dagli universali relativi all’ordine delle parole. Il punto di partenza di Greenberg fu l’identificazione di sei tipi possibili di ordine sintattici di base a partire dai costituenti S(oggetto), O(ggetto), V(erbo). Le lingue del mondo possono naturalmente avere diversi ordini possibili, ma ne hanno uno dominante [Si sottolinea la nozione di “dominante”: caratterizzare una lingua come avente l’ordine basico SVO non esclude che la lingua in questione possa avere altri ordini. Così l’italiano ha un ordine “dominante” SVO (Walter insegna letteratura italiana) anche se altri ordini, più marcati, derivati, ecc. sono possibili (con enfasi: letteratura italiana insegna Walter!, con ordine OVS; Walter [pausa] letteratura italiana insegna, con ordine SOV).]. Le possibilità logiche sono sei: SVO, SOV, VSO, VOS, OSV, OVS, ma di queste sei solo tre occorrono normalmente come ordini dominanti (13a) mentre le altre tre o non occorrono affatto o sono estremamente rare [I tre ordini sfavoriti hanno in comune il fatto che l’oggetto precede il soggetto..] (13b):(13) a. SVO, SOV, VSO

b. OVS, OSV, VOSIl fatto importante è che l’ordine sintattico che una lingua presenta non è un fatto a sé

stante ma ne derivano una quantità di conseguenze (sia sintattiche che morfologiche), logicamente deducibili, e cioè la posizione dei modificatori e delle teste nei sintagmi

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nominali, la posizione degli ausiliari e dei verbi nei sintagmi verbali, la scelta tra preposizioni e postposizioni, ecc.

Se una lingua è SOV, allora ci si aspetta che abbia delle postposizioni (o affissi di caso, che sono alla destra del nome) ma ci si aspetta anche che abbia i modificatori a sinistra del modificato (l’aggettivo prima del nome, la non-testa a sinistra della testa nei composti, la relativa /pag. 291/ prima del nome che la regge, ecc.). Si dice che una lingua di questo tipo esibisce ricorsività a sinistra.

Se una lingua è SVO ci si aspetta che abbia preposizioni ma ci si aspetta anche che abbia i modificatori a destra del modificato (e quindi l’aggettivo dopo il nome, la non-testa a destra della testa nei composti, la relativa dopo il nome che la regge, ecc.). Si dice che una lingua di questo tipo esibisce ricorsività a destra. In conclusione, le osservazioni di Greenberg costruiscono una sorta di catena di attese o di scelte collegate. Di particolare importanza per la morfologia è il rapporto tra ordine sintattico di base e ordine dei costituenti nei composti.

11.4. Morfologie concatenative e morfologie non concatenativeIn questo libro si è tacitamente assunto che la morfologia delle lingue consiste

principalmente in “aggiunta” di materiale linguistico ad una base, con l’eccezione di due processi (la conversione e alcuni rari casi di sottrazione). Così Sapir [1921 (1969: 58)] dava la seguente rappresentazione formale di una parola inglese come unthinkingly ‘spensieratamente’ [Correntemente le parentesi tonde designano facoltatività; come è evidente, non èquesto l’uso che ne fa Sapir, altrimenti le sequenze d +B, d +B +c, sarebbero grammaticali, mentre invece non lo sono: *un-think ‘*s-pensare’, *unthinkly ‘*spensarmente’.]:(14) (d) + B + (a) + (c)

In (14) B è l’elemento radicale think ‘pensare’ (che noi chiamiamo “base”) e (a), (c) e (d) i vari affissi, più specificamente (d) il prefisso un-, (a) il suffisso -ing e (c) il suffisso -ly. Le morfologie che si basano principalmente su processi come quelli esemplificati in (14) si possono chiamare c o n c a t e n a t i v e. L’italiano e l’inglese, ad esempio, sono eminentemente concatenative. Ma, come la tipologia linguistica insegna, non esistono tipi del tutto puri e così sia l’inglese che l’italiano presentano casi di morfologia non concatenativa.

