DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19...

427
DIPARTIMENTO PER IL COORDINAMENTO DELLO SVILUPPO DEL TERRITORIO PER LE POLITICHE DEL PERSONALE E GLI AFFARI GENERALI Politecnico e Università di Torino Dipartimento Interateneo Territorio PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO E RISCHIO TECNOLOGICO Il D.M. 9 maggio 2001 Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio d’incidente rilevante commento al decreto del Ministero dei lavori pubblici 9 maggio 2001: “Requisiti minimi di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio d’incidente rilevante” in attuazione dell’articolo 14 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 a cura di Patrizia Colletta, Rosario Manzo, Agata Spaziante 3 D I T

Transcript of DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19...

Page 1: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

DIPARTIMENTO PER IL COORDINAMENTO DELLO SVILUPPO DEL TERRITORIOPER LE POLITICHE DEL PERSONALE E GLI AFFARI GENERALI

Politecnico e Università di TorinoDipartimento Interateneo Territorio

PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO E RISCHIO TECNOLOGICO

Il D.M. 9 maggio 2001Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio d’incidente rilevante

commento al decreto del Ministero dei lavori pubblici 9 maggio 2001:“Requisiti minimi di pianificazione urbanistica e territoriale

per le zone interessate da stabilimenti a rischio d’incidente rilevante”in attuazione dell’articolo 14 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334

a cura diPatrizia Colletta, Rosario Manzo, Agata Spaziante

3

DIT

DIT

Page 2: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il volume è stato redatto nell’ambito di un contratto di consulenza fra il Ministero delleinfrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del ter-ritorio, per le politiche del personale e gli affari generali - e il Dipartimento InterateneoTerritorio del Politecnico e Università di Torino, approvato con D.M. 382 del 17.12.2001(Reg. n. 8069 del 18.01.2002)

Coordinatore per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti:Rosario Manzo

Coordinatore per il Politecnico di Torino:Agata Spaziante

Coordinamento editoriale:Maria Teresa Gabardi

Preparazione del testo per la stampa:Fortunato Faga

Foto di copertina:Silvia Salchi

Progetto grafico di copertina:Ezio Aluffi

Stampa:AGIT, Beinasco

Produzione del CD-Rom:Plot & GIS

Riferimenti Internet:

Ministero delle infrastrutture e trasportihttp://www.infrastrutturetrasporti.it

Politecnico di Torinohttp://www.polito.it

CELIDhttp:// www.celid.it

Il simbolo nel volume richiama la presenza di documentazione contenuta nel Cd-Rom allegatoal volume

Codice ISBN 88-7661-520-2

© 2002 by Ministero delle infrastrutture e trasporti© 2002 CELID, via Cialdini 26, Torino

I diritti di riproduzione, di memorizzazione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo(compresi i microfilm e copie fotostatiche) sono riservati.4

Page 3: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Gli autori:

ing. Concetto Aprile Dirigente “Area rischi industriali”Ministero dell’interno

ing. Pier Franco Ariano Unità flessibile per le industrie a rischio di incidente rilevanteRegione Piemonte

ing. Giancarlo Bello Comitato ambiente e servizi Giunta Regionale della Lombardiadott. Giancarlo Boeri Capo Dipartimento Rischio naturale e tecnologico APAT

prof.ssa Mercedes Bresso Presidente della Provincia di Torino - Presidente Unione Province Piemontesiing. Rita Caroselli Direttore Assogasliquidi

prof. Andrea Carpignano Dipartimento di energetica - Politecnico di Torinoing. Paolo Ceci Direzione “Inquinamento e rischi industriali”

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorioForte Clo Assessore all’ambiente Provincia di Bologna - Vice Presidente Unione

Province Italianearch. Patrizia Colletta Esperto in pianificazione territoriale e ambientale

ing. Mariano Crescimanno Responsabile Ambiente Federchimicaing. Alberto d’Errico Ispettore generale capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

Ministero dell’internoing. Francesco Del Manso Unione Petrolifera

ing. Caterina Dibitonto Unità Operativa Autonoma di Coordinamento Rischio tecnologicoARPA Piemonte

dott. Tullio Maria Fanelli Direttore generale della Direzione generale “Energia e risorse minerarie”Ministero delle attività produttive

dott. Antonello Fardelli Direzione “Inquinamento e rischio industriale”Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio

arch. Giovanni Ferrero Direzione Pianificazione e gestione urbanistica - Regione Piemontedr.ssa Loretta Floridi Dirigente Dipartimento della Protezione Civile

Presidenza del Consiglio dei Ministriarch. Gaetano Fontana Capo Dipartimento “Coordinamento dello sviluppo del territorio, per le

politiche del personale e gli affari generali”Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

arch. Maria Teresa Gabardi Dottore di ricerca, Politecnico di Torinodott. Massimo Ghiloni Direttore Area “Mercato privato” ANCE

arch. Bruno Filippo Lapadula Urbanista, esperto di studi d’impatto ambientaledott. Alessandro Lippi Direttore generale ARPA Toscana

dr.ssa Maria Grazia Mancuso Ufficio “Sanzioni ambientali” - Provincia regionale di Siracusaarch. Rosario Manzo Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - DICOTER

dr.ssa Maria Giovanna Martini Servizio Sismico Nazionale - Presidenza del Consiglio dei Ministridott. Bruno Marziano Presidente della Provincia regionale di Siracusa

arch. Pier Luigi Matteraglia Esperto in pianificazione territoriale e ambientalearch. Scira Menoni Dipartimento di Architettura e Pianificazione - Politecnico di Milanoing. Neil Mitchison Institute for the Protection and Security of the Citizien

Joint Research Centre, European Commission CCR Ispra (VA)ing. Marcello Mossa Verre Responsabile Area “Grandi rischi” - ARPA Toscana

ing. Paolo Natali Assessorato all’ambiente Provincia di Bolognadr.ssa Rita Nicolini Servizio Protezione Civile - Provincia di Modena

dr.ssa Svetlana Parrilla Dirigente Conferenza Stato-Regioni - Presidenza del Consiglio dei Ministriing. Rino Pavanello Segretario nazionale Associazione Ambiente e Lavoro

prof. Norberto Piccinini Dipartimento di Scienze dei materiali e Ingegneria chimicaPolitecnico di Torino 5

Page 4: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ing. Giulio Pignatta Esperto di analisi del rischiodott. Roberto Raffaelli Direttore generale del Dipartimento “programmazione territoriale e mobilità’

Regione Emilia-Romagnaing. Angelo Robotto Unità Operativa Autonoma di Coordinamento Rischio tecnologico

ARPA Piemontearch. Mario Francesco Romandini Dirigente “settore governo del territorio” - Comune di Taranto

ing. Giuseppe Rotondaro Direzione generale Qualità ambiente, U.O. “Protezione ambientalee sicurezza industriale” - Regione Lombardia

dr.ssa Vincenza Sicuso Ufficio “Piano di risanamento” - Provincia regionale di Siracusaing. Ignazio Sidoti Assessore pianificazione territoriale - Provincia di Padova

ing. Giovanni Silvestrini Direttore generale della Direzione “Inquinamento erischio industriale” - Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio

prof.ssa Agata Spaziante Dipartimento Interateneo Territorio - Politecnico e Università di Torinodott. Lucio Spaziante Università di Bologna - Dipartimento di Discipline della Comunicazionedr.ssa Federica Torri Assessorato Ambiente - Provincia di Bologna

prof. Mario Villa Dipartimento di Idraulica, Trasporti e Infrastrutture CiviliPolitecnico di Torino

dott. Gennaro Visconti Direttore generale della Direzione generale “Sviluppo produttivoe competitività” - Ministero delle attività produttive

ing. Cristina Zonato Unità Operativa Autonoma di Coordinamento Rischio tecnologicoARPA Piemonte

Si ringrazia per la collaborazione il geom. Enrico Panetta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per leelaborazioni grafiche.

6

Page 5: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

INDICE

Presentazione

Pietro Lunardi, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 13

Introduzione

Gaetano Fontana 15

La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99

Giovanni Silvestrini 19

La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza

Alberto d’Errico 21

Il sistema produttivo e il rischio

Gennaro Visconti, Tullio Maria Fanelli 23

La Conferenza Stato-Regioni, il ruolo della concertazione istituzionale

Svetlana Parrilla 25

PARTE PRIMA

COMMENTI AL D.M. 9 MAGGIO 2001 29

Premessa

Rosario Manzo 31

1. Gli orientamenti della pianificazione nelle aree a rischio

tecnologico in Italia e all’estero

Agata Spaziante, Maria Teresa Gabardi 37

2. La pianificazione nelle zone interessate dal rischio

di incidente rilevante

Patrizia Colletta 71

3. I programmi integrati

Rosario Manzo, Massimo Ghiloni 105

4. Il rischio tecnologico

Andrea Carpignano 125 7

Page 6: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

5. Il rischio di incidente rilevante e le valutazioni ambientali 145

5.1 I processi di decisione per la valutazione ambientale

nelle aree a rischio di incidente rilevante

Mercedes Bresso 147

5.2 Le valutazioni degli impatti ambientali e il rischio

di incidente rilevante

Bruno Filippo Lapadula 151

5.3 Il ruolo dell’Agenzia nazionale per l’ambiente e i servizi tecnici

e il rischio tecnologico

Giancarlo Boeri 161

6. Il D.M. 9 maggio 2001 e le Amministrazioni destinatarie 165

6.1 Il coordinamento tra la legislazione urbanistica regionale

e la Seveso II

Roberto Raffaelli 167

6.2 Le Province, la co-pianificazione e la programmazione

del territorio

Forte Clo 171

6.3 Il progetto pilota della Provincia di Bologna

Paolo Natali 173

6.4 Il piano di risanamento dell’area critica di Livorno e Piombino

Alessandro Lippi, Marcello Mossa Verre 177

6.5 Il piano di risanamento dell’area a elevato rischio di crisi

ambientale della Provincia di Siracusa

Bruno Marziano, Vincenza Sicuso, Maria Grazia Mancuso 185

6.6 Il Comune di Taranto

Mario Francesco Romandini 193

6.7 La Provincia di Padova

Ignazio Sidoti, Pier Luigi Matteraglia 197

PARTE SECONDA

I TEMI APERTI DAL D. M. 9 MAGGIO 2001 203

Premessa

Agata Spaziante 205

7. La revisione, l’armonizzazione e il coordinamento delle normative 209

7.1 La Direttiva 96/82/CE e le prospettive europee

Neil Mitchison 2118

Page 7: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

7.2 Il quadro normativo di riferimento

Antonello Fardelli 215

7.3 La pianificazione del territorio e gli stabilimenti a rischio

nella Regione Lombardia

Giuseppe Rotondaro, Giancarlo Bello 221

7.4 Le opportunità e i limiti del D.M. 9 maggio 2001

Rino Pavanello 225

8. I settori produttivi 231

8.1 Il settore dello stoccaggio dei gas di petrolio liquefatto

Rita Caroselli 233

8.2 Le proposte di riordino della normativa per le industrie a rischio

Mariano Crescimanno 239

8.3 Il settore della produzione e trasformazione

dei prodotti petroliferi

Francesco Del Manso 245

9. La pianificazione d’emergenza, il rischio naturale

e il rischio tecnologico 249

9.1 La pianificazione d’emergenza esterna e la pianificazione

territoriale e urbanistica

Loretta Floridi 251

9.2 Il rischio naturale e il rischio tecnologico

Maria Giovanna Martini, Rita Nicolini 259

9.3 Le competenze del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

Concetto Aprile 269

10. L’informazione, la consultazione della popolazione

e la percezione del rischio 273

10.1 L’informazione e la consultazione dei cittadini

Bruno Filippo Lapadula 275

10.2 Il rischio e la sicurezza: problemi di comunicazione

Lucio Spaziante 279

10.3 Cause di incidenti, distribuzione del danno, responsabilità,

precauzione

Scira Menoni 287 9

Page 8: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

11. L’acquisizione dei dati e le valutazioni 299

11.1 La mappatura del rischio, modalità operative

Paolo Ceci 301

11.2 La metodologia di raccolta dei dati di vulnerabilità

ambientale e territoriale

Federica Torri 305

11.3 Gli elementi ambientali vulnerabili

Pier Franco Ariano 307

11.4 Il D.M. 9 maggio 2001. Un caso applicativo

Angelo Robotto, Caterina Dibitonto, Cristina Zonato 313

12. I procedimenti amministrativi e i temi di pianificazione 325

12.1 I periodi transitori di applicazione dell’art. 14

del D.Lgs. n. 334/99

Rosario Manzo 327

12.2 L’urbanistica e il rischio di incidente rilevante:

pianificazione, procedure e tecniche

Giovanni Ferrero 333

12.3 Le modalità costruttive edilizie, l’uso delle

“migliori tecnologie possibili”

Patrizia Colletta, Rosario Manzo 345

12.4 Un caso di studio: il Comune di Volpiano

Giulio Pignatta 349

13. Il rischio tecnologico e il sistema della mobilità 353

13.1 Il D.M. 9 maggio 2001 e la localizzazione delle opere

di interesse statale

Rosario Manzo 355

13.2 La valutazione dei rischi per il trasporto delle merci pericolose

Norberto Piccinini 361

13.3 Il rischio e le emergenze per le reti di trasporto

Mario Villa 369

I percorsi di ricerca

a cura di Maria Teresa Gabardi 377

Principali riferimenti bibliografici 379

Siti Internet 389

Tavole 39310

Page 9: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Allegati 409

Art.12 Direttiva 96/82/CE 411

Art.72 D.Lgs. n. 112/98 412

Art.14 D.Lgs. n. 334/99 413

D.M. 9 maggio 2001 414

Emendamento 5 all’art.12 Direttiva 96/82/CE 435

Risoluzione comune del Parlamento Europeo sull’esplosione diuna fabbrica a Tolosa (Francia) 436

“Il Corriere della Sera” Esplode fabbrica chimica, strage a Tolosa22 settembre 2001 440

“Il Secolo XIX” Ottocento morti in più in tredici aree industriali italiane10 gennaio 2002 442

Repertorio della rassegna stampa contenuta nel Cd-Rom

Testata Titolo Data

L’Unità “In Italia oltre trecento siti industriali a rischio” 26 agosto 1999L’Unità “Un boato e la raffineria va a fuoco” 26 agosto 1999L’Unità “Impianti a rischio? La legge c’è, ma è da attuare” 27 agosto 1999L’Unità “Pericolosi anche i distributori: fuori norma 27 agosto 1999

almeno 5000”L’Unità “Il fine è il profitto, la manutenzione aspetti” 7 giugno 2001La Repubblica “A Brescia c’è una Seveso Bis” 13 agosto 2001La Repubblica “Brescia, aperta un’inchiesta sulla fabbrica dei veleni” 13 agosto 2001La Repubblica “Esplosione a Tolosa, almeno 22 i morti” 21 settembre 2001La Repubblica “Tolosa ancora sotto choc. 29 morti, 1170 feriti” 22 settembre 2001Il Corriere della Sera “Fabbrica chimica esplode in Francia: 18 morti, 22 settembre 2001

centinaia di feritiIl Corriere della Sera “Esplode fabbrica chimica, strage a Tolosa” 22 settembre 2001Il Corriere della Sera “Tre boati, come un terremoto. Abbiamo visto 22 settembre 2001

uomini volare in aria”Il Corriere della Sera “Fertilizzanti”. Impianti a rischio anche in Italia 22 settembre 2001Il Corriere della Sera “La rabbia di Tolosa: una strage annunciata” 23 settembre 2001Il Corriere della Sera “I medici: onda d’urto terribile, molti resteranno 23 settembre 2001

ciechi o sordi”La Repubblica “Strage di Tolosa: spunta l’ipotesi attentato” 4 ottobre 2001L’Unità “La rivolta silenziosa dei cittadini di Porto Marghera” 26 novembre 2001L’Unità “Aree industriali, centinaia di morti” 10 gennaio 2002L’Unità “Taranto: tumori alla pleura quattro volte più

della media” 10 gennaio 2002La Repubblica “Torino, fabbrica in fiamme è l’allarme ambientale” 24 marzo 2002La Repubblica “Torino, incendio all’ex Ilva. Si lotta contro le fiamme” 25 marzo 2002 11

Page 10: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

12

Page 11: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PRESENTAZIONE

Pietro Lunardi*

Il tema della pianificazione territoriale e urbanistica nelle aree a rischio di inci-dente rilevante è di particolare interesse per il Ministero delle infrastrutture e deitrasporti. Sebbene tale argomento venga trattato in una sola norma all’interno delD.Lgs n. 334/99 di recepimento della cosiddetta direttiva “Seveso II”, la finalitàsociale ed economica della materia del “governo del territorio” porta a ritenereche la corretta pianificazione dell’insediamento industriale e, in particolare, diquello “a rischio”, sia uno degli elementi fondamentali per garantire la sicurezzadei cittadini.

La localizzazione di un insediamento industriale, ovvero l’individuazione di luo-ghi idonei e sicuri per lo sviluppo urbano e infrastrutturale, rappresenta uno deimolteplici aspetti della necessità, ormai ineludibile, di rigenerazione del territorioe dell’ambiente.

L’approccio settoriale, gestito per competenza dalle singole Amministrazioni,deve lasciare il passo alla individuazione di una strategia complessiva, nella qualei termini di partenariato e di sussidiarietà si riempiano di contenuti concreti e dicompiti operativi e fattuali.

La questione di fondo è l’apparente incompatibilità tra sviluppo produttivo edelle infrastrutture, tutela e valorizzazione delle risorse naturali. Non vi è dubbioche un approccio integrato può consentire di ottenere un migliore rapporto tral’una e l’altra necessità: a questo, viene in supporto proprio la disciplina della pia-nificazione territoriale e urbanistica, nata con una sua filosofia “generalista” diregolazione dei rapporti economici e sociali dei beni insiti nel territorio.

Certo, si tratta di considerare le risorse naturali e culturali come un valore“quantificabile” non solo come ricchezza “immateriale” della nazione e dellepopolazioni locali: d’altra parte, l’esperienza ci ha insegnato come il costo delle“riparazioni” a seguito di eventi catastrofici, naturali e tecnologici, sia, a lungo

13* Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Page 12: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

termine, ben superiore al costo della prevenzione e della riconfigurazione deidetrattori territoriali e ambientali.

Ormai da circa 10 anni il Ministero ha messo a punto, progressivamente, stru-menti di accordo tra soggetti pubblici e privati per gli interventi di riqualificazioneterritoriale e per lo sviluppo sostenibile, proprio per valorizzare le potenzialità ine-spresse delle risorse economiche, naturali, culturali e del capitale sociale. Maun’altra risorsa appare non di minore importanza: quella della attivazione intelli-gente da parte delle Istituzioni che avvertono – in base alla conoscenza diretta eimmediata dei problemi – l’urgente desiderio di cambiare, in meglio, le condizio-ni di vita e di funzionalità dei meccanismi di gestione: una visione, in questosenso, pro-attiva e creativa dell’amministrazione.

Anche se è stato di fondamentale importanza definire dei “requisiti minimi”,validi per l’intero Paese, in materia di pianificazione urbanistica e territoriale nellearee interessate dagli stabilimenti notificati ai sensi della “Seveso II”, questo èsolo sufficiente per dare una minima omogeneità di comportamento e di meto-do. Il vero obiettivo, per lo Stato, le Regioni, le Province, gli Enti locali e per ognialtro soggetto responsabile e consapevole dovrebbe essere quello, per la delica-ta materia della prevenzione del rischio, di entrare in una logica di semplificazio-ne e riunificazione delle normative e dei processi, secondo la filosofia della “qua-lità globale”.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, erede, per la materia del“governo del territorio” del Ministero dei lavori pubblici, non poteva esimersi dalfornire una guida, un “ragionamento” sul D.M. 9 maggio 2001, in quello spiritoche nei primi anni cinquanta, nell’Italia tutta da ricostruire, fece produrre, adesempio, il manuale dei “Piani regionali”, sui criteri di indirizzo per lo studio deipiani territoriali di coordinamento.

L’Italia, dal 1950 ad oggi, è cambiata: deve rimanere la stessa volontà di dia-logo istituzionale per valorizzare e tutelare il nostro Paese.

14

Page 13: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

INTRODUZIONE

Gaetano Fontana*

Con la pubblicazione del decreto sui “requisiti minimi di sicurezza in materiadi pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti arischio d’incidente rilevante”, in applicazione dell’articolo 14 D.Lgs. n. 334/99 direcepimento della Direttiva europea “Seveso II”, si è chiuso un lavoro durato piùdi un anno, da parte del gruppo di lavoro istituito presso la Conferenza Stato-Regioni1.

La finalità generale del D.Lgs. n. 334/99 è quella di limitare la probabilità diaccadimento dell’evento incidentale, di contenere e minimizzare gli effetti dan-nosi nei confronti dell’uomo e dell’ambiente: in particolare, il decreto ministeria-le sul controllo dell’urbanizzazione è volto ad ottenere questi obiettivi tramite l’in-troduzione di “regole” urbanistiche preventive che tengano conto della specificasituazione di rischio.

Il processo di costruzione dello schema di decreto sul controllo dell’urbaniz-zazione – composto da una parte “normativa” di pochi articoli e da un allegatometodologico – ha messo in luce proprio l’importanza dell’innovazione che sistava introducendo nell’ordinamento urbanistico. Di fatto, la forte matrice deter-ministica della materia urbanistica, finalizzata alla regolamentazione dell’uso deisuoli, trova difficoltà di colloquio con la disciplina del rischio tecnologico, basatasu fondamenti di aleatorietà. Si tratta, infatti, di introdurre regole permanentisulla trasformabilità degli immobili, in base alla valutazione della probabilità cheun evento incidentale accada, in un processo iterativo di riduzione del rischio(effettuato, in prima istanza, con interventi sull’impianto) e di ampliamento dellepotenzialità di intervento urbanistico ed edilizio.

Le norme entrate in vigore rendono obbligatoria – per almeno 700 Comuni eper quasi tutte le Province e le Regioni – l’attivazione di una serie di adempi-

15

* Capo del Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo del territorio, per le politi-che del personale e gli affari generali - Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Page 14: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

menti, di varia natura, tra i quali i più importanti sono l’adozione delle variantigenerali ai piani territoriali e ai piani urbanistici, che devono essere implementatidal cosiddetto “elaborato dei Rischi di Incidente Rilevante - RIR” per renderecompatibile la presenza di stabilimenti a rischio d’incidente rilevante con gli inse-diamenti residenziali e con l’ambiente.

Nel corpo del provvedimento, oltre alla pianificazione urbanistica, sono rilevan-ti almeno altri due aspetti: la pianificazione d’area vasta come strumento di copia-nificazione e di coordinamento tra le Amministrazioni comunali e il programmaintegrato come processo di ricomposizione di interessi contrapposti quali lo svi-luppo industriale e la protezione dagli effetti dell’incidente rilevante sulla popola-zione e sull’ambiente. Su questo ultimo strumento è disponibile tutta l’esperien-za fatta dal Ministero dei lavori pubblici, dalle Regioni e dagli Enti locali.

Sembra necessario lavorare sulla innovazione degli strumenti di pianificazioneterritoriale ed urbanistica, per modificarli “geneticamente” introducendo – anchetramite l’elaborato “RIR” – elementi di valutazione strategica delle azioni di pre-venzione del rischio anche nel campo dell’area vasta quindi in senso più ampiodi quello specifico della Seveso II, in quanto i PTC, di competenza delle Province,e i piani di settore e di area vasta si occupano, oltre che di coordinamento delleinfrastrutture, anche della tutela ambientale e paesistica, del rischio idrogeologi-co e di esondazione.

Questo libro si propone di presentare, da una parte, la “cassetta degli attrez-zi” di cui sono dotati gli urbanisti e di fornire a questi ultimi gli elementi di dialo-go con gli esperti del settore del rischio tecnologico e naturale e, dall’altra, diinterrogarsi su temi aperti o non risolti di coerenza tra l’una e l’altra disciplina.Nella nuova configurazione del Ministero delle infrastruttture e del territorio lamateria del controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidente rilevan-te rientra fra le competenze della Direzione generale per le trasformazioni terri-toriali, la quale si occupa sia dell’attività di localizzazione delle opere di interessestatale e della pianificazione portuale e aeroportuale, sia della promozione di pro-grammi complessi e dell’attuazione dei PRUSST e di URBAN. La nuova organiz-zazione funzionale ha istituito, a coordinamento delle diverse Direzioni generali di“area” tematica, il Dipartimento per lo sviluppo del coordinamento del territorio,per le politiche del personale e gli affari generali, erede della Direzione generaledel coordinamento territoriale, ultima espressione di quella matrice culturale eistituzionale che proviene dalla Direzione generale dell’urbanistica degli anni ses-santa. Di conseguenza, il Dipartimento costituisce ancora un punto di riferimen-to e di regia per la gestione, in modo trasversale e “sistemico”, della comples-sità nascente dalla riconnessione delle differenti attività di settore.

Il tema della pianificazione delle aree caratterizzate dalla presenza di stabili-menti ad alto rischio e da crisi ambientale, con particolare riguardo alle grandiemergenze nazionali, si presenta delicato e difficile da affrontare, ma altresìormai ineludibile: per questo motivo, contando proprio sulla esperienza del pas-sato e nell’ambito della propria attività istituzionale, il Dipartimento si impegnerà16

Page 15: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

17

a legare il tema della programmazione e della pianificazione integrata all’obietti-vo di mitigazione del rischio di incidente rilevante e di limitazione degli impattiambientali, nella logica, già strutturata, ad esempio, nei PRUSST, della riqualifi-cazione territoriale e di sviluppo sostenibile.

Page 16: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Il gruppo, coordinato dall’arch. R. Manzo per il Ministero dei lavori pubblici - DICOTER, eraformato da: ing. R. Scialdoni (Ministero dell’ambiente, coadiuvato dal dott. A. Fardelli, il dott. P.Ceci e dalla dott.ssa M. Loddoni); ing. C. Aprile (Ministero dell’interno, coadiuvato dall’ing. P.De Nictolis); ing. G. Orsini (Ministero dell’industria, commercio e artigianato, con il supportodell’ing. L. Montevecchi), poi sostituito dall’ing. A. Vioto e dall’ing. G. Di Masi; arch. P. Collettaper l’ANPA; ing. P. Ariano e arch. G. Ferrero (Regione Piemonte, capofila regionale del settorenell’ambito della Conferenza Stato-Regioni); arch. A. Balsebbre (Regione Basilicata, capofilaregionale nella materia “urbanistica” nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni); Dott. G.Rotondaro, per la Regione Lombardia; ing. A. Gualtieri per la Regione Lazio.

L’ing. G. Macchi (ANPA) ha collaborato nelle specifiche parti di “rischio d’incidente rilevan-te” dell’allegato.

Ai lavori, almeno nella parte iniziale, hanno partecipato la dott.ssa L. Floridi, delDipartimento della protezione civile – P.C.M. e la dott.ssa G. Martini – Servizio SismicoNazionale – P.C.M. Il DICOTER si è inoltre avvalso del supporto del Politecnico di Torino - DIT,prof. A. Spaziante.

Un particolare ringraziamento, oltre che ai componenti del gruppo di lavoro, ai consulenti e aquanti hanno fornito il proprio supporto, va alla dott.ssa S. Parrilla, della Presidenza del Consigliodei Ministri - Conferenza Stato-Regioni, per il suo lavoro di coordinamento istituzionale.

18

Page 17: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

LA DIRETTIVA “SEVESO II” E IL D.LGS. N. 334/99

Giovanni Silvestrini*

La direttiva comunitaria 96/82/CE “Seveso II” assegna a ciascuno stato mem-bro l’obbligo di esercitare il controllo dei rischi di incidente rilevante; il governoitaliano ha affidato, con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, il compitodi “capo fila” nazionale per la materia al Ministero dell’ambiente e della tutela delterritorio.

La direttiva comunitaria 96/82/CE, così come il recepimento italiano, il D.Lgs.n. 334/99, norma il controllo dei rischi di incidente rilevante connesso con deter-minate sostanze pericolose, individuando specifiche azioni che devono essereadottate al fine di garantire la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente. Tali azionisono ripartite in due distinti livelli a seconda della categoria di rischio associataalla presenza di sostanze pericolose al disopra di due soglie limite indicate dal-l’allegato I alla direttiva ed al decreto legislativo.

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio assolve al proprio compitoattraverso Direzione generale inquinamento e rischio industriale, la quale, oltre adesercitare le funzioni nazionali di indirizzo e coordinamento, gestisce direttamentel’inventario delle industrie a rischio di incidente rilevante, ed attua le misure di con-trollo mediante le Verifiche ispettive sui sistemi di gestione della sicurezza.

Attualmente in Italia 1119 attività industriali sono soggette al D.Lgs. n. 334/99;di queste 418 sono assoggettate ai maggiori obblighi, per cui risultano interessa-ti circa 700 Comuni italiani.

In particolare la direttiva ed il D.Lgs. n. 334/99 individua come uno degli ele-menti fondamentali ed innovativi per il controllo dei rischi di incidente rilevanteun’attenta e rigorosa pianificazione del territorio in cui sono presenti, o potrannosorgere, installazioni “Seveso”; ed è proprio assolvendo questo fine che il D.M.

19

* Direttore generale della Direzione “Inquinamento e rischio industriale” - Ministero del-l’ambiente e della tutela del territorio.

Page 18: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

9 maggio 2001 pone de facto delle limitazioni sul territorio – pur non compri-mendo totalmente l’edificabilità – alle quali sia le aziende che i sindaci dei terri-tori comunali interessati dovranno attenersi. Tale decreto rappresenta quindi siaun’opportunità per una più rigorosa gestione e pianificazione del territorio, cheuno strumento atto ad accrescere l’assunzione di responsabilità di tutti i sogget-ti coinvolti.

Si deve, infine, ricordare come attualmente sia in discussione presso ilConsiglio europeo una richiesta di emendamento alla direttiva 96/82/CE, nellaquale sono proposti dei cambiamenti che comporteranno un ampliamento delcampo di applicazione della direttiva, ovvero un aumento del numero di “stabi-limenti” soggetti alla stessa. L’attuale presentazione a livello di Consigliod’Europa ne fa prevedere una rapida adozione; è quindi probabile che già nelprimo semestre del 2003 l’emendamento potrebbe essere recepito nell’ordina-mento nazionale.

Inoltre è presumibile che verrà posta una maggiore attenzione alla pianifica-zione territoriale ed al controllo dell’urbanizzazione, così come ricordato, nella riso-luzione adottata il 3 ottobre 2001 in sessione plenaria, dal Parlamento europeo.

20

Page 19: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

LA PREVENZIONE NEL TERRITORIO COME FATTOREPRIORITARIO PER LA SICUREZZA

Alberto d’Errico*

La direttiva comunitaria sul controllo dei pericoli di incidente rilevante con-nessi con il trattamento o lo stoccaggio di determinate sostanze pericolose(direttiva 96/82/CE, c.d. “Seveso II”) si prefigge l’obiettivo di prevenire gli inci-denti e limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente.

Tale obiettivo può essere perseguito con efficacia, oltre che con le specifichenormative, prescrizioni e controlli diretti a rendere sicuri i processi di produzione,con una politica di pianificazione territoriale e urbanistica che tenga conto dellanecessità di mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti industriali a rischiodi incidente rilevante e le zone residenziali, le zone frequentate da pubblico e lezone di interesse naturale o particolarmente vulnerabili.

In tale ottica, il decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con ilMinistro dell’ambiente, il Ministro dell’interno e il Ministro dell’industria, com-mercio e artigianato del 9 maggio 2001, in attuazione dell’articolo 14 del D.Lgs.n. 334/99, stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazioneurbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di inci-dente rilevante.

Nell’ambito della pianificazione territoriale e urbanistica devono essere atten-tamente valutate, in generale, e in modo ancora più particolare nel caso dellearee a rischio di incidente rilevante, la dislocazione e l’accessibilità, rispetto allarete viaria, dei presidi di sicurezza e di soccorso, quali le caserme dei VV.F., pergarantire l’immediata possibilità di intervento in tempi minimi dopo l’accadimen-to incidentale.

L’analisi degli eventi incidentali più gravi degli ultimi decenni (Bhopal, MexicoCity, Seveso, Tolosa ecc.) suggerisce l’ambizioso proponimento di dare centralitàalla sicurezza degli stabilimenti industriali, nella direzione di un approccio “prag-

21* Ispettore generale Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - Ministero dell’interno.

Page 20: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

matico” che, partendo da una approfondita analisi del rischio, pervenga alla iden-tificazione di una “politica della sicurezza” specifica per ogni situazione territo-riale, intesa come prevenzione e mitigazione dei rischi con interventi di sicurez-za sugli stabilimenti e sui tessuti adiacenti ad essi, nonché come adozione di effi-cienti ed efficaci misure organizzative e gestionali delle attività di soccorso.

Il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco è coinvolto in questo processo sia perquanto riguarda le istruttorie dei rapporti di sicurezza, sia sul tema dell’interven-to di soccorso. Sotto questo ultimo aspetto, è necessario rendere disponibilitutte le informazioni relative agli scenari incidentali, localizzare correttamente ipresidi di emergenza e, infine, non di minore importanza, pianificare le vie diintervento e di esodo, per contribuire in modo efficace e facilitare l’arduo compi-to affidato alle squadre dei VV.F., che si trovano in prima linea nelle situazioni diemergenza.

Sotto questo aspetto, nel “rapporto di sicurezza”, presentato dal gestore aisensi del D.Lgs. n. 334/99 sono contenute le informazioni che identificano i rischidi incidente rilevante e gli scenari incidentali ipotizzabili: tali informazioni posso-no costituire un supporto fondamentale per la programmazione dell’intervento disoccorso e per le decisioni in merito all’uso del territorio e alla dislocazione deipresidi di intervento.

In questa logica, la conclusione dei procedimenti di valutazione dei rapporti disicurezza, nei quali sono soggetti protagonisti le strutture territoriali del CorpoNazionale dei Vigili del Fuoco e i Comitati Tecnici Regionali integrati ai sensi del-l’articolo 19 del D.Lgs. n. 334/99, è fondamentale per la pianificazione dell’emer-genza esterna, ma anche per la pianificazione territoriale e urbanistica.

Non di meno è importante il coordinamento dei diversi soggetti che costitui-scono il quadro complessivo delle competenze istituzionali preposte alla preven-zione del rischio tecnologico sul territorio.

Il D.M. 9 maggio 2001, in modo sicuramente innovativo per l’Italia, può costi-tuire lo strumento utile per stabilire una interfaccia tra le Autorità pubbliche pre-poste a tre diversi compiti: svolgimento delle istruttorie dei rapporti di sicurezza,pianificazione dell’emergenza esterna e pianificazione territoriale e urbanistica.

22

Page 21: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

IL SISTEMA PRODUTTIVO E IL RISCHIO

Gennaro Visconti*, Tullio Maria Fanelli**

La tutela delle risorse naturali, la gestione del territorio e le attività produttivesembrano collidere nei loro interessi, ed è quindi fondamentale che la strutturapubblica riesca a contemperare le varie utilità, in modo che si possa contribuireallo sviluppo imprenditoriale e sociale della Nazione, nel rispetto dell’ambiente edella sicurezza della popolazione.

Ogni attività umana, per quanto sostenibile, produce una variazione dellostato iniziale dell’ambiente ed è per questo che tale turbativa deve essere com-patibile con il territorio ove insiste, sia nel momento dell’insediamento dell’atti-vità, sia durante il suo svolgimento.

In particolare, per le attività produttive che comportano – per le sostanze uti-lizzate e per le modalità di produzione – un rischio di incidente rilevante, si devo-no mettere in atto tutte quelle misure che, pur consentendo lo svolgimento del-l’attività, garantiscano la sicurezza delle persone, degli immobili e del patrimonioculturale e ambientale.

Primo e fondamentale passo per lo sviluppo delle attività produttive compati-bili con la sicurezza dei luoghi è, appunto, una seria, puntuale ed esaustiva piani-ficazione territoriale ed urbanistica che individui nel territorio le aree da destinar-si alle specifiche attività a rischio di incidente rilevante, prevedendo, rispetto aipossibili scenari incidentali, i danni conseguenti prodotti sugli elementi territoria-li e ambientali vulnerabili, con l’obiettivo di eliminare – o comunque limitare almassimo – gli eventuali effetti negativi.

La pianificazione territoriale ed urbanistica, nelle sue forme “integrate” piùevolute, è, attualmente, di importanza fondamentale: si sta assistendo, infatti,

23

* Direttore generale della Direzione generale per lo Sviluppo produttivo e la Competitività,Ministero delle attività produttive.

** Direttore generale della Direzione generale dell’Energia e delle Risorse minerarie,Ministero delle attività produttive.

Page 22: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

alla scelta del sistema aziendale e produttivo di rilocalizzare gli insediamenti indu-striali all’esterno dei grandi centri abitati.

Questa tendenza può produrre due effetti “virtuosi”: il primo riguarda l’elimi-nazione di abnormi concentrazioni della produzione, che possano avere un effet-to esponenziale sia sul carico inquinante, sia sulla sicurezza ambientale e dei luo-ghi; il secondo, viceversa, consente di riutilizzare per usi “civili”, dopo il neces-sario intervento di bonifica, aree interne al tessuto edilizio che, nel tempo, pos-sono aver assunto anche un notevole incremento di valore.

In quest’ottica e con questo convincimento il Ministero delle attività produtti-ve, nelle sue diverse componenti, ha partecipato ai lavori per la stesura deldecreto sui requisiti minimi per l’edificazione nelle aree interessate dagli stabili-menti soggetti alla direttiva 96/82/CE e al D.Lgs. n. 334/99. Tale decreto sarà, nelprossimo futuro, di fondamentale importanza per lo sviluppo industriale poiché,nel dettare regole di riferimento in tema di sicurezza ai fini della pianificazioneurbanistica e territoriale, permetterà alle Amministrazioni locali, da una parte, diindividuare nel territorio “aree certe” in cui possano insediarsi attività produttivea rischio di incidente rilevante e, dall’altra, di mitigare gli impatti nelle situazionidi maggiore rischio.

Si tratta di dimostrare di avere costruito uno strumento efficace, semplice etrasparente, anche in funzione della legislazione e della regolamentazione con-corrente, che verrà emanata dalle Regioni.

24

Page 23: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

LA CONFERENZA STATO-REGIONI, IL RUOLO DELLACONCERTAZIONE ISTITUZIONALE

Svetlana Parrilla*

L’invito del Ministero dei lavori pubblici ad approfondire, nell’ambito di unGruppo tecnico di lavoro presso la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, leproblematiche concernenti l’individuazione dei requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da sta-bilimenti a rischio di incidente, in attuazione dell’art. 14 del decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334, scaturisce da due ordini di ragioni.

Quanto al primo, il D.Lgs. n. 281 del 1998 non solo ha sancito il ruolo dellaConferenza come sede privilegiata di confronto e raccordo istituzionale tra idiversi livelli di governo dello Stato, ma ne ha ampliato le attribuzioni, preveden-do esplicitamente la facoltà dell’organo di istituire Gruppi di lavoro (in taluni casipermanenti come ad es. il Gruppo di lavoro per la difesa del suolo) a supportodelle proprie determinazioni politiche.

Il processo riformatore avviato con il D.Lgs. n. 112 del 1998, volto a rendereoperativo il decentramento amministrativo previsto dalla L. n. 59 del 1997, hainfatti aperto una stagione di riforme che ha comportato una profonda trasfor-mazione degli assetti istituzionali della Pubblica Amministrazione, e conseguen-temente, comportato l’esigenza di un nuovo modo di ripensare i rapporti tra sog-getti coinvolti a differente titolo nei processi di governo del Paese, suggerendoal Legislatore la necessità di offrire idonei strumenti operativi di ricomposizionedegli interessi, caratterizzati talora da una forte differenziazione territoriale eanche funzionale degli approcci.

In tale contesto la Conferenza Stato-Regioni da sede di coordinamento inter-istituzionale tra Stato e Regioni, che dava luogo ad una collaborazione che si arre-stava alla “partecipazione” delle Regioni alle scelte del Governo, è divenuta sededella negoziazione politica tra lo Stato e le Regioni, non solo per consentire la par-

25* Dirigente Conferenza Stato-Regioni - Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Page 24: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

tecipazione dei propri orientamenti (politici ed amministrativi) dell’uno alle altre,ma anche per favorirne il raccordo e la collaborazione su materie e temi di comu-ne interesse.

Quanto al secondo, che è una scelta di metodo, l’obiettivo di costruire unaproposta di decreto volta a fornire “orientamenti comuni ai soggetti competentiin materia di pianificazione urbanistica e territoriale” allo scopo di poter indivi-duare, nelle zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, requi-siti minimi di sicurezza, comportava necessariamente il coinvolgimento di unapluralità di soggetti, titolari di diverse competenze e responsabilità che impone-va, quanto alle modalità operative, un approccio sinergico al tema, la cui delica-tezza e importanza risiedeva nel dover conciliare due aspetti parimenti importan-ti: – la tutela di particolari realtà produttive già in esercizio o da allocare in unaspecifica area territoriale, ancorché connotate da probabilità di rischio di inciden-te, ma rilevanti per lo sviluppo dell’area stessa; la tutela della sicurezza di uomi-ni e strutture limitrofe alle predette realtà produttive.

Non è da sottovalutare il fatto che la sicurezza rientra tra i valori strettamentecorrelati con le aspirazioni ad un innalzamento complessivo della qualità della vitae che la percezione sociale del “pericolo” è, tra l’altro, influenzata da variabili chetalora, pur non avendo una relazione diretta con gli accadimenti calamitosi o conla frequenza con la quale possono anche solo teoricamente verificarsi, risente for-temente dell’effetto moltiplicatore determinato dalla diffusione degli accadimentida parte dei massmedia, sicché la percezione della contiguità del pericolo si tra-duce spesso in allarme sociale e in situazioni di conflitto che possono deteriorareanche in maniera considerevole i rapporti tra cittadini e istituzioni.

Come primo compito, pertanto, il Gruppo di lavoro si è posto l’obiettivo diredigere un provvedimento che conciliasse le diverse istanze connaturate allanatura dei problemi e che fosse utile supporto a chi è chiamato ad operare con-cretamente per la gestione e la tutela del territorio avvalendosi di una conoscen-za a tutto campo delle aree di riferimento: la valutazione dei dati conoscitivi risul-ta infatti elemento fondante delle determinazioni da assumere in rapporto agliaspetti di criticità e vulnerabilità che essi dovranno necessariamente evidenziare.

Quanto al merito del lavoro tecnico svolto, le problematiche in campo hannoposto al Gruppo di lavoro il compito di trovare il punto di convergenza tra mate-rie e temi (ciascuno – singolarmente assunto – di forte valenza strategica), tali dadover essere congiuntamente trattati con un equilibrio e una particolare ponde-razione per evitare che l’uno prevalesse sugli altri. La complessa attività posta inessere ha costituito un banco di prova su cui sperimentare la traduzione, in unachiara cornice di riferimento, della consapevolezza che il governo del territorioassume quando aspetti di tipo economico e ambientale devono coniugarsi convalori quali la prevenzione e la sicurezza.

Il Gruppo tecnico di lavoro ha lavorato intensamente per molti mesi in unaattenta attività di verifica e controllo di quanto messo a punto, con una continuarevisione del testo ai fini del suo affinamento.26

Page 25: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Non è stato un percorso facile: l’individuazione di una serie di regole e misu-re preventive di controllo dell’urbanizzazione che rendesse conciliabile la pre-senza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante con insediamenti umani e conl’ambiente non è infatti di immediata conciliabilità con i fondamenti di aleatorietàche stanno alla base del principio teorico di probabilità che un incidente accada.

Per altro verso le scelte assunte a base del provvedimento si auspica incida-no significativamente sulla matrice deterministica della disciplina della regola-mentazione dei suoli. Il Governo del territorio, infatti, corrisponde per definizionead un processo dinamico di recepimento dei bisogni e di esigenze nuove, men-tre gli strumenti di regolazione e pianificazione si basano ancora in larghissimaparte su presupposti irrealistici quali l’esistenza di un quadro insediativo e socio-economico che si pretende definito in tutti i suoi aspetti al momento della suaredazione.

Al momento di sottoporre il lavoro alla valutazione e determinazione dellasede politica (l’intesa della Conferenza Stato-Regioni è stata sancita nella sedutadel 19 aprile 2001), il Gruppo di lavoro era soddisfatto del risultato raggiunto. Gliorientamenti enucleati nel provvedimento, infatti, oltre che costituire un utilesupporto ai decisori istituzionali destinatari, possono configurarsi per un versocome un processo aperto per l’elaborazione di nuove strategie di pianificazionedel territorio. Per altro verso i diversi soggetti istituzionali chiamati ad interagirepotranno cogliere l’occasione per verificare e migliorare la loro attitudine istitu-zionale a collaborare per una gestione sostenibile del territorio e in questa pro-spettiva di “dialogo” anche i problemi di parzialità o inadeguato sviluppo deidiversi strumenti di programmazione e pianificazione potranno trovare un ulte-riore stimolo per il loro perfezionamento.

27

Page 26: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

28

Page 27: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PARTE PRIMA

COMMENTI AL D.M. 9 MAGGIO 2001

29

Page 28: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

30

Page 29: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PREMESSA

Rosario Manzo*

Il metodo di lavoro

L’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/99 prevedeva che il Ministro dei lavori pubbli-ci, d’intesa con il Ministro dell’interno, il Ministro dell’ambiente, il Ministro del-l’industria del commercio e dell’artigianato, formulasse una proposta allaConferenza Stato-Regioni, per definire i “... requisiti minimi in materia di pianifi-cazione urbanistica e territoriale, [...] con riferimento alla destinazione e utilizza-zione dei suoli”, requisiti correlati alla necessità di “... mantenere opportunedistanze tra stabilimenti e zone residenziali”, nonché di prevenire gli incidenti rile-vanti e di limitarne le conseguenze.

Il Ministero del lavori pubblici per avviare sin dall’inizio un percorso concer-tato ha chiesto di convocare la Conferenza Stato-Regioni e ha proposto di for-mare un gruppo misto di lavoro tra le Amministrazioni centrali e le rappresen-tanze delle Regioni, per arrivare congiuntamente ad una proposta di documen-to condiviso.

Gli organi rappresentativi delle Province (UPI), e dei Comuni (ANCI), sono staticoinvolti nel processo di formazione quando lo schema di decreto – ancora noncompletato – poteva essere sottoposto ad una verifica operativa da parte deisoggetti che oggi sono chiamati ad applicarlo.

Il processo di costruzione del provvedimento si è giovato, inoltre, del contri-buto specifico, con una serie di incontri e audizioni, delle associazioni di catego-ria (Confindustria, Federchimica, Unione Petrolifera, Assogasliquidi, ANCE).

Questa scelta si è dimostrata, di fatto, molto positiva: il gruppo di lavoro halavorato circa un anno e, attraverso un’ampia discussione nella quale sono emer-si vari aspetti della delicata questione, ha prodotto una “regola” certamente

31

* Ministero delle infrastrutture e trasporti, DICOTER - Coordinatore del Gruppo interisti-tuzionale per la predisposizione del D.M. 9 maggio 2001.

Page 30: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

innovativa per l’Italia, ma anche disponibile alla successiva e progressiva imple-mentazione da parte delle Regioni e degli enti locali.

Nella prima riunione della Conferenza furono presentate dalla Direzione gene-rale del coordinamento territoriale, due ipotesi di lavoro: una di origine “urbanisti-ca” – legata alla individuazione di “distanze”, in funzione di zone territoriali omo-genee e, di conseguenza, di forte impostazione “deterministica” – l’altra di matri-ce “probabilistica” nella quale le limitazioni all’edificazione erano poste in funzio-ne della frequenza di accadimento dell’evento incidentale e alla sua magnitudo.

Si pose, quindi, una scelta di metodo difficile per la costruzione del provvedi-mento: questa ipoteca iniziale avrebbe potuto costituire un ulteriore elemento diseparazione della materia del rischio di incidente rilevante dalla pianificazione urba-nistica, qualora si fosse enfatizzata la specialità “tecnologica” settoriale (urbanisti-ca o del rischio tecnologico), piuttosto che quella della integrazione disciplinare.

L’altro aspetto significativo del D.M. 9 maggio 2001 è l’aver messo insiemedue mondi professionali assolutamente distanti: quello degli urbanisti e quellodegli esperti di rischio. Anche in questo caso, si è tentato di fare un salto di qua-lità, nel superare le difficoltà di “linguaggio” tra queste figure professionali.

Questo provvedimento rientra, a pieno titolo, per la sua rilevanza, nella mate-ria del “governo del territorio” sia per i soggetti dell’Amministrazione chiamati adapplicarlo, sia per l’obiettivo generale di carattere sociale che contraddistingueogni azione di pianificazione. Il D.M. 9 maggio 2001 impone, tuttavia, agli urba-nisti una stretta collaborazione e la condivisione delle scelte con le altre figureprofessionali competenti.

Un’altra difficoltà – con riferimento alla pianificazione conformativa della pro-prietà fondiaria – nasce dall’esigenza di contemperare spinte diverse e forte-mente contrastanti, per ottenere una “compatibilità” tra presenza degli stabili-menti soggetti alla “Seveso II”, riqualificazione dell’abitato e protezione dell’am-biente. Se si applicasse il D.M. 9 maggio 2001 in modo “settoriale” (ad esem-pio, solo dal punto di vista della riduzione tecnologica del rischio1) ci troveremmodi fronte, quasi certamente, a conflitti socioeconomici, che possono essere pre-venuti solo con una azione di governace del territorio.

L’obiettivo del D.M. 9 maggio 2001

Il D.Lgs. n. 334/99 prevede, per la sua completa attuazione, l’emanazione didiversi decreti interministeriali e di linee-guida.

Tra questi decreti interministeriali, il D.M. 9 maggio 2001, incide profonda-mente nella materia urbanistica e territoriale, in quanto le analisi di rischio e larelativa determinazione delle curve di isorischio rappresentano un input del pro-cedimento da attivare per riconformare la pianificazione urbanistica e territoriale.

Infatti, gli aspetti relativi al settore del rischio di incidente rilevante, in Italia,fino ad oggi non sono stati trattati in modo organico e integrato nella pianifica-zione territoriale urbanistica.32

Ros

ario

Man

zo

Page 31: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Ciò per un approccio settoriale, piuttosto che di integrazione tra le scelte dilocalizzazione di aree industriali – tema peculiare della disciplina urbanistica – egli effetti di tali scelte sui tessuti edilizi, sulla popolazione e sull’ambiente, nell’i-potesi d’incidente.

Quindi, gli obiettivi da perseguire per raggiungere livelli di sicurezza accetta-bili possono essere i seguenti:1. minimizzare gli effetti dell’incidente sui tessuti edilizi, sulle persone e sul-

l’ambiente circostante, con le opportune scelte localizzative e con una politi-ca di prevenzione e di informazione;

2. minimizzare le probabilità che accada l’incidente, attraverso opportune imple-mentazioni tecnologiche e di sicurezza dei processi di produzione e di stoc-caggio;

3. rendere più efficienti le misure e le infrastrutture per la pianificazione di emer-genza con una corretta ed efficace localizzazione dei presidi d’emergenza(Comandi o stazioni VV.F., aree di Protezione civile, presidi di pronto soccorsospecializzati per gli scenari incidentali prevedibili).Per quanto riguarda l’aspetto della prontezza dell’intervento di emergenza, si

può migliorare la situazione esistente, attraverso individuazione all’interno deiPiani territoriali di coordinamento e degli strumenti urbanistici delle aree doveubicare tali presidi in relazione alla maglia della viabilità e all’accessibilità al luogodel probabile incidente.

I destinatari del D.M.

Prima di iniziare a lavorare per la formazione del decreto si posero due consi-derazioni:– la prima riguardava il dubbio che il provvedimento, come indicato dalla norma pri-

maria, non fosse più in linea con i recenti princìpi di distinzione e concorrenza deipoteri tra i diversi soggetti preposti al “governo del territorio”; basti pensare alsolo concetto di “requisito minimo” determinato dalle Amministrazioni centrali;

– la seconda è di aver escluso dalla formazione del provvedimento – nella fontenormativa primaria – proprio i destinatari diretti (e obbligati) dello stesso, ovve-ro le Province e i Comuni, indicando la Conferenza Stato-Regioni e non quellache comprende le “città e le autonomie locali”. Sotto questo aspetto, come siè detto, è stato di particolare importanza coinvolgere sia l’UPI che l’ANCI.Un aspetto prioritario del processo previsto dal D.M. 9 maggio 2001, già ricor-

dato prima, è quello della diversità dei destinatari del provvedimento: gli ammi-nistratori e i tecnici competenti nella materia urbanistica e coloro che si occupa-no della materia “Seveso”.

Il provvedimento coinvolge anche il gestore dello stabilimento e, come peral-tro normale nella disciplina urbanistica, esso riguarda sia i cittadini direttamenteinteressati dall’eventuale rischio d’incidente rilevante che l’intera popolazione delComune nell’ambito del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici. 33

Pre

mes

sa

Page 32: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nel D.M. 9 maggio 2001 viene posta l’attenzione anche sulla opportunità diun intervento legislativo concorrente e integrativo: la Regione è chiamata, aisensi dell’art. 2 del decreto, a rivedere il procedimento di localizzazione delle areeda destinare agli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante con quanto previstodal Regolamento di individuazione di tali aree ai sensi del D.P.R. 447/98, in alter-nativa all’adozione di un piano per gli insediamenti industriali ex lege 865/71.Inoltre, nel medesimo art. 2, si richiama l’attenzione – con riferimento agli ampipoteri legislativi e regolamentari delle Regioni – sulla necessità di armonizzare lenormative in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambien-tale con quelle derivanti dal D.Lgs. n. 334/99.

Per quanto riguarda la parte più operativa, i primi destinatari sono gli ammini-stratori e i tecnici delle Province, laddove la Regione ha delegato in conformità aquanto disposto dal D.Lgs. n. 267/2000 il potere di pianificazione d’area vasta, pae-sistico-ambientale e dei settori specifici di tutela, ma anche gli amministratori e itecnici degli enti comunali.

Sebbene nel processo urbanistico le forme di “colloquio” siano formalizzatesin dalla Legge Urbanistica n. 1150/42, attraverso il procedimento di evidenzapubblica di adozione – approvazione degli strumenti territoriali ed urbanistici, lecaratteristiche peculiari delle varianti territoriali e urbanistiche che hanno originedal D.M. 9 maggio 2001 suggeriscono di utilizzare le forme più avanzate di con-certazione e di audit – peraltro già contenute nella produzione legislativa regio-nale più recente – per la formazione di una soluzione di assetto e di trasforma-zione del territorio condivisa tra i diversi soggetti.

Da questo punto di vista, quindi, è richiesto all’Amministrazione comunale diassumere un ruolo di primo piano per il coordinamento e la gestione del proces-so di riconformazione degli strumenti urbanistici.

Il programma di lavoro

La complessità e la delicatezza del tema ha indotto il Ministero delle infrastrut-ture e dei trasporti alla preparazione di una “agenda” di interventi di assistenza, nellaquale coinvolgere tutti i soggetti interessati.

Una prima ipotesi di azioni da compiere, in parte già svolte dal Ministero e tra lequali si può inserire questo testo, può essere:a) la presenza di una pagina web nel sito del MIT-DICOTER (www.infrastruttu-

retrasporti.it) per la pubblicazione, della normativa di riferimento sul “control-lo dell’urbanizzazione”. Si può ipotizzare un ampliamento dell’iniziativa anchecon la creazione di un sito specifico nel quale:– raccogliere la normativa nazionale e regionale di settore;– pubblicare interventi, commenti sull’applicazione del D.M. 9 maggio 2001;– pubblicare i risultati delle iniziative di sperimentazione sul D.M. 9 maggio

2001;– costruire un “forum” di esperti interessati alla materia;34

Ros

ario

Man

zo

Page 33: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

35

Pre

mes

sa– archiviare e indicizzare gli atti amministrativi, le interpretazioni, delleAmministrazioni concertanti, delle Regioni, degli enti e degli istituti che siinteressano della materia;

– raccogliere le informazioni presenti in rete sulla materia del “controllo del-l’urbanizzazione”;

– pubblicare e analizzare esempi di piani territoriali di coordinamento e distrumenti urbanistici, cercando di selezionare l’evoluzione delle “miglioripratiche” di risoluzione dei problemi;

b) promuovere la sottoscrizione di un accordo con le Amministrazioni centrali eregionali che hanno partecipato alla stesura del decreto: Ministero dell’am-biente; Ministero dell’interno; Ministero delle attività produttive; RegionePiemonte, Basilicata, Lazio e Lombardia; ANPA, per conservare la conoscenzaacquisita durante il lavoro di costruzione del decreto e, di conseguenza, fornireuna consulenza integrata (urbanistica ed ambientale, di rischio, di protezionecivile, …) alle Amministrazioni locali o altri soggetti che ne facessero richiesta;

c) studiare la possibilità di attivare un programma di formazione dei tecnici com-petenti in materia urbanistica che, data la scarsa conoscenza dei problemiconnessi alla disciplina della Seveso II, si troveranno impreparati a gestire talecomplessa materia;

d) studiare, infine, la possibilità di promuovere azioni secondo le modalità previ-ste dal D.M. 9 maggio 2001 e in conformità al D.Lgs. n. 112/98 per la forma-zione di programmi integrati d’intervento, sulle grandi emergenze nazionali,rivolti alla soluzione di problemi di natura territoriale ed urbanistica prodottidalla presenza di stabilimenti a rischio d’incidente rilevante.

La prima parte del libro

La prima parte del libro si propone con un taglio manualistico e di commentoalle diverse parti del decreto. Nel capitolo 6 sono presenti i commenti delleAmministrazioni destinatarie ed alcune esperienze sui piani di risanamento digrandi realtà nazionali.

Il libro è rivolto agli urbanisti e agli esperti di rischio, cercando di evitare inuti-li “tecnicismi” e rendendo il più possibile comprensibili le tematiche trattate, ten-tando di gettare un “ponte” tra i due mondi.

Un’ultima considerazione va fatta sul futuro del D.M. 9 maggio 2001 (- descrizione in sintesi): trattandosi di una materia molto complessa e ancora“aperta”, è presumibile che l’ampia casistica di soluzioni urbanistiche e territo-riali che si produrranno nel tempo – se opportunamente capitalizzate – possanoincrementare la capacità del decreto di risolvere i problemi.

Infatti, le normative tecniche devono essere viste sempre nell’ottica di unaloro implementazione e di progressivo adeguamento all’evolversi della cono-scenza della materia e alle esigenze di sviluppo economico e sociale, nonchédella tutela dell’ambiente e delle persone.

Page 34: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In altri termini, si tratta di una materia destinata ad arricchirsi continuamente,sia in funzione dell’evoluzione della tecnologia, sia in relazione alle possibili solu-zioni che si potranno adottare, in termini metodologici ed operativi, nelle variantiagli strumenti territoriali ed urbanistici, per dare risposte alla domanda di sicu-rezza dell’ambiente e delle persone.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - DICOTER è grato agli autoriche, a vario titolo, hanno contribuito con i propri testi e al Politecnico di Torino -DIT, per il supporto tecnico e redazionale fornito al DICOTER per la presente ini-ziativa promossa dal Ministero nell’ambito delle azioni di assistenza tecnica asupporto delle varie amministrazioni.

Note

1 In termini molto sintetici: l’approccio “tecnologico” produce, ovviamente, forti limitazioniall’edificabilità del territorio e impone ai gestori sovraccosti per la sicurezza, ma non offre alcu-na soluzione “perequativa” tra costi imputati al gestore e ricchezze potenziali dei proprietaridelle aree.

36

Ros

ario

Man

zo

Page 35: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1

GLI ORIENTAMENTI DELLA PIANIFICAZIONE NELLE AREE ARISCHIO TECNOLOGICO IN ITALIA E ALL’ESTERO1

Agata Spaziante*, Maria Teresa Gabardi**

“Se c’è stato un dramma non è colpa della natura, poi-ché non è stata quest’ultima a raccogliere laggiù venti-mila palazzi di sei o sette piani. Se gli abitanti si fosserosparpagliati o sistemati diversamente li avremmo visti ilgiorno dopo a venti leghe da quel luogo, felici come senulla fosse successo”.

(J.J. Rousseau, 1756, a proposito delterremoto di Lisbona del 1755)

Pericolo, rischio, incidente rilevante, vulnerabilità e territorio

Il verificarsi di situazioni di danno dovute alla presenza in un determinatoluogo di edifici, attività, elementi naturali o artificiali che possono entrare in con-flitto funzionale con la presenza di popolazione o altre componenti del sistemainsediativo o del contesto territoriale e ambientale, è evento che sperimentiamocontinuamente, sebbene in forme e dimensioni solo raramente drammatiche.

Immediatamente questa constatazione richiama l’opportunità di distinguere,anche in rapporto con l’influenza che si viene ad esercitare sull’idoneità urbani-stica del territorio, le situazioni di pericolo da quelle di rischio:– per pericolo intendiamo infatti “una circostanza, una situazione o un com-

plesso di circostanze atte a provocare un grave danno in funzione della tipo-logia, della quantità e della frequenza dei processi che vi si possono inne-scare”: è dunque un accadimento certo, determinato, nelle date circostanzeo situazioni2;

37

* Politecnico e Università di Torino - Dipartimento Interateneo Territorio.** Dottore di ricerca, Politecnico di Torino.

Page 36: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– per rischio (in inglese hazard con termine che ricorda la sua terminologia arabaazar = avvenimenti che avvengono senza una causa necessaria o prevista),intendiamo “la possibilità di conseguenze dannose o negative a seguito di cir-costanze non sempre prevedibili ovvero una condizione che in partenza puòcausare infortunio alle persone, danno agli impianti o alle strutture, perdita dimateriale o diminuzione della capacità di svolgere la funzione prestabilita” edunque un accadimento solo probabile, nelle date circostanze o situazioni3.È evidente la grande differenza fra i due termini e fra le situazioni che con essi

si intendono definire: effetto di danno certo, nel primo caso; di danno solo pro-babile, nell’altro. Entrambi acquistano però estrema importanza tanto nelle scel-te degli strumenti di pianificazione (come argomenta Patrizia Colletta nel suo sag-gio contenuto in questa prima parte del volume), quanto nella definizione di Pianidi emergenza esterna (come ricordano Loretta Floridi, Maria Giovanna Martini eRita Nicolini, Concetto Aprile, nella seconda parte di questo volume).

Il pericolo ed ancor più il rischio, peraltro, fanno parte inevitabilmente dellanostra vita e della nostra storia.

Viviamo in paesi affluenti, in cui siamo molto più ricchi, più sani, più sicuri diprima; conviviamo ed utilizziamo tecnologie a fortissimo contenuto di materiali eprocessi pericolosi ma disponiamo anche, molto più di prima, di strumenti dicomprensione, di previsione, di intervento di potenza inusitata e dunque siamoprotetti da situazioni pericolose o anche solo rischiose molto più che nella fasedi insediamento e di sviluppo dell’industria.

Dobbiamo dunque, indubbiamente e necessariamente, abituarci a conviverecon il rischio, non accettandolo supinamente ma valutandone la natura e l’entitàper ridurlo al minimo in tutti i sensi (in dimensione del danno, in durata, in areainvestita, in termini di ricadute indirette ecc.).

Negli ultimi decenni, però, sembra che i motivi di preoccupazione per le situa-zioni di rischio crescano continuamente in quantità e dimensione.

La sensazione di essere esposti a pericoli maggiori di una volta, a rischi moltopiù preoccupanti di prima è largamente diffusa.

Va detto però che tale sensazione non è equamente distribuita su tutti i gene-ri di pericoli e rischi: nei confronti di molti di essi siamo relativamente e sorpren-dentemente molto più disattenti e meno sensibili che rispetto ad altri. Questosuccede ad esempio per il rischio idrogeologico, per la presenza di inquinanti neiluoghi di lavoro, per l’uso di sostanze tossiche in agricoltura.

La ragione della nostra moderata sensibilità su questi aspetti va ricercata nellaapparente casualità di alcune di queste condizioni di rischio, nella lontananza fisi-ca da noi di altre, nella lentezza con cui si accumulano, nel corso di alcuni decen-ni o centinaia d’anni, gli effetti di danno prodotti.

Il rischio di lungo periodo, continuo e modesto ma alla fine enormemente ele-vato, allarma poco i soggetti sia pubblici che privati.

Su altri rischi siamo invece molto sensibili fino ad avere reazioni al limite dellairrazionalità: è il caso, in particolare, di quei rischi dovuti alla prossimità di una38

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 37: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

industria la cui attività possa dar luogo ad un “evento quale un’emissione, unincendio o un’esplosione di grande entità… con pericolo grave, immediato o dif-ferito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabili-mento e in cui intervengano una o più sostanze pericolose”.

Si definisce così l’incidente rilevante di una sorgente di rischio nel D.Lgs. n.334/99 “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di inci-denti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”, denominatoanche “Seveso II”, all’art. 3, come argomentato nel saggio di Andrea Carpignanoed in altri saggi in questo stesso volume, specialmente orientati ad esporre ilpunto di vista del tecnico dell’analisi di rischio.

Più in generale questo genere di rischio (definito anche tecnologico perchélegato alla presenza di tecnologie con elevate possibilità di incidenti rilevanti ininsediamenti come stabilimenti produttivi, aree di stoccaggio, nodi infrastruttu-rali, reti di trasporto) colpisce il nostro immaginario per la dimensione elevata deidanni associati al singolo episodio, nonostante la probabilità dell’evento possaessere anche remota.

È di questi rischi, quelli di cui abbiamo maggiore timore, che si è occupato ilD.Lgs. n. 334/99 “Seveso II” e più di recente il D.M. 9 maggio 2001 attuativodell’art. 14 dello stesso D.Lgs. n. 334/99, dedicato al “Controllo dell’urbanizza-zione”, alla cui formulazione il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnicoe dell’Università di Torino ha contribuito con lo studio di cui qui si riferisce.

Prevale infatti nel mondo scientifico e culturale l’attenzione sulla vulnerabilitàdella presenza umana rispetto a quella dell’ambiente che pure non è meno rile-vante e preoccupante. E ciò è ovviamente comprensibile: il rischio della perditadi vite umane o di lesioni gravi agli abitanti è e deve essere la prima preoccupa-zione di chi si occupa di governare il rapporto fra attività e spazi, pur senza tra-scurare, in seconda istanza, il rischio di effetti dannosi su elementi naturali edartificiali presenti nelle aree circostanti ad un impianto produttivo a rischio.

Peraltro le catastrofi generate da incidenti industriali “rischiosi” molto più diquelle generate da eventi naturali “pericolosi” sono prodotte da fattori umani etra questi primeggiano l’urbanizzazione di aree non idonee, le trasformazioni noncorrette dell’uso del suolo, l’assenza di prevenzione territoriale.

In considerazione di ciò è evidente che la lettura del territorio in termini di vul-nerabilità di spazi e funzioni diventa il tassello strategico posto a monte dellescelte urbanistiche che, a loro volta, comportano, in aree soggette a questesituazioni, decisioni interdisciplinari con il concorso di urbanisti ed analisti delrischio, quantomeno.

Ricordiamo a questo proposito che per vulnerabilità, ai nostri fini, si può inten-dere la percentuale del valore che verrà perduta in caso di evento incidentale e,in analogia con quanto avviene per le situazioni di pericolosità dipendenti dallecondizioni idrogeologiche del territorio (D.Lgs. n. 180/98 art. 1), possiamo consi-derare che elementi a rischio sono innanzitutto “l’incolumità delle persone, e,con carattere di priorità almeno: gli agglomerati urbani comprese le zone di 39

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 38: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

espansione urbanistica; le aree su cui insistono insediamenti produttivi; le infra-strutture a rete e le vie di comunicazione; il patrimonio ambientale e i beni cul-turali di interesse rilevante; le aree sede di servizi [...]”.

Considerando la rilevanza delle ricadute che le decisioni in materia di localiz-zazione degli impianti produttivi e di urbanizzazione del territorio con tali criteridetermineranno a livello locale, è indispensabile l’acquisizione di concetti, crite-ri, regole in merito al rapporto fra queste componenti non di rado incompatibili,soprattutto da parte di chi si occupa di pianificazione urbanistica e territoriale. Èquesto il requisito necessario per l’applicazione di un decreto quale il D.M. 9maggio 2001 che ha come sua finalità quella di orientare le Regioni affinché legi-ferino entro un certo quadro di omogeneità a scala nazionale, e le Province e iComuni affinché pianifichino e governino nel senso di un responsabile control-lo dell’urbanizzazione in prossimità degli impianti a rischio di incidente rilevante.Lo scopo del decreto è infatti quello di determinare un punto di raccordo tra lecaratteristiche insediative del territorio, la pericolosità dell’impianto e le previ-sioni di trasformazione dell’uno o dell’altro o di entrambi, consentendo la verifi-ca della loro compatibilità.

Non va trascurato naturalmente il fatto che la sensibilità su tutta questa mate-ria è molto condizionata dalle caratteristiche sociali e culturali delle popolazioni,le cui reazioni rispetto alla possibilità, non precisamente determinabile, di unevento incidentale possono essere molto diverse. Percezione del rischio, rimo-zione, paura, azioni di contrasto, producono comportamenti individuali e colletti-vi molto diversificati tanto nei gestori, quanto nei lavoratori addetti agli impianti,ed ancor più in coloro che convivono con l’inquietante presenza di un contenito-re di eventi potenzialmente catastrofici quali abitanti residenti in prossimità,addetti ad attività insediate nei pressi, utenti occasionali degli spazi e dei canalidi comunicazione adiacenti. Ne discutono in questo volume, segnalando la varia-bilità dei comportamenti e pertanto l’importanza della tempestività e della oppor-tuna modalità di informazione e comunicazione a questi soggetti, Bruno FilippoLapadula e Lucio Spaziante, al capitolo 10.

Infine va immediatamente posta l’attenzione sulla tipica e ben nota divarica-zione degli approcci disciplinari con cui il tema del rischio tecnologico in genera-le, e di conseguenza anche il dibattito sul rapporto fra rischio e controllo dell’ur-banizzazione, si confronta fin dall’inizio degli studi e degli interventi in questocampo. La diatriba sempre vivace fra i sostenitori di un “approccio deterministi-co” nella analisi e nella prevenzione dei rischi ed i sostenitori invece di un“approccio probabilistico” alle medesime questioni è una componente caratteri-stica di questa materia. Molte delle divergenze fra studiosi, fra attori, fra regola-menti e normative nei diversi paesi o anche nei diversi contesti all’interno del sin-golo paese, discendono pertanto dalla diversa collocazione dei protagonistirispetto a questi approcci.

In questo stesso volume ne tratta in modo articolato Andrea Carpignano,(parte prima, capitolo 4): qui se ne ricordano solo gli estremi perché si possano40

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 39: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

comprendere le ragioni delle differenze negli studi e nelle pratiche di casi italianie stranieri qui riportati e commentati.

Nello stimare gli effetti prevedibili di un incidente e nel determinare requisitiminimi di sicurezza per la popolazione ed il territorio circostante, una modalitàmolto perseguita è da sempre quella basata sulle conseguenze (deterministica).Ci si appoggia in questo caso sulla verifica degli effetti degli incidenti immagina-bili, senza una stima sulle probabilità che essi accadano. Il principio di base èquello per cui se sono state prese misure sufficienti a proteggere la popolazionedal peggiore incidente immaginabile, essa sarà protetta anche nel caso di inci-denti minori.

In questo approccio vengono definiti pertanto diversi scenari di riferimento,ritenuti credibili per il caso esaminato, e vengono valutate le conseguenze di cia-scuno di essi nelle aree di contorno. Di norma viene stimata una prima distanzaper le conseguenze letali di un incidente e una seconda per il verificarsi di effet-ti irreversibili e dunque si perviene alla determinazione di distanze predefinite ecostanti di separazione fra l’impianto e gli altri insediamenti di popolazione edattività.

Questo metodo ha il proprio risvolto negativo nel momento della selezionedegli scenari di riferimento, sia perché in alcuni casi scenari ritenuti trascurabili sisono in realtà dimostrati più gravosi di altri peggiori, sia perché è necessario sce-gliere se basarsi sui peggiori incidenti verosimili oppure su quelli concepibili. Disolito si considera il primo caso, introducendo però in questo modo nell’approc-cio deterministico “anche una componente probabilistica”.

A questa linea si contrappone quella basata sulla probabilità dell’incidente,che privilegia la determinazione non solo della gravità del potenziale incidente,ma anche della probabilità che esso avvenga. Verranno dunque affrontate, indiverse fasi del processo, l’identificazione del rischio, la stima delle conseguen-ze dell’incidente, l’integrazione in indici di rischio complessivo.

Il presupposto teorico alla base di questo approccio è che qualunque attivitàpresenta un rischio associato, e che perciò un certo livello di rischio vada gene-ralmente accettato, sia per il singolo, sia per l’intera comunità. Nel caso di stabi-limenti a rischio di incidente rilevante il problema è dunque costituito dalla deter-minazione dell’aumento di livello del rischio ritenuto tollerabile4.

Come è efficacemente argomentato nel saggio di Andrea Carpignano, l’ap-proccio più interessante e più complesso che oggi l’analista del rischio ritienemeglio rispondente alla ricerca della difficile linea di compatibilità fra le esigenzedello sviluppo e quelle della salvaguardia della popolazione e dell’ambiente, ècomunque quello probabilistico. E non vi è dubbio che da tale punto di vista que-sto orientamento sia quello da privilegiare.

Questo approccio presenta però inevitabili difficoltà applicative quando i suoirisultati sono utilizzati per definire vincoli e norme alla urbanizzazione del territo-rio: in questa materia infatti sono preferibili effetti certi a quelli probabili in quan-to le conseguenze sulla proprietà, sulla possibilità ed il valore di scambio, sulle 41

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 40: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

prospettive di trasformazione di un’area sono oggetto di operazioni commercia-li, contratti, investimenti, e dunque non possono essere condizionate da fattoriimponderabili e pertanto incerti.

La divaricazione delle linee tecnico-scientifiche dell’analisi del rischio e dellepratiche di governo del territorio e pertanto la difficoltà di rendere compatibiliinterpretazioni, interventi, norme in questa materia, nasce dalla diversa capacitàche questi due approcci hanno di soddisfare le esigenze disciplinari divergenti neidue campi: analisi del rischio, pianificazione del territorio.

Il confronto e le scelte tecnico-scientifiche operate in sede di attività del Gruppotecnico interistituzionale costituito in occasione della formazione del Decreto, sisono imperniate, specie nella fase di impostazione del lavoro, su tale questione.

In realtà l’approccio deterministico e l’approccio probabilistico non si esclu-dono a vicenda. È possibile per esempio fissare delle distanze di rispetto gene-rali molto ampie, all’interno delle quali sottoporre le singole situazioni ad analisipiù approfondite, ed è anche possibile accentuare l’aspetto probabilistico delleanalisi di verosimiglianza degli scenari all’interno dell’analisi deterministica.

Ed è su questo sottile terreno di confine fra due filosofie che si è giocata lapossibilità di trovare una soluzione se non del tutto soddisfacente per tutti quan-tomeno accettabile da parte di entrambe le componenti disciplinari prevalente-mente coinvolte: analisti del rischio ed urbanisti.

Il paradigma ambientale come incentivo alla prevenzione del rischio

La risoluzione comune del Parlamento europeo sull’esplosione della fabbrica diTolosa dell’estate 2001 (allegata al volume) e il Progetto di parere dellaCommissione Industria del Parlamento Europeo sulla Proposta di direttiva destina-ta a modificare la attuale Direttiva 96/82/CE (contenuto nel CD Rom allegato aquesto volume), entrambe originate dal drammatico incidente di Tolosa, oggidanno atto con forza delle gravissime carenze nella prevenzione del rischio dovutealla irresponsabile gestione del territorio in prossimità dell’impianto che è esploso.

In realtà, nonostante il grave incidente dell’ICMESA di Seveso già dal 1976avesse messo in luce le responsabilità della scorretta gestione del territorio neldeterminare l’entità dei danni dovuti all’incidente, fino al 1999 nel nostro Paesela legislazione in materia non aveva ancora nemmeno richiamata la necessità dimettere mano al controllo del rapporto tra insediamenti e impianti dal punto divista del governo del territorio e delle sue forme insediative.

Eppure l’ambiente tecnico e scientifico aveva già da tempo percepito lanecessità di attenzione, regole, interventi non solo sugli impianti ed i loro siste-mi di sicurezza ma anche sul territorio in cui sono localizzati.

Studi, riflessioni e soprattutto ripetuti eventi drammatici recenti, a partire daquello di Seveso del 1976, avevano riportato l’attenzione dei tecnici sul rapportouomo - ambiente artificiale e su quegli “eventi estremi” che talvolta tragica-mente manifestano il ruolo della responsabilità umana in quei danni ambientali ein quegli incidenti che tendiamo ad attribuire alla fatalità5.42

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 41: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Anche i progressi delle procedure di allertaggio, di monitoraggio, di calcolodelle probabilità, di simulazione degli scenari, che hanno contribuito a stimarecon maggiori margini di affidabilità il rischio di incidente così come il rischio di unacatastrofe naturale o quello di effetti globali delle azioni locali (riscaldamento delpianeta, cambiamenti climatici, desertificazione, deforestazione ecc.) e pertanto,ove possibile, a prevenirli, hanno via via accresciuto l’attenzione e le attese diinterventi efficaci in questo campo.

Un ruolo non trascurabile negli sviluppi delle tecnologie applicate a questoscopo e soprattutto nell’interesse di tecnici e politici al problema, ha inoltre svol-to, più in generale, il cambiamento del contesto in cui agiscono tutti coloro cheoperano in materia di governo delle trasformazioni.

Si è verificata infatti negli ultimi venti anni una crescente sensibilizzazionedella pubblica opinione, di tecnici ed amministratori nei confronti delle nuovedimensioni della questione ambientale.

L’ambiente ha fornito il nuovo paradigma ed è divenuto il vero motore rivolu-zionario della ricerca e dell’azione in tutte le discipline, specie in quelle contrad-distinte dalle più forti inerzie al cambiamento che sono state così trainate versofaticose ma necessarie revisioni delle loro strutture. Tra queste va certamenteannoverata l’urbanistica.

E dunque nuova sensibilità alle questioni ambientali e nuove esigenze postedalla consapevolezza di crescenti criticità nel rapporto degli insediamenti conquei danni ambientali che possono essere prodotti dai fattori cosiddetti di “gran-de rischio”, sia naturale (alluvioni, terremoti, frane ecc.), sia tecnologici (inciden-ti industriali, inquinamenti ecc.), hanno imposto alla attenzione dei tecnici dellapianificazione il problema, a lungo trascurato dall’urbanistica, della prevenzionedegli eventi incidentali e delle tecniche per gestirla.

Il controllo e la prevenzione del rischio tecnologico, lasciati finora alla preva-lente competenza di tecnici della protezione civile ed analisti del rischio, sonocosì entrati più autorevolmente nell’area di interesse degli urbanisti.

Non diversamente si è modificato negli ultimi anni l’approccio degli ambien-talisti, che hanno tradizionalmente concentrato la loro azione sulla difesa del-l’ambiente naturale e solo di recente hanno rafforzato le loro azioni per difende-re e valorizzare la sicurezza e la salute della popolazione nonché il patrimonio arti-ficiale dei nostri territori.

A maggior ragione ciò è diventato importante negli ultimi anni, con l’affer-marsi, dopo il 1992, di princìpi di sostenibilità dello sviluppo, di verifica della com-patibilità dei grandi interventi con un uso responsabile delle risorse primarie econ l’obbligo di assicurare alle generazioni che ci succederanno quantità e qua-lità di risorse non dissimili da quelle che abbiamo ereditato.

I danni gravissimi che può produrre alle popolazioni ed all’ambiente latamen-te inteso un incidente industriale di grande dimensione, portano alla loro estre-ma difficoltà applicativa i concetti di sostenibilità di uno sviluppo industriale chegià in molti casi ha messo a dura prova la nostra capacità di individuare soluzionidi evoluzione del territorio ambientalmente compatibili. 43

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 42: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

D’altra parte le scelte di trasformazione agiscono su entrambi i versanti chedeterminano la dimensione del rischio tecnologico6: quello che produce la solle-citazione (la localizzazione di impianti industriali con caratteristiche tecnologicheche possono determinare eventi incidentali) e quello che determina la vulnerabi-lità ovvero la propensione al danno, del sistema ricevente (in questo caso carat-teristiche del territorio e dell’ambiente naturale e ubicazione e tipo degli insedia-menti).

In realtà fino ad anni recenti lo studio dei rischi tecnologici, in assenza di que-sta sensibilità ed attenzione a territorio ed ambiente, era tradizionalmente statoappannaggio dei tecnici delle discipline che trattano l’analisi del rischio (ingegne-ri, chimici ecc.) e pertanto si era concentrato soprattutto sul controllo della solle-citazione (l’incidente industriale rilevante), così come la normativa si era dedica-ta a regolamentare la progettazione e il controllo degli impianti che trattanosostanze pericolose. I requisiti minimi di sicurezza nei confronti del rischio di inci-dente erano affidati a specifici studi e rapporti ingegneristici ed all’azione deigestori degli impianti. È stata invece quasi sempre e quasi del tutto trascuratal’influenza sulle stesse dinamiche incidentali e sulle loro conseguenze determi-nata dalle caratteristiche del sistema ricevente, ovvero il territorio, oggetto di stu-dio e di interventi da parte di altra disciplina, l’urbanistica.

E le caratteristiche del sistema ricevente si sono invece rivelate determinan-ti per la dimensione del danno prodotto da un incidente. Dall’esperienza degli ulti-mi anni la vulnerabilità, infatti, è risultata essere fortemente correlata con la dina-mica evolutiva dell’area, con la forma degli insediamenti, con l’accessibilità e lecaratteristiche delle reti infrastrutturali, con le politiche fondiarie e la normativaurbanistica. Tutti questi aspetti, chiaramente governabili da parte di coloro chehanno il compito di guidare le trasformazioni territoriali, sia in quanto determina-no le logiche insediative e quindi la presenza di popolazione e attività su aree fra-gili o “a rischio”, sia in quanto agiscono sulla gravità della sollecitazione e sullaefficacia delle misure di mitigazione del rischio o di emergenza in caso di inci-denti, definiscono l’entità del danno e dunque i livelli di vulnerabilità del territoriocircostante l’impianto industriale a rischio.

Dunque al controllo del secondo fattore da cui dipendono gli effetti in unevento incidentale (la vulnerabilità del territorio) si è posto mano solo con l’ema-nazione del D.Lgs. n. 334/99 (la cosiddetta “Seveso II”), che all’art.14 dedicatoal “Controllo dell’urbanizzazione”, introduce la necessità di stabilire per le zoneinteressate da questo tipo di stabilimenti “requisiti minimi di sicurezza in mate-ria di pianificazione territoriale”.

Ed ancora sono trascorsi quasi due anni, prima che si desse efficacia applica-tiva a questa norma con il D.M. 9 maggio 2001.

E certamente trascorrerà altro tempo prima che tutti gli oltre 700 Comuni,le Province e le Regioni interessate, ciascuna per la sua parte, diano attuazio-ne al disposto del decreto: dunque ci si è solo avviati a dare una risposta al pro-blema.44

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 43: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

L’emanazione di questo Decreto dovrà mutare in modo sostanziale l’atteggia-mento con cui l’urbanista affronta il tema della localizzazione industriale in que-ste circostanze e ciò lo stimolerà ad estendere il proprio bagaglio conoscitivo ead ampliare in questa direzione gli studi di analisi, di valutazione, di progettazio-ne di cui deve fare uso per supportare le decisioni sulle trasformazioni del terri-torio. Certamente però ciò avverrà gradualmente e non facilmente e richiederàanche da parte della comunità scientifica delle iniziative per preparare o aggior-nare professionisti e tecnici degli Enti locali su concetti e strumenti idonei a farfronte anche a queste tematiche.

Alla ricerca della compatibilità fra esigenze dello sviluppo e sicurezza

La localizzazione di impianti di questa natura comporta, dunque, oltre alle scel-te economiche, tecniche e urbanistiche consuete per un insediamento indu-striale, valutazioni che tengano conto della distribuzione del rischio sul territorioe pertanto interagiscano anche su questo terreno con le politiche ed i piani digoverno delle trasformazioni, sia locali che a scala vasta. Si pone cioè una nonfacile ricerca di compatibilità fra esigenze dello sviluppo (industriale, economico,sociale, territoriale) e diritti alla sicurezza, alla salute ed alla salvaguardia da partedi popolazioni ed ambiente, sia naturale che artificiale.

La novità costituita dall’obbligo di introdurre negli strumenti urbanistici preci-se attenzioni a queste importanti componenti del sistema territoriale, rendevamanifesto ed inevitabile un problema trascurato e rimosso per decenni da ammi-nistratori e tecnici dell’urbanistica nelle centinaia di Comuni coinvolti dal proble-ma. E in alcuni di questi la presenza di impianti pericolosi era rilevante e ben notaa politici, sindacalisti, funzionari, professionisti ed alla stessa popolazione tantoda essere già oggetto di azioni e conflitti per limitarne i rischi.

Si è posta dunque l’esigenza di passare dalla logica della “emergenza” e dellosviluppo di metodologie di analisi, di intervento e di controllo su ciò che sollecital’incidente, sulle sue dinamiche e sulle probabilità di accadimento, alla definizio-ne di norme per governare il problema dalla parte del territorio, ovvero regolesulle modalità di urbanizzazione e sulle procedure con cui gli strumenti di pianifi-cazione e le Autorità locali devono rapportarsi con i documenti relativi alla sicu-rezza degli impianti (Rapporti di sicurezza, Notifiche) e con gli enti responsabilidel controllo di tali documenti e delle ispezioni, nelle zone interessate da taliimpianti. Ciò comporta non solo norme specifiche ma soprattutto l’estensionedell’ottica con cui sono stati considerati fino ad ora i rischi tecnologici connessi aquesti insediamenti.

Le caratteristiche tecniche degli impianti ed i programmi di attuazione di prov-vedimenti per garantirne la sicurezza sono infatti documentati dal gestore con un“Rapporto di sicurezza” (per gli impianti che l’art. 2 comma 1 della “Seveso II”indica come massimamente pericolosi in quanto trattano grandi quantità disostanze pericolose) o una “Notifica” (per gli impianti che lo stesso art. 2 comma1 indica come meno pericolosi per le minori quantità di sostanze rischiose che 45

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 44: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

trattano). Questi documenti investono le Autorità responsabili dell’applicazionedella “Seveso II” e del controllo e della sorveglianza sul rispetto dei programmiannunciati (il Comitato Tecnico Regionale, CTR), di cui lo stesso D.Lgs. n. 334/99agli artt.19 e 21 definisce tanto la composita struttura, fatta da rappresentanti deimolti organi coinvolti, quanto i compiti, tra i quali soprattutto l’istruttoria di verifi-ca dei Rapporti di sicurezza.

Al Ministero dei lavori pubblici, data la sua competenza istituzionale, è tocca-to il compito di introdurre metodologie più idonee con cui garantire la compatibi-lità fra territorio ed insediamenti umani, con le loro specifiche caratteristicheinsediative e le loro esigenze di sicurezza e di qualità della vita e dell’ambienteda una parte; e degli impianti industriali, con le loro non meno specifiche carat-teristiche di pericolosità e non meno importanti esigenze di funzionalità e di svi-luppo, dall’altra.

L’unica possibile via per conseguire questo difficile equilibrio consiste nel pro-gettare, modificare, integrare il contenuto e le procedure di pianificazione allediverse scale per introdurvi criteri di attenzione e di verifica delle reciprochecaratteristiche per assicurarne, pur a costo di sacrifici non facili da accettare néda una parte né dall’altra, condizioni di sicurezza.

Ciò ha comportato e comporterà la cooperazione fra tecnici della protezionecivile e analisti del rischio da una parte e urbanisti dall’altra, attorno ad un temacoltivato quasi in esclusiva dai primi e trascurato quasi del tutto dai secondi, conla conseguenza delle inevitabili difficoltà di lavoro comune in termini di linguag-gio, di concetti, di bagaglio tecnico e culturale sulla materia. Inoltre la limitataesperienza e tradizione disciplinare in campo urbanistico sul trattamento di que-sto problema, ha posto l’esigenza da una parte di attingere, oltre alle poche espe-rienze italiane, alla letteratura ed alle esperienze straniere di rapporto con la pia-nificazione territoriale su aree soggette a tali rischi e dall’altra di mettersi rapida-mente in grado di seguire l’iter della formulazione del Decreto attuativo del dispo-sto dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99, con simulazioni ed applicazioni sperimenta-li preventive sulle norme di controllo dell’urbanizzazione allo studio, per ridurrecon verifiche di affidabilità le incertezze applicative del decreto7.

Durante tutto l’iter di elaborazione del decreto, attraverso il supporto che ilDipartimento Interateneo Territorio ha fornito al Ministero dei lavori pubblici,sono state pertanto effettuate verifiche su alcuni casi reali o simulati, dei criterie delle procedure che via via venivano proposti, al fine di quantificare le nume-rose variabili da cui dipende l’entità del rischio in rapporto con le caratteristicheinsediative del territorio coinvolto, e di verificarne preventivamente tanto l’appli-cabilità quanto i problemi di interpretazione e di elaborazione ai quali potevanodare origine. Si sono così stimati sulla base delle tecniche specifiche dell’analisidel rischio e della pianificazione urbanistica la probabilità di accadimento dell’in-cidente, il danno prevedibile e la vulnerabilità del territorio circostante, valutatamediante la classificazione del territorio stesso in categorie che sintetizzano lecaratteristiche degli elementi presenti su di esso (caratteristiche morfologiche46

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 45: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

del luogo, numero di persone presenti, ore giornaliere di presenza, periodo diesposizione, tipologia dei soggetti). Si è infine valutata, la compatibilità fra le zonedi danno relative agli impianti esistenti o previsti e gli insediamenti esistenti oprevisti nello strumento urbanistico con un lavoro sperimentale di cui riferisceGiulio Pignatta nella seconda parte di questo volume (capitolo 12.4) e nella tesiriprodotta nel allegato8.

Nel presente contributo sono invece sintetizzati gli esiti di una seconda partedell’attività di supporto fornita al Ministero dei lavori pubblici da parte delDipartimento Interateneo Territorio: quella relativa ad una ricerca documentale.

I risultati di questo lavoro si sono articolati sui seguenti punti:– definizione di termini, concetti, problemi, processi decisionali relativi alla

gestione del rischio industriale in rapporto alla pianificazione territoriale;– comparazione dell’approccio e delle metodologie utilizzate in diversi contesti,

con riferimento alle direttive dell’Unione Europea e alle legislazioni in varipaesi europei e extraeuropei che su questa materia hanno precocementelegiferato ed operato con risultati positivi, al fine di discutere e documentarele possibili soluzioni da inserire nel decreto;

– confronto fra le proposte elaborate all’interno di ricerche e studi pilota (italia-ni e stranieri) in merito alla questione, per motivare le scelte dei contenuti tec-nici del decreto.

– alcuni degli esiti derivati dallo sviluppo di questo secondo filone della ricerca,articolato nelle tre parti documentarie appena indicate.In particolare il paragrafo su “Pianificazione territoriale e rischio nella lettera-

tura e negli studi pilota italiani e stranieri” riassume le questioni affrontate e gliapprocci adottati in alcuni casi ed in alcuni studi pilota condotti in paesi europei(Francia, Gran Bretagna e Olanda) e su tre studi italiani (per Napoli, Priolo e PortoMarghera) che hanno trattato il rapporto fra rischio industriale e pianificazione ter-ritoriale e costituiscono la base metodologica a cui si è attinto per la definizionedelle metodologie e dei criteri di tollerabilità del rischio nel decreto.

Il paragrafo su “Il contributo dalle prassi di governo del territorio di altri paesi”,attraverso il confronto fra le scelte in materia di strumenti di pianificazione adot-tate in alcuni paesi (in particolare Francia, Gran Bretagna, Germania e Olanda) perdeterminare la dimensione del rischio ai fini della elaborazione di criteri di pianifi-cazione territoriale, mette in luce sotto questo particolare punto di vista un aspet-to teorico rilevante e controverso: il dibattito fra l’approccio basato sul pericolo(deterministico) e quello basato sul rischio (probabilistico). Come già anticipato alparagrafo introduttivo di questo contributo, questo dilemma e questo confrontoscientifico perennemente presente in molte aree disciplinari e su molte questio-ni di grande rilevanza tecnica, ha permeato anche il lavoro e le scelte del Gruppointeristituzionale presso la Conferenza Stato - Regioni in merito alla impostazio-ne metodologica dei criteri con cui individuare gli elementi territoriali e ambien-tali vulnerabili, determinare le aree di danno, definire la compatibilità territorialee ambientale. Ed ancora continui rinvii a questa difficile scelta fra due filosofie e 47

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 46: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

fra due approcci della tecnica possono essere trovati in diversi contributi presentiin questo volume (ad esempio quello di Andrea Carpignano e quello di LucioSpaziante), a conferma delle incertezze epistemologiche che circondano questoaspetto.

Il paragrafo conclusivo richiama gli elementi di maggiore interesse che emer-gono da ricerche e studi pilota in Italia ed all’estero e dagli orientamenti della pia-nificazione urbanistica in alcuni dei paesi stranieri che hanno affrontato da tempoil problema del controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidente rile-vante. Questi esiti aiutano a collocare in un quadro di riferimento scientifico edoperativo di ampia scala uno strumento normativo quale il D.M. 9 maggio 2001che ha appena cominciato a determinare ricadute di rilievo ed ancora molte e piùvistose ne determinerà nei prossimi mesi, sulle procedure e sui modi della pia-nificazione e della urbanizzazione nelle numerose e vaste aree del nostro Paeseinteressate da impianti industriali a rischio di incidente rilevante.

Dunque questo duplice lavoro, documentario e sperimentale, è servito,secondo una modalità certamente non consueta per le prassi di predisposizionedi un atto amministrativo com’è quello oggetto delle riflessioni contenute in que-sto volume, ad individuare ipotesi coerenti con le risultanze di un dibattito inter-nazionale in merito a definizioni, norme, procedure tecniche da assumere neldecreto ed a confrontarle preventivamente con le analoghe scelte operate incontesti stranieri dove tali normative erano già consolidate o con i risultati disimulazioni sperimentali dell’applicazione del decreto nel contesto nazionale.

Pianificazione territoriale e rischio nella letteratura e negli studi pilota

italiani e stranieri

La letteratura di settore sul rapporto fra pianificazione degli usi del suolo erischio tecnologico.

La letteratura di settore manifesta chiaramente la consapevolezza di studiosie tecnici sulla importanza e sulla difficoltà del collegamento fra rischio tecnologi-co e pianificazione territoriale per riuscire a far efficacemente fronte al problemadella compatibilità fra queste due entità.

Dal punto di vista teorico sono stati perciò operati numerosi sforzi per riusci-re a definire dei criteri di tollerabilità del rischio nei confronti del sistema inse-diativo circostante e, dal punto d vista pratico, sono stati svolti numerosi studi dicasi in aree industriali particolarmente problematiche per testarne l’applicabilità.

Molti autori sottolineano come il principale obiettivo della pianificazione degliusi del suolo nelle vicinanze di insediamenti pericolosi sia soprattutto la neces-sità di assicurare che le conseguenze dei potenziali incidenti siano prese in con-siderazione ogniqualvolta si decida in merito alla localizzazione di nuove installa-zioni, all’estensione o alla trasformazione degli stabilimenti esistenti, alla deter-minazione degli usi del suolo nelle vicinanze dell’impianto a rischio, alla proposta48

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 47: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

di nuovi insediamenti nelle vicinanze degli impianti industriali a rischio (Christou,Amendola, Smeder, 1999).

A questi aspetti si collegano altri elementi problematici, quale per esempio ilfatto che la determinazione degli usi del suolo nelle vicinanze degli impianti com-porta automaticamente la necessità del controllo dei recettori del rischio, delladeterminazione dei criteri di tollerabilità del rischio e la necessità di evitare ilcosiddetto effetto domino, ossia la propagazione e l’amplificazione degli effettidell’incidente su vasta scala attraverso l’interazione con il contesto.

Ritenere però strategico il ruolo della pianificazione territoriale per gestire emitigare il rischio tecnologico comporta che si sia in grado di compiere alcuneoperazioni, quali:– l’identificazione dei criteri per la verifica della compatibilità degli stabilimenti

con il territorio;– l’integrazione del “fattore rischio” nelle procedure di pianificazione esistenti;– il coordinamento della pianificazione territoriale con le procedure di controllo

sulle installazioni pericolose (Rapporti di sicurezza e Notifiche);– la definizione delle modalità di comunicazione del rischio alla popolazione;– la definizione del supporto tecnico necessario al processo decisionale e del-

l’organo competente a fornirlo;– l’attribuzione delle specifiche competenze in materia e la definizione dell’op-

portuno margine di discrezionalità del decisore.Va inoltre tenuto presente che l’integrazione delle problematiche del rischio

nei processi di pianificazione territoriale comporta che il processo decisionale sitrovi ad affrontare obiettivi spesso contrastanti, quali la sicurezza della popola-zione da un lato e la valorizzazione economica del territorio dall’altro, soprattuttoin termini di opportunità occupazionali e redditività della lavorazione industriale ascala locale e nazionale (Murray, 2002).

Di conseguenza, l’utilizzo di ampie distanze cautelative di separazione presta-bilite tra gli insediamenti industriali a rischio e gli altri insediamenti – metodo effi-cace per assicurare la sicurezza delle persone e di ambienti particolarmente vul-nerabili – non è scontato che risponda a generali princìpi di sostenibilità. La terraè un bene economico scarso e non riproducibile e l’esclusione dell’uso urbanoda vaste e talora molto appetibili zone, oltre ad essere poco gradita a proprietaridelle aree ed amministratori locali, potrebbe essere inutilmente penalizzante egravosa per il modello insediativo e per lo sviluppo economico locale.

D’altra parte il tema della vulnerabilità territoriale e ambientale costituisce un ele-mento decisamente rilevante da tenere in considerazione fin dall’inizio nei proces-si di governo e di pianificazione territoriale delle aree interessate da stabilimenti conqueste caratteristiche, come sottolineato anche da Gabor e Griffith (1980). Appareevidente come certe fasce di popolazione possono essere più vulnerabili di altre alleconseguenze di un possibile incidente: bambini, ammalati e anziani. Inoltre, gli abi-tanti di un’area residenziale possono essere meno pronti a seguire procedure d’e-mergenza di quanto non lo siano gli addetti degli stabilimenti industriali. 49

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 48: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Analogamente diverse possono essere le conseguenze di un incidente suambienti naturali (aree protette, parchi, aree particolarmente sensibili) o artificia-li (monumenti, aree caratterizzate dalla presenza di patrimonio storico-artistico dirilevante valore ecc.).

È evidente che le scelte relative all’urbanizzazione agiscono dunque suentrambi i versanti da cui dipende la dimensione del rischio: da un lato quello cheproduce la sollecitazione (localizzazione, dimensione, caratteristiche tecnologi-che dell’impianto industriale); dall’altro quello che determina le probabilità e glieffetti dell’incidente, ovvero la propensione al danno del sistema ricevente(distanza, usi dei suoli, caratteristiche e modalità di svolgimento delle funzionipresenti negli insediamenti che circondano l’impianto).

Le esperienze esaminate nella letteratura specialistica hanno chiaramentedimostrato che la vulnerabilità del sistema territoriale è inoltre fortemente corre-lata con numerosi altri aspetti dell’assetto insediativo e dell’utenza quali la dina-mica evolutiva dell’area, la forma degli insediamenti, l’accessibilità e le caratteri-stiche delle reti infrastrutturali, la politica fondiaria, la normativa urbanistica e lacapacità di applicarla da parte degli Enti preposti.

Dunque è certamente molto complesso regolamentare questa materia perchémolto del successo nel gestire il rapporto insediamenti industriali-territorio dipen-derà dalla capacità di comprendere e di valutare caso per caso le possibilità di uti-lizzare i molti margini che sempre rimangono per decisioni incrementali che agi-scano sui due fronti (quello dell’impianto, quello dell’insediamento circostante).

Ciò non toglie che sia necessario definire requisiti minimi di sicurezza per gui-dare il comportamento di gestori ed amministratori locali, per farsi carico soprat-tutto di quei casi in cui il senso di responsabilità o il comportamento di ciascunopotrebbe essere carente.

Sembra dunque necessario introdurre un approccio integrato e interdiscipli-nare che permetta l’utilizzo di metodologie di valutazione di diversi scenari allo-cativi, sulla base delle varie componenti in gioco (De Marchi e Menoni, 1996;Menoni, 1997): molta parte della letteratura di settore, citata tanto al termine diquesto contributo quanto nell’apposito capitolo finale dedicato ad una più vastaraccolta di riferimenti bibliografici importanti, concorda su queste conclusioni.

Gli studi pi lota in materia di pianificazione e rischio industriale

Negli ultimi anni grazie alle esigenze applicative poste dalla Direttiva “SevesoII” sono stati sviluppati numerosi studi e approfondimenti su casi (veri e propri“studi pilota”) che focalizzano l’attenzione sulla questione del rapporto tra piani-ficazione territoriale e rischio di incidente rilevante in contesti di particolare com-plessità ed interesse.

Alcuni di questi studi si propongono addirittura come guide per l’interpreta-zione dei requisiti che deve assumere la pianificazione degli usi del suolo, anchein relazione alla questione degli effetti transfrontalieri che tali incidenti possonocomportare: situazione giuridicamente molto complessa e tutt’altro che rara.50

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 49: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In Francia, Gran Bretagna e Olanda, alcuni di questi studi nati per la definizio-ne delle metodologie e dei criteri di tollerabilità del rischio hanno poi fornito labase a partire dalla quale sono state elaborati metodologie, criteri e procedure dipianificazione territoriale a livello nazionale (Lione, Canvey Island, Rijnmond).

Anche l’Italia ha elaborato degli studi pilota che hanno visto coinvolte diretta-mente le Amministrazioni locali e le parti amministrative e sociali interessate (IsolaBergamasca, Porto Marghera, progetto ARIPAR per Ravenna, Piombino, Mantova).

Nel predisporre i contenuti del decreto alcuni di essi sono risultati particolar-mente utili: costituiscono infatti un importante riferimento per “tarare” le valuta-zioni e le elaborazioni su cui basarsi per fare interagire tra loro la logica della cer-tezza, necessaria per definire regole di governo del territorio efficaci, e quelladella probabilità, propria di una materia quale l’analisi del rischio.

Inoltre, ancora a partire dagli studi pilota, sono state condotte altre riflessioni inmerito alle possibili relazioni intercorrenti tra la “Seveso II” e le direttive IPPC –Integrated Pollution Prevention and Control – EIA – Environmental ImpactAssessment – ed EMAS – Environmental Management and Audit Scheme –, cer-cando eventuali sinergie tra i vari strumenti: obiettivo particolarmente rilevante in con-siderazione del fatto che per i nuovi insediamenti molte di queste procedure sonoobbligatorie e dunque prevederne la predisposizione integrata è l’unica via praticabi-le per ottenere soluzioni realmente “sostenibili” ed evitare risultati fra loro conflittuali.

Riteniamo pertanto interessante in questa sede riassumere le caratteristichee le conclusioni di tali studi perché costituiscono riferimenti metodologici impor-tanti ed hanno effettivamente fatto da sfondo, solo pochi anni fa, ad alcune dellepiù difficili scelte tecniche che oggi consideriamo acquisite e che sono state per-tanto utilizzate anche nella stesura del D.M. 9 maggio 2001. Una rapida panora-mica dei loro contenuti e delle loro conclusioni è il più efficace strumento percomprendere la difficoltà del cammino percorso in questi anni e le molte inerzieda vincere per compiere ulteriori passi avanti.

I l progetto di Canvey Island (Gran Bretagna)

Il progetto di Canvey Island è stato condotto nel 1976, prima dell’incidente diSeveso, e rappresenta “una pietra miliare in materia di rischi d’area” (Besi, 1996).

Promosso dall’Health and Safety Executive (HSE), lo studio aveva preso spun-to da un rapporto relativo a un sondaggio pubblico da cui risultava la fortissimaavversità della popolazione al piano di ampliamento delle raffinerie delle UnitedRefineries Limited e aveva lo scopo di fornire adeguate risposte ai cittadini e unsupporto di informazioni alle Autorità pubbliche.

L’indagine riguardava il rischio potenziale sulla popolazione dell’area derivanteda incidenti rilevanti, sia per le installazioni esistenti, sia per quelle proposte.

Canvey Island, situata sull’estuario del Tamigi, è caratterizzata dalla presenzadi grandi installazioni industriali, così come molte aree limitrofe. L’indagineriguardò però non solo gli impianti, ma anche i possibili incidenti derivanti dal tra-sporto di sostanze pericolose. 51

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 50: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Dopo una prima fase di selezione e censimento degli impianti esistenti, per iquali non esisteva peraltro nessun dato sul rischio potenziale di incidente né sullemisure per gestirlo, venne effettuata la vera e propria analisi di rischio. Per lavalutazione della probabilità di accadimento degli incidenti e delle loro conse-guenze sulla popolazione venne adottato un approccio quantitativo, sia per ladeterminazione del rischio sociale, sia per la definizione del rischio individuale.

Per la stima delle conseguenze degli eventi incidentali, ci si basò sulle espe-rienze antecedenti e su valutazioni teoriche in merito ad alcuni tipi di incidenti,senza tener conto della probabilità di accadimento.

In seguito furono individuati dei criteri di attenuazione dei rischi sulla base delcriterio “as reasonably praticable”, tenendo conto di stime e medie nazionali deirischi industriali comuni.

È interessante rilevare che una delle raccomandazioni finali del gruppo di studiofu quella di adottare misure affinché nuovi sviluppi nell’area fossero consentiti soloa patto che non innalzassero il livello di rischio esistente all’epoca per la popolazio-ne né aumentassero in modo significativo l’entità della popolazione residente.

Lo studio su Canvey Island è ritenuto dunque particolarmente significativoperché in tempi molto precoci:– ha adottato un approccio quantitativo nella determinazione del rischio;– ha adottato modelli di analisi basati sull’esperienza e le modalità di gestione

delle industrie;– ha coinvolto il più possibile tutte le Autorità locali e la popolazione;– ha condotto analisi di rischio anche su installazioni progettate, ma non anco-

ra realizzate;– ha sconsigliato la concessione di nuove autorizzazioni senza la preventiva rie-

samina della situazione generale di rischio nell’area.

I l progetto-pilota di Rijnmond (Paesi Bassi)

Anche lo studio sull’area di Rijnmond venne avviato verso la fine degli annisettanta da una commissione locale appositamente istituita a supporto delleAutorità locali in materia di determinazione del rischio industriale per la popola-zione. Gli attori coinvolti erano sia l’associazione locale degli industriali, sia gli Entipubblici e le Autorità locali aventi in qualche modo competenze nei settori delmonitoraggio e del controllo ambientale, delle politiche di sviluppo industrialenell’area, nelle politiche di sicurezza dei lavoratori.

L’area in esame, estesa da Rotterdam al Mare del Nord, è caratterizzata dallapresenza del porto di Rotterdam e da una vasta agglomerazione di attività indu-striali, soprattutto chimiche e petrolchimiche.

Il progetto era volto alla valutazione del rischio, sia per i lavoratori, sia per lapopolazione residente nell’area, ma soprattutto intendeva sondare la validitàdelle stesse tecniche di valutazione del rischio.

Lo studio si è articolato in una prima fase di raccolta dei dati di base e di defi-nizione dell’area di studio, per proseguire poi con l’identificazione e la selezione52

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 51: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

degli scenari incidentali rappresentativi. A questi scenari vennero poi applicati imigliori modelli disponibili per il calcolo dei vari fenomeni fisici derivanti dagli sce-nari incidentali e delle conseguenze degli effetti fisici sulla popolazione e sul per-sonale impiegato negli stabilimenti.

Furono poi raccolti e applicati i dati di base e i modelli migliori per calcolare laprobabilità di accadimento degli incidenti, al fine di valutare l’impatto globaledegli scenari incidentali selezionati, i cui risultati furono poi vagliati per assicurar-ne la affidabilità.

Infine, fu condotta un’indagine sull’influenza delle misure di riduzione delrischio sui livelli di rischio calcolati, sebbene questa parte dello studio fosse inrealtà sviluppata poco.

I risultati più interessanti del progetto-pilota per Rijnmond sono stati:– lo sviluppo delle metodologie di valutazione del rischio;– la sollecitazione ad introdurre “forme di presentazione dei risultati più com-

plete, quali le curve di iso-rischio, particolarmente apprezzate per la loro capa-cità di riassumere in maniera concisa una grande mole di informazioni e diessere particolarmente utili in sede di pianificazione del territorio e di elabo-razione dei piani di emergenza”9.

Alcuni casi studio ital iani: Napoli, Priolo, Marghera, Ravenna, Mantova

Per finire riteniamo utile segnalare, tra i primi studi condotti nella logica chequi è stata privilegiata, tre ricerche condotte in Italia, relative rispettivamente allaProvincia di Napoli (1988), al Comune di Priolo Gargallo (1988) e all’area indu-striale di Porto Marghera (1988).

Per il periodo e per i contenuti questi studi sono sicuramente atipici rispettoad altri analoghi e meritano pertanto di essere ricordati perché precocementeaffrontano il problema non solo dalla parte dell’impianto, ma con attenzione alcomplesso dei problemi ambientali delle aree esaminate. Va detto però che, al dilà della felice intuizione del problema, non possiamo citare risultati particolar-mente utili in quanto non proponevano indicazioni significative in merito al con-trollo della pianificazione.

Molto più significativi sono due altri studi prodotti alcuni anni dopo: quello perl’area portuale di Ravenna e quello per l’area industriale di Mantova.

Il primo, il progetto ARIPAR, avente come oggetto di studio l’area industrialee portuale di Ravenna (1987-92), era mirato all’acquisizione di una conoscenzaanalitica della situazione di rischio nell’area, anche ai fini della pianificazione ter-ritoriale e urbana. Oggi viene utilizzato, seppure in versione riveduta e correttadalla SNAM e viene valutato insieme ad altri per costruire uno standard di anali-si e valutazione valido per tutti i paesi dell’Unione Europea. Un obiettivo del pro-getto, infatti, era quello di valutare la compatibilità ambientale di nuovi sviluppidelle attività industriali a fronte dell’uso del territorio per poter avere degli indi-rizzi utili dal punto di vista infrastrutturale, tecnologico e organizzativo. Lo studioha permesso di determinare le aree soggette a rischio maggiore, le sorgenti di 53

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 52: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

rischio e gli effetti degli interventi sulle zone stesse, e di formulare delle ipotesidi sistemazione / sviluppo urbanistico.

Il secondo, destinato a valutare il rischio d’area a Mantova (1998) è stato con-dotto di concerto con il Comune dall’Istituto Superiore della Sanità e dalla Asl pro-vinciale10. Secondo gli estensori dello studio, l’analisi di rischio costituisce “unostrumento analitico molto potente che può supportare il processo decisionale”,sebbene non debba “pretendere di essere l’unico determinante nella decisio-ne”11. Importanti sono alcune considerazioni sulla grande ricchezza informativa,spesso ignorata, disponibile localmente e sulla necessità pertanto di organizzar-la e valorizzarla per studiare e monitorare l’evoluzione di processi da cui il rischiodipende. Inoltre lo studio sottolinea l’importanza della cooperazione fra attori,segnalando il fatto che le Amministrazioni Pubbliche possono acquisire grandecapacità decisionale allorché “riescono a integrare la pluralità di approcci, di valu-tazioni e di linguaggi di tutti gli attori presenti sul territorio per fornire concretez-za ai risultati raggiunti”12.

Il contributo dalle prassi di governo del territorio di altri paesi

Oltre al supporto fornito dalla letteratura e dagli studi-pilota, alcuni interes-santi contributi tecnico-scientifici sono venuti a questo studio ed all’attività delGruppo interistituzionale che ha collaborato alla stesura del D.M. 9 maggio 2001dall’analisi delle opzioni effettuate da altri paesi nell’applicazione della Direttiva“Seveso II” alle proprie prassi di governo del territorio.

I paesi dell’Unione Europea presentano un quadro molto eterogeneo sia inmerito all’esistenza o meno di procedure già strutturate per la valutazione delrischio all’interno dei processi di pianificazione, sia in merito all’utilizzo dellametodologia di valutazione.

Inoltre va detto che le tradizioni di molti paesi che con anticipo hanno affron-tato nella propria normativa di governo del territorio il tema della gestione delrischio tecnologico, divergono nettamente quanto a tipo di approccio con cuiaffrontare la necessità di stabilire requisiti minimi di sicurezza.

Di fronte alle due fondamentali alternative (approccio deterministico, approc-cio probabilistico) la situazione si presenta pertanto molto variegata.

Un elemento è invece comune, e proposto con modalità particolarmente inte-ressanti in alcuni dei paesi all’avanguardia nella gestione del rapporto urbanizza-zione-rischio tecnologico. Si tratta della grande importanza assegnata e dellemolte pratiche sperimentate nella consultazione del pubblico. È questo il caso,ad esempio, di Germania, Francia, Paesi Bassi, Gran Bretagna.

Di seguito dunque questa comparazione con il contesto internazionale, alme-no nelle situazioni di particolare interesse, viene trattata in modo articolato al finedi trarne utili suggerimenti anche in vista di possibili future evoluzioni della nor-mativa “Seveso II” e dunque anche delle norme per il controllo dell’urbanizza-zione che ad essa fanno riferimento.54

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 53: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Approccio deterministico o probabil istico nella determinazionedegli effetti incidentali? Le opzioni dei principali paesi stranieri

Tanto per l’esperto di analisi del rischio quanto per l’urbanista i criteri di rap-presentazione dei diversi tipi di rischio (individuale, sociale) e i metodi per la suavalutazione sono componenti fondamentali del processo decisionale a cui i loropareri e contributi tecnici forniscono supporto: ciò costituisce in qualunque con-testo un problema tecnico-scientifico di difficile soluzione e soprattutto un terre-no di non facile dialogo fra discipline.

Si è già argomentato al paragrafo introduttivo di questo contributo il motivoper cui non necessariamente l’utilizzo di un criterio escluda l’uso dell’altro.Ciononostante sempre si ripropone la scelta tra la possibilità di ricorrere alladeterminazione di distanze predefinite di separazione fra le attività, utilizzando un“approccio deterministico”, e quella di graduare i provvedimenti in ragione dellaprobabilità di accadimento dell’evento, secondo un “approccio probabilistico”.Anche i diversi paesi si sono trovati di fronte a questa scelta che corrisponde aduna diversa filosofia di fondo ed hanno espresso opzioni diverse, per i carattericontrapposti che sovente la struttura normativa di controllo dell’urbanizzazioneassume nei singoli paesi.

Certamente in tutti i casi la materia della pianificazione è dominata dallanecessità di definire in modo certo, e dunque non probabilistico, le possibilitàe le modalità di trasformazioni del territorio. Le norme urbanistiche sia purein modo diverso sono in tutti i paesi l’equivalente di un contratto fra pubblicoe privato per definire diritti e doveri delle due parti. Dunque è auspicabilegovernare il territorio non sulla base di probabilità ma di certezze in merito allepossibilità di uso del suolo: lo richiedono tanto il mercato di suoli, che da que-ste norme è fortemente condizionato, quanto le politiche locali, che devonodecidere investimenti ed azioni. Ciononostante in molti casi si è addivenuti alinee di compromesso, meno gradite ma più praticabili, fra la definizione diaree di danno predefinite e la graduazione del vincolo in ragione delle proba-bilità di eventi incidentali, di natura del danno e di categorie di funzioni pre-senti o previste.

Non stupisce dunque che le scelte metodologiche dei diversi paesi si sianodiversificate nei confronti di questi due percorsi ed abbiano oscillato fra di essi,talora privilegiando proprio la combinazione dei due.

Dovendo decidere l’orientamento da assumere per la normativa da proporreper l’Italia il gruppo di lavoro ha pertanto riflettuto anche sulle scelte fatte dai nonmolti paesi che su questa materia hanno già legiferato e ne ha tratto elementiutili per la definizione di una propria linea tecnica travasata in particolare nellastruttura dell’Allegato al Decreto.

Nei paragrafi successivi questo lavoro comparativo è riproposto in modo sin-tetico, attraverso l’esposizione delle scelte effettuate da alcuni dei paesi più inte-ressanti a questo fine. 55

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 54: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Un confronto tra le varie esperienze permette intanto di evidenziare subitocome in Germania e in Svezia si sia privilegiato l’approccio deterministico e dun-que la determinazione di distanze generiche, basate per lo più sull’esperienza esull’impatto ambientale delle varie attività, mentre il Belgio-Fiandre e l’Olandahanno optato per l’approccio probabilistico, utilizzato anche da Svizzera, Australiae Canada.

Il Belgio-Vallonia, la Francia, la Finlandia, il Lussemburgo, la Spagna e la Svezia(e gli USA) utilizzano l’approccio deterministico e così fa anche la Gran Bretagnache utilizza però l’approccio deterministico per quei casi in cui il danno potenzialeè derivato da fenomeni di natura esplosiva o termica e l’approccio probabilisticoper i casi in cui il danno prevede la dispersione in atmosfera di sostanze tossiche.

La tabella 1 che segue presenta un quadro riassuntivo dei vari approcci utiliz-zati sia dai paesi dell’Unione Europea, sia da paesi extra UE.

56

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Paese Approccio Approccio Distanzedeterministico probabilistico generiche

UE Belgio-Fiandre X

Belgio-Vallonia X

Finlandia X

Francia X

Germania X X

Lussemburgo X

Olanda X

Spagna X

Svezia X X

Regno Unito X X

Extra UE Australia X

Canada X

Svizzera X

USA X

(Rielaborazione da: Christou et al., 1996, 1999).

Tabella 1 - Le metodologie adottate per la valutazione del rischio in relazione alla pianificazione terri-toriale nei paesi dell’Unione Europea e in alcuni paesi extra UE.

Competenze e procedure per il controllo dell’urbanizzazione nelle aree arischio di incidente rilevante in alcuni paesi.

Passando ora rapidamente in rassegna le scelte effettuate dai singoli paesi chehanno già affrontato la questione in termini utilmente comparabili con la situazio-ne italiana, emerge la varietà di comportamenti sia in quanto a responsabilità, sia

Page 55: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

in quanto a criteri adottati per definire i requisiti minimi di sicurezza nelle aree sog-gette a rischio di incidente rilevante, sia in quanto a percorsi attraverso cui avven-gono la raccolta di informazioni sulle caratteristiche dell’impianto e del territorio, ilrilascio dell’autorizzazione all’insediamento o alla trasformazione, l’adattamentodegli strumenti di pianificazione alla presenza di queste situazioni critiche.

Il confronto fra questi diversi orientamenti ha fatto da quadro di riferimentoper il dibattito fra le diverse componenti del Gruppo Tecnico presso laConferenza Stato-Regioni, al fine di individuare le scelte ritenute più idonee allasituazione italiana.

Tra i paesi dell’Unione Europea, Francia, Regno Unito, Germania e Olandahanno già adottato nelle legislazioni nazionali dei criteri per la pianificazione ter-ritoriale e l’attribuzione delle destinazioni d’uso dei suoli nelle aree poste inprossimità delle industrie a rischio di incidente rilevante. Altri paesi, come laSvezia, pur non avendo definito una specifica procedura, fanno riferimento adistanze di danno stimate in base alle emissioni rilasciate normalmente dall’im-pianto in attività.

Per ciò che riguarda i paesi europei fuori dall’UE e quelli extraeuropei, per ladefinizione del livello di rischio Svizzera e Canada basano le loro norme su un cri-terio di definizione del rischio probabilistico, mentre negli Stati Uniti l’Agenzia perla Protezione dell’Ambiente, pur non avendo definito delle linee guida per il con-trollo dell’urbanizzazione, procede con un approccio deterministico ad elaborarela pianificazione d’emergenza e le campagne di comunicazione al pubblico.

Francia

Attualmente (2002) la Francia conta 1250 siti catalogati “Seveso II”, di cui570 a rischio e 680 ad alto rischio.

Per ricevere l’autorizzazione all’attività, i gestori devono produrre una valuta-zione in merito alle conseguenze attendibili dalla loro attività, prendendo in con-siderazione un certo numero di scenari standard e provando altresì che sonostate prese tutte le misure di sicurezza idonee a minimizzare il pericolo. Lo “stu-dio di pericolosità” (étude de dangers) finale deve chiaramente riportare tutti glielementi, i dati e le variabili da tenere in considerazione ai fini di una correttagestione degli usi del suolo attorno agli stabilimenti pericolosi.

L’urbanizzazione nelle aree in prossimità degli insediamenti industriali arischio è sottoposta a restrizioni diversamente articolate, a seconda che ci si trovinella zona più vicina allo stabilimento (definita sulla base delle distanze di inizioletalità) o quella più lontana (definita sulla base delle distanze di inizio degli effet-ti irreversibili).

Nell’area più interna sono possibili solo modifiche di abitazioni esistenti o diuffici, senza possibilità di ampliamenti o di modifiche di destinazione d’uso, esono individuate delle aree non aedificandae negli spazi ancora liberi; nell’areapiù esterna sono ammesse anche aree sportive senza strutture per il pubblico; 57

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 56: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

al di fuori di essa sono accettati edifici multipiano o edifici ad uso pubblico. Vasegnalato come elemento di particolare interesse il fatto che, contestualmenteal controllo sulle aree di urbanizzazione, sia considerato anche quello sulla reteinfrastrutturale: infatti limitazioni sono previste anche sulla maglia delle vie di cir-colazione (sia su gomma, sia su ferro).

Nel caso di nuovi insediamenti industriali a rischio, la domanda deve conte-nere una valutazione d’impatto ambientale, una valutazione del rischio e delleconseguenze di eventuali incidenti, una descrizione dei vari meccanismi di pre-venzione e di emergenza e una documentazione tecnica sulla sicurezza del per-sonale addetto.

Il decisore competente è il prefetto, dopo aver raccolto il parere delle Autoritàlocali e della popolazione, cui lo stesso prefetto trasmette gli studi di prevenzio-ne del rischio e di “pericolosità” prodotti dal gestore dell’impianto, secondo i det-tami dell’art. L.121-2 del Codice dell’Urbanizzazione.

Il prefetto può precisare le misure da adottare in un progetto d’interessegenerale - Project d’Intérêt Général (PIG) che, una volta notificato alle comunitàlocali, impone la modifica del piano urbanistico locale, in modo che le disposizio-ni contenute nel PIG possano avere valenza diretta sulle concessioni a edificare.È anche possibile che il prefetto istituisca una servitù d’utilità pubblica attornoalle principali installazioni industriali13.

