2009 04 07 Pesaresi Gianni 0000214257 Giornalismo Sportivo Dalla Cronaca Alla Retorica

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 Gianni Pesaresi 0000214257 Tesina per l'esame di Comunicazione Giornalistica Il giornalismo sportivo  dalla cronaca alla retorica Indice 1) Il giornalismo sportivo: un mondo a parte 2) Quotidiani sportivi italiani: la cronaca dell’avvenimento 3) L’avvento della televisione 4) Dalla cronaca alla retorica 5) La retorica dell’avvenimento 6) Il giornalista sportivo 7) Rischio di de-generazione e tuttologismo 8) Neologismi e Gianni Brera 1

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Gianni Pesaresi 0000214257Tesina per l'esame di Comunicazione Giornalistica

Il giornalismo sportivo 

dalla cronaca alla retorica

Indice

● 1) Il giornalismo sportivo: un mondo a parte

● 2) Quotidiani sportivi italiani: la cronaca dell’avvenimento

● 3) L’avvento della televisione

● 4) Dalla cronaca alla retorica

● 5) La retorica dell’avvenimento

● 6) Il giornalista sportivo

● 7) Rischio di de-generazione e tuttologismo● 8) Neologismi e Gianni Brera

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1) Il giornalismo sportivo: un mondo a parte

Contrariamente alle apparenze, non è facile fare il giornalista sportivo e non a caso lo sport è stato il banco di prova nella carriera di molti giornalisti che si sono affermati. Il giornalismo sportivo, agli

occhi di tante persone, rappresenta uno dei generi giornalistici minori e tale considerazione colloca i

giornalisti sportivi, secondo un errato stereotipo culturale, sui gradini più bassi di un’immaginaria

scala di prestigio professionale. In realtà, il giornalismo sportivo italiano ha dato il via ad una forma

espressiva, ad un linguaggio e a delle categorie narrative difficilmente riscontrabili presso altri

campi del giornalismo. Ne è prova che il linguaggio sportivo è stato capace di imporsi al di fuori

della propria cerchia simbolica e semantica grazie alla sua efficacia. Il giornalismo sportivo

costituisce una nicchia ben definita all’interno dei vari generi giornalistici. Un genere particolare e

quasi a sé stante che fa perno sull’identità del pubblico e sul fatto che lo sport sia un mondo

apparentemente separato da tutto il resto, con le sue organizzazioni, un suo linguaggio, la sua storia,

le sue leggi, i suoi valori, i suoi privilegi, nel quale non si nega ad alcuno il diritto di accesso in

quanto si può essere sportivi senza praticare alcuno sport. La passione per lo sport, infatti, nella

maggioranza dei casi, non coincide con l’esercizio di un’attività, ma si esprime nella fruizione di

uno spettacolo. Quello di sportivo diventa uno status che si acquisisce per il semplice fatto di

dichiararsi tale, riconoscendo ed accettando le regole del gioco: codici, gerarchie, valori, riti. I

giornalisti sportivi, nei quotidiani italiani, organizzano l’informazione in funzione del pubblico

degli sportivi. Tale informazione è settoriale, caratterizzata da un’enorme autoreferenzialità che la

fa rimanere all’interno del mondo dello sport. Il pubblico attua un processo di decisione

convenzionale per individuare l’evento che avrà il privilegio di diventare notizia; divengono quindi

notizie gli avvenimenti che sono importanti a giudizio degli sportivi: le esigenze di un pubblico

settoriale si sovrappongono all’interesse generale. Alla stessa impresa viene assegnata maggiore o

minore importanza secondo il seguito che essa ha fra gli appassionati.

2) Quotidiani sportivi italiani: la cronaca dell’avvenimento

La diversità dell’informazione sportiva ha una spiegazione storica. Nel dopoguerra, in Italia, caso

unico in Europa, si pubblicavano quattro quotidiani interamente dedicati allo sport: ‘La Gazzetta

dello Sport’ , fondata nel 1896 e divenuta quotidiano nel 1919, il ‘Corriere dello Sport’ di Roma,

nato nel 1924 ma quotidiano dal 1927, ‘Stadio’ di Bologna (fondato nel 1945, quotidiano dal 1948)