Si considerino i seguenti esempi dell’inglese, dove in (15a) vi sono casi di formazione “concatenativa” del passato e in (15b) casi di formazione “non concatenativa” del passato:(15) presente passato glossa

a. love loved amare/amaiwalk walked camminare/camminaisuggest suggested suggerire/suggeriiarrest arrested arrestare/arrestaiwait waited aspettare/aspettai

b. do [du:] did [did] fare/fecising [si˜] sang [s{˜] cantare/cantaitake [teik] took [tuk] prendere/presiread [ri:d] read [red] leggere/lessibuy [bai] bought [bo:t] comperare/comperaibite [bait] bit [bit] mordere/morsi

Come si vede, esistono casi in cui la formazione del passato in inglese {Lo stesso dicasi per la formazione del participio passato, che qui non esemplifichiamo. Ma lo stesso dicasi ancora per la formazione di plurali irregolari, come ad esempio mouse [maus] / mice [mais] topo/topi} avviene tramite modifiche della vocale della base. Non è, in altre parole, di tipo concatenativo. Questo fenomeno (che in inglese è limitato ma che in altre lingue è la norma) non si può descrivere con lo schema di Sapir B + (a) + (c), valido per tutte le morfologie concatenative, ma richiede altri modelli cui accenneremo brevemente in 11.4.2.

188

In italiano, i fenomeni non concatenativi più vistosi si riscontrano nei verbi irregolari (sapere/seppi, distruggere/distrussi/distrutto) dove si trovano fenomeni di sostituzione vocalica e/o consonantica. Nelle lingue del mondo, vi è però tutta una serie di fenomeni che non sono ben descrivibili in termini concatenativi come ad esempio i toni, l’armonia vocalica, la prenasalizzazione, il dittongamento, ecc. Infine, bisogna ricordare che se si studia accuratamente tutta la fenomenologia di un processo di affissazione, la semplice concatenazione B +a coglie solo l’aspetto principale del processo, ma accanto a questo, vi sono diverse distinzioni che debbono essere viste ed analizzate, come risulterà dal paragrafo seguente.

11.4.1. II suffisso -ableI vari processi di affissazione, anche quando sembrano del tutto agglutinanti, sono

difficilmente riconducibili ad una procedura meccanica dove B è la base, a un affisso e il risultato è Ba (oppure aB in caso di prefissazione) senza ulteriori variazioni. Questo può essere lo schema “centrale” mala fenomenologia completa deve prevedere una casistica più articolata, come si vedrà qui di seguito sulla base di parole derivate tramite il suffisso -able ‘-bile’ dell’inglese. Come in italiano, -able si aggiunge a verbi transitivi. Sono esempi netti i seguenti:(16) break ––> breakable ‘rompere - rompibile’

inflate ––> inflatable ‘gonfiare - gonfiabile’move ––> movable ‘muovere - movibile’

Qui a B (verbo, transitivo) si aggiunge a e il risultato è Ba: la “ morfologia”, la “fonologia” e la “semantica” di queste parole sono chiare, trasparenti, identificabili. In alcuni casi, però, la base deve sottostare a un processo di riaggiustamento: /pag. 293/(17) navigate ––> navigable‘navigare - navigabile’

demonstrate ––> demonstrable‘dimostare - dimostrabile’formulate ––> formulable ‘formulare - formulabile’

In questi esempi, dopo l’aggiunta del suffisso alla base, è necessario applicare una regola di riaggiustamento che cancelli un morfema (-ate). In altri casi, invece, la parola complessa Ba non è analizzabile chiaramente:

(18) applicable da apply non da *applicate

Se togliamo -able da applicable, resta una forma applic che non corrisponde ad un B possibile. Se si tenta di ricondurre questo caso a quello precedente, però, si constaterà che non è possibile perché applicate non esiste (anche se una parola come application ‘applicazione’ sembra presupporlo, dato che il suffisso è -ion). È quindi necessario istituire un rapporto lessicale con il corrispondente verbo esistente, che è apply. La relazione apply/applicable non è trattabile tramite regole, ma come relazione suppletiva (suppletivismo debole). In un altro caso ancora, B non esiste:(19) eligible ‘eleggibile’

possible ‘possibile’credible ‘credibile’

Per questi esempi, in inglese non esiste una base verbale ricavabile né ricorrendo a supposte forme allomorfiche, né a supposte forme suppletive.