Le Directions Régionales de l’Industrie, de la Recherche et de l’Environnement(DRIRE), che agiscono per conto del Ministère de l’aménagement du territoire etde l’environnement, hanno il compito di controllare le attività industriali suscettibi-li di avere un impatto sull’ambiente, attraverso il coordinamento a livello regionaledelle ispezioni degli insediamenti industriali, nei settori della prevenzione dei rischitecnologici maggiori, della riduzione degli inquinamenti e delle nocività ambientalie nel controllo e nell’eliminazione dei rifiuti industriali.

Inoltre, le DRIRE hanno il ruolo di attivare i vari attori dell’ambiente, attra-verso associazioni di sorveglianza della qualità dell’aria (39 associazioni), segre-tariati permanenti per la prevenzione degli inquinamenti industriali (11 segreta-riati detti SPPPI) e commissioni locali d’informazione e di sorveglianza (più di300 CLIS)14.

Le SPPPI (Secrétariats Permanents pour la Prévention des PollutionsIndustrielles) sono create laddove la densità di insediamenti industriali sia par-ticolarmente alta. È interessante notare che queste strutture riuniscono l’in-sieme delle parti interessate (Amministrazioni, industriali, esperti, associazioniper la protezione della natura, rappresentanti nominati dalle Autorità) e per-mettono di concertare gli orientamenti della politica locale di prevenzione degliinquinamenti e dei rischi industriali. Le riunioni periodiche delle diverse com-missioni afferenti al segretariato (acqua, aria, rischi industriali, informazione)permettono di fare il punto sulla situazione delle installazioni interessate, di sta-bilire dei programmi volti alla riduzione degli inquinamenti e di seguire gli svi-luppi dei programmi stessi15. Di particolare importanza, inoltre, le CLIS, ossia58

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 57: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

le Commissions Locales d’Information et de Surveillance, che permettono lapartecipazione dei cittadini al processo decisionale, per esempio in merito allalocalizzazione dei siti e alle modalità di trattamento dei rifiuti in conformità alledisposizioni di legge16.

Gran Bretagna

In Gran Bretagna, l’Health and Safety Executive – HSE costituisce l’organotecnico statale che supporta le Autorità di Pianificazione Locali (LPA) in meritoagli impianti “Seveso II” e alle raffinerie. Esso possiede anche potere di vetorispetto all’insediamento di certi usi del suolo all’interno delle aree di immediatavicinanza a stabilimenti a rischio esistenti e può chiedere l’annullamento delladecisione in merito alla costruzione di nuovi stabilimenti o nuovi insediamentiattorno a stabilimenti esistenti.

L’esperienza dello HSE in questa materia è trentennale: nel Regno Unito,infatti, si applicano regole di controllo degli usi del suolo attorno agli stabilimentia rischio e alle raffinerie sin dai primi anni settanta, pur con un’evoluzione neltempo dei criteri decisionali e dei metodi di determinazione del rischio.

La base della procedura di valutazione delle possibilità d’uso del suolo è costi-tuita da un’analisi del rischio per gli stabilimenti particolarmente pericolosi ed ècondotta dall’Health and Safety Executive, che ha anche individuato dei parame-tri per la valutazione della vulnerabilità degli insediamenti umani, quali la vulnera-bilità della popolazione presente (per classi di età e stato di salute), il tempo dioccupazione delle aree e degli edifici, il numero di persone potenzialmente pre-senti, la probabilità per le persone di trovarsi all’interno o all’esterno degli edificio di trovare riparo, le caratteristiche strutturali degli edifici, in termini di altezza,materiali, ventilazione ecc.17.

In base a tali parametri sono state definite quattro categorie di sviluppodegli insediamenti, che sono variamente compatibili con le sotto-zone definiteall’interno della cosiddetta zona di consultazione18: strutture pubbliche alta-mente vulnerabili o di grandi dimensioni (scuole, ospedali, ospizi, stadi sporti-vi); strutture residenziali (abitazioni, alberghi, luoghi di soggiorno); centri diattrazione pubblica (edifici commerciali di grande superficie, strutture collettivee ludiche); strutture a bassa densità (piccole industrie, campi gioco all’aperto).Per quest’ultima categoria, è sempre permesso lo sviluppo all’interno delle tresotto-zone.

L’applicazione di questa procedura permette di supportare efficacemente idecisori locali in materia di urbanizzazione per circa l’80% dei casi; per il restan-te 20%, quelli di particolare complessità, sono necessarie delle analisi e dellevalutazioni integrative, quali per esempio il calcolo del rischio sociale e il suo raf-fronto con altri parametri.

Infine va ricordata, anche in questa materia, la ben nota attenzione degli ingle-si agli aspetti di trasparenza e di coinvolgimento della popolazione nel governodel territorio: nella fase di autorizzazione il Rapporto di sicurezza è in Gran 59

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 58: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Bretagna un documento pubblico; ed inoltre nel caso di situazioni controverse èin uso la prassi delle inchieste pubbliche (public inquiry).

L’approccio inglese, particolarmente interessante, è dunque tra quelli chehanno dato i maggiori stimoli per le scelte effettuate nel caso italiano.

Germania

Va subito segnalato in merito alla situazione della Germania, che la definizio-ne di distanze di sicurezza è prevista già nel caso delle normali attività industria-li, al fine di proteggere la popolazione dalle comuni emissioni. Nel caso di inse-diamenti a rischio di incidente rilevante queste misure sono solo amplificate perprevenire o minimizzare gli effetti di maggiore dimensione degli incidenti con piùalte probabilità di accadimento.

Le distanze di sicurezza in ogni caso sono definite sulla base di valutazionidella pericolosità dell’impianto ed in rapporto ai possibili effetti sulla saluteumana: decesso, lesioni gravi o effetti irreversibili sulla salute sono consideratiinaccettabili.

La valutazione del rischio di ciascun impianto è effettuata secondo l’approc-cio deterministico, ma tenendo conto del grado di vulnerabilità del territorio checirconda lo stabilimento / l’insediamento industriale a rischio.

La Commissione per la Sicurezza delle Installazioni (StörfallKommission) ha laresponsabilità di informare il Governo sulla previsione degli eventi incidentali esulla conseguente loro riduzione, oltre che il compito di determinare norme disicurezza degli impianti e prevenzione. Di recente, la Commissione ha sviluppatouna procedura standard per la determinazione delle distanze di sicurezza nella pia-nificazione territoriale, sulla base dello studio di scenari di incidente rilevante19.

L’elemento centrale di questo metodo è costituito cioè dalla selezione di unaquantità critica di sostanze pericolose all’interno dello stabilimento, così dacostruire lo scenario incidentale che funge da presupposto per le decisioni inmerito di pianificazione del territorio.

Quanto alle proposte di trasformazione o di nuovi insediamenti, qualsiasi pro-posta di nuova urbanizzazione nelle vicinanze di impianti a rischio di incidente rile-vante comporta una verifica della eventuale mutata compatibilità tra impiantoindustriale ed indicazioni del piano vigente e, in caso negativo, una variazionedello strumento urbanistico.

L’installazione di nuovi impianti a rischio è ovviamente subordinata a una pro-cedura che prevede l’elaborazione di un Rapporto sulla sicurezza, così come pre-visto dalla Direttiva 82/501/CE. Questo rapporto va asseverato da una specialeautorità che può imporre delle condizioni addizionali e speciali per assicurare l’e-liminazione della pericolosità dell’installazione.

La licenza all’insediamento e quella all’inizio d’attività sono rilasciate da unaautorità regionale (il Land) solo dopo aver verificato che siano ottemperate tuttele disposizioni di legge, dalla conformità alle disposizioni del piano urbanistico,all’osservanza di tutte le altre normative del settore.60

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 59: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Prima del rilascio di tale autorizzazione, sono informati del progetto sia lapopolazione, sia le principali autorità, che possono esprimere delle obiezioni inmerito.

Olanda

Già dal 1993 l’Olanda aveva cominciato a lavorare attorno a un decreto sui“criteri di rischio” che permettesse di fissare delle norme in merito al rilascio deipermessi all’attività per stabilimenti industriali esistenti e nuovi e delle disposi-zioni in materia di controllo dell’urbanizzazione.

Nel 1996 sono stati elaborati dei “criteri di rischio” in merito al trasporto dimerci pericolose; nel 2002 è stato emanato un decreto relativo ai “criteri dirischio”, contenente gli standard qualitativi di salvaguardia delle aree esterne agliimpianti industriali pericolosi20.

I criteri individuati sono di due tipi: il rischio sociale e quello individuale, rino-minato, nel Fourth National Environmental Policy Plan del 2001, “rischio basatosulla localizzazione” (location based risk). A partire da questi due tipi di rischio,sono definite delle distanze da osservare nella pianificazione che tendono a eli-minare completamente il rischio sociale (queste distanze sono usate per esem-pio nel caso di impianti di esplosivi o fuochi d’artificio) o, laddove questo non siapossibile, si definisce una soglia di rischio accettabile.

Sulla base di queste analisi e di questi criteri, nella pianificazione sono distin-ti tre tipi di funzioni: le funzioni vulnerabili, quelle poco vulnerabili e infine quellenon vulnerabili.

Nella prima categoria rientrano la residenza, gli ospedali, le scuole e tutte lealtre funzioni che vedono coinvolto un gran numero di persone e soggetti parti-colarmente deboli.

Nella seconda categoria rientrano le funzioni terziarie, quelle produttive, glialberghi, i ristoranti e, in generale, strutture in cui non vi è una presenza costan-te di persone al loro interno.

Non vulnerabili sono considerate le infrastrutture per la mobilità e quelle tec-nologiche e le aree industriali “pure”, ossia monofunzionali, tra cui quelle occu-pate da industrie pericolose.

Gli impianti a rischio di incidente rilevante sono obbligati a presentare ilRapporto di sicurezza (External Safety Report – ESR), che deve comprendereanche la quantificazione del rischio (Quantitative Risk Assessment – QRA) con-dotta sulla base dell’approccio probabilistico21.

Una mappa dell’area in esame nella quale sono tracciate le curve di isorischiorelative al raggiungimento del valore di soglia per il rischio individuale è contenutanello stesso Rapporto di sicurezza. Queste linee sono riportate negli strumenti urba-nistici: non sono consentiti insediamenti a destinazione residenziale all’interno dellelinee che raggiungono i valori di soglia ritenuti non accettabili e le abitazioni esisten-ti che vi ricadono devono essere abbandonate. Sono invece ammesse attività agri-cole ed alcune altre attività che non prevedono la presenza continuativa di persone. 61

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 60: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Non sono previste forme di compensazione per il mancato uso residenziale peri proprietari dei terreni compresi nelle aree di esclusione dall’uso residenziale22.

Anche in questo paese un Rapporto di sicurezza deve accompagnare le richie-ste di modifiche rilevanti agli stabilimenti, tenendo presente che non possonoessere accettati in generale interventi che innalzino il livello del rischio.

Austria

In Austria, la trasposizione dell’art.12 della Direttiva Seveso II deve essereeffettuata sia a livello federale, sia al livello dei Länder, cui sono conferite in par-ticolare le competenze in materia di pianificazione.

Nel 1996 è stato istituito il Gruppo di Lavoro Permanente “Seveso” che nel1999 ha elaborato delle conclusioni sugli scenari incidentali per il GPL, i liquidialtamente infiammabili, le sostanze solide, gli esplosivi e le nuvole gassoseesplosive (ma non sulla dispersione di gas tossici).

Insieme ai risultati di uno studio dell’Università di Tecnologia di Graz, il Gruppodi Lavoro ha costruito cinque scenari di riferimento ai fini dell’elaborazione di cri-teri in materia di controllo dell’urbanizzazione e per la costruzione dei piani diemergenza esterna.

In ciascun Länder si usano queste raccomandazioni per definire delle distanzedi sicurezza tra gli stabilimenti a rischio e gli insediamenti circostanti, fatto questonon privo di problemi, a causa della particolare morfologia territoriale austriaca chenon lascia molti spazi liberi, a distanze adeguate, per l’insediamento di nuova edi-ficazione. Nondimeno, si è stabilito che nelle immediate vicinanze degli stabili-menti industriali pericolosi sono proibiti sviluppi residenziali. Si applica inoltre lasoluzione di misure tecniche preventive addizionali a ciascun impianto.

Attualmente23 sono allo studio o si stanno sperimentando le diverse soluzio-ni adottate dagli altri Stati europei, al fine di definire più propriamente la soluzio-ne migliore per la realtà austriaca, dove a fronte di una forte e sofisticata tradi-zione in materia di pianificazione territoriale e urbanistica a livello di Länder, piùdebole risulta essere invece l’esperienza in materia di pianificazione secondo ledirettive suggerite dalla “Seveso II” (Stangl, Simon, 2002).

Conclusioni

A conclusione della sintesi qui riportata sulla parte documentaria del lavoroistruttorio che il Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico di Torino hacondotto per conto del Ministero dei lavori pubblici, è possibile trarre qualcheconsiderazione sul significato che queste risultanze hanno avuto nel definire lescelte metodologiche del D.M. 9 maggio 2001 a cui questo lavoro era destinato.

Oltre a fornire il supporto per una necessaria estensione del problema adimensioni disciplinari rimaste finora escluse dalle azioni per limitare la probabi-lità di incidenti e la dimensione delle loro conseguenze, oltre a creare un quadrodi riferimento comparato su cui appoggiare futuri sviluppi del dibattito su “rego-62

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 61: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

le urbanistiche” orientate a questo scopo, la rassegna di studi e casi ha contri-buito ad orientare l’approccio con cui affrontare la valutazione del rischio pre-sente o futuro.

La situazione internazionale, come si è visto, si presenta sotto questo profilomolto eterogenea. I paesi che hanno già provveduto ad adottare attraverso legginazionali criteri per la pianificazione territoriale e l’attribuzione delle destinazionid’uso dei suoli in prossimità delle industrie a rischio sono pochi. Quanto allemetodologie di determinazione del rischio ai fini dell’elaborazione di criteri di pia-nificazione territoriale, il confronto fra le varie esperienze esaminate dimostra uncerto equilibrio fra i due approcci prevalenti (quello deterministico e quello pro-babilistico) ed ha proposto l’interrogativo:– optare per un approccio deterministico, come hanno preferito fare la maggior

parte dei paesi europei: Belgio-Vallonia, Finlandia, Francia, Lussemburgo,Spagna, Svezia, ma anche gli USA?

– preferire un approccio probabilistico, secondo la linea adottata da Belgio-Fiandre e Olanda ma soprattutto da molti paesi extraeuropei come Australia,Canada, Svizzera?

– coniugare i due approcci fissando delle distanze di sicurezza molto ampie,all’interno delle quali sottoporre i singoli casi ad analisi più dettagliate (comefanno Germania e Svezia) ovvero introducendo una componente probabilisti-ca nella selezione degli scenari incidentali di riferimento per la delimitazione“deterministica” di distanze di sicurezza?

– utilizzare (come fa la Gran Bretagna) in diverse situazioni alternativamente idue approcci?Pur considerando che nelle tematiche dell’analisi del rischio prevale l’approc-

cio probabilistico mentre nella materia urbanistica prevale quello deterministico,e dunque si potrebbe immaginare una maggiore facilità di dialogo fra tematichedel rischio e procedure e metodi dell’urbanistica se l’approccio privilegiato fossequello deterministico, si è optato nella stesura dell’Allegato al Decreto, l’approc-cio probabilistico perché più adatto ad assicurare maggiore flessibilità, nel tempoe nelle modalità applicative, al complesso processo per adeguare gli strumentiurbanistici alle nuove disposizioni, anche in relazione alla presenza di situazioni dicriticità ambientale o di rischio di origine diversa.

Questa linea metodologica, costruita anche nella sua struttura attraverso il rife-rimento alle esperienze ed agli studi analizzati, ha consentito di evitare il ricorso avincoli netti e rigidi e di sostituirli con distanze di sicurezza determinate valutandola compatibilità territoriale ed ambientale fra impianti industriali e categorie di usidel territorio sulla base di molti fattori: ipotesi su scenari incidentali, sovrapposi-zione delle tipologie di insediamento categorizzate in termini di vulnerabilitàsecondo tabelle incluse nell’Allegato, aree di danno calcolate sulla base di classidi probabilità di incidente e di categorie di effetti, ma anche considerando l’even-tuale impegno del gestore ad adottare misure tecniche complementari, l’introdu-zione di accorgimenti ambientali o edilizi negli strumenti di pianificazione ecc. 63

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 62: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Certamente la preferenza per l’approccio probabilistico risulterà meno facil-mente adattabile alla logica tradizionale della pianificazione urbanistica che richie-de norme certe e rifugge da regole condizionali, ma consentirà forse di accele-rare e di armonizzare le nuove norme con le innovazioni che si stanno introdu-cendo nell’ordinamento urbanistico, per accrescere flessibilità e dinamicità nellapianificazione.

Se si considera che il nuovo decreto renderà obbligatori per un numero altodi Enti locali (oltre 700 Comuni, quasi tutte le Regioni e le Province) provvedi-menti di adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali in vigore, tra cuisoprattutto numerose varianti generali ai piani territoriali ed urbanistici, ai qualioccorre allegare il nuovo Elaborato tecnico di Rischio Incidenti Rilevanti (RIR), sicomprende dunque l’effetto rilevante che queste nuove norme potranno averequando, superando l’attuale ritardo, gli Enti locali provvederanno a dare attuazio-ne alla nuova normativa24.

Va ancora sottolineato che altri aspetti emersi dalla casistica esaminata hannotrovato nel Decreto uno spazio rilevante e contribuito ad introdurre nel provvedi-mento aspetti che si dimostreranno certamente innovativi e di grande impattosulle procedure urbanistiche in atto: l’importanza assegnata agli strumenti di pia-nificazione d’area vasta per assumere il problema nella sua inevitabile dimensio-ne sovracomunale; la complessa gestione del delicato problema delle informa-zioni sulla base delle quali condurre le valutazioni di compatibilità (assegnate perla massima parte alla responsabilità del gestore dell’impianto che comunquedeve provvedere a stendere Rapporti di sicurezza e Notifiche, ed integrate convalutazioni dell’Autorità competente); la possibilità di ricorrere a programmi inte-grati come strumento per risolvere casi particolarmente complessi di incompati-bilità fra sviluppo industriale e protezione della popolazione e del territorio con-certando e ricomponendo interessi pubblici e privati conflittuali.

64

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 63: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Il contributo è il frutto di una serie di riflessioni condotte a partire dalla consulenza scien-tifica fornita dal Dipartimento Interateneo Territorio al Ministero dei lavori pubblici a supportodella predisposizione del D.M. 9 maggio 2001.

Pur essendo questo contributo il risultato di un lavoro comune, va attribuita ad AgataSpaziante la responsabilità della stesura dei paragrafi 1, 2, 3, 6; a Maria Teresa Gabardi quelladei paragrafi 4 e 5.

2 Dizionario ZINGARELLI, p. 1253.

3 Ibid., p. 1495.

4 Si tenga presente che il rischio da sviluppo industriale pericoloso è percepito general-mente come rischio involontario (ovvero non affrontato per scelta).

5 È sintomatico della nuova attenzione a queste tematiche il fatto che riviste come“Urbanistica Informazioni” e “Documenti del territorio” abbiano di recente dedicato ampio spa-zio a questi argomenti: da un Dossier di Urbanistica dedicato a “Urbanistica, rischio, emergenzae protezione civile” (n. 37 suppl. al n.177 di “Urbanistica Informazioni”, maggio-giugno 2001), a“Documenti del territorio” n. 45 del 2000, all’ultimo numero di “Urbanistica”, il n. 118 del 2002.

6 È opportuno a tale proposito ricordare la definizione proposta nel 1979 dall’United NationsDisaster Ref. Coord., secondo la quale il rischio è dato dalla concorrenza di due fattori ugual-mente importanti: la sollecitazione, che nel caso del rischio tecnologico è misurata dalla pro-babillità e dalla gravità dell’incidente, e la vulnerabilità, intesa come propensione al danno delterritorio circostante.

7 È su questi due piani che si è articolato in particolare il supporto fornito dal DipartimentoInterateneo Territorio, il quale ha sviluppato su questo tema una ricerca condotta dalle autrici diquesto contributo. Alla ricerca ha collaborato Andrea Carpignano sia per gli aspetti scientificidell’Analisi del rischio sia per l’assistenza ad una tesi di laurea sperimentale in Ingegneriadell’Ambiente e del Territorio dal titolo “Il controllo dell’urbanizzazione nei pressi di stabilimen-ti a rischio di incidente rilevante” affidata allo studente Giulio Pignatta e discussa presso ilPolitecnico di Torino nel dicembre 2000.

8 Gli aspetti teorici, metodologici e tecnici del percorso sperimentale condotto sia sotto ilprofilo dell’analisi del rischio che sotto il profilo urbanistico su casi reali e simulati per valutarepreventivamente l’applicabilità delle norme del D.M. 9 maggio 2001 sono contenuti nella tesidi Giulio Pignatta di cui alla nota precedente, inclusa nel CD Rom come allegato al contributodello stesso Giulio Pignatta (capitolo 12.4).

9 In Besi S., Risultati di studi di rischio d’area in Italia e in Europa ai fini di decisioni di pia-nificazione del territorio, in Besi S., Amendola F., Belloni V., Cristou M., Smeder M., La pianifi-cazione dell’uso del territorio in relazione ai rischi di incidente rilevante, Centro Comune diRicerca - Istituto dei Sistemi, dell’Informatica e della Sicurezza, Ispra, 1996, p.118.

10 Si legga in proposito Marsili G. (a cura di), La valutazione del rischio d’area. Il caso del-l’area industriale di Mantova, Franco Angeli, Milano 2000.

11 Marsili, La valutazione cit., p. 10

12 Ibid.

13 In questo caso è previsto un indennizzo ai proprietari delle aree sulle quali viene applica-to il vincolo di inedificabilità. 65

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 64: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

14 I dati riportati sono aggiornati al 31 maggio 2001.

15 Le prime SPPPI create furono rispettivamente quella dell’Etagne de Berre, nel 1972 edella Basse-Seine, nel 1978. Le altre nove SPPPI sono: Dunkerque (1990), Toulouse (1990),Lyon (1990), Nantes (1992), Strasbourg (1992), Vallée de Seine (1993), Guyane (1997),Aquitaine (1998) e Artois (1998).

Fonte: DRIRE, 2001, al sito www.drire.gouv.fr./national/environnement/index.htmlDell’incidente di Tolosa e delle possibili conseguenze che esso avrà sui criteri e sulle norme

di pianificazione territoriale, si è già detto in precedenza.

16 Quello descritto costituisce il quadro di riferimento attuale, ma il recentissimo disastro diTolosa, definito “la più grande catastrofe della storia industriale francese”, non mancherà certodi avere risvolti sulle valutazioni e i criteri da osservare nella pianificazione urbanistica e territo-riale in presenza di stabilimenti di questo tipo sul territorio: ricordiamo infatti che il 21 settem-bre 2001 l’esplosione della fabbrica di fertilizzanti Azf ha causato 29 morti, 6 dispersi, 2100 feri-ti e 3000 edifici danneggiati. Dopo il gravissimo incidente, il sindaco di Tolosa ha espresso l’au-spicio che la disgrazia possa essere “di monito per l’intera Francia” e che si riesaminino tuttele normative in materia, in modo da far allontanare tutti gli stabilimenti a rischio di incidente rile-vante dai centri abitati.

17 Si legga in proposito HSE, Risk Criteria for Land Use Planning in the Vicinity of MajorIndustrial Hazards, UK, 1989.

18 Le distanze di consultazione possono variare da poche decine di metri fino a due chilo-metri, eventualmente modificate per coincidere con i confini delle aree edificate. All’internodelle distanze di consultazione è necessario il parere dell’HSE prima di autorizzare l’insedia-mento di destinazioni residenziali, commerciali con superficie maggiore di 250 mq, terziariosuperiore ai 500 mq e infine industriali con superficie maggiore ai 750 mq.

19 Uth H.-J., Determination of Safety Distances trough Major Accident Scenarios, 2002.Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

20 Per la fine del 2002 dovrebbe essere emanato un decreto sui “criteri di rischio” ancheper il settore dei trasporti (Lommers, 2002).

21 In Olanda vi è una lunga tradizione nella trattazione del rischio naturale e industriale e illivello di percezione e di comprensione della natura probabilistica del rischio è piuttosto eleva-to (Smeder M., Christou M., Besi S., Land Use Planning in the Context of Major AccidentHazards - An Analysis of Procedures and Criteria in Selected EU Member States,European Commission, Joint Research Centre, Institute for Systems, Informatics andSafety, Ispra, 1996, p. 23).

22 Questa linea metodologica differisce dunque da quella del caso francese.

23 L’aggiornamento di queste notizie è datato febbraio 2002.

24 Già entro il 1° ottobre 2001 avrebbero dovuto essere state formalizzate le varianti ai pianiterritoriali di coordinamento ed ai PRG per evitare che concessioni edilizie o autorizzazioni pernuovi impianti, per modifiche ad impianti esistenti o per nuovi insediamenti e infrastruttureattorno agli stabilimenti esistenti debbano richiedere il parere delle Autorità competenti inmateria di sicurezza.

66

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 65: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Riferimenti bibliografici

AA.VV., Urbanistica, rischio, emergenze e protezione civile, “Urbanistica Dossier” n. 37,suppl. al n. 177 di “Urbanistica Informazioni”, INU Edizioni, Roma 2001.

ARIANO P.F., BASSO B., ROBOTTO A. e RUGGIERO G.N., The Major Accidents HazardsInformation System in Regione Piemonte, in “Safety and Reliability. Towards a SaferWorld”, Proceedings of the European Conference on Safety and Reliability - ESREL,Torino 16-20 settembre 2001, vol. 3, pp. 1627-1634.

BESI S., AMENDOLA F., BELLONI V., CHRISTOU M. e SMEDER M., La pianificazione dell’uso delterritorio in relazione ai rischi di incidente rilevante, Commissione Europea, CentroComune di Ricerca, Istituto dei Sistemi, dell’Informatica e della Sicurezza, Ispra, 1996.

BUTTI G., Le nuove norme sui pericoli di incidenti rilevanti, Il Sole 24 Ore, Pirola, Milano2000.

CAIULO D., Piani di risanamento ambientale, in “Urbanistica INFORMAZIONI”, n. 153, INUEdizioni, Roma 1997, pp. 63-64.

CAMPEOL G., La pianificazione nelle aree ad alto rischio ambientale, F. Angeli, Milano 1994.

CARPIGNANO A., PIGNATTA G. e SPAZIANTE A., Land Use Planning Around Seveso IIInstallations: the Italian Approach, in “Safety and Reliability. Towards a Safer World”,Proceedings of the European Conference on Safety and Reliability - ESREL, Torino 16-20 settembre 2001, vol. 3, pp. 1763-1770.

CHRISTOU M., AMENDOLA A. e SMEDER M., The Control of Major Accident Hazards: TheLand-use Planning Issue, in “Journal of Hazardous Materials”, Elsevier Science B.V.,1999, pp. 151-178.

COMFORT L., ABRAMS J., CAMILLUS J. e RICCI E., From Crisis to Community: the PittsburghOil Spill, in “Industrial Crisis Quarterly”, n. 3, Elsevier Science Publishers B.V.,Amsterdam, 1989, pp. 17-39.

CUTTER S.L., Living with Risk. The Geography of Technological Hazards, Arnold, 1993.

DE MARCHI B. e FUNTOWICZ S.O., Proposta per un modulo comunicativo sperimentale sulrischio chimico a Porto Marghera, Istituto di Sociologia Internazionale, Gorizia 1997,Quaderno n. 97-6.

DE MARCHI B. e MENONI S., Comunicazione, coordinamento e piano: gestione del rischio edell’incertezza, in Atti del Convegno “La scienza e i terremoti. Analisi e prospettive dal-l’esperienza del Friuli - 1976-1996”, Udine, 14-15 novembre 1996, pp. 199-207.

EUROPEAN COMMISSION, ENVIRONMENT, IMPEL Report on the Interelationship between IPPC,EIA, Seveso Directives and EMAS regulation, 2000.

EUROPEAN COMMISSION, JOINT RESEARCH CENTRE, INSTITUTE FOR SYSTEMS, INFORMATICS AND

SAFETY, Guidance on Land Use Planning as Required by Council Directive 96/82/EC(Seveso II), Office for official publications of the European Communities, 1999.

FASOLINO I., GERUNDO R. (a cura di), La pianificazione urbanistica nelle aree a rischio,Materiali INU Campania, Ed. Graffiti, Napoli 1999.

GABOR T. e GRIFFITH T.K., The Assessment of Community Vulnerability to Acute HazardousMaterials Incidents, in “Journal of Hazardous Materials”, n. 3, Elsevier ScientificPublishing Company, Amsterdam, 1980, pp. 323-333. 67

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 66: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

GABARDI M.T., SPAZIANTE A., Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidenterilevante, in “Urbanistica”, n. 118, 2002, pp. 77-84.

GERUNDO R., Il rischio territoriale, Materiali INU Campania, Ed. Graffiti, Napoli 2001.

GUAGENTI GRANDORI E., Sicurezza ambientale: decisione in condizioni di incertezza, in“Territorio”, n. 8, F. Angeli, Milano 1998, pp. 32-38.

HURST N.-W., YOUNG S., DONALD I., GIBSON H. e MUYSELAAR A., Measures of SafetyManagement Performance and Attitudes to Safety at Major Hazard Sites, in “J. LossPrev. Process Ind.”, n. 2, Elsevier Science Ltd, 1996, pp. 161-172.

INSTITUTE FOR SYSTEMS ENGINEERING AND INFORMATICS, Safety Management Systems in theProcess Industry, European Commission, 1993.

INSTITUTE FOR SYSTEMS ENGINEERING AND INFORMATICS, COMMUNITY DOCUMENTATION CENTRE ON

INDUSTRIAL RISK, Lessons Learned from Emergencies after Accidents in Greece andItaly Involving Dangerous Chemical Substances, European Commission, 1994.

LIVERMANN D.M., The Vulnerability of Urban Areas to Technological Risks, in “Cities”,Butterworth Scientific, Journals Division, maggio, 1986, pp.142-147.

MAGGIONI E., Porto Marghera: bonifiche e riconversioni industriali, un progetto complesso,in “Urbanistica Informazioni”, n. 164, INU Edizioni, 1998, pp. 23-24.

MELA A., PICCININI N., VINEIS P., Rischio e ambiente, Ed. Otto, Torino 1999.

MENONI S., La gestione del rischio: dall’emergenza al piano, in “Inquinamento”, n. 9,Gruppo Editoriale Jackson, ottobre, 1997, pp. 52-57.

MENONI S., Pianificazione e incertezza. Elementi per la valutazione e la gestione dei rischiambientali, F.Angeli, Milano 1997.

Menoni S., Responsabilità individuali e collettive nella individuazione, applicazione e veri-fica dei criteri di prevenzione, in “Territorio”, n. 8, F. Angeli, Milano 1998, pp. 73-81.

MUTANI N., La pianificazione territoriale in relazione ai rischi industriali. Criteri d’imposta-zione per linee guida, tesi di Master in Ingegneria della Sicurezza, COREP Consorzioper la Ricerca e l’Educazione Permanente, Torino 1998.

NATIONAL RESPONSE TEAM, Hazardous Materials Emergency. Planning Guide, WashingtonD.C., marzo, 1987.

NATIONAL RESPONSE TEAM, Criteria for Review of Hazardous Materials Emergency Plans,Washington D.C., maggio, 1988.

Pianese E. e Ragno E., La direttiva Seveso “due”, in “Antincendio”, agosto, 1997, pp. 67-75.

PIGNATTA G., Il controllo dell’urbanizzazione nei pressi di stabilimenti a rischio di incidenterilevante, tesi in Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio, rel. prof. A. Carpignano, cor-rel. Prof. A. Spaziante, Politecnico di Torino, Torino 2000.

Pignatta G. e Spaziante A., Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidenterilevante. Una preventiva sperimentazione della nuova normativa nazionale, in“Archimedia”, n. 3, 2001, pp. 43-62.

SMEDER M., CHRISTOU M., BESI S., Land Use Planning in the Context of Major AccidentHazards - An Analysis of Procedures and Criteria in Selected EU Member States,European Commission, Joint Research Centre, Institute for Systems, Informatics andSafety, Ispra, 1996.68

Aga

ta S

pazi

ante

, Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 67: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

TOMIATO L., DE LUCA G., Un SIT per il censimento del rischio industriale sul territorio regio-nale del Veneto, in “Documenti del territorio”, n. 45, 2000, pp. 39-40.

U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY ET AL., Technical Guidance for Hazards Analysis,Washington D.C., dicembre, 1987.

U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY, Guide to Exercises in Chemical EmergencyPreparedness Programs, Washington D.C., maggio, 1988.

U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY, Managing Chemicals Safely, Washington D.C.,marzo, 1992.

69

1 - G

li or

ient

amen

ti de

lla p

iani

ficaz

ione

nel

le a

ree

a ris

chio

tec

nolo

gico

in It

alia

e a

ll’es

tero

Page 68: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

2

LA PIANIFICAZIONE NELLE ZONE INTERESSATEDAL RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE

Patrizia Colletta*

Premessa

L’approccio alla problematica del rischio di tipo naturale e tecnologico ha subì-to, nel corso di questi ultimi anni, un’evidente e tangibile inversione di tendenza:determinata da una forte volontà di uscire dalla fase di emergenza, ha consenti-to l’avvio di un processo che affronta il tema della “messa in sicurezza del terri-torio” con strumenti e provvedimenti di programmazione e di gestione degliinterventi che superano la sola valutazione e predisposizione delle misure per ilrisanamento del danno, in un’ottica, viceversa, di prevenzione e di riduzione dellaprobabilità di accadimento dell’evento incidentale.

In particolare, sul tema del rischio tecnologico il nuovo quadro di riferimentolegislativo italiano, in ottemperanza e in coerenza con quanto disposto dallaDirettiva 96/82/CE sulla prevenzione dei rischi di incidente rilevante e dallaDirettiva 96/61/CE sulla prevenzione e controllo integrato dell’inquinamento(IPPC), segna una sostanziale modifica all’approccio delle problematiche di pre-venzione e controllo in materia di sicurezza e di tutela ambientale. Di fatto, le duedirettive superano l’approccio della norma di “comando e controllo” e prefigura-no una valutazione integrata della problematica considerando, oltre che la gestio-ne della sicurezza del singolo impianto, il rapporto dello stabilimento industrialecon il contesto territoriale e con i diversi fattori ambientali, riscrivendo l’equazio-ne industria-territorio-ambiente in termini di compatibilità territoriale e di sosteni-bilità ambientale.

Scontiamo in questo un evidente ritardo: è noto infatti che le procedure dinotifica, i contenuti dei rapporti di sicurezza e le relative istruttorie tecniche effet-tuate sino ad ora in Italia, hanno dovuto privilegiare l’applicazione di misure e diprocedure di limitazione del danno, di riduzione della probabilità di rischio inci-

71

* Esperto in pianificazione territoriale e ambientale - Componente del gruppo di lavorointeristituzionale per la predisposizione del D.M. 9 maggio 2001.

Page 69: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

dentale legate al singolo impianto e all’attività dello stabilimento, enfatizzando ilcontrollo e la verifica dei cicli produttivi, delle lavorazioni e degli stoccaggi.

È evidente, quindi, che l’ottica di intervento per la riduzione dei rischi tec-nologici, attraverso la pianificazione territoriale e urbanistica delle aree inte-ressate da stabilimenti soggetti alla direttiva Seveso II, costituisce una inno-vazione notevole sia per la disciplina urbanistica che per la stessa materia delrischio.

Il controllo sull’urbanizzazione, l’individuazione dei criteri e la definizione dellearee ad elevata concentrazione di stabilimenti, la previsione dell’effetto domino,il sistema di gestione della sicurezza, i piani di emergenza e la consultazione dellapopolazione sono alcune delle questioni più importanti affrontate nel D.Lgs. n.334/99 e che, a sua volta, prevede l’adozione di numerosi decreti attuativi.

La relazione tra il governo del territorio e il controllo dei rischi di incidente rile-vante connessi con determinate sostanze pericolose è oggetto dell’art. 14“Controllo dell’urbanizzazione” del D.Lgs. n. 334/99 e del relativo Decreto diattuazione, il D.M. 9 maggio 20011.

La tematica trattata ha avuto purtroppo, di recente, notevole risalto: alcunigravi episodi, in Francia a Tolosa, nel settembre del 2001 e in Italia, a Falconarae a Torino, solo per citare i più conosciuti, hanno dimostrato la fragilità del siste-ma antropico e ambientale rispetto agli impatti causati da eventi provocati da sta-bilimenti a rischio di incidente rilevante.

In particolare a Tolosa, l’esplosione della fabbrica AZF, a tre chilometri dallacittà, ha registrato un bilancio disastroso: 29 morti, alcuni dispersi, migliaia di feri-ti, l’intera città, dalla periferia sino al centro, con finestre e vetrine infrante oltreche ingenti danni più in prossimità dell’esplosione; un milione e mezzo di abitan-ti in preda al panico avvolti da una densa nube di fumo.

Dopo questo drammatico evento, il Parlamento Europeo, in una propriaRisoluzione (n. B5 - 0611, 612, 614 e 0615/2001) esprimendo grande preoccu-pazione, chiarisce in modo netto i termini della questione:

– “[...] le conseguenze della catastrofe di Tolosa sono state così drammatichein quanto la fabbrica era ubicata a ridosso di quartieri abitati (tra cui ospedali,scuole, università ecc.)”;

– è da constatare “[...] l’impossibilità del “rischio-zero”, nel quadro di una coa-bitazione tra la popolazione urbana e i complessi industriali petrolchimici eritiene che l’attuale logica “di gestione del rischio”, ereditata dall’epoca del-l’incidente Seveso e adottata fino ad oggi, sia in pratica superata e che d’orain avanti sia necessario orientarsi urgentemente verso una logica di “allonta-namento del rischio”;

– è urgente che gli Stati membri attuino “[...] una revisione profonda delle politi-che di gestione del territorio e di urbanizzazione nelle vicinanze dei siti a rischio,tenendo anche conto della loro dimensione fisica, per evitare il ripetersi di cata-strofi simili; considera che nel caso dei siti industriali a rischio, il ricorso a pro-cedure di concertazione fra autorità pubbliche e rappresentanti eletti, abitanti72

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 70: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

della zona, industriali e rappresentanti del personale dovrebbe consentire diriorganizzare questi siti in una prospettiva di sviluppo sostenibile, conciliando lepreoccupazioni in materia di sicurezza, occupazione e ambiente [...]”.L’invito finale della Commissione è sulle responsabilità dei soggetti coinvolti

nella gestione del territorio, sull’incremento delle politiche di sicurezza e di ridu-zione degli inquinamenti, sulla conoscenza, sulla diffusione e comunicazione dellesituazioni di rischio esistenti e impone ad ogni Stato membro, in tempi brevi, l’at-tuazione di una seria politica di protezione della popolazione e dell’ambiente. Nonc’è dubbio, quindi, che la normativa in materia di controllo dell’urbanizzazione èdestinata ad evolversi verso una integrazione delle diverse discipline finalizzatealla “messa in sicurezza” del territorio antropizzato e dell’ambiente.

La definizione delle regole

Uno dei punti più complessi e qualificanti nella definizione del rapporto tra sta-bilimenti industriali e contesto antropico è, quindi, la definizione delle “regole”per il governo del territorio.

Il primo passo per la prevenzione del rischio e la valutazione degli impatti con-seguenti all’evento incidentale è l’adeguamento degli strumenti di pianificazioneterritoriale e urbanistica che consentano di programmare e gestire la risorsa ter-ritorio, secondo un principio di precauzione.

Il D.M. 9 maggio 2001 delinea l’inizio di un nuovo processo di pianificazionenel quale l’esistenza o la previsione d’insediamento dello stabilimento a rischiod’incidente rilevante, non potrà più essere considerata separata dai processi dipianificazione, regolata come somma delle destinazioni urbanistiche dei suoli, deipiani d’emergenza e in funzione del livello di sicurezza dell’impianto, ma dovràessere affrontata complessivamente come fattore indifferibile e intrinseco dellosviluppo urbanistico e della programmazione territoriale.

Il decreto stabilisce al comma 1 dell’art. 1 “i requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da sta-bilimenti2” e prevede l’individuazione delle aree interessate dagli effetti deglieventi incidentali ipotizzati.

In base alla categorizzazione del territorio, si deve effettuare la conseguenteverifica della compatibilità territoriale e ambientale.

Il decreto, come peraltro previsto nell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99, prevedel’avvio della procedura di formazione e approvazione della variante al piano di coor-dinamento provinciale e agli strumenti di pianificazione urbanistica nei casi di:a) insediamento nuovi stabilimenti;b) modifiche di cui all’art. 10 degli stabilimenti esistenti3;c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti [...].

Nel caso d’incompatibilità tra sorgente di rischio e territorio, è previsto dal comma3 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 che “gli enti territoriali apportano, ove necessario,le varianti ai piani territoriali di coordinamento provinciale e agli strumenti urbanistici”. 73

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 71: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Lo stesso comma stabilisce l’obbligo di parere preventivo e la relativa procedura, peril rilascio di autorizzazione o concessione edilizia, nelle more dell’approvazione dellavariante agli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica.

Il dibattito che ha animato tutto il lungo lavoro del gruppo interistituzionale,durato circa un anno, si è ampiamente basato sulla convinzione espressa nell’ar-ticolato e nella premessa dell’allegato al decreto, di ricondurre ad un processocomune di strategia integrata di governo delle trasformazioni territoriali e socio-economiche una pianificazione che avrebbe avuto, altrimenti, carattere settoria-le e specialistico. Un processo assolutamente innovativo che vede l’assetto ter-ritoriale e le problematiche ambientali al centro del tema della sicurezza e dellaprevenzione del rischio.

Non a caso, la prima grande difficoltà, riscontrata anche nell’iter di elabora-zione del decreto da parte del gruppo di lavoro è stata quella di costruire un“dizionario” dei termini e un linguaggio condiviso tra urbanisti, ingegneri chimici,valutatori di rischio, chi si occupa di pianificazione paesaggistica e ambientale edei temi della sostenibilità ambientale e di valutazione di impatto, ferme restan-do le peculiarità delle singole competenze e dei profili professionali.

Le pianificazioni territoriale ed urbanistica, per la loro vocazione “generali-sta”, hanno oggi un nuovo terreno sul quale confrontarsi: come i temi della pia-nificazione paesistica, di tutela ambientale, infrastrutturale e trasportistica, dellaprevenzione del rischio naturale, vissute ed elaborate come separate, debbanotrovare regole condivise, metodi ed approcci interfacciabili, elaborazioni sinergi-che con la pianificazione di carattere generale e quella relativa al controllo del-l’urbanizzazione.

Il superamento di questa evidente “separatezza” rappresenta il primo obiet-tivo da porsi: le ragioni di questo incessante stratificarsi di soggetti, di compe-tenze, di ruoli è oggetto non solo di dibattito culturale ma rappresenta uno deinodi sui quali implementare una nuova proposta per il governo del territorio.

Il D.M. 9 maggio 2001, pur limitato dalla sua connotazione di attuazione deldisposto legislativo dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99, ha cercato di ricollocare leprescrizioni e le azioni di prevenzione e di controllo dei rischi di incidente rilevantein un quadro di valutazione ambientale e territoriale integrata.

Infatti il comma 3 dell’art. 1 recita: “le norme di cui al presente decreto sonofinalizzate, inoltre, a fornire orientamenti comuni ai soggetti competenti in mate-ria di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell’ambiente, persemplificare e riordinare i procedimenti, oltre che raccordare le leggi e i regola-menti in materia ambientale con le norme di governo del territorio”.

Appare evidente che questo rappresenta, nel caso specifico degli stabilimen-ti a rischio di incidente rilevante e più, in generale, per il settore industriale, unadelle questioni più importanti per lo sviluppo e la modernizzazione del sistema:infatti, solo affrontando la valutazione integrata del rischio e dei fattori di pres-sione, con una logica che metta al centro la questione della sostenibilità ambien-tale per gli insediamenti e i cicli produttivi, si potranno realizzare le condizioni per74

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 72: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

assicurare competitività economica per le imprese e garanzie di benessere socia-le per la popolazione.

Gli stessi processi di co-pianificazione scontano, ancora oggi, le grandi diffe-renze di approccio, nonché le difficoltà e le carenze dal punto di vista procedura-le e di attuazione. Piani a prevalente carattere vincolistico o di tipo operativo set-toriale, nella pratica si evolvono in strumenti slegati dalla pianificazione di carat-tere generale per evidenti e stridenti conflitti di competenze, per la molteplicitàdei soggetti preposti alle procedure autorizzative e decisionali, per la incertezzacomplessiva delle fonti di erogazione finanziaria e di gestione.

Contemperare queste esigenze sembra un esercizio impraticabile, pari quasialla distanza che esiste tra i settori e le competenze che interessano le diversetematiche in questione: in tal senso, è significativo che il D.M. 9 maggio 2001affronti il tema delle competenze e dei ruoli in maniera organica, rendendo dispo-nibile la possibilità di utilizzare un modello di “sussidiarietà istituzionale orizzonta-le” nel quale il concorso sinergico delle istituzioni a tutti i livelli territoriali, consen-te di vincolare il “decidere di fare” all’efficienza del soggetto adempiente, data lanecessità di assicurare a tutti i cittadini del territorio italiano pari trattamento nor-mativo in materia di incolumità pubblica e tutela della salute e dell’ambiente.

Questa scelta è stata quasi obbligata: infatti, le Regioni con riferimento allematerie del governo del territorio, della tutela dell’ambiente e del paesaggio, sitrovano oggi in una posizione centrale per conformare un quadro normativo coe-rente tra le diverse discipline. Lo stesso si può affermare per quanto riguarda ilrischio di incidente rilevante, in base alle indicazioni contenute nell’art. 72 delD.Lgs. n. 112/98, ma in molte Regioni non si sono ancora realizzate le condizio-ni per l’attivazione di tali competenze.

Ancora di più si conferma il ruolo centrale delle Regioni, in sinergia con le altreIstituzioni, in funzione della riforma del Titolo V della Costituzione.

Si tratta di una occasione da cogliere per mettere in coerenza le diverse disci-pline e che il decreto indica in via del tutto esortativa.

Il D.M. 9 maggio 2001 ha dovuto scontare, quindi, un quadro normativo nelcomplesso non omogeneo ed è per questo che si è ritenuto opportuno suggeri-re meccanismi e procedure che consentano l’uniformità di applicazione e lacogenza per l’attuazione in tutto il territorio nazionale, ferma restando la possibi-lità della diversificazione regionale.

La stessa scelta di costruire un allegato tecnico-metodologico ne è la dimo-strazione.

I soggetti coinvolti

La Regione

All’art. 2 del Decreto sono richiamate le competenze delle Regioni, le qualirisultano titolari della materia del governo del territorio ai sensi dell’art. 117 dellaCostituzione e della materia di rischio di incidente rilevante ai sensi dell’art. 72del D.Lgs n. 112/984. 75

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 73: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Ai fini del D.M. 9 maggio 2001 le Regioni assicurano:– il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanistica, territo-

riale e di tutela ambientale, prevedendo opportune forme di concertazione tragli enti territoriali e i soggetti interessati;

– il coordinamento delle procedure di individuazione delle aree da destinare aglistabilimenti con quanto previsto dall’art. 2 del D.P.R. n. 447/98;

– il coordinamento tra i criteri e le modalità per l’acquisizione e la valutazionedelle informazioni di cui agli art. 6,7,8 del D.Lgs. n. 334/99 e quelli relativi allapianificazione territoriale e urbanistica.Sino all’introduzione della disciplina regionale si applica comunque quanto

previsto dal Decreto (art. 2 comma 4) che intende collocarsi come una norma diriferimento generale riguardo ai temi della sicurezza e dell’ambiente, tenendoconto del trasferimento alle Regioni delle competenze amministrative relativealle industrie a rischio di incidente rilevante.

Sono inoltre previsti, in via esortativa, la semplificazione e il riordino dei pro-cedimenti in materia di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardiadell’ambiente attraverso il raccordo tra le leggi e i regolamenti in materia ambien-tale con le norme di governo del territorio (art. 1 comma 3).

Le Province

All’art. 3 sono definite le competenze delle Province:– individuare le aree sulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti;– disciplinare, nell’ambito della determinazione degli assetti generali del territo-

rio, la relazione degli stabilimenti con gli elementi territoriali e ambientali vul-nerabili, con le reti e i nodi infrastrutturali, di trasporto, tecnologici ed ener-getici, esistenti e previsti, nonché con le aree ad elevata criticità di dissestoidrogeologico.Per un quadro più completo è utile riferirsi ai compiti e alle funzioni attribuite

alle Province dagli artt. 19 e 20 del D.Lgs. n. 267/2000, nel quale sono specificatigli obiettivi di programmazione economica, territoriale e ambientale di tali Enti5.

Gli strumenti di pianificazione

La pianificazione di area vasta

Lo strumento di pianificazione di area vasta è, di norma, il piano territoriale dicoordinamento (P.T.C.) che ha assunto, nella evoluzione e nella pratica della pia-nificazione, differenti denominazioni e contenuti diversificati.

I piani territoriali di coordinamento hanno origine nella Legge 17 agosto 1942,n.11506. Con il trasferimento alle Regioni e alle Province delle specifiche com-petenze nelle materie urbanistica e ambientale7, si è determinato un progressi-vo ampliamento e una diversificazione, anche nominale, oltre che dei contenutidegli strumenti della pianificazione d’area vasta8.76

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 74: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La definizione giuridica della originaria funzione dello strumento è stata ela-borata, nel modo più compiuto, dalla dottrina9, per la quale “il piano territorialeequivale a piano sovraordinato rispetto ai piani regolatori comunali e intercomu-nali, composto di direttive e avente come destinatari le Amministrazioni pubbli-che. Ne consegue che, all’origine, il PTC come tale non ha efficacia nei confron-ti dei cittadini, a meno di una esplicita previsione in tal senso da parte della leggeregionale”10.

Nella produzione legislativa regionale che si è successivamente consolidata sipossono desumere alcune linee evolutive (Mazzarelli, 1996) di tale strumento:– la funzione programmatica del PTC;– l’attuazione di tale funzione programmatica attraverso previsioni di contenuto

precettivo per gli strumenti di pianificazione urbanistica;– l’ampliamento dell’oggetto di interesse del PTC, che si orienta a regolare

anche profili di tutela ambientale, di conservazione e valorizzazione del terri-torio;

– la progressiva complessità dei procedimenti di formazione la cui semplifica-zione è stata tentata con l’art. 53 del D.Lgs. n. 112/98;

– la distinzione tra effetti diretti – cioè direttamente desumibili dalle prescrizio-ni del PTC – ed effetti indiretti del PTC stesso, ovvero gli elementi precettivi,i vincoli e le limitazioni nelle modalità di trasformazione che devono essererecepiti nella strumentazione urbanistica;

– la conferma della necessità di “recepimento” da parte degli enti locali dellenormative del PTC nell’ambito della propria strumentazione urbanistica.Un confronto tra denominazione degli strumenti (tab. 1), procedure di appro-

vazione (tab. 2), stato di attuazione (tab. 3), offre un quadro della situazione moltodiversificato.

Allo stesso strumento programmatico corrispondono contenuti e proceduredi formazione e approvazione profondamente diversi.

Un altro elemento che può essere utile per ragionare con coerenza intorno aitemi della pianificazione territoriale nelle aree a rischio di incidente rilevante èrappresentato dalla connessione che i piani territoriali hanno con altri strumentidi pianificazione d’area vasta e di localizzazioni sovracomunali. In modo molto sin-tetico, per costruire il quadro delle conoscenze propedeutico alla implementa-zione di un piano territoriale con le previsioni specifiche per le aree a rischio diincidente rilevante, occorre tenere presente:– piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale (artt. 50 e 51 del

D.P.R. n. 218/78);– piani di insediamento produttivo (art. 27 L. n. 865/71);– piano territoriale paesistico (art.149 D.Lgs. n. 490/99)11;– piani di bacino (artt.17 e sgg. L. n.183/1989);– dichiarazione di area ad elevato rischio ambientale (art. 7 L. n. 349/8612);– piani di smaltimento dei rifiuti urbani (art. 6 del D.P.R. n. 915/1982);– piano di gestione dei rifiuti (art.17 del D.Lgs. n. 22/97)13; 77

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 75: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– piano regionale risanamento delle acque (D.Lgs. n.152/99, disposizioni sullatutela delle acque dall’inquinamento e recepimento Direttiva 91/271/CEE e91/676/CEE, D.P.R. n. 515/82, attuazione della direttiva n. 75/440/CEE D.P.R.n. 236/88 attuazione della Direttiva n. 80/778/CEE);

– piano di sviluppo economico-sociale e di sviluppo urbanistico delle Comunitàmontane (artt. 5 e 7 L. n. 1102/71 e integrazioni);

– piano del parco (art.12 L. n. 394/91);– aree ecologicamente attrezzate (art. 26 del D.Lgs.112/98)14.78

Pat

rizia

Col

lett

a

Piano territoriale di coordinamento provincialeUMBRIA – LIGURIA – FRIULI – EMILIA PTCP

Piano territoriale di coordinamentoTOSCANA – MARCHE PTC

Piano territoriale provincialePIEMONTE – VENETO PTP

Piano territorialeABRUZZO PT

Piano urbanistico provincialeSARDEGNA – TRENTINO PUP

Tabella 1. Denominazione degli strumenti di pianificazione.

Piani provinciali e piani regolatori approvati dalla RegionePIEMONTE, VENETO, FRIULI, UMBRIA

Autoapprovazione previa verifica di conformità in sede concorsualeTOSCANA, LIGURIA, BASILICATA

Piani provinciali approvati dalla Regione e piani regolatori approvati dalla ProvinciaEMILIA, MARCHE, ABRUZZO

La pianificazione è tutta contenuta nei PRG approvati dalla Regione, in attesa della definizione del quadro legislativo di recepimento del D.Lgs. n. 267/2000.LOMBARDIA, CALABRIA, CAMPANIA, PUGLIA

Tabella 2. Procedure di approvazione.

Tabella 3. Lo stato di attuazione.

Sono dotate di piano efficace che ha perfezionato tutto l’iter 18

In dirittura di arrivo 15

Sono al lavoro con diverso grado di maturazione del processo 51

Non hanno avviato alcun procedimento 16Oristano, Caltanissetta, Catanzaro, Crotone, Bari, Brindisi, Foggia, Avellino,Benevento, Caserta, Campobasso, Isernia, Gorizia, Udine, Trieste

Fonte: Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000 – Ministero dei lavori pubblici -Elaborazione propria dell’autore.

Page 76: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La pianificazione urbanistica

Il piano regolatore generale (PRG) – previsto nella Legge Urbanistica15, comeparte di una “filiera” gerarchica di strumenti sovra/sotto ordinati – ha rappresen-tato, dal dopoguerra ad oggi, il momento centrale delle trasformazioni urbane edella regolamentazione immobiliare del Paese.

La prima produzione legislativa delle Regioni, dopo il trasferimento dellamateria urbanistica operato negli anni settanta, ha sostanzialmente riprodotto ilmodello impostato dalla legge del 194216.

Dalla metà degli anni novanta è stata posta l’attenzione sulla necessità di unariforma urbanistica, nella quale, oltre a verificare l’attualità di alcuni istituti giuridicifondamentali quali l’esproprio, si è puntato alla ridefinizione del piano regolatoresoprattutto per quanto riguarda la sua “missione” di conformazione della proprietà.

Nelle diverse proposte di riforma, un tema è costante: il PRG viene scisso indue strumenti: il piano “strutturale” e il piano “operativo”.

In sintesi, tale distinzione corrisponde alla necessità di separare la “strate-gia” del piano (non imponendo vincoli finalizzati all’esproprio), dalle “regole” diattuazione del piano stesso (tentando, nel contempo, una riunificazione delletipologie degli strumenti attuativi “specializzati”: il piano particolareggiato diesecuzione (PPE); il piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP); il piano pergli insediamenti industriali (PIP); le Aree di sviluppo industriale (ASI); il piano direcupero (PDR).

Nel D.M. 9 maggio 2001 il rapporto tra variante ai fini della compatibilità territo-riale e pianificazione attuativa è di particolare importanza nei casi di “nuovi insedia-menti o infrastrutture”.

Si può infatti verificare che per la categoria c), i nuovi insediamenti o infra-strutture attorno agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, si possa propor-re – seppure in un ambito territoriale limitato – l’intera gamma degli strumenti edelle previsioni attuative di localizzazione e di trasformazione urbanistica: dalledestinazioni d’uso residenziali, pubbliche e private, agli esercizi commerciali edartigianali, alle infrastrutture viarie e tecnologiche di livello locale e cittadino e,infine, ai servizi pubblici di quartiere o di scala più vasta.

Non è escluso che si debba procedere, quindi, ad una analisi comparata delleprevisioni urbanistiche riguardanti le aree interessate dagli effetti degli scenariincidentali degli stabilimenti soggetti alla Seveso II, per formare un quadro cono-scitivo sicuramente complesso, ma necessario anche ai fini della corretta cate-gorizzazione del territorio.

Le procedure per l’adozione delle varianti di piano

I piani territoriali d’area vasta

Nel D.M. 9 maggio 2001 si è fatto riferimento alla pianificazione d’area vastaper l’individuazione delle aree sulle quali ricadono gli effetti degli incidenti rile- 79

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 77: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

vanti e alla conseguente relazione con la programmazione territoriale, infrastrut-turale e ambientale, ritenendo che il livello sovracomunale fosse il più adatto perrecepire la complessità delle tematiche da affrontare e per le competenze dicoordinamento spettanti alle Province.

Ma è evidente che allo stato attuale, soltanto con un radicale e innovativosforzo di adeguamento della pianificazione d’area vasta alle nuove esigenze, sipotrebbero determinare le condizioni affinché il PTC possa diventare lo stru-mento di coordinamento e di raccordo di interessi e competenze spesso tra loroconfliggenti, avanzate da soggetti istituzionali e non, quali gli Enti, i gestori deglistabilimenti e la popolazione.

In questo senso si è ritenuto opportuno nel decreto affidare anche alla predi-sposizione di programmi integrati la fase d’avvio di programmazione territoriale,in considerazione del fatto che le Province sono ancora, in molti casi, meno dellametà, lontane da essere soggetti con processi di pianificazione compiuti. Maquesto potrebbe rappresentare per le istituzioni territorialmente interessate unimportante stimolo a procedere.

La potenzialità del ruolo delle Province, nell’ambito della governance espres-sa nel 35° rapporto del Censis17, rappresentate come “funzione di potenziali cen-tri di promozione della concertazione istituzionale” si potrebbe esplicare conalmeno due funzioni strategiche: la prima nel ruolo di mediazione, da assumerenel processo di formazione dello strumento di pianificazione tra interessi localicontrastanti e la seconda, non meno rilevante, nella realizzazione di un quadroconoscitivo territoriale e ambientale con una economia gestionale e finanziaria daparte dei Comuni interessati al processo.

Adozione della variante ai piani regolatori generali

Per la pianificazione urbanistica è prevista la formazione di un elaborato diRischio di Incidente Rilevante (RIR) che diventando documento allegato alpiano, di fatto condiziona, vincolando uso e destinazioni dei suoli, le scelteurbanistiche e amministrative attraverso le relative modifiche all’assetto delterritorio, alle norme di attuazione dello strumento urbanistico e ai regolamen-ti connessi.

Il processo di adeguamento degli strumenti urbanistici viene definito, in sin-tesi, nel punto 5 dell’allegato al D.M. 9 maggio 2001. Si tratta di tre fasi prelimi-nari per la formazione della variante al piano:1. l’identificazione degli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili (cfr. punto

6.1 dell’allegato al D.M. 9 maggio 2001). Si tratta di una attività “ordinaria”nella progettazione di uno strumento urbanistico (in particolare con finalità“attuative”) nella quale, di norma, sono identificati in modo puntuale gliimmobili e le relative destinazioni d’uso esistenti, la legittimità delle costru-zioni ecc. Un ulteriore elemento da considerare è dato dalla ricognizione dellapianificazione esistente e non ancora attuata, che deve essere rivista alla lucedella individuazione delle limitazioni previste dalla variante da adottare. Nello80

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 78: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

specifico, occorre inoltre effettuare una analisi ancora più approfondita, even-tualmente – laddove esistente un Sistema informativo territoriale (SIT) comu-nale – ricollegando le informazioni anagrafiche dell’area di osservazione edesaminando anche i tempi d’uso degli immobili;

2. la determinazione delle aree di danno e la sovrapposizione delle medesimeagli elementi territoriali e ambientali vulnerabili (cfr. punto 6.2 dell’Allegato).Questa fase è ancora, in massima parte, di carattere ricognitivo. L’esitodetermina rispetto al valore di soglia dello scenario incidentale una matricedi compatibilità/incompatibilità degli immobili esistenti, nonché l’individua-zione delle destinazioni d’uso ammissibili o meno all’interno delle aree didanno;

3. la valutazione della compatibilità territoriale e ambientale (cfr. punto 6.3dell’Allegato). Per identificare le categorie compatibili con la probabilità deglieventi e con le categorie di effetti degli incidenti, si tratta di applicare, in baseai dati reperiti18, la tabella 3a del D.M. 9 maggio 2001. In tal modo si creano ipresupposti in base ai quali viene costruita la normativa tecnica da adottarebasata, sostanzialmente, sull’ammissibilità o meno delle destinazioni d’uso,come rubricate nella tabella 1 e secondo quanto previsto nel punto 6.3.3(compatibilità con gli elementi ambientali).Tuttavia, il processo di regolamentazione non può essere concepito “statica-

mente”.Di fatto, si apre un conflitto tra la natura e i tempi dei procedimenti urbanistici

e la maggiore velocità con la quale i processi industriali e tecnologici si realizzanoin relazione alle modifiche che si potrebbero determinare: quindi sarebbe neces-saria una continua iterazione del processo.

Sotto questo aspetto, una possibile ricomposizione degli interessi può esse-re tentata attraverso una strategia concertata dall’Amministrazione comunale,con la promozione di programmi integrati d’intervento.

Il D.M. 9 maggio 2001 e, in particolare, l’Allegato tecnico è stato concepitocome una “guida” per chi pianifica il territorio, definendo criteri e modalità di veri-fica di compatibilità territoriale in riferimento alla destinazione e utilizzazione deisuoli nonché di compatibilità ambientale in relazione agli elementi naturali.

I punti strategici per l’attuazione del decreto sono:1. la concertazione tra i diversi soggetti competenti in materia di pianificazione

urbanistica, territoriale e di tutela ambientale e le autorità competenti in mate-ria di rischio di incidente rilevante;

2. l’individuazione delle procedure e dei soggetti preposti alla raccolta e diffu-sione delle informazioni e dei dati per il controllo dell’urbanizzazione.Per chiarire meglio quale sia la sequenza del processo di formazione di varian-

ti considerata nel D.M. 9 maggio 2001 e gli aspetti metodologici di tale proces-so, si riportano il caso tipico di procedura di variante al PTC e allo strumento urba-nistico e il caso – auspicabilmente transitorio – della procedura di autorizzazionead edificare, nelle more della formazione della variante urbanistica. 81

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 79: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

È da notare come, nei casi esplicativi, alcune fasi della procedura di formazionedelle varianti agli strumenti di pianificazione di area vasta e di livello comunale sianostate unificate.

Di fatto, si vuole riprendere quanto espresso nella premessa dell’allegato aldecreto circa l’opportunità e la convenienza di procedere contestualmente allariconfigurazione del quadro programmatico e della pianificazione del PTC e dellapianificazione conformativa della proprietà, tipica della strumentazione urbanistica.

Il D.M. 9 maggio 2001 prescrive la formazione di un allegato RIR nel solo casodella variante urbanistica: il dettaglio dei contenuti di tale elaborato viene specifi-cato più avanti.

Tuttavia c’è da porsi la questione della formalizzazione del contenuto – pre-scrittivo e precettivo, ove necessario, nei confronti degli strumenti urbanistici –del PTC. In questo caso, nella logica e nella prassi della co-pianificazione, l’alle-gato assume un valore di esito del processo di condivisione delle scelte tra Entilocali, Province e la Regione.

Un percorso metodologico

Il D.M. 9 maggio 2001 prevede l’approvazione della variante al piano di coor-dinamento provinciale e agli strumenti urbanistici nei casi di:a) insediamento nuovi stabilimenti;b) modifiche di cui all’art. 10 del D.Lgs n. 334/99 degli stabilimenti esistenti;c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti.

Le esemplificazioni di percorso metodologico, di seguito riportate, con riferi-mento alle indicazioni dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/99 e del D.M. 9 maggio2001, riguardano i seguenti casi:1) approvazione della variante al piano di coordinamento provinciale e agli stru-

menti urbanistici;2) rilascio dei titoli abilitativi edilizi nelle more di approvazione della variante agli

strumenti di pianificazione urbanistica.

Caso 1): Procedura di approvazione della variante al piano di coordinamentoprovinciale e agli strumenti urbanistici.

Nel caso di insediamento di nuovo stabilimento o di modifiche di stabilimen-ti esistenti, il proponente l’opera è il gestore, al quale viene rilasciata da partedelle Autorità competenti, l’autorizzazione alla realizzazione dell’insediamento,previa verifica della compatibilità con il territorio circostante.

Nel caso di realizzazioni di nuovi insediamenti residenziali o di infrastruttureattorno a stabilimenti esistenti il proponente l’opera può essere il soggetto pub-blico e/o privato.

L’ipotesi assunta è che non sia stata approvata la normativa regionale di attua-zione dell’art. 72 del D.Lgs. n. 112/98 che conferisce alle Regioni la competenzaamministrativa relativa alle attività a rischio di incidente rilevante e quella previstaall’art. 2 del D.M. 9 maggio 2001. Questo aspetto è di particolare importanza.82

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 80: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

83

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

D.M. 9 maggio 2001, art. 2 comma 1 (Disciplina regionale).

1. Le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanisti-ca, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17 agosto1999, n. 334 e dal presente decreto, prevedendo anche opportune forme di concertazionetra gli enti territoriali competenti, nonché con gli altri soggetti interessati.

Inoltre, è da tenere presente come la Regione, con apposita delega, conferi-sce le competenze amministrative alle Province. Di conseguenza, il primo passoricognitivo è proprio la definizione degli interlocutori istituzionali da coinvolgere.

Un ulteriore elemento di verifica è dato da altre condizioni che si possonodeterminare nei casi previsti dall’ambito oggettivo del decreto:– nel caso a) “nuovi stabilimenti”, l’intervento potrebbe prevedere la variazione

della destinazione urbanistica dei suoli, qualora la destinazione d’uso nonfosse industriale, ma di altra natura. Tale variazione potrebbe generare limita-zioni di edificabilità nell’intorno dello stabilimento se le aree di danno risultas-sero esterne a quelle di pertinenza dello stabilimento (categoria territoriale“F” della tabella 1 dell’Allegato). Il Comune in questo caso, tenendo contodelle previsioni di piano vigenti, decide se procedere alla variante urbanistica,verificando le convenienze economiche, sociali e ambientali conseguenti allarealizzazione dell’intervento stesso;

– nel caso b) “modifiche con aggravio di rischio”, si potrebbero generare limi-tazioni all’uso del suolo e alle previsioni urbanistiche già assunte, nelle areeesterne allo stabilimento: occorre quindi verificare la compatibilità di tale inter-vento. Se incompatibile con le preesistenze, ovvero con le previsioni urbani-stiche, si deve valutare l’opportunità di procedere alla variante, analizzandocosti e benefici economici, sociali e ambientali;

– nel caso c) “nuovi insediamenti o infrastrutture”, per determinare l’opportu-nità o meno della realizzazione dell’intervento, sia di tipo residenziale cheinfrastrutturale, occorre procedere alla verifica di compatibilità rispetto allearee di danno determinate dallo stabilimento esistente. Se incompatibile, sipuò procedere alla variante, dovendo assumere, tuttavia, alcune decisioni pre-liminari, in relazione alla situazione di contesto, alla convenienza economica esociale e alla effettiva disponibilità e volontà di utilizzare aree diverse. È quin-di possibile:

a) delocalizzare l’intervento previsto in altre aree disponibili, non soggette a con-dizioni di rischio, dovendo, ovviamente, procedere ad una perequazione deivalori fondiari;

b) mutare la tipologia di intervento e il carico urbanistico con la modifica delledestinazioni d’uso dei suoli (ad esempio da edilizia residenziale ad uso arti-gianale e produttivo) in modo tale da determinare le condizioni di compatibi-lità con la categoria territoriale ammissibile, in base alla tabella 1. Anche inquesto caso, occorre verificare la necessità di procedere ad una perequazio-ne dei valori fondiari.

Page 81: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

È da mettere in evidenza che la tipologia di intervento richiamata nell’art. 14del D.Lgs. n. 334/99 nel caso c) “nuovi insediamenti o infrastrutture” potrebbecomprendere anche gli interventi sui tessuti edilizi esistenti, nei casi in cui si veri-fichi un incremento del carico urbanistico. Il cambio di destinazione d’uso, gliampliamenti consistenti e le altre trasformazioni sul patrimonio edilizio esistentecomportano, infatti, il probabile incremento di carico urbanistico e di conseguen-za il potenziale aggravio della vulnerabilità, condizione peraltro richiamata esplici-tamente nel citato art. 14.

È opportuno ricordare, infine, la possibilità di avvalersi del comma 6 dell’art.14del D.Lgs. n. 334/99, nel caso di stabilimenti esistenti, secondo il quale si richie-de al gestore di effettuare interventi che consentono, con l’utilizzo delle miglioritecnologie disponibili, di ridurre le aree di danno e quindi il rischio legato al veri-ficarsi dell’evento incidentale.

84

Pat

rizia

Col

lett

a

Articolo 14, comma 6 D.Lgs. n. 334/99.

In caso di stabilimenti esistenti ubicati vicino a zone frequentate dal pubblico, zone residen-ziali e zone di particolare interesse naturale il gestore deve, altresì, adottare misure tecnichecomplementari per contenere i rischi per le persone e per l’ambiente, utilizzando le miglioritecniche disponibili. A tal fine il Comune invita il gestore di tali stabilimenti a trasmettere,entro tre mesi, all’autorità competente di cui all’articolo 21, comma 1, le misure che inten-de adottare; tali misure vengono esaminate dalla stessa autorità nell’ambito dell’istruttoriadi cui all’articolo 21.

Per tutti i casi suindicati, è necessario pervenire, in via preventiva, alla cono-scenza oggettiva della situazione di rischio determinata dalla presenza deglistabilimenti, formalizzando nella cartografia del piano vigente le informazionirelative ai siti e alle aree di danno fornite dai gestori. Tale conoscenza è oppor-tuna anche in via generale, al fine di predisporre gli elementi di valutazione utilial momento dell’attivazione dei procedimenti di variazione degli strumentiurbanistici.

Anche nel caso di situazione invariata, cioè stabilimento esistente e alcunaprevisione di intervento, la quale non è esplicitamente contemplata nel D.M. 9maggio 2001, è auspicabile pervenire alla conoscenza e alla valutazione dellearee di danno in previsione di una possibile modifica alla normativa sui tessutiedilizi esistenti, nonché per la predisposizione di politiche di decremento del cari-co urbanistico e di eventuale diminuzione dei fattori di pressione e di rischio sullecomponenti ambientali.

Par. 3 Allegato tecnico D.M. 9 maggio 2001: Sono esclusi dall’applicazione diretta del pre-sente decreto gli stabilimenti esistenti, che non ricadono in una delle fattispecie previste dal-l’articolo 14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, nonché gli stabilimenti per i qualiè in corso di definizione l’istruttoria prevista dalla normativa vigente, fino alla conclusionedella medesima. È comunque possibile in sede di revisione della pianificazione territoriale eurbanistica assumere i criteri e le metodologie del presente decreto, con una opportuna ana-lisi e documentazione degli elementi tecnici e delle decisioni assunte.

Page 82: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

85

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

eIl percorso metodologico ipotizzato può essere articolato in fasi:

Fase A.1: conoscenza degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili.

La Provincia, con il concorso dei Comuni interessati, in cui sono localizzati glistabilimenti ma anche comuni limitrofi e, comunque i singoli Comuni, predi-spongono gli strumenti di conoscenza del territorio individuando:– le localizzazioni degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e le relative

aree di danno;– gli elementi territoriali vulnerabili così come definiti nella tabella 1 “Categorie

territoriali”;– gli elementi di vulnerabilità ambientale così come definiti nel paragrafo

“Elementi ambientali vulnerabili”.Le informazioni devono essere integrate con quelle fornite dal gestore previ-

ste dall’Allegato V, sezione III del D. Lgs. n. 334/99.Questa fase può avere una doppia valenza: da una parte fornire gli elementi

per l’adozione della variante al piano territoriale di coordinamento e dall’altra,costituire l’archivio informativo necessario per le eventuali varianti ai pianiregolatori, ovvero come ricognizione della situazione territoriale e ambientaleesistente.

Allegato tecnico D.M. 9 maggio 2001, TABELLA 1 – Categorie territoriali.

Categoria A1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edi-

ficazione sia superiore a 4,5 m3/m2.2. Luoghi di concentrazione di persone con limitata capacità di mobilità - ad esempio ospe-

dali, case di cura, ospizi, asili, scuole inferiori, ecc. (oltre 25 posti letto o 100 personepresenti).

3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante all’aperto - ad esempio mercati stabili o altredestinazioni commerciali, ecc. (oltre 500 persone presenti).

Categoria B1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edi-

ficazione sia compreso tra 4,5 e 1,5 m3/m2.2. Luoghi di concentrazione di persone con limitata capacità di mobilità - ad esempio ospe-

dali, case di cura, ospizi, asili, scuole inferiori, ecc. (fino a 25 posti letto o 100 personepresenti).

3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante all’aperto - ad esempio mercati stabili o altredestinazioni commerciali, ecc. (fino a 500 persone presenti).

4. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante al chiuso - ad esempio centri commerciali, ter-ziari e direzionali, per servizi, strutture ricettive, scuole superiori, università, ecc. (oltre500 persone presenti).

5. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante con limitati periodi di esposizione al rischio - adesempio luoghi di pubblico spettacolo, destinati ad attività ricreative, sportive, culturali,religiose, ecc. (oltre 100 persone presenti se si tratta di luogo all’aperto, oltre 1000 alchiuso).

6. Stazioni ferroviarie ed altri nodi di trasporto (movimento passeggeri superiore a 1000persone/giorno).

Page 83: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

86

Pat

rizia

Col

lett

a

Allegato tecnico D.M. 9 maggio 2001 - 6.1.2 Elementi ambientali vulnerabili

[...] Beni paesaggistici e ambientali (D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490).Aree naturali protette (es. parchi e altre aree definite in base a disposizioni normative).Risorse idriche superficiali (es. acquifero superficiale; idrografia primaria e secondaria;corpi d’acqua estesi in relazione al tempo di ricambio ed al volume del bacino);Risorse idriche profonde (es. pozzi di captazione ad uso potabile o irriguo; acquiferoprofondo non protetto o protetto; zona di ricarica della falda acquifera).Uso del suolo (es. aree coltivate di pregio, aree boscate).La vulnerabilità di ognuno degli elementi considerati va valutata in relazione alla feno-menologia incidentale cui ci si riferisce. Su tale base, in via generale e a solo titolo diesempio, si potrà considerare trascurabile l’effetto prodotto da fenomeni energeticicome l’esplosione e l’incendio nei confronti dell’acqua e del sottosuolo. In tutti gli altricasi, la valutazione della vulnerabilità dovrà tenere conto del danno specifico che puòessere arrecato all’elemento ambientale, della rilevanza sociale ed ambientale dellarisorsa considerata, della possibilità di mettere in atto interventi di ripristino susseguen-temente ad un eventuale rilascio.In sede di pianificazione territoriale e urbanistica, verrà effettuata una ricognizione dellapresenza degli elementi ambientali vulnerabili, come individuabili in base a specifichedeclaratorie di tutela, ove esistenti, ovvero in base alla tutelabilità di legge, oppure, infi-ne, in base alla individuazione e disciplina di specifici elementi ambientali da parte dipiani territoriali, urbanistici e di settore.

Categoria C1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edi-

ficazione sia compreso tra 1,5 e 1 m3/m2.2. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante al chiuso - ad esempio centri commerciali, ter-

ziari e direzionali, per servizi, strutture ricettive, scuole superiori, università, ecc. (fino a500 persone presenti).

3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante con limitati periodi di esposizione al rischio - adesempio luoghi di pubblico spettacolo, destinati ad attività ricreative, sportive, culturali,religiose, ecc. (fino a 100 persone presenti se si tratta di luogo all’aperto, fino a 1000 alchiuso; di qualunque dimensione se la frequentazione è al massimo settimanale).

4. Stazioni ferroviarie ed altri nodi di trasporto (movimento passeggeri fino a 1000 perso-ne/giorno).

Categoria D1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edi-

ficazione sia compreso tra 1 e 0,5 m3/m2.2. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante, con frequentazione al massimo mensile - ad

esempio fiere, mercatini o altri eventi periodici, cimiteri, ecc..

Categoria E1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edi-

ficazione sia inferiore a 0,5 m3/m2.2. Insediamenti industriali, artigianali, agricoli, e zootecnici.

Categoria F1. Area entro i confini dello stabilimento. 2. Area limitrofa allo stabilimento, entro la quale non sono presenti manufatti o strutture in

cui sia prevista l’ordinaria presenza di gruppi di persone.

Fase A.2: determinazione delle aree di danno.

Negli elaborati predisposti per l’analisi territoriale e ambientale, su baseaerofotogrammetrica e utilizzando sistemi informativi territoriali georeferenziati(SIT), si identificano le aree di danno in base:

Page 84: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– alle informazioni fornite dal gestore (punto 7.1 dell’Allegato al D.M. 9 maggio2001);

– alle valutazioni effettuate e fornite dall’autorità competente (punto 7.2dell’Allegato al D.M. 9 maggio 2001) di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 334/99.

Fase A.3: valutazione della compatibilità territoriale e ambientale.

Questa è la fase della verifica della compatibilità degli effetti degli scenari inci-dentali ipotizzati con il contesto territoriale e ambientale secondo i criteri stabilitial punto 6.3: “Criteri per la valutazione della compatibilità territoriale e ambienta-le”, in base alla quale sottoporre a specifica regolamentazione le aree interessa-te dal rischio di evento incidentale.

Tale procedura comprende la verifica della compatibilità delle categorie terri-toriali riportate nella tabella 3a ed esplicitate nella tabella 1 dell’Allegato al D.M.9 maggio 2001.

È evidente come tale valutazione costituisca la fase propedeutica alla stesu-ra della normativa tecnica relativamente alle destinazioni d’uso e agli interventiammissibili nelle zone soggette a rischio.

È il caso di tenere presente che la tabella 1 ha origine nell’esperienza conso-lidata della normativa per il settore del GPL (decreti ministeriali 15 maggio 1996e 20 ottobre 1998). La Tabella 1 è stata modificata in riferimento alle specificitàdella pianificazione territoriale e urbanistica. Tuttavia, la casistica reale che si puòverificare è sicuramente più ampia dell’elenco riportato nella tabella 1 che, tra l’al-tro, non tiene conto di parametri dinamici attinenti al territorio e al tempo di per-manenza delle persone.

È probabile quindi che sia necessario ricorrere ad una casistica più eteroge-nea per conseguire una maggiore aderenza tra la normativa e la situazione reale.

A questo proposito è opportuno tenere presente:a) la densità territoriale, espressa in termini di indice di fabbricabilità fondiaria,

che esprime il numero di abitanti presenti legata alla tipologia edilizia esisten-te o da realizzare;

b) la destinazione d’uso degli immobili, anche con riferimento al tempo di per-manenza degli abitanti e/o degli addetti;

c) la casistica dei luoghi, aperti o chiusi, che hanno diversa relazione con letipologie degli effetti fisici prodotti dagli eventi incidentali, nonché le condi-zioni e la tipologia degli immobili, considerate anche le tecnologie e i mate-riali utilizzati.Nel valutare la compatibilità territoriale si dovrà tenere conto anche di tutti i

fattori di valore positivo concorrenti alla definizione del grado di vulnerabilità e disicurezza dell’area, specifici dell’impianto e del sito, che non sono definibili in ter-mini tecnici o determinabili a priori con metodi scientifici di vario tipo quali: la pre-senza di specifiche misure di carattere gestionale, l’adozione di particolari siste-mi innovativi e di tecnologie avanzate; la disponibilità di strutture di pronto inter-vento e soccorso nell’area; l’adozione di particolari misure di allertamento e pro-tezione per gli insediamenti civili. 87

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 85: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Fase B.1: Formazione dell’Elaborato tecnico “RIR” al piano.

Per pervenire alle scelte di pianificazione si prevede l’elaborazione di unElaborato tecnico RIR, che consente alle autorità competenti di avere a disposi-zione uno strumento di facile lettura per assumere le decisioni.

I contenuti dell’Elaborato tecnico RIR che diventa elaborato integrante dellostrumento urbanistico e quindi della normativa tecnica, sono definiti al punto 3.1.dell’“Allegato tecnico D.M. 9 maggio 2001”. È stato concepito come strumentodi riconformazione urbanistica, ma i contenuti possono essere utilizzati anchecome riferimento per la programmazione territoriale.

Inoltre, concorrono alle scelte di pianificazione e programmazione territorialee urbanistica:– le previsioni dei piani di emergenza di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 334/99;– l’individuazione delle aree ecologicamente attrezzate di cui all’art. 26 del

D.Lgs. n. 112/98;– gli eventuali ulteriori elementi di valutazione richiamati al paragrafo 7.2

“Valutazioni fornite dall’autorità ex art. 21 comma 1 del D.Lgs. n. 334/99”;– altre eventuali misure derivanti dall’esito della procedura di Valutazione di

Impatto Ambientale (VIA), ove prevista.

88

Pat

rizia

Col

lett

a

Elaborato tecnico “Rischi di incidenti rilevanti” (RIR), ai sensi del punto 3.1.

dell’Allegato al D.M. 9 maggio 2001.

3.1. Elaborato tecnico “Rischio di Incidenti Rilevanti” - RIR.L’Elaborato tecnico consente una maggiore leggibilità e una più chiara definizione dei pro-blemi, delle valutazioni, delle prescrizioni cartografiche, utili sia nelle fasi di formazione eapprovazione sia in quelle di attuazione. La presenza di una serie di elaborati “autosuffi-cienti” - sia pure, evidentemente, in stretto rapporto con i più generali contenuti del piano -potrà inoltre favorire il rapporto tra autorità a vario titolo competenti, nel corso dell’iter di for-mazione del piano. L’Allegato tecnico potrà infine essere utilizzato nell’ambito delle proce-dure di consultazione della popolazione previste dall’articolo 23 del decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334.L’Elaborato tecnico, che costituisce parte integrante e sostanziale dello strumento urbani-stico, dovrà contenere, di norma:– le informazioni fornite dal gestore, di cui al punto 7;– l’individuazione e la rappresentazione su base cartografica tecnica e catastale aggiorna-

ta degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili;– la rappresentazione su base cartografica tecnica e catastale aggiornata dell’inviluppo

geometrico delle aree di danno per ciascuna delle categorie di effetti e, per i casi previ-sti, per ciascuna classe di probabilità;

– individuazione e disciplina delle aree sottoposte a specifica regolamentazione risultantidalla sovrapposizione cartografica degli inviluppi e degli elementi territoriali e ambienta-li vulnerabili di cui sopra;

– gli eventuali pareri delle autorità competenti ed in particolare quello dell’autorità di cuiall’art. 21, comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334;

– le eventuali ulteriori misure che possono essere adottate sul territorio, tra cui gli specificicriteri di pianificazione territoriale, la creazione di infrastrutture e opere di protezione, la pia-nificazione della viabilità, i criteri progettuali per opere specifiche, nonché, ove necessario,gli elementi di correlazione con gli strumenti di pianificazione dell’emergenza e di prote-zione civile.

Page 86: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

89

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Par. 1. Premessa dell’Allegato al D.M. 9 maggio 2001 [...].

A seconda dei casi specifici, delle diverse normative regionali e delle attribuzioni di compe-tenze derivate dai processi di delega in corso, si possono prefigurare varie modalità di atti-vazione delle procedure di variazione della pianificazione territoriale, in rapporto anche allemodifiche relative alla pianificazione urbanistica. Si può ipotizzare un tradizionale processo sequenziale, che parte dalla determinazione degliindirizzi generali a livello provinciale, da parte del piano territoriale di coordinamento, per arri-vare ad una individuazione e disciplina specifica delle aree sottoposte a regolamentazioneda parte dello strumento urbanistico comunale. Ma si possono anche ipotizzare processiche, almeno in parte, seguono la direzione opposta, dal Comune alla Provincia. Si possonoinfine ipotizzare processi e strumenti di copianificazione e concertazione che contestual-mente definiscono criteri di indirizzo generale di assetto del territorio e attivano le procedu-re di riconformazione della pianificazione territoriale e della pianificazione urbanistica.Quest’ultima ipotesi è auspicabile, anche in relazione alla necessità di apportare le variantinecessarie all’adeguamento al presente decreto in tempi molto brevi sia per i piani territo-riali di coordinamento che per gli strumenti urbanistici, come previsto dall’art.14 del decre-to legislativo 17 agosto 1999, n. 334. È di tutta evidenza quindi l’opportunità di rendere con-testuali, il più possibile, le analisi, le valutazioni ed elaborazioni tecniche, nonché le decisio-ni degli enti territoriali competenti e dei soggetti comunque interessati.

Fase B.2: Approvazione della variante al piano territoriale e agli strumentiurbanistici.

Dall’esito della valutazione della fase A.3 e con le informazioni e le valutazio-ni contenute nell’Elaborato tecnico RIR si procede all’adozione della variante alpiano regolatore generale e ad altri eventuali strumenti attuativi secondo quantodefinito al par. 3 “Pianificazione urbanistica” dell’Allegato, nonché, di conse-guenza, alla revisione degli strumenti di pianificazione settoriale e di quelli, didiversa natura e finalità, che possono interessare l’area oggetto della variante.

Una volta espletate le fasi preliminari di formazione del progetto di variante dellostrumento urbanistico, la procedura di approvazione definitiva – fatte salve le dispo-sizioni regionali in merito all’applicazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 447/98 che posso-no riguardare solo i casi a) e b) dell’ambito oggettivo del D.M. 9 maggio 2001 – èsostanzialmente quella ordinaria, prevista dalla legislazione nazionale e regionale.

Inoltre è da considerare, già nella fase di stesura della normativa tecnica, lapossibilità di promuovere uno o più programmi integrati di intervento (comma 5dell’articolo 4 del D.M. 9 maggio 2001) in caso di incompatibilità o di necessità diadottare misure ed interventi di riduzione del rischio e di mitigazione degli effetti.

Per quanto riguarda l’adozione della variante ai piani territoriali, ferme restan-do le normative regionali in materia di procedimento approvativo dei PTC, laProvincia, secondo quanto espresso nel D.M. 9 maggio 2001, potrebbe avvaler-si di due percorsi diversi:– convocare gli Enti coinvolti, in apposita sede di concertazione istituzionale,

sulla base degli Allegati tecnici RIR predisposti dai Comuni interessati, e per-venire alla formulazione della variante al piano territoriale;

– elaborare il proprio Allegato tecnico RIR, d’intesa con i Comuni interessati, epervenire all’adozione del piano territoriale.

Page 87: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Caso 2: Procedura di rilascio di autorizzazione in assenza di approvazione dellavariante agli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica20.

Qualora non sia stata approvata la variante al piano territoriale di coordina-mento e agli strumenti urbanistici di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 è previstoil rilascio della concessione o della autorizzazione edilizia, previo pareredell’Autorità competente ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 334/99.

L’obbligo del parere preventivo deve essere esteso anche alla denuncia di ini-zio attività, nel caso sia prevista dal comma 6 dell’art. 1 della L. n. 443/01 e dalleleggi regionali, l’applicabilità di tale istituto a fattispecie equivalenti a quelle sog-gette alle medesime concessioni e autorizzazioni.

In questo caso, l’Amministrazione comunale interessata subordina il rilasciodella relativa concessione, ovvero l’efficacia della denuncia d’inizio attività, alparere tecnico dell’Autorità competente di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 334/99.

Tale procedimento, pervenendo al rilascio o al diniego del titolo abilitativo edi-lizio per la realizzazione, in base ai requisiti minimi di sicurezza, presenta degliinevitabili limiti di valutazione. Infatti tale procedimento è espletato senza tenereconto di uno scenario complessivo più ampio per ciò che attiene la localizzazio-ne, la vulnerabilità del territorio e la sostenibilità ambientale dell’intervento, quin-di non contemplando le problematiche di area vasta e tutti gli aspetti più specifi-catamente urbanistici e di programmazione territoriale.

È per questo auspicabile procedere alla adozione della variante al piano regola-tore generale, limitando la fase transitoria ad un periodo di tempo molto ridotto.

La fase di valutazione e di acquisizione dei dati utili alla decisione è la seguente:

Fase A.1: conoscenza degli elementi vulnerabili territoriali e ambientali;

Fase A.2: determinazione delle aree di danno;

Fase A.3: valutazione della compatibilità territoriale (tab. 3b) e ambientale.Nel caso della realizzazione di nuovi insediamenti o di infrastrutture attorno

agli stabilimenti esistenti la valutazione di cui al punto A.3 è ulteriormente imple-mentata dall’interazione tra il CTR con l’Amministrazione comunale, al fine di per-venire ad una fase di screening, in analogia ad altri procedimenti (come ad esem-pio la VIA) con le seguenti azioni:

Fase A.3.1: identificazione della tipologia del nuovo insediamento o della infra-struttura e della categoria di intervento edilizio, con l’identificazione dei parame-tri di aggravio del carico urbanistico e degli effetti indotti dalla nuova costruzioneo dalla trasformazione di quella esistente.

Fase A.3.2: valutazione, rispetto a quanto determinato nella fase A.3.1. dellepotenzialità di aumento degli effetti dello scenario incidentale, derivanti dalla rea-lizzazione del nuovo insediamento o infrastruttura.

Fase B.1: emanazione del parere da parte del CTR;

Fase B.2: rilascio del titolo abilitativo edilizio o allegazione alla DIA del pareredell’Autorità competente, ai fini della realizzazione dell’intervento.90

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 88: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La pianificazione integrata: rischio di incidente rilevante e criticità ambientale

Per quanto sinora detto, per la complessità delle tematiche e la molteplicitàdei soggetti e delle variabili in gioco, si ritiene auspicabile che la nuova disciplinadi coordinamento regionale e di applicazione del D.M. 9 maggio 2001 ai vari livel-li istituzionali, si sostanzi in strumenti normativi e procedurali che consentanol’avvio del processo integrato di valutazione e di pianificazione per le situazioni dirischio nell’area vasta, avendo come base di partenza la formazione della varian-te ai piani territoriali di coordinamento e agli strumenti urbanistici.

Considerando la necessità di attuare politiche di intervento mirate alla “pre-venzione del rischio”, una ipotesi evolutiva della norma nella legislazione regio-nale potrebbe ampliare la formulazione dei criteri per i requisiti minimi di sicu-rezza e non limitarla alla sola individuazione delle distanze e alla determinazionedelle aree di danno, da applicare alle aree interessate dagli stabilimenti a rischiodi incidente rilevante.

Tali distanze dovrebbero essere considerate non una pura e semplice apposi-zione di vincolo al territorio, ma viceversa, nel processo di pianificazione, comeun primo indicatore o requisito della valutazione di sostenibilità territoriale eambientale più complessiva e strategica, ricollegandola all’analisi dei fattori dipressione e della situazione di compromissione delle componenti ambientali, inrelazione all’esistenza e allo svolgimento delle attività produttive.

Nel tenere conto di queste esigenze, il D.Lgs. n. 334/99 conforma un “siste-ma” di strumenti e procedure per la gestione della sicurezza, la predisposizionedei piani di intervento nelle aree ad elevata concentrazione industriale, nonchéper individuare l’effetto “domino” ed eventualmente procedere al riesame deirispettivi sistemi di gestione; inoltre, la popolazione è coinvolta in forma attiva,sia nella realizzazione dei nuovi impianti e nelle modifiche degli stessi, che nellapianificazione di emergenza esterna, superando, in questo ultimo caso, la sola“informazione”, ma attivando forme di consultazione.

L’obiettivo che risulta evidente è il superamento delle politiche di “vincolo”alle attività che si svolgono sul territorio, verso il raggiungimento, viceversa, diuna politica integrata di sostenibilità ambientale e del raggiungimento dei massi-mi livelli di sicurezza perseguibili. Tale politica, che appare opportuno riferire allaprogrammazione e alla pianificazione di area vasta, può essere completata conuna azione di “concertazione”, ormai consolidata all’interno della prassi delgoverno del territorio, tra le istituzioni e i soggetti sociali ed economici, con ilfine ultimo di condividere le scelte in un tema delicato e complesso, come quel-lo che implica la tutela della vita e della salute delle persone, la tutela ambien-tale, nonché la salvaguardia della qualità e dei livelli occupazionali.

Sono necessarie due condizioni preliminari, per sostenere la strategia di poli-tica “attiva” su menzionata: la prima riguarda la condivisione delle responsabilità,attraverso un coinvolgimento diretto delle istituzioni titolari della competenza diprogrammazione e pianificazione del territorio, degli imprenditori e in senso piùampio del mondo produttivo, delle rappresentanze sociali e sindacali e della 91

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 89: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

popolazione; la seconda – tema costante nella disciplina urbanistica – si riferisceallo snellimento e alla riunificazione delle procedure di attuazione, in strumentiche consentano di attuare quanto previsto in tempi e con finanziamenti certi.

Alcune esperienze di accordi di programma per gli interventi nelle aree di crisiambientale hanno avuto esiti sostanzialmente positivi, anche rispetto alla forma-zione di queste condizioni preliminari. Il quadro delle possibilità di accordo vieneoggi ad essere completato e implementato anche dal D.M. 9 maggio 2001, ilquale richiama, più volte, strategie di concertazione tra soggetti istituzionali(Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni) e strumenti di pianificazione“negoziata”, quali i Programmi integrati.

In particolare sul tema dell’intervento concorrente delle Regioni nella materia,la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 407 del 10 luglio 2002, che hadichiarato infondato il ricorso promosso dal Governo sulla Legge della RegioneLombardia n. 19 del 23 novembre 2001 “Norme in materia di attività a rischio diincidente rilevante” ha fornito alcune interessanti interpretazioni. Si legge, infat-ti, nella sentenza “[…] l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionaleportano ad escludere che possa identificarsi una ‘materia’ in senso tecnico, qua-lificabile come ‘tutela dell’ambiente’, dal momento che non sembra configurabi-le come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri inte-ressi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedentealla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una con-figurazione dell'ambiente come ‘valore’ costituzionalmente protetto, che, inquanto tale, delinea una sorta di materia ‘trasversale’, in ordine alla quale si mani-festano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando alloStato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplinauniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)”.

Tra l’altro la Corte ritiene che: “l'intento del legislatore sia stato quello di riser-vare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'in-tero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competen-za regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamen-te ambientali”.

La Corte svolge, nel dispositivo della sentenza, alcune considerazione in ordi-ne ai settori interessati dal D.Lgs. n. 334/99 componendo un quadro organicodelle competenze ripartite, che coinvolge, segnatamente e in modo correlato, lematerie della “tutela della salute”, del “governo del territorio”, della “protezionecivile” e, infine, della “tutela e sicurezza del lavoro”. Secondo la Corte “In defi-nitiva quindi il predetto decreto n. 334 del 1999 riconosce che le regioni sonotitolari, in questo campo disciplinare, di una serie di competenze concorrenti, cheriguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'am-biente”.

La sentenza della Corte Costituzionale offre, quindi, una lettura del D.Lgs. n.334/99 nella quale è possibile riconoscere una strategia complessiva di analisi e92

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 90: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

di valutazione degli scenari incidentali in relazione alle problematiche ambientali,alla presenza delle infrastrutture, al contesto territoriale e alla pianificazione diemergenza.

La conoscenza e l’acquisizione dei dati

La prima riflessione è che i processi di cui stiamo trattando, per la loro com-plessità e per specificità richiedono la disponibilità di reperimento dei dati terri-toriali, ambientali e di valutazione del rischio che, notoriamente oggi, sono unpatrimonio disperso in innumerevoli sedi centrali e periferiche, tra varie istituzio-ni ed enti, a livello statale e locale.

La mappatura dei siti Seveso, che consente l’individuazione dell’ubicazionedegli impianti, con l’indicazione delle caratteristiche e delle produzioni, del tipo edelle quantità di sostanze, degli effetti e dei rischi connessi all’attività così comedesumibili dai rapporti di sicurezza, deve essere interfacciata con i parametri ditipo ambientale, urbanistico e infrastrutturale con il supporto di adeguati sistemigeoreferenziati e con l’adeguamento delle scale grafiche necessarie per i varilivelli di approfondimento.

Da questi dati di base multi-layer, allo stato attuale difficilmente comparabilitra loro, si possono desumere i modelli di vulnerabilità che permettono di deter-minare il danno alla popolazione, all’ambiente e alle strutture in un contesto dovel’impianto non vive avulso dalla realtà in cui è ubicato, ma ne determina con i suoieffetti la variazione di qualità ambientale e di livello di sicurezza.

L’opportunità da cogliere appare quella di affrontare le questioni legate all’e-vento incidentale in un quadro territoriale d’area vasta, con una valutazione piùcomplessiva dell’opportunità o meno di compiere determinate scelte urbanisti-che d’insediamento residenziale, produttivo e infrastrutturale, riconnettendo allavalutazione del rischio i temi del monitoraggio dell’inquinamento, del controllodelle situazioni di crisi ambientali per l’atmosfera, l’acqua, il suolo, la vegetazio-ne, il paesaggio ecc.

È del tutto evidente il salto di qualità che è necessario compiere. Acquisirebanche dati, cartografia digitalizzata georeferenziata e tematizzata, necessita diun enorme sforzo di raccordo e di standardizzazione e quindi di investimenti inrisorse umane e finanziarie di notevole rilievo.

Un aspetto importante inerente l’assunzione dei dati di vulnerabilità territoria-le riguarda la conoscenza dello stato effettivo del territorio, del patrimonio immo-biliare abusivo o condonato e la relativa popolazione residente.

Il testo del Decreto, che ovviamente può solo rimandare alla disciplina di vigilan-za e repressione dei fenomeni di abusivismo, fa un riferimento alla questione (art. 4comma 4), stabilendo che, in fase di predisposizione degli strumenti urbanistici non-ché delle concessioni edilizie, si deve in ogni caso tenere conto, secondo un princi-pio di precauzione, degli elementi vulnerabili “esistenti” e di quelli “previsti”.

Un elemento di cui tenere conto è la complessità dell’assetto territoriale e deitessuti insediativi nei quali sono ubicati la maggior parte degli stabilimenti arischio di incidente rilevante. 93

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 91: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La situazione italiana, infatti, offre un quadro di riferimento dal quale si pos-sono desumere, in estrema sintesi, alcuni elementi di analisi: le aree interessatedalle industrie a rischio di incidente rilevante risultano essere quasi sempreanche aree ad elevata criticità ambientale come Porto Marghera, Livorno,Siracusa-Priolo, Mantova, solo per citarne alcune.

La maggior parte degli stabilimenti industriali sono ubicati in aree fortementeantropizzate, con casi di insediamenti abitativi anche posteriori alla realizzazionedell’impianto stesso, determinando così situazioni di notevole aggravio delrischio; numerose sono le aree ad elevato rischio di incidente rilevante che insi-stono su zone urbanizzate densamente popolate e in presenza di nodi di scam-bio intermodali di grande rilevanza nazionale.

Non meno importante è la riorganizzazione del trasporto delle merci pericolo-se afferenti ai siti Seveso: arterie stradali, tratti ferroviari e aree portuali utilizzatiper il trasferimento di tali merci lambiscono o attraversano i centri abitati.

In particolare, per il trasporto delle merci pericolose può risultare non esau-stivo analizzare unicamente le caratteristiche, la tipologia e le quantità trasporta-te, ma è necessario integrare le analisi con attente valutazioni delle matrici d’ori-gine e destinazione e comunque del rischio insito nella modalità di trasporto stes-so; occorre una programmazione del territorio che tenga conto della commistio-ne dei flussi di traffico di merci pericolose con altri di diversa natura afferenti adestinazioni di tipo commerciale, residenziale, pendolare, turistico ecc. chedetermini quantità e tipologia di sostanze, pericolose e non, che possono esse-re spostate da un sistema modale ad un altro, concependo una più attenta stra-tegia d’intermodalità con verifiche puntuali ad hoc, per spostare eventualmenteanche su ferro e per mare il trasporto delle stesse.

La semplificazione delle procedure

Per quanto riguarda la semplificazione, in base a quanto contenuto nelcomma 3 dell’art. 1 del D.M. 9 maggio 2001, sarebbe auspicabile una integra-zione tra le procedure relative alla valutazione dei rischi industriali e delle situa-zioni di crisi ambientale, con un sostanziale snellimento delle fasi di istruttoria edi autorizzazione.

94

Pat

rizia

Col

lett

a

D.M. 9 maggio 2001, Articolo 1, comma 3.

Le norme di cui al presente decreto sono finalizzate, inoltre, a fornire orientamenti comuniai soggetti competenti in materia di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardiadell’ambiente, per semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che a raccordare le leggi ei regolamenti in materia ambientale con le norme di governo del territorio.

Almeno per i nuovi stabilimenti, è auspicabile il coordinamento delle istrutto-rie con gli altri procedimenti di tutela ambientale e l’unificazione dei procedimentiautorizzativi quali, ad esempio, il controllo integrato dell’inquinamento (direttivaIPPC), la valutazione di impatto ambientale, la prevenzione incendi, la sicurezzanegli ambienti di lavoro ecc.

Page 92: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La concertazione istituzionale

La nuova disciplina, per le competenze spettanti alle Regioni, alle Province eai Comuni, richiede l’adozione di strumenti normativi e procedurali radicalmenteinnovativi. L’avvio del processo integrato di valutazione per le situazioni di rischionell’area vasta si ritiene non sia “passaggio indolore” per molti Enti; per carenzadi riferimenti ed esperienze, per la complessità sociale ed economica che inve-ste, per le ingenti risorse umane e finanziarie che richiede e, infine, per la man-canza di un reale coordinamento tra i soggetti istituzionali.

Su questo ultimo aspetto va segnalata la positiva iniziativa della RegioneVeneto21 che ha istituito un gruppo di lavoro interassessorile al fine di predispor-re il coordinamento degli adempimenti degli Enti locali previsto dal D.M. 9 mag-gio 2001.

Partendo dalla prevista adozione della variante ai piani territoriali di coordina-mento e agli strumenti urbanistici si potrà indirizzare la pianificazione verso lamessa in sicurezza del territorio, necessaria per gestire le trasformazioni e lo svi-luppo.

Infine, perché si realizzi quel processo di pianificazione dinamico che si è deli-neato, è opportuno prevedere per l’approvazione dei piani territoriali e degli stru-menti urbanistici il ricorso a strumenti di programmazione concertata: in questosenso si è avviata l’esperienza della Provincia di Bologna22, nell’ambito del pro-cesso d’approvazione del PTC per l’applicazione del decreto “sul controllo del-l’urbanizzazione”.

Ulteriore e necessario elemento del processo di concertazione è quello tra isoggetti istituzionali preposti alla programmazione, alla pianificazione e al con-trollo del territorio ed i gestori nella fase di progettazione, esercizio e manuten-zione degli stabilimenti, nonché la consultazione della popolazione e dei sogget-ti sociali, nelle forme più ampie e democratiche, in sede di predisposizione e diattuazione degli strumenti di pianificazione.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Le funzioni della Provincia nelle leggi regionali di attuazione del D.Lgs. n.

112/98”.“Leggi e procedure per la formazione dei piani provinciali”.“Piano regolatore generale - normativa di riferimento”.

95

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 93: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001 “Requisiti minimi di sicurezzain materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti arischio di incidente rilevante” pubblicato su G.U. n. 138 del 16/06/2001 – Suppl. Ordinario n.151.

2 Art. 1 comma 1 del D.M. 9 maggio 2001 “... requisiti minimi di sicurezza in materia di pia-nificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti soggetti agli obblighidi cui agli artt. 6, 7 e 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999 n. 334, con riferimento alla desti-nazione e utilizzazione dei suoli, al fine di prevenire gli incidenti rilevanti connessi con determi-nate sostanze pericolose e limitarne le conseguenze per l’uomo e l’ambiente in relazione allanecessità di mantenere opportune distanze di sicurezza tra gli stabilimenti e le zone residen-ziali”.

3 Art. 10 del D.Lgs. n. 334/99 “Modifiche di uno stabilimento”.1. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri della sanità, dell’inter-

no e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, da emanarsi entro tre mesi dalla data dientrata in vigore del presente decreto sono individuate le modifiche di impianti e di depositi, diprocessi industriali, della natura o dei quantitativi di sostanze pericolose che potrebbero costi-tuire aggravio del preesistente livello di rischio.

2. Il gestore deve, secondo le procedure e i termini fissati nel decreto di cui al comma 1:a) riesaminare e, se necessario, modificare la politica di prevenzione degli incidenti rilevan-

ti, i sistemi di gestione nonché le procedure di cui agli articoli 6 e 8 e trasmettere alle autoritàcompetenti tutte le informazioni utili;

b) riesaminare e, se necessario, modificare il rapporto di sicurezza e trasmettere alle auto-rità competenti tutte le informazioni utili prima di procedere alle modifiche, secondo le proce-dure previste dall’articolo 9, per i nuovi stabilimenti;

c) comunicare la modifica all’autorità competente in materia di valutazione di impattoambientale, che si deve pronunciare entro un mese, ai fini della verifica di assoggettabilità allaprocedura prevista per tale valutazione.

4 Art. 72 del D.Lgs n. 112/98 “Attività a rischio di incidente rilevante”.1. Sono conferite alle regioni le competenze amministrative relative alle industrie soggette

agli obblighi di cui all’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n.175, l’adozione di provvedimenti discendenti dall’istruttoria tecnica, nonché quelle che per ele-vata concentrazione di attività industriali a rischio di incidente rilevante comportano l’esigenzadi interventi di salvaguardia dell’ambiente e della popolazione e di risanamento ambientalesubordinatamente al verificarsi delle condizioni di cui al comma 3 del presente articolo.

2. Le regioni provvedono a disciplinare la materia con specifiche normative ai fini del rac-cordo tra i soggetti incaricati dell’istruttoria e a garantire la sicurezza del territorio e della popo-lazione.

3. Il trasferimento di cui al comma 1 avviene subordinatamente all’adozione della normati-va di cui al comma 2, previa attivazione dell’Agenzia regionale protezione ambiente di cui all’ar-ticolo 3 del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496 , convertito con modificazioni dalla legge 21gennaio 1994, n. 61, e a seguito di accordo di programma tra Stato e regione per la verifica deipresupposti per lo svolgimento delle funzioni, nonché per le procedure di dichiarazione.

Tra le Regioni che hanno approvato la normativa regionale o altri atti amministrativi troviamo:la Regione Toscana, L. Reg. n. 30 del 20 marzo 2000 “Nuove norme in materia di attività a

rischio di incidenti rilevanti”;la Regione Piemonte, con Delibera G.R. 9 ottobre 2000, n. 51-1051 e con l’articolo 40 della

Legge Regionale 26 aprile 2000, n. 44.96

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 94: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

la Regione Emilia Romagna con legge regionale n. 222/2000 approvata dal ConsiglioRegionale in data 28 febbraio 2000, che ha avuto osservazioni da parte del Commissario delGoverno in data 31 marzo 2000. In particolare si è eccepito che l’articolo 15, stabilendo che icomuni fissano i parametri e criteri per il controllo dell’urbanizzazione delle zone interessate dastabilimenti a rischio di incidenti rilevanti, contrasta con l’articolo 14 del D.Lgs. 334/99, secon-do cui tali attribuzioni sono riservate allo Stato.

la Regione Lombardia ha approvato la L.R. n. 19 del 23 novembre 2001 “Norme in materiadi attività a rischio di incidente rilevante”. La legge è stata esaminata dalla Corte Costituzionale,che si è espressa con la sentenza n. 407/2002 con interessanti argomentazioni circa il quadrolegislativo regionale.

5 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”.In particolare:

Art.19 (Funzioni)Spettano alla Provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino

vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei seguenti settori:difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità;tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;valorizzazione dei beni culturali;viabilità e trasporti;protezione della flora e della fauna e riserve naturali;(...);organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e

controllo delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;servizi sanitari, d’igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;(...);l) la raccolta e l’elaborazione dei dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;La provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, pro-

muove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel set-tore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo.

(...)Art. 20 (Compiti di programmazione)1. La provincia:raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione econo-

mica, territoriale e ambientale della Regione;concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e

piani regionali secondo le norme dettate dalla legge regionale;formula e adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di

sviluppo propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove ilcoordinamento dell’attività programmatoria dei comuni.

2. La provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione dellalegislazione e dei programmi regionali predispone e adotta il piano territoriale di coordinamen-to che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e in particolare, indica:

a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla vocazione delle sue parti;b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comu-

nicazione;c) le linee d’intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in

genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi e riserve naturali.3. I programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regio-

ne ai fini di accertare la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socio-economi-ca e territoriale. 97

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 95: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4. La legge regionale detta le procedure di approvazione nonché norme che assicurino il con-corso dei Comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.

5. Ai fini del coordinamento e dell’approvazione degli strumenti di pianificazione territorialepredisposti dai Comuni, la Provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla Regione ed ha,in ogni caso, il compito di accertare la compatibilità di detti strumenti con le previsioni del pianoterritoriale di coordinamento.

6. Gli Enti e le Amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle rispettive competenze siconformano ai piani territoriali di coordinamento delle Province e tengono conto dei loro pro-grammi pluriennali.

6 L. 17 agosto 1942, n. 1150 - Legge urbanisticaArt. 5. Formazione ed approvazione dei piani territoriali di coordinamento.Allo scopo di orientare o coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del

territorio nazionale, il Ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere delConsiglio superiore dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fis-sando il perimetro di ogni singolo piano.

Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio consi-derato, in rapporto principalmente:

a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli o limi-tazioni di legge;

b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o impianti di particolare naturaed importanza;

c) alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabiliesistenti e in programma.

I piani, elaborati d’intesa con le altre Amministrazioni interessate e previo parere delConsiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto Reale su proposta delMinistro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni, quando interessinoimpianti ferroviari, e col Ministro per le corporazioni, ai fini della sistemazione delle zone indu-striali nel territorio nazionale.

Il decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno, ed allo scopodi dare ordine e disciplina anche all’attività privata, un esemplare del piano approvato deveessere depositato, a libera visione del pubblico, presso ogni Comune il cui territorio sia com-preso, in tutto o in parte, nell’ambito del piano medesimo.

Art. 6. Durata ed effetti dei piani territoriali di coordinamento.Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato e può essere variato

con decreto Reale previa la osservanza della procedura che sarà stabilita dal regolamento diesecuzione della presente legge.

I Comuni, il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territorialedi coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale.

7 D.Lgs. n. 112/98. Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alleRegioni ed agli Enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

Art. 57. Pianificazione territoriale di coordinamento e pianificazioni di settore.1. La Regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento pro-

vinciale di cui all’articolo 15 della Legge 8 giugno 1990, n. 142 (oggi art. 20 del D.Lgs. n.267/2000, N.d.R.), assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezionedella natura, della tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela dellebellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma diintese fra la Provincia e le Amministrazioni, anche statali, competenti.

2. In mancanza dell’intesa di cui al comma 1, i piani di tutela di settore conservano il valo-re e gli effetti ad essi assegnati dalla rispettiva normativa nazionale e regionale.98

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 96: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

3. Resta comunque fermo quanto disposto dall’articolo 149, comma 6, del presente decre-to legislativo.

8 Cfr. il capitolo “I piani d’area vasta – sovrapposizioni e interferenze / interazioni e sinergie”nel Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio – 2000, Ministero dei lavori pubblici,DICOTER, 2000.

9 G. MORBIDELLI, Piano territoriale, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, vol. XXXIII, pp.706 sgg.

10 Il Consiglio di Stato (quinta sezione, decisione del 20 marzo 2000, n.1493), in base anchead una giurisprudenza consolidata, ha ritenuto che la Provincia non ha il potere, con il PTC, dimodificare direttamente un piano regolatore comunale. Infatti, secondo il CdS, il PTC appartie-ne agli atti che hanno funzione tipica di programmazione intermedia, e quindi, tale qualificazio-ne non consente la modificazione di piani comunali, in quanto la disciplina del territorio non èdi competenza della Provincia.

11 “Piani territoriali paesistici”, art. 149 D.Lgs. n. 490/99.(Decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto

1985, n. 431, art. 1-bis)1. Le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il ter-

ritorio includente i beni ambientali indicati all’articolo 146 mediante la redazione di piani territo-riali paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia deivalori paesistici e ambientali.

2. La pianificazione paesistica prescritta al comma 1 è facoltativa per le vaste località indi-cate alle lettere c) e d) dell’articolo 139 incluse negli elenchi previsti dall’articolo 140 e dall’arti-colo 144.

3. Qualora le regioni non provvedano agli adempimenti previsti al comma 1, si procede anorma dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, comemodificato dall’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

4. Fermo il disposto dell’articolo 164 il Ministero, d’intesa con il Ministero dell’ambiente econ la Regione, può adottare misure di recupero e di riqualificazione dei beni tutelati a normadi questo titolo i cui valori siano stati comunque compromessi.

12 Art. 7 della L. n. 349/86, come sostituito dall’articolo 6 della L. n. 305/89.1. Gli ambiti territoriali e gli eventuali tratti marittimi prospicienti caratterizzati da gravi alte-

razioni degli equilibri ambientali nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo, e che comportanorischio per l’ambiente e la popolazione, sono dichiarati aree ad elevato rischio di crisi ambien-tale, previo parere delle commissioni parlamentari competenti, con deliberazione del Consigliodei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, d’intesa con le Regioni interessate. Il pre-detto parere delle commissioni parlamentari è espresso entro trenta giorni dall’assegnazione,decorsi inutilmente i quali il Governo procede alla deliberazione di sua competenza. La dichia-razione avviene sulla base di una relazione preliminare predisposta dal Ministro dell’ambiente,tesa ad individuare i fattori di rischio, le motivazioni dell’opportunità e dell’urgenza della dichia-razione.

2. La dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale ha validità per un periodomassimo di cinque anni. Il Ministro dell’ambiente riferisce annualmente alle competenti com-missioni parlamentari sullo stato di attuazione degli interventi, sugli effetti relativi alla situazio-ne dell’ambiente nell’area individuata e, allo scadere del predetto termine, trasmette una rela-zione generale, contenente, in particolare, una descrizione delle attività svolte, dei progetti edopere intrapresi e realizzati, nonché dello stato dell’ambiente.

3. Qualora sia necessario rinnovare la dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambien-tale, si procede ai sensi del comma 1. 99

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 97: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4. Con la deliberazione di cui al comma 1 sono individuati gli obiettivi per gli interventi dirisanamento, il termine e le direttive per la formazione di un piano teso ad individuare in via prio-ritaria le misure urgenti atte a rimuovere le situazioni di rischio e per il ripristino ambientale.

5. Il piano, predisposto, d’intesa con le regioni interessate, dal Ministro dell’ambiente, èapprovato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su deliberazione del Consigliodei Ministri.

6. Il piano, sulla base della ricognizione degli squilibri ambientali e delle fonti inquinanti,dispone le misure dirette:

a) a ridurre o eliminare i fenomeni di squilibrio ambientale e di inquinamento e alla realizza-zione e all’impiego, anche agevolati, di impianti ed apparati per eliminare o ridurre l’inquina-mento;

b) alla vigilanza sui tipi e modi di produzione e sull’utilizzazione dei dispositivi di eliminazio-ne o riduzione dell’inquinamento e dei fenomeni di squilibrio;

c) a garantire la vigilanza e il controllo sullo stato dell’ambiente e sull’attuazione degli inter-venti.

7. Il piano definisce i metodi, i criteri e le misure di coordinamento della spesa ordinariadello Stato, delle Regioni e degli Enti locali disponibile per la realizzazione degli interventi pre-visti. Il programma triennale indica e ripartisce le risorse statali disponibili per ciascuna area adelevato rischio.

8. L’approvazione del piano ha effetto di dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indif-feribilità delle opere in esso previste.

9. Ai fini dell’elaborazione e dell’attuazione del piano, il Ministro dell’ambiente, nei casi diaccertata inadempienza da parte delle Regioni di obblighi espressamente previsti, sentita laRegione interessata, assegna un congruo termine per provvedere, scaduto il quale provvede invia sostitutiva, su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

10. Nei casi di accertata inadempienza da parte degli enti locali competenti alla realizzazio-ne degli interventi previsti dal piano, la Regione assegna un congruo termine per provvedere,decorso inutilmente il quale provvede in via sostitutiva.

11. Nell’ipotesi di esercizio dei poteri sostitutivi di cui al presente articolo, gli oneri derivan-ti dalla realizzazione e gestione degli impianti gravano sulle risorse finanziarie, come definite dalpiano.

13 D.Lgs. 5-2-1997 n. 22Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE

sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 febbraio 1997, n. 38, S.O.17. Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto [...] definisce:a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque

sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti;b) le procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni;c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti

inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica;c-bis) [...]1-bis. I censimenti di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 16 maggio 1989, pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26 maggio 1989, sono estesi alle aree interne ai luoghi di pro-duzione, raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare agli impianti a rischio di inci-dente rilevante di cui al D.P.R. 17 maggio 1988, n.175, e successive modificazioni. Il Ministrodell’ambiente dispone, eventualmente attraverso accordi di programma con gli enti provvistidelle tecnologie di rilevazione più avanzate, la mappatura nazionale dei siti oggetto dei censi-menti e la loro verifica con le regioni.

2. [...]3. [...]100

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 98: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4. Il comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novan-ta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione.L’autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa itempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere pre-state a favore della Regione per la realizzazione e l’esercizio degli impianti previsti dal progetto dibonifica medesimo. Se l’intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un’area compresa nelterritorio di più comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla regione.

5. [...]6. Qualora la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici in vigore imponga il rispet-

to di limiti di accettabilità di contaminazione che non possono essere raggiunti neppure con l’ap-plicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, l’autorizzazione di cui al comma4 può prescrivere l’adozione di misure di sicurezza volte ad impedire danni derivanti dall’inquina-mento residuo, da attuarsi in via prioritaria con l’impiego di tecniche e di ingegneria ambientale,nonché limitazioni temporanee o permanenti all’utilizzo dell’area bonificata rispetto alle previsionidegli strumenti urbanistici vigenti, ovvero particolari modalità per l’utilizzo dell’area medesima. Taliprescrizioni comportano, ove occorra, variazione degli strumenti urbanistici e dei piani territoriali.

6-bis. [...]7. L’autorizzazione di cui al comma 4 costituisce variante urbanistica, comporta dichiarazio-

ne di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità dei lavori, e sostituisce a tutti gli effetti le auto-rizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legi-slazione vigente per la realizzazione e l’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarieall’attuazione del progetto di bonifica.

8.[...]9.[...]10. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale nonché la rea-

lizzazione delle eventuali misure di sicurezza costituiscono onere reale sulle aree inquinate dicui ai commi 2 e 3. L’onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanisti-ca ai sensi e per gli effetti dell’articolo 18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

11. [...]11-bis.[...]12. Le Regioni predispongono sulla base delle notifiche dei soggetti interessati ovvero degli

accertamenti degli organi di controllo un’anagrafe dei siti da bonificare che individui:a) gli ambiti interessati, la caratterizzazione ed il livello degli inquinanti presenti;b) i soggetti cui compete l’intervento di bonifica;c) gli enti di cui la Regione intende avvalersi per l’esecuzione d’ufficio in caso di inadem-

pienza dei soggetti obbligati;d) la stima degli oneri finanziari.13. Nel caso in cui il mutamento di destinazione d’uso di un’area comporti l’applicazione dei

limiti di accettabilità di contaminazione più restrittivi, l’interessato deve procedere a propriespese ai necessari interventi di bonifica sulla base di un apposito progetto che è approvato dalComune ai sensi di cui ai commi 4 e 6. L’accertamento dell’avvenuta bonifica è effettuato, dallaProvincia ai sensi del comma 8.

13-bis. [...]13-ter. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale previsti dal

presente articolo vengono effettuati indipendentemente dalla tipologia, dalle dimensioni e dallecaratteristiche dei siti inquinati nonché dalla natura degli inquinamenti.

14.[...]15. [...]15-bis. [...]15-ter. [...] 101

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 99: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

14 Art. 26 del D.Lgs. n. 112/98 “Aree industriali e aree ecologicamente attrezzate”.1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, con proprie leggi,

le aree industriali e le aree ecologicamente attrezzate, dotate delle infrastrutture e dei sisteminecessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente. Le medesime leggidisciplinano altresì le forme di gestione unitaria delle infrastrutture e dei servizi delle aree eco-logicamente attrezzate da parte di soggetti pubblici o privati, anche costituiti ai sensi di quantoprevisto dall’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 , e dall’articolo 22 della legge 8giugno 1990, n. 142, nonché le modalità di acquisizione dei terreni compresi nelle aree indu-striali, ove necessario anche mediante espropriazione. Gli impianti produttivi localizzati nellearee ecologicamente attrezzate sono esonerati dall’acquisizione delle autorizzazioni concer-nenti la utilizzazione dei servizi ivi presenti.

2. Le regioni e le province autonome individuano le aree di cui al comma 1 scegliendoleprioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmentedismessi. Al procedimento di individuazione partecipano gli enti locali interessati.

15 L. 17 agosto 1942, n. 1150 Legge urbanistica Capo III – Piani regolatori comunali –Sezione I – Piani regolatori generali

Art. 7.Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.Esso deve indicare essenzialmente:1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi

impianti;2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’e-

spansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare inciascuna zona (6a);

3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù (6a);4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di

interesse collettivo o sociale (6a);5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;6) le norme per l’attuazione del piano.

16 Cfr. il capitolo “I piani comunali – da una tradizione consolidata ad una diffusa sperimen-tazione” nel Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio – 2000, Ministero dei lavoripubblici, DICOTER, 2000.

17 “Censis 35° rapporto sulla situazione sociale del Paese 2001”, pp. 387 sgg.