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e il torinese ‘Tuttosport’ (anch'esso fondato nel 1945 ma divenuto quotidiano dal 1951). Per storia e

tradizione, il quotidiano sportivo si era sempre presentato al lettore, fino ai primi anni Sessanta,

come un “quotidiano di risultati”, sostanzialmente simile ad un almanacco. Sulle pagine di giornali

graficamente molto castigati trovava spazio il resoconto di qualunque avvenimento riconducibile ad

un evento sportivo, con risultati, cronache, precisa documentazione sulla manifestazione, un

linguaggio essenzialmente tecnico e articoli lunghi che spesso cominciavano e ricoprivano un

grande spazio già in prima pagina. Inoltre la titolazione si presentava piatta e didascalica: l'intento

del quotidiano era quello di mostrare al pubblico subito risultati e vincitori, senza alcuna attenzione

a presentare titoli minimamente caldi o commenti. Soprattutto ciò accadeva ne ‘La Gazzetta dello

Sport’ e nel giornale bolognese ‘Stadio’ .

3) L’avvento della televisione

Tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta il ‘Corriere della Sera’ e ‘Il Giorno’ ,

nel quadro di una strategia espansionistica, ampliarono e rinnovarono le cronache dello sport per 

occupare una fetta del mercato creato dalle testate sportive, cercando di catturare il lettore che sulle

  pagine del giornale voleva vedere rispecchiata anche la sua passione sportiva. Travasare

l’impostazione della notizia dei giornali sportivi nelle pagine dei grandi quotidiani nazionali era

un’operazione di mercato. In quegli anni comparve un ulteriore fattore di condizionamento: la

concorrenza della televisione. Il 10 gennaio 1960 nacque la trasmissione radiofonica domenicale

‘Tutto il calcio minuto per minuto’, che modificò in fretta le abitudini del pubblico sportivo, sempre

 più spesso con l'orecchio incollato alla radiolina. Nel 1965 cambiò la propria formula anche ‘ La

domenica sportiva’ , rubrica nata con la televisione undici anni prima: da semplice notiziario la

trasmissione diventò un programma in seconda serata che per primo mostrava le immagini delle reti

delle partite di campionato, dando vita ad un vero e proprio show con tanto di conduttore ed ospiti.

 Nel 1969, poi, all'interno della trasmissione fece il proprio esordio anche la “moviola”. La formula

tradizionale del quotidiano sportivo, basata sulla cronaca incentrata sul calcio, cominciava ad essere

svuotata, ed il colpo decisivo fu sferrato nel 1970, con la nascita di un altro programma televisivo

allora rivoluzionario: ‘ Novantesimo minuto’, un programma che ebbe un enorme successo poiché

già dalle 18.15 della domenica pomeriggio poteva mostrare i filmati delle gare del campionato di

calcio da poco concluse. La televisione, oltre al calcio, cominciò a trasmettere anche altri sport

 popolari come il ciclismo, il basket, il tennis, la pallavolo, l’atletica, il nuoto, l’automobilismo, il

motociclismo, ecc. In quella situazione un quotidiano sportivo concepito sulla sola cronaca era

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ormai obsoleto ed incapace sia di attirare nuovi lettori che di fidelizzare quelli che tradizionalmente

lo acquistavano. Il giornale veniva preceduto dalla trasmissione televisiva e il lettore non aveva più

 bisogno che una partita di calcio o una corsa ciclistica gli venissero descritte il giorno dopo con

minuzia e precisione poiché grazie alle trasmissioni ne aveva già visto le fasi importanti. Era quindi

 più che mai necessario un cambio di rotta.

4) Dalla cronaca alla retorica

Il giornalismo dei quotidiani, per fronteggiare la situazione che si era venuta a creare con la

concorrenza televisiva, elaborò un tipo di scrittura sportiva in cui la cronaca si mescolava alla

critica e ai dati si sovrapponevano le opinioni. Il valore degli articoli stava nella ricchezza del

linguaggio, l’avvenimento si trasformava nella rievocazione dell’avvenimento. E’ evidente che in

questo caso ci si trovò di fronte a un’alterazione di ciò che fino a quel momento era inteso per 

notizia e per giornalismo. Come scrisse Candido Cannavò riguardo ‘La Gazzetta dello Sport’ diretta

in quel momento da Gino Palumbo, di cui era vice e poi divenne suo successore, “la ‘Gazzetta’ 

trasandata, almanacchistica e graficamente inguardabile doveva diventare, senza perdere il suo

 spessore, un giornale di vita sportiva, di emozioni, di socialità, di costume, di ambiente: doveva

interpretare tutto ciò che ruotava intorno al crescente fenomeno sport”. Palumbo, che fu il primo

ad effettuare un importante cambiamento di rotta, capì in fretta che la concorrenza della televisione

aveva svuotato la vecchia formula della stampa sportiva. Scelse quindi di lasciare al piccolo

schermo la cronaca dell'evento sportivo, appropriandosi di tutto il resto, tutto ciò che in pratica la

televisione non poteva, per diversi motivi, sfruttare. Palumbo puntò molto sulle storie dei

  protagonisti dell'evento sportivo, sul lato umano e non solo su quello sportivo. Divennero

importanti i retroscena e tutto quel che c’era dietro, dentro e oltre la notizia. I giornalisti della