Infine, nella fenomenologia della suffissazione, si verificano delle “eccezioni” nei confronti della regola “centrale”. Per esempio, nel caso in esame, si riscontrano alcuni casi (limitati) in cui il verbo di base èintransitivo:(20) perishable (da perish ‘perire’)

workable (da work ‘lavorare’)Vi sono ancora altri casi (sempre limitati) in cui la base non è un verbo:

(21) palatable ‘palatabile’peaceable lett. ‘pace+ bile’

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objectionable lett. ‘obiezione + bile’In italiano - lo si ricorderà - oltre ai due casi appena visti, vi è un terzo tipo di eccezione

possibile e sono i pochi casi in cui il suffisso non sembra aggiungersi al tema verbale ma piuttosto al participio passato (per es. risibile, cfr. 8.5.4.). /pag. 294/

11.4.2. Approccio multilineareIn alcuni casi, vi è discordanza tra la rappresentazione morfologica e quella fonologica e

pertanto si rende necessario rappresentare le parole su piani diversi. Per esempio, la struttura sillabica delle parole (o) non coincide sempre con la struttura morfemica (M), come si vede nell’esempio seguente:(22) 1 2 3 4

s u b n o r m a l e

M1 M2 M3Ma esistono altri casi, in cui è necessario supporre diversi piani di rappresentazione, per

esempio, i dati dell’arabo visti in (9) possono essere analizzati come consistenti di due livelli separati: da una parte una radice consonantica (k-t-b) e dall’altra una sequenza vocalica:(23) a. perfetto attivo b. perfetto passivo

k a t a b a k u t i b a

scrivere scriverektb è una sequenza “discontinua” il cui significato è ‘scrivere’ e la sequenza vocalica aaa

significa ‘perfetto attivo’, di contro alla sequenza uia che significa ‘perfetto passivo’. Sulla base di osservazioni come queste (ed in generale di tutti quei fatti in cui le unità in gioco sono o più piccole o più grandi dei tradizionali segmenti fonologici) si è sviluppato un approccio cosiddetto multilinearez9.

L’arabo classico ha quindici coniugazioni (binyanim) ognuna delle quali associata con una data ossatura di Consonante) e V(ocale). Le prime tre coniugazioni, per esempio, si differenziano per l’ossatura CV(24) coniugazione ktb ossatura CV

I katab CVCVCII (causativa) kattab CVCCVCIII (reciproco) kaatab CVVCVC

Ognuna di queste forme può essere pensata come la combinazione di tre “morfemi” : la radice, la coniugazione e la flessione aspettuale: /pag. 295/ (25) radice k t b k t b k t b

coniugazione C V C V C C V C C V C C V V C V C

aspetto a a aQueste rappresentazioni abbisognano di condizioni di buona formazione che non

discuteremo qui [Fondamentalmente, vi è il livello CV da una parte e il livello dei segmenti fonemici dall’altra (la radice e la sequenza vocalica). Questi segmenti sono chiamati ‘elementi melodici’ e debbono essere associati alle caselle C e V secondo determinati criteri.]; quel che importa è che la radice consonantica e la sequenza vocalica hanno rappresentazioni su piani diversi, ciò che coglie l’essenza “non lineare” delle lingue introflessive.

In una rappresentazione non-lineare, autosegmentale, diverse caratteristiche articolatone possono essere rappresentate su livelli diversi che confluiscono tutti in una base comune, detta

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o s s a t u r a.Una rappresentazione fonologica classica è tipicamente suddivisa in segmenti: [dito]

consta di quattro segmenti. La fonologia multilineare si basa sull’osservazione che esistono dei tratti il cui dominio può essere più grande o più piccolo di un segmento (tali tratti sono chiamati a u t o s e g m e n t i)3’. Per esempio in turco vi è un fenomeno noto con il nome di armonia vocalica per cui la qualità dell’ultima vocale della base determina la qualità delle vocali degli affissi:(26) a. adam + lar + dan ‘dagli uomini’

b. ev + ler + den ‘dalle case’In (26a) la vocale a della base fa sì che i suffissi aggiunti siano “in a” (-lar, -dan), mentre

in (26b) la vocale e della base fa sì che i suffissi aggiunti siano “in e” (-ler, -den). Ora, a è una vocale caratterizzata dal tratto [ + arretrato] mentre e dal tratto [ - arretrato]. Negli esempi del turco, tali tratti possono essere rappresentati ad un livello diverso dal livello dell’ossatura:(27) a. [+arretrato] b. [-Arretrato]

adam lar dan ev ler denIn questo caso dunque [ 1- arretrato] è un tratto “più grande” di un solo segmento, nel

senso che viene associato a più di un segmento. /pag. 296/

11.4.3. ReduplicazioneLa r e d u p 1 i c a z i o n e si può definire come un processo di affissazione realizzato con

materiale fonologico che varia a seconda del variare della base [Nella tradizione grammaticale classica il fenomeno è noto col nome di r a d d o p p i a m e n t o (cfr. ad es. il gr. ly:o l lelyka ‘sciolgo - ho sciolto’).]

