2005. Vincenzo Cicero, Introduzione a Jean Hyppolite, Genesi e struttura

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Jean Hyppolite Genesi e struttura della «Fenomenologia dello Spirito» di Hegel Introduzione, nota bibliografica e indici di Vincenzo Cicero Traduzione di Gian Antonio De Toni

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Jean HyppoliteGenesi e struttura della «Fenomenologia dello Spirito»di Hegel

Introduzione, nota bibliografica e indici di

Vincenzo Cicero

Traduzione diGian Antonio De Toni

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INTRODUZIONEdi

Vincenzo Cicero

«Se siamo in più d’uno ad essere in debitonei confronti di Jean Hyppolite, è perchéinstancabilmente egli ha percorso per noi eprima di noi il cammino con il quale ci siscosta da Hegel, ci si distanzia, e con ilquale ci si trova ricondotti a lui ma in altromodo, poi di nuovo costretti ad abbando-narlo.»

Michel Foucault

È arte di contenere a mente, il commento. Anzitutto di saperritenere e con-tenere in memoria i tratti via via salienti deldiscorso tenuto nel Libro, schizzandone contestualmente note,schemi e disegni per un loro puntuale richiamo alla mente.Personale più che informale, si potrebbe chiamarlo momentodel rammento.

Secondo, il commento è meditazione, riconsiderazione at-tenta del con-tenuto entro la rete di relazioni che lo concerno-no e compongono. Una specie di ricostituzione del sistema dacui soltanto i tratti con-tenuti ricevono piena significanza.Momento del ripensamento.

Terzo, il commento è trattamento peculiare del con-tenuto,riconfigurazione di esso in vista della sua trattazione pubbli-ca. E poiché ogni figura risulta sempre da fingimento, qui ilcontenuto è esposto a tutti i possibili favori e inconvenienti diquando la mente sta mentendo, – invenzione e dissimulazio-ne, stratagemma ed espediente, entimema e sofisma ecc. Mo-mento del trattamento.

Quarto, il commento è atto ermeneutico per eccellenza, conversante scrittorio incorporato. E un vero commento non silimita a essere esegesi parafrastica, ma, proprio perché è ricon-

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figurante per struttura, esso ospita entro sé interpretazioninuove, glosse ricreative a margine che si librano e sospendono,fino eventualmente a diventare a loro volta libro accanto alLibro. Interpersonale per eccellenza, è il momento del libra-mento.

Scandito in maniera opportuna in queste sue quattro fasi,il commento è un tipo di discorso che appartiene eminentemen-te all’escatologia. Non tanto perché esso sia sempre, in modopiù o meno esplicito, un discorso sull’Ultimo, quanto per ilsuo essere coinvolto in presa diretta nel tentativo di esorcizza-re il Logos ultimo. Commento è frutto, per lo più inconscio,della possente volontà di differimento: il suo istinto è di trat-tenere, frenare, arrestare l’avvento definitivo del Messia, oMorte ultima. Ma, come testimoniano proprio i suoi momen-ti strutturali, non gli sono del tutto precluse possibilità di op-porsi al “proprio” istinto.

Ora, una riflessione feconda su tali possibilità scaturiscedal singolare rapporto che lega Jean Hyppolite alla Fe-nomenologia dello Spirito di Hegel, – e già solo per que-sto l’opera ristampata nel presente volume meriterebbe di esse-re ognora consultata e riconsultata. Vero commento di un’ope-ra filosofica purosangue che, per alcuni, sarebbe addirittural’Opera.

Con la traduzione del capolavoro hegeliano, la quale lo avevatenuto occupato per oltre un decennio e venne pubblicata in dueparti (la prima nel 1939, la seconda nel 1941), Hyppolitematurò quel tipo di esperienza straordinaria, prescritta daNovalis nella sua “Dottrina dei doveri del lettore” (fr. 2005,ed. Dresda), che durante il travaglio ermeneutico non può nonculminare nell’identificazione totale con l’autore tradotto:«fino all’annullamento della sua stessa personalità intellettua-le», diceva Valery Larbaud. E, sfidando dritto negli occhi ildestino corrivo del traduttore – restare un misconosciuto, unfanalino di coda, un mendico, un servo miserrimo, ignorato o,

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peggio, accusato di tradimento spesso senza prove (sempreparole di Larbaud) –, Hyppolite decise di redigere la granmole di rammenti e ripensamenti covati durante quegli anni dilavoro «in oscuri licei della provincia francese» (Figures I, p.236). Così nel 1946 vide la luce la Genèse et structurede la “Phénoménologie de l’Esprit” de Hegel.

