2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

4
LA REPUBBLICA 41 SABATO 20 DICEMBRE 2003 l’irrazionalità di una storia che risa- liva al Creatore e che non era possi- bile processare in Eichmann “stru- mento di Dio”, anche l’Onnipoten- te. E questa sarà anche la ambiguità del processo a Saddam Hussein, a cominciare dalla formazione della Corte perché o si sceglierà un pro- cesso sommario, in pratica una ese- cuzione che tagli tutti i nodi irrisol- ti, o bisognerà entrare nel bosco di spine che è stata la vicenda di Sad- dam Hussein, raccontare (senza giudicare) che non molti anni fa il vice presidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, lo corteggiava per i buoni affari della petrolifera Hally- burton e che il Bush padre lo aveva salvato nella prima guerra del Golfo per gli interessi americani. Un gros- so rischio questo processo al Sad- dam vinto e catturato il rischio che, una parola tirando l’altra, si finisca per affrontare la pagina ostica dei rapporti amorosi fra la Cia, il Penta- gono e il dittatore ma anche con i mujahiddin di Osama Bin Laden poi diventati i demoniaci talebani. Insomma un ginepraio in cui l’inte- ro gruppo di potere americano do- vrebbe render conto di averlo fab- bricato lui questo inestricabile no- do di stampo colonialistico, senza neppure la sapienza e lo stile che ci mettevano gli inglesi della regina Vittoria. Di chi sarà la gestione del processo? Chi avrà il compito di contenerlo agli ultimi anni? Gli ira- cheni si dice, ma quali iracheni? Gli oppositori di Saddam per ragioni religiose, o quelli legati mani e piedi ai grandi interessi occidentali? Al confronto il processo Eichmann è stato un processo facile prevedibile. Gli venivano fatte domande di cui tutti conoscevano le risposte a cui dava delle conferme precise, detta- gliate perché tutti erano d’accordo che il genocidio c’era stato e che Adolf Eichmann era stato il capo- stazione della morte. C’erano è vero anche le complicità dei vincitori nell’avere permesso la nascita e la crescita del nazismo, ma l’immane sacrificio de- gli ebrei li autorizzava a porsi come giudici del male assoluto, come lo chiama Gianfranco Fini. E nessuno, salvo alcuni storici revisionisti avrebbe tentato la difesa del boia tecnologico che assumeva tutte le colpe penzolando da una forca segreta nella tunica rossa dei condannati a morte. Un processo corto a Saddam con accuse limitate o lunghissimo come è stato quello di Eichmann in cui le contraddizioni di fondo si scioglievano scomparivano nel ma- re delle carte e delle testimonianze? Se si sceglierà il processo monstre si finirà come a Gerusalemme in un pro- cesso spettacolo e lette- rario a cui arriveranno da ogni parte del mondo scrittori, giornalisti, tu- risti. A Gerusalemme ca- pitò anche Alberto Sordi che stava girando a Ne- gev un film con David Niven, «I due nemici». Veniva a pranzare con noi alla Gondola, un ristorante gestito da una signora di Treviso che faceva una cucina veneta ma con profumi e aromi mediorientali, quell’odore agrodolce di Israele di eucaliptus e di benzina. Ascoltava le nostre di- scussioni sul processo ma da roma- no che non cerca guai si limitava a qualche «ammazzate» che poteva voler dire tutto o niente. Oppure se la cavava con il suo mestiere, faceva una imitazione perfetta di Eich- mann e diceva: «Lo vedi il tremolio del sopracciglio? Ma se lo facessi in un film direbbero che carico». H o assistito a un processo per delitti contro l’umanità, si- mile a quello che si prepara per Saddam Hussein, nel 1961 a Ge- rusalemme. Non si può dire che il processato, Adolf Eichmann, il “ca- postazione della morte” l’organiz- zatore della strage di sei milioni di ebrei sedesse “sul banco degli accu- sati” perché stava in una gabbia di vetro infrangibile come un uccello- diavolo, con una sedie a e un tavoli- no su cui teneva i suoi quaderni di appunti. Dopo pochi giorni la gab- bia dello sterminatore, dell’uccel- lo-diavolo appariva come un lindo, ordinato ufficio, simile a quello che aveva occupato a Berlino all’Rsha 4, centrale della sicurezza del Reich: la cuffia per ascoltare giudici e testi- moni, i tre microfoni per parlare, i blocchetti di carta per gli appunti, le matite nere rosse e blu, sempre ap- puntite, le cartelle distinte per argo- menti, e appena il presidente, il pubblico accusatore, un testimone, facevano un nome, una data, un nu- mero le sue dita magre correvano si- cure a una delle cartelle scritte in nero, catalogate in rosso, numerate in blu. I servizi segreti di Israele lo avevano catturato in un sobborgo di Buenos Aires, portato in aereo a Gerusalemme per essere processa- to nella sala della Beit Haan circon- data da fortini e filo spinato. Era un signore di mezza età con radi capel- li di un biondo sbiadito, viso magro, occhiali a lenti spesse. Indossava un abito grigio ferro con cravatta dello stesso colore ac- quistati dai carcerieri che lo davano già per morto e non si preoccupava- no più di tanto della fattura. Neppu- re lui sembrava attento alla forma, sapevamo che si sbarbava con un rasoio elettrico, che si rifaceva il let- tino e faceva ordine prima di arriva- re nel tribunale. Era evidente che ne derivava un profondo disagio che il processo al mostro, all’uomo del male assoluto era impossibile; che processare lui solo per una follia collettiva, per una dege- nerazione della cultura romantica, per una fuga dalla ragione di milioni uomini, per una oscura intuizione di future guerre razziali era come chiedere a tiranni ben più famosi di lui a un Na- poleone o a un Attila di rispondere delle guerre europee dopo la rivoluzione france- se o delle invasioni mongoliche. E l’uomo in gabbia, lo si vedeva, non era più il burocrate dell’Olo- causto, impietoso e inflessibile ese- cutore di ordini dissennati, ma uno straccio di uomo che si aggrappava alla speranza di aver salva la vita e scattava sugli attenti quando gli parlava il pre- sidente. Ma il processo si doveva fare per altri mo- tivi che sorvolavano il mostro, per interessi in- terni ed esterni di Israe- le, per rinserrare la com- pattezza degli ebrei giunti da diversi paesi anche da quelli dove non c’era stata la persecuzione, per fargli capire che l’Olocausto era la loro storia co- mune e farglielo capire ogni giorno con le voci del processo che arriva- vano per radio in ogni casa, in ogni negozio, in ogni ufficio. Ma anche per usarlo nella politica estera per rinnovare il rimorso dell’Europa, per ottenere aiuti dagli Stati Uniti e dalla Germania. Era un processo carico di tutto il sangue e la violenza del mondo ma anche artificioso e per molti aspetti assurdo, un processo in cui leggi, procedure, liturgie venivano calati in una materia magmatica: si pro- D IA R IO di teggeva con ogni cura l’accusato, si assicurava la giusta procedura, si si- mulava il confronto delle parti an- che se tutti sapevano che era già morto già penzolante dalla forca se- greta nella tunica rossa dei condan- nati alla pena capitale. Come acca- drà probabilmente a Saddam Hus- sein e come è accaduto ai processati di Norimber- ga: l’impossibilità di spiegare le follie umane di spezzare le complicità che uniscono gli accusa- ti agli accusatori, la mor- te del condannato come unica via di uscita. Si compie il rito espiatorio e si volta pagina. L’unica e insosti- tuibile funzione di questi processi è di tipo storico: risvegliano le memo- rie prima che si confondano defini- tivamente, convocano i testimoni prima che muoiano, si compilano i documenti prima che gli opportu- nismi dei sopravvissuti li manipoli- no. Un punto fermo del processo era che il genocidio c’era stato, che non era una invenzione. Su questo imputato, giudici, testimoni, pub- blico erano d’accordo e non è stata cosa da poco, ha impedito al falso revisionismo di diventare una cosa credibile. La minuziosa, a volte martellante abbondanza e preci- sione delle testimonianze ha can- cellato ogni dubbio, bloccato ogni speculazione: quella faccenda mo- struosa era davvero avvenuta. In una sola cosa Eichmann non era d’accordo con gli altri: lui non si ri- teneva colpevole, lui si appellava con ferma convinzione alla catego- ria tedesca, non solo dei nazisti, della obbedien- za agli ordini. Un giorno disse: «Sono stato edu- cato fin dai più teneri an- ni a una obbedienza ca- daverica» «Cadaveri- ca?», fece il presidente «Cosa vuol dire?». «Una espressione tedesca», ri- spose lui, «per dire fino alla morte». «A quel tempo se mi avessero detto che mio padre era un traditore e che dovevo ucciderlo, lo avrei fatto sen- za esitare. Potrei considerarmi col- pevole se tutti coloro che agirono come me e con me non vivessero in libertà». E a dargli ragione erano proprio i più accaniti accusatori, i testimoni, i sopravvissuti che chie- devano giustizia «contro di lui e contro gli ottanta milioni di tede- schi». I giudici e gli avvocati erano persone oneste, colte, ma l’ambi- guità del processo li seguiva come la loro ombra, si capiva da certi loro interventi che dominavano a fatica Il più celebre dei processi fu quello che si tenne a Gerusalemme nel 1961 per il caso Adolf Eichmann Sul banco degli accusati finirà il Raìs iracheno Ecco quali azioni la Corte dovrà giudicare ORGANIZZÒ LA STRAGE DI SEI MILIONI DI EBREI I DITTATORI E IL RAPPORT CON I VERTICI AMERICANI IL SENSO originario di “vincere” è quello del combattere. Vinto è perciò colui che ha perduto combattendo, dopo aver af- frontato il vincitore faccia a faccia. Una forma di “pietas” per questo vinto è presente lungo tutta la tradizione clas- sica, da Omero a Virgilio. E di profondo timore per i suoi dèi. In tutti i modi si cerca di “evocarli” a sé, di farseli al- leati. La progressiva scomparsa della stessa idea di un “iustus hostis” domina invece la Modernità. Il vinto as- sume sempre più l’aspetto del “nemico dell’umanità”. Il vinto diviene un “brutum bestiale”: così deve essere di- pinto e come tale deve essere trattato. Né basta che egli sia vinto – egli va con-vinto. Dovrà confessare il proprio errore, pentirsi, convertirsi alla fede del vincitore, qua- lunque sia la sua sorte. Altrimenti non può esservi vera vittoria. Non si dà vittoria che nell’assoluta “conversio- ne” del vinto, nel disporre assolutamente non della sua semplice vita, ma della sua testa. Così il vincitore di- mentica l’essenziale e rischia di condannare sé stesso. Riducendo il volto del vinto a “brutum bestiale” non può più intenderne il monito: guai ai vincitori, “vae victo- ribus”. Guai a voi che sarete chiamati a fondare nuo- vi ordini e nuovi diritti. Immane il vostro compito. MASSIMO CACCIARI VINTI. VINTI L’accusatore secondo Honoré Daumier DA NORIMBERGA A SADDAM HUSSEIN VINTI Checosasignificaprocessareuntiranno GIORGIO BOCCA

