2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

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I TEMI DELLA NUTRIZIONE I STITUTO D ANONE I I T T E E M M S S Alterazioni metaboliche lipidiche A cura di Alberto Notarbartolo Professore Ordinario. Direttore Dipartimento di Medicina Clinica e Patologie Emergenti. Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Palermo Con la collaborazione di Maurizio Averna, Carlo Maria Barbagallo, Vittorio Bottazzi, Angelo Cefalù, Silvia Decarlis, Lorena Fusaro, Ermanno Lanzola, Alberto Lombardi, Davide Noto, Francesco Polizzi, Enrica Riva, Gabriele Scalisi, Jacopo Tagliabue, Carlo Vergani Prevenzione multifattoriale dell’arteriosclerosi e controllo delle dislipidemie

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I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

I S T I T U T O D A N O N E

II TT EE MM SS

Alterazionimetaboliche lipidiche

A cura di

Alberto NotarbartoloProfessore Ordinario. Direttore Dipartimento di Medicina

Clinica e Patologie Emergenti. Cattedra di Medicina InternaUniversità degli Studi di Palermo

Con la collaborazione di

Maurizio Averna, Carlo Maria Barbagallo, Vittorio Bottazzi,Angelo Cefalù, Silvia Decarlis, Lorena Fusaro, Ermanno

Lanzola, Alberto Lombardi, Davide Noto, Francesco Polizzi,Enrica Riva, Gabriele Scalisi, Jacopo Tagliabue, Carlo Vergani

Prevenzione multifattorialedell’arteriosclerosi e controllo

delle dislipidemie

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I S T I T U T O D A N O N EPER LA RICERCA E LA CULTURA DELLA NUTRIZIONE

M O T I V A Z I O N I E O B I E T T I V I

DD anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità

ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In que-st’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vitaall’Istituto Danone.

L’Istituto Danone si prefigge di:

Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute

Promuovere una corretta educazione alimentare

Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e del-l’educazione alimentare

Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e dell’educazione alimentare

Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi:

Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale

Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la culturadella nutrizione

Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientificoche rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze e il garante della scientifi-cità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiamati,tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori MarcelloGiovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi,Michele O. Carruba, Alberto Notarbartolo, Gianfranco Piva, Pierpaolo Resmini ed Enrica Riva.

Sede Istituto Danone: Via Alserio, 10 – 20159 Milano

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Alterazioni metaboliche lipidiche

II TT EE MM SS

Prevenzione multifattoriale dell’arteriosclerosi e controllo delle dislipidemie

A cura di

Alberto NotarbartoloProfessore Ordinario. Direttore Dipartimento di Medicina

Clinica e Patologie Emergenti. Cattedra di Medicina InternaUniversità degli Studi di Palermo

Con la collaborazione di

Maurizio AvernaProfessore Associato di Medicina Interna

Università degli Studi di Palermo

Carlo Maria BarbagalloRicercatore Cattedra di Medicina Interna

Università degli Studi di Palermo

Vittorio BottazziDirettore Istituto di Microbiologia

e Centro Ricerche BiotecnologicheUniversità Cattolica

di Piacenza e Cremona

Angelo CefalùDottorando di Ricerca

Cattedra di Medicina InternaUniversità degli Studi di Palermo

Silvia DecarlisSpecialista in Pediatria

Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo

Università degli Studi di Milano

Lorena FusaroSpecialista in Geriatria

Cattedra di Gerontologia e GeriatriaUniversità degli Studi di Milano

Ermanno LanzolaGià Direttore del Centro Ricerche

sulla Nutrizione Umana e la DieteticaUniversità degli Studi di Pavia

Alberto LombardiSpecialista in Geriatria

Cattedra di Gerontologia e GeriatriaUniversità degli Studi di Milano

Davide NotoAssistente Divisione di Medicina Interna

Dottorando di Ricerca Cattedra di Medicina Interna

Università degli Studi di Palermo

Francesco PolizziAssistente Divisione di Medicina Interna

Dottorando di Ricerca Cattedra di Medicina Interna

Università degli Studi di Palermo

Enrica RivaDirettore Cattedra di Neonatologia

e Patologia Neonatale Ospedale San Paolo

Università degli Studi di Milano

Gabriele ScalisiAssistente Divisione di Medicina Interna

Dottorando di Ricerca Cattedra di Medicina Interna

Università degli Studi di Palermo

Jacopo TagliabueSpecialista in Geriatria

Cattedra di Gerontologia e GeriatriaUniversità degli Studi di Milano

Carlo VerganiDirettore Cattedra

di Gerontologia e GeriatriaUniversità degli Studi di Milano

I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

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Supplemento a “Lettera dell’Istituto Danone - ITEMS NEWS”

Direttore Scientifico: Marcello Giovannini

Comitato di Redazione: Vittorio Bottazzi, Michele O. Carruba, Ermanno Lanzola, Alberto Notarbartolo,Gianfranco Piva, Pierpaolo Resmini, Enrica Riva, Carlo Vergani

Segreteria Scientifica: Carlo Agostoni, Arturo Della Torre

Direttore Responsabile: Marcello Giovannini

Editore e Redazione: Élite Communication Srl - Via Morimondo 2/5 - 20143 Milano

Registrazione del Tribunale di Milano n. 567 del 17.09.1999

Tutti i diritti riservati

Nessuna parte può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta dell’Editore

Finito di stampare nel mese di Aprile 2002

Stamperia Artistica Nazionale - Torino

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Introduzione 5A. Notarbartolo

L’approccio clinico, preventivo e terapeutico al paziente con patologie metaboliche aterogene 23

C.M. Barbagallo, A. Notarbartolo, F. Polizzi, G. Scalisi

Interventi alimentari per il controllo dei lipidi ematici 85E. Lanzola

Stress ossidativo e antiossidanti naturali 111M. Averna, C.M. Barbagallo, A. Cefalù, D. Noto

Alimentazione e geni 121M. Averna, A. Cefalù, A. Notarbartolo, D. Noto

La genetica delle iperlipidemie 135M. Averna, A. Cefalù, D. Noto

Le ipoalfalipoproteinemie 149L. Fusaro, A. Lombardi, J. Tagliabue, C. Vergani

Alterazioni lipidiche in età pediatrica: diagnosi, Linee Guida e trattamento 161

S. Decarlis, E. Riva

Attività ipocolesterolemiche con batteri lattici e bifidobatteri 179V. Bottazzi

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II ndice

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È passato molto tempo dalle osser-vazioni di Anitschkow, che nel 1913 glifecero pronunziare la frase: “non ci puòessere ateroma senza colesterolo”; du-rante i successivi novant’anni su questoproblema ci sono state infinite discus-sioni e spaventose dispute, che si sonorivelate stimolanti ma in gran parte ste-rili. Difatti i risultati dei recenti trial diprevenzione primaria e secondaria han-no dimostrato in modo inequivocabileche la riduzione del colesterolo plasma-tico riduce la mortalità e morbosità co-ronarica del 30-40%, sia in soggetticon pregressa coronaropatia che insoggetti a rischio, utilizzando consiglialimentari, farmaci o entrambi. In que-sta introduzione, pertanto, io farò unabreve storia di questo lungo percorso,accidentato, ma ricco di risultati cliniciattuali e di promesse di nuove scopertebiologiche future.

Nel 1948 a Framingham, piccolacittadina a ovest di Boston, iniziò un in-credibile studio epidemiologico i cui ri-

sultati sono a tutti noti, che dura tuttorae che ha coinvolto 2/3 della popolazio-ne costituita da americani di ceppo ita-liano e irlandese. Questo studio ha con-tribuito a stabilire l’esistenza di una cor-relazione diretta tra mortalità coronaricae LDL-colesterolo (LDL-C) e inversacon l’HDL-C, che ha un effetto protetti-vo antiaterosclerotico, ed è attualmentela base su cui sono state costruite le Li-nee Guida di prevenzione cardiovascola-re più diffuse nel mondo. In un capitoloapposito Carlo Barbagallo discuterà afondo delle Linee Guida e della loro uti-lizzazione. Il colesterolo è stato citatocome la “molecola più decorata in bio-logia”, poiché ben 13 premi Nobel, ainiziare dal 1928, se ne sono occupati,e in particolare M. Brown e J. Gold-stein, a cui si deve la scoperta che il di-fetto del catabolismo delle LDL, che faaumentare in modo drammatico il cole-sterolo nel sangue, è dovuto a un’alte-razione specifica dei recettori per leLDL sulla superficie cellulare dei pazien-

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II ntroduzione

A. Notarbartolo

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ti affetti da ipercolesterolemia familiare.Ma l’equazione “abbassare la cole-

sterolemia per ridurre morbosità e mor-talità coronarica” era altamente conte-stata nei primi anni settanta e ottanta.Nel 1975 furono pubblicati i risultatidel Coronary Drug Project (CDP) suJAMA: questo studio aveva tentato distabilire se in pazienti coronaropatici lasomministrazione di clofibrato in unacoorte di pazienti e di acido nicotiniconell’altro braccio per 5 anni fosse ingrado, rispetto al trattamento conven-zionale, di ridurre l’incidenza di nuovieventi. Purtroppo i risultati immediati fu-rono deludenti, e solo a distanza di 12anni si constatò una piccola ma signifi-cativa riduzione della mortalità coronari-ca nei pazienti che erano stati trattaticon acido nicotinico.

Nel 1978 furono pubblicati sul BrHeart J i risultati del primo studio diprevenzione primaria con clofibrato, chedimostravano un’importante riduzionedegli eventi non fatali coronarici; ma ilfarmaco, come ricorderanno i più anzia-ni fra i lettori, dava notevoli disturbi ga-strointestinali e calcoli colecistici, eun’analisi dei risultati dopo 9 anni dimonitorraggio della casistica trattata di-mostrò un aumento del 25% della mor-talità totale nei trattati: questa fu unasentenza di morte per il clofibrato, ma

anche un grave arresto lungo la stradadella dimostrazione della giustezzadell’“ipotesi lipidica” dell’aterosclerosi edei vantaggi per i pazienti derivantidall’intervento sull’alterato pattern me-tabolico lipidico.

Dunque agli inizi degli anni ottanta inemici dell’“ipotesi lipidica” trionfavanoe non sembrava che si muovesse nullaper la prevenzione dell’aterosclerosi;quella che era stata definita l’epidemiadel XX secolo, l’aumento della mortalitàcoronarica verificatasi nei paesi alta-mente industrializzati negli anni cin-quanta-sessanta e settanta, era stazio-naria o tendeva a ridursi lentamente; siavvertivano i benefici della diffusione,nei paesi con SSN più ricco di risorse,delle unità di cura intensiva cardiologi-ca, ma l’incidenza di episodi non fatalidi cardiopatia ischemica era sempreelevata.

La decade compresa tra il 1980 e il1990 era tuttavia densa di avvenimentiimportanti e di risultati promettenti. Nel1981 veniva pubblicato l’Oslo DietHeart Study condotto per 5 anni susoggetti maschi norvegesi sani; era unostudio di prevenzione primaria le cui mi-sure fondamentali erano costituite dauna riduzione del fumo (45% in meno)e del contenuto di grassi saturi e di co-lesterolo della dieta (con un calo del

Introduzione

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13% della colesterolemia media totale).Il risultato, 45% in meno di eventi coro-narici, non era chiaro tuttavia se fossedovuto alla riduzione del fumo o a quel-la della colesterolemia. In realtà, comeè stato dimostrato a Framingham pro-prio in quegli anni, quando i fattori di ri-schio coronarico si sovrappongono nellostesso soggetto, aumentano in sensogeometrico la loro capacità aterogena;se un soggetto con colesterolemia di200 mg/dl ha un rischio relativo (RR) dicardiopatia ischemica di 1, un soggettocon 260 mg/dl ha un RR raddoppiato,ma se interviene un secondo fattore dirischio il RR aumenta di 7-8 volte, e co-sì via. Pertanto i vantaggi della contem-poranea, stabile eliminazione per moltianni di 2 o 3 fattori di rischio induceuna riduzione drammatica degli eventi,laddove l’eliminazione di un solo fattoredi rischio ha un effetto modesto. Inrealtà, tornando all’Oslo Diet HeartStudy, due più piccoli studi, e cioè ilLos Angeles VA (Veterans Administra-tion) condotto su reduci americani dallaguerra, e il London MRC con olio disoia, avevano ottenuto, riducendo igrassi saturi della dieta e sostituendolicon soia o grassi polinsaturi, un effettobenefico sulla colesterolemia. Tutti que-sti tentativi di indurre una riduzione dellacolesterolemia manipolando le abitudini

alimentari di soggetti a rischio, prende-vano spunto dalle osservazioni epide-miologiche del Seven Countries Studycondotte per un ventennio da AncelKeys e altri ricercatori, tra cui l’italianoA. Menotti, in gruppi di popolazione ditutto il mondo. Esse avevano evidenzia-to a 10 anni un’alta mortalità coronaricain popolazioni occidentali, USA, Finlan-dia, Europa del Nord, che avevano unalto consumo di grassi saturi e un’ele-vata colesterolemia, rispetto a popola-zioni mediterranee del Sud Europa, chefanno largo uso di olio d’oliva e vegetalio legumi, o addirittura giapponesi, chehanno una dieta a base di pesce, riso esoia, e hanno valori di colesterolo sieri-co inferiori di circa 1/3 e una mortalitàcoronarica altrettanto più bassa, del50-80%.

Queste evidenze scientifiche nonfurono tradotte in quel periodo in cam-pagne nazionali di miglioramento dellaqualità dell’alimentazione né in un inte-resse particolare da parte dei medici dimedicina generale affaccendati nellaroutine quotidiana, o dei cardiologi inte-ramente concentrati sull’aspetto tecni-cistico e interventistico della loro prati-ca. Tuttavia in Finlandia, nel North Ka-relia, regione in cui la mortalità corona-rica era particolarmente elevata, le au-torità locali, motivate dai risultati di que-

A. Notarbartolo

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sti studi, decisero di intervenire sullasalute pubblica incoraggiando l’abban-dono dell’abitudine al fumo e introdu-cendo variazioni alimentari, negli annitra il 1972 e il 1992. I cambiamentidella dieta consistettero fondamental-mente nella sostituzione del burro conmargarine vegetali, nell’uso di latte par-zialmente scremato rispetto al latte in-tero, di olio di semi di ravizzone (l’unicoprodotto nel paese) per motivi economi-ci come condimento al posto di altrigrassi saturi, carne di maiale magro alposto delle carni grasse; inoltre il con-sumo di frutta fresca e vegetali triplicò.Il risultato di questi sforzi è che la mor-talità cardiovascolare si è ridotta del70% nel North Karelia; ma anche quel-la da tumori è ridotta del 45% e del48% la mortalità generale. Come suc-cede sempre quando si inducono im-portanti cambiamenti dello stile di vita,si sono avvantaggiati soprattutto donnee uomini giovani, mentre nei soggettinel range d’età tra 65 e 74 anni la mor-talità si ridusse meno, probabilmenteperché gli anziani sono meno propensia cambiare abitudini inveterate.

Bisogna dire che le autorità sanita-rie finlandesi si dedicarono, spinte dal-l’alta mortalità cardiovascolare e gene-rale della loro regione, a campagnepubbliche di stimolo sulla popolazione,

condotte da leader locali o internazionalistimati, a monitorare i supermercati el’industria alimentare, a diffondere iconsigli fin nei più piccoli villaggi, orga-nizzando gare rivolte a premiare coloroche raggiungevano il valore più bassodel colesterolo. Comunque questi me-todi innovativi hanno dato il loro frutto, equesti risultati restano unici nella storiamondiale della sanità pubblica.

Sul versante farmacologico il de-cennio compreso tra il 1980 e il 1990fu particolarmente proficuo.

Due grandi trial randomizzati e con-trollati con placebo (RCT) videro la luce:il Lipid Research Clinics Primary Pre-vention Trial con colestiramina, pubbli-cato nel 1984, e l’Helsinki Heart Studycon gemfibrozil, pubblicato nel 1987. Ilprimo, su gruppi di popolazione maschi-le seguita per 5 anni nelle cliniche deilipidi presenti su tutto il territorio nord-americano, documentò una riduzionedegli eventi coronarici del 19% di con-tro a una riduzione media di colesterolodi 20 mg circa; il secondo, su una po-polazione maschile finlandese seguitaper 5 anni, documentò una riduzionedegli eventi coronarici non mortali supe-riore al 30%, in seguito a una modestadiminuzione del colesterolo totale, mauna spiccata riduzione dei trigliceridi cir-colanti e un significativo aumento del-

Introduzione

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l’HDL-C. Anche per questi RCT arriva-rono le critiche soprattutto dei cardiolo-gi. Per quello condotto con colestirami-na il risultato sembrò modesto e clinica-mente irrilevante, ma un’attenta letturadei dati mostra che nei pazienti aderentialla terapia, a una buona riduzione deivalori basali di colesterolemia corrispon-deva una caduta degli eventi coronaricidel 40%, molto più elevata rispetto acoloro che non rispettavano le dosi difarmaco suggerite e in cui la riduzionemodesta degli eventi corrispondeva aun modesto abbassamento del loro co-lesterolo sierico (Tab. 1); questa è la di-mostrazione che riduzione di LDL-cole-sterolo (LDL-C) circolante e calo deglieventi coronarici vanno di pari passo, eil primo è direttamente causa del se-condo, come era stato dimostrato neglistudi sugli animali da esperimento e inquelli osservazionali epidemiologici.

Per l’HHS condotto in Finlandia,sorsero problemi circa la sicurezza deifibrati, come era già successo con il clo-fibrato, perché c’era stato un eccesso dimortalità generale nel gruppo farmaco,7-8 casi, rispetto al placebo, un paio di

casi, che dopo anni si scoprì essere do-vuto a cause del tutto accidentali (inci-denti di macchina, alcolismo, suicidi).

Ulteriori prove dell’utilità di ridurre ivalori di LDL-C provengono da uno stu-dio particolarissimo condotto da HenryBuchwald e pubblicato definitivamentenel 1990, che seguì oltre 800 soggetticon pregresso infarto del miocardio, di-visi in una metà seguita attentamentecon la dieta, e l’altra sottoposta a by-pass ileale parziale allo scopo di ridurremeccanicamente l’assorbimento intesti-nale di colesterolo: lo studio venne de-nominato POSCH, acronimo di ProgramOn the Surgical Control of Hyperlipidemia.

Lo studio era stato disegnato alloscopo di dimostrare se una stabile ri-duzione del colesterolo sierico, senza al-cun intervento farmacologico, fosse ingrado di indurre regressione o comun-que rallentare la progressione delleplacche coronariche, studiate con un si-stema computerizzato angiografico ingrado di calcolare su tutto l’albero coro-narico visualizzato l’entità e il numerodelle lesioni e le loro modificazioni doporiduzione della colesterolemia. Il POSCH

A. Notarbartolo

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Riduzione di LDL-C Riduzione del rischio di CHD

11% 19%

35% 49%

Tabella 1

Correlazione tra la % diriduzione di LDL-C e la %di riduzione del rischiodi CHD nel LRC-CPPT.

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non solo dimostrò che la riduzione dellacolesterolemia induceva uno stop allaprogressione della malattia ateromasica,ma anche che il numero di nuovi eventicoronarici nei soggetti operati era netta-mente inferiore a quello dei soggetti se-guiti solo con la dieta, e che ciò non eramediato da un farmaco. In quegli annigli studi di progressione/regressionedell’aterosclerosi coronarica divennerofrequenti: il bersaglio per i cardiologi chefacevano queste ricerche era terribil-mente allettante perché potevano toc-care con mano i benefici di una terapia,utilizzando una delle tecniche da loroadorate! Furono così ultimati gli studiCLAS (1987), che utilizzò colestiraminae acido nicotinico, e quello NHLBI tipoII, entrambi favorevoli al trattamento:essi fecero da alfieri a una decina e piùdi studi successivi che utilizzarono i far-maci precedenti, più recentemente an-che i fibrati, e associazioni con le stati-ne, che avevano visto la luce alla finedegli anni ottanta e di cui adesso dire-mo, e perfino le variazioni drastiche del-lo stile di vita come nel Lifestyle Study,in cui l’eliminazione del fumo, un regimealimentare tendenzialmente vegetarianoe un’intensa attività fisica indussero inun gruppetto di pazienti in poco più diun anno delle visibili riduzioni dell’entitàdelle lesioni coronariche.

Facendo una metanalisi dei risultatidegli studi di regressione dell’ateroscle-rosi coronarica, era anche evidente chese ogni studio aveva una casistica insuf-ficiente, combinando gli eventi verificatisiin tutti gli studi, il trattamento ipocoleste-rolemizzante riduceva in modo netto tra il30 e il 40% le recidive fatali e non fatalidi cardiopatia ischemica. I cardiologidunque cominciavano a cambiare pare-re, e nei grandi paesi occidentali, in testagli Stati Uniti d’America, ma anchenell’Europa occidentale, Italia inclusa,cominciavano campagne dietetiche esullo stile di vita, perché nel frattempol’industria alimentare aveva confezionatotutta una serie di cibi e prodotti che so-stituivano o addirittura raddoppiavano gliintroiti perduti; inoltre molte multinazionalidel tabacco orientavano i propri guada-gni su settori del nuovo mercato alimen-tare. Era sbalorditivo per noi italiani,quando ci trovavamo per lavoro negliUSA, accendere il televisore e vedere,durante gli spot pubblicitari, propaganda-ti prodotti cholesterol free, ristoranti dovesi mangiava senza grassi, menu conte-nenti spaghetti, paste alimentari, verduree oli al posto delle creme e di dressingsalla panna. Negli USA il motivo di questocambiamento era evidente: la drastica ri-duzione del fumo di sigaretta, il migliora-mento delle abitudini alimentari e un mi-

Introduzione

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gliore controllo della pressione arteriosa,avevano determinato un’interruzionedell’epidemia di malattia coronarica delventennio precedente. Dunque era suc-cesso qualcosa che era andato al di làdei reali atteggiamenti preventivi dei me-dici di famiglia e le raccomandazioni delleSocietà Scientifiche, prima fra tuttequella Cardiologica, erano giunte algrande pubblico e ai mass media, by-passando gli operatori sanitari più lenti erestii di fronte alle novità scientifiche.

Ma nella vecchia Europa, Italiaall’avanguardia, lo scetticismo impera edilaga, per cui si vedono guru dell’infor-mazione con un antico retroterra scien-tifico, prevenuti, andare in televisione esparare a zero sulle evidenze scientifi-che, salvo cambiare totalmente ideadopo 4-5 anni. E difatti due articolicomparsi su riviste scientifiche distrug-gono gran parte del lavoro di centinaiadi studiosi e di un ventennio di ricerche.Il primo è di Michael Oliver, un profes-sore di cardiologia britannico moltoascoltato che scrive “Ridurre il coleste-rolo non riduce la mortalità”, e il secon-do di un epidemiologo clinico, Muldoon,che in una metanalisi di numerosi studidi prevenzione riconosce che agendosui grassi alimentari o trattando con far-maci si riducono gli eventi coronaricinon fatali, ma torna sull’aumento delle

morti accidentali nell’HHS commentateprecedentemente; uno dei trial che in-clude nel calcolo è il Minnesota Coro-nary Survey, in cui in pazienti ricoveratiin un ospedale per malattie mentali,sottoposti a dieta ipolipidica, si verificòdi tutto (suicidi, congelamenti, ustioni,fratture, reazioni da farmaci, annega-menti e così via); ora è veramente diffi-cile pensare che una diminuzione dellacolesterolemia possa avere degli effettisfavorevoli così vari! Dunque i cardiologicommentano apertamente che alla ba-se del loro scetticismo verso il tratta-mento ipocolesterolemizzante per laprevenzione primaria e secondaria dellacardiologia ischemica, sta l’osservazio-ne che anche se si riducono eventi fa-tali e non fatali di mortalità coronarica,non si riduce la mortalità generale. Epoiché l’unica differenza tra i cardiologie gli dei è che Dio non si proclama car-diologo, l’ipotesi lipidica, pur provata nelmondo scientifico, ha difficoltà ad esse-re applicata nella comune pratica clini-ca. L’interrogativo che ci si doveva por-re all’inizio degli anni novanta era: è piùimportante prolungare ulteriormente ladurata della vita, ormai abbastanza lun-ga nei paesi occidentali, oppure miglio-rarne la qualità riducendo il numero dieventi ischemici cardiaci e delle lorocomplicanze? Ma come adesso vedre-

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mo non ci fu tempo per aprire un dibat-tito su questo punto, perché alla finedel 1994 vide la luce lo ScandinavianSimvastatin Survival Study o 4S, chedimostrò una riduzione altamente signi-ficativa della mortalità generale in sog-getti con pregressa CHD dopo 5 annidi trattamento con la simvastatina e unariduzione stabile della colesterolemia to-tale del 29%. Nella Tabella 2 sono rias-sunti i principali risultati ottenuti in que-sto trial; i risultati sono brillanti anche intermini di NNT (numero di soggetti datrattare per prevenire un evento, morta-le, non mortale o entrambi) che è il più

attendibile indice clinico per stabilirel’efficacia di un trattamento, in quantocorrisponde all’inverso del rischio asso-luto (RA) e quindi ha incorporato il ri-schio basale dei soggetti trattati. Inoltrel’NNT può essere utilizzato per confron-tare l’efficacia di due differenti terapieper un’identica patologia (ad esempiofarmaci antipertensivi e statine nellacardiopatia ischemica per la valutazionedel numero di effetti avversi), per con-frontare i risultati di due diversi trial, einfine è assolutamente essenziale nellostudio medico per facilitare la decisioneterapeutica, perché permette di valutare

Introduzione

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• 4444 pazienti con cardiopatia ischemica

• Randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato

• Durata media follow-up: 5,4 anni

• Simvastatina 10-40 mg/die

• Valori medi lipidi basali: Colesterolo Totale 261 mg/dlLDL-C 183 mg/dl

• Modificazione dei parametri lipidici:-25% Colesterolo Totale-35% LDL-C-10% Trigliceridi+8% HDL-C

• -30% rischio di mortalità globale (per tutte le cause)

• -34% rischio di eventi cardiovascolari maggiori

• -42% rischio di decessi per CHD accertata o sospetta

Risultati

Disegno dello studio e valori lipidici basaliTabella 2

ScandinavianSimvastatin SurvivalStudy (4S).

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anche l’aspetto economico di sottopor-re un paziente a un trattamento. I risul-tati del 4S hanno praticamente risolto lacontroversia all’ipotesi lipidica, e, cosaben più importante, hanno convinto icardiologi e di conseguenza l’opinionepubblica dell’utilità del trattamento constatine dei soggetti affetti da CHD: ladiffusione di questa pratica terapeuticaha contribuito da allora a salvare la vitadi centinaia di migliaia di pazienti; Oliverpubblicò due articoli su Lancet e sulBMJ, Abbassiamo il colesterolo del

paziente, adesso e Le statine preven-

gono la malattia coronarica, asseren-do che “…quando i fatti cambiano, iocambio opinione. Voi cosa fate?”.

Il 4S aveva affrontato una coorte dipazienti con colesterolo elevato e pre-gressa CHD, in cui si era avuta una ri-duzione del rischio assoluto (RRA) del3%. Ma è esperienza comune che moltipazienti affetti da CHD hanno valori dicolesterolo compresi tra 190 e 250mg/dl: pertanto molto importanti sono irisultati pubblicati due anni dopo quellidel 4S, ottenuti nel CARE (1996),acronimo di Cholesterol and Recurrent

A. Notarbartolo

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• 4159 soggetti con valori di colesterolo medio ai limiti della norma e pregresso IMA documentato

• Età media: 59 anni

• Randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato

• Pravastatina 40 mg/die

• Colesterolo Totale medio basale 209 mg/dl

• LDL-C medio basale 139 mg/dl

• Modificazione dei parametri lipidici:-20% Colesterolo Totale-28% LDL-C-14% Trigliceridi+5% HDL-C

• -24% rischio CHD fatale o IMA non fatale

• -25% rischio reinfarti fatali e non

• -27% necessità procedure di rivascolarizzazione

• -31% rischio stroke

Risultati

Disegno dello studio e valori lipidici basaliTabella 3

Cholesterol andRecurrent Events(CARE).

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 13

Page 15: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

Events, condotto in USA e Canada, enel LIPID (1998; Long Term Interven-tion with Pravastatin and IschaemicHeart Disease), condotto in Australia eNuova Zelanda, in cui le colesterolemiemedie erano rispettivamente 210 e 220mg/dl e i pazienti seguiti 4159 nel pri-mo e 9014 nel secondo. I principali ri-sultati ottenuti nei due trial sono de-scritti nelle Tabelle 3 e 4.

Il RA dei pazienti inclusi è risultato2,3% nel CARE e 2% nel LIPID;inoltre, analizzando insieme i vari stu-di epidemiologici (Fig. 3, p. 54), pos-

siamo arrivare ad alcune conclusioni:– i soggetti con RA più alto (4S) hanno

un maggior beneficio clinico (NNT=12)rispetto a quelli con RA più basso(CARE e LIPID: NNT=17 e NNT=20);

– il RA più elevato si associa a valoribasali di LDL-C più alti;

– qualunque sia il RA basale il tratta-mento ha sempre una buona efficaciaclinica.

Dunque c’è evidenza che almenotutti i pazienti con colesterolo totale su-periore a 180 mg/dl e LDL-C superiorea 115 mg/dl, se affetti da CHD posso-

Introduzione

14

• 49014 pazienti (1516 donne) con segni di CHD

• Età: 31-75 anni

• Randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato

• Pravastatina 40 mg/die

• Valori medi lipidi basali: Colesterolo Totale 213 mg/dlLDL-C 146 mg/dlHDL-C 35 mg/dl

• Modificazione dei parametri lipidici:-18% Colesterolo Totale-25% LDL-C-12% Trigliceridi+6% HDL-C

• -23% eventi coronarici totali

• -29% infarti fatali e non fatali

• -20% ictus cerebrale

• -31% mortalità per tutte le cause

Risultati

Disegno dello studio e valori lipidici basaliTabella 4

Long Term Interventionwith Pravastatin inIschemic Disease(LIPID).

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 14

Page 16: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

no essere trattati con beneficio con sta-tine; ciò vale per uomini e donne, dia-betici e soggetti fino a 75 anni di età.Risolto dunque il problema della pre-venzione secondaria, restava quello benpiù gravoso, dato il numero, di possibilicandidati al trattamento in prevenzioneprimaria, cioè soggetti che non avevanomai manifestato un episodio clinico diCHD. Nel 1995 veniva pubblicato ilWest of Scotland Coronary PreventionStudy Group (WOSCOPS), condotto su6595 uomini tra i 45 e i 64 anni trattatiper 5 anni con pravastatina 40 mg al

giorno: i risultati ottenuti sono indicatinella Tabella 5; va sottolineato che siebbe riduzione importante anche dellamortalità totale (RRR 22%, p<0,051),per un soffio non significativa, dimo-strando che anche in prevenzione pri-maria un’efficace riduzione della cole-sterolemia (del 20%), con modesti etollerabili effetti collaterali simili a quelliottenuti con placebo, può indurre unariduzione non solo di eventi coronaricifatali e non fatali, come era stato ottenutocon HHS e LRC-CPPT, ma anche dellamortalità totale. Nel WOSCOPS condot-

A. Notarbartolo

15

• 6595 uomini ipercolesterolemici senza precedenti infarti

• Età: 45-64 anni

• Randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato

• Durata media del follow-up: 4,9 anni

• Pravastatina 40 mg/die, la sera

• Colesterolo Totale medio basale 272 mg/dl

• LDL-C medio basale 192 mg/dl

• Modificazione dei parametri lipidici:-20% Colesterolo Totale-26% LDL-C-12% Trigliceridi+5% HDL-C

• -31% rischio decessi per CHD e infarti miocardici non fatali

• -33% rischio morte per cause cardiovascolari accertate o presunte

• -22% rischio mortalità globale (per tutte le cause)

Risultati

Disegno dello studio e valori lipidici basaliTabella 5

West of Scotland Study(WOSCOPS).

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 15

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to in Scozia la colesterolemia mediadei soggetti arruolati nello studio eraelevata (270 mg/dl); lo studio AFCA-PS/Tex CAPS (Tab. 6) fu invece ideatoper verificare se in 6605 uomini e don-ne sani texani reduci delle forze armateaeree degli USA, con colesterolo totalemedio di 220, cioè 50 mg più bassoche nel WOSCOPS, e HDL-C intornoa 37 mg/dl negli uomini e 40 nelledonne, quindi più basso dei valori medidella popolazione generale, il trattamen-to con lovastatina e dieta con bassi li-velli di grassi saturi e colesterolo ali-

mentare, fosse in grado di ridurre il ri-schio cardiovascolare. Anche in questisoggetti (Fig. 3, p. 54), un’RRA dello0,7% rispetto all’RRA ottenuta nelWOSCOPS (1%), si ha una riduzionesignificativa degli eventi di CHD. Comesi vede in questa figura, il confronto trai due studi clinici in prevenzione primariamostra che nel WOSCOPS l’efficaciaclinica è maggiore rispetto all’AFCAPS,perché il rischio basale di cardiopatiaischemica è più alto e corrisponde a li-velli basali di LDL-C più elevati, come siera visto negli studi di prevenzione se-

Introduzione

16

• 6605 soggetti (997 donne) senza segni di CHD

• Età: 45-73 (maschi) e 55-73 (femmine)

• Randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato

• Lovastatina 20 o 40 mg/die

• Valori medi lipidi basali: Colesterolo Totale 228 mg/dlLDL-C 156 mg/dlHDL-C 37 mg/dl

• Modificazione dei parametri lipidici:-18% Colesterolo Totale-25% LDL-C-15% Trigliceridi+6% HDL-C

• -36% eventi coronarici totali

• -35% infarti fatali e non fatali

• -33% rivascolarizzazioni

• -34% ricoveri per angina instabile

Risultati

Disegno dello studio e valori lipidici basaliTabella 6

Air Force CoronaryArtery Prevention Study(AFCAPS).

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 16

Page 18: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

condaria; inoltre il confronto tra 4S eWOSCOPS, entrambi con LDL-C ba-sale elevato, ci dà un NNT di 12 per il4S e di 43 per il WOSCOPS, a dimo-strazione che non è importante solo ilvalore basale di LDL-C, ma il rischiobasale del soggetto singolo, che è net-tamente più alto se ha già avuto unaCHD; lo stesso vale se confrontiamoAFCAPS con CARE e LIPID, in cui ab-biamo un NNT di 86 per il primo e di20 e 23 per i secondi. In termini diNNT, inoltre, il beneficio aumenta note-volmente se il rischio globale del sog-getto (e quindi la presenza di più fattoridi rischio) è aumentato (Fig. 2, p. 53). Itrial di prevenzione primaria e seconda-ria hanno dunque risolto il problema deltrattamento ipocolesterolemizzante constatine come farmaco di scelta, lascian-do tuttavia ampi interrogativi irrisolti diimpatto socioeconomico che sarannoaffrontati da altri autori in questo tratta-to. Restano altri interrogativi riguardanti“l’ipotesi lipidica”.

Le alterazioni metaboliche riguar-danti il colesterolo, con il retroterra ge-netico dell’ipercolesterolemia familiare(vedi La genetica delle iperlipidemie

in questo volume) che è trattata daAverna et al, spiegano intorno al 40%degli eventi di CHD; d’altronde tutti itrial di intervento sulla colesterolemia

hanno ottenuto al massimo una riduzio-ne del rischio del 40%. Esiste tutta unaserie di altri fattori di rischio, classici oantichi e nuovi, di cui trattano Barbagal-lo et al ne L’approccio clinico, preven-

tivo e terapeutico al paziente con pa-

tologie metaboliche aterogene in que-sto volume, e la sindrome metabolicaalla cui base ci sono anche alcune alte-razioni genetiche del metabolismo lipidi-co e glicidico; fra queste l’iperlipemiafamiliare combinata, che tratta Avernanel capitolo appena citato, e le ipoalfali-poproteinemie, inquadrate magistral-mente da Vergani che con i suoi colla-boratori ha condotto ricerche in questosettore. Queste alterazioni metabolichee i nuovi fattori di rischio costituisconol’attuale settore di ricerca preferenziale,perché sono presenti nella gran partedei soggetti a rischio di CHD; gli sforzidelle grandi industrie multinazionali far-maceutiche sono concentrati proprioper tentare di risolvere queste alterazio-ni. Le grandi Società Scientifiche sonoconsapevoli di questo problema e l’AHA(la più grande Società Scientifica – deiCardiologi Americani – esistente almondo) ha recentemente emanato lenuove Linee Guida (ATP III), che vengo-no descritte da Barbagallo e da Vergani.I fibrati sembra che agiscano favorevol-mente: il VA-HIT, uno studio effettuato

A. Notarbartolo

17

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 17

Page 19: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

in soggetti coronaropatici con valori diLDL-C nei limiti normali ma con iper TGe ipo HDL-C, ha evidenziato dopo 5anni di trattamento con gemfibrozil unaRRR del 22% e un NNT di 23, a ulte-riore dimostrazione che la riduzione deiTG e l’aumento dell’HDL-C determina-no un’efficace protezione contro il rein-farto, soprattutto nei pazienti diabetici ocon aumentata resistenza all’insulina,che costituivano la metà dei soggetti ar-ruolati nel trial.

Nel DAIS (acronimo di DiabetesAtherosclerosis Intervention Study), ilfenofibrato somministrato per 4 anni haindotto un arresto della progressionedelle lesioni coronariche angiografica-mente documentate, una riduzione deglieventi non fatali di CHD, dimostrandoche i diabetici di tipo 2 con valori di co-lesterolemia borderline hanno la sindro-me metabolica e traggono vantaggiodella riduzione dei TG circolanti edell’aumento dell’HDL-C; è probabiletuttavia che i fibrati agiscano soprattuttoriducendo i remnant dei TG e le LDLpiccole e dense, che sono particolar-mente aterogene (vedi Barbagallo,L’approccio clinico,…) e che si forma-no soprattutto quando c’è un’iperTG.Un altro problema che è stato solo par-zialmente affrontato riguarda le altera-zioni lipidiche in età pediatrica; si tratta

di forme prevalentemente ipercolestero-lemiche, poiché il fenotipo della familia-re combinata e delle forme di ipertrigli-ceridemia isolata si svelano molto dopola pubertà, in quanto intervengono mo-dificazioni peggiorative dello stile di vita:sono pertanto essenziali la prevenzionein età pediatrica e l’educazione sanita-ria, che se ben condotta in giovane etàsarà foriera di benessere futuro, ma èanche difficile da attuarsi data la delica-tezza degli organismi in crescita. Questoargomento è affrontato da Riva e DeCarlis della Scuola di Giovannini, che siè interessata in modo approfondito aquesto problema anche producendo leLinee Guida della SINUPE, ufficialmen-te accettate dagli esperti italiani di lipi-dologia. Argomento di intense ricerchenel settore dell’aterosclerosi è lo stressossidativo, cui vanno incontro durante ilprocesso di invecchiamento, ma anchein presenza di malattie croniche o in-fiammatorie o degenerative, le proteinedell’organismo. Tra queste le apoprotei-ne e le LDL sono tra i principali prota-gonisti: in Stress ossidativo e antiossi-

danti naturali è affrontato questo tema,come in Alimentazione e geni viene di-scusso quanto è scientificamente notodi tale rapporto. Come si vedrà piùavanti, i trial con antiossidanti naturalihanno dato risultati confusi e contra-

Introduzione

18

0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 18

Page 20: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

stanti, mentre delle buone regole ali-mentari, magistralmente proposte daLanzola, hanno sempre dato risultati ec-cellenti. Questo perché nell’olio d’oliva,nel pesce, nei latticini freschi non fer-mentati, nelle verdure e nei vegetali, epersino nel vino e nel tè, sono presentidelle sostanze antiossidanti che spiega-no i risultati ottenuti con gli interventidietetici, che, lo ricordiamo, devonoprecedere e sempre accompagnare itrattamenti farmacologici. Un esempiotipico è il Lyon Diet-Heart Study, con-dotto in Francia su circa 400 pazienticon storia personale di malattia corona-rica randomizzati a una dieta “mediterra-nea” tipica e completa rispetto a un’ali-mentazione “prudente” in cui erano sol-tanto ridotti i grassi saturi animali. Nelladieta “mediterranea” i soggetti erano in-coraggiati a mangiare pane, vegetali,pesce e solo carni bianche tipo pollo etacchino, frutta; a sostituire burro e cre-me con olio d’oliva o margarina vegetaleda semi di ravizzone, e a bere piccolequantità di vino: dopo 27 mesi lo studiofu interrotto perché non era etico conti-nuare in quanto 16 soggetti ebbero unarecidiva infartuale contro 3 soltanto delgruppo “mediterraneo”, e la mortalitàgenerale si ridusse anch’essa significa-tivamente. Questo anche se le modifi-cazioni ottenute nei valori di lipidi, pres-

sione arteriosa e abitudine al fumo, fos-sero simili nel gruppo con dieta mediter-ranea rispetto a quello che seguiva unadieta precedente. È evidente che non èla riduzione delle LDL ad essere effica-ce in questo studio, ma la protezioneantiossidante degli alimenti contenutinella dieta dei paesi del Sud Europa: aun’analisi multivariata dei singoli ele-menti correlati ai benefici ottenuti neltrial, si vide dopo 4 anni che la riduzionedei grassi saturi era benefica, ma glielementi particolarmente importanti ri-sultarono un acido monoinsaturo, l’aci-do oleico, e l’acido alfalinolenico, che èun acido grasso omega-3, simile aquello contenuto nei pesci ma di originevegetale: entrambi hanno uno spiccatoeffetto antiossidante.

In conclusione, molto si è fatto inquesti 50 anni di studi e ricerche; ma irisultati ottenuti sono niente di fronte allamole di lavoro che attende in questosettore i ricercatori; siamo fiduciosi chese lavoreremo con umiltà, senza pregiu-dizi ma con tanta passione, migliorere-mo la qualità della vita dei nostri pazienti.

Speriamo che questo volume dellacollana Items pubblicata dall’Istituto Da-none contribuisca un poco a raggiunge-re questo scopo.

Alberto Notarbartolo

A. Notarbartolo

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Page 21: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

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Randomised trial of cholesterol lowering in 4444patients with coronary heart disease: the Scandina-vian Simvastatin Survival Study (4S).Lancet, 344: 1383-1389, 1994.

Introduzione

20

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Page 22: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

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The Lipid Research Clinics Coronary Primary Pre-vention Trial results. I. Reduction in incidence ofcoronary heart disease.JAMA, 251: 351-364, 1984.

A. Notarbartolo

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0441225/01 introduzione 29-05-2002 15:22 Pagina 21

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Fattori di rischioclassici e cenni di terapia

La malattia aterosclerotica è unamalattia a genesi multifattoriale, inquanto non è dimostrabile un singoloelemento causale, ma esistono piutto-sto una serie di condizioni che, sulla ba-se dei dati forniti dai maggiori studi epi-demiologici, si sono trovati associati piùo meno strettamente alla malattia, eche assumono quindi un determinatovalore predittivo, consentendo di sele-zionare i soggetti che presentano unamaggiore probabilità di sviluppare lamalattia stessa. Tali condizioni prendo-no il nome di “fattori di rischio”.

Per valutare se un’associazionestatistico-epidemiologica sia realmentecausa di malattia, è necessario chevengano rispettati i seguenti criteri:– deve essere stabilita una sequenza

temporale e causale tra fattori di ri-schio e malattia;

– l’associazione deve essere forte, indi-pendente, graduale e continua, e l’in-cidenza della malattia deve aumenta-re con l’aumento del livello dei fattoridi rischio;

– devono esistere meccanismi median-te i quali il fattore di rischio contribui-sce alla patogenesi della malattia;

– l’intervento mirato alla riduzione delfattore di rischio in uno studio clinicocontrollato dovrebbe generalmente ri-durre l’incidenza della malattia in que-stione.

L’ipertensione arteriosa, le dislipide-mie, il diabete, il fumo di sigaretta,l’obesità e l’inattività fisica sono fattori dirischio cardiovascolare modificabili; alcontrario l’età, il sesso maschile e lapredisposizione genetica, comprendenteanche la familiarità positiva per cardio-patia ischemica (CHD) in età precoce,sono fattori di rischio cardiovascolareimmodificabili. È oramai noto che i fatto-ri di rischio hanno un’azione moltiplicati-va, ed è quindi importante che il medico

23

l’l’ approccio clinico, preventivo e terapeutico al paziente con patologie metabolicheaterogene

C.M. Barbagallo, A. Notarbartolo, F. Polizzi, G. Scalisi

Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Palermo

1225/01 capitolo 1 29-05-2002 15:21 Pagina 23

Page 24: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

li tenga in considerazione costantemen-te nel loro insieme. Non ci si deve alloralimitare alla valutazione singola di ognu-no di essi, ma anche delle loro interazio-ni, calcolando il cosiddetto “rischio car-diovascolare globale” e soggettivizzandoi parametri di riferimento lipidici, glicemi-ci, ponderali e pressori in relazione ai di-versi livelli di rischio cardiovascolare. Diseguito analizzeremo le principali infor-mazioni sui fattori di rischio classici perla cardiopatia ischemica.

Età

È noto che, con l’aumentare del-l’età, si ha un incremento progressivodel rischio di cardiopatia ischemica negli

uomini; nelle donne un comportamentosimilare si ha invece dopo i 50 anni dietà, epoca in cui mediamente viene me-no, con la menopausa, la caratteristicaprotezione ormonale del sesso femmini-le. In base alle stime del FraminghamHeart Study, l’incidenza media a diecianni di CHD, <1% nelle donne di 30-34 anni di età, arriva a circa il 24% negliuomini di 70-74 anni. Si stima che oltre3,6 milioni di pazienti anziani siano affet-ti da CHD e oltre il 60% dei pazienti ri-coverati per infarto miocardio negli USAabbia un’età >65 anni; in queste stimesi deve comunque considerare che l’in-cidenza di molti fattori di rischio, comel’ipertensione, l’iperlipidemia e il diabete,aumenta con l’età. Le lesioni ateroscle-rotiche delle arterie coronariche posso-

L ’approccio cl in ico, preventivo e terapeutico

24

• Età

• Sesso

• Ipertensione arteriosa

• Ipercolesterolemia

• HDL-colesterolo

• Diabete

• Fumo di sigaretta

• Trigliceridemia

• Obesità

• Inattività fisica

• Storia familiare di CHD prematura e geni di suscettibilità

• Fattori psicosociali e comportamentali

• Caratteristiche etniche

Tabella 1

I fattori di rischioclassici.