La reduplicazione presenta, attraverso le lingue del mondo, una fenomenologia assai complessa: il processo può essere assimilabile alla prefissazione (28a), all’infissazione (28b) o alla suffissazione (28c) {Gli esempi in (18a) e (18b) sono tratti da Spencer [1991: 150 ss.], quelli in (28c) da Puglielli e Scalise [1990: 343].}; eccone alcuni esempi:(28) a. taa ta-taa ‘scioperare; sing-pl’ (samoano)

moe mo-moe ‘dormire; sing-pl’b. maliu ma-li-liu ‘morire; sing-pf (samoano)

alofa a-lo-lofa ‘amare; sing-pl’c. buug buug-ag ‘libro-libri’ (somalo)

miis miis-as ‘tavola-tavoli’La reduplicazione può essere totale (riguarda cioè un’intera parola, cfr. l’indonesiano kursi

‘sedia’, kursi kursi ‘sedie’) o parziale (può riguardare un morfema, una sillaba o anche sequenze di vocali o di consonanti che non formano un costituente).

Sulle modalità con cui è conveniente trattare la reduplicazione, sono emerse sostanzialmente due posizioni: c’è chi ritiene che si tratti di un processo sintattico e che quindi vada trattato con regole di tipo trasformazionale [Aronoff 1976] e chi ritiene che si tratti di un processo di affissazione [Marantz 1982]. Questa seconda posizione è quella oggi prevalente, solo che viene interpretata in termini autosegmentali soprattutto perché i segmenti reduplicati non hanno un contenuto fonetico costante [Cfr. la seguente definizione di Broselow e McCarthy [1984: 25]: “La reduplicazione è un caso speciale di normale morfologia affissale, dove gli affissi sono fonologicamente sottospecificati e ricevono la loro piena espressione fonetica copiando segmenti adiacenti”.]. Si considerino i seguenti esempi dal greco classico:(29) ly:ó lelyka ‘sciolgo - ho sciolto’

thy:ó tethyka** ‘sacrifico - ho sacrificato’grafó gegrafa ‘scrivo - ho scritto’

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blastanó beblasteka ‘germoglio - sono germogliato’[**La forma reduplicata nonè thethyka per la legge di Grassmann in base alla quale la prima di due consonanti aspirate in due sillabe contigue diventa la sorda non aspirata corrispondente (e quindi, nel nostro esempio thethyka ––> tethyka.]

Come si vede, la regola in questione aggiunge un significato costante (che è quello di ‘aspetto perfettivo’) ma non aggiunge un segmento prefissale formalmente costante (le, te, ghe, be): il morfema aggiunto è /pag. 297/ sottospecificato per quel che riguarda la consonante che non fa parte della rappresentazione del morfema “perfetto” ma che viene copiata dalla consonante iniziale della parola di base. È come se il morfema (prefissato) del tempo perfetto avesse la forma «C(onsonante) + e» (dove C varia col variare della prima Consonante) della base ) [In greco classico il raddoppiamento del perfetto è diverso dal raddoppiamento del presente, caratterizzato dalla vocale [i]: gi-gnóskó ‘divengo’).]. Ma è possibile anche che tutto il segmento reduplicato sia sottospecificato e che sia cioè «Consonante + Vocale» (con consonante e vocale foneticamente non specificate). Ciò si può vedere in (28a), ma anche nei seguenti esempi latini [Anche in latino, però, di norma, la vocale del raddoppiamento è e (cfr. tango ––> tetigi ‘tocco - toccai’, cano ––> cecini ‘canto - cantai’).](30) disco di-dici ‘imparo - imparai’

mordeo mo-mordi ‘mordo - morsi’tundo tu-tudi ‘picchio - picchiai’

La reduplicazione è espressa con più accuratezza in termini autosegmentali. Si tratta di un fenomeno non tipico esclusivamente di lingue con morfologia non concatenativa: rappresenta però una conferma di quanto ipotizzato sopra e cioè che sono probabilmente le singole regole ad essere “agglutinanti”, “flessive”, “ introflessive”, ecc. e non le lingue nel loro insieme.