Transcript of 2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

Page 1: 2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

LA REPUBBLICA 41SABATO 20 DICEMBRE 2003

l’irrazionalità di una storia che risa-liva al Creatore e che non era possi-bile processare in Eichmann “stru-mento di Dio”, anche l’Onnipoten-te. E questa sarà anche la ambiguitàdel processo a Saddam Hussein, acominciare dalla formazione dellaCorte perché o si sceglierà un pro-cesso sommario, in pratica una ese-cuzione che tagli tutti i nodi irrisol-ti, o bisognerà entrare nel bosco dispine che è stata la vicenda di Sad-dam Hussein, raccontare (senzagiudicare) che non molti anni fa ilvice presidente degli Stati Uniti,Dick Cheney, lo corteggiava per ibuoni affari della petrolifera Hally-burton e che il Bush padre lo avevasalvato nella prima guerra del Golfoper gli interessi americani. Un gros-so rischio questo processo al Sad-dam vinto e catturato il rischio che,una parola tirando l’altra, si finiscaper affrontare la pagina ostica deirapporti amorosi fra la Cia, il Penta-gono e il dittatore ma anche con imujahiddin di Osama Bin Ladenpoi diventati i demoniaci talebani.Insomma un ginepraio in cui l’inte-ro gruppo di potere americano do-vrebbe render conto di averlo fab-bricato lui questo inestricabile no-do di stampo colonialistico, senzaneppure la sapienza e lo stile che cimettevano gli inglesi della reginaVittoria. Di chi sarà la gestione delprocesso? Chi avrà il compito dicontenerlo agli ultimi anni? Gli ira-cheni si dice, ma quali iracheni? Glioppositori di Saddam per ragionireligiose, o quelli legati mani e piediai grandi interessi occidentali? Alconfronto il processo Eichmann èstato un processo facile prevedibile.Gli venivano fatte domande di cuitutti conoscevano le risposte a cuidava delle conferme precise, detta-gliate perché tutti erano d’accordoche il genocidio c’era stato e cheAdolf Eichmann era stato il capo-stazione della morte. C’erano è veroanche le complicità dei vincitorinell’avere permesso la nascita e la

crescita del nazismo, mal’immane sacrificio de-gli ebrei li autorizzava aporsi come giudici delmale assoluto, come lochiama Gianfranco Fini.E nessuno, salvo alcunistorici revisionistiavrebbe tentato la difesadel boia tecnologico cheassumeva tutte le colpe

penzolando da una forca segretanella tunica rossa dei condannati amorte. Un processo corto a Saddamcon accuse limitate o lunghissimocome è stato quello di Eichmann incui le contraddizioni di fondo siscioglievano scomparivano nel ma-re delle carte e delle testimonianze?

Se si sceglierà il processomonstre si finirà come aGerusalemme in un pro-cesso spettacolo e lette-rario a cui arriverannoda ogni parte del mondoscrittori, giornalisti, tu-risti. A Gerusalemme ca-pitò anche Alberto Sordiche stava girando a Ne-

gev un film con David Niven, «I duenemici». Veniva a pranzare con noialla Gondola, un ristorante gestitoda una signora di Treviso che facevauna cucina veneta ma con profumie aromi mediorientali, quell’odoreagrodolce di Israele di eucaliptus edi benzina. Ascoltava le nostre di-scussioni sul processo ma da roma-no che non cerca guai si limitava aqualche «ammazzate» che potevavoler dire tutto o niente. Oppure sela cavava con il suo mestiere, facevauna imitazione perfetta di Eich-mann e diceva: «Lo vedi il tremoliodel sopracciglio? Ma se lo facessi inun film direbbero che carico».