Le prime reazioni (Jean Wahl, Roger Caillois, NorbertoBobbio) concordarono sostanzialmente nel concludere chel’estrema fedeltà al testo hegeliano, pedissequamente tallonatofin paragrafo per paragrafo, aveva impedito a Hyppolite dimarcare la distanza necessaria per una valutazione criticaglobale della Fenomenologia e per una individuazione esoluzione dei suoi problemi-chiave.

Intanto l’uscita nel 1947, a cura di Raymond Queneau econ il titolo di Introduction à la lecture de Hegel, deifamosi corsi di Alexandre Kojève sulla Fenomenologia te-nuti all’École pratique des Hautes Études di Parigi dal 1933al 1939, rendeva improcrastinabile anche il confronto tra idue commenti, inaugurato infatti subito dal gesuita GastonFessard, frequentatore assiduo di quei corsi. Davanti allagenialità, all’ardore e all’arditezza dell’interpretazione diKojève, l’abnegazione, la pazienza, l’onestà scrupolosa, lafinezza, le vaste cognizioni e la memoria ricca e pronta diHyppolite apparvero spiccare ai più come doti modeste, utili sìa gettar luce su dettagli pure importanti dell’opera hegeliana,ma insufficienti a cogliere la portata complessiva della suaimpalcatura e il senso ultimo del movimento dialettico chel’attraversa.

Nel 1949, infine, un breve e denso saggio di GeorgesCanguilhem, intitolato Hegel en France, riconosceva al-l’impostazione hyppolitiana di essere la più obiettiva e impar-ziale nell’ambito degli studi francesi contemporanei sullaFenomenologia e sulla filosofia hegeliana in generale (e quibisogna menzionare, oltre all’esistenzialista Wahl e all’“esulerusso” Kojève, almeno il cattolico Henri Niel e il marxista

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indocinese Tran-Duc-Thao). Un felice tentativo di riequili-brio delle forze ermeneutiche nel campo delle Études Hégé-liennes del tempo. Jean Hyppolite, poco propenso a buttarsinella dossomachia allora montata attorno all’ateismo sostan-ziale del filosofo di Stoccarda e alla sua ufficiale professionedi fede luterana, cominciava a ricevere consensi sulla propriaoperazione: prima di tutto, interpretare Hegel con tutto Hegelstesso.

Ogni commento è, in quanto tale, geneticamente sistematico,altrimenti scade a rapsodia di annotazioni. Nel caso diGenèse et structure, il sistema diretto di riferimento è illibro Fenomenologia dello Spirito, invece il quadro com-positivo primario è l’intera produzione hegeliana, dalleTheologische Jugendschriften alla prefazione alla secon-da edizione della Logica: il libro Hegel. (Oggi può apparirescontato, ma non lo era affatto nella prima metà del secoloscorso, se solo si pensa che, mentre p.es. Richard Kroner eNicolai Hartmann trascuravano gli scritti giovanili, TheodorHaering e Jean Wahl erano interessati soprattutto alla genesifenomenologica del sistema.) Sullo sfondo troviamo poi, adisposizione concentrica, gli altri contesti naturali che Hyp-polite ha cura in parte di ricostruire, in parte di richiamare perillustrare i passi più oscuri o per esplicitare le molte citazioninascoste nel testo: dal pensiero tedesco post-kantiano alla sto-ria della filosofia nel suo complesso.

Inoltre, poiché un sistema costituisce una totalità organicadi proposizioni e concetti coordinati e unificati sotto un unicoprincipio fondamentale, un commento serio mirerà sin dalleprime mosse a considerare il principio sistematico del suo con-tenuto. In Genèse et structure la registrazione di questopassaggio determinante non manca, dimora solo in una zonadecentrata, nell’introduzione alla parte III che ha per temal’autocoscienza: «Nel periodo di Jena Hegel [...] critica lafilosofia-della-riflessione di Kant, di Jacobi o di Fichte, sem-

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pre ferma all’opposizione, e sembra adottare da parte sua lafilosofia-dell’intuizione di Schelling che coglie direttamentel’identità dell’Assoluto nelle sue diverse manifestazioni; maimplicitamente egli si oppone già anche a quest’ultima filoso-fia che cancella le differenze qualitative, le riduce a differenzeindifferenti, a differenze di potenza. Non si deve pensare solol’identità, ma “l’identità dell’identità e della non-identità” –formula che riprende in linguaggio tecnico quella già compar-sa negli scritti giovanili, “la connessione della connessione edella non-connessione”» (infra, p. 183).