18 Si ricorda che i dati relativi alle aree di danno, nel caso degli stabilimenti di cui all’artico-lo 8 del D.Lgs. n. 334/99, sono desunti dal Rapporto di sicurezza presentato dal gestore e valu-tato dall’Autorità competente ai sensi dell’articolo 21 del citato D.Lgs. Nel caso degli stabili-menti di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 334/99 le informazioni sono desunte dal Sistema di Gestionedella Sicurezza (SGS) come previsto dal D.M. 9 agosto 2001 “Linee guida per l’attuazione delsistema di gestione della sicurezza”, pubblicato nella G.U.R.I., Serie Generale, del 22 agosto2000. In particolare, si richiama quanto contenuto nel comma 2 dell’articolo 7 del D.M. 9 ago-sto 2000: [...] In ogni caso, le attività devono rendere disponibili le informazioni necessarie perla verifica del rispetto dei requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, dicui all’art.14, comma 1 del decreto legislativo n. 334 del 17 agosto 1999.

19 Vedi nota n. 3.

20 Nel caso di un progetto edilizio di uno stabilimento a rischio d’incidente rilevante, localiz-zato in un’area non prevista a destinazione industriale dal PRG, si deve comunque procedere,ai sensi dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/99, alla variazione della destinazione d’uso dei suoli.102

Pat

rizia

Col

lett

a

Page 100: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Non è applicabile l’articolo 5 del D.P.R. 447/98, sia in quanto non richiamato dal medesimo arti-colo 14, sia per la necessità di programmare la realizzazione dell’insediamento industriale“Seveso”, con riferimento a valutazioni di carattere più generale, in particolare per quanto attie-ne alla tutela della vita e della salute delle persone e alla salvaguardia dell’ambiente.

21 Delibera G.R. del 14 settembre 2001, n. 2331 “Decreto del Ministero dei lavori pubblici9 maggio 2001. Pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti arischio di incidente rilevante”. Istituzione di un gruppo di lavoro.

22 In tal senso è stata intrapresa, nell’ambito del protocollo d’intesa ANPA-UPI, l’esperien-za del “tavolo istituzionale” promosso dalla Provincia di Bologna, con l’ANPA, il Ministero deilavori pubblici, la Regione Emilia-Romagna, l’ARPA Emilia, il Comando provinciale dei VV.F. e iComuni interessati, che ha consentito l’avvio dell’applicazione del D.M. 9 maggio 2001 dove,al punto 2 della premessa dell’allegato, si suggerisce l’ipotesi di un processo di copianificazio-ne e concertazione che contestualmente definiscono criteri di indirizzo generale, di assetto delterritorio e attivano le procedure di riconformazione della pianificazione territoriale e della pia-nificazione urbanistica.

Riferimenti biliografici

BESI S., AMENDOLA F., BELLONI V., CHRISTOU M., SMEDER M., La pianificazione dell’uso delterritorio in relazione ai rischi di incidente rilevante, Commissione Europea, Centrocomune di ricerca, Istituto dei Sistemi dell’Informatica e della Sicurezza, Ispra 1996.

COLLETTA P., Il controllo dell’urbanizzazione e la valutazione integrata nelle aree a rischio diincidente rilevante, Atti del Convegno “VGRZK - Valutazione e gestione del rischionegli insediamenti civili e industriali”, Pisa, 24-25-26 ottobre 2000.

COLLETTA P., Controllo dell’urbanizzazione e valutazione integrata nelle aree a rischio di inci-dente rilevante, Atti del Convegno “Pianificazioni separate e governo integrato del ter-ritorio”, INU, Firenze, 13-14 dicembre 2001.

ERBA V., L’attuazione dei piani urbanistici, Edizioni delle automie, Milano 1989.

Mazzarelli V., Fondamenti di diritto urbanistico, Nuova Italia Scientifica, Roma 1996.

Ministero dei lavori pubblici, DICOTER, Rapporto sullo stato della pianificazione del terri-torio 2000, Roma 2000.

103

2 - L

a pi

anifi

cazi

one

nelle

zon

e in

tere

ssat

e da

l ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 101: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

3

I PROGRAMMI INTEGRATI

Rosario Manzo*, Massimo Ghiloni**

Cenni su programmi complessi1

Agli inizi degli anni novanta sia in ambito comunitario, sia all’interno delle pro-cedure amministrative nazionali, si è andato configurando sempre di più unapproccio al tema della riqualificazione urbana e territoriale dotato di contenuti“integrati” e “complessi”. Questo nuovo modo di affrontare il tema del riequilibriodelle funzioni e del riuso dei contenitori dismessi – spesso inseriti in piena città –ha prodotto un processo di modificazione profonda della pianificazione urbanisticaitaliana sotto diversi aspetti. Una breve cronistoria dell’evoluzione della famiglia deiprogrammi “integrati” o “complessi” può aiutare a comprendere anche il pro-gressivo affinarsi dei metodi della cosiddetta pianificazione concertata.

Sul finire dell’attuazione del piano decennale dell’edilizia residenziale, pro-mosso ai sensi della L. n. 457/78, veniva già sentita l’esigenza2 di rendere menonetta separazione tra gli interventi pubblici e quelli privati, per affrontare due temiprincipali: la coesistenza di funzioni pubbliche e private, inscindibili all’internodella città, e la potenzialità che diversi canali finanziari e di incentivazione direttae indiretta – la sovvenzione a totale carico dello Stato, la contribuzione sul tassod’interesse per l’accensione dei mutui nell’edilizia “convenzionata”, le misure disgravio fiscale e di attrazione al risparmio per la casa – avrebbero avuto, qualorasi fosse creato un sistema “sinergico” tra i diversi soggetti attuatori.

Infatti, nel Libro Bianco sulla casa (CER, 1986) si riteneva che “[...] Tra le que-stioni da ridefinire risultano di particolare rilievo le seguenti: l’attivazione di nuovicanali per l’investimento immobiliare; l’avvio di forme integrate di azione pub-blica e privata per la ristrutturazione urbana; la riorganizzazione dell’interventopubblico e privato per grandi opere di trasformazione d’uso del territorio, ivi

105

* Ministero delle infrastrutture e trasporti, DICOTER.** Direttore Area “Mercato Privato” Ance.

Page 102: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

comprese intere porzioni di città edificata”. Sempre nel Libro Bianco, venivaconiato il primo termine per definire l’archetipo del programma integrato: il cosid-detto progetto-contratto.

Prima di trattare le diverse tipologie di programmi, è opportuno definire subi-to quali siano gli elementi che caratterizzano questa “famiglia” di strumenti. Sitratta di:– integrazione delle risorse pubbliche e private;– pluralità delle funzioni, delle destinazioni d’uso e delle categorie di intervento;– pluralità dei soggetti interessati alla promozione e all’attuazione del programma;– facilitazioni in tema di procedure amministrative3;– modalità “competitiva” per l’accesso ai fondi pubblici, attraverso meccanismi

premiali.Alcuni autori fanno risalire l’origine dei programmi complessi, a livello nazio-

nale, all’articolo 18 della L. n. 203/914 ( scheda 01), predisposti a seguito diuna legge speciale finalizzata alla costruzione di alloggi e dei relativi servizi per ifunzionari delle forze dell’ordine impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.

Gli strumenti complessi entrano a regime grazie a due normative che risalgo-no ai primi anni novanta: l’articolo 16 L. n. 179/92 che ha definito – a livello nazio-nale – i Programmi integrati ( scheda 02) e l’articolo 11 della L. n. 493/93 cheha proposto il tema della riqualificazione integrata dell’edilizia residenziale pub-blica, attraverso i Programmi di recupero urbano (PRU) ( scheda 03). Va tenu-to presente che già dal 1994 il Ministero dei lavori pubblici aveva riservato, all’in-terno della programmazione quadriennale 1992-95 dell’edilizia residenziale pub-blica5 uno spazio rilevante ai “programmi complessi”, con riferimento sia ai pro-grammi integrati di cui all’articolo 16 della L. n. 179/1992, che ai programmi direcupero urbano di cui all’articolo 11 della L. n. 493/93, spazio tradotto in speci-fici canali di finanziamento dalle Regioni all’interno della propria programmazionedi spesa del settore.

Si può sostenere che l’evoluzione dei PRU sia contenuta nei “Contratti diquartiere” (CdQ) ( scheda 04) promossi nel 19976 e caratterizzati dall’enfatiz-zazione di alcuni temi (la coesione e la partecipazione sociale, il recupero edilizioe la sperimentazione nel campo della bioedilizia ecc.) mentre altri (l’integrazionedelle risorse, le funzioni di riattivazione e di modifica degli strumenti urbanisticiecc.) sono tenuti in secondo piano.

Le azioni per la riqualificazione urbana dell’Unione Europea propongono, tral’altro, due temi di particolare rilevanza: l’introduzione progressiva all’interno dellelegislazioni nazionali negli obiettivi di pianificazione spaziale e territoriale deiprincìpi di sostenibilità dello sviluppo, della coesione sociale e della competitivitàequilibrata tra le Regioni europee; il partenariato e la sussidiarietà tra le istituzio-ni e la società.

Anche in relazione a queste tematiche, l’Unione Europea, attraverso iProgrammi di iniziativa comunitaria, ha promosso nel 1994 il programma URBAN( scheda 05) per contrastare la povertà “urbana”, con il fine di incentivare la106

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 103: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

riabilitazione economica e sociale, per interventi esemplari7. All’inizio del 2000,dato il successo della prima iniziativa, la Commissione ha finanziato una secon-da tornata di programmi URBAN8.

Tra la fine del 19949 e il 1998 il Ministero dei lavori pubblici10 ha promosso iProgrammi di riqualificazione urbana (PRIU) ( scheda 06) per la programma-zione di interventi nell’ambito delle grandi aree urbane.

Con i PRIU si individua, più che un nuovo strumento, una ulteriore articola-zione della famiglia dei programmi integrati definiti dalla L. n. 179/92. Con il D.M.21 dicembre 1994 si estendono, semplificandoli, i meccanismi già previsti per iprogrammi di riqualificazione urbana a tutte le aree di trasformazione. Con la suc-cessiva “guida ai programmi di riqualificazione urbana”11 si individua un percor-so comportamentale per le Amministrazioni locali in merito alle procedure di pro-grammazione ed approvazione, nonché ai criteri di valutazione economica degliinterventi, con riferimento, soprattutto, al bilancio pubblico-privato delle rispetti-ve convenienze che, dal punto di vista metodologico, riveste un indubbio inte-resse nella elaborazione delle scelte urbanistiche “innovative”.

Sono così formati, in modo compiuto e maturo, gli aspetti caratterizzanti dei“programmi complessi”:– l’introduzione dell’obiettivo della “riqualificazione del tessuto urbanistico, edi-

lizio e ambientale” in sostituzione delle finalità quasi esclusivamente rivolte al“recupero edilizio”della L. n. 457/78. Questa innovazione si coniuga con laricerca di integrazione delle diverse tipologie di intervento per l’adeguamentocontestuale dei livelli dei servizi e delle infrastrutture connessi con l’interven-to di riqualificazione;

– la presenza di pluralità di funzioni, che tende a superare definitivamente lalogica delle programmazioni tradizionali di settore, ancorate ad una sostanzia-le monofunzionalità. Si approda, così, ad una concezione di complessità urba-na in cui, oltre ad una ineludibile componente abitativa, articolata nelle diver-se categorie (sovvenzionata, agevolata, convenzionata e privata a libero mer-cato), si individua un mix variabile di funzioni non residenziali (dalle attivitàcommerciali e produttive ai servizi di scala urbana o di quartiere, fino alle atti-vità terziarie) che consente di definire una qualità funzionale adeguata ai diver-si ruoli urbani interessati;

– la pluralità degli attori e delle risorse che concorrono nella definizione dei“programmi complessi”. Va rilevato che tale concorso viene ritenuto possibi-le e non obbligatorio dalla legge, ed è evidente che la scelta di una strada anzi-ché di un’altra può modificare in modo rilevante il senso e le caratteristiche diun programma. Per questo motivo, nei meccanismi “premiali” per l’allocazio-ne delle risorse disponibili per i programmi nazionali, uno degli elementi signi-ficativi è il tasso di partecipazione finanziaria del soggetto privato, rispetto aifinanziamenti pubblici.

In parziale sovrapposizione rispetto ai PRIU, nel 1998, il Ministero dei lavoripubblici, ormai abbandonato l’elemento trainante della componente abitativa per 107

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 104: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

l’attivazione di processi di riqualificazione, avvia una nuova sperimentazione tra-mite la formazione dei Programmi di riqualificazione e di sviluppo sostenibile delterritorio (PRUSST) ( scheda 07).

Si affronta, con i PRUSST, il tema dell’integrazione e della complessità nellascala dell’area vasta attraverso il finanziamento della fattibilità e della progetta-zione degli interventi. Il tentativo è di coordinare soggetti, fonti finanziarie, azionigià “latenti” nel territorio e di sviluppare iniziative autopromosse, per attirarecapitali per la realizzazione degli interventi inseriti nei PRUSST.

Quello che si registra, in sintesi, dalle prime esperienze dei programmi com-plessi fino ai PRUSST è un progressivo ampliamento delle finalità e degli obietti-vi: dall’incentivazione della produzione edilizia alla riorganizzazione delle funzioniurbane e, successivamente, di livello territoriale. Contestualmente si è afferma-to un maggiore interesse circa le azioni “immateriali” o “di supporto” per la coe-sione economica e sociale dei tessuti da riqualificare.

Sotto questo punto di vista, è da mettere in evidenza l’esperienza condottadal Ministero dei lavori pubblici, nell’ambito dei Programmi operativi nazionali diassistenza tecnica relativi ai Quadri comunitari di sostegno 1994-99 e 2000-06,attraverso il Progetto Pilota – PRG ( scheda 08), nel quale, tramite l’attività diconcertazione12 si sono individuate progressivamente, coinvolgendo 230Comuni, le strategie materiali e immateriali di intervento, per lo sviluppo dellearee, in coerenza con la Programmazione regionale dei Fondi strutturali.

I temi sui quali le diverse tipologie di programmi complessi si sono dovutisempre confrontare sono, sostanzialmente, tre:a) il rapporto tra programma integrato e strumentazione urbanistica tradizionale;b) il progressivo recepimento del metodo di programmazione e pianificazione

integrata all’interno delle legislazioni regionali, con le conseguenti declinazio-ni nelle diverse realtà;

c) il consolidamento della strumentazione giuridica e amministrativa, di caratte-re anche negoziale, per l’approvazione e l’attuazione di un programma inte-grato e l’introduzione di una prassi “partenariale” di definizione del program-ma, anche attraverso un dialogo tra le istituzioni nazionali, regionali e locali.

Il rapporto con la strumentazione urbanistica tradizionale

Non c’è dubbio che i programmi complessi si siano posti, all’inizio, in modo con-flittuale rispetto alla strumentazione urbanistica tradizionale, in relazione alla diffe-renza di metodologie di azione, nel campo della regolazione delle trasformazioni.

Se i primi programmi sono stati visti come potenziale modalità di deroga alle“regole” del piano, nelle successive evoluzioni la logica concertativa e operativadei programmi complessi, unitamente al ruolo attivo assunto dalle Regioni, dalleProvince e dagli Enti locali ha consentito di integrare i meccanismi di riqualifica-zione all’interno delle strategie di pianificazione del territorio. In questa sede, sipossono solo sintetizzare alcuni aspetti sui quali i programmi complessi hanno108

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 105: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

determinato una rivisitazione dei temi tipici della pianificazione del territorio. Sitratta, in primo luogo, della constatazione della sostanziale inefficienza operativadegli strumenti urbanistici, privi della capacità di integrare la pianificazione delletrasformazioni fisiche con la programmazione socio-economica su tempi medio-lunghi. Questo argomento riguarda, in realtà, anche la pianificazione d’area vasta:l’uso delle risorse attraverso la pianificazione di settore (strade, rifiuti, tutela del-l’ambiente, tutela e valorizzazione dei beni ambientali e paesistici ecc.) ha crea-to, nel tempo, una cultura della “separazione” per la risoluzione di problemi che,viceversa, presentano elementi di forte interconnessione.

Esistono anche altri temi conflittuali: ad esempio, la riconfigurazione del pro-cesso di progettazione che, nella logica ordinaria segue in modo diacronico il pro-gressivo approfondimento del dettaglio (Piano regolatore generale, Piano attuati-vo, Concessione edilizia) mentre, nella logica concertativa, si tende a definire dasubito, per quanto possibile, i dettagli progettuali (a livello definitivo) affinando ilpiù possibile i dati di fattibilità amministrativa ed economica, per procedere allaverifica (spesso, alla modifica o alla sostituzione) della strumentazione urbanisti-ca vigente.

La metodologia degli strumenti complessi ha creato una sorta di “disorienta-mento” sia tra le Amministrazioni – le quali sono state spinte, in tempi brevi, adacquisire capacità di competizione e di gestione in processi di livello complesso –sia tra gli stessi professionisti, i quali hanno dovuto integrare conoscenze tecnichecon nozioni relative alla valutazione finanziaria ed economica e di fattibilità dei pro-getti di trasformazione.

Infine, non di minore importanza, il tema degli standard dei servizi. All’internodella logica concertativa perde ormai significato il criterio portante del requisitominimo di dotazione di servizi (magari solo indicato dal piano e mai realmenteraggiunto), mentre si afferma l’obiettivo della prestazione concretamente fornitaall’utente in termini di qualità ambientale e paesaggistica, urbanistica (accessibi-lità e sicurezza, attrezzatura urbana), morfologica (continuità e complessità deitessuti edilizi) che si intende raggiungere con l’intervento di riqualificazione(Salza, 1997).

La legislazione e i programmi integrati regionali

La perdita della connotazione di “specialità” dei programmi complessi e l’af-fiancarsi delle azioni e degli strumenti regionali alle politiche nazionali di interven-to di riqualificazione edilizia e del territorio hanno determinato il progressivoingresso dei programmi complessi negli strumenti ordinari di attuazione delle stra-tegie di intervento urbanistico. Il quadro della legislazione regionale si mostra,oggi, particolarmente articolato e diversificato: se, da una parte, si possono defi-nire gli elementi costitutivi degli strumenti complessi dall’altra è più difficile ten-tare una sintesi degli effetti e produrre una riflessione critica sull’evoluzione dellanormativa regionale che ha declinato il tema. 109

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 106: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Uno schema dell’evoluzione normativa è riportato nel Rapporto sullo statodella pianificazione13, laddove si analizzano le leggi regionali in base alla seguen-te suddivisione sistematica ( tabella del Rapporto Territorio):a) programmi complessi nelle normative di riforma urbanistica regionale della

metà degli anni novanta (Toscana, Emilia - Romagna, Abruzzo, tutte del 1995);b) leggi regionali di “prima fase”, anteriori all’esperienza dei PRIU (Liguria,

Campania, Sardegna, Piemonte, in un periodo compreso tra il 1994 e il 1996);c) le leggi regionali successive alla riqualificazione urbana (Umbria, Lazio,

Liguria, tra il 1997 e il 1998);d) leggi regionali della fase di “maturità” (Valle d’Aosta, Emilia-Romagna,

Lombardia, Veneto tra il 1998 e il 1999);e) il programma complesso verso l’integrazione tra politiche urbanistiche e

ambientali (Toscana, disegno di legge, 1999).L’orientamento delle finalità di intervento da realizzare con gli strumenti com-

plessi, anche nel caso della normativa regionale, si è progressivamente distan-ziato dalla componente residenziale per affrontare in modo più deciso e con logi-che integrate il potenziamento e la conservazione della qualità del tessuto abita-tivo, attraverso l’incremento del livello di prestazione del sistema insediativo,ambientale, funzionale e di accessibilità alle infrastrutture materiali e immateriali.Appare evidente come l’interesse si stia spostando sul versante del welfare urba-no e ambientale, con il fine di garantire una equa distribuzione delle opportunitàdi riqualificazione degli insediamenti e dell’ambiente e di erogazione delle presta-zioni di sicurezza sociale e fisica, in una logica di superamento del livello quanti-tativo minimo, garantito dallo standard dei servizi introdotti nel 1968.

Le Società di trasformazione urbana

L’articolo 17 della L. n. 15 maggio 1997, n. 127 (sostituito dall’articolo 120 delD.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), consente ai Comuni e alle città metropolitane, lacostituzione di società miste pubblico-private, denominate Società di trasforma-zione urbana ( scheda 10), con il compito di progettare e realizzare interventidi trasformazione urbana.

Si tratta di una specializzazione delle società miste, già presenti nell’ordina-mento degli enti locali, per riqualificare insediamenti che richiedano una maggio-re presenza di interventi di ristrutturazione urbanistica rispetto a quelli di restau-ro o di ristrutturazione edilizia. L’intervento, nel suo complesso, deve essere rea-lizzato in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti, dovendo intendere, inquesta dizione, la possibilità di operare direttamente qualora il piano regolatorepreveda scenari di trasformazione compatibili con l’oggetto e le finalità della STU.In caso contrario, è necessario riconformare preventivamente le previsioni dipiano regolatore. L’evoluzione normativa della pianificazione urbanistica, in parti-colare in alcune Regioni, ha già portato a distinguere il piano in due livelli: strut-turale ed operativo e, quindi, è possibile limitare al rispetto del piano strutturale110

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 107: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

il criterio attuativo della trasformazione, dovendo tenere conto della possibilità diriconfigurare in modo dinamico e limitato, la parte operativa del piano. Inoltre, lascelta dei privati partecipanti alla STU deve essere effettuata tramite proceduredi evidenza pubblica: esiste, tuttavia, la possibilità di individuare i privati proprie-tari delle aree – che possono rappresentare una componente essenziale per l’at-tivazione e l’attuazione della STU – tramite trattativa privata o individuazionediretta.

Le prime forme di promozione in corso14, riguardanti il finanziamento di studidi fattibilità per la formazione di Società di trasformazione urbana, riprendono iltema della presenza dell’edilizia residenziale pubblica, come elemento prioritariodi ammissibilità ai finanziamenti stessi.

Nell’ambito trattato, la Società di trasformazione urbana non sembra poterrispondere in modo completo e flessibile alle necessità imposte da un interven-to di ricomposizione del rischio, nelle aree interessate da stabilimenti soggettialla “Seveso II”. Tuttavia, in alcune situazioni, laddove, ad esempio, il gestorepuò essere interessato nel più ampio contesto dell’intervento, si potrebbecostruire una ipotesi o comunque una “potenzialità” di formazione di una STU,con la necessaria previsione urbanistica, nell’ambito della variante da approvareai sensi del D.M. 9 maggio 2001.

I programmi integrati nelle aree interessate da stabilimenti a rischio d’in-

cidente rilevante

Nel D.M. 9 maggio 2001, il programma integrato di intervento è previsto nelcomma 5 dell’articolo 4 (pianificazione urbanistica) e le sue modalità di attuazio-ne sono riprese, in alcuni tratti principali, nell’Allegato tecnico, al punto 4.

La norma non può che essere esortativa circa l’utilizzo di tale strumento perla risoluzione dei problemi riguardanti le aree interessate dalla presenza di stabi-limenti soggetti al D.Lgs. n. 334/99. Il riferimento legislativo nazionale è l’artico-lo 16 della L. n. 179/92, variamente articolato nelle legislazioni regionali.

Nel D.M. 9 maggio 2001 viene richiamata, infatti, più che una “specialità” delprogramma integrato nelle aree a rischio – che prevederebbe una nuova fontenormativa – il suo obiettivo di definire un insieme coordinato di interventi con-cordati tra il gestore e i soggetti pubblici e privati coinvolti, rivolti a conseguire imigliori livelli di sicurezza nei Comuni interessati.

Il consolidarsi della programmazione integrata ha consentito, inoltre, di inseri-re correttamente i programmi integrati all’interno dell’articolo 4 riguardante la pia-nificazione urbanistica, potendo considerare, quindi, la formazione di questa tipo-logia di programmi come una modalità di attuazione del piano: nel caso specifi-co, come strumento operativo della variante da approvare in applicazione del-l’obbligo previsto dall’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/99.

La normativa introdotta dal D.M. 9 maggio 2001 prevede l’individuazione didestinazioni d’uso compatibili (tab. 1, categorie territoriali) sempre più limitate in 111

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 108: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

funzione delle aree interessate da scenari incidentali di maggiore effetto (tab. 3a,elevata letalità, inizio letalità, lesioni irreversibili, lesioni reversibili). Questo pro-cedimento comporta, dal momento di approvazione della variante, una diminu-zione del valore delle aree in precedenza utilizzabili, in teoria, per qualsiasi desti-nazione d’uso. Come è palese, sono fatte salve tutte le destinazioni d’uso e gliimmobili esistenti, per i quali, tuttavia, se incompatibili con lo scenario incidenta-le ipotizzato, la normativa tecnica non può che prescrivere esclusivamente inter-venti di manutenzione ordinaria e straordinaria.

In casi concreti, si possono verificare incompatibilità di immobili esistentidestinati a funzioni particolarmente delicate, come, ad esempio scuole, presidisanitari; oppure possono essere presenti, all’interno di aree ad elevata letalità,infrastrutture della mobilità o elementi ambientali vulnerabili.

Le possibilità d’intervento, con gli strumenti complessi, sono sostanzialmen-te due, non necessariamente in alternativa tra loro:– la riduzione del rischio tecnologico attraverso interventi di miglioramento dei

livelli di sicurezza delle componenti dello stabilimento, e la mitigazione deglieffetti derivanti dagli scenari incidentali;

– l’eliminazione o la riduzione al minimo della vulnerabilità degli elementi antro-pizzati o naturali oggetto dello scenario incidentale.

Modalità di attuazione di un Programma integrato nelle aree a rischio

d’incidente rilevante

Il Programma integrato deve definire un quadro di convenienze tra diversisoggetti interessati: il gestore, il quale – anche tramite le eventuali prescrizioni diadozione delle “misure tecniche complementari”, previste dal comma 6 dell’ar-ticolo 14 del D.Lgs. n. 334/99 – deve investire economicamente in tecnologia disicurezza; i proprietari delle aree, i quali subiscono una compressione del plus-valore fondiario in ragione delle limitazioni imposte dallo strumento urbanisticomodificato; i cittadini, i quali sono comunque coinvolti e interessati ad ottenerela tutela della vita e la garanzia di sicurezza delle proprie abitazioni e attività.Infine, ma non di minore importanza, se si pensa alla sovrapposizione tra aree arischio d’incidente rilevante e aree di crisi ambientale, il Programma integratopuò contribuire a risolvere questioni di ripristino della qualità ambientale, attra-verso la definizione, ad esempio, anche di un piano di bonifiche per il riuso degliimmobili dismessi per attività e destinazioni di mercato.

Lo strumento di cui si può avvalere un Programma integrato nelle aree arischio è la costruzione di un quadro perequativo economico-finanziario, volto adistribuire tra i soggetti interessati sia i costi per il miglioramento della sicurez-za, che i benefici derivanti dalle potenzialità edificatorie previste dalla varianteurbanistica.

Nella predisposizione di un Programma integrato rivolto a garantire la sicu-rezza dell’abitato e dell’ambiente si deve analizzare, in primo luogo, la situazione112

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 109: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

della legislazione regionale in materia di governo del territorio e sugli strumenticomplessi. Occorre, quindi, una prima fase ricognitiva di carattere generale peracquisire tali informazioni.

Inoltre è necessario definire in modo chiaro – tale da poter essere comuni-cato in forme semplici in una consultazione cittadina – l’oggetto del program-ma, l’obiettivo generale (nel caso in esame, la ricomposizione del conflitto trala situazione di rischio d’incidente rilevante e la situazione antropica, esistenteo prevista, e l’ambiente da tutelare) e gli obiettivi secondari che si intendonoperseguire.

La costruzione di un Programma integrato è legata ad alcuni passaggi di pro-gressiva implementazione15 che possono essere attivati solo dopo avere elabo-rato e approvato l’Elaborato tecnico RIR, di cui all’art. 4 del D.M. 9 maggio 2001,dalle Amministrazioni competenti. Il metodo di formazione di un Programmaintegrato deve tenere conto dei seguenti “passi” operativi, che si possonodistinguere in due fasi, preliminare e definitiva ( – scenari di intervento eschema operativo per la formazione e l’attuazione di programmi integrati di svi-luppo locale):

a) Formazione e definizione di un programma preliminare:1. Individuazione dell’ambito d’intervento, attraverso le modalità previste dal

D.M. 9 maggio 2001, riguardanti la determinazione delle aree di danno, laverifica degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili e, di conseguenza,la verifica o meno dell’esistenza della compatibilità territoriale e ambientalenell’area interessata. Ricognizione degli interessi collettivi non economici(ad esempio, la percezione del rischio da parte della popolazione e il limitedell’accettazione del rischio, a fronte dello sviluppo produttivo);

2. Ricognizione delle situazioni giuridiche delle aree e degli edifici; indagini eanalisi di base, riguardanti la proprietà delle aree, l’esistenza di vincoli urba-nistici, ambientali e comunque di tutti gli elementi naturali o antropici ingrado di condizionare le scelte del programma (ad esempio, la presenza didiverse Amministrazioni competenti), ovvero di esaltare le situazioni dirischio (ad esempio, vincoli sismici o idrogeologici); ricognizione dei sog-getti pubblici e privati interessati, con una prima valutazione dei singolibenefici/oneri da attribuire; promozione e concertazione per la definizionedel programma;

3. Verifica dei canali finanziari pubblici attivabili e prima verifica delle conve-nienze all’adesione al programma da parte dei soggetti coinvolti: verifica,d’intesa con il gestore dello stabilimento, dei costi necessari per l’adegua-mento tecnologico dello stabilimento, tale da garantire la massima limita-zione delle aree di danno, precedentemente determinate; verifica di unapossibile intesa preliminare tra Amministrazione comunale e gestore; atti-vazione, ove possibile, di procedure di concertazione partenariali e sussi-diarie con gli enti e le istituzioni interessate per procedimenti connessi eper eventuali finanziamenti; 113

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 110: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4. Predisposizione del programma preliminare, composto dalla perimetrazio-ne dell’ambito, dalla definizione dei requisiti tecnici e di prestazione richie-sti per la presentazione di proposte da parte dei privati, dalla definizione deirequisiti economici delle proposte; identificazione delle aree di danno e dirischio e delle limitazioni all’edificazione; valutazione dei correttivi e dei valo-ri economico-finanziari (costo migliorie tecnologiche, analisi della riduzionedelle aree di danno e, di conseguenza, calcolo del plusvalore recuperato);

5. Istruttoria delle proposte ed elaborazione del quadro economico e delpiano finanziario di intervento, elaborazione delle singole parti del pro-gramma preliminare e adesione dei soggetti privati, verifica del quadrodelle convenienze tra i soggetti interessati (gestore, proprietari di immobi-li, collettività);

6. Formalizzazione delle proposte definitive, eventualmente garantite dafideiussioni o da garanzie bancarie.

b) Formazione di un programma definitivo:1. Predisposizione degli elementi per la sottoscrizione di un accordo di pro-

gramma, preceduto da una o più conferenze di programma e sottoscrizio-ne di protocolli d’intesa con le Amministrazioni, gli enti e le istituzioni coin-volte tramite l’attività di concertazione;

2. Attivazione delle procedure di acquisizione dei finanziamenti pubblici e pri-vati, definizione delle azioni, degli accordi e delle garanzie da acquisire;

3. Elaborazione del programma definitivo;4. Sottoscrizione dell’accordo di programma, attuazione degli interventi

(materiali e immateriali), costituzione di una struttura di vigilanza e moni-toraggio per l’attuazione del programma.

Solo a titolo esemplificativo sono elencate, di seguito, alcune soluzioni pere-quative, che possono formare oggetto degli accordi negoziali per promozione el’attuazione di un programma integrato:a) compenso parziale del costo, da parte dei proprietari delle aree edificabili,

degli interventi del gestore per la riduzione del rischio con conseguente ridu-zione o annullamento delle limitazioni edificatorie;

b) possibile acquisizione da parte del gestore dello stabilimento degli immobilicompresi nelle aree da sottoporre a limitazione nell’edificazione o nell’uso, alvalore antecedente all’imposizione delle predette limitazioni;

c) riconoscimento, da parte dell’Amministrazione comunale, ai proprietaridelle aree da sottoporre a limitazioni nell’edificazione o nell’uso, di diritti edi-ficatori equivalenti, in terreni contigui, ovvero ubicati in altre aree del terri-torio comunale;

d) permuta di diritti edificatori;e) assegnazione di diritti edificatori alle aree eventualmente dismesse dallo sta-

bilimento, nell’ipotesi di rilocalizzazione parziale o totale (vedi comma 2, art. 23del D.Lgs. n. 334/99).114

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 111: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Insediamenti caratterizzati dalla presenza di tessuti edilizi illegali

Uno degli aspetti delicati nella identificazione degli elementi vulnerabili terri-toriali riguarda la posizione giuridica degli immobili compresi nelle aree di danno,come individuate nel progetto di variante ai sensi del D.M. 9 maggio 2001. In par-ticolare, il tema dell’intervento nelle aree a rischio di incidente rilevante viene adessere esaltato per gli insediamenti illegali per i quali è stato – o deve essere –attivato un processo di recupero urbanistico16.

Infatti, sia che la variante ai sensi del D.M. 9 maggio 2001 venga attivata nelcaso di nuovi stabilimenti o di modifica con aggravio di rischio di quelli esistenti,sia che si programmi un insediamento o una infrastruttura “attorno” agli stabili-menti esistenti, ci si deve porre la questione del rapporto tra recupero urbanisti-co ai sensi della L. n. 47/85 e verifica di compatibilità del rischio sulla popolazio-ne realmente insediata.

Si può sostenere che l’adozione di una variante di recupero urbanistico delnucleo abusivo ne configuri oggi una esistenza “giuridica” che rientra, seppurein analogia, con la categoria c) dell’art. 1 del D.M. 9 maggio 2001.

L’art. 29 della L. n. 47/85, che disciplina l’argomento del recupero urbanisticodegli insediamenti e dei tessuti edilizi illegali, rappresenta in materia una normadi indirizzo per le Regioni.

Il recupero urbanistico deve essere attuato secondo un quadro di convenien-za economica e sociale. Il quadro normativo regionale, formulato in base all’art.29 della L. n. 47/85, è incompleto e diversificato: è altresì difficile dare una sin-tesi della situazione riguardante l’attivazione di varianti di recupero urbanisticopromosse dalle Amministrazioni comunali.

I princìpi generali di cui tenere conto sono tre:a) realizzare una adeguata urbanizzazione primaria e secondaria;b) rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesistico,

ambientale, idrogeologico;c) realizzare un razionale inserimento territoriale ed urbano dell’insediamento.

In materia di rischio rilevante viene esaltato, quindi, sia il principio di costrui-re il quadro di convenienza economica e sociale, che quello di pervenire ad unrazionale inserimento territoriale e urbano del tessuto edilizio, in relazione allapresenza dello stabilimento a rischio d’incidente rilevante.

Nella predisposizione della variante ai sensi del D.M. 9 maggio 2001, e nellaformazione del Programma integrato ci si può trovare in una situazione di parzia-le o totale “inesistenza” giuridica di tessuti edilizi anche di rilevante entità, checostituiscono, tuttavia, sotto il profilo della vulnerabilità, una presenza di cui sideve tenere conto.

Si tratta di verificare quali potenzialità di recupero siano esprimibili in un ambitopiù vasto di quello strettamente legato alla perimetrazione del nucleo abusivo,tenendo conto delle posizioni giuridiche (diversificate, per i singoli immobili, in basealla situazione della sanatoria edilizia e alla possibilità o meno di essere soggette ad“accertamento di conformità” ai sensi dell’art. 13 della L. n. 47/85) e delle esigen-ze da contemperare della protezione dell’abitato e dello sviluppo industriale. 115

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 112: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Strumenti giuridici per l’attuazione di un Programma integrato nelle aree

a rischio d’incidente rilevante

La programmazione negoziata ( – scheda 11)

L’art. 2, commi 203-209, della L. n. 662/96 ha introdotto nell’ordinamento unadisciplina generale delle varie forme di accordi che coinvolgono una molteplicitàdi soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanzia-rie a carico delle Amministrazioni statali, regionali e delle Province autonome,nonché degli enti locali. Sono riportate, di seguito, in forma sintetica, le diverseforme di accordo.

“Programmazione negoziata”. Si definisce tale la regolamentazione concor-data tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o leparti pubbliche o private, per l’attuazione di interventi diversi riferiti ad una unicafinalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività dicompetenza.

“Intesa istituzionale di programma”. Si intende con tale definizione l’accordotra l’Amministrazione centrale, regionale o delle Province autonome con cui talisoggetti si impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmati-ca delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti interessati e delle procedureamministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventid’interesse comune o funzionalmente collegati.

“Accordo di programma quadro”. Si tratta di un accordo con enti locali ed altrisoggetti pubblici e privati promosso dall’Amministrazione centrale, regionale odelle Province autonome in attuazione di una intesa istituzionale di programmaper la definizione di un programma esecutivo di interventi di interesse comune ofunzionalmente collegati.

“Patto territoriale”. Accordo promosso da enti locali, parti sociali, o da altrisoggetti pubblici o privati, relativo all’attuazione di un programma di interventicaratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale.

“Contratto di programma”. Contratto stipulato tra l’Amministrazione statalecompetente, grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese e rappresen-tanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di program-mazione negoziata.

“Contratto di area”. Strumento operativo concordato tra le Amministrazioni,anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché eventualialtri soggetti interessati, per la realizzazione di azioni finalizzate ad accelerare losviluppo e la creazione di nuova occupazione in territori circoscritti.

Accordo di programma

Al di là delle enunciazioni generali delle forme negoziali, le riforme del dirittoamministrativo, vale a dire la legge recante norme generali sul provvedimentoamministrativo, n. 241/90, e quella sulle autonomie locali, n. 142/90, contengo-no previsioni di grande rilievo pratico, sul versante degli accordi, istituti necessa-ri per una nuova gestione urbanistica.116

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 113: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In particolare, la L. n. 241/90 ha, per la prima volta, previsto e ammesso accor-di tra privati e Pubblica Amministrazione, volti alla predeterminazione in modovincolante del contenuto di provvedimenti amministrativi, o addirittura capaci, neicasi previsti ex lege, di sostituirsi a questi ultimi.

Da parte sua, la L. n. 142/90 ha invece codificato quello che si era già affer-mato nella pratica come modello principale di accordo tra Amministrazioni pub-bliche, ossia l’accordo di programma disciplinato dall’art. 27 (sostituito dall’arti-colo 34 del D.Lgs. n. 267/2000).

In base all’art. 11 della L. n. 241/90 l’Amministrazione che si è impegnata ademettere un provvedimento del tipo e del contenuto indicato nella convenzionenon può sottrarsi arbitrariamente a tale obbligo, salvo il ricorso all’ipotesi di reces-so espressamente prevista dallo stesso art. 11, al quarto comma, la cui operati-vità è peraltro subordinata alla presenza di “sopravvenuti motivi di pubblico inte-resse”, determinando altresì il diritto del privato a conseguire un indennizzo peri danni derivanti dal venire meno dell’accordo, proprio in virtù della sua qualifica-zione in termini contrattuali.

La stessa L. n. 241/90 ha escluso le attività di programmazione e pianifica-zione dall’applicazione degli istituti di partecipazione al procedimento.

Ma facendo leva sulla ricostruzione in termini ordinamentali si avvalora un’in-terpretazione secondo la quale, con riferimento alla disciplina urbanistica, di com-petenza regionale, il legislatore ha ritenuto opportuno non estendere l’automati-ca applicazione di taluni istituti, per garantire agli organi deputati allo svolgimen-to di tali funzioni la possibilità di esplicare la loro autonomia, attraverso l’adatta-mento alle proprie esigenze peculiari. Il richiamo alla funzione normativa regio-nale è avvalorato dall’art. 29 che indica proprio nella attuazione dei princìpi desu-mibili dalle disposizioni della L. n. 241/90 la disciplina fondamentale del procedi-mento amministrativo di ambito regionale.

Questa osservazione consente di rileggere, in positivo, le suddette previsionicontenute nella L. 241/90 e di ritenere non tassativa per la normazione regiona-le l’esclusione operata dall’art. 13, in quanto non avente la portata di principiogenerale della materia.

Con l’accordo non si opera più una distinzione tra provvedimento ammini-strativo, cui imputare gli effetti conformativi del territorio, e un atto negoziale,con cui regolare le obbligazioni del privato. Vi è invece totale immedesimazionetra il piano e la convenzione.

Il nucleo fondamentale dell’accordo verte, dunque, sull’ipotesi di assetto ter-ritoriale – che definisce indici volumetrici, altezze, tipologie edilizie, standard,tracciato delle strade – proposta dai privati e accettata dall’Amministrazione.

L’obbligo fondamentale che il Comune deduce in convenzione è strettamen-te connesso all’accordo sull’assetto urbanistico.

Dire, quindi, che il Comune si obbliga al rilascio delle concessioni edilizie equi-vale a dire che si impegna a non mutare nel tempo le proprie determinazioni inmerito alla scelta urbanistica concordata. 117

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 114: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Venendo, quindi, alla conclusione del ragionamento avviato in precedenza, siosserva che il problema costituito dall’art. 13 della L. 241/90 è superato anchecon altra riflessione: tale disposizione non è invocabile per negare la legittimitàdei “contratti di pianificazione” poiché la possibilità di ricorrere all’accordo suiprovvedimenti di pianificazione si ricava dall’interno della disciplina urbanistica, epertanto, “dalle particolari norme che ne regolano la formazione” (art. 13,comma 1 ultima parte).

Un problema che può sorgere nell’applicazione pratica scaturisce dalle moda-lità di esercizio del potere urbanistico, che, come è noto, prevede una duplicemanifestazione di volontà da parte di due diverse Amministrazioni.

La soluzione più semplice è quella di stipulare un accordo sottoposto a con-dizione sospensiva potestativa che la Regione approvi la prescrizione urbanisticain variante. In alternativa si può prevedere un accordo che coinvolga, fin dall’ini-zio, oltre al privato ed all’Amministrazione comunale, anche quella regionale.

Si può concludere che si riscontrano nell’ordinamento molteplici elementitendenti a favorire la prassi di concordare il contenuto dei provvedimenti di pia-nificazione urbanistica.

Una delle strade percorribili per attribuire all’accordo pubblico-privato unadiretta valenza di variante urbanistica, superando l’ostacolo della necessaria deri-vazione di quest’ultima da un atto complesso (Comune - Regione o Provincia),consiste nel vincolarlo alla conclusione di un accordo di programma.

Quest’ultimo costituisce la fattispecie consensuale che, disciplinata in viagenerale dall’art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000, ha immediatamente ricevuto ampiadiffusione nella pratica, assurgendo a modulo comune di esercizio concertatodelle funzioni pubbliche.

L’istituto dell’accordo di programma intende rispondere, infatti, allo scopo dicoordinare con efficacia l’azione combinata di diversi enti ( – scheda 12).

L’accordo di programma si distingue proprio nel postulare una posizione di pia-nificazione tra tutti i partecipanti, i cui rapporti si presentano come equiordinati, enell’estendere tale pienezza di compartecipazione dalle Regioni agli Enti locali.

A tale risultato si è pervenuti gradualmente: l’accordo di programma è disci-plinato compiutamente dall’art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000, mentre diverso, e dif-ferenziato, era il contenuto delle precedenti statuizioni legislative, che per primehanno introdotto nel nostro ordinamento tracce di tale istituto.

È noto infatti che quest’ultimo, prima di essere generalizzato con la legge sulleautonomie locali, era strumento eccezionale di azione amministrativa previsto inmolteplici provvedimenti legislativi: si va dall’accordo per la localizzazione ed ese-cuzione di opere ferroviarie (art. 25 L. n. 210/85), a quelli previsti per gli interventistraordinari nel Mezzogiorno, nonché, in specifico, per la Sicilia (art. 7 L. n. 64/86,L. 99/88) oppure per le iniziative di ricerca universitarie (art. 3 L. n. 168/89), ed inmateria di trasporti e concessioni marittime (art. 1 n. 5 della L. n. 160/89) o di pro-grammazione triennale per la tutela dell’ambiente (art. 4 L. 305/89); altre ipotesi diaccordi di programma sono poi contenute nelle leggi n. 380/90, (art. 3), e 396/90(Interventi per la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto).118

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 115: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

119

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

ratiSi può rilevare in esse la tendenza a preservare la prevalenza del potere cen-

trale, di norma riservando agli organismi statali il controllo sulla fase esecutivadell’accordo e il potere di sanzionare inerzie o inadempimenti: revoca del finan-ziamento statale (L. n. 64/86, L. n. 305/89), oppure intervento sostitutivo, ingenere, della Presidenza del Consiglio (L. n. 210/85, L. n. 99/88).

La differenza rispetto alla previsione dell’art. 34 emerge netta, se si conside-ra che, in base a quest’ultima norma, la vigilanza sull’esecuzione dell’accordo èinvece affidata ad un Collegio composto da rappresentanti di tutte leAmministrazioni partecipanti (art. 34, comma 7 del D.Lgs. n. 267/2000). Tale orga-no, oltre ad avere funzioni di controllo, può correttamente esercitare una azionedi raccordo tra le Amministrazioni che hanno sottoscritto l’accordo di programma.

Tale disposizione conferma il carattere decisamente paritario che l’accordo diprogramma ha acquistato per effetto dell’art. 34: si tratta di uno strumento cui glienti interessati partecipano con piena e pari dignità, nell’esercizio delle rispettivecompetenze.

Rispetto alla conferenza dei servizi l’accordo si distingue per essere finalizza-to propriamente alla composizione di interessi concorrenti e, proprio per la suanatura “consensuale”, non può prescindere dall’unanimità.

Vediamo ora di delineare con maggior precisione in che cosa tale accordoconsiste.

La sua funzione, innanzitutto, è quella di “assicurare il coordinamento delleazioni e determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connes-so adempimento”, la cui realizzazione richieda l’azione integrata di Comuni,Province, Regioni, Amministrazioni statali o altri soggetti pubblici.

La procedura per la conclusione dell’accordo si snoda per i seguenti pas-saggi: iniziativa (che spetta al Presidente della Regione o della Provincia o alSindaco, secondo chi sia investito della competenza “primaria o prevalente sul-l’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento”, e può essere solleci-tata da istanze dei soggetti interessati: comma primo); formazione (che avvie-ne nell’ambito di un’apposita conferenza, convocata per “verificare la possibi-lità di concordare l’accordo di programma”, cui partecipano i rappresentanti ditutte le Amministrazioni interessate: comma terzo); approvazione (con apposi-to “atto formale”, soggetto a pubblicazione sul BUR, del Presidente regionaleo provinciale o del Sindaco, in funzione dell’organo che ha promosso l’accordo:comma quarto).

Due sono le principali questioni che si pongono: come si determini la com-petenza prevalente che legittima l’iniziativa in capo all’uno o all’altro dei soggettiindicati; se l’atto di promozione o di conclusione dell’accordo debba o menoessere preceduto da delibera dell’organo collegiale.

In merito al primo dei due quesiti, occorre far riferimento alle singole dispo-sizioni che definiscono gli interventi di prevalente competenza regionale,potendosi quindi ricavare, in via residuale, gli ambiti soggetti all’iniziativa deglialtri enti.

Page 116: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

120

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni Relativamente alla seconda questione, la soluzione più ragionevole, tenuto

conto della circostanza per cui frequentemente non è neppure possibile sottoporreall’approvazione preventiva del Consiglio il testo definitivo di un accordo che, inve-ce, si forma in sede di conferenza tra tutti gli enti interessati, consiste nell’appro-vazione di una delibera programmatica o d’intenti. Tale delibera costituisce la basedella proposta d’accordo da discutere in conferenza, e va adeguatamente pubbli-cizzata, in modo da assicurare all’iter la necessaria partecipazione; la ratifica da partedel Consiglio comunale è invece indispensabile per il più rilevante tra i molteplicieffetti connessi all’accordo di programma: quello di variante agli strumenti urbani-stici, per la cui produzione l’art. 34, quinto comma, prevede appunto, a pena didecadenza, l’approvazione del Consiglio entro trenta giorni dalla sua conclusione.

Il consenso unanime delle Amministrazioni interessate sull’accordo di pro-gramma è un dato valorizzato dalla dottrina ai fini della qualificazione come con-tratto: al pari di questo, infatti, l’accordo di programma è uno strumento di dispo-sizione reciproca delle capacità giuridiche (in questo caso poteri amministrativi)spettanti a ciascun soggetto, tramite la determinazione consensuale di un rego-lamento che vincola tutte le parti in ragione dell’adesione che vi hanno prestato.

In quanto contratto, la disciplina dell’accordo di programma potrà risultare,oltre che dalle norme speciali contenute nell’art. 34, da quelle del codice civile:ad esempio, qualora una delle Amministrazioni, a trattative iniziate per la defini-zione dell’accordo di programma, neghi senza giustificato motivo il proprioassenso, il diniego, oltre che essere suscettibile di impugnazione amministrati-va, potrà dar luogo a responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 cod.civ.; allo stesso modo, l’eventuale inadempimento dell’accordo assunto potreb-be essere sanzionato, non solo con gli interventi sostitutivi che l’art. 34, commasecondo, dispone possano essere previsti nell’accordo di programma, ma altre-sì con le azioni risolutive e risarcitorie dal codice civile per i contratti.

Infine, per completezza di trattazione, occorre ricordare uno strumento operati-vo per l’attuazione di un accordo di programma: l’apertura di credito, secondoquanto previsto dagli articoli 8 e 9 del D.P.R. n. 367/94, su diversi capitoli di bilan-cio, a favore di un funzionario delegato, titolare di funzioni pubbliche anche se nondipendente statale, per evitare la frammentazione delle operazioni contabili ed eco-nomico-finanziarie per l’attuazione dell’accordo di programma.

La conferenza dei servizi

La L. n. 340/00 ha modificato le disposizioni contenute nella L. n. 241/90 rego-lamentando ex novo la conferenza di servizi, ( – scheda 13) principalmentecon lo scopo di permettere ai progettisti di conoscere, in via preventiva, dalleAmministrazioni competenti, le condizioni e le varianti da apportare al progetto alfine di una corretta predisposizione del progetto definitivo.

La nuova normativa ribadisce e generalizza il carattere obbligatorio dellaconferenza di servizi qualora sia necessario acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi e fissa in quindici giorni dalla richiesta il termine, trascorso il

Page 117: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

quale, stante l’inerzia dell’Amministrazione sollecitata, è necessario convocarela conferenza.

È consentita l’indizione su richiesta di qualsiasi altra Amministrazione coin-volta nel procedimento e il principio della decisione a maggioranza viene estesoanche alla fase di organizzazione dei lavori della conferenza.

La convocazione può pervenire alle Amministrazioni interessate, anche pervia telematica o informatica, e deve essere resa nota entro il termine utile di 10giorni, con la possibilità di richiedere uno spostamento della data entro i succes-sivi 10 giorni.

Il termine massimo per lo svolgimento della conferenza è fissato in 90 giorni,prorogabile a 120.

Una particolare attenzione è dedicata alla conferenza di servizi su progetti pre-liminari, al fine di riconoscere tali elaborati vincolanti per la successiva fase deli-berativa.

La finalità principale è quella di verificare, in un termine di trenta giorni, lecondizioni necessarie per ottenere il consenso sul progetto definitivo; tale veri-fica opera sulla base del progetto preliminare, per cui una volta accertata unacompatibilità di massima, le Amministrazioni si impegnano ad indicare, entroquarantacinque giorni successivi, le condizioni da soddisfare per conseguirel’assenso finale.

Ove sia prevista la VIA, la conferenza si esprime entro trenta giorni dalla defi-nizione dello studio di impatto ambientale, il cui procedimento deve necessaria-mente concludersi entro novanta giorni dalla richiesta.

In tale sede, l’autorità competente alla VIA esamina le eventuali alternativeprogettuali e localizzative, individua gli elementi di incompatibilità ed indica le pre-scrizioni necessarie per mitigare l’impatto dell’opera sul contesto ambientale.

Il carattere vincolante del provvedimento elaborato dalla conferenza sul proget-to preliminare è avvalorato dalla prescrizione secondo cui nella conferenza di servi-zi deliberante, le indicazioni precedentemente fornite possono essere motivata-mente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi sopravvenu-ti, anche a seguito delle osservazioni presentate dai privati sul progetto definitivo.

Si stabilisce, inoltre, che si considera acquisito l’assenso dell’Amministrazione ilcui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’Amministra-zione rappresentata e non abbia notificato all’Amministrazione procedente, entro iltermine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusionedel procedimento, il proprio motivato dissenso, oppure nello stesso termine nonabbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi.

Non è esplicitamente disciplinata la modalità con la quale comunicare oltre-ché al soggetto dissenziente, anche al soggetto assente, l’avvenuta conclusionedella conferenza e la relativa determinazione definitiva.

Si ritiene, però, che esista anche nei confronti del soggetto che, pur regolar-mente convocato abbia omesso di presenziare, un dovere di comunicazione aisensi della L. n. 241/90, così come previsto per il dissenziente. 121

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 118: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Si riafferma, inoltre, il principio secondo cui il dissenso deve essere sempreadeguatamente motivato e non possa far riferimento a questioni connesse estra-nee all’oggetto della conferenza, indicando le eventuali modifiche progettualinecessarie ai fini dell’assenso.

Viene modificata la procedura da seguire nell’ipotesi di dissensi manifestati insede di conferenza di servizi, ovvero di mancato rispetto del termine per la con-clusione dei lavori della stessa: quando il dissenso provenga da una o piùAmministrazioni non preposte alla tutela ambientale, storico-artistica, ovvero dellasalute, la determinazione, presa a maggioranza è immediatamente esecutiva.

Nei casi in cui il dissenso provenga dalle Amministrazioni preposte alla tuteladifferenziale l’innovazione è rappresentata dalla circostanza che la decisione èrimessa al Consiglio dei Ministri allorquando l’Amministrazione dissenziente oquella procedente sia un’Amministrazione statale; negli altri casi la competenzaspetta agli organi esecutivi collegiali degli enti territoriali.

È riconosciuto un particolare rilievo al dissenso espresso dalla Regione, inquanto la stessa è invitata alla riunione del Consiglio dei Ministri per illustrare lapropria determinazione, senza però poter partecipare al voto finale.

La VIA continua ad essere propedeutica alla conferenza, ma in caso di ina-dempienza la stessa è espressa in quella sede, con la precisazione che la confe-renza si conclude nei trenta giorni successivi.

Inoltre, l’eventuale valutazione negativa di impatto ambientale non riveste piùcarattere preclusivo alla conclusione del procedimento in quanto è prevista l’ap-plicazione dell’art. 5, comma 2, lettera c-bis della L. n. 400/1988, il quale con-templa la possibilità di deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessivavalutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la pronuncia suquestioni per le quali siano emerse valutazioni contrastanti tra Amministrazionicompetenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti.

Si introduce in tal modo una vera e propria forma di arbitrato conciliativo.Il provvedimento finale, conforme alla determinazione conclusiva favorevole

della conferenza di servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, con-cessione, nullaosta o atto di assenso, comunque denominato, di competenzadelle Amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla pre-detta conferenza.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Le trasformazioni urbanistiche: appunti per la costruzione di un metodo”.“Schema operativo per la formazione e l’attuazione di programmi integrati di

sviluppo locale”.“Schema sinottico ed evolutivo delle leggi regionali in materia di programmi

complessi”.“Schede informative”.122

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 119: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Il presente capitolo è stato redatto per la parte relativa ai programmi complessi da RosarioManzo, per la parte relativa agli strumenti giuridici da Massimo Ghiloni.

2 Cfr. “Quaderni del Segretariato Generale”, n.18 - Libro Bianco sulla casa, Tomo I, pp. 101sgg., Roma, maggio 1986.

3 Dopo un primo periodo di “sperimentazioni” di moduli procedimentali costruiti per lo spe-cifico programma, il tema dello snellimento delle procedure si è stabilizzato intorno ad istituticonsolidati, di cui si tratta di seguito.

4 Il programma straordinario fu inserito nel decreto-legge n.152 del 13 maggio 1991, recan-te “Provvedimenti urgenti in tema alla lotta alla criminalità organizzata e buon andamento del-l’azione amministrativa”, poi convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203. Va ricordato che nel set-tembre del 1990, il Ministero dei lavori pubblici aveva presentato un progetto organico di rifor-ma del settore della casa, denominato “pacchetto-casa”, mai giunto all’approvazione e com-posto da quattro settori coordinati di intervento, che dava attuazione, sostanzialmente, alle tesicontenute nel Libro Bianco del 1986:– l’introduzione, nell’edilizia residenziale, di programmi integrati d’intervento, equiparati a

strumenti urbanistici attuativi;– la riforma degli Istituti autonomi per le case popolari;– la revisione delle norme sulla locazione;– il finanziamento “addizionale” degli interventi edilizi attraverso i cosiddetti “Bot-Casa”.

5 Delibera CIPE 16 marzo 1994.

6 D.M. 22 ottobre 1997.

7 Comunicazione della Commissione: La problematica urbana: orientamenti per un dibatti-to, COM(97), 197 def. e Parere del Comitato delle Regioni (98/C251/04).

8 Comunicazione agli Stati membri della CE 28 aprile 2000, n. 2000/C141/04. Il Bando nazio-nale per la selezione dei programmi “URBAN II” è stato pubblicato nel SO n. 150 alla GURIn. 214 del 13 settembre 2000.

9 Decreto del Ministro dei lavori pubblici 21 dicembre 1994, pubblicato nella GURI, seriegenerale n. 302 del 28.12.1994, riguardante Programmi di riqualificazione urbana a valere suifinanziamenti di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n.179 e successivemodificazioni e integrazioni.

10 La fonte normativa è data dall’art. 2 della L. n. 179/92 e la procedura di formazione eapprovazione dei Programmi di riqualificazione urbana (PRIU) è contenuta nei decreti ministe-riali 21 dicembre 1994, 4 febbraio 1995, 20 giugno 1995 e 29 novembre 1995, 30 ottobre1997).

11 Con la nota 9 agosto 1995, prot. 337 fu trasmessa, dal Segretariato Generale del CER -Ministero dei lavori pubblici, ai Sindaci dei Comuni capoluogo di provincia la “Guida ai pro-grammi di riqualificazione urbana” ex art. 2, comma 2 della L. n. 179/92.

12 Il programma ha individuato 45 idee-progetto, attraverso l’incrocio di una serie di indica-tori (tra i quali, la “vivacità”, amministrativa degli Enti locali coinvolgibili) e un percorso di atti-vità concertative, attuato tramite Tavoli partenariali. Si veda: CENSIS, 35° Rapporto sulla condi-zione sociale del paese, 2001, pp. 357 sgg. Per l’approfondimento sul Progetto Pilota, si vedail sito www.progettopilota.it

13 pp.171 sgg. 123

3 - I

pro

gram

mi i

nteg

rati

Page 120: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

14 Art. 7, comma 1 della L. 28 febbraio 2001, n. 21 e D.M. lavori pubblici 6 giugno 2001.Istruzioni per la formazione di una Società di Trasformazione urbana sono state fornite, con cir-colare n. 622/Segr. dell’11 dicembre 2000 del Ministero dei lavori pubblici - Direzione generaledelle aree urbane e dell’edilizia residenziale.

15 Per inquadrare il Programma integrato (o complesso) all’interno del più ampio contestodelle “Politiche urbane” cfr. AVARELLO P., RICCI M. (a cura di), Politiche urbane. Dai programmicomplessi alle politiche di sviluppo urbano, e in particolare “La costruzione delle politiche urba-ne”, pp. 149 sgg., “L’attuazione delle politiche urbane”, pp. 165 sgg.

16 Sul tema del recupero urbanistico dei nuclei interessati dall’abusivismo cfr. Ghiloni M.,Manzo R., Storto G., L’applicazione del nuovo condono edilizio, Maggioli, Rimini 1996, pp. 13 sgg.

Riferimenti bibliografici

QUADERNI DEL SEGRETARIATO GENERALE DEL CER, n. 18, tomo I e II, Libro bianco sulla casa,IPZS, 1986.

Resoconto di una esperienza, la selezione dei programmi dell’art.18 L. 203/91, CER, 1995.

SALZA A., Gli standard urbanistici, in I Programmi di riqualificazione urbana, Ministero deilavori pubblici, INU edizioni, 1997.

FERRERO G., Urbanistica e “programmazione complessa”, aprile 2000, in: www.in-fra.polito.it

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, DICOTER, Rapporto sullo stato della pianificazione del terri-torio 2000, Roma 2000.

OMBUEN S., RICCI M., SEGNALINI O., I Programmi complessi, Milano 2000.

R. MANZO, L’attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei rischi di incidentirilevanti connessi con determinate sostanze pericolose “Seveso II”: requisiti minimi disicurezza in materia di pianificazione territoriale e urbanistica, in “Archimedia”, n. 3,2001.

R. MANZO, I programmi complessi e le aree soggette a fragilità ambientale, 2001, Paperpresentato al Convegno nazionale Pianificazione separate e governo integrato del ter-ritorio, INU, Firenze 13-14 dicembre 2001.

Si veda, inoltre, la bibliografia riportata nei “Percorsi di ricerca” al paragrafo “Programmazionee pianificazione integrate”.

124

Ros

ario

Man

zo, M

assi

mo

Ghi

loni

Page 121: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4

IL RISCHIO TECNOLOGICO

Andrea Carpignano*

Introduzione

La progettazione, realizzazione e gestione di sistemi e infrastrutture produceun inevitabile impatto sul contesto socio-economico in cui queste vengono inse-rite, impatto che può essere di natura positiva (si pensi al beneficio economicoderivante da un nuovo insediamento produttivo), ma anche di carattere negati-vo, basti pensare all’occupazione del suolo, all’impatto visivo, all’eventualeinquinamento atmosferico che l’insediamento stesso produce. Tra gli impattinegativi è bene differenziare quelli con carattere di ordinarietà, detti ancheimpatti di routine (ad esempio l’emissione di fumi a camino per un impianto diproduzione di energia elettrica), da quelli di carattere incidentale che si manife-steranno solo in caso di incidente ossia di comportamento anomalo e inattesodel sistema o infrastruttura (ad esempio un rilascio di sostanze tossiche a segui-to di rottura di una tubazione).

L’analisi del rischio tecnologico mira all’identificazione, quantificazione e valu-tazione degli impatti di carattere incidentale che potrebbero verificarsi durante lavita del sistema.

L’aggettivo tecnologico intende focalizzare l’attenzione sui rischi derivanti dainfrastrutture e sistemi di carattere tecnologico quali stabilimenti produttivi, sta-bilimenti di stoccaggio, infrastrutture e sistemi di trasporto. L’attenzione è parti-colarmente rivolta in questa sede ai rilasci incontrollati di energia (esplosioni,incendi) o rilasci e dispersione di sostanze tossiche o inquinanti.

Da questa breve introduzione, emerge subito il carattere “sistemico” e inter-disciplinare del problema: studiare il rischio tecnologico significa prevedere ipossibili malfunzionamenti di un sistema, identificarne le conseguenze, valutar-ne l’impatto sul territorio in cui il sistema è collocato ed in particolare sulle sue

125* Politecnico di Torino, Dipartimento di energetica.

Page 122: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

componenti antropiche, infrastrutturali e ambientali, facendo interagire compe-tenze in ingegneria, chimica, fisica ambientale, tossicologia, urbanistica ed altreancora.

Il rischio tecnologico mira quindi a quantificare il danno sul territorio derivan-te da incidenti che possano verificarsi durante la realizzazione e gestione di siste-mi e infrastrutture; nel contempo ne individua le criticità suggerendo azioni diprevenzione e mitigazioni che rendano tale rischio socialmente accettabile.

Il capitolo intende proporre al lettore gli approcci alla valutazione e le proble-matiche derivanti dall’analisi dei rischi tecnologici con particolare riferimento allapianificazione territoriale in prossimità di stabilimenti industriali a rischio di inci-dente rilevante di cui al D.M. 9 maggio 2001 Requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da sta-bilimenti a rischio di incidente rilevante.

Il Rischio

Il concetto di Sicurezza è del tutto astratto in quanto descrive una situazionecaratterizzata dall’assenza di possibili danni; il suo carattere di astrazione fa sì chela sicurezza non sia “quantificabile”. I tecnici, al fine di valutare la sicurezza di uncontesto ricorrono allora alla valutazione di quanto questo si trovi “distante” dallecondizioni di sicurezza. Questa distanza è definita con il termine di “rischio”. Ilrischio esprime infatti la possibilità che si verifichi un evento indesiderato, quin-di associato ad un danno, di carattere incerto, ossia non sempre stimabile conprecisione a priori.

Dal punto di vista matematico il rischio viene solitamente definito come il pro-dotto della frequenza (eventi/anno) di accadimento dell’evento indesiderato (inci-dente) moltiplicata per il danno associato all’incidente stesso (danno/incidente):

R [danni/anno] = f [eventi/anno] x d [danni/evento]

Il rischio sarà quindi espresso in danni/anno. Il danno, a seconda dei casi,potrà essere stimato in termini di decessi, numero di feriti, danni ambientali,costo del ripristino di infrastrutture danneggiate ecc.

Il rischio consente quindi di pesare i danni che possono derivare dagli inci-denti, con la frequenza di accadimento di questi ultimi; questo comporta cheeventi molto dannosi ma caratterizzati da una frequenza di accadimento trascu-rabile possano presentare un rischio decisamente inferiore rispetto ad eventi adanno limitato ma di accadimento frequente. Si tratta, in altre parole, di mediare,su una base probabilistica, i danni che ci si aspetta da una certa tecnologia.Questa definizione fa anche comprendere come il rischio nullo, al pari della sicu-rezza assoluta, sia una pura astrazione: qualunque attività umana può comporta-re imprevisti, incidenti e di conseguenza dei danni. Sarà cura dell’analista dirischio valutarli accuratamente al fine di decidere le strategie migliori in grado diprevenire l’incidente o mitigarne le conseguenze.126

And

rea

Car

pign

ano

Page 123: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

A titolo di esempio, si pensi di dover valutare il rischio di morte per incidentestradale. Ciascuno di noi, quando decide di far ricorso all’automobile per spo-starsi, si accolla un rischio che esprime il potenziale danno che potrebbe subirequalora fosse coinvolto in un incidente. Con riferimento ad una collettività,estraendo i dati dalle statistiche disponibili, si avrà:

frequenza = 1.800.000 incidenti/annodanno = 1/300 morti/incidenteRischio = f x d = 6000 morti/anno.

Il costo “probabilistico” (danno) della collettività sarà pari a 6000 morti/anno.Se l’attenzione è posta sulla sorgente del rischio (come avviene nel caso prece-

dente in cui la sorgente del rischio è l’uso dell’auto), il rischio che si valuta è unRischio Collettivo che rappresenta cioè il danno probabilistico subìto da una colletti-vità a causa della realizzazione o dell’utilizzo di una certa tecnologia. Altre volte l’at-tenzione è focalizzata sull’individuo che subisce il rischio: in questi casi si valuterà unRischio Pro capite espresso in danni/anno*persona, in grado di esprimere il dannoprobabile a cui il singolo individuo sarà sottoposto a causa dell’utilizzo o della realiz-zazione di quel sistema. Nell’esempio sopra riportato, volendo determinare il RischioIndividuale medio della collettività, nell’ipotesi di 56.000.000 di individui si avrà:

Rischio Individuale (medio) = Rischio/Individui esposti = 1.1 x 10-4 morti/anno*persona.

Ne risulta che, mediamente, chiunque decida di avvalersi dell’automobileper i suoi spostamenti incrementa il proprio rischio di morte del contributosopra calcolato.

La percezione del rischio

La valutazione del rischio è un momento non solo tecnico, ma anche socio-poli-tico, in quanto su questa base si viene a definire l’accettabilità sociale o l’inaccet-tabilità di una nuova opera. In quest’ottica diventa importante approfondire le pro-blematiche connesse alla percezione del rischio da parte della collettività e soprat-tutto è importante capire in che misura tale percezione sposa la definizione fornitapoco sopra che vede il rischio ottenuto dal prodotto della frequenza per il danno.

La definizione matematica fornita per il rischio tende infatti a pesare in modoparitario la frequenza di accadimento e il danno associato, e quindi ci suggerisceche eventi catastrofici ma caratterizzati da probabilità bassissima devono essereaccettati quanto eventi quotidiani con danno relativamente lieve.

A titolo di esempio si consideri (i valori indicati sono puramente indicativi):

127

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Evento A: cedimento di una diga Evento B: incidente ferroviario

F = 6 x 10-5 eventi/anno f = 12 eventi/anno

d = 1.000.000 morti/evento d = 5 morti/evento

R= f x d = 60 morti/anno R = f x d = 60 morti/anno

Page 124: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Se fossero realistici i dati indicati, i due eventi sarebbero caratterizzati da unostesso valore del rischio; pertanto dovrebbero essere considerati egualmenteaccettabili.

Quest’ultima affermazione in genere trova il disappunto dell’opinione pubbli-ca che percepisce in modo molto più marcato i rischi connessi a gravi conse-guenze che si manifestano una tantum, rispetto ad eventi caratterizzati da con-seguenze modeste anche se molto più frequenti. Molti sono preoccupati dall’u-so dell’aereo ed utilizzano tranquillamente l’auto, anche se il rischio ad essoassociato è di gran lunga inferiore a quello associato all’uso dell’automobile.

Questa percezione deriva chiaramente dalla pressione dei mass media cheenfatizzano eventi con conseguenze pesanti e prestano minore attenzione allo stil-licidio di incidenti meno gravi ma che mediamente comporta perdite ingenti.È il caso ad esempio degli incidenti stradali. Inoltre, l’evento a danno limitato e adalta frequenza in genere è connesso ad attività volontarie (l’uso dell’auto, la praticadi uno sport pericoloso ecc.) mentre le grandi catastrofi sono connesse a infra-strutture imposte da altri (l’impianto industriale pericoloso) o a incidenti di sistemigestiti da altri (l’aeroplano) e pertanto ci si sente impotenti in caso di imprevisti.

D’altra parte questa percezione “deformata” verso gli eventi con conse-guenze gravose non è del tutto erronea: gli eventi catastrofici in genere si mani-festano su un gruppo sociale circoscritto con pesanti conseguenze sul tessutosociale, viceversa eventi frequenti ma di piccola entità sono più distribuiti e quin-di con una ricaduta trascurabile sul tessuto sociale nel suo complesso.

In quest’ottica potrebbe essere più ragionevole utilizzare una definizione delrischio più vicina alla percezione della collettività, che pesi maggiormente i danni,come qui oltre indicato:

R = f x dk con k > 1

Queste considerazioni desiderano quindi puntualizzare che il ruolo del tec-nico, analista del rischio, dovrà limitarsi a valutare con la dovuta accuratezza ifattori che permettono la quantificazione del rischio e cioè la frequenza f e ildanno d. Viceversa la loro aggregazione mediante relazioni di semplice pro-dotto o relazioni più articolate sarà una decisione non più tecnica, ma di carat-tere socio-politico, con la quale il tecnico dovrà confrontarsi nell’assolvimentodei suoi compiti.

L’accettabilità del rischio

La quantificazione del rischio diventa uno strumento decisionale in quantopuò essere utilizzata per decidere sull’accettabilità o meno di un nuovo impiantoo infrastruttura: la decisione può essere basata su un criterio comparativo checonfronti la situazione precedente alla realizzazione della nuova opera e quellache si avrà a seguito della nuova realizzazione, ma altre volte dovrà essere dicarattere assoluto non potendo scegliere tra scenari alternativi.128

And

rea

Car

pign

ano

Page 125: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In questo caso nasce un nuovo problema: la definizione di un criterio di accet-tabilità.

La prassi adottata nei diversi paesi è alquanto differenziata, l’approccio peròformalmente più avanzato è rappresentato dall’utilizzo di soglie di accettabilitàe inaccettabilità del rischio, pratica ormai consolidata nei paesi del Nord Europadove la cultura del rischio è ben radicata. Un esempio è riportato in fig. 1.

129

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

F (ev./anno)

1 10 100 D (mmorti)

ALARA

NON ACCETTABILE

ACCETTABILE

5.0 E-6

5.0 E-5

5.0 E-7

Figura 1. Criteri di accettabilità del rischio.

Ogni incidente potrà essere rappresentato nel diagramma come un puntoessendo caratterizzato da una frequenza e da un danno. Se il punto ricade nellazona caratterizzata da alte frequenze ed alti danni l’incidente non sarà accettabile equindi si dovranno adottare delle misure di prevenzione (riduzione della frequenza– spostamento del punto verso il basso) o di mitigazione (riduzione del danno – spo-stamento del punto verso sinistra) che lo riportino in zona di accettabilità.

Se viceversa l’incidente ricade nella zona caratterizzata da basse frequenze ebassi danni, il rischio associato sarà del tutto accettabile e non sarà richiestoalcun intervento.

Le soglie imposte derivano dalla necessità di non modificare in misura signifi-cativa il rischio di morte per incidente a cui ciascun cittadino è già sottoposto nelquotidiano: tale valore si attesta in genere intorno a 6 x 10-4 morti/anno*persona.

La fascia centrale, detta ALARA (As Low As Reasonably Achievable) prevedeuna valutazione della possibilità, con investimenti ragionevoli, di ridurre ulterior-mente il rischio. Qualora una ulteriore riduzione fosse eccessivamente onerosa,si considererà il rischio accettabile. Il concetto di “ragionevolezza” nasce dallaconstatazione che la variazione del rischio al crescere degli investimenti ha unandamento iperbolico (fig. 2): se la tecnologia non ha ancora affrontato le proble-matiche di sicurezza, con piccole spese (DC1) si potrà ridurre in modo marcato ilrischio (DR1); viceversa se la tecnologia in questione ha già investito molto sulrischio, una ulteriore riduzione del rischio (DR2), e per di più di piccola entità, avràcosti ingentissimi (DC2), rendendo poco ragionevole l’ulteriore investimento.

Page 126: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In Italia fino ad ora non sono stati definiti dei criteri di accettabilità rigidi per ilrischio tecnologico: si tende a discutere in ogni situazione il progetto tra il fab-bricante e le autorità al fine di valutarne l’eventuale criticità ma soprattutto al finedi definire tutte le migliorie realizzabili per ridurre il rischio ai valori minimi. In altreparole ci si muove sempre con un approccio di tipo ALARA. Solo recentemente,(ed è il caso del D.M. 9 maggio 2001 e dei D.M. 15 maggio 1996 e D.M. 20 otto-bre 1998) la normativa italiana ha iniziato a prevedere dei criteri “risk based”.Questo approccio ha una sua ragionevolezza se si considera che il processo divalutazione del rischio è molto complesso e articolato, sfrutta dati statistici nonsempre disponibili e pertanto porta a risultati affetti da incertezze anche rilevan-ti: in quest’ottica, il giustificare una decisione con una soglia prefissata potrebbeessere discutibile.

Rischi tecnologici e normativa di riferimento

Il rischio tecnologico, come già introdotto, caratterizza i danni che la collettivitàpotrebbe subire a seguito di incidenti durante la realizzazione e gestione di impian-ti e infrastrutture tecnologiche: si pensi a titolo di esempio al rischio connesso allagestione di impianti chimici di processo che trattano sostanze pericolose, ai poten-ziali incidenti in stabilimenti petrolchimici, ai danni derivanti dall’incidentalità stra-dale, ferroviaria e navale connessi al trasporto di sostanze pericolose.

Ad oggi l’attenzione è posta in particolar modo su impianti o infrastrutture incui siano presenti o viaggino sostanze pericolose per l’uomo o per l’ambiente:sostanze tossiche, sostanze inquinanti, sostanze incendiabili o esplodibili, sostan-ze batteriologiche, sostanze radioattive. Non si affrontano in questa sede gli altririschi tecnologici che non coinvolgono il D.M. 9 maggio 2001, quali i rischi con-nessi a grandi opere civili (cedimenti di dighe, crollo di ponti), oppure incidenti tec-nologici di infrastrutture di trasporto passeggeri (incidenti aerei, ferroviari, navali).130

And

rea

Car

pign

ano

Rischio

Costo

∆R1

∆R2

∆C1 ∆C2

Figura 2. Costi relativi alla riduzione del rischio.

Page 127: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Gli impianti fissi, che trattano o stoccano sostanze pericolose (Impianti aRischio di Incidente Rilevante) sono oggi sottoposti alla Direttiva Seveso II(96/82/CE) recepita in Italia dal D.Lgs. n. 334/99 che prevede un’accurata analisidel rischio dell’impianto con riferimento al territorio in cui esso è insediato al finedi dimostrare che tutti i rischi presenti sono opportunamente controllati e ridottia livelli minimi e accettabili. La normativa oggi in vigore in particolare prevedeche:1. il fabbricante, mediante un’accurata analisi dei rischi, dimostri all’autorità che

i rischi presenti nell’impianto sono opportunamente controllati e mantenuti alivello accettabile;

2. il fabbricante informi la popolazione dei possibili incidenti che potrebbero coin-volgere l’impianto e l’area ad esso circostante;

3. il fabbricante rediga un piano di emergenza interno per gestire eventuali inci-denti;

4. il fabbricante adotti un Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS) che per-metta di mantenere nel tempo le caratteristiche di sicurezza dell’impiantodefinite in fase di progetto;

5. le Autorità competenti per la pianificazione del territorio definiscano le moda-lità di pianificazione del territorio al fine di rendere compatibile la presenza diinsediamenti a rischio di incidente rilevante con il tessuto socio-economicoesistente (D.M. 9 maggio 2001).La situazione è diversa per i trasporti; ad oggi il trasporto di sostanze perico-

lose è normato solo in termini prescrittivi (ad es. ADR per i trasporti stradali, RIDper i trasporti ferroviari) e nessuna normativa prevede una valutazione dei rischiche contempli il sistema di trasporto, l’infrastruttura e il territorio su cui l’attivitàsi sviluppa. In altre parole, l’ADR, il RID e le altre norme relative al trasporto disostanze pericolose forniscono unicamente regole sulla realizzazione dei mezzi,sulla circolazione, sugli apprestamenti di sicurezza, ma nessuna norma oggi invigore prevede che un’analisi a posteriori verifichi il reale controllo dei rischi.L’unica eccezione è rappresentata dai depositi ferroviari e dagli interporti che rica-dono sotto la Direttiva Seveso II e dalle aree ad elevata concentrazione di impian-ti a rischio di incidente rilevante per le quali la Seveso II prescrive un’analisi dirischio d’area che prenda in attenta considerazione tutti i rischi presenti nell’areae pertanto anche l’attività di trasporto realizzata.

L’importanza che assume oggi la valutazione dei rischi tecnologici, sia in rife-rimento agli impianti che ai trasporti, è ribadita dalle statistiche di incidente(Vilchez et al., 1995): nel periodo 1900-92 sono stati registrati sulle banche datidi incidenti internazionali (MHIDAS – HSE) 5325 incidenti che hanno coinvoltosostanze pericolose, di cui il 39% durante attività di trasporto; il 51,4% degli inci-denti ha avuto effetti letali, 26 incidenti hanno causato ciascuno più di centodecessi, in 6 casi si sono avuti più di 1000 decessi. Sono ben conosciuti eventicome Flixborough, UK (28 decessi), Bhopal, India (più di 2600 decessi immedia-ti) ed il più recente incidente nella città di Tolosa (settembre 2001 - 29 decessi). 131

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 128: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nei trasporti la situazione non è più rosea se si pensa che a causa di un ribalta-mento di un’autocisterna di propilene, in prossimità di un campeggio in SanCarlos de la Rapita (Spagna), nel 1978, si sono avuti 211 decessi.

L’analisi di rischio

L’analisi di rischio si pone quindi come obiettivo l’individuazione di tutti i peri-coli presenti nel sistema e degli eventi che possono scatenare tali pericoli por-tando a sequenze incidentali che comportano danni per le persone, l’ambiente oanche solo l’infrastruttura stessa. Questo tipo di analisi, prescritto per gli impian-ti soggetti alla Direttiva Seveso II, è ormai consueta per ogni tipo di impianto oinfrastruttura che ricada nell’ambito delle direttive sulla Valutazione di ImpattoAmbientale (VIA) che oltre a valutare gli impatti di routine, dovrà valutare anchegli impatti derivanti da eventi di carattere incidentale.

L’analisi si articola nelle fasi illustrate in fig. 3.

132

And

rea

Car

pign

ano

Figura 3. La struttura dell’analisi di rischio.

Definizione del sistema

Identificazione deipericoli

Analisi storicaHAZIDHAZOPFMECA

Selezione eventi critici Matrici di rischio

Definizione contromisure

Raggruppamento eventiiniziatori

Studio sequenzeincidentali

Analisi probabilistica Simulazione incidenti

Valutazione del Rischio

Fine

Alberi degli eventiAlberi dei guastiModel li di simulazioneBanche dati

Criteri di accettabil ità

Inizio

Non critici

Critici

AccettabileNonaccettabi le

Page 129: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La prima fase consiste nel definire in modo esaustivo l’oggetto dell’analisi: sidovrà caratterizzare il sistema in modo accurato (layout, impianti, componenti,sistema di controllo, procedure operative ecc.), il sito in cui il sistema è colloca-to (meteorologia, demografia, presenza di infrastrutture ecc.), informazioni sulleprocedure di gestione e di manutenzione, definizione dei “contorni” del sistema.

L’identificazione dei pericoli è finalizzata a mettere in evidenza tutti i pericoli egli eventi che possono essere origine di situazioni incidentali gravi. Questa anali-si deve essere sistematica e completa al fine di non trascurare nessuno dei peri-coli presenti. L’approccio, di tipo qualitativo, prevede il ricorso a tecniche tabella-ri che, sistematicamente, esaminano tutti gli aspetti del sistema in termini dicomponenti presenti e relativi modi di guasto, processi realizzati e possibili devia-zioni, presenza di eventi esterni al sistema che possono provocare incidenti, pro-cedure operative di gestione e/o manutenzione che in caso di errore possonoscatenare eventi gravi. Un supporto a questa indagine può essere fornito dall’e-same di banche dati di incidente (Analisi storica) che potrebbero suggerire even-ti aggiuntivi che si sono già rivelati pericolosi in sistemi similari. Per tutti i pericolie gli eventi identificati si procede ad una valutazione qualitativa di rischio che con-sente di identificare gli eventi ritenuti più critici.

Il risultato di questa prima fase di analisi consiste quindi in una lista di eventi,ciascuno caratterizzato da un livello di rischio in termini qualitativi; a seguito di que-sto primo screening si identificano immediatamente alcune migliorie progettuali egestionali per gli eventi meno critici e si selezionano gli eventi che richiedono unostudio più approfondito al fine di valutarne il rischio in termini quantitativi.

Gli eventi critici prevedono quindi un approfondimento con tecniche di analisidecisamente più sofisticate che per ciascun evento siano in grado di definire lepossibili sequenze incidentali, la rispettiva frequenza di accadimento e il dannoassociato. Essendo l’attività piuttosto onerosa, queste valutazioni sono precedu-te da un raggruppamento di questi eventi critici al fine di costituire dei gruppiomogenei di eventi che comportano sequenze incidentali simili. Questo consen-te di approfondire l’analisi su un evento di riferimento (Eventi Iniziatori) per ognigruppo, onde evitare ripetizioni che si rivelano piuttosto costose senza aggiun-gere informazioni utili allo studio.

Gli eventi di riferimento possono essere di diverso tipo: guasti di componen-ti, rotture, errori di gestione, errori di manutenzione, eventi esterni quali terre-moti, inondazioni, incendi o esplosioni esterne.

Per ogni evento ritenuto significativo e rappresentativo si delineano lesequenze incidentali che questo potrebbe comportare costruendo una strutturalogica (Albero degli eventi, fig. 4) che descrive tutti i possibili scenari di inciden-te che possono derivare dall’evento, a seconda che i sistemi di protezione e miti-gazione intervengano correttamente o meno. In questo modo si ottiene unadescrizione delle possibili “storie” dell’incidente, al fine di caratterizzare ciascu-na con una frequenza di accadimento ed un danno. Sul diramarsi dell’albero deglieventi potranno anche influire i fenomeni naturali: la presenza di inneschi di nubiesplosive, la presenza di vento ecc. 133

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 130: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La stima della frequenza di accadimento relativa alla sequenza incidentalerichiede la determinazione della frequenza di accadimento dell’Evento Iniziatoree di tutte le probabilità condizionate degli eventi che completano la sequenza.Queste informazioni saranno tratte da banche dati commerciali oppure da infor-mazioni derivanti dall’esperienza di impianto. Per gli eventi di natura complessa,quale ad esempio il guasto di una sistema di protezione (es. Antincendio), nonessendo possibile ricorrere a dati statistici (i sistemi sono molto diversificati traloro e quindi non esiste una statistica buona) si ricorrerà a tecniche analitiche checonsentono di descrivere il guasto del sistema in termini di guasti più elementa-ri dei suoi componenti (Albero dei guasti), eventi per i quali i dati statistici sonopiù facilmente rintracciabili.

Seguendo questo approccio sarà possibile abbinare ad ognuna delle sequen-ze incidentali identificate, la frequenza incidentale attesa in termini di occorren-ze/anno.

La stima delle conseguenze, e quindi del danno, prevede invece la simulazio-ne, mediante opportuni modelli, dei fenomeni incidentali delineati sull’alberodegli eventi (rilascio di sostanza, dispersione, innesco, incendio ecc.) al fine didelineare l’estensione dell’area di danno per ciascuna sequenza identificata, non-ché stimare il danno relativo.

Analisi delle conseguenze di incidente

I fenomeni più usualmente studiati nell’analisi delle conseguenze sono diseguito brevemente descritti.

Rilasci di sostanze. Ogni evento incidentale grave è spesso caratterizzato daun rilascio di sostanza pericolosa che potrà presentare stato gassoso, liquido obifase. La simulazione del rilascio richiede informazioni sul tipo di sostanza, lostato fisico, le condizioni di stoccaggio o trasporto, le dimensioni previste per la134

And

rea

Car

pign

ano

Evento iniziatore di Riferimento (RIE)

Sequenza incidentale

Sistema AntincendioInnescoSistema di Blocco

SEQ. 1

SEQ. 2

SEQ. 3

SEQ. 4

Disponibile

Rottura di tubazione No (dispersione)

Non Disponibile(rilascio) Disponibile

Si

Non Disponibile(incendio)

Figura 4. Esempio di albero degli eventi.

Page 131: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

rottura o comunque l’area della sezione di rilascio, la presenza di sistemi di bloc-co in grado di intercettare la perdita. I risultati attesi dalla simulazione consisto-no nella stima della quantità rilasciata e la durata del fenomeno.

Dispersione in atmosfera. La sostanza rilasciata tenderà a disperdersi in atmo-sfera, se gassosa, oppure a formare pozze sul terreno se liquida; si avranno i duefenomeni concomitanti in caso di rilasci bifase o di liquidi altamente volatili. Inogni caso lo studio dovrà valutare, sulla base delle sostanze rilasciate, dell’even-tuale formazione di pozza, la dinamica della nube in atmosfera e quindi le con-centrazioni di inquinanti che si avranno con l’evolvere dell’incidente nell’area cir-costante il sistema, anche a grandi distanze. Solitamente si vanno a monitoraresoglie di concentrazione ben definite: nel caso di sostanze infiammabili o esplo-dibili si individuano le aree in cui la concentrazione rientra tra i limiti inferiore esuperiore di infiammabilità, zona in cui si potrebbe verificare l’incendio o l’esplo-sione; per quanto concerne i rilasci di sostanze tossiche si fa riferimento alle areein cui la concentrazione supera i valori di IDLH (Immediately Dangerous to Lifeor Health) e la soglia di mortalità LC50. L’area all’interno della quale si supera lasoglia LC50 si prevede sia caratterizzata da un’elevata letalità, mentre l’area conconcentrazioni comprese tra IDLH e LC50 vedranno il verificarsi di lesioni irre-versibili anche se non letali. Le aree a concentrazioni inferiori a IDLH potrannoconsiderarsi prive di conseguenze irreversibili anche se potranno essere colpitele fasce di popolazione più a rischio (bambini, anziani, malati cronici).

Dispersione di inquinanti nel terreno o nelle acque. La dispersione di inqui-nanti liquidi nel terreno o nelle acque è solitamente di maggior interesse nelleanalisi di rischio di infrastrutture di trasporto in quanto le installazioni fisse sonogeneralmente dotate di bacini di contenimento in grado di prevenire la disper-sione di tali sostanze. Nel caso di sistemi di trasporto l’incidente può verificarsiin qualunque area del territorio e quindi provocare un inquinamento del terreno,delle acque superficiali e sotterranee. La simulazione di questi fenomeni richie-derà un’accurata caratterizzazione del suolo, dei corsi d’acqua e dei bacini al finedi determinare, con opportuni modelli, le mappe di concentrazione dell’inquinan-te, la sua mobilità e la sua persistenza, nonché l’impatto che questo potrebbeassumere sulla catena alimentare.

Incendi. Gli incendi che possono essere categorizzati come grandi rischi indu-striali, sono generalmente da ricondursi al rilascio di sostanze combustibili gas-sose o liquide. Dal punto di vista del rischio industriale, particolarmente impor-tanti sono gli incendi di liquidi, vapori e gas; per ottenere la combustione è neces-saria la compresenza di combustibile (il gas o vapore), il comburente (ossigeno oaria) e un’energia di innesco che può essere una scintilla, una fiamma, una super-ficie calda e altre fonti di energia; si tenga in ogni caso presente che i liquidi nonsi incendiano direttamente, ma la combustione si genera tra i vapori prodotti dalliquido stesso e l’ossigeno presente. Affinché la combustione si autosostenga laconcentrazione del combustibile in aria dovrà essere entro i limiti inferiore esuperiore di infiammabilità che esprimono la concentrazione in volume del com- 135

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 132: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

bustibile nella miscela aria-combustibile. Il limite inferiore indica la soglia sotto laquale la miscela è troppo povera per sostenere la combustione, il limite superio-re la soglia oltre la quale la miscela è troppo ricca.

I danni da incendio sono generalmente provocati direttamente dal coinvolgi-mento tra le fiamme di persone e infrastrutture oppure dall’irraggiamento termi-co che si viene a creare nell’area circostante l’incendio. Le soglie di riferimentousualmente utilizzate per valutare i danni da irraggiamento sono:– 12.5 kW/m2 danni gravi alle strutture e danni letali per l’uomo;– 5 kW/m2 danni rilevanti alle strutture e danni gravi sull’uomo.

A seconda della dinamica dell’incidente si distinguono solitamente i seguentifenomeni:

JET FIRE: si verifica in caso di rilascio di gas in pressione con innesco imme-diato. Si produce un dardo di fuoco in prossimità della sezione di rilascio cherimarrà alimentata fino al completo esaurimento della sostanza combustibile. Iljet fire potrà avere effetti gravi sulle persone eventualmente presenti in prossi-mità della rottura, ma potrà danneggiare anche strutture adiacenti per le qualinon si disponesse di adeguati sistemi di raffreddamento di emergenza. Si tengaconto che i jet fire possono raggiungere anche lunghezze considerevoli dell’ordi-ne di diverse decine di metri.

FLASH FIRE: si tratta dell’innesco di una nube di gas dispersa in atmosfera.Anche in questo caso i danni potranno riguardare sia le persone che si trovasse-ro in prossimità della nube, sia le strutture presenti.

POOL FIRE: si tratta di un incendio di pozza, segue solitamente un rilascio dicombustibili liquidi. Come nei casi sopra citati ci si aspettano danni dovuti a irrag-giamento termico verso le persone e verso le strutture circostanti.

FIREBALL: generalmente associato ad un cedimento catastrofico di un serba-toio pressurizzato contenente un gas infiammabile, si manifesta con una nubeinfuocata di forma sferica che si innalza nel cielo fino ad esaurimento del com-bustibile contenuto. Si tratta di fenomeni molto rapidi, della durata non superio-re al minuto, ma estremamente pericolosi in quanto l’innalzamento al cielo per-mette un irraggiamento molto esteso ed intenso.

ESPLOSIONI. Le esplosioni consistono in repentini rilasci di energia che si pro-paga nell’ambiente sotto forma di onda di pressione. Si distinguono due grandicategorie: le esplosioni fisiche (o scoppi), generalmente associate al cedimentodi serbatoi in pressione, e le esplosioni di natura chimica, associate alla rapidacombustione di sostanze infiammabili. L’esplosione si manifesta quindi con unasovrapressione che può essere dannosa per l’uomo (danni ai timpani, ai polmo-ni, fino allo sfondamento della cassa toracica) e le strutture. Si considera solita-mente letale una sovrapressione superiore a 0,3 bar e dannosa una sovrapres-sione di 0,07 bar. La prima è già in grado di causare anche danni gravi a struttu-re, la seconda è in grado di rompere vetrate o strutture fragili. Un danno indiret-to dell’esplosione è dovuto alla proiezione di frammenti che possono anch’essidiventare letali o distruttivi per i bersagli.136

And

rea

Car

pign

ano

Page 133: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

I fenomeni di esplosione si suddividono in genere nelle categorie che seguono:ESPLOSIONI FISICHE: si tratta di un cedimento di contenitori pressurizzati. Il rila-

scio repentino dell’energia meccanica rappresentata dalla pressione di stoccag-gio del gas può creare violente onde di pressione, nonché sparare a lunghedistanze i frammenti del contenitore.

RUNAWAY REACTION: si tratta dell’esplosione di reattori chimici in cui hanno luogoreazioni chimiche molto violente e incontrollate che portano a repentini aumentidi temperatura e forte pressurizzazione dei contenitori con successiva esplosione.

UVCE / VCE (Unconfined Vapour Cloud Explosion / Vapour Cloud Explosion): sitratta di esplosioni di nubi di gas, in ambiente confinato o non confinato, in cui lamiscela di gas, già opportunamente miscelata con aria, reagisce violentementea fronte di un innesco. La presenza di un confinamento anche parziale (interno diun edificio oppure ambito industriale con presenza di ostacoli) crea forti turbo-lenze nella propagazione dell’esplosione che potrebbero incrementare la violen-za della stessa e quindi i danni correlati.

BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapour Explosion): si tratta di un cedimentocatastrofico di un serbatoio pressurizzato in cui sia stoccato un liquido surriscal-dato; il cedimento e la rapidissima evaporazione del liquido provocano un’ondad’urto estremamente violenta. È tra i fenomeni più devastanti che si possanoverificare.

Stima del danno

Valutate le conseguenze dei diversi scenari incidentali ipotizzati, ossia l’im-patto del fenomeno in termini fisici (sovrapressione, irraggiamento, concentra-zione di inquinante ecc.), si dovrà determinare il danno effettivo sulla popolazio-ne, l’ambiente e le strutture. Solitamente questo tipo di valutazione è basato sudue diversi approcci: il primo, più semplice, si basa su tabelle definite sulla basedi esperienze pregresse che, per ogni tipo di evento, associano il danno corri-spondente ad una determinata soglia delle conseguenze (ad es. per sovrapres-sioni superiori a 0,07 bar si ha rottura dei vetri); il secondo approccio, più artico-lato, è basato su considerazioni probabilistiche e sempre sull’esperienza pre-gressa e sperimentale, il metodo PROBIT.

Sull’approccio tabellare non c’è molto da aggiungere: si può far riferimentoalle tabelle riportate nei testi citati in bibliografia. Il metodo PROBIT invece rap-presenta un passo avanti, anche se con tutti i suoi limiti e le sue incertezze, inquanto prevede la stima della probabilità di subire un certo danno in funzione didue parametri prestabiliti e della dose espressa in termini di irraggiamento,sovrapressione, durata del picco, concentrazione di inquinante ecc.

Questa fase della valutazione del rischio è la più critica e ad oggi non esisto-no tecniche consolidate, le incertezze insite nella valutazione sono ancora eleva-te. A fronte di ciò si vedrà come le norme che introducono l’accettabilità degliimpianti con criteri probabilistici, non pongono limiti in termini di danno ma fanno 137

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 134: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

riferimento a criteri che considerano separatamente la frequenza di incidente ele relative conseguenze, senza intervenire sulla stima del danno stesso.

Analisi di rischio e normativa

I risultati a cui conduce l’analisi di rischio sono quindi di duplice natura:– l’identificazione degli scenari incidentali che potrebbero verificarsi sul siste-

ma; la frequenza di accadimento per ciascuno di essi; le aree in cui si mani-festano conseguenze di un’entità tale da far temere per la salute delle perso-ne; la tutela dell’ambiente e l’integrità delle strutture;

– indicazioni progettuali, gestionali e insediative volte a prevenire gli incidenti oa mitigarne i danni.Gli strumenti normativi che richiedono l’analisi di rischio, ed in particolare gli

strumenti che ne utilizzano i risultati (ne è un esempio il D.M. 9 maggio 2001)dovranno quindi far riferimento a questo tipo di indagini per poter normare cor-rettamente la materia sulla base delle risultanze delle analisi tecniche.

Per meglio comprendere l’utilizzo delle risultanze dell’analisi, si riporta e sicommenta la tabella (tabella 1) proposta dal D.M. 9 maggio 2001 utilizzata perdefinire le aree di danno sulla base delle quali si pianifica l’uso del suolo.

Gli scenari di riferimento, nella prima colonna, sono quelli discussi preceden-temente durante la descrizione dei fenomeni incidentali: si ha l’incendio stazio-nario (Jet Fire e Pool Fire), il BLEVE accompagnato generalmente dal Fireball, ilFlash fire che presenta come il Fireball una radiazione termica istantanea, leesplosioni di vapori e gas (VCE) e quindi il rilascio di sostanze tossiche.

Le aree di danno vengono definite con riferimento alle conseguenze che inesse si verificano, fissando dei valori di soglia per gli effetti fisici che si vengonoa creare. Le aree individuate sono contraddistinte dal danno che ci si può atten-dere: danni alle strutture, lesioni all’uomo reversibili, lesioni all’uomo irreversibi-li, inizio letalità ed elevata letalità.

Si osserva che per l’incendio stazionario si ritrovano i valori indicati in prece-denza (5 kW/m2 e 12.5 kW/m2) a cui sono aggiunte le soglie di 3 kW/m2 per carat-terizzare la soglia per lesioni reversibili e 7kW/m2 per caratterizzare la soglia di ini-zio letalità.

Per il BLEVE/Fireball, essendo il fenomeno di breve durata, le soglie sono rife-rite all’energia irradiata per tutta la durata del fenomeno e non alla potenza istan-tanea; l’elevata letalità è prevista in un raggio pari al raggio della sfera di fuoco,mentre per i danni alle strutture si fornisce una soglia definita in termini di distan-za che varia a seconda della tipologia di bersaglio.

Il Flash Fire si ritiene possa provocare danni se il bersaglio è all’interno dellanube che si incendia o in prossimità di essa; pertanto si osserva come l’elevataletalità è attesa su tutta l’area in cui la concentrazione di gas o vapore raggiungeil Limite Inferiore di Infiammabilità (LFL) e l’inizio letalità è previsto su un’area piùestesa dove si raggiunge una concentrazione pari alla metà di detto valore.138

And

rea

Car

pign

ano

Page 135: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Per le esplosioni si ha, come già indicato, elevata letalità oltre i 0,3 bar in casodi spazi confinati che aumentano le turbolenze e 0,6 bar in caso di spazi aperti;0,03 bar la soglia minima oltre la quale si inizia ad avere lesioni reversibili per lepersone.

Per la dispersione di sostanze tossiche i limiti di riferimento sono le concen-trazioni LC50 e IDLH già discusse in precedenza.

139

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Scenario Elevata letalità Inizio letalità Lesioni Lesioni Danni alle incidentale irreversibili reversibili strutture /

Effetti domino

1 2 3 4 5

Incendio 12,5 kW/m2 7 kW/m2 5 kW/m2 3 kW/m2 12,5 kW/m2

(radiazionetermicastazionaria)

BLEVE/Fireball Raggio fireball 350 kJ/m2 200 kJ/m2 125 kJ/m2 200-800 m(radiazione (*)termicavariabile)

Flash Fire LFL 1/2 LFL(radiazionetermicaistantanea)

VCE 0,3 bar 0,14 bar 0,07 bar 0,03 bar 0,3 bar(sovrapressione (0,6 spazidi picco) aperti)

Rilascio tossico LC50 IDLH(dose assorbita) (30 min,hmn)

(*) secondo la tipologia del serbatoio.

Tabella 1. Criteri adottati nel D.M. 9 maggio 2001 per definire le aree di danno.

L’analisi di rischio, mediante lo studio delle conseguenze connesse ai diversiscenari incidentali, consentirà quindi di mappare sul territorio, in prossimità del-l’impianto, l’estensione delle aree in cui si hanno danni alle strutture ed effettidomino, lesioni reversibili, irreversibili e letalità; in queste aree si dovrà procede-re al controllo dell’urbanizzazione.

Questa prima fase si basa pertanto su un criterio deterministico associato uni-camente alla individuazione delle conseguenze e dei danni. L’aspetto probabili-stico (frequenze di incidente), che consente di caratterizzare in modo completoil rischio, interviene nella fase successiva in cui si definiscono le tipologie di uti-lizzo del suolo nelle aree evidenziate dall’analisi delle conseguenze (tabella 2).

La tabella 2 infatti permette di definire il tipo di utilizzo del territorio ammes-so nelle aree in funzione dell’entità del danno atteso e della frequenza prevista

Page 136: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

per l’incidente; pertanto in questa fase decisionale il criterio adottato è basato sulRischio nella sua accezione corretta. La tabella mostra infatti il tipo di urbanizza-zione ammesso (A-F), per ciascun tipo di area (Categoria degli effetti), a secondadella frequenza di accadimento dello scenario incidentale (Classe di probabilitàdegli eventi) espresso in eventi/anno. L’uso del suolo ammesso è identificato dauna classificazione in sei categorie (A-F), la classe A corrisponde ad un uso resi-denziale ad alta concentrazione demografica, le zone B-D caratterizzano semprearee residenziali ma con indici di volumetria insediativa via via decrescenti, lazona E indica essenzialmente aree industriali o rurali e la zona F indica aree inter-ne al recinto di impianto.

140

And

rea

Car

pign

ano

Classe di probabilità degli eventi Categoria di effetti

Elevata Inizio Lesioni Lesioni letalità letalità irreversibili reversibili

< 10-6 DEF CDEF BCDEF ABCDEF

10-4 – 10-6 EF DEF CDEF BCDEF

10-3 – 10-4 F EF DEF CDEF

> 10-3 F F EF DEF

Tabella 2. Criteri adottati nel D.M. 9/5/2001 per definire l’urbanizzazione.

Considerazioni conclusive

L’analisi di rischio si è visto essere uno strumento operativo importante che per-mette di migliorare la progettazione e la gestione dei sistemi e si propone comestrumento decisionale sull’accettabilità o meno di nuovi impianti e infrastrutture.

L’applicazione di questo strumento risulta essere ancora carente nel settoretrasporti mentre è ormai diventata consueta per gli impianti industriali, anche perquelli non strettamente coinvolti dalla Direttiva Seveso.

Le tecniche oggi a disposizione degli analisti sono valide ma dovranno esse-re oggetto di nuovi approfondimenti nei prossimi anni. Si fa riferimento a questoproposito a tre aspetti particolari:– la raccolta dei dati statistici che permettono di caratterizzare la frequenza degli

eventi iniziatori, nonché le frequenze di guasto di componenti, la probabilità dierrore umano, le frequenze di errore dei sistemi software utilizzati in sistemicritici per la sicurezza;

– l’analisi integrata dei rischi sul territorio considerando congiuntamente i rischitecnologici e i rischi naturali, ambiti che fino ad ora sono stati considerati inmodo troppo spesso separato;

– la modellazione fisica dei fenomeni incidentali (incendi, esplosioni, dispersio-ni). Oggi sono spesso usati modelli semplici, parametrici, nel futuro bisogneràstudiare modelli fluidodinamici più accurati in grado di trattare bene siti di geo-metria complessa, confinata o parzialmente confinata.

Page 137: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

L’ultimo aspetto è rilevante anche ai fini del D.M. 9 maggio 2001: i modellisemplificati di utilizzo non tenendo conto dettagliatamente della geometria delsito, sono caratterizzati da risultati incerti che necessariamente condurrannosecondo principi di precauzione ad una sovrastima delle aree di danno al fine digarantire la sicurezza: aspetto particolarmente critico per un territorio densa-mente popolato come quello italiano.

Sempre con riferimento al Decreto, si osserva come esso, per motivi dovutia carenze normative in tal senso, anche a livello europeo, tratti della vulnerabilitàambientale in modo da richiedere un approfondimento al fine di identificare stru-menti decisionali adeguati.

Un altro aspetto ancora più rilevante è l’assenza, dovuta alla fonte normativaprimaria, di considerazioni sulla compatibilità tra impianti a rischio e infrastruttu-re di trasporto: in gran parte dei casi, al fine di semplificare l’approvvigionamen-to di materie prime e la distribuzione dei prodotti, gli stabilimenti sono in prossi-mità di ferrovie, autostrade o sono serviti da pipeline. Questa compresenza sulterritorio può creare problemi rilevanti in quanto un incidente all’impianto puòcausare seri danni agli utenti delle infrastrutture e, viceversa, un incidente sulleinfrastrutture può comportare effetti domino anche gravi sugli impianti.

Molto spesso queste carenze non sono da imputarsi a lacune normative maalla complessità della materia trattata nonché alla difficoltà da parte della comu-nità scientifica di fornire strumenti adeguati alla valutazione dei rischi.

In ogni caso, volendo dare una valutazione complessiva alla problematica, siritiene che oggi la comunità nazionale e internazionale sia ormai ben coscientedei rischi tecnologici e stia attivamente operando per un loro controllo semprepiù attento, privilegiando il dialogo tra gestori, analisti e autorità al fine di perse-guire insieme uno sviluppo che il territorio e la popolazione possano sosteneresenza rinunciare a condizioni di sicurezza accettabili.

Riferimenti bibliografici

AICHE, Guidelines to Chemical Process Quantitative Risk Analysis, AICHE, 1989.

LEES F.P., Loss Prevention in Process Industries, Butterworths 1996.

VILCHEZ J.A., SEVILLA S., MONTIEL H., CAsal J., Historical Analysis of Accidents in ChemicalPlants and in the Transportation of Hazardous Materials, in “Journal of Loss Preventionin the Process Industries”, 1995, vol. 8, n. 2, pp. 87-96.

Riferimenti normativi al sito: http://vvf.mininterno.it/vvf/cnvvf_Sito/prevenzione/grandi_rischi1.asp

141

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 138: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Glossario

ALARA As Low As Reasonably Achievable.

Albero degli eventi Tecnica per l’analisi probabilistica di scenari incidentali.

Albero dei guasti Tecnica per l’analisi probabilistica del guasto di sistemicomplessi.

BLEVE Boiling Liquid Expanding Vapour Explosion.

Conseguenza Si intende l’effetto in termini fisici di un determinato inci-dente (ad es. nel caso di esplosione, le conseguenzesono espresse dal campo di sovrapressioni generatesi inprossimità dell’incidente).

Danno Rappresenta l’impatto ultimo di un incidente e può esse-re valutato in termini di decessi, numero di feriti, costoeconomico per il ripristino di infrastrutture ecc.

Effetto Domino Concatenazione di incidente: un primo incidente danneg-gia un altro sistema o impianto scatenando un nuovoincidente di gravità simile o superiore al primo.

Evento Iniziatore Evento (guasto, rottura, errore) che scatena il pericolooriginando una sequenza incidentale.

Flash Fire Incendio di nube di gas.

FMECA Failure Mode, Effect and Criticality Analysis: tecnica qualita-tiva per l’identificazione dei pericoli e degli eventi iniziatori.

Frequenza Numero di accadimenti previsti per un certo eventorispetto ad un periodo di riferimento, in genere l’anno.

HAZID Hazard Identification: tecnica qualitativa per l’identifica-zione dei pericoli.

HAZOP Hazard and Operability Analysis: tecnica qualitativa perl’identificazione dei pericoli e degli eventi iniziatori.

IDLH Immediately Dangerous for Life and Health: soglia diconcentrazione di inquinante che consente al maschioadulto di mantenere la capacità di fuggire per un periodopari a 30’.

Jet Fire Rilascio di gas combustibile in pressione, che innescan-dosi realizza un dardo di fuoco.

LC50 Letal Concentration 50: soglia di concentrazione a cui siregistra il decesso del 50% degli individui esposti.

Matrice di Rischio Metodo qualitativo per la selezione degli eventi incidentalicritici.142

And

rea

Car

pign

ano

Page 139: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Pericolo Situazione di potenziale danno.

Pool Fire Incendio di pozza.

PROBIT Tecnica probabilistica per valutazione di vulnerabilità.

Rischio Esprime la “distanza” di un sistema dalle condizioni disicurezza, si ottiene moltiplicando la frequenza di accadi-mento di un incidente (eventi/anno) per il danno associato(danno/evento); viene pertanto misurato in danni/anno.

Sequenza Incidentale Sequenza di eventi che descrivono la “storia” dell’inci-dente a partire dall’Evento Iniziatore fino al danno finale.

SGS Sistema di Gestione della Sicurezza.

UVCE Unconfined Vapour Cloud Explosion: esplosione nonconfinata di nubi di vapori.

VCE Vapour Cloud Explosion: esplosione di nubi di vapori.

143

4 - I

l ris

chio

tec

nolo

gico

Page 140: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 5

IL RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTEE LE VALUTAZIONI AMBIENTALI

145

Page 141: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

146

Page 142: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

5.1

I PROCESSI DI DECISIONE PER LA VALUTAZIONEAMBIENTALE NELLE AREE A RISCHIODI INCIDENTE RILEVANTE

Mercedes Bresso*

Sinora le norme, a livello comunitario e nazionale hanno trattato la valutazio-ne d’impatto ambientale e il settore del rischio di incidente rilevante come per-corsi paralleli, tra loro praticamente privi di relazioni.

Alla VIA è stata assegnata una funzione di analisi preliminare, volta a deci-dere sull’idoneità di un sito ad accogliere un determinato impianto (quindi infondo a valutare se realizzarlo, nell’ambito di un processo decisionale che com-prende anche la partecipazione del pubblico), mentre con le norme sulle attivitàa rischio si è data rilevanza all’individuazione delle condizioni e delle misure disicurezza degli impianti, una volta realizzati, con un’impostazione di tipo tecni-co-gestionale.

Una delle differenze di fondo resta certamente il campo di applicazione dellenorme, con la VIA volta a governare la decisione sugli impianti nuovi (o su even-tuali modifiche sostanziali), mentre il complesso normativo riguardante le azien-de a rischio è ovviamente riferito a tutti gli impianti, nuovi ed esistenti.

Malgrado le differenze di impostazione, si sono sempre verificati dei punti dicontatto tra i due temi: prima di tutto il fatto che molte tra le aziende a rischioricadono potenzialmente anche nelle tipologie di impianti che, qualora nuovi o inmodifica, sono soggetti a VIA; in secondo luogo il fatto che per entrambe lenorme era di primaria importanza la considerazione dell’intorno rispetto all’attivitàe quindi una valutazione globale, interdisciplinare e complessiva delle possibiliricadute.

Dal punto di vista tecnico permane sicuramente una notevole difficoltà atenere conto, contemporaneamente, di impatti generati ordinariamente da unaattività e di impatti derivanti da un rischio connesso ad anomalie di funziona-mento o incidenti, da considerare sulla base di valutazioni probabilistiche.

147* Presidente della Provincia di Torino, Presidente Unione Province Piemontesi.

Page 143: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Può essere tuttavia interessante ragionare sugli strumenti e sulle esperienzeche la VIA offre nel governo dei processi decisionali aventi rilevanza ambientaleper mutuare alcune indicazioni, soprattutto in relazione alle novità introdotte dalD.M. 9 maggio 2001 che “aggiusta il tiro” relativamente alla sicurezza, dandorilievo alle scelte territoriali e pianificatorie, interessando direttamente la sfera deiprocessi decisionali in capo alla Pubblica Amministrazione.

L’altra importante novità normativa, a livello dell’Unione Europea, che varichiamata in questo quadro è la Dir. 2001/42/CE del 27 giugno 2001 “Direttivadel Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effettidi determinati piani e programmi sull’ambiente”, nota come Valutazione Ambien-tale Strategica, emanata con l’obiettivo di “garantire un elevato livello di prote-zione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientaliall’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi, al fine di promuo-vere lo sviluppo sostenibile”, assicurando che “[...] venga effettuata la valutazio-ne ambientale di determinati piani e progammi che possono avere effetti signifi-cativi sull’ambiente”.

I princìpi e le modalità di applicazione espressi nella direttiva sopra citatasono peraltro già stati anticipati nei contenuti di alcune leggi regionali in materiadi VIA, che contengono specifiche indicazioni sulla valutazione ambientale dipiani e programmi (per es. la L.R. 40/98 della Regione Piemonte, con l’art. 20).Tuttavia allo stato attuale sono ancora poche le esperienze concrete sulla valu-tazione ambientale strategica e molti sono i dubbi e le incertezze sugli strumen-ti tecnici da utilizzare.

Un’applicazione congiunta di entrambi questi elementi può fornire i necessa-ri punti di contatto per un esame contestuale delle problematiche di rischio e diimpatto che in precedenza mancavano. Il principio di riportare al livello della pia-nificazione del territorio le scelte di base, individua un punto preciso del proces-so decisionale.

Non altrettanto precisa, al momento, è invece l’individuazione dei procedi-menti, che costituiscono la struttura formalizzata nella quale il processo decisio-nale stesso si incardina.

Una definizione di dettaglio non può essere affidata alla normativa nazionale,in quanto le norme in materia urbanistica sono tutte di livello regionale, cosìcome le norme che attualmente prevedono forme di valutazione ambientale stra-tegica (in attesa di un recepimento organico a livello nazionale).

A livello generale, l’Allegato al D.M. 9 maggio 2001, sottolinea in più punti lanecessità di un’armonizzazione delle norme regionali in materia, necessità che è,ora, tanto più forte in considerazione dei processi di decentramento amministrati-vo e di attribuzione di competenze diverse anche a Province e Comuni.

L’approccio specifico previsto dal D.M. 9 maggio 2001 propone una valuta-zione della compatibilità, a livello urbanistico, delle attività a rischio di incidenterilevante basata su criteri che si potrebbero, a priori, definire di tipo “oggettivo”o “deterministico”. Sono infatti precisamente individuate una serie di categorie148

Mer

cede

s B

ress

o

Page 144: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

territoriali, differenziate sulla base della densità residenziale e sulla presenza diinsediamenti particolarmente sensibili, che possono essere ritenute compatibilicon alcune categorie di eventi incidentali, classificati sulla base di entità deglieffetti e probabilità di accadimento.

È tuttavia interessante notare che lo stesso Allegato evidenzia che “gli ele-menti tecnici, così determinati, non vanno interpretati in termini rigidi e compiu-ti, bensì utilizzati nell’ambito del processo di valutazione, che deve necessaria-mente essere articolato, prendendo in considerazione anche i possibili impatti,diretti o indiretti, connessi all’esercizio dello stabilimento industriale o allo speci-fico uso del territorio”.

Si ipotizzano peraltro anche processi decisionali collegati, non solo alla piani-ficazione strettamente urbanistica, ma anche ad un processo di pianificazionesequenziale a partire dalla pianificazione territoriale di competenza provinciale.“Si possono infine ipotizzare processi e strumenti di copianificazione e concer-tazione che contestualmente definiscono criteri di indirizzo generale di assettodel territorio e attivano le procedure di riconformazione della pianificazione terri-toriale e della pianificazione urbanistica”.

Tra gli approcci tipici della Valutazione di Impatto Ambientale si possono evi-denziare alcuni elementi, che costituiscono veri e propri strumenti del processodecisionale da mutuare anche per le valutazioni sulle aziende a rischio:– la valutazione delle alternative, compresa l’“opzione zero”, che, se corretta-

mente condotta, comporta da una parte una approfondita verifica delle neces-sità e dei fabbisogni della realizzazione di una nuova opera e dall’altra unaattenta valutazione per l’individuazione di un sito avente le migliori caratteri-stiche ambientali per accogliere un certo tipo di intervento.È peraltro da evidenziare che questo tema, universalmente riconosciuto econdiviso in termini di principio, è quello che continua a comportare le mag-giori difficoltà di applicazione nelle norme sulla valutazione di impatto, soprat-tutto quando ci si trova di fronte a progetti di iniziativa privata per i quali assu-mono rilevanza i temi economici, la disponibilità delle aree ecc.;

– l’applicazione di valutazioni tecniche, di tipo interdisciplinare, sulle ricaduteambientali di un’opera o di un impianto, in una fase precoce della progetta-zione, che consente un’adeguata partecipazione al processo complessivo dipiù soggetti, con le rispettive competenze, che possono evidenziare proble-matiche differenti, alle quali dare progressivamente risposta con un succes-sivo affinamento della progettazione tecnica, in un meccanismo a “feed-back”. Tale approccio consente di fornire elementi tecnici e di arricchire il per-corso delle analisi di alternative sopra richiamato, tenendo conto che, anchelà dove è più difficile parlare di macro-alternative localizzative, è sempre pos-sibile e importante approfondire il discorso sulle micro-alternative o sullealternative di tipo tecnologico, anche restando nello stesso sito;

– la partecipazione del pubblico, peraltro prevista anche dalle ordinarie normeconcernenti le procedure di pianificazione urbanistica, come elemento di tra- 149

5.1

- I p

roce

ssi d

i dec

isio

ne p

er la

val

utaz

ione

am

bien

tale

nel

le a

ree

a ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 145: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

sparenza e consapevolezza del processo decisionale, che normalmente portarisultati tanto più apprezzabili quanto più avviene nelle fasi precoci della deci-sione e consente di guidare le scelte tecniche.L’insieme di queste valutazioni, associate a elementi più oggettivi derivanti

dalla valutazione del rischio di incidente in un processo complessivo di valutazio-ne ambientale che va dal piano alla singola opera, ha l’indubbio vantaggio di sca-turire da un esame interdisciplinare e complessivo che tiene in stretta conside-razione il caso specifico e le peculiari interazioni che si determinano tra quell’o-pera e quell’ambiente.

Il prezzo da pagare per ottenere un risultato del genere è sicuramente unnotevole sforzo di coordinamento tra soggetti diversi, che operano nell’ambitodelle rispettive normative e la difficoltà di gestire valutazioni che dovendo tene-re conto di fattori tra loro molto diversi e poco confrontabili, assumono inevita-bilmente margini di discrezionalità.

150

Mer

cede

s B

ress

o

Page 146: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

5.2

LE VALUTAZIONI DEGLI IMPATTI AMBIENTALI E IL RISCHIODI INCIDENTE RILEVANTE

Bruno Filippo Lapadula*

Nelle norme tecniche per gli Studi d’impatto ambientale (SIA)1 di alcune tipo-logie di opere è prevista una vera e propria analisi dei possibili malfunzionamen-ti di sistemi o degli incidenti ( - Allegato D). Di conseguenza la procedura diValutazione di impatto ambientale (VIA)2 ed il giudizio di compatibilità ambientale( - Allegato C), che ne deriva, dovrebbero tenere conto, almeno per questogruppo di progetti, del fattore rischio.

In particolare nelle Norme tecniche3 predisposte per gli SIA si fa un precisoriferimento agli impianti industriali, sottoposti alla procedura della Seveso II 4, peri quali una parte delle informazioni richieste nel Quadro di riferimento progettualepuò essere sostituita da una copia del Rapporto di sicurezza se già disponibile.

Ciò non vuol dire che il fattore rischio sia necessariamente preso in esamequanto, piuttosto, costituisce un avvio di integrazione tra procedure.

In un’inchiesta del 1993, fatta eseguire dalla Commissione Europea nei Paesimembri, su SIA degli impianti per lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi5 risul-tava che le analisi del rischio erano presenti nel 50% circa degli studi esaminati.Percentuale abbastanza alta, tenendo conto che tali analisi non sono richiestedalla Direttiva6 ( - Allegato B) e che pochi Paesi le prevedono espressamen-te nella loro legislazione (fa eccezione la Francia e, come si è detto, l’Italia).

L’opportunità di aggiungere le analisi del rischio, negli studi presi in esame,era stata quindi decisa, caso per caso, e comunque l’inchiesta segnalava cheerano state effettuate in modo semplificato e solo qualitativo. Infatti tali analisi,pur avendo identificato i rischi potenziali e stimato gli effetti, si erano limitate,quasi sempre, ad ordinare solo le possibili conseguenze, in base alla loro impor-tanza e ad identificare gli scenari provocati dagli eventuali incidenti, senza effet-tuare delle vere e proprie valutazioni.

151* Urbanista, esperto di studi d’impatto ambientale.

Page 147: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La nuova Direttiva europea7 ( - Allegato J), insieme al D.P.R.8 ( - Allegato H),che già ne aveva recepite alcune indicazioni nell’ordinamento italiano, include tra icriteri di selezione dei progetti, di cui all’Allegato III, le loro caratteristiche anche inrelazione a: “rischio di incidenti, per quanto riguarda, in particolare, le sostanze o letecnologie utilizzate”. Questo sembra estendere, almeno in linea di principio, l’in-terazione tra le due problematiche. Infatti, il citato D.P.R. include, nell’Allegato D,tra le caratteristiche del progetto da prendere in considerazione ai fini della VIA, ilrischio di incidenti.

L’impatto e l’incidente, come verrà meglio chiarito in seguito, sono conse-guenze prodotte dalla stessa opera e dalle stesse attività sulle stesse compo-nenti ambientali, con la differenza che: il primo riguarda principalmente le fasi dicostruzione e di esercizio in condizioni normali e le eventuali mitigazioni; il secon-do riguarda, invece, il verificarsi di eventi eccezionali e l’eventuale fase di bonifi-ca. Il confine, tra le previsioni di impatto e quelle di incidente, sfuma in una sortadi interfaccia quando si prendono in considerazione gli effetti di accumulo, le inte-razioni tra fenomeni e gli impatti indiretti di grado superiore al primo (tutti e treoggettivi fattori di rischio) o quando si approfondisce la scelta della migliore tec-nica o tecnologia (che include certamente tra i suoi criteri quelli della maggioresicurezza) di realizzazione dell’opera e di funzionamento della stessa, nonché delcomplesso di misure di mitigazione, gestione e controllo che l’accompagnano.

Per quanto riguarda poi la ricaduta degli effetti sull’ambiente e sulla popola-zione insediata uno dei limiti della VIA sta nel fatto che lo studio e la proceduranon possono modificare le scelte di piano; infatti l’art. 3, comma 1, del DPCM27/12/1988, recita: “È comunque escluso che il giudizio di compatibilità ambien-tale [dell’opera progettata] abbia ad oggetto i contenuti dei suddetti atti di piani-ficazione e programmazione, nonché la conformità dell’opera ai medesimi”.