Ho assistito a un processo perdelitti contro l’umanità, si-mile a quello che si prepara

per Saddam Hussein, nel 1961 a Ge-rusalemme. Non si può dire che ilprocessato, Adolf Eichmann, il “ca-postazione della morte” l’organiz-zatore della strage di sei milioni diebrei sedesse “sul banco degli accu-sati” perché stava in una gabbia divetro infrangibile come un uccello-diavolo, con una sedie a e un tavoli-no su cui teneva i suoi quaderni diappunti. Dopo pochi giorni la gab-bia dello sterminatore, dell’uccel-lo-diavolo appariva come un lindo,ordinato ufficio, simile a quello cheaveva occupato a Berlino all’Rsha 4,centrale della sicurezza del Reich: lacuffia per ascoltare giudici e testi-moni, i tre microfoni per parlare, iblocchetti di carta per gli appunti, lematite nere rosse e blu, sempre ap-puntite, le cartelle distinte per argo-menti, e appena il presidente, ilpubblico accusatore, un testimone,facevano un nome, una data, un nu-mero le sue dita magre correvano si-cure a una delle cartelle scritte innero, catalogate in rosso, numeratein blu. I servizi segreti di Israele loavevano catturato in un sobborgodi Buenos Aires, portato in aereo aGerusalemme per essere processa-to nella sala della Beit Haan circon-data da fortini e filo spinato. Era unsignore di mezza età con radi capel-li di un biondo sbiadito, viso magro,occhiali a lenti spesse.

Indossava un abito grigio ferrocon cravatta dello stesso colore ac-quistati dai carcerieri che lo davanogià per morto e non si preoccupava-no più di tanto della fattura. Neppu-re lui sembrava attento alla forma,sapevamo che si sbarbava con unrasoio elettrico, che si rifaceva il let-tino e faceva ordine prima di arriva-re nel tribunale. Era evidente che nederivava un profondo disagio che ilprocesso al mostro, all’uomo delmale assoluto era impossibile; cheprocessare lui solo per una folliacollettiva, per una dege-nerazione della culturaromantica, per una fugadalla ragione di milioniuomini, per una oscuraintuizione di futureguerre razziali era comechiedere a tiranni benpiù famosi di lui a un Na-poleone o a un Attila dirispondere delle guerreeuropee dopo la rivoluzione france-se o delle invasioni mongoliche.

E l’uomo in gabbia, lo si vedeva,non era più il burocrate dell’Olo-causto, impietoso e inflessibile ese-cutore di ordini dissennati, ma unostraccio di uomo che si aggrappavaalla speranza di aver salva la vita escattava sugli attentiquando gli parlava il pre-sidente. Ma il processo sidoveva fare per altri mo-tivi che sorvolavano ilmostro, per interessi in-terni ed esterni di Israe-le, per rinserrare la com-pattezza degli ebreigiunti da diversi paesianche da quelli dove non c’era statala persecuzione, per fargli capireche l’Olocausto era la loro storia co-mune e farglielo capire ogni giornocon le voci del processo che arriva-vano per radio in ogni casa, in ogninegozio, in ogni ufficio. Ma ancheper usarlo nella politica estera perrinnovare il rimorso dell’Europa,per ottenere aiuti dagli Stati Uniti edalla Germania.

Era un processo carico di tutto ilsangue e la violenza del mondo maanche artificioso e per molti aspettiassurdo, un processo in cui leggi,procedure, liturgie venivano calatiin una materia magmatica: si pro-

DIARIOdi

teggeva con ogni cura l’accusato, siassicurava la giusta procedura, si si-mulava il confronto delle parti an-che se tutti sapevano che era giàmorto già penzolante dalla forca se-greta nella tunica rossa dei condan-nati alla pena capitale. Come acca-drà probabilmente a Saddam Hus-

sein e come è accaduto aiprocessati di Norimber-ga: l’impossibilità dispiegare le follie umanedi spezzare le complicitàche uniscono gli accusa-ti agli accusatori, la mor-te del condannato comeunica via di uscita. Sicompie il rito espiatorio

e si volta pagina. L’unica e insosti-tuibile funzione di questi processi èdi tipo storico: risvegliano le memo-rie prima che si confondano defini-tivamente, convocano i testimoniprima che muoiano, si compilano idocumenti prima che gli opportu-nismi dei sopravvissuti li manipoli-no. Un punto fermo del processoera che il genocidio c’era stato, chenon era una invenzione. Su questoimputato, giudici, testimoni, pub-blico erano d’accordo e non è statacosa da poco, ha impedito al falsorevisionismo di diventare una cosacredibile. La minuziosa, a voltemartellante abbondanza e preci-

sione delle testimonianze ha can-cellato ogni dubbio, bloccato ognispeculazione: quella faccenda mo-struosa era davvero avvenuta. Inuna sola cosa Eichmann non erad’accordo con gli altri: lui non si ri-teneva colpevole, lui si appellavacon ferma convinzione alla catego-ria tedesca, non solo deinazisti, della obbedien-za agli ordini. Un giornodisse: «Sono stato edu-cato fin dai più teneri an-ni a una obbedienza ca-daverica» «Cadaveri-ca?», fece il presidente«Cosa vuol dire?». «Unaespressione tedesca», ri-spose lui, «per dire fino alla morte».«A quel tempo se mi avessero dettoche mio padre era un traditore e chedovevo ucciderlo, lo avrei fatto sen-za esitare. Potrei considerarmi col-pevole se tutti coloro che agironocome me e con me non vivessero inlibertà». E a dargli ragione eranoproprio i più accaniti accusatori, itestimoni, i sopravvissuti che chie-devano giustizia «contro di lui econtro gli ottanta milioni di tede-schi». I giudici e gli avvocati eranopersone oneste, colte, ma l’ambi-guità del processo li seguiva come laloro ombra, si capiva da certi lorointerventi che dominavano a fatica

Il più celebre deiprocessi fu quelloche si tenne aGerusalemme nel1961 per il casoAdolf Eichmann

Sul banco degliaccusati finirà il

Raìs irachenoEcco quali azioni

la Corte dovràgiudicare

ORGANIZZÒLA STRAGE DISEI MILIONIDI EBREI

I DITTATORIE IL RAPPORTCON I VERTICIAMERICANI

IL SENSO originario di “vincere” èquello del combattere. Vinto è perciò

colui che ha perduto combattendo, dopo aver af-frontato il vincitore faccia a faccia. Una forma di “pietas”per questo vinto è presente lungo tutta la tradizione clas-sica, da Omero a Virgilio. E di profondo timore per i suoidèi. In tutti i modi si cerca di “evocarli” a sé, di farseli al-leati. La progressiva scomparsa della stessa idea di un“iustus hostis” domina invece la Modernità. Il vinto as-sume sempre più l’aspetto del “nemico dell’umanità”. Ilvinto diviene un “brutum bestiale”: così deve essere di-pinto e come tale deve essere trattato. Né basta che eglisia vinto – egli va con-vinto. Dovrà confessare il proprioerrore, pentirsi, convertirsi alla fede del vincitore, qua-lunque sia la sua sorte. Altrimenti non può esservi veravittoria. Non si dà vittoria che nell’assoluta “conversio-ne” del vinto, nel disporre assolutamente non della suasemplice vita, ma della sua testa. Così il vincitore di-mentica l’essenziale e rischia di condannare sé stesso.Riducendo il volto del vinto a “brutum bestiale” non puòpiù intenderne il monito: guai ai vincitori, “vae victo-ribus”. Guai a voi che sarete chiamati a fondare nuo-vi ordini e nuovi diritti. Immane il vostro compito.