1225/01 capitolo 1 29-05-2002 15:21 Pagina 24

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no comunque avere inizio molto preco-ce, addirittura fin dai primi anni di vita,ma la loro evoluzione, rottura o fissura-zione è accelerata in presenza di altrifattori di rischio. L’ipercolesterolemia ditipo genetico richiede una diagnosi pre-coce, perché in questi casi episodi dicardiopatia ischemica possono manife-starsi anche prima dei 40 anni.

Sesso

In termini assoluti la mortalità car-diovascolare è superiore nelle donne, eciò sembra essere dovuto a un’aspetta-tiva di vita maggiore nel sesso femmini-le rispetto a quello maschile. Nelle don-ne la CHD si manifesta con un ritardo dicirca 10 anni rispetto agli uomini, risul-tando sempre comunque associata aglistessi fattori di rischio cardiovascolare(ipertensione, ipercolesterolemia, fumodi sigaretta, diabete mellito ecc.); cia-scuno di questi, infatti, sembra aumen-tare il rischio di sviluppare la CHD inegual misura nelle donne e negli uomi-ni, con la sola eccezione del diabete,che comporta un rischio cardiovascola-re lievemente maggiore nelle donne ri-spetto agli uomini. La CHD è comun-que rara nelle donne in premenopausain assenza di diabete mellito o di grave

iperlipidemia genetica, mentre dopo lamenopausa il rischio diventa sovrappo-nibile con gli uomini. In ogni caso, glistudi di prevenzione primaria e secon-daria condotti finora hanno spesso di-scriminato le donne, e ciò ha comporta-to che al momento disponiamo di unnumero di informazioni in campo epide-miologico di gran lunga superiori neimaschi rispetto alle femmine. Un aspet-to interessante è comunque il fatto chela riduzione dei fattori di rischio e le stra-tegie di popolazione in prevenzione pri-maria messe in atto negli ultimi vent’an-ni negli USA, hanno prodotto minori ef-fetti nelle donne rispetto ai soggetti disesso maschile. Questo sembrerebbeessere collegato all’abitudine al fumo disigaretta che nelle donne non si è ridot-ta nella stessa misura degli uomini, eche quindi rimane un importante fattoredi rischio per CHD nel sesso femminile.

Ipertensione arteriosa

La stretta correlazione esistente fraipertensione arteriosa ed eventi cardio-vascolari è nota da tempo, ma solo ne-gli ultimi decenni la ricerca scientifica èstata in grado di connotare il percorsopatologico che porta l’elevata pressionearteriosa a determinare gravi danni della

C.M. Barbagallo, A. Notarbartolo, F . Pol izz i , G. Scal is i

25

1225/01 capitolo 1 29-05-2002 15:21 Pagina 25

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funzionalità cardiaca fino allo scompen-so. Nelle società industrializzate si assi-ste a un progressivo incremento dellapressione arteriosa con l’avanzare del-l’età. Questa tendenza è associata a unaumento soprattutto della pressione si-stolica, che cresce fino all’ottava deca-de di vita, mentre la pressione diastolicatende a rimanere costante o a decre-scere dopo la quinta o sesta decadecome effetto dell’irrigidimento delle ar-terie, con conseguente incremento del-la pressione differenziale; infatti sempremaggiori evidenze attribuiscono a que-sto valore un ruolo di fattore predittivoindipendente di malattia coronaria e in-sufficienza cardiaca congestizia.

Gli elevati livelli cronici di pressionearteriosa producono un importante dan-no d’organo attraverso due meccanismiprincipali:

a) il danno endoteliale con amplifica-zione di eventuali processi aterosclerotici;

b) il danno d’organo che può esse-re determinato dalle alterazioni emodi-namiche associate agli elevati valori dipressione arteriosa e in particolare alprogressivo aumento della resistenzaall’eiezione del sangue dal cuore.

A livello cardiaco il danno più impo-nente è dato dal sovraccarico emodina-mico imposto al ventricolo sinistro dal-l’incremento delle resistenze periferiche:

ciò comporta come risposta adattativauna serie di modificazioni strutturali efunzionali, che conducono in ultima ana-lisi a ipertrofia ventricolare sinistra (IVS)e a compromissione della funzione dia-stolica e sistolica ventricolare, favorendola progressiva evoluzione verso lo scom-penso cardiaco. L’IVS predispone inol-tre alla comparsa di importanti manife-stazioni cliniche, come l’ischemia mio-cardica e le aritmie ventricolari, eventicollegati sia al maggiore consumo di os-sigeno da parte del muscolo cardiacoipertrofico, sia alla relativa inadeguatez-za del microcircolo coronario rispetto al-la crescita della massa ventricolare.

I grandi studi epidemiologici degli ul-timi tre decenni hanno mostrato in modoinequivocabile che il rischio cardiovasco-lare cresce progressivamente con l’au-mentare della pressione arteriosa, indivi-duando nell’ipertensione uno tra i princi-pali fattori di rischio cardiovascolare.

Gran parte delle evidenze deriva dadue fonti principali:– studi prospettici osservazionali sull’in-

cidenza di ictus e coronaropatia;– studi randomizzati sulla terapia anti-

pertensiva.I primi forniscono i dati da cui può

essere valutato l’effetto di prolungatedifferenze di riduzioni pressorie, mentre isecondi forniscono dati sugli effetti di ri-

L ’approccio cl in ico, preventivo e terapeutico

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duzioni a breve termine della pressionearteriosa. Tra gli studi unifattoriali di in-tervento ricordiamo lo studio Hyperten-sion, Detection and Follow up Program,che comprendeva circa 10.940 individuiappartenenti a 14 comunità degli StatiUniti scelti fra 159.000 volontari. I risul-tati principali ottenuti durante il follow-updi 5 anni sono stati una riduzione del17% della mortalità totale nel grupposottoposto a trattamento ipotensivo atti-vo (beta bloccanti, diuretici, calcio anta-gonisti e ACE-inibitori) verso placebo,che arrivava a raggiungere il 20% nelgruppo con una pressione diastolica di90-104 mmHg. Alcuni tra i più impor-tanti studi prospettici sono stati valutatiin un lavoro di meta-analisi che ha presoin considerazione 9 studi osservazionalie circa 420.000 soggetti di 25 anni opiù, studiati per un periodo di 6-25 anni,

senza diabete o evento cardiovascolareprima dell’esame dell’arruolamento.

Negli studi analizzati, effettuati inmaggioranza su popolazione maschile(Tab. 2), la pressione all’arruolamentoveniva rilevata nel corso di un’unica visi-ta con una sola lettura oppure con lamedia di due misurazioni utilizzando unosfigmomanometro a mercurio. I parteci-panti di ciascuno studio sono stati divisiin 5 gruppi in relazione ai valori dellapressione diastolica (<80, 80-90, 90-99, 100-109, >109 mmHg) e il rischiodi cardiopatia è stato calcolato perognuna delle categorie rispetto al rischioglobale dell’intera popolazione esa-minata. Combinando tutti gli studi, sonostati calcolati mediante regressione logi-stica corretta in base a studio e sesso, irischi relativi di ciascuna categoria. I ri-sultati a 4 anni del Framingham Heart

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STUDIO Soggetti Maschi (%) Età

MRFIT screenes 350.977 100 35-57

Chicago Heart Ass 22.777 52 35-64

Whitehall 16.372 100 40-64

Puerto Rico 8.158 100 45-64

Honolulu 7.317 100 45-68

LRC prevalence 4.674 65 25-84

Framingham 4.641 44 40-69

Western Eletric 2.025 100 40-59

People’s Gas 1.402 100 40-59

Tabella 2

Caratteristiche dellapopolazione esaminatain nove studi prospetticiosservazionalisull’incidenza di coronaropatia.

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Study sono stati utilizzati come guida deilivelli pressori sistolici e diastolici, inquanto i livelli pressori e medi per ognu-na delle categorie non potevano esserecalcolati direttamente, dato che le misu-razioni pressorie effettuate durante il fol-low-up non erano riportate per tutte lepopolazioni in esame. In questo studiol’incidenza a 30 anni di angina pectoris,infarto miocardio e morte improvvisa nelloro complesso è risultata del 20,2%nei maschi e del 10,1% nelle femminetra i soggetti normotesi, del 39% neimaschi e del 18,2% nelle femmine tra ipazienti ipertesi lievi (pressione arteriosasistolica e diastolica rispettivamente<140/159 e <90/94 mmHg), del46,6% nei maschi e del 23,1% nellefemmine tra gli ipertesi più severi (pres-sione arteriosa >160/95 mmHg). Unarelazione continua e diretta tra pressionearteriosa ed eventi coronarici è stata ri-scontrata anche nell’ambito del MRFIT.In particolare tra i 5540 maschi raccolti

con anamnesi positiva per IMA, è stataosservata una relazione tra pressionediastolica e morte coronarica. Ulterioristudi, infine, che si differenziano daiprecedenti elencati solo per il numero disoggetti coinvolti, per il numero deglianni di follow-up e perché più recenti(Tab. 3), hanno continuato a dimostrareche il rischio cardiovascolare aumentaall’aumentare dei livelli pressori senzasoluzione di continuità e senza che siapossibile individuare un valore soglia, siaper la sistolica che per la diastolica, so-prattutto per l’importante e individualeinterazione con gli altri fattori di rischiocardiovascolare.

Ipercolesterolemia

Un gran numero di studi ha docu-mentato in modo inequivocabile la cor-relazione esistente fra livelli sierici di co-lesterolo totale e di colesterolo LDL

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STUDIO N. pazienti Farmaco

SHEP 4.736 Clortalidone

STOP-Hyperten 1.672 Atenololo + idroclorotiazide

ABCD 950 Nisoldipina/enalapril

HOT 18.790 Ca-antagonisti + diuretici, ACE, β-bloccanti

HOPE ACE

Tabella 3

Studi di intervento con farmaci ipotensivi.

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con la malattia coronarica. Sebbene ifattori di rischio che influenzano la car-diopatia ischemica siano numerosi, ilruolo eziologico principale del colestero-lo è attualmente ben definito. Tali evi-denze che si sono manifestate nell’arcodegli anni sono sia epidemiologiche chenon epidemiologiche (Tab. 4).

Vi sono evidenze storiche della pro-gressione della cardiopatia ischemicanella nostra società quando ci si sotto-pone a una dieta ricca di grassi. Le po-polazioni che hanno subito periodi di re-strizione di grassi nella dieta e calo pon-derale presentano meno aterosclerosi ecardiopatia ischemica durante e dopo ilperiodo di restrizione, come si è potutoprovare nell’Europa centrale durante laseconda guerra mondiale. Ma tornandoai nostri giorni, sono numerosi i risultati

di altri importanti studi angiografici e cli-nici che hanno dimostrato come il de-corso clinico e la progressione dellacardiopatia ischemica su base atero-sclerotica in soggetti a maggiore rischiocardiovascolare, possono essere ridottigrazie a interventi terapeutici con far-maci ipolipemizzanti (statine ma anchefibrati), che agiscono riducendo i livelli dicolesterolo totale e colesterolo-LDL eaumentando i livelli di colesterolo-HDL.

L’ipercolesterolemia va consideratal’elemento centrale nell’ambito del ri-schio cardiovascolare. L’aterosclerosi,infatti, è un processo insidioso, che ini-zia con la comparsa di strie lipidiche econ la successiva progressione alleplacche fibrose, possibili sedi e causedi stenosi vascolari o rottura e fissura-zione delle stesse. È una malattia croni-

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• Incremento della colesterolemia e del rischio di coronaropatia in differenti paesi del mondo

• Correlazione tra malattia coronaria e dislipidemie fra gli individui di una popolazione

• Riduzione della malattia coronaria associata alla riduzione dei livelli di colesterolo

• Dati sperimentali su animali ipercolesterolemici

• Presenza di LDL ossidate nella placca aterosclerotica

• Disfunzione endoteliale relazionata a livelli di colesterolo

Evidenze non epidemiologiche

Evidenze epidemiologicheTabella 4

Evidenze del ruolo delcolesterolo nei confrontidella cardiopatiaischemica.

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ca di tipo degenerativo infiammatorio,provocata da una risposta dell’intimadelle arterie elastiche e muscolari digrosso e medio calibro a un insulto ar-recato. Il meccanismo iniziale del pro-cesso sembrerebbe essere una modifi-cazione delle LDL che si verifica perprocessi ossidativi, con conseguente al-terazione della loro struttura, che per-mette loro di esercitare attrazione che-miotattica nei confronti dei monociti cir-colanti. Ne consegue una risposta in-fiammatoria nella quale i macrofagi atti-vati costituiscono infatti l’elemento cel-lulare tipico della maggior parte delle le-sioni aterosclerotiche, trasformandosirapidamente in cellule schiumose (foam

cells). Le foam cell andranno poi in-contro a processi necrotici con rilasciodel loro contenuto negli spazi sotto-inti-mali, contribuendo alla formazione dellastria lipidica. Il rilascio di numerose cito-chine e fattori di crescita potenzia la ri-sposta infiammatoria indotta dalle LDLmodificate e richiama neutrofili e altrimacrofagi nel sito d’insulto. È l’inizio delprocesso aterosclerotico, un processosempre uniformemente distribuito mache colpisce solo alcune aree “critiche”. L’esame biochimico delle placche rilevadue componenti principali:– componente proteica,– componente lipidica.

Da quanto esposto risulta evidentel’instabilità della placca ed è deduttivoche proprio da questo dinamico proces-so istologico derivi la grande variabilitàclinica dei quadri clinici attribuibili ai pro-cessi aterosclerotici, in quanto non tuttele placche esprimono lo stesso poten-ziale stenotico o trombotico e quindinon tutte sono ugualmente responsabilidi quadri clinici.

Semplificando molto diremmo che:a) a una placca stabile corrisponde

il quadro clinico dell’angina stabile;b) a una placca instabile, cioè mag-

giormente predisposta a rotture e fissu-razioni, quindi al rilascio di trombi, corri-spondono l’angina instabile e l’infartoacuto del miocardio.

Dal punto di vista epidemiologicol’interesse dei ricercatori sui livelli siericidi colesterolo totale, prima, e di LDL-colesterolo, risale a svariati decenni ad-dietro, e nel corso degli anni si è dimo-strata inequivocabilmente la presenza diuna correlazione fra i valori sierici di taliparametri e il rischio di coronaropatia.Nel Multiple Risk Factor InterventionTrial (MRFIT), un campione di 360.000uomini fra 35 e 57 anni è stato sottopo-sto a valutazione dell’assetto lipidico eseguito per 12 anni, mostrando un’im-portante correlazione fra livelli sierici dicolesterolo e mortalità per coronaropa-

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tia. La stessa correlazione è stata ri-scontrata anche per popolazioni diffe-renti, sebbene con curve non sovrappo-nibili, nel Seven Countries Study, unimportante studio che ha monitoratoper ben 25 anni popolazioni provenientida 7 aree geografiche diverse, mo-strando una correlazione positiva tramortalità coronarica e consumo di gras-si saturi (entrambi fattori direttamentecorrelati alla colesterolemia). Nel White-hall Study sono stati studiati 19.000maschi deceduti per CAD, stratificati infasce d’età di ampiezza pari a 5 anni,ed è stato calcolato il rischio relativosulla base dell’incremento del coleste-rolo totale e sulla base della durata del-l’ipercolesterolemia. Questo studio hamostrato importanti risultati sull’effica-cia predittiva dei livelli sierici di coleste-rolo totale in relazione all’età. L’eviden-za tra ipercolesterolemia e malattia ate-rosclerotica è stata ancora supportata,oltre che da studi di epidemiologia os-servazionale, anche da studi clinici d’in-tervento effettuati in pazienti in preven-zione primaria e prevenzione seconda-ria. Fra gli studi in prevenzione primariasenza intervento farmacologico ricordia-mo lo studio di OSLO, dove sono statiselezionati 1232 uomini fumatori tra 40e 49 anni con colesterolo totale fra 290e 379 mg/dl: in questo studio l’inter-

vento dietetico ha abbassato la mediadella colesterolemia da 315 a 280mg/dl, mentre, in associazione alla ridu-zione del fumo, è stata riscontrata unariduzione del 45% dell’incidenza di infar-ti mortali e non mortali rispetto ai con-trolli in 5 anni. In prevenzione primariacon intervento farmacologico con statinelo studio di riferimento è il WOSCOPS,in cui 6595 pazienti di età tra 45 e 64anni e con colesterolo medio di 272mg/dl, sono stati trattati con pravastati-na da 40 mg o placebo per un periododi 5 anni. La statina ha ridotto coleste-rolemia di circa il 20%, e parallelamen-te si osservava una riduzione del rischiorelativo di eventi coronarici maggiori del31%. Molto importante è infine segnala-re alcuni degli studi in prevenzione se-condaria, come l’ormai storico 4S (Scan-dinavian Survival Simvastatin Study),che ha valutato 4444 soggetti di età fra35 e 70 anni, con angina pectoris o pre-gresso infarto del miocardio e con livellidi colesterolo fra 212 e 309 mg/dl,trattati con simvastatina da 20 o 40 mgo placebo per un periodo medio di 5,4anni. In questo studio la mortalità totalee coronaria si è ridotta rispettivamentedel 30 e del 42% nei soggetti trattaticon la statina in aggiunta alla terapiacardiologia convenzionale. Infine nellostudio CARE (Cholesterol And Recur-

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rents Events) in 4159 pazienti con pre-gresso infarto del miocardio e trattaticon Pravastatina da 40 mg o placebo,ma aventi come criterio di inclusione uncolesterolo totale inferiore a 240 mg/dl,si è evidenziata una riduzione del 24%degli eventi clinici coronarici. Questi ealtri importanti studi sintetizzati nellaTabella 5 lasciano pochi dubbi sullapossibilità di prevenire gli eventi cardio-vascolari con un trattamento efficacedei livelli di colesterolo plasmatici.

HDL colesterolo

Da molto tempo è stato già osser-vato che elevate concentrazioni diHDL-colesterolo (HDL-C) sembravanoconferire agli individui una certa prote-zione sugli eventi cardiovascolari. Il prin-cipale effetto protettivo dello HDL-Csarebbe correlato al trasporto inversodel colesterolo, dal circolo sistemico al

fegato, per essere quindi metabolizzatoed eliminato. Nonostante i bassi livelli diHDL-C sembrino aumentare lo stessorischio per CHD in modo simile a eleva-ti valori di colesterolo totale, le causedell’ipoalfalipoproteinemia (sinonimo dibassi livelli di HDL-C) non sono oggidel tutto note. È comunque sicuro che,oltre a rilevanti influenze genetiche, sia-no coinvolti anche fattori esterni, e checorrelazioni certe esistono tra bassi va-lori di HDL-C e obesità, ipertrigliceride-mia, diabete mellito, sedentarietà e fu-mo di sigaretta.

Oggi sono menzionabili numerosistudi epidemiologici sulla relazione tra ilivelli di HDL-C e l’incidenza di CHD. Inmolti di questi, tale relazione inversa-mente proporzionale era significativa etestimoniava l’indipendenza della corre-lazione dei livelli di HDL-C con altri fat-tori di rischio coronarici. In alcuni altri viera la tendenza verso un’incidenza piùalta di CHD a valori più bassi di HDL-C,

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STUDIO Pazienti Farmaco Mortalità CHD IMA*

WOSCOPS 6.595 PRAVA -22% -28% -31%

AFCAPS/Tex CAPS 6.605 LOVA - -40% -37%

4S 4.444 SIMVA -30% -42% -34%

CARE 4.159 PRAVA - -20% -24%

LIPIDS 9.014 PRAVA -22% -24% -29%

* Non fatale.

Tabella 5

Principali studi diprevenzione primariae secondaria della CHDmediante terapiaipolipemizzante con statine.

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che mancava di poco la significativitàstatistica per errori probabilmente di ti-po metodologico.

Infine ricordiamo che bassi valori diHDL-C sono alla base di alterati ed ele-vati rapporti tra colesterolo totale oLDL-colesterolo (LDL-C) e HDL-C,che costituisce una delle più frequentianomalie lipidiche presenti nella popola-zione europea. Nello Studio PROCAM,durante lo screening venne riscontratonel gruppo di soggetti asintomatici chepresentavano un’anomalia lipidica com-plessa, e cioè caratterizzata da un rap-porto LDL-C/HDL-C>5 e da livelli di

trigliceridemia >200 mg/dl (la cosiddet-ta “triade lipidica”), la maggiore inciden-za di malattie cardiovascolari durante ilfollow-up.

Diabete

Il diabete mellito rappresenta attual-mente una delle principali cause di mor-te negli USA, e l’elevata mortalità asso-ciata al diabete deriva in gran parte dal-l’aumentato rischio cardiovascolare, da2 a 4 volte superiore rispetto a quellodella popolazione normale. Le patologie

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Studio Paese Autore

Tromso Heart Study Norvegia Miller 1997

Framingham Heart Study USA Gordon 1977

Oslo Study Norvegia Enger 1979

Israeli Ischaemic Heart Disease Israele Golburt 1985

Donolo Tel Aviv USA Brunner1987

MRFIT USA Watkins 1986

LRC-CPPT USA Jacobs 1990

Procam Germania Assman 1989

LRC-F USA Jacobs 1990

Helsinki Heart Study Finlandia Manninem 1986

Trinidad Trinidad Tobago Miller 1989

Caerphilly-Speedwell Gran Bretagna Swetna 1989

British Regional Heart Gran Bretagna Pocock 1989

Kuopio Finlandia Salonen 1991

Physician’s Health Study USA Stampfe 1991

Tabella 6

Studi epidemiologicisulla relazione inversatra HDL-C e incidenza di cardiopatia ischemica.

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cardiovascolari sono responsabili del60% dei decessi dei pazienti diabetici; il41% di questi è dovuto a CHD. L’au-mentata mortalità cardiovascolare rile-vata nei pazienti diabetici deriva in granparte dalla frequente associazione deldiabete con altri fattori di rischio cardio-vascolare, tra cui ipertensione, ipertrigli-ceridemia, ipercolesterolemia, obesità,aumentati livelli di fibrinogeno e ipertro-fia ventricolare sinistra. Tuttavia, comeben evidenziato dal MRFIT, anche dopocorrezione per ciascuno di questi fattoridi rischio, i pazienti diabetici conservanouna mortalità per cause cardiovascolaripiù elevata rispetto ai soggetti non dia-betici. È stato quindi ipotizzato che l’au-mentata incidenza di complicazioni ma-crovascolari nei pazienti diabetici dipen-da direttamente dall’iperglicemia. Addi-rittura recentemente si è affermato che isoggetti con diabete di tipo II avrebberoun rischio di infarto del miocardio ugualea coloro che non sono diabetici, ma chehanno già avuto un precedente infartodel miocardio. In particolare poi vienecancellata nelle donne la protezione ca-ratteristicamente legata al sesso. La ri-duzione dell’aspettativa di vita aumentacon la precocità di insorgenza del diabe-te e l’eccesso di mortalità nel diabete ri-spetto alla popolazione generale è dovu-to alla macroangiopatia. I meccanismi

patogenetici che possono spiegare l’ec-cesso di patologia cardiovascolare nelpaziente diabetico sono tuttora in fase distudio e soltanto il diabete non è suffi-ciente a spiegare lo sviluppo e la pro-gressione della patologia cardiovascola-re. Il quesito che per molti anni ha inte-ressato i clinici e gli epidemiologi, è in-fatti stabilire se l’eccesso di patologiacardiovascolare osservato nei diabeticipossa essere spiegato da una più altaprevalenza dei maggiori fattori di rischiofrequentemente presenti in questi pa-zienti, quali ipertensione arteriosa, disli-pidemia, fumo. Svariati dati confermanoche la mortalità cardiovascolare aumen-ta progressivamente con l’aumentaredei livelli di colesterolo, pressione arte-riosa e fumo di sigaretta nei soggettidiabetici; tuttavia la mortalità è significa-tivamente sempre più alta nei diabeticirispetto ai non diabetici; quando le va-riabili vengono esaminate in combinazio-ne, si vede chiaramente che anche neidiabetici normolipidemici, normotesi enon fumatori, la mortalità cardiovascola-re rimane sostanzialmente più alta ri-spetto ai soggetti non diabetici con lestesse caratteristiche. Ne deriva chel’ipercolesterolemia, l’ipertensione arte-riosa e il fumo di sigaretta agiscono sianei diabetici sia nei non diabetici, macon un impatto significativamente mag-

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giore sui primi. L’aterosclerosi del diabe-tico non si differenzia di molto da quellache si manifesta nella popolazione ge-nerale, se non per il fatto di manifestarsimolto più precocemente e con maggio-re frequenza. Nel diabete mellito è peròimportante distinguere tra le noxae pa-togene in grado di causare un dannoendoteliale, tra quelle legate “specifica-mente” all’alterato metabolismo dei car-boidrati, da quelle legate ad altri fattoridi rischio. Tra le noxae specifiche devo-no essere segnalati gli elevati livelli gli-cemici e alcune anomalie secondarie ti-piche dei diabetici, quali le alterazioni or-monali, le modificazioni ematologiche,emoreologiche e infine la microangiopa-tia dei vasa vasorum. Tutti fattori chepossono migliorare in seguito all’instau-razione di un equilibrio metabolico otti-male. Sono così numerose le vie fisio-patologiche attraverso le quali l’ipergli-cemia è in grado di accelerare la forma-zione della placca, e a queste si aggiun-ge la glicazione delle proteine strutturalidella parete vasale, con formazione dicomposti finali di glicazione avanzata(AGE). La formazione di AGE comportaun aumentato richiamo di piastrine pla-smatiche nella sede della lesione endo-teliale e una maggiore degradazione eliberazione di prodotti di crescita da par-te dei macrofagi, con conseguente ac-

cumulo di tale materiale a livello dellaparete vasale. Purtuttavia, nel recentestudio anglosassone UKPDS, che haseguito per un lungo periodo di tempoun largo numero di soggetti diabeticitrattati con terapia intensiva o conven-zionale, si è visto che un ottimale com-penso glico-metabolico è in grado di ri-durre significativamente le complicanzemicrovascolari, mentre ha un limitato ef-fetto sugli eventi macrovascolari, perprevenire i quali è necessario trattare ifattori di rischio presenti, ipertensione eipercolesterolemia in testa.

Il trattamento insulinico riduce l’inci-denza e la progressione delle complican-ze macroangiopatiche (retinopatia, ne-fropatia, neuropatia), come dimostratoanche dallo studio prospettico DIGAMI.Resta però ancora poco conosciutol’effetto a lungo termine sulla CHD del-la terapia insulinica, in quanto gli effettibenefici potrebbero infatti attenuarsi neltempo o viceversa rilevarsi ancora piùnettamente positivi, in quanto i pazientipassano inesorabilmente a fasce di ri-schio maggiore.

Discorso diverso vale per il diabetedi tipo II, dove la CHD diventa la causaprincipale di morte indipendente dalladurata del diabete, e ciò anche per lacontemporanea comparsa di altri fattoridi rischio, come l’ipertensione e la disli-

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pidemia. Gli studi che sono consideratipietre miliari di tali evidenze sono il Fram-ingham Heart Study, dove le personediabetiche di tipo II avevano un rischiorelativo (diabetici vs non diabetici) dimorte per malattia cardiovascolare di2,1 per gli uomini e di 4,9 per le donne,e l’incidenza in 20 anni nei diabetici dinuovi eventi di cardiopatia coronaria era1,7 volte maggiore nelle donne rispettoai soggetti non diabetici. Nel MRFIT, irisultati a 12 anni dimostrano che lamortalità cardiovascolare in 5163 dia-betici su circa 350.000 non diabetici (dietà fra 35 e 70 anni) è di 4 volte piùelevata fra i diabetici. Infine è sicura-mente il caso di elencare alcuni casi diintervento su popolazioni di dislipidemi-ci, che hanno preso anche in conside-razione dei sottogruppi di diabetici, va-lutando anche gli effetti benefici di al-cuni farmaci ipolipemizzanti (statine e fi-brati) sul rischio cardiovascolare. Nel-l’Helsinki Heart Study, uno studio diprevenzione primaria condotto con unfibrato (gemfibrozil) in confronto conplacebo, si è avuta una scarsa signifi-catività statistica nella differenza dellariduzione dell’incidenza di eventi cardio-vascolari tra il gruppo diabetici e non.Nel sottogruppo del 4S condotto conSimvastatina nei 202 arruolati diabetici,si sono avuti dati di riduzione del rischio

di eventi cardiovascolari maggiori pari al55%. Nel CARE, i 586 diabetici hannomostrato una riduzione del rischio del25%. Nel VA-HIT, uno studio di pre-venzione secondaria in soggetti ipoalfa-lipoproteinemici trattati con gemfibrozil,si è visto che il beneficio maggiore eralimitato ai soggetti diabetici, con intolle-ranza glucidica e/o iperinsulinemia. Ri-mane da stabilire se l’aumentata preva-lenza di diabete di tipo II registrata intutto il mondo occidentale dipenda daun aumento dell’incidenza della malattiao dalla diminuzione della mortalità adessa associata. Lo studio S. AntonioHeart Study, che valutava l’incidenza didiabete in soggetti adulti non diabeticial momento del reclutamento, ha evi-denziato un’incidenza a 8 anni triplicatain diversi gruppi etnici valutati. A diffe-renza di altri fattori di rischio, comeipertensione e dislipidemia precedente-mente descritti, la cui prevalenza vaprogressivamente riducendosi, il diabe-te sembra destinato a interessare unnumero sempre maggiore di persone.

Fumo di sigaretta

Il fumo di sigaretta è un altro impor-tante fattore di rischio cardiovascolare.Numerosi studi prospettici hanno evi-

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denziato un’aumentata incidenza di pa-tologie cardiovascolari e di morte car-diaca improvvisa nei fumatori. In ag-giunta, solo per cancro al polmone sicalcolano circa 500.000 decessi ognianno nei paesi della Comunità Europea,il 90% dei quali dovuti al fumo. Dopoanni di campagne contro il fumo, adoggi in Europa il 25% della popolazioneadulta risulta essere stabilmente fuma-tore, un valore preoccupante perchéprelude al mantenimento di elevate per-centuali di patologie correlate sia nelbreve che nel lungo periodo. Da moltidecenni le patologie correlate al fumosono state identificate. Il fumo è consi-derato uno dei più potenti cancerogenial mondo per l’uomo: oltre al tumorepolmonare, che nel fumatore rappre-senta un rischio 30 volte superiore ri-spetto al non fumatore, numerose altrepatologie neoplastiche sono significati-vamente associate al fumo, quali tumoridelle vie aeree superiori, dell’esofago,dello stomaco, del pancreas, della ve-scica, del rene e della cervice uterina.Nell’ambito delle malattie cardiovascola-ri, negli USA, sono stimate in 100.000ogni anno le morti per infarto dovute alfumo e 23.000 quelle per accidentiischemici cerebrovascolari. Purtuttavia,nonostante la chiara e ferma relazioneesistente tra fumo e malattie cardiova-

scolari, rimane ancora non perfetta-mente chiaro il meccanismo che è allabase di questo rischio. Si ipotizza che lanicotina e il monossido di carbonio de-terminino, per attivazione adrenergica,una vasocostrizione cutanea e l’aumen-to della frequenza cardiaca, oltre cheiperaggregabilità piastrinica, aumentodella pressione arteriosa, della contratti-lità miocardica e della gittata cardiaca equindi del consumo di ossigeno da par-te delle fibrocellule miocardiche; posso-no ancora provocare spasmi coronaricie aumento della concentrazione pla-smatica del cortisolo, del fibrinogeno edell’insulina. Gli effetti sull’apparatocardiocircolatorio della nicotina sono ingran parte dovuti all’aumento delle ca-tecolamine e degli acidi grassi e alla di-minuzione della produzione della prosta-glandina PGI2, che ha azione vasodila-tatrice, da parte dell’endotelio vascola-re. Il monossido di carbonio inoltre,avendo un’elevata affinità per l’emoglo-bina, determina, anche se presente inpiccole dosi, la presenza di carbossie-moglobina, per cui riduce la quantità diossigeno a disposizione dei tessuti e inparticolare del miocardio, provocandoalterazioni endoteliali ipossiche chehanno una grande importanza nella ca-scata di eventi che sono alla base del-l’aterogenesi coronarica.

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Uno dei primi studi che ha permes-so di rilevare come il fumo di sigarettapossa essere un fattore di rischio peraccidenti cardiovascolari è stato il LipidResearch Clinics, che ha anche dimo-strato come il gruppo fumatori presen-tava valori di colesterolo totale ed LDLpiù alti e più bassi valori di HDL-C ri-spetto ai non fumatori. Il Pooling Pro-ject, sintetizzando i dati di 54 studi pub-blicati, ha confermato come il consumodi tabacco sia un fattore di rischio indi-pendente, come l’ipertensione arteriosae l’ipercolesterolemia totale. Riguardogli effetti del fumo sulla mortalità car-diovascolare, si è visto ancora che 10sigarette al giorno aumentano il rischiodi morte cardiovascolare del 18% negliuomini e del 31% nelle donne. L’inci-denza di morte improvvisa è particolar-mente elevata nei fumatori e aumentaall’aumentare del numero di sigarette.Nei soggetti che smettono di fumare ilrischio di CHD si riduce rapidamenteper ritornare simile a quello dei non fu-matori (Tab. 7). Questo aspetto è stato

valutato anche nel Framingham HeartStudy, dove il rischio di morti per causevascolari negli ex fumatori (20 sigaret-te/die per 30 anni) si è ridotto nel girodi un anno a livello dei soggetti che nonavevano mai fumato. In questo senso lapresenza di più fattori di rischio conco-mitanti amplifica il risultato se solo siconsidera che dallo studio di Framing-ham è risultato che la sospensione delfumo in un maschio iperteso e fumatorepuò ridurre il rischio di CHD del 40%,mentre l’effetto è minore (15%) quan-do un soggetto con le stesse caratteri-stiche è normoteso.

Attualmente in molti paesi sviluppatisono in vigore leggi che limitano la pub-blicità ai prodotti del tabacco e moltistati sono impegnati in campagne diprevenzione ed educazione sanitaria. Lasemplice abolizione dell’abitudine al fu-mo potrebbe produrre risultati in terminidi prevenzione primaria e secondariasovrapponibili o anche migliori rispetto aquelli ottenibili con terapie farmacologi-che ed è per questo motivo che l’aboli-

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Sigarette/giorno Rischio uomo Rischio donna

10 -14% -24%

20 -34% -40%

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Tabella 7

Riduzione del rischio di eventi cardiovascolariin soggetti ipertesi doposospensione del fumoper almeno due anni.

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zione del fumo rappresenta uno dei car-dioni di tutte le strategie di interventosu popolazioni.

Trigliceridemia

Il ruolo della trigliceridemia comefattore di rischio cardiovascolare rap-presenta un rilevante problema clinicoed epidemiologico. In particolare, il que-sito principale è se l’ipertrigliceridemiadebba essere o meno considerata unpredittore indipendente di rischio car-diovascolare, e questo perché elevativalori di trigliceridi plasmatici general-mente si associano a tutta una serie dialterazioni metaboliche di per sé atero-gene. Tra questi, un ruolo di primo pia-no hanno sicuramente i bassi livelli diHDL-colesterolo: esistono comunquedati più o meno recenti che sembrereb-bero confermare un ruolo della triglice-ridemia sugli eventi cardiovascolari,scisso da quello delle HDL. Come dettoprecedentemente, l’incremento dei tri-gliceridi plasmatici è associato costan-temente a una serie di alterazioni meta-boliche potenzialmente pericolose, qualialterazioni della fase postprandiale e ac-cumulo di particelle remnant, anormalitàdi composizione delle LDL, alterazionidella fibrinolisi e della coagulazione;

sappiamo inoltre che spesso l’obesità el’iperinsulinemia, come anche il diabetemellito, si associano a elevati livelli di tri-gliceridemia. Tali disturbi metabolici so-no già presenti quando c’è un aumentomodesto dei valori di trigliceridemia epossono sicuramente contribuire a ren-dere più complessi i rapporti con la car-diopatia ischemica. L’ipertrigliceridemiasevera (>1000 mg/dl) con chilomicro-nemia (particelle di grandi dimensioniche comportano grandi problematicheanche di tipo emoreologico, in particolare a livello di alcuni tessuti come il pan-creas) si associa invece prevalentemen-te alla pancreatite acuta (evenienza anzipraticamente ineluttabile nei casi diiperchilomicronemia), ma molto menoall’aterosclerosi coronarica. Ne risultaquasi un paradosso clinico: mano amano che si abbassa la trigliceridemia,aumenta il rischio cardiovascolare, cheè di gran lunga superiore nei soggetticon forme modeste, in cui maggior-mente incidono le condizioni aterogeneassociate che abbiamo elencato prece-dentemente. Questo può rappresentareun’altra motivazione del fallimento di al-cuni studi epidemiologici. Purtuttaviamolti trial clinici hanno dimostrato chefarmaci in grado di ridurre principalmen-te la trigliceridemia (fibrati) sono in gra-do di modificare il rischio cardiovascola-

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re quando utilizzati in pazienti con iper-trigliceridemia. Conseguentemente glielevati livelli di trigliceridi possono quindidiventare un obiettivo del trattamentoindipendentemente dall’abbassamentodei valori di LDL. La riduzione dei livellidi trigliceridemia, inoltre, modifica posi-tivamente una serie di altre anomalie li-poproteiche in grado di alterare il rischiocardiovascolare, tra cui i bassi livelli diHDL, la presenza di LDL piccole edense o le anomalie della fase post-prandiale. Naturalmente, la riduzionedel peso corporeo in pazienti in sovrap-peso, come anche l’adozione di adattiprogrammi di esercizio fisico, sono ingrado di ridurre i livelli di trigliceridemia,che rappresenta tra l’altro una dellemodalità attraverso cui queste variazionidello stile di vita sono in grado di modi-ficare il rischio cardiovascolare.

Obesità

Gli americani definiscono l’obesitàun fattore di rischio cardiovascolaremaggiore. Il rischio è notevolmentemaggiore quando l’obesità ha una pre-dominante componente addominale.Esistono diversi modi per valutare il tipodi obesità: molti di questi presuppongo-no l’impiego di attrezzature diagnosti-

che complesse e non disponibili imme-diatamente. Il parametro che negli ulti-mi anni ha avuto la migliore applicabilitàclinica è stato però il rapporto vita/fian-chi, che rappresenta una semplice mi-surazione, facilmente praticabile inqualsiasi ambulatorio medico, altamenteassociata con altri fattori di rischio epredittiva di eventi clinici cardiovascola-ri. Recentemente sono emerse ulterioriinformazioni che mostrano come lasemplice misurazione della circonferen-za addominale possa avere un potereclinico e predittivo sovrapponibile al rap-porto vita/fianchi. L’obesità centrale ti-picamente incrementa i livelli plasmaticidi colesterolemia e la pressione arterio-sa e abbassa i livelli di HDL-colestero-lo. Predispone inoltre al diabete mellitodi tipo II. Condiziona poi negativamentealtri fattori di rischio: trigliceridemia,qualità delle LDL, resistenza insulinicae fattori protrombotici. Per tale motivola valutazione dell’obesità come fattoredi rischio indipendente è molto com-plessa, e spesso gli studi epidemiologicihanno dimostrato una riduzione del ri-schio relativo dopo aggiustamento per ifattori associati. Esistono comunquedati longitudinali che hanno dimostratoche l’obesità, e come detto principal-mente quella centrale, predispone inmaniera indipendente dagli altri fattori di

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rischio noti alla CHD. Tale associazionesembra essere maggiore nei maschibianchi. In uno studio prospettico, gliuomini fra 40 e 65 anni con indice dimassa corporea (BMI) tra 25 e 29kg/m2, avevano il 72% in più delle pro-babilità di sviluppare una CHD fatale onon fatale dei soggetti che non erano insovrappeso. In un altro studio, le donnecon BMI fra 23 e 25 kg/m2, avevano il50% in più di rischio di CHD di quellecon un BMI più basso. In una popola-zione dell’Italia meridionale, Ventimigliadi Sicilia, è stato documentato che ilsovrappeso e la distribuzione “centrale”del grasso si associavano in maniera in-dipendente alla mortalità totale e aquella cardiovascolare. Tale informazio-ne risulta maggiormente inquietante sesi considera che il sovrappeso e l’obe-sità stanno diventando un problema so-ciale in Italia, e questo soprattutto nellefasce di età più giovani e nelle donne.Le relazioni assolute tra peso corporeoe morbosità e mortalità per CHD sonomeno definite negli ispanici, indianiPima e negri americani; in ogni casol’obesità è un potente fattore di rischioper il diabete di tipo II, che è di per séun fattore di rischio cardiovascolaremaggiore. La riduzione del peso corpo-reo si associa a una modificazione delrischio cardiovascolare: purtuttavia

comporta nello stesso tempo anche unmiglioramento di tutte le condizioni as-sociate al sovrappeso. In definitiva, an-che se rimane molto da capire circa imeccanismi biologici che stanno allabase dell’associazione tra obesità eCHD, rimane fuor di dubbio che unaforte relazione esiste. Per tale motivo,l’obesità va considerata un fattore di ri-schio per CHD e necessita di un tratta-mento diretto, mirato alla prevenzione ealla riduzione di peso delle persone insovrappeso. Questo dev’essere unaparte integrante di tutte le strategie diprevenzione a breve e a lungo termine.

Inattività fisica

Numerosi studi, incluso il Framing-ham Heart Study, hanno dimostratoche l’inattività fisica aumenta il rischioper la CHD. Il grado di inattività fisicache aumenta il rischio coronario indi-pendentemente dagli altri fattori di ri-schio maggiori non è noto. Di sicuro,l’inattività fisica ha effetti negativi sumolti dei fattori di rischio noti e in parti-colare sul profilo lipidico (riduzione deilivelli di HDL-colesterolo). Anche se poiandasse considerata un fattore di ri-schio indipendente, al momento èestremamente difficile misurare in ma-

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niera affidabile nei singoli individui i li-velli di attività fisica. È questo uno deimotivi per i quali l’attività fisica non puòessere oggi inclusa nella valutazione delrischio cardiovascolare globale. Nono-stante questi limiti di valutazione, diversistudi hanno dimostrato che un’attivitàfisica regolare riduce il rischio per CHD.La rimozione dell’inattività fisica rappre-senta quindi un obiettivo di trattamentospecifico e indipendente. I medici do-vrebbero sempre incoraggiare i loro pa-zienti a incrementare i propri livelli diesercizio fisico, anche se i pazienti adalto rischio dovrebbero avere dei pro-grammi guidati specifici.

Storia familiare

di CHD prematura

e geni di suscettibilità

Ci sono pochi dubbi sul fatto cheuna storia familiare positiva per CHDpremature conferisca un maggior rischioa qualsiasi livello degli altri fattori di ri-schio noti. In ogni caso, il grado di in-dipendenza dagli altri fattori e la potenzaassoluta nell’incrementare il rischio nonsono definiti. Le Linee Guida internazio-nali includono sempre la storia familiareper CHD prematura fra le situazioni chemodificano l’intensità di una terapia ipo-

lipidemizzante. Infatti, a prescindere dalfatto che sia o meno utilizzata per modi-ficare il trattamento nei singoli pazienti,l’anamnesi familiare è comunque impre-scindibile nella clinica dei soggetti a ri-schio cardiovascolare. Un gentilizio posi-tivo per CHD premature impone al me-dico almeno un richiamo al paziente peruna completa valutazione dei familiari,sia per un’eventuale aterosclerosi sub-clinica sia per la presenza di fattori di ri-schio. Un problema strettamente con-nesso e che nel futuro avrà sempremaggiore rilevanza, riguarda la diagnosigenetica. Noi oggi abbiamo coscienzadel fatto che esiste tutta una serie digeni che possono rappresentare ele-menti causali, oppure in grado di au-mentare la suscettibilità all’aterosclerosicome conseguenza di interazione trafattori genetici e ambientali. Tali fattorigenetici sono costituiti da mutazioni e dasemplici polimorfismi, cioè alterazioniche generano singole anomalie della se-quenza del DNA senza modificazioni delgene, di cui però possono o meno alte-rare la funzione. Tali fattori sono statisolo parzialmente identificati. Tra i genicandidati ad avere un ruolo att ivonell’aumentare il rischio cardiovascolare,annoveriamo alcuni geni implicati nelmetabolismo lipoproteico, nel sistema fi-brinolitico e coagulativo, nel sistema re-

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nina-angiotensina e anche nella funzio-ne endoteliale e nel metabolismo dellaparete vascolare. Al contrario delle rareforme monogeniche con segni e sintomiclinici severi (come nel caso dell’iperco-lesterolemia familiare), i polimorfismi ge-netici sono relativamente frequenti. Ciòimplica che spesso un individuo portapiù marker che predispongono al rischiocardiovascolare. Sono poi le caratteristi-che di vita e comportamentali e/o fattoriendogeni che sono in grado di modulareil rischio. In ogni caso, eccetto per alcu-ni geni specifici che hanno un effettodocumentato su determinate situazioniintermedie (esempio pol imorfismidell’apoE e livelli di LDL-colesterolo) ocliniche (IMA), il ruolo di gran parte deigeni è controverso e non definito.Nonostante il grande progresso nelmappaggio del menoma umano degli ul-timi anni, l’identificazione dei geni re-sponsabili delle malattie cardiovascolariè ancora, quindi, in una fase precoce, erappresenta una scommessa della ricer-ca medica del prossimo futuro.