‘Gazzetta’ vennero istruiti sul dare la caccia a ciò che precedeva e a ciò che seguiva l'avvenimento

sportivo, alla ricerca di polemiche e curiosità. Con l’avvento di Palumbo cominciò per la ‘Gazzetta’ 

l'era dei titoli cubitali ad effetto e a tutta pagina, fino ad allora caratteristici del ‘Corriere dello

Sport’  di Ghirelli. Le fotografie trovarono sempre maggiore spazio e spesso erano di grandi

dimensioni. Vennero tolti i lunghissimi articoli che occupavano interamente la prima pagina e

furono rimpiazzati con altri titoletti forti e secchi e vari richiami. Nacque così la prima pagina con

funzione di “vetrina”, novità assoluta per il giornalismo sportivo italiano. Maurizio Mosca,

caporedattore di quel giornale, racconta così gli effetti dell'avvento di Palumbo, e di quello stile che

verrà chiamato “palumbismo”, al quotidiano sportivo: “Appena arrivato, Palumbo stravolse la

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  prima pagina della ‘Gazzetta’. Basta coi titoli bassi e magri, con quegli articoli infiniti che

riempivano la facciata del giornale. Titoloni giganteschi, prevalentemente a nove colonne, tutto

 strillato, foto grandi, qualche richiamo. E, dentro, tanta chiarezza anzitutto. I ‘bolli’ in alto a

indicare i vari sport, titoli forti, secchi, accessibilità a tutti”. Il quotidiano sportivo ha quindi saputo

sfruttare, meglio di tanti altri, la sinergia con la televisione, in un continuo gioco di richiami e

rimandi che si è rivelato funzionale ad entrambi i mezzi. L'aumento delle trasmissioni sportive delle

televisioni, invece di provocare un senso di saturazione e di rigetto, ha avuto un effetto di traino che

ha alimentato l'interesse e la curiosità del pubblico, facendo di numerosi telespettatori anche

  potenziali acquirenti del giornale sportivo. Il segreto è stato quello di riuscire ad adeguarsi,

immediatamente e senza compromessi, ai tempi e alle trasformazioni tecnologiche e

socioeconomiche in atto.

Il carattere fondamentale del giornalismo sportivo divenne la “retorica dell’avvenimento” che

 prevalse sull’informazione.

5) La retorica dell’avvenimento

Prima di tutto non si parla di retorica nel senso di artificio. Il termine viene usato nel suo significato

filosofico: l’arte di persuadere mediante strumenti linguistici. Retorica dell’avvenimento vuol dire

che l’avvenimento consiste, sulla pagina del giornale, in qualcosa che non esiste se non nelle

affermazioni del giornalista avvalorate dal lettore, se non nel colloquio che il giornalista stabilisce

con il lettore. Se leggiamo sui giornali della grande vittoria di una squadra, della bruciante sconfitta

di un’altra, di un calciatore che segna un gol o di un ciclista che vince una tappa, non si vuole certo

dire che queste notizie non corrispondano a fatti reali, ma tali fatti costituiscono il punto di partenza

di una rielaborazione, per dare vita ad un prodotto che trasforma i dati di cronaca nei simboli e negli

stilemi del linguaggio sportivo. La retorica dell’avvenimento non può però dimenticare

l’avvenimento. Il giornalista deve trovare l’opportuna armonia tra i dati e le immagini, tra le

classifiche e i significati; il suo deve essere una sorta di esercizio di equilibrio per far conoscere ai

lettori cose che in genere già conoscono in modo che appaiano come nuove. La peculiarità del

giornalismo sportivo è la capacità di fondere il modulo performativo della “pura cronaca” con

quello narrativo del racconto: una combinazione che si determina soprattutto nei casi in cui si debba

raccontare lo svolgimento di una gara. Questa fattispecie è ciò che rende al tempo stesso

affascinante e rischioso il compito del giornalista sportivo. L’inclinazione allo sviluppo di

canovacci narrativi è determinata dalla peculiarità del campo cui il giornalismo sportivo fa

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riferimento e degli avvenimenti che in tale campo si consumano. Sono diversi gli elementi che

concorrono a formare quest’ordine di cose: la dimensione del “dramma” (inteso come “sequenza di

azioni fatidiche”) insita in ogni gara sportiva, la configurazione costituita dalla contrapposizione di

forze, la chiara sanzione di una vittoria o una sconfitta al termine della configurazione, la retorica

della sfida, dell’eroismo e del record. Tutto ciò conferisce al giornalismo sportivo una vena

letteraria che, se assecondata, ne rappresenta la principale ricchezza come genere specialistico

d’informazione.