11.5. SommarioIn questo capitolo, abbiamo esaminato due concezioni tipologiche: quella basata sulla

morfologia delle lingue e quella basata sull’ordine delle parole. Nell’ambito della prima accezione, abbiamo visto le caratteristiche principali dei seguenti tipi linguistici: isolante, agglutinante, flessivo, polisintetico ed introflessivo (11.1. ), ma si è anche visto che non esistono tipi linguistici puri, dato che nella stessa lingua si possono rinvenire, per esempio, processi sia agglutinanti che flessivi (11.2.). Una lingua morfologicamente “perfetta” dovrebbe esibire una costante biunivocità tra morfo e morfema: ad ogni morfo dovrebbe corrispondere un morfema, e viceversa. Abbiamo visto che le lingue deviano da questo modello in quattro modi (1.2.1. ).

Per quel che riguarda la tipologia basata sull’ordine delle parole, abbiamo esaminato alcuni degli universali morfologici proposti da Greenberg, proiettandoli, ove possibile, sull’italiano (11.3. ).

Abbiamo infine distinto tra lingue con morfologia di tipo concatenativo e lingue con morfologia non concatenativa (11.4.) ed abbiamo mostrato brevemente come i processi concatenativi non siano quasi mai di pura e semplice concatenazione (11.4.1.) e come per le morfologie non concatenative sia necessario un approccio specifico, basato sulla /pag. 298/ fonologia, cosiddetta autosegmentale (11.4.2.). Abbiamo infine visto brevemente anche come il fenomeno della reduplicazione, che apparentemente è un fenomeno segmentale, in realtà si possa descrivere meglio con un approccio autosegmentale. /pag. 299/

11.6. Indicazioni bibiiograficheTipologia: Ramat [1976; 19841.Ordine delle parole: Greenberg [1963].Morfologie non concatenative: McCarthy [1979].Reduplicazione: Broselow e McCarthy [1983]; Marantz [1982].

192

CAPITOLO 12: CONCLUSIONI E RIEPILOGO: LA MORFOLOGIA DELL’ITALIANOIn queste note conclusive, elencheremo alcuni tratti tipologici dell’italiano, il che equivale

a riassumere molte delle osservazioni fatte nei capitoli precedenti, soprattutto se si condivide la convinzione di Hjelmslev [1963 (1970: 110)] secondo cui il compito della tipologia è “di rispondere alla domanda: quali sono le strutture linguistiche possibili, e perché altre non lo sono?”. Applicata al dominio di cui ci siamo occupati in questo manuale, la domanda può essere riformulata nel modo seguente: “quali sono le parole possibili e perché altre non lo sono?”. In pratica, in questo manuale la risposta è stata affidata alla nozione di “ rappresentazione lessicale”, di “regola” e di “restrizíone” sulle regole.

L’italiano fa parte, insieme a diverse altre lingue [Tra cui il francese, il provenzale, lo spagnolo, il portoghese, il catalano, il sardo, il ladino, il friulano, il rumeno] della famiglia delle lingue romanze che derivano tutte da diverse varietà regionali del latino parlato.

Il latino, come abbiamo già avuto occasione di dire, è una lingua prevalentemente flessiva e questa caratteristica è stata conservata dall’italiano, completamente per quanto riguarda il sistema verbale, in misura molto minore per quanto riguarda il sistema nominale, dato che il sistema a sei casi del latino non è stato mantenuto dall’italiano (né da alcuna altra lingua romanza).