La formula in questione – come abbiamo mostrato in unaprecedente ricerca, chiamandola Identità speculativa (IlPlatone di Hegel, cap. I) – esprime l’originaria auto-differenziazione dell’Assoluto, articolata in senso triadicosecondo una medesima legge che si ripete nel Tutto come nelleparti; ed è appunto la formula strutturale fondamentale delsistema hegeliano. Hyppolite non si limita a comprenderne lavirtù paradigmatica, ne fa l’invenzione grazie a cui il filoso-fo di Stoccarda compie la svolta decisiva nel proprio processodi formazione, garantendo al processo stesso un’intima profon-da coerenza: «Siamo di fronte a un’immagine mistica, quelladi un Assoluto che si divide e si spezza per essere assoluto, enon può essere un sì che dicendo no al no; ma in Hegel taleimmagine mistica si traduce nell’invenzione di un pensierodialettico, e questo pensiero vale per l’intensità dello sforzointellettuale che attua di fatto. Il pantragismo degli scrittigiovanili trova la sua espressione adeguata in questo panlo-gismo che, grazie allo svilupparsi della differenza in op-posizione e dell’opposizione in contraddizione, diviene illogos dell’Essere e del Sé» (infra, p. 184)1.

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1 Del concetto di Pantragismus, relativo agli scritti del giovaneHegel e indicante una visione della vita umana e della storia sosta-zialmente tragica, dominata dalla colpa, Hyppolite si riconoscedebitore a Hermann Glockner (Hegel, I, p. XII); v. anche infra, pp.39-40 («il pantragismo della storia e il panlogismo della logica non

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In ordine all’inquadramento sistematico del con-tenuto dellibro, dunque, stella polare di Hyppolite risulta la convinzio-ne che la Fenomenologia dello Spirito, traducendo in ter-mini fenomenologico-storici la dialettica dell’Assoluto autodif-ferenziantesi, costituisca il luogo speculativo in cui la visionepantragica della vita dei primi scritti di Hegel trapassa, inmaniera conseguente – sebbene, forse, depauperante –, nelpanlogismo che caratterizza le opere mature.

Il modo sapiente con cui Hyppolite tratta – ossia riconfi-gura – tale traduzione, e che dipende proprio da quella debi-ta distanza ermeneutica non sempre riconosciutagli, va sag-giata tra le pieghe del commento alle due parti conclusive dellibro: la religione e, soprattutto, l’ultima figura fenomenologi-ca racchiudente in sé le nervature e le ragioni del trapasso: ilsapere assoluto, la Storia compresa concettualmente.

Sezione enigmatica di un libro che risolve meno aporie diquante non ne provochi, il sapere assoluto è stato – si può dire,e ben al di là di Genèse et structure – il chiodo fisso diJean Hyppolite, il quale l’ha ritenuto l’unica chiave in gradodi aprire davvero il serraglio speculativo hegeliano, nonché diguidare oltre lo stesso Hegel. Tutto sta nel saperla introdurrenella toppa dal verso giusto: «Quale il senso di questa nuovafigura, non solo in rapporto alla coscienza individuale che ac-ceda al sapere, ma pure nei confronti dello spirito e del suo svi-luppo storico, e anche in rapporto alla religione? Qui emergecertamente uno dei problemi più oscuri della Fenomenolo-gia, e bisogna riconoscere che le pagine molto dense e moltoastratte sul sapere assoluto ci illuminano poco» (infra, p. 92)2.

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sono che una sola e medesima cosa»), e, sempre dello studioso fran-cese, Introduzione alla filosofia della storia di Hegel, pp. 315-316 e nota13, e il saggio del 1964 Le tragique et le rationnel dans la philosophie deHegel.

2 V. anche infra, p. 707: «Non v’è capitolo della Fenomenologia piùoscuro di quello che chiude l’opera col titolo “Il sapere assoluto”».