MASSIMO CACCIARI

VINTI.

VINTI

L’accusatoresecondo Honoré Daumier

DA NORIMBERGA A SADDAM HUSSEIN

VINTIChe cosa significa processare un tiranno

GIORGIO BOCCA

Page 2: 2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

42 LA REPUBBLICA SABATO 20 DICEMBRE 2003D I A R I O

I LIBRI

LE TAPPE

PRINCIPALI

SERGIO

BERTELLI

PIETRO

CLEMENTE

Tracce deivinti, Ponte allegrazie 1994

GIAMPAOLO

PANSA

Il sangue deivinti, Sperling &Kupfer 2003

ERNST

JÜNGER

Nelletempested’acciaio,Guanda1990

MARCELLO

FLORES

L’età delsospetto, IlMulino 1995

ALEXANDER

DEMANDT

Processare ilnemico,Einaudi 1996

GUNTER

GRASS

E’ una lungastoria,Einaudi 2002

THOMAS

BERNHARD

Ilsoccombente Adelphi1985

SALVATORE

SATTA

Il mistero delprocesso,Adelphi 1994

VITTORIO

SERENI

Gli strumentiumani,Einaudi 1975

HANNAH

ARENDT

La banalitàdel male.Eichmann aGerusalemme (1963),Feltrinelli1996

PRIMO LEVI

I sommersi ei salvati,Einaudi 1986

YAACOV

LOZOWICK

I burocrati diHitler, Leg (inuscita)

Tanto sconfitto che tutti pensano già allamiglior forma di condanna. Passandonaturalmente attraverso un giusto pro-

cesso, sull’organizzazione del quale abbiamogià sentito mille proposte, e altrettante sen-tenze: le stesse modalità tecnico-giuridicheinfatti saranno tali da prefigurare già l’esito deldibattimento stesso. Qualcuno dubitò forsequale sarebbe stata la sentenza del processo diNorimberga? A sua volta, invece, il processo diGerusalemme ad Eichmann finì per sollevarenon poche polemiche nonché grandi dibatti-ti, non tanto sul destino di quello squallido fi-guro (diciamocelo chiaro: che venisse con-dannato a morte non emozionava nessuno),ma sul fatto che uno Stato se la prendesse conun uomo, che il rappresentante delle vittime siaccingesse a cogliere una vendetta, che a unuomo solo possano essere accollate responsa-

bilità storiche tanto grandi. Vittorie e sconfittepolitiche possono essere registrate da un tri-bunale vero e proprio, o soltanto quello dellastoria saprà dirci la verità?

Saddam ha certamente grandi responsabi-lità storiche e politiche: verso la sua popola-zione, innanzi tutto, verso i vicini, come l’Irano la popolazione kurda e poi, su su, forse versotutti noi a cui ha tolto la pace e causato tantepreoccupazioni: terrorismo, crisi petrolifera,complotto anti-occidentale, armi di distruzio-ne di massa, eccetera eccetera. Saddam è riu-scito a mettersi contro tutto il mondo – forseneppure bin Laden lo apprezza moltissimo.Tanto sconfitto, tanto vinto che la coperturamassmediatica della quale oggi egli gode, conquella sua aria da barbone grato che final-mente gli daremo una minestra calda, e potràfarsi un bel bagno, finisce a sua volta per ap-

L’ANSIA DELL’OCCIDENTEDI PUNIRE IL GRANDE DITTATORE

I CRIMINI POLITICI E LE RESPONSABILITÀ STORICHE

Un detto che ho udito

spesso nella mia

giovinezza mi risuona

ancora oggi nell’orecchio:

La storia è scritta dal

vincitore

Ex captivitate salus(1950)

CARL SCHMITT

Non avrei più potuto

vivere, se la Germania

fosse stata davvero

sconfitta, umiliata

dall’Occidente, fino a

perdere la fede in se stessa

Considerazioni di unimpolitico (1918)

THOMAS MANN

NORIMBERGA 1945

Il processo inizia nel novembre e duradieci mesi. Il tribunale è composto dagiudici delle potenze vincitrici: Usa, GranBretagna, Francia, Urss. Tra i condannatia morte anche Hermann Göring

KARL ADOLF EICHMANN 1960-62

Viene catturato dai servizi segreti israelianinel 1960 in Argentina. A Gerusalemmerisponde di crimini contro l’umanità,contro il popolo ebraico e crimini di guerra.Sarà impiccato nel 1962

IDI AMIN DADA 1979

Dopo un decennio di sanguinaria dittaturanel 1979 Idi Amin lascia l’Uganda. Ildittatore trova asilo in Libia, poi in Iraq, einfine in Arabia Saudita riuscendo asottrarsi al processo

LA CADUTA“L’idolo

rovesciato”.Nell’incisione

un temacaratteristico

dellarivoluzionefrancese. A

sinistra, ilprocesso di

Norimberga aigerarchi

nazisti

ria, servita solo a innalzare nuovi de-spoti asiatici sulle schiene dei proleta-ri e di tutti. (Leggete, appena tradottoda Einaudi, “Koba il terribile”, di Mar-tin Amis. Un libro su Stalin, su noi, sul-l’anticomunismo mancato. Dice coseche credevamo di sapere, in un modotale che ammettiamo di non averledavvero sapute). Saddam Hussein: unfarabutto da molti milioni di vittime,da molti miliardi di dollari, dunque daquattro soldi. I leader delle democra-zie non sono di necessità persone per-bene: ma hanno comunque una datadi scadenza. Saddam Hussein è dura-to così a lungo da ubriacarsene, così danon accorgersi più della sua ora suo-nata. Ancora un po’, e ce l’avrebbe fat-ta a crepare di vecchiaia, nel suo letto,dopo aver stipendiato torturato e li-

QUANDO I SATRAPICADONO DAL TRONO

QUALI REAZIONI AVERE DAVANTI A UN MASSACRATORE CHE FINISCE SCONFITTO

(segue dalla prima pagina)

Stavo per cedere a una compassio-ne per quella faccia da Moustakiinselvatichito e inebetito, quan-

do ne sono stato salvato da una casca-ta di ricordi. Dei fotogrammi in cuiquel grossista dei gas brandiva unascimitarra in una mano e un fucile nel-l’altra, e si proclamava redivivo Nabu-codonosor e spada dell’Islam; e deicertificati di pagamento consegnatisolennemente aifamigliari di ra-gazze e ragazzimandati a ucci-dere e uccidersi inIsraele; cose così.E alle armi cui nonha messo manonel suo buco, e al-la valigia coi dol-lari, caricaturaoscena del mate-rasso favoloso deibarboni, e alla fra-se che avrebbedetto al primoamericano arri-vato: «Sono il pre-sidente SaddamHussein e vogliotrattare». Va’ afarti fottere, nuo-vo Saladino, gasi-sta di bambini.