Fattori psicosociali

e comportamentali

Esiste da molto tempo un grandeinteresse nella valutazione del contribu-

to della personalità e di elementi socio-economici al rischio per CHD, e fattorispecifici come l’ostilità, la depressione,l’isolamento sociale sono stati dimostrati avere un ruolo predittivo. L’influenzadel tipo di personalità è stata presa inconsiderazione da diversi studi epide-miologici, ed si è dimostrato che i sog-getti caratterizzati da particolare ag-gressività, ambizione, ostilità, competiti-vità e ansietà (personalità di tipo A)avevano un rischio raddoppiato di svi-luppare eventi cardiovascolari. Tale as-sociazione è stata spesso confermata,anche se tale tipo di personalità è di so-vente associata ad altri fattori di rischio,come il fumo di sigaretta o l’ipertensio-ne. I fattori comportamentali non sonoinclusi nei vari algoritmi di valutazionedel rischio cardiovascolare globale. No-nostante ciò, il medico deve prendere inconsiderazione tali condizioni nel singo-lo paziente quando una strategia di ri-duzione complessiva del rischio vieneintrapresa.

Caratteristiche etniche

La popolazione di Framingham rap-presenta la popolazione mondiale più in-tensivamente studiata per la valutazionedei fattori di rischio cardiovascolari. Que-

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sto studio è di grande valore nel dimo-strare come si sviluppa il rischio in que-sta popolazione. Poiché la popolazionedi Framingham è largamente costituitada bianchi di origine europea, non èchiaro se il rischio assoluto attribuibile aquesta popolazione è estendibile ad altrerealtà. Evidenze disponibili suggerisconoche il rischio assoluto vari tra le differentipopolazioni indipendentemente dai fatto-ri di rischio maggiori. Per esempio, il ri-schio assoluto tra i soggetti asiatici (in-diani e pakistani) che vivono nelle so-cietà occidentali, appare essere due vol-te più elevato dei bianchi, anche a paritàdi fattori di rischio. Questo rischio diffe-rente deve essere tenuto in considera-zione anche nella nostra società, che siavvia a diventare multietnica. Altre situa-zioni possono avere un rischio basale in-feriore a quello di Framingham. È il casodegli hawaiani studiati nell’HonoluluHeart Study, che hanno solo 2/3 del ri-schio dei soggetti di Framingham. NelSeven Countries Study, la popolazionegiapponese aveva un rischio di CHDmolto più basso delle altre popolazioni,ma come è noto anche l’area mediterra-nea, con alcune differenze, sembra es-sere una zona privilegiata in termini di ri-schio coronario, e questo sia per ragioniambientali (per esempio l’alimentazione)che per motivazioni di tipo genetico (ad

esempio una differente distribuzione deipolimorfismi dell’apoE).

Il concetto di rischiocardiovascolareglobale, le carte del rischio coronario

I grandi trial di prevenzione primariae secondaria hanno documentato inmaniera inequivocabile che la riduzionedei livelli di colesterolo plasmatici è ingrado di ridurre l’incidenza di eventi car-diovascolari. Cionondimeno la nuova vi-sione della pratica medica, in relazioneanche a necessità di tipo economico, faemergere aspetti meno considerati inpassato. Analizzando il rapporto co-sto/beneficio della terapia ipolipidemiz-zante con statine, la prevenzione prima-ria, al contrario della prevenzione se-condaria, per essere efficace dovrebbeessere limitata ai soggetti nelle classielevate di rischio, rendendo quindi ne-cessario un approccio integrato al pro-blema del rischio cardiovascolare da va-lutare in maniera globale. In tal senso ènecessario affrontare il problema attra-verso un approccio multiplo: da un latostrategie più generali di “popolazione”, edall’altro programmi individuali indirizzatiai soggetti ad alto rischio.

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La strategia di popolazione (rivoltacioè a tutti gli individui, sani, malati epredisposti) mira a ottenere una riduzio-ne complessiva dei fattori di rischio at-traverso semplici misure generali di or-dine dietetico-ambientale e sanitarioestendibili alla maggioranza dei sogget-ti. Queste comprendono innanzituttol’adozione di iniziative concrete perl’identificazione di tutti i fattori di rischiocoronarico, attraverso accurati program-mi di screening facilmente praticabili inciascun ambulatorio medico; quindi laconsuetudine a fornire a tutti i pazienticonsigli alimentari corretti, con una die-ta a basso contenuto di grassi saturi ecolesterolo. Tali obiettivi nutrizionali sonofacilmente raggiungibili aumentando ilconsumo di alcuni alimenti molto diffusinella nostra dieta (pasta, pane, verdure,legumi, frutta fresca, pesce, olio d’olivaecc.) e riducendo quello di altri (carnirosse, uova, insaccati ecc.). Sono an-cora di rilevante importanza l’eliminazio-ne del fumo di sigaretta, l’ottenimentodi un peso corporeo ideale ed eventual-mente l’incremento dell’attività fisica.

La strategia individuale va orientatainvece a tutti i soggetti ad alto rischio, ecioè con una malattia cardiovascolarepreesistente, con un’iperlipidemia ge-netica o che siano portatori di un eleva-to rischio cardiovascolare su base mul-

tifattoriale. È probabilmente superfluoricordare che se esistono alcuni dei fat-tori causali maggiori che abbiamo pre-cedentemente descritto, si deve consi-derare che altre condizioni – ambientali,biochimiche, patologiche o perfino ana-mnestiche a tutti note – sono in gradodi modificare il rischio cardiovascolare.Peraltro la coesistenza di differenti fat-tori di rischio in uno stesso soggettoamplifica il rischio stesso, poiché essiinteragiscono tra di loro con un effettonon additivo ma moltiplicativo.

Emerge quindi prepotentemente lanecessità di una valutazione integrata,globale, del rischio individuale. Sono og-gi disponibili numerosi strumenti, carta-cei o informatizzati, in grado di analizzareil rischio cardiovascolare. Purtuttavianessuno di essi è definitivo e in gradodi incorporare tutti i fattori di rischio no-ti. Un esempio su tutti è la costante as-senza della familiarità per cardiopatiaischemica, che rappresenta un’indica-zione clinica di grandissima importanza,ma difficilmente riducibile a un parame-tro analizzabile dalle varie metodiche. Inogni caso il risultato finale è quello dispostare l’attenzione da un singolo fat-tore al rischio globale dell’individuo. Lascelta di uno strumento rispetto a un al-tro non è semplice, ed esistono varistudi comparativi a proposito. La mag-

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UOMINI DONNE

Carta del Rischio Coronarico in pazienti a rischio elevato di un primo evento cardiovascolare maggiore.

Figura 1

Come usare la Carta del RischioCoronaricoTale carta permette di stimare il rischio di malattiacoronarica nei soggetti che non hanno sviluppatouna coronaropatia sintomatica o altre patologieaterosclerotiche. I pazienti con malattia coronaricasono già ad alto rischio e richiedono un interventointensivo sullo stile di vita e, se necessario, unaterapia farmacologica per ridurre i fattori di rischio.

• Per stimare il rischio assoluto di un soggetto di sviluppare un eventocoronarico in 10 anni, identificare la tabellacorrispondente al sesso, alla condizione rispetto

al fumo e all’età. All’interno della tabella,identificare i quadrati indicanti i valori dellapressione arteriosa sistolica (mmHg) di interesse e i valori di colesterolo (mmol/l o mg/dl).

• L’effetto dell’età sui fattori di rischio puòessere valutato all’interno della tabella.

• I soggetti ad alto rischio sono coloro il cuirischio di sviluppare un evento coronaricoin 10 anni supera il 20% oppure supererà il 20% se proiettati all’età di 60 anni.

• Il rischio di malattia coronarica è più alto di

Livello del Rischio

Molto altoAlto

ModeratoLieve

Basso

Oltre il 40%da 20% a 40%da 10% a 20%da 5% a 10%sotto il 5%

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DONNE CON DIABETE

quello indicato nelle carte nel caso di soggetti con:• Ipercolesterolemia familiare• Storia familiare di malattia cardiovascolare• Bassi livelli di colesterolo HDL. In queste tabelle

viene considerato un C-HDL di almeno 39mg/dl (1,0 mmol/l) negli uomini e di 43 mg/dl(1,1 mmol/l) nelle donne.

• Livelli di trigliceridi >180 mg/dl (2,0 mmol/l)• Età• Per individuare il rischio relativo di un

individuo confrontare il rischio con quello di altriindividui della stessa età. Il rischio assoluto qui

indicato può non essere applicabile a tutta lapopolazione, specialmente in presenza di unabassa incidenza di malattia coronarica. Il rischiorelativo è verosimilmente applicabile nella granparte della popolazione.

• L’effetto delle variazioni di colesterolo, fumoe pressione arteriosa possono essere valutatecon l’utilizzo delle carte.

Prevention of coronary heart disease in clinicalpractice Reccommendation of the Second JointTask Force of European and other Societes onCoronary Prevention, European Heart Journal,19: 1434-1503, 1998

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gior parte di essi si basa sui dati epide-miologici di Framingham o del Prospec-tive Cardiovascular Munster Study(PROCAM). La Società Europea del-l’Aterosclerosi (EAS) ha varato dellesemplici Carte del Rischio basate suidati epidemiologici del FraminghamStudy che tengono in considerazionesei fattori di rischio (età, sesso, coleste-rolemia, pressione arteriosa, fumo di si-garetta, diabete), e sono state quindiadottate per diffondere le proprie LineeGuida ai medici pratici. Tali Carte rap-presentano un modello semplice, abba-stanza affidabile, alla portata di tutti, ingrado di valutare il rischio di avere unevento cardiovascolare importante (in-farto del miocardio fatale o non fatale omorte coronarica) nei successivi 10 an-ni. Sono costituite da tabelle formate daquadrati colorati che corrispondono auno specifico livello di rischio, e dalsemplice incrocio dei fattori di rischiopresenti è possibile ottenere la situazio-ne del soggetto in esame (vedi Fig. 1).

Sono diversificate, inoltre, in base alsesso, alla presenza del fumo di sigaret-ta e del diabete mellito. Purtuttavia lecarte emanate dall’EAS, anche se sen-za dubbio valide, comportano dei proble-mi che è necessario conoscere per po-terle utilizzare al meglio. Come di un far-maco il clinico deve infatti conoscere

pregi (indicazioni ed efficacia terapeuti-ca) e difetti (eventi avversi), anche di untale strumento deve a maggior ragioneessere a conoscenza dei vantaggi chepossono comportate dal suo utilizzo maanche degli eventuali problemi. Innanzi-tutto le Carte del Rischio sono state in-serite dal legislatore nella Nota 13 cheregola le norme di rimborsabilità dei far-maci ipocolesterolemizzanti. Iniziativa lo-devole, che introduce a tutti gli effetti,nella nostra pratica clinica (per la primavolta), il concetto della prevenzione pri-maria (per coloro che hanno un rischio≥20% di un evento nei successivi 10anni). Tali indicazioni non vanno scam-biate però con una Linea Guida di Trat-tamento emanata dal Ministero, ma co-me una pura e semplice regola per indi-viduare i pazienti che hanno diritto al-l’esenzione della partecipazione allaspesa farmaceutica. Le Carte del Ri-schio, basate su una popolazione ameri-cana, senza dubbio sovrastimano il ri-schio rispetto alla nostra, che ha alimen-tazione e stile di vita, per buona partedel territorio, di tipo mediterraneo. Sonostate prodotte recentemente delle Cartedel Rischio Italiane, calcolate in base aidati di tre studi epidemiologici, lo studioECCIS, lo studio IRA-SCS (Aree RuraliItaliane del Seven Countries Study) e lostudio di Gubbio, compiuti in soggetti

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italiani di ambo i sessi tra i 35 e 74 anni,inizialmente esenti da malattie cardiova-scolari, con un follow-up complessivo dioltre 55.000 anni/persona. Anche que-ste Carte non sono esenti da critiche.Sono innanzitutto basate su dati nonmolto aggiornati, ed è noto che in Italial’incidenza delle malattie cardiovascolariè in continuo aumento: in tal modo sot-tostimano il rischio attuale nella nostrapopolazione; inoltre mettono insieme ilrischio di malattia cardiovascolare con gliaccidenti cerebrovascolari, e sono quindipoco comparabili con le Carte dell’EAS.L’aggiornamento e la capillare diffusionedi queste carte potrà fornire al medicoun ulteriore strumento per il calcolo delrischio nella popolazione italiana. Le car-te attuali, poi, non tengono in considera-zione alcuni fattori di rischio (HDL-cole-sterolo in prima istanza), sottostimanoaltri importanti fattori di rischio, come adesempio il diabete, e, almeno per quan-to riguarda la nostra popolazione, ne so-vrastimano altri ancora, in particolarel’età. Questo perché tengono in consi-derazione in particolare il rischio assolu-to, che è chiaramente incrementato conl’aumentare degli anni, e non il rischiorelativo, che rappresenterebbe un para-metro più affidabile nella valutazione delpeso dei differenti fattori di rischio. Lapressione arteriosa, inoltre, va conside-

rata come valore “misurato” a prescin-dere da qualunque tipo di terapia farma-cologia, e non come presenza o assen-za di ipertensione: il soggetto ipertesoben trattato va quindi considerato allastregua di un normoteso, anche in pre-senza di un danno d’organo. Un proble-ma particolare esiste per l’approccio alpaziente diabetico. Il diabete è stato in-fatti considerato un semplice fattore dirischio e non è stato estrapolato dal cal-colo. Oggi però è universalmente rico-nosciuto che il diabetico andrebbe con-siderato alla stregua di un infartuato, perquanto riguarda il rischio cardiovascola-re, e che per ridurre gli eventi cardiova-scolari in questi soggetti la priorità vadata al trattamento dell’LDL-colesterolocon obiettivi estremamente ambiziosi daraggiungere (LDL-colesterolo <100mg/dl). Con la rigorosa applicazionedelle Carte del Rischio, così, una donnadiabetica di 60 anni, non fumatrice,ipertesa (PAS 180 mmHg), con una co-lesterolemia di 270 mg/dl, avrà un ri-schio moderato (10-20%), mentre unuomo di 70 anni, normoteso (PAS 110mm/Hg), non fumatore, non diabetico,con una colesterolemia di 200 mg/dl,avrà un rischio elevato (20-40%). Unaconseguenza è che tutti gli anziani, chehanno un rischio assoluto più elevatobasato solo sull’età, avranno la possibi-

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lità di essere trattati anche se con unascarsità di fattori di rischio, mentre i gio-vani con svariati fattori di rischio nonsempre rientreranno nei criteri di esen-zione. In questo caso, i vantaggi in ter-mini di farmacoeconomia, cui primaria-mente si ispirano queste modifiche dellenote, sono assolutamente da dimostra-re, e ci riferiamo tra l’altro a una grossapercentuale di pazienti che il medico dimedicina generale e il cardiologo visita-no giornalmente.

Che la valutazione globale del rischiocardiovascolare sia la modalità del futuroattraverso cui attuare la prevenzione car-diovascolare, è testimoniato anche dallarecente nuova edizione delle LineeGuida Americane (ATP III), che ha inclu-

so la valutazione del rischio cardiovasco-lare globale nei criteri di valutazione degliobiettivi terapeutici. Rispetto alle LineeGuida Europee ci sono però delle diffe-renze sostanziali, che vale la pena sotto-lineare. Il rischio cardiovascolare vienevalutato attraverso un algoritmo, derivatosempre dal database di Framingham,che ha il vantaggio, per esempio, di va-lutare in maniera differente la pressionearteriosa “non trattata” da quella ottenu-ta sotto terapia farmacologia. Come mo-strato nella Tabella 8, le nuove LineeGuida Americane, destinate ad esserecome nel passato una traccia per ilcomportamento terapeutico del resto delmondo, considerano separatamente idiabetici e i soggetti con aterosclerosi

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Categoria Obiettivo Modificazioni Terapiadi rischio terapeutico dello stile di vita farmacologica

CHD LDL-C<100 mg/dl LDL-C≥100 mg/dl LDL-C≥130 mg/dlo equivalenti (100-129di CHD* farmaci opzionali)

2 o più fattori LDL-C<130 mg/dl LDL-C≥130 mg/dl LDL-C≥130 mg/dldi rischio** (Rischio 10-20%)

LDL-C≥160 mg/dl(Rischio <10%)

0 o 1 LDL-C<160 mg/dl LDL-C≥160 mg/dl LDL-C≥190 mg/dlfattori (160-189di rischio** farmaci opzionali)

* Diabete mellito, malattia aterosclerotica (arteriopatia periferica, aneurisma aorta addominale,arteriopatia carotidea sintomatica) o un rischio a 10 anni >20%.** Età (≥45 anni negli uomini, ≥55 anni nelle donne), fumo di sigaretta, pressione arteriosa≥140/90 mmHg o terapia farmacologia antipertensiva, HDL-C<40 mg/dl, storia familiare di CHD precoce (<55 anni nei parenti di primo grado maschi, <65 anni nei parenti di primogrado femmine).

Tabella 8

Linee Guida dellaNational CholesterolEducation Program(NCEP) Export Panel sulTrattamento dei livellielevati di colesterolonell’adulto (ATP III).

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polidistrettuale (considerati equivalenti dicardiopatia ischemica), e prendono an-che in considerazione, finalmente, l’as-setto lipidico in maniera globale, trac-

ciando anche dei limiti innovativi rispettoal passato (ad esempio vengono consi-derate le basse concentrazioni di HDL-C<40 mg/dl) e il problema, spinoso,

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• Ottimale <100 mg/dl

• Vicino all’ottimale 100-129 mg/dl

• Borderline alto 130-159 mg/dl

• Alto 160-189 mg/dl

• Molto alto ≥190 mg/dl

• Desiderabile <200 mg/dl

• Borderline alto 200-239 mg/dl

• Alto ≥240 mg/dl

• Basso <40 mg/dl

• Alto ≥60 mg/dl

• Normale <150 mg/dl

• Borderline alto 150-199 mg/dl

• Alto 200-499 mg/dl

• Molto alto ≥500 mg/dl

• Obesità addominaleCirconferenza vita >102 (maschi)/88 (femmine) cm

• Trigliceridemia ≥150 mg/dl

• HDL-colesterolemia <40 (maschi)/50 (femmine) mg/dl

• Pressione arteriosa ≥130/85 mmHg

• Glicemia ≥110 mg/dl

Sindrome polimetabolica

Trigliceridemia

HDL-colesterolo

Colesterolo Totale

LDL-colesteroloTabella 9

Classificazione dei livelli lipidici e della sindromepolimetabolica nell’ATP III.

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della sindrome polimetabolica (Tab. 9).Rappresentano quindi un reale pas-

so avanti nella prevenzione cardiova-scolare e, come già successo in passa-to, rappresenteranno sicuramente unmodello cui ispirarsi.

Nella valutazione del rischio globalebisogna tenere anche presente alcuniaspetti collegati. Innanzitutto il fatto cheil rischio assoluto di una determinatacategoria di soggetti, collegato stretta-mente con il rischio globale, ha grandiimplicazioni pratiche, perché permettetra l’altro di calcolare il numero di sog-getti da trattare per prevenire un evento(Number Needed to Treat, NNT), unparametro epidemiologico estremamen-te importante perché consente di tra-sferire in maniera abbastanza rapida irisultati dei trial clinici alla pratica clinica.L’analisi dei grandi studi epidemiologiciin campo di prevenzione cardiovascola-re con i farmaci ipocolesterolemizzantiha mostrato che esisteva una grandedifferenza di rischio assoluto “basale”tra i diversi trial e che questo, ovvia-mente, si associava a una reale diffe-renza in termini di NNT. Si va così daun rischio di eventi cardiovascolari del3% annuo (30% in 10 anni) del 4S(NNT 12), la cui coorte era costituitada soggetti infartuati e ipercolesterole-mici, fino a un rischio di 0,7% (NNT

86) del AFCAPS/Tex CAPS, in cui lacoorte non aveva sofferto precedente-mente di un infarto del miocardio, avevalivelli di colesterolemia normali e bassilivelli di HDL-colesterolo (≤40 mg/dl).Tale grande differenza è naturalmentedovuta anche e soprattutto al fatto chenel primo caso si tratta di soggetti chehanno già sofferto di un precedenteevento cardiovascolare (infarto del mio-cardio), nel secondo di individui che neerano esenti. Gli altri studi hanno indivi-duato fra il 2 e il 2,3% il rischio assolutodel CARE e del LIPID (NNT rispettiva-mente 23 e 28; soggetti infartuati condiversi livelli di colesterolemia) e dell’1%il rischio assoluto del WOSCOPS (nes-sun infarto, ma presenza di ipercoleste-rolemia e spesso altri fattori di rischio).Rimane poi la questione del livello di ri-schio da considerare come limite per untrattamento farmacologico. Anche que-sto è un aspetto che abbraccia argo-menti di tipo finanziario e socioecono-mico più che medico in senso stretto,ma che va tenuto presente nella praticaclinica dei nostri giorni. Abbassare il li-vello di rischio per una terapia, significaaumentare in maniera forse indiscrimi-nata il numero di pazienti eleggibili perquel dato trattamento e conseguente-mente i costi, e viceversa aumentarlo sitraduce in una riduzione dei soggetti da

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trattare ma anche in un possibile incre-mento dei costi “indiretti” legati a pato-logie causate dal mancato trattamento,come ad esempio ricoveri per cardiopa-tia ischemica, infarto del miocardio e in-terventi di rivascolarizzazione. È naturaleche il livello di rischio scelto deve comeminimo essere pari a quello dei soggettiche abbiano già avuto un evento. I datidel WOSCOPS in termini di NNT ave-vano dimostrato che tra i soggetti chepresentavano un’ipercolesterolemia iso-

lata, il numero di individui da trattareper prevenire un evento era di circa 56,mentre se all’ipercolesterolemia si as-sociavano l’ipertensione, la familiaritàcardiovascolare o il fumo, questo nu-mero scendeva rispettivamente a 24,23 e 21; in presenza di malattia vasco-lare preesistente o di alterazioni minoridell’ECG si arrivava a 16 e 14 (Fig. 2).

Esaminando insieme i vari trial persottogruppi, risulta evidente che alcunefasce di individui in prevenzione primaria

Ipercolesterolemia isolata

L’intera coorte WOSCOPS

Ipertensione

Storia familiare di CHD

Fumo o HDL-C<42 mg/ml

Malattia vascolare preesistente

Anomalie minori all’ECG

..........................................

56

40

24

23

21

16

14

100

Soggetti da trattare per prevenire un evento

806040200

Figura 2

Numero di soggetti di età tra 45 e 64 anni da trattare per prevenire un eventocardiovascolare maggiore nello studio WOSCOPS.

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M/F, lHDL, CT=(AFCAPS)

M, ↑LDL, <55 aa.(WOSCOPS)

M, ↑LDL, >55 aa.(WOSCOPS)

WOSCOPS, tutti

M, ECG alt., <55 aa.(WOSCOPS)

M, ↑LDL, + F.R.(WOSCOPS)

M, ECG alt., >55 aa.(WOSCOPS)

F, LDL=, IMA (CARE)

CARE, Tutti

F, ↑CT, IMA Angina

4S, Tutti

M/F, >65 aa. (4S)

Diabetici (4S)

Prevenzione primaria

Prevenzione secondaria

...............................................................................................

9

Rischio assoluto per anno di IMA fatale e non fatale (%)

54310 2 876

Figura 3

Rischio assoluto diinfarto fatale e non fatalenei diversi studi diprevenzione primaria e secondaria divisi per sottogruppi.

M/F = maschi/femmine↓ HDL = bassi livelli di HDLCT = livelli di colesterolemia nella media↑LDL = LDL-colesterolo elevatoECG alt. = presenza di alterazionielettrocardiografiche+FR = presenza di fattori di rischio multipliIMA: presenza di infarto del miocardio

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(Fig. 3, parte superiore), possono avereun rischio addirittura superiore a pazien-ti in prevenzione secondaria.

Lo spettro di rischio non è quindi ingrado di fare una netta discriminazionetra prevenzione primaria e secondaria,ed esiste una certa fascia di soggettiche non hanno avuto un episodio coro-nario clinicamente manifesto, ma chesuperano il limite del 2% annuo (20% in10 anni). Un altro parametro importantenella valutazione dei costi sociali è an-che il livello di rischio generale di unadata popolazione. Dati anglosassoni di-mostrano che circa l’11% della popola-zione adulta residente nel Regno Unitoha un rischio uguale o superiore al 2%annuo, percentuale che scende al 3,4%nel caso di soggetti con rischio del 3%e allo 0,3% quando il rischio diventa del4,5% annuo. Tutto ciò quindi dimostrache porre il cut-off di rischio per iniziareuna terapia farmacologia al 2% annuorappresenta un limite ragionevole, alme-no in quella popolazione, ed è ciò checonsigliano oggi le Linee Guida Europeee Americane, anche se dati più recentisuggerirebbero un vantaggio anche sulivelli di rischio lievemente inferiori.

Nel campo della prevenzione prima-ria è quindi fondamentale riuscire a di-scriminare nell’ambito dei soggetti “sani”quella fascia di persone che, avendo un

rischio elevato, devono essere trattate inmodo più aggressivo. Tale approccio te-rapeutico trova un razionale anche in al-tri campi, oltre a quello della terapia ipo-colesterolemizzante, come dimostratoper esempio nel caso delle terapie anti-pertensive, dove la prescrizione di unfarmaco sulla base di una valutazionedel rischio globale ha delle implicazionicliniche ed economiche migliori rispettoalla prescrizione basata sulla semplicemisurazione della pressione.

Possiamo concludere che un ap-proccio globale ai fattori di rischio coro-narico è quindi in grado di fornire al me-dico gli strumenti necessari per interve-nire efficacemente nella prevenzionecardiovascolare, con grande beneficionei confronti dei pazienti e riuscendo arendere anche un contributo in terminidi contenimento di spesa sanitaria, at-traverso un’accurata selezione dei pa-zienti eventualmente candidati al tratta-mento farmacologico.

Nuovi fattori di rischioe possibilità di trattamento

In aggiunta ai maggiori fattori di ri-schio, una serie di altre condizioni o pa-rametri sono stati identificati associarsi

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in vario modo al rischio cardiovascolare(Tab. 10).

Anche se il loro contributo relativoed eventualmente indipendente non ècompletamente documentato, e perquesto non sono in nessun caso inclusinella valutazione globale del rischio, laloro presenza può però incrementarenotevolmente il rischio dovuto alla pre-senza degli altri fattori cosiddetti “mag-giori”. Ciò non significa che essi nonsiano correlabili singolarmente al rischiocardiovascolare: tuttavia, spesso le re-lazioni con la cardiopatia ischemica(CHD) sono più complesse di quelle deifattori di rischio “maggiori”. In alcuni ca-si, poi, esistono correlazioni statistichesignificative con i fattori di rischio mag-giori, che oscurano il loro potere predit-

tivo indipendente. In altri casi, infine, lafrequenza nella popolazione può nonessere tale da riuscire a conferire unpotere statistico rilevante; nonostantetutto, essi possono spesso essere im-portanti cause di CHD in determinatipazienti. Molte di queste condizioni rap-presentano obiettivi diretti di interventiterapeutici, sia perché possibile causadi altri fattori di rischio maggiori, siaperché le evidenze di un loro ruolo nel-l’aterogenesi sono sufficientemente for-ti. Per tale motivo, la loro esclusione dalcalcolo del rischio assoluto non implicanecessariamente che tali fattori nonsiano clinicamente importanti, e il lororuolo nella valutazione e nel trattamentodei pazienti a rischio cardiovascolaremerita alcune specifiche valutazioni.

• Insulinemia

• LDL piccole e dense

• Lipoproteina(a)

• Remnant e Lipoproteine a Densità Intermedia (IDL)

• LDL ossidate

• Fattori protrombotici e coagulativi

• Fattori infiammatori

• Fattori infettivi

• Alcol

• Disfunzione endoteliale

• Fattori cardiaci

• Omocisteina

• Microalbuminuria

Tabella 10

Nuovi fattori di rischio.

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Insulinemia

Elevati livelli di insulinemia, e conessa l’inulino-resistenza che rappresen-ta un epifenomeno spesso associatoall’iperinsulinemia, può promuovere losviluppo di lesioni ateromatose, e rap-presenta quindi un altro potenziale fat-tore di rischio correlato con la CHD.Purtroppo non esistono dati su popola-zioni non diabetiche a supporto di taleassociazione. L’iperinsulinemia è infattiin genere presente sia nei diabeticinon-insulino dipendenti (secondaria allaresistenza periferica all’ormone), chenei diabetici insulino-dipendenti (iatro-gena). Gli studi disponibili che hannocorrelato il rischio di cardiopatia ische-mica con l’insulinemia, trovando unapositiva associazione, non erano correttiper gli altri fattori di rischio, e così non èpossibile fare valutazioni conclusive inmancanza di sicure informazioni epide-miologiche. I meccanismi di associazio-ne tra la resistenza insulinica e l’atero-genesi sono complessi e probabilmentemultifattoriali. Gli studi sperimentalihanno però documentato come l’insuli-na possa avere un’azione mitogena sul-le cellule muscolari lisce della paretevasale, e che può incrementare la loromigrazione dalla media all’intima stimo-lata da altre sostanze. A prescindere da

questo, l’iperinsulinemia, e con essal’insulino-resistenza, è accompagnatada una moltitudine di fattori di rischiocardiovascolari che includono la presen-za di un fenotipo lipoproteico aterogeno(elevati trigliceridi, LDL piccole e densee bassi livelli di HDL-colesterolo), iper-tensione arteriosa, uno stato protrom-botico e, spesso, un’intolleranza gluci-dica. Tutto ciò è alla base della cosid-detta sindrome polimetabolica, unacondizione altamente aterogena trattatain un’altra sezione di questo volume.L’iperinsulinemia viene inoltre acquisitanelle condizioni di sovrappeso, iperali-mentazione e inattività fisica, anche seuna componente genetica indubbia-mente esiste. Le uniche possibilità te-rapeutiche disponibili nei pazienti nondiabetici sono rivolte appunto alla rimo-zione di queste condizioni, e quindi ridu-zione del peso corporeo e aumentodell’esercizio fisico.

Lipoproteina(a)

La lipoproteina(a) [Lp(a)] è unagrossa lipoproteina basica, costituita dauna LDL nativa la cui apoB100 è lega-ta in modo covalente con l’apoprotei-na(a), una glicoproteina che è il markerspecifico della Lp(a), attraverso un pon-

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te disolfurico. È composta da una mo-lecola di apoB di circa 500 kDa e unadi apo(a) con massa variabile fra 300 e800 kDa. A causa di questa variabilitàdi peso molecolare la Lp(a) assume unnotevole polimorfismo strutturale condensità variabile. L’apo(a) è costituitada una serie di anelli di sequele ami-noacidiche, variabili in numero da 13 a40, denominati kringle, analoghi aglianelli numero 4 e 5 del plasminogeno.La concentrazione plasmatica di Lp(a)varia da 0,1 a 300 mg/dl e la distribu-zione dei valori nella razza europea e neibianchi e neri americani non è di tipogaussiano, ma asimmetrica, con unalunga coda verso i valori più alti. Leconcentrazioni plasmatiche di questa li-poproteina sono pressoché esclusiva-mente ereditabili, determinate in manie-ra predominate (>90%) dal gene del-l’apo(a), e sono regolate da differenzenella sintesi epatica piuttosto che da unaumentato o ridotto catabolismo dellalipoproteina.

Per la sua analogia strutturale conil plasminogeno, è tuttora dubbio se laLp(a) abbia un effetto protrombotico oproaterogeno. In ogni caso, numerosistudi sia caso-controllo che prospettici,hanno in genere documentato un ruolopredittivo, spesso indipendente, dellaLp(a) nei confronti delle malattie car-

diovascolari. Gli interventi dietetici e lamaggior parte dei farmaci utilizzati nellaterapia delle iperlipidemie, non sono ri-sultati particolarmente efficaci nel ridur-re i livelli plasmatici di questa lipoprotei-na. Farmaci ad azione puramente ipo-colesterolemizzante, quali le resine ascambio ionico, il probucol o gli inibitoridella sintesi di colesterolo (inibitoridell’HMG-CoA reduttasi), non induco-no importanti modificazioni dei livelliplasmatici di Lp(a). Tra i fibrati, il gemfi-brozil sembra non esercitare alcun ef-fetto, mentre il bezafibrato risulta effi-cace nell’indurne un continuo e gra-duale calo. L’acido nicotinico e la neo-micina sono i farmaci più efficaci nel ri-durre le concentrazioni plasmatiche diLp(a), pur non portando a una comple-ta normalizzazione: purtroppo sono far-maci di scarso impiego clinico, a causadei ben noti effetti collaterali. Di parti-colare efficacia risulta anche il tratta-mento con ormoni steroidei, utilizzatinella sindrome da postmenopausa, co-me anche l’uso di alcuni omoni andro-geni (stazololo e danazolo). Conside-rando la scarsa efficacia dei trattamentifarmacologici fino ad oggi utilizzati,sembra quindi prematuro adottare delleLinee Guida per individuare soggetticon alti valori di Lp(a) allo scopo di pre-venire la CHD. Dobbiamo attendere

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nuove evidenze da trial clinici che la ri-duzione dei tassi circolanti di Lp(a) insoggetti ad alto rischio si associa a unaridotta probabilità di sviluppare eventicardiovascolari (incluso stroke e arte-riopatia periferica). Nel frattempo, l’uni-ca cosa sicuramente utile nei soggetticon elevati livelli di Lp(a) è identificaree controllare eventuali fattori di rischioconcomitanti.

LDL piccole e dense

Le lipoproteine a bassa densità(LDL) non rappresentano una classe li-poproteica omogenea. Utilizzando parti-colari tecniche di laboratorio è infattipossibile evidenziare almeno quattromaggiori sottoclassi, diverse per den-sità, dimensioni e composizione, conuna grande variabilità individuale. Talisottofrazioni delle LDL avrebbero anchedifferenti funzioni metaboliche. Nellapopolazione generale la distribuzionedelle sottofrazioni delle LDL sembrereb-be avere un andamento bimodale: circail 75% dei soggetti presenta una pre-ponderanza di particelle più larghe,LDL-I o LDL-II, (pattern A), mentre ilresto una predominanza di particelle piùpiccole e dense, LDL-III o LDL-IV (pat-tern B). L’influenza genetica su tali pat-

tern delle LDL sembrerebbe inoltre es-sere molto forte: il pattern B sarebbeinfluenzato da un’allele con una fre-quenza di 0,25-0,30 nella popolazione,ereditarietà autosomica dominante euna ridotta penetranza negli uomini pri-ma dei 20 anni e nelle donne in etàpremenopausale. Fra i soggetti con li-velli normali o modestamente aumentatidi colesterolo totale, il rischio cardiova-scolare è stato visto essere più elevatonei soggetti che presentano livelli piùelevati di apoproteina B nelle LDL, econ una maggiore quantità di particelledi LDL circolanti con un basso rapportocolesterolo/apoB. Poiché man manoche si riducono le dimensioni delle lipo-proteine, e quindi aumenta la densitàdelle stesse particelle, si osserva una ri-duzione del contenuto percentuale lipi-dico e un aumento delle proteine, nederiva che la distribuzione delle LDL neisoggetti affetti da CHD è spostata ver-so le particelle più piccole e dense. Ef-fettivamente l’incidenza di CHD, anchein soggetti normolipidemici, è significati-vamente aumentata nei soggetti chepresentano il pattern B delle LDL ri-spetto ai soggetti con pattern A: è statodimostrato che il pattern B si trova in al-meno il 50% dei soggetti sopravvissutia infarto del miocardio, con un incre-mento del rischio relativo di almeno tre

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volte rispetto al pattern A. I differentipattern delle LDL si associano anchead altre alterazioni lipoproteiche: i sog-getti che presentano il pattern B hannolivelli di trigliceridi, e apoB più elevati ri-spetto ai soggetti con pattern A, e livellidi HDL e apoA-I più bassi. Questo por-terebbe a ipotizzare che il gene respon-sabile del pattern B avrebbe un ruoloanche in queste modifiche metabolichecorrelate. Le multiple modificazioni lipo-proteiche associate a questo patterndelle LDL, geneticamente determinato,hanno portato a definirlo come il “fenoti-po lipoproteico aterogeno”. L’associa-zione del pattern B con altre alterazionilipoproteiche e la frequente preponde-ranza di LDL piccole e dense in sogget-ti con iperlipidemia familiare combinata,una manifestazione patologica estrema-mente comune che si associa a unaprematura CHD, aumentano anche lapossibilità che lo stesso allele che predi-spone a questo profilo delle LDL possacontribuire allo sviluppo della stessa pa-tologia. Dal punto di vista terapeuticonon sono molti gli strumenti efficaci nel-la modificazione delle dimensioni delleLDL. La correzione di un’eventualeipertrigliceridemia, che come detto siassocia spesso al pattern B, comportadi frequente anche un cambiamento dipattern, mentre l’effetto diretto dei far-

maci è stato dimostrato soltanto perl’acido nicotinico. Per altri farmaci, co-me le statine, l’azione in questo senso èstata soltanto ipotizzata, ma ancora nondocumentata. Quindi, oltre ai livelli diLDL-colesterolo, anche la “qualità” delleLDL circolanti sembrerebbe emergerecome un nuovo importante fattore asso-ciato alla cardiopatia ischemica, sia perle potenzialità aterogene delle particellepiù piccole e dense, sia per le altera-zioni metaboliche associate. Questoaspetto del metabolismo lipoproteico vatenuto particolarmente in considerazio-ne perché, ad esempio, potrebbe forni-re la chiave di lettura di molti casi diprecoce aterosclerosi in soggetti privi difattori di rischio.

Remnant e lipoproteine

a densità intermedia (IDL)

Queste lipoproteine sono rappre-sentate da quelle particelle che scaturi-scono dalla parziale catabolizzazione, daparte degli enzimi lipolitici, delle lipopro-teine ricche in trigliceridi (VLDL e chilo-microni). Durante la lipolisi si verificauna brusca deplezione dei trigliceridi diqueste lipoproteine, con un accumulorelativo di colesterolo. Le particelle cosìprodotte sono particolarmente labili e

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hanno una breve emivita plasmatica, inquanto vengono rapidamente eliminatedal fegato o ulteriormente catabolizzatea formare le LDL. Hanno però dellepotenzialità aterogene elevate e la lorobreve presenza in circolo rappresenta ilmaggiore ostacolo per produrre effettinegativi. Esiste una specifica patologia(iperlipoproteinemia di tipo III o malattiada remnant) caratterizzata dall’accumu-lo di tali lipoproteine, che ha un’elevataincidenza di malattie cardiovascolari.Anche in pazienti con malattia cardiova-scolare è stato trovato un accumulo diremnant, e siccome la maggiore produ-zione di queste particelle è nelle fasiche seguono l’introduzione di cibo, esi-stono alcune teorie che individuanol’aterogenesi come un fenomeno post-prandiale. La diffusione clinica di que-ste conoscenze presenta però degliostacoli. I remnant presentano delle dif-ficoltà di dosaggio, oggi in parte supe-rate dall’introduzione di specifici test,che però risultano essere ancora com-plessi e costosi. Solo con tali test èstato recentemente possibile associarenella popolazione di Framingham l’inci-denza di malattie cardiovascolari con lapresenza in circolo di remnant. Perquanto riguarda il trattamento di talianomalie, è da tempo noto che la tera-pia farmacologia con fibrati ha un be-

nefico effetto, mentre meno dati sonodisponibili per le statine. In relazione al-la concomitante presenza di altre ano-malie lipoproteiche o meno (ipertriglice-ridemia, bassi livelli di HDL-colesterolo,ma anche sesso, iperinsulinemia e obe-sità), sono necessari ulteriori studi pro-spettici per chiarire il ruolo indipendentedei remnant nei confronti delle malattiecardiovascolari, ma soprattutto sarà ne-cessario attendere test di misurazionepiù semplici e meno costosi per avereuna routinaria misurazione di questoparametro.

LDL ossidate

Le LDL ossidate si pensa siano laforma aterogena delle LDL. Un’altrasezione di questo libro è dedicata a unapiù ampia trattazione di questo argo-mento. Comunque, anche se numerosistudi sembrano confermare questoaspetto, il ruolo protettivo degli antiossi-danti nel prevenire l’ossidazione delleLDL è solo parzialmente confermatonell’uomo. Studi osservazionali ed epi-demiologici, come anche trial randomiz-zati, non hanno fornito chiare indicazionisu questo aspetto. Comunque, nono-stante la mancanza di un consenso ge-nerale, esistono dati che sembrerebbe-

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ro rafforzare il concetto che un regolareapporto di antiossidanti nel cibo possaritardare la progressione dell’ateroscle-rosi e che la ridotta suscettibilità all’os-sidazione delle LDL possa rappresenta-re un ottimo marker di azione degli an-tiossidanti. Quando sarà possibile moni-torare l’efficacia di una terapia antiossi-dante con marker di ossidazione valida-ti, probabilmente avremo maggiori indi-cazioni sul ruolo potenziale delle vitami-ne e degli antiossidanti nei confrontidelle malattie cardiovascolari.

Fattori protrombotici

e coagulativi

Forti evidenze hanno correlato il ri-schio cardiovascolare con variabil iemostatiche e coagulative. Una serie dimarker sono stati in tal modo studiati(fibrinogenemia, fattore VII, VIII e divon Willebrand, aggregazione piastrini-ca, livelli plasmatici di D-dimero, attivitàfibrinolitica) con risultati generalmentepositivi. Tra i parametri che presentanoil maggior numero di informazioni c’è lafibrinogenemia, che oggi viene consi-derata universalmente un fattore indi-pendentemente associato al rischiocardiovascolare. Nonostante il fibrino-geno sia spesso correlato con altri fat-

tori di rischio (come il fumo e l’età),esiste una serie di vie fisiopatologiche,acute o croniche, che possono giustifi-care questa stretta relazione e checomprendono la capacità di infiltrare laparete arteriosa, effetti emoreologicidovuti all’aumentata viscosità ematica,l’incrementata aggregabilità piastrinicae la formazione di trombi, e l’aumenta-ta formazione di fibrina. Anche il ruolodelle piastrine nei confronti delle malat-tie cardiovascolari è stato valutato inmaniera estesa. Le manifestazioni clini-che della CHD sono per lo più genera-te da una trombosi che si verifica suplacche complicate, anche se non ste-nosanti, e in tal senso il ruolo delle pia-strine è evidente. Del resto, numerosistudi effettuati con antiaggreganti pia-strinici hanno fornito dati brillanti in re-lazione al rischio di eventi cardiovasco-lari; l’aspirina risulta essere il farmacopiù studiato e va come tale consideratoil trattamento standard, anche se datipositivi cominciano a emergere con inuovi farmaci che agiscono a livelli dif-ferenti. Il sistema fibrinolitico agisce in-vece sul versante della risoluzione deltrombo. Anche i fattori fibrinolitici pos-sono essere importanti predittori dieventi aterotrombotici. Molti studi epi-demiologici hanno riportato una positivaassociazione tra alcuni marker di fibri-

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nolisi (ad esempio t-PA o PAI-1) e il ri-schio cardiovascolare. Tali associazionispesso però diventano non statistica-mente rilevanti dopo l’aggiustamentocon altre condizioni, come l’obesità ol’ipertrigliceridemia. Anche l’epidemio-logia genetica ha dimostrato, tra l’altro,che polimorfismi di alcuni geni implicatinella fibrinolisi possono avere un ruoloimportante nelle malattie cardiovasco-lari, ma l’impatto relativo sugli eventiclinici sembra essere modesto. Tali datinon sono pertanto conclusivi e lascianoaperta la questione se l’alterazione fi-brinolitica sia una “causa” o eventual-mente una “conseguenza” degli eventiclinici aterotrombotici. In ogni caso lamisurazione dei parametri fibrinoliticiper identificare i pazienti a rischio car-diovascolare è oggi assolutamente pre-matura.

Fattori infiammatori

Negli ultimi anni si sono accumulatimolti dati che dimostrano un ruolo dideterminati marker infiammatori locali egenerali nei confronti della malattia ate-rosclerotica; tutto ciò in maniera indi-pendente e spesso complementare ri-spetto ai tradizionali fattori di rischio. Leinformazioni che abbiamo sono basate

su dati sperimentali e clinici che sugge-riscono un’influenza potenziale di deter-minati parametri sia plasmatici che tis-sutali sullo sviluppo della malattia coro-naria, come anche nel predire eventiclinici in pazienti con una malattia atero-sclerotica conosciuta. Numerosi markersono stati studiati e la loro interdipen-denza rimane comunque oscura. L’in-fiammazione è infatti uno dei fattori chemaggiormente contribuiscono alla granparte degli eventi, quali la rottura dellaplacca e le alterazioni di ischemia/riper-fusione. Elevate concentrazioni di pro-teine di fase acuta, come la proteina C-reattiva, sono state trovate in pazienticon sindromi coronariche acute, e que-sto parametro è stato spesso associatocon un’aumentata incidenza di eventiclinici cardiovascolari, mentre sembraanche predire il rischio in soggetti ap-parentemente sani. La fase acuta si as-socia con elevati livelli di fibrinogeno,notoriamente un importante fattore dirischio per CHD, aumentata viscositàematica e attivazione piastrinica. La ri-sposta immune è mediata dai leucociticircolanti e tissutali, in grado di interagi-re con le cellule (endotelio e cellule mu-scolari lisce). In questo processo si veri-fica anche la sintesi e la produzione dimediatori che comprendono molecole diadesione, citochine, metalloproteinasi e

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radicali liberi di ossigeno. Un ruolo chia-ve sembrerebbe avere l’interleuchina-6(IL-6), un potente induttore della rispo-sta di fase acuta. Nelle placche, i ma-crofagi e le cellule muscolari lisce espri-mono l’IL-6, suggerendo un ruolo perquesta citochina, insieme con l’IL-1 e ilTNF-alfa, nella progressione dell’atero-sclerosi. I livelli circolanti di IL-6 stimo-lano inoltre l’asse ipotalamo-ipofisi-sur-reni, e questo si associa a obesità cen-trale, ipertensione e insulino-resistenza.Anche l’associazione con molecole diadesione è stata studiata. In particolare,il sVCAM-1 sembra essere il parametropiù specifico rispetto ad altri, in quanto ilivelli sierici si correlano strettamentecon l’estensione dell’aterosclerosi, equindi potrebbe essere un marker pre-coce di malattia. È comunque importan-te sottolineare che al di là dei presup-posti fisiopatologici, pochi dati epide-miologici sono disponibili. Recentemen-te, in uno studio epidemiologico pro-spettico effettuato in una popolazionesiciliana, la semplice conta leucocitariaera predittiva di stroke nel follow-up, edati sovrapponibili sono stati ottenuti inaltre situazioni. Purtuttavia, servono ul-teriori studi appositamente disegnati percapire meglio il ruolo dei marker infiam-matori come predittori di malattie car-diovascolari.