6) Il giornalista sportivo

I giornalisti sportivi sono una categoria di cui molto speso si sottovaluta l’intelligenza ma,

contrariamente alle apparenze, non è facile fare il giornalista sportivo. I requisiti fondamentali sono

due: la conoscenza tecnica delle discipline sportive e la padronanza del linguaggio, il possesso di

uno stile. A seconda dell’importanza che un giornalista da a uno o all’altro dei due requisiti, avremo

diverse rappresentazioni dell’avvenimento. La conoscenza tecnica è un presupposto di base , senza

il quale non si può praticare il giornalismo sportivo, poiché vengono a mancare i criteri specialistici

di valutazione. Dalla padronanza del linguaggio dipendono invece le possibilità di superare i limiti

della cronaca. E’ lo stile del giornalista che può trasformare la cronaca di un avvenimento nella

retorica dell’avvenimento, portando in primo piano i vari significati che esso può assumere

nell’immaginario collettivo. Una partita, una vittoria e una sconfitta possono diventare una miriade

di cose in un articolo giornalistico sportivo: un’impresa epica, la giocata di un fenomeno, di un

genio, una sfida di Davide contro Golia, una vendetta, ecc. In nessun altro campo dell’informazione

il linguaggio è così creativo e metaforico. Nel giornalismo sportivo quindi l’oggetto della notizia

non è l’avvenimento in sé, ma ciò che esso significa nell’immaginario pubblico e questo determina

l’impiego di tecniche in grado di valorizzare tale immaginario.

Ecco un esempio tratto da ‘La Gazzetta dello Sport’  del 19/05/2008: L’Inter vince il campionato

all’ultima giornata grazie al suo giocatore più rappresentativo, Zlatan Ibrahimovic che, dopo mesi di

assenza per infortunio, torna nella partita finale contro il Parma e, con due gol a circa 25 minuti

dalla fine della partita, consegna lo scudetto ai nerazzurri. In questo editoriale di Carlo Verdelli

Ibrahimovic viene dipinto come un genio appena uscito dalla lampada e come una via di mezzo tra

un mago e un corsaro. Ecco come cominciava il pezzo:

“All’ultimo respiro, quando già si spalancava sotto i piedi di squadra e tifosi la botola dell’inferno,

Mancini ha tirato fuori dalla panchina la lampada col genio, l’ha sfregata un po’e zac, il genio si è

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messo subito al lavoro: due gol, la storia che cambia direzione, il fantasma del 5 maggio

esorcizzato forse per sempre. Gloria e onori a Ibrahimovic, felice via di mezzo tra un mago e un

corsaro, salvatore della patria interista nel giorno in cui il confine tra la gioia e il magone si era

 fatto, anche per merito di una super Roma, sottilissimo.”

7) Rischio di de-generazione e tuttologismo

 Nella rilevanza del linguaggio sportivo si annidano naturalmente dei rischi. Uno di questi è la

degenerazione (o de-generazione, poiché alcuni giornalisti azzerano il loro genere per essere attratti

da altri). Una quantità eccessiva di metafore, stereotipi, neologismi, mitizzazioni e un loro utilizzo

maldestro possono convertire il potenziale retorico in “enfasi trombonesca”, la poesia della sfida in

stucchevole “jingle” e il dramma in farsa. Vi è quindi un’intrinseca ambivalenza del giornalismo

sportivo e un suo oscillare tra sublime e grottesco. C’è una particolare forma del giornalismo

sportivo che in alcuni casi è possibile riscontrare: quella del tuttologismo. Tale pratica è il frutto di

quell’ingiustificato complesso d’inferiorità che induce alcuni giornalisti sportivi ad “allargare

l’orizzonte”, con effetti, nel migliore dei casi, snaturanti del compito giornalistico loro assegnato. Si

 passa da un grado minimo del tuttologismo, che consiste nel mero distacco dal campo specifico, a