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Chiodo fisso, a splinter in the mind – ciò dice certoinsoddisfazione, disagio per una soluzione saputa come insuf-ficiente, ricerca tormentata della configurazione concettualefinalmente felice: solo dalla seconda metà degli anni ’50,infatti, si può forse parlare di una “soluzione hyppolitiana”del problema oscuro del sapere assoluto, nella prospettiva di unincontro proficuo con il pensiero di Martin Heidegger. Maquesto non significa affatto che in Genèse et structuremanchi una presa di posizione a riguardo. Anzi, essa vienepreparata in un capoverso esemplare della sezione sulla reli-gione (infra, p. 671, e l’importante nota 31 con locuzioneemblematica), dove ne va pure della comprensione del rappor-to immanenza/trascendenza e, in controluce, del problemadella fine della storia in Hegel.

Essendo prêt-à-lire la pagina in questione, ci sentiamoautorizzati a citarla in compendio con lievi ritocchi, e con duenostri rilievi in corsivo: “Fra il misticismo, in cui la vita del-l’umanità è un momento della vita divina, e l’antropologiafilosofica, che riduce dio all’uomo, qual è la soluzione diHegel? Certo non si tratta di una soluzione mistica: nelle for-mule di certi mistici egli vede già l’immagine della propriadialettica. Ma la sua soluzione non è neppure un’antropologianel senso di Feuerbach. Hegel parla sì dell’uomo-divino-uni-versale succeduto al dio-uomo, ma il suo pensiero restaequivoco e apre la via alle interpretazioni notevolmentediverse dei suoi discepoli. Nell’insieme, la lettura delle paginesulla religione nella ‘Fenomenologia’ suggerisce più un’inter-pretazione umana della religione che non un assorbimentodella vita umana in quella divina. – Caratteristico del pensie-ro hegeliano ci sembra soprattutto lo sforzo che esso compienell’intento di superare il grande dualismo cristiano fra l’al-dilà e l’aldiqua. Il fine della dialettica della religione non èforse quello di arrivare a una riconciliazione completa dellospirito-nel-mondo e dello spirito assoluto? Ma allora non sidà più alcuna trascendenza fuori del divenire storico. Tutta la

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fenomenologia appare come uno sforzo eroico per ridurre la‘trascendenza verticale’ a una trascendenza ‘orizzon-tale’” 3.

E così, se Kojève considera la Fenomenologia come laricostruzione scientifica dell’erranza umana entro la cornicedi una negazione radicale di ogni trascendenza (Introduzio-ne, VI, lez. 12), Hyppolite si sforza di riconfigurare il supe-ramento hegeliano della dicotomia aldiqua/aldilà nel senso diuna trascendenza orizzontale. La locuzione è proposta condiscrezione, quasi con timidezza, in fondo a una nota a pie’di pagina, segno di un nodo da sciogliere più avanti, in altrasede. Tuttavia il suo significato, nel contesto dell’intero com-mento, traspare abbastanza lucidamente (v. anche infra, p.58, e la parte VII, passim), e lo si può enucleare come segue:Quando lo Spirito, il quale è per essenza un autotrascendersi,si riconosce infine proprio come autotrascendimento assoluto,che dunque rimane tale anche nella suprema riconciliazionecon se stesso, allora svanisce ogni aldiqua e ogni aldilà, ognicontrapposizione di immanenza e trascendenza, e, nell’epocadella Storia concettualmente compresa, gli eventi sembranodarsi ormai solo sotto l’egida dell’intersoggettività (orizzon-talità) autoriconoscentesi dello Spirito nella costante ulteriori-tà del suo trascendere se stesso.

Che la “timida” nozione di trascendenza orizzontale siaintimamente implicata nella soluzione dell’enigma del sapereassoluto, rappresentando il limen concettuale entro il qualeHyppolite ritiene sia ancora Hegel a parlare attraverso il com-mento, lo dimostra il fatto speculativo che l’autotrascendimen-

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3 È assai significativo che dieci anni dopo, nella conferenza del1957 tenuta a Bruxelles sul tema La “Phénoménologie” de Hegel et lapensée française contemporaine, Hyppolite abbia ripreso alla lettera lanota 31 di p. 671 di Genèse et structure, come documento della pro-pria posizione ermeneutica “equidistante” tra uno Hegel ateo mili-tante alla Kojève e uno Hegel pensatore religioso à la Fessard ouNiel.