A farti fottere:ma secondo le re-gole. L’onore, e tanto meno il martirio,che si è guardato dal darsi da sé, nonglieli restituiscano né una “giustiziapopolare” né l’indegnità della penacapitale. Si aspetti il suo processo re-golare, con giudici iracheni affiancatipubblicamente (non dietro le quinte)da colleghi o osservatori internazio-nali, e si prenda la sua galera ordinaria,che lo conservi nella statura che è lasua, sordida, vile, attaccata alla mortedi vecchiaia. In un posto più largo delbuco di Tikrit, con una miglior presad’aria, e un barbiere d’ordinanza.

Non bisognava aspettare di tirarlofuori da quel tombino, il vecchio tiran-no, per accorgersi della sua misura in-fima. Lì dentro, invece, era sul punto difarci compassione, e sarebbe un buonsegno sull’anima nostra, perchéamiamo i barboni strappati al sonnodentro il loro cartone, ma quello erasolo un impostore, non è facile diven-tare un barbone, non facile come farsipadrone e sterminatore di popoli e diparenti. Il guaio è invece che noi con-serviamo una soggezione arcaica perla grandezza, senza aggettivi, e non neusciamo ancora. Più madornale, piùcriminale, tanto più la grandezza ciabbacina. I palazzi di Saddam: gran-diosi. Le cifre dei suoi ammazzati: co-lossali. La spietatezza dei suoi crimini:titanica. Sono soprattutto i grandi de-linquenti che fanno pensare alla storiacome all’opera di grandi uomini. NonSocrate, non Gesù, non Buddha. Piut-tosto Gengis Khan e Hitler, Napoleonee Stalin: non a caso si vollero l’uno di-scepolo dell’altro. Un morto è una tra-gedia, un milione è una statistica: pen-sierino di Stalin, il grande statistico. Lagrandezza ha col male un legame assaipiù intimo che col bene. Il bene è pic-colo, si tiene ai bordi. La grandezzaprende il centro della scena, il muc-chio innumerabile di morti, la pirami-de di schiene schiacciate dagli stivalidel grande capo. La piccolezza è il te-soro del Vangelo. Prendiamolo sul se-rio. Teniamoci Guerra e pace. Lascia-mo perdere Carlyle, e anche il Manzo-ni del 5 maggio, quel securo, più vastaorma, un vero momento di debolezza.E vergognamoci della montagna reto-rica sul primato delle masse e il ruoloabnegato delle personalità nella sto-

neanche morto, era immortale: si è in-cielato, in un poetico volo di gru. Infondo, anche l’intera Urss è morta divecchiaia: e si è assicurata finora untrapasso senza processi, e con l’ex-kgbal governo. Un Sudafrica alla rovescia.Nessuna colpa, nessuna riconciliazio-ne: anzi, le citazioni di Stalin che suo-nano onorate in bocca a Putin. Tra il1945 e il 1966 (scrive Solgenitsyn, cita-to da Amis) vennero condannati nellaGermania federale ottantaseimila cri-

minali nazisti, inRussia, nello stes-so periodo, diecicriminali stalini-sti...

Prendete il ti-ranno più tronfio eonnipotente, di-chiaratelo in arre-sto, e sarà il più de-ludente e incre-scioso dei pove-racci. La distanza èla chiave del suoterrore. Un bam-bino non avvisatoche tenga gli occhialti, e non sarà nes-suno. L’impazien-za per la soggezio-ne ai grandi uomi-ni – ai grandi cri-minali – serve amotivare una voltadi più il disprezzoper la pena di mor-

te. La pena di morte inflitta ai disgra-ziati – come, nell’ordine, in Cina, inIran, negli Stati Uniti – è una floridaprosecuzione della barbarie nella ci-viltà, della vendetta nella giustizia. Lapena di morte nelle vicende degli Sta-ti e dei popoli – esclusa, si ricordi, dal-lo statuto del Tribunale penale inter-nazionale – ha una sua speciale imbe-cillità. Perché immagina di adeguarel’estremità della pena alla grandezzacriminale del vinto. Ma il vinto non ègrande. Non l’ha meritata, la pena ca-pitale, nel senso più vero: non ne è sta-to all’altezza. Oltretutto, se l’avessemeritata se la sarebbe comminata conle sue mani. E gli esecutori, i giudici e icarnefici eventuali della pena di mor-te, e il popolo nel cui nome la si decre-ti, meritano forse di diventare meschi-

ni vendicatori di una tragedia senzafondo macellando un ometto degra-dato? Nessuna vittima è così piccinada contentarsi davvero della vendettacompiuta. Per questo le vendette nonpossono finire. La verità è che nessunoè degno della pena di morte, né i con-dannatori né i condannati, né i grandiné i piccoli della terra. E se Bush pre-messe per la pena capitale, darebbeun’altra spinta alla deriva dei conti-nenti fra America e Europa.

C’è all’Aia un altro grande manigol-do, ridiventato piccino e irrisorioquando stava “sitting in the room anddrinking coffee” mentre la folla di Bel-grado circondava il palazzo e lo spaz-zava via senza colpo ferire. L’anda-mento del processo a Milosevic infa-stidisce un po’ di osservatori. E’ un

quidato qualche generazione di ge-rontologi, come Stalin (il suo mae-stro), come Mao. Perché l’altra lezionedelle cose è che i tiranni muoionospesso nel loro letto, di vecchiaia: altroche finire secondo giustizia. Hitler siammazzò dentro un bunker dalle pa-reti spesse cinque metri, una cella perpazzi non così diversa dalla fossa sin-gola di Saddam, il gran geniere dellefosse comuni. Stalin si spense oscena-mente nel suo letto, col cervello bru-ciato e le arterie scoppiate. Il più gran-de di tutti: al suo funerale morirono acentinaia, schiacciati o soffocati nellacalca. Pinochet ha avuto qualche fasti-dio giudiziario e clinico, nel pieno deinovant’anni. Fidel vive di vecchiaia, enessun attentato ennesimo lo salverà:morirà di vecchiaia. Kim Il Sung non è

ADRIANO SOFRI

LUIGI BONANATE

‘‘

,,

TRAGEDIE

La grandezza ha col male un legame assai

più intimo che col bene. Il bene è piccolo, si

tiene ai bordi. La grandezza è al centro della

scena con il mucchio innumerabile di morti

Page 3: 2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

LA REPUBBLICA 43SABATO 20 DICEMBRE 2003 D I A R I O

(segue dalla prima pagina)

Oppure gli uomini, sebbenesembri difficile attribuireagli uomini — questi «gattini

ciechi» , diceva Stalin — la capacitàdi individuare mete e fini. Oppurenon ci sia niente: né dèi né uomini;ma solo una quantità infinita e as-surda di casi, che per qualche ra-gione incomprensibile si dispon-gono come i capitoli di un roman-zo.

Quale sia la spiegazione, la Storiarivela una fantasia grandiosa, cla-morosa e spettacolare. Solo un uo-mo ha posseduto questa fantasia:Shakespeare; e ha rappresentatomeravigliosamente personaggi efatti storici, avvenuti in un tempo ein un luogo. Sebbene la Storia rac-conti moltissime commedie, e amitipi diversissimi di scenografie e dimetamorfosi, predilige fra tutteuna vicenda: la Morte o la Cadutadei Potenti. Le nostre vicende co-muni le interessano poco: ma ap-pena un potente declina e cade, nelsilenzio o nel frastuono, la Storiamette in scena uno dei suoi grandispettacoli, che noi uomini, salvoShakespeare, non sapremmo maiimmaginare.