Fattori infettivi

Esistono diverse evidenze che fat-tori infettivi possano essere implicati neiprocessi aterogeni. Le malattie cardio-vascolari sono state associate da tem-po a infezioni croniche mediate l’attiva-zione dei sistemi infiammatori. I dati di-sponibili riguardano principalmente laClamidia pneumoniae, ma sia l’Heli-

cobacter pylori che il cytomegalovi-

rus sono stati ampiamente studiati. LaClamidia pneumoniae è stata ritrovatanelle placche aterosclerotiche, i livellianticorpali si correlano con l’incidenza ela severità della malattia ateroscleroticae sono stati documentati linfociti T re-sponsivi al batterio in pazienti con car-diopatia ischemica. Anche linfociti Tderivanti da placche aterosclerotiche ri-spondono alla Clamidia. Studi epide-miologici hanno dimostrato l’associazio-ne tra la Clamidia e i classici fattori dirischio cardiovascolari: ad esempio leinfezioni da Clamidia sono più frequen-ti nei fumatori rispetto ai non fumatori,suggerendo che il fumo predisponeall’infezione. Comunque, nonostante unparziale successo preliminare di alcunitrial con macrolidi, l’esatto meccanismocon il quale la Clamidia possa entrarenella parete endoteliale rimane ignoto.Il legame tra l’Helicobacter pylori e la

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CHD, descritto da Mendall et al già dal1994, è stato oggetto di molti studiepidemiologici e clinici; comunque,questi sono stati talmente eterogeneiche risulta difficile fare una selezione dipazienti comparabile e indirizzarla suglistessi end-point, ad esempio anginastabile o infarto acuto del miocardio. Leevidenze da studi su animali supporta-no l’ipotesi che l’Helicobacter pylori

possa avere un ruolo importante nellafase acuta dell’infarto: il batterio causaaggregazione piastrinica e ha un’azionepro-coagulante nei topi da esperimen-to. Contribuisce anche all’aterosclerosiattraverso un meccanismo di autoim-munità contro le cellule endoteliali eaumentando le concentrazioni di omo-cisteina per una riduzione dei livelli diacido folico e cobalamina. L’esatto ruo-lo che però gioca non è del tutto defini-to: c’è chiaramente bisogno di nuovistudi epidemiologici e clinici che possa-no investigare con metodi appropriati eattraverso disegni prospettici e di inter-vento le possibili relazioni tra l’Helico-

bacter pylori e la CHD. Molto studiatesono state anche le interazioni tra ilcytomegalovirus e la parete endote-liale, e anche sull’herpes simplex virusdi tipo 1 esistono dati interessanti. Leinfezioni con il cytomegalovirus sem-brano essere maggiormente associate

con il rischio di restenosi dopo angio-plastica che con quello di un’atero-sclerosi primitiva. Studi prospettici sularga scala sono necessari anche inquesto caso per correlare l’infezionecon il rischio futuro di malattie cardio-vascolari. In tutte le associazioni trafattori infettivi e malattia cardiovasco-lare, per rafforzare l’associazione do-vrebbero comunque essere controllatele variabili confondenti, come altri fat-tori di rischio o anche lo status socio-economico. Gli studi clinici con anti-biotici per prevenire gli eventi clinicicardiovascolari sono in corso. Fino aquando i risultati non saranno disponi-bili, comunque, non è consigliabileprescrivere antibiotici a tale scopo. Inogni caso, molti dati saranno necessariper raggiungerlo, e soprattutto altristudi dovranno essere disegnati perdefinire il farmaco migliore e la doseideale per ottenere la massima effica-cia con il minor numero di effetti inde-siderati.

Alcol

Studi osservazionali hanno attribui-to un ruolo protettivo al consumo di al-col sullo sviluppo dell’aterosclerosi edella mortalità e morbilità cardiovasco-

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lare. Una modesta assunzione di alcolridurrebbe del 20-40% l’incidenza dieventi cardiovascolari. Un effetto pro-tettivo addizionale è stato inoltre attri-buito dai maggiori studi osservazionalial vino, in considerazione degli effettiantiossidanti e sull’aggregazione pia-strinica.

Gli effetti dell’alcol sono però estre-mamente complessi. La protezionepuò essere fornita dalla modulazione dialtri fattori di rischio poiché l’alcol, inquantità limitate, aumenta le concen-trazioni plasmatiche di HDL-colestero-lo, ha effetti positivi sulla pressione ar-teriosa, la frequenza cardiaca, la con-trattilità miocardica e sulla funzione en-doteliale, mentre non interferisce con ilpeso corporeo e l’omeostasi glucidica.Esistono anche dati su un’azione diret-ta sull’aterogenesi. Le stesse quantitàdi alcol in presenza di una malattia car-diovascolare possono però avere untransitorio effetto emodinamico sfavo-revole. L’abuso di alcol poi predisponea pericolose aritmie cardiache, all’iper-tensione, a cardiomiopatie, allo strokee alla morte improvvisa. Per tali motivi,nonostante i documentati effetti favore-voli, non esistono sufficienti evidenzeda giustificare un’eventuale sommini-strazione di alcol nella prevenzione car-diovascolare.

Disfunzione endoteliale

Il ruolo attivo dell’endotelio vascola-re è stato rivalutato negli ultimi anni intutta una serie di situazioni. Il concettopassivo di parete come semplice conte-nitore è stato da tempo abbandonato emolte delle funzioni delle cellule endote-liali hanno una parte attiva nelle malattiecardiovascolari. In condizioni normali,l’endotelio vascolare ha un’azione dicontrollo sul tono vascolare, l’adesionepiastrinica e leucocitaria, la formazionedi trombi, la crescita cellulare, la forma-zione di matrice. Tali effetti sono gene-rati attraverso un corretto bilanciamentodella sintesi di differenti mediatori (adesempio TNF-alfa, metalloproteinasi,prostaciclina, peptidi vasoattivi) in gradodi modulare le differenti azioni. In condi-zioni di danno vascolare molte di questeconseguenze sono abolite o talora sov-vertite. Se ciò rappresenta la causa ol’effetto della malattia ateroscleroticanon è ad oggi noto, ma sicuramente talialterazioni hanno un certo ruolo nel-l’evoluzione degli eventi clinici dal sem-plice danno anatomo-patologico. Unodei meccanismi maggiormente studiatiriguarda la modulazione del tono vasco-lare attraverso il sistema dell’ossido-ni-trico (EDRF). Molte situazioni interferi-scono notoriamente su tale sistema, in

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particolare l’ipercolesterolemia, il diabe-te, l’età o il fumo di sigaretta, e per talemotivo è stato chiamato in causa nel-l’insorgenza delle manifestazioni clini-che acute della malattia aterosclerotica.È ancora prematuro considerare la di-sfunzione endoteliale come un fattore dirischio cardiovascolare indipendente,purtuttavia, oltre alla rimozione dei fat-tori interferenti, numerosi farmaci (eprincipalmente le statine) hanno un ef-fetto positivo dimostrato sulla funzioneendoteliale, e sul tono vascolare in par-ticolare, in grado di giustificare la ridu-zione precoce di eventi clinici nei trialcontrollati. L’endotelio rappresentaquindi, in prospettiva, un nuovo targetterapeutico nella prevenzione delle ma-lattie cardiovascolari.

Fattori cardiaci

Ipertrofia ventricolare sinistra, bloc-chi di branca, alterazioni aspecifiche deltratto ST e dell’onda T, rappresentanoimportanti predittori di rischio cardiova-scolare, soprattutto per quanto riguardala morte improvvisa. Anche la fibrillazio-ne atriale ha un ruolo di primo piano,mentre sempre maggiori informazionisono disponibili riguardo la frequenzacardiaca. Numerosi studi prospettici

hanno a tale scopo documentato, in di-verse categorie di soggetti (popolazionegenerale, anziani, ipertesi, infartuati opazienti con scompenso cardiaco),un’associazione tra frequenza cardiacae sviluppo di aterosclerosi ed eventicardiovascolari. L’aggregazione di fattoridi rischio in pazienti tachicardici puòspiegare questa associazione, ma unruolo ha anche l’iperattività simpatica,alla base della tachicardia, dell’iperten-sione e di anormalità metaboliche. Lariduzione farmacologia della frequenzacardiaca deve quindi rappresentare unobiettivo terapeutico aggiuntivo nell’am-bito della prevenzione cardiovascolare.

Omocisteina

L’omocisteina è un aminoacido chenon entra nella composizione delle pro-teine: esso rappresenta un compostocruciale nel metabolismo degli aminoa-cidi solforati. Un accumulo di omocistei-na nel sangue può essere dovuto a di-fetti congeniti del metabolismo dellametionina, e in particolare in alterazionidel gene della metiletilenetetraidrofolatoredattasi, a carenze vitaminiche (vitami-na B6 e B12) e a una serie di altre con-dizioni associate, tra cui età, fumo, far-maci, abuso di caffè e alcune patologie

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(insufficienza renale, diabete). È pre-sente nel 20-30% dei pazienti con ar-teriosclerosi prematura dei distretti va-scolari coronarico, carotideo e periferi-co. Tale associazione è stata anche di-mostrata in alcuni studi epidemiologici,tra cui il Framingham Heart Study, ilTrombo Study, l’ARIC Study e anche ilBritish Regional Heart Study. L’aumen-to del rischio conferito dall’omocisteinaè graduale e indipendente da quelli dialtri fattori. Le reali cause che possanospiegare perché l’omocisteina elevatapredisponga alle malattie cardiovascola-ri non sono del tutto note. Alcuni mec-canismi patogenetici sono stati peròproposti. L’omocisteina è in grado didanneggiare le cellule endoteliali, per-mettendo la formazione della placca.Simultaneamente interferisce con la va-sodilatazione mediata dall’ossido nitrico.L’omocisteina induce inoltre la prolifera-zione delle cellule muscolari lisce, inibi-sce la crescita endoteliale e stimola lasintesi epatica di apoB-100 e quindi dicolesterolo. Un effetto importante po-trebbe essere anche mediato dall’azio-ne negativa dell’omocisteina sui sistemiossidativi in vivo, che può portare aldanno e alla disfunzione endoteliale. Li-velli elevati di omocisteina promuovonoinoltre la trombosi attraverso un’aumen-tata produzione di trombina. Ulteriori

possibili meccanismi implicati nell’atero-genesi mediata dall’omocisteina inclu-dono: alterazione della regolazione diproteine associate con le membranecellulari, ridotta biodisponibilità di ossidonitrico, accumulo di collagene e aumen-tata adesione di monociti e neutrofiliall’endotelio. Elevati livelli di omocistei-na possono essere abbassati attraversol’assunzione, con il cibo o farmacologi-ca, di acido folico. I pazienti possonoquindi essere incoraggiati a consumareattraverso gli alimenti i livelli raccoman-dati giornalieri di acido folico, così comequelli delle vitamine B6 e B12; esistonoanche dei preparati in grado di fornirefarmacologicamente tali sostanze. Ilmantenimento di normali valori di omo-cisteina nella prevenzione cardiovasco-lare appare estremamente promettente,soprattutto perché potrebbe rappresen-tare la modalità più economica di ridu-zione dell’incidenza di malattie coronari-che. Comunque, benché le evidenzesuggeriscano un ruolo indipendentedell’omocisteina nei confronti del rischiocardiovascolare, nessuno studio pro-spettico disegnato con l’obiettivo di di-mostrare la riduzione delle malattie car-diovascolari attraverso la sommistrazio-ne di folati e vitamina B6 è stato ancoracompletato, per cui rimane da provarein studi controllati che tale effetto sia

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realmente ottenibile. Allo stato attuale,quindi, la misurazione dei livelli di omo-cisteina non è raccomandata per unavalutazione del rischio globale, ma il suodosaggio può essere utile in pazienti adalto rischio.

Microalbuminuria

La microalbuminuria è una condi-zione in cui si ha un’incrementata escre-zione urinaria di albumina, entro il rangenormale di escrezione proteica totale.Molti dati suggeriscono che è un markerdi danno vascolare, specie nel diabetee nell’ipertensione, e ci sono dati anchesulla sua associazione con i tradizionalifattori di rischio e sul suo potere predit-tivo riguardo alle malattie cardiovascola-ri, limitato però ai pazienti diabetici. Ilsuo ruolo e la sua importanza nei pa-zienti non diabetici sono ancora contro-verse, per cui lo screening routinarionon è allo stato attuale raccomandatonei soggetti non diabetici, anche seipertesi.

La Sindrome metabolica

Con il termine di “Sindrome Meta-bolica” (Tab. 11) si identifica una formamorbosa caratterizzata dall’associazionedi: diabete mellito tipo 2 o ridotta tolle-ranza glucidica (IGT, Impaired GlucoseTolerance), alterazioni lipidiche (caratte-rizzate generalmente da ipertrigliceride-mia con riduzione dei valori di HDL-co-lesterolo e alterazioni qualitative delleLDL), sovrappeso o obesità (con au-mento del tessuto adiposo centrale ointra-addominale), ipertensione arterio-sa e iperuricemia. A questi fattori si ag-giungono in molti casi altre condizioniconcomitanti, quali l’aumento del fibro-geno, alterazioni fibrinolitiche, poliglobu-lia. È una patologia conosciuta da moltotempo e nel corso degli anni è stata dif-ferentemente definita da autori italiani eanglosassoni. Sinonimi sono “SindromeX metabolica”, “Sindrome da insulino-resistenza”, “Sindrome polimetabolica”.

L’insieme di queste alterazioni rap-presenta un importante fattore di rischiocardiovascolare che promuove la rapida

Insulino-resistenza ↑ Trigliceridi (VLDL)

Iperinsulinemia ↓ Colesterolo HDL

Intolleranza glucidica Ipertensione

Obesità ↑ Uricemia

Tabella 11

Componenti dellaSindrome metabolica.

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progressione del processo aterosclero-tico. Numerosi studi hanno mostratocome ogni singola alterazione determi-nante la Sindrome metabolica giochi unruolo decisivo nel suscitare il processoaterosclerotico, rappresentando di persé un importante fattore di rischio car-diovascolare. Per tale motivo sono statiin larga misura già analizzati nelle sezio-ni precedenti di questo capitolo.

Diabete mellito

Donne affette da diabete mellito,indipendentemente dalla sua associa-zione con la dislipidemia, l’ipertensionearteriosa e l’obesità, sviluppano un’ate-rosclerosi paragonabile a quella di unmaschio non diabetico, perdendo la re-lativa immunità all’aterosclerosi propriadel periodo fertile; è importante, inoltre,ricordare come la genesi della micro emacroangiopatia diabetica sia composi-ta, in quanto ad essa concorrono alte-razioni della parete arteriosa, del siste-ma coagulativo e del sistema lipidico.

Dislipidemia

Nel caso della dislipidemia, numerosistudi (Framingham Heart Study, Seven

Countries Study, MRFIT Study e altriancora) hanno mostrato chiaramenteuna correlazione diretta fra tale tipo dialterazione e il rischio coronarico. NellaSindrome metabolica la dislipidemia piùfrequentemente presente è la cosiddet-ta “triade lipidica”, caratterizzata dalla si-multanea presenza di elevata colestero-lemia totale, alti livelli di LDL-colestero-lo e trigliceridemia, bassi livelli di HDL-colesterolo. Sono spesso presenti an-che alterazioni qualitative delle LDL,con una predominanza di LDL piccole edense, e anche un accumulo di parti-celle remnant.

Obesità e sovrappeso

L’obesità non è stata, per lungotempo, considerata come fattore di ri-schio aterogenico indipendente, perchéi primi studi prospettici ritenevano che sicorrelasse con un aumentato rischiocardiovascolare in quanto associata adislipidemia, ipertensione, iperglicemia,iperuricemia e inattività fisica. Tuttavia,dopo il follow-up della coorte di Fram-ingham, è stato dimostrato che l’obesi-tà fornisce, specie per i soggetti piùgiovani, un contributo indipendente al-l’aterogenesi. Inoltre, particolare atten-zione è stata posta negli ultimi anni al

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fenomeno delle continue oscillazioni delpeso corporeo (weight cycling), inquanto alcuni dati epidemiologici depor-rebbero per un maggiore rischio coro-narico in questi soggetti.

Ipertensione Arteriosa

Anche l’ipertensione arteriosa rap-presenta un importante fattore di rischioaterogeno; infatti, come ribadito nelleLinee Guida OMS-ISH del 1999, i livellidi pressione arteriosa sono correlati alrischio di patologia cardiovascolare inmodo continuo, e ogni linea di demar-cazione tra “normotensione” e “iperten-sione” è pertanto arbitraria. Infatti, an-che all’interno dei valori considerati co-me “normali”, i soggetti con pressionearteriosa più bassa hanno un rischio mi-nore di patologia cardiovascolare.

Iperuricemia

L’artrite gottosa è stata associatacon un rischio aterogeno raddoppiato. Èstata, inoltre, individuata una moderatacorrelazione tra uricemia e malattia co-ronarica, anche in assenza di gotta cli-nicamente manifesta. È da ricordareche elevati valori di uricemia sono spes-

so associati a ipertensione, dislipidemiae obesità; tutto questo potrebbe costi-tuire il riflesso della presenza di processimetabolici correlati tra loro. È stato inol-tre dimostrato che l’iperuricemia pro-voca un incremento sia della produzionedi radicali liberi che dell’ossidazione del-le purine; tali alterazioni metabolichesembrano indurre un indebolimento deisistemi ossidativi cellulari e, di conse-guenza, un aumento del rischio di dan-no ossidativo dell’endotelio vascolare.

Da quanto esposto appare chiarocome tale sindrome consista in un in-sieme di disordini metabolici che spes-so coesistono tra loro. Il legame fisiopa-tologico comune alle varie forme sem-bra essere l’insulino-resistenza e l’ipe-rinsulinismo da essa derivante; essisembrano rappresentare un fattorechiave nell’eziologia della Sindrome me-tabolica (Fig. 4).

L’insulino-resistenza consiste nell’in-capacità dell’insulina di esplicare le suenormali funzioni metaboliche a concen-trazioni fisiologiche. Alcune indagini han-no dimostrato che l’azione dell’insulina èridotta di circa il 40% nel diabete mellitonon insulino-dipendente. Il fegato, il mu-scolo scheletrico e il tessuto adipososono tutti insensibili, cosicché l’aumen-tato rilascio di glucosio epatico e il ridot-

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to assorbimento periferico contribuisco-no entrambi all’iperglicemia (Fig. 5).

I difetti che causano l’insensibilitàall’insulina sono sconosciuti e apparen-temente sono post-recettoriali. Possibilifattori contribuenti includono l’obesità,una predisposizione ereditaria e l’au-mentato livello di glucagone; la stessaiperglicemia riduce anche la sensibilitàdell’insulina (“tossicità del glucosio”).L’iperinsulinismo è dovuto a un’aumen-

tata resistenza periferica all’azione del-l’ormone. Tale resistenza, tuttavia, non èpresente in tutti i distretti: nel fegato, in-fatti, l’insulina esplica la propria normaleazione e promuove un incremento dellasintesi delle VLDL; in periferia, invece,la resistenza all’azione antilipoliticadell’ormone (data da una down reg-

ulation dei recettori insulinici) comportala mobilizzazione dal tessuto adiposo de-gli acidi grassi liberi, il cui turn-over ri-

Fattore 2 Fattore 1

Fattore 3

PAS

PAD

Ridotta tolleranza glucidica Ipertensione

BMI

Insulinadigiuno

Insulina2 oreGlicemia

2 ore

Glicemiadigiuno

HDLColest.

TG

Rapp.Vita/

fianchi

Sindrome dell’insulino-resistenza

Sindrome metabolica centrale

Figura 4

Combinazione di tre distinti domain fisiopatologici a costituire la sindrome da insulino-resistenza: la Sindrome metabolica centrale (definita dall’associazione delle variabili raggruppate sotto il “fattore 1”), la ridotta tolleranza ai carboidrati (fattore 2) e l’ipertensione (fattore 3). I tre domainsono legati da mutue associazioni con l’iperinsulinemia (che riflette l’insulino-resistenza) e l’obesità.

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sulta, pertanto, aumentato. L’iperafflus-so al fegato degli acidi grassi liberi in-crementa ulteriormente la sintesi diVLDL. Il meccanismo della down reg-ulation recettoriale periferica spiega an-che l’insulino-resistenza e la conseguen-te ridotta tolleranza glucidica, frequente-mente presenti nei soggetti obesi.

Numerosi studi hanno portato evi-denze a favore di un ruolo dell’insulino-resistenza come meccanismo metaboli-co alla base dell’associazione tra obe-sità, diabete mellito e ipertensione arte-riosa, e di conseguenza dell’aumento dirischio cardiovascolare ad essa correla-to. Tra i meccanismi attraverso i qualil’insulino-resistenza può portare allo svi-

luppo dell’ipertensione, un ruolo impor-tate sembra essere svolto da un aumen-to del riassorbimento del sodio da partedel tubulo renale, e da un aumentodell’attività simpatica efferente (Fig. 6)

Benché sia stato proposto chel’iperinsulinemia e l’insulino-resistenzarappresentino il fattore eziologico cen-trale nel determinismo della Sindromemetabolica, dati epidemiologici nonsupporterebbero tale ipotesi, dato chenon spiegherebbe tutte le anormalitàper tutti i gruppi; infatti, esistono dati,sia animali che umani, che suggerisco-no come l’iperleptinemia piuttosto che,o sinergicamente con, l’iperinsulinemia,possa giocare un ruolo centrale nella

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GlucosioNIDDM IGT

Insulino-resistenza

Geni diabetogeni

Tossicitàdel glucosio

Ridottafunzionalità delle

cellule α

Obesità

Cibo assuntoEsercizio fisicoTermogenesi?

Ambienteintrauterino?

Amilina?

��

Figura 5

L’insulino-resistenza è associata al NIDDM,all’obesità e allasecrezione di insulinadifettiva. Vari fattorigenetici e ambientalipotrebbero essereimplicati.

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genesi del gruppo dei fattori di rischioche costituiscono la sindrome.

Più recentemente sono stati identi-ficati e proposti altri potenziali fattorieziologici della Sindrome metabolica,che comprendono la disfunzione endo-teliale e la proteina stimolante l’acetila-zione (Acetylation-Stimulating Protein,ASP). L’ASP rappresenta un serio nuo-vo candidato per un importante ruolonell’insulino-resistenza; la via dell’ASPgioca un ruolo critico nel metabolismo eimmagazzinamento degli acidi grassi;recenti studi hanno suggerito comel’inefficace immagazzinamento degliacidi grassi da parte degli adipociti siadovuto a un difetto nella via dell’ASP,indotto dall’insulino-resistenza e dal dia-bete mellito tipo II.

Inoltre, una maggiore predisposizio-ne genetica alla Sindrome metabolicasembra essere determinata dal tipicostile di vita condotto nei paesi industria-lizzati, caratterizzato da diete a elevatocontenuto calorico e di grassi, inattivitàfisica, consumo di alcol, fumo e stress;quindi appare evidente come la preven-zione e la terapia di questa sindromeimplichino la rimozione di tali fattori.

In conclusione, un corretto approc-cio terapeutico nei confronti di questasindrome deve essere multidisciplinare,ovvero deve prendere in considerazioneil controllo di ogni singolo fattore impli-cato nel determinismo della stessa. Iltrattamento di tale sindrome è principal-mente basato sulla riduzione del pesocorporeo: ciò è possibile semplicemen-

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Ipertensionearteriosa

Aumento attività SNS

Insulino-resistenza

Iperinsulinemia

Aumento attività SNS

Variazioni reattività muscolare

Variazioni trasporto cationico

Obesità

Figura 6

Possibili meccanismiattraverso i quali unainsulino-resistenza puòindurre ipertensionearteriosa.

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te attuando una sostanziale modificadello stile di vita (diete ipocaloriche-ipo-glucidiche e ipolipidiche, incrementodell’attività fisica ecc.), che da sola èspesso in grado di determinare un no-tevole miglioramento e una completacorrezione di tutte le anomalie metaboli-che. Se questo non dovesse esseresufficiente, allora è opportuno prenderein considerazione una terapia multifar-macologica (ipoglicemizzante, ipolipidi-ca, antipertensiva ecc.) che permettaun ottimale compenso delle alterazionimetaboliche.

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I lipidi sono costituenti fondamentalidel nostro organismo, sia per quanto ri-guarda i depositi (la fornitura di energia)sia per la formazione delle membranecellulari. I lipidi non visibili (detti anche“non apparenti”) contenuti negli alimenti(carni, prodotti lattiero-caseari) e i lipidivisibili (o “apparenti”), quali burro, mar-garina, oli di oliva e di semi, entranoglobalmente per circa 75-100 g nellanostra alimentazione quotidiana, cioè adire costituiscono dal 30 al 35% del-l’apporto energetico totale.

In effetti la dieta deve apportare unaquantità adeguata di lipidi, e tutti gliesperti concordano nel ritenere che il li-vello compatibile con la buona salute nondovrebbe superare il 30% delle calorietotali di un regime alimentare corretto.

È un dato di fatto, tuttavia, chemolti soggetti eccedono nel consumo digrassi, e spesso senza che siano ri-spettate le proporzioni tra i vari tipi digrasso, come si dirà più oltre.

Il motivo di questo aumentato consu-

mo di grassi è complesso: accrescimentodella disponibilità di sostanze grasse eco-nomicamente convenienti, facilità di impie-go, applicazioni gastronomiche. Per com-battere questa tendenza, nelle ultime de-cadi sono state promosse in tutti i paesi af-fluenti varie campagne tese alla riduzionedel consumo di grassi che, tra l’altro, haportato varie industrie alimentari a produrree immettere al consumo prodotti contras-segnati da diciture quali “a basso tenore digrassi” o “privi di grassi”. Paradossalmente,in molti casi, se è vero che il consumo digrassi ha subito una riduzione, non è dimi-nuito nel complesso l’ammontare dell’ap-porto energetico, come risulta confermatodai dati relativi alla prevalenza del sovrap-peso e dell’obesità nella popolazione.

Inoltre, vari autori riconoscono chela campagna per la riduzione ad ognicosto dell’apporto di grassi può com-portare involontariamente anche spia-cevoli conseguenze per la salute, per-ché gli effetti sono differenti a secondadei vari tipi di grasso interessati.

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II nterventi alimentari per ilcontrollo dei lipidi ematici

E. Lanzola

Già Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la DieteticaUniversità degli Studi di Pavia

Premessa

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I grassi presenti nell’organismohanno una duplice origine, in quantosono per una parte apportati dagli ali-menti e per un’altra parte sintetizzati nelfegato o nel tessuto adiposo. Più del95% dei lipidi alimentari è rappresenta-to da trigliceridi (che costituiscono lamassa del tessuto adiposo); il restante5% è dato dal colesterolo e dai fosfoli-pidi, essenziali per la formazione dellemembrane.

Gli acidi grassi costitutivi dei lipidisono classificati in funzione della lun-ghezza della catena carboniosa e delnumero dei doppi legami; sono definiti“saturi” gli acidi grassi senza doppi le-gami, monoinsaturi e polinsaturi se pos-siedono rispettivamente uno o più doppilegami.

Gli acidi grassi polinsaturi, oltre adessere più instabili alla cottura, sonoanche molto più reattivi a livello meta-bolico rispetto agli acidi grassi saturi omonoinsaturi.

Nell’organismo la composizione dei

trigliceridi del tessuto adiposo e dellemembrane richiede un rapporto equili-brato tra le diverse classi di acidi grassi.Il tessuto adiposo, infatti, è relativamen-te ricco di acidi grassi saturi e di acidooleico, mentre i lipidi di membrana con-tengono una proporzione più elevata(circa il 50%) di acidi grassi polinsaturi.Il colesterolo accompagna i lipidi duran-te il loro percorso, in particolare fino allemembrane cellulari, con conseguenzeimportanti sotto il profilo sia fisiologicoche patologico.

Per soddisfare il proprio bisogno disostanze grasse l’uomo dispone di unagrande varietà di fonti lipidiche.

Teoricamente, in mancanza di ap-porto lipidico l’organismo è in grado disintetizzare la maggior parte degli acidigrassi, ad eccezione di due acidi grassiinsaturi: uno appartenente alla famigliadell’acido linoleico, l’altro a quella del-l’acido alfa-linolenico. È importante ri-cordare che questi due acidi grassi es-senziali non possono essere sostituiti

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Natura e ruolodegli acidi grassiassorbiti

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l’uno con l’altro. I grassi animali sonomolto ricchi di acidi grassi saturi, cheperò non hanno tutti le stesse caratteri-stiche. I grassi dei pesci forniscono, tragli altri, due acidi grassi a lunga catena,polinsaturi, caratterizzati da proprietàbiologiche interessanti: l’acido eicosa-pentaenoico (EPA) e l’acido docosae-saenoico (DHA). La carne dei pescinon è in genere ricca di grasso, tutta-via, alcuni pesci contengono notevoliquantità di EPA (sgombro, tonno, sal-mone).

Anche i grassi vegetali per la mag-gior parte contengono grassi polinsaturi:fanno eccezione gli oli di cocco e di pal-ma. Alcuni oli (oliva, arachide) possiedo-no notevoli quantità di acido oleico (mo-noinsaturo), altri, grandi quantità di aci-do linoleico (girasole, mais, vinacciolo).L’acido alfa-linolenico è contenuto inquantità apprezzabili (8-10%) in alcunioli quali olio di soja, canola, olio di noce.

La nozione che i lipidi svolgono ruolidiversi in funzione della lunghezza dellacatena carboniosa, del numero dei dop-pi legami, della configurazione spaziale,ha portato a riconoscere la necessitàche l’apporto alimentare venga ad es-sere equilibrato tra i vari tipi di grasso.In quest’ottica si è giunti al suggeri-mento – ampiamente diffuso – di ridur-re il consumo di acidi grassi saturi a

vantaggio dei polinsaturi, tenendo tutta-via presente che anche l’introduzioneeccessiva di questi ultimi può rivelarsicontroproducente.

Il rapporto tra consumo di grassi epatologie correlate, con particolare ri-guardo alle coronaropatie ischemiche,non è però molto semplice, perché viinterferiscono altri fattori, quali attivitàfisica, abitudine al fumo di sigaretta,obesità, condizioni economico-sociali.

Acidi grassi saturi

Da tempo, ormai, si ritiene che unconsumo elevato di grassi, e in partico-lare di grassi saturi, contribuisca pesan-temente all’insorgenza di coronaropatieischemiche. Tale assunto deriva in granparte dagli studi epidemiologici, chehanno messo in correlazione il consumodi grassi saturi con la frequenza dellecoronaropatie ischemiche.

Nel cosiddetto Seven CountriesStudy (Keys 1995), l’introduzione digrassi saturi, espressa come percen-tuale delle kilocalorie totali introdotte, sidimostrò correlata con il tasso di morta-lità per coronaropatie ischemiche nelle16 popolazioni partecipanti allo studio,molto più dell’energia complessiva ap-portata dai grassi della dieta. In effetti

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la popolazione della Finlandia, che pre-sentava il tasso più elevato di mortalitàper coronaropatie ischemiche, era ca-ratterizzata dallo stesso consumo digrassi (40% dell’apporto energeticoquotidiano) degli abitanti della regione(Creta) con il tasso minore.

Un’analisi recente del Seven Coun-tries Study ha evidenziato un’elevatacorrelazione positiva della mortalità percoronaropatie ischemiche con il consu-mo di quattro acidi grassi saturi a lunga

catena e di acidi grassi trans (Kromhoutet al 1995).

Più recentemente, a proposito diquesti ultimi, uno studio condotto per14 anni su 80.082 donne di età com-presa fra 34 e 59 anni (The Nurses’Health Study), ha mostrato una correla-zione positiva fra coronaropatie ische-miche e assunzione di acidi grassitrans, più consistente rispetto a quellaper assunzione di acidi grassi saturi(Fig. 1; Hu et al 1997).

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Figura 1

Variazioni stimate (in percentuale al 95%dei limiti fiduciari) delrischio di coronaropatieischemiche inconseguenza disostituzioni dieteticheisocaloriche. Aggiustateper i fattori di rischiocoronarico e l’apportototale di energia.Da Hu et al 2001.

Sat = grassi saturiCarbo = carboidratiMono = grassi monoinsaturiPoly = grassi polinsaturi

= sostituzione

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Questa constatazione trova confer-ma nelle ricerche sul metabolismo di di-versi acidi grassi saturi che manifestanoeffetti differenti sui livelli della lipidemiae delle lipoproteine plasmatiche (Kris-Etherton et al 1997).

In particolare gli acidi grassi saturi

con 12-16 atomi di carbonio tendono afar aumentare i livelli plasmatici del co-lesterolo totale e di quello LDL, mentrel’acido stearico (18:0) non presenta –se confrontato con l’acido oleico (18:1)– nessun effetto sull’aumento della co-lesterolemia.

E. Lanzola

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cis 18:1(n=12)

18:2n-6(n=16)

Singoli acidi grassi (per ogni 1% di aumento energetico)

Figura 2

Effetti degli acidi laurico (12:0), miristico (14:0), palmitico (16:0), elaidico (trans-18:1), stearico (18:0),oleico (cis-18:1) e linoleico (18:2 n-6) sul colesterolo totale (TC), sul colesterolo LDL (LDL-C) e HDL(HDL-C).Da Frank et al, J Am Coll Nutrition 20, 1, 2001.

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Gli effetti di questi acidi grassi sonoillustrati nella Figura 2.

Fra gli acidi grassi saturi che hannola capacità di aumentare la colesterole-mia, l’acido miristico (14:0) sembra es-sere più efficace dell’acido laurico (12:0)e dell’acido palmitico (16:0) (Temme etal 1996). Sebbene l’acido stearico abbiadimostrato – come già accennato – unoscarso effetto sui livelli di colesterolo to-tale e LDL, tuttavia esso può abbassarei livelli di HDL più di quanto facciano gliacidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, etale effetto è stato riscontrato in modoparticolare nelle donne (Yu et al).Ricerche di Aro et al hanno evidenziatoche l’acido stearico – confrontato con gliacidi miristico e palmitico – abbassa i li-velli sia di LDL che di HDL, cosicché irapporti tra LDL e HDL e quelli tra apoBe apoAI restano in pratica invariati. L’aci-do stearico, inoltre, favorisce un aumen-to della Lp(a) e può attivare il fattore VII(Mitropoulos et al 1994) e compromet-tere la fibrinolisi (Furguson et al 1970).Queste osservazioni, unitamente aquanto è emerso dal Nurses’ HealthStudy, sopra ricordato, portano a ritene-re non del tutto giustificata la distinzionetra acido stearico e gli altri acidi grassisaturi per quanto riguarda i consigli die-tetici diretti a ridurre il rischio delle coro-naropatie ischemiche (Hu et al 2001).

Acidi grassi polinsaturin-6 e n-3

Come è noto, numerosi studi hannoevidenziato un notevole effetto sulla ri-duzione della colesterolemia da partedegli oli vegetali, ricchi di acido linoleico(Grundy et al 1982). C’è da aggiungereche, a seguito di trial clinico-dietetici, siè potuto osservare come diete ricche diacidi grassi polinsaturi n-6 si siano di-mostrate più efficaci nel ridurre i livellidella colesterolemia, rispetto a dieteisocaloriche a basso tenore di lipidi edelevato contenuto di carboidrati (Sacks1994).

Va segnalato, inoltre, che la corre-lazione inversa tra acidi grassi polinsa-turi n-6 e coronaropatie ischemiche os-servata nel corso del Nurses’ HealthStudy, è ancora più forte di quanto po-tesse essere predetto in base alleequazioni di Keys e di Hegsted ricavateda studi metabolici.

Questa osservazione porta a ritene-re che gli acidi grassi polinsaturi n-6siano in grado di svolgere sull’apparatocardiovascolare effetti benefici che van-no oltre il solo miglioramento del profilolipidemico. In realtà, ricerche sugli ani-mali hanno evidenziato che un aumentodell’introduzione dei polinsaturi n-6 mi-gliora la sensibilità all’insulina (Lovejoy

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et al 1992, Lovejoy 1999), e nel Nurs-es’ Health Study l’assunzione elevata digrassi polinsaturi n-6 ha portato a unabbassamento significativo dell’inciden-za di diabete mellito (Hu et al 1999).

Pertanto, sia le indagini di laborato-rio che gli studi epidemiologici indicanoche la sostituzione di grassi saturi a lun-ga catena con grassi polinsaturi riducesostanzialmente il rischio di manifesta-zioni coronaropatiche.

L’importanza degli acidi grassi polin-saturi n-3, eicosapentaenoico (EPA) edocosaesaenoico (DHA), è nata dal-l’osservazione della bassa frequenza dicoronaropatie negli eschimesi, a dispet-to del loro consumo elevato di grassi edi cibi ricchi di colesterolo. Ciò chesembrava un paradosso venne risoltoda due ricercatori danesi, Bang e Dyer-berg, i quali, confrontando la bassamortalità per coronaropatie degli eschi-mesi in Groenlandia, con quella elevatadei danesi residenti in Groenlandia, macaratterizzati da abitudini alimentari mol-to diverse, trovarono la soluzione del-l’enigma analizzando la composizionedelle diete tipiche degli eschimesi e deidanesi. Questi ultimi, infatti, avevanomantenuto le abitudini della madre pa-tria con un’alimentazione ricca di cole-sterolo e grassi saturi forniti soprattuttodalla carne e dai prodotti lattiero-casea-

ri. Gli eschimesi, viceversa, si alimenta-vano soprattutto con carne di foca, dibalena e di pesci, alimenti ricchi di EPAe di DHA. Gli eschimesi, inoltre, pre-sentavano nel sangue livelli elevati diquesti acidi grassi n-3 che, catturatidalle piastrine, le rendevano meno su-scettibili alla formazione di trombi (Dyer-berg et al 1975, Dyerberg et al 1979).

Recentemente è stata confermatala validità di queste osservazioni in unapopolazione di circa 9000 persone, gliInuiti, distribuita in un vasto territorio anord di Quebec, in Canada, che, aven-do conservato ancestrali abitudini ali-mentari, è caratterizzata da una dieta abase di pesci e di mammiferi marini,con il risultato che la loro mortalità percoronaropatie ischemiche è del 50%inferiore alla media generale degli abi-tanti della provincia del Quebec (De-wailly et al 2001).

Allo stato attuale, dopo centinaia diricerche sperimentali in animali, in col-ture cellulari e dopo numerosissimi trial,sia nella popolazione che clinici, apparebene delineato il razionale per cui gliacidi grassi n-3 dei pesci e di altri ani-mali marini sono in grado di prevenire lecoronaropatie ischemiche (Commor1994); una sintesi del loro meccanismodi azione viene riportata nella Tabella 1.

L’EPA e il DHA contenuti negli oli

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di pesce proteggono quindi dal rischiodi insorgenza dell’arteriosclerosi. Ancheesperienze sui maiali e sulle scimmieportano a ritenere che la prevenzionedell’arteriosclerosi possa effettuarsi at-traverso meccanismi diversi da quellodella riduzione della colesterolemia (Da-vis et al 1987).

L’effetto pronunciato dell’olio di pe-sce sull’iperlipidemia è stato documen-tato molto bene da ricerche di dieteticache hanno messo a confronto gli effettidi diete a elevato contenuto di olio disalmone, di oli vegetali e di grassi saturi(Phillpson et al 1985).

L’olio di pesce diminuisce la con-centrazione di trigliceridi plasmatici ini-bendo nel fegato la sintesi degli stessie delle VLDL. La produzione di apolipo-proteina B viene ridotta maggiormentedopo il consumo di olio di pesce che dioli vegetali, quali l’olio di cartamo ol’olio d’oliva.

Una pronunciata iperlipemia post-prandiale si verifica dopo ogni pasto ric-

co di grassi e, come è ormai noto, le li-poproteine postprandiali sono ateroge-niche e anche trombogeniche, in quan-to provocano un aumento del fattore VIIattivo che agisce da procoagulante.

Il trattamento preliminare con olio dipesce riduce di molto la lipemia post-prandiale e questo effetto, ovviamente,va riguardato sotto il duplice profilo an-tiaterogeno e antitrombotico (Harris etal 1988).

Tuttavia l’azione di prevenzione del-le coronaropatie ischemiche da partedel pesce e dell’olio di pesce non deveportare a credere che i vegetariani nonabbiano la possibilità di approvvigionarsidi acidi grassi n-3.

In effetti, precursore di EPA e diDHA nella sintesi metabolica è l’acido li-nolenico, contenuto in quantità elevata inalcuni oli vegetali quali canola, olio di soia,olio di semi di lino, olio di noce (Tab. 2).

Da uno studio basato sull’assunzio-ne di acido linolenico contenuto in mar-garina prodotta con canola, è risultato,

Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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• Prevenzione delle aritmie cardiache (tachicardia ventricolare e fibrillazione)

• Azione antitrombotica

• Inibizione dell’accrescimento delle placche aterosclerotiche

• Azione antinfiammatoria (inibizione della sintesi di citochine e mitogeni)

• Stimolazione della produzione di ossido di azoto di derivazione endoteliale

• Riduzione dei livelli plasmatici di triacilglicerolo, di colesterolo VLDL e incrementodei livelli plasmatici di colesterolo HDL

Tabella 1

Azioni svolte dagli acidi grassi n-3nella prevenzione delle coronaropatieischemiche e della morte improvvisa.Da Connor, Am J ClinNutr, 74, 2001.

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infatti, un aumento dei livelli ematici diEPA e contemporaneamente una ridu-zione del 70% del tasso di mortalità percoronaropatia ischemica e di morte im-provvisa (De Lorgeril et al 1994).

L’acido alfa-linolenico è un acidograsso n-3 essenziale per l’uomo, ma èanche particolarmente importante nellaprima infanzia e nei bambini, oltre chenei pazienti mantenuti in vita con ali-mentazione artificiale (enterale e paren-terale). La sintesi di EPA e di DHA dal-l’acido alfa-linolenico avviene per tappeenzimatiche successive di allungamentoe di desaturazione, in analogia con i

composti della serie n-6, come apparesinteticamente dalla Figura 3.

L’azione della delta-6-desaturasi,che opera sugli acidi grassi essenziali dientrambe le serie per la sintesi dei deri-vati, costituisce un fattore limitante, inquanto acido linoleico e acido linolenicoentrano in competizione tra loro per ladesaturazione e l’allungamento dellacatena.

Ne deriva l’importanza di un equili-brio sostanziale fra questi due acidigrassi nel regime alimentare. Poichél’acido alfa-linolenico e il suo metabolitaEPA riducono la formazione di trombos-

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Prodotto Acido alfa-linolenico (in % sul peso)

Olio di lino 50,8

Olio di soia 7,0

Olio canola 9,3

Olio d’oliva 0,6

Cioccolato 0,1

Olio di mais 1,0

Olio di noce di cocco Tracce

Olio di cartamo 0,4

Noci tostate 6,8

Nocciole tostate 0,2

Mandorle tostate 0,4

Arachidi tostate Tracce

Anacardi tostati 0,2

Spinaci 0,12

Cavolini di Bruxelles 0,20

Cavolo 0,13

Tabella 2

Contenuto di acido alfa-linolenico in vari oli e alimenti.Da Connor, Am J ClinNutr, 69, 1999.

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sano A2 (vasocostrittore e proaggre-gante), per il loro effetto inibitore siasulla conversione da acido linoleico adacido arachidonico, sia sull’attività dellaciclossigenasi (Kang, Leaf 1996, Kin-sella 1987, Kinsella 1988, Nair et al1997), un rapporto elevato acido alfali-nolenico/acido linoleico dovrebbe por-tare alla diminuzione del rischio di coro-naropatie ischemiche, riducendo la ten-denza alla formazione di trombi.

Contrariamente alle attese, i risulta-ti di vari studi epidemiologici hannomesso in evidenza soltanto una mode-sta riduzione del rischio di coronaropatie

ischemiche quando il rapporto acido al-falinolenico/acido linoleico è maggioredi 0,10.

Il motivo più probabile di tale appa-rente irrazionalità risiede nel fatto chenon è soltanto la produzione di prosta-noidi, su cui influiscono i polinsaturi n-3,a incidere sull’insorgenza della corona-ropatia ischemica.

Gli acidi grassi polinsaturi n-6, in-fatti, abbassano il rischio di coronaropa-tia attraverso una riduzione del coleste-rolo LDL e altri effetti benefici, quali ilmiglioramento della sensibilità all’insuli-na (Lovejoy 1999) e l’abbassamento

Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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desaturarsi ∆6

18:2 n-6acido linoleico (LA)

18:3 n-6acido γ-linolenico (GLA)

elongasi

desaturarsi ∆5

desaturarsi ∆6

18:3 n-3acido α-linolenico (ALA)

elongasi (2)

desaturarsi ∆6

β-ossidazione(nel perossisoma)

20:3 n-6acido diomogammalinolenico

20:4 n-6acido arachidonico (AA)

22:6 n-3acido docosaesaenoico (DHA)

20:5 n-3acido eicosapentaenoico (EPA)

18:4 n-3acido stearidonico

Figura 3

Sintesi dei derivati alunga catena polinsaturidagli acidi grassiessenziali precursori.Da Agostoni eGiovannini, DoctorPediatria, maggio 2001.