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to discende dall’autodifferenziazione originaria dell’Assoluto.Lo studioso francese ne è consapevole al punto che, in unodegli ultimi brani cruciali di Genèse et structure, si servedella formula dell’Identità speculativa (l’Assoluto come iden-tità dell’identità e della non-identità) per tradurre l’esito dellafigura del sapere assoluto: «La dialettica del Logos e dellaNatura è il perpetuo autoporsi della loro unità vivente che è loSpirito» (infra, p. 743). Con ciò Hyppolite salda il filosofe-ma dell’Assoluto autodifferenziantesi, di matrice eracliteo-platonica e come tale assunto dal giovane Hegel per farne ilprincipio strutturale del proprio sistema, ai tre termini dei tresillogismi che coronano la Scienza sistematica dello Hegelmaturo (Enciclopedia, §§ 575-577); e il luogo della sal-datura è il capitolo del sapere assoluto, che, riepilogando in séla rielaborazione strutturale delle scoperte giovanili e il prean-nuncio della loro applicazione al sistema futuro, si rivela mal-levadore sommo della profonda unità d’ispirazione del pensie-ro hegeliano.

Unità logica profonda che, però, non basta a impedireuna certa equivocità alla superficie della dialettica storica. «Ilpensiero di Hegel resta equivoco», dice Hyppolite: «Come mo-mento della storia del mondo il sapere assoluto, che riconciliail momento temporale con una verità in sè fuori del tempo, civiene presentato in una forma troppo vaga per non aprire lavia a interpretazioni diverse, senza che noi si possa indicareesattamente quella che costituisca l’eredità autentica dellohegelismo» (infra, p. 739)4. Questa ambiguità e vaghezza

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4 Cfr. l’ultima frase con cui si chiude l’Introduzione alla filosofiadella storia di Hegel (1948): «Nel pensiero di Hegel sussiste un’ambi-guità, poiché forse la riconciliazione fra lo spirito soggettivo e quel-lo oggettivo – sintesi suprema del sistema – non è integralmenterealizzabile». In Humanisme et hégélianisme, comunicazione fatta nelsettembre 1949 al I Congresso Internazionale di Studi Umanisticidi Roma, l’ambiguïté de la position de Hegel è esplicitamente al centrodell’agile argomentazione di Hyppolite: «L’equilibrio che Hegelvuole mantenere tra lo spirito assoluto e l’umanità è un equilibrio

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della fisionomia cosmostorica del sapere assoluto non di-penderebbe dunque da un difetto dell’ermeneusi posteriore, mada un’autentica aporia di Hegel, tra le capitali del suo pen-siero. La Fenomenologia ne sarebbe rimasta condizionatanei suoi punti nevralgici, specie nell’ultima sezione, destinataa fare da cerniera con la Logica.

Qui si ferma Genèse et structure, senza complessi diinferiorità, piuttosto con l’autorevolezza derivante da una fre-quentazione hegeliana assidua e documentatissima di oltre 15anni, e con la messa a frutto di un talento divulgativo raro tragli studiosi del filosofo di Stoccarda. Si ferma, dopo aver coltosicuramente la portata complessiva dell’impalcatura dellaFenomenologia dello Spirito e il senso primario delmovimento dialettico che l’attraversa; dopo aver senz’altromarcato la distanza necessaria per una valutazione criticaglobale dell’opera; e se, dopo averne individuato i problemi-chiave, alcuni non li risolve, ciò accade solo perché agli occhidel commentatore è più importante rilevare l’equivocità delleformulazioni dello stesso Hegel che non avanzare una solu-zione personale. Commentare è anzitutto saper lasciare laparola a chi l’ha pronunciata. In ciò Jean Hyppolite è unmaestro.

Il concetto di trascendenza orizzontale, escogitato nel sensodell’autotrascendimento assoluto dello Spirito, ha assunto lafunzione di filosofema di confine in cui il commentatoreHyppolite lascia per un’ultima volta la parola a Hegel, –estremo plesso speculativo ancora dicibile in termini hegeliani,ma oltre il quale si librano e s’impaginano altri libri. Negli

instabile, e rischia di sfociare, in ultima analisi, in una filosofia dellastoria che giustifichi una negazione della personalità umana»(Figures I, p. 149). Nella relazione del 1952 al II Congresso, Ruse dela raison et histoire chez Hegel (“Astuzia della ragione e storia inHegel”), l’ambiguità dello hegelismo è messa in rapporto con iltopos della fine della Storia.

