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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.4 Mercoledì 20 LUGLIO 2011 Makuyu UN PEZZO DI AFRICA CHE LAVORA BENE ANNO III N.4 HAPA TUKO + LEO-MAJOR MATURIPERL’AFRICA NEWS READY4AFRICA In missione a Makuyu Ci spostiamo a nord Pagina 2 Bravi ragazzi La soddisfazione di un lavoro di squadra Pagina 3 Makuyu tour A spasso per la missione Pagina 4 Coming back to Nairobi Stanchi ma felici Pagina 5 RITRATTI PER UN VIAGGIO Quarta parte Pagina 6 Chiara è l’alba africana, colta prima di preparare la colazione per il gruppo; Scura la faccia di Edoardo, che ha dormito poco per colpa dei materassi accostati… Chiara è la voglia di scoprire la periferia di Nairobi, durante il viaggio verso Makuyu; Scuri sono i violenti sobbalzi del matatu sui dossi, che mettono a dura prova schiene e pazienza; Chiare le distese infinite di piantagioni di ananas, che si srotolano nei saliscendi della campagna; Scuro il pensiero dello sfruttamento multinazionale che vi si nasconde dietro; Chiara è l’accoglienza delle suore salesiane, felici del nostro arrivo in massa; Scuro è il pensiero di non potersi fermare un po’ di più a godere del posto e delle relazioni; Chiara è la fatica comune nel costruire impalcature, dipingere, montare zanzariere, sapendo di poter contare l’uno sull’altra; Scura la prospettiva delle oltre due ore e mezzo di strada nella polvere che ci separano da Nairobi; Chiaro il volto di Suor Assunta, allietata dai nostri canti stonati; Scuro l’arrivo, data l’ora e il black out elettrico… Chiara la gioia delle bambine dell’orfanatrofio, contente di vederci e libere nel canto e nella danza; Scura è l’impossibilità di mettere su carta la nostra intricata matassa di emozioni. Carlo

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4 numero Ready for Africa

Transcript of 20 Luglio

Ready4AfricaNews - ANNO III, N.4

Mercoledì 20 LUGLIO 2011

MakuyuUN PEZZO DI AFRICA CHE LAVORA BENE

ANNO III N.4

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

MATURIPERL’AFRICANEWSREADY4AFRICA

In missione a MakuyuCi spostiamo a nordPagina 2

Bravi ragazziLa soddisfazione di un lavoro di squadraPagina 3

Makuyu tour A spasso per la missionePagina 4

Coming back to NairobiStanchi ma feliciPagina 5

RITRATTI PER UN VIAGGIO Quarta partePagina 6

Chiara è l’alba africana, colta prima di preparare la colazione per il gruppo;

Scura la faccia di Edoardo, che ha dormito poco per colpa dei materassi accostati…

Chiara è la voglia di scoprire la periferia di Nairobi, durante il viaggio verso Makuyu;

Scuri sono i violenti sobbalzi del matatu sui dossi, che mettono a dura prova schiene e pazienza;

Chiare le distese infinite di piantagioni di ananas, che si srotolano nei saliscendi della campagna;

Scuro il pensiero dello sfruttamento multinazionale che vi si nasconde dietro;

Chiara è l’accoglienza delle suore salesiane, felici del nostro arrivo in massa;

Scuro è il pensiero di non potersi fermare un po’ di più a godere del posto e delle relazioni;

Chiara è la fatica comune nel costruire impalcature, dipingere, montare zanzariere, sapendo di poter contare l’uno sull’altra;

Scura la prospettiva delle oltre due ore e mezzo di strada nella polvere che ci separano da Nairobi;

Chiaro il volto di Suor Assunta, allietata dai nostri canti stonati;

Scuro l’arrivo, data l’ora e il black out elettrico…

Chiara la gioia delle bambine dell’orfanatrofio, contente di vederci e libere nel canto e nella danza;

Scura è l’impossibilità di mettere su carta la nostra intricata matassa di emozioni.