Il racconto più straordinario nar-rato dalla Storia è la morte di Ales-sandro Magno: appunto perchéAlessandro non era un semplicepotente terreno, ma un personag-gio mitico che imitava gli dèi, i se-midei e gli eroi. Alla fine del maggiodel 323, si ammalò, dopo essere sta-to perseguitato dai segni. A Babilo-nia, non lontano da Baghdad, la na-ve lo trasportava da una riva all’al-tra dell’Eufrate: ora nel Paradiso diNabucodonosor, ora nella reggiadel re. Si faceva condurre sino altempio: lì sacrificava agli dèi, seb-bene ogni giorno si alzasse con piùpena dalla barella. Il 7 giugno nonaveva più voce. Quando i generalientrarono nelle sue stanze, li rico-nobbe, ma non poté rivolgere unaparola a nessuno di loro. Quando isoldati vollero rivederlo, le portedel palazzo furono spalancate; etutti i soldati sfilarono in silenziodavanti al suo letto. Egli li salutò in

così dolce, come quel sorriso nutri-to di sangue. Così, il giorno dei suoifunerali, folle di russi si accalcaronodietro la sua bara: volevano toccarequel corpo sacro; e si calpestaronoe schiacciarono a migliaia, per sfio-rare l’ombra di chi li aveva uccisi.

In questi giorni, è caduto Sad-dam Hussein. Sappiamo, o credia-mo di sapere, tutto sulla sua cadu-ta. Negli anni di potere, aveva ripe-tuto nel modo più grottesco i gesti

di Tamerlano,facendo costrui-re in tutte le cittàdell’Iraq centi-naia di “palazzipresidenziali”,cattive imitazio-ni hollywoodia-ne dei palazzidei Califfi delleMille e una not-te, con marmi,ori, tarsie colo-rate, colonne as-sire e iraniche,giardini, bagnidecorati d’oro edi lapislazzuli.

Pochi giornifa, è stato ritro-vato vicino a unacasupola: spor-ca come un pol-laio con unabranda di ferro,una stufa, un fri-

gorifero, un divano sfondato, unpaio di scarpe nuove, uno specchio;una bombola a gas, bucce di mele edi pere, due tavolette di cioccolato,rifiuti, galline che razzolavano.

Era nascosto in una fossa lunga elarga come il corpo di un uomo.Nemmeno un ricordo degli splen-dori di una volta: solo qualche pal-ma e qualche melograno richiama-vano la bellezza del mondo.

Nella casupola, Saddam conser-vava una raccolta di poesie arabe, dicui non sappiamo niente; e un librosull’interpretazione dei sogni (cer-to non quello di Freud), che dovevaservirgli a interpretare gli incubiche lo ossessionavano. Soprattut-to, conservava una traduzione ara-ba di Delitto e castigo di Dostoev-skij. Nei suoi ultimi mesi di libertà,Saddam ha dunque letto la storia diRaskol’nikov, forse per la primavolta. Chissà che impressione gli hafatto. Se ha compreso la mente vuo-ta di Raskol’nikov: la sua condizio-ne di Straniero: il suo odio verso gliuomini, tutti egualmente disgusto-si: il suo ghigno: il suo sogno di glo-ria napoleonica; e se ha capito cheil suo desiderio di uccidere la vec-chia usuraia era lo stesso desideriodi assassinio, che lo portava a ster-minare milioni di nemici e di sud-diti.

Sarebbe bello sapere se Saddamha compreso anche la pietà infini-ta, illimitata, senza amore, che Ra-skol’nikov provava per gli uomini egli animali, ma non gli impediva ditrucidare con le proprie mani «unapovera creatura mansueta» comeLizaveta, la sorella dell’usuraia.

A Bagdad, dopo aver visto Sad-dam sporco e con la barba lunga,un vecchio sciita ha ricordato unproverbio arabo: «Bisogna rispet-tare i potenti che cadono in disgra-zia». Ho sempre ammirato l’anticasaggezza araba. Ma, forse, bisogna«rispettare i potenti che cadono indisgrazia» (così completa la sag-gezza cristiana), perché ognuno diloro è l’immagine di ciascuno dinoi: sempre sull’orlo dell’abisso,sempre a un passo dal fallimento edal disastro definitivi.

VINCITORIE VINTIUn giudiceamericano aNorimberga,tra gli accusatiun grandegiurista exministro dellaGiustizia. ConSpencerTracy, BurtLancaster.Regia diStanleyKramer, del1961

A TORTO OA RAGIONEUn maggioreamericanomette sottoaccusa ilgrandedirettored’orchestraWilhelmFurtwängler,compromessocon il nazismo.Con HarveyKeitel, regia diIstvàn Szabò,del 2001

GIURAMENTODI SANGUEProcesso amilitarigiapponesiche hannomassacratoprigionieriaustraliani,con RussellCrowe, regiadi StephenWallace, 1990

REGOLED’ONOREUn colonnellodei marines èprocessatoper aversparato sullafolla nelloYemen. ConSamuelJackson eTommy LeeJones, regia diWilliamFriedkin, del2000

MUSIC BOXUsa, unadonnaavvocatodifende ilpadre,accusato diessere un exnazista. ConJessicaLange, regia diCosta-Gavras, del1989

I FILM

parir stonata, un altro eccesso occidentaliz-zante, che spettacolarizza anche le tragedie: èchiaro che non è tanto quella personale del dit-tatore che ci preoccupa (del resto Ceausescu esua moglie sono stati giustiziati in quattro equattr’otto senza che nessuna cultura giuridi-ca occidentale protestasse), ma piuttosto que-sta nostra ansia di punire, di mostrare al mon-do come vanno a finire i cattivi…

Il vinto Saddam simbolizza piuttosto unatragedia politica, della quale siamo più chespettatori attoniti, perché la politica riguarda

tutti e facendola o non facendola comunquedeterminiamo la vittoria di questa o di quel-l’altra parte. Tanto per fare un esempio? Nonsarebbe stato meglio se fossimo riusciti a con-vincere Saddam ad aprirsi a qualsiasi tipo dicontrollo? Ma non sarebbe forse stato meglioanche se gli Stati Uniti e i “volenterosi” avesse-ro potuto evitare di ricorrere alle armi? Perché,insomma, vittorie e sconfitte, vincitori e vinticontinuano ad animare soltanto campi di bat-taglia (che ormai sono prevalentemente città,e dunque i colpi di arma da fuoco possono col-pire indiscriminatamente) e non si muovonosoltanto nell’arena politica? Ogni guerra è unasconfitta della politica. Se guardiamo alle ma-cerie irachene, ci è difficile consolarci dicen-doci che tanto il colpevole sarà punito. Guar-dare in faccia un vinto, insomma, non ci ricor-da che almeno un po’ lo siamo stati tutti?