Il problema è noto da tempo ed è stato oggetto di un ampio dibattito soprat-tutto prima dell’introduzione della normativa in Italia. Senza voler ripercorrernetutta l’evoluzione, basterà ricordare quanto espresso in uno dei primissimi studi9,fatti redigere dalla Commissione europea nel 1976, dove era stata esaminatal’opportunità di una preventiva integrazione tra valutazione ambientale, pianifica-zione e processo decisionale delle attività localizzate nel territorio.

È evidente come allora si sia pensato ad una progressiva integrazione di tuttigli aspetti in un unico processo di costruzione delle decisioni e di gestione delterritorio. Successivamente ed in più occasioni si è proposto, ad esempio, che leprocedure di autorizzazione delle nuove opere civili ed industriali confluissero inun procedimento unico allargato ed integrato, utilizzando l’iter della VIA. Questooggi ancora non avviene (se si escludono le esperienze di alcune Province auto-nome) e quindi gli elementi di conoscenza acquisiti con uno SIA non possonomodificare un piano: anche se, ad esempio, l’analisi degli impatti dovesse evi-denziare situazioni potenzialmente pericolose o evidenti conflitti. È vero solo ilcontrario e cioè che lo SIA deve dimostrare la compatibilità del progetto con ipiani esistenti e che l’eventuale conflittualità con un piano o la potenziale situa-152

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 148: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

zione di pericolo possono essere invece motivi per un giudizio negativo da partedell’autorità competente.

Inoltre lo SIA deve dimostrare che nella progettazione si è tenuto conto dellostato del territorio, con l’obbligo di considerare più alternative e di proporre misu-re di mitigazione e/o attenuazione; ma è sempre possibile l’eventualità che sideterminino forzature10 ( - Allegato F) nella filiera: che parte da un piano, dovesia prevista espressamente un’opera o comunque non sia vietata; che proseguecon un progetto che sia redatto in attuazione del piano o comunque non in con-trasto con i vincoli, le norme, le leggi, i regolamenti; e che si dovrebbe conclude-re con una valutazione in cui si stabilisce se il progetto sia compatibile con l’am-biente, in base ad analisi marcatamente specialistiche, estremamente approfondi-te e, in teoria, tanto rigorose da dover essere indipendenti da quanto il piano avevastabilito in origine. Piano che, d’altra parte, potrebbe non essere aggiornato opotrebbe essere basato su informazioni non altrettanto approfondite, almeno perquanto riguarda le componenti ambientali maggiormente interessate dal progetto.

Anche la più recente procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)11

di piani e programmi, così come è stata recepita in Italia ( - Allegato L), con-tiene la tematica del rischio: che, in questo caso, si traduce in indicatori che con-tribuiscono a descrivere lo stato dell’ambiente e a determinare il livello di inte-grazione e di sostenibilità ambientale delle scelte.

Ovviamente la VAS, che riguarda i piani ed i programmi (a differenza della VIAche riguarda i progetti di opere), fornisce dei risultati che esprimono dei parerisulle scelte, che si integrano con le proposte e che contribuiscono alla stesuradella versione definitiva del piano o del programma. Ma questa è una valutazio-ne di piani e programmi che non si collega direttamente alla progettazione diopere che dovranno avere un proprio iter autorizzativo e una procedura di VIAseparati.

Un altro aspetto riguarda più strettamente la procedura. Infatti la VAS, comeè illustrata dal citato documento del Ministero dell’ambiente del 1999 per la pro-grammazione dei fondi strutturali, ammette una valutazione articolata in tre fasi:ex ante, intermedia ed ex post ma non prevede espressamente una dichiarazio-ne di compatibilità ambientale.

Invece, la più recente Direttiva dell’Unione Europea sulla Valutazione deglieffetti di determinati piani e programmi sull’ambiente naturale12 ( - Allegato I)riguarda esplicitamente i piani di assetto territoriale, che costituiscono un quadroper le successive autorizzazioni dei progetti, in particolare, per quelli relativi atipologie di opere già sottoposte a VIA e prevede la dichiarazione di impattoambientale. Quindi anche per i piani deve essere redatto uno SIA. In questocaso, è evidente come lo studio ed il suo esame, nel corso di una procedura adhoc, possano comportare, se necessario, la modifica del piano prima che si con-cluda il suo iter e venga definitivamente approvato.

Nella direttiva non viene però esplicitamente stabilito un rapporto tra proce-dura per il piano e procedure per i singoli progetti, che ricadono nella sua area di 153

5.2

- Le

valu

tazi

oni d

egli

impa

tti a

mbi

enta

li e

il ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 149: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

competenza. Ugualmente non vi sono nel testo riferimenti ai problemi del rischiodi incidenti legati ad attività già localizzate o da localizzare in attuazione del piano.

Una vera e propria integrazione tra l’analisi dei rischi contenuta nello SIA edun livello superiore di controllo si ha, di fatto, nella speciale normativa per gliinterventi per la difesa del mare13. In questo caso si ha l’obbligo della VIA, cheper effetto del D.P.R. n. 348/99 ( - Allegato K), contiene sempre l’analisi deirischi e contemporaneamente si dovrebbe avere il coordinamento delle attività dicontrollo e di sorveglianza previste dalla L. n. 220/92 ( - Allegato E).

Qualche elemento in più sul rapporto tra SIA ed analisi dei rischi si può rica-vare da uno studio internazionale condotto tra il 1994 ed il 199514 sugli approcciaziendali all’analisi ambientale, dal quale risulterebbe che negli SIA delle aziende,che per tipologia di attività o per sensibilità dei responsabili interni (molte fannoparte del Consiglio Mondiale degli Affari sullo Sviluppo Sostenibile) utilizzano lavalutazione di impatto ambientale, sono compresi oltre ai valori biofisici, sociali,economici e sanitari anche i rischi. Questo atteggiamento è conforme ai piùrecenti ordinamenti normativi europei in materia ambientale e in particolare allaDirettiva 96/61/CE15 ( - Allegato M). L’autorizzazione IPPC (Integrated PollutionPrevention & Control) richiesta per svolgere alcune attività produttive prevede,tra l’altro, l’obbligo per le aziende di adottare tutte le misure preventive che pos-sono garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente: il trattamento deirifiuti, l’uso efficiente dell’energia elettrica, “la prevenzione degli incidenti rile-vanti, le misure per evitare i rischi di inquinamento alla cessazione delle attivitàe per il ripristino del sito”. Le caratteristiche principali della procedura IPPC simuovono nella direzione del sistema di gestione e di certificazione ambientaleEMAS (Environmental Management & Audit Scheme) del Regolamento del199316 ( - Allegato G) e in quella della citata Direttiva sulla VIA del 1997.Quest’ultima prevede espressamente che l’autorizzazione IPPC possa essereottenuta, per i nuovi impianti o per la modifica di quelli esistenti, nell’ambito dellastessa procedura di VIA17.

Queste riflessioni cercano di mettere in evidenza i modi in cui la tematica delrischio di incidente viene presa in considerazione all’interno degli studi e delleprocedure di carattere ambientale. Vi è poi da esaminare l’aspetto opposto:come cioè la problematica ambientale e le relative procedure autorizzative ven-gono considerate all’interno dei provvedimenti specifici sul rischio industriale.

L’incidente all’ICMESA di Seveso avvenne il 10/7/1976. Nel 1978 il problemavenne affrontato nel Comitato Ambiente dell’Organizzazione di Cooperazione diSviluppo Economico (OCSE). In quella occasione, la posizione italiana fu, in basealla dolorosa esperienza acquisita, di sottoporre all’attenzione degli altri paesimembri la necessità di creare più efficaci collegamenti tra misure di protezioneambientale, controllo delle localizzazioni industriali e politiche di uso del suolo18.

Nel 1979 una proposta di Direttiva dell’Unione Europea aveva previsto che,per determinate attività industriali in grado di produrre incidenti rilevanti, le azien-de dovessero eseguire una valutazione preventiva dei rischi19.154

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 150: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La Direttiva “Seveso” CEE 82/801 venne però approvata il 24/6/1982 e rece-pita nell’ordinamento italiano solo con il D.P.R. n. 175/88. Quindi, l’entrata in vigo-re è avvenuta più di un decennio dopo e nello stesso anno in cui, sempre in Italia,è stata recepita la Direttiva del Consiglio europeo 85/337/CEE del 27/6/1985 sullaVIA con il DPCM n. 377/88.

È difficile effettuare un confronto tra gli elenchi di attività sottoposti alle duenormative20, che entrarono in vigore lo stesso anno, ma è evidente che la primainteressava le migliaia di aziende già in funzione e la seconda un numero più limi-tato, sia per tipologie che per dimensioni, di industrie ancora da realizzare o daampliare. È anche evidente che le due normative avevano iter procedurali diver-si, riguardando la prima principalmente le USL e le Regioni e la seconda esclusi-vamente il Ministero dell’ambiente.

Inoltre, avevano campi di applicazione diversi, dal momento che la prima con-cerneva solo i rischi rappresentati da alcune attività industriali che comportinol’uso, lo stoccaggio e la movimentazione interna di alcune sostanze chimiche,presenti in quantità superiori ad un limite stabilito, senza prendere in considera-zione altre categorie di rischi come, ad esempio, quelli diffusi o quelli comples-sivi21, dovuti al sommarsi di più attività pericolose. Quindi, l’approccio attraversoil controllo ambientale, proprio della VIA, e i collegamenti con la pianificazione ter-ritoriale non erano presenti in maniera evidente anche se si era avviato un pro-cesso di maggiore attenzione ai problemi della sicurezza ambientale e di mag-giore informazione dei cittadini22.

Questa situazione confusa e contraddittoria23 sembrerebbe essere statasuperata dal D.M. 9 maggio 2001, che completa l’attuazione della Direttiva96/82/CEE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determi-nate sostanze pericolose, avviata con il D.Lgs. n. 334/99. Infatti all’art. 1,comma 3, il D.M. recita esplicitamente che: “Le norme del presente decretosono finalizzate, inoltre, a fornire orientamenti comuni ai soggetti competenti inmateria di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell’ambien-te, per semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che a raccordare le leggi ei regolamenti in materia ambientale con le norme del governo del territorio”.Sempre nel quadro di un coordinamento delle attività già il D.Lgs. n. 334/99all’art. 26 stabilisce che: “Gli atti conclusivi dei procedimenti di valutazione delrapporto di sicurezza sono trasmessi dall’autorità di cui all’art. 21, comma 1, agliorgani competenti perché ne tengano conto, in particolare nell’ambito delle pro-cedure e delle istruttorie tecniche previste” comprese quelle in materia di VIAe di edificabilità dei suoli.

In particolare, nell’Allegato Criteri guida per l’applicazione viene indicata la solu-zione al problema della modificabilità del piano per effetto dei risultati di un’analisiambientale o di rischio che possono produrre una variante urbanistica. Quindi siavrebbe un ulteriore passo verso il superamento di quanto indicato nel già citatoD.P.C.M. del 1988. Non solo ma, coerentemente con quanto prevede la VIA di pianie programmi, si riconoscerebbe a quest’ultima la possibilità di fornire prescrizioni 155

5.2

- Le

valu

tazi

oni d

egli

impa

tti a

mbi

enta

li e

il ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 151: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

normative per i piani o per le varianti agli stessi, in base alla valutazione della com-patibilità tra attività produttive a rischio ed elementi ambientali vulnerabili.

Si dovrebbe fare in modo che, nell’applicazione del D.M., non si crei unasovrapposizione tra SIA e l’Elaborato tecnico “Rischio di incidenti rilevanti” (RIR),ma una sinergia.

L’acquisizione delle informazioni, dei criteri e delle misure di attenuazione e diprotezione non dovrebbe essere una duplicazione dell’eventuale SIA ma un’inte-grazione e un ampliamento. Rimane tuttavia il problema, cui si è già accennato,di accorpare e semplificare le procedure anche in relazione all’estensione ad unampia gamma di opere ed al decentramento della VIA previsto nel citato Atto diindirizzo e coordinamento.

Ad esempio, per i nuovi insediamenti industriali, come è già possibile ottenerel’autorizzazione IPPC insieme alla VIA, dovrebbe essere possibile aggiungere alleprime due anche il RIR. Si dovrebbe avere, quindi, una procedura unificata in cui lacostruzione o l’ampliamento di un’attività conseguano unitamente la certificazionesulla prevenzione e la riduzione integrata dell’inquinamento, la compatibilitàambientale, la verifica sull’abbattimento dei rischi di incidenti rilevanti. In ogni casoè sempre di più indispensabile un’integrazione tra i vari livelli di pianificazione e trale diverse procedure di autorizzazione che agiscono su uno stesso territorio.

I più recenti provvedimenti legislativi24 riaprono alcuni interrogativi in meritoai potenziali conflitti tra la realizzazione di infrastrutture o di impianti produttivi,la VIA e la pianificazione urbanistica: soprattutto nel caso che tali interventi rien-trino nelle categorie a rischio di incidenti rilevanti di cui all’art. 10 e all’art. 14 esiano riconducibili nelle ipotesi dell’art. 4 dello stesso D.Lgs. n. 334/99. Tali inter-rogativi potranno avere risposta solo dopo l’emanazione dei relativi decreti diattuazione che dovranno definire i nuovi quadri normativi in merito: alle proce-dure di VIA, all’autorizzazione integrata ambientale, al rilascio dei provvedimenticoncessori o autorizzatori, all’approvazione dei progetti preliminari e definitivi,alla localizzazione dell’opera d’intesa con Regioni, Province e Comuni, alla dichia-razione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, alla risoluzione delle interfe-renze con servizi pubblici e privati e quant’altro previsto dalla cosiddetta Leggeobiettivo ( - Allegato N).

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Valutazione d’impatto ambientale e rischi di incidente rilevante: approfondi-

menti e legislazione”.Normative:

1. D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 “Regolamentazione delle pronunce di com-patibilità ambientale di cui all’art. 6 della Legge 8 luglio 1986, n. 349, recanteistituzione del Ministero dell’ambiente, e norme in materia di danno ambien-tale”.

156

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 152: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

2. D.P.C.M. 27 dicembre 1988, “Norme tecniche per la redazione degli studi diimpatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità ambientaledi cui all’art. 6 della Legge 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell’art. 3D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377”.

3. Legge 28 febbraio 1992, n. 220, “Interventi per la difesa del mare”.4. D.P.R. 18 aprile 1994 n. 383, “Regolamento recante disciplina dei procedi-

menti di localizzazione delle opere di interesse statale”.5. D.P.R. 12 aprile 1996, “Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione del-

l’art. 40, comma 1, dellla legge 22 febbraio 1994, n. 146 concernente dispo-sizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”.

6. D.P.R. 2 settembre 1999, n. 348 “Regolamento recante norme tecniche con-cernenti gli studi di impatto ambientale di alcune categorie di opere”.

157

5.2

- Le

valu

tazi

oni d

egli

impa

tti a

mbi

enta

li e

il ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 153: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Negli SIA di Impianti industriali (raffinerie di petrolio greggio, impianti di gassificazione eliquefazione di carbone o scisti bituminosi, acciaierie integrate di prima fusione della ghisa edell’acciaio, impianti chimici integrati, impianti per l’estrazione dell’amianto, per il trattamentoe la trasformazione), Centrali termiche e impianti per la produzione di energia elettrica (impian-ti di combustione, centrali nucleari ed altri reattori nucleari), Impianti tecnologici (impianti desti-nati esclusivamente allo stoccaggio definitivo ed alla eliminazione dei residui radioattivi, impian-ti di eliminazione dei rifiuti tossici o nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoc-caggio) il D.P.C.M. 27/12/1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambien-tale e la formulazione del giudizio di compatibilità ambientale di cui all’art. 6 della legge 8/7/1986n. 349, adottate ai sensi all’art. 3 D.P.C.M. 10/8/1988 n. 377 - Allegato III specifica che il Quadrodi riferimento progettuale (QRP) deve contenere:

l’analisi dei malfunzionamenti di sistemi e processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale(rilasci incontrollati di sostanze inquinanti e nocive, tossiche e/o infiammabili in atmosfera o in corpi idri-ci, rilasci di radioattività, esplosioni ed incendi, interruzioni di attività, ecc.), incidenti durante trasportipericolosi, con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, tempi di reazione, durata,ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descri-zione dei sistemi preventivi e protettivi (interventi attivi e/o passivi); eventuali predisposizioni per situa-zioni d’emergenza; tipo e durata prevedibile degli eventuali lavori di smantellamento, con indicazione dieventuali residui atmosferici, liquidi o solidi prodotti; descrizione delle eventuali possibilità di riutilizzodell’impianto per altre finalità; trasformazione degli impianti esistenti; piani di bonifica e risanamento.

La stessa normativa è stata estesa con il D.P.R. n. 348/99 a: Oleodotti e gasdotti,Stoccaggio di prodotti chimici e petrolchimici, Impianti termoelettrici, Stoccaggio di prodotticombustibili solidi, Impianti di gassificazione e liquefazione, Impianti destinati al trattamento dicombustibili nucleari irradiati, Impianti destinati allo stoccaggio di combustibile nucleare irra-diato, Attività minerarie.

2 In questo saggio viene presa in considerazione solo la normativa comunitaria e nazionale,i cui testi completi si trovano come allegati nel CD-Rom, mentre per ovvi motivi di spazio si tra-lascia quella regionale in materia di VIA. Per eventuali approfondimenti ed esami comparati,anche su quest’ultimo aspetto, si faccia riferimento alle annate della rivista “Notizie dal CentroVIA Italia”, Associazione Analisti Ambientali (AAA), Milano dal 1995 ad oggi, disponibile anchesu internet: www.centrovia.it.

3 D.P.C.M. 27/12/1988, art. 4, comma 5.

4 D.P.R. n. 175/88.

5 A. Colombo, C. Gervasi, A. Artola, I. Melaki, G. Haq, Relazione della Commissione sullaapplicazione della Direttiva 85/337/CEE, Rapporto COM(93)28def. - Vol.8.

6 Direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27/6/1985, concernente la valutazione d’impattoambientale di determinati progetti pubblici e privati, si veda in particolare l’Allegato III.

7 Direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3/3/1997, che modifica la Direttiva 85/337/CEE con-cernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

8 Decreto del Presidente della Repubblica 12/4/1996, Atto di indirizzo e coordinamento perl’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22/2/1994 n. 146, concernente disposizioni inmateria di valutazione di impatto ambientale.

9 N. LEE, C. WOOD, The Introduction of Environmental Impact Statements in the EuropeanCommunities, ENV/197/76:158

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 154: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

The instrument selected to serve this purpose should satisfy two requirements: a) it should provide fora systematic assessment of likely environmental impacts in a form appropriate to the activity to whichit relates; and b) it should provide for the integration, at a sufficiently early stage, of the environmentalimpact assessment into the planning and decision process relating to that activity. These are essentiallythe two key features and potential benefits of a viable EIS system, although a number of other aspectsmay also be significant (e.g. consultation, consideration of alternatives);

gli stessi autori predisposero successivamente uno studio specifico: Environmental ImpactSssessment of Phisical Plans in the European Communities, december 1977; purtroppo dientrambi i testi non mi risulta che esista una versione italiana.

10 A tale proposito offre un elemento di riflessione il DPR n. 383/94, Regolamento recantedisciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale che però è limitatoai procedimenti di localizzazione delle opere pubbliche, dove lo Stato di intesa con le Regioniinteressate o, nel caso di mancato accordo, una Conferenza di servizi accertano da un lato laconformità del progetto alle norme ed ai piani urbanistici e dall’altro valutano i vincoli, compre-si quelli ambientali, apportano se necessario le modifiche al progetto ed emettono una deci-sione che annulla e sostituisce i precedenti atti d’intesa, i pareri, le concessioni, le autorizza-zioni, le approvazioni, i nulla osta sia statali che regionali. Il Decreto n. 383/94 viene qui citatosolo come esempio di una situazione in cui vengono discussi contestualmente gli effetti di unopera sui livelli superiori e su quelli inferiori del processo decisionale.

11 Le Linee guida per la valutazione ambientale strategica, predisposte dal Ministero del-l’ambiente per i Fondi Strutturali 2000-2006 del 1999, prevedono all’Allegato 2 tra le Tematicheambientali i: Rischi tecnologici, nella Tabella 1 - Indicatori di pressione per le tematiche ambien-tali: n. di incidenti notificati: Industria e Trasporti; Impianti a rischio di incidente rilevante (siti“Seveso”) e nella Tabella 2 - Indicatori di pressione: Aree a rischio di incidente rilevante (fontiprincipali Ministero dell’ambiente); Densità della popolazione residente in aree a rischio (fontiprincipali: ISTAT).

12 In riferimento Documento COM(96)511 def. della CE, la VIA di piani e programmi è giàcontenuta nel D.P.R. 12/4/1996, Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40,comma 1, della legge 22/2/1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazioned’impatto ambientale.

13 Sono previsti, oltre allo SIA, la previsione e la prevenzione dei rischi nella legge 28/2/1992n. 220, Interventi per la difesa del mare che per: a) la costruzione di terminali per il carico e loscarico di idrocarburi e di sostanze pericolose; b) lo sfruttamento minerario della piattaformacontinentale; c) la realizzazione di condotte sottomarine per il trasporto delle sostanze di cui allalettera a); d) la realizzazione di impianti per il trattamento delle morchie e delle acque di zavor-ra e di lavaggio delle navi che trasportano le sostanze di cui alla lettera a); prevede all’art. 5

1. Il Ministro della marina mercantile, di concerto con il Ministro dell’Ambiente, definisce la struttura, lefunzioni e le modalità operative e di integrazione con le pubbliche amministrazioni dell’unità di gestio-ne dei modelli di previsione e di prevenzione dell’inquinamento marino, ai fini delle attività di cui all’ar-ticolo 2, comma 1, lettera a), per quanto concerne il rischio ambientale, marino e costiero. L’unità digestione è istituita dal consorzio di cui all’art. 3, il quale assume i relativi costi di istituzione e di gestio-ne. 2. L’unità di gestione, avvalendosi degli istituti a carattere scientifico ed universitario, dei sistemiinformativi delle amministrazioni competenti e dei servizi specializzati nelle scienze del mare, nonché diimprese pubbliche e private di comprovata esperienza, elabora i modelli di previsione e di prevenzioneper seguire l’evoluzione dell’inquinamento marino dovuto alle sostanze di cui all’art. 1, comma 1, lette-ra a), per il controllo dell’eutrofizzazione, nonché per fornire le stime dei rischi potenziali derivanti daifenomeni di degrado delle acque marine e per predeterminare i modelli comportamentali in caso di inci-denti di rilievo. 159

5.2

- Le

valu

tazi

oni d

egli

impa

tti a

mbi

enta

li e

il ris

chio

di i

ncid

ente

rile

vant

e

Page 155: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

14 Associazione Internazionale Impatto Ambientale (IAIA) e Centro di ricerca Batelle,Efficacia della Analisi ambientale, e Società Gas naturale della Nuova Zelanda, Approcci azien-dali alla Analisi Ambientale, su “Notizie dal Centro VIA Italia”, n. 12/13 del dicembre 1998.

15 Direttiva del Consiglio europeo 96/61/CE del 24/9/1996, sulla prevenzione e la riduzioneintegrata dell’inquinamento recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 372/99.

16 Il Regolamento del Consiglio europeo 93/1836/CE del 29 giugno 1993, recepito con ilD.M. 2/8/1995 n. 413, a differenza della VIA e dell’autorizzazione IPPC, ha però ambiti di appli-cazione, autorità competenti e regimi giuridici differenti; tra l’altro prevede un’adesione volon-taria.

17 Non è qui il caso di affrontare i problemi, che pure esistono, di conflittualità tra VIA eIPPC: a questo proposito si veda il dibattito sulla Proposta di legge n. 5100, Disciplina delleValutazioni di Impatto Ambientale.

18 Si veda il documento da me redatto come delegato italiano: Organisation de Cooperationet de Development Économiques (OCDE), Comité de l’Environnement, Intégration de politi-ques d’environnement et des politiques industrielles dans les décisions relatives à l’utilisationdes sols en Italie, par B. F. LAPADULA, Document de séance n° 10, Paris, le 24 avril 1978. In par-ticolare nelle conclusioni dell’intervento mettevo in evidenza:

La politique d’utilisation des sols en Italie, malgré les progrès réalisés ces dernières années, n’a pasancore déterminé de lien effectif entre le contrôle de la localisation industrielle et la protection de l’en-vironnement. De bien des points de vue, loi et mesures agissent à differents niveaux qui sont insuffi-samment reliés entre eaux. […] Les risques d’une manque d’actuation de politiques efficaces se sontmanifestés au cours d’une série d’épisodes récentes qui ont révelé le niveau du danger, souvent nonprévu, des installations industrielles et les coûts sociaux et humains que ceci entraîne. On sait que cequi s’est passé à Seveso en Lombardie, où une partie du territoire, précédemment habitée et cultivée,est, à l’heure actuelle, encore soumise aux effets du nuage toxique parti d’une usine, malgré toutes lesmesures sanitaires qui ont été prises;

purtroppo del mio testo non esiste una versione italiana.

19 Proposta di direttiva al Consiglio del 19/7/1979, in G.U. C 212 del 24/8/1979.

20 Per un confronto sugli aspetti tecnico-scientifici delle due procedure si veda il- Allegato A.

21 Si ricorda la Risoluzione del Consiglio europeo 89/C273/CEE sulla prevenzione dei rischitecnici e naturali.

22 Si veda in questa pubblicazione il mio contributo L’informazione e la consultazione dei cit-tadini, cap. 10.1.

23 Interessante, a tale proposito, è la rilettura di CAMPEOL G. (a cura di), La pianificazionedelle aree ad alto rischio ambientale, Franco Angeli ed., Milano 1994.

24 L. 443/01, Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi stra-tegici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive.

160

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 156: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

5.3

IL RUOLO DELL’AGENZIA NAZIONALE PER L’AMBIENTEE I SERVIZI TECNICI E IL RISCHIO TECNOLOGICO

Giancarlo Boeri*

La relazione tra pianificazione e gestione del territorio e il controllo dei rischidi incidente rilevante connessi con determinate sostanze pericolose è una dellequestioni più importanti affrontate nel D.Lgs. n. 334/99 di recepimento dellaDirettiva europea 96/82/CE “Seveso II”.

Il citato decreto coglie e dà piena attuazione ai princìpi del disposto comuni-tario di ricollocare le prescrizioni e le azioni di prevenzione e di controllo dei rischidi incidente rilevante in un quadro di valutazione ambientale integrata, superan-do l’approccio alla problematica del rischio industriale, limitato alla gestione dellasicurezza all’interno dello stabilimento per inserirla nel contesto più generale delrapporto con il territorio.

La Direttiva Seveso II, così come la Direttiva IPPC, impone un salto di qualità,indicando quale fattore determinante dello sviluppo economico, l’approccio inte-grato alle questioni ambientali e l’abbandono della legislazione che si sostanzi innorme di “comando e controllo”, consentendo di annoverare la qualità ambien-tale tra i principali fattori e condizioni di sviluppo e non tra gli ostacoli della pro-duzione e del mercato.

La situazione italiana paga uno stato di arretratezza rispetto all’avvio di unapolitica di sviluppo del sistema industriale ecologicamente compatibile, chepotrebbe essere recuperata grazie anche alla promozione di accordi volontari perla prevenzione e la tutela dell’ambiente e delle attività di certificazioni di qualitàdi ciclo e di prodotto.

È in questa prospettiva che nel D.Lgs. n. 334/99 sono previsti, tra l’altro, l’in-troduzione di più efficaci sistemi di gestione della sicurezza; la predisposizione dicriteri guida per la pianificazione territoriale ed urbanistica attenta alle relazioniesistenti tra insediamenti abitativi, sistemi infrastrutturali e industrie a rischio,con la determinazione di requisiti minimi di sicurezza in riferimento alla destina-

161* Capo Dipartimento Rischio naturale e tecnologico – APAT.

Page 157: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

zione e all’uso dei suoli; la predisposizione delle procedure e degli strumenti peri piani di intervento relativi alle aree ad elevata concentrazione industriale; la pre-visione del possibile verificarsi di un effetto domino; il coinvolgimento attivodella popolazione nella fase di realizzazione di nuovi impianti e di modifichesostanziali apportate agli stessi, così come è prevista non solo l’informazione mala consultazione diretta nella pianificazione d’emergenza esterna.

Per ciò che riguarda la pianificazione territoriale, è entrato a regime il D.M. 9maggio 2001, emanato ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. n. 334/99.

L’approccio che si profila consente di riconnettere alle analisi e alle valutazio-ni degli scenari incidentali delle attività industriali le problematiche ambientali einfrastrutturali del contesto territoriale; di effettuare la valutazione in ordine allepriorità di tutela della vita e della salute umana e più complessivamente dei fat-tori ambientali, considerando in una visione di sostenibilità ambientale il rischio el’impatto sulla salute e sull’ambiente, esistenti e prevedibili, e le conseguentiimplicazioni su piani e programmi.

Il decreto intende collocarsi come una norma quadro riguardo ai temi dellasicurezza e dell’ambiente riservando, in perfetta coerenza con quanto stabilitodall’art. 72 del D.Lgs n. 112/98, il trasferimento alle Regioni delle competenzeamministrative relative al controllo delle industrie a rischio di incidente rilevante.

La prevenzione e la riduzione del rischio derivante dall’evento incidentale inrelazione al contesto territoriale presuppone due condizioni essenziali, previstedal D.Lgs. 334/99, da perseguire in via del tutto prioritaria:– la conoscenza delle caratteristiche degli impianti e degli stoccaggi del tipo di

produzioni e dei sistemi di gestione adottati e la conoscenza approfondita especifica del territorio, delle sue caratteristiche fisiche e socio-economiche,degli elementi di vulnerabilità e di sensibilità ambientale;

– la predisposizione di adeguati strumenti normativi, di iter procedurali e di mec-canismi che promuovano la formazione e l’informazione rispetto alla proble-matica del rischio.In ordine al primo punto, la predisposizione e l’aggiornamento della “mappa-

tura del rischio” dei siti Seveso sono il primo passo per avere strumenti di con-trollo indispensabili per pianificare, per amministrare e per effettuare i controlliambientali.

A tal fine, come stabilito all’art. 15 del D.Lgs. n. 334/99 al Ministero dell’am-biente, avvalendosi dell’Agenzia nazionale per l’Ambiente e i Servizi Tecnici(APAT), è affidata la competenza di predisporre e aggiornare l’inventario degli sta-bilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti e la banca dati sugli esiti di valu-tazione dei rapporti di sicurezza e dei sistemi di gestione della sicurezza.

In merito a ciò, proficua è stata l’attività svolta in collaborazione tra il ServizioIAR del Ministero e il Dipartimento di rischio tecnologico e naturale dell’APAT.

È stato messo a punto un codice di calcolo per la ricomposizione del rischioil quale, dopo la fase di studio di fattibilità curata dall’APAT, è stato testatodall’ARPA del Veneto con il progetto pilota relativo all’area di Porto Marghera,162

Gia

ncar

lo B

oeri

Page 158: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

così come di grande rilevanza si può ritenere l’esperienza compiuta dall’ARPATToscana con il “Piano di risanamento per le aree critiche ad elevata concentra-zione industriale di Livorno e Piombino”.

Le competenze e l’attività delle Agenzie Regionali per la Protezionedell’Ambiente rappresentano il supporto fondamentale per chi ha la responsabi-lità di decidere, pianificatore o decisore pubblico, i quali necessitano di uno stru-mento che consenta loro di dialogare con tutti i soggetti interessati, con cogni-zione di causa per poi effettuare la propria scelta considerando la soluzione cheminimizza i danni e persegue il massimo beneficio per tutti coloro che concorro-no al processo di decisione.

Ultimo, ma non meno importante, nella problematica relativa alla prevenzionedel rischio e alla programmazione del territorio è l’informazione e il coinvolgi-mento di chi vive il territorio e rappresenta il bersaglio di interesse principale.

Il D.Lgs. n. 334/99 prevede, espressamente all’art. 23, la consultazione dellapopolazione nei casi di realizzazioni di nuovi stabilimenti, di modifiche sostanzia-li e di realizzazioni di nuovi insediamenti e infrastrutture oltre che l’adeguato coin-volgimento nella pianificazione di emergenza esterna. In questo ambito l’APAT hapredisposto una guida per la redazione delle schede di informazione e di consul-tazione della popolazione.

Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:“Inventario nazionale degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rile-

vanti ai sensi dell’art. 15, comma 4 del decreto legislativo 17 agosto, n. 334,1999” (Ministero dell’Ambiente, ANPA - Dipartimento Rischio tecnologico enaturale).

163

5.3

- Il r

uolo

del

l’Age

nzia

naz

iona

le p

er l’

ambi

ente

e i

serv

izi t

ecni

ci e

il r

isch

io t

ecno

logi

co

Page 159: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 6

IL D.M. 9 MAGGIO 2001E LE AMMINISTRAZIONI DESTINATARIE

165

Page 160: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

166

Page 161: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.1

IL COORDINAMENTO TRA LA LEGISLAZIONEURBANISTICA REGIONALE E LA SEVESO II

Roberto Raffaelli*

Le norme di cui al D.M. 9 maggio 2001, sul rapporto tra la pianificazione urba-nistica e territoriale e gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, possonoessere considerate l’espressione di due diversi processi normativi: il processo direcepimento e di attuazione della normativa europea sul controllo dei pericoli diincidenti rilevanti (direttiva del Consiglio dell’Unione europea 9 dicembre 1996, n.96/82/CE, nota come “Seveso II”), ed il processo di trasferimento di competen-ze legislative ed amministrative dagli organi dello Stato centrale alle Regioni.

La sovrapposizione di questi due processi deve essere tenuta bene in consi-derazione, al fine di un corretto inquadramento della disciplina normativa e dellesingole disposizioni e quindi, al fine di una proficua opera di applicazione.

Da un lato, il processo di recepimento della normativa comunitaria appare tro-vare nel D.M. 9 maggio 2001 un lineare coronamento.

I contenuti del D.M. traggono infatti origine dall’articolo 12 della Seveso II(il quale pone a carico degli Stati membri il dovere di coordinare le politiche inmateria di destinazione ed utilizzo dei suoli con gli obiettivi di prevenire gli inci-denti rilevanti e di limitarne le conseguenze) e dall’articolo 14 del D.Lgs. n.334/99 il quale, recependo le indicazioni del citato art. 12 della Seveso II, avevademandato ad un decreto attuativo la determinazione di requisiti minimi disicurezza in materia di pianificazione territoriale, per la localizzazione di nuovistabilimenti, per la modifica di stabilimenti a rischio esistenti e per la realizza-zione di nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti a rischio, alfine di garantire, tra l’altro, le opportune distanze tra gli stabilimenti e le zoneresidenziali.

Più complessa appare nelle norme del D.M. 9 maggio 2001, l’estrinsecazionedel processo di decentramento delle funzioni, dallo Stato alle Regioni, che richie-

167

* Direttore generale del Dipartimento Programmazione Territoriale e Mobilità – RegioneEmilia-Romagna.

Page 162: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

de una valutazione più attenta, anche in considerazione dell’evoluzione in sensofederalista dell’ordinamento costituzionale, avviata con la recente riforma dellaparte II, titolo V, della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3).

In particolare, il D.Lgs. n. 112/1998, all’articolo 72, oltre a prevedere il confe-rimento alle Regioni delle competenze amministrative relative alle industrie arischio, ha previsto, in termini abbastanza generali, che le Regioni disciplinino “lamateria con specifiche normative ai fini del raccordo tra i soggetti incaricati del-l’istruttoria e di garantire la sicurezza del territorio e della popolazione”.

Successivamente l’articolo 18 del D.Lgs. n. 334/1999, pur richiamando l’art.72 del D.Lgs. n. 112/1998, sembra aver ristretto, di fatto, l’ambito della compe-tenza normativa regionale limitandolo al tema dell’esercizio delle funzioni ammi-nistrative in materia di incidenti rilevanti.

L’incipit del successivo art. 19 chiarisce quantomeno la possibilità riconosciu-ta alle Regioni di trasferire ad altri organi tecnici le competenze esercitate dalComitato tecnico regionale di cui all’articolo 20 del D.P.R. n. 577/1982 (organoche, in effetti, di regionale ha solo l’ambito di competenza territoriale).

L’art. 2 del D.M. 9 maggio 2001 prevede poi che le Regioni, attraverso unaapposita disciplina, assicurino “il coordinamento delle norme in materia di piani-ficazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dalD.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334” e dallo stesso decreto.

Lo stesso articolo prevede che le norme regionali in materia di pianificazioneurbanistica assicurino “il coordinamento delle procedure di individuazione dellearee da destinare agli stabilimenti con quanto previsto dall’articolo 2 del D.P.R.20 ottobre 1998, n. 447” e che le Regioni, inoltre, assicurino “il coordinamentotra i criteri e le modalità stabiliti per l’acquisizione e la valutazione delle informa-zioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativialla pianificazione territoriale e urbanistica”.

Al di là di questa articolata prefigurazione di competenze regionali di coordi-namento, attuative delle disposizioni del decreto, occorre evidenziare come iltenore dell’art. 2 del D.M. 9 maggio 2001 sembra ridurre entro limiti angusti icompiti della potestà normativa regionale, salvo poi formulare la seguente previ-sione di chiusura: “in assenza della disciplina regionale si applicano i princìpi, i cri-teri e i requisiti di cui al presente decreto”; tale indicazione dovrebbe sottointen-dere la possibilità che la disciplina regionale integri o modifichi, nel rispetto deiprincipi fondamentali la normativa di cui allo stesso D.M.

In effetti le previsioni dell’art. 2 del D.M. 9 maggio 2001, relative alla neces-sità di interventi regionali di coordinamento, devono essere interpretate comedisposizioni prettamente esortative (ovvero un invito alle Regioni ad assicurarealmeno le forme di coordinamento essenziali, ai fini dell’attuazione delle normee dei princìpi di cui all’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/1999).

Le difficoltà ermeneutiche insite nelle disposizioni relative alle competenzenormative regionali, in materia di rischio di incidenti rilevanti (art. 72, D.Lgs. n.112/1998; art. 18, D.Lgs. n. 334/1999; art. 2, D.M. 9 maggio 2001), sembranoimporre comunque un approccio più generale alla problematica.168

Rob

erto

Raf

fael

li

Page 163: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In questo senso, dopo le richiamate recenti modifiche al Titolo V della parteSeconda della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), occorre conside-rare come il tema del controllo dell’urbanizzazione e dei rischi di incidenti rilevan-ti appaia ricondursi in modo univoco all’ambito della legislazione concorrente(vedi in particolare, nell’articolo 117, comma 3, Cost., le materie del governo delterritorio, della tutela della salute e della protezione civile), dove la potestà legi-slativa compete alle Regioni, fatta salva la determinazione dei princìpi fondamen-tali riservata alla legislazione dello Stato.

Questo inquadramento costituzionale, coerente con il principio di sussidia-rietà e con l’equilibrio degli interessi generali in gioco, permette, in modo ancorapiù netto, di riconoscere nel corpo normativo di cui al D.M. 9 maggio 2001 i carat-teri propri di una disciplina statale di dettaglio, valida e cogente fino a quando lastessa materia non risulti coperta dall’intervento legislativo regionale.

Così, anche nell’ambito del D.Lgs. n. 334/99, sarà compito del legislatoreregionale discriminare i princìpi fondamentali della materia, da osservare comecardini della propria potestà, distinguendoli dalle parti riconducibili ad una disci-plina di dettaglio, e come tali passibili di riforma e di sostituzione ad opera del-l’attività legislativa e regolamentare regionale.

In riferimento alla specifica materia del controllo dell’urbanizzazione nellezone soggette al rischio di incidenti rilevanti, risulta facile riconoscere il nucleodei princìpi fondamentali nell’ambito dell’articolo 14, comma 1, D.Lgs. n. 334/99,laddove, conformemente a quanto già definito dall’articolo 12 della direttivaSeveso II, si sancisce la necessità di stabilire, per le zone interessate da stabili-menti qualificati a rischio di incidente rilevante, requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizza-zione dei suoli, i quali tengano conto della necessità di mantenere opportunedistanze tra stabilimenti e zone residenziali, nonché degli obiettivi di prevenire gliincidenti rilevanti e di limitarne le conseguenze.

Ciò sia in riferimento alla localizzazione di nuovi stabilimenti, sia alle modifichedegli stabilimenti esistenti, sia alla realizzazione di nuovi insediamenti o infra-strutture attorno agli stabilimenti esistenti, qualora la localizzazione, o l’insedia-mento o l’infrastruttura possano aggravare il rischio o le conseguenze di un inci-dente rilevante.

Tenendo fermi questi punti, rimangono alle Regioni la possibilità e la preroga-tiva di coniugare nel modo ritenuto più opportuno i princìpi del D.Lgs. n. 334/99(ovvero i princìpi della direttiva Seveso II), con il complesso della legislazioneurbanistica regionale, potendo intervenire in via legislativa e in via regolamenta-re sopra tutto l’ambito del D.M. 9 maggio 2001, fino ad una eventuale completasostituzione della specifica normativa, nel rispetto dei princìpi fondamentali desu-mibili dallo stesso.

Questi ampi margini di manovra non diminuiscono, peraltro, l’opportunità el’importanza di un’azione concorrente delle Regioni nel promuovere la primaapplicazione delle norme del D.M. 9 maggio 2001 e, in particolare, nel coadiuva- 169

6.1

- Il c

oord

inam

ento

tra

la le

gisl

azio

ne u

rban

istic

a re

gion

ale

e la

Sev

eso

II

Page 164: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

re le Province ed i Comuni nella dovuta opera di adeguamento e di integrazionedei piani territoriali ed urbanistici.

Nel caso dell’Emilia-Romagna, questa azione di promozione e di supporto èstata avviata nel contesto di un nuovo e innovativo quadro legislativo urbanistico,definito dalla L.R. 24 marzo 2000, n. 20, dove i notevoli margini offerti alla fles-sibilità degli strumenti di pianificazione e all’autonomia degli Enti locali, oltreall’attenzione dedicata alle fasi di acquisizione degli elementi conoscitivi e valu-tativi, appaiono costituire il presupposto per un agevole coordinamento dei pro-cessi pianificatori con le disposizioni sui requisiti minimi di sicurezza, per le zoneinteressate dal rischio di incidenti rilevanti.

In questo contesto si è provveduto a fornire ai Comuni ed alle Province indi-cazioni idonee a coordinare l’adeguamento dei piani, prescritto dal D.M. 9 mag-gio 2001, con la transizione in atto verso il nuovo sistema pianificatorio (fondatosulla differenziazione tra il piano strutturale ed il piano operativo comunale), e allostesso tempo si è cercato di chiarire gli effetti giuridici immediati, derivanti dalD.M., ed in particolare gli obblighi relativi ai procedimenti edilizi ed i vincoli didestinazione operanti nelle more di adeguamento dei piani, in modo da sensibi-lizzare gli Enti sull’opportunità, oltre che sulla doverosità, di una pronta confor-mazione alla normativa in questione.

Tutto ciò nella consapevolezza che il rispetto dei requisiti di sicurezza previstidalle norme attuative della direttiva Seveso II, nella elaborazione dei piani urbani-stici e territoriali, risulterà un visibile banco di prova della capacità dei gestori dellacosa pubblica di garantire la sostenibilità dello sviluppo, nel mondo a venire.

170

Rob

erto

Raf

fael

li

Page 165: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.2

LE PROVINCE, LA CO-PIANIFICAZIONE ELA PROGRAMMAZIONE DEL TERRITORIO

Forte Clo*

Il tema oggetto del D.M. 9 maggio 2001 richiede di essere affrontato secon-do un’ottica che, senza trascurare la dimensione locale-comunale, si faccia cari-co di un’impostazione integrata sia a livello territoriale che disciplinare.

Infatti, il problema delle aree su cui insistono attività a rischio di incidente rile-vante chiama in causa diversi livelli istituzionali (Comune, Provincia e Regione) inriferimento alle rispettive competenze, per citare le principali, in materia di urba-nistica, di pianificazione del territorio, di ambiente e di protezione civile.

È pertanto indispensabile operare in una logica di copianificazione che ricer-chi il massimo d’integrazione e di sinergia tra adempimenti comunali e provincialiin materia di pianificazione e programmazione e di congruenza tecnica tra prov-vedimenti autorizzatori di carattere settoriale: in questo senso si raccomandanoparticolarmente modelli concertativi quali quelli tipici degli accordi di programmae delle conferenze di servizi.

È in questa logica che va letto il Progetto pilota della Provincia di Bologna, illu-strato nel seguito e nato nell’ambito del protocollo d’intesa ANPA-UPI.

Proprio mettendo a frutto da un lato l’esperienza in corso di elaborazione delPTCP e il proficuo rapporto tra Ambiente e Pianificazione Territoriale dellaProvincia, in stretto raccordo con gli uffici dei Comuni, dall’altro le iniziative pro-pedeutiche alla prevedibile attribuzione alle Province delle competenze riguar-danti il D.Lgs n. 334/99 e quelle in materia di protezione civile si stanno analiz-zando le procedure e predisponendo i dati e le informazioni necessari ad una effi-cace gestione della normativa ministeriale da parte sia della Provincia che deiComuni.

Il lavoro vede la partecipazione ed il coinvolgimento, oltre che dei diversi diri-genti e tecnici provinciali, anche della Regione e dei Servizi tecnici locali compe-tenti in materia (ARPA e VVF), oltre che, almeno in una seconda fase, degli uffi-

171* Assessore all’ambiente Provincia di Bologna; Vice Presidente Unione Province Italiane.

Page 166: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ci tecnici comunali che dovrebbero ricevere, dai risultati del Progetto Pilota, unvalido supporto per gli adempimenti che ad essi competono. Ai risultati delProgetto pilota verrà ovviamente data la massima diffusione.

Questa funzione di servizio nei confronti dei Comuni è, d’altro canto, essen-ziale per la Provincia di Bologna, che la assume come proprio orientamento stra-tegico.

Tale indirizzo potrebbe essere fatto proprio in linea generale da tutte leProvince, in funzione del proprio ruolo di protagoniste della concertazione e disoggetti aggreganti le diverse istanze ed esigenze sociali, economiche e istitu-zionali.

Dal “35° rapporto sulla situazione sociale del Paese, 2001, CENSIS” questaipotesi viene ulteriormente avvalorata: “… le Province hanno oggi l’occasione diattivare percorsi di governance territoriale caratterizzati dall’adozione di una logi-ca poliarchica improntata all’equilibrato utilizzo di momenti di decisionalità, di fun-zionalità, di rappresentanza e di concertazione”.

In tal senso appare evidente che “la crescente attenzione dei grandi sogget-ti promotori e gestori delle reti infrastrutturali alla creazione di un’ampia base diconsenso nei territori interessati, nonché al ritorno economico degli interventi,pone l’esigenza di individuare un interlocutore territoriale rappresentativo e affi-dabile. Nell’ambito di un quadro strategico di obiettivi comunemente definiti èdunque un terreno di azione sostanziale nel quale le funzioni delle Province comeagenzie per lo sviluppo del territorio possono risultare esaltate”.

Questa sicuramente è una sfida da raccogliere.

172

Fort

e C

lo

Page 167: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.3

IL PROGETTO PILOTA DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA

Paolo Natali*

A seguito della pubblicazione del D.M. 9 maggio 2001, la Provincia diBologna, in collaborazione con gli altri soggetti istituzionali competenti, ha avvia-to un Progetto Pilota di applicazione del decreto, finalizzato alla definizione di unametodologia di lavoro da fornire ai Comuni del proprio territorio.

Tale progetto è nato nell’ambito dell’Intesa istituzionale stipulata il 22 febbraio2001 tra l’ANPA e l’UPI, finalizzata alla promozione di azioni di pianificazione ter-ritoriale inerenti il settore del rischio di incidente rilevante.

Formalmente il progetto è stato avviato il 24 luglio 2001, con l’istituzione diun gruppo di lavoro costituito da Provincia di Bologna, Regione Emilia-Romagna,Comuni interessati, Prefettura di Bologna, ANPA, ARPA Emilia-Romagna,Ispettorato regionale dei Vigili del Fuoco e Ministero dei lavori pubblici.

Durante questo primo incontro, dopo un approfondimento delle tematichetrattate dal decreto, è emersa, da parte di tutti i componenti, l’urgenza di stabili-re in breve tempo una strategia di lavoro e di promuovere il coinvolgimento deglienti interessati e, in particolare, dei Comuni sul cui territorio sono presenti stabi-limenti a rischio.

Il progetto ha suscitato l’interesse anche delle Province di Ferrara, Ravenna eModena, che si sono attivate per valutare le risultanze del tavolo di lavoro ai finidell’applicazione del decreto sul proprio territorio.

Alla Provincia di Bologna è stato affidato il ruolo operativo del progetto, con ilcompito di definire una sorta di linee guida per l’applicazione del decreto, men-tre gli altri componenti del tavolo di lavoro svolgono principalmente funzioni disupporto.

Il Progetto Pilota, articolato in più fasi, ha previsto inizialmente l’informazionee il coinvolgimento dei Comuni interessati, perseguendo una logica di concerta-zione fra le Amministrazioni e l’adozione eventuale di una procedura di co-piani-

173* Dirigente Assessorato all’ambiente, Provincia di Bologna.

Page 168: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ficazione per la realizzazione di un Piano Territoriale di Coordinamento Provincialeavente valore ed effetto di variante dei piani urbanistici comunali.

Sulla base di quanto previsto dal decreto, il progetto è stato così strutturato:

1a FASE: Identificazione degli elementi ambientali e territoriali vulnerabili.Questa fase, esposta più dettagliatamente in seguito, prevede la raccolta di

tutte le informazioni necessarie per inquadrare il territorio, valutandone la vulne-rabilità in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante.

2a FASE: Raccolta delle informazioni dai gestori e identificazione delle aree didanno.

Sul territorio della Provincia di Bologna, allo stato attuale, sono presenti 29stabilimenti a rischio di incidente rilevante, soggetti agli obblighi del D.M. 9 mag-gio 2001, fra cui: 6 stabilimenti in classe A1 (art. 8) e 23 stabilimenti in classe A2(art. 6).

La determinazione degli scenari incidentali e delle relative aree di impatto sulterritorio, risulta essere il momento più critico del progetto, a causa di informa-zioni non sempre aggiornate e del ritardo con cui alcuni Comuni si sono attivatiper la raccolta dei dati presso i gestori.

In collaborazione con il Settore Grandi rischi dell’ARPA, sono state raccoltetutte le informazioni relative agli scenari incidentali delle aziende (conclusionidi istruttoria dei Rapporti di sicurezza, Piani di emergenza esterna, Delibereregionali).

Sulla base di queste conoscenze si sono istituiti dei tavoli tematici con iComuni, a seconda della tipologia di attività svolta dagli stabilimenti:– Depositi di G.P.L.;– Depositi di carburanti;– Depositi di fitofarmaci;– Industrie chimiche e altre attività.

Questa fase di lavoro, ancora in itinere, si concluderà presumibilmente allafine di marzo 2002.

Lo scopo di questi incontri è quello di offrire un supporto ai Comuni per ope-rare la corretta applicazione del decreto, fornendo tutte le indicazioni necessarieper la determinazione delle aree di danno, per la redazione degli Elaborati tecni-ci RIR e per la verifica della compatibilità territoriale e ambientale.

3a FASE: Valutazione della compatibilità territoriale e ambientale e adegua-mento dei piani territoriali ed urbanistici.

Ottenute le informazioni dai gestori e validati i risultati con il supportodell’ARPA, il passo successivo prevede la verifica della compatibilità ambientalee territoriale degli stabilimenti con le destinazioni d’uso del territorio.

Si ipotizza di concludere questa fase nel mese di aprile-maggio 2002, perpassare successivamente all’attivazione delle procedure di adeguamento deipiani.174

Pao

lo N

atal

i

Page 169: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

A tale proposito, come già accennato precedentemente, l’adeguamento delPiano Territoriale Provinciale può essere realizzato in maniera coordinata conl’adeguamento dei piani urbanistici, così come previsto dalla Legge regionalen. 20/2000.

Questa procedura di co -pianificazione può risultare particolarmente opportu-na al fine di garantire la condivisione degli elementi conoscitivi e l’accelerazionedegli iter procedurali per l’adeguamento dei piani.

4a FASE: Comunicazione dei risultati e confronto con il gruppo di lavoro.La conclusione del progetto, prevista indicativamente per giugno 2002,

dovrebbe portare alla definizione di una metodologia per l’applicazione del D.M.9 maggio 2001.

I risultati ottenuti saranno validati dal gruppo di lavoro e, in seguito, divulgaticon la pubblicazione di un manuale o tramite altre forme di comunicazione.

175

6.3

- Il p

roge

tto

pilo

ta d

ella

Pro

vinc

ia d

i Bol

ogna

Page 170: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.4

IL PIANO DI RISANAMENTO DELL’AREA CRITICADI LIVORNO E PIOMBINO

Alessandro Lippi*, Marcello Mossa Verre**

Introduzione

I poli industriali e portuali di Livorno e Piombino, con decreto legge 7 gennaio1995, n. 2 (modifica del D.P.R. n. 175/88 e legge di sanatoria del 19 maggio 1997,n. 137) sono stati dichiarati “aree critiche ad elevata concentrazione di attivitàindustriali”. La stessa norma ha riconosciuto la necessità di predisporre un pianodi intervento, finalizzato all’indicazione di azioni di mitigazione dei rischi da indivi-duare sulla base di specifici “studi integrati di rischio d’area”.

La criticità dei due poli industriali deriva da una considerevole concentra-zione di stabilimenti in aree di dimensioni relativamente ridotte, in particolarenel caso di Livorno, ed in stretta relazione funzionale con i sistemi viario, fer-roviario e portuale, interessati da ingenti flussi di materiali in ingresso e inuscita dagli impianti stessi.

Alle problematiche di rischio industriale connesse con le lavorazioni svoltepresso gli stabilimenti, si aggiungono pertanto quelle dovute al trasporto e allamovimentazione di sostanze pericolose. Nel caso di Livorno – nella cui areasono presenti una raffineria, depositi costieri, stoccaggi di GPL, industrie chi-miche ecc. – il perno del trasporto marittimo di sostanze pericolose è rappre-sentato da un canale industriale sul quale si affacciano direttamente ben settedelle undici industrie a rischio di incidenti rilevanti presenti nell’area.

Nel sito di Piombino è evidente invece una forte compenetrazione fra le areeindustriali e le aree urbane, con notevoli effetti di degrado ambientale oltre airischi di natura industriale derivanti dalla contiguità degli insediamenti abitativicon gli impianti.

177

* Direttore generale, ARPA Toscana.** Responsabile Area “Grandi rischi”, ARPA Toscana.

Page 171: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il modello organizzativo

Un’intesa di programma fra Ministero dell’ambiente e Regione Toscana, fir-mata il 6 giugno 1997 (G.U. n.175 del 29.07.97), ha definito le linee generali peril piano di risanamento1 e ha istituito un Comitato di coordinamento per il rac-cordo fra le Amministrazioni centrali (Ministero dell’ambiente, Ministero dell’in-dustria, commercio e artigianato, Ministero degli interni) e quelle territoriali(Regione Toscana, Provincia di Livorno, i Comuni di Livorno, Piombino eCollesalvetti, Autorità marittima e portuale). Al Comitato è stato affidato il com-pito di sovrintendere all’attuazione del piano di risanamento e di stabilire la prio-rità degli interventi necessari. L’intesa di programma, inoltre, ha dato incarico adARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, istituitacon L. regionale n. 66/95) di predisporre il piano, redigere gli studi d’area neces-sari e svolgere funzioni di Segreteria tecnica.

Con l’insediamento del Comitato di coordinamento, presso la Prefettura diLivorno, in data 13 gennaio 1998, la redazione del piano è entrata nella faseoperativa.

Il metodo

In base all’incarico ricevuto, ARPAT ha provveduto – avvalendosi anchedell’Università di Pisa – a svolgere le necessarie analisi e valutazioni previsiona-li quantitative sui fattori di rischio, grazie ad un capillare censimento dei “termi-ni di sorgente” riguardanti sia le attività industriali (impianti soggetti alla“Direttiva Seveso”), sia i trasporti di prodotti pericolosi per via terrestre, marit-tima o in condotta.

Per la “ricomposizione dei rischi” è stata utilizzata la modellistica ARIPAR(software ARIPAR-GIS), già messa a punto per l’area di Ravenna, che ha con-sentito una dettagliata mappatura dei rischi industriali nelle zone di interesse.

La stima dell’importanza delle “sorgenti”, in termini ponderali, ha permessodi definire le strategie di intervento per la mitigazione dei rischi, così come pre-visto dalla normativa, attraverso la “realizzazione di dispositivi di sicurezza e l’a-deguamento di impianti e infrastrutture”.

Lo studio dei rischi d’area e il relativo piano d’intervento, per l’area di Livorno,sono stati approvati da parte del Comitato, nel dicembre 1999, e per il polo diPiombino nel giugno 2000.

Parallelamente all’analisi delle sorgenti di rischio industriale, sono stati presiin considerazione i principali fattori di squilibrio ambientale, per le due aree, alfine di individuare le necessarie misure di risanamento.

I risultati degli studi concernenti i rischi industriali sono brevemente riassuntinelle pagine che seguono, insieme ad una sintesi sui principali interventi di miti-gazione e di risanamento, decisi dal Comitato sulla base del piano predisposto daARPAT.178

Ale

ssan

dro

Lipp

i, M

arce

llo M

ossa

Ver

re

Page 172: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

I risultati degli studi

L’analisi riguardante l’area di Livorno è stata condotta sostanzialmente in baseai dati contenuti nei rapporti di sicurezza, per gli impianti fissi (presentati secondoil D.P.R. n. 175/88), e ai dati forniti dalla Capitaneria di porto e dalle aziende, attra-verso l’Associazione industriali di Livorno, per il trasporto di sostanze pericolose.

Con tali dati e grazie all’utilizzo della metodologia di ricomposizione ARIPAR,l’analisi della importanza delle tipologie di sorgenti ha mostrato che il trasportostradale è quello che maggiormente contribuisce al rischio di area, con apportisignificativi anche degli impianti fissi e del trasporto ferroviario e per condotta.Complessivamente è risultato, comunque, che il 96% della popolazione non èesposta a livelli di rischio significativi.

Un esame dei risultati in termini di rischio locale2 ha permesso, in particolare,di evidenziare che quest’ultimo è stimabile nei seguenti livelli, pari a:– 10-3 /anno in aree molto ristrette localizzate all’interno della Raffineria Agip

Petroli, in corrispondenza degli impianti di produzione zolfo e idrodesolfora-zione gasolio e all’interno dello stabilimento AgipGas;

– 10-4 /anno in aree ristrette ubicate in corrispondenza degli impianti AgipGasoltre che negli impianti di produzione zolfo e idrodesolforazione gasolio dellaRaffineria Agip Petroli, in area portuale (in prossimità del pontile 13), a causadella condotta GPL e, infine, in una zona ristretta lungo la pipeline Livorno-Calenzano (oleodotto di trasferimento di benzine e gasoli);

– 10-5 /anno in corrispondenza di aree più ampie interne agli impianti (AgipGase Raffineria Agip Petroli), in corrispondenza dello scalo Livorno-Calambrone,del tratto terminale del canale industriale e all’imbocco dello stesso e dellostabilimento Dow Italia e lungo la condotta Livorno-Calenzano;

– 10-6 /anno che interessa l’inviluppo delle aree industriali e del porto industrialein genere, con estensione alle direttrici di grande comunicazione (SGC) e via-bilità esterna, nonché la frazione di Stagno prospiciente la Raffineria, seguen-do – verso sud – il percorso della S.S. n. 1 Aurelia fino alla Darsena Ugione.

– Fatta eccezione per le aree sopra evidenziate il rischio locale si mantiene infe-riore a 10-7 salvo l’area di Stagno (10-6), frazione del Comune di Collesalvetti,confinante con la raffineria Agip Petroli.L’esame della situazione del rischio sociale3 ha evidenziato che gli impianti fissi

contribuiscono in modo rilevante al rischio globale per valori di N inferiori a qualcheunità e superiori a 400; in quest’ultimo caso, con frequenze di accadimento moltopiù basse. Il trasporto per condotta invece, assume importanza rilevante solo finoa N pari a qualche decina per poi scomparire completamente per N superiori.

Il rischio da trasporto stradale è costante e fornisce un contributo prevalentefino a N= 400 per poi scomparire. Infine il trasporto ferroviario fornisce un con-tributo modesto fino a N=1000, mentre quello navale è da considerarsi, in que-sto ambito, irrilevante.

Per quanto riguarda il contributo delle varie sostanze, l’esame delle curve F-N mostra come nel trasporto stradale il GPL dia il contributo maggiore, così come 179

6.4

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

criti

ca d

i Liv

orno

e P

iom

bino

Page 173: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

negli impianti fissi il principale apporto è rappresentato da rilasci nel parco ser-batoi GPL della raffineria.

Per quanto riguarda le problematiche connesse con l’effetto domino, è statarilevata la trascurabilità dello stesso sul rischio individuale e locale all’esterno deiconfini degli stabilimenti dell’area di Livorno. Relativamente agli impianti fissi, aparte il caso del GPL, si può ritenere che le criticità rilevate – tenuto conto delcarattere locale delle stesse – possano essere mitigate o rimosse con interventisugli impianti, finalizzati alla riduzione delle probabilità di accadimento degli inci-denti o mitigazione delle conseguenze; tali interventi saranno oggetto di puntua-li prescrizioni da parte dell’Autorità preposta alle conclusioni sulle istruttorie deirapporti di sicurezza.

Nell’area di Piombino le sorgenti di rischio sono costituite essenzialmentedalle Aziende SOL s.p.a. (produzione di gas tecnici), Lucchini s.p.a. (Industriasiderurgica leader italiano nella produzione di laminati lunghi) e La Magona d’Italia(Industria metalmeccanica – produzione di lamiere zincate o verniciate), dal traf-fico di merci pericolose su strada e dalle operazioni di sosta, imbarco e sbarcodei mezzi trasportanti merci pericolose, in corrispondenza della zona portuale. Leconseguenze degli eventi incidentali ipotizzati, sono da ricondurre essenzialmen-te ad esplosioni, incendi e rilascio di sostanze tossiche.

In termini generali, l’analisi del rischio ha evidenziato che il contributo deglistabilimenti industriali presenti nell’area di Piombino è principalmente confinatoall’interno del perimetro delle singole aziende. Nel caso di SOL s.p.a., sono pos-sibili eventi incidentali con effetti anche all’esterno dello stabilimento, ma conuna frequenza di accadimento inferiore a 10-8 eventi/anno.

È il trasporto stradale di merci pericolose in direzione del porto e delle azien-de a costituire, invece, la principale sorgente di rischio all’esterno delle aree deglistabilimenti.

In termini quantitativi il rischio locale nelle zone residenziali della città è infe-riore a 10-7 eventi/anno, mentre si raggiungono valori superiori a 10-6 eventi/annonella zona portuale in corrispondenza delle banchine di imbarco dei traghetti perle isole.

Il maggiore contributo al rischio locale nelle zone residenziali della città èdovuto al trasporto di GPL in direzione del porto per rifornire l’isola d’Elba, al tra-sporto di esplosivi sempre in direzione del porto, aventi come destinazione o pro-venienza la Sardegna ed al trasporto di ammoniaca anidra verso lo stabilimentodella Magona d’Italia.

Il rischio sociale è dell’ordine di 10-5 eventi/anno per N fino a 1000: per N infe-riori a 100 è dovuto essenzialmente al trasporto di sostanze pericolose su stra-da, mentre per N superiore diventa determinante l’influenza delle sorgenti fissedi rischio dovute all’imbarco di sostanze pericolose, esplosivi in particolare, sutraghetto in corrispondenza nell’area portuale.

Le conclusioni dello studio indicano pertanto un rischio locale per la popola-zione che non appare particolarmente significativo; le zone abitate limitrofe alle180

Ale

ssan

dro

Lipp

i, M

arce

llo M

ossa

Ver

re

Page 174: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

strade di accesso al porto sono esposte tuttavia a livelli di rischio di due ordini digrandezza maggiori rispetto alle zone più esterne. L’analisi del rischio sociale evi-denzia la possibilità di incidenti con elevato numero di vittime, legate al trafficodi merci pericolose, anche in considerazione della presenza, in particolare duran-te il periodo estivo, di turisti in transito per l’isola d’Elba.

Le strategie di intervento

a) Area di Livorno - Collesalvetti.Il piano preliminare, destinato a utilizzare le risorse stanziate col D.M. 22 set-

tembre 1995 del Ministero dell’ambiente, che ha assegnato per l’area Livorno-Piombino 20 miliardi di lire per interventi urgenti, ha definito alcuni interventi prio-ritari, secondo i contenuti dell’art. 8 dell’intesa di programma, fra Ministero del-l’ambiente e Regione Toscana del 6 giugno 1997.

Lo studio dei rischi d’area ha permesso di individuare un elenco, per quanto pos-sibile esaustivo, di interventi migliorativi intesi alla riduzione del rischio industrialenell’area. I risultati conseguiti hanno confermato la scelta degli interventi già indivi-duati preventivamente, evidenziando alcuni ulteriori interventi migliorativi.

Fra gli interventi già avviati si annoverano, in particolare:– la ristrutturazione del parco stoccaggio GPL della Raffineria AGIP Petroli;– gli interventi sulla viabilità di Stagno;– gli interventi per accrescere il livello di sicurezza in area portuale (dragaggio

del canale industriale, potenziamento del pontile 12, posa in cunicolo deigasdotti della Darsena Toscana);

– gli interventi di miglioramento della sicurezza nelle operazioni di carico/scari-co navi, Soc. Carbochimica;

– la predisposizione di attrezzature di pronto intervento per l’emergenza in areaportuale;

– la razionalizzazione dei traffici portuali e industriali, in area portuale (via delleCateratte e pertinenze);

– il miglioramento della viabilità via Aurelia ed area sud-est prospiciente la raffi-neria di Livorno e la razionalizzazione impianti di distribuzione rete;

– la realizzazione di un piping per il trasferimento di biodiesel presso lo stabili-mento Novaol.Lo studio d’area predisposto, come già rilevato, ha consentito di confermare

la validità delle determinazioni già adottate dal Comitato ed ha permesso di indi-viduare ulteriori elementi di criticità, nonché i conseguenti interventi migliorativi,che consistono in:– interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi da trasporto stradale, attraverso

un maggiore utilizzo del trasporto ferroviario in alternativa a quello stradale,sostituendo una quota di quest’ultimo con movimentazione su rotaia in usci-ta dal deposito AgipGas, tramite nuove pensiline di carico, raccordate contronchi ferroviari allo scalo di Livorno-Calambrone; 181

6.4

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

criti

ca d

i Liv

orno

e P

iom

bino

Page 175: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– interventi di razionalizzazione dei traffici portuali e industriali (secondo lotto),che rappresentano l’integrazione delle opere già approvate dal Comitato; siprevede, in particolare, la realizzazione del “raddoppio” della carreggiata dellavia Leonardo da Vinci, il nuovo raccordo della stessa con la SGC Livorno-Pisa-Firenze, migliorando decisamente l’accesso all’area portuale;

– interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi connessi con lo scalo ferroviariodi Livorno-Calambrone, riqualificando lo stesso con l’intensificazione dellemisure di sicurezza antincendio;

– interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi connessi con gli impianti di stoc-caggio di GPL (in serbatoi cilindrici orizzontali), tramite tumulazione dei serba-toi di stoccaggio.Una serie di interventi complementari (sulla viabilità di Collesalvetti e le aree

portuali) completa il quadro globale delle strategie di intervento per l’area diLivorno-Collesalvetti.

Per la realizzazione degli interventi sono stati assegnati, fino ad oggi, circa 30miliardi di lire, con una previsione di circa 51 miliardi ulteriori necessari al com-pletamento degli interventi avviati e circa 27 miliardi per i nuovi interventi princi-pali da avviare – individuati nel piano – e, infine, circa 41 miliardi per gli interven-ti complementari.

b) Area di PiombinoTra i principali risultati dello studio di area emerge l’indicazione che il traspor-

to su strada di merci pericolose costituisce il fattore principale di rischio per lazona di Piombino.

Sono state prese in esame, pertanto, le possibili soluzioni per ridurre la fre-quenza degli eventi incidentali collegati con il transito di automezzi trasportantiGPL, esplosivi e ammoniaca, o per mitigarne le conseguenze: ha trovato confer-ma, quindi, la validità di una precedente proposta dell’Amministrazione comunaledi migliorare lo scorrimento del traffico nella viabilità principale, eliminando il pas-saggio a livello in corrispondenza della strada di accesso all’area portuale.

Un apporto significativo al rischio locale è dovuto al trasporto stradale diammoniaca anidra.

La Magona d’Italia utilizza questa sostanza per produrre idrogeno e azoto(mediante dissociazione catalitica ad alta temperatura), da utilizzare come atmo-sfera riducente durante il ciclo di zincatura delle lamiere. A causa delle proble-matiche di sicurezza derivanti dall’approvvigionamento e dallo stoccaggio di que-sta sostanza, evidenziate anche dallo studio di area, l’azienda ha proposto un pro-getto per la produzione di idrogeno basato sulla tecnologia dello “steam reform-ing”, che utilizza come materia prima il metano, già presente in stabilimento, eli-minando completamente lo stoccaggio e il conseguente approvvigionamento diammoniaca anidra.

Ulteriori argomenti di approfondimento per la diminuzione del rischio di area,emersi in seguito alle valutazioni effettuate, sono da ricercare nella individuazio-ne di una viabilità alternativa più lontana dal centro urbano e di una razionalizza-182

Ale

ssan

dro

Lipp

i, M

arce

llo M

ossa

Ver

re

Page 176: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

zione delle procedure di sosta e di imbarco dei mezzi che trasportano le mercipericolose, con particolare riferimento agli esplosivi, nell’area portuale.

Dal punto di vista della pressione ambientale è stata evidenziata la notevoleinfluenza dell’impianto siderurgico a ciclo integrale, che si estende fino al centroabitato della città.

Preso atto del progetto di rifacimento dell’attuale impianto di distillazione delfossile che prevede l’utilizzo della migliore tecnologia disponibile per questiimpianti, al fine di limitare ulteriormente l’impatto ambientale dello stabilimentosulla città, è stato valutato positivamente il progetto dell’Amministrazione comu-nale che prevede l’allontanamento, rispetto al centro abitato, dell’attuale impian-to di trattamento scorie e contestualmente l’acquisizione di una vasta area indu-striale che permette di alleggerire il peso della presenza industriale, recuperandopreziosi spazi da utilizzare per la città, ormai chiusa tra il mare e gli stabilimentiindustriali.

A conclusione di questo breve capitolo dedicato ai casi di Livorno ePiombino, riteniamo opportuno evidenziare come l’esperienza maturata “possautilmente essere messa a disposizione delle Autorità che sul territorio naziona-le si troveranno a dover gestire analoghe problematiche connesse con l’esi-stenza di aree ad elevata concentrazione industriale: anche per gli aspetti orga-nizzativi, infatti, il modello messo a punto ha mostrato la propria efficienza gra-zie al coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, attraverso strumenti gestio-nali snelli e decentrati”4.

Per quanto attiene agli aspetti metodologici, riteniamo auspicabile – laddovela complessità delle problematiche da trattare lo renda necessario – l’utilizzo distrumenti di ricomposizione dei rischi d’area anche per la definizione e l’adozio-ne di politiche di pianificazione territoriale, secondo i criteri di controllo dell’urba-nizzazione, sanciti dal D.Lgs. n. 334/99 e dalla Direttiva “Seveso II” e stabiliti dalD.M. 9 maggio 2001, in particolare per ciò che attiene alle fasi di acquisizione deidati e alla successiva analisi di compatibilità territoriale e ambientale.

Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:“La determinazione delle aree di danno e la compatibilità territoriale”

183

6.4

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

criti

ca d

i Liv

orno

e P

iom

bino

Page 177: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Il testo presentato costituisce una riedizione aggiornata della relazione “L’area industrialedi Piombino-Livorno e l’applicazione della Seveso 2”, autori: Marcello Mossa Verre, MarcelloCeccanti, Quarta Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali, Venezia, 3-5 aprile 2000.

2 Rappresenta – con riferimento ad un individuo sano, non protetto, presente 24 ore su 24in un punto dell’area in esame – la probabilità di decesso, su base annua, derivante dal contri-buto degli incidenti ipotizzabili presso le attività industriali “fisse” (o da trasporto) nell’area con-siderata.

3 Rappresenta la probabilità di osservare scenari incidentali ai quali siano attribuibili conse-guenze più gravi o uguali ad una certa entità, espressa in numero di decessi (N).

4 Dalla presentazione del rapporto “Piano di risanamento per le aree critiche a elevata con-centrazione industriale di Livorno e Piombino, Analisi del rischio per l’area di Livorno e strate-gie d’intervento”, ARPAT, Firenze, marzo 2000.

Riferimenti bibliografici

MOSSA VERRE M. (a cura di), Piano di risanamento per le aree critiche a elevata concentra-zione industriale di Livorno e Piombino – Analisi del rischio per l’area di Livorno e stra-tegie d’intervento, ARPAT, Firenze, marzo 2000.

ID., Piano di risanamento per le aree critiche a elevata concentrazione industriale diLivorno e Piombino – Analisi del rischio per l’area di Piombino e strategie d’interven-to, ARPAT, Firenze, dicembre 2000.

184

Ale

ssan

dro

Lipp

i, M

arce

llo M

ossa

Ver

re

Page 178: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.5

IL PIANO DI RISANAMENTO DELL’AREA A ELEVATO RISCHIODI CRISI AMBIENTALE DELLA PROVINCIA DI SIRACUSA

Bruno Marziano*, Vincenza Sicuso**, Maria Grazia Mancuso***

Premessa

Una vasta area del territorio della Provincia di Siracusa è stata interessata, apartire dagli anni cinquanta, da un massiccio processo di industrializzazione che neavrebbe fatto il Polo petrolchimico più rilevante d’Europa degli anni settanta.

Un processo di industrializzazione che determinò un profondo cambiamentonella vita economica e sociale del territorio, trasformando la cultura originaria, fon-damentalmente agricola e basata sulle attività della pesca e dell’artigianato, insocietà industriale. Ma negli anni settanta iniziò un’inversione di tendenza che portòalla crisi della società industrializzata italiana e di quella siracusana in particolare.

Il processo di sviluppo dimostrò presto tutti i suoi limiti: l’iniziativa degli impren-ditori locali era rimasta limitata alla struttura industriale senza riuscire a sviluppare unprocesso imprenditoriale autonomo. Le industrie tradizionali, ed in particolare quel-le della filiera alimentare, non erano riuscite a stare al passo con le trasformazionitecnologiche. Non c’era stato un vero e proprio aumento dell’occupazione ma, piùsemplicemente, un passaggio della manodopera dai settori tradizionali all’impresapetrolchimica. Ed accanto ai problemi occupazionali cominciarono ad emergereanche problemi di inquinamento ambientale dell’aria, dell’acqua e del suolo. Questianni furono interessati anche da diversi incidenti industriali di rilevanti dimensioni.

Il Piano di risanamento ambientale

Il 30 novembre 1990, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ilterritorio ricadente nei Comuni di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta, Floridia e

185

* Presidente Provincia regionale di Siracusa.** Ufficio “Piano di Risanamento” Provincia regionale di Siracusa.*** Ufficio “Sanzioni ambientali” Provincia regionale di Siracusa.

Page 179: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Solarino è stato dichiarato “area ad elevato rischio di crisi ambientale”. L’area,che si estende per circa 550 km2 pari al 26,1% dell’intero territorio provinciale, èstata fortemente condizionata dall’esistenza di un Polo industriale di rilevantidimensioni; esso occupa una superficie di 17,43 km2, cioè il 3% circa dell’interaarea ed è collocato esclusivamente lungo la fascia costiera che si stende a norddi Siracusa fino ad Augusta. La concentrazione in un così ristretto territorio di piùinsediamenti produttivi che lavorano sostanze pericolose per caratteristiche ditossicità e/o infiammabilità determina una alta incidenza di rischio di incidenterilevante.

Gli incidenti possibili nell’area sono raggruppabili in 3 grandi categorie: incen-dio, esplosione e rilasci tossici. La popolazione sembra più esposta a eventi dirilascio tossico: si tratta di fenomeni che difficilmente si possono circoscrivere,consistendo nella propagazione di sostanze nell’atmosfera e nei confronti dellequali acquistano grande rilevanza le azioni di tipo preventivo per la riduzione delrischio nei confronti della popolazione. Gli eventi più pericolosi per la popolazio-ne sono rappresentati, comunque, dai fenomeni di incendio e di esplosioneappartenenti alla tipologia BLEVE-Fireball (esplosione fisica ma confinata, deter-minata dalla rapida vaporizzazione di un liquido surriscaldato), UVCE (esplosionenon confinata di una nube di gas o vapore infiammabili, premiscelata con aria) ePool-Fire (incendio di una pozza a seguito di rilascio di un liquido o di una misce-la bifase infiammabile).

Non vanno, inoltre, sottovalutati i possibili effetti domino causati dalla conti-guità di alcuni bacini industriali. Questi fenomeni possono causare gravi effetti suampie e significative porzioni di territorio e nelle aree urbanizzate circostanti edinteressare il sistema viario e la linea ferroviaria Catania-Augusta-Siracusa chepercorre un lungo tratto in seno al territorio degli stabilimenti industriali. I fattoridi rischio sono, altresì, incrementati dalla notevole movimentazione di merci esostanze infiammabili in ingresso e in uscita dei cicli produttivi che avviene attra-verso il trasporto marittimo, ferroviario e su gomma. A ciò si aggiunge l’elevatogrado di sismicità, i cui fenomeni possono rappresentare sorgente di ulteriorieventi incidentali.

Il Piano di disinquinamento per l’area a rischio della Provincia di Siracusa, èstato definitivamente approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del17 gennaio 1995. Infine, con il Decreto del Presidente della Regione Siciliana23.01.96 è stato approvato l’Accordo di programma ed è stato istituito ilComitato di coordinamento.

Lo sviluppo del programma di risanamento è stato articolato in due fasi: unaprima fase conoscitiva, tesa alla comprensione delle problematiche ambientali, euna seconda fase propositiva, finalizzata all’individuazione degli interventi di risa-namento.

L’esame condotto sull’area ha evidenziato ben 5 problematiche che richiedo-no interventi urgenti: l’inquinamento atmosferico che appare piuttosto grave acausa soprattutto delle emissioni del Polo industriale; il rischio industriale per186

Bru

no M

arzi

ano,

Vin

cenz

a S

icus

o, M

aria

Gra

zia

Man

cuso

Page 180: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

incidente rilevante, determinato dalle caratteristiche di infiammabilità e tossicitàdelle sostanze prodotte e lavorate nelle industrie petrolchimiche; il depaupera-mento della falda acquifera, causata dall’approvvigionamento idrico sia industria-le che civile, lo smaltimento dei rifiuti industriali, in ragione degli ingenti volumida smaltire e della mancanza di impianti idonei; l’aspetto sanitario ed epidemio-logico, poiché la mancanza di dati certi ne attribuisce priorità in relazione allanecessità di studi, indagini e monitoraggio.

Sono state, altresì, individuate altre problematiche ambientali da affrontarenel medio-lungo termine: l’inquinamento marino, l’inquinamento idrico superfi-ciale, dovuti soprattutto ad una contaminazione di natura organica e non indu-striale, il degrado delle risorse idriche sotterranee, il degrado paesaggistico e lacompromissione degli ecosistemi naturali, soprattutto di quelli fluviali dove siregistra una riduzione della biodiversità.

Il rischio industriale nel Piano di risanamento

Sulla base delle problematiche sopra indicate, il Piano di risanamento è statoarticolato in 90 interventi, di cui 49 di titolarità pubblica e 41 di titolarità delleimprese private. Per affrontare le problematiche ambientali esso prevede degliobiettivi di natura generale, i macro-obiettivi, ed interventi di natura specifica.

I primi sono diretti ad affrontare problematiche di ampio respiro, spessocomuni a tutti i centri urbani ed industriali, che potrebbero essere risolti con l’at-tività di ordinaria amministrazione ma che vengono inseriti nel Piano affinché sidia loro una soluzione integrata con quella prevista per i problemi specifici del-l’area.

Gli obiettivi specifici sono volti al recupero e alla tutela delle componentiambientali principali ed alla riqualificazione e valorizzazione del territorio.

Gli interventi previsti dal Piano con riferimento al rischio industriale sonoessenzialmente diretti a modificare le preesistenti sistemazioni impiantistichedegli stoccaggi e a realizzare interventi puntuali di rilocalizzazione, di ristruttura-zione delle infrastrutture di trasporto con riferimento ai nodi più critici per lagestione delle emergenze, a realizzare una mappatura del rischio sismico nell’a-rea e una verifica strutturale degli impianti critici; infine si prevede il potenzia-mento delle attività di controllo e manutenzione.

Nella tabella 1, di seguito riportata, vengono indicati i macro-obiettivi, gli obiet-tivi di natura generale, determinati sulla base degli elementi conosciuti, e gli spe-cifici settori di intervento previsti dal Piano con riferimento al rischio industrialeper incidente rilevante.

187

6.5

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

a el

evat

o ris

chio

di c

risi a

mbi

enta

le d

ella

Pro

vinc

ia d

i Sira

cusa

Page 181: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nelle successive tabelle, n. 2 e n. 3, sono riportati gli interventi specificiriguardanti la problematica del rischio industriale rispettivamente posti a caricodelle imprese private e degli Enti pubblici, con Obiettivo B1 che si prefigge diattuare il contenimento del rischio di incidente rilevante nelle installazioni indu-striali attraverso il controllo e la riduzione del rischio di rilascio tossico, di BLEVE-Fireball, di esplosione e di irraggiamento termico.

Gli interventi vengono identificati da un codice alfanumerico; es: A1-1/B doveA indica il macro-obiettivo; 1 rappresenta il codice numerico che indica i settorispecifici di intervento; 1 è il numero progressivo degli interventi nell’ambito deimedesimi obiettivi; B indica la tipologia di finanziamento prevista.

Sotto questo profilo gli interventi possono essere già finanziati (A), da finan-ziare a totale carico dell’azienda (B) e da finanziare con possibili contributi pub-blici (C). Ogni intervento reca un titolo e ne indica il soggetto titolare.

188

Bru

no M

arzi

ano,

Vin

cenz

a S

icus

o, M

aria

Gra

zia

Man

cuso

PRAOIL B1-1/B Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggioin pressione

ENICHEM B1-2/B – Sistema monitoraggio in area acido fluoridricoAugusta B1-3/B – Barriere d’acqua in area acido fluoridrico

B1-4/B – Delocalizzazione serbatoio di stoccaggio acido solforico

ESSO B1-5/B – Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggioin pressione

ENICHEM B1-6/B – Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggioPriolo B2-1/C in pressione

B2-5/C – Dismissione impianto di stoccaggio ammoniacaB3-1/B – Razionalizzazione sistemazione pontili

– Rifacimento cavalcavia strada interna

Tabella 2

Macro-obiettivo Obiettivo Settore di intervento

B – Contenimento B1 – Contenimento del – Controllo e riduzione del rischio didel rischio industriale rischio di incidente rilevante rilascio tossico

in installazioni industriali – Controllo e riduzione del rischio diBLEV-Fireball ed esplosione

– Controllo e riduzione del rischio diirraggiamento termico

B2 – Contenimento dei – Organizzazione della gestione delrischi connessi al trasporto trasportodi sostanze pericolose – Infrastrutture di trasporto

B3 – Miglioramento della – Gestione delle emergenzegestione delle emergenze (piani di emergenza esterni)

– Creazione di infrastrutture(centri di intervento, soccorso)

Tabella 1

Page 182: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Si tratta, come detto, di interventi diretti al contenimento del rischio indu-striale: per esempio la scheda B1-2/B, di titolarità dell’ENICHEM Augusta, oggiSASOL Italy s.p.a., prevede l’installazione di una rete di sensori dislocati in tuttal’area interessata dalla presenza dell’acido fluoridrico, collegati a segnali di allar-me acustico e visivo che garantiscano il controllo continuo per individuare even-tuali fuoriuscite di acido fluoridrico. Il progetto è ulteriormente completato dallascheda B1-3/B, di titolarità della stessa azienda, che prevede la realizzazione dibarriere d’acqua da erogare attraverso appositi ugelli, in collegamento con la reteantincendio, al fine di contenere gli eventuali rilasci di sostanza e capace di ridur-re il calore di irragiamento derivante da ipotetici incendi in aree limitrofe.

Si consideri che queste schede sono collegate ad altre, riportate nella tabella4, che prevedono interventi non direttamente incidenti sul contenimento del

189

6.5

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

a el

evat

o ris

chio

di c

risi a

mbi

enta

le d

ella

Pro

vinc

ia d

i Sira

cusa

Regione Siciliana B3-3/C Rete rilevamento gas infiammabili linea ferroviaria

Consorzio ASI B2-2/C Spostamento strada di accesso al pontile NATOB2-3/C Chiusura al traffico della strada “ex Regia Trazzera”

in prossimità del reparto SG10B2-4/A-C Interconnessione trasporto fluidi tra gli stabilimentiB3-4/C Completamento svincolo autostradale Priolo NordB3-5/C Svincolo autostradale Priolo Sud - Siracusa Nord

ANAS B3-2/C Innesto rapido in uscita da Siracusa Sud

Tabella 3

Regione Siciliana H2-1/C Potenziamento delle strutture di controllo ambientaleH2-2/C Formazione nuove figure professionali per la gestioneI1-1/C degli interventi di PianoI1-2/C Istituzione di un Osservatorio d’Area sull’inquinamentoI1-3/C ambientaleI2-5/C Studio sismico dell’area industrialeI2-7/A Sistema di controllo del rischio d’areaI2-8/A Mappatura della rumorosità ambientale

Rete centralizzata sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischiI4-1/C Centro prevenzione inquinamento e rischi movimentazioneI5-1/C sostanze tossiche e pericoloseI5-2/C Realizzazione del sistema informativo

Strumenti di informazione ambientaleStrumenti di informazione sul rischio

Provincia di I2-1/C Razionalizzazione della rete di monitoraggio della qualitàSiracusa dell’aria

Centro Operativo I2-6/C Programma di monitoraggio periodico di inquinantiProvinciale organici ed inorganici

(D.M. 20 maggio 1991)

ENICHEM Priolo I1-6/C Programmi di studio e sperimentazioni di tecniche per leinnocuizzazioni dei fanghi mercuriosi

Tabella 4

Page 183: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

rischio industriale e tuttavia con esso intrinsecamente collegate; azioni di soste-gno allo sviluppo socio-economico che prevedono, tra l’altro, il potenziamentodelle competenze in campo ambientale ed il potenziamento delle strutture dicontrollo ambientale o azioni di supporto e controllo del piano che prevedono larealizzazione di un sistema informativo territoriale integrato, l’implementazione disistemi di monitoraggio, la creazione di un sistema di controllo del rischio indu-striale d’area o interventi quali il miglioramento delle conoscenze ambientaliattraverso lo studio sul rischio industriale e sulla sismicità del territorio.

L’esigenza di condurre uno studio sismico dell’Area industriale (scheda I1-2/C)scaturiva dal fatto che mancava un lavoro sistematico ed omogeneo in grado didefinire l’adeguatezza delle principali strutture impiantistiche nei riguardi dellesollecitazioni indotte dall’evento sismico; la finalità perseguita guarda alla defini-zione, pertanto, della stima del rischio sismico, alla definizione dei requisiti strut-turali e impiantistici per le infrastrutture industriali presenti nell’area, la progetta-zione funzionale di un Osservatorio del Rischio con funzione di gestione integra-ta del rischio sismico e del rischio di incidente rilevante.

La Rete centralizzata sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischi (sche-da I2-7/A) è diretta alla caratterizzazione dello stato di inquinamento nell’area enella realizzazione di una rete integrata di controllo, basata su postazioni di con-trollo del traffico marittimo, all’acquisizione di immagini relative alla dispersionedi scarichi in mare o di effluenti gassosi in atmosfera ed all’identificazione di fontidi calore. L’intervento è integrato dal Centro prevenzione inquinamento e rischimovimentazione sostanze tossiche e pericolose (scheda I2-8/A) che prevede larealizzazione di un centro, presso la Prefettura, di prevenzione dell’inquinamentoe dei rischi associabili alla movimentazione delle sostanze tossiche e pericolosetrasformabile, in caso di emergenza, in una vera e propria unità di crisi di sup-porto alle decisioni. Il Sistema di controllo del rischio d’area (scheda I1-3/C) pre-vede la messa a punto di uno strumento di valutazione e di controllo del rischioche consente di procedere ad analisi comparative per ottimizzare la gestione delrischio, guidare le scelte operative per minimizzarlo, supportare le decisioni diprogrammazione del territorio, in vista della possibile realizzazione di nuoviimpianti o della delocalizzazione di altri.

I progetti privati sono stati per lo più realizzati ad eccezione di quelli per i qualiè prevista dal Piano una quota partecipativa di finanziamenti pubblici. Questi hannoseguito le sorti dei progetti di titolarità degli Enti pubblici. Per la loro realizzazioneil Ministero dell’ambiente trasferì 100 miliardi di lire nel 1996 alla Regione Sicilianache a tutt’oggi non ha ancora finanziato la loro realizzazione. A fine di sbloccarequesta situazione il Ministro dell’interno, con l’Ordinanza di protezione civile n.3072 del 21 luglio 2000, ha nominato il Prefetto di Siracusa Commissario delega-to per l’attuazione del Piano di risanamento del territorio della Provincia di Siracusa,che è oggi il punto di riferimento per l’attuazione ed il rilancio del Piano.

La maggior parte dei progetti inerenti al contenimento del rischio industriale,quali B3-2/C, B3-4/C e B3-5/C, relativi alle vie di fuga, e I2-7/A (Rete centralizza-190

Bru

no M

arzi

ano,

Vin

cenz

a S

icus

o, M

aria

Gra

zia

Man

cuso

Page 184: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ta sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischi) sono stati, tuttavia, realiz-zati con fondi diversi dal Piano. Con riferimento al rischio sismico, l’ANPA staconducendo uno studio sul territorio e sulle possibili refluenze di questo sugli sta-bilimenti industriali. Restano, però, ancora da realizzare interventi urgenti quali larilocalizzazione dell’impianto SG 14 dello stabilimento ENICHEM s.p.a di Priolo,per lo stoccaggio di ammoniaca e dei relativi sistemi ausiliari, la realizzazionedella rete di rilevamento di gas infiammabili lungo la linea ferroviaria SR-CT e larealizzazione di infrastrutture viarie per la sicurezza, quali lo spostamento dellastrada di accesso al pontile NATO e la chiusura al traffico della strada “ex RegiaTrazzera”.

Si tratta di interventi che sono stati ritenuti urgenti e da attuare in via priorita-ria anche dalla Commissione Clini, costituita dal Servizio IAR del Ministero del-l’ambiente su richiesta del Prefetto di Siracusa nell’agosto del 2000 a seguito diuna serie di incidenti succedutisi in alcuni stabilimenti industriali.

191

6.5

- Il p

iano

di r

isan

amen

to d

ell’a

rea

a el

evat

o ris

chio

di c

risi a

mbi

enta

le d

ella

Pro

vinc

ia d

i Sira

cusa

Page 185: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Riferimenti bibliografici

CAMPEOL G., Area a rischio ambientale di Priolo-Augusta - Analisi e progetti pilota,Provincia Regionale di Siracusa, Laboratorio DELTA, 2002.

CLINI C., Le politiche industriali del Ministero dell’ambiente, in CAMPEOL G., LaPianificazione nelle aree ad alto rischio ambientale, Angeli, Milano 1994.

MARSILI M., ANDOLFI A., Immagine ambientale - Siracusa: Polo industriale e qualità dellavita, Edizione C.D.S. 1985.

SCUOLA MEDIA G.E. RIZZO, Melilli - ricordi, valori e speranze del mio Paese, Esso Italiana,1992.

SEGRE A., Le Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale. Considerazioni introduttive, inMateriali del gruppo di lavoro Agel, per una mappa del rischio e del degrado in Italia,Istituto Geopolitico “F. Compagna”, Napoli 1993.

SICUSO V., Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale - Analisi di un caso-studio nellaProvincia di Siracusa, in “La Termotecnica”, settembre 2000, anno LIV, n. 7.

192

Bru

no M

arzi

ano,

Vin

cenz

a S

icus

o, M

aria

Gra

zia

Man

cuso

Page 186: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.6

IL COMUNE DI TARANTO

Mario Francesco Romandini*

La presenza di un Comparto industriale (ILVA,CEMENTIR, AGIP ecc.) situatoin contiguità della “cinta urbana”, di estensione pari al doppio di quella occupatadall’area urbana, penalizza sia la città di Taranto che il suo hinterland.

La zona maggiormente a rischio è quella del quartiere Tamburi - Croce, ubi-cato a nord del nucleo antico ed è, in alcune parti, compenetrata con il settorepiù industrializzato e più inquinato del territorio urbano.

Tale quartiere si trova a ridosso del Centro siderurgico più grande d’Europa edè interessato da diverse infrastrutture, quali le maggiori arterie stradali e ferro-viarie di collegamento della città in ambito regionale ed interregionale. Il quartie-re, sito in periferia e densamente popolato, è caratterizzato da una strutturasocio-economica in profonda crisi e da un tessuto edilizio in totale degrado.La crisi economica ha colpito, in particolare, il comparto della siderurgia.

Al tempo stesso, l’area costiera, prospiciente il primo seno del Mar Piccolo,contiene un patrimonio paesaggistico, ambientale ed architettonico di rilevanteinteresse.

Inoltre, nella città di Taranto deve essere affrontato il problema relativo aldisinquinamento ambientale con particolare riferimento a quello atmosferico.

A fronte di questa allarmante situazione di degrado ambientale (studidell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno collocato Taranto ai primi postiin Europa nella graduatoria della invivibilità ambientale), obiettivo fondamentale èquello di ridurre al massimo il fattore negativo di pressione sull’ambiente favo-rendo interventi comunque finalizzati a minimizzare gli effetti negativi sulla salu-te delle persone e sulla vulnerabilità dell’ambiente.

La presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante, nell’area tarantina,non può che comportare effetti anche su altri Comuni limitrofi, sia per lo scena-rio incidentale sia per i danni a medio e lungo termine sull’ambiente.

193* Dirigente Settore Governo del territorio, Comune di Taranto.

Page 187: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Soluzioni alla complessità accennata, potrebbero rintracciarsi attraverso l’au-spicabile promozione di una attività di coordinamento intercomunale, anche inragione della competenza delle Amministrazioni provinciali, nell’ambito dellaredazione degli strumenti di area vasta e di coordinamento territoriale, ovverodelle loro varianti di adeguamento alla normativa sul rischio di incidenti rilevanti.

A partire dalle indicazioni del D.M. 9 maggio 2001 è possibile – anzi fortemen-te auspicabile – impostare e promuovere ogni iniziativa volta al coordinamentointercomunale per il recepimento contestuale della normativa in questione.

Di fatto, nella maggior parte dei casi, come viene spiegato nell’Allegato alD.M. 9 maggio 2001, la promozione dell’attività di coordinamento può essereoperata dal “basso” e, in questo caso, l’iniziativa potrebbe essere assunta dalComune di Taranto, o, in alternativa dall’“alto” in ragione delle competenze affi-date alla Provincia mediante delega dalla Regione.

La prima forma di coordinamento potrebbe rientrare nella cosiddetta “program-mazione negoziata”, come accordo procedimentale per la revisione coordinatadegli strumenti urbanistici dei diversi Comuni interessati e come “linea guida” perla promozione del piano territoriale di coordinamento. Questa soluzione appare pos-sibile, tenuto presente che il Comune capoluogo, come, del resto, tutti i Comunidella Puglia, è già attivo per il necessario e obbligatorio adeguamento del vigentePRG al PUTT/P (piano urbanistico territoriale tematico del paesaggio), approvatocon deliberazione della Giunta regionale della Puglia, n. 1748 del 15.12.2000.

Una scelta in tal senso dovrebbe essere promossa, attraverso l’individuazio-ne di una strategia di gestione integrata del territorio, che risolva, a monte, il pro-blema per le aree maggiormente in difficoltà, come sono quelle, ad esempio,individuate in Italia dall’obiettivo 1 dell’UE.

Sarebbe utile prevedere la costituzione di un organismo specifico come, adesempio, una “Agenzia di pianificazione” che assicuri la partecipazione attivadelle istituzioni per il coordinamento di una strategia complessiva, secondo unprincipio di copianificazione urbanistica e ambientale.

Specificazioni ulteriori e precise andrebbero garantite relativamente alle fontidi finanziamento per l’attivazione di quanto previsto dal D.M. 9 maggio 2001, chepossono integrare quelle destinate, di norma, nei bilanci regionali a favore dellaprogettazione urbanistica.

È da porsi anche la questione della copertura finanziaria di eventuali operepubbliche di protezione dal rischio degli abitati e – soprattutto – per l’ambiente,opere che potrebbero essere imposte dalle scelte operate dalla strumentazioneurbanistica o territoriale: se nulla esclude l’uso di finanziamenti provenienti dadiverse fonti, anche della UE, destinati al miglioramento della qualità della vita edello sviluppo sostenibile, appare opportuno definire un quadro chiaro di acquisi-zione delle fonti finanziarie.

Nell’affrontare la problematica del rischio, è necessario tenere presente, dauna parte, il contributo teorico-metodologico portato dalle scienze sociali e, dal-l’altra si deve tener conto delle caratteristiche dell’opera e dell’ambiente circo-stante, per valutare correttamente la probabilità di un evento incidentale e l’en-tità dei danni che si produrrebbero nello stesso ambiente.194

Mar

io F

ranc

esco

Rom

andi

ni

Page 188: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In tal senso, l’analisi dei rischi ha un’impostazione più mirata e scientifica diuna VIA la quale, per quanto fondata su tecniche particolari di confronto e di sin-tesi (come l’analisi multicriteria o strumenti analoghi), si esplica attraverso un giu-dizio complessivo – anche se basato su uno SIA che abbia fornito una dettagliatae approfondita situazione dello stato dell’ambiente e delle sue componenti secon-do criteri multidisciplinari – come espressione ponderata di un “sistema” di valo-ri, definiti da una società in un determinato tempo e un determinato luogo.

L’opportunità di intervenire con un progetto “integrato”, nel caso della cittàdi Taranto, potrebbe essere offerta dalla possibilità di utilizzare la documenta-zione raccolta dal progetto transnazionale Posidonia - Taranto nell’ambito delProgramma Terra.

L’obiettivo principale del progetto consisteva nell’individuazione di una piani-ficazione territoriale che, attraverso il risanamento ambientale, conducesse ad unassetto urbanistico e funzionale delle zone costiere del Mar Piccolo.

La scelta del Mar Piccolo come sito di interesse progettuale è avvenuta per dueordini di motivi. Innanzitutto, la stessa Comunità Europea, nella direttiva 94/43/ CEE“Habitat”, ha riconosciuto il Mar Piccolo sito di interesse comunitario (SIC), data lasua rilevanza dal punto di vista ambientale e faunistico. In secondo luogo questosito riveste, per Taranto, un ruolo nodale di elemento polarizzante, generatore di unpiù complessivo disegno della città; in prospettiva può creare le premesse per unpiano regolatore non più incentrato su di una singola ipotesi di sviluppo territoriale,ma basato, viceversa, su sistemi diversi tra di loro ecologicamente compatibili.

La necessità di utilizzare conoscenze multidisciplinari per la pianificazione diun ambito complesso, quale è quello del Mar Piccolo di Taranto, ha portato alcoinvolgimento di una serie di esperti di diversi settori, che oltre ad una cono-scenza specifica sono anche da tempo testimoni dello sviluppo della città ionica.

Alla raccolta dei dati e delle informazioni degli esperti, si è affiancata una inda-gine sociologica, finalizzata ad individuare le istanze provenienti dalla comunitàdei residenti.

Questa impostazione nasce dalla volontà di costruire una “rete” di conoscenzeche costituisca un forte legame tra differenti soggetti sociali e istituzionali che datempo operano nella realtà locale: quello che spinge alla costruzione di reti ha sicu-ramente una valenza politica, ma è soprattutto di natura comunicativa.

Un utile supporto può quindi essere rappresentato da una “piattaforma valutati-va e interpretativa”. Queste strategie possono nascere opportunamente dall’incro-cio tra le differenti expertises e dall’incrocio tra le expertises e il common sense.

La valutazione degli impatti sulla comunità e la valutazione degli impatti sulsistema ambientale sono tali da necessitare di un loro momento fondativo all’in-terno del processo di elaborazione progettuale: ormai, per molti studiosi di piani-ficazione questi momenti fondativi diventano importanti quanto e più dello stes-so “disegno”, per le ripercussioni che hanno sull’efficacia del piano stesso.

Infine, va tenuta presente la natura globale della concezione paesaggisticacontemporanea, dalla quale è possibile derivare gli usi del territorio e del pae-saggio, ai fini di una calibrata amministrazione della risorsa ambientale, paesag-gistica e territoriale. 195

6.6

- Il C

omun

e di

Tar

anto

Page 189: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Con i presupposti suaccennati, si può, infatti, pervenire ad una lettura analiti-ca e sintetica del paesaggio, alla sua progettazione ed alla sua pianificazione dipiù ampio respiro come estensione fisica e temporale.

L’analisi del paesaggio, nel progetto Posidonia, ha comportato in primo luogola considerazione delle sue varie matrici naturali, storico-archeologiche e percet-tive (fisiologia e psicologia della percezione, percezione ed elaborazione cultura-le dell’ambiente).

Le analisi debbono, in particolare, mettere in evidenza la “vulnerabilità” del pae-saggio stesso attraverso l’individuazione e la caratterizzazione dei fattori o delle areeche presentano la maggiore sensibilità.

Le analisi delle componenti ambientali servono a ricostruire le “matrici” delpaesaggio: vengono quindi date delle interpretazioni, per rendere evidenti i feno-meni che, nel tempo, lo hanno generato e che oggi ne caratterizzano lo stato, siadal punto di vista qualitativo che quantitativo.

La vulnerabilità intrinseca delle aree, individuata per ciascuna componenteambientale, insieme alla vulnerabilità aggiuntiva conseguente ai possibili usi,determina la “sensibilità” complessiva.

In pratica, la presenza di più condizioni di vulnerabilità su una stessa area neaumenta la sensibilità (espressa in termini della perdita irreversibile di risorse edella capacità ad autorigenerarsi) nel caso di una variazione delle condizioni dipressione o di trasformazione.

Il D.M. 9 maggio 2001 prevede l’obbligo da parte delle Amministrazioni comu-nali, di approvare le varianti agli strumenti urbanistici che recepiscano la norma-tiva di prevenzione dagli effetti degli incidenti rilevanti. La mancata approvazionecomporta la verifica da parte del CTR (o di altro soggetto individuato dallaRegione) di ogni concessione edilizia da rilasciare nell’ambito del Comune.

Si può ipotizzare, anche con riferimento alla vulnerabilità delle aree per evita-re il blocco totale dell’attività edificatoria una prima “perimetrazione” delle areemassime di danno (a prescindere dalla gravità del danno, ma legata alla “sensi-bilità” delle aree), nelle more dell’approvazione della variante urbanistica. In basea tale “perimetrazione” (da effettuare con il supporto e le informazioni del gesto-re) saranno soggette a verifica del CTR solo le concessioni edilizie compresenelle aree interne, facendo salvo quanto viene realizzato all’esterno.

In via definitiva, per la ricomposizione del rischio e per la valutazione delledestinazioni d’uso del territorio, è di particolare interesse la possibilità di coordi-nare le procedure di variante urbanistica con la formazione di un programma inte-grato che coinvolga anche i gestori degli stabilimenti ai quali far recuperare partedella spesa per il miglioramento tecnologico, tramite la perequazione del plusva-lore fondiario delle aree limitrofe.

Va, tuttavia, tenuto presente un problema, di particolare rilevanza per gli Entilocali: di fatto, anche perché la materia è assolutamente “nuova” (non solo perl’Italia), non esistono dei finanziamenti specifici, anche in ambito U.E., per la for-mazione dei tecnici delle Amministrazioni e per la progettazione di questa parti-colare strumentazione urbanistica e territoriale.196

Mar

io F

ranc

esco

Rom

andi

ni

Page 190: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

6.7

LA PROVINCIA DI PADOVA

Ignazio Sidoti*, Pier Luigi Matteraglia**

L’attuazione della Direttiva 96/82/CE relativa al controllo del rischio di inciden-te rilevante, recepita col D.Lgs. n. 334/99 prevede processi che possono essereschematizzati in due fasi.

La prima consiste nella definizione delle responsabilità del gestore degli sta-bilimenti e nella definizione delle misure di controllo, attuate col D.Lgs. n. 334/99anche tramite la predisposizione del Piano di Emergenza Interno e del Piano diEmergenza Esterno.

La seconda fase si esplica nel processo di controllo della urbanizzazione daattuarsi secondo il D.M. 9 maggio 2001, che fornisce riferimenti normativi agliEnti preposti alla programmazione e alla pianificazione del territorio.

L’art. 3 del D.M. 9 maggio 2001 stabilisce che “Le Provincie e le città metro-politane [...], individuano nell’ambito dei propri strumenti di pianificazione territo-riale con il concorso dei comuni interessati, le aree sulle quali ricadono gli effet-ti prodotti dagli stabilimenti soggetti alla disciplina di cui al decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334, acquisendo, ove disponibili, le informazioni di cui al suc-cessivo art. 4, comma 3”.

Tali informazioni sono contenute nell’Elaborato tecnico “Rischio di incidentirilevanti (RIR)” che deve essere redatto dalle Amministrazioni comunali.

Inoltre, lo stesso art. 3 prevede: “Il piano territoriale di coordinamento, aisensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 267/00, nell’ambito della determinazione degliassetti generali del territorio disciplina, tra l’altro, la relazione degli stabilimenticon gli elementi territoriali e ambientali vulnerabili come definiti nell’allegato alpresente decreto, con le reti e i nodi infrastrutturali, di trasporto, tecnologici edenergetici, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticità relativamentealle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nel piano di protezione civile”.

197

* Assessore alla Pianificazione territoriale Provincia di Padova.** Esperto in Pianificazione territoriale e ambientale.

Page 191: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1. Il Comunepredisponeil RIR

2. La Provincialo recepiscenel PTP

Gli Enti definisconocontestualmente icriteri di indirizzogenerale e leprocedure diriconformazione di:

1. Pianificazioneterritoriale

2. Pianificazioneurbanistica

PROCEDURE

previste dal D.M. 9 maggio 2001

Una sintesi delle indicazioni contenute nella premessa dell’Allegato al D.M. 9maggio 2001, può essere rappresentata nella tabella che segue.

198

Igna

zio

Sid

oti,

Pie

r Lu

igi M

atte

ragl

ia

La Provincia di Padova ha portato ad uno stadio molto avanzato il Piano terri-toriale di coordinamento. In questa ottica la decisione fondamentale è stata quel-la di svolgere a pieno la funzione di indirizzo e coordinamento rimandando al livel-lo locale le scelte sull’assetto del territorio comunale.

Date tali premesse il ruolo che può svolgere la Provincia di Padova è duplice:– fornire le linee guida di carattere generale che considerano le caratteristiche

del territorio provinciale, le interconnessioni a grande scala con l’individuazio-ne delle implicazioni per ogni ambito soggetto a rischio di incidente;

– predisporre per ognuno degli otto ambiti del territorio provinciale (Albignasego,Borgoricco, Campodarsego, Casalserugo, Correzzola, Masi, Santa Giustina inColle e Padova) degli elementi schematici o direttori che precedono la revisio-ne o la variante del Piano urbano locale, secondo quanto previsto dall’Elaboratotecnico RIR.Nella figura seguente sono riportati il numero di aziende sottoposte ad arti-

colo 5 comma 3, ad articolo 6 e ad articolo 8 del D.Lgs. n. 334/99 per i Comunidel Veneto.

CONCERTATATRADIZIONALE INVERSA

1. Indirizzi generalidal I livelloProvinciale (PTP)

2. Disciplina specificadelle aree con loStrumentourbanisticocomunale

Page 192: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

199

6.7

- La

Pro

vinc

ia d

i Pad

ova

sistema

residenze

luoghi pubblici

infrastrutture

ambiente

vuln

erab

ilità

aumento intensità

aumentovulnerabilità

stress

intensità

probabilità

area interessatadanno

contenimentoe riparazioneriduzione stress riduzione

vulnerabilità

prevenzione

Schema di interazione tra rischio, danno e vulnerabilità del territorio.

Tale indicazione risulta particolarmente utile se coordinata con la nuova leggeurbanistica della Regione Veneto che introduce la suddivisione tra piano struttu-rale e piano operativo e stabilisce i compiti e le funzioni della pianificazione pro-vinciale.

In particolare, il livello del Piano strutturale richiede la predisposizione di tuttii documenti che consentono di evidenziare gli elementi di rischio connessi adeventuali eventi calamitosi nonché la definizione degli aspetti relativi alla sicu-rezza degli insediamenti.

Le iniziative in corso con la revisione del Piano territoriale provinciale e la par-ticolare condizione legislativa urbanistica della Regione Veneto determinano unasituazione favorevole per l’introduzione delle previsioni del D.M. 9 maggio 2001sul controllo della urbanizzazione delle aree a rischio.

Criteri per l’analisi della Vulnerabilità

L’analisi del rischio si fonda sul concetto di vulnerabilità, inteso come capa-cità/possibilità del sistema o di parti di esso a sopportare lo stress provocato daun evento dannoso (incidente rilevante).

L’organizzazione urbana e territoriale fa parte di un processo ampio che coin-volge:– i centri delle decisioni che vengono effettuate nel quadro degli apparati istitu-

zionali;– gli interessi economici e il complesso delle attività che si svolgono nelle strut-

ture della produzione, della distribuzione, del consumo e della residenza.

Page 193: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

I gruppi sociali perseguono nell’ambiente degli obiettivi specifici di utilità attra-verso la gestione delle risorse disponibili. Per fare questo hanno una gamma diprobabilità favorevoli e una gamma di rischi o probabilità sfavorevoli.

Il rischio è associato ad un danno prevedibile, perciò l’utilità finale è il bilanciotra le probabilità favorevoli e il danno legato a quelle sfavorevoli o a rischio.

A bassi livelli di utilità corrisponde una alta probabilità di beneficio complessi-vo di dimensioni vantaggiose limitate, e ad alti livelli di utilità corrisponde unabassa probabilità di beneficio complessivo molto vantaggioso. Il rischio dunquesegue una logica che associa elevate probabilità di danno limitato e quindi di van-taggio certo ma non elevato ad attività comuni, e alti livelli di danno con probabi-lità ridotta ma vantaggi molto elevati per le attività rare.

I rischi sono di vario tipo: i cosiddetti rischi sociali sono quelli che sorgonoall’interno del sistema territoriale esposto a causa della tecnologia (trasporti, trat-tamento industriale dei materiali, e sostanze pericolose ecc.) – e possono pro-durre effetti.

Il rischio è definito come la combinazione di una data probabilità di un eventocon un danno materiale ad esso associato. Nel campo dei rischi industriali la pro-babilità è legata a scelte produttive e all’osservanza dei criteri di sicurezza inter-ni all’impianto, mentre il danno dipende dalle caratteristiche del territorio espo-sto. Il parametro che meglio esprime tali caratteristiche, che variano da luogo aluogo, è la vulnerabilità.

Quanto più una società è sensibile ai problemi della sicurezza tanto più tendea ridurre il rischio associato ai diversi eventi con opportune strategie, che nelcaso dell’evento esterno, o meglio delle ricadute sul territorio di un incidenteindustriale, si manifesta con una riduzione della vulnerabilità di quest’ultimo.

La risposta di un sistema non è lineare rispetto alla variazione di intensità dellostress; a pari intensità si possono manifestare danni diversi e la vulnerabilità èresponsabile di questo. A pari intensità la variazione di danno dipende dalla vul-nerabilità.

La vulnerabilità riguardo al territorio è regolata dal principio funzionale: la vul-nerabilità esprime il grado di organizzazione del sistema.

Rispetto a questo si possono definire alcuni criteri interpretativi per le sogliecritiche di danno:– soglia dell’elasticità;– soglia dell’assistenza.

Garantire una accettabilità del rischio significa, in altre parole, creare le condi-zioni affinché la vulnerabilità del sistema non superi la soglia della elasticità.

La vulnerabilità primaria è quella che un sistema ha in sé prima dell’evento. Ela corrispondente prevenzione primaria è quella che interviene sul sistema perridurne la vulnerabilità fino all’accettabilità.

Nel caso della pianificazione territoriale il campo di azione è quello della ridu-zione della vulnerabilità primaria o della prevenzione che può essere operata in200

Igna

zio

Sid

oti,

Pie

r Lu

igi M

atte

ragl

ia

Page 194: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

tre direzioni: riduzione della probabilità dell’evento; riduzione dell’intensità; ridu-zione della vulnerabilità.

La riduzione della vulnerabilità nasce dal tentativo di chiarire le condizioni dirischio e le modalità di prevenzione dei sistemi complessi, per cui ricomprenderenel proprio quadro concettuale anche le situazioni più semplici. L’attenzione è cen-trata sul danneggiamento iniziale e sulle altre cause che pongono in essere leemergenze di massa, sul ruolo che la vulnerabilità ha nell’amplificare le catene deldanneggiamento e sui provvedimenti di prevenzione che possono essere adottati.

La risposta indiretta si ha quando il sistema introduce la prevenzione e riducecoscientemente la vulnerabilità: con la riduzione della probabilità; con la localiz-zazione; con i vincoli; col rafforzamento strutturale.

In sintesi, la vulnerabilità dipende dal grado di conoscenza del territorio e com-pito della pianificazione è quello di portare le informazioni relative al livello dellaPubblica Amministrazione affinché predisponga gli interventi di prevenzione.

201

6.7

- La

Pro

vinc

ia d

i Pad

ova

Page 195: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

202

Igna

zio

Sid

oti,

Pie

r Lu

igi M

atte

ragl

ia

Codice Provincia Comune Ragione Sociale Attività

Nf049 Padova Albignasego Braghetta s.r.l. Altro

Nf087 Padova Borgoricco Industria chimica Distillazionevalenziana i.c.v. s.p.a.

Df030 Padova Casalserugo Metal cleaning s.r.l. Altro

Df010 Padova Correzzola Clodiagas s.r.l. Depositodi gas liquefatti

Nf083 Padova Masi Atriplex s.r.l. Depositoatmosferici di

liquidi infiammabili

Df004 Padova Padova Air liquide Italia s.r.l. Stabilimentochimico

o petrolchimico

Df047 Padova Padova Vis farmaceutici StabilimentoIst. Scientifico chimico o

delle Venezie s. petrolchimico

Nf051 Padova Padova Geremia s.r.l. Altro

Nf057 Padova Padova Boldrin Giorgio s.r.l. Depositoatmosferici di

liquidi infiammabili

Nf070 Padova Padova Petrolvilla Deposito& Bortolotti atmosferici di

s.p.a. liquidi infiammabili

Df036 Padova Selvazzano dentro Pul met s.r.l. Altro

Allegato

Stabilimenti a rischio di incidente rilevante di cui al D.Lgs. n. 334/99 (artt. 6 e 8)Aggiornamento: ottobre 2001

Provincia di Padova

Art. 6

Art. 8

Codice Provincia Comune Ragione Sociale Attività

Df031 Padova Campodarsego Norditalia resine Stabilimentos.p.a. chimico

o petrolchimico

Nf035 Padova Santa Giustina Autosped s.r.l. Deposito diin Colle fitofarmaci

Nf018 Padova Selvazzano dentro Liquigas s.p.a. Deposito digas liquefatti

Page 196: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PARTE SECONDA

I TEMI APERTI DAL D.M. 9 MAGGIO 2001

203

Page 197: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

204

Page 198: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PREMESSA

Agata Spaziante*

La seconda parte del volume è destinata ad aprire la discussione sulle modalitàcon cui affrontare il complesso rapporto fra insediamenti industriali a rischio di inci-dente rilevante e territorio introducendo argomenti che il D.M. 9 maggio 2001,norma regolamentare, non poteva trattare o approfondire, cercando quindi di rilan-ciare il dibattito su temi meritevoli di evoluzioni o revisioni.

Va ricordato che, come sempre, le opinioni espresse dagli autori invitati a con-tribuire al volume con le proprie esperienze e con i risultati di propri studi e ricer-che, rappresentano, talvolta, un punto di vista personale o sono rappresentativedel ruolo che l’autore ricopre nell’ambito delle competenze e responsabilità deisoggetti, istituzionali e non, interessati dalla localizzazione, trasformazione,gestione di impianti produttivi “Seveso II” e dal processo di urbanizzazione e digoverno del territorio circostante gli stabilimenti.

Non deve, quindi, sorprendere che tali opinioni possano essere talvolta diver-genti, in quanto viste da angolazioni diverse: si è, per questo, volutamente este-so il dibattito ad una ampia e autorevole gamma di interlocutori, chiedendo diintervenire ad una serie di soggetti istituzionali o portatori di interessi di catego-rie imprenditoriali e sociali, a specialisti della normativa Seveso II e della pianifi-cazione del territorio.

La prima parte del volume, che intende commentare il testo normativo, apread una serie di spunti interessanti e offre, nella seconda parte, la possibilità dicontinuare il dibattito fra urbanisti ed esperti di rischio, decisori pubblici e sog-getti economici, proseguendo la feconda esperienza che è stata compiuta nelcorso della predisposizione dello schema di Decreto.

Un confronto e un dibattito serrato tra le Istituzioni nazionali e regionali con-certanti, al quale il contributo dell’UPI e dell’ANCI, nonché delle Associazioni di

205* Politecnico di Torino, Dipartimento Interateneo Territorio.

Page 199: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

categoria ha assicurato una lettura plurima della norma in corso di elaborazione,dovendo tenere conto della complessità e della ricaduta differenziata della nor-mativa sul territorio, sull’ambiente e sulle attività economiche.

Ciò ha certamente reso più complessa la gestione dell’operazione tecnica dicostruzione dello schema di Decreto, ma ha esteso l’attenzione alle molteplicidimensioni del problema e soprattutto assicurato alle norme un equilibrio fra leconflittuali esigenze rappresentate e, comunque, un buon livello di condivisionedel testo e un ampio consenso, da parte dei diversi soggetti.

È in questa ottica, quindi, che si è inteso ospitare, nella seconda parte delvolume, le opinioni di diversi soggetti: Federchimica, Unione Petrolifera e Asso-gasliquidi; la Direzione Pianificazione e Gestione Urbanistica di una Regione; unaAgenzia Regionale per l’Ambiente; il Dipartimento della Protezione Civile; la Dire-zione Generale “Inquinamento e rischio industriale”; studiosi dei diversi aspettiinerenti il Decreto, da quelli che hanno prodotto comparazioni con il panoramadella normativa europea in materia, a quelli che si occupano del problema dellacomunicazione del rischio ai cittadini, a coloro che propongono riflessioni sullecause di incidente o sulle soglie di tollerabilità del rischio; di ricercatori che hannosviluppato studi su temi complementari e correlati, che il Decreto non potevaaffrontare, rientrando in tematiche più ampie della normativa in materia di gover-no del territorio e del rischio di incidente rilevante, come è il caso del rapporto trail sistema della mobilità e le trasformazioni territoriali.

Riteniamo che proprio la ricchezza di questi punti di vista possa agevolare unaevoluzione positiva del processo di adattamento della situazione italiana alledirettive europee, lungo la strada aperta dal Decreto.

Siamo convinti che, come sempre, quest’ultimo abbia solo avviato un pro-cesso, ma che immancabilmente la casistica variegata che si presenterà richie-derà riflessioni, revisioni, miglioramenti delle norme, della loro interpretazione esoprattutto della loro applicazione.

La capacità del Decreto di affrontare e risolvere i singoli casi andrà messa allaprova e pertanto potrà essere incrementata e progressivamente migliorata: unamateria così complessa, in continua evoluzione, difficilmente potrà raggiungereun assestamento e una applicazione a regime in tempi rapidi.

D’altra parte gli strumenti conoscitivi sui processi produttivi, sui materiali trattati,sulle caratteristiche edilizie degli impianti, sugli incidenti, sulle caratteristiche dellefunzioni presenti sul territorio; sull’uso degli spazi e sulla loro vulnerabilità; sulle sen-sibilità dell’ambiente sono in continua evoluzione così come le tecniche per affronta-re l’analisi degli effetti degli incidenti, per mitigare i rischi, per affrontare le emergen-ze. Si prospettano possibilità di conoscenza e di intervento ad oggi non prevedibili.

Analogamente, le esigenze di sviluppo degli impianti industriali ma anche delterritorio sono soggette a una rapida evoluzione ed è in progressiva crescita laconsapevolezza e la preoccupazione dei cittadini in merito al diritto alla sicurezzae alla tutela dell’ambiente, nell’ottica dei principi di sostenibilità, ormai larga-mente accettati dalle istituzioni di governo locale.206

Aga

ta S

pazi

ante

Page 200: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Dunque in un contesto così dinamico ed in una materia così complessa nonsarebbe accettabile un atteggiamento di chiusura che ipotizzi di troncare il dibat-tito al momento in cui è stato emanato il Decreto, prima di potersi confrontarecon una sufficiente casistica applicativa. Né si giustificherebbe un atteggiamen-to di questo tipo dopo il percorso partecipato di costruzione del Decreto stesso.

Questa seconda parte del volume, pertanto, apre la riflessione verso futurisviluppi della materia anche nelle direzioni attualmente e volutamente trascurateper motivi di incertezza riguardo alle competenze coinvolte, di carenze conosciti-ve e di definizione dei tempi per giungere alla conformazione di una normativapiù estensiva e completa.

È per questo motivo che alcuni degli autori segnalano, con forza, la necessitàdi coordinamento tra le normative ed esigenze di approfondimento a propositodi alcuni temi importanti, quali: la comunicazione ai cittadini, l’acquisizione delleinformazioni, il rischio prodotto dal trasporto dei materiali pericolosi per le indu-strie, la migliore definizione delle soglie di tollerabilità del rischio o di vulnerabi-lità dell’ambiente.

Non possiamo che concordare con il giudizio sulla opportunità di ulterioririflessioni, sperimentazioni, ed anche in alcuni casi decisioni, diverse da quelleassunte sulla base delle conoscenze e delle tecniche ad oggi disponibili.