Carlo

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In missione a Makuyu

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

Stamattina è mattina di partenza. Ore sei Marta Silvia Marta e Tommaso preparano la colazione per gli altri, si mangia rapidi, si accumula quel po’ di ritardo che serve a innervosire suor assunta poi si va con il matatu dell’orfanotrofio. Si va in una missione di Suore salesiana Figlie di Maria ausiliatrice, da suor Dionisia. Ci hanno chiesto di dipingere una stanzetta e di mettere delle reti. Bello, vedremo una struttura grande, fuori Nairobi, un chilometro di strada. E’ su a nord verso l’Aberdare. Ci si mette un’ora buona a uscire solo da Nairobi città quattro milioni di abitanti. Stradoni enormi in costruzione, otto corsie ma niente di finito. Scavano ovunque, terra rossa rovesciata come una grande madre sventrata, questa l’impressione. Forse servirà ma mi sembra una delle tante opere faraoniche sproporzionate e molto “politiche”! Tempo di elezioni e se un contendente sta per mollare l’altro è agguerritissimo. Il matatu guidato dalle sapienti mani di John, il mitico factotum dell’Orphanage va cauto sui dossi sproporzionati che dovrebbero rallentare la marcia ma i sobbalzi sono lo stesso da paura. Si attraversano quartieri ricchissimi nella prima parte, poi via via il secondo anello di agglomerati cadenti, depositi di lamiera, magazzini, rivendite in prossimità delle quali cresce tutta una fauna di attività assurde: baracchette che vendono di tutto, tutto infangato, cadente, provvisorio ma capace di una vitalità e di una ostinazione incredibili. Di cosa si vive qui? Il viaggio è l’occasione per ascoltare Suor Assunta e i suoi racconti sulla corruzione e le assurdità di questo paese. L’autista a tempo pieno prende 120 euro, ne dà ottanta alla famiglia che vive lontana un giorno di viaggio, centellina i 40 che restano per sopravvivere un mese, vive a Kibera, nella baraccopoli. Il matatu deve fare la revisione ma lui onesto com’è non vuole pagare la tangente: risultato il matatu non passa: due giorni dopo le suore mandano un altro con meno scrupoli, 1000 scellini, otto euro, e il matatu è perfettamente in regola, e qui è tutto così. Ieri nella city abbiamo incrociato l’ufficio per la denuncia della corruzione, il fiore all’occhiello del programma del governo in carica. Le strade sono opera dei cinesi, ci racconta la suora: in pratica anche qui stanno comprando il Kenya come altrove l’Angola o il Mozambico, e sostituiscono la classe di benestanti indiani che fino a oggi gestiva l’economia del Kenya. Non sarà un caso che ogni volta che si fanno elezioni gli indiani scappino per timore di rappresaglie., Ci parla degli odi tribali, del candidato che ce l’ha a morte con i kikuyu perché sono la classe operosa e imprenditoriale. Tutto serve a entrare pian piano in Africa e beviamo notizie come spugne.La strada va avanti così ma quello che doveva essere un ora alla fine diventano più di due e arriviamo a Makuyu che sono già le dieci di mattina. Con gli occhi pieni di paesaggi e la testa piena di sensazioni.

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Bravi ragazzi

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Finalmente si arriva a Makuyu. Bel

posto, enorme, un complesso davvero complesso di

cose e persone, un piccolo miracolo

dei missionari. Ci accolgono le suore, in particolare suor

Dionisia, una tipa del san Salvador un po’ tarchiata ma simpatica e aperta. Scendiamo