La bandiera americanasu una statuadi SaddamHussein.In ogni guerrala vittoria ha bisognoanche di immaginisimboliche

Un processo assomiglia

a un dramma in quanto

che dal principio

alla fine si occupa del

protagonista,

non della vittima

La banalità del male(1963)

HANNAH ARENDT

MANUEL NORIEGA 1989Nel 1989 forze armate Usa invadonoPanama allo scopo di assicurare Noriegaalla giustizia, portarlo negli Usa eprocessarlo. Il dittatore panamense ècondannato a quarant’anni di reclusione

RUANDA 1998Nel 1998 il Tribunale sul Ruanda haemesso il primo verdetto di una corteinternazionale per genocidio contro 4 exministri accusati di aver diretto nel ‘94 lestragi che causarono un milione di morti

SLOBODAN MILOSEVIC 1999-2001Viene incriminato dalla Corte di Giustiziainternazionale nel maggio 1999 e nelmarzo 2001 arrestato. È il primo capo diStato a finire sotto processo. L’accusa piùpesante è genocidio

silenzio, uno per uno, muovendo ilcapo a fatica e facendo un cennocogli occhi, come se cercasse di ac-cogliere per l’ultima volta nella me-moria quei volti che stavano per ab-bandonarlo. La sera del 10 giugnomorì. Il palazzo risuonò di lamentie di singhiozzi: i paggi, incapaci dicontenere il dolore, vagavano pian-gendo per le strade di Babilonia.Poi, tutto tacque: il silenzio più cu-po e immobile regnò sopra la reggiae la città, come sopra una vasta so-litudine deserta. Quando giunse lanotte, un terrore misterioso si diffu-se dovunque.

Nessuno tra i potenti che lo imi-tarono conobbe quella grandezza: iriti, la sfilata dei soldati, il cenno delcapo, il silenzio della città, il terroredella notte. Forse solo la morte diStalin fu sfiorata, nei tempi moder-ni, da un soffio di grandezza im-mensamente più sinistra. Durantela vita, aveva fatto uccidere nemici,amici, confidenti, seguaci, genera-li, scrittori, inviando decine di mi-lioni di uomini nelle tundre e neighiacci della Siberia, dove ogni in-verno il pino nano si piegava al suo-lo sotto la violenza del vento rial-zandosi all’improvviso dal suolo aiprimissimi sentori della primavera.

Stalin riuscì a compiere una spe-cie di miracolo: sebbene fosse il piùgrande Massacratore della storia,era amato, come un padre mite,persino dai figli e dai parenti di mol-te tra le sue vittime. Lasciava cade-re sui milioni di sudditi che si agita-vano ai suoi piedi, sui sudditi cheaveva ucciso, e su quelli che avreb-bero continuato a adorarlo, un sor-riso stranamente amoroso.

Nessun sorriso umano fu, forse,

CATTURATOSaddamHusseinpoco dopola catturada partedegliamericani,immagineesemplare deldittatore vinto

processo, dunque non gli mancano lepedanterie oltraggiose per la memo-ria dei superstiti di Vukovar e Srebre-nica e Sarajevo e del Kosovo, né leudienze in cui la spocchia di Slobo hala meglio su testimoni impacciati omortificati, né i pasticci che i conflittidi competenza e le garanzie legali su-scitano tramutando un imputato digenocidio nel candidato di un’elezio-ne jugoslava, eccetera. Ma proprio perquesto è la giustizia. Incombenza pic-cola, a volte mediocre, a volte meschi-na: lontana dal trono da satrapo san-guinario quanto dal patibolo dellapiazza o dalla livida liquidazione deiconiugi Ceausescu. A quella laica, len-ta, noiosa e puntigliosa giustizia man-ca altro: mancano, scandalo insop-portabile, Radovan Karadzic e Ratko

Mladic, omertà mafiosa dei loro einerzia vile dei nostri. Lo si faccia, ilprocesso alla banalità del male di Sad-dam, in arabo e con le traduzioni si-multanee, cento volte più numeroseche a Norimberga e a Tokyo, si sop-portino cavilli e rinvii e rogatorie e ac-cusatori stentorei e difensori trombo-ni, e si arrivi alla condanna fondatasulle prove, e lo si metta al suo posto.Né al boia, né alla folla che lo invoca –«Datelo a noi!»: si accontentino dei lin-ciaggi figurati, ebbe statue abbastan-za da far recitare mille piazze Loreto ineffigie – né a una gabbia da bestia of-ferta alla vista per l’educazione degliscolari. Stia in una cella, abbia la suaora d’aria, non usurpi più la grandez-za. Se gli basteranno gli anni, forse riu-scirà a invidiare un barbone vero.

Il fallimento di Göring,

dopo tanti discorsi vuoti,

viene in ultima analisi

addebitato alla massa dei

Tedeschi, giacché non sono

più in condizioni di vincere

Potere e sopravvivenza(1972)

ELIAS CANETTI

“DELITTO E CASTIGO”

NELLA BUCA DI TIKRIT

DALLA MORTE DI ALESSANDRO MAGNO ALLA CATTURA DEL RAÌS

PIETRO CITATI

‘‘

,,

DESTINI

Sebbene la Storia racconti

moltissime commedie,

predilige fra tutte una vicenda:

la morte o la caduta dei potenti

Page 4: 2003-12-20 Da Norimberga a Saddam

ALVOHXEBbahaajA9 770390 107009

31220

CRDFDGDQDE SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b,legge 662/96 - Roma.

PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada $ 1; Danimarca Kr. 15; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania € 1,85;Grecia € 1,60; Irlanda € 2,00; Lussemburgo € 1,85; Malta Cents 50;Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole

€ 1,40); Regno Unito Lst. 1,30; Rep. Ceca Kc 56; Slovenia Sit. 280; Spagna€ 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr.2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 300; U.S.A $ 1. Concessionaria di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941

Fondatore Eugenio Scalfari Direttore Ezio Mauro

Anno 28 - Numero 298 € 1,20 in Italia (con CD PAPA GIOVANNI PAOLO II - MOZART € 8,10) sabato 20 dicembre 2003

■INTERNETwww.repubblica.it A B

ZANICHELLII LIBRI SEMPRE APERTI

www.zanichelli.it

L’unico aggiornato ogni anno

neologismi, sinonimi e contrari

etimologie e datazioni, citazioni d’autore

inserti di nomenclatura,note d’uso, sigle

anche con CD-ROM integrale per Windows

L’italianosempre più avanti.

Il titolo ha perso il 66 per cento, giù anche le banche. Indaga la procura di Milano, si va verso l’amministrazione controllata

Il collasso della ParmalatScoperto un buco da 4 miliardi. Tremonti accusa Bankitalia

LA CATENA

DELLE COLPEFEDERICO RAMPINI

IL CROLLO del 66% della Par-malat in Borsa, che ha distrut-to 1,5 miliardi di euro di ric-

chezza e ha trascinato con sé i ti-toli di molte banche creditrici,apre una crisi drammatica: per ilcapitalismo italiano, per la fidu-cia dei risparmiatori, per la credi-bilità internazionale del paese.The Economist l’ha già definita “laEnron europea”. Ci sono molteanalogie tra questo crac e quellodella società energetica texana,che fece bancarotta due anni fainaugurando una lunga serie discandali finanziari negli StatiUniti. Le dimensioni, in propor-zione, sono analoghe: la Parmalatfondata da Calisto Tanzi è unadelle dieci maggiori aziende ita-liane, e un marchio noto nel mon-do. Il buco di 4 miliardi rivelato ie-ri dalla Bank of America può na-scondere altre sorprese vista l’o-pacità dei conti Parmalat, ramifi-cati e occultati secondo lo “stileEnron”, in società offshore alleisole Cayman. È una vera crisi si-stemica, come quella americana,perché chiama in causa non soloi costumi del capitalismo nostra-no ma anche un intero apparatodi regole, controlli, istituzioni eautorità di vigilanza. Dipendentie risparmiatori sono le vittime piùindifese, ma anche gli stranieri siritrovano in mano tanti pezzi dicarta straccia: gli investitori ame-ricani hanno titoli Parmalat per2,5 miliardi. Il caso Cirio, un altroscandalo recente che avrebbe do-vuto suonare l’allarme, pur nellasua gravità non aveva la proiezio-ne mondiale di quest’ultima crisi.