207

Pre

mes

sa

Page 201: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

208

Page 202: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 7

LA REVISIONE, L’ARMONIZZAZIONEE IL COORDINAMENTO DELLE NORMATIVE

209

Page 203: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

210

Page 204: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

211

7.1

LA DIRETTIVA 96/82/CE E LE PROSPETTIVE EUROPEE

Neil Mitchison*

La Direttiva “Seveso II” e il controllo dell’urbanizzazione

L’articolo 12 della Direttiva 96/82/CE recita “Gli Stati membri provvedonoaffinché nelle rispettive politiche in materia di controllo dell’urbanizzazione, desti-nazione e utilizzazione dei suoli e/o in altre politiche pertinenti si tenga contodegli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze”.

Da un punto di vista operativo, questa formulazione può apparire un po’ vaga,e non vincolante sulle decisioni da prendere. Gli Stati devono “tenere conto”degli obiettivi della Direttiva nelle loro politiche di controllo dell’urbanizzazione:ma non è detto che questi obiettivi debbano prevalere su altri obiettivi, ugual-mente legittimi.

Si può ragionevolmente chiedere: se, nell’ambito della Unione Europea, c’è lavolontà di ridurre i rischi da incidenti rilevanti, ovvero di limitarne gli effetti, cui ilcittadino è esposto, attraverso la politica di controllo dell’urbanizzazione, perchéla Direttiva non è più vincolante?

Perché, ad esempio, non si prescrive come il rischio tecnologico dovrebbeessere valutato in relazione ai tessuti edilizi e all’ambiente naturale?

Credo che la ragione sia da cercare in diversi motivi: nella eterogeneità dellepolitiche di controllo dell’urbanizzazione presenti nell’Unione Europea, nelladiversità di strutture tecnico-amministrative di governo del territorio e nella dif-ferenza tra le situazioni locali e territoriali degli Stati membri.

Nel prendere le decisioni sul controllo dell’urbanizzazione, si deve tenereconto di tanti elementi: traffico, rumore, aspetto fisico, altre attività nella zona,domanda di posti di lavoro, servizi pubblici. Come si potrebbe decidere quantosia importante il rischio in confronto a tutti gli altri elementi che vanno valutati?

* Joint Research Centre, European Commission, Ispra (VA).Questo articolo esprime un punto di vista personale e non rappresenta la posizione della

Commissione Europea.

Page 205: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

212

Nei

l Mitc

hiso

n L’unica possibilità di scelta è offerta dalla rilevanza data nelle decisioni politi-che, anche nelle Costituzioni dei singoli Stati membri, della protezione della vitae della salute dei cittadini e della protezione dell’ambiente, a fronte dello svilup-po economico di ogni singola nazione. È quindi un tema molto più profondo dellasemplice “regola” per il controllo dello sviluppo dell’edificazione.

Si può pensare, almeno, di decidere, nell’ambito della Unione, un livello mas-simo di rischio accettabile. Questa scelta, ad esempio, è stata fatta in alcunipaesi, come i Paesi Bassi e il Regno Unito, dove il rischio accettabile è stabilitoin termini di probabilità di incidente letale.

Ma sarebbe difficile proporre una soluzione di questo tipo a livello europeo,soprattutto dovendo tenere conto dei paesi che non accettano – almeno formal-mente – argomenti probabilistici nella valutazione di rischio per il controllo del-l’urbanizzazione.

Viste le divergenze, frutto di diversi approcci tecnici, che si trovano ancora ogginei risultati numerici sia per la probabilità di un incidente che per le sue conse-guenze (come, ad esempio, risulta dal progetto Assurance recentemente termina-to) non si può essere sicuri che un semplice accordo sui “numeri” da utilizzarepossa comportare una maggiore coerenza nelle decisioni prese dagli Stati membri.

È in corso di discussione una modifica alla Direttiva Seveso II, sia nel Consi-glio che nel Parlamento Europeo. La proposta di modifica è stata presentata dallaCommissione nel dicembre 2001.

Negli ultimi due anni si sono verificati due gravi incidenti rilevanti, a Tolosa ea Enschede, che ripropongono in modo eclatante il tema della politica di control-lo dell’urbanizzazione.

Può essere, quindi, sorprendente il fatto che la proposta di modifica alla Diret-tiva Seveso II, almeno come è stata presentata dalla Commissione, non rivedaanche quanto previsto dall’articolo 12.

Dal punto di vista formale, è noto come, in base all’Atto Unico, la pianificazio-ne territoriale e urbanistica non è materia di competenza della Unione Europea.Tuttavia, molti sforzi sono stati fatti dagli Stati nazionali per cercare di armonizza-re le politiche di pianificazione spaziale dell’Unione Europea, sia per coordinare lecompetenze settoriali della Commissione (ambiente, reti transeuropee, ...), sia peraffrontare, in un quadro organico di “competitività bilanciata”, il tema dell’allarga-mento ad est dell’Unione1.

Rimangono ancora valide e si rafforzano, quindi, le ragioni per lavorare piùintensamente per incoraggiare una convergenza nei metodi di valutazione delrischio, che oggi sembra confortata da una volontà, anche ad alto livello politico,di operare in tal senso, almeno in alcuni Stati.

C’è anche un altro elemento importante, in tema di controllo dell’urbanizza-zione: il tempo che si è reso necessario per l’attuazione concreta delle normati-ve nazionali.

Di tutte le norme della Direttiva l’articolo 12 è stato, indubbiamente, il più dif-ficile da recepire nella legislazione nazionale di molti paesi dell’Unione: in gene-

Page 206: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

rale, c’è stato un ritardo nell’entrata a regime di tutta la Direttiva Seveso, ma perla stragrande maggioranza degli Stati membri il ritardo è stato ancora più lungoper l’articolo 12.

Credo che si possano ricercare le ragioni di questo ritardo in almeno tre aspetti:– tecnico: è un compito difficile specificare come la politica del controllo del-

l’urbanizzazione dovrebbe tenere conto dei princìpi della Direttiva, soprattuttoper quei paesi che non avevano definito compiutamente il loro approccio allaquestione del rischio tecnologico;

– di competenza: nella maggiore parte degli Stati membri, il Ministero compe-tente in materia di programmazione e pianificazione del territorio (e quindi peril controllo dell’urbanizzazione) non è quello responsabile dell’applicazionedella Direttiva Seveso II; infatti in molti Paesi dell’Unione non è stato un com-pito facile, per le autorità responsabili della Direttiva Seveso II, concordarecon un altro Ministero le modifiche da introdurre nella politica del controllodell’urbanizzazione. In alcuni paesi, la complessità del sistema di governo delterritorio, che vede autorità responsabili regionali e locali, ha complicato anco-ra di più l’iter per l’approvazione delle normative territoriali e urbanistiche direcepimento dell’articolo 12.

– finanziario ed economico: gli interessi finanziari ed economici in gioco, in tuttigli Stati membri, sono enormi!Con meno di tre anni di esperienza nell’applicazione dell’articolo 12, occorre

dichiarare che non si è ancora formato un repertorio di esperienze tale da con-durre, con consapevolezza, ad una modifica sostanziale dei contenuti dellenorme europee in materia di controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio diincidente rilevante, che comporti una maggiore incidenza nelle politiche digoverno del territorio degli Stati membri.

È presumibile che, data la delicatezza e la rilevanza della questione, la pres-sione per una convergenza tecnica della normativa a livello europeo continuerà,ma personalmente non prevedo, nell’immediato, nuovi provvedimenti giuridici inquesto senso, almeno finché non sia passato qualche anno di esperienza nel-l’applicazione dei provvedimenti esistenti e si siano discusse e comparate, tra itecnici e le autorità politiche degli Stati membri, le diverse strategie e soluzionioperative adottate.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la

Direttiva 96/82/CE”.“Guidance on Land Use Planning as required by Council Directive 96/82/CE

(Seveso II)” (Christou M.D., Porter S.).“Progetto di parere sulla proposta di direttiva del Consiglio di modifica della

Direttiva 96/82/CE”213

7.1

- La

Dire

ttiv

a 96

/82/

CE

e le

pro

spet

tive

euro

pee

Page 207: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Si ricorda, ad esempio, lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE), approvato aPotsdam nel 1999, che rappresenta il risultato dello sforzo volontario, durato circa dieci anni,dei Ministri competenti in materia di assetto del territorio degli Stati membri, di sottoscrivereprincìpi per un quadro organico di pianificazione spaziale (territoriale e geopolitica) di livelloeuropeo, entro il quale inserire le materie settoriali (ambiente, trans european network, patri-monio culturale europeo, ...) di competenza della Commissione.

214

Nei

l Mitc

hiso

n

Page 208: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

7.2

IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

Antonello Fardelli*

Nella metà degli anni settanta, il verificarsi di ripetuti gravi incidenti1 spinse gliStati membri della CEE, anche a seguito di pressioni da parte dell’opinione pub-blica, ad adottare misure più efficaci per la prevenzione o la mitigazione dei rischilegati ad attività industriali particolarmente pericolose.

La direttiva CEE 501/82, nota anche come direttiva Seveso, emanata proprioper fronteggiare questo tipo di incidenti, affrontava il problema in modo più ade-guato e puntuale di quanto fosse stato fatto in precedenza, inserendosi in uncontesto di leggi e vincoli specifici, già esistenti nei Paesi membri.

Tali leggi erano, però, essenzialmente rivolte alla tutela dei lavoratori dagliinfortuni e alla salvaguardia dell’ambiente, dall’inquinamento dell’aria e dell’ac-qua, con riferimento alle condizioni normali di esercizio degli impianti industriali.

La direttiva Seveso ampliava, invece, la tutela della popolazione e dell’am-biente nella sua globalità, fissando l’attenzione sugli eventi incidentali particolar-mente pericolosi; pericolosità determinata dalla gravità delle conseguenze e dallaprobabilità che l’evento ha di verificarsi durante la vita della installazione indu-striale.

Gli elementi caratterizzanti un’industria a rischio di incidente rilevante, ai sensidella direttiva, sono:– l’uso di sostanze pericolose, in quantità tale da superare determinate soglie;– la possibilità di evoluzione non controllata di una attività industriale con

conseguente pericolo grave, immediato o differito, per l’uomo e per l’am-biente circostante a causa di incendio, esplosione o dispersione di sostan-ze tossiche.La direttiva Seveso è stata recepita in Italia con il D.P.R. n. 175/88 “Attuazione

della direttiva CEE n. 82/501 del 24 giugno 1982 relativa ai rischi di incidenti rile-

215

* Direzione “Inquinamento e rischio industriale”, Ministero dell’ambiente e della tuteladel territorio.

Page 209: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

vanti connessi con determinate attività industriali” in seguito modificato e inte-grato da diverse disposizioni normative e di carattere tecnico-applicativo in ulti-mo con la L. n. 137/97 “Sanatoria dei decreti-legge recanti modifiche al decretodel Presidente della Repubblica 17 maggio 1988 n.175, relativo ai rischi di inci-denti rilevanti connessi con determinate attività industriali”.

La direttiva Seveso, dopo oltre un decennio di applicazione, si è evoluta nellacosiddetta direttiva “Seveso II” (direttiva 96/82/CE), tesa ad integrare la norma-tiva sui rischi di incidente rilevante con le più moderne conoscenze ed esperien-ze maturate nel settore.

Il 17 agosto 1999 l’Italia ha recepito la Direttiva “Seveso II” con il D.Lgs.n. 334/99 “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli diincidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.

Le principali innovazioni introdotte dal D.Lgs. n. 334/99, coerentemente conla direttiva europea, sono riassumibili nei seguenti punti:– la prevenzione degli incidenti rilevanti è connessa unicamente alla presenza di

determinate sostanze pericolose e non più allo svolgimento di attività indu-striali che ne possono prevedere l’uso;

– vengono inserite tra le categorie di pericolosità le sostanze pericolose perl’ambiente.

– viene richiesta al gestore la redazione di un documento che definisca la pro-pria politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, corredato dal programmaadottato per l’attuazione del Sistema di gestione della sicurezza;

– sono normate quelle situazioni in cui la probabilità, la possibilità o le conse-guenze di un incidente rilevante possano essere accresciute a causa del luogo,della vicinanza di più stabilimenti o delle sostanze presenti (c.d. effetti domino);

– è prevista l’integrazione del concetto di stabilimento a rischio di incidente rile-vante con quello di pianificazione del territorio, con particolare riferimento alladestinazione e utilizzazione dei suoli;

– è previsto inoltre che il gestore possa esercitare il proprio diritto al segretoindustriale o alla tutela delle informazioni di carattere commerciale, persona-le o che si riferiscano alla pubblica sicurezza, fornendo comunque alla popo-lazione informazioni organizzate e messe a disposizione, previo controllo delleautorità competenti, in una forma ridotta ma che consenta la diffusione delleinformazioni relative.Il D.Lgs n. 334/99 assegna specifici obblighi sia ai gestori degli stabilimenti

a rischio di incidente rilevante che alle diverse Amministrazioni pubbliche coin-volte.

In particolare, il D.Lgs. n. 334/99 identifica quattro diverse categorie di indu-strie a rischio di incidente rilevante ed associa a ciascuna di esse determinatiobblighi.

216

Ant

onel

lo F

arde

lli

Page 210: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nella seguente tabella si riporta un riepilogo schematico degli adempimenti cuisono soggetti i Gestori delle categorie di stabilimenti previste dal D.Lgs. n. 334/99.

217

7.2

- Il q

uadr

o no

rmat

ivo

di r

iferim

ento

A Stabilimenti di cui all’Allegato A in cui sono presenti sostanze Art. 5, comma 2pericolose in quantità inferiori a quelle indicate nell’Allegato I.

B Stabilimenti di cui all’Allegato A in cui sono presenti sostanze Art. 5, comma 3pericolose del tipo elencato al punto 1 dell’Allegato B in quantitàinferiori a quelle dell’Allegato I e superiori ai valori di soglia dicui all’art. 6 del D.P.R. 175/88 e s.m.i.(ex limite di soglia per la Dichiarazione).

2 Stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità Artt. 6 e 7uguali o superiori a quelle dell’Allegato I, parti 1 e 2, colonna 2.

3 Stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità Art. 8uguali o superiori a quelle dell’Allegato I, parti 1 e 2, colonna 3.

Le categorie di stabilimenti individuate dal D.Lgs. n. 334/99*.

* L’indicazione per ciascuna categoria di stabilimenti di un “simbolo” di riferimento è esclusivamente fun-zionale alla trattazione e non ha assolutamente carattere normativo.

Riepilogo dei principali adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 334/99.

A Stabilimento in All. A Attuazione delle misure idonee Art. 5, comma 2Q < All. I (colonna 2) a prevenire gli incidenti rilevanti e

a limitarne le conseguenze –integrazione del documento delD.Lgs. n. 626/94 con l’analisi deirischi di incidente rilevante.

B Stabilimento in All. A ADEMPIMENTI DI CUI ALLA CAT. A Art. 5, comma 3All. B pt 3 < Q < All. I + Relazione(colonna 2) + Informazione (All. V)

+ Piano di Emergenza Interno

2 Q soglie di All. I Notifica - Art. 6(colonna 2) Doc. di Politica di Prevenzione - Art. 7, comma 1

Gestione della Sicurezza - Art. 7, comma 2Pianificazione d’Emergenza - Allegato III, pt. vInformazione (All. V) - Art. 6, comma 5

3 Q soglie di All. I ADEMPIMENTI DI CUI ALLA CAT. 2(colonna 3) + Rapporto di Sicurezza - Art. 8, comma 8

+ Piano di Emergenza Interno - Art. 11, comma 1+ Piano di Emergenza Esterno - Art. 20, comma 1

Page 211: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Gli adempimenti cui i gestori degli stabilimenti sono soggetti derivano dalleazioni che le Pubbliche Amministrazioni, centrali e territoriali, debbono attuare.

Per la sua completa gestione ed attuazione il D.Lgs. n. 334/99 rimanda adalcuni provvedimenti attuativi.

218

Ant

onel

lo F

arde

lli

Rif. Dicasteri Argomento rif. Statusinteressati

1 Min. Amb. di Definisce con un Regolamento art. 4 D.M. 16.05.01concerto con interministeriale i livelli di comma 3 G.U. n. 165 delMin. Trasp. sicurezza per i porti industriali 18/07/01

e petroliferi.

2 Min. Amb. di Linee guida per l’attuazione del art. 7 D.M. 09.08.00concerto con: Sistema di Gestione della comma 3 G.U. n. 195 delMin. Int. Sicurezza, secondo le 22/08/00Min. San. indicazioni dell’allegato III.Min. Ind.d’intesa con laConf. Unif.

3 Min. Amb. di Definisce, secondo le art. 8 In fase diconcerto con: indicazioni dell’allegato II e comma 4 emanazioneMin. Int. tenuto conto di quanto giàMin. San. previsto dal DPCM 31/03/89,Min. Ind. e s.m.i., le linee guida per laSentita la Conf. redazione e valutazione delStato-Reg. RdS, nonché della relazione

prevista dall’art. 5, comma 3.Uno o più Decreti

4 Min. Amb. di Criteri di individuazione di art. 10 D.M. 09.08.00concerto con: quelle modifiche che comma 1 G.U. n. 196 delMin. San. potrebbero causare aggravio 23/08/00Min. Int. del preesistente livello di rischio.Min. Ind.

5 Min. Amb. Disciplina, con apposito art. 11 In fase diRegolamento, le forme di comma 5 emanazioneconsultazione dei lavoratori,previste ai commi 1 e 3.

6 Min. Amb. di Criteri per l’individuazione e la art. 13 In fase diconcerto con: perimetrazione delle aree ad comma 2 emanazioneMin. Int. elevata concentrazione diMin. San. stabilimenti pericolosi, in cuiMin. Ind. è possibile l’effetto domino; led’intesa con la procedure per lo scambio delleConf. Stato-Reg. informazioni fra i gestori e per la

diffusione delle informazioniUno o più Decreti alla popolazione, e le linee

guida per la predisposizionedei piani d’intervento.

I provvedimenti previsti dal D.Lgs. n. 334/99.

Page 212: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

219

7.2

- Il q

uadr

o no

rmat

ivo

di r

iferim

ento

Rif. Dicasteri Argomento rif. Statusinteressati

7 Min. LL.PP. Stabilisce per le zone interessate art. 14 D.M. 09.05.01d’intesa con: da stabilimenti a rischio di comma 1 S.O.G.U. n. 138Min. Int. incidente rilevante i requisiti del 16/06/01Min. Amb. minimi di sicurezza in materiaMin. Ind. di pianificazione territoriale, conConf. Stato-Reg. riferimento alla destinazione

ed utilizzazione dei suoli.

8 Min. Amb. di Adotta atti di indirizzo e art. 16 In fase diconcerto con: coordinamento al fine di comma 1 emanazioneMin. Int. stabilire criteri uniformi perMin. San. l’individuazione degli effettiMin. Ind. domino, delle aree critiche,

delle misure di controllo edell’elaborazione deiprovvedimenti discendentidall’istruttoria tecnica.

9 Dip. Protezione Stabilisce le linee guida per la art. 20 In fase diCivile d’intesa predisposizione del Piano di comma 4 emanazionecon la Conf. Emergenza Esterna, provvisorioStato-Reg. o definitivo, e per la relativa

informazione alla popolazione.

10 Min. Amb. Provvede a disciplinare con un art. 20 In fase diRegolamento le forme di comma 6 emanazioneconsultazione della popolazionein materia di PEE

11 Min. Amb. Criteri per l’organizzazione del art. 25 In fase didi concerto con: sistema di attuazione delle comma 3 emanazioneMin. Int. misure ispettive al fine diMin. San. verificare la politica diMin. Ind. prevenzione degli incidentid’intesa con la rilevanti adottata dal gestoreConf. Stato-Reg. e del relativo Sistema di

Gestione della Sicurezza.Uno o più Decreti

12 Min. Int. Stabilisce le procedure art. 26 D.M. 19.03.01semplificate di prevenzione comma 2 G.U. n. 80 delincendi per gli stabilimenti 05/04/01soggetti all’art. 8 del D.Lgs.

13 Min. Amb. Disciplina le modalità, anche art. 29 In fase didi concerto con: contabili, e le tariffe da comma 2 emanazioneMin. Ind. applicare in relazione alleMin. Tes. istruttorie ed ai controlli

previsti dal D.Lgs.

Page 213: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 1974 - il rilascio di cicloesano e la successiva esplosione presso un impianto chimico diFlixborough (UK) provocò la morte di 28 persone e gravi danni all’area circostante;

1975 - un’esplosione presso un impianto chimico di Beek in Olanda provocò la morte di 14persone ed il ferimento di 106;

1976 - gli incidenti di Seveso (con il rilascio di diossina) e di Manfredonia (con esplosione erilascio di sostanze tossiche) non provocarono vittime, ma danni all’ambiente ed alle popola-zioni delle aree circostanti.

220

Ant

onel

lo F

arde

lli

Page 214: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

7.3

LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO E GLI STABILIMENTIA RISCHIO NELLA REGIONE LOMBARDIA

Giuseppe Rotondaro*, Giancarlo Bello**

In Lombardia sono presenti oltre 350 stabilimenti a rischio di incidente rile-vante, distribuiti in circa 230 Comuni.

Nella sola Provincia di Milano esiste uno stabilimento a rischio ogni 7 chilo-metri quadrati.

Gli stabilimenti a rischio fanno parte del tessuto industriale storico dellaRegione Lombardia e convivono con oltre nove milioni di abitanti.

Questi pochi numeri rendono evidente la specificità lombarda, per quantoconcerne la problematica degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante.

La Regione Lombardia ha recepito con la L.R. 19/2001 il D.Lgs. n. 334/99(Seveso II). L’art. 3 comma 1 della Legge Regionale lombarda attua quanto pre-visto dall’art. 2 “Disciplina Regionale” del D.M. 9 maggio 2001.

Infatti, il D.M. 9 maggio 2001:– all’art. 2 comma 1 assegna alle Regioni il compito della pianificazione urbani-

stica per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante;– all’art. 2 comma 3 precisa che “Le Regioni assicurano il coordinamento tra i

criteri e le modalità stabiliti per l’acquisizione e la valutazione delle informa-zioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 334/99 e quelli relativi alla pianifi-cazione territoriale e urbanistica”;

– all’art. 5 comma 1 lettera b) precisa che ai fini del controllo dell’urbanizzazio-ne, le autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanisticautilizzano per gli stabilimenti soggetti agli articoli 6 e 7 del D.Lgs. n. 334/99,le informazioni fornite dal gestore.Da quanto sopra si evince che, ai fini della attuazione del D.M. 9 maggio 2001,

le Regioni debbono acquisire le informazioni fornite dal gestore degli stabilimen-

221

* Direzione generale Qualità Ambiente, U.O. Protezione ambientale e Sicurezza industriale,Regione Lombardia.

** Comitato tecnico-scientificio Ambiente e Servizi, Giunta Regionale Lombarda.

Page 215: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ti sia soggetti all’art. 8, che soggetti all’art. 6 del D.Lgs. n. 334/99, cioè dal gesto-re degli stabilimenti in cui siano presenti sostanze pericolose in quantità egualeo superiore a quelle indicate nell’allegato I, parte 1, colonna 2, e parte 2, colon-na 2 del D.Lgs. n. 334/99.

La natura delle informazioni da acquisire si desume in modo inequivocabiledall’Allegato al citato D.M. 9 maggio 2001 (tabelle 3a e 3b); esse consistono nellaidentificazione delle ipotesi incidentali e della loro probabilità, gravità ed esten-sione degli effetti.

Per rendere attuabile il disposto del D.M. 9 maggio 2001, l’art. 3 comma 1della L.R. della Lombardia n. 19/2001 definisce le modalità per l’acquisizionedella Scheda di Valutazione Tecnica sui rischi per gli stabilimenti soggetti all’art.6 del D.Lgs. n. 334/99, anche ai fini della pianificazione urbanistica delle zoneinteressate.

Quanto richiesto non costituisce onere aggiuntivo per i gestori; infatti, il gesto-re degli stabilimenti di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 334/99 è tenuto alla effettuazio-ne sistematica, nell’ambito del sistema di gestione della sicurezza (obbligatorio aisensi dell’art. 7 del medesimo D.Lgs.), delle attività specificate nell’Allegato IIIdello stesso Decreto.

L’allegato III specifica al punto c) l’obbligo di procedere sistematicamenteall’attività di identificazione dei pericoli rilevanti derivanti dall’attività normale oanomala e di valutazione della relativa probabilità e gravità.

La Scheda di Valutazione Tecnica sui rischi, richiesta dall’art. 3 comma 1 dellaL.R. 19/2001, contiene esattamente le stesse informazioni che i gestori degli sta-bilimenti di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 334/99, debbono rendere disponibili ai sensidell’Allegato III punto c) del D.Lgs. n. 334/99.

Pertanto quanto richiesto costituisce semplice verifica del corretto adempi-mento di un obbligo di legge previsto dal D.Lgs. n. 334/99, verifica di compe-tenza delle Regioni secondo modalità dalle stesse definite.

Quanto introdotto di nuovo nella legge lombarda mira ad eliminare alcunieffetti distorsivi ed iniqui previsti dalla normativa nazionale; infatti, il D.Lgs. n.334/99 suddivide gli stabilimenti in tre grandi categorie, nel seguito elencatefacendo riferimento (a titolo di esemplificazione) al quantitativo di sostanze tos-siche detenuto:– art. 5 comma 3, detenzione di sostanze tossiche da 10 a 50 ton;– art. 6, detenzione di sostanze tossiche oltre 50 ton e fino a 200 ton;– art. 8, detenzione di sostanze tossiche oltre 200 ton.

Per quanto concerne l’effettuazione e la trasmissione di studi di sicurezza alleautorità competenti, il D.Lgs. n. 334/99 prevede quanto segue:– art. 5 comma 3 - obbligo di inoltro di Relazione tecnica di Sicurezza; – art. 6 - nessun obbligo;– art. 8 - obbligo di inoltro del Rapporto di Sicurezza.

Questo implica che mentre i gestori di stabilimenti con meno di 50 ton disostanze tossiche o con più di 200 t di sostanze tossiche sono soggetti all’obbli-222

Giu

sepp

e R

oton

daro

, Gia

ncar

lo B

ello

Page 216: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

go di inoltrare uno studio di sicurezza alle Autorità competenti, il gestore di unostabilimento con più di 50 ton e meno di 200 ton sarebbe esente da questoobbligo.

Questa situazione introduce una inaccettabile distorsione della concorrenzaed in pratica si traduce in un invito ai piccoli stabilimenti ad aumentare la deten-zione di sostanze tossiche fino a superare la soglia delle 50 t, anche quando nonnecessario, per ottenere semplificazioni burocratiche a scapito della sicurezza.

In una Regione come la Lombardia un apparato normativo che, in pratica,invita i gestori degli stabilimenti a promuovere azioni che comportano un incre-mento ingiustificato dei rischi sul territorio è iniquo e inaccettabile.

Da un punto di vista più generale, si tenga presente che la Regione Lombar-dia ha istruito le analisi di sicurezza di tutte le oltre 200 aziende che rientravanonell’obbligo di “Dichiarazione” ai sensi del D.P.R. 175/88 e che coincidono all’in-circa con quelle ora soggette all’art. 6 del D.Lgs. n. 334/99. Le istruttorie con-dotte con notevole sforzo finanziario e tecnico-organizzativo negli anni 1999-2000si sono concluse con l’emissione del relativo Decreto di autorizzazione alla pro-secuzione dell’attività a determinate condizioni tecniche e organizzative. Lo sfor-zo della Regione è stato largamente apprezzato dalle Amministrazioni locali edalla popolazione. Sarebbe assurdo, ora che la legge demanda alla Regione lacompleta responsabilità su tutte le aziende a rischio, interrompere questa politi-ca di valutazione preliminare dei rischi per i nuovi stabilimenti e di aggiornamen-to periodico della valutazione per gli stabilimenti esistenti e rientranti nell’art. 6.

La Regione Lombardia intende emettere entro l’anno in corso una propriaLinea Guida per la stesura degli Elaborati RIR previsti dal D.M. 9 maggio 2001,che valga sia per gli stabilimenti in art. 8 che per quelli in art. 6 e che tenga contodella specificità dello scenario lombardo.

223

7.3

- La

pian

ifica

zion

e de

l ter

ritor

io e

gli

stab

ilim

enti

a ris

chio

nel

la R

egio

ne L

omba

rdia

Page 217: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

7.4

LE OPPORTUNITÀ E I LIMITI DEL D.M. 9 MAGGIO 2001

Rino Pavanello*

Premessa

Il D.M. 9 maggio 2001 sul “controllo dell’urbanizzazione” è stato emanato aisensi del D.Lgs. n. 334/99, che ha recepito la cosiddetta Direttiva “Seveso II”.

Per comprenderne limiti e opportunità, critiche e consensi riscossi, occorrepartire dal D.Lgs. n. 334/99 e dalle varie novità generali da esso introdotte.

Tra esse, due sono certamente di maggiore interesse per gli aspetti legati allagestione e al controllo dell’urbanizzazione, oggetto specifico di questo articolo:1. il decreto per l’attuazione di un sistema di gestione della sicurezza interno alle

aziende (SGS). L’obbligo di attuare un SGS, previsto dall’art. 3 e nell’allegatoIII, nonché da un successivo D.M. 9 agosto 2000, lo rendono esempio avan-zato a livello internazionale. L’obbligo è sanzionato ed è già in vigore. Per com-prendere sia il tipo di attuazione, sia i risultati prodotti, sarebbe interessantemonitorare lo stato di attuazione del sistema di gestione, poiché è del tuttoevidente che un valido SGS interno non può che dare positive ripercussionisulla gestione del territorio nelle aree a rischio di incidente rilevante.

2. Dalle numerose prescrizioni per la sicurezza intrinseca degli stabilimentisono più rilevanti quelle che coinvolgono le Autorità pubbliche, basti pensa-re ai P.E.E. (Piani di Emergenza Esterna) e alle “schede di informazione perla popolazione”, che coinvolgono i Prefetti, i Sindaci, le ASL e il sistemapubblico di intervento (Vigili del Fuoco, Ospedali, Croce Rossa ecc.). Anchein questo caso, si compone un quadro prescrittivo d’intervento, compostoda diversi strumenti che possono avere ricadute positive per la sicurezza delterritorio:– l’obbligo dei piani di emergenza interna ed esterna, la loro verifica, i com-

portamenti in caso di accadimento di un incidente rilevante;

225* Segretario nazionale Associazione Ambiente e Lavoro.

Page 218: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– la forte innovazione dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni e delsistema dei controlli;

– la possibilità di approvare leggi regionali per dettagliare e specificare lemisure di sicurezza e le politiche di prevenzione;

– il coinvolgimento della popolazione e dei lavoratori.Il D.M. 9 maggio 2001 è previsto dall’art. 14 comma 1 del D.Lgs. n. 334/99, e

stabilisce “per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante… requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferi-mento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessitàdi mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali nonchédegli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti o limitarne le conseguenze, per:a) insediamenti di stabilimenti nuovib) modifiche degli stabilimenti [ ...]c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad

esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residen-ziali, qualora l’ubicazione o l’insediamento o l’infrastruttura possano aggrava-re il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante”.Lo stesso titolo del D.M. 9 maggio 2001 evidenzia e ribadisce il concetto di

“criteri minimi”.Il comma 6 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 impone ai gestori “in caso di sta-

bilimenti esistenti ubicati vicino a zone frequentate dal pubblico, zone residenzialie zone di particolare interesse naturale ... di adottare misure tecniche comple-mentari per contenere i rischi per le persone e l’ambiente, utilizzando le miglioritecniche disponibili”.

Le scelte prioritarie effettuate dal legislatore sono interpretabili dalla letturacongiunta del comma 1 e del comma 6 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 334/99, che evi-denziano, tra l’altro:– che i “requisiti minimi” devono essere intesi come misure “minime/esempli-

ficative e non esaustive”;– i vocaboli utilizzati “requisiti minimi” … “opportune” distanze ... misure “com-

plementari” … le “migliori tecniche disponibili”; l’obbligo di utilizzare tra le tec-niche disponibili “le migliori” anziché quelle “ragionevolmente possibili” (indi-cazione contenuta in altri decreti sulla sicurezza) è una scelta voluta dal legisla-tore che deve essere collegata a quelle contenute nell’art. 2087 del Codice civi-le o nel D.Lgs. n. 626/94 (a partire dalle misure generali indicate nell’art. 3) onella quasi totalità dei decreti italiani di recepimento delle ultime direttive UEsulla sicurezza sul lavoro.Il D.M. 9 maggio 2001 specifica, ai commi 3 e 4 dell’art. 1, che le norme con-

tenute sono finalizzate a:– fornire orientamenti comuni ai soggetti competenti in materia di pianificazio-

ne urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell’ambiente;– semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che raccordare le leggi e i rego-

lamenti [...];226

Rin

o P

avan

ello

Page 219: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– tali norme si applicano anche ai casi di variazione degli strumenti urbanisticivigenti conseguenti all’approvazione di progetti di opere di interesse statale [...]Per comprendere le possibilità e i limiti di questo decreto occorre prima esa-

minare storia e limiti dei due decreti, il D.P.R. n. 175/88 e il D.Lgs. n. 334/99 suirischi di incidenti rilevanti, che hanno recepito le due omologhe Direttive, n.82/501/CEE e n. 92/86/CE, poiché da essi nascono e ne sono in gran parte con-dizionati.

La prima, la DIR. 82/501/CEE, venne recepita con il D.P.R. n. 175/88, con oltrequattro anni di ritardo (nel maggio 1988 rispetto a gennaio 1984) ed ai sensi diuna delega che scadeva pochi giorni dopo, grazie ad una intensa e continua ini-ziativa delle Associazioni ambientali e sindacali, sostenuta da larga parte dei gior-nalisti che si interessavano di tematiche ambientali.

Il D.P.R. n. 175/88 fu approvato in Consiglio dei Ministri grazie alla convinta ini-ziativa dell’allora Ministro dell’ambiente Giorgio Ruffolo, che seppe far superareperplessità ed esitazioni presenti in altri Ministeri, che temevano di perdere pre-rogative ad essi assegnate da altre norme di legge, in particolare sugli aspetti col-legati: relativi ai controlli di ASL, Regioni e Comandi dei Vigili del Fuoco e ai com-piti di Enti ed Istituti nazionali (ISPESL, ISS, CNR).

L’approvazione del decreto sui rischi di incidenti rilevanti aprì la strada all’ap-provazione di altri importanti decreti, tra cui il D.P.R. n. 203/88 sull’aria, avvenutala settimana successiva e quasi al limite rispetto alla scadenza della delega alGoverno.

Il D.P.R. n. 175/88 conteneva numerosi limiti dei quali, tuttavia, tutti erano per-fettamente consapevoli e che furono sin da allora immediatamente evidenziati inrelazione a:– numero eccessivo di Enti/Istituti che dovevano esprimere un parere di natura

vincolante per la conclusione delle istruttorie delle aziende a rischio di inci-dente rilevante;

– assenza di risorse dedicate per interventi di assistenza alle imprese e di infor-mazione ai lavoratori e ai cittadini;

– carenza di personale e mancata previsione di aggiornamento professionaleper i funzionari pubblici incaricati dei controlli.Le principali Associazioni, Ambiente e Lavoro e Legambiente, proposero

immediati correzioni al testo di legge.Tuttavia l’approvazione del D.P.R. n. 175/88 fu salutata come uno “spartiacque”

tra il prima e il dopo e una vittoria da parte delle Associazioni ambientaliste, poiché:– imponeva alle aziende a rischio rilevante di attuare una “valutazione” dei

rischi esistenti e di assumere tutte le misure di prevenzione, sicurezza edemergenza necessarie;

– consentiva di conoscere finalmente i nomi, la dislocazione territoriale ed il tipodi pericoli esistenti, poiché imponeva alle aziende l’invio alle Autorità pubbli-che di una apposita notifica (o di una dichiarazione) in funzione della quantità-pericolosità degli agenti chimici presenti; 227

7.4

- Le

oppo

rtun

ità e

i lim

iti d

el D

.M.9

mag

gio

2001

Page 220: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– consentiva a tutti, lavoratori e cittadini, di conoscere l’elenco dettagliato e lequantità delle sostanze pericolose e i singoli pericoli/rischi che ne derivavano,superando in tal modo il vincolo del “segreto industriale” che era stato sem-pre prima invocato per non dare informazioni.Ci vollero tuttavia oltre dieci anni perché una parte dei limiti venissero supe-

rati: prima con la L. n. 137/97 e poi con il D.Lgs. n. 334/99.La L. n. 137/97 ha in parte modificato il sistema di verifica-controllo da parte

delle strutture deputate ed ha inserito l’importante “scheda di informazione perle popolazioni” elemento tra i più qualificanti a livello internazionale, anche sespesso sostanzialmente inattuato a livello delle singole comunità locali.

Il D.Lgs. n. 334/99 ha avuto un iter travagliato almeno per quanto riguardavala definizione del suo campo di applicazione, ovvero quali dovessero essere leaziende che rientravano nei suoi obblighi previsionali; ciò ha però consentito unpercorso assolutamente trasparente, che si è giovato di numerose audizioni pub-bliche istituzionali, anche presso le Prefetture o le Regioni per ascoltare in locole proposte di tutti i soggetti sociali interessati.

Alcuni interlocutori hanno criticato il D.M. 9 maggio 2001, qualcuno non nevoleva neppure la nascita: ma, come tutti i decreti, anche questo ha pregi e limi-ti, derivanti dal “DNA del genitore” (cioè le varie direttive e decreti di recepimen-to delle “Seveso I” e “Seveso II”.

Occorre, prima di tutto, ricordare che i decreti di cui trattiamo discendono daobblighi comunitari, per cui qualsiasi modifica deve rispettare le indicazioni mini-me contenute nella Direttiva 96/82/CE, a partire dal recepimento delle misure dicontrollo dell’urbanizzazione ivi previsto.

Sotto l’aspetto degli adempimenti comunitari – la cui elusione porta all’aperturadi una procedura di infrazione – ma, soprattutto rispetto alla salvaguardia della vitadelle persone e la tutela dell’ambiente, l’attuazione del D.M. 9 maggio 2001, comedi tutte le altre norme della medesima disciplina, è dunque essenziale ed urgente.

Rispetto ad alcune critiche sull’eccessiva “pesantezza” degli obblighi richia-mati dal D.M. 9 maggio 2001, occorre ricordare che:1. gli obblighi generali sono già contenuti nel D.Lgs. n. 334/99, tanto che il D.M.

9 maggio 2001, nell’art. 1 (Ambito di applicazione e finalità) specifica alcomma 3 che “Le norme […] sono finalizzate [...] a fornire orientamenticomuni ai soggetti competenti in materia di pianificazione territoriale e urba-nistica e di salvaguardia dell’ambiente”;

2. le competenze delle Regioni (e delle altre Autorità locali, a partire dal Sindaco,ai Prefetti, alle ASL e ai Comandi dei Vigili del Fuoco) sono state salvaguar-date (molto prima dell’approvazione della cd. Legge sul Federalismo) tramitel’art.18 del D.Lgs. n. 334/99 (modificato e integrato rispetto alla versione ori-ginale proprio su richiesta delle Regioni);

3. le Regioni hanno possibilità di legiferare in materia ed alcune lo hanno giàfatto, sia pure in modo diverso, aprendo una gamma di soluzioni possibili econfrontabili tra loro;228

Rin

o P

avan

ello

Page 221: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

4. si dettano prescrizioni su un numero limitato di aziende a rischio di incidenterilevante, le quali, tuttavia, in caso di incidente, possono produrre conse-guenze gravissime sia per le persone sia per il territorio sia per l’economia(basti ricordare le conseguenze degli incidenti dell’Icmesa, della Farmoplant,di molte raffinerie e, da ultimo, il grave incidente di Tolosa).Il vero problema è se deve esistere un “minimum” di prescrizioni valido in

ogni Regione oppure se possano esistere condizioni sostanzialmente diverse.Si tratta, come appare evidente nel D.M. 9 maggio 2001, di misure minime

obbligatorie, che possono essere ulteriormente modificate e dettagliate, secon-do un principio di precauzione, con la definizione del quadro legislativo regiona-le, in base all’art. 72 del D.Lgs. n. 112/98, quadro che si dovrebbe comporreanche usufruendo delle indicazioni di metodo – spesso esortative – riportate nelmedesimo D.M. e nell’allegato tecnico.

Sotto questo aspetto, l’opportunità offerta alle Regioni di individuare, sotto lapropria responsabilità, normative e metodi di gestione contestuali della politicadel territorio e della sicurezza, dovrebbe stimolare le migliori capacità presentipresso queste Istituzioni, alle quali, anche in base alla riforma del Titolo V dellaCostituzione, è affidata la responsabilità di dare risposte concrete ai cittadini.

È del tutto vero che esistono realtà regionali diverse con presenza assoluta-mente differente di aziende a rischio di incidente rilevante, basti pensare allaLombardia, con alcune centinaia di stabilimenti “dispersi” nel territorio e allaBasilicata o alla Val d’Aosta, nelle quali sono presenti poche unità di stabilimen-to a rischio di incidente rilevante, in genere ex art. 6 del D.Lgs. n. 334/99.

Il numero delle aziende e la estensione del territorio compreso nelle “circon-ferenze di rischio” su cui potrebbero gravare le potenziali conseguenze e la pre-senza in queste zone di attività, insediamenti o infrastrutture o zone di particola-re rilevanza paesaggistico-ambientale rende più complessa la definizione di unapolitica urbanistica capace di governare le differenti realtà e gli effetti determi-nabili dagli scenari di incidente rilevante e, nel contempo, di non comprimere lecapacità imprenditoriali e sociali dei singoli territori.

Si è anche rilevato che alcune aziende, nella definizione di tali “circonferenzedi rischio”, si comportano in modo diverso:– ampliandole se non vogliono nuovi insediamenti vicini o vogliono comprare

aree limitrofe;– ovvero riducendole se ne hanno già esistenti e non vogliono avere conflitti.

Trattandosi di applicazione di irrinunciabili obblighi comunitari, occorre appli-care il D.M. 9 maggio 2001 nelle sue parti “sostanziali”, cioè nella definizione deilimiti minimi che garantiscono la salvaguardia della vita e dell’ambiente, mentregli allegati possono subire modifiche migliorative in presenza di esigenze verifi-cate e verificabili.

L’attuazione del decreto, che si confronta con i casi reali, potrà produrre unaserie di verifiche e di condizioni per la sua modifica, considerando, da una parte,il progressivo sviluppo della conoscenza e delle tecniche di sicurezza e, dall’altra, 229

7.4

- Le

oppo

rtun

ità e

i lim

iti d

el D

.M.9

mag

gio

2001

Page 222: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

l’entrata a regime di norme molto innovative per la pianificazione territoriale eurbanistica.

Se queste condizioni saranno premessa e convinzione di tutti, si possonoanche ragionevolmente verificare le parti più tecniche del D.M. 9 maggio 2001,altrimenti chi ne chiede oggi modifiche sia formali sia consistenti, senza neppu-re aver verificato sul campo l’applicabilità di tale normativa, potrebbe far pensa-re di perseguire altri obiettivi.

230

Rin

o P

avan

ello

Page 223: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 8

I SETTORI PRODUTTIVI

231

Page 224: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

232

Page 225: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

8.1

IL SETTORE DELLO STOCCAGGIO DEI GASDI PETROLIO LIQUEFATTO

Rita Caroselli*

I depositi di Gpl: struttura e distribuzione sul territorio

Il GPL (Gas di Petrolio Liquefatto) è un combustibile dalle spiccate caratteri-stiche ecologiche e, pertanto, costituisce una importante fonte energetica nel-l’ambito del sistema di approvvigionamento energetico del Paese.

Infatti, nel settore dell’autotrazione il GPL è in grado di fornire un significativoapporto ai fini della riduzione dei tassi di inquinamento delle città, mentre nell’u-so per la combustione esso si propone quale valida alternativa al gas naturale intutti quei luoghi (zone montane, isole ecc.) non servite dalla rete dei metanodot-ti, per la diseconomia del relativo investimento.

I consumi di GPL in Italia, attualmente, sono pari a circa 2.400.000 t./anno perl’uso combustione (domestico, agricolo, industriale e artigianale) – cui corrispon-dono oltre sette milioni di utenti – e a circa 1.400.000 t./anno per l’uso autotra-zione con oltre 1.200.000 automobili circolanti alimentate a GPL. Gli orientamentinazionali ed internazionali in materia di controllo dell’inquinamento fanno, inoltre,concretamente intravedere la reale possibilità di un progressivo e significativoampliamento del mercato.

Il GPL commercializzato in Italia è, per la quasi totalità (80% circa), di prove-nienza estrattiva mentre solo il 20% circa è proveniente dalle raffinerie, nellequali esso è ottenuto quale prodotto di testa della distillazione del petrolio.

Dai luoghi di produzione (essenzialmente il Nord Africa e il Mare del Nord peril GPL di natura estrattiva) il prodotto viene spedito mediante navi gasiere chescaricano in depositi denominati costieri in quanto in grado di ricevere il GPLdirettamente dalla nave che si collega al deposito mediante idonee tubazioni edimpianti.

233* Direttore Assogasliquidi.

Page 226: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Dai depositi costieri il GPL viene poi trasferito, a mezzo autobotti o ferrocister-ne, presso i depositi interni, che sono presenti su tutto il territorio nazionale (circa400 depositi), e da questi distribuito all’utenza finale – sia in forma sfusa (piccoliserbatoi e reti canalizzate) che condizionata (bombole) – ovvero ai punti vendita car-buranti per il successivo rifornimento degli automobilisti che utilizzano il GPL.

La struttura logistica del GPL consiste quindi in un numero piuttosto esiguo(poche unità) di depositi costieri di apprezzabile capacità e di alcune centinaia didepositi interni distribuiti capillarmente su tutto il territorio nazionale e allocati,per lo più, in posizione baricentrica rispetto al proprio bacino di utenza in mododa minimizzare i costi di trasporto e di distribuzione.

Le problematiche di compatibilità territoriale che ordinariamente si pongonoper tutte le attività industriali risultano quindi esaltate in relazione al numero didepositi di GPL esistenti ed alla loro allocazione sul territorio.

L’evoluzione normativa per i depositi di Gpl

Il GPL è, per caratteristiche proprie, una sostanza estremamente infiammabi-le e, in determinate condizioni, suscettibile di esplodere. In relazione a questecaratteristiche la normativa in materia di attività a rischio di incidente rilevanteprevede l’assoggettabilità dei depositi di GPL alla disciplina sui controlli dei peri-coli connessi a determinate sostanze pericolose quando il quantitativo dellasostanza in deposito è superiore a 50 t., imponendo la presentazione del“Rapporto di Sicurezza” qualora si superi la soglia delle 200 t.

Tali valori di soglia fanno sì che la quasi totalità dei depositi di GPL risulti sog-getta alla disciplina sui rischi d’incidente rilevante.

La struttura impiantistica e gestionale di un deposito di GPL si presenta diestrema semplicità, in quanto non si effettuano lavorazioni di processo ma esclu-sivamente movimentazione a ciclo chiuso del GPL a mezzo di adatti sistemi dipompaggio e spiazzamento del prodotto; per la conduzione tecnica di un depo-sito di GPL è necessario un numero abbastanza esiguo di lavoratori, numero cheaumenta nei depositi dotati di impianti per l’imbottigliamento.

Queste due importanti caratteristiche dei depositi di GPL (diffusione su tuttoil territorio nazionale ed estrema semplicità della struttura impiantistica e gestio-nale) hanno fatto sì che essi fossero tra le prime attività ad essere analizzate evalutate – con il grado di approfondimento imposto dalla rigida disciplina sui rischid’incidente rilevante – già a partire dalla Direttiva 82/501/CEE (Seveso I), che fuimmediatamente attuata nell’ambito della specifica normativa di prevenzioneincendi con l’emanazione del D.M. 2 agosto 1984, anche se formalmente rece-pita in Italia con il D.P.R. n. 175/88.

Peraltro, va notato che i nuovi criteri di valutazione introdotti dalla DirettivaSeveso I e dal D.P.C.M. 31 marzo 1989 (attuativo dell’art. 12 del D.P.R. n. 175/88concernente la redazione dei rapporti di sicurezza), non sempre trovarono unifor-me applicazione.234

Rita

Car

osel

li

Page 227: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Assieme a qualche “disfunzione” a livello territoriale vi fu però anche la presadi coscienza della necessità di provvedere con urgenza all’adeguamento tecno-logico dei depositi che sopravvivevano confortati solo da una norma tecnica risa-lente al 1956.

Furono quindi emanati, in rapida successione, due importanti decreti: il primodel Ministero dell’ambiente del 14 aprile 1994 recante “Criteri di analisi e valuta-zione dei Rapporti di Sicurezza relativi ai depositi di GPL” ed il secondo delMinistero dell’interno del 13 ottobre 1994 che costituisce la “Regola tecnica diprevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio dei depositidi GPL in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 mc e/o in recipientimobili di capacità complessiva superiore a 5000 kg”.

Il D.M. 13 ottobre 1994, tuttora in vigore, ha imposto l’adeguamento tecno-logico e gestionale dei depositi di GPL agli standard più moderni, andando ancheoltre quanto è ordinariamente previsto per la medesima tipologia di attività neglialtri Paesi industrializzati.

In particolare, il D.M. ha imposto l’obbligo della protezione dei serbatoi fuoriterra mediante una adeguata combinazione di sistemi di protezione passiva (coi-bentazione) e di protezione attiva (impianto fisso di raffreddamento) che con-sente di remotizzare enormemente il rischio di BLEVE1 del serbatoio; il decretoha, inoltre, introdotto nuove metodologie di installazione dei serbatoi, preveden-do sia la possibilità di installazione “in tumulo” (cioè ricoperto di terra), che l’in-stallazione completamente interrata. Entrambe tali modalità di installazione deiserbatoi sono intrinsecamente sicure rispetto al rischio di BLEVE, garantendoaltresì un ridotto impatto visivo.

Il D.M. 14 aprile 1994 ha avuto, invece, il grande merito di specializzare ilmetodo generale di valutazione del rischio, contenuto nel D.P.C.M. 31/03/1989,adeguandolo alle caratteristiche proprie dei depositi di GPL ma, soprattutto, haavuto il merito di presentare – per la prima volta – a tutti i soggetti valutatori l’es-senza dei possibili fenomeni incidentali connessi all’esercizio dei depositi di GPL.

Purtroppo però, il decreto aveva un taglio troppo deterministico, cosicché l’e-vento assunto a riferimento dalla Autorità pubblica per le proprie determinazioniera quasi sempre il massimo evento incidentale presentato nel decreto, indipen-dentemente dalle realtà impiantistiche e gestionali caratteristiche del deposito equindi dalla probabilità che esso potesse effettivamente verificarsi. Accadeva poiche in situazioni diverse, ma totalmente confrontabili sia dal punto di vistaimpiantistico e gestionale che dal punto di vista della conformazione territoriale,le diverse Autorità preposte alla valutazione si esprimessero in maniera estre-mamente divergente.

Sulla base di tali risultati, si rese necessario provvedere alla emanazione di unnuovo decreto che, abrogando il D.M. 14 aprile 1994, definisse criteri di analisi evalutazione più rigidi e che si estendessero anche alle problematiche della com-patibilità territoriale e delle prescrizioni conseguenti la chiusura dell’istruttoriatecnica. 235

8.1

- Il s

etto

re d

ello

sto

ccag

gio

dei g

as d

i pet

rolio

liqu

efat

to

Page 228: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Si giunse quindi alla emanazione del decreto del Ministero dell’ambiente del 15maggio 1996 recante “Criteri di analisi e valutazione dei Rapporti di Sicurezza rela-tivi ai depositi di GPL”, tuttora in vigore, il quale si è mostrato strumento idoneo alraggiungimento di un apprezzabile grado di cosciente uniformità valutativa da partedella Pubblica Amministrazione, costituendo altresì il riferimento per la stesura diun analogo decreto concernente i depositi di prodotti liquidi facilmente infiamma-bili e/o tossici (D.M. 20 ottobre 1998) nonché per lo stesso D.M. 9 maggio 2001.

È da sottolineare che l’insieme delle prescrizioni tecniche e gestionali resecogenti dal D.M. 13 ottobre 1994 già consente, in generale, di pervenire – nellaquasi totalità dei casi – a condizioni di sicurezza tali da garantire la compatibilitàterritoriale del deposito. Se tali prescrizioni sono poi integrate da ulteriori prov-vedimenti tecnici e gestionali specificati dal D.M. 15 maggio 1996, è possibilepervenire a condizioni tali da poter ritenere “marginale” il rischio connesso alverificarsi dei maggiori eventi incidentali prevedibili e di considerare “credibili”solo eventi incidentali minori, i cui effetti possono spesso essere contenuti all’in-terno del perimetro dello stabilimento.

Il D.M. 9 maggio 2001 e i depositi di GPL

Il D.M. fornisce uno strumento di valutazione che – in sede di approvazionedei progetti di nuovi insediamenti industriali a rischio o di modifica degli stabili-menti esistenti con aggravio del preesistente livello di rischio – tenga conto, oltreche del contesto urbanistico esistente, anche dei programmi di sviluppo previstidagli strumenti urbanistici provvedendo, se del caso, anche alla adozione di appo-sita variante urbanistica.

Esso quindi non si pone come provvedimento normativo ostativo dello svi-luppo industriale e delle dinamiche imprenditoriali dei gestori degli impianti arischio ma, anzi, se possibile, tende piuttosto ad incentivarli garantendo neltempo condizioni di stabilità ed equilibrio territoriale.

Per quanto riguarda l’impatto del decreto sulla specifica realtà dei depositi diGPL, va evidenziata la volontà di mantenere efficace l’attuale sistema standarddi valutazione: ciò è riscontrabile nei vari richiami al D.M. 15 maggio 1996 ed inparticolare nell’esplicito riferimento effettuato al punto 6.3.2 dell’Allegato tecni-co al D.M. 9 maggio 2001.

In proposito, va evidenziato che l’Allegato tecnico ha preso spunto proprio dalD.M. 15 maggio 1996, recependolo totalmente per quanto attiene ai depositi diGPL, all’evidente scopo di mantenere in vita le consolidate procedure di analisi evalutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai predetti depositi così come esplici-tamente sancito al punto 6.3.2 dello stesso Allegato.

Tale apprezzabile e condivisibile intento, però, non sempre appare chiaro dallalettura dell’Allegato tecnico che, in alcuni punti specifici, sembra fornire prescri-zioni valide per tutte le attività soggette al D.Lgs. n. 334/99 in difformità dall’in-dirizzo innanzi citato.236

Rita

Car

osel

li

Page 229: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Si fa riferimento al paragrafo relativo alle informazioni fornite dal gestore(punto 7.1) ove, al terzo alinea, si rimanda – per tutti gli stabilimenti – al punto6.3.1 che impone la definizione delle classi di probabilità di ciascun evento inci-dentale, senza peraltro specificare l’unità di misura di riferimento (che, notoria-mente, è assunta in accadimenti/anno) e che indica la necessità di specificareanche eventi incidentali con associata una probabilità inferiore a 10-6 con tutte leindeterminazioni connesse alla mancanza di un limite inferiore.

È evidente che, poiché la metodologia utilizzata dal D.M. 15 maggio 1996 nonprevede la valutazione delle probabilità degli eventi incidentali in termini di acca-dimenti/anno, ma solo la categorizzazione delle singole unità critiche e la conse-guente classificazione del deposito secondo le risultanze della applicazione di unmetodo indicizzato, la richiesta delle probabilità non può ritenersi coerente conquanto disposto al punto 6.3.2 in merito all’applicazione del D.M. 15 maggio 1996.

Pertanto, non sembra potersi dubitare che il terzo alinea del punto 7.1dell’Allegato tecnico debba essere interpretato come riferito a tutti gli altri stabi-limenti (e cioè a quelli diversi dai depositi di GPL di cui al secondo alinea dellostesso punto 7.1).

Per quanto poi concerne il testo normativo del D.M. 9 maggio 2001, un’at-tenzione particolare va riservata a quanto previsto negli artt. 2, 3 e 4 laddove sidelineano le competenze delle Autorità locali (Regioni, Province, Comuni) inmateria di pianificazione territoriale ed urbanistica.

In merito a tale aspetto si sottolinea l’importanza di un attento monitoraggioin fase di attuazione del nuovo provvedimento in modo da evitare che si deter-minino problematiche – già superate per quanto concerne la realtà dei depositi diGPL dal D.M. 15 maggio 1996 – connesse alla eventuale disuniforme applicazio-ne a livello territoriale dei criteri di valutazione della compatibilità territoriale delleaziende a rischio di incidente rilevante.

Conclusioni

Il GPL è una importante risorsa energetica naturale ed ecologica che, per unacerta fascia della popolazione, rappresenta forse l’unica fonte energetica di sem-plice ed agevole approvvigionamento e utilizzazione.

Le attuali conoscenze tecniche e le norme che regolamentano l’intero setto-re sono da considerarsi capaci di garantire un livello di sicurezza dell’esercizio digran lunga tra i più affidabili che possano ipotizzarsi per una attività industriale.

L’applicazione diffusa ed abbastanza rigorosa del D.M. 15 maggio 1996 hafino ad ora consentito un progressivo miglioramento del rapporto industria GPL- territorio che ci si augura non trovi ostacoli nella pratica attuazione del D.M.9 maggio 2001.

Infatti, in relazione alle attuali richieste del mercato, la logistica degli approv-vigionamenti e della distribuzione è tale da necessitare della costruzione di nuovidepositi primari nonché della razionalizzazione degli stoccaggi già esistenti. 237

8.1

- Il s

etto

re d

ello

sto

ccag

gio

dei g

as d

i pet

rolio

liqu

efat

to

Page 230: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il confronto tra l’imprenditoria del settore e le Autorità competenti per ilgoverno del territorio si preannuncia quindi abbastanza intenso: sarà pertantonecessario ed opportuno – nel primario interesse dell’utente finale del GPL – darvita ad un quadro istituzionale di collaborazione tra le diverse realtà locali e di con-fronto costruttivo con le aziende del settore GPL.

Note

1 È un acronimo corrispondente alla frase: Boiling Liquid Expanding Vapour Explosion(esplosione di vapori per il bollire di un liquido) ed è rappresentativo del fenomeno di scoppiodi un serbatoio in pressione sottoposto a grave cimento termico.

238

Rita

Car

osel

li

Page 231: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

8.2

LE PROPOSTE DI RIORDINO DELLA NORMATIVAPER LE INDUSTRIE A RISCHIO

Mariano Crescimanno*

L’evoluzione delle normative europee segue una linea costante: procede pro-gressivamente per gradi verso obiettivi sempre più elevati di tutela della sicu-rezza, della salute e dell’ambiente attraverso direttive successive che, sulla basedell’esperienza via via acquisita in fase di applicazione, individuano carenze epunti deboli da colmare o correggere.

Anche la normativa sulla prevenzione e la limitazione delle conseguenze degliincidenti rilevanti, tra la prima Direttiva 82/501/CEE del 24 giugno 1982 e la96/82/CE del 9 dicembre 1996, ha seguito questo percorso.

Per quanto concerne specificamente i rapporti tra stabilimenti nei quali sonopresenti sostanze pericolose in quantità superiori a determinate soglie ed il terri-torio, di cui la Direttiva 82/501/CEE chiedeva di assicurare la compatibilità sol-tanto attraverso la sicurezza intrinseca degli impianti valutata con criteri “inge-gneristici”, la Direttiva 96/82/CE chiede qualcosa di più e di diverso e cioè:a) che stante l’esigenza di “proteggere maggiormente le zone residenziali, le

zone frequentate dal pubblico e le zone di particolare interesse naturale oparticolarmente sensibili, è necessario che le politiche in materia di desti-nazione o utilizzazione dei suoli e/o le altre politiche pertinenti applicatenegli Stati membri tengano conto della necessità, a lungo termine, di man-tenere opportune distanze tra dette zone e gli stabilimenti che presentanotali rischi e per gli stabilimenti esistenti tengano conto di misure tecnichecomplementari per non accrescere i rischi per le persone” (“consideran-do” n. 22);

b) gli Stati membri perseguono tali obiettivi:– mediante il controllo dell’insediamento degli stabilimenti nuovi, delle modi-

fiche degli stabilimenti esistenti che potrebbero avere importanti conse-guenze per quanto riguarda il pericolo di incidenti rilevanti e dei nuovi inse-

239* Responsabile Ambiente Federchimica.

Page 232: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

diamenti attorno agli stabilimenti esistenti e dell’adozione di misure tecni-che complementari da parte degli stabilimenti esistenti;

– più in particolare assicurando tale controllo mediante procedure di consul-tazione tra le Autorità competenti e i servizi autorizzati a decidere in mate-ria di destinazione ed utilizzazione dei suoli, che prevedano al momento incui sono prese le decisioni sia disponibile un parere tecnico sui rischi con-nessi alla presenza dello stabilimento, basato sullo studio del caso specifi-co o su criteri generali (art. 12).

Va detto in proposito che gli aspetti individuati al precedente punto a) sonoben presenti nel nostro ordinamento a partire da:– la prima legge sanitaria del 1888 che, con la disposizione poi confluita nell’art.

216 del vigente T.U. emanato con il R.D. 1265/1934, prevede che debbanoessere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni le c.d. indu-strie insalubri di prima classe, salvo che l’industriale che l’esercita provi che,per l’introduzione dei nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non recadanno alla salute del vicinato;

– dall’art. 64 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, emanato con il R.D.773/1931, che rinvia ai regolamenti locali la determinazione dei criteri e deiluoghi ove possono essere impiantate e gestite le industrie pericolose;

– dall’art. 880 del Codice civile del 1942, che contiene una specifica disposizio-ne sulle distanze da rispettare per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosirinviandone a successivi regolamenti la determinazione;

– dalla legislazione urbanistica statale anch’essa del 1942 e dalle successivemodifiche emanate nel 1972 e nel 1977, a seguito del trasferimento dellecompetenze, in materia anche legislativa, alle Regioni, che disciplinano pun-tualmente la localizzazione degli impianti industriali nell’ambito dei piani rego-latori comunali, attraverso le zonizzazioni e i controlli urbanistici ed edilizi (inparticolare, sulle concessioni edilizie) e dei piani di coordinamento territoriale;

– dalla molteplicità dei vincoli posti a tutela dei beni paesaggistici, naturali eambientali, nonché dalla procedura di VIA nazionale e regionale.Quanto mai pertinente risulta la necessità di trattazione unitaria, come la diret-

tiva chiede agli Stati membri, con riferimento alla prevenzione e limitazione delleconseguenze degli incidenti rilevanti, in presenza di questa molteplicità ed ete-rogeneità di normative che in passato hanno disciplinato i vari profili sanitari, dipubblica sicurezza, ambientali, urbanistici ecc.

In vigenza del D.P.R. n. 175/88 erano infatti emersi gli inconvenienti derivantidalla sovrapposizione delle nuove disposizioni in materia di rischi di incidente rile-vante con le molteplici altre normative, di rango equivalente, aventi oggetto efinalità largamente coincidenti, ma gestite da Autorità diverse, competenti adintervenire a vario titolo, separatamente. Tale sovrapposizione era resa esplicita:a) attraverso l’aggiunta, all’enunciazione della finalità, ripresa testualmente dalla

Direttiva, dell’obbligo specifico del rispetto delle altre normative vigenti inmateria di sicurezza e igiene del lavoro e di tutela dell’ambiente;240

Mar

iano

Cre

scim

anno

Page 233: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

b) attraverso il preciso rinvio ad atti di assenso di competenza delle altreAutorità, da ottenere prima di dare inizio ad una nuova attività a valle della con-clusione dell’apposita istruttoria o del deposito della “perizia giurata”.Ne era conseguita la ricerca di correttivi a partire dal 1992:

– con i D.L. 4/92 e 288/92 non convertiti;– nel 1994, con la L. 61/94, nel contesto della riforma dell’organizzazione dei

controlli ambientali, attraverso la previsione dell’affidamento all’ANPA dell’i-struttoria tecnica e di una serie di misure di semplificazione, da realizzare conregolamento delegificante ex art. 17, comma 2 della L. 400/88 mai emanato;

– nel 1997, con l’inserimento del D.P.R. n. 175/88 tra le normative da semplifi-care attraverso la delegificazione ai sensi dell’art. 20 della L. 59/97, nel qua-dro della riforma della Pubblica Amministrazione;

– con una serie di 14 decreti legge succedutisi tra il marzo 1994 ed il luglio 1996e infine con la L. 137/97 approvata quando già era entrata in vigore la nuovaDirettiva 96/82/CE.È anche frutto di questa complessa vicenda l’inserimento, tra i princìpi e i cri-

teri specificamente dettati nella delega per il recepimento della Direttiva all’art.18 della L. 128/98 (Comunitaria 1995 - 1997), da parte del Parlamento, degliobiettivi di:– conseguire una semplificazione delle procedure previste, valorizzando gli

adempimenti volontari da parte delle imprese e dei gestori e accentuando ipoteri di verifica e controllo delle Amministrazioni pubbliche (lett. a);

– attribuire ai Comitati tecnici di cui all’art. 20 del regolamento approvato conD.P.R. n. 577/82, opportunamente integrati da personale di specifica compe-tenza di altre Amministrazioni, i compiti di esame e istruttoria dei rapporti disicurezza degli impianti soggetti a notifica (lett. g);

– unificare per quanto possibile gli adempimenti previsti a carico dei gestori, ivicompresi quelli di prevenzione incendi, e per l’agibilità degli impianti, provve-dendo alla modifica delle relative disposizioni (lett. c);

– prevedere che il Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con i Ministri dell’am-biente, dell’interno e dell’industria, commercio e artigianato, stabilisca stan-dard minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale per le zoneinteressate da impianti a rischio di incidente rilevante (lett. e).Contemporaneamente, però, lo stesso Parlamento esprimeva parere favore-

vole al trasferimento alle Regioni di tutte le competenze amministrative in mate-ria di rischi di incidenti rilevanti proposto dal Governo con lo schema di D.Lgs.n. 112/98.

Il D.Lgs. n. 334/99 ha scontato questa situazione rinviando alla legislazioneregionale ogni iniziativa in materia di coordinamento dei soggetti che dovrannoconcorrere all’istruttoria tecnica, di semplificazione dei procedimenti successivi adetta istruttoria, di raccordo con il procedimento di VIA e con gli altri interventi disalvaguardia dell’ambiente e del territorio in relazione alla presenza di stabili-menti a rischio di incidente rilevante e limitandosi a disporre all’art. 26 che: 241

8.2

- Le

prop

oste

di r

iord

ino

della

nor

mat

iva

per

le in

dust

rie a

ris

chio

Page 234: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– da parte del Ministro dell’interno vengano stabilite procedure semplificate diprevenzione incendi per gli stabilimenti soggetti alla presentazione delRapporto di sicurezza;

– gli atti conclusivi di valutazione dei Rapporti di sicurezza siano trasmessi agliorgani competenti perché ne tengano conto.A parte il fatto che niente è previsto per gli stabilimenti che presentano rischi

minori (quelli soggetti a semplice “notifica” e alla “relazione” da inviare allaRegione), come autorevolmente rilevato, “non si comprende in cosa consista lasemplificazione annunciata trionfalisticamente nella rubrica dell’art. 26.

Non solo viene confermata la concessione edilizia ma anche la notifica ex art.216 T.U. san. e l’autorizzazione alla agibilità degli impianti ex art. 221, T.U. san.Anche se esse risultano collegate da un nesso di presupposizione con gli atti diconsenso (nulla osta di fattibilità, parere conclusivo) e di precetto (prescrizioniintegrative) adottati dal comitato tecnico regionale, conservano pur sempre unaloro autonomia, foriera di contrasti e di sovrapposizioni di competenza. Che ilComune debba costituire un essenziale punto di convergenza sia delle attività diprevenzione sia di quelle di pronto intervento, non sembra revocabile in dubbio”ma “l’avere mantenuto un ruolo separato ed autonomo al Comune, in sede dirilascio di autentici residuati prebellici quali l’autorizzazione all’attivazione di indu-strie insalubri o pericolose e la licenza di agibilità (risalenti al reg. gen. sanitariodel 1901), per di più a valle di una istruttoria tecnica a partecipazione totalitaria ditutti i soggetti pubblici interessati, appare una scelta confermativa della lottizza-zione istituzionale imperante, anziché una misura di razionalizzazione ammini-strativa e di garanzia di efficienza” (P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale,pp. 688 sgg.).

Allo stato l’unico provvedimento di semplificazione è rimasto, quindi, quellorelativo alle procedure per il rilascio del “nulla osta di fattibilità” e del “certifica-to di prevenzione incendi” di cui al D.M. 30 aprile 1998, che è stato adeguato alprocedimento di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 334/99 con il D.M. 19 marzo 2001.

Il D.M. 9 maggio 2001, recante i requisiti minimi di sicurezza in materia dipianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti arischio di incidente rilevante, segue la stessa linea del D.Lgs. n. 334/99: infat-ti, si limita ad aggiungere agli strumenti previsti dalla legislazione nazionale eregionale, l’Elaborato tecnico “Rischi di incidenti rilevanti”, da predisporre inbase ai criteri - guida contenuti nel suo apposito allegato, come parte inte-grante del piano urbanistico e a prevedere che, attraverso opportune forme diconcertazione tra Enti locali e gli altri soggetti interessati, che dovranno esse-re stabilite dalle Regioni, le modalità con le quali le informazioni contenute nelpredetto Elaborato tecnico dovranno essere tenute presenti nella pianificazio-ne territoriale.

Le due prime leggi regionali, quella toscana e quella lombarda, hanno lascia-to senza alcuna risposta tutte queste previsioni ed è difficile ipotizzare che lealtre provvedano diversamente.242

Mar

iano

Cre

scim

anno

Page 235: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

243

8.2

- Le

prop

oste

di r

iord

ino

della

nor

mat

iva

per

le in

dust

rie a

ris

chioD’altra parte, l’insostenibilità di questa situazione di stallo, che si protrae

nonostante le indicazioni sulla necessità di provvedere, da parte del legislatoreeuropeo e nazionale, è ormai unanimemente riconosciuta: sono evidenti, infatti,le pesanti conseguenze negative delle lungaggini procedurali e delle duplicazionidi adempimenti che ne derivano, non solo per lo sviluppo e la competitività del-l’industria nazionale, ma anche per la credibilità dell’efficacia della normativanazionale e dell’azione della Pubblica Amministrazione da parte delle popolazioniinteressate.

Una via per tentare di uscire dall’impasse potrebbe esser costituita dall’inse-rimento, chiesto da Federchimica, in occasione dell’audizione presso il Comitatoristretto della Commissione ambiente della Camera, della materia “prevenzionedegli incidenti rilevanti” tra quelle per le quali il Governo sta chiedendo la delegaper il riordino, il coordinamento e l’integrazione della vigente normativa, anche inbase alla nuova ripartizione di competenze legislative ed amministrative, traStato, Regioni ed Enti locali a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.

Criteri specifici per il riordino potrebbero essere:– l’attribuzione alla procedura di VIA, quando richiesta, del significato di indivi-

duazione preliminare delle condizioni necessarie ad assicurare la compatibilitàdello stabilimento con le diverse componenti e fattori ambientali;

– la conferma del ruolo centrale dell’istruttoria di cui all’art. 21 del D.Lgs. n.334/99, non solo ai fini della valutazione tecnica della sicurezza dell’impiantoe dello stabilimento, ma anche della validità delle misure adottate per preve-nire e limitare il suo impatto sull’ambiente e sul territorio;

– l’individuazione di efficaci raccordi tra le conclusioni della predetta istruttoriae gli atti di assenso di competenza delle Autorità locali cui compete la gestio-ne delle norme elencate nel comma 3 dell’art. 26 del D.Lgs. n. 334/99 e chepartecipano all’istruttoria stessa, del tipo di quello sopra ricordato realizzatoper i procedimenti di prevenzione incendi.

Page 236: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

8.3

IL SETTORE DELLA PRODUZIONE E TRASFORMAZIONEDEI PRODOTTI PETROLIFERI

Francesco Del Manso*

Negli ultimi venticinque anni il numero delle raffinerie si è quasi dimezzatopassando da 31 a 18 unità: rientrano tutte nelle aziende di cui all’articolo 8 delD.Lgs. n. 334/99.

Nello stesso arco di tempo la capacità di raffinazione si è ridotta di oltre unterzo (circa 60 milioni di tonnellate) passando da 175 a 115 milioni di tonnellate.Di conseguenza l’attuale dispositivo di raffinazione si è esattamente dimensio-nato sulla domanda nazionale di prodotti petroliferi.

A tale riduzione si è associata una profonda azione innovativa che si è svilup-pata in diverse direzioni:a) adeguare gli impianti alle normative sempre più stringenti relative ad emis-

sioni, scarichi e rifiuti;b) integrare le varie unità con nuovi impianti destinati a realizzare prodotti più

puliti, per i quali il nostro Paese si è mosso per primo in Europa e tuttora èall’avanguardia;

c) adoperarsi per un continuo miglioramento dello stato di sicurezza dei lavora-tori e, più in generale, di coloro che si muovono o vivono nei pressi degli sta-bilimenti.Soltanto negli ultimi dieci anni, gli investimenti effettuati nel settore della raf-

finazione sugli obiettivi indicati sono ammontati ad oltre 13.000 miliardi. Mentredi questi, circa 5000 sono stati indirizzati alla realizzazione di impianti di gassifi-cazione di residui pesanti in tre raffinerie italiane, oltre 8000 hanno riguardatointerventi sugli impianti sia per conseguire una maggiore efficienza, sia per scopiambientali e di sicurezza. In particolare, sono state ridotte le emissioni dei prin-cipali componenti inquinanti in una misura complessiva di circa il 50 per cento: leemissioni di zolfo sono scese da 280 a 100 mila t/anno; quelle di ossido di azotoda 50 a 23 mila t/anno; i composti organici volatili, i più pericolosi, da 30 a 21 mila

245* Unione petrolifera.

Page 237: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

t/anno. Ad aumentare sono state solo le emissioni di CO2 (dai 17 milioni del 1993ai 24 del 2001) ma ciò era inevitabile in quanto effetto dei maggiori consumi diraffineria legati alla più elevata complessità degli impianti al fine di realizzare pro-dotti più puliti.

Al riguardo si deve evidenziare l’azione, pionieristica rispetto al restodell’Europa, di drastico taglio del benzene nelle benzine, ora ridotto a valori (circa0,7 per cento volume) tra i più contenuti nel nostro continente.

Sono stati poi attuati interventi significativi per la tutela della salute dei lavo-ratori.

Si è trattato, nel loro insieme, di impegni assai cospicui, necessari al Paese,ma non sempre facili da contemperare con gli obiettivi di innalzamento dei livel-li di sicurezza, proprio a fronte della accresciuta complessità delle raffinerie stes-se e quindi dell’aumento del rischio. Un compito tanto più arduo, considerato poiche il problema della sicurezza è divenuto critico per gli operatori della raffinazio-ne, in seguito al mutamento di clima psicologico e sociale occorso negli ultimidecenni in Italia.

Vale la pena ricordare che i prodotti petroliferi coprono tuttora il 50 per centodella domanda energetica del Paese e che, nel settore del trasporto, soddisfanooltre il 90 per cento della domanda. Quello petrolifero è tuttora un settore stra-tegico per il Paese.

In proposito, sembra opportuno sottolineare alcuni dati: negli ultimi dieci anninelle raffinerie italiane, dove lavorano circa 9000 dipendenti diretti ed un nume-ro altrettanto cospicuo di operai di ditte appaltatrici, le vittime dovute ad inciden-ti rilevanti sono state assai contenute; sono eloquenti le statistiche INAIL degliinfortuni sul lavoro: il settore petrolifero risulta al vertice della classifica della sicu-rezza, sia come frequenze relative che come gravità degli incidenti.

Va inoltre evidenziato che, sempre nello stesso lasso di tempo, gli incidentioccorsi nelle raffinerie non hanno fatto alcuna vittima o ferito all’esterno di esse,a riprova dell’impegno degli operatori della raffinazione nell’assumere le misureidonee, atte a garantire elevati livelli di sicurezza per i lavoratori e per la popola-zione potenzialmente esposta, con particolare riguardo alla prevenzione dei rischidi incidenti rilevanti.

Gli interventi, in questo campo, si sono indirizzati essenzialmente in tre dire-zioni: sulle modifiche di impianto e di processo, sul controllo e sulla gestionedella sicurezza ed infine su un’adeguata formazione del personale.

Sul primo fronte, gli interventi sono stati innumerevoli e sarebbe impossibileelencarli in questa sede. Basti citare, tra i più significativi, quelli relativi al GPL,soprattutto con il ricorso alla tumulazione o alla coibentazione degli stoccaggi, equelli concernenti gli impianti di alchilazione, dove sono state adottate particola-ri tecnologie di processo.

Nel secondo caso, è stato attuato, tramite l’adozione di tecnologie informati-che d’avanguardia, un controllo continuo, automatico e integrato, di tutte le fasidi lavorazione, con particolare riguardo alla gestione dei sistemi di emergenza.246

Fran

cesc

o D

el M

anso

Page 238: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Sale di controllo raffineria “bunkerizzate” o “delocalizzate” e l’adozione di lineeelettriche dedicate, o addirittura l’autoproduzione di raffineria, hanno consentito inparticolare di mantenere sotto osservazione gli impianti in caso di incidente e diottenere la continuità di approvvigionamento elettrico in caso di “black-out”.

Inoltre, sono stati messi a punto sistemi automatizzati di rilevazione delle fughedi gas o di fiamma, sistemi di monitoraggio a distanza degli impianti tramite tele-camere e sensori agli infrarossi ed il potenziamento degli impianti antincendio.

Anche sul fronte della prevenzione, l’impegno svolto ha trovato autorevoliconferme, sia da parte del Ministero dell’ambiente che di altre autorità compe-tenti qualificando i livelli raggiunti come “livelli di eccellenza”, sia sotto l’aspettoimpiantistico che gestionale.

Naturalmente esistono margini di miglioramento. In particolare è fondamen-tale uno sviluppo generalizzato dei Sistemi di Gestione della Sicurezza, introdot-ti a livello normativo dal D.Lgs. n. 334/99, sistemi che alcune raffinerie italianehanno già da tempo adottato, sperimentandone l’altissimo grado di efficacia intermini di prevenzione.

Infine, si è intensificata l’azione su una delle leve fondamentali per la sicurez-za: la preparazione ed il coinvolgimento del personale, nella crescente convinzio-ne che da questa opera possano derivare i risultati più positivi.

Dal personale, opportunamente formato ed informato, possiamo attenderci unsalto di qualità nel buon funzionamento degli impianti, poiché potrà meglio evita-re le possibili fonti di rischio, individuare disfunzioni, fornire suggerimenti miglio-rativi. A quest’opera di formazione le raffinerie stanno dedicando crescente impe-gno e risorse, cooperando attivamente con le autorità locali e con i sindacati.

Su questo filone della sicurezza anche l’Unione Petrolifera sta programman-do la raccolta dei dati e lo scambio di informazioni tra gli operatori, uno dei modipiù idonei a generalizzare l’adozione degli strumenti operativi più efficaci in que-sto campo.

Il sistema di raffinazione italiano deve, nei prossimi anni, fare un ulterioresalto di qualità, per effetto di un complesso di normative italiane ed europee(bonifiche, IPPC, Seveso II, direttiva Auto-Oil su ulteriori miglioramenti della qua-lità dei carburanti). Si tratta di impegni, condivisi in primis dagli stessi ambienta-listi, che comporteranno una fortissima esposizione finanziaria da parte delleaziende, ma anche grosse difficoltà.

Tali iniziative, almeno in certi casi, stanno incontrando un clima di forte incer-tezza delle politiche italiane: da una parte rimane l’incognita su quali saranno lemisure attuative degli accordi di Kyoto e quali ricadute si avranno per la doman-da petrolifera (e ciò pone naturalmente a rischio gli investimenti), dall’altra, il tra-sferimento alle Regioni delle competenze sulle raffinerie è suscettibile di porta-re a decisioni divergenti tra singole realtà territoriali, creando una forte disomo-geneità nel sistema di raffinazione nazionale.

È questa una contraddizione che andrebbe sciolta assicurando un quadro legi-slativo certo e privo di interpretazioni contrastanti. 247

8.3

- Il s

etto

re d

ella

pro

duzi

one

e tr

asfo

rmaz

ione

dei

pro

dott

i pet

rolif

eri

Page 239: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 9

LA PIANIFICAZIONE D’EMERGENZA,IL RISCHIO NATURALE E IL RISCHIO TECNOLOGICO

249

Page 240: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

9.2

IL RISCHIO NATURALE E IL RISCHIO TECNOLOGICO

Maria Giovanna Martini*, Rita Nicolini**

Il problema

È noto come il territorio italiano sia altamente esposto ai rischi naturali eantropici.

La sismicità del territorio italiano è tra le più elevate sia a livello europeo chemondiale (220 eventi distruttivi negli ultimi mille anni, 150 mila vittime negli ulti-mi due secoli, danni per oltre 140.000 miliardi di lire negli ultimi 25 anni).

Altrettanto elevata è l’incidenza degli eventi alluvionali e dei fenomeni frano-si (oltre 30.000 località colpite da frane o da alluvioni, 11.000 frane e 5400 loca-lità colpite da alluvioni negli ultimi 80 anni, danni per circa 30.000 miliardi di lirenegli ultimi 20 anni).

Il patrimonio boschivo italiano, stimato oggi intorno a 8.675.100 ettari, pari al28% della superficie totale del Paese, ha subìto negli ultimi 20 anni incendi chehanno distrutto circa 2.697.000 ettari di superficie boscata.

Non meno gravi e ricorrenti sono le calamità connesse ai rischi tecnologici: basticitare alcune tragedie come quella di Seveso, di Stava, del Vajont o il recente inci-dente nella galleria del Monte Bianco. Non meno importante è l’elevato rischio con-nesso al trasporto di sostanze nocive lungo la rete stradale: in Italia infatti il tratta-mento di un materiale pericoloso è soggetto a una notevole serie di controlli all’in-terno di un insediamento industriale, ma sullo stesso materiale non viene più appli-cato alcun controllo all’atto della sua uscita all’esterno e durante il suo trasporto abordo di un veicolo, per quanto questo percorra liberamente la rete stradale e attra-versi ogni genere di area naturale o antropizzata e perfino centri urbani.

Infine si cita l’inquinamento da atrazina nella zona di Casale Monferrato perevidenziare – tra le problematiche di emergenza ambientale – quelle della salva-

259

* Ufficio Servizio Sismico - Dipartimento della Protezione Civile, Presidenza del Consigliodei Ministri.

** Responsabile Servizio Protezione Civile, Provincia di Modena.

Page 241: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

guardia delle risorse idriche sotterranee sempre più sottoposte ad inquinamentichimico/batteriologici, al sovrasfruttamento e al depauperamento delle risorsedisponibili.

La tabella 1 riporta una breve sintesi delle maggiori calamità naturali verifica-tesi in Italia negli ultimi cento anni.

260

Mar

ia G

iova

nna

Mar

tini,

Rita

Nic

olin

i

Anno Localizzazione Evento Vittime Senza tetto Danni (G£)

1908 Messina-Reggio Calabria Terremoto (X-XI MCS), 83.000tsunami

1915 Avezzano Terremoto (X MCS) 30.0001920 Garfagnana Terremoto (VIII) MCS 1651944 Napoli Eruzione del Vesuvio ’44 26 14.000 241948 Arezzo Terremoto (VIII MCS) 1 N/A N/A1951 Bacino del Po Alluvione 100 170.000 1.8691951 Reggio Calabria Alluvione 63 3500 5801953 Catanzaro Alluvione-frana 100 4000 1381954 Salerno Alluvione-frana 297 5466 4141960 Bergamo Frana 12 221962 Irpinia Terremoto (IX MCS) 16 30.000 10201963 Vajont Frana-alluvione 1917 10591966 Trentino, Friuli, Veneto, Alluvione 70 1.300.000 10.300

Toscana (EVACUATI)1968 Asti, Vercelli, Novara Alluvione, frana 72 3000 47141968 Trapani, Agrigento, Terremoto (IX MCS) 296 30.000 8687

Palermo1976 Friuli Terremoto (X MCS) 977 189.000 21.049maggio1976 Friuli Terremoto (IX-X MCS) 12 32.000settembre EVACUATI)1979 Terni Terremoto (IX MCS) 5 5000 22651980 Irpinia Terremoto (X MCS) 2734 460.878 66.0661982 Napoli, Pozzuoli Bradisismo di Pozzuoli 30.000 1942.41983 Sondrio Alluvione, frana 17 3205 271984 Lazio, Abruzzo, Molise, Terremoto (VIII MCS) 1 37.000 1264

Campania1985 Valle di Stava Rottura di bacino 269 58

artificiale1987 Valtellina, Sondrio Alluvione, frane 40 3000 38561990 Catania, Siracusa, Terremoto (IX MCS) 13 13.072 157

Ragusa1994 Nord Italia Alluvione 69 11.0001996 Lucca Alluvione, frane 13 4001997 Umbria, Marche Terremoto (IX MCS) 11 14.000 Non disponibile1998 Sarno, Quindici Alluvione, frane 160 219 Non disponibile

Tabella 1. Principali calamità verificatesi nel territorio italiano durante lo scorso secolo.

La valutazione dei rischi e le politiche di riduzione

Ma cos’è il rischio? Quale concetto esprime questo termine?Il rischio naturale deve intendersi come una funzione che dipende sostanzial-

mente da tre fattori: la pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione.

Page 242: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La pericolosità (hazard), definita come probabilità che un evento naturale cala-mitoso di una data intensità si verifichi in un determinato intervallo di tempo,descrive la severità e la frequenza di accadimento degli eventi.

La vulnerabilità rappresenta la risposta dei beni agli eventi in termini di modi-fica delle loro condizioni (danno).

L’esposizione descrive le conseguenze del danno in termini di perdite.La pericolosità complessiva di un’area scaturisce dalla combinazione dei

rischi, naturali e/o antropici, che possono manifestarsi; diversi fenomeni posso-no verificarsi come conseguenza di un unico evento scatenante (ad esempiofrane indotte dai terremoti o la rottura di una centrale dovuta ad un terremoto),mentre una porzione di territorio può essere soggetta ad un diverso numero dieventi (alluvioni, terremoti, frane, inquinamento chimico, ecc.). Una catalogazio-ne sintetica dei vari tipi di rischio è riportata in tabella 2.

261

9.2

- Il r

isch

io n

atur

ale

e il

risch

io t

ecno

logi

co

Naturali Tecnologici - Antropici

ATMOSFERICO ECOLOGICOCicloni - Tornado inquinamento atmosfericoTempeste di vento inquinamento idricoGrandinate inquinamento del suoloValanghe inquinamento acusticoGEOLOGICO DIGHEFrane Collasso della strutturaSubsidenza INCENDIOEspansione boschiviIDROLOGICO Area urbanaAlluvioni IndustrialeErosioni costiere CHIMICO INDUSTRIALESiccità Produzione e stoccaggioSISMICO TrasportoTerremoto NUCLEARELiquefazione stoccaggioTsunami SANITARIOVULCANICOLava PiroclastitiGas TephraDebris Flow

Tabella 2. Principali tipologie di rischio presenti in Italia.

Vi è quindi una forte connessione tra gli “hazard” naturali e gli “hazard” tec-nologici: spesso infatti gli “hazard” tecnologici sono causati da “hazard” natura-li, da cui si deduce come la mitigazione degli “hazard” naturali può minimizzarel’impatto di “hazard” tecnologici.

Le “analisi multirischio”, che costituiscono lo studio della connessione tra gli“hazard” e che permettono una valutazione, allo stato dell’arte ancora solo quali-tativa, ed un’analisi della sommatoria delle criticità ambientali intesa come poten-ziale interazione e composizione di più eventi calamitosi naturali ed antropici, sonostrumento utile per la definizione del rischio accettabile e sostenibile. L’obiettivo

Page 243: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

complesso di quantizzare il rischio accettabile e sostenibile per le diverse comu-nità e per i diversi ambiti territoriali permette di delineare i limiti dello svilupposostenibile di una comunità in termini di urbanizzazione del territorio.

Ma quali sono i passi logici di un’analisi multirischio e quali sono le politichepossibili per la mitigazione dei rischi?

Il processo può essere così sintetizzato:– Identificazione e caratterizzazione delle singole pericolosità (definire e descri-

vere i fenomeni, misurarne l’importanza e l’intensità, i fattori di causa e leinterazioni con gli altri rischi);

– Rappresentazione dei rischi (definire la modalità di classificazione dei pericoliidentificati come funzione del loro rispettivo grado di rischio);

– Stima del rischio complessivo (applicare il processo o la metodologia per lavalutazione del rischio complessivo);

– Valutazione dell’accettabilità (determinare quali tra i rischi identificati e stima-ti ai punti precedenti possono essere tollerati);

– Sviluppo delle alternative per la riduzione del rischio (valutare i costi necessa-ri per ridurre o mitigare i rischi ritenuti non accettabili, includendo anche letecnologie e il personale di controllo e gestione);

– Implementazione delle necessarie misure di mitigazione e controllo per por-tare il rischio a livelli ritenuti accettabili;

– Monitoraggio periodico dei rischi.Le politiche di mitigazione quindi devono innanzitutto partire dalla realizzazio-

ne di una Zonazione dei rischi che consiste nella valutazione e rappresentazionedel rischio sulla superficie del territorio, non limitandosi semplicemente alla regi-strazione delle possibilità o meno del verificarsi dell’evento, ma spingendo l’ana-lisi fino a definire la cinetica, gli effetti conseguenti, i modelli di diffusione deglieffetti, l’interazione tra l’evento rischioso e il territorio con la simulazione dellasovrapposizione di condizioni infauste. I passi poi da percorrere sono distinguibi-li in interventi strutturali e non.

Interventi strutturali– Aggiornamento del binomio normativa tecnica di costruzione di edifici ed altre

strutture (es. edilizia antisismica) e classificazione del territorio (definizionedel territorio dove devono essere applicate le norme) per migliorare la resi-stenza delle strutture di nuova costruzione ai molti “hazard”.

– Promozione di politiche per la riduzione della vulnerabilità del patrimonio abi-tativo esistente, per diminuirne la propensione al danno (azioni di rafforza-mento e adeguamento per conservare il bene e continuare ad utilizzarlo incondizioni di sicurezza).

– Realizzazione di strutture protettive o di controllo utili per la salvaguardia dellavita e dei beni in certe circostanze (ad esempio opere idrauliche per il con-trollo delle alluvioni, opere di contenimento per le frane) e, nei casi estremi,delocalizzazione degli abitati o delle strutture a rischio.262

Mar

ia G

iova

nna

Mar

tini,

Rita

Nic

olin

i

Page 244: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

263

9.2

- Il r

isch

io n

atur

ale

e il

risch

io t

ecno

logi

co– Introduzione di incentivi sulle tasse e promozione di politiche di assicurazioni perraggiungere standard di sicurezza più alti e per abbattere i costi di ricostruzione.

Interventi non strutturali– Programmi di formazione ed informazione che promuovano la cultura della

prevenzione e migliorino la preparazione attraverso un’adeguata e costanteattività di informazione alla popolazione, di educazione comportamentale incaso di evento e di predisposizione di corsi tecnici per esperti.

– Aggiornamento dei Programmi di allertamento, allarme e dei piani di evacua-zione.

– Incremento e miglioramento delle attività di gestione dell’emergenza dopo unevento calamitoso.

– Lotta all’abusivismo.

Gli attori e gli strumenti giuridici

Dalla normativa sotto riportata, si deduce che le analisi delle criticità ambien-tali e le relative mappature, nonché le attività volte a ridurre le conseguenze deglieventi sul territorio, rientrano tra i compiti di protezione civile collocandosi nel-l’ambito delle attività di previsione e prevenzione.

I soggetti responsabili dello svolgimento di queste attività, ai diversi livelli(nazionale, regionale, e provinciale), sono il Dipartimento di Protezione Civile (chepredispone gli indirizzi operativi dei programmi di previsione e prevenzione – art.5D.Lgs. n. 343/2001), le Regioni e le Province (artt. 12 e 13 L. 225/92 e art. 108D.Lgs. n. 112/1998).

Gli strumenti attraverso i quali vengono realizzate le analisi di previsione e pre-venzione, così indicati nelle leggi, sono i programmi di previsione e prevenzionedi protezione civile (regionali e provinciali).

Se si procede a dare una definizione del Programma provinciale di protezionecivile quale “Documento principale di riferimento a scala provinciale per la cono-scenza e l’analisi dei rischi naturali ed antropici, teso alla previsione e prevenzio-ne delle calamità pubbliche” (dal Programma di previsione e prevenzione di pro-tezione civile della Provincia di Modena) questo deve costituire riferimento pertre strumenti pianificatori operativi in ambito provinciale: il piano territoriale dicoordinamento provinciale per quanto riguarda gli aspetti urbanistici connessi allagestione del territorio, il Piano di emergenza provinciale per la gestione del soc-corso ed i Programmi provinciali revisionali e programmatici (L.183/1989) per gliinterventi di difesa del suolo.

Considerando assunte queste indicazioni il Programma di previsione e pre-venzione di protezione civile ha ricadute dirette sugli strumenti di pianificazioneterritoriale ed urbanistica.

In sintesi, le banche dati cartografiche elaborate nell’ambito del Programmadi previsione e prevenzione devono essere concepite per permettere un idoneo

Page 245: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

raccordo con gli strumenti di pianificazione territoriale a scala provinciale e comu-nale, rendendo disponibili un insieme di informazioni a supporto delle scelte dipianificazione del territorio.

È dunque evidente che il programma di previsione e prevenzione definisce uninsieme di aspetti specifici connessi agli eventi di rischio che lo rendono unicoper quelle informazioni finalizzate alla gestione dell’emergenza ma che fornisco-no un contributo attivo ai processi di gestione e governo del territorio nella suaglobalità.

Per il raggiungimento di quest’ultimo ma non secondario obiettivo, e in con-siderazione delle esclusive e prioritarie finalità operative a cui il Programma è pre-posto, è importante che esso non si assuma compiti di pianificazione urbanisticae territoriale, ma sia in grado di diventare uno strumento di riferimento capace dirapportarsi alle dinamiche evolutive del territorio, nei suoi aspetti fisici ed antro-pici, che concorrono a definire le zone a rischio.

La normativa

L’articolo 3 del titolo 5 della Costituzione così sancisce: “sono materie dilegislazione concorrente ….(omissis)… la protezione civile”.

L’articolo 3 della L. 225/92 individua le attività di protezione civile:1. Sono attività di protezione civile quelle volte alla previsione e prevenzione

delle varie ipotesi di rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate ed ognialtra attività necessaria ed indifferibile diretta a superare l’emergenza con-nessa agli eventi di cui all’articolo 2.

2. La previsione consiste nelle attività dirette allo studio ed alla determinazio-ne delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed allaindividuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi.

3. La prevenzione consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre al minimo lapossibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all’articolo 2anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attività di pre-visione.……..

Il D.Lgs. n. 112/98 individua le competenze dello Stato e delle Regioni. Perquanto attiene alla protezione civile gli articoli 107 e 108 così sanciscono:

Art.107:Hanno rilievo nazionale i compiti relativi:

a) all’indirizzo, promozione e coordinamento delle attività delle amministra-zioni dello Stato, centrali e periferiche, delle regioni, delle province, deicomuni, delle comunità montane, degli enti pubblici nazionali e territoriali edi ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sulterritorio nazionale in materia di protezione civile;

264

Mar

ia G

iova

nna

Mar

tini,

Rita

Nic

olin

i

Page 246: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

…..f) alle funzioni operative riguardanti:

1) gli indirizzi per la predisposizione e l’attuazione dei programmi di previ-sione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio;

g) la promozione di studi sulla previsione e la prevenzione dei rischi naturali edantropici.

Art.108:a) sono attribuite alle regioni le funzioni relative:

1) alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione deirischi, sulla base degli indirizzi nazionali;

…3) agli indirizzi per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza in

caso di eventi calamitosi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), dellalegge n. 225 del 1992;

…b) sono attribuite alle province le funzioni relative:

1) all’attuazione, in ambito provinciale, delle attività di previsione e degliinterventi di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regio-nali, con l’adozione dei connessi provvedimenti amministrativi;

…c) sono attribuite ai comuni le funzioni relative:

1) all’attuazione, in ambito comunale, delle attività di previsione e degli inter-venti di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regionali;

Il D.Lgs. n. 300/99 istituiva l’Agenzia di Protezione Civile attribuendole conl’art. 81 (abrogato dal D.Lgs. n. 343/2001) i seguenti compiti:a) la formulazione degli indirizzi e dei criteri generali, di cui all’articolo 107,

comma 1, lettere a) e f) n. 1, e all’articolo 93, comma 1, lettera g), deldecreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, da sottoporre al Ministro dell’in-terno per l’approvazione del Consiglio dei Ministri;

…g) l’attività di formazione in materia di protezione civile;h) la promozione di ricerche sulla previsione e prevenzione dei rischi naturali

ed antropici, finalizzate alla definizione dei fenomeni attesi, alla valutazionedel loro impatto sul territorio, alla valutazione e riduzione della vulnerabilitàe allo sviluppo e gestione di sistemi di sorveglianza utili ai fini del preavvi-so dell’evento o dell’allarme tempestivo;

i) la raccolta sistematica, la valutazione e la diffusione dei dati sulle situazioni dirischio, anche attraverso la realizzazione di sistemi informativi e di sistemi dimonitoraggio, d’intesa con le regioni ed altre amministrazioni pubbliche;

l) l’attività di informazione alle popolazioni interessate;265

9.2

- Il r

isch

io n

atur

ale

e il

risch

io t

ecno

logi

co

Page 247: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Infine il D.Lgs. n. 343/2001 modifica o abroga alcuni articoli della L. 255/92e del D.Lgs. n. 300/99; si citano in particolare gli articoli 4, 5 e 6:

Art. 4.Tutti i riferimenti alla Agenzia di protezione civile, già prevista dall’articolo

79 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, contenuti nella legislazionevigente si intendono effettuati dal Dipartimento della protezione civile.

Art. 5.1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero il Ministro da lui delegato,

promuove e coordina le attività delle amministrazioni centrali e periferichedello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, degli enti pubblicinazionali e territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica eprivata presente sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela dell’integritàdella vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal peri-colo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandieventi, che determinino situazioni di grave rischio, salvo quanto previstodal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero il Ministro da lui delegato,predispone gli indirizzi operativi dei programmi di previsione e prevenzionedei rischi, nonché i programmi nazionali di soccorso e i piani per l’attuazio-ne delle conseguenti misure di emergenza, di intesa con le regioni e gli entilocali.

3. Nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri operano il Servizioidrografico e mareografico, il Servizio sismico nazionale, la Commissionenazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi ed il Comitatooperativo della protezione civile.

4. Per lo svolgimento delle attività previste dal presente articolo, il Presidentedel Consiglio dei Ministri, ovvero il Ministro da lui delegato, si avvale delDipartimento della protezione civile che promuove, altresì, l’esecuzione diperiodiche esercitazioni, di intesa con le regioni e gli enti locali.

5. Secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero delMinistro da lui delegato, il Capo del Dipartimento della protezione civile rivol-ge alle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle regioni, delleprovince, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altraistituzione ed organizzazione pubblica e privata presente nel territorio nazio-nale, le indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di coordina-mento operativo nelle materie di cui al comma 1. Il prefetto, ove necessario,invita il Capo del Dipartimento della protezione civile, ovvero un suo delega-to, alle riunioni dei comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica.

6. Il Dipartimento della protezione civile subentra in tutti i rapporti giuridici,attivi e passivi, eventualmente posti in essere dall’Agenzia di protezionecivile, già prevista dall’articolo 79 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300.

266

Mar

ia G

iova

nna

Mar

tini,

Rita

Nic

olin

i

Page 248: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Art. 6.1. Resta ferma l’abrogazione degli articoli 1, 4, 7 e 8 della legge 24 febbraio

1992, n. 225.

Si riporta infine il II comma dell’art. 20 della L. 741/81 che demanda alleregioni le modalità attraverso le quali ridurre il rischio sismico nella pianifica-zione territoriale: Le regioni emanano altresì norme per l’adeguamento deglistrumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti, nonché sui criteri perla formazione degli strumenti ai fini della prevenzione del rischio sismico.

267

9.2

- Il r

isch

io n

atur

ale

e il

risch

io t

ecno

logi

co

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Rischio sismico - Stato delle analisi a livello nazionale” (Servizio Sismico

Nazionale).“Tab. 1 “Principali calamità verificatesi nel territorio italiano durante lo scorso

secolo” (Servizio Sismico Nazionale).“Tab. 2 “Principali tipologie di rischio presenti in Italia” (Servizio Sismico

Nazionale).

Page 249: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

250

Page 250: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

9.1

LA PIANIFICAZIONE D’EMERGENZA ESTERNAE LA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA

Loretta Floridi*

Lo sviluppo delle attività di previsione e prevenzione dei rischi, volte sia a loca-lizzare le fonti di pericolo definendo i relativi scenari incidentali sia a ridurre la pro-babilità di accadimento e a mitigare le conseguenze di esso, non potrà mai garan-tire un valore del rischio pari a zero.

La presenza di un rischio residuo – dovuto a vari fattori – rappresenta quindiuna realtà concreta che deve essere gestita con tutti gli strumenti e mezzi ade-guati da parte dell’Autorità competente, pianificando gli interventi di emergenzaal fine di contenere gli effetti di una calamità o di un evento incidentale.

La pianificazione dell’emergenza e l’incidente rilevante

Nel caso del rischio di incidente rilevante, regolamentato dal D.Lgs. n. 334/99,sono previste per gli stabilimenti ricadenti nell’art. 8 (circa n. 363 distribuiti sulterritorio nazionale come pubblicato sul sito internet: www.protezionecivile.it)due livelli di pianificazione dell’emergenza: uno interno allo stabilimento e l’altroesterno (artt. 11 e 20) con lo scopo, entrambi, di mitigare le conseguenze ridu-cendo gli effetti di un incidente rilevante sugli oggetti colpiti (lavoratori, popola-zione, ambiente e beni).

Nel trattare la pianificazione dell’emergenza esterna corre l’obbligo di ricorda-re che, sebbene gli incidenti rilevanti siano abbastanza rari, la dimensione delfenomeno, in termini di evacuazione e di danno ambientale, grave e prolungato,è stata tale nel passato da richiedere una regolamentazione specifica, modifica-bile in senso migliorativo ai fini della sicurezza com’è avvenuto con il decreto legi-slativo citato di recepimento della direttiva comunitaria 96/82/CE.

251* Dirigente Dipartimento della Protezione Civile, Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Page 251: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Al fine di dare un immediato ordine di grandezza degli effetti di un incidenterilevante si riportano, di seguito, alcuni di quelli più significativi avvenuti nelmondo partendo dal 1976 (anno dell’incidente presso l’Icmesa di Meda la cuinube tossica raggiunse il Comune di Seveso, distante circa 20 km, con conse-guenze ancora oggi visibili).

La gravità delle conseguenze di tali incidenti avvenuti presso gli impianti chi-mico-industriali in cui erano trattate sostanze tossiche, infiammabili o esplosive,non ha più consentito l’approccio “trial and error” che, fino a poco tempo fa,aveva guidato l’evoluzione dei criteri per l’introduzione delle misure di sicurezzanel settore.

252

Lore

tta

Flor

idi

Anno Stato Luogo Causa Sostanza Persone coinvolte

Morti Feriti Evacuati

1976 Italia Seveso Perdita da impianto TCDD 120.0001984 India Bhopal Fuga da impianto Metil- 2.800 50.000 200.000

isocianato1985 Italia Priolo Perdite da impianto Propilene 20.0001987 Francia Nantes Incendio Fertilizzanti 24 25.0001989 USA Pasadena Esplosione Etilene 23 125 1.3001989 Belgio Antwerp Esplosione Aldeide 32 111996 India Bombay Incendio Idrocarburi 2 451989 USA Boston Esplosione Etano 4 121997 India Visag Incendio ed GPL 60 30

esplosione

Oggi, l’analisi e la valutazione del rischio, gli interventi di prevenzione, il moni-toraggio e il controllo della gestione della sicurezza sanciti dal D.Lgs. n. 334/99garantiscono – se attuati – una drastica riduzione degli effetti e delle conse-guenze di un incidente rilevante che, come si può vedere nel prospetto chesegue, variano con il variare dell’oggetto colpito:

Beni

Uomo Addetti/Collettività

Mobili/Immobili

Acqua/Aria/SuoloAmbiente

Oggetto colpito

Page 252: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il piano di emergenza esterno: scopo, struttura e contenuti

Nel prendere in esame il Piano di Emergenza Esterno (da ora PEE) si fa riferi-mento all’art. 20 del citato decreto legislativo il cui ambito di applicazione riguar-da principalmente gli stabilimenti per i quali è previsto l’obbligo di redazione delrapporto di sicurezza (art. 8) e i cui scenari incidentali possono provocare gli effet-ti sopra descritti.

Il PEE è il documento nel quale sono raccolte tutte le informazioni necessarieper gestire l’emergenza con l’attivazione sia dei sistemi di prevenzione e di pro-tezione sia degli interventi operativi fino al ripristino dello stato di normalità conla bonifica del sito.

Scopo primario del PEE è quello di circoscrivere l’evento incidentale, favorendola tempestività dei soccorsi e informando la popolazione che, a seconda dell’evol-versi dello scenario, dovrà assumere specifici comportamenti di autoprotezione, pre-ventivamente stabiliti nella “scheda informativa” di cui il Sindaco cura la diffusione.

In sostanza, il PEE rappresenta lo strumento con il quale l’Autorità pubblica(Prefetto) organizza all’esterno dello stabilimento le attività per salvaguardare lapopolazione nelle zone a rischio. 253

9.1

- La

pian

ifica

zion

e d’

emer

genz

a es

tern

a e

la p

iani

ficaz

ione

ter

ritor

iale

e u

rban

istic

a

Cancerogeni

Mutageni

Teratogeni

Lesioni Occhi

Pelle

Organi interni

Effetti acuti

Effetti cronici

Ustioni

Causticazioni

Tossicità

Oggetto colpito

Danni per i beni

Danni per l’ambiente

Per l’UOMO si avrà:

Per i BENI si avrà:

Per l’AMBIENTE si avrà:

Incendi

Contaminazione

Incendi

Crolli

Danneggiamenti

Page 253: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Non a caso uno degli aspetti più innovativi e qualificanti del predetto decretolegislativo rispetto alla precedente normativa (D.P.R. n. 175/88) riguarda, appun-to, l’introduzione dell’obbligo per il Prefetto di consultare preventivamente, ai finidella predisposizione del PEE, la popolazione (art. 20) residente nel Comune oveè localizzato lo stabilimento a rischio di incidente rilevante.

L’importanza di questo articolo sta nel fatto che il legislatore, avendo recepi-to la diffusa e pressante esigenza d’informazione manifestata nel tempo dallapopolazione, diritto-bisogno troppo spesso disatteso, ha sancito l’opportunità difornire all’opinione pubblica gli elementi concreti di valutazione del rischio che,invece, in precedenza veniva percepito solo in termini di catastrofe totale.

Oggi, la consapevolezza e la conoscenza degli scenari incidentali, delle misu-re di sicurezza adottate per prevenire questi e ridurne gli effetti, mette in gradola popolazione di esprimere il proprio parere su:– insediamenti di stabilimenti nuovi;– modifiche degli stabilimenti che comportano un aggravio di rischio;– creazione di nuovi insediamenti e infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti.

Ma per perseguire i propri obiettivi il PEE deve essere ben strutturato, orga-nico e completo dal punto di vista dei contenuti e caratterizzato da flessibilità edinamicità per la parte relativa agli interventi operativi in emergenza.

Ricordando la funzione del PEE di individuare le zone a rischio all’esterno dellostabilimento che potrebbero subire gli effetti dell’incidente descritto nel Rapporto disicurezza – quale massimo evento ipotizzato (top event) – si richiamano le “lineeguida per la pianificazione dell’emergenza esterna” – redatte dal Dipartimento dellaProtezione Civile nel 1994 in ottemperanza al medesimo obbligo di legge previstoanche all’art. 20 del D.Lgs. n. 334/99 – sulla cui base il Prefetto calcola e delimita lezone di sviluppo dei possibili scenari riguardanti i rilasci energetici e/o tossici.

È altresì prevista per ciascuna di queste zone una specifica informazione daimpartire affinché la popolazione, in caso di incidente, sia in grado di assumerecon tempestività corretti comportamenti e adeguate misure di autoprotezione.Anche per tale motivo è fatto obbligo al Prefetto di testare il PEE per valutarnela validità a mezzo di apposite esercitazioni.

Una esemplificazione di quanto esposto è riportata nel prospetto di sintesiche segue:

254

Lore

tta

Flor

idi

Scenario incidentale Aree a rischio di incidente rilevante

Prima zona Seconda zona Terza zona“sicuro impatto” “danno” “attenzione”

Rilascio energetico: Rifugiarsi al chiuso o Rifugiarsi al chiuso o Nessuna particolareIncendio in posizione schermata in posizione schermata azione protettiva

Esplosione da radiazioni termiche da radiazioni termiche

Rilascio di sostanze Se di breve durata: Idem prima zona Rifugiarsi al chiusotossiche rifugiarsi al chiuso

Se di lunga durata:evacuare allontanandosi

dal punto di rilascio

Page 254: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

È prevedibile che una strutturazione ben definita del PEE permetta una effi-ciente ed efficace gestione degli interventi in emergenza. Il prospetto seguentedelinea uno schema completo di PEE che, oltre a recepire le indicazioni dell’alle-gato IV della citata norma, tiene anche conto delle indicazioni contenute nel“Metodo Augustus” (linee guida per la pianificazione di protezione civile) preve-dendo nelle tre parti fondamentali – Parte generale, Lineamenti di pianificazionee Modello d’intervento – tutti gli argomenti utili per rendere il documento esau-stivo in relazione alle finalità da perseguire:

255

9.1

- La

pian

ifica

zion

e d’

emer

genz

a es

tern

a e

la p

iani

ficaz

ione

ter

ritor

iale

e u

rban

istic

a

1 - PARTE GENERALE

1.1 Scopo 1.2 Informazioni 1.3 Descrizione 1.4 Organizzazioni 1.5 Ruolisullo stabilimento del sito coinvolte e responsabilità

- validità ed - descrizione - pianta topografica - dislocazioni sul dati dei responsabili di:aggiornamenti sommaria con curve di livello territorio - sistemi di allarme

- analisi dei costi degli impianti e/o - informazioni - recapiti, nominativi alla popolazioneper l’attuazione depositi e delle climatiche dei responsabili - coordinamento deglidel piano sostanze utilizzate - informazioni - numeri di emergenza interventi di

e/o stoccate climatologiche emergenza- scheda di sicurezza predominanti - informazione

di tutte le sostanze nella zona preventivapericolose presenti - dati demografici e in emergenza

- dati alla popolazionesull’urbanizzazione - informazione agli

- infrastrutture organi centralistradali e ferroviarie - informazioni alla

stampa

2 - LINEAMENTI DI PIANIFICAZIONE

2.1 Scenario incidentale 2.2 Vulnerabilità

- criteri di scelta degli scenari incidentali - sovrapposizione con i rischi naturali- individuazione degli scenari incidentali - distribuzione qualitativa e quantitativa del dato- identificazione dei livelli di protezione demografico- delimitazione aree a rischio - individuazione dei centri di vulnerabilità (scuole, ospedali,

asili, grandi magazzini ecc.)- viabilità: individuazione delle vie di accesso dei mezzi di

soccorso e di deflusso per la popolazione- individuazione dei cancelli- presenza di aree o colture protette- zone agricole e di allevamenti di varia natura

3 - MODELLO D’INTERVENTO

3.1 Gestione dell’emergenza 3.2 gestione post-emergenza

- attivazione dei centri di coordinamento soccorsi e - attivazione del cessato allarmeunità di crisi - controllo sullo stato delle infrastrutture e degli immobili

- attivazione dei soccorsi tecnici e sanitari - controllo sulla qualità ambientale (aria, suolo, acqua)- attivazione dei responsabili della comunicazione e - bonifica dell’area e ripristino dello stato di normalità

dell’informazione - attivazione cancelli- attivazione delle procedure di autoprotezione o

del piano di evacuazione

Page 255: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Come si recepisce il PEE nella pianificazione territoriale e urbanistica:

considerazioni generali

La pianificazione dell’uso del territorio in presenza di installazioni pericolosepresenta tre punti (art. 1 del D.M. 9 maggio 2001) tra loro distinti con prospetti-ve diverse:1. insediamenti di stabilimenti nuovi;2. modifiche degli stabilimenti di cui all’art. 10,comma 1, del D.Lgs. n. 334/99;3. nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad

esempio vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residen-ziali, qualora l’ubicazione o l’insediamento o l’infrastruttura possano aggrava-re il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante.È verosimile che dal punto di vista della sicurezza le installazioni pericolo-

se dovrebbero essere separate dai centri urbani per garantire l’incolumitàdella popolazione mentre dal punto di vista economico il territorio rappresen-ta una risorsa alla quale non si dovrebbe rinunciare, diminuendo il grado dibenessere della popolazione stessa. È quindi indispensabile individuare unlivello di protezione “adeguato” per garantire sia la sicurezza sia la valorizza-zione del territorio.

Il decreto ministeriale in commento – relativo ai requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione urbanistica e territoriale – detta norme chiare e precise in talsenso facendo riferimento a una serie di vincoli ben individuati che riducono le alter-native e pongono un limite allo spazio decisionale, semplificando la problematica.

Ciò è più che mai evidente all’art. 23 del D.Lgs. n. 334/99 concernente la“consultazione della popolazione” quando recita che il parere della popolazioneinteressata sui tre punti citati “è espresso nell’ambito del procedimento di for-mazione dello strumento urbanistico ……….. (omissis) ……….con le modalitàstabilite dalle Regioni o dal Ministro dell’ambiente, secondo le rispettive compe-tenze, che possono prevedere la possibilità di utilizzare la Conferenza dei servizicon la partecipazione dei rappresentanti istituzionali, delle imprese, dei lavorato-ri e della società civile, qualora si ravvisi la necessità di comporre conflitti in ordi-ne alla costruzione di nuovi stabilimenti, alla delocalizzazione di impianti nonchéall’urbanizzazione del territorio”.

Appare giustificato prevedere, in sede di svolgimento del procedimento di for-mazione dello strumento urbanistico, occasioni di sintesi e confronto tra i conte-nuti di questo e quelli del PEE con particolare riguardo alla parte dei “Lineamentidi pianificazione” in cui sono individuate oltre alle zone a rischio anche l’eventua-le sovrapposizione dei rischi naturali e la localizzazione dei centri di vulnerabilità,utilizzando anche l’istituto della Conferenza dei servizi quale momento partecipa-tivo di tutti gli attori interessati alla problematica in discussione.

Giova altresì ricordare, a conferma di quanto esposto, che il Comune, oltre adessere la sede propria di attuazione di tale procedimento, è anche sede primariadi protezione civile sul territorio deputata a prevenire e gestire i rischi attraversoil proprio piano di protezione civile.256

Lore

tta

Flor

idi

Page 256: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

In conclusione, si ritiene che il PEE in quanto documento fondamentale pre-visto da una legge speciale – qual è il decreto legislativo citato – debba costitui-re fonte di riferimento primario per le Autorità pubbliche in armonia con le piùrecenti normative che, trattando dell’uso del territorio, dettano finalità ispirate alprincipio della salvaguardia della salute pubblica anche attraverso la tutela e laconservazione dell’ambiente.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“La normativa” (Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza del Consi-

glio dei Ministri).“Il Servizio nazionale di protezione civile” (Dipartimento della Protezione Civi-

le - Presidenza del Consiglio dei Ministri).“Pianificazione di emergenza esterna per gli impianti a rischio di incidente rile-

vante - Linee guida 1994 (Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza delConsiglio dei Ministri).

“L’informazione preventiva alla popolazione sul rischio industriale - Lineeguida 1995” (Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza del Consiglio deiMinistri).

“L’informazione preventiva alla popolazione sul rischio industriale - Allegati”(Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza del Consiglio dei Ministri).

257

9.1

- La

pian

ifica

zion

e d’

emer

genz

a es

tern

a e

la p

iani

ficaz

ione

ter

ritor

iale

e u

rban

istic

a

Page 257: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

9.3

LE COMPETENZE DEL CORPO NAZIONALEDEI VIGILI DEL FUOCO

Concetto Aprile*

Il D.M. 9 maggio 2001 stabilisce, in attuazione dell’articolo 14 del D.Lgs. n.334/99, i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e ter-ritoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante.

La novità consiste, quindi, nel promuovere un processo di integrazione tra lescelte della pianificazione territoriale ed urbanistica e la normativa relativa aglistabilimenti soggetti all’applicazione della Direttiva “SEVESO II” (direttiva comu-nitaria 96/82/CE) e del D.Lgs. n. 334/99.

Il Legislatore indica, pertanto, la necessità di implementare la strumentazioneurbanistica e territoriale con la verifica della compatibilità territoriale e ambienta-le in rapporto anche alle scelte economico-produttive.

Questo obiettivo comporta alcune importanti responsabilità e competenze acarico del Corpo Nazionale dei VV.F., in quanto soggetti concorrenti nell’attività diistruttoria tecnica e amministrativa dei Rapporti di sicurezza, presentati dai gesto-ri, ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 334/99.

Nei Rapporti di sicurezza sono contenute le informazioni che identificano glieffetti derivanti dagli scenari di rischio di incidente rilevante che dovranno esse-re confrontati con il contesto territoriale e ambientale nel quale sono localizzatigli stabilimenti.

I Comitati Tecnici Regionali di Prevenzione Incendi, nella composizione inte-grata con i rappresentanti delle ARPA, della Regione, della Provincia e delComune interessato, prevista dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 334/99 si esprimonosu tre aspetti rilevanti, per l’applicazione delle normative riguardanti il controllodell’urbanizzazione nelle zone interessate dal rischio di incidente rilevante:

a) verificano i rapporti di sicurezza, ai fini dell’attivazione delle procedure divariante, ove necessaria, agli strumenti di pianificazione;

269* Dirigente, “Area rischi industriali”, Ministero dell’interno.

Page 258: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

b) verificano, nelle more dell’approvazione della variante urbanistica, i progetti rela-tivi alle categorie di intervento comprese nell’ambito oggettivo del D.M. 9 mag-gio 2001 (nuovi stabilimenti, ampliamenti degli stabilimenti, nuovi insediamentio infrastrutture nelle aree interessate dagli effetti di scenari di rischio di inciden-te rilevante), con il compito di dare indicazioni circa la conformità ai requisiti disicurezza stabiliti nel D.M. 9 maggio 2001, sui rischi connessi alla presenza dellostabilimento, basandosi sullo studio del caso specifico o su criteri generali;

c) nel caso degli stabilimenti di cui agli articoli 6 e 7 del D.Lgs. n. 334/99 posso-no fornire, su richiesta delle Amministrazioni interessate, un parere consulti-vo ai fini della predisposizione della variante urbanistica.

Appare evidente che per facilitare l’attuazione della norma occorre renderepiù celere ed efficace il processo di istruttoria dei Rapporti di sicurezza, tenendoconto degli elementi di complessità che derivano dalla integrazione della discipli-na del rischio industriale con la pianificazione del territorio.

Tra gli obiettivi generali della Direttiva del Ministro dell’interno per l’anno 2002è compreso il miglioramento dell’efficienza dell’attività di prevenzione incendi delCorpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, con particolare riguardo all’assolvimento deicompiti in materia di rischio di incidenti rilevanti. La sollecita definizione delleistruttorie dei Rapporti di sicurezza è contenuta anche tra gli obiettivi generaliindividuati dal Capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso pubblico eDifesa Civile, il quale ha rivolto tale indicazione prioritaria alle strutture centrali eterritoriali del CNVVF.

In relazione a tali determinazioni sono stati rivisti, quindi, gli indirizzi di prioritàper la pianificazione del lavoro dei CTR e per l’uso ottimale delle risorse disponi-bili, al fine di assolvere i compiti in materia di rischio di incidenti rilevanti, com-presi quelli concernenti la pianificazione urbanistica e territoriale.

Per la conclusione in tempi brevi dei procedimenti di valutazione dei Rapporti disicurezza, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Ministero dell’interno si è impe-gnato sia con le strutture centrali (Direzione Centrale per la Prevenzione e SicurezzaTecnica e Area Rischi Industriali) sia con le strutture territoriali (Comitati TecniciRegionali di Prevenzione Incendi integrati ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 334/99).

A tal fine, gli Ispettori Regionali dei Vigili del Fuoco, Presidenti dei ComitatiTecnici Regionali di Prevenzione Incendi, sono stati invitati a:

a) avvalersi di tutte le professionalità e risorse tecniche disponibili e mobilitaretutti i funzionari dei Vigili del Fuoco, analisti di rischio, e quelli idonei per l’e-sperienza maturata nel settore, costituendo specifiche task-force per opera-re, con intensità ed efficacia, al fine di accelerare la conclusione delle istrut-torie sui Rapporti di sicurezza;

b) promuovere e rafforzare l’impegno dei componenti integrativi dei Comitati,rappresentanti degli Enti operanti nel territorio (Regioni, Province, Comuni,Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, Istituto Superiore per laPrevenzione e la Sicurezza del Lavoro);270

Con

cett

o A

pìril

e

Page 259: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

c) avvalersi del supporto tecnico-scientifico di Enti e Istituzioni pubbliche com-petenti (art. 19, comma 5, del D.Lgs. n. 334/99) e, in caso di esame di rap-porti di sicurezza relativi a stabilimenti o depositi costieri, dei rappresentantidelle Autorità portuali e/o marittime.

Le informazioni e gli elementi di valutazione, tratti dalla conclusione delleistruttorie sui rapporti di sicurezza, potranno essere utilizzati in una forma inte-grata nella lettura del rapporto tra stabilimento e territorio circostante, dalleIstituzioni rispettivamente competenti ad assumere le scelte per la pianificazio-ne di emergenza esterna agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e per lapianificazione urbanistica e territoriale.

Alcuni eventi incidentali recenti, in Italia e all’estero, hanno enfatizzato la cre-scente richiesta di sicurezza della cittadinanza: va sottolineata, quindi, la rilevan-za degli adempimenti istruttori e delle attività ispettive e di controllo, che devetenere conto, da una parte, dell’evoluzione tecnologica della produzione e deisistemi di gestione della sicurezza e, dall’altra, della possibilità di pianificare il ter-ritorio e l’emergenza con l’obiettivo di prevenire gli incidenti rilevanti connessi adeterminate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e perl’ambiente.