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della soglia per la fibrillazione ventricola-re (Nair et al 1997).

Pertanto, poiché sia gli acidi grassidella serie n-6 che quelli della serie n-3riducono il rischio di coronaropatieischemiche, sia pure attraverso vie bio-logiche diverse, si spiega perché il rap-porto tra le due serie presenti soltantouna debole correlazione con tale rischio.

Comunque, mentre si ritiene gene-ralmente che il rapporto tra le serie n-3/n-6 debba essere alquanto supe-riore a 0,10, esiste invece qualche con-troversia su come possa essere incre-mentato tale rapporto. Alcuni autorihanno proposto di aumentare l’introdu-zione di acidi grassi n-3, promuovendoil consumo sia di pesce che di prodottivegetali che li contengono, altri, vice-versa, consigliano una riduzione delconsumo di acidi grassi n-6 (Berry1997). In considerazione del notevoleeffetto protettivo dimostrato dagli acidigrassi polinsaturi n-6 nei riguardi dellecoronaropatie ischemiche, sia a seguitodei numerosi studi epidemiologici chedei trial clinici, quest’ultima strategianon sembra consigliabile.

Al contrario, i dati di cui disponiamoappoggiano la tesi della sostituzione deigrassi, sia animali che idrogenati, conoli vegetali che contengono acidi grassi,sia monoinsaturi che polinsaturi. Alcuni

di questi oli, quali il canola e l’olio disoia, come è già stato accennato, con-tengono quantità non indifferenti di aci-do alfa-linolenico.

Consigliabile, nello stesso tempo,un aumento del consumo di pesce finoad almeno due volte alla settimana.Una tale linea di condotta presenta ilvantaggio di incrementare il contenutonella dieta di acidi grassi della serie n-3,senza sacrificare un apporto desiderabi-le di quelli della serie n-6, migliorando,nello stesso tempo, il rapporto n-3/n-6(Krauss et al 2000).

Nella Tabella 3 è riportato unoschema riassuntivo del ruolo degli acidigrassi polinsaturi a lunga catena (Ago-stoni e Giovannini 2001). Come risultachiaramente, tali acidi svolgono un ruolofondamentale non soltanto nell’età adul-ta, ma anche nel periodo fetale, neo-natale e durante tutto il periodo infantile.

È riconosciuto ormai il possibileruolo dell’apporto prenatale di acidigrassi provenienti dalla madre, e forte-mente dipendente dallo stato di nutrizio-ne lipidica di quest’ultima. Pertanto,non solo l’apporto di acidi grassi polin-saturi durante la gravidanza e l’allatta-mento, ma anche l’apporto precedentepuò avere un ruolo attraverso l’accumu-lo di tali grassi nei depositi tissutali ma-terni, il successivo passaggio al pool

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veicolante e, attraverso il funicolo, al fe-to, soprattutto durante il terzo trimestre.Il lattante trova poi la sua fonte di acidigrassi polinsaturi nel latte materno,mentre per il bambino più grande lefonti sono le stesse del soggetto adulto.

Oggi risulta bene accertata la fun-zione degli acidi grassi polinsaturi dellaserie n-3, e in particolare dell’acido do-cosaesaenoico, nelle prime fasi della vi-ta, compresa quella intrauterina. La ba-

se fisiologica degli effetti positivi delDHA starebbe nella modulazione delleattività di membrana che vengono resepiù fluide.

Il DHA faciliterebbe tra l’altro il ri-cambio della rodopsina, e quindi un mi-glioramento della performance visiva, econtribuirebbe sostanzialmente a unpotenziamento della memoria e dell’ap-prendimento (Agostoni et al 2000,Agostoni et al 1997).

Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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Acido Acido Acidoarachidonico eicosapentaenoico docosaesaenoico(AA) (EPA) (DHA)

Prevenzione NO, un eccesso SÌ, produzione di fattori SÌ, diminuiscedel rischio risulta associato a debole attività i trigliceridi circolanti,cardiovascolare a patologie di pro-aggregante, previene la formazione

natura trombotica diminuzione di TG della placcae cardiovascolare circolanti aterosclerotica

Prevenzione NO, incremento SÌ, aumenta il grado SÌ, modificadel diabete del rischio di insaturazione la sensibilità

cardiovascolare delle membrane all’insulina dellemembrane cellulari

Crescita fetale SÌ, è correlato NO, è sconsigliato SÌ, i livelli nel funicoloe neonatale positivamente l’eccesso ombelicale sono

agli indici di correlati al pesocrescita corporea alla nascitaneonatale nei pretermine

Sviluppo FORSE, NO, in pratica SÌ, modula le attività della retina ruolo neuro assente nei lipidi di membranae del sistema trasmettitoriale? delle cellule nervose rendendole più fluide, nervoso facilita il ricambiocentrale di rodopsina nei

bastoncelli, siconcentra nelle aree di connessionee organizzative della memoria nellacorteccia prefrontale

Tabella 3

Schema riassuntivo del ruolo degli acidigrassi polinsaturi a lunga catena.Da Agostoni e Giovannini, DoctorPediatria, maggio 2001.

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Acidi grassimonoinsaturi

Numerose indagini epidemiologichehanno ormai ampiamente confermato lacorrelazione inversa esistente fra l’intro-duzione di acidi grassi monoinsaturi e iltasso di mortalità generale, e in partico-lare il tasso di mortalità per coronaropa-tie ischemiche.

Tale correlazione è specialmenteevidente nei paesi mediterranei, dove lepopolazioni usano l’olio d’oliva (partico-larmente ricco di acido oleico) comeprincipale fonte di grasso alimentare.

Studi metabolici hanno dimostratoche la sostituzione di carboidrati congrassi monoinsaturi provoca un aumen-to delle HDL senza influenzare le LDL(Mensink e Katan 1992), e nello stessotempo può migliorare la tolleranza alglucosio e la sensibilità all’insulina inpazienti affetti da diabete mellito (Garget al 1992).

Per giunta, i grassi monoinsaturisono abbastanza resistenti ai fenomenidi ossidazione (Parthasarathy et al1990). Le fonti non animali più impor-tanti di grassi monoinsaturi sono l’oliod’oliva e l’olio canola, le noci e gli avo-cadi. Sia l’olio canola che le noci sonoaltresì fonti importanti di acidi grassi po-linsaturi. Va anche ricordato che gli oli

vegetali contengono in genere quantitàabbastanza elevate di vitamina E, alcontrario dei grassi animali.

Acidi grassi “trans”

Negli ultimi dieci anni si è andatamodificando l’opinione riguardante gliacidi grassi “trans”, considerati fino al1990 come innocui riguardo a un po-tenziale rischio per le coronaropatieischemiche.

Già nei primi anni novanta, Mensinke Katan avevano potuto dimostrare cheun modesto aumento della colesterole-mia indotta dagli acidi grassi trans eraaccompagnata in realtà da un aumentoconsiderevole del colesterolo LDL e dauna riduzione del colesterolo HDL.

Poco tempo dopo, Willett et al mi-sero in evidenza una correlazione positi-va fra introduzione di acidi grassi transe frequenza di coronaropatie ischemi-che in un vasto campione di donne, eipotizzarono che oli vegetali parzialmen-te idrogenati potessero contribuire al-l’instaurarsi di tale patologia. Nel 1994Willett e Ascherio rafforzarono le loroosservazioni sugli effetti sfavorevoli de-gli acidi grassi trans, calcolando chenegli Stati Uniti più di 30.000 decessiall’anno potevano essere attribuiti al

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consumo di grassi vegetali parzialmenteidrogenati. In effetti, l’associazione frabassi livelli di HDL e coronaropatieischemiche è molto consistente e signi-ficativa, ed è confermata dall’osserva-zione, fatta attraverso vari trial clinicirandom, che i farmaci in grado di faraumentare il livello delle HDL portanoaltresì a una riduzione dell’incidenza dicoronaropatie ischemiche (Rubins et al1999). Ma vi sono almeno altri tre mec-canismi attraverso cui gli acidi grassitrans possono contribuire all’aumentodelle coronaropatie. In primo luogo,fanno alzare i livelli di Lp(a) (Nestel et al1992, Sundram et al 1997), notoria-mente associata al rischio di coronaro-patie ischemiche (Uterman 1989); insecondo luogo, provocano anche un in-cremento dei trigliceridi plasmatici(Katan et al 1995), essi pure associatia un aumento del rischio (Hokanson eAustin 1996, Stampfer et al 1996);inoltre, gli acidi grassi trans possono in-fluenzare sfavorevolmente il metaboli-smo degli acidi grassi essenziali nonchél’equilibrio delle prostaglandine, iniben-do l’enzima delta-6-desaturasi, con il ri-sultato finale di promuovere la trombo-genesi (Katan et al 1995, Kinsella et al1981, Jones 1993). Recenti ricerche,infine, portano a ritenere che elevateintroduzioni di trans possano favorire

nell’uomo la resistenza all’insulina(Lovejoy 1999).

Negli Stati Uniti, le fonti più impor-tanti di acidi grassi trans sembrano es-sere la margarina di consistenza moltosolida, le patatine fritte e vari prodottida forno. È stato calcolato che una por-zione media di patatine fritte contengacirca 5-6 grammi di acidi grassi trans,una frittella ne contenga 2 grammi e 25grammi di cracker ne contengano circa2 grammi (Katan 2000).

In Europa la situazione sembra es-sere migliore, perché molto probabil-mente i produttori si sono sensibilizzatipresto su questi problemi sanitari, allar-mati anche dalle ripercussioni sul mer-cato che si sarebbero potute avere.

Secondo quanto riportato nei LARN(1996), l’assunzione di acidi grassitrans nell’alimentazione italiana è in me-dia di solo 1,3 g/die, contro i 5-10 g ri-levati in paesi con consumi elevati digrassi idrogenati. È comunque opportu-no che l’assunzione di tali grassi nonsuperi i 5 g/die.

Conclusioni

Allo stato attuale delle nostre cono-scenze, ai fini della prevenzione del ri-schio di cardiopatie ischemiche, più che

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la quantità totale dei grassi ha impor-tanza il tipo di sostanze grasse apporta-te dalla dieta; esiste ancora, inoltre,qualche incertezza sui rapporti ottimalitra i differenti tipi di acidi grassi. D’altraparte, sebbene si continui a credereche una dieta ipolipidica comporti unadiminuzione del peso corporeo, in realtàtrial clinici a lungo termine non hannofornito prove sufficienti che una riduzio-ne dell’apporto di grassi con la dietacomporti necessariamente una riduzio-ne del peso (Willett 1998). Al contrario,vi sono dati che portano a ritenere cheregimi alimentari ricchi di carboidratiraffinati possano accrescere il senso difame e quindi, attraverso un eccesso dialimentazione, condurre al sovrappesoe all’obesità (Roberts 2000).

Per quanto attiene alla quota lipi-dica della dieta, da più parti viene or-mai riconosciuto che la raccomanda-zione diffusa di seguire diete a bassotenore di grassi allo scopo di prevenirel’arteriosclerosi, e in particolare le co-ronaropatie ischemiche, è di per sétroppo semplicistica e non rispondentecon esattezza alle attuali conoscenzescientifiche. È per questo motivo chegià nell’edizione 1996 dei Livelli di

assunzione raccomandati di energia

e nutrienti per la popolazione italia-

na (LARN), viene segnalato che l’as-sunzione lipidica corretta dovrebbe es-sere caratterizzata da un giusto equili-brio tra le varie serie di acidi grassicon un buon apporto di 18:2 n-6 e18:3 n-3 (Tab. 4).

E. Lanzola

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Categoria Età n-6 n-3

(anni) % energia g/die % energia g/die

Lattanti 0,5-1 4,5 4 0,2-0,5 0,5

Bambini 1-3 3 4 0,5 0,74-6 2 4 0,5 17-10 2 4 0,5 1

Maschi 11-14 2 5 0,5 115-17 2 6 0,5 1,5≥18 2 6 0,5 1,5

Femmine 11-14 2 4 0,5 115-17 2 5 0,5 1≥18 2 4,5 0,5 1

Gestanti 2 5 0,5 1

Nutrici 2 5,5 0,5 1

Tabella 4

Livelli di assunzioneraccomandati di acidigrassi essenziali.

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In particolare viene raccomandatoun livello pari all’1-2% delle calorie to-tali sotto forma di acido linoleico, e lo0,2-0,5% come acidi grassi polinsaturidella serie n-3, con un rapporto, quindi,tra acido alfa-linolenico e acido linoleicocompreso tra 0,10 e 0,50.

Gli stessi LARN, peraltro, tenendoconto che un’eccessiva assunzione diacidi grassi polinsaturi può provocaredanni sia di tipo metabolico che funzio-nale (formazione di lipoperossidi poten-zialmente tossici, aumentata velocità disanguinamento, alterazione della funzio-ne immunitaria), prevedono limiti mas-simi di assunzione abituale di acidi grassipolinsaturi n-3 (max 5% dell’energia del-la dieta) e della quantità globale di polin-saturi n-3 e n-6 (max 15% della dieta).

Anche le Linee Guida Americane,recentemente rivedute, hanno toltol’accento dalla quantità di grassi totali,limitandosi alla raccomandazione che ilpubblico scelga una dieta a basso con-tenuto di acidi grassi saturi e di coleste-rolo (Lovejoy 1999; US Department ofAgriculture 2000).

Le più recenti acquisizioni in temadi lipidi alimentari devono essere tradot-te in applicazioni pratiche, e ciò com-porta ovviamente un’intensa e accurataopera di educazione alimentare, da at-tuare anche in funzione delle abitudini

alimentari e dei fattori di rischio sia degliindividui che delle popolazioni.

Nella prevenzione delle coronaropa-tie ischemiche, infatti, occorre distin-guere due strategie. Una è costituitadalla prevenzione primaria, rivolta allapopolazione in generale, che ha lo sco-po di facilitare modifiche dello stile di vi-ta, tra cui le abitudini alimentari, così daridurre i livelli della colesterolemia equindi la prevalenza delle coronaropatieischemiche.

L’altra riguarda la prevenzione se-condaria ed è rivolta ai pazienti già col-piti da infarto del miocardio o da altrepatologie riconducibili all’arteriosclerosi.

È intuitivo che soprattutto la pre-venzione primaria, basata su interventialimentari per il controllo dei lipidi ema-tici, in quanto diretta a larghi strati dellapopolazione non può che appoggiarsi aun’efficiente opera di educazione ali-mentare, come è già stato accennato.

A questo proposito può essere utilericordare che nel 1985, il National Cho-lesterol Education Program (NCEP) delNational Heart, Lung and Blood Insti-tute (National Institutes of Health) degliUSA, ha dato inizio a un’operazione te-sa a ridurre la prevalenza dell’ipercole-sterolemia negli Stati Uniti. Da alloravari rapporti sono stati pubblicati dalNCEP, il più recente dei quali è il terzo

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rapporto su Ricerca, valutazione e

trattamento dei valori elevati di cole-

sterolemia negli adulti, noto comeATP III. Ciascuno dei rapporti AI, AII eAIII, concepiti come Linee Guida, ruotaintorno a un argomento fondamentale.L’ATP I offre una strategia per la pre-venzione primaria delle coronaropatieischemiche nei soggetti che presentanolivelli elevati di lipoproteine a bassa den-sità (LDL-colesterolemia ≥160 mg/dl)ovvero di soggetti con livelli di LDL-co-lesterolemia borderline, colesterolemiafra 130 e 159 mg/dl e caratterizzati daoltre 2 fattori di rischio (Tab. 5).

L’ATP II, oltre a calcare l’accentosull’importanza del fattore alimentarecome parte fondamentale dello stile divita nella prevenzione, suggerisce il rag-giungimento di un livello ancora più ri-dotto della LDL-colesterolemia (≤100mg/dl) in soggetti con precedenti epi-sodi di infarto del miocardio. L’ATP III,

infine, ribadisce – sulla base di studiancora più recenti – i concetti giàespressi in ATP I e II, e inoltre focalizzal’attenzione sulle modalità della preven-zione primaria in persone caratterizzateda molteplici fattori di rischio. Molti diquesti soggetti possono ottenere note-vole beneficio da un trattamento, tesoad abbassare le LDL, ancora più spintodi quello raccomandato in ATP II.

In pratica l’ATP III prescrive un ap-proccio multivariato dello stile di vita perridurre il rischio di infarto del miocardio.Questo approccio è definito come “mo-difiche terapeutiche degli stili di vita”(TLC: Therapeutic Lifestyle Changes) ele sue caratteristiche fondamentali con-sistono in:– ridotta assunzione di acidi grassi satu-

ri (<7% delle calorie totali) e di cole-sterolo (<200 mg al giorno) (Tab. 6);

– incremento del consumo di vegetaliapportatori di fitosteroli (2 g/die) e di

E. Lanzola

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Fattori di rischio per le coronaropatie ischemiche

- Età: maschi ≥45 annifemmine ≥55 anni o menopausa precoce senza terapia estrogena sostitutiva

- Storia familiare di coronaropatia ischemica prematura

- Abitudine al fumo

- Ipertensione

- Colesterolo HDL <35 mg/dl

- Diabete

Tabella 5

Fattori di rischio per le coronaropatieischemiche.

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fibra solubile (10-25 g/die);– riduzione del peso corporeo.– incremento dell’attività fisica.

In pratica le modificazioni dieteticheproposte dal National Cholesterol Edu-cation Program si traducono in due tipidi diete denominate Step I Diet e StepII Diet. La prima di queste è caratteriz-zata da un contenuto di grassi inferioreal 30% delle calorie totali e da un ap-porto di saturi compreso tra l’8% e il10% delle calorie; il colesterolo è infe-riore a 300 mg/die.

La dieta Step II contiene la stessa

percentuale di grassi, ma quelli saturivengono portati al di sotto del 7% dellecalorie totali e il colesterolo è inferiore a200 mg/die (ATP II - NCEP).

Con la dieta Step I la colesterole-mia si abbassa dal 3% fino al 14% edovrebbe essere misurata dopo 6 setti-mane di dieta e quindi dopo 3 mesi.

Se i valori colesterolemici previstinon vengono raggiunti il paziente devepassare alla Step II Diet che può ulterior-mente ridurre il colesterolo del 3%-7%.

Entrambe le diete prevedono unavarietà di alimenti appartenenti a tutti i

Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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Nutriente Assunzione Raccomandata

Grassi saturi* meno del 7% delle calorie totali

Grassi polinsaturi fino al 10% delle calorie totali

Grassi monoinsaturi fino al 20% delle calorie totali

Grassi totali 25-35% delle calorie totali

Carboidrati** 50-60% delle calorie totali

Fibra alimentare 20-30 g/die

Proteine circa 15% delle calorie totali

Colesterolo meno di 200 mg/die

Apporto energetico*** bilanciare assunzione e dispendioenergetico per mantenere un peso corporeo desiderabile. Controllare che non si verifichi aumento di peso.

* Gli acidi grassi trans devono essere presenti nella più piccola quantità possibile in quantocontribuiscono a far aumentare le LDL.** I carboidrati dovrebbero derivare soprattutto da cibi ricchi in carboidrati complessi includendocereali – soprattutto integrali – frutta, verdura.*** Il dispendio energetico giornaliero dovrebbe includere almeno una modesta attività fisica(approssimativamente 200 kcal/die).

Tabella 6

Composizione innutrienti della dieta TLC.

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gruppi alimentari e ciò assicura non sol-tanto la copertura del fabbisogno deisingoli nutrienti (in particolare vitaminee minerali) ma anche la compliance deisoggetti.

È ovvio, tuttavia, che un’applicazio-ne rigorosa della procedura propostadal NCEP presuppone che l’elaborazio-ne delle diete – che devono essere per-sonalizzate in funzione dell’età, del ses-so, dell’attività lavorativa e fisica dei sin-goli soggetti e tenere conto, inoltre, neilimiti del possibile, della preferenza eabitudini individuali – debbono essereelaborate da personale competente.

A puro titolo di esempio vengono ri-portate quattro differenti diete adeguatea soggetti che necessitino – per il loroequilibrio energetico – di un apporto di2.800 kcal/die. Tali diete, elaborate te-nendo conto delle comuni abitudini ali-mentari italiane, variano per il contenutodi lipidi totali e relative frazioni, nonchéper il contenuto di colesterolo e posso-no essere considerate, sotto questoaspetto, un’applicazione mediterraneadelle diete Step I e II (le quattro dietesono state elaborate dalla dietista Ro-sella Bazzano dell’Università di Pavia).

Si tratta, come già precisato, sol-tanto di esempio di diete che sono sta-te elaborate a mero scopo dimostrativotenendo presenti, fra l’altro, preferenze

ipotetiche verso cibi e bevande compa-tibili con le finalità della dieta.

Va precisato, inoltre, che un tratta-mento dietetico serio ed efficace, comequello delle diete Step I e Step II, pre-suppone che i menu dietetici siano al-meno sette (uno per ciascun giornodella settimana) al fine di consentireun’opportuna rotazione e una varietà dipiatti tale da minimizzare il rischio didrop out.

In linea generale un buon equilibriotra i vari acidi grassi (saturi, monoinsa-turi, polinsaturi) può essere raggiuntoimpiegando nella preparazione dei pasti– ogni volta che sia possibile – olio dioliva o olio di semi a elevato contenutodi monoinsaturi e polinsaturi e limitandoil numero di piatti ricchi di grassi animalie di alimenti con elevato tenore di gras-si “non visibili”. Tuttavia, soltanto unabuona educazione alimentare può con-tribuire a evitare due possibili errori,l’uno opposto all’altro, che, eufemisti-camente, potremmo definire come Scil-la e Cariddi, cioè a dire che da un latola riduzione dei grassi visibili – compresigli oli – conduca a un aumento dell’ap-porto di grassi saturi, e dall’altro cheper ridurre l’apporto di grassi invisibilivengano eccessivamente penalizzatiprodotti di origine animale, come la car-ne e i prodotti caseari.

E. Lanzola

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Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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Dieta da 2800 Kcal• proteine 13%• lipidi 30% di cui 10% saturi, 16% monoinsaturi, 4% polinsaturi• glucidi 52%, alcol 5%• colesterolo mg 190

Colazione

- ml 300 di latte parzialmente scremato- g 50 di biscotti secchi

Pranzo

- g 80 di pane (una ciabattina)- fusilli al pomodoro preparati con g 120 di pasta, g 200 di pomodoro fresco, g 15 di grana

(un cucchiaio e 1/2), basilico o altre erbe aromatiche a piacere- g 50 di prosciutto crudo- g 200 di melone

Spuntino

- una tazza di tè dolcificato con un cucchiaino di zucchero- 4 biscotti integrali tipo frollini

Cena

- riso e prezzemolo preparato con g 30 di riso, brodo vegetale e prezzemolo q.b., un cucchiaino di grana

- g 80 di pane (una ciabattina)- g 100 di pollo allo spiedo- peperonata preparata con g 200 di peperoni, pomodori maturi, erbe aromatiche a piacere- g 250 di uva bianca- un bicchiere e 1/2 di vino rosso

Dopo cena

- una tazza di camomilla dolcificata con 1 cucchiaino di zucchero

Condimenti

È consentito consumare ml 40 di olio d’oliva extravergine nell’arco della giornata (pari a 8 cucchiaini da tè)

Esempio di dieta

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E. Lanzola

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Dieta da 2800 Kcal• proteine 11%• lipidi 30% di cui 7% saturi, 18% monoinsaturi, 5% polinsaturi• glucidi 56%, alcol 3%• colesterolo mg 172

Colazione

- ml 250 di latte parzialmente scremato- g 30 di muesli senza zucchero

Pranzo

- g 80 di pane (una ciabattina)- risotto al radicchio preparato con g 80 di riso, radicchio rosso brasato, un cucchiaio di grana - g 100 di salmone alla piastra- insalata di soncino con noci (4 o 5)- g 200 di ananas al naturale

Cena

- g 280 di pizza margherita (tipo pizzeria)- g 80 di crostata con marmellata- una coppetta di macedonia di frutta fresca- una birra chiara media (ml 400)

Condimenti

È consentito consumare ml 30 di olio d’oliva extravergine nell’arco della giornata (pari a 6 cucchiaini da tè) oltre a quello contenuto nella pizza

Esempio di dieta

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Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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Dieta da 2800 Kcal• proteine 13%• lipidi 25% di cui 10% saturi, 12% monoinsaturi, 3% polinsaturi• glucidi 57%, alcol 5%• colesterolo mg 148

Colazione

- un bicchiere di spremuta d’arance dolcificato con un cucchiaino di zucchero- g 50 di pane tostato integrale- una confezione alberghiera di marmellata

Pranzo

- g 80 di pane (una ciabattina)- gnocchi al pomodoro preparati con g 250 di gnocchi di patate, g 200 di pomodori maturi, un cucchiaio

di grana, basilico o altre erbe aromatiche a piacere- g 100 di coscia di tacchino al forno- insalata di indivia belga- una coppetta di macedonia di frutta fresca con un cucchiaino di zucchero

Spuntino

- un vasetto di yogurt alla frutta

Cena

- pasta e ceci preparata con g 80 di pasta, g 40 di ceci secchi, un cucchiaio di grana- g 80 di pane (una ciabattina)- g 100 di ricotta - g 200 di ratatouille di verdure- g 200 di frutta fresca di stagione - un bicchiere e 1/2 di vino rosso

Condimenti

È consentito consumare ml 35 di olio d’oliva extravergine nell’arco della giornata (pari a 7 cucchiaini da tè)

Esempio di dieta

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E. Lanzola

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Dieta da 2800 Kcal• proteine 13%• lipidi 25% di cui 7% saturi, 13% monoinsaturi, 5% polinsaturi• glucidi 59%, alcol 3%• colesterolo mg 166

Colazione

- caffelatte preparato con ml 250 di latte parzialmente scremato, caffè q.b., dolcificato con un cucchiaino di zucchero

- 6 fette biscottate integrali

Spuntino

- un pacchetto di cracker salati

Pranzo

- g 100 di pane tipo ciabatta- sogliola alla mugnaia preparata con g 150 di sogliola, farina q.b.- patate in insalata con prezzemolo preparate con g 300 di patate, prezzemolo q.b.- g 80 di insalata verde- g 200 di arance- un bicchiere di vino bianco o rosso- caffè dolcificato con g 5 di zucchero

Spuntino

- una tazza di tè dolcificato con un cucchiaino di zucchero- g 50 di biscotti secchi

Cena

- g 60 di pane (un panino) tipo rosetta- minestrone di riso preparato con g 30 di riso, g 250 di verdure miste e legumi, 1 cucchiaio di grana- g 50 di taleggio- g 200 di zucchine trifolate- g 200 di mele o altra frutta fresca di stagione- un bicchiere di vino rosso

Dopo cena

- un bicchiere di succo di frutta

Condimenti

A disposizione nell’arco dell’intera giornata ml 35 di olio d’oliva extravergine (pari a 7 cucchiaini da tè)da distribuirsi a crudo sulle vivande

Esempio di dieta

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Interventi al imentari per il controllo de i l ip id i emat ic i

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Biologia del dannoossidativo

Da alcuni anni si accumulano evi-denze che dimostrano come l’atero-sclerosi debba considerarsi una patolo-gia complessa, che sottende un mec-canismo immunopatologico di tipo in-fiammatorio. È noto che elevati livelli dicolesterolo LDL rappresentano il prin-cipale fattore di rischio per la malattiacardiovascolare, tuttavia, le modifichedello stile di vita e l’utilizzo di nuovestrategie farmacologiche hanno con-sentito soltanto una parziale riduzionedell’incidenza di tale malattia, che restatuttora la principale causa di morte. Lalesione aterosclerotica è localizzataprevalentemente in corrispondenzadelle arterie elastiche di medio calibroe delle arterie muscolari. Il crescentenumero dei fattori di rischio identificatiper la malattia cardiovascolare mette inluce come la lesione aterosclerotica siail risultato di diversi momenti fisiopato-

logici, il cui risultato conduce all’ostru-zione arteriosa e quindi all’evento clini-co. Questa eterogeneità del processopatologico pone il problema di identifi-care il primum movens e quindi lacausa iniziale del processo aterosclero-tico. Mentre la teoria finora accettataproponeva la “denudazione” dell’endo-telio arterioso come primo evento, piùrecenti osservazioni propongono unadisfunzione più che un’alterazionemeccanica endoteliale. La prima alte-razione che può essere identificataanatomopatologicamente, è rappre-sentata dalla “stria grassa”, la fatty

streak degli autori anglosassoni, rinve-nuta come riscontro autoptico casualeanche in adolescenti. Questa lesione èuna lesione infiammatoria pura, carat-terizzata dalla presenza di un numeroelevato di linfociti T e da macrofagi-monociti. Una volta che il processo èattivo, numerosi fattori di rischio contri-buiscono al suo mantenimento e ac-crescimento. La disfunzione endotelia-

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ss tress ossidativo e antiossidanti naturali

M. Averna, C.M. Barbagallo, A. Cefalù, D. Noto

Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Palermo

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le altera le proprietà “anticoagulanti”della sua superficie, aumenta l’ade-sività e permeabilità di leucociti e pia-strine, promuove la liberazione in situdi mediatori dell’infiammazione, cito-chine e fattori di crescita, generandoun aumento dell’attività ossidativa nelsito di lesione da parte di numerosiagenti lesivi. Si determina quindi la di-struzione progressiva della strutturadella parete arteriosa, con progressivacreazione di una placca ateromasica.Negli ultimi anni, un considerevole in-teresse verso la valutazione dello statoossido-riduttivo della placca, o redox

state, ha permesso di chiarire comemolti dei fattori di rischio, sia classiciche di nuova acquisizione, agiscanosulla placca alterandone lo stato redox,sia favorendo i processi ossidativi, cheriducendo il potere antiossidante pro-prio della parete arteriosa. Uno deiprincipali fattori di rischio della malattiacardiovascolare è rappresentato dal-l’ipercolesterolemia, e numerosi sonostati gli studi che hanno permesso dispiegare come il metabolismo lipidicogiochi un ruolo nel mantenimento dellostato redox della parete arteriosa. Ènecessario però comprendere qualisiano i principali sistemi che interven-gono nella regolazione dei meccanismiossido riduttivi.

Composti reattivi

dell’ossigeno (ROS)

Da quando gli studi hanno postol’attenzione sui meccanismi ossido-ri-duttivi della parete arteriosa, numerosicomposti capaci di influenzare lo statoredox sono stati identificati. I più impor-tanti sono rappresentati dai “compostireattivi dell’ossigeno”, detti ROS (reac-

tive oxigen species), da radicali fra iquali il superossido, il radicale idrossile,che in parte sono generati da altri ossi-danti, quali il perossido di idrogeno e ilperossinitrito. Oltre all’azione ossidante,questi composti sembrano fungere dasegnali responsabili dell’attivazione dimeccanismi cellulari responsabili di di-sfunzione endoteliale. Alla luce di que-ste acquisizioni, il ruolo dell’ipercoleste-rolemia è stato rivalutato, in base allapossibilità che i ROS interagiscano conla maggiore disponibilità di lipidi all’inter-no della barriera endoteliale, alterando-ne lo stato redox. Molti punti rimangonoancora oscuri: infatti, i sistemi principaliche iniziano la catena ossidativa dei lipi-di intra-parete non sono ancora statiidentificati. Il principale “bersaglio” ossi-dativo lipoproteico è rappresentato dagliacidi grassi insaturi presenti all’internodella placca sotto forma di esteri di co-lesterolo, fosfolipidi e nei trigliceridi.

Stress ossidat ivo e ant ioss idanti natural i

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Lipossigenasi,

metalloproteasi

Questi verrebbero trasformati inizial-mente in lipoperossidi (L-OOH), forsedall’azione della 15 lipossigenasi (15LO). A supporto di questa osservazione,topi geneticamente modificati che so-vraesprimono la 15 LO, presentano unamaggiore presenza di aterosclerosi.Rimane da chiarire come un’enzima ci-tosolico macrofagico possa interagirecon lipoproteine presenti nella matricedella placca. Il ruolo della LO sarebbequello di “esporre” lipoperossidi sulla su-perficie lipoproteica per ulteriore ossida-zione, che comporta la formazione deicorrispondenti alcoli (L-OH) da parte dispecifiche perossidasi, non riscontrateperò nella matrice della placca. In via al-ternativa, dagli L-OH potrebbero esseregenerati radicali lipoperossilici (L-OO*)per intervento del radicale idroperossido(*OH). È noto che le LDL native, di persé inducono il rilascio dell’anione supe-rossido, che conduce alla formazionedel perossinitrito, amplificando così lacatena ossidativa. Recentemente sonostati identificati alcuni prodotti ossidantidelle mieloperossidasi, quali acido ipo-cloroso, residui tirosinici ridotti e la piros-sifenilacetaldeide, che potrebbero esse-re coinvolti nell’ossidazione delle LDL.

LDL ossidate

Secondo le ipotesi più recenti, l’al-terazione cui vanno incontro con mag-giore frequenza le lipoproteine è l’ossi-dazione. Le LDL possono essere ossi-date da prodotti metabolici di quasi tuttii sottotipi cellulari presenti nella matricedella parete arteriosa. In una fase inizia-le, una modesta ossidazione risulta nel-la formazione di “LDL modicamente os-sidate” o MM-LDL nello spazio suben-doteliale. Le MM-LDL inducono la pro-duzione di fattori chemiotattici monoci-tari, come la proteina chemiotattica mo-nocitaria 1 (MCP-1), ma anche fattoridi differenziazione, come il fattore di dif-ferenziazione macrofagica M-CSF.Questi eventi conducono alla migrazio-ne dei monociti nello spazio endotelialee alla loro differenziazione in macrofagi,con liberazione di enzimi litici, come lemetalloproteinasi, che determinanoun’ulteriore ossidazione delle MM-LDL,che divengono francamente ossidate(ox-LDL). Le ox-LDL non vengono piùriconosciute tramite il recettore natura-le, il recettore LDL, ma da una serie dialtri recettori, detti “spazzini”, o scav-

enger, i quali comportano l’accumulo diesteri del colesterolo all’interno di cellu-le macrofagiche, che si trasformano incellule schiumose, o foam cells, che

M. Averna, C.M.Barbagallo, A. Cefalù, D. Noto

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rappresentano l’elemento lipidico carat-teristico della placca lipidica ateromasi-ca. Alcuni di questi recettori sono statiidentificati ed è stato chiarito il mecca-nismo di attivazione. È stato identificatorecentemente il recettore putativo per leLDL ossidate o LOX. Grazie a questoriscontro, la catena di eventi trascrizio-nali che consegue dall’internalizzazionedelle ox-LDL alla risposta proinfiamma-toria, è stata parzialmente chiarita. L’at-tivazione dei recettori per le LDL ossi-date attiva i sistemi del TNF alfa, FAS,caspasi, protein-kinasi mitogeno attiva-ta/kinasi JUN. Come risultato dell’atti-vazione di questi segnali, vengono ge-nerati diversi fattori di trascrizione re-dox-sensitivi; activating transcription

factor 2, ets-like element kinase-de-

pendent 1, AMPc response element

binding protein, NFkB, complesso ac-

tivator protein 1, p53, complesso c-Myc/Max, fattore legante elongation

2 factor e il complesso activator pro-

tein 2.Questo meccanismo di attivazione

genica comporta la sintesi di alcuni me-diatori dell’infiammazione, come il tu-

mor necrosis factor alfa (TNFa), inter-leuchina 1beta (IL1b) e l’interferongamma (Ig), che si sono dimostrati ingrado di stimolare la sintesi di enzimicapaci di innescare un ulteriore stress

ossidativo, producendo ROS come laNADPH ossidasi, che è il principaleproduttore di anione superossido nel-l’endotelio, ma anche xantina ossidasi,ciclossigenasi, mieloperossidasi e lipos-sigenasi. L’NADPH ossidasi vascolareè responsiva a stimoli di parete, quali lostress di parete (shear stress), ma an-che a stimoli ormonali, fattori di crescitae citochine. La fonte di NADPH dellaplacca è considerata la cellula monocitomacrofagica, insieme a cellule dellaparte vascolare, cellule muscolari lisce,endoteliali e fibroblasti. Esperimenti contopi geneticamente carenti di NADPHmacrofagica non hanno mostrato ridu-zione dell’estensione della placca indot-ta sperimentalmente, lasciando suppor-re un prevalente coinvolgimento di cel-lule residenti nella parete vascolare.

Prospettived’intervento

Un potenziale ruolo protettivo degliantiossidanti naturali nei confronti dellamalattia cardiovascolare (MCV) è og-getto di discussione ormai da quasivent’anni. I primi studi degli anni settan-ta e ottanta sembravano suggerire unruolo protettivo della supplementazionedietetica con antiossidanti naturali, par-

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ticolarmente vitamina E e beta carote-ne, e diversi studi osservazionali sem-brarono correlare l’introito di antiossi-danti con la riduzione dell’incidenza diMCV. Negli anni novanta, diversi trial sularga scala estesero le osservazioni ini-ziali e i risultati furono in qualche modosorprendenti. Mentre lo studio Linxianin Cina dimostrò un effetto protettivodella somministrazione di alfa tocofero-lo, beta carotene e selenio fornite a do-si naturali, negli Alfa Tocoferolo, BetaCarotene Cancer Prevention Study(ATBC) in Finlandia e Carotene andRetinol Efficacy Trial (CARET) negliUSA, si è riscontrato che soggetti adalto rischio per neoplasie, supplementa-ti con dosi farmacologiche di antiossi-danti svilupparono più neoplasie rispettoai controlli, ed è stato registrato un in-cremento della mortalità cardiovascola-re dell’11% nell’ATBC e del 26%, manon significativo, nel CARET. Infine,nello studio ATBC si è evidenziata unamaggiore incidenza di stroke emorragi-ci. In contrasto con tali osservazioni lostudio CHAOS, in pazienti con malattiacoronarica diagnosticata coronarografi-camente, la supplementazione di vita-mina E a dosi di 400 o 800 IU per 1,5anni ha dimostrato una riduzione dell’in-cidenza del reinfarto, ma non una ridu-zione della mortalità cardiovascolare. A

prima vista i risultati sembrano attribuireagli antiossidanti le migliori e le peggioriqualità. Alcune discrepanze possonoessere spiegate dal tipo di selezionedelle casistiche nei vari studi, dai do-saggi utilizzati (dosi nutrizionali vs far-macologiche, il tipo e l’associazione uti-lizzata). Mentre la somministrazione diun singolo nutriente ad alte dosi puònon rappresentare un valido presidio,effetti positivi si dovrebbero attenderedall’uso di diversi antiossidanti a dosinutrizionali, quali quelli contenuti in unadieta salutare. Il dato essenziale deglistudi di intervento sembra essere checoncentrazioni ottimali di antiossidantiplasmatici esercitano un effetto positi-vo, mentre ciò non è vero per la supple-mentazione ad alte dosi. Infatti, gli ef-fetti negativi riscontrati nei suddetti stu-di si sono evidenziati nel gruppo di sog-getti con concentrazioni di ossidanti piùelevate (rispettivamente 18 e 12 volte ilivelli iniziali nell’ATVB e CARET). Laspiegazione di questo effetto paradossodelle alte dosi potrebbe essere dato dalfatto che, sebbene un eccesso di ossi-dazione possa essere responsabile del-l’attivazione di sistemi che conduconoalla formazione di placche instabili, co-me illustrato in precedenza, tuttavia unlivello basale di produzione di radicali li-beri è un processo fondamentale per

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l’attivazione dei geni antiossidanti nellecellule sottoposte a stress ossidativo. Iradicali liberi intervengono anche nelprocesso apoptotico che rappresentauna difesa efficace nei confronti delleneoplasie e delle disfunzioni immunita-rie. Va osservato che alcuni antiossi-danti hanno dimostrato effetti pro-ossi-dativi se somministrati ad alte dosi. Taliosservazioni possono quindi spiegarecome la somministrazione di alte dosi,farmacologiche, di antiossidanti, condu-ca alla fine a effetti negativi sulla pato-logia cardiovascolare e neoplastica chenon sono evidenti con dosi “nutrizionali”.

Vitamina E

Vitamina E è il nome collettivo diuna serie di molecole che mostranol’attività biologica propria dell’alfa toco-ferolo. Le forme di vitamina E presentiin natura sono rappresentate da quattrotocoferoli e quattro tocotrienoli (alfa,beta, gamma e delta). I tocotrienoli dif-feriscono dal tocoferolo per la presenzadi una catena laterale insatura e sonopotenti agenti ipocolesterolemizzanti eantiossidanti. Tuttavia solo l’alfa toco-trienolo ha mostrato attività antiossidan-te, mentre i tocotrienoli, purificati in unsingolo studio su umani, non hanno evi-

denziato attività ipocolesterolemizzante.L’alfa tocoferolo, un antiossidante ca-pace di intrappolare i radicali perossiliciliberi, è il principale e più potente an-tiossidante liposolubile presente nel pla-sma e nelle lipoproteine LDL. È peròvero che sia gli studi animali che i trialcontrollati, come detto in precedenza,hanno mostrato risultati contrastanti.Riguardo agli studi animali, gli studi consupplementazione di vitamina E nonhanno mostrato risultati certi, così comela combinazione di vitamina E e betacarotene. Recenti studi hanno rilevatoche l’alfa tocoferolo ha azioni antiatero-geniche indipendenti dall’azione antios-sidante sulle LDL, quali l’inibizione dellaprotein-kinasi C e della proliferazionedelle cellule muscolari lisce, e l’inibizio-ne dell’espressione del recettore pro-infiammatorio CD36. La reale impor-tanza di queste azioni è comunque an-cora oggetto di studio.

Carotenoidi

I carotenoidi rappresentano unaclasse di pigmenti dal giallo al rossopresenti in ortaggi e frutta. La ricercasull’attività antiossidante dei carotenoidisi è focalizzata sull’azione neutralizzantemostrata dal beta carotene e dal licope-

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ne sull’ossigeno singoletto. Tuttavia nonci sono chiare evidenze che l’ossigenosingoletto, un composto reattivo del-l’ossigeno, giochi un ruolo fondamenta-le sul processo aterogenico, e che lasua neutralizzazione riduca il rischio car-diovascolare. L’azione antiossidante èstata anche evidenziata in sistemi in vi-

tro. Paradossalmente, l’addizione di altricarotenoidi, quali il licopene, negli stes-si sistemi, in vitro, ha mostrato un ef-fetto pro-ossidante. Questo denota co-me non esistano evidenze certe riguar-do all’azione dei carotenoidi sulla stabi-lità delle LDL anche in vitro.

Vitamina C

La vitamina C, o acido ascorbico, èun antiossidante idrosolubile che inibi-sce la perossidazione lipidica, in vitro,anche in condizioni di stress ossidativoaccentuato. Essa agisce sia trasportan-do i radicali in fase acquosa, che ricon-vertendo i radicali alfa tocoperossilici inalfa tocoferolo. I livelli circolanti vitaminaC sono considerati un marker sensitivoper lo stress ossidativo, come quelloche si realizza nel fumo di sigaretta o incorso di angina instabile. La vitamina Cpossiede inoltre una serie di funzionibiologiche, come la stabilizzazione della

tetroidropterina, una proteina coinvoltanella sintesi del nitrossido (NO), un po-tente vasodilatatore, da parte della ni-trossido sintetasi (NOS) delle celluleendoteliali. Inoltre, nei soggetti sottopo-sti a trapianto cardiaco, la vitamina Cincrementa la risposta ai nitrati e al-l’acetilcolina. Poiché tali risposte sonomediate dalla presenza del NO, questarappresenterebbe un’evidenza indirettadella sua maggiore disponibilità indottadalla vitamina C.

Flavonoidi

La relazione inversa tra l’assunzionedi alimenti ricchi di flavonoidi, quali vinorosso, tè, liquirizia, e la riduzione del ri-schio di malattia cardiovascolare, puòessere legata all’inibizione dell’ossida-zione delle LDL, quindi alla riduzionedella formazione delle cellule schiumosee in ultima analisi all’inibizione del pro-cesso aterosclerotico. In studi su ani-mali, tali sostanze hanno dimostrato diridurre la progressione dell’aterosclero-si. Tra i differenti tipi di flavonoidi, i fla-vonoli, flavanoli e isoflavanoidi sono ipiù potenti antiossidanti; tuttavia, all’in-terno delle singole classi esistono com-posti con diverso potere antiossidante.Per questo, alcuni alimenti in vitro han-

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no mostrato un potere antiossidantepari all’80-90% (liquirizia, vino rosso,estratto di ginepro) rispetto a un’inibi-zione del 70% del limone e della soia.L’effetto dei flavonoidi è legato al loroaccumulo nelle lipoproteine e nelle cel-lule della parete arteriosa, come i ma-crofagi. La loro azione è legata all’inibi-zione della perossidazione tramite la ri-mozione delle ROS (reactive oxigen

species) e al potere chelante sui me-talli provvisti di potere ossidante. Inoltre,hanno il potere di attivare sistemi anti-ossidanti, come la glutatione perossida-si/reduttasi. Alcuni studi hanno mostra-to che il potere antiossidante dei flavo-noidi è anche legato al risparmio indottodi altri antiossidanti legati alle LDL. Ilflavonoide glabridina ha mostrato in vi-

tro la capacità di inibire il consumo dibeta carotene e di licopene rispettiva-mente del 41% e 50% dopo stress os-sidativo, ma non di vitamina E. Tuttavianon sono disponibili studi clinici control-lati sugli effetti protettivi dei flavonoidi,

che nei prossimi anni dovranno esseretestati isolatamente e in sinergia con lasomministrazione di altri antiossidanti.