Il carattere flessivo dell’italiano, giova ripeterlo, è una caratteristica predominante e non esclusiva, in quanto in italiano, accanto a fenomeni di tipo flessivo (bello/a/i/e) si rinvengono fenomeni di agglutinazione (grande-mente, venti-due), di polisintetismo (dar-glie-lo )Z e, più raramente, di introflessione (sapere/seppi ). In realtà una distribuzione complessa si può trovare all’interno dello stesso processo, come ad esempio quello della formazione del femminile: /pag. 301/(1) lupo ––> lupa (flessivo)

leone ––> leonessa (agglutinante)cammello ––> cammello femmina (isolante)

La morfologia dell’italiano può essere articolata in due grandi insiemi di regole: le regole di formazione di parola e le regole di flessione. Delle prime fanno parte la composizione (cap. 5) e la derivazione (quest’ufma può essere poi suddivisa in prefissazione e suffissazione) (cap. 4). La flessione si applica sia alle parole semplici sia alle parole composte e/o derivate. Il quadro è quindi il seguente (cap. 9):(2) a. RFP

composizione derivazione

prefissazione suffissazioneb. flesione

Le forme cui si applicano i processi derivazionali e/o flessivi sono le parole (4.2.3.). Le parole sono immagazzinate nel lessico unitamente ad una serie di informazioni linguistiche che ne permettono il completo funzionamento a tutti i livelli, fonologico, morfologico, sintattico e semantico (cap. 3). Si è supposto che trovino posto nel lessico, accanto alle parole, le semiparole (le forme legate tradizionalmente chiamate affissoidí) e tutto ciò che è lessicalizzato (vale a dire tutte le strutture, con significato non componenziale che non sono più formate attraverso regole, come il nome nontiscordardimé, che originariamente deve aver avuto origine sintattica, o espressioni idiomatiche come tagliare la corda, tirare le cuoia, ecc.) (cap. 3).

Vanno infine immagazzinate nel lessico (e fanno dunque parte della rappresentazione

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lessicale) le forme irregolari. Una parola come scrivere avrà dunque nel lessico una rappresentazione complessa, formata dal tema scrive e dal (tema del) participio passato scritto: la prima forma sarà alla base di scrivevo, scrivano, scrivente, la seconda di scritti, scrittura, manoscritto (10.7. ).

L’insieme di parole cui si applica una determinata regola è la base di quella data regola. Le regole possono essere più o meno produttive (cap. 4). Le regole flessive sono, di norma, del tutto produttive mentre le regole derivazionali esibiscono di norma, e per loro natura, lacune (sia accidentali che sistematiche) (9.1.).

Attraverso l’applicazione o la non applicazione di queste regole, che vanamente possono intersecarsi, si debbono poter generare tutti i tipi di parole della lingua italiana, che sono, fondamentalmente i seguenti: parole semplici, parole derivate (prefissate e/o suffissate), parole composte e parole composte e derivate. Tutte le parole, poi (a parte rari casi) sono soggette alla flessione. Una parola come crocerossine è dunque composta, derivata e flessa, una parola come precipitevolissimevolmente è suffissata con quattro suffissi (uno ripetuto) e non è flessa (cap. 9). /pag. 302/

Le regole di formazione di parola sono soggette a restrizioni sintattiche, semantiche, fonologiche e morfologiche. In altre parole, le regole, per poter agire, debbono tener conto di tutti gli aspetti della propria base (cap. 4).

Vi sono poi delle condizioni sul funzionamento delle regole: esse non possono accedere alla struttura interna delle parole (condizione di adiacenza (8.2.)), possono prendere come base solo parole non flesse (ipotesi della base non flessa (8.3.)), non possono prendere come base dei sintagmi (condizione sui sintagmi (8.4.)), ogni regola seleziona di norma o una categoria lessicale o, al massimo, categorie [ + N] o [ + V] (condizione della base unica (8.5.)). Le RFP costruiscono strutture anche molto complesse, ma sempre binarie (8.6.). Sono infine soggette al cosiddetto “blocco” che esprime la tendenza ad evitare la formazione di sinonimi (8.7.)

Le regole formano parole nuove attraverso un processo formale ed uno semantico. Il processo formale consiste di norma in una concatenazione di costituenti. Il processo semantico è dato dalla combinazione del significato della base e del significato del costituente aggiunto. Tutte le parole, appena formate, hanno significati regolari, prevedibili, ma tutte le parole, a seguito di una lunga permanenza nel lessico, possono acquisire significati idiomatici, non più desumibili dalla somma dei significati dei suoi costituenti (cap. 4).

La composizione è un processo produttivo, soprattutto per quel che riguarda la formazione di nomi. La formazione di verbi composti èinvece praticamente inesistente (verbi nuovi, infatti, si formano di preferenza attraverso suffissazione, prefissazione e parasintesi) (cap. 5).