271

9.3

- Le

com

pete

nze

del C

orpo

Naz

iona

le d

ei V

igili

del

Fuo

co

Page 260: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 10

L’INFORMAZIONE, LA CONSULTAZIONEDELLA POPOLAZIONE E LA PERCEZIONE DEL RISCHIO

273

Page 261: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

274

Page 262: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

10.1

L’INFORMAZIONE E LA CONSULTAZIONE DEI CITTADINI

Bruno Filippo Lapadula*

La popolazione deve essere messa in grado di esprimere il proprio parere neicasi e secondo le modalità previsti dall’art. 23 del D.Lgs. n. 334/99, Attuazionedella direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti con-nessi con determinate sostanze pericolose1.

Questi casi sono: il progetto di un nuovo stabilimento in cui siano presentisostanze pericolose; le modifiche ad uno stabilimento esistente che aumentino illivello di rischio; la progettazione di nuovi insediamenti e di infrastrutture attornoad uno stabilimento esistente.

La particolarità, espressa dall’art. 23, consiste nella divisione in due fasi dellapartecipazione: la prima di carattere solo informativo avviene, con le caratteristi-che ed i limiti che vedremo, durante l’elaborazione e l’esame dei documenti, rela-tivi all’individuazione ed alla prevenzione dei rischi, senza che la popolazione sipossa esprimere nel corso delle procedure di valutazione; la seconda, di caratte-re effettivamente consultivo ed eventualmente propositivo, è rinviata alle proce-dure di formazione dello strumento urbanistico, o di sue varianti, e di Valutazio-ne dell’Impatto Ambientale (VIA) del progetto. Vi sono quindi potenziali conflittitra procedimenti che seguono iter amministrativi diversi; possibili cause di ineffi-cienza nella molteplicità e nella successione temporale degli atti; necessità di tra-durre le informazioni, contenute nei rapporti tecnici, in modo che siano facil-mente comprensibili da parte della popolazione; più generali esigenze di sempli-ficazione e di unificazione delle procedure e delle competenze.

L’esperienza italiana in materia di partecipazione della popolazione ai proces-si decisionali è stata parziale2 e tardiva. Una svolta significativa si è avuta solo conl’introduzione della procedura di VIA3 che si attua nelle misure di pubblicità, neldeposito della Sintesi non tecnica dello Studio d’Impatto Ambientale (SIA) e, peri casi previsti, nell’inchiesta pubblica.

275* Urbanista, esperto di studi d’impatto ambientale.

Page 263: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

276

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la Nell’ambito del D.Lgs. n. 334/99 sono evidenti, ai fini della partecipazione deicittadini, le problematiche relative:a) alle informazioni sui processi produttivi, coperti da brevetto o da segreto indu-

striale, che non sono accessibili alla popolazione interessata. Infatti, il gesto-re ai sensi dell’art. 22, può chiedere alla Regione competente di non diffon-dere le parti del Rapporto di sicurezza e dello Studio di sicurezza integrato, dicui all’art. 8 ed all’art. 13, che contengano notizie riservate di carattere indu-striale, commerciale e personale o che si riferiscano alla pubblica sicurezza edalla difesa nazionale. Quindi alla popolazione verrà fornita una versione par-ziale ed emendata dei documenti.Sembrerebbe che solo in caso di incidente il Comune, ai sensi dell’ultimocomma dello stesso art. 22, debba comunque garantire alle persone poten-zialmente coinvolte la tempestiva diffusione di “tutte” le informazioni;

b) alle molteplici informazioni, fornite dal gestore, nei seguenti documenti:- Relazione di cui al DPCM 31/3/1989;- Documento di valutazione dei rischi di cui al D.Lgs. n. 626/94;- Documento sulla politica di prevenzione degli incidenti di cui all’art. 7;- Rapporto preliminare di sicurezza di cui all’art. 9;- Rapporto di sicurezza di cui all’art. 8;- Piano di emergenza interno di cui all’art. 11;- Studio di sicurezza integrato e Piano di intervento di cui all’art. 13;che devono essere trasmesse alle Amministrazioni competenti e devono

essere diffuse alla popolazione, ai sensi degli artt. 12, 13 e 22, secondo proce-dure che verranno stabilite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territo-rio, in grado di garantire, attraverso la redazione di una stesura non tecnica, unacomprensione facilitata a tutti gli interessati;c) alla predisposizione da parte del Prefetto del Piano di emergenza esterno ai sensi

dell’art. 20 che deve essere elaborato, tra l’altro, previa consultazione della popo-lazione che dovrà poi essere adeguatamente informata sui suoi contenuti4;

d) alla riservatezza degli atti della Pubblica Amministrazione in particolare perquanto attiene alle valutazioni e prescrizioni sul Rapporto di sicurezza, espres-se dal Comitato di cui all’art. 21, in quanto il procedimento non è pubblico.L’accesso agli atti infatti è soggetto ad autorizzazione, anche per lo stessogestore o per il tecnico da lui delegato. I dati raccolti dalla Pubblica Ammini-strazione possono essere utilizzati solo per gli scopi per i quali vengono richie-sti ed è espressamente vietata la diffusione delle informazioni riservate daparte di chiunque ne venga a conoscenza per motivi di ufficio.Quindi vi è una fase “privata”, in cui i documenti prodotti dal gestore e gli atti

successivi possono, a richiesta dello stesso gestore, essere diffusi solo in parte.La popolazione in questa fase non è consultata ma è solo informata dell’esisten-za di una procedura presso gli organi regionali; dei contenuti totali o parziali deirelativi documenti; delle informazioni sulle misure di sicurezza e sulle norme dicomportamento in caso di incidente, disponibili presso il Comune.

Page 264: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

La popolazione è invece consultata nell’elaborazione del Piano di emergenzadi competenza della Prefettura.

La fase totalmente “pubblica” è delineata nel D.M. 9 maggio 2001, per quan-to attiene le procedure di partecipazione alle decisioni e al controllo su:a) valutazione della compatibilità territoriale ed ambientale, a seguito della reda-

zione dell’Elaborato tecnico sul Rischio di Incidenti Rilevanti (RIR) come pre-visto dal D.M. 9 maggio 2001, che si esplica attraverso attività di analisi, diconsultazione e di proposta:– per il controllo dell’urbanizzazione di cui all’art. 14, l’Amministrazione comu-

nale deve analizzare, con l’apporto dei soggetti coinvolti, la situazione dirischio e/o la compatibilità ambientale e territoriale degli interventi e, aseconda dei casi, considerare delle alternative di localizzazione o promuo-vere delle varianti ai piani (in questo caso si procede come al punto c);

– in particolare, il RIR può essere utilizzato nell’ambito delle procedure diconsultazione della popolazione previste dall’art. 23, finalizzate alla pro-nuncia di compatibilità ambientale (punto b) e/o all’elaborazione di variantiurbanistiche (punto c);

– infine, attraverso i Programmi integrati di intervento, di cui al punto 4 del-l’Allegato al D.M. 9 maggio 2001, i soggetti pubblici o privati, singolar-mente o riuniti in consorzio, possono proporre azioni utili a risolvere situa-zioni di particolare complessità, ipotizzando modifiche all’assetto insediati-vo residenziale, industriale o infrastrutturale anche con il trasferimento adaltre aree dei diritti edificatori preesistenti (punto c);

b) valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) come previsto dalla Direttiva comuni-taria5 e dalla Legislazione nazionale6 e regionale in materia, tenendo contoche gli atti conclusivi del procedimento di valutazione del Rapporto di sicu-rezza vengono trasmessi agli organi competenti della valutazione ambientaleperché ne tengano conto nella relativa istruttoria;

c) Piani Regolatori Generali (PRG) ed i Piani Territoriali di Coordinamento (PTC) erelative varianti come previsto dalla Legge Urbanistica7 e dalle Leggi regiona-li in materia, tenendo conto dell’apporto conoscitivo del Piano di emergenzae del RIR.A fronte di questa situazione oggettivamente complessa, si deve auspicare

che elaborazioni, progettazioni e procedure di valutazione e di autorizzazione diogni tipo vengano, per quanto possibile, ridotte a due: una attinente agli aspettitecnologici e l’altra alla localizzazione sul territorio.

Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:“Noi viaggiatori delll’Arca” (G. Rossi Crespi, B.F. Lapadula).

277

10.1

- L’

info

rmaz

ione

e la

con

sulta

zion

e de

i citt

adin

i

Page 265: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Gli articoli citati nel testo, salvo diversa indicazione, si riferiscono sempre al D.Lgs. n.334/99 i cui riferimenti, per brevità, non vengono ripetuti.

2 Nel senso che non vi è stato quel pieno coinvolgimento della popolazione di tipo anglo-sassone prefigurato, ad esempio, nel cosiddetto Rapporto Skeffington: Department of theEnvironment, Scottish Development Department, Welsh Office, People and Planning, Reportof the Committee on Public Partecipation in Planning, HMSO, London 1969.

3 A tale proposito si veda il mio contributo su “Prospettive aperte dalle Comunità Europee:la valutazione d’impatto ambientale”, in Carlo Bagnasco (a cura di), La partecipazione popolarealla gestione del territorio, Ciclinprop, Roma 1981.

4 In questa attività hanno notevole importanza l’informazione e la preparazione dei ragazzidelle scuole: sia perché soggetti vulnerabili sia in quanto futuri cittadini che dovranno esseresensibilizzati e preparati a convivere con i rischi presenti nel loro territorio.

5 Direttiva 97/11/CE del Consiglio del /3/1997, che modifica la Direttiva 85/337/CEE con-cernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati - Art. 6.

6 DPCM 10/8/1988 n. 377, Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale dicui all’art. 6 della legge 8/7/1986 n. 349, recante istituzione del Ministero dell’ambiente enorme in materia di danno ambientale - Articolo 5, Pubblicità; D.P.R. 12 aprile 1996, Atto di indi-rizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della Legge 22/2/1994 n. 146,concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale - Art. 8, Misure di pub-blicità - Art. 9, Partecipazione al procedimento.

7 Circolare del Ministero Lavori Pubblici 7/7/1954 n. 2495, Istruzioni per la formazione deipiani regolatori comunali: generali e particolareggiati - Punto 3, Procedure di adozione, pubbli-cazione e invio alla Regione del progetto di PRG.

278

Bru

no F

ilipp

o La

padu

la

Page 266: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

10.2

IL RISCHIO E LA SICUREZZA:PROBLEMI DI COMUNICAZIONE

Lucio Spaziante*

L’emanazione del D.M. 9 maggio 2001 “Requisiti minimi di pianificazioneurbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di inci-dente rilevante” in attuazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 e in coerenza conil D.M. 9 agosto 2000 relativo alle “Linee guida per l’attuazione del sistema digestione della sicurezza”, rappresenta un passo in avanti verso il riconoscimen-to normativo di esigenze riguardanti la sicurezza, in relazione al governo del ter-ritorio e alla tutela ambientale.

Già nella Direttiva Seveso, e poi in questi ultimi due Decreti, viene data unacerta rilevanza, seppure in forma implicita, alla comunicazione, adoperando ter-mini come promozione, copianificazione, coinvolgimento.

Il raggiungimento della sicurezza viene accompagnato dall’idea che essadebba essere diffusa e condivisa, tramite procedure di informazione, verso lapopolazione residente nelle aree circostanti i siti interessati, e verso il personaleinterno allo stabilimento. L’aspetto problematico risiede, forse, nel fatto che que-ste attività di comunicazione vengono date come assodate, senza articolare odescrivere procedure che, in realtà, sono tutt’altro che semplici e determinate.

Nella gestione della sicurezza non va sottovalutato il peso che assume l’a-spetto complementare, cioè la gestione del rischio o risk assessment. Il concet-to di “sicurezza” può infatti essere fuorviante e condurre a poter immaginare unasituazione esente da rischi, quando invece ci si può trovare al massimo di frontead una minimizzazione del rischio.

In linea di principio qualsiasi attività umana presenta elementi rischiosi, più omeno rilevanti. Decidiamo però di compierla ugualmente perché, nella maggior

279

* Università di Bologna, Dipartimento di Discipline della Comunicazione.Parte delle riflessioni contenute nell’articolo sono scaturite da un lavoro di ricerca collettivo

realizzato con Cristina Demaria e Federico Montanari. La responsabilità delle affermazioni quicontenute è in ogni caso solamente mia.

Page 267: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

parte dei casi, il bilanciamento tra rischi e risultati è a favore di questi ultimi.Prendere un treno, adoperare l’automobile, nuotare nel mare, subire interventichirurgici, sono tutte attività che presentano elementi di rischio, sebbene, nellanostra percezione, questi non risultino tali da impedirci di compierle.

Quando si parla di attività a rischio di incidente rilevante, si entra in un’areanella quale la percezione sull’entità del rischio diventa molto variabile, soggetti-va, e dunque altamente modificabile ma anche, eventualmente, gestibile.Costruire impianti, realizzare attività, fornire possibilità di lavoro con elementi dirischio, diventa sensato ed accettabile se la gestione ed il controllo della sicu-rezza sono dati per garantiti, ma soprattutto se esiste un consenso e la condivi-sione sulle azioni che devono essere compiute in direzione della sicurezza.

L’elemento umano è importante quanto l’elemento tecnologico nella gestio-ne di una crisi. Nel caso di incidente rilevante è proprio di crisi, in senso tecnico,che è corretto parlare. È quindi necessario riflettere sul perché risulta essenzialeapprofondire le tematiche relative al rischio, e in particolare alla comunicazionedel rischio, visto che nell’ambito del cosiddetto risk assessment, la comunica-zione viene considerata uno strumento di gestione determinante1.

La risk communication si è costituita come un’area, all’interno della quale leIstituzioni pubbliche di tutela della salute e dell’ambiente, specialmente america-ne e nordeuropee, hanno sviluppato competenze relative allo scambio comuni-cativo con individui, gruppi ed istituzioni, relativamente a problematiche di rischio.Quest’ambito rappresenta, in generale, il risultato di una trasformazione nelle esi-genze informative e di una sempre maggiore consapevolezza della società, non-ché della trasformazione nella natura degli stessi rischi (Gray et al. 1998).

Possiamo dire che l’idea stessa di rischio causato da incidente rilevante, siaprofondamente mutata a partire da una serie di incidenti particolarmente seri. InItalia ciò è accaduto, in particolare, a partire dall’incidente dell’Icmesa di Seveso,evento tragico che ha successivamente (1982) originato l’omonima DirettivaEuropea sulla sicurezza negli impianti industriali. Tale mutazione si è accentuata,più in generale, dopo i gravissimi incidenti di Chernobyl, di Bhopal e di Three MilesIsland. Un insieme di tragedie collettive che ha fatto complessivamente aumen-tare la richiesta di trasparenza, tra cittadini, imprese e istituzioni, elevando con-temporaneamente il bisogno di condivisione dell’informazione. L’emergere di que-sti bisogni comunicativi non si è necessariamente tradotto ancora in una sensibi-lità istituzionale verso il problema della comunicazione. Ecco perché è necessariosottolineare ancora una volta l’importanza di una corretta ed efficace comunica-zione del rischio.

Innanzitutto, va delineato un modello che fornisca una rappresentazione dellosvolgimento di questo tipo di circostanze dal punto di vista comunicativo.

Lo scenario di incidente si delinea come un evento che contiene elementi dipericolo, anche se esso viene immaginato a livello potenziale. In questo modo sipuò originare una generica percezione condivisa del rischio, prima ancora delsenso di pericolo incombente. L’aumento di questa percezione dà origine pro-280

Luci

o S

pazi

ante

Page 268: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

gressivamente alla trasformazione del clima sociale, fino alla costituzione e all’at-tivazione di gruppi di persone, il che può preludere anche ad azioni di forte impat-to. Azione e comunicazione in questo senso non possono essere distinte: dire efare si trovano a coesistere sullo stesso piano.

Ci sono azioni che vengono compiute sulla base anche solo di ciò che si èdetto, che si è saputo, che si è creduto. La spinta ad agire, in particolare in situa-zioni critiche, deriva dalle credenze che si sono formate, indipendentemente dallaloro corrispondenza con la realtà: il problema del vero va del tutto sostituito conquello del verosimile o dell’efficace.

La percezione di un rischio imminente, incombente o solo potenziale, trae ori-gine dalle fonti più disparate, grazie al fatto che i meccanismi sociali comunicati-vi sono caratterizzati da incroci e sconfinamenti tra tipologie di discorsi. La scien-za istituzionale, e gli esperti convocati per valutazioni di tipo tecnico, spesso sitrovano a doversi difendere da attacchi e da chiamate in causa effettuati da partedi generiche fonti di conoscenza sul rischio.

Queste fonti, talvolta, si autoaccreditano tramite i media, altre volte sono ilrisultato di voci tanto indefinite quanto ferma è la consapevolezza nella quale len-tamente si tramutano. Altre volte ancora sono fonti non istituzionali che, adesempio nel caso di inquinamento elettromagnetico, combattono contro il ten-tativo della scienza ufficiale di delegittimarle e di minimizzare il rischio.

È chiaro quanto sia più faticoso modificare l’opinione di un gruppo formatasisu nozioni approssimative, piuttosto che determinarne precedentemente l’orien-tamento sulla base di una comunicazione corretta e condivisa.

Per gestire una efficace comunicazione del rischio non è sufficiente fareappello alla propria autorità discorsiva. Il “vero” della scienza e della tecnologia,correttamente, si basa solo su dati dimostrati, i quali spesso possono essereintegrati o sostituiti da evidenze probabili o statistiche. Un tipo di verità che pos-siede una natura dubbiosa, riflessiva, “debole”, se confrontata con i meccanismidi costruzione della certezza, tipici in particolare del discorso mediatico, ma ingenerale di ogni forma di potere del discorso.

Dunque, sia che la lotta venga portata avanti da cittadini sommersi dalle ondedi Radio Vaticana2, sia che la conducano scienziati che lottano contro soglie dilegge, attraverso evidenze scientifiche, la posta in gioco del discorso non è quasimai il vero ma l’efficace. Sebbene questa posizione possa infastidire chi confidi nelvalore argomentativo della razionalità, e dunque della verità, essa è verificabileanche nelle controversie di tipo politico. Quando la posta in gioco è il tema dellasicurezza e dell’ordine pubblico, cioè del “rischio sociale”, le parti si affannano acontrapporre, da un lato, dati statistici che negano l’aumento della criminalità e, dal-l’altro, diffuse percezioni sociali che dimostrano la tendenza opposta. L’evidenzanon dimostra altro se non il fatto che la percezione sociale, quando si trasforma indiscorso, diventa a sua volta un dato al pari di una rilevazione quantitativa.

Descritta in breve la possibile contrapposizione tra punti di vista nel discorso etra differenti modalità argomentative, ritorniamo al problema della gestione della 281

10.2

- Il

risch

io e

la s

icur

ezza

: pro

blem

i di c

omun

icaz

ione

Page 269: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

comunicazione. L’incidente rilevante rappresenta un evento tanto più critico edingestibile, quanto più esso risulta nuovo e inaspettato, dunque non previsto enon immaginato nelle sue possibili conseguenze. Questo clima di incertezza, chesempre si ingenera all’immediato susseguirsi di un incidente di qualsivoglia natu-ra, è una tipica situazione di crisi comunicativa. Ad essa segue una generica atti-vazione di richieste di un qualche intervento o di impulsi diretti a compiere diret-tamente delle azioni, le quali saranno in linea con il clima in cui si trovano gli atto-ri in gioco. Si verifica così un’alterazione nel sistema di credenze precedenti all’in-cidente e si ricercano elementi che siano in grado di sostituirle. Assieme alla per-dita di riferimenti, avviene un immediato crollo nella fiducia nei confronti di chiavrebbe dovuto, o potuto, impedire l’incidente. Da qui in avanti si cercheranno diindividuare generici soggetti responsabili: nelle Istituzioni pubbliche globalmenteintese e nei soggetti che rappresentino la causa stessa dell’incidente.

Qualsiasi crisi scatenata da un evento incidentale costringe così a delle azio-ni, perché altera l’equilibrio dei valori3 comunicativi. Una situazione normale divie-ne critica anche perché cambiano i ruoli tra i soggetti coinvolti, oltre che il con-testo delle loro interazioni. La percezione di un rischio, rappresentando una tem-poranea situazione di crisi, si può interpretare come una minaccia di rottura dellafiducia4. Di fronte a questa minaccia i soggetti chiamati in causa, come le impre-se e le Istituzioni pubbliche, sono costretti a intraprendere un processo di difesa,di mantenimento o di ricostruzione della loro credibilità. Un evento percepitocome rischioso perciò non altera semplicemente il contesto in cui avviene lacomunicazione, bensì anche lo statuto, i ruoli e l’atteggiamento dei soggetti chevi partecipano.

Se le nostre azioni quotidiane sono genericamente basate su scelte, la valu-tazione del rischio dipende anch’essa strettamente da una scelta5.

Sussiste una situazione di rischio quando si è di fronte ad una decisione chedeve essere necessariamente presa, cioè si è dinanzi ad una scelta, e la possibi-lità di pericolo dipende dalla decisione stessa e dalle sue ampie variabili. Dunquela stabilità della situazione non dipende dal sapere, perché questo può variare inbase alle differenti posizioni assunte dagli osservatori del sistema. Solo un accor-do risultante da un patto pre-costituito, precedente alla valutazione sull’opportu-nità di quale scelta intraprendere, può fornire elementi di stabilità comunicativa.

Essere in una situazione di rischio significa, di fatto, convivere accettando l’in-certezza che risiede in una posizione di mezzo, tra sicurezza e pericolo. Sicurezzavorrebbe dire controllo assoluto e ciò risulta impossibile nei fatti; pericolo vor-rebbe dire certezza nell’attribuzione delle cause del danno, posizione idealmenteillusoria, almeno a priori.

Va così sottolineato che al di là dei criteri di pura misurazione del rischio, chesfociano poi in criteri probabilistici, il rischio non può essere inteso come un pro-cesso matematico ma come una funzione sociale ed un meccanismo discorsivo.

La gestione del rischio, vista come fenomeno di comunità e di gruppi socialipotenzialmente interessati da un incidente rilevante, deve essere interpretata282

Luci

o S

pazi

ante

Page 270: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

283

10.2

- Il

risch

io e

la s

icur

ezza

: pro

blem

i di c

omun

icaz

ionecome una prassi legata alla comunicazione. Una relazione stretta tra insiemi di

individui e discorsi. Ecco gli oggetti tecnici con cui è necessario relazionarsi:saperi, competenze, conflitti, percezioni, incertezze, voci, azioni.

A maggior ragione se accettiamo la distinzione compiuta da Luhmann trarischio e pericolo, visti entrambi come dipendenti dalla formazione dell’incertezzasu danni futuri. Si parla di rischio quando vi è incertezza sulla decisione, dunquesull’azione umana; si parla di pericolo quando vi è incertezza sull’accadere di unevento a cui si può solo essere “esposti”. Il problema si sposta dunque sull’attri-buzione di responsabilità legata al momento in cui si deve scegliere di agire in uncerto modo, e sui procedimenti che conducono l’attore del discorso a formarsiuna certa visione delle cose. La tendenza attuale della nostra società è verso laricerca immediata di connessioni causali tra danno e suoi possibili responsabili.Ciò che invece determina le priorità nell’attribuire maggiore o minore intensità adun dato rischio è evidentemente un fenomeno complesso. Dati scientifici, leg-gende, manipolazioni mediatiche confluiscono in un unico calderone discorsivo lecui regole sono ben lontane da corrispondenze verificate. Proprio per questo, siaper ciò che riguarda un’azione preventiva, che relativamente ad un intervento diemergenza, le possibilità di poter gestire efficacemente l’azione comunicativarisiedono nella capacità di costruire e mantenere un contratto fiduciario.

All’interno di uno scenario comunicativo, ovvero in caso di azioni, interventi o rea-lizzazioni potenzialmente rischiose, è fondamentale individuare i diversi attori cheentrano in gioco. Le istituzioni metteranno in gioco la loro credibilità politica e gover-nativa, gli esperti scientifici il loro sapere, i gruppi di interesse la loro funzione di sal-vaguardia corporativa. Tutti gli attori, senza distinzione, si troveranno di fronte a pos-sibili conflitti di credibilità e di diritto di parola. Quello stesso diritto che i soggetti col-piti dal danno effettivo o potenziale tenteranno di acquisire da se stessi quando,sulla scorta di una pressione cognitiva, passeranno all’azione e alla comunicazione.Le diverse tipologie di discorsi (scientifico, politico, mediatico), che si scontrano incaso di conflitto comunicativo, lottano per imporre la legittimità del proprio punto divista. Contro errate valutazioni o eccessive percezioni di rischio da parte della popo-lazione, non potrà semplicemente valere l’importazione di evidenze scientifiche,come elemento dimostrativo sufficiente. Così come non servirà nascondere o ritar-dare l’intervento nell’arena discorsiva, né tanto meno creare una falsa mitigazionedegli effetti negativi di una ipotetica decisione, sui gruppi sociali interessati.

Comunicazione vuol dire anche manipolazione tra diversi soggetti che com-piono azioni di accreditamento per costruire un contratto di fiducia. Senza questocontratto, di fronte ad una situazione di crisi, verranno a mancare anche le basiminime per avere il diritto o la possibilità di parlare. Perché vi sia reale fiducia trai contraenti del discorso, come ad esempio tra Comune e cittadini, popolazione edesperti, Ministeri e comitati, deve essere percepibile una volontà di scambiocomunicativo e di legittimazione.

Queste considerazioni non sono mosse da valutazioni etiche o morali ma daosservazioni empiriche sui procedimenti comunicativi. La comunicazione non è

Page 271: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

trasferimento di dati dalla fonte al destinatario ma costituzione di un patto con-versazionale. Perché questo patto prenda corpo sono necessarie reali azioni dicomunicazione: incontri tra partner per conferire reciprocamente legittimità all’al-tro; diffusione capillare dell’informazione nella società; chiarezza e reperibilitàdelle notizie; coerenza e trasparenza nelle relazioni.

La comunicazione, come qualsiasi altra prassi sociale, è anch’essa composta daregole. Considerarla l’ultimo anello della catena operativa di un progetto, può risul-tare un errore difficile da recuperare a posteriori. Se vi è un elemento che può costi-tuire un problema nella fase attuativa di un progetto, così come nella gestione diun’emergenza, è proprio la sensazione da parte dei gruppi interessati di essereall’oscuro o di essere stati parzialmente o per nulla resi partecipi degli eventi.

La comunicazione del rischio si va delineando così come uno strumento ope-rativo necessario all’implementazione di procedure relative al raggiungimento dilivelli efficaci di sicurezza, ed in generale nelle situazioni di prevenzione e gestio-ne dell’emergenza.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:“Communicating about Risk to Public Practice: Pointers to Good Practice”

(UK Department of Health).“Fundamental Concepts in Risk Management”.“Risk Perception and the Media” (Wahlberg A., Sjöberg L.).“Risk Communication, the West Nile Virus Epidemic, and Bioterrorism:

Responding to the Communication Challenges Posed by the Intentional orUnintentional Release of a Pathogen in an Urban Setting” (Covello V.T., PetersR.G., Wojtecki J.G., Hyde R.C.).

“Risk Communication for Contamined Land: Developing Guidelines fromPractical Observations and Case Studies” (Wylie J., Ouboter S., Reijerkerk L.,Schelwald L., Weenk A., Weterings R.).

284

Luci

o S

pazi

ante

Page 272: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Per approfondire la relazione tra risk assessment e risk communication vedi l’allegato D(Fundamental Concepts in Risk Management) contenuto nel CD-Rom.

2 Mi riferisco all’annosa controversia che vede protagonisti lo Stato della Città del Vaticano,quale proprietario dei ripetitori di Radio Vaticana, ed i cittadini delle località interessate da un’in-tensa diffusione nell’etere di onde elettromagnetiche, le quali, secondo il parere degli stessiabitanti, sono considerate responsabili di disturbo e danno per la salute.

3 Le teorie della comunicazione di ambito semiotico poggiano sull’idea che lo scambiocomunicativo avvenga sulla base di un sistema di valori culturali preesistente. Una situazionedi crisi rappresenta proprio una rottura nell’equilibrio del sistema dei valori, in particolare riguar-do all’aspetto della fiducia.

4 Per le problematiche relative al rapporto tra fiducia, credibilità e comunicazione di crisi, cfr.Demaria 1993.

5 Per questa ed altre considerazioni seguenti si veda l’approfondita riflessione contenuta inLuhmann 1996 sul concetto di rischio.

Riferimenti bibliografici

BUCCHI M., Vino, alghe e mucche pazze: la rappresentazione televisiva delle situazioni dirischio, Rai-ERI, Roma 1999.

BUCCI A., MARCHETTI A., PERINI A. e TRUPIA F., La comunicazione di crisi: le due vie, NuovaArnica, 1998.

COVELLO V.T., McCALLUM D.B. and PAVLOVA M.T., Principles and Guidelines for ImprovingRisk Communication in COVELLO, McCALLUM and PAVLOVA (eds.), Effective RiskCommunication: The Role and Responsibility of Government and NongovernmentOrganizations, Plenum Press, New York 1989.

DEMARIA C., La credibilità e la fiducia nella gestione della crisi, in Grandi R. (a cura di),Semiotica al marketing, Franco Angeli, Milano 1993.

DOUGLAS M., Risk Acceptability According to the Social Science, Sage, London 1985 (trad.it., Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano 1991).

GAMBETTA D. (a cura di), Trust. Making and Breaking of Cooperative Relations, BasilBlackwell, Oxford 1988 (trad. it., Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalitàdella cooperazione, Einaudi, Torino 1989).

GIDDENS A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo,Il Mulino, Bologna 1994.

GRAY P.C.R., STERN R.M. and BIOCCA M., Communicating about Risks to Environment andHealth in Europe, W.H.O. - Kluwer Academic Publishers, UK 1998 (trad. it. La comu-nicazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa, F. Angeli, Milano 1999).

LEISS W., Prospects and Problems in Risk Communication, University of Waterloo Press,Waterloo 1989.

LOMBARDI M., Rischio ambientale e comunicazione, F. Angeli, Milano 1997. 285

10.2

- Il

risch

io e

la s

icur

ezza

: pro

blem

i di c

omun

icaz

ione

Page 273: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

LUHMANN N., Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1996.

LUNDGREN R.E. and MCMAKIN A., Risk Communication: A Handbook for CommunicatingEnvironmental, Safety, and Health Risks (2nd ed.), Batelle Press, Columbus (Ohio)1998.

MARGOLIS H., Dealing With Risk: Why the Public and the Experts Disagree onEnvironmental Issues, University of Chicago Press, Chicago 1997.

MATTHES R., BERNHARDT J.H. and REPACHOLI M.H. (eds.), Risk Perception, RiskCommunication, and Its Application to EMF Exposure: Proceedings of the WorldHealth Organization/ICNIRP International Conference (ICNIRP 5/98), InternationalCommission on Non-Ionizing Radiation Protection, Vienna 1998.

MOLAK V. (ed.), Fundamentals of Risk Analysis and Risk Management, CRC Press, LewisPublishers, 1996.

POWELL D. and LEISS W., Mad Cows and Mother’s Milk: the Perils of Poor RiskCommunication, McGill-Queen’s University Press, Montreal 1997.

RANGHIERI F. (a cura di), La comunicazione ambientale e l’impresa, Il Mulino, Bologna1998.

RAYNOR S. F., Cultural Theory and Risk Analysis, in KRIMSKY S. and GOLDING D. (eds.), SocialTheories of Risk, Praeger Publishing, Westport (CT) 1992, pp. 83-115.

RENN O. and LEVINE D., Credibility and Trust in Risk Communication, in KASPERSON andSTALLEN (eds.), Communicating Risks to the Public, Kluwer Academic Publishers,Dordrecht (The Netherlands) 1991.

SLOVIC P., Perception of Risk, in “Science”, n. 236, 1987, pp. 280-285.

UK DEPARTMENT OF HEALTH, Communicating About Risks to Health: Pointers to GoodPractice, UK Department of Health, London 1998 [disponibile su Internethttp://www.doh.gov.uk/pointers.htm].

VALENTINI T., Analisi e comunicazione del rischio tecnologico, Liguori, Napoli 1992.

Segnaliamo inoltre alcuni link tematici:– World Health Organization [http://www.who.int/fsf/mbriskassess/index.htm]– Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR), appartenente

ad U.S. Department of Health and Human Services[http://www.atsdr.cdc.gov/HEC/HSPH/primer.html]

– National Cancer Institute [http://dccps.nci.nih.gov/DECC/riskcommbib]– CLARINET the Contaminated Land Rehabilitation Network for Environmental

Technologies in Europe [http://www.clarinet.at]– [www.health.gov] portale governativo statunitense per accedere a numerose agenzie

pubbliche sulla salute

286

Luci

o S

pazi

ante

Page 274: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

10.3

CAUSE DI INCIDENTI, DISTRIBUZIONE DEL DANNO,RESPONSABILITÀ, PRECAUZIONE

Scira Menoni*

Cause di incidenti ed interazioni tra azienda e territorio

Uno dei maggiori problemi che si possono riscontrare nella gestione delrischio chimico sul piano territoriale, ovvero partendo da strumenti che si indi-rizzano agli insediamenti e alle popolazioni che convivono con gli impianti arischio, deriva dalla rigida separatezza tra ciò che avviene dentro e fuori l’azien-da. La presenza di un’azienda comporta la gestione territoriale del rischio, siaessa proiettata nel lungo periodo e quindi volta a prevenire usi del suolo incom-patibili con gli scenari incidentali possibili, sia essa destinata a mitigare i danninel caso di un’eventuale crisi nella quale accadono e si decidono cose poco noteall’esterno e soprattutto poco controllabili da parte di quei soggetti che, invece,trarrebbero grande giovamento da informazioni in merito. Si tratta del sindaco,degli organi di protezione civile, dei Vigili del Fuoco, dei medici del 118, e, natu-ralmente degli stessi cittadini. A ben vedere, anche i piani di emergenza ester-ni richiesti dall’articolo 11 della Seveso II (articolo 20 del D.Lgs. n. 334/1999),sono spesso costruiti e realizzati presupponendo che all’interno dell’impiantosuccedano determinate cose, si prendano provvedimenti atti a confinare l’inci-dente, senza però certezze sulla effettiva integrazione con il piano di emergen-za interno.

Alcuni dati, grazie agli obblighi previsti dalle Direttive Seveso sono in realtànoti, come le sostanze trattate e le ipotesi circa possibili scenari incidentali. Essinon sono però sufficienti a redigere dei piani consapevoli, né di pronto interven-to né di regolamentazione degli usi del suolo, in assenza di una conoscenza reci-proca tra Enti e responsabili dell’azienda, nonché in merito alle metodologie e alleassunzioni adottate per redigere quegli scenari e i piani di emergenza interni del-l’azienda.

287* Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano.

Page 275: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Alcuni studiosi delle organizzazioni e analisti del rischio permettono oggi difarsi un quadro più realistico in merito a quanto avviene all’interno dell’azienda,non solo o non tanto in merito agli aspetti tecnici, ma soprattutto per quantoattiene ai complessi intrecci e connessioni tra fattori chimico-fisici e umani. Lemodalità organizzative, di gestione della sicurezza e del lavoro sono parte fonda-mentale della vita dell’azienda: la loro comprensione è essenziale per collocare ifreddi dati su sostanze e processi in un contesto dinamico, quale è ovviamentel’industria chimica, tanto più se si pensa alla costante necessità di quest’ultimadi adattarsi e possibilmente anticipare le tendenze del mercato e le innovazionitecnologiche.

Gli autori ai quali facciamo qui riferimento hanno indagato da molteplici puntidi vista la complessità dei processi e delle interazioni fisico-chimiche, persona-macchina, persona-organizzazione, che forniscono una percezione più completae meno semplicistica di quanto avviene in un impianto ad alto rischio. Essi hannomesso in luce di volta in volta questioni cruciali, che vanno dalla definizione dellecatene complesse di danni e guasti alla dinamica delle condizioni al contorno einterne allo stabilimento che ne influenzano le scelte con conseguenze più omeno dirette sulla salute e la sicurezza degli occupati.

Molte tesi avanzate da tali autori possono essere benissimo “trasferite” all’e-sterno dell’impianto, mostrando ancora una volta che quanto è valido in un siste-ma complesso quale un’azienda a rischio lo è anche, a maggior ragione, nel siste-ma territoriale che la ospita.

Ma quali sono i concetti che possono essere utilizzati per comprendere tantociò che avviene all’interno dell’impianto quanto ciò che avviene all’esterno? Ilprimo è indubbiamente la catena di guasti o di danni che portano all’interno alcosiddetto top event, ovvero all’incidente grave, ed all’esterno conducono aldisastro vero e proprio, con tutti gli effetti fisici, di perdita di funzionalità dei siste-mi e di collasso organizzativo che esso porta con sé. La catena di guasti minoriche conduce all’incidente grave viene analizzata mediante diverse tecniche abi-tualmente utilizzate nelle analisi di rischio dagli ingegneri chimici o dai tecnicispecializzati nei vari tipi di impianto. Autori come Fortune e altri (1984 e 1995)hanno messo in evidenza come in tale catena dovessero essere necessaria-mente ricompresi i fattori umani, poiché la catena dei guasti non può essereguardata solo come un fatto meccanico, ma come un intreccio complesso di rela-zioni tra gli uomini e le macchine. Non a caso, entrambi i testi citati partono dallanozione di guasto, corrispondente in questo contesto, anche se non in modo deltutto corrispondente al termine inglese failure, alla ricerca di una definizione nonbanale, particolarmente importante quando si affrontano impianti complessi ditipo chimico o nucleare.

Perrow (1984), che ha avuto il merito, con il suo pionieristico libro “Normalaccidents”, di aprire la strada ad un filone di ricerca che approfondisce le causeorganizzative dei disastri sostiene che non è possibile capire “l’ambiente” chefavorisce l’insorgere di incidenti gravi, comunque da considerare come connatu-288

Sci

ra M

enon

i

Page 276: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

rati alle tecnologie complesse, senza tenere conto, oltre agli aspetti più propria-mente tecnici, anche o soprattutto di quelli organizzativi e gestionali, della com-plessa interazione uomo-macchina ai vari livelli, da quello esecutivo dell’operato-re seduto al pannello di controllo, a quello strategico in cui si assumono le deci-sioni di politica dello stabilimento o addirittura di comparto industriale in meritoalla sicurezza e alle pratiche quotidiane di processo negli impianti.

Interessa proporre un parallelo tra quanto afferma Reason (1997) in un’operapiù recente sulle questioni di sicurezza e di cultura della sicurezza all’interno degliimpianti e quanto potrebbero dire gli urbanisti in merito agli insediamenti e alleattività che li circondano (cfr. Tabella 1).

289

10.3

- C

ause

di i

ncid

enti,

dis

trib

uzio

ne d

el d

anno

, res

pons

abili

tà, p

reca

uzio

ne

Tabella 1. Confronto interno/esterno dei fattori critici individuati da Reason nella gestione degliimpianti pericolosi.

Interno impianti Esterno impianti

Condizioni latenti Condizioni vulnerabili* scarsa progettazione * scarsa pianificazione* difetti della gestione generale * poco controllo dei legami sistemici* difetti di manutenzione * mancato controllo urbanistico* carenza di esercizio * cittadini/protezione civile poco/* strumenti/equipaggiamento inadeguati scarsamente addestrati

Automazione Eccessiva fiducia nella tecnologiacrea le condizioni per errori sottostima l’importanza del fattoredi tipo nuovo/inatteso umano nella gestione delle emergenze

Procedure più severe Legislazione più severa“sommatoria di regole” continua aggiunta di leggi e regoleriduce il campo delle azioni senza verificarne la coerenza spingepossibili e spinge a violare le regole a pratiche rischiose

Organizzazione del lavoro Organizzazione della protezione civile* quando le decisioni sono prese * quando le decisioni sono assunte

localmente sulla base di regole e localmente ma sulla base di regole epresupposti comuni, il coordinamento è presupposti comuni, il coordinamento èassicurato senza sorveglianza assicurato senza necessità di sorveglianza

* nelle organizzazioni gerarchiche, * quando l’organizzazione è gerarchicaaltamente standardizzate la sorveglianza e standardizzata, la sorveglianzaè necessaria. diventa necessaria.Sono poco adatte ad affrontare Scarsamente adatta ad affrontaresituazioni inattese situazioni inattese

Regole per prevenire incidenti Regole di prevenzione* non scordarsi di avere paura * non scordarsi di avere paura* cultura della trasparenza: * cultura della trasparenza:

riportare gli errori, le omissioni, le aziende riportano i quasi-incidenti,le violazioni i problemi nel conformarsi a regole…

Page 277: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Le cause degli incidenti possono essere ricondotte secondo quanto si dedu-ce dal lavoro di Reason a cinque grandi famiglie: le condizioni latenti, la corsaall’automazione, la spinta ad emanare procedure e norme sempre più severe perlimitare e ridurre i comportamenti a rischio, l’organizzazione e la divisione dellavoro, ed infine alcuni elementi di quella che si potrebbe definire una culturaaziendale della sicurezza. Ciascuna di queste famiglie, così come le specificheche le caratterizzano, trovano un analogo nel territorio che ospita industrie arischio, così come si vedrà caso per caso.

Sempre presenti nell’impianto, le condizioni latenti sono – secondo Reason –quelle che permettono al piccolo guasto di degenerare in un incidente grave e sonoriconducibili ai seguenti fattori: scarsa progettazione, difetti di gestione generaledell’impianto, difetti nella manutenzione, carenza di esercizio e aggiornamento daparte del personale, ed infine strumenti ed equipaggiamento inadeguati.

All’esterno dell’impianto, anziché parlare di condizioni latenti, preferiamo par-lare di vulnerabilità, ovvero della propensione dei sistemi esposti ad essere dan-neggiati in caso di incidente. Come bene sottolinea Hewitt (1997) la vulnerabilitàè una condizione costantemente presente nel sistema, che aspetta solo di diven-tare manifesta quando accade un evento inatteso. La vulnerabilità non dipendedalla fonte e dal tipo di sollecitazione cui sono soggetti i sistemi, ma solo dacome tali sistemi sono fatti, dalle loro caratteristiche intrinseche che li rendonopiù o meno capaci di resistere e superare la crisi. Troppo spesso la vulnerabilitàviene misurata in termini di danni attesi e in tal senso essa è un parametro dipen-dente dalla sollecitazione, dalla fonte del pericolo. Sembra invece più corretta l’in-terpretazione secondo la quale i danni attesi sono l’unità di misura del rischio ederivano dalla composizione dei fattori di pericolosità e di debolezza intrinsecadei sistemi sollecitati. Se la vulnerabilità fisica del sistema, ovvero la sua pro-pensione al guasto, varia a secondo del tipo di aggressione prospettata (la vul-nerabilità di una casa ad un incendio, ad un’esplosione dipende da fattori diversirispetto a quelli da considerare nel caso di una nube tossica), la vulnerabilità orga-nizzativa, funzionale e sistemica dipende solo da come i sistemi sono strutturatie connessi fra loro e molto poco dal tipo di minaccia che incombe su di essi. Nelcaso delle città sorte in prossimità di impianti a rischio, vanno annoverati comecomponenti della vulnerabilità la scarsa pianificazione e il mancato controllo dellosviluppo urbanistico, che hanno consentito l’insediamento sulle stesse aree o adistanze troppo ravvicinate di funzioni poco compatibili le une con le altre, non-ché la scarsa considerazione dei legami sistemici, che collegano le varie funzio-ni urbane fra loro. Si è trascurato ad esempio che la strategia di spostare le indu-strie in periferia e la contestuale spinta del mercato delle abitazioni a realizzarenelle stesse periferie alloggi a costi accessibili, avrebbe ben presto condottofamiglie e industrie a rischio a spartirsi le stesse aree. E ancora, quartieri resi-denziali richiamano altre funzioni quali scuole, asili, ambulatori, biblioteche, cen-tri sportivi, oggi riconosciuti come poco o per nulla compatibili con gli stabilimentidalla Direttiva Seveso II e dal D.M. 9 maggio 2001.290

Sci

ra M

enon

i

Page 278: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

291

10.3

- C

ause

di i

ncid

enti,

dis

trib

uzio

ne d

el d

anno

, res

pons

abili

tà, p

reca

uzio

nePer quanto attiene invece alla carenza di esercizio, strumenti ed equipaggia-mento necessari invece a garantire lo svolgimento in sicurezza delle mansioni ea rendere efficienti gli interventi in caso di emergenza, si possono richiamareall’esterno quelle condizioni di insufficiente addestramento dei servizi di prote-zione civile, l’insufficienza e talvolta la totale inutilità dei piani di emergenza, l’im-preparazione dei cittadini.

Le organizzazioni e possiamo dire le società per nulla o poco preparate adaffrontare situazioni di emergenza, sono destinate a esiti fallimentari comesostiene Lagadec (1995) e per di più a non riuscire a capitalizzare i propri errori(Roux-Dufort, 2000).

Reason dà ampio spazio alla disamina delle spinte all’automazione, con laquale si tenta di ovviare agli “errori umani” che sono alla base di tanti incidenti.Egli mostra altresì, con dati e casi reali alla mano, come l’automazione, se per-mette indubbiamente di evitare gli errori dovuti alla disattenzione, alla stanchez-za, alla sottovalutazione delle norme di sicurezza, crea però le condizioni pernuovi tipi di errori, inattesi e imprevedibili prima che si siano verificati. Lo stessoimpulso che fa preferire meccanismi automatici all’interno dell’impianto porta gliamministratori e in particolare i responsabili della protezione civile a riporreeccessiva fiducia negli apparati tecnici, portandoli invece a sottostimare l’impor-tanza del fattore umano nella gestione delle emergenze. Si dà più peso alle sire-ne e al loro raggio di udibilità che al messaggio di cui dovrebbero essere segna-le per la popolazione in caso di incidente.

Oltre alla fuga tecnologica, un altro rimedio cui spesso si ricorre per ovviarealle lacune appena messe in luce dall’ultimo incidente, è costituito da procedurepiù severe, tali da impedire o ridurre la probabilità di comportamenti e omissioniche hanno portato a quell’incidente. Si giunge così ad un corpo di regole e pro-cedure sempre più complesse e sempre più minuziose, che finiscono per restrin-gere oltre il tollerabile il campo delle azioni possibili (e necessarie peraltro a rag-giungere l’altro grande obiettivo di tutte le attività produttive, ovvero rapidità edefficienza nel portare a conclusione il lavoro). Si spinge così involontariamentel’operatore a violare le regole, a metterlo in una condizione di conflitto fra esi-genze fra loro contrastanti, quali la produttività da un lato e la sicurezza dall’altro.Si ottiene così il risultato opposto a quello che ci si era prefissi con l’inasprimen-to delle regole e delle sanzioni.

Qualcosa di molto simile accade anche nel contesto esterno: leggi e normevengono progressivamente introdotte ad esempio nel campo della gestione eprevenzione dei rischi territoriali senza una verifica di coerenza complessiva. Imargini di manovra del piano urbanistico sono erosi da una legislazione semprepiù attenta ai temi della sicurezza e della compatibilità ambientale. Ciò spinge acercare scappatoie, per eludere tali norme che, anziché stimolare e promuovereun approccio innovativo alla prevenzione, finiscono per ottenere l’effetto contra-rio – proprio a causa di un uso esasperato ed indifferenziato del vincolo urbani-stico.

Page 279: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Veniamo ora a due famiglie di fattori condizionanti la sicurezza all’interno del-l’impianto che sono di carattere più generale e investono l’organizzazione dell’a-zienda nella sua totalità. Da un lato vanno considerate l’organizzazione del lavoroe la divisione di compiti e responsabilità fra gli addetti. Apparentemente, le orga-nizzazioni gerarchiche, dove ruoli e compiti sono chiaramente assegnati e stan-dardizzati, sono più capaci di gestire le situazioni di rischio. L’esperienza e soprat-tutto la disamina di incidenti e di quasi-incidenti verificatisi e archiviati tanto nellaUE come negli USA, mostrano quanto sia erroneo tale assunto. Le organizzazio-ni gerarchiche sono infatti troppo rigide per affrontare con successo gli imprevi-sti, per adattarsi a situazioni inattese. Le performance migliori sono assicurate,invece, da organizzazioni decentrate che delegano anche funzioni decisionali acellule locali, contando sul fatto che le scelte verranno fatte in base a regole epresupposti comuni e condivisi. Il coordinamento, in altre parole, è ottenutosenza l’esercizio dell’autorità e/o di funzioni di sorveglianza. Le stesse identicheparole potrebbero usarsi per descrivere organizzazioni efficienti o inefficienti nelgestire situazioni di crisi più o meno gravi sul territorio. Il clamoroso scacco subì-to dalla protezione civile giapponese in seguito al terremoto di Kobe nel 1995, hadimostrato in modo inequivocabile le gravi conseguenze cui può andare incontroun’organizzazione molto gerarchica, rigida e pertanto incapace di rispondere allesfide poste da un evento imprevisto perlomeno nelle sue dimensioni e conse-guenze sociali, economiche, territoriali.

Riproponendo tale lezione al contesto esterno all’impianto pericoloso, occor-re ricordare che in momenti di crisi, quando un incidente coinvolge aree e popo-lazione al di fuori del recinto, Enti, organismi, agenzie diverse e scarsamentecomunicanti fra loro in tempi normali, saranno obbligati a lavorare insieme nellastessa area nello stesso momento.

In questi casi, solo la condivisione di una cultura comune, il riferirsi ad unostesso piano conosciuto e testato in precedenza per affrontare situazioni di crisipotrà condurre ad un’efficace conduzione di quest’ultima. L’impostazione gerar-chica serve a poco in questo caso, poiché ogni Ente, ogni organismo riconosceuna propria gerarchia interna, ma convive a fatica con gerarchie imposte fra Enti,sicché spesso sorgono conflitti e controversie in merito a chi deve decidere checosa.

La condivisione delle responsabilità porta con sé quella che Reason indicacome trasparenza del sistema, per la quale gli operatori osano riportare errori,omissioni involontarie, violazioni delle regole di cui sono stati testimoni o direttiresponsabili. Se l’azienda deve capitalizzare i propri errori, i quasi-incidenti, occor-re che essi vengano riconosciuti e analizzati, in prima istanza segnalati, dai diret-ti interessati.

Riportato all’esterno, questo si traduce in una nuova auspicabile culturadella trasparenza delle aziende nei confronti dell’intera società. Le aziendedovrebbero riferire i quasi-incidenti, le difficoltà nel conformarsi alle nuove nor-mative ecc.292

Sci

ra M

enon

i

Page 280: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Dopo l’introduzione della prima Direttiva Seveso nel 1982, è stato chiesto alleaziende di riportare gli incidenti compilando appositi moduli facenti parte dellabanca dati Mars. Negli ultimi anni gli incidenti riportati sono aumentati di nume-ro, non tanto – probabilmente – per un loro reale incremento, quanto per unamaggiore adesione al programma europeo. Rimane il fatto, però, che la maggiorparte degli incidenti notificati sono quelli che hanno avuto se non conseguenze,almeno una visibilità all’esterno dell’impianto, tanto da essere entrati nelle cro-nache della stampa e dunque difficilmente occultabili. È invece auspicabile cheanche gli incidenti minori, quelli privi di effetti percepibili all’esterno ma conpotenzialità di aggravarsi e investire in altre occasioni anche il territorio, venganoriportati, permettendo così di verificare ed eventualmente migliorare le condizio-ni di sicurezza prima che si verifichi un episodio grave. Perché questa cultura siaffermi, seguendo quanto detto da Reason per il mondo aziendale, occorre chenon ci sia un clima di sospetto reciproco tra Ente “controllore” e azienda, chequest’ultima non sia sanzionata quando l’episodio riportato non è dovuto a negli-genze o inadempienze. Occorre in altri termini che il riferire l’incidente o il quasi-incidente diventi una prassi non penalizzante per l’azienda, ma, al contrario, chevenga invece riconosciuto come un contributo fondamentale alla sicurezza.

Infine, Reason ricorda una regola di buon senso, laddove afferma che uno deirequisiti essenziali per prevenire incidenti e disastri è “non scordarsi di averepaura”. Questa regola che all’interno dell’impianto porta a non trascurare dispo-sitivi di sicurezza nello svolgimento delle proprie mansioni, all’esterno si traducenell’evitare l’incremento della condizione di rischio, esponendo popolazione efunzioni vulnerabili a impianti nei quali un incidente rilevante – per quanto raro –è pur sempre possibile.

Problemi attorno alla definizione di una soglia di rischio tollerabile

Rispetto alle questioni delineate nel precedente paragrafo, il D.M. 9 maggio2001 offre un fondamentale strumento volto a disciplinare quanto avviene all’e-sterno dell’impianto pericoloso, ovvero nei quartieri che sorgono nelle sue vici-nanze. Per la prima volta viene esplicitamente chiamata in causa l’urbanistica,cui spetta il compito di verificare se e in quale misura gli usi del suolo attuali oprevisti in un piano regolatore o anche in una sua variante parziale sono com-patibili con la presenza di installazioni soggette alla Direttiva Seveso II. È que-sto un nodo cruciale: la valutazione della compatibilità non “parte” solo dall’a-zienda, ma deve tenere in eguale considerazione anche il contesto nel qualeessa è inserita.

Da quanto afferma Rescher (1983) in merito alla soglia di rischio accettabile,si può dedurre che né la probabilità stimata né l’estensione delle aree di dannoforniscono da sole, automaticamente, l’indicazione di soglie di rischio accettabi-le che implicano, invece, una decisione “politica”.

Per quanto riguarda i parametri considerati, l’Autore ne suggerisce un terzo,relativo alla distribuzione del danno atteso nella popolazione. Il termine “distri- 293

10.3

- C

ause

di i

ncid

enti,

dis

trib

uzio

ne d

el d

anno

, res

pons

abili

tà, p

reca

uzio

ne

Page 281: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

buzione” può secondo noi riferirsi tanto alla società in generale quanto alla stes-sa popolazione residente o presente nell’area a rischio.

Nel primo caso si pongono questioni di giustizia distributiva in merito ai rischie ai benefici che comunità diverse assumono nell’ambito di uno stesso paese,ad esempio. I benefici di un dato impianto chimico sono goduti dai proprietari ein parte dagli stessi lavoratori, nonché dagli utenti dei prodotti. Proprietari, lavo-ratori, utenti, coincidono solo in parte (a volte per nulla) con la popolazione resi-dente e/o presente che vive costantemente con il rischio di un incendio, di un’e-splosione, di una contaminazione, che potrebbe coinvolgerla nel caso di un graveincidente nell’impianto.

Nel secondo caso, la distribuzione dei danni nella popolazione esposta dipen-de da fattori di vulnerabilità e/o suscettibilità che può riguardare individui o sot-togruppi (donne incinta, bambini, passanti non al corrente della situazione dirischio e dei comportamenti da tenere in casi di emergenza). È questo forse unulteriore elemento di cui si potrebbe tenere conto nella definizione di soglie dirischio tollerabili. Un numero crescente di studiosi è ormai concorde nell’identifi-care la valutazione del rischio come una procedura che comporta simultanea-mente l’analisi tecnico-scientifica e l’aspetto normativo, inestricabilmente con-nessi l’uno all’altro. La prima deve rispondere a questioni relative alle relazionicausa-effetto tra evento negativo e danno, all’estensione territoriale che il dannopotrà avere, alla sua intensità o severità (in termini di numero di vittime e di feri-ti con lesioni irreversibili), alla probabilità dell’incidente temuto.

L’aspetto normativo deve invece stabilire quando un danno è tanto grave danon poter essere ammesso, quanto significativa è una probabilità di accadimen-to per diventare oggetto di un vincolo.

Se non si può eliminare l’incertezza, sostengono De Marchi, Ungaro e Pelliz-zoni (2001), si può – o si deve – aumentare “la responsabilità, le motivazioni, l’im-pegno e le aspettative dei decisori” e, potremmo aggiungere anche delle azien-de e dei cittadini. Ma concentrando l’attenzione sui decisori, che hanno il compi-to di attuare la normativa contenuta nel D.M. 9 maggio 2001, occorre rifletteresulle conseguenze del regime di deleghe ai poteri locali che la Pubblica Ammini-strazione italiana ha avviato negli ultimi anni. Può in proposito essere utile ripor-tare quanto ha deciso il governo neozelandese in occasione di un medesimo tipodi decentramento attuato alcuni anni fa. La posizione di quest’ultimo è stata quel-la di subordinare gli eventuali aiuti in caso di disastro all’effettiva predisposizioneda parte degli Enti locali di misure di mitigazione, prevenzione e riduzione deidanni. “La gestione del rischio non può essere fatta solo sulla base di codici pro-cedurali o norme. I gestori del rischio devono assumersi la responsabilità dellasituazione complessiva di rischio, non dimostrare semplicemente di essersi atte-nuti ai regolamenti di sicurezza” (Cae, 1997). Come dire, riportando questa affer-mazione al nostro oggetto di interesse, che l’applicazione del decreto non puòessere burocratica. Anche quando, dunque, è stato scelto un criterio di accetta-bilità del rischio, come nel caso del decreto in questione, il decisore locale deve294

Sci

ra M

enon

i

Page 282: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

comunque essere consapevole della multidimensionalità del concetto di rischioaccettabile. Come hanno mostrato Iacopini e Marchi (cfr. Tabella 2), ogni discipli-na che si occupa di rischio ha un proprio modo di delimitare la soglia di accetta-bilità, in funzione del modo stesso di definire e misurare il rischio.

Per risultare efficace e davvero foriera di una maggiore sicurezza per la popo-lazione, l’applicazione della nuova normativa deve avvenire in un contesto digestione complessiva del rischio industriale di cui faccia parte, oltre agli stru-menti urbanistici, la predisposizione di un piano di emergenza esterno ben strut-turato e, infine, un maggiore coinvolgimento della popolazione interessata alledecisioni in merito all’impianto, al piano urbanistico e al piano di emergenza.Senza dimenticare ovviamente il ruolo e la responsabilità dell’azienda.

Se le Pubbliche Amministrazioni devono assumere comportamenti più con-sapevoli, a quale principio devono attenersi? Probabilmente a quello di precau-zione, definito dalla Commissione Europea nel 1998 come “un approccio digestione che si esercita in una situazione di incertezza scientifica riguardo ad unrischio e che richiede di agire a fronte di un rischio potenzialmente grave senzaattendere i risultati completi della ricerca scientifica” (Bourg e Schlegel, 2001, p.142).

295

10.3

- C

ause

di i

ncid

enti,

dis

trib

uzio

ne d

el d

anno

, res

pons

abili

tà, p

reca

uzio

ne

Page 283: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

296

Sci

ra M

enon

i Tabella 2. Criteri di accettabilità del rischio in funzione delle diverse definizioni disciplinari del concetto di rischio

disciplina definizione tecniche metodo ruolodi rischio dell'uomo

ingegneria dimensione prevedibile statistica, analisi dei sistemi, elezione delle intervento umanodi un evento o prodotto indagini epidemiologiche, conseguenze da come possibile evento

di un pericolo per la prove di laboratorio, studiare, informazioni della catena incidentaleprobabilità di accadimento albero dei guasti sottoposte a che conduce al

e degli eventi rielaborazione statistica top-event (PRA)

epidemiologia probabilità che la tecniche statistiche scelta di un l'uomo costituiscedistribuzione di una analisi storica per gruppo campione l'oggetto d'indagine.certa malattia nella raccolta dati comparazione del gruppo Gli individui vengono

popolazione sia correlata analogia e comparazione campione con un gruppo raggruppati in gruppia fonti puntuali di di confronto (non esposto) omogeneicontaminazione

tossicologia probabilità che una esperimenti in somministrazione dosi di all'uomo vengonocavia sottoposta a una laboratorio sostanza ad animali rapportati i risultaticerta dose di sostanza trasposizione dei risultati ottenuti da esperimenti

per un certo tempo dall'animale all'uomomuoia o abbia effetti su animali in base a

permanenti superficie cutanea,peso e ciclo vitale

sociologia è un costrutto mentale tecnico-quantitative indagini sociologiche il contesto sociale ha unbasato sulle credenze (statistica) o analisi libertà del decisore nella ruolo prioritario sia nellaindividuali relative alle soggettive qualitative selezione delle dimensioni scelta dl modelloconseguenze di uno significative a delimitare analitico che nella

specifico evento il campo di analisi fase decisionale

psicologia ciò che è percepito indagini psicometriche individuazione di modellidall'individuo fonte di statistica per il percettivi l'uomo è l'oggettodanno come risultato trattamento dei risultati d'indagine, come

della pericolosità sondaggi d'opinione individuo, non comeintrinseca attribuita gruppoall'evento e della

aspettativa nella suamitigazione

economia possibilità che un scenari modelli previsionali portatore di preferenzeinvestimento dia luogo individualiad una perdita anziché

ad un guadagno

politica possibilità che certe tecniche di concertazione gestione advocacy esprime le propriescelte diano luogo e partecipazione planning preferenze tramite

a problemi ambientali, gruppi d'interessesociali, economici nel

corso del mandatopolitico del decisore

Page 284: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

297

10.3

- C

ause

di i

ncid

enti,

dis

trib

uzio

ne d

el d

anno

, res

pons

abili

tà, p

reca

uzio

ne

disciplina soggettività ed definizione di obiettivo limitiincertezza accettabilità

ingegneria modellizzazione della standard di sicurezza risultati concreti per non comprende larealtà e quindi (affidabilità) fornire supporto tecnico dimensione del rischio

semplificazione basata immediatamente al di là di quella tecnicasu scelte soggettive operativo per

metodo sistematico e migliorare impiantostandardizzato quindi e processo

verificabile e ripercorribile

epidemiologia possibilità di più cause fDo)<p+(1-p)Po si ritiene correlazione tra difficoltà a trovarenon necessarie e non accettabile qualsiasi dose frequenza di eventi un gruppo campione

autoescludenti per inferiore a Do, a cui morbosi e ambiente sufficientemente ampioun evento morboso corrisponde una individuare il rapporto per la definizione di

probabilità aggiuntiva di di causa-effetto tra le soglie basse.ammalarsi Po. caratteristiche di una Difficoltà di controllo

Tale probabilità è popolazione e la del gruppo campionediffusamente fatta probabilità di ammalarsi e nel trovare un gruppocoincidere con 10-6 di confronto non

"contaminato"

tossicologia metodo sistematico Loc (level of concern) definizione della tossicità incertezza nellalivello di esposizione sotto di una sostanza trasposizione dei

il quale si ritiene che la individuazione della dati dall'animale all'uomo.sostanza non sia dannosa correlazione tra dose Utilizzo del fattore

per l'uomo Adi assorbita ed effetti di sicurezza(Admissible Daily Intake) definizione di soglie

standard di massimaassunzione giornaliera

sociologia conoscenze, preferenze capacità del sistema conoscenza delle non quantificae valutazioni soggettive sociale di dominare variabili di rispostahanno un ruolo specifico l’evento attraverso sociale all'evento

al di là delle evidenze l’esperienza tecnologicastatistiche e culturale disponibile;

non comprometterel’integrazione sociale della

comunità colpita

psicologia scelta delle variabili l'accettabilità è data dal punto di equilibrio tra non esiste unacome fonte di raggiungimento interesse generale ed correlazione immediatasoggettività dell'equilibrio in cui il interesse individuale tra i risultati di una

rapporto costi-benefici tramite la capacità rivelazione statisticatrova una sua adattativa della personalità di pericolosità e la

compensazione in prospettiva di evoluzione sua percezione come tale

economia individuazione delle curve si ha accettabilità quando quantificazione economica impossibilità di valutazionidi utilità i benefici coprono del rischio per la della salute, dell'ambiente

modellizzazione della realtà i costi e si ha un valutazione di opportunità e della vita dell'uomocerto margine di profitto di guadagno

politica poter modellare il giusto accettabilità è il gestire i rapporti tra difficoltà a raggiungereprocesso di policy raggiungimento di attori con interessi il consenso

sul determinato obiettivo consenso tra gruppi differenti il consenso può none sulle determinate portatori di istanze coincidere con la

tipologie di attori differenti scelta migliore

Page 285: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Riferimenti bibliografici

BERTAMINI F. e MENONI S., Il rischio muto, “Costruire”, n. 205, maggio 2000.BIGNELL V. and FORTUNE J., Understanding Systems Failures, Open University Press,

Manchester University Press, 1984.BOURG D., SCHLEGEL J.L., Parer aux risques de demain. Le principe de précaution,

Seuil, Parigi. CAE, Risk and Realities. A Multidisciplinary Approach to the Vulnerability of Lifelines

to Natural Hazards, Nuova Zelanda 1997.DE MARCHI B., PELLIZZONI L. e UNGARO D., Il rischio ambientale, il Mulino, Bologna 2001.FORTUNE J. and PETERS G., Learning from Failure – The Systems Approach, John Wiley

& Sons, 1995.HEWITT K., Regions of Risk. A Geographical Introduction to Disasters, Longman, Singa-

pore 1997.IACOPINI S. e MARCHI S., I criteri di accettabilità del rischio da incidente rilevante, tesi di

laurea discussa nel marzo 2002, corso di laurea Pianificazione territoriale urbanistica eambientale, Politecnico di Milano.

LAGADEC P., Cellules de crise. Les conditions d’une conduite efficace, Les Éditionsd’Organisations, Paris 1995.

MENONI S., Rischio sismico in Giappone: tecnologia, organizzazione e società, Qua-derni dell’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, Programma Emergenze di Massa,n. 5, 1999.

PERROW Ch., Normal Accidents. Living with High Risk Technologies, Basic Books, NewYork 1984, I.

REASON J., Managing the Risk of Organizational Accidents, Ashgate, UK, 1997.RESCHER N., Risk. A Philosophical Introduction to the Theory of Risk Evaluation and

Management, University Press of America, New York 1983.ROUX-DUFORT C., La gestion de crise. Un enjeu stratégique pour les organisations,

DeBoek Université, Paris-Bruxelles 2000.

298

Sci

ra M

enon

i

Page 286: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 11

L’ACQUISIZIONE DEI DATI E LE VALUTAZIONI

299

Page 287: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

300

Page 288: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

11.1

LA MAPPATURA DEL RISCHIO, MODALITÀ OPERATIVE

Paolo Ceci*

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio predispone, mantienee aggiorna l’inventario nazionale del rischio di incidenti rilevanti associato alleattività che sul territorio nazionale producono, utilizzano o detengono sostanzepericolose.

Il data-base relativo agli stabilimenti soggetti al D.Lgs. n. 334/99, corredatodalle opportune informazioni, consente di effettuare una mappatura dei potenzia-li rischi di incidente rilevante, e rappresenta uno strumento atto a monitorare:– lo stato di applicazione del D.Lgs. n. 334/99;– l’identificazione degli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante connessi a

determinate attività industriali;– l’ubicazione di tali stabilimenti sul territorio mediante georeferenzazione;– le diverse tipologie di attività;– le diverse tipologie degli impianti presenti in ciascun stabilimento;– le diverse tipologie delle sostanze detenute e loro quantità;– le diverse tipologie di scenari incidentali possibili;– le diverse tipologie di obiettivi vulnerabili presenti all’intorno degli stabilimenti;– l’identificazione dei possibili effetti domino;– l’identificazione delle aree ad elevata concentrazione di stabilimenti;– l’identificazione degli elementi utili ai fini della pianificazione territoriale e delle

informazioni alla popolazione;– la pianificazione di emergenza di area.

A tal fine la Direzione generale I.A.R. del Ministero dell’ambiente e della tute-la del territorio, con la collaborazione del Dipartimento rischio naturale e tecnolo-gico dell’APAT, ha predisposto uno strumento teso a soddisfare le necessità inmerito all’inventario nazionale delle attività industriali rientranti nell’ambito di

301

* Direzione “Inquinamento e Rischi industriali”, Ministero dell’ambiente e della tutela delterritorio.

Page 289: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

302

Pao

lo C

eci applicazione del D.Lgs. n. 334/99, predisposto ai sensi dell’articolo 15, comma 4,

del medesimo D.Lgs. sulla base delle informazioni trasmesse al Ministero.Le informazioni ricavate dalla suddetta documentazione sono relative a:

– dati identificativi della società;– dati identificativi dello stabilimento (anagrafici, responsabili, tipo di attività);– l’ubicazione geografica;– la posizione amministrativa dello stabilimento relativamente al D.Lgs. n. 334/99;– le sostanze detenute con i rispettivi quantitativi.

Tali informazioni sono state successivamente confrontate con i dati in pos-sesso delle Pubbliche Amministrazioni interessate ed in particolare con il siste-ma delle Agenzie Ambientali.

L’elaborazione dei dati permette di trarre alcune considerazioni sulla mappadel rischio industriale nel nostro Paese, in relazione alla distribuzione degli stabi-limenti a notifica (artt. 6/7 e art. 8) sul territorio nazionale.

Il data-base è in grado di elaborare i dati in maniera da ottenere informazioni su:1. la distribuzione territoriale degli stabilimenti a rischio divisi per art. 8 e art. 6;2. l’individuazione dei Comuni con maggior numero di stabilimenti a rischio;3. la distribuzione geografica degli stabilimenti suddivisi per tipologia di attività;4. la distribuzione geografica degli stabilimenti aggregati per complessità gestio-

nale ed impiantistica;5. la tipologia ed i quantitativi delle sostanze detenute negli stabilimenti, distin-

te conformemente alla suddivisione prevista dal D.Lgs. n. 334/99.Per quanto attiene alle possibilità e le necessità future del data-base il Sistema

Informativo, cuore dell’inventario nazionale, è stato strutturato in elementi modu-lari contenenti:a) informazioni generali relative all’anagrafico dello stabilimento, alla posizione in

relazione alle direttive Seveso I e II, nonché alle principali attività svolte nellostabilimento;

b) informazioni territoriali relative alla georeferenziazione dello stabilimento ealle principali attività sensibili presenti nelle vicinanze dello stesso;

c) informazioni in merito alla posizione amministrativa in relazione allo stato diavanzamento delle procedure di istruttoria tecnica, Nulla Osta di Fattibilità eparere conclusivo;

d) informazioni sulle sostanze relativamente a identificazione, tipologia di peri-colosità e quantità;

e) informazioni in merito alla posizione amministrativa in relazione alla Verificaispettiva, relativamente a periodicità, ispettori e risultanze;

f) informazioni in merito alla predisposizione ed aggiornamento del Piano diEmergenza Esterno, al fine di poter essere ampliato, o rimodulato a secondadelle specifiche necessità o del mutare dell’assetto normativo.A titolo esemplificativo si riportano alcune informazioni che quantificano, sep-

pur in termini semplicistici, le informazioni contenute nel data-base degli stabili-menti a rischio di incidente rilevante al 31 dicembre 2001:

Page 290: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Acciaierie e impianti metallurgici 1.06%

Attività di distillazione 1.76%

Centrali termoelettriche 1.41%

Depositi di fitofarmaci 2.65%

Depositi di gas liquefatti 21.25%

Depositi di oli minerali 24.60%

Depositi di sostanze tossiche 3.44%

Produzione e/o deposito di esplosivi 4.67%

Produzione e/o deposito di gas tecnici 3.79%

Raffinazione petrolio 1.50%

Stabilimenti chimici o petrolchimici 25.22%

Stabilimenti galvanotecnici 1.59%

Altro 7.06%

303

11.1

- La

map

patu

ra d

el r

isch

io, m

odal

ità o

pera

tive

n. degli stabilimenti soggetti al solo articolo 6 del D.Lgs. n. 334/99 658

n. degli stabilimenti soggetti all’articolo 8 del D.Lgs. n. 334/99 476

n. totale degli stabilimenti soggetti al D.Lgs. n. 334/99 1134

Si riporta, inoltre, la distribuzione degli stabilimenti soggetti al D.Lgs. n. 334/99per tipologia di attività principalmente esercitata nelle aziende.

Page 291: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

11.2

LA METODOLOGIA DI RACCOLTA DEI DATIDI VULNERABILITÀ AMBIENTALE E TERRITORIALE

Federica Torri*

La definizione del quadro conoscitivo del territorio della Provincia di Bologna,è stata condotta, per i 20 Comuni interessati dall’applicazione del D.M. 9 maggio2001, raccogliendo tutte le informazioni necessarie per valutare la vulnerabilitàterritoriale ed ambientale delle zone in cui sono presenti stabilimenti a rischio diincidente rilevante.

Questa prima fase di lavoro, realizzata in collaborazione fra i Settori Ambientee Pianificazione Territoriale, costituisce l’analisi iniziale della situazione esistentenella Provincia di Bologna.

I dati sono stati acquisiti dal SIT - (Sistema Informativo Territoriale provincia-le), servizio che cura la realizzazione e la gestione di banche dati cartograficheutili ad attività di programmazione, pianificazione di area vasta e la verifica e laapprovazione di PRG comunali.

Tale acquisizione di dati avviene in collaborazione con la Regione Emilia Romagnae grazie ad accordi con altri Enti (Comuni, Aziende Municipalizzate,..).

Sulla base di queste informazioni, tramite il programma GIS - Arc View 3.2,sono stati redatti i seguenti elaborati cartografici:– 2 cartografie generali (in scala 1:50000)– 29 schede tematiche riferite ai singoli stabilimenti (in scala 1:5000)

Le cartografie generali illustrano rispettivamente:– La localizzazione degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante in relazione

ai principali elementi ambientali vulnerabili:- beni paesaggistici e ambientali (zone di tutela naturalistica e zone di parti-

colare interesse paesaggistico-ambientale secondo l’art. 19 del PTPR);- risorse idriche superficiali e profonde (zone di tutela dei caratteri ambienta-

li di laghi, bacini e corsi d’acqua; tutela di invasi ed alvei, bacini e corsi d’ac-qua; pozzi di captazione; vulnerabilità della falda acquifera);

- aree naturali protette (parchi regionali e provinciali, riserve naturali, aree diriequilibrio ecologico);

305* Assessorato Ambiente, Provincia di Bologna.

Page 292: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

- uso del suolo;- zone classificate sismiche;- zone a rischio di incendi boschivi;- aree a rischio idrogeologico e aree inondate nel passato.

– La localizzazione degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante in relazioneai principali elementi territoriali vulnerabili:- infrastrutture (strade, ferrovie e stazioni ferroviarie, aeroporti, ...);- reti tecnologiche;- ospedali e case di cura;- scuole (dalle materne alle superiori);- attività commerciali (medie e grandi strutture);- poli funzionali (impianti sportivi, teatri, multisale, ...).

Successivamente, questi elaborati tematici sono stati inseriti nel PianoTerritoriale di Coordinamento Provinciale, nell’ambito del quadro conoscitivo ine-rente agli impianti a rischio di incidente rilevante.

Contestualmente sono state predisposte, per ogni impianto a rischio, delle sche-de che riportano in dettaglio le informazioni ambientali e territoriali riferite ad un intor-no predefinito di circonferenza con raggio pari a 1 km attorno al fabbricato, al fine diclassificare gli stabilimenti sulla base della vulnerabilità territoriale e ambientale.

Questa distanza è stata scelta in via cautelativa, allo scopo di poter compren-dere con certezza, nel raggio di 1 km, le reali aree di massimo impatto inciden-tale e le zone di tutela territoriale ed ambientale.

Ciascuna scheda, oltre a riportare le caratteristiche del contesto territoriale, ècorredata da un modulo che comprende le seguenti informazioni:– denominazione e localizzazione dello stabilimento;– eventuali altri Comuni interessati da possibili impatti;– tipologia di attività;– principali sostanze pericolose detenute;– calcolo della popolazione esposta;– infrastrutture presenti e ricettori sensibili;– estensione territoriale delle funzioni attuate e previste dallo strumento urba-

nistico comunale.Per il confronto dei dati, un facsimile di questi moduli è stato distribuito ai

Comuni che, allo stato attuale, si sono attivati per partecipare al gruppo di lavoro.Grazie all’estrema funzionalità dei sistemi informativi GIS, che offrono la pos-

sibilità di eseguire analisi spaziali dei dati geografici, incrociando diversi livelli diinformazioni, il materiale prodotto rappresenta l’ideale supporto di definizionedell’assetto del territorio.

L’utilizzo di questi supporti informatici, infatti, non è solamente finalizzato allaredazione di elaborati cartografici, ma permette di istituire un sistema dinamicoin grado di gestire dati diversi e di poterli confrontare fra loro.

In questo modo è possibile sovrapporre le aree di danno al quadro ambienta-le e territoriale, determinando in ogni momento le zone da sottoporre a specifi-ca regolamentazione.

Cfr. figure nn. 4, 5 e 6, pp. 405-407.306

Fede

rica

Torr

i

Page 293: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

11.3

GLI ELEMENTI AMBIENTALI VULNERABILI

Pier Franco Ariano*

Nello spirito della disciplina sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti vi èsempre stata l’intenzione di condurre il gestore ad una piena comprensione delleattività svolte in termini di conoscenza approfondita dei fenomeni e dei processie, particolarmente, dei rischi ad essi associati.

La diretta ricaduta degli approfondimenti e delle analisi del gestore deve quin-di tradursi, per un verso, nella ricerca di soluzioni finalizzate al miglioramentodelle attività e alla riduzione dei livelli di rischio e, per l’altro, nell’adozione di stru-menti ed iniziative di governo del territorio, attraverso i quali l’AmministrazionePubblica assicuri, nel contempo, sviluppo e garanzie di tutela per la popolazionee l’ambiente.

La materia ambientale si è inserita esplicitamente in tale logica solo con l’ap-plicazione della Direttiva Seveso II che considera come soggetti suscettibili didare luogo ad incidenti rilevanti le attività che comportano l’impiego di sostanzepericolose per l’ambiente.

Ne consegue che le tecniche di indagine e di calcolo modellistico specifici perla materia dell’inquinamento ambientale, usualmente impiegate, ad esempio, nelcaso della bonifica dei siti inquinati, non offrono al momento parametri e stru-menti facilmente traducibili in criteri attraverso cui sia possibile attivare processidecisionali in merito alla compatibilità urbanistica, al pari di quanto l’esperienza sinqui accumulata consente per gli aspetti di rischio tecnologico coinvolgenti feno-menologie di tipo energetico (incendi ed esplosioni) o tossico (nubi tossiche).

La questione si pone essenzialmente per l’attitudine della disciplina urbanisti-ca ad occuparsi dello sviluppo del territorio sotto il profilo spaziale e con riferi-mento diretto e primario alla componente antropica. La materia ambientale,diversamente, si occupa della tutela delle risorse ambientali in termini di mante-nimento della qualità delle stesse, approccio che, sebbene abbia anch’esso diret-

307* Unità Flessibile per le industrie a rischio di incidente rilevante, Regione Piemonte.

Page 294: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

tamente a che fare con la qualità della vita e di conseguenza con l’uomo ed il suoterritorio, non si esprime attraverso prescrizioni “deterministiche” che possanotrovare immediata corrispondenza con le logiche vincolistiche tipicamente adot-tate nella tradizionale pianificazione territoriale e urbanistica.

In sostanza, il concetto e la definizione di danno, che nelle tabelle 3a e 3b del-l’allegato al D.M. 9 maggio 2001 costituisce uno dei due elementi su cui si fondail criterio di compatibilità assume, nel caso dell’incidente coinvolgente l’elemen-to ambientale vulnerabile, un significato diverso e pertanto non analogamenteapplicabile per l’assunzione delle decisioni.

Difatti, la tabella 2 dell’allegato al decreto fornisce i parametri e i rispettivivalori di soglia che definiscono in termini statistici convenzionali l’entità deglieffetti sull’uomo di un rilascio incidentale di sostanze pericolose unicamente inriferimento alle fenomenologie dell’evento energetico e tossico.

Non sussistendo un’analoga possibilità per il caso del danno ambientale, ildecreto ha inteso adottare la strada della valutazione “qualitativa” del rischio diinquinamento o, meglio, della stima della semplice possibilità che l’evento deter-mini un fenomeno di inquinamento ambientale, lasciando per assodato che ildanneggiamento o la compromissione della risorsa sia naturalmente intersecatocon una perdita per la collettività sociale e una diminuzione della qualità della vita,al di là di stime quantitative di dettaglio sull’impatto sociale e sanitario conse-guente, che nulla aggiungerebbero ai fini di un processo decisionale.

In definitiva, è stato adottato un approccio di valutazione dove la decisionesulla compatibilità discende da un giudizio di “recuperabilità” della risorsa conta-minata e gli strumenti per l’espressione di tale giudizio attingono a definizioni eprocedure, che costituiscono il fondamento della disciplina della bonifica dei sitiinquinati e a queste rimandano espressamente.

La ricostruzione del percorso che impegna il gestore ad effettuare le necessa-rie analisi e valutazioni, prevede dapprima un inventario delle sostanze suscettibi-li di causare un danno ambientale, quindi l’individuazione delle potenziali sorgentidi perdita o rilascio incidentale delle stesse presso gli impianti e, a seguire, lastima previsionale della quantità massima che può essere rilasciata.

A quel punto, il gestore è chiamato ad una ricognizione delle risorse ambien-tali vulnerabili presenti nell’intorno dello stabilimento che possono ragionevol-mente essere colpite o più semplicemente raggiunte dalle sostanze che inci-dentalmente possono fuoriuscire, sia con riguardo alle quantità credibilmenterilasciabili sia con riferimento all’effettiva esposizione dell’elemento vulnerabile.

L’ultimo e decisivo passaggio vede la valutazione della gravità del danno even-tualmente arrecato alla risorsa, qualora questa dovesse essere interessata dalrilascio incidentale; valutazione da cui discende direttamente il criterio decisio-nale indicato nel decreto che, convenzionalmente, stabilisce come il dannoambientale valutato “grave” debba condurre ad un giudizio di non compatibilità.

Va ricordato che per “danno grave” il decreto intende il danno per il quale gliinterventi di bonifica e di ripristino ambientale dei siti inquinati, che a norma del-308

Pie

r Fr

anco

Aria

no

Page 295: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

l’articolo 17 del D.Lgs. n. 22/97 e del relativo regolamento di attuazione, il D.M.471/99, devono essere obbligatoriamente avviati a seguito dell’evento incidenta-le, possono essere portati a conclusione “presumibilmente” in un periodo supe-riore a due anni dall’inizio degli interventi stessi.

Non essendo in presenza di una situazione di inquinamento incidentale con-clamato, bensì trovandoci a trattare di ipotesi il cui sviluppo è unicamente poten-ziale, vengono a mancare i riscontri, i rilievi e gli elementi, anche di carattere ana-litico, che rendono già in partenza apprezzabile la situazione di emergenza e rela-tivamente agevole la stima dell’evoluzione sfavorevole dell’evento in termini spa-ziali e temporali.

Ne discende che, in mancanza di un danno attuale e concreto, la progettazio-ne degli interventi di bonifica che devono specificamente essere posti in campoal momento dell’accadimento incidentale può essere condotta solo per la partedi definizione delle tecniche e delle soluzioni atte ad affrontare l’emergenza alsuo manifestarsi.

L’aspetto temporale, scelto come parametro attraverso cui attribuire il giudi-zio di gravità, può quindi essere ricavato dal gestore avvalendosi delle esperien-ze già maturate in materia di interventi di bonifica e ripristino, anche attingendoai dati e alla casistica già a disposizione delle Autorità.

In coerenza con tali premesse, le scelte sul piano del controllo del territoriodebbono necessariamente ricalcare l’impostazione già accennata secondo cui, inpresenza di potenziali impatti sugli elementi ambientali vulnerabili, si deve farericorso a prescrizioni edilizie e urbanistiche che facciano riferimento sia a misuredi prevenzione sia a misure di contenimento, attuate, come recita il decreto, attra-verso accorgimenti e interventi di tipo territoriale, infrastrutturale e gestionale.

Riempire di significato sostanziale e concreto tali azioni di principio generaleè, ovviamente, possibile solo in seguito all’approfondimento di dettaglio del casoche di volta in volta si presenta all’attenzione. Il tentativo che qui di seguito si rap-presenta è quindi quello di illustrare, pur solo in senso esemplificativo, un mododi avvicinare la questione.

Si passa inizialmente ad affrontare il caso dell’inquinamento del suolo e delsottosuolo, in quanto rappresentativo della fattispecie di gran lunga più presentee distribuita sul territorio. Tale aspetto coinvolge questioni di carattere sanitariosia per l’interessamento potenziale di coltivazioni e di falde per la captazione diacque ad uso potabile sia per il danneggiamento di particolari ecosistemi.

Occorre dire che le cause di origine industriale di un inquinamento del sotto-suolo e delle acque sotterranee possono essere sintetizzate in:– scarico di acque aventi un elevato contenuto di sostanze inquinanti disciolte;– dilavamento, da parte dell’acqua piovana, di discariche di rifiuti solidi indu-

striali;– rottura accidentale di apparecchiature (serbatoi, tubazioni, giunzioni, organi di

tenuta ecc.) contenenti prodotti molto inquinanti o smaltimento abusivo deglistessi sul terreno o nel sottosuolo. 309

11.3

- G

li el

emen

ti am

bien

tali

vuln

erab

ili

Page 296: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Escludendo gli incidenti dovuti a cause tipiche del trasporto su strada e fer-rovie, negli insediamenti industriali i casi più comuni di malfunzionamenti di appa-recchiature, che possono comportare rilasci accidentali sono dovuti a:– perdita di efficienza di organi di tenuta (guarnizioni, premistoppa di valvole,

pompe e alberi);– rottura di connessioni di piccolo diametro (manichette o tubazioni flessibili);– perdite da apparecchiature di stoccaggio (serbatoi interrati o superficiali, vessel);– mancato rispetto o inesistenza di adeguate procedure per il carico/scarico;– sovrariempimento di recipienti o serbatoi;– cedimenti catastrofici indotti da sovrappressioni o irraggiamento termico

esterno;– rottura di linee di grande diametro (oleodotti/metanodotti interrati o superficiali).

Il rilascio in fase liquida di sostanze ecotossiche porta alla formazione dipozze, che in funzione del tipo di pavimentazione e di contenimento presentenell’area di rilascio, possono generare flussi liquidi inquinanti che, percolandoattraverso il terreno sottostante, possono raggiungere più o meno velocementela falda o, se veicolati da superfici lisce non convogliate e protette, possono rag-giungere corsi d’acqua superficiali o corpi d’acqua estesi.

Le sostanze accidentalmente versate possono ripartirsi nel suolo o nelleacque sotterranee a seconda delle loro caratteristiche chimico-fisiche e manife-stare effetti differenti sulle componenti ambientali, suolo e acque sotterranee, asecondo delle loro caratteristiche ecotossicologiche e del loro potenziale di deca-dimento o persistenza.

A questo punto, per un corretto giudizio sul potenziale impatto di un versa-mento incidentale, occorre conoscere i rischi connessi alle caratteristiche intrin-seche delle sostanze inquinanti, considerando:– le caratteristiche di tossicità della sostanza rilasciata nei confronti degli esse-

ri umani e dell’ambiente acquatico;– le caratteristiche di mobilità della sostanza nel suolo e nell’acquifero;– le caratteristiche di degradabilità dell’inquinante nelle matrici ambientali con-

taminate;Di seguito, si valutano i fattori compensativi di natura impiantistica e gestio-

nale come:– la capacità del sistema di impedire le perdite o di limitarle;– la presenza di sistemi di contenimento in caso di perdita;– la presenza di sistemi di recupero delle sostanze fuoriuscite;– l’adeguatezza in generale della politica aziendale nei riguardi della sicurezza.

Tutti questi fattori, se presenti o previsti, possono agire riducendo il rischio diinquinamento del sottosuolo e dell’ambiente idrico.

Da un tale presupposto discende quindi il richiamo del D.M. 9 maggio 2001 aricorrere all’applicazione dell’art. 14, comma 6 del D.Lgs. n. 334/99, invitando ilgestore a proporre misure complementari atte a ridurre il rischio di dannoambientale.310

Pie

r Fr

anco

Aria

no

Page 297: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

L’adozione di interventi migliorativi da parte del gestore, assunti autonoma-mente o frutto di prescrizioni dell’autorità competente di cui all’articolo 21 delD.Lgs. n. 334/1999, costituisce tuttavia solo una parte della questione.

Difatti, l’aspetto critico del decreto risiede nella pianificazione delle aree intor-no agli stabilimenti esistenti, visto che per i nuovi è possibile intervenire conmaggior enfasi sulle misure preventive e di contenimento già in fase di proget-tazione ovvero con la negazione della concessione nei casi di incompatibilità nonrisolvibile. L’individuazione e la realizzazione delle misure, pur con il supporto delgestore e delle autorità competenti, spetta quindi anche all’autorità preposta allapianificazione territoriale e urbanistica.

Gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica possono prevedereaccorgimenti che, in base allo specifico scenario incidentale ipotizzato e in fun-zione della fattibilità tecnica ed economica e delle caratteristiche dei siti e degliimpianti, abbiano come obiettivo la riduzione della categoria di danno attraversola protezione fisica delle risorse ambientali o la creazione dei presupposti per unpronto intervento al verificarsi dell’incidente.

Nel caso dell’inquinante per le risorse idriche, l’individuazione e la caratterizza-zione dell’area soggetta alla possibilità di inquinamento è una fase fondamentaleper acquisire le informazioni sul potenziale bersaglio di un incidente e quindi perdecidere dove e come intervenire in modo da ridurre al massimo l’incidenza.

Per meglio affrontare la problematica dei possibili effetti sull’ambiente e sullasalute umana di un ipotetico incidente, uno degli strumenti di base è pertanto laconoscenza dell’assetto idrogeologico dell’area dove insiste direttamente l’im-pianto industriale e di quella nel suo diretto intorno. Pertanto, dovendo sviluppa-re uno studio preventivo, allo scopo di intervenire prontamente e con compe-tenza nel caso si verificasse un incidente con rischio di inquinamento delle acquesotterranee, il gestore deve sviluppare tutti gli studi e le indagini che possonodare un quadro esaustivo dell’assetto idrogeologico e litostratigrafico dell’area,con particolare riferimento alla soggiacenza della falda e alla sua velocità appa-rente ed effettiva e ai parametri caratteristici del suolo aventi influenza sulle dina-miche diffusive dell’inquinamento come la permeabilità e la trasmissività.

Questa fase, definibile come caratterizzazione del sito prevista dal D.M.n. 471/1999 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa insicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’arti-colo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazio-ni e integrazioni”, è essenziale per consentire che, al verificarsi di un incidentecon la diffusione di sostanze inquinanti e/o pericolose per la salute e per l’am-biente nelle matrici suolo e acqua, si possa intervenire nel più breve tempo pos-sibile limitando al massimo la diffusione delle sostanze.

Le Autorità competenti per la pianificazione territoriale e urbanistica, avvalendo-si dei necessari supporti tecnici e delle informazioni provenienti dal gestore o daaltre fonti, nel caso sussista un concreto rischio di coinvolgimento della falda pos-sono agire secondo linee alternative o integrate tra cui, a mero titolo di esempio: 311

11.3

- G

li el

emen

ti am

bien

tali

vuln

erab

ili

Page 298: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– chiedere al gestore di intervenire con misure complementari, come indica ilcomma 6 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/1999, tenendo però presente che esi-ste un limite alla possibilità di intervento tecnologico e che l’adozione di tec-niche di avanguardia non impedisce il verificarsi di incidenti, ma ne riduce dimolto la probabilità;

– prevedere la realizzazione di barriere idrauliche a valle dello stabilimento nelladirezione di falda per consentire il recupero dell’inquinante una volta che que-sto si fosse riversato nel suolo o nel corso d’acqua e per prevenire l’interes-samento di pozzi di captazione di acque ad uso potabile e il determinarsi di unconseguente rischio sanitario;

– prescrivere il divieto di realizzare pozzi per una determinata estensione, datoche questi rappresentano importanti vie preferenziali per l’inquinante;

– prescrivere il divieto di realizzare scantinati o altri locali interrati per una deter-minata estensione, dato che gli inquinanti volatili possono migrare trasversal-mente nel suolo e determinare problemi dovuti alla creazione di atmosfereinfiammabili;

– indicare limitazioni relative alle aree adibite a coltivazione quando questesiano sottoposte a rischio di inquinamento, per ricaduta diretta o tramiteacque ad uso irriguo, anche in questo caso per evitare il determinarsi di unrischio sanitario conseguente all’eventuale rilascio.La vulnerabilità di ognuno degli elementi considerati va infatti valutata, in sede

di predisposizione della variante, in relazione alla fenomenologia incidentale cuici si riferisce.

A questo proposito va detto che l’inquinamento dei suoli rappresenta sola-mente una parte della casistica, dato che anche fenomeni di dispersione inci-dentale in atmosfera di sostanze pericolose per l’uomo o fenomeni di carattereenergetico, quali esplosioni o incendi, possono avere rilevanza per le risorseambientali.

Si può verificare il caso di rilascio in atmosfera di una sostanza per la qualesiano accertati effetti sulla vegetazione (es. defoglianti), sulle coltivazioni, sugliallevamenti, oltreché sulle aree abitate, così come il caso di un incendio capacedi estendersi ed interessare aree boscate.

In conclusione, la compatibilità tra la previsione di uso del suolo e la presen-za dello stabilimento va verificata propriamente in sede di revisione degli stru-menti urbanistici procedendo a stralciare, se del caso, le previsioni o a realizzare,come si è detto, azioni di protezione (barriere a difesa delle risorse).

La verifica può risultare efficace solo attraverso una stretta e diretta intera-zione tra le autorità preposte all’istruttoria tecnica e quelle urbanistiche e nonmediante lo scambio di corrispondenza relativo alla richiesta e alla formulazionedi pareri, visto che il diverso approccio adottato dai due mondi porterebbe natu-ralmente ad incomprensioni, rimandi e, in sostanza, ad un’azione inefficace o noncommisurata alla reale entità dei problemi.

312

Pie

r Fr

anco

Aria

no

Page 299: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

11.4

IL D.M. 9 MAGGIO 2001.UN CASO APPLICATIVO

Angelo Robotto*, Caterina Dibitonto*, Cristina Zonato*

Il caso-studio di seguito presentato riguarda l’applicazione del D.M. 9 maggio2001 è basato sulle conclusioni dell’istruttoria relativa ad uno stabilimento sog-getto agli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 334/99 svolta dal Comitato Tecnico Regio-nale del Piemonte.

È articolato nel seguente modo: una descrizione della realtà in esame con par-ticolare riferimento allo stabilimento, al territorio circostante ed alle condizionimeteorologiche. Seguendo le fasi d’adeguamento degli strumenti urbanistici,previste dal decreto, sono riportati i seguenti elementi: le aree di danno consi-derate, la rappresentazione cartografica delle aree di danno, le categorie territo-riali individuate, la rappresentazione cartografica delle categorie territoriali, lecategorie ambientali presenti, la valutazione della compatibilità territoriale per lostabilimento in esame, la regolamentazione specifica delle aree da sottoporre alcontrollo dell’urbanizzazione.

Lo stabilimento

Lo stabilimento produce materie chimiche per l’industria e derivati per l’im-piego diretto.

Sono presenti tre impianti, ognuno finalizzato alla produzione di differentisostanze. Le principali materie utilizzate sono: cloruro di sodio, zolfo, benzene,toluene. Tali prodotti vengono inviati ai rispettivi impianti di lavorazione per esse-re trasformati nei seguenti prodotti finali: cloro, soda, idrogeno, ipoclorito disodio, acido solforico, oleum, acido cloridrico, mono e di-clorobenzeni, mono edi-clorotolueni.

Nello stabilimento sono presenti aree di stoccaggio delle materie prime e deiprodotti ottenuti dalle lavorazioni.

313* Unità Operativa Autonoma Coordinamento Rischio Tecnologico, ARPA Piemonte.

Page 300: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

I rischi d’incidenti rilevanti presenti sono dovuti alle caratteristiche di infiam-mabilità e di tossicità di tali sostanze. Le quantità di alcune di queste superano ivalori di soglia dell’Allegato I del D.Lgs. n. 334/99 per l’applicazione dell’art. 8 epertanto il gestore è tenuto alla presentazione di un Rapporto di sicurezza.

Il territorio circostante

L’area dello stabilimento ricade totalmente all’interno di un unico Comune.Lo stabilimento confina: a nord, con una strada provinciale; a est, con una

strada statale; a nord-est, con una ferrovia; a ovest, con un centro abitato.A nord-est, oltre la strada statale, si trova un canale industriale e, in succes-

sione, un fiume. Nella stessa direzione si incontrano alcuni insediamenti abitati-vi di un Comune limitrofo ed un’altra linea ferroviaria.

Nel raggio di 5 km si trovano altri quattro insediamenti industriali di non gran-de rilievo.

Nelle Tavole 1 e 2 (incluse nel ) è riportata la corografia della zona in esa-me in cui sono evidenziati gli elementi di cui sopra. La cartografia di base è stataricavata estrapolando alcuni elementi ed entità dalla Carta Tecnica RegionaleNumerica (CTRN) in scala 1:10000 e raggruppandoli in tematismi utili agli scopiprefissi. Questa operazione, ed ulteriori elaborazioni, sono state eseguite con ilsoftware GIS ArcView.

Nella Tavola 3 (inclusa nel ) è rappresentata l’altimetria dell’area di studio.Da questa si può vedere che lo stabilimento è localizzato in una valle profon-

da il cui asse ha direzione NO-SE. In direzione NE-SO la quota del terreno passarapidamente da circa 200 m dello stabilimento a circa 2000 m delle cime più alte.

Le caratteristiche orografiche e meteorologiche della zona in cui è ubicato lostabilimento rappresentano le criticità maggiori perché, come verrà spiegato inseguito, tali aspetti hanno notevoli ripercussioni sulla determinazione delle areedi danno per rilasci tossici.

Le condizioni meteorologiche

Il tipico regime di brezza delle valli configura un microclima particolare, abba-stanza indipendente dalle condizioni meteorologiche di mesoscala.

Il regime di brezza è un regime a periodo giornaliero che può essere ridotto adue circolazioni fondamentali:– il sistema delle brezze di monte e di valle, consistente in una corrente di aria

fredda che scende lungo l’asse della valle nelle ore notturne e in una di ariapiù calda che lo risale nelle ore diurne;

– il sistema di brezze di pendio, che si sviluppa in un piano trasversale al pre-cedente e consiste in brezze che risalgono i pendii laterali esposti al sole ediscendono lungo quelli in ombra.L’analisi dei dati della centralina meteorologica dello stabilimento che copre

un periodo di dieci anni consente di formulare le seguenti osservazioni:314

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Page 301: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– le condizioni di calma di vento sono predominanti nei mesi invernali, da otto-bre a gennaio (media 13%, punta 35% ad ottobre);

– la velocità media del vento è pari a circa 1,8 m/s ed è, misurata come media men-sile, maggiore nei mesi estivi con punte di circa 2,28 m/s nel mese di settembre,minore nei mesi invernali con un minimo di 0,99 m/s nel mese di gennaio;

– la distribuzione percentuale media delle direzioni prevalenti del vento è laseguente:

315

11.4

- Il

D.M

.9m

aggi

o 20

01.U

n ca

so a

pplic

ativ

o

N NNE SE SSE NO NNO

7,7 6,4 9,7 9 9,6 9,5

È dunque possibile, in prima approssimazione, considerare prevalenti le dire-zioni NNO-SSE e NO-SE, anche se le percentuali si discostano poco le une dallealtre.

Nonostante la complessità dei fenomeni che caratterizzano i regimi climaticiin valle profonda, anche in questo caso può essere utilizzata, per la valutazionedella dispersione di nubi di gas tossici, la ripartizione in classi secondo Pasquill-Gifford, considerando una classe di stabilità atmosferica F e una velocità mediadel vento pari a 2 m/s.

Aree di danno

Nel Rapporto di sicurezza è stata sviluppata l’analisi delle possibili sequenzeincidentali, comprendente la stima degli effetti conseguenti agli scenari inciden-tali ipotizzati.

Gli scenari incidentali da considerare per la pianificazione urbanistica e terri-toriale sono quelli che determinano effetti esterni ai confini dello stabilimento.

Gli scenari ipotizzati sono riportati in Tabella 1, con le relative classi di proba-bilità e le distanze alle soglie d’interesse misurate dal centro di pericolo corri-spondente.

La valutazione delle conseguenze connesse agli scenari incidentali individua-ti è stata effettuata con l’ausilio di programmi di calcolo specifici (PHAST Pro-fessional – DNV Technica, EFFECTS – TNO Institute of Environmental Sciences,DEGADIS – TECSA/GRI Gas Research Institute USA) assumendo le seguenticondizioni meteorologiche:

– temperatura media ambiente: 20°C;– umidità relativa: 70%;– categorie di stabilità atmosferica: 2F;– direzioni prevalenti del vento: NNO-SSE e NO-SE.

Si è fatto riferimento alla classe di stabilità 2F, in quanto più vicina alla condi-zione meteorologica esistente e perché più conservativa della 5D (altra classesolitamente usata in questo tipo di simulazioni) nel caso di dispersioni tossiche.

Page 302: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

316

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Tabe

lla 1

. Sce

nari

inci

dent

ali c

on c

onse

guen

ze e

ster

ne a

llo s

tabi

limen

to.

Scen

ario

Impi

anto

Even

toIp

otes

iSo

stan

zaD

escr

izion

eFr

eque

nza

Dis

tanz

e al

le s

oglie

Clas

se d

in.

n.n.

coin

volta

d’ac

cadi

men

tod’

inte

ress

e (m

)st

abilit

àoc

c/an

noat

mos

feric

a

LC50

IDLH

1Cl

oro-

Soda

2A3

clor

o ga

sRi

lasc

i di c

loro

gas

da

2·10

-451

672

2Ftu

bazio

ne

2Cl

oro-

Soda

2B3

clor

o ga

sRi

lasc

i di c

loro

gas

da

1,2·

10-3

2127

52F

acco

ppia

men

to fl

angi

ato

3Ac

ido

solfo

rico

35

anid

ride

Dis

pers

ione

di S

O3

a5·

10-5

126

200

2Fso

lforic

ase

guito

di r

ilasc

io d

iol

eum

per

form

azio

ne d

iun

foro

sul

la p

aret

edi

un

serb

atoi

o

4Ac

ido

solfo

rico

57

anid

ride

Dis

pers

ione

di S

O3

a1,

1·10

-423

831

82F

solfo

rica

segu

ito d

i rot

tura

del

lalin

ea d

i tra

spor

to o

leum

5Cl

orob

enze

ni7

12ac

ido

Dis

pers

ione

di H

Cl a

2,2·

10-7

140

1500

2Fcl

orid

rico

segu

ito d

’ince

ndio

di

gass

oso

un c

loro

der

ivat

o

Page 303: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Si noti, inoltre, che il concetto di direzione prevalente sottintende un’analisi ditipo statistico che non esclude completamente la possibilità che si verifichinocondizioni diverse, anche se meno probabili.

I valori di riferimento per la valutazione degli effetti sono quelli riportati nellaTabella 2 dell’Allegato del D.M. 9 maggio 2001.

Per i rilasci tossici sono stati assunti tempi di esposizione significativamentediversi da 30 min. avendo ipotizzato tempi d’avvistamento e d’intervento moltorapidi. In particolare, sono stati considerati tempi di esposizione di 5 min.

Le aree di danno relative a tutti gli scenari sono proposte con forma circolarecon centro nel punto d’origine del pericolo per tener conto della possibilità che ladispersione avvenga in qualunque direzione, pur osservando che condizionimeteorologiche corrispondenti alle direzioni di vento non predominanti sonomeno probabili.

Ciò si discosta dall’uso corrente, derivante dalle linee guida per la pianifica-zione dell’emergenza della Protezione Civile, di associare ai rilasci tossici aree didanno aventi forma di settori circolari, con apertura di circa 1/10 del cerchio,orientati nella direzione prevalente del vento.

Se questo approccio sembra adatto per l’allocazione di risorse e per la pro-grammazione di interventi, come richiesto dalla pianificazione dell’emergenza,non risulta applicabile nel caso di determinazione di distanze minime di sicurez-za, ai fini del controllo dell’urbanizzazione. In quest’ultimo caso, infatti, volendoapplicare l’approccio della Protezione Civile, si potrebbe verificare la situazioneillustrata nel disegno 1 della Figura 1.

L’elemento territoriale di categoria B (ad esempio una scuola con più di 500persone, un ospedale con meno di 25 posti letto ecc.) si trova nelle immediatevicinanze dello stabilimento ma è escluso dalla zona da sottoporre a specificaregolamentazione in quanto esterno all’area di danno, nonostante sia lambito daquesta. Tale situazione si pone in contrasto con la volontà del legislatore di pro-teggere gli elementi territoriali ed ambientali particolarmente vulnerabili mante-nendo opportune distanze tra detti elementi e gli stabilimenti che presentanorischi d’incidente rilevante; inoltre, non tiene debitamente conto della naturaaleatoria delle condizioni meteorologiche e delle imprecisioni insite nei modelli dicalcolo che determinano l’area di danno la quale, perciò, non può essere rigida-mente definita da una linea che separi nettamente una zona a rischio da un’altracon rischio nullo.

Nel disegno 2 della Figura 1 è rappresentata un’area di danno circolare: que-sta è tanto più aderente alla reale condizione di rischio quanto più la distribuzio-ne delle frequenze nella rosa dei venti è omogenea, come nel caso di cui si stadiscutendo.

Il disegno 3 della Figura 1 rappresenta un compromesso fra le altre due ipo-tesi. In questo caso, l’area di danno è suddivisa in due zone, un settore circolareorientato nella direzione prevalente del vento e la restante parte di cerchio, a cui 317

11.4

- Il

D.M

.9m

aggi

o 20

01.U

n ca

so a

pplic

ativ

o

Page 304: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

sono associate frequenze d’accadimento diverse. Al settore circolare è attribuitala probabilità dell’evento incidentale in esame, all’altra zona è attribuita una pro-babilità inferiore, in quanto considera direzioni di vento non predominanti. Finoranon è stato ancora definito in che misura fissare o in base a quali calcoli pesarela probabilità di questa seconda zona. Si vuole evidenziare, infine, che la propo-sta 3 non trova riscontri, fino ad oggi, in nessuna normativa di settore.

Un ulteriore aspetto da considerare è che la configurazione del terreno fa sìche i pennacchi possano incontrare sul loro cammino le pendici dei monti cau-sando concentrazioni locali particolarmente elevate. Ciò vale soprattutto inmerito allo scenario n. 5 - dispersione di HCl a seguito d’incendio di un cloro-derivato.318

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Figura 1.

Aree di danno per rilascio tossico:1. Area di danno secondo le Linee Guida della Protezione Civile.2. Area di danno “estesa”.3. Area di danno “composta”.

Page 305: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

319

11.4

- Il

D.M

.9m

aggi

o 20

01.U

n ca

so a

pplic

ativ

o

Figura 2. Determinazione della distanza di danno per rilascio tossico.

Nella Figura 2 è riprodotto il profilo di concentrazione dei fumi di combustione,modellato con il programma di calcolo PHAST per quest’ultimo scenario. La nubetossica impatta sul suolo a distanze minori di quelle risultanti dalla simulazione.

La simulazione, infatti, fornisce come risultato la massima distanza assolutaalla quale troviamo una concentrazione di tossico pari all’IDLH (d2**). Se ipotiz-ziamo il terreno pianeggiante per semplicità di calcolo e consideriamo la concen-trazione al suolo, la distanza massima che otteniamo è minore della precedente(d2). Ancor più, se consideriamo il profilo altimetrico reale, otteniamo una distan-za inferiore alle precedenti (d2*): questa è, infatti, la massima distanza alla qualeil profilo di concentrazione IDLH del pennacchio della dispersione impatterebbesulle pendici dei monti circostanti lo stabilimento nella direzione considerata.

Se volessimo rappresentare al meglio la realtà dovremmo perciò individuareper ogni direzione, o meglio per un numero di direzioni sufficiente al nostro scopo,la distanza alla quale il profilo di concentrazione considerato interseca il profilo alti-metrico. Con questo metodo otterremmo un’area di danno di forma irregolare edallungata lungo la direzione del fondovalle e che si restringe nelle direzioni di mas-sima pendenza: in prima approssimazione, un’ellisse.

Data la laboriosità del calcolo suddetto e volendo tenere conto tuttavia dell’o-rografia del terreno, consideriamo come distanza di danno il valore medio tra ladistanza ottenuta nella direzione di minore pendenza del terreno e quella nelladirezione di maggiore pendenza, cioè rispettivamente lungo l’asse del fondoval-le e in direzione perpendicolare.

Page 306: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Alla luce di ciò si è deciso di riferirsi per l’IDLH di questo scenario alla distan-za di danno di 1500 m.

Dallo stesso disegno si nota che si ha una diminuzione delle concentrazioni alsuolo in prossimità della sorgente della dispersione a causa della sopraelevazio-ne del pennacchio dovuta alla temperatura dei fumi dell’incendio. Ciò sembre-rebbe avallare l’ipotesi di un’area di danno con forma di corona circolare, comesi vede nella Figura 3.

320

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Figura 3.

In questo caso, però, si potrebbe verificare la situazione paradossale illustra-ta nel disegno 1 della Figura 3: un elemento territoriale molto vulnerabile ubica-to vicino allo stabilimento è compatibile con esso, mentre un altro elemento dellastessa categoria (o persino meno vulnerabile) ubicato nell’area “d’impatto” nonè compatibile.

In realtà, appare evidente che se si verificassero incendi di entità minore diquello ipotizzato la diminuzione di concentrazione risulterebbe meno significati-va. Risulta, quindi, più opportuno considerare cautelativamente una concentra-zione almeno pari all’IDLH anche per distanze inferiori alla minima distanza allaquale il profilo di concentrazione IDLH della dispersione del pennacchio impatte-rebbe sulle pendici dei monti circostanti lo stabilimento. In questo caso l’area didanno è ancora un cerchio, come riportato nel disegno 2 della Figura 3.

In Tabella 2 sono riportati gli scenari incidentali con le relative classi di proba-bilità, le aree di danno con le corrispondenti distanze misurate dai centri di peri-colo e le categorie territoriali compatibili in base al D.M. 9 maggio 2001.

Aree di danno per rilascio tossico:1. Area di danno non adatta.2. Area di danno “conservativa”.

Page 307: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

321

11.4

- Il

D.M

.9m

aggi

o 20

01.U

n ca

so a

pplic

ativ

oTabella 2. Scenari incidentali con relative aree di danno e categorie territoriali compatibili.

Scenario Descrizione Classe di Distanze alle soglie Categorie territorialin. probabilità d’interesse (m) compatibili

Area di Area di Area di Area dielevata effetti elevata effettiletalità irreversibili letalità irreversibili(LC50) (IDLH)

1 Rilasci di cloro gas da 10-3 - 10-4 51 672 F (D*)EFtubazione

2 Rilasci di cloro gas da > 10-3 21 275 F (E*)Faccoppiamento flangiato

3 Dispersione di SO3 a seguito 10-4 - 10-6 126 200 (E*)F (C*)DEFdi rilascio di oleum performazione di un foro sullaparete di un serbatoio

4 Dispersione di SO3 a seguito 10-3 - 10-4 238 318 F (D*)EFdi rottura della linea ditrasporto oleum

5 Dispersione di HCl a seguito < 10-6 140 1500 (D*)EF (B*)CDEFd’incendio di un cloroderivato

* = solo se in presenza di variante urbanistica.

Rappresentazione cartografica delle aree di danno

Nella Tavola 4 (inclusa nel ) sono rappresentate le aree di danno degli scenariincidentali con i relativi centri di pericolo. Il cerchio più grande, quello associatoall’IDLH relativo alla dispersione di HCl, individua l’area d’interesse che dovrà esseresottoposta alle normative finalizzate al controllo dell’urbanizzazione. Quest’area, comesi vede dalla cartografia, coinvolge due Comuni. Entrambi i Comuni sono, perciò, chia-mati in causa nel processo di adeguamento dei rispettivi strumenti urbanistici e in par-ticolare nelle fasi di individuazione delle categorie territoriali, verifica della compatibi-lità e determinazione della specifica regolamentazione edilizia ed ambientale.

Il D.M. 9 maggio 2001 prevede, inoltre, che il gestore fornisca una rappresen-tazione su base cartografica tecnica e catastale aggiornata dell’inviluppo geometri-co delle aree di danno per ciascuna delle categorie di effetti e per ciascuna classedi probabilità. Questo criterio d’inviluppo presenta, tuttavia, alcuni inconvenienti.Innanzitutto, si perderebbe l’informazione relativa alla tipologia incidentale (incen-dio, esplosione, rilascio tossico) che serve al Comune nella fase di determinazionedelle misure atte a proteggere gli elementi territoriali più vulnerabili (ad esempiostrutture REI ed impianti antincendio contro gli incendi, superfici vetrate ridotte evetri infrangibili contro le esplosioni, infissi a tenuta stagna e dispositivi per il ricir-

Page 308: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

colo interno dell’aria per rilasci tossici, ...). In secondo luogo, si ha una ridondanzad’informazione per quanto attiene alle categorie compatibili in quanto, secondo letabelle del decreto, esistono più combinazioni di classi di probabilità e di effetti cheindividuano le stesse categorie. Ad esempio, in presenza di variante urbanistica,una zona appartenente all’inviluppo delle aree di danno con lesioni reversibili e clas-se di probabilità 10-4 – 10-6 è compatibile con le categorie BCDEF; se la stessa zonaappartiene anche all’inviluppo delle aree di danno con lesioni irreversibili e classedi probabilità < 10-6, si ricava che le categorie compatibili sono ancora BCDEF.

Alla luce di queste considerazioni, sembra più utile rappresentare l’inviluppogeometrico delle aree di danno per categorie territoriali compatibili così comeriportato nella Tavola 5 (inclusa nel ) (compatibilità con variante urbanistica) enella Tavola 6 (inclusa nel ) (compatibilità senza variante urbanistica).

Categorie territoriali

Gli scenari incidentali visti in precedenza coinvolgono il territorio di due Comunilimitrofi alle cui Amministrazioni comunali spetta il compito di identificare gli ele-menti territoriali ed ambientali vulnerabili nell’area circostante lo stabilimento.

L’estensione di quest’area, che per il decreto deve essere coerente con gli stru-menti urbanistici da aggiornare, può ritenersi coincidente con la massima estensio-ne dei danni ipotizzati e quindi con il cerchio di raggio 1500 m dello scenario n. 5.

L’Amministrazione del Comune sul cui territorio è ubicato lo stabilimento haindividuato 16 elementi territoriali vulnerabili categorizzandoli in base al D.M. 9maggio 2001.

Le categorie territoriali individuate sono state riportate nella Tavola 7 (inclusanel ) sulla stessa base usata per le aree di danno. Poter disporre di una car-tografia digitale facilita notevolmente la rappresentazione delle informazioni e laloro integrazione in sistemi informativi territoriali.

Categorie ambientali

Per quanto riguarda le categorie di vulnerabilità ambientale, non sono al momen-to individuabili per livello grave o significativo, a causa della mancanza di dati.

Elementi vulnerabili dal punto di vista ambientale sono il fiume ad est dellostabilimento e il torrente ad ovest dello stesso, dove, tra l’altro, ci sono le operedi captazione dell’acquedotto comunale. Un’analisi più dettagliata potrebbe esse-re compiuta avendo a disposizione le isopieze dell’area, cioè conoscendo l’anda-mento della falda.

A fronte del fatto che le aree di impianto e i bacini di contenimento dei serbatoicontenenti sostanze pericolose sono cementati e a tenuta, è ipotizzabile che la pos-sibilità di inquinamento della falda sottostante e delle acque superficiali sia limitata;tuttavia, avendo a disposizione vari piezometri distribuiti sull’area dello stabilimento,si potrebbe in futuro eseguire dei monitoraggi che tolgano ogni dubbio a riguardo.322

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Page 309: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Valutazione della compatibilità territoriale

A questo punto si dispone di tutte le informazioni necessarie per esprimere ilgiudizio di compatibilità territoriale per uno dei due Comuni interessati. A tal finesi sovrappone sulla stessa carta la rappresentazione delle categorie compatibili equella degli elementi territoriali categorizzati, viste precedentemente. I risultatisono riportati nelle Tavole 8 e 9 relative, rispettivamente, all’ipotesi di presenzao di assenza di variante urbanistica.

Attualmente, essendo il decreto sul controllo dell’urbanizzazione di recentepubblicazione, tutti i Comuni del Piemonte devono ancora adeguare i propri stru-menti urbanistici e quindi il Comune in esame dovrà fare riferimento ai contenu-ti della Tavola 9 (inclusa nel ) per il rilascio di nuove concessioni ed autorizza-zioni edilizie. Le previsioni del PRG dovranno altresì essere rese congruenti coni contenuti della Tavola 8 (inclusa nel ).

Per quanto riguarda gli elementi territoriali preesistenti e non compatibili conlo stabilimento, il gestore dello stabilimento dovrà adottare “misure tecnichecomplementari” che riducano le classi di probabilità (misure preventive) o ledistanze di danno (misure protettive) associate agli scenari incidentali, in modotale da ridurre il rischio d’incidente rilevante nell’area circostante lo stabilimentoed ottenere in questo modo la compatibilità territoriale.

Quest’ultima circostanza nasce dal fatto che fino all’entrata in vigore del D.M.9 maggio 2001, non si è tenuto debitamente conto del rischio d’incidente rile-vante nella pianificazione del territorio, sia per quanto riguarda la costruzione dinuovi stabilimenti sia per la pianificazione e costruzione di nuovi insediamentiattorno a stabilimenti già esistenti.

Regolamentazione specifica delle aree

Raggiunta la compatibilità territoriale, gli elementi vulnerabili, esistenti o previ-sti, dovranno comunque essere protetti, nell’eventualità che si verifichino gli inci-denti rilevanti ipotizzati dagli effetti di tali incidenti e ciò deve essere fatto attra-verso una normativa urbanistica specifica delle aree interessate dagli scenari.Occorre, innanzitutto, partire dalla conoscenza delle caratteristiche delle sostanzecoinvolte negli scenari incidentali ipotizzati e ricavate dalle schede di sicurezza.Queste informazioni possono, ad esempio, essere riportate assieme alle valuta-zioni dell’Autorità competente trasmesse al Comune al termine dell’istruttoria.

Nel caso in esame le caratteristiche delle sostanze coinvolte sono le seguenti:

Cloro:– più pesante dell’aria;– tossico per inalazione;– irritante per occhi, vie respiratorie, pelle;– pericoloso per l’ambiente, nelle acque superficiali per idrolisi forma acido

cloridrico con possibile variazione del pH locale con rischi per l’ecosistemaacquatico. 323

11.4

- Il

D.M

.9m

aggi

o 20

01.U

n ca

so a

pplic

ativ

o

Page 310: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Acido cloridrico gassoso:– più pesante dell’aria;– tossico per inalazione;– corrosivo, provoca gravi ustioni;– nelle acque superficiali può provocare diminuzione del pH naturale con

rischi per l’ecosistema acquatico ed in particolare per i pesci.

Anidride solforica:– quando l’SO3 viene rilasciato all’aria aperta a causa della reazione con l’u-

midità, si ha formazione di nebbia. Questa nebbia contiene delle micro-goccioline di acido solforico che rimangono sospese in aria finché nonabbiano assorbito una quantità di acqua tale da farle cadere a terra. Abasse concentrazioni, l’inalazione di tale nebbia produce irritazione agliocchi, naso e gola; l’esposizione a più alte concentrazioni provoca ustionia livello cutaneo ed oculare.

Con riferimento quindi agli scenari incidentali che coinvolgono le suddettesostanze, trattandosi di nubi di sostanze tossiche e corrosive che si disperdonoper gravità (densità della nube superiore a quella dell’aria), l’autorità comunaledovrà porre particolare attenzione alle attività che utilizzano locali interrati oseminterrati con spazi destinati al lavoro o alla sosta di persone.

Per gli edifici territorialmente compatibili con lo stabilimento e situati all’inter-no delle aree di danno, ad esempio, si potranno adottare dispositivi di ricircolointerno dell’aria e infissi che garantiscano un elevato grado di tenuta e di sepa-razione tra atmosfera interna ed esterna.

Per categorie territoriali di elevata vulnerabilità può essere opportuno ricorre-re a sistemi automatici di rilevazione di gas tossici e sistemi di chiusura automa-tica delle aperture.

Allegati a questo saggio presenti nel CD-Rom:

• Tavola 1 - Inquadramento territoriale 1:50.000• Tavola 2 - Inquadramento territoriale 1:10.000• Tavola 3 - Altimetria 1:50.000• Tavola 4 - Scenari incidentali 1:10.000• Tavola 5 - Controllo urbanizzazione (con variante urbanistica) 1:10.000• Tavola 6 - Controllo urbanizzazione (senza variante urbanistica) 1:10.000• Tavola 7 - Categoriazzazione del territorio 1:10.000• Tavola 8 - Compatibilità territoriale (con variante urbanistica) 1:10.000• Tavola 9 - Compatibilità territoriale (senza variante urbanistica) 1:10.000

324

Ang

elo

Rob

otto

, Cat

erin

a D

ibito

nto,

Cris

tina

Zona

to

Page 311: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 12

I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVIE I TEMI DI PIANIFICAZIONE

325

Page 312: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

326

Page 313: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

12.1

I PERIODI TRANSITORI DI APPLICAZIONEDELL’ART. 14 DEL D.LGS N. 334/99

Rosario Manzo*

I tempi di attuazione e gli effetti della decorrenza dei termini

Il D.M. sul “Controllo dell’urbanizzazione”, in base all’articolo 14 del D.Lgs. n.334/99, doveva essere emanato entro il 13 aprile 2000. Il D.M. è entrato in vigo-re, quindi, con più di un anno di ritardo.

Il maggior tempo è stato necessario per definire nel modo più compiuto possi-bile un documento che potesse avere una effettiva potenzialità d’intervento nellacomplessa tematica: avendo formato il gruppo tecnico di lavoro, fin dall’inizio, pres-so la Presidenza del Consiglio, tramite la Conferenza Stato-Regione, non è statonecessario procedere alla surroga da parte della Presidenza stessa (comma 2, art.14 D.Lgs. n. 334/99).

Il D.M. 9 maggio 2001 è stato pubblicato nel Supplemento ordinario n.151 allaGURI n.138 del 16 giugno 2001. L’entrata in vigore della normativa – costituendola pubblicazione, dopo 15 giorni, integrazione dell’efficacia del provvedimento – èquindi fissata al giorno 1° luglio 2001.

Entro il 1° ottobre 2001 (art.14 D.Lgs. n. 334/99, comma 3) si sarebbero dovu-te approvare sia le varianti ai piani territoriali di coordinamento, sia agli strumen-ti urbanistici, tramite le procedure di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 447/98.

In realtà, il riferimento all’art. 2 del D.P.R. n. 447/98 chiama in causa solo lenorme regionali in materia di approvazione semplificata degli strumenti urbani-stici attuativi in variante agli strumenti generali e quindi non può essere utilizza-to nel caso dei piani territoriali di coordinamento1.