Acido linoleico coniugato

Acido linoleico coniugato (CLA) è lasigla che indica una mistura di isomerigeometrici e posizionali dell’acido linolei-co. L’interesse nei confronti di questasostanza è nato dall’ipotesi che potesseintervenire nel processo carcinogenetico.Studi recenti hanno chiarito che gli iso-meri c9, t11, t10 e c12 hanno diversieffetti biologici. L’idea che il CLA potes-se proteggere le LDL dall’ossidazioneper una potente azione antiossidante di-retta, non si è rivelata valida per l’incapa-cità di stabilizzare le membrane cellularidallo stress ossidativo in vitro. Tuttavia, èstato ipotizzato che l’auto-ossidazionedel CLA produca acidi grassi furanici,che sono ritenuti protettivi nei confrontidalla tossicità ossidativo-mediata.

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In seguito alla rapida espansionedelle conoscenze sul genoma umano,la ricerca nel campo nutrizionale staconcentrando i propri sforzi per cercaredi stabilire gli effetti dei vari nutrientisulla regolazione genica, e sta cercandodi mostrare come diversi genotipi pos-sono modificare l’espressione fenotipi-ca in funzione della dieta.

Il principio di base che la dieta eparticolari nutrienti siano in grado dimodificare la trascrizione dei geni è sta-to riconosciuto fin da quando il concettostesso di gene venne proposto. La ri-cerca nutrizionale moderna ha fattoproprie le conoscenze di biologia mole-colare per identificare geni, enzimi eproteine strutturali che sono regolate alivello trascrizionale dalla dieta. I fattoridietetici esplicano numerosi effetti ple-

iotropici sul metabolismo, e si sta ten-tando di identificare e integrare gli ef-fetti dei singoli nutrienti in questo qua-dro complesso. Le tecniche di biologiamolecolare, che permettono di misuraresimultaneamente la risposta di molti ge-ni attivamente trascritti in una qualsiasicellula in risposta a diversi stimoli, per-mettono lo studio delle interazioni nu-trienti-geni su larga scala, aumentandola comprensione dei fenomeni biomole-colari regolati dalla nutrizione. Poiché èpossibi le misurare direttamentel’espressione di molti più geni in un uni-co esperimento (Tab. 1 e Fig. 1), lostudio di profili di espressione di più ge-ni diventerà un approccio sistematico.Da questo punto di vista l’espressionegenica può essere la nuova frontieradella scienza clinica della nutrizione.

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AA limentazione e geni

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Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Palermo

Introduzione

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Tabella 1

Vantaggi e svantaggi di alcune tecniche di biotecnologia perl’identificazione e lostudio dell’espressionegenica.

Metodo Vantaggi Svantaggi

cDNA arrays Contemporanea analisi Sensitività e specificitàdi molti geni: disponibile sconosciuta commercialmente, metodo per evidenziare differenze;semiquantitativo, utilizzo probabilmentedi piccole quantità specie-specifico; costoso;di campione (RNA). attualmente è disponibile

un sottogruppo di tuttii geni.

Analisi seriale Valutazione di tutti i geni Richiede un laboratorio dell’espressione espressi in un tessuto con attrezzature costosegenica e/o cellula; assenza e software per analizzare

di specie-specificità; utilizzo i risultati.di piccole quantità di campione;non dipende da database di geni noti sequenziati e quindiutilizzabile per l’identificazionedi nuovi geni e/o di geni pocoespressi.

Proteomics Misura i prodotti funzionali Sensitività e specificitàdei geni (proteine); assenza di sconosciuta perspecie-specificità; non dipende evidenziare differenze;da database di geni noti richiede un laboratoriosequenziati. dotato di spettrometro di

massa per identificare geni non presenti nei database; costoso; solo le proteine più abbondanti vengono evidenziate.

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Nessun esempio è così paradigma-tico quale la potenza della dieta nel mo-dificare lo stato di salute, in associazio-ne all’osservazione degli effetti dellaRestrizione Calorica (CR) sulla longe-vità. Ad oggi, nessun intervento farma-cologico, genetico o ambientale si è di-mostrato efficace nel prolungare la vitamedia negli animali; tuttavia, la sempli-ce restrizione calorica aumenta la vitamedia del 30-40% in un certo numerodi organismi, compresi lieviti, Drosophi-

lia, Caenorhabditis elegans, roditori escimmie. Nonostante siano stati os-servati effetti positivi con la riduzionecalorica nei soggetti anziani, ridotta re-sistenza insulinica, incremento di sintesidi glucocorticoidi e aumento di sintesi diheat-shock protein, il meccanismo at-traverso il quale la CR contribuisce a in-crementare la vita media rimane scono-sciuto. La CR potrebbe interferire condiversi processi associati all’età, tra iquali i l metabolismo energetico, lostress ossidativo e i fenomeni della “Ri-

parazione del DNA”. Uno studio con-dotto da Lee et al è un esempio pionie-ristico dell’uso dei DNA arrays peresplorare gli effetti della CR e l’età, sul-l’espressione genica nel muscolo sche-letrico di topo. Con questo approccio dilaboratorio è stato possibile identificarealcuni geni coinvolti in un’ampia gammadi azioni metaboliche, con l’implicazioneimmediata che gli effetti dell’invecchia-mento e della restrizione calorica sonoampi e tuttavia correlati. È in corso tuttauna serie di studi al fine di identificarequei geni che sono alterati nell’invec-chiamento e che sono “protetti” dallarestrizione calorica. D’altra parte, unproblema fondamentale dei paesi indu-strializzati è l’incremento del tasso diobesità e di malattie correlate con glisquilibri metabolici connessi con l’obe-sità. Data la molteplicità di effetti del-l’obesità che sono intimamente legatialla dieta, è richiesto un approccio glo-bale anziché la ricerca di una singolacausa-effetto.

Nutrizione,fenotipo e longevità

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L’obesità può rappresentare un pro-blema familiare, ma l’influenza del geno-tipo sull’eziologia dell’obesità può essereattenuato o esacerbato da fattori nongenetici (Fig. 2). Escluse alcune raresindromi associate a obesità, le influen-ze genetiche sembrano operare attraver-so geni di suscettibilità. Questi geni au-mentano il rischio di sviluppare un deter-minato fenotipo ma non sono essenziali.

La ricerca di geni legati all’obesità ri-chiede un approccio ampio, che compren-de studi di potenziali geni candidati derivantida modelli animali, sindromi causanti obe-sità nell’uomo e ricerche genomiche su lar-ga scala, con l’utilizzo di marcatori genetici.

Nutrizione emetabolismo

Con l’utilizzo di nuovi protocolli spe-rimentali in grado di indurre farmacolo-gicamente differenze fenotipiche, si statentando di comparare profili di espres-sione di vari geni, al fine di capire le dif-ferenze fenotipiche associate alla ma-lattia. Tale tipo di approccio sperimenta-le ha permesso di identificare simulta-neamente il meccanismo di regolazioneper l’assorbimento intestinale degli ste-roli e la causa di una malattia genetica,la sitosterolemia. Gli steroli vegetali,composti molto simili chimicamente al

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Campione 1

mRNA

Campione 2

cDNA

DNA microarray

TEP1

TEP1

Figura 1

Esempio diidentificazione di un gene (TEP1) con ilmetodo del cDNA arrays.

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colesterolo, in condizioni di normalitàsono assorbiti in quantità trascurabili,mentre i pazienti affetti da sitosterole-mia assorbono grandi quantità di questicomposti. Berge et al, utilizzando comeanimali da esperimento topi trattati consostanze in grado di alterare il metaboli-smo lipidico, hanno studiato con la tec-nica dei gene arrays i l prof i lo diespressione genica in vari tessuti, con-frontandolo con quello di topi normali. Igeni differenzialmente espressi vennerostudiati, e questi ricercatori furono ingrado di identificare un nuovo gene ap-partenete alla famiglia dei geni ATP-

bindig cassette (ABC). Berge et al

hanno dimostrato che i prodotti proteicidei geni, ABCG5 e ABCG8, erano re-sponsabili del trasporto inverso deglisteroli e del colesterolo assorbiti sullasuperficie delle cellule intestinali. Usan-do database genetici, è stato possibileidentificare un gene omologo nell’uo-mo, che poteva essere implicato nellapatologia umana. In effetti sono stateidentificate diverse mutazioni di questogene nei soggetti affetti da sitosterole-mia. In sintesi, questi soggetti non rie-scono a controllare il trasporto selettivoe controllato del colesterolo, e quindiaumenta l’assorbimento di vari steroli(steroli vegetali compresi). Questo stu-

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ObesitàObesità

GENI

Geni di suscettibilitàSindromi monogeniche

Capacità metabolica Cultura

Attività fisica Alimentazione

FATTORI AMBIENTALI

Figura 2

Interazioni fra geni e ambiente.

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dio, come del resto altri, ha mostrato lanotevole portata delle ricerche nel cam-po biomolecolare e genetico con l’iden-tificazione di geni con grande impattofenotipico utilizzando tecniche di epres-sione genica differenziale.

Il valore dell’utilizzo di questo tipo distudi è stato confermato dalle ricerchecondotte sulla leptina come regolatoredel metabolismo adiposo.

I modelli animali di obesità monoge-nica sono caratterizzati dalla precocecomparsa di obesità, iperinsulinemia einsulino resistenza. L’eziologia geneticadell’obesità nei topi da laboratorio ob èben definita. Il gene ob è posizionatosul cromosoma 6 e viene espressoesclusivamente nel tessuto adiposo deitopi normali. Il prodotto di questo gene,chiamato leptina (leptos=magro), è nonfunzionante nei topi che sono omozigotiper la mutazione ob.

L’importanza della scoperta dellaleptina come regolatore dell’energiaprodotta dall’adipocita è stata stabilitacon la dimostrazione che l’iniezione dileptina in un topo leptino-carente(Ob/Ob) portava a una riduzione delconsumo di cibo e una riduzione del pe-so corporeo. Inoltre, il coinvolgimentodella leptina in numerosi funzioni meta-boliche è stata dimostrata da Soukas etal, che ha condotto una serie di esperi-

menti che hanno controllato tre differen-ti variabili. Gli esperimenti hanno valuta-to contemporaneamente tre fattori: a) laleptina, attraverso manipolazioni genichee iniezione diretta; b) la dieta, attraversola somministrazione di dieta ipercalorica,ipocalorica e isocalorica; c) il tempo, at-traverso l’analisi di campioni a vari tempidopo l’intervento. Attraverso analisi bio-informatiche, è stato possibile dimostra-re che un certo numero di geni rispondealla leptina, e sono stati disegnati conesattezza i rapporti fra leptina, metaboli-smo e repressione coordinata di genimodulati dalla SREBP-1/ADD-1, unaproteina necessaria all’attivazione di ge-ni implicati nel metabolismo del coleste-rolo e degli acidi grassi.

Variabilità genetica

Gli sforzi per sequenziare il genomaumano condotti da consorzi pubblici(National Human Genome Initiative[NHGI]) e da privati (Celera Corpora-tion) è adesso disponibile per la consul-tazione. Un gruppo appartenente alNHGI, Single Nucleotide Polymor-phisms Consortium (SNPC), ha iniziatoa individuare siti polimorfici nel genomaumano, che individuano importanti dif-ferenze fenotipiche nella popolazione

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(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/SNP/).Recentemente è stato comunicato chesono stati identificati circa 1,42 milionidi SNPs nel genoma umano. È già notoche vi sono molti polimorfismi che in-fluenzano il rischio per coronaropatia.Lo studio dei polimorfismi genici (Fig.3) mette a disposizione un potentestrumento molecolare per studiare ilruolo della nutrizione sullo stato di salu-te dell’uomo. L’uso di queste informa-zioni, da applicare in studi clinici, meta-bolici ed epidemiologici, possono contri-buire enormemente alla definizione didiete ottimali.

Nel corso degli ultimi dieci anni,

molti studi sono stati condotti al fine divalutare le interazioni tra geni e dieta. Inquesta sede prenderemo in considera-zione alcuni geni candidati implicati nelmetabolismo lipoapoproteico (apoE,apoB, apoCIII e apoA-I).

Apolipoproteina E

L’apolipoproteina E sembra essereun buon candidato per studi di intera-zione geni-dieta. Questa apolipoprotei-na gioca un ruolo importante nel meta-bolismo lipoproteico. Nell’uomo è uncomponenete strutturale dei chilomicro-

Esone Esone

Sito di restrizionepolimorfico

Frammento di DNA amplificatocon Reazione Polimerasica a Catena

(PCR)

Digestione conEndonucleasi di Restrizione

Corsa elettroforetica in geldi agarosio o acrilamide

Figura 3

Esempio di identificazione di un sito polimorfico.

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ni e delle VLDL remnant, e media il ri-conoscimento del recettore delle LDL.Inoltre, l’apolipoproteina E è presentesulle HDL, dove potrebbe intervenirenei fenomeni di trasporto inverso delcolesterolo. Sono note varianti genichedell’apolipoproteina E che esprimonotre alleli comuni osservabili nella popo-lazione – E4, E3 e E2 – con frequenzealleliche nelle popolazioni caucasichedello 0,15, 0,77 e 0,08, rispettivamen-te. Studi di popolazione hanno dimo-strato che i livelli di colesterolo totale,LDL-colesterolo e apoproteina B sonopiù elevati nei soggetti portatori dell’iso-forma E4, intermedi in quelli con isofor-ma E3 e più bassi in quelli con isoformaE2. Queste varianti alleliche sono re-sponsabili di circa il 7% delle variazionidei livelli di colesterolo nella popolazionegenerale. Le relazioni esistenti fra livellidi LDL colesterolo e varianti genichedell’apolipoproteina E potrebbero esse-re dovute anche a fattori ambientali efattori etnici. L’associazione dell’isofor-ma E4 dell’apoproteina E con livelli ele-vati di colesterolo plasmatico è maggio-re nelle popolazioni che consumano unadieta più ricca in grassi saturi rispettoad altre popolazioni. Questi dati sugge-riscono che i livelli più elevati di LDLcolesterolo osservati in soggetti porta-tori dell’isoforma E4 si manifestano

principalmente in presenza di una dietacon caratteristiche aterogene, e che larisposta ai grassi saturi e al colesteroloalimentari possa variare tra individui condiversi fenotipi di apolipoproteina E.

Le interazioni tra dieta e gene del-l’apolipoproteina E sono state oggettodi diversi studi.

Il DELTA Study (Dietary Effects onLipoproteins and Thrombogenic Activi-ty) è uno studio multicentrico controllatoche ha esaminato le associazioni fragenotipi dell’apolipoproteina E e lipidiplasmatici in seguito alla riduzione di ca-lorie fornite da grassi totali e grassi sa-turi, in una popolazione etnicamente mi-sta di uomini e donne (n=103). Gli au-tori di questo studio non trovarono evi-denze significative di interazione gene-dieta per le variabili lipidiche esaminate(colesterolo totale, LDL-colesterolo,HDL-colesterolo e trigliceridi), sia ana-lizzando il gruppo nel suo complesso siadopo analisi dei sottogruppi (uomini edonne, neri e bianchi). Quindi, in questotipo di popolazione e con questo tipo diintervento dietetico, il genotipo del-l’apolipoproteina E non predice il gradodella risposta lipidica in seguito alla ri-duzione dei grassi saturi alimentari.

Dall’analisi di altri studi che hannoesaminato le interazioni fenotipo/genoti-po dell’apolipoproteina E in seguito a

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modificazioni dietetiche, si possono evi-denziare risultati contrastanti. Un’intera-zione significativa tra dieta e gene del-l’apolipoproteina E è stata riportata instudi che avevano esaminato coorti disoli uomini. Negli studi condotti con uo-mini e donne, gli effetti significativi furononotati solo tra gli uomini, suggerendo unasostanziale interazione tra gene e sesso.

Inoltre, bisogna ricordare che nelDELTA Study era stato modificato solol’apporto degli acidi grassi saturi, mentrenella maggior parte degli altri studi erastato modificato l’apporto di acidi grassisaturi e di colesterolo alimentare. Quindiè possibile che il colesterolo alimentarepossa avere un ruolo importante in que-sta specifica interazione gene-dieta.

L’esistenza di questi risultati contrad-dittori sulle relazioni esistenti fra genotipidell’apoE e dieta, suggerì ai ricercatoridel Women’s Healthy Lifestyle Project(WHLP) di valutare se in questa coortedi donne sane in età premenopausale(n=448), le variazioni dei livelli di cole-sterolo totale e LDL-colesterolo in seimesi di intervento dietetico a basso te-nore di grassi potevano essere correlateal genotipo dell’apoE. Non furono osser-vate relazioni significative fra genotipidell’apoE e variazioni dei livelli di coleste-rolo totale e LDL-colesterolo. Questo ri-sultato tende a confermare l’osservazio-

ne che la risposta è legata al sesso.La malattia aterosclerotica pone le

sue basi precocemente e la prevenzio-ne dietetica della coronaropatia su baseaterosclerotica dovrebbe iniziare duran-te l’infanzia. Sorprendentemente pochistudi hanno tentato di valutare le intera-zioni tra dieta e geni nei bambini. Dixonet al hanno valutato 125 bambini di etàcompresa fra 4 e 10 anni che parteci-pavano al Children’s Health Project. Inquesto studio le concentrazioni di cole-sterolo totale e LDL colesterolo neibambini senza storia familiare per coro-naropatia rispondevano di più alla ridu-zione di colesterolo alimentare rispettoai bambini con una forte familiarità percoronaropatia; il fenotipo dell’apolipo-proteina E e la lipoproteina(a) non in-fluenzavano significativamente i livelli dilipidi plasmatici in relazione alle variazio-ni dietetiche. Fu inoltre notato che al-l’inizio dello studio non vi erano diffe-renze di livelli di colesterolo fra i bambiniportatori dell’allele E4 rispetto ai nonportatori, suggerendo che gli effetti del-l’apolipoproteina E4 sui livelli di coleste-rolo non vengono espressi a questa etànella popolazione studiata.

Molte evidenze sono state raccolteper dimostrare che la lipemia postpran-diale è correlata al rischio cardiovascola-re. La risposta postprandiale è eteroge-

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nea, e molti fattori come l’età, l’attività fi-sica, il peso corporeo, i livelli lipidici a di-giuno, la dieta e fattori genetici possonoessere responsabili di questa variabilità. Ilgene dell’apolipoproteina E è stato chia-mato in causa come uno dei fattori ge-netici responsabili di tali effetti. L’isofor-ma E2 sembra ridurre la clearance deiremnant per via della minore affinità peril recettore. Di contro, l’isoforma E4 do-vrebbe indurre una clearance più veloce.Tuttavia, studi che hanno comparato larisposta postprandiale dei trigliceridi insoggetti portatori di diversi genotipidell’apolipoproteina E, hanno mostratorisultati contrastanti, specialmente per glieffetti associati all’allele E4. Wolever etal ha mostrato che un maggior consumodi fibre solubili non modifica il metaboli-smo postprandiale dei grassi nei soggettiportatori dell’allele E4; tuttavia, le fibresolubili aumentano l’assorbimento digrassi nei soggeti con genotipo E3/3,che potrebbe essere il risultato di un au-mento del pool degli acidi biliari e un au-mento della formazione di micelle. Sfor-tunatamente, gli autori non avevano unnumero congruo di soggetti con genoti-po E2, e gli effetti di questo allele suquesta manipolazione dietetica rimango-no sconosciuti.

Sono stati proposti diversi meccani-smi per spiegare queste differenze cor-

relate all’apolipoproteina E in soggettisottoposti a terapia dietetica. Alcunistudi hanno mostrato che l’assorbimen-to intestinale di colesterolo è correlatoal fenotipo dell’apoE; i soggetti portatoridell’apoE4 assorbono più colesterolo ri-spetto ai portatori-non E4. Altri mecca-nismi, come la diversa distribuzionedell’apolipoproteina E sulle varie frazionilipoproteiche, produzione di LDL ricchein apolipoproteina B, acidi biliari e sinte-si del colesterolo, e clearance post-prandiale delle lipoproteine, potrebberoessere coinvolti.

Apolipoproteina A-I

L’apolipoproteina A-I è la proteinaprincipale delle HDL e il principale at-tivatore in vivo dell’enzima lecitin-

colesterol acil transferasi (LCAT). Èinoltre un componente chiave del tra-sporto inverso del colesterolo. Il genecodificante per l’apolipoproteina A-I èunito in un cluster con i geni dell’apoli-poproteina C-III e dell’apolipoproteinaA-IV sul braccio lungo del cromosoma11. Questa regione contiene molti poli-morfismi (RFLPs). Una variante comu-ne, una transizione adenina (A) - guani-na (G) (G/A), è stata descritta a 75paia di basi dal sito di inizio di trascrizio-

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ne del gene dell’apolipoproteina A-I.Molti studi hanno mostrato che i porta-tori dell’allele A, che ha una frequenzadello 0,15-0,20 nelle popolazioni cau-casiche, hanno livelli di HDL più elevatirispetto ai portatori in omozigosi del piùcomune allele G. Gli effetti di questamutazione studiati su 50 uomini hannomostrato che i portatori dell’allele Apresentano incrementi maggiori dei li-velli di LDL colesterolo in seguito a unadieta ricca in grassi, rispetto ai portatoriin omozigosi del comune allele G.

I meccanismi responsabili di questieffetti non sono noti. Questa mutazionepotrebbe avere un effetto diretto sul-l’espressione del gene dell’apolipopro-teina A-I nel fegato e/o nell’intestino,come è stato dimostrato in alcuni studi,o potrebbe rappresentare l’effetto diuna mutazione funzionale non cono-sciuta in uno dei geni vicini (apolipopro-teina C-III e apolipoproteina A-IV).

Apolipoproteina C-III

L’apolipoproteina C-III è un compo-nente dei chilomicroni, VLDL e HDL. Èsintetizzata principalmente nel fegato ein minor misura nell’intestino. In vitro,l’apolipoproteina C-III inibisce l’azionedella lipasi lipoproteica e inoltre inibisce

il legame delle lipoproteine ricche inapoE con il recettore per le LDL. Studirecenti hanno dimostrato la presenza dicinque polimorfismi (C641A, G630A,delezione di T625, C482T, e T455C)nella regione del promotore di questogene. Queste mutazioni sono in link-

age disequilibrium con il sito di restri-zione SstI descritto nella regione 3’non-translata di questo gene. Risultatipreliminari hanno permesso di identifi-care una sequenza nucleotidica che silega all’insulina, localizzata sul promoto-re di questo gene. Studi in vitro hannodimostrato che l’attività di trascrizionedel gene dell’apolipoproteina C-III è ri-dotta dall’insulina quando il promotorecontiene la sequenza nucleotidica wild-

type, ma questo fenomeno non è os-servabile nelle sequenze mutate. Il poli-morfismo SstI permette la distinzione didue alleli: S1 e S2. L’allele S2 è statoassociato a elevati livelli plasmatici ditrigliceridi, colesterolo, apolipoproteinaC-III e all’aumento di rischio per coro-naropatia. In uno studio condotto con lasomministrazione di una dieta ricca inacidi grassi monoinsaturi, si poté osser-vare un significativo incremento dei li-velli di colesterolo totale e LDL coleste-rolo nei soggetti portatori del genotipoS1/S1; una riduzione significativa diLDL colesterolo e apoB fu osservata

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nei soggetti portatori del genotipoS1/S2. Quindi, sono state osservateinterazioni significative gene-dieta (livelliLDL colesterolo, colesterolo totale eapolipoproteina B) in seguito a una mo-dificazione dietetica. Altri studi sono ne-cessari per valutare le interazioni diquesto polimorfismo con diete ricche inacidi grassi saturi.

Apolipoproteina B

L’apolipoproteina B è il maggiorecomponente proteico delle LDL ed è illigando specifico del recettore per leLDL. Sono stati descritti molti siti poli-morfici di questo gene. Il polimorfismoper XbaI è una mutazione silente cheinteressa la terza base del codone 2488(ACC>ACT) nell’esone 26. Questo poli-morfismo è stato associato a una varia-bilità di livelli lipidici. L’allele X+ (pre-senza del sito di restrizione XbaI) è statoassociato, in alcuni studi, a livelli piùelevati di colesterolo totale, LDL cole-sterolo e/o trigliceridi. Paradossalmen-te, l’allele X- sembra essere più co-mune in soggetti con coronaropatia ri-spetto a soggetti di controllo. Questosuggerisce che altri fattori, come la ri-sposta postprandiale, vanno ricercatiper spiegare questa osservazione. Uno

studio ha valutato questa ipotesi e hapermesso di dimostrare che soggettiportatori del genotipo X-/X- hanno unarisposta postprandiale alterata rispetto aisoggetti X+. Queste differenze osserva-te nel metabolismo delle lipoproteine infase postprandiale potrebbero spiegarel’associazione di questo polimorfismocon il rischio di cardiopatia ischemica.

Conclusioni

La “rivoluzione genomica” continuaa costruire nuove basi di conoscenza,strumenti tecnologici e prospettivescientifiche nel campo della nutrizioneumana. La ricerca nel campo della nu-trizione sarà guidata attraverso le intera-zioni nutrienti-geni, la delucidazione del-la regolazione dei meccanismi biochimi-ci e la caratterizzazione della risposta in-dividuale alle manipolazioni dietetiche.

Sono stati studiati molti geni candi-dati, tra i quali i geni codificanti per leapolipoproteine in diverse condizionisperimentali. Tuttavia, a causa dei risul-tati contrastanti, altri studi sono neces-sari per ottenere maggiori informazioni.Molti studi non erano stati disegnati ini-zialmente per studiare le interazioni trageni e dieta, e le conclusioni eranoquindi derivanti da analisi successive di

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dati ottenuti precedentemente, usandonuove informazioni provenienti da anali-si genetiche condotte a posteriori. Glistudi futuri devono essere attentamentedisegnati in termini di numerosità delcampione e prendendo in considerazio-ne la frequenza degli alleli da studiare.Inoltre, non si è a tutt’oggi a conoscen-za dei meccanismi responsabili degli ef-fetti già descritti in letteratura. Gli inter-venti dietetici dovrebbero essere atten-tamente controllati in termini di coleste-rolo alimentare, acidi grassi, livelli digrassi, fibre e altri componenti minoriquali i fitosteroli. È inoltre importanteconsiderare che alcuni alleli possonoavere una funzione primaria nella fase

postprandiale; di conseguenza si do-vrebbero disegnare studi per testare leinterazioni geni-dieta sia a digiuno chedopo il pasto. Oltre alle interazioni geni-dieta, si dovrebbero analizzare interazio-ni gene-gene, anche se il numero ele-vato di partecipanti richiesto per tali stu-di e di conseguenza i costi potrebberorendere questi studi non conducibili.Pertanto, si potrebbero selezionare ipartecipanti allo studio in base alle va-rianti geniche; oppure si potrebbero uti-lizzare gli studi di coorte nei quali sonostate raccolte informazioni sulla dieta.L’approccio finale potrebbe condurre ilconcetto di interazione gene-dieta oltrele unità metaboliche nel mondo reale.

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L’ipercolesterolemia familiare (FH) èuna malattia genetica, caratterizzata daldifetto di un singolo gene, il gene delrecettore LDL (LDL-R). La trasmissio-ne della malattia è di tipo autosomicocodominante. I soggetti che ereditano ilgene malato da uno solo dei genitori esono pertanto eterozigoti, presentano li-velli di colesterolo plasmatico che sono ildoppio dei livelli normali e tale aumentoè già presente durante il periodo infanti-le. I soggetti che ereditano due genimalati, uno da ciascun genitore, e per-tanto sono omozigoti, presentano livellidi colesterolo da 4 a 5 volte la norma.Negli omozigoti la malattia ateroscleroti-ca si sviluppa precocemente e già inperiodo infantile le arterie coronarichepresentano estese lesioni ateromasiche.

La frequenza della malattia è stima-ta essere di 1:500 per la forma eterozi-gote e di 1:1.000.000 per la omozigo-te. In Italia tali stime prevedono un nu-mero di circa 120.000 eterozigoti e dicirca 60 omozigoti. Nel mondo quindi

sono prevedibili 10 milioni di eterozigotie 5000 omozigoti.

Esiste una seconda malattia mono-genica responsabile di ipercolesterolemiaa trasmissione familiare, la familial de-

fective apolipoprotein B (FDB). In talemalattia il difetto è rappresentato dal-l’impossibilità da parte dell’apoproteina B– la proteina associata al colesterolo nel-le LDL – di legare il recettore per leLDL. Anche per tale malattia la tra-smissione è autosomica codominante ela frequenza stimata varia da 1:200 a1:700 a seconda della nazione. Gli ete-rozigoti per tale forma presentanoun’ipercolesterolemia che può esseresovrapponibile agli eterozigoti FH, mapuò presentare livelli che ricordano l’iper-colesterolemia comune o poligenica.

Il recettore LDL

Il recettore LDL è una glicoprotei-na transmembrana di 839 aminoacidi

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LL a genetica delle iperlipidemie

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Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi di Palermo

Le ipercolesterolemie familiari

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che riconosce e lega due proteine,l’apoB-100 e l’apoE; in tal modo essoè in grado di rimuovere dal plasma le li-poproteine che contengono i suddettiligandi: poiché tali lipoproteine traspor-tano la quasi totalità del colesterolo cir-colante, è evidente come il recettoreLDL sia uno dei principali regolatori deilivelli di colesterolo plasmatico nell’uo-mo. Dal punto di vista della struttura, èpossibile identificare in quella del re-cettore LDL 5 diverse regioni o domini(Fig. 1). Sono state identificate 5 classidi mutazioni che influenzano l’attivitàdel recettore:

– difetto di sintesi; – difetto di trasporto; – difetto di binding; – difetto di clustering; – difetto di recicling (Fig. 2).

La clinica delleipercolesterolemiefamiliari

I soggetti con FH omozigote pre-sentano livelli molto elevati di coleste-rolo totale, da 600 mg % a 1200 mg%, con valori medi intorno a 700 mg%. Tali elevati valori sono presenti dalla

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Dominiodi legameNH2

COOH

1 2 3 4 5 6 7

AB

C

Dominioomologo al

precursore EGF

Dominiocontenente

catenezuccherine

Dominiotransmembrana

Dominiocitoplasmatico

DOMINI GENE

ESONE2-6

ESONE7-14

ESONE15

ESONE16 e 17

ESONE17 e 18

Recettore LDL o apo B/ECISTEINA

Figura 1

Il recettore delle LDL:domini funzionali.Recettore LDL o apoB/E.

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nascita. Già nell’infanzia compaionoxantomi cutanei piani o tuberosi, tipicisono gli xantomi tendinei e la compar-sa di arco corneale o gerontoxon. Laprecocità di comparsa degli xantomicorrela con la gravità e la durata dellamalattia. Le sedi degli xantomi sono iltendine di Achille e i tendini estensoridelle dita delle mani. A volte sono loca-lizzati a livello del tendine patellare. Èpossibile valutare i depositi di coleste-rolo del tendine di Achille mediantemetodiche radiografiche, ecografiche epiù recentemente mediante RMN.Sono inoltre frequenti negli omozigoti

gli xantomi piani a livello dei gomiti,delle ginocchia, dei glutei e delle pie-ghe interdigitali. L’esame istologico de-gli xantomi permette di evidenziare cel-lule cariche di colesterolo disperse trale fibre collagene del tendine. Sonopresenti anche xantelasmi che tuttavianon sono patognomonici, essendo pre-senti anche in soggetti normolipidemi-ci. È presente un’accelerata ateroscle-rosi aortica e coronarica; la presenza diateromi della radice aortica determinala precoce comparsa di un soffio sisto-lico sul focolaio dell’aorta e il rapido eprogressivo coinvolgimento ateroscle-

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1 23

4

5

12345

XX

XX

X

Mut Class Synthesis Transport Binding Clustering Recycling

Figura 2

Alterazioni strutturali e funzionali del recettore LDL.Le cellule normaliinternalizzano le LDLattraverso il recettoreper le LDL.I soggetti FH esprimonoun recettore alterato.Assenza di legame einternalizzazione delleLDL con il recettore.

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rotico dei principali rami coronarici de-termina la prematura insorgenza di ma-nifestazioni cl iniche di cardiopatiaischemica. La morte improvvisa coro-narica o successiva a infarto miocardi-co esteso nei soggetti non trattati so-pravviene entro la terza decade di vita.La precocità di inizio delle manifesta-zioni cliniche coronariche e il rischio dimorte prematura correlano con i livellidi colesterolo plasmatico e questi a lo-ro volta correlano con la gravità del di-fetto recettoriale. I soggetti recettore-negativi, in cui cioè la mutazione deter-mina l’assenza di espressione del re-cettore LDL sulla membrana cellulare,avranno una prognosi più grave deisoggetti recettore-difettivi, in cui il di-fetto molecolare consente la presenzadi un ridotto numero di recettori. Danotare come il sesso femminile nonpresenta un’evoluzione clinica più favo-revole rispetto al sesso maschile; que-sto viene spiegato dall’assenza di diffe-renze nei livelli di HDL-colesterolo tramaschi e femmine omozigoti per FH.

I livelli di colesterolo plasmatico ne-gli FH eterozigoti vanno da 300 mg %a 550 mg % con una media di 350 mg%. Negli eterozigoti le stimmate clini-che, xantomi-xantelasmi e arco cor-neale, sono le stesse ma compaionopiù tardivamente. La presenza di xan-

tomatosi sembra risentire di fattori ge-netico-razziali, essendo presente nel75% delle casistiche nordeuropee enel 40% delle casistiche italiane. L’ate-rosclerosi coronarica negli FH eterozi-goti non trattati è presente nel 70%dei soggetti alla quinta decade di vita;la comparsa di manifestazioni cliniche èpiù precoce nei maschi mentre nellefemmine si sviluppa con circa una de-cade di ritardo. Rispetto ai soggetti nonFH, gli eterozigoti non trattati manife-stano i sintomi di cardiopatia ischemicacirca 20 anni prima.

FH e rischio cardiovascolare

L’elevata prevalenza genetica dellacondizione di eterozigosi per FH, circa120.000 soggetti in Italia, fa di questapopolazione un gruppo ad altissimo ri-schio di malattia cardiovascolare. Sonostati condotti numerosi studi volti a va-lutare se i fattori di rischio classici –ipertensione, fumo di sigaretta, diabe-te, Lp(a), omocisteina, sesso, età, LDLpiccole e dense – possano in qualchemodo influenzare la precocità di com-parsa delle manifestazioni cliniche dicardiopatia ischemica. I risultati non so-no ad oggi conclusivi: sembrerebbeche in una popolazione in cui i livelli di

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colesterolo sono così elevati, il poterepredittivo statistico degli altri fattori dirischio venga in qualche modo oscura-to; i determinanti più importanti sem-brano essere i livelli di colesterolo equindi lo stato recettoriale e il sesso.Sul piano clinico si impone la necessitàdi identificare al più presto possibile isoggetti eterozigoti per FH, allo scopodi instaurare una terapia aggressivafarmacologica con statine.

La diagnosi di

ipercolesterolemia familiare

La diagnosi di FH viene posta uti-lizzando criteri clinici (Tab. 1); a secon-da della “forza” dei criteri utilizzati siperviene a una diagnosi di FH probabileo definita.

FH definitaI livelli di colesterolo devono essere

superiori a 290 mg % negli adulti e a260 mg % nei giovani di età inferiore a13 anni; il colesterolo LDL superiore a190 mg % negli adulti o 155 mg % neiragazzi; devono essere inoltre presentigli xantomi nel probando o nei parenti diprimo o secondo grado.

FH probabile? Possibile?Per porre la diagnosi di probabilità, ol-

tre alla presenza dei valori di colesterolototale e LDL di cui sopra, deve esserepresente una storia familiare di infarto delmiocardio prima dei 50 anni in almeno unparente di secondo grado o prima di 60anni in un parente di primo grado, oppureancora di valori di colesterolo totale supe-riori a 290 mg % in parenti di primo o se-condo grado, anche in assenza di xantomi.

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FH possibile FH definita

• CT>290 mg/dl • CT>290 mg/dl in soggetti adulti o >260 mg/dl in ragazzi sotto i 16 annid’età, o LDL-C>190 mg/dl in soggettiadulti o >155 mg/dl in bambini, piùxantomi tendinei nel paziente o in parente di primo o secondo grado

• Storia familiare di infarto del miocardioprima dei 50 anni in un parentedi secondo grado o prima dei 60 anniin un parente di primo grado oppureCT>290 mg/dl in un parente di primoo secondo grado

Tabella 1

Diagnosi clinica di FH.

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La diagnosi genetica

Sono state identificate più di 750mutazioni del gene del recettore per leLDL; una lista completa di tali mutazio-ni si può facilmente trovare al sitowww.ucl.ac.uk/fh. In alcuni paesi qualiil Sud Africa, il Quebec, la Norvegia, laDanimarca e la Finlandia, poche muta-zioni sono responsabili della maggio-ranza dei casi di FH, mentre in Italia,così come in Inghilterra, Germania eGiappone, la situazione è più eteroge-nea; in Italia, ad esempio, sono statefinora descritte 89 mutazioni, distribuitetra riarrangiamenti genici maggiori, pic-cole inserzioni o delezioni e mutazionipuntiformi. Molte volte la diagnosi diFH definita è facilmente raggiunta uti-lizzando i criteri clinici già descritti, altrevolte per insufficienza di dati e per la ti-pologia stessa della famiglia rimangonodubbi diagnostici. L’identificazione dellamutazione permette una diagnosi cer-ta; l’eterogeneità mutazionale del no-stro paese rende il compito più difficiledal punto di v ista metodologico.Dal l ’esper ienza dei programmi discreening per mutazione dei paesi nor-deuropei sembrerebbe che partendodalla diagnosi clinica di FH le variestrategie, che prevedono in ogni casola sequenza del DNA e che quindi so-

no costose e laboriose, hanno unasensibilità che oscilla dal 66% al 72%.Questo vuol dire che almeno un terzodei probandi iniziali, anche al megliodelle possibilità di diagnosi molecolareattuali, potrebbe rimanere non diagno-sticato. Questi dati rendono almenooggi non proponibili strategie di screen-ing per FH.

D’altra parte, la diagnosi clinica ba-sata sui valori del colesterolo totale eLDL, assieme alla storia familiare e al-l’eventuale presenza di xantomi, è suf-ficiente per la corretta impostazionedella terapia. Va ricordato che la pre-senza in una famiglia di un bambinocon colesterolo elevato assieme agli al-tri elementi, rende la diagnosi pratica-mente certa. In futuro, con la diffusio-ne dei sistemi diagnostici basati sui mi-cro-array, sarà molto semplice eseguiretest con pannelli anche di centinaia dimutazioni. In Sicilia abbiamo recente-mente condotto uno screening su pa-zienti con diagnosi clinica di FH “pro-babile”, utilizzando un pannello di 11mutazioni note più le 2 mutazioni re-sponsabili di FDB. I risultati hanno mo-strato come la diagnosi molecolare dicertezza venisse raggiunta solo in circail 10% della casistica; questo confermaquanto siano importanti i criteri clinicidefiniti di FH.

La genetica delle iperl ip idemie

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La familial defective

apoB-FDB

La FDB rappresenta il secondodifetto, relativamente frequente, checausa una ipercolesterolemia mono-genica. La causa risiede in una muta-zione puntiforme del gene dell’apoB,localizzato sul cromosoma 2. La sosti-tuzione aminoacidica che ne deriva di-strugge la capacità dell’apoproteina Bdi legarsi al recettore LDL; ciò deter-mina in eterozigosi – la grande mag-gioranza dei pazienti sono eterozigoti– un aumento dei livelli di colesteroloLDL di circa 80 mg %. La frequenzadella FDB è sovrapponibile a quella

della FH con sensibili variazioni neivari paesi. In genere l’ipercolesterole-mia è più lieve degli FH (Fig. 3), an-che se in taluni casi può essere dif-ficile dai semplici livelli di colesterolodistinguere gli eterozigoti FH da quelliFDB. Il trattamento terapeutico è so-vrapponibile a quello della FH eterozi-gote. La malattia del ligando presentainoltre delle differenze nella risposta aifarmaci: sembrerebbe che i pazienticon FDB rispondano meno alle statinee in misura maggiore alle resine deipazienti con FH classica. Si potrebbequindi suggerire l’associazione di resi-ne e statine come terapia elettiva del-la FDB.

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400

300

200

100

0

...............................

Nostri dati

FDB FH

Casistiche della letteratura

Controlli

Figura 3

Livelli di LDL-C insoggetti eterozigoti per FH e per FDB.

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L’ipercolesterolemia

familiare recessiva (ARH)

Recentemente è stato definito il di-fetto molecolare della ARH. L’ipercole-sterolemia familiare recessiva è statadescritta per la prima volta molti anni fada Fellin et al. La caratteristica di questaforma è di ricorrere in modo sporadiconelle famiglie, con una tipica trasmissio-ne recessiva, essendo i genitori del pro-bando normocolesterolemici. Sono stateraccolte alcune famiglie, molte di originesarda, alcune turche e americane, ed èstata effettuata una ricerca sul genoma.È stato così identificato un gene sul cro-mosoma 1 che si presenta mutato neipazienti affetti. Tale gene codifica peruna proteina che ha il compito di stabi-lizzare il legame del recettore LDL conla membrana delle cellule epatiche. Inassenza di tale proteina il fegato non èin grado di internalizzare le LDL, deter-minando così l’innalzamento dei valori dicolesterolo plasmatico (Tab. 2)

La terapia dietetica

Il primo approccio alla terapia delleiperlipidemie consiste nella modificadei comportamenti alimentari. L’Ameri-can Heart Association (AHA) suggeri-sce due step dietetici: nella AHA StepI Diet l’introito di grassi deve essereinferiore al 30%, con una quantità disaturi fra il 7% e il 10%, con i polinsa-turi fino al 10% e i monoinsaturi fino al5%; i carboidrati rappresentano il 55%o più della dieta e le proteine il 15%circa. L’introito giornaliero di colestero-lo deve essere inferiore a 300 mg %,e l’introito calorico totale dev’esseredisegnato in modo da raggiungere omantenere il peso desiderato. In casodi insuccesso nel raggiungere gl iobiettivi terapeutici in termini di LDLcolesterolo e di trigliceridi, si passa al-lo Step II, che riduce ulteriormentel’introito di grassi saturi a meno del7% e l’introito di colesterolo a meno di200 mg %.

La genetica delle iperl ip idemie

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• LDL-recettore • FH 1:500 - 1:100.000- 96 delezioni- 27 inserzioni- 649 puntiformi

• LDL-R adaptor protein (ARH) • FH recessiva- 6 mutazioni

• ApoB • FDB circa 1:500- 5 puntiformi

Tabella 2

Mutazioni responsabilidi ipercolesterolemiafamiliare.

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La terapia

dell’ipercolesterolemia

familiare eterozigote

Le attuali Linee Guida per la pre-venzione degli eventi cardiovascolaridanno molta importanza al target tera-peutico da raggiungere in termini di va-lori di LDL-colesterolo. Il goal terapeuti-co è di <160 mg % di colesterolo LDLper i soggetti senza altri fattori di ri-schio, <130 mg % per i soggetti conalmeno due fattori di rischio e <100 mg% per i soggetti che già hanno manife-stazioni cliniche di malattia cardiovasco-lare. Le Linee Guida inoltre suggerisco-no sempre di raggiungere il target tera-peutico prima utilizzando strategie ba-sate sulla correzione dell’alimentazionee delle errate abitudini di vita, e in casodi fallimento prevedono il ricorso ai far-maci. I pazienti con ipercolesterolemiafamiliare in eterozigosi rappresentanoun caso particolare per diverse ragioni: – i livelli di LDL-colesterolo sono di ba-

se molto elevati; – la correzione alimentare da sola è de-

stinata all’insuccesso; – il rischio cardiovascolare è intrinseca-

mente così alto da richiedere una te-rapia farmacologica aggressiva.

Per tali ragioni la scelta terapeuticasarà quella di utilizzare i farmaci. Le

classi di farmaci attualmente di sceltaper la FH eterozigote sono le resine ele statine.

La colestiramina è la resina dispo-nibile in Italia; essa lega nell’intestino gliacidi biliari e così interrompe il circoloentero-epatico e aumenta la conversio-ne di colesterolo in acidi biliari. Un ef-fetto metabolico indesiderato è l’incre-mento dei trigliceridi secondario all’ac-cresciuta sintesi epatica di colesterolo edi VLDL. La riduzione attesa al dosag-gio di 8 g due volte al dì è del 10-20%.L’indicazione principale è come terapiadi associazione alle statine nei casi incui si voglia ottenere un’ulteriore ridu-zione della colesterolemia, oppure inmonoterapia in tutti quei casi di FH ete-rozigote in cui non è possibile utilizzarele statine: bambini in età prepubere;donne gravide; non responder.

Le statine rappresentano i farmaci discelta nel trattamento della FH. Sonoinibitori competitivi dell’enzima rate-limit-ing della sintesi epatica di colesterolo, laHMG-CoA reduttasi. Riducono il cole-sterolo plasmatico, aumentando l’espres-sione dei recettori di membrana delleLDL. Oggi sono disponibili sul mercatoitaliano quattro statine che si differenzia-no per efficacia, liposolubilità e modalitàmetabolico-cinetiche (Tab. 3).

La riduzione del LDL-colesterolo va-

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ria, a seconda della statina utilizzata, dal30 al 60%. È possibile quindi sceglierela statina più idonea al raggiungimentodel goal terapeutico nel singolo paziente.Le statine inoltre hanno un effetto anchesui trigliceridi; atorvastatina e simvastati-na sono le più efficaci. Il colesteroloHDL in genere aumenta del 5-6% mapuò arrivare fino a un massimo del 12%.

Vengono eliminate per via epatica ein parte per via renale; sono quindi con-troindicate nelle malattie epatiche e nel-l’insufficienza renale. Le statine sonoben tollerate e la terapia è gravata dapoco frequenti effetti collaterali. Parti-colare attenzione va posta sul rischiodelle statine, quando associate a fibratie immunosoppressori, di determinarerabdomiolisi. Questo effetto collateralepuò inoltre presentarsi quando la statinavenga prescritta a pazienti con insuffi-cienza renale.