La composizione non è liberamente ricorsiva (come lo è nelle lingue germaniche) e quindi il composto tipico dell’italiano è formato da due costituenti (5.10.).

Le Regole di Composizione formano in prevalenza due tipi di composti: endocentrici (N+ N) ed esocentrici N+ N) (5.5.). La testa dei composti N + N dell’italiano contemporaneo è il costituente di sinistra (le eccezioni a questa generalizzazione sono o residui “latini” o calchi da lingue con testa a destra, come l’inglese) (5.4.). La testa è anche il costituente cui si aggiunge la flessione. Ma quando il composto è lessicalizzato, la flessione tende ad essere aggiunta a destra del composto (5.9.)

In certi casi non è semplice distinguere tra composti e sintagmi (ed infatti i composti sono le costruzioni morfologiche più “sintattiche”, per così dire). Si è però visto che la proprietà dell’“atomicità” (non si può né estrarre né introdurre del materiale lessicale in un composto) può essere un criterio affidabile per distinguere tra composti e sintagmi (5.10. ).

La morfologia è diversa dalla sintassi male due componenti intrattengono dei rapporti di ‘cooperazione’, per così dire, assai stretti (per esempio vi è interdipendenza tra l’ordine di base della sintassi e (ordine dei costituenti dei composti) (5.10.).

La suffissazione è un processo assai diffuso e, sostanzialmente, /pag. 303/ attraverso di

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essa, si possono formare parole nuove di qualsiasi categoria lessicale a partire da qualsiasi categoria lessicale maggiore (eccettuate le preposizioni) (4.1.). I suffissi dell’italiano hanno un alto grado di combinabilità (sempre nel rispetto della restrizione sulla categoria della base) (9.4.).

Il suffisso è la testa categoriale della parola complessa: dal suffisso vengono trasferiti infatti al nodo superiore la categoria e i tratti sintattico-semantici (7.2.).

La prefissazione non cambia la categoria della base e pertanto la testa di una parola prefissata è la base e non il prefisso (7.3.). Varie classificazioni dei prefissi (bisillabici vs. monosillabici, terminanti in vocale o in consonante, lessicalizzati vs. rafforzativi vs. produttivi, prefissi che hanno una preposizione corrispondente e prefissi che non ce l’hanno) non riescono a spiegare alcuni comportamenti idiosincratici di questa classe di affissi (10.1. ).

La flessione è molto sviluppata, come si è detto, soprattutto nel sistema verbale. Nella morfologia nominale l’italiano ha regole complesse di accordo sia per il genere che per il numero che riguardano sia il sintagma nominale (le anitre selvatiche) che il sintagma verbale (arrivano stanche): nella frase le anitre selvatiche arrivano stanche la nozione di “femminile” è espressa quattro volte e la nozione di “plurale” cinque.

L’italiano ha un numero di coniugazioni ridotto rispetto al latino: ne ha infatti tre (se si unificano, come abbiamo fatto in questo manuale i verbi in -ere con accento radicale, come risò/vere, e con accento sulla vocale tematica, come contenére).

La flessione dell’italiano si realizza non per semplice aggiunta (come ad esempio in spagnolo e in inglese, libro --- > libros, book ---> books ‘libro - libri’) ma per sostituzione: il morfema del plurale sostituisce quello del singolare (o, come abbiamo proposto in questo manuale, la vocale tematica della base). Il sistema verbale è più complesso di quello nominale, dato che vi si rinvengono casi di sostituzione e di aggiunta (ama ---> amo, amate) (cap. 11).

Flessione e suffissazione. Abbiamo discusso diversi argomenti a favore di una distinzione netta tra flessione e derivazione (9.1.). Un caso più problematico è rappresentato dai suffissi valutativi, per i quali abbiamo proposto una classificazione a parte, a metà strada, per così dire, tra derivazione e flessione (10.2). La flessione, comunque, agisce “ dopo” la derivazione, il che significa che le parole derivate e flesse presentano l’ordine lineare “parola + derivazione + flessione”. Un solo caso viene presentato come eccezione a questo universale ed è quello del suffisso -mente (amaramente). Ad una analisi più attenta, si è visto che nemmeno le formazioni in -mente violano l’universale in questione (9.1.).