un grado massimo che coincide con l’esibizione di ambizioni enciclopediche. Tutt’altro discorso va

fatto per il giornalista sportivo con vocazione al ruolo d’intellettuale enciclopedico. Si tratta di quel

giornalista che, di qualunque tema calcistico o sportivo si discetti, trova modo per ampliare il

discorso ammucchiando alla rinfusa nozioni di cultura generale, aforismi e massime. Soprattutto, la

caratteristica del giornalista sportivo enciclopedista è quella di tirare in ballo tali argomenti nel

modo più presuntuoso possibile, e senza darsi cura che abbiano attinenza con l’argomento di

carattere sportivo che stanno sviluppando nell’articolo. L’importante è pompare il discorso con

riferimenti alla grande storia, ai maestri del pensiero, alle suggestioni della pittura surrealista;

arricchendo il tutto con estemporanee di pensiero filosofico. Un esempio emblematico è questo

articolo riguardante la nuova epoca d’oro del calcio milanese, alla vigilia di un derby. L’autore è

Mario Sconcerti che in questo caso va a ritroso fino ai longobardi:

“Non è vero che i derby sono tutti uguali. E’ vero che sono tutti molto belli e spesso particolari, ma

quello di Milano ha una sua profonda diversità. Gianni Brera mi raccontava sempre la superiorità

dei longobardi e del loro Derby. Io ribattevo che la diversità del popolo di Adelchi era semmai in

basso. I longobardi vivevano all’estremità della nazione tedesca, erano originari della Slesia, forse

 già un po’ polacchi. Arrivarono in Italia spinti dalle tribù germaniche più forti di loro e ebbero da

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noi vita facile trovando una penisola completamente distrutta dalle guerre fra goti e bizantini.

Tuttavia riuscirono nella difficile impresa di non conquistare tutta l’Italia dando origine a fratture

  politiche e culturali che sono state tecnicamente chiuse solo dalla cavalcata di Garibaldi. I 

longobardi sono stati utili e ruvidi, ma non parte da lì la diversità del derby lombardo. La sua

diversità sta nella sua grandezza. E’ sempre l’oro che fa i sentimenti, raramente l’inverso. (La

Gazzetta dello Sport 23 novembre 2002).”

8) Neologismi e Gianni Brera

La lingua dello sport è stata costruita in una progressione d’immagini, metafore e neologismi che in

 parte sono entrati nel linguaggio comune - pensiamo a termini come catenaccio, fare melina, tunnel,

marcare, stoppare, staccare, goleada - e i giornalisti sportivi che hanno avuto successo e fatto scuola

sono quelli che hanno saputo crearsi uno stile e rinnovare il linguaggio dello sport. Il nome più

 popolare è quello di Gianni Brera, senza ombra di dubbio colui che più di ogni altro ha innovato il

linguaggio del giornalismo sportivo. Gianni Brera possedeva uno stile tutto suo, assolutamente

inimitabile, intriso del suo dialetto, quello lombardo, della sua cultura letteraria, della sua capacità

creativa nel coniare neologismi ed espressioni che sono entrati nei dizionari italiani. Alla sua

inventiva si attribuiscono termini e definizioni come  Abatino (Gianni Rivera),  Rombo di tuono

(Gigi Riva),  Bonimba (Roberto Boninsegna),  Accaccone (Helenio Herrera), Stradivialli (Gianluca

Vialli),  Deltaplano (Walter Zenga) uccellare, centrocampista, goleada, forcing,  incornare,

 pretattica, melina, goleador , disimpegnare, rifinitura, cursore e libero (parola è stata accolta anche

nelle lingue francese, inglese e tedesca). E’ evidente come alla radice di tali invenzioni linguistiche

ci sia quel carattere fondamentale del giornalismo sportivo definito “la retorica dell’avvenimento”

 poiché l’uso di certe metafore e neologismi o chiamare Deltaplano il portiere Walter Zenga colloca

i calciatori in una sorta di universo fantastico e fumettistico dove gli sportivi e i calciatori

divengono eroi di una mitologia contemporanea.

 

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Bibliografia:

Papuzzi A., Professione giornalista – Tecniche e regole di un mestiere, Donzelli editore, Roma2003.

Russo P., Pallonate. Tic, eccessi e strafalcioni del giornalismo sportivo italiano, Meltemi Editore,

2003.

Linkografia:

http://www.storiaefuturo.com/it/numero_5/articoli/1_il-giornalismo-sportivo~72.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Brera

http://www.zam.it/home.php?id_autore=139

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