La terapia della FH omozigote

Tali pazienti rappresentano il gruppopiù consistente di non responder allaterapia statinica; questo perché l’assen-za genetica del recettore LDL fa sì chenon possano rispondere al farmaco conl’espressione dei recettori di membrana.D’altra parte i livelli di colesterolo di talipazienti sono così elevati che l’uso delleresine porterebbe a una riduzione dellacolesterolemia insufficiente a prevenirela progressione della malattia ateroscle-rotica. In tali pazienti l’unico modo peraumentarne l’aspettativa di vita è la dra-stica riduzione della colesterolemia. Perraggiungere tale obiettivo bisogna ricor-rere alla rimozione dal circolo delle LDLmediante terapie aferetiche.

Le metodiche aferetiche oggi in usosono selettive: l’immuno-adsorbimentodi LDL, l’assorbimento delle LDL al de-

La genetica delle iperl ip idemie

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Parametri Simvastatina Pravastatina Fluvastatina Atorvastatinafarmacocinetici

Assorbimento (%) 60 34 >90 ND

Biodisponibilità (%) 5 20 30 12

Lipofilia sì no sì sì

Emivita h 2 1,8 1,2 14

Protein binding (%) 95-98 50 >98 98

Metaboliti attivi sì no no sì

Vie di eliminazione CYP3A4 multipla CYP2C9 CYP3A4

Tabella 3

Le statine: parametrifarmacocinetici a confronto.

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stran-solfato e la precipitazione extra-corporea di LDL mediante eparina cherimuove anche il fibrinogeno. L’efficaciadi riduzione della LDL-colesterolemia ot-tenibile con tali procedure varia dal 60%al 75%. Diversi trial controllati hanno di-mostrato l’efficacia della LDL-aferesi

nel ridurre gli eventi e nel prolungare lasopravvivenza negli omozigoti. Quandoinoltre l’efficacia antiaterosclerotica dellaLDL-aferesi viene misurata con l’eco-grafia vascolare, è possibile dimostrareun effetto di riduzione sull’ispessimentomedio-intimale carotideo.

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L’iperlipidemia familiarecombinata (FCHL)

La FCHL è una dislipidemia com-plessa la cui causa genetica è ancorasconosciuta. È stata alternativamenteconsiderata un disordine monogenico opoligenico; recentemente il trait FCHL èstato associato a un locus sul cromoso-ma 1. Rappresenta la causa più diffusa diipercolesterolemia nella popolazione ge-nerale, con una frequenza del 3-5/1000.È presente nel 20% dei soggetti conmanifestazioni cliniche premature di car-diopatia ischemica. È caratterizzata da li-velli elevati di LDL colesterolo e trigliceridiVLDL nell’ambito della stessa famiglia.La caratteristica peculiare di tale forma èquella dei cosiddetti fenotipi multipli nellastessa famiglia: i consanguinei all’internodi famiglie FCHL presentano l’aumentoisolato del colesterolo LDL, l’aumentoisolato dei trigliceridi VLDL o entrambe lealterazioni (Fig. 4). La malattia in genereè espressa nella quarta-quinta decade di

vita. Altra caratteristica è quella della mu-tevolezza del profilo lipidico individuale enel tempo il singolo individuo può speri-mentare l’ipercolesterolemia o l’ipertrigli-ceridemia o ancora entrambi i difetti as-sociati. Le alterazioni principali delle lipo-proteine sono rappresentate dalla pre-senza di LDL particolarmente dense econ un livello di LDL-apoB>130 mg %.Alcuni pazienti con FCHL, pur avendoLDL-colesterolo normale, presentano li-velli di apoB-LDL>130 mg %: questosottogruppo di pazienti ha portato alla de-finizione del termine “iperapobetalipopro-tenemia”. Sul piano clinico è molto rara lapresenza di xantomi e soltanto il 10-20%dei bambini presenta l’alterazione delprofilo lipidico. I soggetti FCHL hannouna storia familiare di cardiopatia ische-mica prematura. Il difetto metabolico ri-siederebbe nel fegato, che produrrebbeun eccesso di apoB e VLDL: nei soggetticon meccanismi lipolitici efficienti si svi-lupperebbe l’ipercolesterolemia con au-mento delle LDL, mentre nei soggetti

La genetica delle iperl ip idemie

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L’iperlipidemia familiare combinataFCHL

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che hanno un’attività lipoproteinlipasicafunzionalmente ridotta si manifesterebbel’ipertrigliceridemia con aumento dei trigli-ceridi VLDL. La mutevolezza del profilo li-pidico dello stesso soggetto può esserespiegata dalla concomitante influenza dialtri determinati metabolici, quali il diabe-te, l’obesità, l’ipotiroidismo, l’alcol o gliestrogeni.

Nel tentativo di comprendere imeccanismi patofisiologici alla basedella malattia, è stata estensivamentestudiata una delle stimmate più comunidella FCHL e cioè l’insulino-resistenza.I soggetti FCHL, anche se magri, pre-sentano un certo grado di insulino-resi-stenza; inoltre la capacità da parte del-l’insulina di sopprimere la lipolisi del

tessuto adiposo, è deficitaria nellaFCHL. Da molti tale difetto viene consi-derato il trigger per l’iperafflusso di acidigrassi liberi al fegato che a loro voltadeterminerebbero l’incremento dellaproduzione epatica di apoB e VLDL.

La terapiadell’iperlipidemiacombinata

La terapia delle forme combinatepresenta alcuni problemi legati essen-zialmente alla variabilità del fenotipo cli-nico nel tempo: anche se il disordineprevalente è l’aumento del colesteroloLDL e dei trigliceridi, i pazienti possono

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1 2 3 4 5 6 7

3 4 7 14 15 20 21 22 24 26

I

II

Figura 4

Parte rilevante di una famiglia con iperlipemia familiare combinata.Gli individui rappresentati da 4 quadrati vuoti sono non affetti. I quadrati pieni rappresentano(dall’alto a sinistra, in senso orario): TG>90th percentile, HDL-C<10th percentile, LDL-C>90thpercentile e apoB>90th percentile (in basso a sinistra).Da Aguilar Salinas, Arterioscler Thromb Biol, 17(1) January 1997: 72-82.

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sono consigliate perché tendono ad au-mentare i trigliceridi. L’associazioneconsigliata è quella di una resina con ifibrati, anche se bisogna superare i pro-blemi di compilante da parte del pazien-te; l’associazione statine e fibrati, an-che se razionalmente valida, non è con-sigliabile per il rischio di rabdomiolisi.

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Metabolismo delle lipoproteine

Recenti studi hanno consentito dichiarire ulteriori aspetti della via esoge-na ed endogena del metabolismo dellelipoproteine.

La via esogena

Il colesterolo e gli acidi grassi con-tenuti nella dieta vengono assorbiti dal-l’intestino e incorporati nei chilomicroniche, attraverso il circolo linfatico, entra-no in circolo. A livello del microcircolodel tessuto adiposo e del muscolo,l’apoC-II, presente nei chilomicroni, at-tiva la lipasi lipoproteica (LPL), un enzi-ma sessile che idrolizza i trigliceridi. Gliacidi grassi vengono depositati, sottoforma di trigliceridi, nell’adipocita, ovengono ossidati dalla cellula muscola-re. Dai chilomicroni residuano particelledi minori dimensioni, i remnant, che

contengono prevalentemente colestero-lo esterificato (CE). I remnant vengonorimossi dal circolo tramite i recettori“remnant” del fegato, che riconosconol’apoE. Il CE in essi contenuto vienetrasformato in colesterolo libero (CL) adopera di una lipasi acida lisosomiale. Ilpool epatico del colesterolo va incontroa diversi destini metabolici: viene tra-sformato in acidi biliari, eliminato cometale nella bile, incorporato nelle lipopro-teine di sintesi epatica (Fig. 1).

La via endogena

Le VLDL, o lipoproteine a bassissi-ma densità, vengono sintetizzate dal fe-gato e contengono l’apoB-100. Il meta-bolismo delle VLDL è analogo a quellodei chilomicroni. A seguito dell’attivitàdella LPL, le VLDL vengono trasformatein lipoproteine a densità intermedia (IDL).

Le IDL interagiscono con il recetto-re LDL del fegato. Le IDL danno luogo

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ll e ipoalfalipoproteinemie

L. Fusaro, A. Lombardi, J. Tagliabue, C. Vergani

Istituto di Gerontologia e GeriatriaUniversità degli Studi di Milano

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alle LDL, lipoproteine a bassa densità.L’apoB-100, presente sulle LDL, inte-ragisce con il recettore LDL, espressonel fegato e nei tessuti extraepatici, eciò porta all’internalizzazione delle lipo-proteine. Il colesterolo presente nel-l’epatocita modula la sintesi endogenadel lipide stesso. La rimozione dal cir-colo del C-LDL è dovuta per due terzial sistema recettoriale e per un terzo auna via alternativa, dipendente da re-cettori non saturabili e non modulabili,posti su cellule prevalentemente di tipomacrofagico, le scavenger cells. Que-sta via alternativa si attiva in presenza di

LDL modificate (per acetilazione, ossi-dazione ecc.). L’accumulo progressivodi esteri del colesterolo fa assumere al-la cellula scavenger un aspetto “schiu-moso” (foam cell ); la necrosi cellularecomporta la liberazione in situ del con-tenuto lipidico (Fig. 1).

Nel fegato la trasformazione bidire-zionale CL-CE è regolata dall’enzimaacyl-coenzyme A: cholesterol-acyl-

transferase (ACAT 2). Il pool epaticodel colesterolo è rappresentato, oltreche dal colesterolo di sintesi endogena,dal colesterolo delle lipoproteine che in-teragiscono con i recettori per i rem-

Le ipoalfal ipoproteinemie

150

HDLm

ACAT2CL CE

Ac. biliari SRB1

CL

CE

HDLn

Fegato Tessuti periferici

ACAT1CL CE

CERP(ABC1)

Recettore

VLDL IDL LDL LDL mod

Bile

RecettoriCETP

LPL LPL OX

LCAT

Figura 1

Aspetti del metabolismodelle lipoproteine.CL = colesterolo liberoCE = colesterolo esterificatoHDLn = HDL nativeHDLm = HDL matureACAT = acyl-coenzyme A:cholesterol-acyltransferaseSRB1 = scavenger receptor, class B, type 1LCAT = lecithin: cholesterol-acetyltransferaseCETP = cholesterol ester transferproteinLPL = lipoprotein lipaseCERP = cholesterol-effluxregulatory proteinABC1 = ATP-binding-cassette, type 1VLDL = very low density lipoproteinIDL = intermediate density lipoproteinLDL = low density lipoproteinLDL mod = LDL modificata

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nant, per le IDL, per le LDL e per le li-poproteine ad alta densità (HDL)(SRB1 - scavenger receptor, class B,

type 1). Il fegato sintetizza le HDL nati-ve (HDLn) che trasportano lipidi polari,

colesterolo libero e fosfolipidi e l’apoA-I.Le HDLn, che hanno una forma a di-sco, si trasformano nelle HDL mature(HDLm) per azione dell’enzima circo-lante lecithin: cholesterol-acetyltran-

L. Fusaro, A. Lombardi , J . Tagl iabue, C. Vergani

151

Figura 2

Ruolo della Cholesterol Efflux Regulatory Protein (CERP) e formazione delle HDL mature.La ATP-Binding Cassette transporter 1 gene (ABC-1) codifica la CERP, che consente l’efflusso di colesterolo dalla membrana plasmatica a doppio strato delle cellule. Nel liquido extracellularel’apoA-I sequestra il colesterolo. Successivamente il colesterolo libero viene esterificato ad operadella lecithin: cholesterol acetyl-transferase (LCAT) e ciò consente la formazione delle HDL mature di forma sferica. Le HDL mature interagiscono con lo Scavenger Receptor Class B, type 1 (SRB 1).All’interno della cellula il colesterolo libero proviene dalla neosintesi o dal pool del colesteroloesterificato. La CERP è formata da due set di sei domini transmembrana, da una regione idrofobica e da due domini ABC intracitoplasmatici (Owen 1999).

Colesterolo libero

Fosfolipide

Colesterolo esterificatoApo A-I Dominio ABC Pool del

colesteroloesterificato

Sintesi del colesterololibero

CERP (regione idrofobica)

Apo A-I

HDL nativa

HDL matura

Uptake delcolesteroloesterificato

tramite SRB1

SRB1 = Scavenger Receptor type B1

Spazio extracellulare

Spazio intracellulare

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sferase (LCAT), che esterifica il cole-sterolo trasferendo un acido grasso po-linsaturo in posizione 2 della lecitina algruppo idrossilico del colesterolo libero.L’apoA-I è un attivatore della LCAT. Laperdita del gruppo polare porta al tra-sferimento del CE nel core delle HDL,che assumono la forma sferica delleHDL mature (HDLm). In circolo si veri-fica un trasferimento tra HDLm, IDL eLDL del CE, mediato dalla cholesterol

ester transfer protein (CETP).Il CL viene trasferito (Fig. 2) dai

tessuti periferici alle HDL tramite lacholesterol efflux regulatory protein

(CERP), che è una proteina transmem-brana di 2201 aminoacidi codificata dalgene ATP-binding cassette, type 1

(ABC1), gene con 49 esoni sito sulcromosoma 21 (Langmann 1999,Owen 1999).

L’enzima acyl-coenzyme A: cho-

lesterol-acyltransferase (ACAT 1) re-gola la trasformazione CL-CE all’internodei tessuti periferici.

L’ipoalfalipoproteinemia

Secondo l’Expert Panel on Detec-tion, Evaluation, and Treatment of HighBlood Cholesterol in Adults (ATP III), ibassi livelli di C-HDL rappresentano unfattore di rischio maggiore per la coro-naropatia (coronary heart disease -CHD). Secondo M. Marcil et al (Marcil1999) il deficit di C-HDL è l’alterazionelipoproteica di più frequente riscontronei pazienti con coronaropatia precoce:nel 4% dei casi è la sola alterazione ri-scontrabile, nel 25% dei casi si associaad altre alterazioni lipoproteiche.

Le ipoalfal ipoproteinemie

152

Cause di bassi livelli di HDL

Insulina resistenza

Diabete mellito tipo II

Elevati livelli di trigliceridi

Sindrome metabolica

Sovrappeso e obesità

Inattività fisica

Fumo di sigaretta

Elevato introito di carboidrati

Uso di farmaci (β-bloccanti, steroidi anabolizzanti, progestinici)

Tabella 1

Principali cause di bassilivelli di HDL (da ATP III,modificato).

1225/01 capitolo 6 29-05-2002 15:17 Pagina 152

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La Tabella 1 riporta le principalicause dei bassi livelli di HDL.

Il colesterolo non HDL (C-LDL+C-VLDL) è un nuovo parametro intro-dotto dall’ATP III che deve essere presoin considerazione in presenza di ipertri-gliceridemia (trigliceridi >150 mg/dl),poiché è indicativo del metabolismo deitrigliceridi. Si ottiene sottraendo al co-lesterolo totale (CT) il C-HDL (CT-C-HDL); nel normale è pari al l ivelloideale di C-LDL+30 mg/dl. L’ATP IIIclassifica come bassi i livelli di C-HDL

inferiori a 40 mg/dl e come alti i livelli diC-HDL superiori a 60 mg/dl. Un alto li-vello di C-HDL è un fattore negativoper la CHD, annulla, cioè, la presenzadi un fattore di rischio positivo.

Le forme primitive di ipoalfalipo-proteinemie sono classificate (Brewer2001) nel seguente modo:

1) Ipoalfalipoproteinemia associataa un aumentato rischio di malattia car-diovascolare precoce:• alterazioni del gene dell’apoA-I;• ipoalfalipoproteinemia familiare;

L. Fusaro, A. Lombardi , J . Tagl iabue, C. Vergani

153

Malattia Ipoalfalipoproteinemia Deficitdi Tangier familiare di LCAT

Trigliceridi mg/dl 137 122,8±33,8 530(vn: 55-150)

Colesterolo mg/dl 60 144,6±41 243totale(vn: 176-240)

Colesterolo mg/dl 104 98±28 15esterificato(vn: 120-170)

Col-HDL mg/dl 2 25,7±4,6 8(vn: 40-60)

Col-LDL mg/dl 32 116,2±38,2 198(vn: 76-145)

Col-VLDL mg/dl 27 23,4±5,4 37(vn: 12-29)

ApoA mg/dl Tracce 157±11,4 98(vn: 213-295)

ApoB mg/dl 110 67±17,6 41(vn: 43-135)

LCAT nm/ml/h 15,2 17± 4,2 Non (vn: 19,6±6,5) dosabili

Tabella 2

Dati biochimici principaliin soggetti conipoalfalipoproteinemiafamiliare, malattia diTangier, deficit familiaredi LCAT (Vergani 1981,Roma 1990, Vergani1983, Pietrini 1985,Vergani 1984).

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• sindrome dell’ipertrigliceridemia-ipo-alfalipoproteinemia.

2) Ipoalfalipoproteinemia non asso-ciata a un aumentato rischio di malattiacardiovascolare precoce:• malattia di Tangier;• defici di LCAT.

Vengono qui riportate le principalicaratteristiche cliniche e bioumorali del-l’analfalipoproteinemia (malattia di Tan-gier), dell’ipoalfalipoproteinemia familia-re e del deficit familiare di LCAT, con ri-ferimento a una casistica personale(Vergani 1981; Roma 1990; Vergani1983). La Tabella 2 riassume i dati bio-chimici principali delle tre forme di disli-pidemia.

La malattia di Tangier

Descritta per la prima volta nel1961 da Donald Fredrickson, trae lasua denominazione dall’isola di Tangier,posta di fronte alla costa atlantica degliStati Uniti, dove è stato osservato il pri-mo paziente. La malattia di Tangier è undisordine genetico autosomico recessi-vo, caratterizzato dall’accumulo di esteridel colesterolo nei linfonodi, nelle tonsil-le, nel fegato, nella milza, nell’intestino,nelle cellule di Schwann (Fig. 3).

Il quadro lipidico è caratterizzato dabassi livelli del CT, con normale per-centuale di colesterolo esterificato, dalivelli normali o aumentati dei trigliceridi.

Le ipoalfal ipoproteinemie

154

Figura 3

Biopsia di nervoperiferico del soggettoaffetto da malattia diTangier. Si osserval’accumulo di lipidi nellecellule di Schwann(Vergani et al 1986).

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Il C-HDL, le apoA-I e A-II sono moltobassi o pressoché assenti.

Sono stati riportati circa 40 casi.Nel 1983 Vergani et al (Pietrini 1985,Vergani 1984) hanno descritto il primocaso italiano di malattia di Tangier. Il pa-ziente A.Z., di sesso maschile, di anni62, presentava neuropatia periferica,con interessamento anche del VII nervocranico, perdita della sensibilità dolorifi-ca e termica, tonsille giallo-biancastre esplenomegalia. La bile epatica e coleci-stica del paziente mostrava un bassoindice di saturazione (Tab. 3).

Di recente, in soggetti con deficittotale o parziale di HDL sono state ri-scontrate mutazioni del gene ABC-1(Marcil 1999, Brook-Wilson 1999,Rust 1999). La CERP, codificata dalgene ABC-1, viene espressa nel fega-to, nell’intestino, nel polmone, nella pla-centa. Un’alterazione della CERP, oltrea un ridotto trasporto centripeto del co-

lesterolo dai tessuti periferici al fegato,comporta una mancata trasformazionedelle HDLn in HDLm e un acceleratocatabolismo delle apoA-I (Marcil 1999,Young 1999).

S. Calandra et al hanno esaminato ilDNA genomico del fratello con ipoalfali-poproteinemia del paziente (A.Z.) affettoda malattia di Tangier. In uno dei due genicodificanti per l’ABC-1 è stata riscontra-tauna mutazione dell’introne 2. Tale mu-tazione comporta una transversione G�Ccon completa eliminazione dell’esone 2.La proteina codificata, mancante di circa60 aminoacidi, va incontro a una rapidadegradazione (Altilia et al 2001).

Ipoalfalipoproteinemia

familiare

L’ipoalfalipoproteinemia familiare èuna sindrome che si trasmette con ca-

L. Fusaro, A. Lombardi , J . Tagl iabue, C. Vergani

155

Bile epatica Bile cistica

Acidi biliari (%) 75 81,8(71±67) (73±7)

Colesterolo (%) 2,4 3,5(6,6±1,5) (6,8±1,4)

Fosfolipidi (%) 22,6 14,7(22,4±5,2) (20,2±4,9)

Indice di saturazione 0,46 0,63(1,13±0,28) (1,01±0,23)

Tabella 3

Composizione lipidica e indice di saturazionedella bile epatica e della bile cistica in un soggetto affetto da Malattia di Tangier(Vergani 1984). Tra parentesi i valorinormali ±1 D.S.

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rattere autosomico dominante. I criteridi definizione sono i seguenti:

1) C-HDL inferiore al 10° percen-ti le della popolazione normale (33mg/dl);

2) assenza di condizioni a cui l’ipo-alfalipoproteinemia possa essere se-condaria;

3) presenza di ipoalfalipoproteine-mia in un parente di primo grado.

È una sindrome che comportaun’alta incidenza di infarto miocardicoprecoce e morte improvvisa. Nella fami-glia da noi descritta (Fig. 4), l’età mediadi comparsa degli eventi coronaricimaggiori (infarto miocardico, morte im-

provvisa) è di 41 anni. I livelli di CT etr igl icer idi, l ’att iv i tà del le l ipasi edell’LCAT sono nella norma, mentresono bassi i livelli di C-HDL e di apoA-I(Vergani 1981). L’eziologia della malat-tia è probabilmente da attribuire aun’alterazione del gene ABC-1.

La Figura 5 indica il catabolismodell’apoA-I autologa in un soggetto conipoalfalipoproteinemia familiare e in unsoggetto normale.

Il residence time dell’apoA-I auto-loga del soggetto con ipoalfa familiare(soggetto II-4 del pedigree della Figura4) è diminuito, mentre la sintesi del-l’apoproteina è normale (Roma 1990).

Le ipoalfal ipoproteinemie

156

1 2

†57 anni

54321

39 anni44 anni

4 5321

10 11

†49 anni

8 953 4

†51 anni

6 7

†58 anni

14

48 anni

13121110

†51 anni

98

†36 anni

76 1615 1817

76 98 10 1211 13

I

II

II ?

??

? ? ?

? ?

Normali Non valutati?Deceduti

HDL-C≤33 mg/dlInfarto miocardico, morte

Figura 4

Albero genealogico di una famiglia con ipoalfalipoproteinemia familiare (Vergani et al 1981).

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Il deficit familiare di LCAT

Il deficit familiare di LCAT, descrittoper la prima volta nel 1967 da Gyone eNorum, si trasmette con carattere auto-somico recessivo. Sono presenti opaci-tà corneale, anemia con cellule a ber-saglio e nefropatia con albuminuria do-vuta a deposizione di LDL anomale neiglomeruli (Fig. 6). Nei soggetti con de-ficit familiare di LCAT i livelli del CT edei trigliceridi sono alti o normali, men-tre il livello del CE è molto basso. LeHDL presentano alla microscopia elet-tronica la forma a disco propria delleHDLn (Fig. 7). Esiste anche una va-riante fenotipica del deficit di LCAT, no-

ta come fish-eye disease. In questi ca-si è presente un’accentuata opacitàcorneale con l’aspetto “a occhio di pe-sce” (da ciò il nome della malattia)mentre sono assenti l’anemia e l’insuf-ficienza renale (Vergani 1983).

Terapia della ipoalfalipoproteinemia

La terapia dell’ipoalfalipoproteine-mia secondaria si avvale della correzio-ne della malattia sottostante. È impor-tante identificare la sindrome metaboli-ca, spesso associata all’ipoalfalipopro-teinemia secondaria, il cui primum mo-

L. Fusaro, A. Lombardi , J . Tagl iabue, C. Vergani

157

...............................

1,00

0,50

0,10

0,05

Fraz

ione

del

la d

ose

inie

ttata

Soggetti normali Soggetti ipoalfa

2

Tempo (giorni)

4 6 8 10 12 140

Figura 5

Curve di decadimentodell’apoA-I in un soggetto normale e in un soggetto affettoda ipoalfalipoproteinemiafamiliare. Nel soggetto conipoalfalipoproteinemia ilresidence time è ridotto(Roma, Vergani et al1990).

1225/01 capitolo 6 29-05-2002 15:17 Pagina 157

Page 156: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

vens è la resistenza periferica all’insuli-na (Tab. 4).

In presenza di ipertrigliceridemiacon bassi livelli di C-HDL è necessario:• ridurre i livelli di LDL (obiettivo prima-

rio) per impedire la deposizione di co-lesterolo nei tessuti periferici;

• controllare il peso;• aumentare l’attività fisica;• raggiungere livelli di colesterolo-non

HDL che non superano di 30 mg/dl i

livelli ideali di LDL, quando i trigliceridisono ≥200 mg/dl;

• prevenire l’insorgenza di pancreatiteacuta quando i livelli di trigliceridi so-no superiori a 500 mg/dl. In questocaso bisogna ridurre i trigliceridi primadi abbassare i livelli di LDL con dietaa basso contenuto di grassi (≥15%delle calorie totali), controllo del peso,attività fisica, uso di fibrati.

In presenza di bassi livelli di C-HDL

Le ipoalfal ipoproteinemie

158

Figura 6

Microscopia elettronicadi biopsia renale in unsoggetto con deficitfamiliare di LCAT. Sono presenti vacuoli eformazioni elettrondensecon materiale eosinofiloin regionesubendoteliale. Le cellule endotelialisono in parte staccatedalla membrana basale e i processi pedicillarisono parzialmente fusi(Vergani et al 1986).

1225/01 capitolo 6 29-05-2002 15:17 Pagina 158

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(<40 mg/dl) è necessario:• riportare a l ivell i normali le LDL

(obiettivo primario);• controllare il peso;• intensificare l’attività fisica;• controllare i livelli di colesterolo-non

HDL, quando i livelli dei trigliceridi so-no compresi tra 200-499 mg/dl;

• somministrare fibrati nei pazienti conCHD o con equivalenti CHD, quandoi l ivell i dei trigliceridi sono >200mg/dl.

L. Fusaro, A. Lombardi , J . Tagl iabue, C. Vergani

159

Figura 7

Microscopia elettronicadelle HDL native a formadi disco di un soggettocon deficit familiare diLCAT (Vergani et al1983).

Obesità addominale Circonferenza della vitaUomini >102 cmDonne >88 cm

Trigliceridi ≥150 mg/dl

Colesterolo HDLUomini <40 mg/dlDonne <50 mg/dl

Pressione arteriosa ≥130 / ≥85 mmHg

Glicemia basale ≥110 mg/dl

Tabella 4

Criteri perl’identificazione dellasindrome metabolica (da ATP III, modificato).

1225/01 capitolo 6 29-05-2002 15:17 Pagina 159

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Le ipoalfal ipoproteinemie

160

1225/01 capitolo 6 29-05-2002 15:17 Pagina 160

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È ormai ampiamente documentatoche la malattia cardiovascolare del-l’adulto ha le sue radici nell’infanzia. Ilproblema della prevenzione dell’atero-sclerosi in età pediatrica è oggetto diampio dibattito: numerosi studi indicanoche il processo aterosclerotico inizia inetà pediatrica ed è correlato ai valori dicolesterolemia, che valori elevati di co-lesterolo in età pediatrica sono predittividi valori elevati in età adulta, e infineche i valori di colesterolemia sono cor-relati all’intake lipidico, specie di grassisaturi e di colesterolo. Per quanto nonvi siano dati che correlino direttamente ilivelli di colesterolo nel bambino con lamalattia cardiaca dell’adulto, vi sonoforti evidenze che questa associazioneesista. I bambini a rischio di sviluppo diaterosclerosi precoce nell’età adulta inquanto ipercolesterolemici dovrebberoessere identificati precocemente. Gliesperti ritengono che i bambini con li-velli di colesterolo superiori al 75° per-centile dovrebbero essere considerati

ipercolesterolemici e potenzialmente arischio per malattia cardiaca nell’adulto.Per quanto molti esperti ritengano cheanche l’ipertrigliceridemia sia un fattoredi rischio per cardiovasculopatia (CAD)precoce, il rischio è meno definito ri-spetto a quello associato all’ipercole-sterolemia.

L’idea di un intervento preventivoprecoce finalizzato alla riduzione dei va-lori di colesterolemia mediante una ri-duzione dell’apporto di lipidi nella dietasi basa dunque su evidenze indirette;essa ha dominato le raccomandazionidella maggior parte dei gruppi di con-senso, primo fra tutti l’American Acad-emy of Pediatrics (AAP), che forniscele Linee Guida per la prevenzione del-l’aterosclerosi in età pediatrica. Le piùrecenti Linee Guida Italiane sono stateformulate dalla Società Italiana di Nutri-zione Pediatrica (SINUPE), sotto lapresidenza di M. Giovannini, e sonostate pubblicate sulla Rivista Italiana diPediatria nel 2000.

161

aa lterazioni lipidiche in etàpediatrica: diagnosi, Linee Guida e trattamento

S. Decarlis, E. Riva

Clinica Pediatrica Ospedale San PaoloUniversità degli Studi di Milano

1225/01 capitolo 7 29-05-2002 15:16 Pagina 161

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La diagnosi

Lo screening “universale”, ovvero ladeterminazione routinaria dei valori dicolesterolemia in tutti i soggetti in etàpediatrica, oltre a risultare costoso, nonè attualmente consigliabile. Con unoscreening “universale” potremmo sicura-mente identificare tutti i soggetti affettida dislipidemia grave su base genetica,ma in tal modo verrebbero anche sele-zionati e di conseguenza trattati inutil-mente, con pericolose conseguenze psi-cologiche e con il rischio di carenze nu-trizionali, un numero non trascurabile disoggetti con valori borderline e rischiocardiovascolare ridotto o poco aumenta-to: il riscontro occasionale di ipercole-sterolemia in un bambino ha un notevoleimpatto psicologico sui genitori, chespesso sottopongono i figli a diete ipo-lipidiche non controllate; tali bambinivengono etichettati come malati da ge-nitori e compagni, i loro stessi pediatrispesso richiedono una dieta speciale perla mensa scolastica, e la loro dieta pre-senta frequentemente carenze nutrizio-nali. Oltre a ciò, con uno screening uni-versale tutti i soggetti risultati “negativi”,poiché con valori di colesterolemia totalenella norma, verrebbero rassicurati, econ essi anche quelli con rischio cardio-vascolare elevato poiché provenienti da

famiglie a rischio, e quelli portatori diipo-alfa-lipoproteinemia, obesità o altredislipidemie non identificabili con la soladeterminazione della colesterolemia.

L’Expert Panel on Blood CholesterolLevels in Children and Adolescents delNational Cholesterol Education Programe l’AAP Committee on Nutrition consi-gliano che ai bambini con anamnesi fa-miliare positiva per ipercolesterolemia(>240 mg/dl) venga misurato il livello dicolesterolo totale; bambini con anam-nesi familiare incompleta o non disponi-bile, o presenza di altri fattori di rischioper CAD, dovrebbero essere esaminatia discrezione del loro pediatra.

Secondo le Linee Guida della SINUPE,la determinazione del quadro lipidicodeve essere effettuata in tutti i bambiniconsiderati a rischio in quanto apparte-nenti ad almeno una delle seguenti ca-tegorie:• bambini e adolescenti appartenenti a

famiglie con almeno 1 parente di I o IIgrado (1 genitore o 1 nonno) con evi-denze di CAD precoce (prima dei 55anni di vita); per CAD precoce si in-tendono sia gli eventi acuti quali infar-to miocardico, angina pectoris, ictuscerebri, ischemie cerebrali, vasculo-patie periferiche o morte improvvisa,sia la documentazione di un’atero-sclerosi coronarica mediante corona-

Alteraz ioni l ip id iche in età pediatrica : d iagnosi , L inee Guida e trattamento

162

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rografia, o il trattamento con angio-plastica o by-pass aortocoronarico;

• bambini e adolescenti con almeno 1genitore con valori di colesterolo tota-le superiore a 240 mg/dl, o ipertrigli-ceridemia grave (>300 mg/dl) o valo-ri ridotti di HDL (<35 mg/dl) (chie-dendo di visionare direttamente i va-lori del quadro lipidico dei genitori);incoraggiare il genitore che non co-nosce il proprio assetto lipidico a ese-guirne una determinazione;

• bambini e adolescenti con anamnesifamiliare dubbia o scarsa e incomple-ta che presentino fattori di rischio ag-giuntivi quali:– obesità;– ipertensione arteriosa;– fumo di sigaretta;– sedentarietà;– abitudini alimentari particolarmente

scorrette.Lo screening dei soggetti a rischio

si basa pertanto principalmente sul-l’anamnesi familiare: dovrà essere inda-gato un bambino con familiarità positivaper ipercolesterolemia o CAD precoce;in realtà l’anamnesi familiare, se non èben condotta, ha una sensibilità scarsanell’identificare i soggetti a rischio: talo-ra genitori e nonni sono troppo giovaniper aver manifestato una cardiovasculo-patia, talora la storia familiare è incom-

pleta o poco chiara, specie nel caso digenitori separati; molto spesso i genitorinon conoscono o non ricordano il pro-prio quadro lipidico, o sono inattendibili;spesso, richiedendo il reperto scritto delquadro lipidico dei genitori, si osservanovalori di colesterolo totale e LDL moltopiù alti di quanto dichiarato, o si scopreun’ipo-alfa-lipoproteinemia (i valori ri-dotti di HDL costituiscono una precisaforma di dislipidemia con rischio elevatodi CAD) o un’ipertrigliceridemia. La rac-colta anamnestica deve dunque essereprecisa e accurata.

Lo screening selettivo resta co-munque il metodo preferibile per duemotivi: da un lato, per i soggetti appar-tenenti a famiglie senza rischio elevatodi CAD è sufficiente intraprendere unintervento a partire dall’età adulta; dal-l’altro, le indicazioni dietetiche che do-vrebbero essere fornite a tutta la popo-lazione sono comunque valide comeprimo livello di intervento anche nelbambino ipercolesterolemico.

Livelli plasmatici di lipidi

dall’età pediatrica

all’età adulta

Durante i primissimi mesi di vita i li-velli di colesterolo aumentano, in gran

S. Decarl is , E . R iva

163

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parte a causa delle modificazioni delleLDL. Nel corso dei successivi 15-20anni, sia nei maschi che nelle femmine,c’è scarsa variazione dei livelli di cole-sterolo totale; il valore medio fluttua in-torno a 150-165 mg/dl. Durante que-sto periodo i livelli medi di colesterolo-LDL rimangono leggermente inferiori a100 mg/dl, sia nei maschi che nellefemmine. Nelle fasi precoci della vita ivalori di colesterolo-HDL sono parago-nabili nei maschi e nelle femmine; ri-mangono essenzialmente costanti nellefemmine, mentre diminuiscono marca-tamente nei maschi durante la secondadecade, fino a un livello che viene con-servato nell’età adulta. I livelli plasmaticidi trigliceridi, al contrario, tendono adaumentare transitoriamente, sia nei ma-schi che nelle femmine, durante il primoanno, cadono in media a 50-60 mg/dlnegli anni seguenti, aumentano poi finoa una media di 75 mg/dl circa entro i20 anni d’età. All’inizio dell’età adulta siverifica un marcato aumento del cole-sterolo plasmatico, dovuto quasi esclu-sivamente a un aumento del colestero-lo-LDL. La velocità di incremento du-rante i successivi 30 anni è maggiorenei maschi r ispetto al le femmine.Quando esso si associa alla diminuzio-ne dei livelli di colesterolo-HDL, pone imaschi a rischio molto maggiore delle

femmine per cardiopatia ateroscleroti-ca, almeno fino alla menopausa. A cau-sa delle variazioni dei lipidi con l’età, èmolto più appropriato utilizzare tabelle dipercentili età- o sesso- specifici quandosi confrontino livelli tra diversi soggetti eper lunghi periodi di tempo, piuttostoche considerare solamente i livelli di co-lesterolo totale.

L’alterazione del metabolismo lipidi-co di più frequente osservazione in etàpediatrica è l’elevazione dei valori di co-lesterolo totale e LDL; le alterazioni deivalori di trigliceridi su base genetica dif-ficilmente hanno piena espressione bio-chimica già dall’età pediatrica. I bambinipossono avere livelli di colesterolo mo-deratamente aumentati per varie ragio-ni. Alcuni difetti genetici primitivi posso-no essere associati solo a lievi alterazio-ni dei livelli lipidici ematici. Inoltre, esi-stono cause secondarie di iperlipopro-teinemia che devono essere prese inconsiderazione. Infine, abitudini dieteti-che inappropriate, da sole o mediantel’interazione con uno qualsiasi dei fattoriprecedenti, possono contribuire ad au-mentare moderatamente i livelli di cole-sterolo. Sebbene alcuni bambini soffra-no di un’iperlipidemia familiare ben defi-nita, la maggior parte degli individui coniperlipidemia, sia in età pediatrica che inetà adulta, non ha una sindrome speci-

Alteraz ioni l ip id iche in età pediatrica : d iagnosi , L inee Guida e trattamento

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fica, ma un’alterazione del metabolismolipidico data dall’interazione di svariatifattori, sia genetici che ambientali, edenominata pertanto ipercolesterolemiapoligenica (PH). Inoltre, sebbene in etàadulta i soggetti con iperlipidemia ab-biano un rischio aumentato di malattiacardiaca, non tutti gli individui iperlipide-mici presentano clinicamente una ma-lattia cardiaca.

Valutazione clinica

Nella Tabella 1 sono indicati i valoridel quadro lipidico da considerare ac-cettabili, borderline, associati a rischiointermedio o a rischio elevato in bambi-ni e adolescenti sottoposti allo screen-ing. Il valore di colesterolo LDL costitui-sce un indice di rischio cardiovascolarepiù attendibile in età pediatrica rispettoalla colesterolemia totale.

I bambini appartenenti alle famigliea rischio che dopo due determinazionipresenteranno valori accettabili del

quadro lipidico (colesterolemia totale<180 mg/dl e LDL<110 mg/dl) do-vranno essere rivalutati dopo 5 anni, eciò al fine di evitare che si ingeneri uninopportuno stato di ansia nella famiglianei confronti dello stato di salute di unbambino – almeno al momento – deltutto sano; nel frattempo dovranno es-sere fornite alla famiglia le indicazioniper un’alimentazione corretta ed equili-brata e per la prevenzione dei fattori dirischio secondari.

In presenza di valori borderline(colesterolemia LDL tra 110 e 130mg/dl), verranno fornite le medesimeindicazioni dietetiche, sottolineandol’importanza del potenziamento dell’atti-vità fisica e del mantenimento del pesocorporeo ideale. La rivalutazione delquadro lipidico è consigliabile dopo 1anno. Se dopo 1 anno i valori risulte-ranno ancora alterati, in caso di familia-rità per CAD precoce sarà necessarioinviare il soggetto a un centro clinico diriferimento con esperienza in dislipide-mie pediatriche e nutrizione clinica, per

S. Decarl is , E . R iva

165

Colesterolo totale Colesterolo LDL

Accettabile <180 mg/dl <110 mg/dl

Borderline 180-199 mg/dl 110-129 mg/dl

Rischio intermedio 200-249 mg/dl 130-159 mg/dl

Rischio elevato ≥250 mg/dl ≥160 mg/dl

Tabella 1

Categorie ottenute dallo screening delquadro lipidico.Da: SINUPE 2000.

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l’inquadramento, l’approfondimentodiagnostico e l’approccio terapeutico.

Se i valori di colesterolemia risulte-ranno nel range di rischio intermedioo elevato (colesterolo totale superiorea 200 mg/dl e frazione LDL superiorea 130 mg/dl), sarà opportuno effettua-re un approfondimento volto a esclude-re la presenza di una forma secondariadi dislipidemia. Le cause secondarie didislipidemia sono elencate nella Tabella2. Parallelamente sarà opportuno esa-minare anche gli altri membri della fa-miglia, qualora questo non sia ancorastato fatto.

Una volta escluse le forme secon-darie e accertato che si tratta di una di-

slipidemia primitiva, il soggetto a rischiointermedio o elevato e con familiaritàper CAD precoce, così come il sogget-to con rischio elevato e familiarità posi-tiva per ipercolesterolemia, dovrà esse-re indirizzato a un centro clinico conesperienza in dislipidemie pediatriche enutrizione clinica.

Se la familiarità è positiva per iper-colesterolemia ma non per cardiovascu-lopatia precoce e il quadro lipidico delsoggetto si situa nella categoria a ri-schio intermedio, si potrà comunqueeffettuare un primo intervento dieteticoed educazionale e rivalutare il quadro li-pidico dopo 6-12 mesi. In caso di per-sistenza di ipercolesterolemia nella ca-

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Ipotiroidismo

Sindrome nefrosica

Uremia

Disglobulinemie

Lupus eritematoso sistemico

Ipopituitarismo

Sindrome di Cushing

Iperlipemia diabetica e diabete mellito

Terapia con glucocorticoidi, con estrogeni, alcolismo

Glicogenosi

Lipodistrofie

Insufficienza epatica

Colestasi

Porfiria acuta intermittente

Tabella 2

Cause di dislipidemiasecondaria.Da: SINUPE 2000.

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tegoria a rischio intermedio, sarà oppor-tuno inviare il bambino al centro di rife-rimento.

Ogni bambino con valori del quadrolipidico a rischio elevato deve inveceessere inviato a un centro di riferimentofin dalla prima diagnosi.

Nella figura 1 è riportato l’algoritmoper l’identificazione e il trattamento deisoggetti a rischio.

Inquadramento nosografico

delle principali forme di

dislipidemia con espressione

in età pediatrica

L’innalzamento dei valori di coleste-rolo totale plasmatico è il fenotipo bio-chimico di più frequente riscontro in etàpediatrica; le altre forme genetiche didislipidemia associate a ipertrigliceride-

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PROFILO LIPIDICO: CT+TG+HDL+LDL (derivato)

Esclusione di cause secondariedi dislipidemia

Screening dei familiari

borderline intermedio o elevato

Consigli dieteticiMantenimento peso ideale

Stile di vita “sano”

Controllo dopo 6-12 mesi

Consultare un centro pediatrico

di dislipidemie

Rinforzodei consigliControllo

dopo 1 anno

Dislipidemiasecondaria

Dislipidemiaprimitiva

Familiarità negativaper CAD precoce

borderline intermedio o elevato

Consigli dieteticiMantenimento peso ideale

Stile di vita “sano”

Rivalutazione dopo 1 anno

Familiarità positivaper CAD precoce

Consigli dieteticiMantenimento peso ideale

Stile di vita “sano”

Rivalutazione dopo 5 anni

accettabile

accettabile

≤rischio elevato

LDL 160 mg/dl

Familiarità negativaper CAD precoce

Cura dellapatologia di base

rischio intermedioLDL 130-159 mg/dl

intermedioo elevato

Figura 1

Algoritmo per l’identificazione e il trattamento dei bambini a rischio.Da: SINUPE 2000.

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mia o riduzione della frazione HDL han-no espressione solitamente dopo lo svi-luppo puberale.

Si può approssimativamente affer-mare che in presenza di 20 bambini conipercolesterolemia primitiva vi siano:• 1 soggetto affetto da ipercolesterole-

mia familiare (FH);• 3 soggetti affetti da iperlipidemia

familiare combinata (FCHL);• 16 soggetti affetti da ipercolesterole-

mia poligenica (PH), determinata dal-l’aggregazione di molteplici geni chesegregano indipendentemente, coneffetto lieve ma additivo, su cui si in-seriscono fattori ambientali che porta-no al fenotipo comune di ipercoleste-rolemia.

La diagnosi di ipercolesterolemiafamiliare (FH) può essere posta in etàpediatrica sulla base di criteri clinici eanamnestici ben precisi, oltre che conl’analisi genetica (costosa e non dispo-nibile in tutti i centri); il difetto, a tra-smissione autosomica dominante, èpresente nella popolazione generale incirca 1 soggetto su 500 nella formaeterozigote, e in 1 soggetto su 1 milio-ne nella forma omozigote. L’eterozigotepresenta valori di colesterolo totalecompresi fra 300 e 600 mg/dl nel-l’adulto (mediamente fra 250 e 350mg/dl nel bambino), derivante da un

aumento della sola frazione lipoproteicaa bassa densità (colesterolo LDL); l’er-rore risiede nella mutazione di un singo-lo gene che codifica per il recettore del-le LDL, deputato alla rimozione dal cir-colo di tali lipoproteine; il soggetto ete-rozigote presenta una riduzione variabiledell’attività recettoriale e un accumulodi LDL in diversi tessuti. Mentre la pri-ma decade di vita è priva di sintomi cli-nici e nei soggetti affetti si osserveràunicamente il rialzo dei valori di coleste-rolo totale e LDL, a partire dalla finedella seconda decade si inizieranno aosservare depositi a livello oculare (arcocorneale), cutaneo (xantomi cutanei exantelasmi), e tendineo (xantomi princi-palmente a carico del tendine d’Achil-le); la cardiovasculopatia ischemica simanifesterà clinicamente nei soggettinon trattati intorno ai 40 anni nell’uomoe intorno ai 50 nella donna. Il soggettoomozigote possiede invece un’attivitàrecettoriale pressoché nulla, livelli di co-lesterolo totale superiori a 600 mg/dl epotrà presentare sintomi clinici gravi an-che nella prima decade e quasi costan-temente nella seconda decade di vita,con elevata mortalità cardiovascolare senon trattato con LDL-aferesi.