Flessione e composizione. Non vi è naturalmente qui il problema di distinguere tra le due, ma il problema di definirne le possibili interrelazioni. Questo è un ambito molto irregolare della grammatica dell’italiano, /pag. 304/ dal quale si può estrarre la seguente generalizzazione: nei composti recenti, con testa a sinistra, la flessione si aggiunge alla testa. Nei composti lessicalizzati, si trovano una quantità di deviazioni dalla norma (5.9.). È importante, però, distinguere i casi di flessione dell’intero composto dai casi di flessione “interna” al composto (5.9.1.).

Composizione e suffissazione. Distinguere tra composizione e suffissazione può essere problematico solo per quel che riguarda i cosiddetti suffissoidi (cfr. musicologo). In questo manuale, abbiamo preferito chiamare queste forme legate “semiparole” ed abbiamo discusso diversi argomenti a favore di una interpretazione come composti di quelle parole che contengono due semiparole o una semiparola e una parola (10.4.).

Composizione e suffissazione interagiscono nel seguente modo: i composti lessicalizzati (in misura molto ridotta) possono essere derivati (cfr. guardarobiera), i composti “nuovi” non possono essere derivati, ma, al contrario, possono essere formati da parole derivate (studente

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lavoratore) (9.2.).

Composizione e prefissazione. Oltre al problema delle semiparole (dove si tratta di decidere se idrosfera è una parola prefissata o composta), per composizione e prefissazione vi è il problema di distinguere tra prefissi e preposizioni (sottobibliotecario e sottoscala sono parole prefissate o composte?). Per quanto riguarda il caso di idrosfera, la soluzione è ovviamente coerente con quanto visto a proposito della suffissazione: si tratta di un composto. Per quanto riguarda il secondo problema, abbiamo proposto una soluzione affidata alla nozione di testa: la composizione forma parole con testa a sinistra, in prefissazione la testa è a destra. I due esempi vanno trattati in modi diversi: sottobibliotecario è una parola prefissata (con testa a destra) ma sottoscala è una parola composta (esocentrica) (5.8.).

Le possibili interazioni tra composizione e prefissazione sono di fatto molto ridotte e pertanto non si ritrovano molte parole composte prefissate (una dei rari esempi è inverosimile) (9.2. ).

La morfologia dell’italiano è di tipo concatenativo (11.4.) (presenta una larga serie di suffissi nominalizzanti, -ura, aggio, -zione, -mento, -ata, -a -enza/-anza, -io, diversi suffissi che formano nomi d’agente, -ore, -ante, -ino, -one, e fa un ampio uso della parasintesi (8.6.1.) nella formazione di verbi). L’unico processo non concatenativo (ed anche molto produttivo) dell’italiano è rappresentato dalla conversione (10.5. ), processo attraverso il quale la base cambia categoria senza l’aggiunta di un affisso manifesto (discutere ---> il discutere). In questo manuale, l’uso del participio come aggettivo è stato interpretato come il risultato di una conversione.

Le regole morfologíche uniscono, per così dire, dei costituenti; così facendo, può succedere che si vengono a creare delle sequenze che abbisognano di riaggiustamenti. Si tratta in genere di regole di cancellazione e di regole di allomorfia. Tra le prime abbiamo visto la regola di /pag. 305/ cancellazione di vocale, la regola di cancellazione di sillaba (aplologia) e alcune regole di cancellazione di suffisso. Tra le regole di allomorfia, abbiamo visto la regola di palatalizzazione delle velari. Anche gli accenti delle parole (in seguito ad operazioni morfologiche) sono soggetti a vari riaggiustamenti in modo che la tipologia accentuale delle parole sia rispettata: l’accento primario di parola non è mai seguito da accenti secondari alla sua destra, le parole iniziano (nella maggior parte dei casi) con una sillaba tonica, non vi sono scontri di accenti, né sequenze di tre sillabe atone (cap. 6).

Come per tutte le lingue, vale anche per l’italiano l’importante distinzione tra “centro” della lingua e “periferia”. Il centro esprime le regolarità, i fenomeni formalizzabili, la periferia è costituita da residui storici, da contatti linguistici. Le regole che sono state discusse sono dunque basate sul “centro” ma abbiamo sempre evidenziato i contorni sfumati dei fenomeni che siamo venuti via via discutendo. /pag. 306/

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