Allo scadere del 1° ottobre 2001 le concessioni edilizie o le autorizzazioni pertutte le tipologie d’intervento dell’art.14 del D.Lgs. n. 334/99, devono essere rila-sciate previo parere dell’Autorità competente di cui all’art. 21 del citato D.Lgs., solose conformi ai requisiti di sicurezza previsti dal D.M. 9 maggio 2001. L’articolo 14,

327* Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, DICOTER.

Page 314: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

328

Ros

ario

Man

zo comma 3 specifica che l’istruttoria tecnica, in assenza della variante, deve avveni-re considerando i “[…] rischi connessi alla presenza dello stabilimento, basato sullostudio del caso specifico o su criteri generali”.

La verifica di compatibilità, in attesa della variante urbanistica e della conse-guente regolamentazione edilizia, è trattata nel D.M. 9 maggio 2001 al punto 6.3con la specifica individuazione di una tabella di compatibilità (cfr. tab. 3b) – daconsiderare, quindi, “criterio generale” – delle destinazioni d’uso, più restrittivadi quella che sarebbe utilizzabile nel caso di presenza della variante urbanistica.

Nel periodo compreso tra il 13 aprile 2000 e il 1° luglio 2001 si è già creato,in realtà, un regime transitorio (art. 14 D.Lgs. n. 334/99, comma 4), nel quale leconcessioni edilizie (e le autorizzazioni, nonché le denuncie d’inizio attività qua-lora fossero state, per legge regionale, sostitutive delle concessioni edilizie2)dovevano essere rilasciate previo parere favorevole dell’Autorità competente exart. 21 del D.Lgs. n. 334/99. La verifica, in questo caso, ai sensi dell’articolo 14,comma 4 riguardava la […] compatibilità della localizzazione degli interventi conle esigenze di sicurezza: si tratta di una formulazione più generica e “flessibile”,rispetto a quella introdotta nel caso precedente.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale obbligo poteva concretamente essere sod-disfatto solo se la condizione di rischio (ovvero tutta la procedura di notifica/infor-mazione e la relativa predisposizione della cartografia del rischio) fosse palese,cioè chiaramente nota quanto meno nella sua presunta esistenza, in base allanormativa e alla regolamentazione vigente al momento dell’ingresso nel periodotransitorio.

Sono fatte salve tutte le concessioni edilizie (e le autorizzazioni, nonché ledenunce di inizio attività già rilasciate alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n.334/99 (13 ottobre 1999, cfr. art.14 D.Lgs. n. 334/99, comma 5).

Il parere dell’Autorità competente riguarda sia i nuovi stabilimenti, sia le modi-fiche di quelli esistenti.

La categoria più ampia e indeterminata, tuttavia, è quella individuata alla let-tera c) dell’art.1 del D.M. 9 maggio 2001:

[...] c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti,quali, ad esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zoneresidenziali, qualora l’ubicazione o l’insediamento o l’infrastruttura possanoaggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante. [...]

La lettera c) è ripresa integralmente dall’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 e ponemolti dubbi interpretativi. Tralasciando il tema dei limiti quantitativi e qualitativi inbase ai quali sottoporre il titolo abilitativo ad una verifica da parte dell’Autoritàcompetente ex art. 21 D.Lgs. n. 344/99, nonché la ricerca di una definizione con-creta del termine “attorno” in riferimento ad uno stabilimento esistente (nozio-ne che presuppone la conoscenza, già data, delle aree di danno prevedibile),occorre riflettere sulla possibilità di intervento, da parte del Sindaco, per esclu-dere l’obbligo di verifica, nel solo caso della categoria c) del comma 1 dell’art.14,in ambiti sicuramente non influenzabili da scenari di danno.

Page 315: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nel caso di esistenza di una notifica di uno stabilimento soggetto al D.Lgs. n.334/99, l’obbligo di verifica dei titoli abilitativi edilizi si crea per l’intera estensio-ne del territorio comunale: se, da una parte, ciò è coerente e necessario inComuni di piccola e media estensione territoriale, diventa meno credibile nelcaso di Comuni di grandi dimensioni, dove gli stabilimenti a rischio sono, adesempio, collocati in aree marginali della città, laddove gli effetti negativi poten-ziali – ancora da determinare – sono più rilevanti nei Comuni adiacenti, nei quali– non vigendo alcuna norma limitativa – i titoli abilitativi di “nuovi insediamenti”o di “infrastrutture” non sono verificati rispetto allo scenario incidentale.

Alcuni scenari incidentali, viceversa, come il rilascio di sostanze tossiche, pos-sono avere effetti a grande distanza e per direzioni variabili, in funzione dell’o-rientamento, della velocità del vento presente al momento dell’incidente e dellatipologia della sostanza che provoca il rilascio tossico.

Una ipotesi di limitazione “interinale” in attesa dell’adozione della

variante ai sensi del D.M. 9 maggio 2001

La norma relativa ai periodi transitori proposta dall’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99è tranciante. Di fatto, tutti i titoli abilitativi dei “nuovi insediamenti o infrastruttu-re”, sono soggetti, in carenza di una variante urbanistica, a verifica da partedell’Autorità competente ex art. 21 del D.Lgs. n. 334/99.

L’effetto sui procedimenti edilizi, come appare evidente, è particolarmentegravoso: sebbene il legislatore indichi in tre mesi il periodo interinale nel qualesottoporre a verifica i titoli abilitativi edilizi è da ritenere che tale termine, giàdisatteso, verrà ulteriormente dilatato, per la necessità di far entrare “a regime”l’introduzione delle norme tecniche riguardanti i “requisiti minimi” per l’edifica-zione nelle aree a rischio d’incidente rilevante3.

In altri termini, si corre il rischio di sottoporre alla verifica tecnica di cui si èdetto, per un periodo molto lungo e indefinito, l’attività edilizia anche nel caso incui non esista un nesso diretto tra costruzione, scenario di incidente rilevante edesigenze di sicurezza.

Si pone la questione di individuare con quali strumenti, evidentemente“esterni” alla normativa Seveso e comunque di carattere generale, si possanocontemperare due esigenze diverse: protezione dal rischio e semplificazionedei procedimenti edilizi da gravami procedurali, almeno fino alla data di adozio-ne della variante, termine dal quale entrano in vigore le usuali misure di salva-guardia urbanistica. Una ipotesi di limitazione degli effetti della normativa tran-sitoria prevista dal D.Lgs. n. 334/99 deve essere, tuttavia, impostata secondoprincìpi precauzionali che tengano conto della massima condizione di rischioprevedibile.

Sotto il profilo della tutela della salute pubblica la competenza, ampia e discre-zionale, derivata dalla Costituzione è attribuita al Sindaco4, il quale, in via precau-zionale, ai sensi degli articoli 216 e 217 del T.U. delle leggi sanitarie (R.D. 329

12.1

- I p

erio

di t

rans

itori

di a

pplic

azio

ne d

ell’a

rt.1

4 de

l D.L

gs. n

. 334

/99

Page 316: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

27.7.1934, n.1265), prescrive le norme da applicare per prevenire il danno o il peri-colo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza, per le industrie “insalubri”, diprima e seconda classe come definite dal D.M. 5 settembre 1994.

L’ampio e articolato elenco definito dal D.M. citato, comprende una serie dilavorazioni, impieghi e depositi di sostanze, nonché di attività, almeno in parte,coincidenti con quanto previsto dal D.Lgs. n. 334/99.

Quello che viene in evidenza, nel R.D.1265/34, rispetto al D.Lgs. n. 334/99,non è tanto la tipologia della lavorazione (allegato A, art. 5, comma 2), ovvero l’in-clusione nella normativa in base agli effetti prodotti dalle sostanze e alla lorosoglia quantitativa (allegato B, art. 5, comma 3) ma, viceversa, la sola presenzadella sostanza e il suo trattamento per la produzione, l’impiego in altre lavorazio-ni collegate alla principale, ovvero il solo deposito, senza limiti di quantità. Il T.U.delle leggi sanitarie – sebbene lontano nel tempo – mantiene un rilievo “[…]quale primo importante indice di riferimento circa l’impatto per l’ambiente e perla salute di un’attività produttiva e quale fonte di legittimazione dell’interventopreventivo e repressivo dell’autorità nei confronti delle industrie inquinanti. Inquesto secondo ambito esse si affiancano alle norme di legge che attribuisconoal sindaco poteri di emettere ordinanze di necessità per la tutela di interessi pri-mari della collettività, in caso di imminente pericolo” (Enciclopedia del diritto, DeAgostini, 2002, voce: industrie insalubri).

Così legittimata l’eventuale azione del Sindaco, è possibile profilare una solu-zione al quesito posto in premessa.

Si tratta, come è evidente, di una indicazione di “comportamento” possibileesclusivamente nei casi in cui sia acclarata l’inutilità della verifica preventiva sul-l’attività edilizia. Posto, quindi, questo accertamento, che potrebbe essere effet-tuato con la richiesta al gestore della definizione della massima area di danno pre-vedibile e la successiva verifica della credibilità di tale previsione da partedell’Autorità competente, in attesa della variante appare possibile limitare allasola area individuata l’obbligo puntuale di verifica dei titoli abilitativi edilizi.

Viceversa, secondo quanto argomentato, anche qualora non sia presente unostabilimento soggetto alla Direttiva “Seveso” in un Comune, ma questo può subi-re gli effetti di uno scenario di danno, appare possibile per il Sindaco di questo ulti-mo Comune adottare i medesimi provvedimenti interinali, in attesa della variantedi PTC che dia indicazioni per la riconformazione degli strumenti urbanistici dientrambi i Comuni. Resta fermo, ovviamente, da parte dell’Amministrazionecomunale l’obbligo di attivazione, in parallelo, dei procedimenti di variante urbani-stica ai sensi del D.M. 9 maggio 2001.

Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:“Le categorie di intervento edilizio e il regime dei titoli abilitativi per l’esecu-

zione di opere edili”330

Ros

ario

Man

zo

Page 317: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Nel D.M. 9 maggio 2001 il tema è trattato al quarto capoverso del punto 3 (Pianificazioneurbanistica). La fattispecie di approvazione “semplificata” ex art. 2 del D.P.R. 447/98 (in prati-ca, autoapprovazione da parte dell’Ente locale) è subordinata, nell’art. 25 della L. n. 47/85, all’e-sistenza di una specifica legge regionale e riguarda gli insediamenti produttivi di “beni e servi-zi”: ne consegue che il procedimento “semplificato” può trovare applicazione solo nel caso a)e b) del comma 1 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99, in quanto si tratta, esclusivamente di areedestinate a industria. Viceversa, una variante urbanistica prevedibile per il caso c) del predettoarticolo (Nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti) non può che rica-dere nel procedimento “ordinario” previsto dalle singole discipline regionali.

2 Nel D.M. si specifica che l’obbligo di conformità ai requisiti di sicurezza vige anche per ledenunce d’inizio attività, per le medesime fattispecie previste per la concessione edilizia, lad-dove tale istituto sia previsto da norme regionali (cfr. punto 3, ultimo capoverso del D.M. 9 mag-gio 2001). All’entrata in vigore del T.U. dell’edilizia (ovvero dell’articolo 1, comma 6 della L. n.443/2001) si dovrebbe “rafforzare” le fattispecie di opere edilizie realizzabili tramite “denunciad’inizio attività”.

3 Pur registrando una maggiore “vivacità” e crescita dell’attività di pianificazione a livellolocale (si veda il Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio cit., pp.135 sgg.), traina-ta, in parte dalle nuove normative regionali e dai programmi complessi, i tempi per la conclu-sione del ciclo completo di variazione urbanistica – specie quando si tratta di una rivisitazione“globale” del piano – non sono certamente compatibili con i tre mesi indicati nell’articolo 14del D.Lgs. n. 334/99, né con la maggiore velocità dei processi di adeguamento tecnologico del-l’industria (spesso anche migliorativi della situazione di rischio tecnologico o ambientale).

4 Consiglio di Stato, sez. IV, n. 872 del 27 novembre 1984 (fonte: De Agostini professiona-le): “Nel vigente ordinamento giuridico-amministrativo, la tutela della salute pubblica, sotto ilprofilo igienico-sanitario, è istituzionalmente affidata al Sindaco, al quale l’art. 216, penultimocomma del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n.1265, attri-buisce, in modo esclusivo, un ampio potere discrezionale di vigilanza delle industrie insalubri opericolose per la salute degli abitanti sotto il profilo anzidetto […]”.

331

12.1

- I p

erio

di t

rans

itori

di a

pplic

azio

ne d

ell’a

rt.1

4 de

l D.L

gs. n

. 334

/99

Page 318: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

12.2

L’URBANISTICA E IL RISCHIO DI INCIDENTERILEVANTE: PIANIFICAZIONE, PROCEDURE E TECNICHE

Giovanni Ferrero*

Il rapporto tra rischio industriale e piano urbanistico è argomento relativa-mente recente, ma la definizione di distanze minime tra oggetti costruiti e tra atti-vità insediate è forse uno degli elementi fondativi di ciò che chiamiamo urbani-stica moderna.

L’urbanistica e le sue tecniche hanno elaborato parametri qualitativi e quanti-tativi: zone, indici, altezze, distanze. Il rapporto tra abitazioni e attività “insalubri”è oggetto di attenzione sin dalle origini della disciplina e della pratica ammini-strativa. I piani e le norme urbanistiche istituiscono limiti e vincoli ai processi diurbanizzazione, al grado e alle condizioni di edificabilità e trasformabilità di suoli,edifici e infrastrutture. Esse si intrecciano con norme igienico-sanitarie, connorme che disciplinano i rischi “naturali” (idrogeologico, sismico), con norme cheprescrivono distanze di sicurezza e fasce di rispetto. Discipline, tecniche e sape-ri settoriali interagiscono in varia misura con l’attività dei progettisti, degli opera-tori, della Pubblica Amministrazione.

La normativa in materia di rischio industriale richiede di individuare e disci-plinare, attraverso gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, learee a rischio, cioè quelle in cui vi è “la probabilità che un determinato eventosi verifichi in un dato periodo o in circostanze specifiche”1. Il rischio industria-le è legato alla presenza, all’interno degli stabilimenti, di impianti in cui sono“prodotte, utilizzate, manipolate o depositate”2 sostanze pericolose. Nelle areea rischio, la trasformabilità dei suoli e la realizzazione di nuovi insediamenti einfrastrutture deve essere tanto più limitata quanto più alti sono l’entità dell’in-cidente e la probabilità che esso si verifichi, cioè il pericolo per le persone el’ambiente.

Sotto il profilo giuridico, non si tratta del primo caso in cui le attività svolte inun edificio o in un’area condizionano la possibilità di costruire un edificio adia-

333* Direzione Pianificazione e Gestione urbanistica, Regione Piemonte.

Page 319: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

cente o vicino. Né, certamente il primo caso in cui le attività che si svolgerannoall’interno di un edificio, una volta realizzato, possono condizionarne la stessa edi-ficabilità, in relazione alla situazione del contesto3. Tuttavia, la presenza di limita-zioni o vincoli legati non alle condizioni naturali del suolo, come nel caso analogodel rischio idrogeologico, ma alla presenza di attività economiche, introduce,senza dubbio, una domanda di attenzione alle dinamiche del mercato raramentepraticata dalla pianificazione territoriale e urbanistica, specie sul terreno più stret-tamente vincolistico.

La necessità di limitare le possibilità edificatorie entro una certa distanza stabi-lita dal piano non è infatti legata alle caratteristiche del suolo, né alle caratteristi-che dell’edificio, ma principalmente al rischio di incidente connesso con l’attivitàeconomica che in esso si svolge; quindi la cessazione o il trasferimento dell’atti-vità, la semplice trasformazione del processo produttivo, o la presenza di impiantipiù sicuri, possono determinare la ridefinizione delle limitazioni edificatorie.

Evidentemente, non si tratta solo di un problema di flessibilità del piano o didisponibilità del piano a prefigurare scenari territoriali mutevoli. Un rapporto cosìstretto tra prescrizioni urbanistiche e sistema economico-produttivo, tra norma emercato, costituisce una novità, sia pure in un ambito tematicamente ristrettocome quello delle industrie classificate “a rischio di incidente rilevante” sullabase della normativa comunitaria e nazionale.

È bene quindi riconoscere, innanzi tutto, i limiti di azione del piano urbanisti-co e territoriale. Un primo limite è di tipo tecnico e procedurale, e riguarda la dif-ficile sovrapposizione di tempi e processi decisionali pubblici con le dinamichedel mercato e della produzione. Un secondo limite è di tipo politico, legato alledifficoltà di avviare e gestire processi negoziali che devono coniugare la tuteladella salute e della vita di abitanti e lavoratori, la salvaguardia dell’ambiente, leipotesi di riconversione produttiva, la difesa dei livelli occupazionali locali, nel-l’ambito di un conflitto che riguarda, in ultima analisi, la scelta tra modelli alter-nativi di sviluppo economico e produttivo4.

In questo scritto si affronteranno sinteticamente alcuni temi e problemi intro-dotti dalla normativa finora vigente e in particolare dal D.M. 9 maggio 20015.L’attenzione sarà rivolta a temi e problemi non completamente risolti o parzial-mente aperti ad una discussione e interpretazione, che potrà essere affrontataanche nella disciplina regionale e nella pratica attuativa a livello locale.

Pianificazione e gestione

Il primo tema riguarda l’ambito di applicazione della normativa. Una questio-ne che rimanda all’approccio adottato dalla direttiva comunitaria, ma anche all’ap-plicazione pratica del D.M. da parte di Province e Comuni tenuti ad adeguare ipropri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica.

Sia le indicazioni definite in sede comunitaria che la normativa italiana di attua-zione si riferiscono, da un lato, alla localizzazione di nuovi stabilimenti, dall’altro334

Gio

vann

i Fer

rero

Page 320: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

alla localizzazione di nuovi insediamenti e infrastrutture vicino a stabilimenti esi-stenti6. A questo proposito va chiarito che, sulla scorta delle indicazioni del D.M.,è possibile “tradurre” i termini vicino o attorno agli stabilimenti, o altre definizio-ni generiche, con l’espressione “entro le aree di danno”.

Il legislatore sembra comunque escludere implicitamente dal campo di appli-cazione gli stabilimenti esistenti e soprattutto il rapporto tra questi ultimi edeventuali insediamenti e infrastrutture già presenti nelle vicinanze7; infatti siesclude tale fattispecie dall’obbligo, nel breve periodo, di adeguamento della pia-nificazione urbanistica e territoriale. Tuttavia è evidente che, trattandosi di unodei problemi più complessi e problematici in tema di rischio industriale, non sitratta di una questione esclusa da prescrizioni e indicazioni normative tipichedella pianificazione territoriale e urbanistica.

Il caso di insediamenti e infrastrutture esistenti attorno a stabilimenti esistentiva ricondotto ad un ambito gestionale, poiché i gestori degli stabilimenti, surichiesta del Comune8, sono tenuti a mettere in atto “tutte le misure necessarieper prevenire incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’am-biente”9; in altre parole, i gestori devono garantire la disponibilità ad innalzare ilivelli di sicurezza in termini di tecniche e tecnologie (impiantistiche, costruttive,logistiche ecc.) disponibili.

Un campo di azione non meno rilevante è costituito dall’integrazione con lapianificazione dell’emergenza e con la pianificazione di protezione civile.Un’integrazione più volte richiamata, non solo in materia di rischio industriale,che orienta in modo esplicito gli strumenti di pianificazione territoriale e urbani-stica verso possibili forme di gestione “calcolata” del rischio. Ad esempio, lapossibilità di prevedere la localizzazione di determinate attività in aree che pre-sentano un limitato fattore di rischio, se sono operanti sistemi di monitoraggio,allertamento ed evacuazione10.

Misure tecniche di contenimento del rischio da un lato, integrazione tra pianourbanistico e protezione civile dall’altro, offrono quindi possibili strumenti di inter-vento. Nel caso di insediamenti e infrastrutture esistenti attorno a stabilimentiesistenti, questa prospettiva potrebbe garantire una ragionevole riduzione deirischi, almeno nel breve periodo. Ma il processo di formazione del piano com-porta, sia per i progettisti che per le Amministrazioni Pubbliche coinvolte, il dirit-to-dovere di esaminare e definire il problema, sia sul piano delle politiche territo-riali e urbane, sia sul piano più strettamente prescrittivo.

Nelle situazioni di problematica convivenza tra stabilimenti e insediamenti oinfrastrutture esistenti, l’assenza di un obbligo esplicito non esime in alcun modogli Enti locali dalla ricerca di una soluzione, nel breve e nel lungo periodo, attra-verso la predisposizione degli strumenti di pianificazione.

Analogamente, la possibilità di promuovere accordi e programmi di interven-to di natura negoziale, anche in materia urbanistica e territoriale, non è certa-mente limitata ai casi esplicitamente normati dal D.M. 9 maggio 2001. Al con-trario, si tratta ormai di un approccio molto diffuso nella legislazione nazionale e 335

12.2

- L’

urba

nist

ica

e il

risch

io d

i inc

iden

te r

ileva

nte:

pia

nific

azio

ne, p

roce

dure

e t

ecni

che

Page 321: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

regionale. La ricerca di una soluzione in termini di negoziazione e pianificazionepuò verosimilmente costruirsi attraverso fasi temporali distinte e può avvalersi distrumenti attuativi eterogenei, dalla gestione dell’emergenza alle politiche di rilo-calizzazione, definiti sulla base delle specificità di ciascuna situazione.

Procedure

Un secondo tema aperto a possibili interpretazioni riguarda il quadro proce-durale previsto per le varianti ai piani urbanistici e territoriali.

L’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 richiede alle Province e ai Comuni di adeguarerispettivamente i propri piani territoriali di coordinamento e i propri strumentiurbanistici. Ma i tre mesi di tempo prescritti per questi adeguamenti sono diffi-cilmente compatibili con i tempi dei processi di formazione degli strumenti dipianificazione urbanistica e territoriale. Il tempo richiesto per trattare argomentidi questa complessità è senza dubbio superiore; tuttavia gli obiettivi del legisla-tore sono chiari: è necessario procedere rapidamente.

Come strumento “semplificato” per la formazione e l’approvazione dellevarianti, l’art. 14 indica una delle procedure previste dalla normativa in materia disportelli unici per le attività produttive, contenuta nelle leggi regionali “per la appro-vazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali”11.

Il riferimento agli sportelli unici ingenera comunque qualche dubbio: innanzitutto sembra escludere il caso della previsione di nuovi insediamenti e infra-strutture vicino agli stabilimenti, in secondo luogo non si tratta certamente di pro-cedure utilizzabili per le varianti ai piani territoriali. Il quadro procedurale che sem-bra discendere dall’art. 14 del D.Lgs. n. 334/99 è dunque sintetizzabile secondolo schema della seguente tabella.

336

Gio

vann

i Fer

rero

Tabella 1. Procedure di variante secondo l’art. 14, D.Lgs. n. 447/99

a) nuovi b) modifiche c) nuovi insediamentistabilimenti a stabilimenti e infrastrutture, vicino

agli stabilimenti

variante PRG art. 2, D.P.R. n. 447/99 art. 2, D.P.R. n. 447/99 non previste(procedure “semplificate” (procedure “semplificate”

previste dalle previste dalleleggi regionali) leggi regionali)

variante PTC non previste non previste non previste

In questa situazione il D.M. 9 maggio 2001, nel fornire indicazioni di tipo pro-cedurale per i casi non riconducibili agli insediamenti produttivi rimanda, senzaesitazioni, alle normative regionali ordinarie. In definitiva, è possibile considerarecome strumentale il riferimento alla normativa in materia di attività produttive,volto semplicemente alla individuazione di procedure in qualche misura “sempli-ficate” e rapide. Ciò conduce a tre considerazioni, che potrebbero essere di qual-

Page 322: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

che utilità per l’applicazione della normativa da parte delle Province e dei Comuniinteressati.

La prima considerazione riguarda il ruolo della legislazione regionale urbanistica.Al di là del richiamo al regolamento in materia di sportelli unici e attività produttive,i riferimenti normativi per la scelta delle procedure da utilizzare per la formazione el’approvazione delle varianti urbanistiche, sia per gli stabilimenti che per gli inse-diamenti e le infrastrutture, vanno senza dubbio ricercati a livello regionale, in unpanorama legislativo che negli ultimi anni ha registrato una notevole articolazionee non poche differenze da Regione a Regione. A ciò si aggiunga il fatto che leRegioni potranno configurare uno specifico quadro procedurale proprio per levarianti legate al rischio industriale. Nell’immediato, si tratta eventualmente di ricer-care, nell’ambito della normativa vigente, un riferimento procedurale sufficiente-mente rapido e “semplificato”, in coerenza con gli obiettivi evidenziati dall’art. 14.

La seconda considerazione riguarda il rapporto tra pianificazione generale eattuativa. Come si è visto, le procedure a cui rinvia l’art. 14 riguardano l’approva-zione di “strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali”12, inaltre parole: piani per gli insediamenti produttivi in variante al piano regolatoregenerale. Tuttavia, in molti casi potrebbe essere più opportuno il ricorso allo stru-mento urbanistico generale e non al piano attuativo. È bene quindi non istituireuna regola generale e il riferimento è in ogni caso, da ricercare nelle singole nor-mative regionali. Analogamente, le Regioni che hanno introdotto un doppio livel-lo di piano, strutturale e operativo, potranno ricondurre all’uno o all’altro livello dif-ferenti approcci normativi, anche articolati in senso temporale.

La terza considerazione riguarda la pianificazione territoriale provinciale. Inquesto caso, come si è detto, è abbastanza evidente l’inapplicabilità delle proce-dure “semplificate” in materia di insediamenti produttivi. Queste ultime preve-dono infatti che l’individuazione di aree sia effettuata dal Comune “salvaguar-dando le eventuali prescrizioni dei piani territoriali sovracomunali”13. Il vero nodoproblematico, già evidenziato dal D.M. 9 maggio 200114, è il rapporto tra pianifi-cazione comunale e pianificazione territoriale provinciale. In questo caso è evi-dente l’opportunità di utilizzare gli strumenti procedurali disponibili, nati sostan-zialmente con le leggi regionali dell’ultima generazione, orientati alla co-pianifica-zione, alla definizione di scelte condivise, e anche alla gestione dei conflitti, daparte delle diverse Amministrazioni competenti.

Per concludere, si può osservare che le contraddizioni poste dalla ricerca diefficacia ed efficienza dell’azione amministrativa sono lontane dall’essere risolte.Il clima culturale e politico degli anni novanta ha prodotto un diffuso malesserenei confronti dei tempi e delle “lungaggini” prodotte dalle procedure di forma-zione e approvazione dei piani. E la normativa introdotta in ambito urbanistico-edilizio da provvedimenti come il regolamento in materia di sportello unico per leattività produttive ne è una delle più evidenti testimonianze. Ma bisogna ricono-scere anche la natura complessa del piano urbanistico, e quindi l’ineludibiledomanda di tempo che esso produce. 337

12.2

- L’

urba

nist

ica

e il

risch

io d

i inc

iden

te r

ileva

nte:

pia

nific

azio

ne, p

roce

dure

e t

ecni

che

Page 323: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il tema della consultazione e della partecipazione delle comunità locali, piùvolte e giustamente riconosciuto come cruciale15, rappresenta a tale propositoun esempio emblematico. I limiti del “rito urbanistico” (pubblicità, osservazioni,controdeduzioni) e la necessità di estendere le opportunità di partecipazionerichiedono alla Pubblica Amministrazione capacità e sensibilità nuove, ma anche,ovviamente, tempo. Una domanda di tempo che è spesso una condizione neces-saria per un’azione amministrativa orientata alla qualità e alla trasparenza; allaprecauzione, oltre che all’efficacia e all’efficienza.

Tecniche e tecnici

Qualche riflessione merita infine il ruolo del quadro normativo, e in particolaredel D.M. 9 maggio 2001, in rapporto alla costruzione di specifiche tecniche e sape-ri del progettista di piano, alla definizione di una nuova “cassetta degli attrezzi”.

In tema di distanze, di fasce di rispetto, di parametri di sicurezza stabiliti danormative settoriali, la tecnica urbanistica ha tradizionalmente utilizzato grandez-ze minime o massime stabilite una volta per tutte dalla legge, con un grado diflessibilità spesso assai limitato. Soluzioni predeterminate, relativamente sem-plici e note, che tendono ad annullare il grado di discrezionalità della decisione.

Nel caso del rischio industriale, la strada da percorrere è più complessa: letabelle contenute nel D.M. definiscono livelli minimi di compatibilità con il rischiopresente in una determinata area per situazioni territoriali tipizzate16, ma è sem-pre necessaria una valutazione del caso specifico. Questo pone almeno due ordi-ni di problemi; da un lato la definizione di oggetti pertinenti – ciò che il D.M. defi-nisce “elementi territoriali vulnerabili” ed “elementi ambientali vulnerabili” -, dal-l’altro lato, più in generale, la condivisione di saperi e responsabilità con ambitidisciplinari che hanno avuto finora scarsissima frequentazione reciproca.

Gli “elementi territoriali vulnerabili” in situazioni di rischio industriale sono indivi-duati dal D.M. in relazione alla presenza di popolazione e infrastrutture. Il compitodella pianificazione urbanistica e territoriale è la valutazione e la definizione di livellidi compatibilità tra gli stabilimenti e la presenza di popolazione e infrastrutture all’in-terno delle aree di danno ipotizzate, comunicate dal gestore dello stabilimento everificate dall’autorità competente a livello locale in materia di rischi industriali17.

La tabella 1 del D.M. prefigura una tipologia di situazioni territoriali che incon-tra, come ogni tipologia, limiti di esaustività: ovviamente, non tutte le situazioniterritoriali concretamente individuabili sono immediatamente riconducibili ad unadelle categorie proposte. Come in ogni tipologia, i criteri con i quali sono statiindividuati i tipi (cioè le “categorie territoriali”) sono più rilevanti della definizionedel tipo stesso. In estrema sintesi, i criteri sono i seguenti: una situazione terri-toriale è tanto più vulnerabile quanto più sono elevate la presenza, la permanen-za temporale e la difficoltà di evacuazione della popolazione; inoltre, la presenzadi persone all’aperto invece che al chiuso indica una vulnerabilità tendenzial-mente maggiore, almeno per alcuni tipi di incidente18.338

Gio

vann

i Fer

rero

Page 324: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il richiamo alle specificità dei contesti insediativi è ricorrente nel testo delD.M. Le Regioni potranno specificare e articolare i criteri e i contenuti della tipo-logia proposta dalla tabella 1, adeguando il quadro normativo e tecnico alle con-dizioni territoriali e insediative locali e la stessa pianificazione territoriale provin-ciale dovrebbe contenere specificazioni e approfondimenti su questi temi. Tra inodi problematici più rilevanti nella definizione degli elementi territoriali vulnera-bili, che potrebbero essere affrontati dalla disciplina regionale, almeno tre meri-tano di essere segnalati:– il rapporto tra quantificazione della popolazione e configurazione dello spazio

fisico; – la definizione di soglie di modificazione e trasformabilità per gli insediamenti

esistenti vicino agli stabilimenti; – i limiti e le difficoltà tecniche con le quali si affrontano i temi delle infrastrut-

ture e della vulnerabilità ambientale.Il primo problema è ben rappresentato dal parametro utilizzato per determi-

nare il livello di vulnerabilità delle aree con destinazione prevalentemente resi-denziale: la densità fondiaria, espressa attraverso l’“indice di edificazione fondia-rio”, in mc/mq. I caratteri più propriamente rilevanti per questo tipo di situazioneterritoriale sono la quantità di popolazione e la morfologia edilizia e insediativa19;quindi la popolazione potrebbe essere espressa, più adeguatamente, in abitan-ti/ettaro, mentre la morfologia edilizia e insediativa potrebbe essere individuatasulla base di parametri quantitativi e qualitativi come il numero di piani, l’altezza,il volume, il tipo edilizio. Si tratta infatti di caratteri che un indicatore come la den-sità di edificazione fondiaria evoca solo indirettamente e a prezzo di molte sem-plificazioni20. Peraltro, la stima del numero di persone esposte al rischio, relati-vamente semplice nel caso delle destinazioni residenziali21, sconta tutte le diffi-coltà che il piano urbanistico ha nella determinazione puntuale del numero di per-sone presenti per destinazioni commerciali, terziarie o per servizi, soprattutto insede di previsione di insediamenti futuri.

Il secondo problema è immediatamente evocato dalla possibilità che anche lapiù minuta trasformazione di insediamenti esistenti nelle vicinanze di uno stabili-mento (ad esempio la ristrutturazione con ampliamento, o il cambiamento didestinazione d’uso) sia sottoposta ad una complessa procedura di autorizzazio-ne. In generale, è opportuno che la variante urbanistica affronti la questione dellarilevanza di modifiche e trasformazioni di insediamenti e infrastrutture esistenti.Ma la questione è particolarmente importante nell’immediato, in assenza di unostrumento urbanistico adeguato alle prescrizioni del D.M. Anche in questo caso,è bene riferirsi ai criteri che hanno portato alla definizione di una specifica nor-mativa in tema di “controllo dell’urbanizzazione” e cioè al fatto che le modifica-zioni a stabilimenti, insediamenti e infrastrutture esistenti possano “aggravare ilrischio o le conseguenze di un incidente”. Per le modifiche agli stabilimenti, lesoglie quantitative sono stabilite da un’apposita normativa22. Per quanto riguardainvece le infrastrutture e gli insediamenti vicino agli stabilimenti la situazione è 339

12.2

- L’

urba

nist

ica

e il

risch

io d

i inc

iden

te r

ileva

nte:

pia

nific

azio

ne, p

roce

dure

e t

ecni

che

Page 325: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

più incerta, posto che una modifica possa essere assimilata ad una nuova previ-sione, che aggrava la situazione di rischio. Le Regioni potrebbero individuaresoglie quantitative legate all’incremento di persone esposte al rischio prodottodalla modificazione proposta. Ma un primo criterio generale – applicabile da subi-to alle procedure riguardanti i titoli abilitativi edilizi, anche in assenza di varianteurbanistica – è costituito dall’utilizzo delle tabelle 1 e 3b del D.M., individuandocome soglia quantitativa il passaggio alla categoria territoriale superiore, noncompatibile. Tuttavia questo presuppone che siano comunque note e verificatele aree di danno.

Il terzo problema – i limiti e le difficoltà in tema di infrastrutture e di ambiente –è legato, a ben vedere, ad una domanda insoddisfatta di conoscenze e pratiche tec-niche che non riguarda solo il rischio industriale. Le difficili interrelazioni tra pianourbanistico e progetto di infrastrutture, tra piano urbanistico e sostenibilità ambien-tale, richiederebbero una trattazione specifica che non affronteremo in questasede. Le infrastrutture, in particolare strade e ferrovie, hanno un triplice ruolo dalpunto di vista del rischio industriale. Possono essere fonte di rischio, concettual-mente assimilabili ad uno stabilimento; possono essere luogo di concentrazione dipersone; possono infine essere danneggiate da alcuni tipi di incidente.

Nel primo caso – l’infrastruttura come fonte di rischio – sono interessati dalD.M. solo alcuni tipi di scali merci ferroviari, mentre il trasporto di sostanze peri-colose è completamente escluso dalla normativa23. Negli altri casi – l’infrastrut-tura come luogo in cui si manifesta il rischio – il D.M. inserisce le stazioni ferro-viarie e i nodi di trasporto tra le categorie territoriali vulnerabili, sulla base di unaquantificazione del movimento giornaliero di passeggeri. Per quanto riguarda larete stradale e ferroviaria ci si limita ad indicare la necessità di valutare il casospecifico. La normativa regionale potrebbe quindi introdurre indicazioni di carat-tere generale sulla base ad esempio della tipologia di sezione stradale o dellaquantificazione e qualificazione dei flussi di traffico.

La previsione di nuove infrastrutture nei pressi di stabilimenti a rischio intro-duce d’altra parte il tema della relazione tra pianificazione urbanistica e questio-ne ambientale, evidenziando la necessità di integrazione tra processi di piano eprocessi valutativi (Valutazione ambientale strategica e Valutazione di impattoambientale). Le indicazioni del D.M. sulla valutazione della vulnerabilità e dellacompatibilità ambientale sono state condizionate da una diffusa carenza di cono-scenze ed esperienze. Ancora una volta saranno la sperimentazione attuativa ela normativa regionale che potranno costruire nuove modalità di integrazione,non solo procedurali ma tecniche e culturali, superando una distinzione nomina-listica tra compatibilità territoriale e compatibilità ambientale, a favore di proget-ti e processi decisionali orientati alla sostenibilità.

Come si è detto, il rapporto tra pianificazione e rischio industriale comporta lacondivisione di saperi e responsabilità tra ambiti disciplinari diversi e, concreta-mente, la definizione di un rapporto tra categorie professionali. È relativamentesemplice individuare gli esperti di rischio industriale, per lo più formati nelle340

Gio

vann

i Fer

rero

Page 326: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

facoltà di ingegneria, che redigono i Rapporti di sicurezza per conto dei gestoridegli stabilimenti; è altrettanto semplice individuare gli esperti in pianificazioneurbanistica e territoriale, formati nelle facoltà di architettura, di ingegneria, di pia-nificazione, che redigono i piani urbanistici e territoriali. Al contrario, non è sem-plice né scontato individuare figure professionali disponibili ad interagire sui dueversanti disciplinari, ad esempio nella predisposizione dell’Elaborato tecnico RIR,allegato al piano regolatore.

Lo stesso ordine di problemi riguarda le competenze all’interno degli ufficinelle Pubbliche Amministrazioni e il rapporto tra Comuni, Province e Regioni daun lato e le Autorità competenti in materia di rischio industriale dall’altro.

Il D.M. prefigura un processo che conduce linearmente dalla definizione dellearee di danno da parte del gestore dello stabilimento (verosimilmente attraversoil lavoro di un professionista esperto di rischio industriale), alla loro verifica daparte dell’Autorità competente (svolta dai professionisti ed esperti di rischio indu-striale presenti nei Comitati tecnici regionali), al progettista (architetto, ingegne-re, urbanista) del piano; un piano che viene elaborato sulla base dei criteri, delleindicazioni e delle tabelle contenute nel D.M. Si tratta di una linearità processua-le che nella pratica sarà ben più articolata e richiederà una interrelazione e con-divisione di saperi e responsabilità. Dal punto di vista amministrativo è evidenteche gli Enti locali dovranno individuare un responsabile del procedimento, masarebbe bene costituire specifiche strutture di supporto, commisurate alla com-plessità della materia, evitando la concentrazione di competenze tecniche e deci-sionali su un unico soggetto, tipicamente il funzionario comunale.

Il tema è tanto più rilevante per la definizione, da parte del piano, delle fasigestionali e attuative, che possono comportare scelte e verifiche di natura tecni-ca sulle caratteristiche di impianti o sui sistemi di riduzione del rischio. I piani ter-ritoriali e urbanistici hanno d’altra parte un’abitudine ormai consolidata alla inter-disciplinarietà, ad accogliere altri saperi e competenze: dall’analisi socioecono-mica, all’esame delle componenti paesistiche, ambientali, idrogeologiche. Adesempio, nel caso del rischio di natura idrogeologica, la stesura delle norme edella cartografia di piano è spesso il frutto di un lavoro comune tra geologi e pro-gettisti24.

In una fase in cui il mondo accademico e quello professionale stanno rapida-mente mutando il proprio assetto, e si vanno articolando entro un quadro sem-pre più complesso di percorsi formativi e competenze tecniche, una riflessionesu questi argomenti sembra indispensabile.

341

12.2

- L’

urba

nist

ica

e il

risch

io d

i inc

iden

te r

ileva

nte:

pia

nific

azio

ne, p

roce

dure

e t

ecni

che

Page 327: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 È questa la definizione di “rischio” contenuta nell’art. 3, D.Lgs. n. 334/99.

2 Art. 3, D.Lgs. n. 334/99.

3 A questo proposito, un’analogia relativamente recente è costituita dalla “zonizzazione acu-stica” introdotta dalla L. n. 447/95.

4 A questo proposito, il dibattito introdotto in Francia dal tragico incidente avvenuto a Tolosail 21 settembre 2001, offre interessanti spunti di riflessione. Cfr. J.-P. Besset, “A Toulouse, laquestion des usines à risque modifie les clivages politiques”, Le Monde, 29 novembre 2001.

5 Vale la pena di ricordare che, in materia di “controllo dell’urbanizzazione” nelle aree inte-ressate da rischi di origine industriale, il quadro normativo, procedendo in ordine gerarchico, èil seguente:– la direttiva comunitaria: Dir. 96/82/CE, art. 12;– la legge nazionale: D.Lgs. n. 334/99, art. 14;– il decreto ministeriale attuativo: D.M. 9 maggio 2001;– gli eventuali provvedimenti regionali in materia (leggi, circolari, o altri atti amministrativi)

adottati dopo il D.M. 9 maggio 2001.

6 Per semplicità espositiva, è possibile ricondurre concettualmente la seconda fattispecienormata (articolo 1, comma 1 lettera b) del D.M. 9 maggio 2001), cioè le modifiche a stabili-menti esistenti che aumentano le condizioni di rischio alla localizzazione di nuovi stabilimenti.

7 La normativa comunitaria, ripresa da quella nazionale, parla di “nuovi insediamenti o infra-strutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali vie di comunicazione, luoghi frequentati dalpubblico, zone residenziali, qualora l’ubicazione o gli insediamenti possano aggravare il rischioo le conseguenze di un incidente rilevante”.

8 Art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 334/99. In caso di “stabilimenti esistenti ubicati vicino a zonefrequentate dal pubblico, zone residenziali e zone di particolare interesse naturale”, il Comunedeve richiedere al gestore di adottare “misure tecniche complementari per contenere i rischiper le persone e per l’ambiente, utilizzando le migliori tecniche disponibili”.

9 Dir. 96/82/CE, art. 5.

10 Su questi temi cfr. M. Sorbo, M. Villa (a cura di), Urbanistica, rischio, emergenze e pro-tezione civile, in “Urbanistica Dossier”, n. 37, 2001.

11 La citazione è tratta dall’art. 25, comma 1, lettera a), L. n. 47/85, a cui conducono i suc-cessivi rimandi normativi. L’art. 14, D.Lgs. n. 334/99 rinvia infatti alle “procedure individuatedall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447”. Tali pro-cedure, a loro volta, rinviano proprio all’art. 25, comma 1, lettera a), L. n. 47/85. Quest’ultimoimponeva alle Regioni di emanare norme che prevedessero procedure semplificate per l’ap-provazione di strumenti attuativi in variante agli strumenti generali. Le procedure individuatedall’art. 2 del D.P.R. n. 447/98 sono finalizzate alla individuazione di aree da destinare ad inse-diamenti produttivi e devono essere precedute da un’intesa preventiva tra il Comune e le altreAmministrazioni competenti.

12 Cfr. nota precedente.

13 Art. 2, D.P.R. n. 447/99.

14 D.M. 9 maggio 2001, Allegato, punto 2.342

Gio

vann

i Fer

rero

Page 328: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

15 Il D.Lgs. n. 334/99, riprendendo le indicazioni della direttiva comunitaria, prescrive espli-citamente il ricorso a forme di partecipazione ai processi decisionali in materia urbanistica. Il“parere della popolazione” è espresso “nell’ambito del procedimento di formazione dello stru-mento urbanistico o del procedimento di valutazione di impatto ambientale con le modalità sta-bilite dalle Regioni o dal Ministero dell’ambiente, secondo le rispettive competenze, che pos-sono prevedere la possibilità di utilizzare la conferenza di servizi con la partecipazione dei rap-presentanti istituzionali, delle imprese, dei lavoratori e della società civile, qualora si ravvisi lanecessità di comporre conflitti in ordine alla costruzione di nuovi stabilimenti, alla delocalizza-zione di impianti nonché alla urbanizzazione del territorio” (art. 23, D.Lgs. n. 334/99).

16 La tabella 1 del D.M. individua sei “categorie” o tipi di situazioni territoriali, mentre letabelle 3a e 3b individuano le compatibilità tra categorie territoriali e rischio di incidente.

17 La presenza di una verifica da parte dell’Autorità competente è obbligatoria per gli stabi-limenti soggetti all’art. 8, D.Lgs. n. 334/99, e coincide con l’esame del Rapporto di sicurezzaredatto dal gestore dello stabilimento, mentre è facoltativa negli altri casi.

18 D.M. 9 maggio 2001, Allegato, paragrafo 6.1.1. Il criterio formale che ha portato allacostruzione della tabella 1 è invece l’analogia con la normativa in materia di depositi di Gpl e diliquidi infiammabili e/o tossici.

19 La morfologia edilizia e insediativa può essere, ad esempio, un indicatore delle condizio-ni di evacuazione della popolazione in caso di pericolo.

20 L. Falco, L’indice di edificabilità, Utet, Torino 1999.

21 Oltre alle tradizionali stime legate ad indici superficiali o volumetrici, si potrebbero peraltro sperimentare forme di effettivo monitoraggio della presenza di popolazione, integrando leprevisioni urbanistiche con i sistemi informativi locali, ad esempio anagrafici.

22 Art. 10, D.Lgs. n. 334/99.

23 Art. 4, D.Lgs. n. 334/99. Sono esclusi dall’applicazione del decreto “il trasporto di sostan-ze pericolose e il deposito temporaneo intermedio su strada, per idrovia interna e marittima oper via aerea (…); il trasporto di sostanze pericolose in condotta (…); il trasporto di sostanzepericolose per ferrovia, nonché le soste tecniche temporanee intermedie”. Alcuni tipi di scalimerci ferroviari e i porti industriali e petroliferi sono soggetti a specifiche normative.

24 Nella Regione Piemonte, ad esempio, la carta di sintesi della pericolosità geomorfologi-ca e dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica, allegata al piano regolatore, è firmata congiunta-mente dal geologo e dal progettista del piano. Analogamente, l’istruttoria necessaria per l’ap-provazione del piano è svolta congiuntamente dagli uffici regionali competenti per la pianifica-zione urbanistica e da quelli competenti per la prevenzione del rischio geologico.

343

12.2

- L’

urba

nist

ica

e il

risch

io d

i inc

iden

te r

ileva

nte:

pia

nific

azio

ne, p

roce

dure

e t

ecni

che

Page 329: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

12.3

LE MODALITÀ COSTRUTTIVE EDILIZIE,L’USO DELLE “MIGLIORI TECNOLOGIE POSSIBILI”

Patrizia Colletta*, Rosario Manzo**

Il D.M. 9 maggio 2001, attraverso l’approvazione delle varianti urbanistichenei casi determinati dall’articolo 14 del D.Lgs. 334/99 consente di regolamenta-re l’uso dei suoli in prossimità degli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante.

Esistono, tuttavia, almeno altre due componenti sulle quali si può agire: l’usodelle “migliori tecniche disponibili” per la riduzione del rischio; l’incremento delleprestazioni qualitative degli organismi edilizi, ovvero di loro parti, con accorgi-menti e tecnologie specifiche per la realizzazione degli immobili che possonoessere colpiti dagli effetti degli scenari incidentali.

Si intende con “migliori tecniche disponibili” (best available techniques –b.a.t.), così come previsto dalla Direttiva 96/61/CEE1:a) tecniche: “le tecniche impiegate, le modalità di progettazione, costruzione e

manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto”;b) disponibili: “le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazio-

ne in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del per-tinente comparto industriale, ...”;

c) migliori: “le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezionedell’ambiente nel suo complesso.Il tema dell’uso della “migliore tecnica disponibile” è fortemente connesso ad

altri due concetti, espressi nell’ambito normativo inerente alla problematica delrischio (ARPAV, glossario ambientale, 2002):– “miglioramento della qualità, inteso come parte della gestione per la qualità

mirata ad accrescere la capacità di soddisfare i requisiti [...] che possonoriguardare aspetti quali l’efficacia, l’efficienza o la rintracciabilità”;

345

* Esperto in pianificazione territoriale e ambientale.** Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, DICOTER.

Page 330: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– “miglioramento continuo, che deve essere tenuto in conto come processo diaccrescimento del sistema di gestione ambientale per ottenere miglioramen-ti della prestazione ambientale complessiva, in accordo con la politica ambien-tale dell’organizzazione (ISO 14001)”.È evidente la complessità dei temi trattati che includono, peraltro,

l’Autorizzazione integrata ambientale derivante dalla Direttiva 96/61/CE del24/9/96 (IPPC).

Il riferimento diretto alle “migliori tecniche disponibili”, contenuto nel comma6 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 334/99 e relativo agli stabilimenti esistenti “vici-no” alle zone frequentate dal pubblico o residenziali o di particolare interesseambientale, riguarda la possibilità che il Comune ha di richiedere al gestore diadottare [...] misure tecniche complementari per contenere i rischi per le perso-ne e per l’ambiente, utilizzando le migliori tecniche disponibili.

Senza entrare nel merito della definizione del termine “vicino”, che lasciaintendere, comunque, una verifica oggettiva del coinvolgimento dei tessuti edili-zi e delle aree di pregio ambientale dagli effetti degli scenari incidentali, la normacitata fa riferimento ad interventi di natura tecnologica da adottare nei confrontidel processo di produzione e di stoccaggio, ovvero nei sistemi di sicurezza e neipresidi di intervento, interni allo stabilimento.

Tuttavia, al termine “complementare” si può dare una interpretazione più ampiadi quella anzidetta: infatti, è possibile studiare tecnologie edilizie “complementari”per quanto riguarda gli edifici e le strutture che compongono lo stabilimento.

Tale approccio è estensibile anche agli edifici limitrofi o comunque ricadentinelle aree di danno, evidentemente con oneri a carico di soggetti diversi.

Nei Regolamenti edilizi di nuova generazione sono introdotte regole costrutti-ve che, in generale, tutelano l’interesse dell’utente dell’immobile in merito all’i-giene, al benessere ambientale, alla sicurezza, alla fruibilità degli spazi, al conte-nimento dei costi di gestione e di manutenzione. Si possono, quindi, introdurrenel medesimo Regolamento edilizio, per gli immobili interessati dalle aree didanno, norme che tengano conto anche degli effetti degli scenari incidentali.

Nel contempo, una regolamentazione edilizia che consegua una riduzione delrischio tecnologico e una diminuzione degli impatti dell’evento incidentale con-sente di tutelare anche l’interesse della collettività in termini di salvaguardia del-l’ambiente e del paesaggio urbano, architettonico e storico.

È il caso, tuttavia, di tenere presente che:a) il limite oggettivo dell’applicazione della “migliore tecnica disponibile” è,

appunto, la sua effettiva possibilità di essere utilizzata, in ragione del beneficioche se ne può trarre, rispetto alla riduzione della probabilità o della magnitudodello scenario incidentale. In questa affermazione, oltre ad essere richiamata lanecessità di effettuare una analisi costi-benefici per l’introduzione della “miglio-re tecnologia”, anche verificando le diverse alternative, si vuole porre in eviden-za proprio il carattere progressivamente migliorabile della soluzione tecnica adot-tata, la quale, a causa del carattere innovativo intrinseco al settore tecnologico,dei materiali e dei sistemi di sicurezza, tende ad essere sostituita da altri siste-346

Pat

rizia

Col

lett

a, R

osar

io M

anzo

Page 331: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

mi, resi disponibili dalla accessibilità di costi, da ragioni tecnico-produttive e dallegaranzie di affidabilità derivanti dal comprovato utilizzo del nuovo sistema;

b) per quanto attiene al miglioramento delle prestazioni, con riferimento spe-cifico agli effetti del rischio d’incidente sulle strutture e sui componenti degliimmobili, questo argomento si inserisce nella casistica ormai consolidata dellastrumentazione regolamentare edilizia di tipo “prestazionale”.

Si può, infatti, ritenere che anche l’intervento di messa in sicurezza dell’orga-nismo edilizio in toto o nelle sue parti, attuato grazie a norme e prescrizioni delRegolamento edilizio, possa essere compreso nella logica dell’approccio precau-zionale alla eventualità dell’accadimento incidentale.

Nella regolamentazione edilizia, quindi, una volta definiti gli scenari di danno, èpossibile introdurre prescrizioni specifiche di carattere “esigenziale-prestaziona-le”, ovvero di particolari soluzioni tecniche, sia per gli interventi di manutenzione,di recupero o di ristrutturazione, sia per le nuove costruzioni, qualora sia consen-tita la trasformazione urbanistica delle aree soggette a scenari di incidente.

In genere, nei Regolamenti edilizi di nuova generazione, il tema della sicurez-za è compreso nei requisiti igienici, tecnologici e ambientali e può essere ulte-riormente differenziato per le attività: residenziale, ricettiva, terziaria e di servizio,produttiva e agricola.

Una possibile specificazione del tema “sicurezza” nell’ambito del Regolamentoedilizio, può essere:– statica;– antincendio;– emergenze e vie di esodo;– difesa dalle contaminazioni;– cadute accidentali e impatto d’urto;– intrusione.

Le prime quattro categorie, almeno, comportano una correlazione e un coordi-namento tra gli scenari di danno, l’indirizzo tipologico-costruttivo da dare all’edifica-zione “vicino” allo stabilimento e, non di minore importanza, al Piano di EmergenzaEsterna per la gestione dell’esodo e dell’intervento in caso di incidente.

Agli effetti derivanti dagli scenari incidentali ipotizzati si può, in via del tuttoesemplificativa e non esaustiva, ritenere utile introdurre prescrizioni che riguar-dano gli impianti di ventilazione e condizionamento, la tipologia e i materiali degliinfissi, la tipologia delle tamponature.

Anche per gli edifici e le strutture che compongono lo stabilimento, nel casodi interventi edilizi di ristrutturazione, modifica o comunque di rinnovamento –non legati, ovviamente, al caso b) del comma 1 dell’articolo 14 del D.Lgs. n.334/99 – si possono introdurre prescrizioni edilizie di “sicurezza” tali da ridurre oeliminare gli effetti degli incidenti, anche con riferimento agli impatti sugli ele-menti vulnerabili ambientali. La casistica, come appare evidente, è ampia e lega-ta ad ogni singolo caso, da esaminare tenendo conto anche di interventi sui“contenitori” delle attività a rischio, oltre che sull’impiantistica. 347

12.3

- Le

mod

alità

cos

trut

tive

edili

zie,

l’us

o de

lle “

mig

liori

tecn

olog

ie p

ossi

bili”

Page 332: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 Con la Direttiva 76/464/CEE del Consiglio, del 4 maggio 1976, riguardante l’inquinamentoprovocato da sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico (poi ripreso dalla 84/360/CEEdel 28 giugno 1984, per la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impiantiindustriali), si è introdotto il concetto di “migliore tecnica disponibile”. Più di recente, laDirettiva 96/61/CEE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e riduzione inte-grate dell’inquinamento, sviluppa il significato delle b.a.t., nell’ambito della prevenzione e ridu-zione integrate dell’inquinamento (IPPC - Integrated Pollution Prevention and Control), recepi-ta, in Italia con il D.Lgs. n. 372 del 4 agosto 1999. Le definizioni riportate sono tratte dall’art. 2,comma 12 del predetto D.Lgs.

348

Pat

rizia

Col

lett

a, R

osar

io M

anzo

Page 333: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

12.4

UN CASO DI STUDIO: IL COMUNE DI VOLPIANO

Giulio Pignatta*

Nel corso del lavoro di definizione dei contenuti del decreto D.M. 9 maggio2001 e del suo Allegato sono state effettuate delle analisi volte a verificare pre-ventivamente l’applicabilità delle soluzioni alternative via via prospettate. Si èoperato su due livelli:– compiendo un’analisi delle interrelazioni del decreto con la normativa di set-

tore vigente e tentando di prevedere gli adempimenti indotti a carico delleAmministrazioni locali e dei gestori degli stabilimenti;

– simulando l’applicazione delle linee guida dell’Allegato tecnico ad una serie dicasi-studio teorici (costruiti in modo tale da risultare rappresentativi dell’inte-ra casistica così come definita dal D.Lgs. n. 334/99) ed esaminando un casoconcreto di particolare interesse.Se i processi che hanno portato alla definizione delle linee guida possono

risultare di limitato interesse, una volta emanata la norma, le conclusioni rag-giunte durante lo studio delle modalità di applicazione della nuova normativa enell’analisi dei casi-studio mantengono in linea di massima la loro validità, anchese antecedenti all’approvazione del testo definitivo.

Dei risultati di alcuni approfondimenti e simulazioni viene reso conto nella tesiIl controllo dell’urbanizzazione nei pressi di stabilimenti a rischio di incidente rile-vante (relatori: prof. A. Carpignano, prof. A. Spaziante), integralmente riportatanel CD-rom allegato alla presente pubblicazione ( ).

Modalità di applicazione del D.M. 9 maggio 2001

Nell’Elaborato tecnico RIR (Rischio di Incidente Rilevante) si delinea un proce-dimento di valutazione della compatibilità tra stabilimenti a rischio di incidente rile-vante e territorio articolato in tre fasi:

349* Esperto di analisi del rischio.

Page 334: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1. l’Ente competente per il controllo dell’urbanizzazione individua le categorie divulnerabilità territoriale e ambientale nelle aree circostanti gli stabilimenti arischio di incidente rilevante esistenti o i siti per i quali viene avanzata la pro-posta di stabilimenti nuovi;

2. al gestore viene demandato l’onere di effettuare un completo studio del rischio,determinando analiticamente sotto la sua responsabilità sia il danno potenzialeche il livello di sicurezza dello stabilimento (come di fatto già avviene) e di tra-smetterne i risultati dopo averli semplificati in base ad uno schema standard;

3. all’Autorità pubblica spetta il compito di utilizzare tali risultati per valutare lacompatibilità dello stabilimento con il territorio.Sul piano operativo tale procedimento ha origine da iter differenti in base alle

varie tipologie di situazioni comprese nell’ambito di applicazione del decreto:– richiesta di insediamento di stabilimenti nuovi e modifiche di stabilimenti esi-

stenti costituenti aggravante per il livello di rischio;– previsione di nuovi insediamenti o infrastrutture nei dintorni di stabilimenti

esistenti.– verificarsi di incompatibilità, ai sensi della nuova normativa, legate a realtà ad

essa preesistenti.Nel primo caso la necessità di attuare il controllo dell’urbanizzazione deriva da

una proposta o comunque da un intervento posto in essere dal gestore:l’Amministrazione comunale deve verificare, attraverso i metodi e i criteri espo-sti nell’Allegato al D.M. 9 maggio 2001 e con l’apporto dei soggetti coinvolti, lacompatibilità del nuovo stabilimento o la modifica dello stabilimento esistenterispetto alla strumentazione urbanistica vigente o, qualora ne esistano i presup-posti, promuoverne la variante.

Nel secondo caso è sostanzialmente l’Autorità pubblica che, sulla base delleinformazioni trasmesse dal gestore dell’impianto, valuta le condizioni attuali dirischio e quelle future (connesse alla piena attuazione degli strumenti di pianifica-zione territoriale ed urbanistica), e quindi individua azioni di prescrizione e compen-sazione atte a consentire il superamento o l’attenuazione delle situazioni di rischio.

Il terzo caso può essere proposto dall’Autorità pubblica, ovvero da un privato.Tuttavia, in questo caso, l’applicazione del D.Lgs. n. 334/99 non influisce diretta-mente sull’iter della procedura amministrativa di autorizzazione: si valutano nor-malmente gli insediamenti proposti in relazione alle previsioni vigenti dello stru-mento urbanistico, comprensive di quanto disposto ai sensi del D.M. 9 maggio2001 e, nel caso di proposta di variazione, si fa riferimento alla procedura ordi-naria, variamente definita dalle leggi regionali.

Per quanto riguarda gli stabilimenti esistenti, le singole Autorità comunali pos-sono procedere alla verifica di fasce di rispetto in base ai requisiti minimi di sicu-rezza stabiliti, richiedendo al gestore misure compensative atte a consentire l’ef-fettivo esercizio del diritto edificatorio dei proprietari dei terreni interessati. Dovequesto non è possibile si rende opportuna, anziché un eventuale adeguamentodello strumento urbanistico, la ricerca di soluzioni di più ampio respiro.350

Giu

lio P

igna

tta

Page 335: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Casi-studio ipotetici

Al fine di verificare le conseguenze concretamente attendibili a seguito delrecepimento delle linee guida contenute nel decreto sono stati costruiti, attra-verso l’utilizzo di strumenti GIS, alcuni casi-studio ipotizzando l’esistenza o larichiesta di autorizzazione per insediamenti industriali a rischio di incidente rile-vante in aree industriali periferiche di Comuni della Provincia di Torino.

Sono stati definiti vari casi-tipo, mirati a coprire le varie possibili combinazionidi: tipologia dello stabilimento (nuovo, esistente, soggetto a notifica, soggetto arapporto di sicurezza), situazione in rapporto al territorio (compatibile, compatibi-le in seguito a modifiche, incompatibile con le previsioni di PRG, incompatibilecon insediamenti esistenti), azioni da intraprendere (concessione o negazionedell’autorizzazione all’esercizio, variante del PRG, Programma Integrato diIntervento).

Per ogni caso-studio è stato valutato il rapporto esistente tra stabilimento arischio e territorio e sono stati analizzati gli obblighi suscitati nei vari attori (Entilocali e gestori degli stabilimenti) alla luce del nuovo decreto. In particolare sonostate individuate le azioni necessarie alla risoluzione delle varie incompatibilitàemerse, e sono stati analizzati gli iter procedurali all’interno dei quali tali azionidevono essere compiute.

Caso-studio reale: i depositi di gas GPL del Comune di Volpiano (TO)

Per i depositi di GPL è in vigore dal 1996 una particolare normativa settoriale(DM. 15 maggio 1996, Criteri di analisi e valutazione dei Rapporti di Sicurezza rela-tivi a depositi di gas di petrolio liquefatto), che definisce dei criteri di controllo del-l’urbanizzazione assimilabili a quelli contenuti nelle linee guida del D.M. 9 maggio2001: il Comune di Volpiano rappresenta quindi un caso di particolare interesse dalpunto di vista dell’analisi preliminare di applicabilità del decreto.

Nel corso degli anni le distanze di danno relative ai vari depositi di GPL inse-diati nell’area sono state ricalcolate in occasione dell’aggiornamento dei rapportidi sicurezza, ed in taluni casi hanno comportato l’imposizione di vincoli all’edifi-cazione nelle aree a rischio, fino a giungere all’adozione di ben definite fasce dirispetto riportate nell’ultima variante apportata al Piano Regolatore Comunale.

In base a quanto dichiarato dai gestori nelle notifiche recentemente presen-tate, è prevedibile una riduzione delle zone di danno e quindi, alla luce del nuovodecreto, non si verificherà alcuna incompatibilità con gli insediamenti esistenti ocon le previsioni dello strumento urbanistico; è anzi lecito ipotizzare che possavenire rimosso da molte aree il limite all’edificazione correlato all’osservanzadelle fasce di rispetto, rendendole potenzialmente destinabili in futuro all’espan-sione urbana.

Il caso del Comune di Volpiano è un esempio di come già in passato la per-cezione del problema della sicurezza della popolazione residente in aree a rischiodi incidente tecnologico e, in seguito, la disponibilità di una normativa settoriale 351

12.4

- U

n ca

so d

i stu

dio:

il C

omun

e di

Vol

pian

o

Page 336: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

evoluta, abbiano permesso di evitare l’insorgere di gravi situazioni di incompati-bilità tra insediamenti civili e aziende soggette alla normativa Seveso senza com-promettere la fruizione del territorio.

Questo dimostra che l’approvazione del nuovo decreto non deve essere per-cepita come un freno allo sviluppo, bensì come un mezzo per garantire il rag-giungimento di un elevato grado di integrazione con l’ambiente nella totalità deglistabilimenti a rischio, compresi quelli che per motivazioni diverse non hannosinora ricevuto la necessaria attenzione dalle Amministrazioni pubbliche.

Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:“Simulazione dell’applicazione del Decreto ad un caso reale: il Comune di

Volpiano”.

352

Giu

lio P

igna

tta

Page 337: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CAPITOLO 13

IL RISCHIO TECNOLOGICO E IL SISTEMADELLA MOBILITÀ

353

Page 338: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

354

Page 339: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

13.1

IL D.M. 9 MAGGIO 2001 E LA LOCALIZZAZIONEDELLE OPERE DI INTERESSE STATALE

Rosario Manzo*

L’ambito di applicazione del D.M. 9 maggio 2001 (art. 1, comma 4) si riferisceanche alle varianti urbanistiche determinate dagli effetti della localizzazione diopere di interesse statale, ai sensi del D.P.R. n. 383/94, nonché dall’approvazio-ne, tramite accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000, diopere, interventi e programmi di intervento1.

Per quanto riguarda questo ultimo caso, si può solo affermare che esso rien-tra completamente nei processi amministrativi di ridefinizione della strumenta-zione territoriale e urbanistica, secondo quanto ampiamente descritto nel D.M. 9maggio 2001.

Il tema della localizzazione delle opere statali, viceversa, presenta aspetti chevale la pena di evidenziare, quanto meno per porre elementi di riflessione deli-neando, in termini generali, solo alcuni temi, poiché una definizione strutturale esostanziale della metodologia di approvazione potrà essere acquisita solo con laprassi di applicazione.

Dovendo tenere conto della natura delle opere di competenza delle Ammini-strazioni statali o da parte di Enti istituzionalmente preposti alla realizzazione diopere di interesse statale, si deve fare riferimento alla categoria di intervento allalettera c) dell’art. 1 del D.M. 9 maggio 2001, ovvero la realizzazione di nuovi inse-diamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali, ad esempio, viedi comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’u-bicazione o l’insediamento o l’infrastruttura possano aggravare il rischio o le con-seguenze di un incidente rilevante.

L’aver compreso nell’ambito di applicazione del D.M. 9 maggio 2001 le varian-ti urbanistiche ex D.P.R. n. 383/94 può produrre effetti interessanti sia in terminidi procedura amministrativa sia in riferimento alla definizione delle linee fonda-mentali di assetto del territorio nazionale2.

355* Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, DICOTER.

Page 340: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

356

Ros

ario

Man

zo Nell’ambito delle funzioni mantenute allo Stato il tema assume rilievo, data lacomplessità della pianificazione territoriale e urbanistica dei territori interessatidal rischio di incidente rilevante, all’interno della costruzione dell’Osservatoriodelle trasformazioni territoriali, anch’esso previsto dal D.Lgs. n. 112/983.

Una prima ricaduta sulla procedura di localizzazione dell’opera di interessestatale – ferma restando la verifica di aggravio del rischio derivante dalla realiz-zazione dell’opera stessa – è la ricognizione e la verifica della presenza, nel terri-torio interessato dall’esecuzione dell’opera, dei Comuni nei quali sia stata resa lanotifica della presenza di uno stabilimento soggetto alla normativa Seveso.

Il progetto dell’opera da autorizzare in conferenza dei servizi deve, quindi,tenere conto delle interferenze dell’opera con le aree di danno derivanti dagli sce-nari incidentali, secondo quanto previsto dal D.M. 9 maggio 2001.

È di tutta evidenza come sia necessario, dovendo valutare nell’ambito della pro-cedura di localizzazione ex D.P.R. n. 383/94 anche il rapporto tra stabilimento a rischiodi incidente rilevante e opera da eseguire, perseguire alcuni obiettivi strategici:– verificare il rapporto tra programmazione delle opere di interesse statale e vul-

nerabilità del territorio, in particolare per l’aspetto del rischio tecnologico, maanche per ciò che riguarda gli aspetti di criticità e di vulnerabilità ambientale;

– attivare un processo di verifica del progetto dell’opera di interesse statale, inrelazione alla tipicità della situazione di rischio.Per il primo obiettivo, non è da sottovalutare quanto previsto all’articolo 55 del

D.Lgs. n. 112/984 il quale, a monte del procedimento di localizzazione e di appro-vazione dell’opera di interesse statale, prevede la presentazione alla Regione, ognianno, di tutte le opere programmate dalle Amministrazioni centrali, in coerenzacon il quadro complessivo della programmazione triennale delle opere pubbliche.

Il fine di tale presentazione è quello, da una parte, di coordinare l’azione delleAmministrazioni centrali, in relazione alle strategie di sviluppo locale previstedalle Regioni e dagli Enti locali, e dall’altra, attraverso lo studio sugli effetti urba-nistico-territoriali dell’opera o dell’intervento e sulle misure necessarie per il suoinserimento nel territorio comunale, di verificare, in caso di variazione urbanisti-ca, lo scenario territoriale che determinerà l’opera stessa.

Si tratta, quindi, di una procedura propedeutica all’attivazione della conferen-za dei servizi ex D.P.R. n. 383/94 che può recepire, anche in termini di pianifica-zione di area vasta, indicazioni strategiche per la riduzione del rischio o per la pre-venzione degli effetti di un incidente.

Ma la verifica degli effetti della pianificazione sullo scenario territoriale com-porta un ulteriore passaggio: entro il 21 luglio 2004 l’Italia dovrà recepire, inmodo compiuto, la direttiva 42/2001/CE5, relativa alla “valutazione degli effettidi determinati piani e programmi sull’ambiente”, cioè la cosiddetta ValutazioneAmbientale Strategica (VAS).

Per la eterogeneità delle tipologie di opere di competenza e di interesse sta-tale, occorre analizzare attentamente la relazione tra tali tipologie e l’ambito“obbligatorio” di applicazione della direttiva ai piani e programmi che sono ela-

Page 341: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

borati per i settori [...] della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli(articolo 3, comma 2, lettera a), nonché il limite “volontario” di assoggettabilitàalla valutazione strategica che ciascun Stato deve compiere, in base a quantoprevisto al comma 3 del medesimo articolo 3 della direttiva.

Di fatto, la direttiva prevede che [...] per i piani e programmi di cui al paragrafo2 (quindi anche la pianificazione territoriale e la variazione della destinazioned’uso dei suoli, N.d.A.), che determinano l’uso di piccole aree a livello locale eper le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al paragrafo 2, la valuta-zione ambientale è necessaria solo se gli Stati membri determinano che essipossono avere effetti significativi sull’ambiente.

Nell’Allegato b) alla direttiva 42/2001/CE (riguardante i criteri per la determi-nazione della significatività degli effetti sull’ambiente di questa ultima categoriadi piani e programmi “minori” e, in particolare, nell’elenco relativo alle caratteri-stiche degli effetti e delle aree che possono essere interessate) si deve tenereconto, tra gli altri elementi, dei rischi per la salute umana e per l’ambiente (ad es.in caso di incidenti).

Poste queste premesse, il tema deve essere ulteriormente indagato e risoltocon accuratezza, tenendo conto della possibilità di riconnettere la verifica dellacoerenza della programmazione delle opere statali su base regionale con gli ele-menti di valutazione strategica, anche per la sola casistica relativa al tema deirischi di incidente rilevante.

Circa il secondo obiettivo, occorre tenere presente che la conferenza dei ser-vizi ex D.P.R. n. 383/94 si esprime sul progetto definitivo, potendo, tuttavia, incasi particolari, iniziare il procedimento anche sul progetto preliminare, proprioper costruire tra l’Amministrazione procedente (o l’Ente preposto), la Regione, gliEnti locali e i soggetti istituzionali interessati, una soluzione progettuale dell’ope-ra convincente e condivisa sia sotto l’aspetto dell’inserimento urbanistico, siasotto il profilo della sostenibilità ambientale.

Anche in questo caso, si tratta di utilizzare al meglio le potenzialità di un pro-cedimento – già, peraltro sperimentato e consolidato – per ottenere una riduzio-ne del rischio o limitare i danni determinati dagli scenari incidentali.

Più complesso, ma certamente non eludibile, è il rapporto tra valutazioned’impatto ambientale – che rappresenta comunque un passaggio a monte delladeterminazione della conferenza dei servizi per la localizzazione delle opere sta-tali – e quanto detto in merito alla valutazione strategica. Anche in questo caso,più che dare schemi procedimentali preconfezionati, le soluzioni vanno cercatenella volontà di costruire “trasferimenti” di informazioni tra VAS e VIA, in parti-colare per le opere soggette a VIA, che rispettino un principio condivisibile enun-ciato nella Direttiva 42/2001/CE, secondo il quale l’adozione di procedure di valu-tazione ambientale a livello di piano e programma dovrebbe andare a vantaggiodelle imprese (ma in senso più generale, a favore della collettività, N.d.A.), for-nendo un quadro più coerente in cui operare, fornendo indicazioni pertinenti inmateria ambientale nell’iter decisionale. 357

13.1

- Il

D.M

. 9 m

aggi

o 20

01 e

la lo

caliz

zazi

one

delle

ope

re d

i int

eres

se s

tata

le

Page 342: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

A supporto di entrambi gli obiettivi, sopra enumerati ma anche per la realiz-zazione della definizione delle linee di assetto del territorio nazionale è importan-te la predisposizione, a livello nazionale, di un sistema informativo territoriale cheraccolga, uniformandole, le informazioni georeferenziate degli stabilimenti arischio di incidente rilevante.

In questo modo, sarà possibile effettuare le necessarie verifiche sia sui pro-getti e, soprattutto, sulla programmazione e sulla pianificazione territoriale e diarea vasta.

Un primo strumento “embrionale” è stato creato, all’interno del Dipartimen-to per il coordinamento dello sviluppo del territorio, in base alle informazionidesunte dall’elenco degli stabilimenti (art. 8 e art. 6 del D.Lgs. n. 334/99) pubbli-cato nel sito internet del Ministero dell’ambiente, in base alle notifiche trasmes-se ai sensi del D.Lgs. n. 334/99, come supporto informativo alle procedure dilocalizzazione delle opere statali, di competenza della Direzione generale per letrasformazioni territoriali.

Allo stato delle informazioni è stato possibile fare solo alcune semplici simu-lazioni, che vengono rappresentate nelle figure allegate che riportano:– la localizzazione dei Comuni nei quali vi sono stabilimenti a rischio di inci-

dente rilevante, distinti in art. 8 e art. 6. La densità della campitura indica, perclasse numerica, la concentrazione di stabilimenti. Nella figura viene rappre-sentata anche la rete autostradale (figg.1, 1a, 1b, 1c, 1d; 2, 2a, 2b, 2c, 2d,pp. 395-400);

– l’indicazione, per i Comuni con stabilimenti a rischio di incidente rilevante,della popolazione del Comune, del territorio comunale in rapporto alla Provin-cia (questo può far capire la rilevanza della pianificazione d’area vasta, rispet-to a quella urbanistica) e la connessione tra Comuni con stabilimenti a rischiodi incidente rilevante, rete autostradale, rete ferroviaria e porti di rilevanzanazionale (figg. 3, 3a, 3b, 3c, 3d, pp. 401-403).

Occorre tenere presente, infine, che solo alcune opere di interesse statale, dirilevanza nazionale, sono approvate dalla Direzione generale delle trasformazioniterritoriali, mentre le opere che si riferiscono ad ambiti e bacini di utenza di livel-lo regionale, sono di competenza dei Provveditorati alle OO.PP. del Ministerodelle infrastrutture e dei trasporti.

Data la delicatezza della materia è opportuno costruire un data-base dellelocalizzazioni effettuate sia a livello centrale, che a livello decentrato.

In futuro, utilizzando le informazioni disponibili dalla mappatura di rischio sarà pos-sibile elaborare il dato, attraverso l’inserimento della ubicazione esatta dello stabili-mento e delle relative aree di danno, in modo tale che sia possibile effettuare, nell’i-ter delle procedure sopra delineate, una verifica di maggiore dettaglio ed efficacia.

Anche nell’ambito della stessa Amministrazione centrale i temi di sicurezzadel territorio e dell’ambiente, in relazione al sistema infrastrutturale nazionale,necessitano di coordinamento e di strumenti di analisi e valutazione per gestirele trasformazioni territoriali secondo princìpi di sostenibilità ambientale, socialeed economica.358

Ros

ario

Man

zo

Page 343: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

359

13.1

- Il

D.M

. 9 m

aggi

o 20

01 e

la lo

caliz

zazi

one

delle

ope

re d

i int

eres

se s

tata

leNote

1 L’approvazione della legge n. 443/01 apre un altro tema: il rapporto tra i procedimenti pre-figurati in tale legge e l’istruttoria tecnica, con la formulazione del relativo parere, da parte del-l’Autorità competente ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 334/99. Il duplice sistema previsto aseguito dell’approvazione del “collegato infrastrutture” (legge n.166/02) della localizzazionedell’opera, che integra la VIA sulla base del progetto preliminare e la successiva approvazionedel progetto definitivo in una Conferenza dei servizi, comporta la verifica della corretta indivi-duazione del momento nel quale effettuare l’analisi di compatibilità territoriale e urbanistica aisensi del D.Lgs. n. 334/99) della infrastruttura rispetto agli effetti provocabili dagli scenari didanno, nel caso del procedimento ex lege 443/01.

2 D.Lgs. n. 112/98. Pubblicato nella Gazz. Uff. 21 aprile 1998, n. 92, S.O.Capo II - Territorio e urbanisticaSezione I - Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale.52. Compiti di rilievo nazionale.1. Ai sensi dell’articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (74), hanno

rilievo nazionale i compiti relativi alla identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del ter-ritorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla artico-lazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al siste-ma delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e dellearee depresse del Paese.

2. Spettano allo Stato i rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento con l’U-nione Europea di cui all’articolo 1, comma 4, lettera Ù), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (74),in materia di politiche urbane e di assetto territoriale.

3. I compiti di cui al comma 1 del presente articolo sono esercitati attraverso intese nellaConferenza unificata.

4. All’articolo 81, comma primo, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,n. 616, la lettera a) è abrogata.

3 D.Lgs. n. 112/98. Capo II - Territorio e urbanistica.Sezione I - Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale.54. Funzioni mantenute allo Stato.1. Sono mantenute allo Stato, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a) della L. n. 59/97,

le funzioni relative:a) all’osservatorio e monitoraggio delle trasformazioni territoriali, con particolare riferimen-

to ai compiti di cui all’art. 52, all’abusivismo edilizio ed al recupero, anche sulla base dei dati for-niti dai Comuni;

b) all’indicazione dei criteri per la raccolta e l’informatizzazione di tutto il materiale carto-grafico ufficiale esistente, e per quello in corso di elaborazione, al fine di unificare i diversi siste-mi per una più agevole lettura dei dati;

c) alla predisposizione della normativa tecnica nazionale per le opere in cemento armato ein acciaio e le costruzioni in zone sismiche;

d) alla salvaguardia di Venezia, della zona lagunare e al mantenimento del regime idraulicolagunare, nei limiti e con le modalità di cui alle leggi speciali vigenti nonché alla L. n. 366/63;

e) alla promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implichino un interventocoordinato da parte di diverse Amministrazioni dello Stato.

2. Le funzioni di cui alle lettere a), b), c) ed e) del comma 1 sono esercitate di intesa con la Conferenza unificata.

4 D.Lgs. n. 112/98.55. Localizzazione di opere di interesse statale.

Page 344: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

360

Ros

ario

Man

zo 1. Le procedure di localizzazione delle opere pubbliche di interesse di Amministrazionidiverse dalle Regioni e dagli Enti locali sono attivate previa presentazione alla Regione, ognianno, da parte dell’Amministrazione interessata, di un quadro complessivo delle opere edegli interventi compresi nella propria programmazione triennale, da realizzarsi nel territorioregionale.

2. Nei casi di variazione degli strumenti urbanistici vigenti conseguente all’approvazione diprogetti di opere e interventi pubblici, l’Amministrazione procedente è tenuta a predisporre,insieme al progetto, uno specifico studio sugli effetti urbanistico-territoriali e ambientali dell’o-pera o dell’intervento e sulle misure necessarie per il suo inserimento nel territorio comunale.

5 Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, con-cernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi, pubblicata nella G.U. delleComunità Europee del 21.7.2001, L. n. 197/30.

Page 345: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

13.2

LA VALUTAZIONE DEI RISCHI PER IL TRASPORTODELLE MERCI PERICOLOSE

Norberto Piccinini*

Introduzione

Spesso una realtà non costituisce problema finché non venga riconosciutacome tale a seguito di circostanze drammatiche. A mio avviso questo è il casodei rischi legati al trasporto, specie quello stradale, di sostanze pericolose anchese siamo ormai assuefatti ad uno stillicidio quotidiano di incidenti in mezzo aiquali passano quasi inosservati quelli che coinvolgono sostanze infiammabili e/otossiche.

In realtà, esaminando i dati statistici, questo problema dovrebbe essere piùche evidente proprio per il verificarsi in questi ultimi anni, in Italia e all’estero, ditutta una serie di gravissimi incidenti con rilascio di notevole quantità di sostan-ze pericolose. Non è il caso di attendere nuovi incidenti dalle dimensioni cata-strofiche quale quello di Los-Alfaques in Spagna (210 morti, 1978) per prendereseri provvedimenti legislativi sia a livello nazionale che comunitario.

Per contestare facili obiezioni, penso quindi valga la pena di “dimostrare” lagravità dei rischi collegati al trasporto, soprattutto stradale, riportando alcunevalutazioni di confronto con altri contesti.

Incidentalità

L’importanza relativa degli incidenti che coinvolgono il trasporto autostradale disostanze tossiche e/o infiammabili sul totale degli incidenti da trasporto può rile-varsi ad esempio, dal confronto tra i dati di Tab. 1 con quelli di Tab. 2. Mentre laTab.1 riporta il numero, i feriti e i danni degli incidenti avvenuti negli USA nel 1983e nel 2001, nella Tab. 2 è riportato l’elenco dei 10 prodotti coinvolti nel maggior

361

* Politecnico di Torino, Dipartimento di scienze dei materiali e ingegneria chimica - Safer(Centro studi su sicurezza, affidabilità e rischi).

Page 346: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

362

Nor

bert

oP

icci

nini

numero di incidenti: la somma di questi rappresenta circa il 98% del totale. Sem-pre dalla Tab. 2 si può rilevare come il trasporto dei prodotti infiammabili abbiaprovocato circa il 40 % dei danni materiali. Nella Tab. 3 sono riportati gli inciden-ti gravi negli USA dal 1990 al 1998. Per incidente grave si intende quello che haprovocato vittime o feriti gravi a seguito del rilascio della sostanza pericolosa tra-sportata. Si noti, in particolare, come nel 1996 siano occorsi due incidenti parti-colarmente gravi.

Trasporto Numero Feriti Danni 103 x $

1983 2001 1983 2001 1983 2001

Aereo 66 1074 0 13 52 308

Autostradale 4829 15.398 130 * 98** 9052 60.999

Ferroviario 851 893 69 29 2591 21.017

Marittimo 13 4 0 0 80 25

TOTALE 5759 17.369 191 140 11.775 82.349

Tabella 1. Dati statistici globali relativi ai trasporti negli USA.

* Sono compresi 8 morti.** Sono compresi 6 morti.

Sostanza Numero Feriti gravi Feriti lievi Morti Danni103 x $

Corrosive material 6989 6 63 0 34.448

Flammable-Combustible liquid 6752 4 18 6 31.486

Poisonous materials 1139 1 3 0 4192

Miscellaneous hazardous material 575 1 6 0 6106

Oxidizer 453 0 3 0 1068

Non-flammable compressed gas 420 1 7 0 1335

Combustible liquid 294 0 2 0 2592

Flammable gas 203 4 4 0 718

Organic peroxide 175 1 0 0 104

Infectious substance (Etiologic) 139 0 6 0 233

Other materials 261 0 4 0 2980

TOTAL 17.392 18 116 6 82.350

Tabella 2. Incidenti relativi al trasporto di sostanze pericolose in USA registrati nell’anno 2001.

Page 347: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Evacuazione

È ben noto l’incidente di Missisauga (Canada 1979) in cui, per il deragliamen-to di un treno merci, si ebbe l’esplosione di 6 vagoni cisterna di GPL e la rotturadi una cisterna contenente 90 t di cloro. Circa 60 t di cloro fuoriuscite dalla cister-na furono fortunatamente trascinate in alto dalla colonna ascensionale di ariacalda creatasi per la combustione del GPL e quindi disperse in quota. Il pericoloche si spandesse cloro sulla città indusse le autorità a far evacuare circa 230.000persone. Al culmine dell’emergenza la zona evacuata era di circa 150.000 km2.L’emergenza durò circa una settimana.

Per numero di persone coinvolte, estensione del territorio e danni economici,l’incidente di Missisauga è paragonabile a quello di Seveso.

Oltre il confronto tra questi due ben noti incidenti, mi sembra significativoconstatare (vedi Tab. 4), anche se si tratta di dati non recenti, come il 38% dellatotalità degli incidenti che nel 1981 hanno avuto come conseguenza l’evacuazio-ne di persone sia dovuto al trasporto su strada o ferrovia di sostanze pericolose.

Altre interessanti informazioni sul rilievo che l’aspetto evacuazione ha negliincidenti occorsi durante il trasporto di sostanze pericolose possono essere rica-vate dalla sopracitata Tab. 3.

363

13.2

- La

val

utaz

ione

dei

ris

chi p

er il

tra

spor

to d

elle

mer

ci p

eric

olos

e

Anno Numero Numero Numero Numero Numerototale incidenti di morti di feriti di persone

incidenti gravi evacuate

1990 8879 402 8 423 12.123

1991 9110 403 10 439 10.502

1992 9310 375 15 600 29.186

1993 12.830 357 15 627 18.237

1994 16.087 429 11 577 18.398

1995 14.743 409 7 400 11.444

1996 13.950 464 120* 1175** 19.556

1997 13.994 417 12 225 24.587

1998 15.322 429 13 198 9181

TOTALE 114.225 3685 211 4664 153.214

Tabella 3. Incidenti relativi al trasporto di sostanze pericolose in USA registrati dal 1990 al 1998.

* 110 morti sono relativi all’incidente della ValuJet del 1996 (caduta di un aereo per lo scoppio di generatori di ossi-geno).

** Un solo incidente ferroviario in Montana coinvolgente cloro, causò l’intossicazione di 787 persone.

Page 348: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

364

Nor

bert

oP

icci

nini

Country Address Activity Number of evacuees

NL St. Jobsbaven, Rotterdam Storage surr. area

D Frankfurt Transshipment 5 houses

NL Blerick Processing workers

USA Kansas City, Missouri Rail transport –*

USA Chicago heights, Illinois Processing workers

USA Louisville, Kentucky Processing 107-125

NL Roermond Use/application 200

CB Nadfield, North Derbyshire Rail transport 150

D Bonn Processing workers of factory

E Barcelona Processing Patients in nearly hospital

CDN Thorp, Wisconsin Rail transport –*

N. Sea Brent Field offshore 80

USA Dupo, Illinois Rail transport 1200

CB Shorebam Navigation 300

USA St. Johnsonburg, Vermount Pipe transport Citizen

USA Newark, New Jersey Railtransport 1000

USA Moab. Litah Storage 2000

Mex Montanas Railtransport 5000

USA Bridgeman, Michigan Rail transport 250

CB London Processing 500

CB Wallington Storage 500

USA New Platz, New York Roadtransport occupants

USA San Francisco, California Pipe transport 30000

RI Natuna Islands Winning 82

NL Rotterdam Storage ships in harbour

Ri Pangkalan Susu Winning 200

CB Manchester Storage 1000

USA Melville Township Road transport –*

USA Cambridge, Massachusetts Use/application –*

USA Marysville, Washington Rail transport 4000

Mex Santa Clara Processing 3000

USA Ramburg, New York Rail transport 4000

NL Putten Road transport school and house

USA Castaic, Calífornia Road transport –*

Tabella 4. Lista di incidenti con evacuazione registrati nel 1981 nella banca dati FACTS.

* Dato non disponibile.

Page 349: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Incidenti di rilevante magnitudo

Una stima della “consistenza” degli incidenti da trasporto a parità di sostan-za trattata può ricavarsi dalla Tab. 5 relativa a 190 incidenti coinvolgenti cloro. Sinoti come il 18,4% di questi siano da imputarsi al trasporto ed il 19% ad opera-zioni di travaso quindi, verosimilmente, ad operazioni di carico o scarico di un ser-batoio mobile.

Dalla selezione di esplosioni di nubi non confinate e “fireball” raccolta nellaTab. 6, si può constatare come la magnitudo delle conseguenze di incidenti rela-tivi al trasporto non sia certo seconda a quella provocata in disastri occorsi nel-l’industria chimica. Questo sia per la quantità delle sostanze coinvolte, che per ilnumero delle vittime nell’industria di processo. Solo il catastrofico incidente diCittà del Messico (500 morti, 1984) è di magnitudo superiore. 365

13.2

- La

val

utaz

ione

dei

ris

chi p

er il

tra

spor

to d

elle

mer

ci p

eric

olos

e

Attività o Impianto Incidenti Vittime

N° % N° Di cuimorti (%)

Serbatoi 20 10,5 12 25

Travasi 36 18,9 32 25

Processo 75 39,4 48 23

Trasporto stradale o ferroviario 35 18,4 38 21

Usi vari 24 12,6 20 10

TOTALE 190 100 120 -

Tabella 5. Analisi di alcuni gravi incidenti con rilascio di cloro.

Località Anno Trasporto Sostanza Quantità (t) Morti (n.)

Ludwigshafen (D) 1948 Ferroviario Etere di-metilico 30 209

Browfield (USA) 1958 Stradale GPL –* 3

Deer-Lake (USA) 1959 Stradale GPL –* 11

Meldrim (USA) 1959 Ferroviario GPL 36 29

Kingman (USA) ? Ferroviario GPL ? 13

New Berlin (USA) 1962 Stradale GPL 13 10

Decatur (USA) 1974 Ferroviario Iso-butano 63 7

Climax (USA) 1974 Ferroviario VCM 75 0

Los-Alfaques (E) 1978 Stradale Propilene 22 210

Firenze (I) 1982 Stradale GPL 30 8

Tabella 6. Esplosioni e “fireball” avvenuti nel trasporto di sostanze infiammabili.

* Dato non disponibile.

Page 350: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Quantitativi trasportati

Ad ulteriore conferma della possibilità che un trasporto possa provocare unincidente di rilevante magnitudo, si riporta nella Tab. 7 un elenco di sostanze,estratto dall’Allegato III della Direttiva CEE 82/501, che sono usualmente tra-sportate in quantitativi ben superiori o dello stesso ordine di grandezza.

Per quel che riguarda poi la movimentazione di prodotti petroliferi, nel 1999in Italia si sono consumati:

Benzina 19,0 106 tGPL 4,6 106 tGasolio (tutti i tipi) 26,0 106 tOlio combustibile 4,6 106 tTenuto presente che la capacità delle autocisterne varia tra i 18.000 l e i

37.000 l, dai quantitativi precedenti si ha subito un’idea del numero di trasportidi sostanze infiammabili circolante in Italia.

366

Nor

bert

oP

icci

nini

Sostanza Quantità

Benzidina (e suoi sali) 1 kg

Naftilammina 1 kg

Clorometiletere 1 kg

Acido monofluoro-acetico 1 kg

Nichel (polveri e composti) 100 kg

Anidride Arseniosa (e suoi sali) 100 kg

Cloroetilsolfuro 100 kg

Paration 100 kg

Isocianato di metile 1 t

Dicloruro di zolfo 1 t

Fosgene 0,75 t

Acido Fluoridrico 50 t

Cloro 50 t

Ossidi di etilene 50 t

Formaldeide (conc. ≥ 90%) 50 t

GPL 200 t

Solfuro di carbonio 200 t

Tabella 7. Esemplificazione dei quantitativi di sostanze ai fini dell’applicazione dell’art. 5 della Diretti-

va CEE 82/501.

Page 351: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Località e distanze percorse

Si noti ancora come molti dei prodotti citati nella Tab. 7 (per non parlare deiprodotti petroliferi) siano trasportati a lunga distanza o importati dall’estero. Unsolo caso a titolo esemplificativo: nella notte del 27 novembre 1982, notte conforte vento e pioggia battente, fuoriusciva di strada vicino a Brindisi un’autobot-te di cloro che restava danneggiata. Perì l’autista e si ebbero 7 intossicati. L’au-tobotte era partita da Mantova.

Per i prodotti importati dall’estero ci sono poi dei percorsi particolarmente cri-tici quali i trafori alpini (Frejus, Monte Bianco) ecc. Aree critiche sono certamen-te quelle in prossimità di complessi chimici o petrolchimici (es. zona nordocci-dentale della Sicilia, l’area industriale di Ravenna, Porto Marghera, ecc.). A titoloesemplificativo, per raggiungere lo stabilimento ATOFINA, la città di Rho (MI) èannualmente attraversata da circa 1500 autobotti di ammoniaca anidra più qual-che altro migliaio di sostanze altamente tossiche o corrosive.

Non si vede quindi perché tutta una serie di aree, percorsi critici, nodi ferro-viari, non possano essere attentamente studiati applicando, ad esempio, lemetodologie per le valutazioni probabilistiche dei rischi, utilizzate ormai da anninell’industria di processo.

Conclusioni

Con la breve analisi presentata si è voluto evidenziare il rischio connesso conil trasporto di sostanze tossiche e/o infiammabili e mostrare l’esigenza di ricono-scere, per la loro rilevanza, tali rischi sia in termini di conseguenze, che in termi-ni di possibilità e probabilità del loro verificarsi. È quindi indispensabile che sianovarate nuove normative e adottati quegli accorgimenti, sia tecnici che ammini-strativi, atti a prevenire gli incidenti e a limitarne le conseguenze.

I pochi dati esaminati in precedenza non sono certamente esaustivi per dare ungiudizio completo sui rischi derivanti dal trasporto di sostanze pericolose rispetto aquelli inerenti all’industria di processo; sussistono però, a mio avviso, non solotutte le motivazioni che indussero a suo tempo le autorità comunitarie ad emana-re la Direttiva CEE 82/501, ma anche la necessità di adottare provvedimenti nor-mativi ed autorizzativi nazionali, che vedano quale base razionale per la minimiz-zazione dei rischi nei trasporti l’applicazione delle valutazioni probabilistiche deirischi.

367

13.2

- La

val

utaz

ione

dei

ris

chi p

er il

tra

spor

to d

elle

mer

ci p

eric

olos

e

Page 352: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Riferimenti bibliografici

P. HUBERT, I rischi di incidenti rilevanti nei trasporti di materiali pericolosi, in “Ambiente eSicurezza”, 2-14 sett. 1986.

TNO, Elaborazioni statistiche della banca incidenti FACTS.

U.S. Dep. of Transportation, Summary Statistics 1983.

U.S. Dep. of Transportation, Reports on Hazardous Materials Transportation.

368

Nor

bert

oP

icci

nini

Nor

bert

oP

icci

nini

Nor

bert

oP

icci

nini

Nor

bert

oP

icci

nini

Nor

bert

oP

icci

nini

Nor

bert

oP

icci

nini

Page 353: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

13.3

IL RISCHIO E LE EMERGENZE PER LE RETI DI TRASPORTO

Mario Villa*

Il rischio trasporti: infrastrutture e mobilità

Premessa

Com’è noto, il D.M. 9 maggio 2001 non contiene misure per affrontare, congli strumenti della pianificazione del territorio, i rischi derivanti dalla presenza diinfrastrutture di trasporto in aree soggette al rischio di incidenti industriali rile-vanti. Ciononostante è a tutti ben presente il fatto che buona parte degli inci-denti di questo tipo è avvenuto durante l’attività di trasporto di materiali peri-colosi. È altresì noto che nel pianificare le trasformazioni del territorio sarebbedoveroso considerare la compatibilità fra infrastrutture di trasporto, su cui cir-colano in gran numero merci ad alto rischio, ed insediamenti umani.

Nel promuovere in questa seconda parte del volume dedicato alle novità por-tate dal D.M. 9 maggio 2001, un dibattito su varie questioni, si è voluto esten-dere l’attenzione di tecnici ed amministratori su questo problema per auspicareun intervento del Ministero anche sulla relazione infrastrutture di trasporto -rischio tecnologico.

Il “rischio trasporti” riguarda popolazioni e cose in fase di utilizzazione di unainfrastruttura di trasporto (strade, funivie, ferrovie, aeroporti, parcheggi, piazzali,aree di sosta, aerostazioni o stazioni ferroviarie, scali, interporti e autoporti ecc.),coinvolte da eventi incidentali e catastrofici.

In questo secondo caso assume rilevanza il rischio connesso con l’oggettodel trasporto che incorpora rischi di evento calamitoso derivante dalla naturadella merce, dalle condizioni nelle quali si esercisce il trasporto, dai movimentidei veicoli, dallo stato dei contenitori e degli imballaggi, dalla esposizione dei con-tenitori agli agenti meteorologici (sole, vento, neve, grandine ecc.), alla aggres-sione atmosferica, o a radiazioni di diversa natura ecc.

369* Politecnico di Torino, Dipartimento di idraulica, trasporti e infrastrutture civili.

Page 354: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

370

Mar

io V

illa

Le componenti dei sistemi di trasporto (infrastrutture e/o mezzi di trasporto)sono a loro volta esposte ad eventi calamitosi naturali e/o antropici (rischi natu-rali o rischi industriali) in quanto presenti su territori coinvolti in terremoti, incen-di, esplosioni, ecc. La progettazione di tali componenti non sempre prevede solu-zioni per l’emergenza.

La presenza permanente, ricorrente o occasionale di sostanze pericolose onocive conferisce livelli di rischio alle infrastrutture e ai veicoli fermi o in movi-mento sulle reti di trasporto, alle popolazioni ed alle cose comprese in fasce oraggi di azione dei fenomeni incidentali.

Tutti questi argomenti dovrebbero essere integrati nella formazione degli stru-menti per la pianificazione territoriale e urbanistica.

Si riportano, di seguito, una serie di informazioni sugli strumenti di conoscen-za e di gestione del rischio relativo alle infrastrutture di trasporto e alla mobilità.

1. Le schede descrittive dei percorsi e dei movimenti dei veicoli: “carta degliitinerari a rischio”.

Definiscono le vie di comunicazione principali o secondarie comprese nellaCarta degli “itinerari a rischio”, quali: strade, linee e stazioni e scali ferroviari,linee di trasporto a fune, aeroporti, porti, eliporti, vie di navigazione fluviale, persegnalarne l’esistenza e studiarne il rapporto di importanza con il percorso/i arischio.

Figura 1. Nozione di vulnerabilità.

NOZIONE DI VULNERABILITÀ

eventisorgenti

probabilitàaccadimento

vulnerabilitàterritoriale

al danno (indice)

vulnerabilitàantropica(indice)

vulnerabilitàterritoriale

all’evento (indice)

eventicalamitosi bersagli danni

analisi dell’evento calamitoso analisi del territorio

IMPATTI

Page 355: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

2. Lo studio del sistema insediativo e urbanizzato: la “carta delle presenze”.Riguarda i territori urbanizzati e i centri abitati per segnalarne l’esistenza e valu-

tarne l’estensione, la numerosità e la prossimità all’itinerario a rischio. Dovrannoessere altresì considerate le presenze dei soggetti “deboli” con difficoltà moto-rie, psichiche o quant’altro renda difficile il loro allertamento o trasferimento.

3. Le schede descrittive delle reti e dei nodi interessati: la “carta delle reti”.La descrizione delle reti e dei nodi della rete (con le caratteristiche dimensio-

nali delle singole tratte nelle quali sarà opportuno sezionare la rete), rappresentaun momento di “accatastamento” della rete e deve riguardare anche la viabilitàminore e secondaria, fino alla viabilità interpoderale che, nelle situazioni di emer-genza e di soccorso può concorrere a risolvere i problemi della mobilità locale peril raggiungimento dei luoghi dell’evento e per l’accesso alle infrastrutture com-promesse.

4. La circolazione e il traffico sulla rete: la “carta della circolazione” e la “cartadegli incidenti”.

I fattori di incidentalità stradale, a loro volta derivanti dai livelli di circolazionee regolazione, oltre che dalle caratteristiche delle infrastrutture (visibilità, pavi-mentazione, illuminazione, curve, intersezioni ecc., ), concorrono al verificarsi dialcuni eventi “a rischio” come tamponamenti, investimenti, ribaltamenti, confuoriuscita di materiali liquidi o gassosi dai contenitori danneggiati. Lo studio defi-nisce gli ambiti ricorrenti di incidente stradale (punti neri). Significativa è l’analisidei comportamenti dei conducenti nei luoghi di ricorrenza incidentale e la corre-lazione con “l’ambiente incidentale”.

5. I materiali trasportati: classificazione e descrizione degli eventi incidentali.Le informazioni da acquisire devono prendere in esame tutte le caratteristi-

che riguardanti il trasporto e lo stoccaggio di merci pericolose (norme A.D.R.) odi detenzione e lavorazione di merci pericolose.

Oltre alla osservanza della normativa A.D.R. il trasporto deve rispettare alcu-ni ulteriori vincoli normativi:– gli autisti e operatori devono possedere il Certificato di Abilitazione profes-

sionale;– sono necessarie apposite autorizzazioni per gli itinerari consentiti ed alcuni

possono essere vietati per ragioni di sicurezza o utilizzati con particolari cau-tele (gallerie).Le fonti utilizzabili per dati e valori attendibili sono rappresentate: dalla banca

dati dei V.V.F., dal Gruppo Settoriale CEFIC (Consiglio Europeo delle Federazionidelle Industrie Chimiche); dal centro di ricerca americano Environmental Protec-tion Agency (E.P.A.).

6. I sistemi telematici di guida e monitoraggio.Le moderne tecnologie telematiche mettono a disposizione del sistema dei

trasporti la possibilità di mantenere un costante telecontrollo automatico: 371

13.2

- Il

risch

io e

le e

mer

genz

e pe

r le

ret

i di t

rasp

orto

Page 356: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– della posizione georeferenziata dei veicoli;– dello stato e della natura del carico (con le schede di classificazione) e se

opportunamente organizzato, dei pesi relativi;– dell’integrità e della tenuta degli imballaggi e dei contenitori.

La tecnica consiste nel monitoraggio in continuo o “tracking e tracing” nonsolo dei veicoli, ma anche dei carichi dalla origine alla destinazione di ogni veico-lo e ogni contenitore.

Nelle tecniche di collegamento e trasmissione è importante considerare cheil sistema deve essere aperto ai transiti dei trafori e autostradali e alle fasi del-l’intermodalità operanti negli interporti e nei diversi scali intermodali che vengo-no toccati dall’itinerario previsto. Il trasporto ferroviario deve adottare sistemi uni-ficati e equivalenti.

7. Il rischio aeroportuale.Il trasporto aereo determina un rischio considerevole nelle pertinenze aero-

portuali e nelle fasce esterne ai confini, critiche per la minore sicurezza nelle fasidi decollo e atterraggio.

I piani interni all’area aeroportuale sono presenti, attivi ed efficaci. È neces-sario procedere alla redazione di piani esterni a carattere comunale o intercomu-nale che definiscano le aree esterne soggette al rischio aeroportuale in fase didecollo e atterraggio, usando tecniche e valutazioni del tutto analoghe a quellevalide per i rischi industriali e i rischi derivanti da trasporto di merci pericolose.372

Mar

io V

illa

Figura 2. Localizzazione automatica trasporto merci pericolose.

Page 357: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

8. Il rischio ferroviario e portuale.Il rischio di incidente ferroviario sui percorsi è di due ordini di grandezza infe-

riore a quello stradale. Tuttavia è paragonabile a quello del trasporto su gommanegli ambiti della movimentazione, stoccaggio e smistamento dei carri. Si trattadi aree spesso confinanti o incluse in zone urbane. Per tutte sono necessari ipiani di stima del rischio e di emergenza.

9. Il rischio in fase post-incidentale.La valutazione del rischio per le persone (e per le cose) dipende anche dalla

efficacia dei piani in emergenza e dalla loro capacità di trarre in salvo in tempi utilie prevedibili le persone, sottraendole alle condizioni di pericolo. Tale efficacia ècritica negli ambienti confinati dove il fenomeno incidentale è particolarmenteviolento e le vie di accesso e fuga sono scarse, ingombre o difficili.

10. I rischi esterni ed i fattori concorrenti di rischio: “carta di inquadramentoterritoriale”.

L’inquadramento territoriale è una tappa importante dello studio di identifica-zione, classificazione e valutazione del rischio in quanto consente di conoscerele caratteristiche fondamentali del sito sede del trasporto di sostanze pericolose.

Esso è suddiviso in diversi capitoli:– lo studio geomorfologico consiste nel definire sulla cartografia – sovrapponen-

done le risultanze sulla “carta degli itinerari a rischio” – le caratteristiche oro-grafiche e le variabili idrologiche presenti in prossimità dei percorsi pericolosi;

– lo studio meteoclimatologico consiste nella definizione e nella rappresenta-zione cartografica dei parametri del clima presenti e dominanti sul territorio edeterminanti agli effetti dei rischi concorrenti;

– lo studio delle condizioni di esercizio delle diverse infrastrutture in presenzadi traffico;

– lo studio/progetto di infrastrutture intrinsecamente sicure per le quali sonocodificati interventi strutturali migliorativi della sicurezza come: le barriere, lasegnaletica, le corsie di arrampicamento, le caratteristiche della pavimenta-zione, la stabilità dell’infrastruttura, gli spartitraffico, i parapetti dei ponti, gliassorbitori d’urto, le corsie di fuga, la segnaletica a rilievo, la segnaletica incaso di nebbia, il trattamento delle superfici in caso di ghiaccio e neve.

Il profilo urbanistico del rischio

1. Gli scenari incidentali e la copertura territoriale evolutiva degli effetti.

Il progetto di Piano, partendo dall’individuazione e dalla valutazione dei possibilieffetti fisici (radiazione, sovrappressione, concentrazione di sostanze tossiche), peri-colosi per l’uomo, per l’ambiente e per i beni, mira ad identificare determinate areedette di “impatto” (dove cioè si possono causare danni o alterazioni temporanee opermanenti alle strutture o ai soggetti presenti), o anche di “pianificazione”, al cuiinterno stimare poi, in fasi successive, le possibili conseguenze per la collettività epredisporre le eventuali azioni di prevenzione e di protezione per l’emergenza: 373

13.2

- Il

risch

io e

le e

mer

genz

e pe

r le

ret

i di t

rasp

orto

Page 358: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

a) individuazione degli scenari incidentali possibili, calcolo dell’intensità deglieffetti fisici prodotti;

b) determinazione delle “aree di impatto” o “di pianificazione”.Consiste nel rintracciare, all’interno delle coppie di valori “distanza / intensità

effetto fisico” calcolando, per ogni singolo fenomeno con i modelli computerizza-ti, le distanze limite corrispondenti ai “valori di riferimento” relativi ad ogni feno-meno fisico, definiti in tabelle create per le analisi di sicurezza degli I.I.R.l.R. maadattabili ai T.S.P., per definire, secondo quanto prescrive la Protezione Civile, letre “zone” o “aree” da considerare per la pianificazione di emergenza e cioè: pro-babile impatto, danno, attenzione.

2. La mappa delle presenze umane e biologiche.

Le presenze umane sul territorio, ma anche quelle biologiche che possonosubire gli effetti tossici o comunque dannosi derivanti dall’impatto, dovrannoessere registrate e cartografate secondo parametri demografici e insediativicaratteristici della zona. I dati potranno essere assunti in prima analisi dalle den-sità territoriali e urbanistiche desumibili dalle carte del PRGC.

Per indagini più significative i dati andranno assunti dall’anagrafe con i riferi-menti precisi alle abitazioni, agli edifici pubblici e privati, alle attività produttive,alle scuole, alle case per anziani, ai centri commerciali ecc. e in relazione agli oraridi presenza delle persone.374

Mar

io V

illa

Figura 3. Comuni di Viguzzolo e Castellar Guidobono - Piano di protezione civile.

Page 359: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

3. Individuazione delle sedi predisposte al soccorso.

Consiste nell’individuazione su una carta detta “dei centri e delle vie di soc-corso”, le stazioni dei V.V.F., gli ospedali, i pronto soccorso, le stazioni dei Cara-binieri e di Polizia, le caserme e i centri militari e valutarne la distanza da tutti ipossibili luoghi di incidente secondo le vie più brevi. Si può proporre, ad esem-pio uno studio sul “disturbo” creato alla viabilità dall’interruzione di qualche nodoo ramo stradale.

4. La mappa delle infrastrutture compromesse: ricoveri e centri di soccorso eraccolta, strade e intersezioni della rete.

Identificazione e classificazione degli ambiti di rischio e dei percorsi compro-messi di ogni ordine (statali, provinciali, comunali, vicinali o interpoderali) o i grup-pi di tratte stradali. Tali percorsi dovranno essere considerati nelle strategie digestione delle reti di evacuazione e soccorso in sede di emergenza.

La pianificazione preventiva del soccorso e della sicurezza

L’attività di soccorso è caratterizzata dalle seguenti azioni che coinvolgono ilsistema della mobilità:1. allertamento della popolazione sottoposta al danno, con eventuale sollecita-

zione pianificata di comportamenti idonei e tempestivi per il contenimento deldanno (riparo e protezione, allontanamento, evacuazione);

2. raggiungimento dei luoghi da parte dei soccorritori nel più breve tempo pos-sibile;

3. raccolta dei soggetti e soccorso;4. raggiungimento dei luoghi di ricovero o di intervento sanitario;5. eventuale ritorno sui luoghi dell’incidente.

Inoltre:a) la mappatura delle risorse consiste nella identificazione sul territorio comunale,

intercomunale o provinciale, delle risorse utili agli interventi di protezione civile;b) i sistemi di allertamento e di allarme sono simili a quelli adatti alla incidenta-

lità industriale con adeguata segnalazione e segnaletica locale;c) la scelta dei percorsi in Origine e in Destinazione, cioè quelli che stabiliscono

il collegamento fra l’area incidentata e le risorse da impegnare per i soccorsie per l’evacuazione, dovrà ottimizzare prima l’efficacia degli obiettivi sanitari equindi l’efficacia della salvaguardia delle popolazioni che possono esserecompromesse;

d) la progettazione dei percorsi di evacuazione e di raccolta della popolazione dasalvaguardare e da concentrare in aree non compromesse deve stabilire altre-sì i mezzi di trasporto, le precedenze, la segnaletica;

e) la carta della “viabilità in emergenza” (con segnaletica di emergenza), attra-verso l’uso di modellistica appropriata e con individuazione delle vie prefe-renziali e dei blocchi stradali dovrà definire:

375

13.2

- Il

risch

io e

le e

mer

genz

e pe

r le

ret

i di t

rasp

orto

Page 360: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

376

Mar

io V

illa

Figura 4. Comune di Volpiano - Piano di protezione civile.

– i percorsi per il soccorso destinati ai mezzi di salvataggio delle personecompromesse;

– i percorsi per l’evacuazione, interessati cioè dal movimento delle popola-zioni che si sottraggono agli effetti dell’evento calamitoso;

– i percorsi per l’evitamento, diversione, utilizzate dai tecnici e dai mezzi voltia contenere gli effetti e i danni conseguenti all’evento calamitoso.

Nel caso si tratti di utenti autostradali vanno preordinate le uscite ai caselli(eventualmente ai cancelli) che precedono e seguono la zona “a rischio” e inter-cettano i movimenti verso l’area stessa, necessari per l’uscita verso viabilità ordi-naria o straordinaria operativa in prossimità.

Page 361: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

I PERCORSI DI RICERCA

377

Page 362: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

378

Page 363: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

(a cura di Maria Teresa Gabardi*)

La bibliografia riportata di seguito intende rappresentare una selezione di alcuni testiin materia di controllo dell’urbanizzazione, di programmazione-pianificazione integrate evalutazione di impatto ambientale, rischio tecnologico e di percezione, comunicazione egestione del rischio1.

Tralasciando i testi specifici di analisi e determinazione del rischio, la letteratura esa-minata e raccolta non pretende certamente di essere esaustiva dell’argomento, ma piut-tosto di presentare materiali di lavoro, argomenti di interesse e spunti di riflessione in rela-zione alle esperienze e al dibattito in corso sulle modalità di applicazione della direttivaeuropea Seveso II, e all’attivazione di procedure di pianificazione integrata, nell’ambitodella materia del “governo del territorio”.

Si tenga presente che mentre una parte consistente della bibliografia reperibile sul temadel rischio tecnologico e industriale si occupa, fin dagli anni ottanta, dei problemi della per-cezione, della comunicazione e della gestione2 del rischio, oltre che delle modalità di calcolodel rischio medesimo, è assai più recente la letteratura sul tema del rapporto tra rischio indu-striale e pianificazione degli usi del suolo, coincidente per lo più con l’emanazione delle rela-tive normative in materia; deve essere citato, anche per i contenuti e l’approccio integrato emultidisciplinare, Cardinale A., Industria e sicurezza ambientale, Etas Libri, Milano 1981.

Controllo dell’urbanizzazione e rischio tecnologico - Valutazione di impatto ambientale

Già nel 1986 la Livermann introduce in un breve saggio alcune considerazioni in meri-to al rapporto tra tecnologie a rischio e pianificazione, ma è a partire dall’emanazionedella Direttiva comunitaria 96/82/CE che possiamo trovare vere e proprie pubblicazionisul rapporto tra rischio tecnologico e usi del suolo, e riferimenti alla pianificazione terri-toriale come attività di controllo ed elemento di prevenzione (Hurst, 1996 e Pianese,Ragno, 1997).

Da segnalare in particolare le pubblicazioni del Centro Europeo di Ricerca di Ispra –European Joint Research Centre che, anche attraverso le attività dell’Ufficio per i Rischi

379* Dottore di ricerca, Politecnico di Torino.

Page 364: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

di Incidente Rilevante – Major Accident Hazards Bureau, ha prodotto una serie di testispecifici sul tema della gestione dell’urbanizzazione nei pressi degli stabilimenti a rischiodi incidente rilevante3.

Sul tema della valutazione di impatto ambientale e pianificazione urbanistica esistonomolti studi; si presenta una selezione di diversi saggi di B.F. Lapadula.

ARIANO P.F., BASSO B., ROBOTTO A., RUGGIERO G.N., The Major Accidents HazardsInformation System in Regione Piemonte, in Safety and Reliability. Towards a SaferWorld, Proceedings of the European Conference on Safety and Reliability - ESREL,Torino 16-20 settembre 2001, vol. 3, pp. 1627-1634.

BARTHELEMY F., HORNUS H., HUFSCHMITT J-P., ROUSSOT J., RAFFOUX J-F., Rapport de l’inspec-tion générale de l’environnement. Usine de la société Grande Paroisse à Toulouse.Accident du 21 septembre 2001, Ministère de L’Aménagement du Territoire et deL’Environnement, ottobre 2001.

BESI S., AMENDOLA F., BELLONI V., CHRISTOU M., SMEDER M., La pianificazione dell’uso delterritorio in relazione ai rischi di incidente rilevante, Commissione Europea, CentroComune di Ricerca, Istituto dei Sistemi, dell’Informatica e della Sicurezza, Ispra 1996.

BOSWORTH D., Land Use Planning and Seveso Implementation in the United Kingdom,Health and Safety Executive, UK 2002.

BUTTI G., Le nuove norme sui pericoli di incidenti rilevanti, Il Sole 24 Ore - Pirola, Milano 2000.CARPIGNANO A., PIGNATTA G., SPAZIANTE A., Land Use Planning Around Seveso II

Installations: the Italian Approach, in Safety and Reliability. Towards a Safer World,Proceedings of the European Conference on Safety and Reliability - ESREL, Torino2001, 16-20 settembre, vol. 3, pp. 1763-1770.

CHRISTOU M., AMENDOLA A., SMEDER M., The Control of Major Accident Hazards: The Land-Use Planning Issue, in “Journal of Hazardous Materials”, Elsevier Science B.V., 1999,pp. 151-178.

CHRISTOU M. ET AL., Uncertainties Present in Risk Assessment of Chemical Installationsand their Implications to Risk-Informed Decision-Making: The Case of Land-UsePlanning, European Commission, Joint Research Centre, Major Accident HazardBureau, Ispra 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major IndustrialHazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

CHRISTOU M., DUFFIELD S., Guidance to the Implementation of Article 12 of the Seveso IIDirective on Land-Use Planning in the Context of Major Accident Hazards, EuropeanCommission, Joint Research Centre, Major Accident Hazard Bureau, Ispra 2002.Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

CHRISTOU M., PORTER S. (editors), Guidance on Land-Use Planning as Required by CouncilDirective 96/82/EC (Seveso II), European Commission, Joint Research Centre,Institute for Systems, Informatics and Safety, Ispra 1999.

COLLETTA P., Valutazioni integrate nelle aree a rischio, 1999, Paper presentato al seminarioe workshop sulle aree ad elevata concentrazione di attività industriali, ProgettoVARIAR. ARPAT Firenze, 1 dicembre 1999.

COLLETTA P., Il controllo dell’urbanizzazione e valutazione integrata nelle aree a rischio diincidente rilevante, 2000, Paper presentato al Convegno nazionale VGR2k – valutazio-ne e gestione del rischio negli insediamenti civili e industriali, Pisa, 24-25-26 ottobre2000.380

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 365: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

COLLETTA P., Controllo dell’urbanizzazione e valutazione integrata nelle aree a rischio di inci-dente rilevante, 2001, Paper presentato al Convegno nazionale Pianificazioni separatee governo integrato del territorio, INU, Firenze 13-14 dicembre 2001.

COLLETTA P., MANZO R., Governo del territorio e rischio di incidente rilevante, in“Urbanistica informazioni” n. 184, INU Edizioni, Roma, p. 97.

COLLETTA P., Il governo del territorio e la valutazione integrata nelle aree a rischio di inci-dente rilevante, 2002, Paper presentato per gli atti preparatori del Convegno naziona-le VGR2002 - valutazione e gestione del rischio negli insediamenti civili e industriali,Pisa 15-16-17 ottobre 2002, in corso di pubblicazione.

COLLETTA P., Il rischio di incidente rilevante e il governo del territorio: la pianificazione e levalutazioni integrate nel d.m. 9 maggio 2001, in “Urbanistica informazioni”, INUEdizioni, in corso di pubblicazione.

COLLETTA P., MANZO R., NOVELLA L., La pianificazione del territorio, le infrastrutture di inte-resse nazionale e il rischio di incidente rilevante, 2002, Paper presentato per gli attipreparatori del Convegno nazionale VGR2002 - valutazione e gestione del rischio negliinsediamenti civili e industriali, Pisa 15-16-17 ottobre 2002, in corso di pubblicazione.

CUTTER S.L., Living with Risk. The Geography of Technological Hazards, Arnold 1993.DI PATTI I., Pianificazione della prevenzione in aree altamente industrializzate, in “Ambiente

e salute 2000”, marzo-aprile 1999, pp. 30-34.ENGEL T., Basics of Urban Planning Legislation in Germany, Ministry of the Interior -

Obertse Bauberhörde im Bayerischen Staatsministerium des Innern, Bavaria 2002.Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

EUROPEAN COMMISSION, ENVIRONMENT, IMPEL Report on the Interrelationship betweenIPPC, EIA, Seveso Directives and EMAS Regulation, 2000.

GABOR T., GRIFFITH T.K., The Assessment of Community Vulnerability to Acute HazardousMaterials Incidents, in “Journal of Hazardous Materials”, n. 3, Elsevier ScientificPublishing Company, Amsterdam 1980, pp. 323-333.

GRASZK E., Risques industriels majeurs et urbanisation: point sur les outils actuels,Ministère de l’Equipement, des Transports et du Logement, France 2002. Abstractpresentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

HEALTH AND SAFETY EXECUTIVE (HSE), Risk Criteria for Land-Use Planning in the Vicinity ofMajor Industrial Hazards, Health and Safety Executive, UK 1989.

HURST N.-W., YOUNG S., DONALD I., GIBSON H., MUYSELAAR A., Measures of SafetyManagement Performance and Attitudes to Safety at Major Hazard Sites, in “J. LossPrev. Process Ind.”, n. 2, Elsevier Science Ltd, 1996, pp. 161-172.

INSTITUTE FOR SYSTEMS ENGINEERING AND INFORMATICS, COMMUNITY DOCUMENTATION CENTRE ON

INDUSTRIAL RISK, Lessons Learned from Emergencies after Accidents in Greece andItaly Involving Dangerous Chemical Substances, European Commission, 1994.

KIRCHSTEIGER C., SPIRS: Towards a European Industrial Risk Management InformationSystem, European Commission, Joint Research Centre, Major Accident HazardBureau, Ispra 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major IndustrialHazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

LAPADULA B.F., Chi inquina paga, il principio “inquinatore pagatore”, in “Imprenditorialità”,anno II, n. 2, febbraio 1981. 381

Prin

cipa

li rif

erim

enti

bibl

iogr

afic

i

Page 366: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

LAPADULA B.F., capitoli: 5.1 Belgio, 5.2 Danimarca, 5.5 Olanda, 5.7 Le Prospettive apertedalle Comunità europee: la valutazione d’impatto ambientale, in C. Bagnasco (a curadi), La partecipazione popolare alla gestione del territorio, alcune esperienze italiane estraniere, Ciclinprop ed., Roma 1981.

LAPADULA B.F. E KARRER F., Rapporti tra valutazione di impatto ambientale e procedure tra-dizionali della pianificazione urbanistica, in P. Schmidt di Friedberg (a cura di), Gli indi-catori ambientali, valori metri e strumenti nello studio dell’impatto ambientale, F.Angeli, Milano 1986.

LAPADULA B.F., V.I.A. e pianificazione fisica, in “Dioniso, l’uomo e l’ambiente”, anno II, n.10, 1990.

LAPADULA B.F., Ambiente: verso una regolamentazione europea, in “AR”, bimestraledell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, anno XXXI, n. 6, maggio-giugno 1996.

LIVERMANN D.M., The Vulnerability of Urban Areas to Technological Risks, in “Cities”,Butterworth Scientific, Journals Division, 1986, maggio, pp. 142-147.

LOMMERS G., Legal Risk Criteria for Land-Use Planning and Permitting in The Netherlands,Ministry of Housing, Planning and Environment, The Netherlands, 2002. Paper pre-sentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

LUDOVISI G., GAGLIARDI R.V., DAMIANI F., Accidents Involving Land-Use Planning in the Lightof New Law Requirements in Italy, ISPELS, Roma 2002. Abstract presentato allaConferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

MANZO R., L’attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei rischi di incidenti rile-vanti connessi con determinate sostanze pericolose “Seveso II”: requisiti minimi di sicu-rezza in materia di pianificazione territoriale e urbanistica, in “Archimedia”, n. 3, 2001.

MANZO R., I programmi complessi e le aree soggette a fragilità ambientale, 2001, Paperpresentato al Convegno nazionale Pianificazioni separate e governo integrato del ter-ritorio, INU, Firenze 13-14 dicembre 2001.

MANZO R., I programmi integrati e il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di inci-dente rilevante, 2002, Paper presentato per gli atti preparatori del Convegno naziona-le VGR2002 - valutazione e gestione del rischio negli insediamenti civili e industriali,Pisa 15-16-17 ottobre 2002, in corso di pubblicazione.