Un’ipercolesterolemia in età pedia-trica si può riscontrare anche nei figli disoggetti affetti da iperlipidemia fami-

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liare combinata (FCHL), detta anchea fenotipi multipli, un’alterazione autoso-mica dominante piuttosto comune (fre-quenza stimata circa 1-2%) caratterizza-ta da espressioni fenotipiche diverse neidiversi membri della famiglia (infatti 1/3dei soggetti avrà ipercolesterolemia, 1/3ipertrigliceridemia, e 1/3 presenterà en-trambe); inoltre lo stesso soggetto puòpassare da un fenotipo all’altro in diver-se epoche della vita. Il colesterolo totaleraggiunge valori fra 200 e 300 mg/dl,mentre l’innalzamento dei trigliceridi ètra 200 e 400 mg/dl. Il difetto metaboli-co sottostante sembra essere un’au-mentata sintesi di VLDL da parte del fe-gato, da cui derivano LDL più piccole,dense e numerose, e pertanto più ate-rogene. Anche tale patologia si associaa maggiore incidenza di aterosclerosi,oltrecché a obesità, ipertensione e sin-drome da resistenza insulinica.

Un tipo relativamente nuovo di disli-pidemia, è l’elevazione dei livelli di lipo-proteina (a) o Lp(a), una lipoproteinacon struttura quasi identica alle LDL,ma che possiede in aggiunta un’apo-proteina, detta apo(a), con elevato gra-do di omologia con il plasminogeno. I li-vel l i di Lp(a) r isultano essere ge-neticamente determinati e poco influen-zati dalla dieta o dal trattamento con far-maci ipolipemizzanti. Livelli elevati di

Lp(a), superiori a 30 mg/dl, costituisco-no fattore di rischio indipendente perCAD precoce e accidenti cerebrovasco-lari, probabilmente a causa di un effettoprotrombogeno e antifibrinolitico. Sipossono pertanto trovare soggetti convalori di colesterolo totale e LDL entro ilimiti di norma, ma in cui la frazione LDLcontiene elevati valori di Lp(a) (superioria 30 mg/dl), e che pertanto sarannoesposti a un rischio significativamentepiù alto di aterosclerosi rispetto ai sog-getti normali.

Vi sono numerosi altri nuovi fattorigenetici e biochimici che contribuisconoad aggravare il rischio cardiovascolaredel soggetto dislipidemico, quali il feno-tipo dell’apolipoproteina E e dell’apoli-poproteina B, i livelli di omocisteina pla-smatica e molti altri.

Trattamento dieteticodell’iperlipidemia

Secondo l’AAP-Committee on Nu-trition, per i bambini iperlipidemici (cole-sterolo LDL medio >110 mg/dl) di etàsuperiore a 2 anni, il migliore interventoiniziale è la modificazione dietetica.L’apporto alimentare dovrebbe fornirenon più del 30% delle calorie totali co-me grassi (egualmente distribuiti tra sa-turi, monoinsaturi e polinsaturi) e non

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più di 100 mg di colesterolo/1.000 ca-lorie (totale massimo 300 mg/24 h).Questa è definita come “dieta prudente”o dieta Step I dall’American Heart As-sociation. L’AAP conferma queste rac-comandazioni e suggerisce anche un li-mite inferiore per l’apporto dei grassi(non meno del 20% delle calorie totali).Si raccomanda che questa dieta vengaadottata da tutti i membri della famigliasopra i 2 anni di età, per incoraggiareuna compliance ottimale e migliorare lasalute. L’obiettivo minimo della dieta èquello di ottenere livelli di colesteroloLDL<130 mg/dl, mentre l’obiettivoideale è di raggiungere livelli <110mg/dl. Se questi scopi non vengonoraggiunti anche dopo aver rinforzato ladieta Step I, dovrebbe essere presa inconsiderazione la dieta Step II (<7% dicalorie in acidi grassi saturi e <66 mg dicolesterolo/1.000 calorie, fino a unmassimo di 200 mg/24 h).

Le dietoterapie finora proposte esperimentate nel trattamento dell’iper-colesterolemia in età pediatrica sono ri-volte principalmente alla restrizione del-l’apporto lipidico totale e di grassi saturi,sottolineando in modo marginale la ne-cessità di mantenere un rapporto favo-revole tra acidi grassi saturi, mono e po-linsaturi, soprattutto essenziali; sta oraemergendo il ruolo degli acidi grassi in-

saturi sulla regolazione di aggregabilitàpiastrinica, pressione arteriosa, metabo-lismo glucidico, funzione immunitaria, e,nel bambino, sullo sviluppo neuromoto-rio; nelle diete ipolipidiche spesso si os-serva una riduzione della quota di insa-turi assunti, che potrebbe portare, oltreche alle carenze di acidi grassi essen-ziali, anche a un effetto sfavorevole sulquadro lipidico e sugli altri fattori di ri-schio cardiovascolare. Diversi autorihanno suggerito l’opportunità di stu-diare in modo più approfondito dellediete centrate sulla modifica qualitativa,anziché quantitativa, della quota lipidicaassunta; un’ipotesi interessante riguar-da l’aumento della quota di monoinsatu-ri, che sembrerebbero avere effetto sulmiglioramento del rapporto LDL/HDL.

L’obiettivo principale da raggiungerenel trattamento dietetico dell’ipercole-sterolemia del bambino, è quello di in-staurare delle abitudini alimentari corret-te che abbiano le maggiori probabilità dimantenersi nel tempo, fino all’età adul-ta. Le modifiche devono essere princi-palmente qualitative, volte ad ampliare ilpiù possibile la scelta delle diverse cate-gorie di alimenti; di per sé, solo pochis-simi alimenti devono considerarsi vietati,tutti sono necessari purché assunti conuna frequenza adeguata.

Secondo le raccomandazioni della

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SINUPE, la dieta ideale dovrebbe averele seguenti caratteristiche:• il 12-14% delle calorie totali costituito

da proteine (con un rapporto tra pro-teine animali e vegetali di circa 1:1);

• il 60% circa delle calorie totali costi-tuito da carboidrati, principalmente ditipo complesso (rapporto ideale 3:1fra complessi e semplici);

• quota lipidica inferiore al 30%, manon al di sotto del 25%, delle calorietotali giornaliere;

• quota lipidica correttamente suddivisafra acidi grassi saturi, monoinsaturi epolinsaturi: sarebbe ottimale un ap-porto di saturi inferiore al 10%, dimonoinsaturi fra il 10 e il 15% e dipolinsaturi fra il 5 e il 10% delle calo-rie totali giornaliere; gli acidi grassipolinsaturi devono essere associati aun adeguato apporto di antiossidanti,onde evitare la perossidazione lipidicacui essi sono particolarmente sensibi-li; questo significa utilizzare solo olivegetali polinsaturi cosiddetti “dieteti-ci” o “vitaminizzati”, cioè supplemen-tati con antiossidanti; ricordiamo chel’olio di oliva extravergine ne garanti-sce invece un apporto elevato;

• apporto giornaliero di colesterolo pre-feribilmente inferiore a 100 mg/1000calorie, e comunque non superiore a300 mg/die;

• apporto adeguato di fibre, che varia aseconda dell’età; negli Stati Uniti, perun calcolo rapido viene utilizzata laformula “Age+5” (grammi di fibreconsigliate al giorno=5+età del bam-bino in anni); riteniamo opportunoconsigliare una quota di fibre compre-sa fra età+5 ed età+10, per metà difibre solubili e per metà di insolubili.

Dal punto di vista pratico queste in-dicazioni dietetiche comportano l’as-sunzione quotidiana di 4 pasti principali(colazione, pranzo, merenda e cena) più1 spuntino; le calorie giornaliere vannoripartite correttamente: 20% tra cola-zione e spuntino, 40% a pranzo, 10%a merenda e 30% a cena.

È importante che ogni giorno sianopresenti:• 1 occasione in cui assumere latte o

yogurt, preferibilmente del tipo par-zialmente scremato (generalmente laprima colazione, in cui è consigliatoassociare cereali);

• almeno 2 occasioni in cui assumerefrutta e 2 in cui assumere verdura (inpezzi, non frullata);

• in 2 occasioni (pranzo e cena) assu-mere sempre un pasto completo concarboidrati complessi, lipidi e protei-ne, e, per evitare di sovraccaricare incalorie la cena, preferire a pranzo pa-sta o riso con secondo piatto e con-

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torno, mentre a cena un piatto unicoo una minestra.

I 14 secondi piatti settimanali do-vranno essere variati fra carne magra (3volte alla settimana), pesce fresco osurgelato (3-4 volte alla settimana), ric-co in DHA (pesce azzurro, merluzzo,salmone, tonno), evitando crostacei emolluschi, legumi (3-4 volte alla setti-mana) che – associati ai cereali in un“piatto unico” – sostituiscono non laverdura ma la carne, 1-2 volte alla set-timana formaggi “magri”, 1-2 volte allasettimana salumi quali bresaola o pro-sciutto crudo senza grasso, 1 volta allasettimana uovo.

Nella preparazione dei cibi è impor-tante consigliare di moderare il consu-mo di sale e di condimenti, preferendol’olio extravergine di oliva e la cottura alvapore, al forno, in umido, con pentola“antiaderente”.

La tradizionale dieta mediterraneacostituisce il modello ideale di dietaconsigliabile, che negli ultimi anni vieneproposta anche nei paesi con tradizionialimentari differenti, come gli Stati Uniti.

Quando si consiglia un interventodietetico, è importante spiegare che larisposta alla dieta è variabile e general-mente i livelli del colesterolo LDL nonscendono più del 10-15%. I genitori disolito hanno aspettative illusorie riguar-

do alla riduzione del colesterolo con ladieta, che limita la compliance quandola risposta risulta scarsa. Bisogna per-tanto spiegare che, anche se la rispostaal trattamento dietetico iniziale è limita-ta, le potenzialità insite nell’acquisireuno stile di vita salutare nell’alimenta-zione comportano diversi benefici a lun-go termine.

Le modificazioni della dieta sonoefficaci nel trattamento dell’iperlipide-mia negli adulti e nei bambini sopra i 2anni di età. Il Dietary Intervention Studyfor Children ha dimostrato l’efficacia ela sicurezza di una dieta a basso conte-nuto lipidico nei bambini ipercolestero-lemici. In ogni caso, deve essere sotto-lineato che queste raccomandazioni siintendono soltanto per i bambini oltre i2 anni di età.

Bambini sotto l’età di 2 anni sotto-posti a una dieta simile o più restrittivae bambini più grandi posti a diete piùrestrittive da genitori precisi e rigorosihanno mostrato uno scarso accresci-mento. I bambini sotto i 2 anni di etànecessitano di un maggiore apporto ca-lorico per permettere la loro rapida cre-scita. A causa dell’elevato apporto calo-rico fornito dai cibi grassi, è concreta-mente difficile per bambini minori di 2anni alimentarsi sufficientemente concibi poveri di grassi e ottenere una cre-

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scita normale. Inoltre, un maggiore ap-porto dietetico di acidi grassi può esse-re necessario per ottenere un adeguatosupporto di nutrienti necessari per il ra-pido sviluppo del sistema nervoso cen-trale. Ci dovrebbe essere sempre un’at-tenta supervisione per assicurare l’ade-guatezza di qualunque modificazionedietetica nei bambini. Quando il pedia-tra di famiglia non possieda l’esperienzae la formazione necessaria per fornireuna guida dettagliata per simili interven-ti nutrizionali, è indicato effettuare unprimo inquadramento da parte di un pe-diatra nutrizionista, in un centro clinicodi riferimento specifico per le dislipide-mie pediatriche. Prima di intraprendereun programma di screening, il medicodovrebbe assicurare la disponibilità ditale specialista per i suoi pazienti. Lacrescita e lo sviluppo di ogni bambinosottoposto a trattamento dietetico do-vrebbero essere monitorati e si dovreb-be riconsiderare la dieta specifica se lacrescita o lo sviluppo risultassero altera-ti. È anche importante spiegare al bam-bino e alla sua famiglia che l’ipercole-sterolemia durante l’infanzia è solamen-te un fattore di rischio e non una ma-lattia e si dovrebbero sottolineare gli at-teggiamenti positivi che il bambino e lasua famiglia possono attuare per ridurrei rischi.

Altri fattori dietetici

Una dieta ricca di fibre, soprattuttoquelle solubili, ha un modesto effetto diriduzione del livello di colesterolo neisoggetti ipercolesterolemici. Tuttavia, lediete ricche di fibre dovrebbero essereutilizzate con attenzione nei bambini,poiché essi necessitano di un adeguatoapporto calorico e di nutrienti.

Gli acidi grassi monoinsaturi riduco-no i livelli del colesterolo LDL, mentrenon modificano o fanno aumentare i li-velli del colesterolo HDL, a differenza diquanto si osserva con una dieta ricca inacidi grassi polinsaturi, che comportauna riduzione sia del colesterolo LDLche HDL. Gli acidi grassi trans (oli ve-getali parzialmente idrogenati), di co-mune riscontro nei cibi elaborati e nellemargarine, sembra facciano aumentarei livelli del colesterolo LDL, e forse an-che della lipoproteina (a).

Le diete vegetariane determinanoun’ampia e significativa riduzione del co-lesterolo, unitamente a una sostituzionedelle proteine animali con quelle vegetali ea una riduzione dei grassi e del contenutodi colesterolo nella dieta. Sebbene moltilavori abbiano dimostrato la sicurezza diuna dieta vegetariana nei bambini, si do-vrebbe prestare attenzione nel valutarne lacompletezza per lo sviluppo del bambino.

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Malgrado l’olio di pesce e gli anti-ossidanti abbiano scarsi effetti sui livellidel colesterolo, si è osservato che ridu-cono il rischio di CAD mediante altrimeccanismi (l’olio di pesce è utilizzatoanche nel trattamento dell’ipertrigliceri-demia grave). Tuttavia, poiché questesostanze sono frequentemente sommi-nistrate a dosaggi farmacologici, se nesconsiglia l’uso sui bambini in assenzadi ulteriori esperienze. Può essere inve-ce presa in considerazione una dietaricca di questi nutrienti. Per esempio,stimolare un idoneo apporto dietetico difrutta e verdura aiuterà a ottimizzare lerisorse naturali degli antiossidanti, comel’aumento dell’assunzione di pesce az-zurro garantisce un’ottima fonte di acidigrassi omega-3.

Stile di vita

Il trattamento medico dell’ipercole-sterolemia dovrebbe essere valutato nelcontesto degli altri fattori, quali lo stile divita e le condizioni correlate ai rischi perCAD, come l’inattività fisica, un’ecces-siva sedentarietà, il fumo, l’ipertensio-ne, l’obesità e il diabete. Questi dovreb-bero essere controllati, ridotti, o se pos-sibile eliminati. I bambini che continuanoad avere un fattore di rischio per la ma-

lattia coronarica precoce, come l’iper-lipidemia, dovrebbero ricevere massimaattenzione per cercare di minimizzaretutti gli altri fattori di rischio. Inoltre,molti di questi fattori di rischio sono traloro correlati, e quindi ridurne uno puòaiutare a ridurre gli altri (un aumentodell’attività fisica può far diminuirel’obesità, con conseguente riduzione dipressione arteriosa, livelli del colesteroloLDL e dei trigliceridi e, potenzialmente,riduzione del rischio per diabete mellitoinsulino indipendente, mentre aiuta an-che a far aumentare i livelli del coleste-rolo HDL).

Terapia farmacologica

Analogamente all’Expert Panel ofHyperlipidemia in Children, anche laSINUPE ha raccomandato di utilizzareuna terapia farmacologica nei bambinidi età superiore ai 10 anni, dopo unadeguato trial (1 anno) di terapia diete-tica, se:1) il colesterolo LDL rimane superiore a

190 mg/dl;2) il colesterolo LDL rimane superiore a

160 mg/dl ea) vi sia una familiarità per CAD (pri-

ma dei 55 anni di età) ob) persistano due o più fattori di ri-

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schio nel bambino o nell’adole-scente dopo energici tentativi dicontrollarli (diabete, ipertensione,fumo di sigaretta, bassi livelli di co-lesterolo HDL, obesità severa, inat-tività fisica).I farmaci che legano gli acidi biliari,

o “resine” (colestiramina o colestipol),sono generalmente i farmaci di prima li-nea per il trattamento dell’ipercolestero-lemia nel bambino. I farmaci che leganogli acidi biliari riducono primariamente ilcolesterolo LDL e non dovrebbero es-sere prescritti a pazienti con livelli di tri-gliceridi superiori a 300 mg/dl, poichéesacerbano l’ipertrigliceridemia. Questicomposti non assorbibili interrompono ilcircolo biliare entero-epatico attraversoil legame degli acidi biliari nell’intestinoe l’aumento della loro escrezione nellefeci. Da ciò deriva l’utilizzo del coleste-rolo epatico nella sintesi degli acidi bilia-ri e il secondario aumento dei recettoriepatici delle LDL. Come risultato si rea-lizza un aumento della cattura di LDLdal sangue e una riduzione dei livelliplasmatici di colesterolo LDL. È statariscontrata una riduzione del 10-20%dei livelli di colesterolo LDL con terapiacon colestiramina in bambini con iper-colesterolemia familiare e iperlipidemiafamiliare combinata. Tuttavia, si è otte-nuta una scarsa compliance a lungo

termine, a causa del gusto poco grade-vole del farmaco e dei disturbi gastroin-testinali quali nausea, flatulenza e stiti-chezza. In alcuni individui può esseretollerata anche una dose piena pari a0,6 g/kg/die suddivisa ai pasti princi-pali. Queste resine sono farmaci sicuriche non vengono assorbiti a livello si-stemico; tuttavia sono insolubili e devo-no essere sospesi in abbondanti liquidie sono perciò poco piacevoli da assu-mere. Vi sono recenti segnalazioni diuna migliore compliance e tollerabilità,di minore incidenza di effetti collaterali edi una buona efficacia con dosi inferiori,pari a di 8 g/die, indipendentementedal peso corporeo.

L’utilizzo a lungo termine delle resi-ne a scambio ionico non sembra inter-ferire con crescita e sviluppo puberale;tuttavia vi sono segnalazioni di riduzionedei livelli plasmatici di vitamine liposolu-bili e di acido folico, di cui sarebbe inibi-to l’assorbimento intestinale. Recentiosservazioni documentano solo una ri-duzione dei livelli plasmatici di colecalci-ferolo (vitamina D) nei bambini in tera-pia con colestiramina. L’acido folico in-vece è necessario per il metabolismodell’aminoacido omocisteina, i cui valorielevati sono un riconosciuto fattore dirischio indipendente per cardiovasculo-patia. I bambini ipercolesterolemici in

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trattamento con resine a scambio ionicopresentano livelli ridotti di folati serici edelevazione dei valori di omocisteina pla-smatica. Le attuali raccomandazionisuggeriscono perciò una supplementa-zione con acido folico e colecalciferoloin corso di terapia con resine.

Gli inibitori della HMG-CoA redutta-si (statine), per quanto non approvatiper l’uso nell’infanzia, sono stati utilizza-ti nei bambini con severa ipercolestero-lemia che non tolleravano o non aveva-no un’adeguata risposta ai farmaci le-ganti gli acidi biliari. L’HMG-CoA redut-tasi è un enzima che catalizza il passag-gio limitante la velocità di biosintesi delcolesterolo; l’inibizione di questo enzimariduce la sintesi di colesterolo e com-porta un aumento dei recettori epatici diLDL. Il Canadian Lovastatin ChildrenStudy ha dimostrato una riduzione del21-36% (risposta dose-correlata) nei li-velli di colesterolo LDL nei ragazzi conipercolesterolemia familiare trattati con10-40 mg/die di lovastatina. Non sonostati notati effetti collaterali severi nelperiodo di follow-up di 8 settimane.

I possibili effetti collaterali delle sta-tine includono disturbi gastro-intestinali,cefalea, disturbi del sonno, astenia e al-gie muscolari o articolari. Sono stati ri-portati rari casi di severa miopatia e per-sino rabdomiolisi in alcuni adulti trattati

con inibitori della HMG-CoA reduttasi. Ilrischio di una severa miopatia può au-mentare nei pazienti che assumono al-cuni altri farmaci, quali eritromicina,agenti antifungini, agenti immunosop-pressivi e derivati del clofibrato, quali ilgemfibrozil e la niacina. Le transaminasiepatiche dovrebbero essere monitoratenei pazienti che assumono le statine,ma è raro il riscontro di livelli elevati ditransaminasi (superiori a tre volte i livellinormali) nei bambini. Tuttavia, dal mo-mento che gli effetti a lungo terminedelle statine rimangono incerti, il rappor-to rischio-beneficio dell’uso di questifarmaci nei bambini dovrebbe essereconsiderato accuratamente. Essi vannoutilizzati con precauzione nelle ragazzecon possibile gravidanza, poiché non èpossibile escludere l’effetto teratogeno.Anche l’acido nicotinico è fre-quentemente utilizzato nell’adulto; tutta-via i suoi effetti collaterali (flushing, di-sturbi gastrointestinali, tossicità epatica)possono precluderne l’utilizzo nei bambi-ni. Il pediatra di famiglia dovrebbe inviarepresso centri specializzati tutti i bambinicandidati a una terapia farmacologica.

Sebbene la terapia farmacologicasia utilizzata comunemente nell’adultoper il trattamento dell’ipertrigliceridemia,è molto meno comunemente utilizzatanel bambino. I punti cardine della terapia

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nel bambino con ipertrigliceridemia sonola dieta, l’esercizio fisico e la perdita dipeso. Un esperto dovrebbe eseguireun’attenta analisi del rapporto rischio-beneficio dell’uso della terapia farmaco-logica nei casi di ipertrigliceridemia gra-ve con concomitanti complicazioni medi-che. Non ci sono attuali raccomandazio-ni formali a riguardo della terapia del-l’ipertrigliceridemia nell’infanzia.

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AA ttività ipocolesterolemichecon batteri lattici e bifidobatteri

V. Bottazzi

Istituto di Microbiologia e Centro Ricerche BiotecnologicheUniversità Cattolica di Piacenza e Cremona

All’inizio del XX secolo Metchnikoffsuggeriva, per la prima volta, che i lat-te-fermentati potessero controllare l’in-sorgenza di malattie alle coronarie.

Gli studiosi, nella gran maggioran-za, oggi concordano nel ritenere che unalto livello di colesterolo nel plasma tro-va associazione con l’aumento di rischiodi malattie coronariche.

Nel corso dell’ultimo secolo moltaattenzione è stata riservata alla possibi-lità di ridurre il livello di colesterolo delplasma attraverso la composizione delladieta.

Attivitàipocolesterolemichecon yogurt e altrilatte-fermentati

In questo contesto, diverse ricer-che hanno indicato che il livello di co-lesterolo del siero può essere ridottocon il consumo di latte-fermentati

(Hepner et al 1979, Thakur et al 1981).Molto significativi sono, a questo

proposito, i risultati delle ricerche diEyssen del 1973, con la dimostrazioneche animali germ-free accumulano nelsangue molto più colesterolo rispetto aquelli convenzionali.

Dall’esame della letteratura emer-gono tuttavia risultati non sempreconcordanti, ma questo non va di-sgiunto dal fatto che i composti ipo-colesterolemici possono variare con latipologia dell’alimento consumato econ le caratteristiche dei ceppi di mi-crorganismi utilizzati nei processi fer-mentativi.

Recentemente, yogurt e altri latte-fermentati sono stati indicati comeprodotti che contengono sostanze checontribuiscono ad abbassare il livello dicolesterolo del siero. Così, ad esem-pio, un’azione diretta viene attribuitaall’acido idrossimetilglutarico e all’aci-do orotico, mentre l’acido urico, pre-sente nel latte, è stato identificato co-

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me inibitore della sintesi del colestero-lo (Ward et al 1982).

Rimane di fondamentale importan-za lo studio che nel 1974 hanno con-dotto Mann e Spoerry, con l’inequivo-cabile dimostrazione che il consumo diuna buona quantità di latte fermentatoda parte delle tribù africane dei Masaicostituiva la ragione del mantenimentodel loro basso livello di colesterolo delsiero. Gli autori citati hanno inoltre ri-marcato che questo avviene pur risul-tando i Masai consumatori di una dietaricca in carne.

Con successivi studi e ricerche vie-ne anche dimostrato, sia per l’uomoche per gli animali, che l’attività ipoco-lesterolemica è evidente con la sommi-nistrazione di latte, ma lo è nettamentedi più con il consumo di latte-fermenta-ti, e da questo ne deriva l’indicazioneche un fattore ipocolesterolemico èpresente tra i metaboliti del processo difermentazione.

Da questo punto di vista, torna utile

tenere presente la composizione delloyogurt con differente contenuto di pro-teine e di carboidrati di partenza, comeriportato in Tabella 1.

L’acido idrossimetilglutarico si for-ma durante la fermentazione dello yo-gurt e secondo Nair e Mann, 1977,potrebbe essere considerato un fatto-re ipocolesterolemico. L’acido orotico(vitamina B13), che è pirimidina inter-mediario nella sintesi di acidi nucleici,durante la fermentazione diminuisceper circa il 50-60% (Navder et al1990) rispetto al valore iniziale dellatte e questo viene valutato positiva-mente perché induce equilibrio tra ifattori ipocolesterolemici; infine, sisottolinea che l’acido urico agisce co-me in ib i tore del la s intesi del co-lesterolo (Ward et al 1982).

A titolo di esempio, per dimostrarel’effetto ipocolesterolemico in personeadulte, in Tabella 2 vengono riportate levariazioni registrate da Jaspers et al,1984, che hanno operato con tre tipi di

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

180

% di nutrienti Acidità Concentrazione in ppm di

Proteine Carboidrati pH % acidità HMG* Acido Acidotitolabile orotico urico

4,0 6,1 4,20 1,13 180 23,2 16,83,8 6,4 4,34 1,12 156 17,3 15,24,2 7,0 4,65 0,90 115 28,2 18,2

* Acido idrossimetilglutarico

Tabella 1

Presenza in yogurt di alcuni componenti ad azioneipocolesterolemica.Da Jaspers et al 1984.

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yogurt, in quanto preparati con tre dif-ferenti colture di batteri lattici classiciper produrre yogurt, vale a dire conLactobacillus delbrueckii subsp. bul-

garicus e Streptococcus thermophi-

lus. L’inclusione di yogurt nella dietaporta, nella prima quindicina di giornidall’inizio della somministrazione, a unadiminuzione del colesterolo dell’ordinedel 10-12%, con una tendenza però alrientro, con il prolungamento della

somministrazione, ai valori del controllo.Dagli studi di Akalin et al, 1977,

emerge però un particolare molto im-portante, e cioè che il consumo di yo-gurt supplementato con Lactobacillus

acidophilus ha un effetto ipocolestero-lemico molto più evidente rispetto alloyogurt normale.

Operando con piccoli animali da la-boratorio trattati per 56 giorni con yo-gurt e con yogurt più Lactobacillus

V. Bottazz i

181

Tipo di yogurt e Colesterolo HDL colesterolo LDL colesterologiorni di consumo totale (mg/dl) (mg/dl) (mg/dl)

CHI0 189 44 1217 167 41 106

14 178 43 115

CHII0 182 48 1137 163 33 113

14 165 43 94

SHIII0 178 42 1187 173 41 114

14 156 42 95

Tabella 2

Concentrazione di lipidinel siero di adulti chehanno consumatoyogurt.

Indicazioni Colesterolo HDL LDL Trigliceridi(mg/dl) colesterolo colesterolo (mg/dl)

(mg/dl) (mg/dl)

Controllo 168 54 97 91

Yogurt 157 52 88 87

Yogurt+L. acidophilus 116 51 47 89

Tabella 3

Concentrazione di lipidinel siero di topi dopoconsumo di yogurt eyogurt+Lactobacillusacidophilus.

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acidophilus, sono stati ottenuti i risul-tati riuniti in Tabella 3.

Attivitàipocolesterolemica con Lactobacillusacidophilus

Lactobacillus acidophilus (Fig. 1)è uno dei microrganismi probiotici piùimportanti del gruppo dei batteri lattici,

è sempre presente nel contenuto inte-stinale dell’uomo e degli animali e di-verse sono le dimostrazioni che la suasomministrazione con l’alimento deter-mina abbassamento del contenuto incolesterolo del siero (Grunewald 1982,Gilliland et al 1985, Danielson et al1989, Buck et al 1994).

Lactobacillus acidophilus vienefrequentemente utilizzato nella prepara-zione di latte-fermentati, come acido-

philus milk, oppure viene associato a

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

182

Figura 1

Ceppo di Lactobacillusacidophilus isolato dalatte-fermentatoprobiotico.

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Page 181: 2002-Alterazioni-metaboliche-lipidiche

Lactobacillus delbrueckii subsp. bul-

garicus e Streptococcus thermophi-

lus per ottenere un fermentato con an-cora più elevate proprietà probiotiche.

È però da osservare che non tutti iceppi di Lactobacillus acidophilus ri-sultano a questo riguardo sufficiente-mente attivi. Allo scopo della loro utiliz-zazione in alimentazione umana diventafondamentale procedere a un accuratoaccertamento delle loro proprietà pro-biotiche. Con Lactobacillus acidophi-

lus l’attività ipocolesterolemica vienevalutata non solamente in funzione dellaproduzione di acido idrossimetilglutaricoo per la capacità di abbassare la quan-tità di acido orotico presente nel latte,ma anche per la capacità di assimilare ilcolesterolo, nonché per l’abilità a deco-niugare i sali biliari e per la tolleranzaverso i sali di bile.

Da prove di laboratorio emerge chela quantità di colesterolo assimilato va-ria, a seconda del ceppo, da 83,3 a20,5 µg/ml per 24 ore di sviluppo a

37°C (Buck et al 1994). Ugualmente,differenze esistono per quanto riguardala tollerabilità verso i sali di bile. Vi sonoceppi che impiegano solamente dueore per aumentare in brodo colturale ilvalore di densità ottica di 0,3, quandoaltri, nelle stesse condizioni, impieganoanche sette ore. La tolleranza ai sali dibile, l’abilità a deconiugare i sali di bilee ad assimilare il colesterolo, come ri-portato in Tabella 4, possono variamen-te proporzionarsi in singoli differenticeppi e assumere caratteristiche ag-giuntive a quelle di specie.

Sulla base anche di queste cono-scenze, si effettua quindi la scelta deiceppi quando si intende impiegarli co-me adiuvanti della dieta con attività ipo-colesterolemica.

In merito alla capacità di assimilare ilcolesterolo da parte di Lactobacillus

acidophilus vi è ancora, a livello inter-pretativo, discussione, e Klaver e Van derMeer, 1993, ad esempio, sostengonoche l’apparente assimilazione del cole-

V. Bottazz i

183

Indicazione Quantità di Grado di Deconiugazione di ceppo colesterolo assimilato tolleranza verso dei sali di bile

µg/ml in 24 ore a 37° i sali di bile µmole/ml

K4 83,3 2,6 1,2

K2 53,0 2,0 1,1

K7 20,5 2,2 0,4

Tabella 4

Caratteristiche di ceppi di Lactobacillusacidophilus con attivitàipocolesterolemiche.

1225/01 capitolo 8 29-05-2002 15:15 Pagina 183

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sterolo sia invece dovuta all’abilità del mi-crorganismo nel deconiugare i sali di bile.

Gli autori citati sostengono, sullabase di esami di laboratorio, che il cole-sterolo non viene assimilato, bensì pre-cipitato in presenza di sali di bile liberatiper deconiugazione. Contemporanea-mente, altri studiosi (Walker et al 1993)hanno però dimostrato che non esisterelazione significativa tra assimilazionedel colesterolo e deconiugazione deisali di bile. In aggiunta a quanto sin quirichiamato, si segnala che già nel 1986Bottazzi et al dimostrano assimilazionedi colesterolo da parte di Lactobacillus

acidophilus e nel 1997 questa pos-sibilità viene nuovamente confermatada Noh et al.

Infine può essere ancora sottolinea-to che un forte effetto ipocolesterolemi-co con Lactobacillus acidophilus èstato dimostrato da Zacconi et al,1992, operando con animali da labora-torio axenici, e poco tempo dopo DeRodas et al, dopo aver aumentato insuini il contenuto in colesterolo del sierocon una dieta ricca di burro e di cole-sterolo cristallino, portandolo da 84,5 a294,6 mg/dl, riescono a riportarlo a va-lori tra 100 e 150, a seconda dei sog-getti, con la somministrazione per quin-dici giorni consecutivi di cellule di Lac-

tobacillus acidophilus.

Attivitàipocolesterolemica con Lactobacillus casei,Lactobacillus reuterie Lactobacillus gasseri

Lactobacillus casei è un tipico mi-crorganismo probiotico che partecipa alprocesso per la riduzione del colestero-lo nel sangue.

Nell’esplicare quest’attività ipocole-sterolemica, segue una via diversa daquella preferenziale prima vista perLactobacillus acidophilus.

L’assimilazione del colesterolo daparte di Lactobacillus casei è, si puòdire, minima, mentre è molto forte ladeconiugazione dei sali di bile, e permassimizzare la potenzialità nel ridurrela concentrazione del colesterolo delsiero si selezionano i ceppi adiuvanti ali-mentari in funzione di questo carattere(Brashears et al 1998).

L’attività ipocolesterolemica è nelcomplesso in funzione di una destabilizza-zione delle micelle di colesterolo e di unacoprecipitazione del colesterolo con i salidi bile deconiugati a pH inferiore a 6,0.

Lactobacillus reuteri (Fig. 2) è unmicrorganismo di origine enterica chenegli ultimi tempi ha molto attirato l’at-tenzione degli studiosi, in particolare perla sua alta resistenza sia al basso valore

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

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del pH del succo gastrico (si conosconoceppi che diminuiscono solamente di 2unità log dopo permanenza per 24 orea pH 2,0), che alla presenza dei sali dibile. La sua origine intestinale si collegacon l’elevata tolleranza all’ambiente aci-do e alla bile, che rappresentano le bar-riere naturali all’entrata di microbiotaesogeni nel tratto gastrointestinale.

La somministrazione di Lactobacil-

lus reuteri si traduce in una buona attivitàipocolesterolemica e secondo Taranto et

al, 2000, si può configurare con gli ele-menti che seguono: piccoli animali da la-boratorio sono stati divisi in due gruppi,poi la dieta di uno di questi è stata arric-chita di cellule di Lactobacillus reuteri edopo sette giorni si è passati a supple-mentare in modo uguale le diete dei duegruppi con grassi, e questo allo scopo diraggiungere una condizione ipercoleste-rolemica; il risultato è stato che con ilgruppo senza Lactobacillus reuteri l’au-mento di colesterolo nel siero è stato

V. Bottazz i

185

Figura 2

Ceppo di Lactobacillusreuteri isolato da latte-fermentato probiotico.

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dell’82%, mentre con il gruppo conLactobacillus reuteri è stato del 38%.

Questi risultati indicano chiaramenteche Lactobacillus reuteri può agire ef-ficacemente come profilattico adiuvantedella dieta con effetto ipocolesterolemico.

Un altro aspetto positivo legato aLactobacillus reuteri è rappresentatodal fatto che esso agisce a dosi di ag-giunta alla dieta veramente basse. ConLactobacillus acidophilus, per ottene-re un effetto positivo occorre sommini-strare 108-109 cellule vive al giorno(Speck 1976), con Lactobacillus reu-

teri ne sono sufficienti 104 al giorno.Ancora un’altra specie, e cioè Lac-

tobacillus gasseri, di habitat enterico,è interessata ad abbassare il tenore dicolesterolo (Usman, Hosono 1999).

La deconiugazione di sodio tauroco-lato e la capacità di assimilare il colestero-lo, come è stato recentemente dimostratoda ricercatori giapponesi (sono proprietàpossedute da Lactobacillus gasseri.

Attivitàipocolesterolemica con Lactococcus lactissubsp. cremoris

Nel Nord Europa, e in particolare inFinlandia, vi è consumo di latte fermen-

tato filante, ottenuto per intervento distreptococchi lattici mesofili, al qualevengono attribuite diverse attività bene-fiche. Fra queste, attenzione è stata ri-servata alla possibilità di manifestare in-fluenza positiva nell’abbassare il cole-sterolo del siero.

Ancora oggi, scarse sono le cono-scenze sulla composizione del polisac-caride-proteine responsabile del filante,come pure scarse sono quelle sugli ef-fetti fisiologici del latte-filante. Forsen etal, 1987, hanno attirato l’attenzionesull’attività immunostimolante e Nakaji-ma et al, 1992, su quella ipocolestero-lemica. In effetti, latte fermentato filanteprodotto con Lactococcus lactis subsp.cremoris somministrato a ratti con unadieta ipercolesterolemica, ha un effettoipocolesterolemico evidente già dopo tregiorni a partire dall’inizio del trattamento.

Attivitàipocolesterolemica conBifidobacterium spp.

Nel metabolismo del colesterolo,l’influenza dell’idrolisi dei sali di bile me-rita, come visto, larga attenzione, e negliultimi anni è stato accertato che l’ap-porto che può dare il gruppo dei bifido-batteri (Fig. 3) è di grande interesse.

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

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Nel 1999, uno screening per l’attivitàidrolasica su sali di bile, condotto daTanaka et al, ha messo in evidenza cheessa è comune per Bifidobacterium eLactobacillus, mentre è assente inLactococcus lactis, Leuconostoc me-

senteroides e Streptococcus ther-

mophilus. In generale i bifidobatterihanno un’attività deconiugante i sali bi-liari superiore a quella dei membri delgenere Lactobacillus; la differenza ri-sulta anche di dieci volte a favore dei bi-fidobatteri. Vi sono inoltre, come dimo-strato in Figura 4, differenze tra ceppidella stessa specie di bifidobatteri.

È interessante, nello stesso tempo,

sottolineare che la deconiugazione deisali di bile è proprietà di quei ceppi dibifidobatteri che sono stati isolati dalcontenuto intestinale o dalle feci dimammiferi che notoriamente sono ric-chi di sali di bile coniugati e non coniu-gati. Ceppi di bifidobatteri delle stessespecie isolati da habitat diversi, vale adire da ambienti senza sali di bile, nonhanno l’attività idrolasica indicata.

Della capacità a deconiugare i salidi bile da parte di bifidobatteri, parlaro-no già nel 1980 Ferrari et al, e nel1995 Grill et al fornivano caratterizza-zione dell’enzima specifico che intervie-ne nel processo idrolitico.

V. Bottazz i

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Figura 3

Ceppo di Bifidobacteriumisolato da latte-fermentato probiotico.

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Oggi si ritiene (Thari et al 1996)che la rimozione del colesterolo conceppi di Bifidobacterium fatti sviluppa-re in substrato liquido contenente bile,sia dovuta probabilmente alla contem-poranea coprecipitazione con sali di biledeconiugati, e ad assimilazione durantelo sviluppo cellulare.

Recentemente, Kociubinski et al,1999, hanno mostrato, attraverso os-servazioni al microscopio ottico e aquello elettronico a scansione, che conlo sv i luppo su TPY-bi le agar diBifidobacterium pseudolongum siformano dei precipitati cristallini checontengono colesterolo.

Con l’osservazione al microscopioelettronico a scansione della Figura 5,si vede a fianco dei batteri lattici un cri-

stallo a morfologia laminare che è tipicoper colesterolo. Dei ceppi che sonostati controllati, il 55,6% mostra la for-mazione del precipitato cristallino, men-tre lo stesso non è mai stato osservatocon ceppi del genere Lactobacillus.Altre specie di bifidobatteri capaci diprodurre il cristallo sono Bifidobacte-

rium breve, Bifidobacterium infantis eBifidobacterium animalis.

Il cristallo che si forma è dato dapiù composti, e fra questi il colesterolonon rappresenta la parte più importan-te, ma ciò non toglie nulla al fatto chequesta non sia una via per arrivare alladiminuzione del colesterolo, e quindi peravere un effetto ipocolesterolemico conl’alimentazione integrata con appropriatimicrorganismi probiotici.

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

188

B.bi. B.brB.I.

...............................

12

10

8

6

4

2

0

BS

H a

ttiv

ità (

unità

/mg)

Figura 4

Distribuzionedell’idrolasi (BSH) persali di bile per differenticeppi di bifidobatteri.Da Tanaka et al 1999.

B.l. = Bifidobacterium longumB.bi. = Bifidobacterium bifidumB.br. = Bifidobacterium breve

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Attivitàipocolesterolemica con la miscela dimicrorganismiprobiotici

Alcuni anni or sono, Fukushima eNakano (1996), riferivano che una mi-scela di microrganismi è efficacementein grado di abbassare nel siero sia laconcentrazione del colesterolo, che diidrossi-3-metilglutarile-CoA riduttasi, edi determinare contemporaneamenteun aumento di colesterolo e di acidi bi-liari nelle feci di piccoli animali di labora-torio. Si considera che il risultato che si

ottiene sia il frutto di un rapporto sim-biotico che si stabilisce tra la microfloraprobiotica somministrata con la dieta ela microflora autoctona esistente a livel-lo della porzione intestinale ciecale.

Più recentemente, sempre Fuko-shima et al (1999), hanno ulteriormenteapprofondito questo aspetto, e collega-no l’effetto positivo con l’aumento diacidi grassi a corta catena liberati dallamicroflora ciecale ricomposta. Quandoaumenta la produzione di acidi grassi acorta catena, diminuisce anche il conte-nuto in colesterolo del fegato.

La miscela di microrganismi utilizza-ta dai ricercatori giapponesi citati, era

V. Bottazz i

189

Figura 5

Precipitato cristallinocontenente colesteroloottenuto con lo svilupposu TPY-bile agar diBifidobacteriumpseudolongumosservato al microscopioelettronico a scansione.Da Kociubinski et al1999.

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data da batteri lattici, lieviti e germi spo-rigeni, con la partecipazione delle specieindicate in Tabella 5 e con l’assenza dirappresentanti del gruppo bifidobatteri.

Conclusioni

Molti sono gli elementi a dimostra-zione e quindi a sostegno che i latte-fermentati, con il capostipite yogurt, ein particolare i microrganismi probiotici,spesso direttamente interessati allaconduzione dei processi fermentativi dellatte, hanno proprietà specifiche perpotere esercitare attività ipocolesterole-miche.

Gli effetti ipocolesterolemici sonodovuti a diversi meccanismi, che posso-no trovare elencazione nel modo chesegue.

Con il consumo di yogurt e quindicon la partecipazione di Lactobacillus

delbrueckii subsp. bulgaricus e diStreptococcus thermophilus, l’effettoviene attribuito alla formazione, durantela fermentazione di acido idrossimetil-glutarico e alla sua messa in equilibriocon acido orotico, che viene diminuitodurante la fermentazione lattica, e conacido urico.

Con Lactobacillus acidophilus,largamente conosciuto come tipicaspecie probiotica, emerge la capacità apotere direttamente, durante lo svilup-po, assimilare il colesterolo, con la con-temporanea deconiugazione dei sali bi-liari. Quindi l’attività ipocolesterolemicaattribuita a Lactobacillus acidophilus

è frutto delle due vie indicate, mentreper Lactobacillus casei è solamente infunzione della destabilizzazione delle mi-celle di colesterolo e di una coprecipita-zione del colesterolo con i sali di biledeconiugati.

Con la stessa via metabolica sem-

Attiv ità ipocolesterolemiche con batteri latt ic i e b if idobatteri

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Microrganismi sporigeni Batteri lattici Lieviti

Bacillus subtilis Lactobacillus acidophilus Saccharomycescerevisiae

Bacillus megaterium Lactobacillus casei Candida utilis

Bacillus thermophilus Lactobacillus plantarum

Bacillus natto Lactococcus lactis

Clostridium butyricum Streptococcus thermophilus

e in aggiunta Enterococcus faecalis

Tabella 5

Microrganismi chehanno contribuito allaformazione delle miscele.Da Fukushima et al 1999.

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bra agire Lactobacillus reuteri, che èda considerarsi specie enterica probioti-ca di grande interesse.

Per Lactobacillus gasseri, la de-coniugazione degli acidi biliari e la capa-cità di assimilare il colesterolo sono pro-prietà di specie recentemente dimostra-te e interessanti per una specie decisa-mente enterica.

Un’azione ipocolesterolemica è sta-ta dimostrata anche con Lactococcus

lactis subsp. cremoris utilizzato nellapreparazione di latte filante.

Parecchi membri del gruppo bifido-batteri hanno un’attività deconiugante isali biliari nettamente superiore a quellaaccertata per Lactobacillus; inoltre,con lo sviluppo di bifidobatteri si forma-no precipitati cristallini che contengonocolesterolo. Questa proprietà non è dicontro posseduta dai batteri lattici.

Le specie più attive sono Bifido-

bacterium presudolongum, Bifido-

bacterium breve, Bifidobacterium in-

fantis e Bifidobacterium animalis.Infine è stato richiamato che, con

un’associazione di microrganismi, l’atti-vità ipocolesterolemica è accompagnatada un aumento della produzione di acidigrassi a corta catena e dalla diminuzio-ne del colesterolo del fegato.

Batteri lattici e bifidobatteri sononormali componenti della microflora in-testinale dell’uomo e trovano associa-zione con la dieta per il mantenimentodello stato di salute e gli effetti promo-zionali, come visto, arrivano anche alcontrollo dei rischi legati a ipercoleste-rolemia. Probabilmente l’effetto positivoche si ottiene con questi gruppi di mi-crorganismi è dovuto al contemporaneointervento di più meccanismi, e la cono-scenza di questi si pone alla base per lascelta dei ceppi da utilizzare come adiu-vanti della dieta per raggiungere un ri-sultato ipocolesterolemico.

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Volumi già pubblicati

1994 “L’alimentazione nelle diverse età: aspetti di fisiopatologia” (esaurito)a cura di C. Vergani

1995 “Diagnostica nutrizionale: accertamento e valutazione dello stato nutrizionale” (esaurito)a cura di E. Lanzola

1996 “Obesità essenziale: genetica, metabolismo, ambiente”a cura di E. Riva

1997 “Gli alimenti: aspetti tecnologici e nutrizionali” (esaurito)a cura di A. Daghetta

1998 “I latti fermentati: aspetti biochimici, tecnologici, probiotici e nutrizionali”a cura di V. Bottazzi

2000 “Anoressia nervosa: dalle ragioni alla terapia”a cura di M.O. Carruba

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I S T I T U T O D A N O N E

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