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anni seguenti alla pubblicazione di Genèse et structure, losviluppo di questa nozione consente allo studioso francese diapprofondire in maniera più personale il tema del sapere asso-luto e di fornire un onesto contributo alla discussione dell’apo-ria della “fine della Storia”. Non sarà quindi fuori luogo unasbirciata veloce a queste propaggini.

Allo stacco del commento, la domanda hyppolitiana è: «Sideve forse pensare che Hegel abbia ingenuamente creduto chela storia finisse col suo sistema?» (infra, p. 58).

Kojève l’ha pensato, con premessa: «indipendentemente daciò che ne pensa Hegel» (Introduzione, I, Note prel.). Perlui l’avvento del Saggio5, ossia del Sapere assoluto che è auto-re della Fenomenologia e si appresta a scrivere la Logica,costituisce l’ultimo evento storico, il Discorso atemporale concui la Storia ha fine, con cui si arresta la serie dei Discorsidesideranti-erronei-erranti dell’Uomo divenuti poco a pocoappagamenti-verità. L’Uomo non ha più alcun Desiderio, nontrascende più il dato reale, non erra più. Il Saggio è il Logosincarnato, che mangia e beve senza rinnegare l’imperfezioneche l’ha fatto divenire carne, e muore senza resuscitare (ibid.,VI, lez. 11): Uomo divenuto Dio, non Dio divenuto Uomo(lez. 12). Da allora – Jena, ottobre 1806 – molte cose sonosuccesse, «ma nulla accade più veramente» (Jacob Taubes).

In effetti c’è da dire che, se il motore della Storia è ilDesiderio di Riconoscimento, cioè il desiderio di essere deside-rati – la grande scoperta che Kojève ascrive a Hegel –, allo-ra, una volta annunciato l’autoriconoscimento definitivo delSaggio, diventa semplicemente tautologico parlare di fine dellaStoria. E se tale riconciliazione dello Spirito assoluto con sestesso ha trovato la sua traduzione politica in ciò che Kojèvechiama “lo stato universale e omogeneo”, emerso dalla Rivo-luzione francese e dall’Impero napoleonico a vigere tuttoggi,

5 La distribuzione schizoide delle maiuscole è dovuta alla sceltadi aderire all’uso peculiare che ne fa l’autore (o il suo editore) voltaa volta in questione.

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non c’è allora da meravigliarsi quando, senza analogo gustoper il paradosso, il suo epigono nippo-statunitense FrancisFukuyama parla della democrazia liberale (solo l’ennesimonome per quella universalità e omogeneità statuale) come dellaforma perfetta di governo e del punto culminante dell’evolu-zione ideologica dell’umanità.

Hyppolite è di tutt’altro avviso: «Senza dubbio le categoriedell’assoluto si disvelano anche nell’erranza della storia, mail discorso organico di queste categorie, la logica hegeliana, ilLogos dell’Assoluto, non è la storia. La storia, come la natu-ra, non è fuori dell’Assoluto, ne è anch’essa rivelazione, ma lastoria è ancora spirito finito (spirito oggettivo), e l’errore sa-rebbe credere che, in quanto l’idea assoluta si manifesta nellastoria, l’assoluto sia storico, una fine della storia. Non sem-bra che Hegel abbia veramente commesso questo errore» (Fi-gures I, p. 157). Quale che sia stata la convinzione di Hegelin proposito, il concetto di fine della storia resta quindi perHyppolite preda dell’errare, di un vero e proprio perseverarenell’erranza stessa della storia.