MANZO R., Il contesto territoriale del rischio di incidente rilevante: l’attuazione del d.m. 9maggio 2001 attraverso le strategie di pianificazione integrata di intervento, in“Urbanistica informazioni”, INU Edizioni, in corso di pubblicazione.

MENONI S., Aree industriali e centri urbani: compatibilità, criticità, aspetti di sicurezza esalute pubblica, in “Urbanistica”, n. 118, INU Edizioni, Roma 2002.

MURRAY J., The Role of Competent Authorities in Land-Use Planning Around Seveso IIInstallations, Health and Safety Executive, Hazardous Installations Directorate, UK2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards inLand-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

PIANESE E., RAGNO E., La direttiva Seveso “due”, in “Antincendio”, agosto 1997, pp. 67-75.PICÓN A., ORRIOLS FERNANDEZ I., VILCHEZ J.A., The Influence of Risk Assessment on the

Land-Use Planning Ordinance in Coruña, Spain, Directorate general of Civil Protection,Xunta de Galicia - TIPS, 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - MajorIndustrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.382

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 367: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

383

Prin

cipa

li rif

erim

enti

bibl

iogr

afic

iPIGNATTA G., SPAZIANTE A., Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidenterilevante. Una preventiva sperimentazione della nuova normativa nazionale, in“Archimedia”, n. 3, 2001.

PUGLIANO A., La direttiva Seveso II e il recepimento nell’ordinamento legislativo italiano, in“Urbanistica”, n. 118, INU Edizioni, Roma 2002.

ROSEMBERG T., Land-Use Planning and Chemical Sites (LUPACS), Swedish RescueServices Agency, Karlstad 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 -Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

SMEDER M., CHRISTOU M., BESI S., Land-Use Planning in the Context of Major AccidentHazards - An Analysis of Procedures and Criteria in Selected EU Member States,European Commission, Joint Research Centre, Institute for Systems, Informatics andSafety, Ispra 1996.

SPAZIANTE A., GABARDI M.T., Il controllo dell’urbanizzazione nelle aree soggette a rischio diincidente rilevante: approcci ed esperienze europee a supporto di nuove norme nazio-nali, in “Urbanistica”, n. 118, INU Edizioni, Roma 2002.

STANGL M.L., SIMON E., Land-Use Planning and Seveso II Implementation in Austria. ThePractice in the Austrian Länder, Amt der Steiermärkischen Landesregierung (StateGovernment Office), Steiermark 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II2002 - Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

TOMIATO L., DE LUCA G., Un SIT per il censimento del rischio industriale sul territorio regiona-le, in “Documenti del Territorio”, n. 45, Centro interregionale di coordinamento e docu-mentazione per le informazioni territoriali, Roma 2000, settembre-dicembre, pp. 39-41.

TURNER R.M., The Risk Assessment Approach for Land-Use Planning and PotentialDifficulties with the Use of Generic Categories, Health and Safety Executive, UK 2002.Abstract presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

UTH H.-J., Abstandsermittlung für die Flächennutzungplanung mit Hilfe vonStörfallablaufszenarien (Determination of Safety Distances through Major AccidentScenarios), Umweltbundesamt (Federal Environment Agency) Berlin, 2002. Paper pre-sentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

WALKER G., “Why Was the Plant in a Built up Area …?”: Opportunities and Constraints inAddressing the Historical Juxtaposition of Major Accident Hazards, Institute forEnvironment and Sustainability Research, Staffordshire University, UK 2002. Paperpresentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major Industrial Hazards in Land-UsePlanning, Lille 12-13-14 febbraio.

ZEPPETELLA A., BRESSO M., GAMBA G., Valutazione ambientale e processi di decisione, NIS,Roma 1992.

Programmazione e pianificazione integrata

Già dagli inizi degli anni novanta si è affermato un approccio multidisciplinare e inte-grato, nell’ambito della disciplina urbanistica e con riferimento alle azioni di programma-zione del territorio. Dell’ampia bibliografia esistente, di diversi autori, si riporta, in partico-lare, quanto elaborato dal Ministero dei lavori pubblici per la diffusione e la conoscenzadelle diverse tipologie di programmi integrati o complessi, per i quali il Dicastero è statopromotore.

Page 368: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

CENSIS, 35° Relazione sulla situazione sociale del Paese, anno 2001, pp. 357 e sgg., Roma2001; sito internet di riferimento: www.progettopilota.it

CLEMENTI A., DEMATTEIS G., PALERMO P.C. (a cura di), Le forme del territorio italiano, Laterza,Roma 1996.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Resoconto di una esperienza: la selezione dei programmidell’art.18 L.203/91, Roma 1995.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI - SEGRETARIATO GENERALE DEL CER, I “Contratti di quartiere”, uncontributo al risanamento delle periferie urbane - Istruzioni per la predisposizione delleproposte, Roma 1998.

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI - DIREZIONE GENERALE DELLE AREE URBANE E DEL-L’EDILIZIA RESIDENZIALE, Contratti di quartiere. Programmi per la riqualificazione di inse-diamenti urbani degradati, Edizioni Edilizia Popolare, Roma 2002.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, I Programmi di riqualificazione urbana, a cura di A.P. Latini,INU Edizioni, Roma 1997.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Programmi di riqualificazione urbana. Azioni di programma-zione integrata nelle città italiane, a cura di L. Contardi, M. Moscato, M. Ricci, 2 volu-mi, INU Edizioni, Roma 1999.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI - DIREZIONE GENERALE DEL COORDINAMENTO TERRITORIALE,Programma URBAN - Italia. Europa, nuove politiche urbane, a cura di L. Campagna eM. Ricci, INU Edizioni, Roma 2000.

MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI - DIREZIONE GENERALE DEL COORDINAMENTO TERRITORIALE,Programmes and Action 1996-2001, DICOTER, Istambul +5 Special Session of theUnited Nation General Assembly for an Overall Review and Appraisal of theImplementation of the Habitat Agenda, INU Edizioni, Roma 2001.

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, Progetti di territorio e contesti dello svi-luppo - Progetto pilota per l’adeguamento della strumentazione tecnico-urbanistica edeconomico-programmatoria, Roma 2002.

FONTANA G., Il d.m. 9 maggio 2001: politiche di riqualificazione del territorio nelle aree arischio di incidente rilevante, 2002, Paper presentato per gli atti preparatori delConvegno nazionale VGR2002 - valutazione e gestione del rischio negli insediamenticivili e industriali, Pisa 15-16-17 ottobre 2002, in corso di pubblicazione.

Piani di risanamento ambientale

CAIULO D., (1997), Piani di risanamento ambientale, in “Urbanistica Informazioni”, n. 153,INU Edizioni, pp. 63-64.

CAMPEOL G., La pianificazione nelle aree ad alto rischio ambientale, F. Angeli, Milano 1994.CAMPEOL G., Area a rischio ambientale di Priolo-Augusta - Analisi e progetti pilota,

Provincia Regionale di Siracusa, Laboratorio D.E.L.T.A., 2002.FI.L.S.E., C.U.E.I.M, Piano di risanamento dell’area critica ad elevata concentrazione di atti-

vità industriali di Genova, Regione Liguria, maggio 1998.MAGGIONI E., (1998), Porto Marghera: bonifiche e riconversioni industriali, un progetto

complesso, in “Urbanistica Informazioni”, n. 164, INU Edizioni, pp. 23-24.MARSILI M., ANDOLFI A., Immagine ambientale - Siracusa: Polo Industriale e qualità della

vita, Edizione C.D.S., 1985.MARSILI G. (a cura di), La valutazione del rischio d’area. Il caso dell’area industriale di

Mantova, Franco Angeli, Milano 2000.384

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 369: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

MOSSA VERRE M. (a cura di), Analisi del rischio per l’area di Livorno e strategie d’interven-to, ARPAT, Firenze, marzo 2000.

MOSSA VERRE M. (a cura di), Analisi del rischio per l’area di Piombino e strategie d’inter-vento, ARPAT, Firenze, dicembre 2000.

SEGRE A., Le Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale. Considerazioni introduttive, inMateriali del gruppo di lavoro Agel - Per una mappa del rischio e del degrado in Italia,Istituto Geopolitico “F. Compagna”, Napoli 1993.

SICUSO V., Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale - Analisi di un caso studio nellaProvincia di Siracusa, in “La Termotecnica”, anno LIV, n. 7, settembre 2000.

Percezione, comunicazione e gestione del rischio tecnologico – Piani di emergenza

esterna

Alcuni dei testi relativi al problema del rischio si presentano sotto forma di manualisti-ca tecnica (“Istruzioni per…”, esercizi di simulazione ecc.), e concentrano la propria atten-zione sulla questione della costruzione e della gestione dei sistemi per la sicurezza e deipiani d’emergenza (si vedano, per esempio, le pubblicazioni del National Response Teamo dell’Environmental Protection Agency - EPA statunitensi).

Altri saggi si occupano prevalentemente dell’analisi degli incidenti industriali rilevanti acca-duti e del tema della definizione di sistemi di gestione della sicurezza (SGS - SMS in inglese),con riferimento ai dettami della Direttiva Comunitaria “Seveso” (cfr. Hurst et al., 1996).

Si presenta piuttosto ampia la letteratura sui temi della percezione e della comunica-zione del rischio, con testi che risalgono anche agli anni ottanta: si vedano per esempio isaggi di Slovic (1987), di Covello et al. (1989) e di Leiss (1989), per arrivare alle recentipubblicazioni di Gray et al. (1998), di Ranghieri (1998), oppure del Dipartimento della salu-te britannico - Department of Health (1998), tutti incentrati sullo specifico tema dellacomunicazione del rischio.

AICHE, Guidelines to Chemical Process Quantitative Risk Analysis, AIChE, 1989.BERTAMINI F., MENONI S., Il rischio muto, in “Costruire”, n. 205, maggio 2000.BIGNELL V. AND FORTUNE J., Understanding Systems Failures, Open University Press,

Manchester University Press, 1984.BOURG D., SCHLEGEL J. L., Parer aux risques de demain. Le principe de précaution, Seuil, Parigi.BUCCHI M., Vino, alghe e mucche pazze: la rappresentazione televisiva delle situazioni di

rischio, Rai-ERI, Roma 1999.BUCCI A., MARCHETTI A., PERINI A., TRUPIA F., La comunicazione di crisi: le due vie, Nuova

Arnica, Roma 1998.CAE, Risk and Realities. A Multidisciplinary Approach to the Vulnerability of Lifelines to

Natural Hazards, Nuova Zelanda 1997.CARAGLIANO S., Aspetti sociali comunicativi ed urbanistici del rischio chimico in area urba-

na, in “Urbanistica”, n. 118, INU Edizioni, Roma 2002.COMFORT L., ABRAMS J., CAMILLUS J., RICCI E., From Crisis to Community: the Pittsburgh Oil

Spill, in “Industrial Crisis Quarterly”, n. 3, Elsevier Science Publishers B.V., Amsterdam1989, pp. 17-39.

COVELLO V.T., MCCALLUM D.B., PAVLOVA M.T., Principles and Guidelines for Improving RiskCommunication, in COVELLO, MCCALLUM, PAVLOVA (eds.), Effective Risk Communication:The Role and Responsibility of Government and Nongovernment Organizations,Plenum Press, New York 1989. 385

Prin

cipa

li rif

erim

enti

bibl

iogr

afic

i

Page 370: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

DE MARCHI B., FUNTOWICZ S.O., Proposta per un modulo comunicativo sperimentale sulrischio chimico a Porto Marghera, Istituto di Sociologia Internazionale, Gorizia 1997,Quaderno n. 97-6.

DE MARCHI B., MENONI S., Comunicazione, coordinamento e piano: gestione del rischio edell’incertezza, in Atti del Convegno - La scienza e i terremoti. Analisi e prospettive dal-l’esperienza del Friuli - 1976-1996, Udine 1996, 14-15 novembre, pp. 199-207.

DE MARCHI B., PELLIZZONI L. E UNGARO D., Il rischio ambientale, Il Mulino, Bologna 2001.DEMARIA C., La credibilità e la fiducia nella gestione della crisi, in GRANDI R. (a cura di),

Semiotica al marketing, F. Angeli, Milano 1993.DOUGLAS M., Risk Acceptability According to the Social Science, Sage, London 1985 (tr.

it., Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Feltrinelli, Milano 1991).FORTUNE J. AND PETERS G., Learning from Failure - The Systems Approach, John Wiley &

Sons, 1995.GAMBETTA D. (a cura di), Trust. Making and Breaking of Cooperative Relations, Basil

Blackwell, Oxford 1988 (tr. it., Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità dellacooperazione, Einaudi, Torino 1989).

GIDDENS A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, IlMulino, Bologna 1994.

GRAY P.C.R., STERN R.M., BIOCCA M., Communicating about Risks to Environment andHealth in Europe, W.H.O. - Kluwer Academic Publishers, UK 1998 (tr. it. La comuni-cazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa, F. Angeli, Milano 1999).

GUAGENTI GRANDORI E., Sicurezza ambientale: decisione in condizioni di incertezza, in“Territorio”, n. 8, F. Angeli, Milano 1998, pp. 32-38.

HEWITT K., Regions of Risk. A Geographical Introduction to Disasters, Longman, Singapore1997.

LAGADEC P., Cellules de crise. Les conditions d’une conduite efficace, Les Editionsd’Organisations, Paris 1995.

LEES F.P., Loss Prevention in Process Industries, Butterworths 1996.LEISS W., Prospects and Problems in Risk Communication, University of Waterloo Press,

Waterloo 1989.LOMBARDI M., Rischio ambientale e comunicazione, F. Angeli, Milano 1997.LUHMANN N., Sociologia del rischio, Bruno Mondadori, Milano 1996.LUNDGREN R.E., MCMAKIN A., Risk Communication: A Handbook for Communicating

Environmental, Safety, and Health Risks (2nd ed.), Batelle Press, Columbus (Ohio)1998.

MARGOLIS H., Dealing with Risk: Why the Public and the Experts Disagree onEnvironmental Issues, University of Chicago Press, Chicago 1997.

MATTHES R., BERNHARDT J.H., REPACHOLI M.H. (eds.), Risk Perception, Risk Communication,and Its Application to EMF Exposure: Proceedings of the World HealthOrganization/ICNIRP International Conference (ICNIRP 5/98), Vienna, InternationalCommission on Non-Ionizing Radiation Protection, 1998.

MENONI S., Pianificazione e incertezza. Elementi per la valutazione e la gestione dei rischiambientali, F. Angeli, Milano 1997.

MOLAK V., (ed.), Fundamentals of Risk Analysis and Risk Management, CRC Press, LewisPublishers, 1996.

PERROW CH., Normal Accidents. Living with High Risk Technologies, vol. I, Basic Books,New York 1984.386

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 371: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

POWELL D., LEISS W., Mad Cows and Mother’s Milk: the Perils of Poor RiskCommunication, McGill-Queen’s University Press, Montreal 1997.

RANGHIERI F. (a cura di), La comunicazione ambientale e l’impresa, Il Mulino, Bologna1998.

RAYNOR S.F., Cultural Theory and Risk Analysis, in KRIMSKY S., GOLDING D. (eds.), SocialTheories of Risk, Praeger Publishing, Westport (CT) 1992, pp. 83-115.

REASON J., Managing the Risk of Organizational Accidents, Ashgate (UK) 1997.RENN O., LEVINE D., Credibility and Trust in Risk Communication, in KASPERSON AND STALLEN

(eds.), Communicating Risks to the Public, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht1991.

RESCHER N., Risk. A Philosophical Introduction to the Theory of Risk Evaluation andManagement, University Press of America, New York 1983.

ROSSI CRESPI G. E LAPADULA B.F. (a cura di), Noi viaggiatori dell’arca, regole di convivenzacon i rischi ambientali per le scuole medie, Dipartimento della Protezione Civile eCastalia, pubblicazione interna, Roma 1998.

SLOVIC P., Perception of Risk, in “Science”, n. 236, 1987, pp. 280-285.U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY ET AL., Technical Guidance for Hazards Analysis,

Washington D.C., dicembre 1987.UK DEPARTMENT OF HEALTH, Communicating About Risks to Health: Pointers to Good

Practice, UK Department of Health, London 1998 [disponibile su Internethttp://www.doh.gov.uk/pointers.htm]

VALENTINI T., Analisi e comunicazione del rischio tecnologico, Liguori, Napoli 1992.

Gestione dell’emergenza e Piani di emergenza esterna

BRAAMS C., Innovation of the External Safety Policy in The Netherlands. Results of aQuick-Scan Investigation of the Consequences of this Policy Innovation, Ministry ofHousing, Spatial Planning and the Environment, Directorate External Safety, TheHague 2002. Paper presentato alla Conferenza Seveso II 2002 - Major IndustrialHazards in Land-Use Planning, Lille 12-13-14 febbraio.

INSTITUTE FOR SYSTEMS ENGINEERING AND INFORMATICS, Safety Management Systems in theProcess Industry, European Commission, 1993.

MENONI S., La gestione del rischio: dall’emergenza al piano, in “Inquinamento”, n. 9,Gruppo Editoriale Jackson, ottobre 1997, pp. 52-57.

NATIONAL RESPONSE TEAM, Hazardous Materials Emergency. Planning Guide, WashingtonD.C., marzo 1987.

NATIONAL RESPONSE TEAM, Criteria for Review of Hazardous Materials Emergency Plans,Washington D.C., maggio 1988.

Pianificazione di emergenza esterna per impianti industriali a rischio di incidente rilevante- Linea guida, in “Sicurezza e protezione”, n. 30, 1992-93, pp. 104-119.

ROUX-DUFORT C., La gestion de crise. Un enjeu stratégique pour les organisations, DeBoekUniversité, Paris-Bruxelles 2000.

U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY, Guide to Exercises in Chemical EmergencyPreparedness Programs, Washington D.C., maggio 1988.

U.S. ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY, Managing Chemicals Safely, Washington D.C.,marzo 1992.

VILCHEZ J.A., SEVILLA S., MONTIEL H., CASAL J., Historical Analysis of Accidents in ChemicalPlants and in the Transportation of Hazardous Materials, in “Journal of LossPrevention in the Process Industries”, vol. 8, n. 2, pp. 87-96. 387

Prin

cipa

li rif

erim

enti

bibl

iogr

afic

i

Page 372: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Alcune tesi recenti sull’argomento “controllo dell’urbanizzazione e rischio tecnologico”

BOGGIO MERLO P., La pianificazione territoriale in relazione ai rischi di incidente rilevante,tesi di laurea in Urbanistica, Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino, Torino 2000.

CARAGLIANO S., Aspetti sociali, comunicativi ed urbanistici del rischio chimico in area urba-na. Il caso studio: il rischio chimico a Pedrengo, tesi di laurea in PianificazioneTerritoriale Urbanistica e Ambientale, Politecnico di Milano, dicembre 2000.

IACOPINI S., MARCHI S., I criteri di accettabilità del rischio da incidente rilevante, tesi di lau-rea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale, Politecnico di Milano, marzo2002.

LODRINI S., Prevenire l’emergenza anziché subirla. Costruzione del piano di emergenzaesterno di un impianto a rischio di incidente rilevante ex Direttiva Seveso-bis, tesi dilaurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale, Politecnico di Milano,marzo 2000.

MUTANI N., La pianificazione territoriale in relazione ai rischi industriali. Criteri d’imposta-zione per linee guida, tesi di Master in Ingegneria della Sicurezza, COREP Consorzioper la Ricerca e l’Educazione Permanente, Torino 1998.

PIGNATTA G., Il controllo dell’urbanizzazione nei pressi di stabilimenti a rischio di incidenterilevante, tesi di laurea in Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio, Politecnico diTorino, Torino 2000.

Note

1 In bibliografia compare anche buona parte dei testi suggeriti dagli autori dei singoli saggi,cui si rimanda per gli opportuni riferimenti.

2 In termini di predisposizione di piani d’emergenza in caso di incidente rilevante.

3 A questo proposito, le elaborazioni definitive dei paper e abstract presentati nel corsodella Conferenza “Seveso II 2002” sul Controllo dell’urbanizzazione e prevenzione deirischi tecnologici, tenutasi a Lille, in Francia, il 12-13-14 febbraio 2002, saranno oggetto diuna prossima pubblicazione del Centro di Ricerca, che dovrebbe però nel frattempo (finegiugno, inizi luglio) pubblicare parte di questi testi sul proprio sito WEB, http://www.jrc.it(cfr. la sezione relativa ai siti Internet).

388

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 373: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

SITI INTERNET

(a cura di Maria Teresa Gabardi*)

Si riportano di seguito gli indirizzi WEB delle principali istituzioni, italiane ed europee,cui si può far riferimento per ottenere informazioni, dati, normative ecc. sul “controllo del-l’urbanizzazione e rischio tecnologico”.

Si indicano l’indirizzo principale del sito e specificatamente l’indirizzo del settore/divi-sione/ufficio di competenza, oltre che gli indirizzi di altri siti collegati (WEB LINK), se pre-senti.

L’elenco riportato non intende essere ovviamente esaustivo dei siti relativi al proble-ma, ma solo indicare le prime fonti da cui eventualmente partire per una ricerca piùapprofondita su WEB.

Istituzioni italiane

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasportihttp://www.infrastrutturetrasporti.it/In particolare:

1. Divisione Coordinamento Territorialewww.llpp.it/Nuovo_Sito/dicoter/dicoter_org.htmlMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territoriohttp://www.minambiente.it/In particolare si vedano:

1. Direzione per l’Inquinamento e i Rischi Industriali (IAR):www.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/Home_IAR.aspwww.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/organigramma/organigramma.asp

2. Divisione II della IAR “Inquinamento atmosferico e rischio negli impianti industriali”:www.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/organigramma/divisione2.asp

389* Dottore di ricerca, Politecnico di Torino.

Page 374: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

3. Mappa degli Stabilimenti a rischio di incidente rilevante di cui al D.Lgs. 334/99 “Seveso II”:www.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/stabilimenti/common/main.aspwww.minambiente.it/Sito/settori_azione/iar/stabilimenti/stabilimenti_italia.aspSiti da cui è possibile scaricare l’elenco completo, oppure Regione per Regione, degliimpianti industriali a rischio di incidente rilevante, soggetti agli articoli 6-7-8 del decreto,predisposto dal Ministero dell’Ambiente – Direzione Inquinamento atmosferico e Rischiindustriali in collaborazione con il Dipartimento Rischio Tecnologico e Naturale dell’ANPA

Agenzia Nazionale Protezione Ambiente e Servizi Tecnici - APAThttp://www.sinanet.anpa.it/Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civilewww.protezionecivile.itMinistero dell’Internowww.interno.it

1. Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendiwww.interno/sezioni/viminale/uffici/prot_civile.htm

2. Corpo Nazionale dei Vigili del Fuocowww.vvf.mininterno.itIstituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro ISPESL www.ispesl.itSi possono trovare, tra l’altro, i riferimenti legislativi “Seveso”.

Istituzioni internazionali

EuropaEuropean Commission - Joint Research Centre, Ispra (I)www.jrc.itSi tratta del sito ufficiale del Centro Comune di Ricerca della Comunità Europea con sedea Ispra, sul Lago Maggiore (VA). Attraverso il motore di ricerca del sito del JRC, Google©,digitando parole chiave quali “Seveso II”, oppure “Rischio Tecnologico” ecc., è possibilevisualizzare molti indirizzi di siti WEB, cui far riferimento per la ricerca, anche interni allostesso Centro Comune di Ricerca.

Major Accident Hazards Bureau (MAHB)http://mahbsrv.jrc.it/Il MAHB fornisce supporto tecnico e scientifico alla Direzione Generale Ambiente dellaCommissione Europea per l’attuazione e il monitoraggio degli effetti della DirettivaSeveso II. Sul sito si trovano dettagliate informazioni e molti materiali scaricabili sulla que-stione del controllo dell’urbanizzazione in relazione ai rischi tecnologici, tra cui:

1. le guide della Commissione Europea per la gestione dei sistemi di sicurezza, per lacostruzione del rapporto di sicurezza, per l’implementazione dell’art.12 della Direttiva96/82/CE e altrohttp://mahbsrv.jrc.it/GuidanceDocs.html

2. le informazioni, il manuale e la guida tecnica di utilizzo del software MARS - MajorAccident Reporting System, contenente i dati sugli incidenti rilevantihttp://mahbsrv.jrc.it/mars/Default.html390

Mar

ia T

eres

a G

abar

di

Page 375: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

3. le informazioni e il manuale di utilizzo del software SPIRS – Seveso Plants InformationRetrieval System, attraverso il quale è possibile analizzare e avere informazioni dispo-nibili sulla componente geografica del rischio in Europa (mappa dei maggiori stabili-menti a rischio e informazioni sulle loro caratteristiche di rischio)http://mahbsrv.jrc.it/spirs/Deafult.html;

4. la documentazione del CDCIR – Community Documentation Centre on Industrial Riskhttp://mahbsrv2.jrc.it/cdcir/default2.html

5. l’elenco delle competenti autorità nazionali nei paesi dell’Unione Europea, nelle nazioniche si aggregheranno all’UE nei prossimi anni e le competenti istituzioni dell’Unione,indicazione dei vari referentihttp://mahbsrv.jrc.it/Authorities.html

6. i LINK ad altri siti correlati inerenti alla questione “Seveso” , in particolare le Pagine diseguito elencate:

Commissione Europeahttp://europa.eu.intCommissione Europea - Direzione Generale Ambiente – Direttiva Seveso http://europa.eu.int/comm/environment/seveso/index.htmOECD – Organisation for Economic Co-operation and Development (pagina sul tema della valutazione del rischio)www.oecd.org/ehs/accident.htmEPA – Environment Protection Agency(pagina sul tema delle emergenze)www.epa.gov/ebtpages/emergencies.htmlCEFIC – The European Chemical Industry Councilwww.cefic.orgEPCS – European Process Safety Centrewww.epsc.govCCPS – Center for Chemical Process Safety (American Institute of Chemical Engineers)www.aiche.org/ccps

Francia

Ministère de l’Aménagement du Territoire et de l’Environnement www.environnement.gouv.frwww.environennemnt.gouv.fr/actua/cominfos/dosdir/DIRPPR/dosdppr.htm#risqindin particolare, sul sito è pubblicato il Rapporto di inchiesta sull’incidente di Tolosa:Barthelemy F., Hornus H., Hufschmitt J.-P., Roussot J., Raffoux J.-F., Rapport de l’inspec-tion générale de l’environnement. Usine de la société Grande Paroisse a Toulouse.Accident du 21 septembre 2001, Ministère de l’Aménagement du Territoire et del’Environnement, ottobre 2001.Ministère de l’Intérieurwww.interieur.gouv.frin particolare, si cerchi la Section Risques Chimiques du Bureau des Risques Naturels etTechnologiquesIFEN – Institut Français de l’Environnement http://www.ifen.fr/La pubblicazione “L’Environnement en France – Edition 2002”, costituisce il Rapportosullo Stato dell’Ambiente in Francia dell’ultimo quadriennio. La catastrofe di Tolosa nonpuò passare inosservata nell’ambito di questo lavoro a cura dell’IFEN. 391

Siti

Inte

rnet

Page 376: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

393

TAVOLE

Page 377: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

394

Page 378: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

395

Figura 1. Localizzazione stabilimenti Art. 8 D.Lgs n. 334/99.SIT del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - DICOTER su dati del Ministero dell’ambiente edella tutela del territorio e ANPA.

Page 379: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

396

Figura 1a. Localizzazione stabilimenti Nord Art. 8 D.Lgs. n. 334/99.Figura 1b. Localizzazione stabilimenti Centro Art. 8 D.Lgs. n. 334/99.

Page 380: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

397

Figura 1c. Localizzazione stabilimenti Sud Art. 8 D.Lgs n. 334/99.Figura 1d. Localizzazione stabilimenti Isole Art. 8 D.Lgs n. 334/99.

Page 381: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

398

Figura 2. Localizzazione stabilimenti Art. 6 D.Lgs n. 334/99.SIT del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - DICOTER, su dati del Ministero dell’ambiente edella tutela del territorio e ANPA.

Page 382: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

399

Figura 2a. Localizzazione stabilimenti Nord Art. 6 D.Lgs n. 334/99.Figura 2b. Localizzazione stabilimenti Centro Art. 6 D.Lgs n. 334/99.

Page 383: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

400

Figura 2c. Localizzazione stabilimenti Sud Art. 6 D.Lgs n. 334/99.Figura 2d. Localizzazione stabilimenti Isole Art. 6 D.Lgs n. 334/99.

Page 384: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

401

Figura 3. Popolazione residente in comuni con notifiche di stabilimenti D.Lgs 334/99 e ubicazionedegli stabilimenti petrolchimici.SIT del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - DICOTER su dati del Ministero dell’Ambiente edella tutela del territorio e ANPA.Stabilimenti petrolchimici. Fonte: Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio.

Page 385: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

402

Figura 3a. Popolazione residente in comuni con notifiche di stabilimenti D.Lgs 334/99 e ubicazionedegli stabilimenti petrolchimici nell’area Nord.Figura 3b. Popolazione residente in comuni con notifiche di stabilimenti D.Lgs 334/99 e ubicazionedegli stabilimenti petrolchimici nell’area Centro.

Page 386: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

403

Figura 3c. Popolazione residente in comuni con notifiche di stabilimenti D.Lgs 334/99 e ubicazionedegli stabilimenti petrolchimici nell’area Sud.Figura 3d. Popolazione residente in comuni con notifiche di stabilimenti D.Lgs 334/99 e ubicazionedegli stabilimenti petrolchimici nell’area Isole.

Page 387: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

404

Fig. 4. Elaborati del “Progetto Pilota” - Provincia di Bologna. Stabilimenti a rischio di incidenterilevante, inseriti nel PTC.

Page 388: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

405

Page 389: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

406 Fig.

5.El

abor

ati d

el “

Prog

etto

Pilo

ta”

- Pro

vinc

ia d

i Bol

ogna

- St

abilim

ento

ad

alta

vul

nera

bilit

à te

rrito

riale

: ide

ntifi

cazio

ne d

egli

elem

enti

terri

toria

livu

lner

abili

in u

n’ar

ea d

i circ

onfe

renz

a co

n ra

ggio

par

i a 1

km, i

nser

iti n

el P

TC.

Page 390: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

407Fig.

6.El

abor

ati d

el “

Prog

etto

Pilo

ta”

- Pro

vinc

ia d

i Bol

ogna

- St

abilim

ento

ad

alta

vul

nera

bilit

à te

rrito

riale

: ide

ntifi

cazio

ne d

egli

elem

enti

ambi

enta

livu

lner

abili

in u

n’ar

ea d

i circ

onfe

renz

a co

n ra

ggio

par

i a 1

Km, i

nser

iti n

el P

TC.

Page 391: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

408

Page 392: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ALLEGATI

409

Page 393: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

410

Page 394: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Direttiva 96/82/CE del Consiglio

del 9 dicembre 1996

sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi

con determinate sostanze pericolose

Articolo 12Controllo dell’urbanizzazione

1. Gli Stati membri provvedono affinché nelle rispettive politiche in materia di controllodell’urbanizzazione, destinazione e utilizzazione dei suoli e/o in altre politiche pertinenti sitenga conto degli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze.Essi perseguono tali obiettivi mediante un controllo:a) dell’insediamento degli stabilimenti nuovi;b) delle modifiche degli stabilimenti esistenti di cui all’articolo 10;c) dei nuovi insediamenti attorno agli stabilimenti esistenti, quali vie di comunicazione, luo-ghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’ubicazione o gli insediamenti pos-sano aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante.Gli Stati membri provvedono affinché la loro politica in materia di destinazione e utilizza-zione dei suoli e/o le altre politiche pertinenti, nonché le relative procedure di attuazionetengano conto della necessità, a lungo termine, di mantenere opportune distanze tra glistabilimenti di cui alla presente direttiva da un lato e le zone residenziali, le zone frequen-tate dal pubblico e le zone di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili, dal-l’altro, e, per gli stabilimenti esistenti, delle misure tecniche complementari a norma del-l’articolo 5, per non accrescere i rischi per le persone.2. Gli Stati membri provvedono affinché tutte le autorità competenti e tutti i servizi auto-rizzati a decidere in materia stabiliscano procedure di consultazione atte ad agevolare l’at-tuazione di queste politiche adottate a norma del paragrafo 1. Tali procedure prevedonoche, al momento in cui sono prese le decisioni in materia, sia disponibile un parere tecni-co sui rischi connessi alla presenza dello stabilimento, basato sullo studio del caso speci-fico o su criteri generali.

411

Alle

gati

Page 395: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112

Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli entilocali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59

pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile 1998Supplemento Ordinario n. 77

(Rettifica G.U. n. 116 del 21 maggio 1997)

[omissis]Art. 72 - Attività a rischio di incidente rilevante

1. Sono conferite alle regioni le competenze amministrative relative alle industrie sog-gette agli obblighi di cui all’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 17maggio 1988, n. 175, l’adozione di provvedimenti discendenti dall’istruttoria tecnica,nonché quelle che per elevata concentrazione di attività industriali a rischio di inciden-te rilevante comportano l’esigenza di interventi di salvaguardia dell’ambiente e dellapopolazione e di risanamento ambientale subordinatamente al verificarsi delle condi-zioni di cui al comma 3 del presente articolo.

2. Le regioni provvedono a disciplinare la materia con specifiche normative ai fini del rac-cordo tra i soggetti incaricati dell’istruttoria e di garantire la sicurezza del territorio edella popolazione.

3. Il trasferimento di cui al comma 1 avviene subordinatamente all’adozione della nor-mativa di cui al comma 2, previa attivazione dell’Agenzia regionale protezione ambien-te di cui all’articolo 3 del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito con modi-ficazioni dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, e a seguito di accordo di programma traStato e regione per la verifica dei presupposti per lo svolgimento delle funzioni, non-ché per le procedure di dichiarazione.

[omissis]

412

Alle

gati

Page 396: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Decreto Legislativo n. 334 del 17 agosto 1999

Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incendi rilevanticonnessi con determinate sostanze pericolose.

(pubblicato su: Gazz. Uff. S. O. n. 228 del 28/09/1999)

[omissis]Art. 14 - Controllo dell’urbanizzazione

1 Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dei lavoripubblici, d’intesa con i Ministri dell’interno, dell’ambiente, dell’industria, del commercioe dell’artigianato e con la Conferenza Stato-Regioni, stabilisce, per le zone interessate dastabilimenti a rischio di incidente rilevante che rientrano nel campo di applicazione delpresente decreto, requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, conriferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessitàdi mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali nonché degliobiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti o di limitarne le conseguenze, per:a) insediamenti di stabilimenti nuovi;b) modifiche degli stabilimenti di cui all’articolo 10, comma 1;c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad

esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali,qualora l’ubicazione o l’insediamento o l’infrastruttura possono aggravare il rischioo le conseguenze di un incidente rilevante.

2. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 1, all’emanazione del decreto prov-vede, entro i successivi tre mesi, il Presidente del Consiglio dei Ministri.

3. Entro tre mesi dall’adozione del decreto di cui al comma 1 o di quello di cui al comma2, gli enti territoriali apportano, ove necessario, le varianti ai piani territoriali di coordi-namento provinciale e agli strumenti urbanistici. La variante è approvata in base alleprocedure individuate dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20ottobre 1998, n. 447. Trascorso il termine di cui sopra senza che sia stata adottata lavariante, la concessione o l’autorizzazione per gli interventi di cui al comma 1, letterea), b) e c), sono rilasciate qualora il progetto sia conforme ai requisiti di sicurezza pre-visti dai decreti di cui al comma 1 o al comma 2, previo parere tecnico dell’autoritàcompetente di cui all’articolo 21, comma 1, sui rischi connessi alla presenza dello sta-bilimento, basato sullo studio del caso specifico o su criteri generali.

4. Decorsi i termini di cui ai commi 1 e 2 senza che siano stati adottati i provvedimentiivi previsti, la concessione o l’autorizzazione per gli interventi di cui al comma 1, lette-re a), b) e c), sono rilasciate, previa valutazione favorevole dell’autorità competente dicui all’articolo 21, comma 1, in ordine alla compatibilità della localizzazione degli inter-venti con le esigenze di sicurezza.

5. Sono fatte salve le concessioni edilizie già rilasciate alla data di entrata in vigore delpresente decreto.

6. In caso di stabilimenti esistenti ubicati vicino a zone frequentate dal pubblico, zoneresidenziali e zone di particolare interesse naturale il gestore deve, altresì, adottaremisure tecniche complementari per contenere i rischi per le persone e per l’ambien-te, utilizzando le migliori tecniche disponibili. A tal fine il Comune invita il gestore di talistabilimenti a trasmettere, entro tre mesi, all’autorità competente di cui all’articolo 21,comma 1, le misure che intende adottare; tali misure vengono esaminate dalla stessaautorità nell’ambito dell’istruttoria di cui all’articolo 21.

[omissis]413

Alle

gati

Page 397: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1111

Alle

gati

Page 398: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Decreto 9 maggio 2001

Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territorialeper le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante

(pubblicato su: Gazz. Uff. S. O. n° 228 del 28/09/1999)

IL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICIdi intesa con

i Ministri dell’interno, dell’ambiente,e dell’industria, del commercio e dell’artigianato

Visto l’articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana;

Vista la legge 17 agosto 1942, n. 1150;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616;

Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59;

Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;

Visto il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, relativo all’“Attuazione della diretti-va 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determina-te sostanze pericolose”;

Visto, in particolare, l’articolo 14 del predetto decreto legislativo, con il quale si preve-de che il Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con i Ministri dell’interno, dell’ambiente, del-l’industria, commercio artigianato e con la Conferenza Stato-Regioni, stabilisce per le zoneinteressate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante requisiti minimi di sicurezza inmateria di pianificazione territoriale;

Visto il decreto ministeriale 9 agosto 2000, relativo a “Linee guida per l’attuazione delsistema di gestione della sicurezza”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, S.G. n. 195 del 22agosto 2000;

Acquisita l’intesa dei Ministri dell’interno, dell’ambiente, dell’industria, commercio eartigianato;

Acquisita l’intesa della Conferenza Stato-Regioni espressa nella seduta del 19 aprile 2001;

DECRETA:

Art.1(Ambito di applicazione e definizioni)

1. Il presente decreto, in attuazione dell’articolo 14 del decreto legislativo 17 agosto1999, n. 334, stabilisce requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanisti-ca e territoriale per le zone interessate da stabilimenti soggetti agli obblighi di cui agli arti-coli 6, 7 e 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, con riferimento alla destina-zione ed all’utilizzazione dei suoli, al fine di prevenire gli incidenti rilevanti connessi adeterminate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambien-te e in relazione alla necessità di mantenere opportune distanze di sicurezza tra gli stabi-limenti e le zone residenziali per:414

Alle

gati

Page 399: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

415

Alle

gatia) insediamenti di stabilimenti nuovi;

b) modifiche degli stabilimenti di cui all’articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334;

c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad esempio,vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’ubi-cazione o l’insediamento o l’infrastruttura possano aggravare il rischio o le conse-guenze di un incidente rilevante. 2. Ai fini dell’applicazione del presente decreto sono adottate le definizioni di cui all’ar-

ticolo 3 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. Valgono altresì le definizioni di cuiall’allegato al presente decreto.

3. Le norme di cui al presente decreto sono finalizzate, inoltre, a fornire orientamenti comuni ai soggetti competenti in materia di pianificazione urbanistica e territoriale e di

salvaguardia dell’ambiente, per semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che a rac-cordare le leggi e i regolamenti in materia ambientale con le norme di governo del terri-torio.

4. Le presenti norme si applicano anche ai casi di variazione degli strumenti urbanisti-ci vigenti conseguenti all’approvazione di progetti di opere di interesse statale di cui aldecreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383 e all’approvazione di opere,interventi o programmi di intervento di cui all’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto2000, n. 267.

5. Le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano prov-vedono al raggiungimento delle finalità del presente decreto nell’ambito delle propriecompetenze e secondo quanto disposto dai rispettivi ordinamenti.

Art. 2(Disciplina regionale)

1. Le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in materia di pianificazioneurbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334 e dal presente decreto, prevedendo anche opportune forme di con-certazione tra gli enti territoriali competenti, nonché con gli altri soggetti interessati.

2. La disciplina regionale in materia di pianificazione urbanistica assicura il coordinamen-to delle procedure di individuazione delle aree da destinare agli stabilimenti con quanto pre-visto dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447.

3. Le Regioni assicurano il coordinamento tra i criteri e le modalità stabiliti per l’acqui-sizione e la valutazione delle informazioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi alla pianificazione territoriale e urbanistica.

4. In assenza della disciplina regionale si applicano i princìpi, i criteri e i requisiti di cuial presente decreto.

Art. 3(Pianificazione territoriale)

1. Le province e le città metropolitane, ove costituite, individuano, nell’ambito dei pro-pri strumenti di pianificazione territoriale con il concorso dei comuni interessati, le areesulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti soggetti alla disciplina di cui aldecreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, acquisendo, ove disponibili, le informazioni dicui al successivo articolo 4, comma 3.

Page 400: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

2. Il piano territoriale di coordinamento, ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 18agosto 2000, n. 267, nell’ambito della determinazione degli assetti generali del territoriodisciplina, tra l’altro, la relazione degli stabilimenti con gli elementi territoriali e ambientali vul-nerabili come definiti nell’allegato al presente decreto, con le reti e i nodi infrastrutturali, ditrasporto, tecnologici ed energetici, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticitàrelativamente alle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nel piano di protezione civile.

Art. 4(Pianificazione urbanistica)

1. Gli strumenti urbanistici, nei casi previsti dal presente decreto, individuano e disci-plinano, anche in relazione ai contenuti del Piano territoriale di coordinamento di cui alcomma 2 dell’articolo 3, le aree da sottoporre a specifica regolamentazione, tenuto contoanche di tutte le problematiche territoriali e infrastrutturali relative all’area vasta. A tal fine,gli strumenti urbanistici comprendono un Elaborato Tecnico “Rischio di incidenti rilevanti(RIR)” relativo al controllo dell’urbanizzazione, di seguito denominato “Elaborato Tecnico”.

2. L’Elaborato Tecnico, che individua e disciplina le aree da sottoporre a specifica rego-lamentazione, è predisposto secondo quanto stabilito nell’allegato al presente decreto.

3. Le informazioni contenute nell’Elaborato Tecnico sono trasmesse agli altri enti loca-li territoriali eventualmente interessati dagli scenari incidentali perché possano a loro voltaattivare le procedure di adeguamento degli strumenti di pianificazione urbanistica e terri-toriale di loro competenza.

4. In sede di formazione degli strumenti urbanistici nonché di rilascio delle concessio-ni e autorizzazioni edilizie si deve in ogni caso tenere conto, secondo princìpi di cautela,degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili esistenti e di quelli previsti.

5. Nei casi previsti dal presente decreto, gli enti territoriali competenti possono pro-muovere, anche su richiesta del gestore, un programma integrato di intervento, o altrostrumento equivalente, per definire un insieme coordinato di interventi concordati tra ilgestore ed i soggetti pubblici e privati coinvolti, finalizzato al conseguimento di migliorilivelli di sicurezza.

Art. 5(Controllo dell’urbanizzazione)

1. Le autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanistica utilizza-no, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e finalità, secondo le specificazioni e le moda-lità contenute nell’allegato al presente decreto:a) per gli stabilimenti soggetti all’articolo 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334,

le valutazioni effettuate dall’autorità competente di cui all’art. 21 del medesimo decre-to legislativo;

b) per gli stabilimenti soggetti agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n.334, le informazioni fornite dal gestore.2. Le autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanistica, acquisi-

te le informazioni e le valutazioni di cui al comma 1, attivano le procedure di cui agli arti-coli 3 e 4 del presente decreto.

3. Ferme restando le attribuzioni di legge, gli strumenti di pianificazione territoriale eurbanistica recepiscono gli elementi pertinenti del piano di emergenza esterna di cui all’ar-416

Alle

gati

Page 401: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ticolo 20 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. A tal fine, le autorità competentiin materia di pianificazione territoriale e urbanistica acquisiscono tali elementi dall’autoritàche ha predisposto il piano di emergenza esterno.

4. Nei casi previsti dal presente decreto, qualora non sia stata adottata la variante urba-nistica, le concessioni e le autorizzazioni edilizie sono soggette al parere tecnico dell’au-torità competente di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. Taleparere è formulato sulla base delle informazioni fornite dai gestori degli stabilimenti sog-getti agli articoli 6, 7 e 8 del predetto decreto legislativo, secondo le specificazioni e lemodalità contenute nell’allegato al presente decreto.

5. Per gli stabilimenti soggetti agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 17 agosto 1999,n. 334, può essere richiesto un parere consultivo all’autorità competente di cui all’artico-lo 21 del decreto medesimo, ai fini della predisposizione della variante urbanistica.

6. Fermo restando quanto previsto all’articolo 15, comma 4 del decreto legislativo 17agosto 1999, n. 334, il Ministero dei lavori pubblici e il Ministero dell’ambiente promuo-vono accordi con le Regioni, anche ai fini di cui agli articoli 52 e 54 del decreto legislativo31 marzo 1998, n. 112, per la raccolta dei dati relativi al controllo dell’urbanizzazione di cuial presente decreto. I Ministeri concertanti si avvalgono, ai sensi dell’articolo 17 del decre-to legislativo 17 agosto 1999, n. 334, previo accordo, in relazione alle specifiche compe-tenze dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA), dell’IstitutoSuperiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), dell’Istituto Superiore diSanità (ISS) e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (CNVVF), per la raccolta e la diffu-sione dei dati e delle informazioni utili per il controllo dell’urbanizzazione.

Art. 6(Aree ad elevata concentrazione di stabilimenti e porti industriali e petroliferi)

1. Per gli stabilimenti e il territorio ricadenti in un’area ad elevata concentrazione di cuiall’articolo 13 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, gli strumenti di pianificazio-ne territoriale e urbanistica tengono conto delle risultanze, ove disponibili, della valutazio-ne dello studio di sicurezza integrato dell’area e del relativo piano di intervento.

2. Fatti salvi gli obblighi dei singoli gestori degli stabilimenti e degli impianti localizzatinei porti industriali e petroliferi, come individuati nel decreto previsto dall’articolo 4,comma 3, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, l’Autorità marittima, ovvero, oveistituita, l’Autorità portuale, deve fornire alle autorità competenti in materia di pianificazio-ne territoriale e urbanistica le informazioni relative agli scenari incidentali e in particolarequelli che coinvolgano aree esterne a quella portuale.

Roma, 9 maggio 2001

Il Ministro dei lavori pubblici,NESI

Il Ministro dell’interno,BIANCO

Il Ministro dell’ambiente,BORDON

Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato,LETTA 417

Alle

gati

Page 402: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Allegato al Decreto Ministeriale 9 maggio 2001

(Criteri guida per l’applicazione del Decreto del Ministro dei lavori pubblici ai sensi del-l’articolo 14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, relativo all’Attuazione delladirettiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con deter-minate sostanze pericolose (d’intesa con i Ministri dell’interno, dell’ambiente, dell’indu-stria, del commercio e dell’artigianato e con la Conferenza Stato-Regioni)

Sommario1. Premessa2. Pianificazione territoriale3. Pianificazione urbanistica

3.1. Elaborato tecnico “Rischio di Incidenti Rilevanti” RIR4. Programmi integrati5. Fasi del processo di adeguamento degli strumenti urbanistici6. Individuazione e disciplina delle aree da sottoporre a specifica regolamentazione

6.1. Individuazione degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili6.1.1. Elementi territoriali vulnerabili6.1.2. Elementi ambientali vulnerabili

6.2. Determinazione delle aree di danno6.2.1. Valori di soglia6.2.2. Aree di danno

6.3. Criteri per la valutazione della compatibilità territoriale e ambientale6.3.1. Compatibilità territoriale6.3.2. Depositi di GPL e depositi di liquidi infiammabili e/o tossici6.3.3. Compatibilità con gli elementi ambientali

7. Informazioni relative al controllo dell’urbanizzazione7.1. Informazioni fornite dal gestore7.2. Valutazioni fornite dall’autorità di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 17 ago-

sto 1999, n. 334.

1. Premessa La finalità generale del decreto del Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con i Ministri

dell’interno, dell’ambiente, dell’industria, commercio e artigianato e con la ConferenzaStato-Regioni, ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 èquella di definire i requisiti minimi in materia di pianificazione territoriale e urbanistica conriferimento alla destinazione ed utilizzazione dei suoli, correlati alla necessità di mantene-re le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali, al fine di prevenire gli incidentirilevanti e di limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente. La novità del decretointerministeriale consiste, quindi, nel regolamentare un processo di integrazione tra lescelte della pianificazione territoriale e urbanistica e la normativa attinente gli stabilimentisoggetti all’applicazione della direttiva 96/82/CE e del decreto legislativo 17 agosto 1999,n. 334. Il Legislatore indica, pertanto, la necessità di implementare la strumentazioneurbanistica e territoriale con le condizioni di compatibilità delle scelte economico-produtti-vo di forte impatto territoriale e ambientale.

Risaltano, in tale processo, alcuni aspetti:418

Alle

gati

Page 403: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– il ruolo della Regione, la quale, oltre ad avere attribuzioni specifiche nei settori ambien-tale e produttivo, ancora maggiormente dettagliate nel D.Lgs. n. 112/98, con partico-lare riguardo al tema delle attività a rischio di incidente rilevante (art.72), è competen-te nella materia urbanistica ai sensi dell’art. 117 Cost. e dei successivi decreti delPresidente della Repubblica;

– il ruolo della Provincia, e delle città metropolitane, alle quali, nell’ambito delle attribu-zioni del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, spettano le funzioni di pianifica-zione di area vasta, per indicare gli indirizzi generali di assetto del territorio. Si eviden-zia quindi l’opportunità che il territorio provinciale, ovvero l’area metropolitana, debbacostituire – rispetto al tema trattato – l’unità di base per il coordinamento tra la politi-ca di gestione del rischio ambientale e la pianificazione di area vasta, con la specificamissione di ricomporre le scelte locali rispetto ad un quadro coerente di livello territo-riale più ampio.

– la funzione di base delle Amministrazioni comunali, le quali – sia tramite l’applicazionedel D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, sia attraverso le competenze istituzionali di gover-no del territorio, derivanti dalla Legge Urbanistica e dalle leggi regionali, devono adot-tare gli opportuni adeguamenti ai propri strumenti urbanistici, in un processo di verifi-ca iterativa e continua, generato dalla variazione del rapporto tra attività produttiva arischio e le modificazioni della struttura insediativa del comune stesso.Infine, è il caso di mettere in evidenza il difficile rapporto – temporale e processuale –

tra le procedure di matrice urbanistica con la maggiore dinamicità di trasformazione deiprocessi e degli impianti produttivi e delle potenzialità di rischio rilevante, che deve trova-re soluzione in una attenta e continua “lettura” del territorio, in relazione agli obiettivi digoverno dello stesso.

Le valutazioni e le metodologie indicate nel presente Allegato hanno, pertanto, loscopo di fornire, nell’ambito della procedura individuata dalle regioni, requisiti minimi disicurezza in materia di pianificazione territoriale per le zone interessate da stabilimenti arischio di incidente rilevante, ed elementi tecnici utili alle Autorità competenti sul control-lo dell’urbanizzazione, per i compiti previsti dall’articolo 14 del decreto legislativo 17 ago-sto 1999, n. 334. I contenuti del presente allegato potranno essere integrati dalla discipli-na regionale attuativa di cui all’art. 2 del decreto1.

2. Pianificazione territorialeLa pianificazione territoriale, nei termini previsti dal decreto legislativo 18 agosto 2000

n. 267, in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio d’incidente rilevante, ha comeobiettivo la verifica e la ricerca della compatibilità tra l’urbanizzazione e la presenza deglistabilimenti stessi. A tal fine, sulla base dei criteri esposti nel presente allegato, nell’am-bito della determinazione degli indirizzi generali di assetto del territorio è possibile indivi-duare gli interventi e le misure di prevenzione del rischio e di mitigazione degli impatti conriferimento alle diverse destinazioni del territorio stesso, in relazione alla prevalente voca-zione residenziale, industriale, infrastrutturale ecc.

Il Piano territoriale di coordinamento deve tendere a riportare a coerenza, in termini dipianificazione sovracomunale, le interazioni tra stabilimenti, destinazioni del territorio e loca-lizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione.

In sede di pianificazione di area vasta occorre, di conseguenza, individuare e definire irapporti tra localizzazione degli stabilimenti e limiti amministrativi di competenza comuna-le, in particolare nelle situazioni in cui gli stabilimenti sono collocati in prossimità dei con- 419

Alle

gati

Page 404: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

fini amministrativi comunali e comportano, ovviamente, un allargamento dei fattori dirischio sui comuni limitrofi. Si evidenzia, in questi casi, l’opportunità di promuovere pro-cedure di co-pianificazione e di concertazione, già presenti in alcune normative regionali.

Gli strumenti di pianificazione territoriale recepiscono infine le indicazioni derivanti daipiani di emergenza esterna, di cui all’art. 20 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334,nonché l’individuazione delle aree ecologicamente attrezzate di cui all’art. 26 del decretolegislativo 31 marzo 1998, n. 112, eventualmente utilizzabili per la localizzazione degli sta-bilimenti.

A seconda dei casi specifici, delle diverse normative regionali e delle attribuzioni dicompetenze derivate dai processi di delega in corso, si possono prefigurare varie moda-lità di attivazione delle procedure di variazione della pianificazione territoriale, in rapportoanche alle modifiche relative alla pianificazione urbanistica.

Si può ipotizzare un tradizionale processo sequenziale, che parte dalla determinazionedegli indirizzi generali a livello provinciale, da parte del piano territoriale di coordinamento,per arrivare ad una individuazione e disciplina specifica delle aree sottoposte a regola-mentazione da parte dello strumento urbanistico comunale. Ma si possono anche ipotiz-zare processi che, almeno in parte, seguono la direzione opposta, dal Comune allaProvincia. Si possono infine ipotizzare processi e strumenti di copianificazione e concer-tazione che contestualmente definiscono criteri di indirizzo generale di assetto del terri-torio e attivano le procedure di riconformazione della pianificazione territoriale e della pia-nificazione urbanistica.

Quest’ultima ipotesi è auspicabile, anche in relazione alla necessità di apportare levarianti necessarie all’adeguamento al presente decreto in tempi molto brevi sia per i pianiterritoriali di coordinamento che per gli strumenti urbanistici, come previsto dall’art.14 deldecreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. È di tutta evidenza quindi l’opportunità di ren-dere contestuali, il più possibile, le analisi, le valutazioni ed elaborazioni tecniche, nonchéle decisioni degli enti territoriali competenti e dei soggetti comunque interessati.

3. Pianificazione urbanisticaL’art.14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 individua tre ipotesi:

a) insediamenti di stabilimenti nuovi;b) modifiche degli stabilimenti di cui all’articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 17

agosto 1999, n. 334;c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad esempio,

vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’ubi-cazione o l’insediamento o l’infrastruttura possano aggravare il rischio o le conse-guenze di un incidente rilevante. Le prime due fattispecie (a, b) hanno origine da una proposta o comunque da un inter-

vento posto in essere dal gestore. In tal caso, l’Amministrazione comunale deve:– verificare, attraverso i metodi e i criteri esposti nel presente allegato e con l’apporto

dei soggetti coinvolti, la compatibilità territoriale e ambientale del nuovo stabilimentoo della modifica dello stabilimento esistente rispetto alla strumentazione urbanisticavigente;

– promuovere la variante urbanistica, qualora tale compatibilità non sia verificata, nelrispetto dei criteri minimi di sicurezza per il controllo dell’urbanizzazione.La terza fattispecie (c), viceversa, presuppone un processo inverso. In tal caso, infat-

ti, l’Amministrazione comunale deve:420

Alle

gati

Page 405: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

– conoscere preventivamente, attraverso i metodi e i criteri esposti nel presente allega-to e con l’apporto dei soggetti coinvolti, la situazione di rischio dello stabilimento esi-stente;

– considerare, nelle ipotesi di sviluppo e di localizzazione delle infrastrutture e delle atti-vità rubricate al punto c) del comma 1 dell’art.14 del decreto legislativo 17 agosto1999, n. 334, la situazione di rischio presente e la possibilità o meno di rendere com-patibile la predetta iniziativa.Per quanto riguarda le fattispecie a) e b), è applicabile il procedimento di approvazio-

ne della variante allo strumento urbanistico di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 447/98, men-tre nel caso della fattispecie c), previa valutazione delle previsioni vigenti dello strumentourbanistico, il procedimento di approvazione della eventuale variazione al medesimo, rica-de nella situazione generale, variamente normata dalle leggi regionali.

Nel caso di modifiche comportanti aggravio di rischio, ai sensi del decreto 9 agosto 2000,pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, S.G., n. 196 del 23 agosto 2000, il gestore deve verifica-re e dichiarare alle autorità competenti se le aree di danno in relazione alle diverse classi diprobabilità conseguenti alla realizzazione della modifica non siano superiori a quelle preesi-stenti. In tale ultimo caso, si deve intendere l’effetto della modifica non rilevante ai fini del-l’attivazione delle procedure di cui al presente decreto. In ogni caso non è necessario atti-vare la variante urbanistica qualora le ipotesi incidentali, attestate dal gestore o dall’autoritàcompetente ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, prevedanoscenari di danno esclusivamente all’interno del perimetro dello stabilimento stesso.

Sono esclusi dall’applicazione diretta del presente decreto gli stabilimenti esistenti chenon ricadono in una delle fattispecie previste dall’articolo 14 del decreto legislativo 17 ago-sto 1999, n. 334, nonché gli stabilimenti per i quali è in corso di definizione l’istruttoria pre-vista dalla normativa vigente, fino alla conclusione della medesima. È comunque possibi-le in sede di revisione della pianificazione territoriale e urbanistica assumere i criteri e lemetodologie del presente decreto, con una opportuna analisi e documentazione degli ele-menti tecnici e delle decisioni assunte.

La valutazione della compatibilità territoriale e ambientale, per quanto attiene gli stru-menti urbanistici, deve necessariamente condurre alla predisposizione di opportune pre-scrizioni normative e cartografiche riguardanti le aree da sottoporre a specifica regola-mentazione. L’individuazione e la disciplina di tali aree si fonda su una valutazione di com-patibilità tra stabilimenti ed elementi territoriali e ambientali vulnerabili. L’individuazione diuna specifica regolamentazione non determina vincoli all’edificabilità dei suoli, ma distan-ze di sicurezza. Pertanto i suoli interessati dalla regolamentazione da parte del piano urba-nistico, non perdono la possibilità di generare diritti edificatori, in analogia con altre fatti-specie dell’ordinamento come, ad esempio, le distanze di rispetto cimiteriali. In altri ter-mini, l’edificazione potrà essere trasferita oltre la distanza minima prescritta dal piano, suaree adiacenti, oppure, ove lo consentano le normative di piano, su altre aree del territo-rio comunale.

Gli strumenti di pianificazione urbanistica recepiscono, inoltre, le indicazioni contenu-te nei piani territoriali e quelle derivanti dai piani di emergenza esterna di cui all’art. 20 deldecreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (e in particolare le previsioni di localizzazionedei presidi di sicurezza all’interno della strumentazione urbanistica, come, ad esempio, lecaserme dei VV.F), nonché l’individuazione delle aree ecologicamente attrezzate di cuiall’art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, eventualmente utilizzabili per lalocalizzazione degli stabilimenti. 421

Alle

gati

Page 406: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Il riferimento all’obbligo di parere preventivo da parte dell’Autorità competente ai sensidell’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, nel caso di rilascio di con-cessioni e autorizzazioni edilizie in assenza di variante urbanistica, si deve intendere este-so anche alle denunce d’inizio attività, nel caso in cui le leggi regionali prevedano l’appli-cabilità di tale ultimo istituto.

3.1. Elaborato Tecnico “Rischio di Incidenti Rilevanti” - RIRL’Elaborato Tecnico consente una maggiore leggibilità e una più chiara definizione dei pro-blemi, delle valutazioni, delle prescrizioni cartografiche, utili sia nelle fasi di formazione eapprovazione sia in quelle di attuazione. La presenza di una serie di elaborati “autosuffi-cienti” – sia pure, evidentemente, in stretto rapporto con i più generali contenuti del piano– potrà inoltre favorire il rapporto tra autorità a vario titolo competenti, nel corso dell’iterdi formazione del piano. L’allegato tecnico potrà infine essere utilizzato nell’ambito delleprocedure di consultazione della popolazione previste dall’articolo 23 del decreto legislati-vo 17 agosto 1999, n. 334.L’Elaborato Tecnico, che costituisce parte integrante e sostanziale dello strumento urba-nistico, dovrà contenere, di norma:- le informazioni fornite dal gestore, di cui al punto 7;- l’individuazione e la rappresentazione su base cartografica tecnica e catastale aggior-

nate degli elementi territoriali e ambientali vulnerabili;- la rappresentazione su base cartografica tecnica e catastale aggiornate dell’inviluppo

geometrico delle aree di danno per ciascuna delle categorie di effetti e, per i casi pre-visti, per ciascuna classe di probabilità;

- individuazione e disciplina delle aree sottoposte a specifica regolamentazione risul-tanti dalla sovrapposizione cartografica degli inviluppi e degli elementi territoriali eambientali vulnerabili di cui sopra;

- gli eventuali pareri delle autorità competenti ed in particolare quello dell’autorità di cuiall’art. 21, comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334;

- le eventuali ulteriori misure che possono essere adottate sul territorio, tra cui gli spe-cifici criteri di pianificazione territoriale, la creazione di infrastrutture e opere di prote-zione, la pianificazione della viabilità, i criteri progettuali per opere specifiche, nonché,ove necessario, gli elementi di correlazione con gli strumenti di pianificazione dell’e-mergenza e di protezione civile.

4. Programmi integratiPer l’eventuale promozione di un programma integrato di intervento, o di altro stru-

mento equivalente, l’Allegato Tecnico deve contenere, oltre a quanto specificato nelpunto 3.1, una analisi socio - economica e finanziaria, nonché di fattibilità tecnica ed ammi-nistrativa degli interventi previsti. L’eventuale proposta di programma integrato d’inter-venti, da parte di soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio tra loro,potrà definire, di norma, ogni azione o intervento utile per risolvere le situazioni di parti-colare complessità, per le quali si possano ipotizzare modifiche all’assetto insediativo resi-denziale, industriale o infrastrutturale, anche considerando gli interventi del gestore per lariduzione delle aree di danno, con particolare riguardo all’applicazione del comma 6 del-l’articolo 14 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. A tali fini il programma inte-grato potrà prevedere, tra l’altro, modalità di trasferimento dei diritti edificatori in aree con-tigue ovvero ubicate in altre aree del territorio comunale.422

Alle

gati

Page 407: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Nella formazione della proposta di programma integrato è inoltre possibile il coinvolgi-mento di altri soggetti ed istituzioni, nonché l’inserimento di immobili esterni alle aree dasottoporre a specifica regolamentazione in ambito comunale e sovra - comunale, ove nesia verificata la convenienza economica e sociale.

5. Fasi del processo di adeguamento degli strumenti urbanisticiIn relazione a quanto si espone dettagliatamente in seguito circa gli elementi di valu-

tazione della interazione degli stabilimenti di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n.334 con la pianificazione esistente, si riporta la sintesi delle fasi logiche del processo diaggiornamento della strumentazione urbanistica.

Fase 1: identificazione degli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili (vedi punto6.1) in una area di osservazione coerente con lo strumento urbanistico da aggiornare.Questa fase è il risultato della integrazione delle informazioni fornite dal gestore nell’alle-gato V, sezione III, al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, con i dati già in posses-so dell’Amministrazione comunale, ovvero reperiti in sede della analisi preventiva del ter-ritorio che, di norma, viene effettuata per la predisposizione di uno strumento urbanistico.In particolare, l’analisi preventiva dovrà tenere conto dello stato di fatto e di diritto dellecostruzioni esistenti, nonché delle previsioni di modificazione del territorio. È opportunoche le suddette informazioni siano rese disponibili al gestore.

Fase 2: determinazione delle aree di danno (vedi punto 6.2). Questa fase è il prodottodella attività di rappresentazione cartografica, su base tecnica e catastale aggiornate, dellearee di danno, come identificate in base alle informazioni fornite dal gestore e le valuta-zioni dell’autorità di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e lasovrapposizione delle medesime sulla stessa cartografia, sulla quale sono rappresentatigli elementi territoriali e ambientali vulnerabili.

Fase 3: valutazione della compatibilità territoriale e ambientale (punto 6.3). Questafase consente di determinare le destinazioni d’uso compatibili con la presenza dello sta-bilimento ed in funzione delle quali viene predisposta la specifica regolamentazione.

Esaurito il processo su esposto, è possibile procedere alla adozione dello strumento urba-nistico in base alle procedure previste dalla Legge Urbanistica e dalle diverse Leggi Regionali.

6. Individuazione e disciplina delle aree da sottoporre a specifica regolamentazione

6.1. Individuazione degli elementi territoriali e ambientali vulnerabiliGli elementi tecnici utili ai fini di una valutazione di compatibilità territoriale e ambien-

tale sono espressi in relazione all’esigenza di assicurare sia i requisiti minimi di sicurezzaper la popolazione e le infrastrutture, sia un’adeguata protezione per gli elementi sensibi-li al danno ambientale.

6.1.1. Elementi territoriali vulnerabiliLa valutazione della vulnerabilità del territorio attorno ad uno stabilimento va effettua-

ta mediante una categorizzazione delle aree circostanti in base al valore dell’indice di edi-ficazione e all’individuazione degli specifici elementi vulnerabili di natura puntuale in essepresenti, secondo quanto indicato nella successiva tabella 1.

Occorre inoltre tenere conto delle infrastrutture di trasporto e tecnologiche lineari epuntuali. Qualora tali infrastrutture rientrino nelle aree di danno individuate, dovranno esse-re predisposti idonei interventi, da stabilire puntualmente, sia di protezione che gestionali,atti a ridurre l’entità delle conseguenze (ad esempio: elevazione del muro di cinta prospi-ciente l’infrastruttura, efficace coordinamento tra lo stabilimento e l’ente gestore dell’in- 423

Alle

gati

Page 408: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

424

Alle

gati frastruttura finalizzato alla rapida intercettazione del traffico, ecc.). Un analogo approccio va

adottato nei confronti dei beni culturali individuati in base alla normativa nazionale (decretolegislativo 29 ottobre 1999, n. 490) e regionale o in base alle disposizioni di tutela e salva-guardia contenute nella pianificazione territoriale, urbanistica e di settore.

Tabella 1 - Categorie territoriali

CATEGORIA A1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edifi-

cazione sia superiore a 4,5 m3/m2.2. Luoghi di concentrazione di persone con limitata capacità di mobilità – ad esempio ospedali,

case di cura, ospizi, asili, scuole inferiori ecc. (oltre 25 posti letto o 100 persone presenti).3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante all’aperto – ad esempio mercati stabili o altre desti-

nazioni commerciali ecc. (oltre 500 persone presenti).

CATEGORIA B1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edifi-

cazione sia compreso tra 4,5 e 1,5 m3/m2.2. Luoghi di concentrazione di persone con limitata capacità di mobilità – ad esempio ospedali,

case di cura, ospizi, asili, scuole inferiori ecc. (fino a 25 posti letto o 100 persone presenti).3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante all’aperto – ad esempio mercati stabili o altre desti-

nazioni commerciali ecc. (fino a 500 persone presenti).4. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante al chiuso – ad esempio centri commerciali, terzia-

ri e direzionali, per servizi, strutture ricettive, scuole superiori, università ecc. (oltre 500 per-sone presenti).

5. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante con limitati periodi di esposizione al rischio – adesempio luoghi di pubblico spettacolo, destinati ad attività ricreative, sportive, culturali, reli-giose ecc. (oltre 100 persone presenti se si tratta di luogo all’aperto, oltre 1000 al chiuso).

6. Stazioni ferroviarie ed altri nodi di trasporto (movimento passeggeri superiore a 1000 perso-ne/giorno).

CATEGORIA C1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edifi-

cazione sia compreso tra 1,5 e 1 m3/m2.2. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante al chiuso – ad esempio centri commerciali, terzia-

ri e direzionali, per servizi, strutture ricettive, scuole superiori, università ecc. (fino a 500 per-sone presenti).

3. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante con limitati periodi di esposizione al rischio – adesempio luoghi di pubblico spettacolo, destinati ad attività ricreative, sportive, culturali, religio-se ecc. (fino a 100 persone presenti se si tratta di luogo all’aperto, fino a 1000 al chiuso; di qua-lunque dimensione se la frequentazione è al massimo settimanale).

4. Stazioni ferroviarie ed altri nodi di trasporto (movimento passeggeri fino a 1000 persone/gior-no).

CATEGORIA D1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edifi-

cazione sia compreso tra 1 e 0,5 m3/m2.2. Luoghi soggetti ad affollamento rilevante, con frequentazione al massimo mensile – ad

esempio fiere, mercatini o altri eventi periodici, cimiteri ecc.

Page 409: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

425

Alle

gati

La categorizzazione del territorio esposta nella tabella 1 tiene conto di alcune valuta-zioni dei possibili scenari incidentali, e in particolare dei seguenti criteri:– la difficoltà di evacuare soggetti deboli e bisognosi di aiuto, quali bambini, anziani e

malati, e il personale che li assiste;– la difficoltà di evacuare i soggetti residenti in edifici a più di cinque piani e grandi aggre-

gazioni di persone in luoghi pubblici; per tali soggetti, anche se abili di muoversi auto-nomamente, la fuga sarebbe condizionata dalla minore facilità di accesso alle uscite diemergenza o agli idonei rifugi;

– la minore difficoltà di evacuare i soggetti residenti in edifici bassi o isolati, con vie difuga accessibili e una migliore autogestione dei dispositivi di sicurezza;

– la minore vulnerabilità delle attività caratterizzate da una bassa permanenza tempora-le di persone, cioè di una minore esposizione al rischio, rispetto alle analoghe attivitàpiù frequentate;

– la generale maggiore vulnerabilità delle attività all’aperto rispetto a quelle al chiuso.Sulla base di questi stessi criteri, integrati dalle valutazioni che riguardano i singoli casi

specifici, sarà necessario ricondurre alle categorie della tabella tutti gli elementi territoria-li eventualmente presenti e non esplicitamente citati dalla tabella stessa.

Le Regioni, nell’ambito della definizione della disciplina regionale attuativa del presen-te decreto, potranno integrare i contenuti della tabella 1, in rapporto alle specifiche nor-mative regionali in materia urbanistica e ambientale.

Per le categorie E ed F si deve tenere conto di quanto previsto dagli articoli 12 e 13del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, ove applicabili.

6.1.2. Elementi ambientali vulnerabili

Con particolare riferimento al pericolo per l’ambiente che può essere causato dal rila-scio incidentale di sostanze pericolose, si considerano gli elementi ambientali secondo laseguente suddivisione tematica delle diverse matrici ambientali vulnerabili potenzialmen-te interessate dal rilascio incidentale di sostanze pericolose per l’ambiente:– Beni paesaggistici e ambientali (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490);– Aree naturali protette (es. parchi e altre aree definite in base a disposizioni normative);– Risorse idriche superficiali (es. acquifero superficiale; idrografia primaria e secondaria;

corpi d’acqua estesi in relazione al tempo di ricambio ed al volume del bacino);– Risorse idriche profonde (es. pozzi di captazione ad uso potabile o irriguo; acquifero

profondo non protetto o protetto; zona di ricarica della falda acquifera);– Uso del suolo (es. aree coltivate di pregio, aree boscate).

La vulnerabilità di ognuno degli elementi considerati va valutata in relazione alla feno-menologia incidentale cui ci si riferisce. Su tale base, in via generale e a solo titolo di

CATEGORIA E1. Aree con destinazione prevalentemente residenziale, per le quali l’indice fondiario di edifi-

cazione sia inferiore a 0,5 m3/m2.

2. Insediamenti industriali, artigianali, agricoli e zootecnici.

CATEGORIA F1. Area entro i confini dello stabilimento.2. Area limitrofa allo stabilimento, entro la quale non sono presenti manufatti o strutture in cui

sia prevista l’ordinaria presenza di gruppi di persone.

Page 410: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

426

Alle

gati esempio, si potrà considerare trascurabile l’effetto prodotto da fenomeni energetici come

l’esplosione e l’incendio nei confronti dell’acqua e del sottosuolo. In tutti gli altri casi, lavalutazione della vulnerabilità dovrà tenere conto del danno specifico che può essere arre-cato all’elemento ambientale, della rilevanza sociale ed ambientale della risorsa conside-rata, della possibilità di mettere in atto interventi di ripristino susseguentemente ad uneventuale rilascio.

In sede di pianificazione territoriale e urbanistica, verrà effettuata una ricognizionedella presenza degli elementi ambientali vulnerabili, come individuabili in base a specifi-che declaratorie di tutela, ove esistenti, ovvero in base alla tutelabilità di legge, oppure,infine, in base alla individuazione e disciplina di specifici elementi ambientali da parte dipiani territoriali, urbanistici e di settore.

6.2. Determinazione delle aree di danno

6.2.1. Valori di soglia

Il danno a persone o strutture è correlabile all’effetto fisico di un evento incidentalemediante modelli di vulnerabilità più o meno complessi. Ai fini del controllo dell’urbaniz-zazione, è da ritenere sufficientemente accurata una trattazione semplificata, basata sulsuperamento di un valore di soglia, al di sotto del quale si ritiene convenzionalmente cheil danno non accada, al di sopra del quale viceversa si ritiene che il danno possa accade-re. In particolare, per le valutazioni in oggetto, la possibilità di danni a persone o a strut-ture è definita sulla base del superamento dei valori di soglia espressi nella seguenteTabella 2.2

Tabella 2. Valori di soglia

Scenario Elevata Inizio Lesioni Lesioni Danni alleincidentale letalità letalità irreversibili reversibili strutture /

Effettidomino

1 2 3 4 5

Incendio (radiazione 12,5 kW/m2 7 kW/m2 5 kW/m2 3 kW/m2 12,5 kW/m2

termica stazionaria)

BLEVE/Fireball Raggio 350 kJ/m2 200 kJ/m2 125 kJ/m2 200-800 m(radiazione termica fireball (*)variabile)

Flash-fire LFL 1/2 LFL(radiazione termicaistantanea)

VCE 0,3 bar 0,14 bar 0,07 bar 0,03 bar 0,3 bar(sovrapressione (0,6 spazidi picco) aperti)

Rilascio tossico LC50 IDLH(dose assorbita) (30min,hmn)

(*) secondo la tipologia del serbatoio.

Page 411: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Per la corretta applicazione dei criteri di valutazione della compatibilità territoriale, ilgestore esprime le aree di danno con riferimento ai valori di soglia di Tabella 2. In generale,gli effetti fisici derivati dagli scenari incidentali ipotizzabili possono determinare danni a per-sone o strutture, in funzione della specifica tipologia, della loro intensità e della durata3.

Il danno ambientale, con riferimento agli elementi vulnerabili indicati al punto 6.1.2 è inve-ce correlato alla dispersione di sostanze pericolose i cui effetti sull’ambiente sono difficil-mente determinabili a priori mediante l’uso di modelli di vulnerabilità. L’attuale stato dell’artein merito alla valutazione dei rischi per l’ambiente derivanti da incidenti rilevanti non permet-te infatti l’adozione di un approccio analitico efficace che conduca a risultati esenti da cospi-cue incertezze. Si procede pertanto secondo le indicazioni qualitative di cui al punto 6.3.3.

6.2.2. Aree di danno

La determinazione delle aree di danno deve essere eseguita dal gestore nella consi-derazione delle specificità della propria situazione, corrispondentemente alle tipologie didanno e secondo i livelli di soglia indicati in Tabella 2.

Per gli stabilimenti soggetti alla presentazione del Rapporto di sicurezza, la determi-nazione delle aree di danno deve essere condotta dal gestore nei termini analitici richiestiper la stesura di questo ed eventualmente rivalutata a seguito delle conclusioni dell’i-struttoria per la valutazione del Rapporto di sicurezza.

Per gli altri stabilimenti, il gestore deve effettuare le necessarie valutazioni e analisi disicurezza nell’ambito dell’attuazione del proprio sistema di gestione di sicurezza, comeprevisto dall’allegato III al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e dall’articolo 7 deldecreto ministeriale 09/08/2000, concernente disposizioni sui sistemi di gestione dellasicurezza, fornendo le informazioni e gli elementi tecnici conformemente alle definizionied alle soglie di cui alla tabella 2.

Il gestore deve indicare, per ognuna delle ipotesi incidentali significative individuate, laclasse di probabilità degli eventi secondo la suddivisione indicata nelle tabelle 3a e 3b.

6.3. Criteri per la valutazione della compatibilità territoriale e ambientale

La valutazione della compatibilità da parte delle autorità competenti, in sede di pianifi-cazione territoriale e urbanistica, deve essere formulata sulla base delle informazioniacquisite dal gestore e, ove previsto, sulla base delle valutazioni dell’autorità competentedi cui all’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, opportunamente riela-borate ed integrate con altre informazioni pertinenti.

Gli elementi tecnici, così determinati, non vanno interpretati in termini rigidi e com-piuti, bensì utilizzati nell’ambito del processo di valutazione, che deve necessariamenteessere articolato, prendendo in considerazione anche i possibili impatti diretti o indiretticonnessi all’esercizio dello stabilimento industriale o allo specifico uso del territorio.

Il processo di valutazione tiene conto dell’eventuale impegno del gestore ad adottaremisure tecniche complementari, ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislati-vo 17 agosto 1999, n. 334.

Gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica potranno prevedere opportuniaccorgimenti ambientali o edilizi che, in base allo specifico scenario incidentale ipotizzato,riducano la vulnerabilità delle costruzioni ammesse nelle diverse aree di pianificazioneinteressate dalle aree di danno.

In base alle definizioni date, la compatibilità dello stabilimento con il territorio circo-stante va valutata in relazione alla sovrapposizione delle tipologie di insediamento, cate- 427

Alle

gati

Page 412: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

428

Alle

gati gorizzate in termini di vulnerabilità in tabella 1, con l’inviluppo delle aree di danno, come evi-

denziato dalle successive tabelle 3a e 3b. Le aree di danno corrispondenti alle categorie dieffetti considerate individuano quindi le distanze misurate dal centro di pericolo interno allostabilimento, entro le quali sono ammessi gli elementi territoriali vulnerabili appartenenti allecategorie risultanti dall’incrocio delle righe e delle colonne rispettivamente considerate.

6.3.1. Compatibilità territoriale

Tabella 3a. Categorie territoriali compatibili con gli stabilimenti.

Classedi probabilità Categoria di effettidegli eventi

Elevata Inizio Lesioni Lesioniletalità letalità irreversibili reversibili

< 10-6 DEF CDEF BCDEF ABCDEF

10-4 – 10-6 EF DEF CDEF BCDEF

10-3 – 10-4 F EF DEF CDEF

> 10-3 F F EF DEF

Tabella 3b. Categorie territoriali compatibili con gli stabilimenti.* Per il rilascio di concessioni e autorizzazioni edilizie in assenza di variante urbanistica;

Classedi probabilità Categoria di effettidegli eventi

Elevata Inizio Lesioni Lesioniletalità letalità irreversibili reversibili

< 10-6 EF DEF CDEF BCDEF

10-4 – 10-6 F EF DEF CDEF

10-3 – 10-4 F F EF DEF

> 10-3 F F F EF

Le lettere indicate nelle caselle delle tabelle 3a e 3b fanno riferimento alle categorieterritoriali descritte al punto 6.1. mentre le categorie di effetti sono quelle valutate in basea quanto descritto al punto 6.2.

Per la predisposizione degli strumenti di pianificazione urbanistica, le categorie territo-riali compatibili con gli stabilimenti sono definite dalla tabella 3a.

Per il rilascio delle concessioni e autorizzazioni edilizie in assenza della variante urba-nistica si utilizza la tabella 3b.

Ad integrazione dei criteri sopra evidenziati, le autorità preposte alla pianificazione ter-ritoriale e urbanistica, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, tengono conto della presen-

Page 413: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

za o della previsione di elementi aventi particolare rilevanza sotto il profilo sociale, econo-mico, culturale e storico tra cui, a titolo di esempio, reti tecnologiche, infrastrutture di tra-sporto, beni culturali storico-architettonici. Anche in questo caso, sulla base delle infor-mazioni fornite dal gestore, è possibile stabilire se l’elemento considerato sia interessatodall’evento incidentale ipotizzato. La tabella 2 alla quinta colonna, definisce infatti le tipo-logie di scenario ed i valori di soglia relativi, per i quali ci si deve attendere un danno gravealle strutture. Nelle aree di danno individuate dal gestore sulla base di tali valori di soglia,ove in tali aree siano presenti i suddetti elementi, si introducono negli strumenti di piani-ficazione territoriale e urbanistica prescrizioni per la realizzazione dell’opera ovvero per laprotezione dell’elemento.

6.3.2. Depositi di GPL e depositi di liquidi infiammabili e/o tossici

Nel caso di depositi di GPL e depositi di liquidi infiammabili e/o tossici soggetti all’ar-ticolo 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 ci si avvale dei criteri di valutazionedella compatibilità territoriale definiti nell’ambito della normativa vigente e delle eventualisuccessive modifiche4.

6.3.3. Compatibilità con gli elementi ambientali

Nei casi di nuovi stabilimenti o di modifiche agli stabilimenti che possano aggravare ilrischio di incidenti rilevanti, le autorità preposte alla pianificazione territoriale e urbanisti-ca, ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni, dovranno tenere conto della specificasituazione del contesto ambientale. Al fine di valutare la compatibilità, dovranno esserepresi in esame, secondo princìpi precauzionali, anche i fattori che possono influire negati-vamente sugli scenari incidentali, ad esempio la presenza di zone sismiche o di aree arischio idrogeologico individuate in base alla normativa nazionale e regionale o da parte distrumenti di pianificazione territoriale, urbanistica e di settore. In sede di pianificazione ter-ritoriale ed urbanistica, le autorità preposte, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, ten-gono conto degli elementi e delle situazioni che possono aggravare le conseguenze sullepersone e sul territorio del rilascio dell’inquinante per l’ambiente.

Nei casi di particolare complessità, le analisi della vulnerabilità e le valutazioni di com-patibilità sotto il profilo ambientale potranno richiedere l’apporto di autorità a vario titolocompetenti in tale materia. Si tenga presente inoltre che, ai sensi dell’art. 18 del decretolegislativo 17 agosto 1999, n. 334, le regioni disciplinano il raccordo tra istruttoria tecnicae procedimenti di valutazione di impatto ambientale.

Per definire una categoria di danno ambientale, si tiene conto dei possibili rilasci inci-dentali di sostanze pericolose. La definizione della categoria di danno avviene, per gli ele-menti ambientali vulnerabili di cui al punto 6.1.2, a seguito di valutazione, effettuata dalgestore, sulla base delle quantità e delle caratteristiche delle sostanze, nonché delle spe-cifiche misure tecniche adottate per ridurre o mitigare gli impatti ambientali dello scena-rio incidentale.

Le categorie di danno ambientale sono così definite:– Danno significativo: danno per il quale gli interventi di bonifica e di ripristino ambien-

tale5 dei siti inquinati, a seguito dell’evento incidentale, possono essere portati a con-clusione presumibilmente nell’arco di due anni dall’inizio degli interventi stessi;

– Danno grave: danno per il quale gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale deisiti inquinati, a seguito dell’evento incidentale, possono essere portati a conclusionepresumibilmente in un periodo superiore a due anni dall’inizio degli interventi stessi; 429

Alle

gati

Page 414: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Al fine di valutare la compatibilità ambientale, nei casi previsti dal presente decreto, èda ritenere non compatibile l’ipotesi di danno grave.

Nei casi di incompatibilità ambientale (danno grave) con gli elementi vulnerabili indicatial punto 6.1.2., come sopra definita, di stabilimenti esistenti, il Comune può procedere aisensi dell’articolo 14, comma 6 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, invitando ilgestore a trasmettere all’autorità competente di cui all’articolo 21, comma 1 dello stessodecreto legislativo le misure complementari atte a ridurre il rischio di danno ambientale.

Nel caso di potenziali impatti sugli elementi ambientali vulnerabili (danno significativo)devono essere introdotte nello strumento urbanistico prescrizioni edilizie e urbanisticheovvero misure di prevenzione e di mitigazione con particolari accorgimenti e interventi ditipo territoriale, infrastrutturale e gestionale, per la protezione dell’ambiente circostante,definite in funzione delle fattibilità e delle caratteristiche dei siti e degli impianti e finaliz-zate alla riduzione della categoria di danno.

7. Informazioni relative al controllo dell’urbanizzazione

7.1. Informazioni fornite dal gestore

Il gestore degli stabilimenti soggetti agli obblighi di cui all’articolo 8 del decreto legi-slativo 17 agosto 1999, n. 334 trasmette, su richiesta del Comune o delle Autorità com-petenti le seguenti informazioni:– Inviluppo delle aree di danno per ciascuna delle quattro categorie di effetti e secondo

i valori di soglia di cui al paragrafo 6.2.1., ognuna misurata dall’effettiva localizzazionedella relativa fonte di pericolo, su base cartografica tecnica e catastale aggiornate;

– per i depositi di GPL e per i depositi di liquidi infiammabili e/o tossici, la categoria dideposito ricavata dall’applicazione del metodo indicizzato di cui ai rispettivi decretiministeriali 15 maggio 1996 e 20 ottobre 1998;

– per tutti gli stabilimenti, la classe di probabilità di ogni singolo evento, espressa secon-do le classi indicate al punto 6.3.1;

– per il pericolo di danno ambientale, le categorie di danno attese in relazione agli even-ti incidentali che possono interessare gli elementi ambientali vulnerabili.Per gli stabilimenti esistenti soggetti ai soli obblighi di cui all’art.6 e 7 del decreto legi-

slativo 17 agosto 1999, n. 334, il gestore trasmette alle stesse autorità le suddette infor-mazioni, ricavate dalle valutazioni effettuate come indicato dall’allegato III del predettodecreto legislativo e dall’art. 7 del decreto ministeriale 9 agosto 2000, pubblicato nellaGazzetta Ufficiale, S.G. n. 195 del 22 agosto 2000, nell’ambito del proprio sistema digestione della sicurezza, nel solo caso in cui siano individuate aree di danno esterne all’a-rea dello stabilimento.

Le stesse informazioni sono trasmesse alle medesime autorità dal gestore di nuovistabilimenti all’atto della presentazione del rapporto preliminare di sicurezza all’autoritàcompetente per il rilascio del nulla osta di fattibilità di cui all’articolo 9 del decreto legisla-tivo 17 agosto 1999, n. 334 o, per gli stabilimenti soggetti agli obblighi dei soli articoli 6 e7 dello stesso decreto, all’atto della richiesta di concessioni e autorizzazioni edilizie.

7.2. Valutazioni fornite dall’autorità all’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto1999, n. 334

Contestualmente all’atto che conclude l’istruttoria tecnica, l’autorità di cui all’art. 21del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 trasmette alle autorità competenti per la430

Alle

gati

Page 415: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

pianificazione territoriale e urbanistica e per il rilascio delle concessioni e autorizzazioniedilizie:– per gli stabilimenti sottoposti agli obblighi di cui all’art. 8 del decreto suddetto, le infor-

mazioni che il gestore è tenuto a riportare nel rapporto di sicurezza o nel rapporto pre-liminare ai sensi dell’art. 8, comma 3 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334; ilgestore assicura che tali informazioni siano raccolte ed evidenziate nel rapporto inmodo organico e sistematico all’interno di un apposito allegato concernente elementiper la pianificazione del territorio;

– le eventuali variazioni intervenute in relazione alla stima delle aree di danno, alla clas-se di appartenenza dei depositi, alla categoria di frequenza degli eventi ipotizzati,rispetto alle informazioni trasmesse inizialmente dal gestore;

– gli elementi che debbono essere presi in considerazione per un più completo e cor-retto giudizio di compatibilità territoriale e ambientale, valutati, tra l’altro, sulla base di:presenza di specifiche misure di carattere gestionale; adozione di particolari ed effica-ci tecnologie o sistemi innovativi; disponibilità di strutture di pronto intervento e soc-corso nell’area; adozione di particolari misure di allertamento e protezione per gli inse-diamenti civili; adozione da parte del gestore delle misure tecniche complementari aisensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334.

431

Alle

gati

Page 416: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 La formulazione del presente allegato tiene conto dei due diversi approcci tecnico-scien-tifici invalsi nell’uso internazionale:– basato su parametri deterministici, nel quale, sulla base di distanze di danno tipiche e gene-

riche, vengono fissate delle distanze di separazione tra stabilimenti e zone urbanizzate;– basato sulla valutazione del rischio, nel quale vengono effettuate delle valutazioni di com-

patibilità tra lo stabilimento e gli elementi territoriali effettivamente presenti, sulla base delrischio associato agli scenari incidentali specifici dello stabilimento in esame.Il grado di semplificazione insito nell’approccio deterministico e la significativa rigidità di

applicazione indicano l’opportunità della scelta di un approccio del secondo tipo.Nell’ambito di tale scelta, tuttavia, non si ritiene opportuno praticare la via estrema dell’uti-

lizzo esplicito e diretto a valutazioni probabilistiche quantitative (tipo QRA), esprimibili in termi-ni di rischio individuale e rischio sociale, date le incertezze insite e le difficoltà applicative, chene renderebbero oneroso e aleatorio l’uso.

Si preferisce, sempre nell’ambito di un approccio basato sulla valutazione del rischio, ricon-dursi ad una metodologia che, pur semplificata e parametrizzata, conduce, con un impegno noneccessivamente oneroso, ad una rappresentazione sufficientemente precisa e ripetibile del livel-lo di rischio rappresentato dalla specifica realtà stabilimento/territorio.

Tale approccio, del resto, trova un ampio riscontro nell’applicazione dei decreti applicatividel D.P.R. n. 175/88 e, in particolare:- decreto ministeriale 15 maggio 1996 “Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurez-

za relativi ai depositi di gas di petrolio liquefatto (GPL)”;- decreto ministeriale 20 ottobre 1998 “Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurez-

za relativi ai depositi di liquidi facilmente infiammabili e/o tossici”.Solo nelle aree ad elevata concentrazione di stabilimenti, di cui all’articolo 13 decreto legi-

slativo 17 agosto 1999, n. 334, stante la estensiva significatività delle interazioni tra stabilimentidiversi e tra questi e certi elementi territoriali, si renderà necessario, per la compiutezza dellevalutazioni, fare riferimento anche agli esiti dello studio integrato dell’area, necessariamentebasato sulla ricomposizione dei rischi ingenerati dai vari soggetti e, quindi, su di un approcciopiù estesamente probabilistico.

Ai fini dell’applicazione dei criteri e delle metodologie indicate nel presente allegato si ripor-ta, di seguito, un glossario dei termini utilizzati, ferme restando comunque le definizioni conte-nute e rubricate dall’articolo 3 decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334:

ELEMENTI TERRITORIALI E AMBIENTALI VULNERABILI: Elementi del territorio che – per la presenza dipopolazione e infrastrutture oppure in termini di tutela dell’ambiente – sono individuati comespecificamente vulnerabili in condizioni di rischio di incidente rilevante.

AREE DI DANNO: Aree generate dalle possibili tipologie incidentali tipiche dello stabilimento.Le aree di danno sono individuate sulla base di valori di soglia oltre i quali si manifestano leta-lità, lesioni o danni.

AREE DA SOTTOPORRE A SPECIFICA REGOLAMENTAZIONE: Aree individuate e normate dai piani territo-riali e urbanistici, con il fine di governare l’urbanizzazione e in particolare di garantire il rispetto didistanze minime di sicurezza tra stabilimenti ed elementi territoriali e ambientali vulnerabili. Learee da sottoporre a specifica regolamentazione coincidono, di norma, con le aree di danno.

COMPATIBILITÀ TERRITORIALE E AMBIENTALE: Situazione in cui si ritiene che, sulla base dei criterie dei metodi tecnicamente disponibili, la distanza tra stabilimenti ed elementi territoriali eambientali vulnerabili garantisca condizioni di sicurezza.

2 Tali valori sono congruenti con quelli definiti nelle linee guida di pianificazione di emergen-za esterna del Dipartimento della Protezione Civile e con quelli definiti nel decreto ministeriale432

Alle

gati

Page 417: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

15 maggio 1996 “Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di gasdi petrolio liquefatto (GPL)” e decreto ministeriale 20 ottobre 1998 “Criteri di analisi e valutazio-ne dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di liquidi facilmente infiammabili e/o tossici”.

La necessità di utilizzo dei valori di soglia definiti deriva non solo dall’esigenza di assicura-re la necessaria uniformità di trattamento per i diversi stabilimenti, ma anche per rendere con-gruenti i termini di sorgente utilizzati nel controllo dell’urbanizzazione con quelli per la pianifi-cazione di emergenza esterna e per l’informazione alla popolazione.

3 Le tipologie di effetti fisici da considerare sono le seguenti:

Radiazione termica stazionaria (POOL FIRE, JET FIRE)I valori di soglia sono in questo caso espressi come potenza termica incidente per unità di

superficie esposta (kW/m2). I valori numerici si riferiscono alla possibilità di danno a personeprive di specifica protezione individuale, inizialmente situate all’aperto, in zona visibile alle fiam-me, e tengono conto della possibilità dell’individuo, in circostanze non sfavorevoli, di allonta-narsi spontaneamente dal campo di irraggiamento.

Il valore di soglia indicato per i possibili danni alle strutture rappresenta un limite minimo,applicabile ad obiettivi particolarmente vulnerabili, quali serbatoi atmosferici, pannellature inlaminato plastico ecc. e per esposizioni di lunga durata. Per obiettivi meno vulnerabili potràessere necessario riferirsi a valori più appropriati alla situazione specifica, tenendo conto anchedella effettiva possibile durata dell’esposizione.

Radiazione termica variabile (BLEVE/Fireball)Il fenomeno, tipico dei recipienti e serbatoi di materiale infiammabile pressurizzato, è carat-

terizzato da una radiazione termica variabile nel tempo e della durata dell’ordine di 10-40 secon-di, dipendentemente dalla quantità coinvolta. Poiché in questo caso la durata, a parità di inten-sità di irraggiamento, ha un’influenza notevole sul danno atteso, è necessario esprimere l’ef-fetto fisico in termini di dose termica assorbita (kJ/m2)4.

Ai fini del possibile effetto domino, vengono considerate le distanze massime per la proie-zione di frammenti di dimensioni significative, riscontrate nel caso tipico del GPL.

Radiazione termica istantanea (FLASH-FIRE)Considerata la breve durata dell’esposizione ad un irraggiamento significativo (1-3 secondi,

corrispondente al passaggio su di un obiettivo predeterminato del fronte fiamma che transitaall’interno della nube), si considera che effetti letali possano presentarsi solo entro i limiti diinfiammabilità della nube (LFL).

Eventi occasionali di letalità possono presentarsi in concomitanza con eventuali sacche iso-late e locali di fiamma, eventualmente presenti anche oltre il limite inferiore di infiammabilità, acausa di possibili disuniformità della nube; a tal fine si può ritenere cautelativamente che la zonadi inizio letalità si possa estendere fino al limite rappresentato da 1/2 LFL.

Onda di pressione (VCE)Il valore di soglia preso a riferimento per i possibili effetti letali estesi si riferisce, in parti-

colare, alla letalità indiretta causata da cadute, proiezioni del corpo su ostacoli, impatti di fram-menti e, specialmente, crollo di edifici (0,3 bar); mentre, in spazi aperti e privi di edifici o altrimanufatti vulnerabili, potrebbe essere più appropriata la considerazione della sola letalità diret-ta, dovuta all’onda d’urto in quanto tale (0,6 bar).

I limiti per lesioni irreversibili e reversibili sono stati correlati essenzialmente alle distanze acui sono da attendersi rotture di vetri e proiezione di un numero significativo di frammenti,anche leggeri, generati dall’onda d’urto.

Per quanto riguarda gli effetti domino, il valore di soglia (0,3 bar) è stato fissato per tenereconto della distanza media di proiezione di frammenti o oggetti che possano provocare dan-neggiamento di serbatoi, apparecchiature, tubazioni, ecc. 433

Alle

gati

Page 418: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Proiezione di frammenti (VCE)La proiezione del singolo frammento, eventualmente di grosse dimensioni, viene conside-

rata essenzialmente per i possibili effetti domino causati dal danneggiamento di strutture disostegno o dallo sfondamento di serbatoi ed apparecchiature.

Data l’estrema ristrettezza dell’area interessata dall’impatto e quindi la bassa probabilitàche in quell’area si trovi in quel preciso momento un determinato individuo, si ritiene che laproiezione del singolo frammento di grosse dimensioni rappresenti un contribuente minore alrischio globale rappresentato dallo stabilimento per il singolo individuo (in assenza di effettidomino).

Rilascio tossicoAi fini della valutazione dell’estensione delle aree di danno relative alla dispersione di gas o

vapori tossici, sono stati presi a riferimento i seguenti parametri tipici:– IDLH (“Immediately Dangerous to Life and Health”: fonte NIOSH/OSHA): concentrazione

di sostanza tossica fino alla quale l’individuo sano, in seguito ad esposizione di 30 minuti,non subisce per inalazione danni irreversibili alla salute e sintomi tali da impedire l’esecu-zione delle appropriate azioni protettive.

– LC50 (30min,hmn): concentrazione di sostanza tossica, letale per inalazione nel 50% deisoggetti umani esposti per 30 minuti.Nel caso in cui siano disponibili solo valori di LC50 per specie non umana e/o per tempi di

esposizione diversi da 30 minuti, deve essere effettuata una trasposizione ai detti termini diriferimento mediante il metodo TNO.

Si rileva che il tempo di esposizione di 30 minuti viene fissato cautelativamente sulla basedella massima durata presumibile di rilascio, evaporazione da pozza e/o passaggio della nube.In condizioni impiantistiche favorevoli (ad esempio, sistema di rilevamento di fluidi pericolosicon operazioni presidiate in continuo, allarme e pulsanti di emergenza per chiusura valvole ecc.)e a seguito dell’adozione di appropriati sistemi di gestione della sicurezza, come definiti nellanormativa vigente, il gestore dello stabilimento può responsabilmente assumere, nelle proprievalutazioni, tempi di esposizione significativamente diversi; ne consegue la possibilità di adot-tare valori di soglia corrispondentemente diversi da quelli di Tabella 2.

4 Decreto Ministero dell’Ambiente 15 maggio 1996, “Criteri di analisi e valutazione dei rap-porti di sicurezza relativi ai depositi di gas e petrolio liquefatto G.P.L.”, pubblicato nel S.O. n.113 alla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 1996.

Decreto Ministero dell’Ambiente 20 ottobre 1998, “Criteri di analisi e valutazione dei rap-porti di sicurezza relativi ai depositi di liquidi facilmente infiammabili e/o tossici”, pubblicato nelS.O. n. 188 alla Gazzetta Ufficiale n. 262 del 9 novembre 1998.

5 Per valutare gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, a seguito del-l’evento incidentale, si deve fare riferimento, attualmente, al decreto ministeriale 25 ottobre1999, n. 471, “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, labonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’art.17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997,n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”, nonché del decreto legislativo 11 maggio1999, n. 152 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della diret-tiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati prove-nienti da fonte agricola”.

434

Alle

gati

Page 419: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Commissione per l’industria, il commercio estero, la ricerca e l’energiaPROVVISORIO

2001/0257(COD)3 aprile 2002

Progetto di parere

della commissione per l’industria, il commercio estero, la ricerca e l’energia

destinato alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la politica

dei consumatori sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo

e del Consiglio che modifica la direttiva 96/82/CE del Consiglio,

del 9 dicembre 1996, sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti

connessi con determinate sostanze pericolose

(COM(2001) 624 – C5-0668/2001 – 2001/0257(COD))Relatrice per parere: Dorette Corbey

(Omissis)

Emendamento 5ARTICOLO 1, PUNTO 1 SEXIES (nuovo)

Articolo 12, paragrafo 1 bis (nuovo) (Direttiva 96/82/CE)

1 sexies. All’articolo 12 è aggiunto il seguente paragrafo 1 bis:“1 bis. Entro tre anni a partire da [data di adozione della direttiva che modifica la direttiva96/82/CE] la Commissione, in stretta cooperazione con gli Stati membri, elabora orienta-menti che definiscono una metodologia per la fissazione delle opportune distanze di sicu-rezza tra gli stabilimenti coperti dalla presente direttiva e:- le zone residenziali;- gli edifici e le zone frequentati dal pubblico;- gli altri stabilimenti industriali;- le risorse naturali e gli spazi ricreativi;- le altre zone di particolare interesse o particolarmente sensibili.”

MotivazioneGli incidenti di Enschede e di Tolosa hanno dimostrato la necessità di affrontare il proble-ma degli stabilimenti esistenti.

(Omissis)

435

Alle

gati

Page 420: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Risoluzione del Parlamento europeo sull’esplosione di una fabbrica a Tolosa (Francia).

B5-0611, 0612, 0614 e 0615/2001

Il Parlamento europeo,– visti gli articoli 174 e 308 del trattato CE,– vista la direttiva 96/82/CE del Consiglio del 9 dicembre 1996, sul controllo dei pericoli

di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e in particolare gliarticoli 111, relativo ai piani d’emergenza e 122, relativo al controllo dell’urbanizzazione,

– vista la relativa decisione 1999/314/CE della Commissione del 9 aprile 1999 che impe-gna gli Stati membri a redigere una relazione relativa al periodo compreso tra il 2000e il 2002, e le precedenti relazioni sull’applicazione della direttiva 96/82/CE,

– vista la risoluzione del Consiglio del 16 ottobre 1989 relativa agli orientamenti in mate-ria di prevenzione dei rischi tecnici e naturali,

– vista la risoluzione del Consiglio dell’8 luglio 1991, relativa al miglioramento dell’assi-stenza reciproca tra Stati membri in caso di catastrofe naturale o tecnologica,

– vista la sua risoluzione del 4 settembre 2001 sulla diciassettesima relazione annualedella Commissione sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario - 1999(COM(2000) 92 - C5-0381/2000 - 2000/2197(COS)),

– vista la decisione 1999/847/CE del Consiglio del 9 dicembre 1999 che istituisce un pro-gramma d’azione comunitario a favore della protezione civile,

– vista la sua posizione del 14 giugno 2001 sulla proposta di decisione del Consiglio cheistituisce un meccanismo comunitario di coordinamento degli interventi di protezionecivile in caso di emergenza (COM(2000) 593 - C5-0543/2000 - 2000/0248(CNS)),

A. considerando l’esplosione di vaste dimensioni che ha colpito la fabbrica AZF di Tolosacausando la sua distruzione e quella di numerosi quartieri abitati vicini (tra cui ospeda-li, scuole, università, ecc.), facendo 29 vittime e diverse centinaia di feriti,

B. considerando che le conseguenze della catastrofe di Tolosa sono state così dramma-tiche in quanto la fabbrica era ubicata a ridosso di quartieri abitati, e che la vicinanza dialtri insediamenti industriali a rischio avrebbe potuto scatenare un effetto domino,

C. considerando la lunga lista dei drammatici incidenti industriali e chimici accaduti dopoquello di Seveso del 1976, in particolare a Basilea (Svizzera), a Bhopal (India), a BaiaMare (Romania) e a Enschede (Paesi Bassi), con il loro triste seguito di lutti e di enor-mi distruzioni,

D. considerando che questi incidenti, con le loro dimensioni, il loro susseguirsi e con illoro senso di ineluttabilità hanno infranto il patto di fiducia tra le popolazioni e il qua-dro legislativo e regolamentare che avrebbe dovuto proteggerle dai rischi industriali,

E. considerando che le direttive “Seveso” hanno aumentato la sicurezza dei siti indu-striali interessati, ma con il susseguirsi degli incidenti hanno anche mostrato le lorocarenze e i limiti della protezione che potevano offrire, visto che taluni di questi dram-mi, e in particolare quello di Tolosa, hanno avuto luogo su dei siti che rientrano nelcampo di applicazione delle direttive “Seveso”,

F. considerando che la fabbrica in questione, costruita nel 1924, è stata classificata zona“Seveso” dal 1982,

G. consapevole che il settore della chimica occupa nell’Unione europea diversi milioni dipersone, e in particolare 900.000 persone in Francia,

H. considerando che i siti industriali classificati presentano rischi potenziali enormi, soprat-tutto nel caso in cui siano presi come obiettivo da malintenzionati, soprattutto da quan-do la nostra società è ormai sempre più esposta a odiose minacce terroristiche,436

Alle

gati

Page 421: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1. profondamente sconvolto dal terribile incidente accaduto alla fabbrica AZF di Tolosa,esprime il proprio cordoglio e la propria solidarietà alle vittime, alle loro famiglie e allepopolazioni colpite;

2. chiede ai governi nazionali colpiti da simili catastrofi una trasparenza completa quan-to alle cause, criminali o accidentali, di tali terribili attentati all’integrità delle personee dei beni, al fine di accertarne le responsabilità;

3. si congratula con le autorità francesi per l’assistenza adeguata fornita alle popolazio-ni colpite, per il buon funzionamento dei soccorsi, e per le decisioni già comunicate,soprattutto in materia di alloggi di emergenza;

4. chiede, al fine di esprimere la propria solidarietà ai sinistrati, il ripristino della linea dibilancio d’urgenza che consente all’Unione europea di fornire un aiuto finanziario incaso di calamità naturali, tecnologiche e ambientali, complementare agli aiuti nazio-nali, regionali e locali;

5. chiede che sia fatto il possibile a livello di Unione europea per rafforzare il coordina-mento dei mezzi di protezione civile europea già esistenti affinché, in caso di urgen-za, siano note le risorse mobilizzabili negli Stati membri in modo da consentire unintervento rapido, da agevolare il lavoro degli esperti dei diversi Stati membri, damigliorare le comunicazioni e l’allerta delle popolazioni e chiede a tal fine l’attribuzio-ne di risorse finanziarie e umane sufficienti;

6. constata l’impossibilità del “rischio zero” nel quadro di una coabitazione tra la popo-lazione urbana e i complessi industriali petrolchimici e ritiene che l’attuale logica di“gestione del rischio” , ereditata dall’epoca dell’incidente di Seveso e adottata finoad oggi, sia in pratica superata e che d’ora in avanti sia necessario orientarsi urgen-temente verso una logica di “allontanamento del rischio”; chiede a questo titolo chequanto prima gli insegnamenti tratti dalla catastrofe di Tolosa servano da base, inquesto senso, a proposte della Commissione al Parlamento europeo;

7. invita con urgenza gli Stati membri ad avviare una revisione profonda delle politichedi gestione del territorio e di urbanizzazione nelle vicinanze dei siti a rischio, tenendoanche conto della loro dimensione fiscale, per evitare il ripetersi di catastrofi simili;considera che nel caso dei siti industriali a rischio, il ricorso a procedure di concerta-zione fra autorità pubbliche e rappresentanti eletti, abitanti della zona, industriali erappresentanti del personale dovrebbe consentire di riorganizzare questi siti in unaprospettiva di sviluppo sostenibile, conciliando le preoccupazioni in materia di sicu-rezza, occupazione e ambiente;

8. ritiene che occorre fare tutto il possibile per salvaguardare i posti di lavoro dei siti inquestione, per non aggiungere drammi sociali alle minacce all’ambiente, e che qual-siasi soluzione relativa all’avvenire dei siti e dei posti di lavoro debba essere ricerca-ta in stretta collaborazione con i lavoratori e i rappresentanti eletti;

9. è fortemente contrario, nel quadro della solidarietà costantemente ribaditadall’Unione europea nella sua politica di cooperazione e di sviluppo, a qualsiasi ten-tativo di decentramento dei siti pericolosi verso paesi nei quali le norme ambientalie sociali sono inferiori a quelle vigenti sul territorio dell’Unione; chiede che gli Statimembri e l’Unione si impegnino ad attuare tutte le misure tecniche e finanziarie, etutte le iniziative politiche, necessarie per raggiungere tale obiettivo;

10. auspica che in caso di incidente sia maggiormente definita e rafforzata la responsa-bilità giuridica degli industriali e delle autorità responsabili della gestione del territo-rio e del piano di occupazione del suolo; ritiene inoltre che gli industriali debbano par- 437

Alle

gati

Page 422: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

tecipare in modo più sostanzioso all’indennizzo delle persone colpite e alla riparazio-ne dei danni; chiede alla Commissione di presentare quanto prima la sua proposta didirettiva sulla responsabilità ambientale;

11. auspica che l’Unione europea colga l’opportunità offerta dalla necessaria evoluzionedella normativa europea in materia di rischio industriale per interrogarsi, nell’ambitodello sviluppo sostenibile, sull’utilità o sulla finalità di taluni prodotti chimici e di talu-ni procedimenti di fabbricazione ormai obsoleti;

12. si rammarica profondamente del fatto che nessuno tra i 15 Stati membri abbiaottemperato pienamente alle disposizioni della direttiva Seveso II entro la data pre-fissata, e sottolinea a tal proposito che la Commissione ha avviato sei procedimentidi infrazione contro alcuni Stati membri “per mancata applicazione o applicazioneincompleta della direttiva”;

13. invita la Commissione ad incoraggiare l’applicazione della direttiva attraverso la pub-blicazione, da qui a tre mesi, di un elenco di siti nel territorio dell’Unione europea chedestano preoccupazione o che, nell’eventualità di un incidente, siano potenzialmen-te in grado di causare danni della stessa portata di quelli causati dall’esplosione nellacittà di Tolosa;

14. insiste affinché la Commissione tenga conto pienamente, e nel più breve tempo pos-sibile, dell’insegnamento che deve essere tratto da questo dramma, e adempia allanecessità di rafforzare la regolamentazione e il controllo degli stabilimenti a rischio,al momento della revisione della direttiva Seveso II, sulla base soprattutto deiseguenti elementi:– potenziamento delle norme di sicurezza e di controllo per prevenire gli incidenti

di grave portata e limitarne le conseguenze per l’uomo e l’ambiente,– ampliamento del campo d’applicazione della direttiva,– potenziamento delle norme per la riduzione del rilascio di rifiuti industriali nell’ac-

qua e nell’atmosfera,– estensione dei perimetri di sicurezza, anche retroattivamente,– miglioramento dell’informazione del pubblico sui rischi esistenti e sulle misure da

prendere in caso di catastrofe,– organizzazione di studi epidemiologici nelle zone situate presso stabilimenti peri-

colosi,– potenziamento del ruolo dei comitati di igiene e di sicurezza delle imprese inte-

ressate e maggiore considerazione del parere dei dipendenti e delle organizza-zioni sindacali,

– riflessioni sul ruolo dell’Istituto che si occupa a livello europeo del seguito datoalla direttiva Seveso II, il Major Accident Hazard Bureau (MAHB);

15. si rammarica che gli Stati membri, nonostante ripetuti avvertimenti, non si dotino diun numero sufficiente di ispettori di controllo competenti e specializzati e chiedequindi l’assunzione e la formazione adeguata di questo personale, nonché la defini-zione di criteri di qualificazione minima degli ispettori per garantire l’omogeneità dellasicurezza sui siti classificati dell’Unione;

16. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, allaCommissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri e dei paesi candidati,nonché agli enti locali dell’agglomerato urbano di Tolosa.

438

Alle

gati

Page 423: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

Note

1 L’articolo 11 della direttiva 96/82 è il seguente: “Piano d’emergenza”.1. Gli Stati membri provvedono affinché, per tutti gli stabilimenti soggetti alle disposizioni del-

l’articolo 9:a) il gestore predisponga un piano di emergenza interno da applicare all’interno dello stabili-

mento:– per gli stabilimenti nuovi, prima di iniziare l’attività;– per gli stabilimenti esistenti, non ancora soggetti alla direttiva 82/501/CEE, entro tre

anni a decorrere dalla data di cui all’articolo 24, paragrafo 1;– per gli altri stabilimenti, entro due anni a decorrere dalla data di cui all’articolo 24, para-

grafo 1;b) il gestore trasmetta alle autorità competenti, entro i termini in appresso indicati, informa-

zioni che consentano loro di elaborare il piano di emergenza esterno:- – per gli stabilimenti nuovi, prima dell’avvio dell’attività;

– per gli stabilimenti esistenti, non ancora soggetti alla direttiva 82/501/CEE, entro treanni a decorrere dalla data di cui all’articolo 24, paragrafo 1;

– per gli altri stabilimenti, entro due anni a decorrere dalla data di cui all’articolo 24, para-grafo 1;

c) le autorità designate a tal fine da ciascuno Stato membro predispongano un piano di emer-genza esterno per le misure da prendere all’esterno dello stabilimento”.

2 L’articolo 12 della direttiva 96/82 è il seguente: “Controllo dell’urbanizzazione”1. Gli Stati membri provvedono affinché nelle rispettive politiche in materia di controllo del-

l’urbanizzazione, destinazione e utilizzazione dei suoli e/o in altre politiche pertinenti si tengaconto degli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze. Essi perse-guono tali obiettivi mediante un controllo:a) dell’insediamento degli stabilimenti nuovi;b) delle modifiche degli stabilimenti esistenti di cui all’articolo 10;c) dei nuovi insediamenti attorno agli stabilimenti esistenti, quali vie di comunicazione, luoghi

frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’ubicazione o gli insediamenti possanoaggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante.Gli Stati membri provvedono affinché la loro politica in materia di destinazione e utilizzazio-

ne dei suoli e/o le altre politiche pertinenti, nonché le relative procedure di attuazione tenganoconto della necessità, a lungo termine, di mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti dicui alla presente direttiva da un lato e le zone residenziali, le zone frequentate dal pubblico e lezone di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili, dall’altro, e, per gli stabilimentiesistenti, delle misure tecniche complementari a norma dell’articolo 5, per non accrescere irischi per le persone.

2. Gli Stati membri provvedono affinché tutte le autorità competenti e tutti i servizi autoriz-zati a decidere in materia stabiliscano procedure di consultazione atte ad agevolare l’attuazio-ne di queste politiche adottate a norma del paragrafo 1. Tali procedure prevedono che, almomento in cui sono prese le decisioni in materia, sia disponibile un parere tecnico sui rischiconnessi alla presenza dello stabilimento, basato sullo studio del caso specifico o su criterigenerali”.

439

Alle

gati

Page 424: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

1111

Alle

gati

Page 425: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

440

Alle

gati “Il Corriere della Sera”, 22 settembre 2001

Esplode fabbrica chimica, strage a Tolosa

Almeno 18 morti e oltre 600 feriti. Negozi e case devastati.Chirac: non si può escludere un attentato

Da uno dei nostri inviati: Costantino Muscau.Tolosa (Francia) - Ore 10.15: un’esplosione tremenda insanguina e paralizza Tolosa, la cittàdove nascono gli Airbus e i razzi Ariane. Il bilancio, provvisorio, è da terrore: 18 morti, 650feriti (di cui almeno 49 gravi), una ventina di dispersi, 2 mila sfollati, altre migliaia in fuga,fa sapere a tarda sera il prefetto Hubert Fournier.L’incubo è da terrorismo: “Da quanto sappiamo, si è trattato di un incidente, ma è troppopresto per affermarlo con certezza”, affermano, stavolta concordi, il presidente dellaRepubblica Jacques Chirac e il premier Lionel Jospin, entrambi ieri qui a Tolosa. Ma lecause sembrano ricondursi a un errore nella manipolazione delle sostanze chimiche.A 10 giorni esatti dall’ecatombe di New York, il fantasma di Bin Laden si è materializza-to in Francia, nella città famosa per i poli aerospaziale e universitario, sotto forma di boatocatastrofico e di nube terrificante. Erano le 10.15 quando la fabbrica di fertilizzanti chimiciAzf, del gruppo Totalfina-Elf, classificata a livello “Seveso”, cioè al più alto grado di peri-colosità ambientale dei siti industriali, dove si fabbricava anche il combustibile dei razziAriane, è saltata per aria. O è sprofondata all’inferno: dei due stabilimenti dove lavorava-no, nelle 24 ore, 460 operai, ad appena 4 chilometri dal riposante e “roseo” (dal coloredei palazzi) centro cittadino, in pochi minuti sono rimasti un cumulo di macerie che haricordato lo sfacelo delle Twin Towers e un cratere di 50 metri di diametro e di 15 diprofondità. Di sicuro l’esplosione ha scatenato l’inferno: il rogo di almeno 6 mila tonnel-late di ammoniaca, di altrettante di nitrato di ammonio solido, di sostanze combustili e dimetanolo, ha seminato il panico nella popolazione, creato una nube tossica immensa,purpurea (come quella del celebre e terrificante romanzo di Shiel), dall’acre odore diammoniaca, e provocato scene che veramente, in piccolo, ricordavano quelle di NewYork. “Ero in un bar del centro, a prendere un caffè con alcune amiche – ricorda PaolaLombardi, moglie di Luigi, titolare di una ditta dove lavorano molti italiani – e abbiamopensato a una bomba, subito”. E in poco tempo tutti si sono alzati, in città, in preda alterrore, specialmente quelli che abitano nella zona sud-est, vicino al luogo del boato. Lemamme correvano a prendere i figli a scuola, altri fuggivano, chi a piedi e chi in auto, chidalla metropolitana, coprendosi il naso e la bocca con mascherine e fazzoletti. In un atti-mo sono stati evacuati edifici pubblici, scuole e case, specialmente quelle dove non erarimasto un vetro intatto nel raggio di centinaia di metri. E assieme ai vetri di migliaia difinestre, per strada si vedevano auto schiacciate e dalla strada si scorgevano tetti sfon-dati e impolverati. Una città terremotata. Il sindaco Philippe Douste-Blazy, riparandosicon la mascherina, si aggirava per la città e invitava gli psicologi a trovarsi all’Hôtel deVille (il municipio), per assistere i tolosani sconvolti e faceva avvertire da altoparlanti lapopolazione di stare in casa. I soccorsi comunque sono scattati immediatamente, coin-volgendo almeno 3 mila persone. Perfino cinquanta medici tolosani che partecipavano aun congresso a Parigi sono stati trasportati in loco con aerei militari. Per alcune ore lacittà è rimasta isolata: con telefoni che non funzionavano, aeroporto e stazione e metro-politana chiusi. Solo nel tardo pomeriggio ha cominciato a riprendere un aspetto norma-le. Ma sarà difficile che Tolosa torni normale molto presto: le scuole sono state chiuse,

Page 426: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

ad eccezione di sei dove verrà accolto chi è rimasto senza casa, gli avvenimenti sportivibloccati o rinviati (a cominciare dal celebre torneo internazionale di tennis). E in serata,alla luce delle fotoelettriche, si scavava ancora, in mezzo a quelle rovine dove fino a ierimattina svettavano due ciminiere e i magazzini e dove, nonostante la devastazione,erano stati sorpresi degli sciacalli.

I precedenti (Costantino Muscau)14 LUGLIO 2001 Due morti, un disperso e oltre 400 famiglie evacuate per un’esplosio-ne alla periferia di Detroit in uno stabilimento che produce composti chimici.24 AGOSTO 2000 Tre morti per un’esplosione nella Hosung Chemex Co., industria chi-mica della Corea del Sud.10 GIUGNO 2000 Un’esplosione devasta un impianto chimico della Nisshin ChemicalCo., in Giappone, causando 4 morti e 25 feriti.3 DICEMBRE 1984 Gas esce dagli impianti di una fabbrica di insetticidi di Bhopal (India)causando la morte di 6.500 persone. È uno dei peggiori disastri della storia.10 LUGLIO 1976 Da un reattore dell’Icmesa, stabilimento Roche tra Meda e Seveso,esce diossina. La sostanza tossica si sparge su 18 milioni di metri quadrati, 220 mila lepersone in pericolo, molti vengono ricoverati per ustioni e intossicazioni.

441

Alle

gati

Page 427: DIT · 2010. 3. 29. · La Direttiva “Seveso II” e il D.Lgs. n. 334/99 Giovanni Silvestrini 19 La prevenzione nel territorio come fattore prioritario per la sicurezza Alberto

“IL Secolo XIX”, 10 gennaio 2002

Ottocento morti in più all’anno in tredici aree industriali italiane

Uno studio dell’Oms “Massa e Gela le aree più inquinate”.Il ministro Matteoli: “Dati spaventosi”. Tra i siti sotto accusa anche la Val Bormida

Roma - Industrie-killer in Italia. Si contano oltre 800 morti l’anno in più tra gli abitanti di 13aree ad elevato rischio ambientale per la presenza di impianti chimici, petroliferi, minera-ri o siderurgici (da Gela a Brindisi, da Sarno a Taranto alla Val Bormida). Lo rileva uno stu-dio dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) commissionato dal Ministero del-l’Ambiente, che ha trovato un eccesso di 4.167 morti (2.639 maschi e 1.527 femmine),pari al 2,64% dei 157.787 morti totali, nel quinquennio 1990-1994 tra le popolazioni resi-denti nelle aree a rischio.“Considerando la durata del periodo di incubazione delle malattie causa dei decessiaggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell’apparato digerente e respiratorio,cirrosi, diabete, tumori in genere) e della persistenza nell’ambiente di molte sostanzeinquinanti – osserva Roberto Bertollini, direttore del Centro europeo ambiente e salutedell’Oms – si può presumere che le cifre relative ai morti in eccesso siano riscontrabilianche negli anni seguenti”.Secondo il Ministro per l’Ambiente, Matteoli, si tratta di “dati spaventosi che rendonourgente la bonifica”. I più elevati indici di mortalità tra le 13 aree considerate si sonoriscontrati a Massa tra i maschi (+15,3%) e a Gela tra le femmine (+17,4%). Quanto allamortalità da tumore, essa raggiunge il livello più alto ad Augusta, sia per i maschi (+22%)che per le femmine (+9,2%). “Questi risultati – secondo Bertollini – indicano che sononecessarie urgenti azioni di bonifica”. Bisogna poi calcolare, aggiunge il Direttore del Cen-tro, “che alcune delle patologie causa dei decessi, come ad esempio il tumore alla pleu-ra, hanno periodi di incubazione fino a 20 anni”.Lo studio ha preso in considerazione le aree industriali di Gela (Caltanissetta), Augusta(Siracusa), Crotone, Portoscuso (Cagliari), Brindisi, Taranto, Sarno (Salerno), Manfredonia(Foggia), Massa, Conoidi (Reggio Emilia, Parma, Modena), Po di Volano (Ferrara), Po Pole-sine (Rovigo), Val Bormida (territorio di 5 province a cavallo tra Piemonte e Liguria).

442

Alle

gati