La “nostra Enron” chiama incausa diversi livelli di responsa-bilità e di colpe. Prima di tutto a li-vello aziendale: i conti della Par-malat sono stati falsificati dall’a-zienda con una ragnatela di com-plicità interne ed esterne, fino acoinvolgere uomini delle bancheche si prestavano a far sembrarericca e liquida una società chenon lo era. L’impresa limentarecontinuava a emettere una quan-tità anomala di bond (obbligazio-ni), spesso riacquistandole attra-verso società fantasma alle isoleCayman.

SEGUE A PAGINA 17

Parte l’assalto finale

ai poteri del Governatore

MASSIMO GIANNINI

PALAZZO Koch come il Palazzo d’Inverno. L’as-salto finale per la “conquista” della Banca d’Ita-lia è partito. Cesare Geronzi, presidente di Capi-

talia indagato per il crac Cirio, era stato facile profeta:«Mi sento un passero, ma il tiro vero sarà al piccione...». La caccia grossa è cominciata: lo scandalo Parmalatdeve sancire la disfatta definitiva per la preda più am-bita, il governatore Antonio Fazio. Quest’ultima “En-ron italiana”, che il ministro del Tesoro non si stancamai di evocare, è l’occasione che il governo Berlusco-ni è pronto a cogliere per espugnare all’Istituto di ViaNazionale l’ultimo vero “potere” che gli era rimasto,dopo il trasferimento della sovranità monetaria euro-pea alla Bce: la Vigilanza sul sistema creditizio, e quin-di sugli assetti azionari tra banca e industria. Al Con-siglio dei ministri già convocato per martedì prossimoGiulio Tremonti potrebbe portare il progetto di leggeper la creazione di una nuova “Authority per il rispar-mio”. A questo nuovo organismo la Banca d’Italia e laConsob dovrebbero trasferire le rispettive competen-ze sui controlli del mercato azionario e societario.

SEGUE A PAGINA 4

IL RETROSCENA

Rispetto al mese scorso l’aumento è pari a zero. Non accadeva da due anni

L’inflazione si ferma, dicembre al 2,4%ELENA POLIDORI A PAGINA 29

FEDRIZZI, GALBIATI, PONS e TITO ALLE PAGINE 2, 3, 4 e 5

Un negoziato segreto durato nove mesi. Tripoli ammette: stavamo lavorando alla bomba atomica

Gheddafi rinuncia alle armi proibiteBush e Blair: la Libia torna nella comunità internazionale

WASHINGTON — La Libia si èimpegnata formalmente a darechiarimenti sulle armi di distru-zione di massa in suo possesso,a distruggerle e a consentire leispezioni internazionali. Lo haannunciato ieri sera il presiden-te Usa, George W. Bush. Pocodopo la notizia è stata rilanciataanche da Tony Blair. L’accordocon Gheddafi — ha aggiuntoBush parlando alla Casa Bianca— è frutto «di una diplomazia si-lenziosa», ma è anche «l’effettodella fermezza della coalizioneguidata dagli Usa nella guerra alterrorismo e contro la prolifera-zione delle armi di distruzione».

DEL RE, FLORES D’ARCAIS eFRANCESCHINI

ALLE PAGINE 12 e 13

Il governo interviene nella vertenza Alitalia

“Vanno bloccati i tagli al personale”

Trasporto pubblico

trattativa a oltranza

Sciopero selvaggio

paralizza GenovaCILLIS, GRISERI e ZUNINO

ALLE PAGINE 6, 7 e 9

Lettera

dal ministero

del Natale

IL RACCONTO

CARO Babbo Natale: scusase mi rivolgo a te con unmezzo così obsoleto come

una letterina di carta, ma pur-troppo a otto anni è difficile es-sere proprietario di televisioni.

Anche quest’anno sono statoabbastanza buono, a scuola va-do bene in italiano, storia e gin-nastica, e ho preso solo qualchesemplice cinque in matematica.Credo quindi di poter esprimerequalche desiderio.

I miei primi desideri sono, di-ciamo così, altruistici.

Vorrei anzitutto la pace nelmondo.

Poi vorrei che papà e mammanon litigassero, e che lui non laprendesse a sberle.

Vorrei la salute per il nonno,che ha sempre una brutta tosse eper zio Luigi che è stanco di la-vorare e vorrebbe andare inpensione.

Infine vorrei che mia sorellariuscisse finalmente a finire latesi in giurisprudenza.

Ora passo ai desideri diciamocosì personali:

Vorrei il libro “I nani della fo-resta”, quello con le figure che siritagliano.

Vorrei un telecomando nuo-vo tutto per me .

Vorrei dei dolci, soprattutto idatteri che mi piacciono molto.

Vorrei la maglia del mio cal-ciatore preferito Totti.

Poi vorrei un regalo un po’speciale, ma ti prego di non par-larne con nessuno.

SEGUE A PAGINA 17

CON REPUBBLICA

Mercoledì

in regalo

“Notre-Dame

de Paris”

Victor Hugo è l’autoredel primo romanzo

della nuovacollezione dell’800

Traduzioni ineditein una raffinata

edizionecon cofanetto

Quando il vinto è un tiranno

DIARIO

Giustizia e vendetta

ADRIANO SOFRI

L’ULTIMA fotografia del presi-dente Allende è scattata allaMoneda, l’11 settembre 1973.

Indossa un gilet socialista a rombi sottouna giacca, ha una figura rotonda e unafaccia da buon padre di famiglia, anzi danonno, ma con un’aria grave, occhialicerchiati da miope, sulla testa un elmet-to di metallo un po’ comico, tra le maniun mitra spaesato. Sta per essere assas-sinato, ha 65 anni. Ho rivisto quell’anti-ca fotografia in grigio e nero, per con-trasto con le immagini invadenti delSaddam scovato e guardato in bocca.

SEGUE A PAGINA 38

Dostoevskij a Tikrit

PIETRO CITATI

NON HO mai capito la storia. Nonso perché gli eventi si preparino,accadano, precipitino, si dissol-

vano: formando ora un disegno armo-nioso, un tappeto dai mille colori che sicorrispondono, ora una catastrofe sen-za linea né colori.

Non so chi regga le fila: se Qualcuno oAlcuni (così pensano i credenti), i qualiconducono la storia verso una meta,che qualche volta conoscono ma piùspesso ignorano.

SEGUE A PAGINA 43BOCCA, BONANATE e CACCIARI

ALLE PAGINE 37, 38 e 39

STEFANO BENNI

Il processodi Norimberga