Ma il confronto schietto con il pensiero di Kojève arriva inoccasione della conferenza di Bruxelles del 1957, La “Phé-noménologie” de Hegel et la pensée française con-temporaine6; quasi metà dell’esposizione è dedicata al pa-rallelo delle due introductions alla lettura della Fenome-nologia, presentate come assai differenti solo in apparenza.A interessarci ora è soprattutto la conclusione, la quale, prece-duta dalla menzionata autocitazione della nota sulla trascen-denza orizzontale, fa perno ancora una volta sul sapere asso-luto: «Ritengo l’interpretazione di Kojève troppo unilateralmen-te antropologica. Il sapere assoluto non è, per Hegel, una teolo-gia, ma non è neppure un’antropologia. Esso è la scoperta dello

6 Solo dopo la pubblicazione di Logique et existence. Essai sur lalogique de Hegel (1953) Hyppolite è riuscito a chiarire a se stesso ledifferenze sostanziali tra la propria interpretazione hegeliana equella di Kojève; cfr. Figures I, p. 241.

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speculativo, d’un pensiero dell’essere che appare attraversol’uomo e la storia, la rivelazione assoluta. È il senso di questopensiero speculativo che mi oppone, sembra, all’interpretazio-ne puramente antropologica di Kojève» (Figures I, p. 241).

Se l’opzione dell’autotrascendimento assoluto dello Spiritoin Hegel aveva orientato da tempo Hyppolite verso la negazio-ne di ogni interpretazione sia antropologica sia teologica delsapere assoluto, nella conferenza di Bruxelles troviamo infineribadita la sua professione di fede per l’ontologia, il pensierodell’Essere, il dire dell’Essere, rinnovata in un senso che nonè certo azzardato definire “heideggeriano”: per cui il sapere as-soluto di Hegel viene interpretato come l’Essere che pensa e dicese stesso in speculum humanum, in e attraverso l’uomo.

L’incontro effettivo con la Lettera sull’Umanismo diMartin Heidegger era già stato decisivo per Hyppolite, qual-che anno prima7, per ricalibrare il rapporto hegeliano traLogos e Polis, come attesta palesemente la locuzione la de-meure de l’Etre (das Haus des Seins) riferita al lin-guaggio: «L’uomo è coscienza e autocoscienza universale. Lamanifestazione di questa autocoscienza universale non è più loStato, ma il linguaggio autentico, che è la casa dell’Essere.Non è l’uomo a interpretare l’Essere, è l’Essere a dirsi nell’uo-mo» (ib. I, p. 157).

Il ricorso a Heidegger ha dunque permesso a Hyppolite siadi contestare l’escatologia politica di Kojève, sia di approfon-dire la propria “scheggia mentale”, il sapere assoluto dellaFenomenologia, in direzione di una sua riformulazionecapace di evitare l’“ambiguità” hegeliana. Il ricorso si è poitrasformato in dialogo frontale quando lo studioso francese haletto il saggio heideggeriano Hegels Begriff der Erfah-rung contenuto in Holzwege, ricavandone alla fine deglianni ’50 uno scritto deferente pubblicato solo dopo la sua

7 Nel 1952, al 2° Congresso Internazionale di Studi Umanisticidi Roma.

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morte, dal titolo Étude du commentaire de l’Intro-duction à la “Phénoménologie” par Heidegger.

«Heidegger commenta da filosofo questa introduzione», –frase in cui è distillata tutta una deontologia del commentato-re di opere filosofiche; e sulla stessa lunghezza d’onda siaggiunge: «mai l’intenzione hegeliana è stata meglio esposta,compresa» (Figures II, p. 628). L’ammirazione per il filoso-fo tedesco contemporaneo è confermata anche dai rilievi criticiche Hyppolite muove a Hegel; la terminologia e l’argomenta-zione sono, necessariamente, heideggeriane, ma il commenta-tore2 appare identificarsi in toto con il commentatore1:«Hegel, a sua stessa insaputa, non può evitare il linguaggiodell’essere: non dice forse “solo il sapere assoluto è”? (...)Hegel, in effetti, ha colto l’essere dell’essente come l’assolutonella sua soggettività (l’assoluto è soggetto); in tal modo egliindica un’epoca della metafisica, quella in cui l’essere èapprofondito e svelato come il soggetto assoluto; ma oblia lafinitezza fondamentale del Dasein; oblia che questa rivela-zione è al tempo stesso una dissimulazione, e che non si trat-ta che di un’epoca dell’essere. Infatti, questo assoluto è unoblio della finitezza di ogni svelamento» (ib. II, p. 635).

A Jean Hyppolite il Sein che si dice nel Dasein, l’Essereche parla in e attraverso l’esserci dell’uomo – il Logos che,pur non essendo nulla di umano, può tuttavia darsi e dirsi solomediante quell’esistente che è l’uomo –, è apparsa in definiti-va la migliore formula “correttiva” del rapporto hegelianoaporetico tra sapere assoluto e finitezza. Una convinzione ma-turata lungo trent’anni di studi dedicati al tema, che neanchela parentesi dell’infatuazione fichtiana degli anni 1960-64 èriuscita a smuovere. In quello che è probabilmente il suo ulti-mo scritto su Hegel8, infatti, Hyppolite parla della necessitàper il discorso filosofico di riconoscere, «forse più ancora di

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8 Structure du langage philosophique d’après la Préface de la “Phénoméno-logie de l’esprit” (“Struttura del linguaggio filosofico secondo la Prefa-zione della Fenomenologia dello spirito”, risalente, sembra, al 1967).

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XIXIntroduzione

quanto non l’abbia fatto Hegel» (Figures I, p. 352), il latodella finitezza irrimediabile del Logos, l’aspetto naturaleineliminabile dal darsi del linguaggio.

Il commento di Jean Hyppolite alla Fenomenologia delloSpirito è ancora oggi, a sessant’anni suonati, un modelloinsuperato di interpretazione “oggettiva” del libro più famosodi Hegel. Lo studioso francese è un fedele servitore, non unservo, dello stato testuale, cresciuto alla ferrea disciplina pan-mimetica della traduzione, di cui il commentum è natura-le prosecuzione e corona esegetica, – ne L’ordine del di-scorso Foucault sa dire con arguzia una verità sacrosanta: «ècapitato ai tedeschi di consultarlo per capire meglio quella che,almeno per un istante, ne diventava la versione tedesca». Unillustratore rigoroso, capace appunto di piazzare i giusti luminelle parecchie zone oscure della selva hegeliana. Il suo è uncommento ricco, mai tracimante, di informazioni; con note ebibliografia essenziali. Puntuale, di agile consultabilità, benscritto. E soprattutto equilibrato. Equi-librato, vorremmodire: perché si adegua mirabilmente al libro che commenta,conferendo pari dignità alle sue varie parti e configurazionidialettiche, – in quest’ottica p.es. il suo atteggiamento è l’esat-to contrario del pronunciato privilegio ermeneutico accordatoda Kojève alla dialettica servo/padrone. La parola, ogni suaparola, è lasciata a Hegel, affinché poi, sui margini delle pa-gine così riassicurate, i lettori siano sicuri di glossare proprioil testo hegeliano, non un altro.

Giusto per queste sue qualità, il commento di Hyppolitenon arriva a farsi libro. Neppure quando, con gli scritti suc-cessivi, egli lascia corda all’istinto e cerca la soluzione del-l’aporia hegeliana, ossia quando è in cerca della propria pa-rola; ciò che trova, come abbiamo visto, non è se non un filo-sofema heideggeriano. Il suo è insomma uno straordinariocommento storico-filosofico, solo non en philosophe, non dafilosofo.

Page 17: 2005. Vincenzo Cicero, Introduzione a Jean Hyppolite, Genesi e struttura

Kojève e Heidegger, per menzionare i due più grandi com-mentatori della Fenomenologia con cui lo stesso Hyppolitesi è misurato, hanno letteralmente scompaginato questo libroper rimetterne allo scoperto i fili messianici, nella consaputaprospettiva dei frutti e dei pericoli che ciò può comportare: ementre per Heidegger si trattava di aggiungere un capitoloimportante al proprio già ponderoso volume, Kojève, con larilegatura ingegnosa delle nuove pagine sul Riconoscimento,dava vita alla sua prima pubblicazione.

Hyppolite, dal canto suo, definisce così i propri lavori inrapporto alla ermeneusi kojèviana: «Rispetto a questa inter-pretazione così ricca e così personale, spesso così giusta, lamia voleva essere più modesta e proporsi un obiettivo piùristretto: fornire ai ricercatori e ai filosofi uno strumento dilavoro, una traduzione quanto più possibile letterale e leggibi-le, e un commento che mettesse in rilievo la straordinaria ric-chezza concreta di ciascuna delle dialettiche della Fenome-nologia, dei fenomeni messi in luce da Hegel» (Figures I, p.239).

Obiettivo centrato.

Rometta Marea, giugno 2005

XX Vincenzo Cicero