volonterosi e ci fondiamo a lavorare. I capi salgono con suor Dionisia a vedere i lavori: la stanzetta si rivela uno stanzone da riunioni, almeno cinquanta metri quadri, ma soprattutto almeno sei metri altezza: grazie a dio copertura in perline da non dipingere. Ci sarebbe la struttura di un portico che ha parti in minio da rifinire e una dozzina di finestre al piano terra a cui inchiodare la rete antizanzare. Scegliamo la prima e la terza ma non sono per niente lavoretti da nulla: meglio, non ci annoieremo. Mentre il Daniele si fa un giro per i magazzini a recuperare i pezzi di impalcatura (pesantissima, fra parentesi, niente a che vedere con le nostre di alluminio, a norma di sicurezza), io e altri organizziamo il taglio della rete. Montare l’impalcatura è un rebus pèrchè i pezzi non sono tutti uguali e bisogna arrangiarsi un po’ con il fil di ferro, ma alla fine la torre a tre piani è su. Le tavole sono roba da sei centimetri di spessore, piombo puro, ma dipingere su assi di pregiatissimo legno africano non è da tutti. Sono proprio sei sette metri di altezza e la missione si trasforma in un attimo in una gara di arrampicata. All’ultimo piano Daniele che sa il fatto suo e fa i ritocchi di fino, sotto le ragazze ammucchiano in fretta le sedie al centro, stendono giornali, ci danno dentro di rullo e pennellesse nella parte bassa. Andiamo di un giallino senape che è una meraviglia, e ben presto il risultato comincia a vedersi. Marta, Edoardo, Annalisa, Jolanda e gli altri, sospesi fra la maturità e l’università si scoprono in una parentesi molto prosastica di provetti tinteggiatori. Promossi!Intanto di sotto si tratta di togliere la vecchia rete antizanzare e centinaia di chiodi dai telai delle finestre di un’intera palazzina e di sostituirli con rete nuova di un azzurro improbabile a prima vista in

questo contesto. Prendiamo le misure, tagliamo dal grande rotolo di rete ottimizzando al massimo i rettangoli che ci servono e via di martello chiodi, cornici di legno, su e giù per la scala. Ci vuole anche qui un po’ di attenzione perché la rete va tesa, le cornici vanno rifilate e a volte sostituite, gli attrezzi ci sono ma non sono il massimo. La cosa va avanti per tutta la mattina fino all’una, tre ore di lavoro intenso che mi fa rimangiare una serie di pregiudizi sui giovinastri scapestrati e scansafatiche, sull’analfabetismo manuale che spesso ho rimproverato ai miei studenti. Vedere delle figliole che conoscevo solo come studiose e cittadine trasformarsi in brutali carpentieri, nerboruti imbianchini è cosa che mi ha lasciato di sasso. La Valeria in tre ore piantava chiodi che neanche un boscaiolo dell’Oregon, e Andrea ha preso una confidenza tale con rullo e pennello che non voleva mollarli più neanche per venire a pranzo. Pranzo offerto dalle suore, e che pranzo!! Pastasciutta, verdure cotte, pomodori, insalata, patate dolci, succo di ananas spremuto lì per lì, frutti della passione, tutto raccolto negli orti della missione, chilometri meno di zero. Le suore pregano noi intoniamo un canto e ci becchiamo pure gli applausi delle sisters. Si mangia alla grande, come si fa quando si è lavorato bene, e si ride, si scherza, come quando si è contenti di quello che si è fatto. All’una e quaranta i cantieri riaprono, per dire che la cosa ci è proprio piaciuta. Le finestre per le quattro sono finite, ultimi chiodi, ultimi ritocchi et voilà, la facciata della missione ha un aspetto nuovo, un lezioso azzurro mediterraneo che alla fin fine non stona. La pittura procede veloce ma è chiaro che nonostante tutta la buona volontà e le arrampicate libere sul trabatello prima delle sei non si finirebbe. E suor Assunta è preoccupata dal traffico: dalle sei alle otto le strade di Nairobi sono impossibili quanto a traffico e il povero John deve rientrare a Kibera dove a certe ore meglio non girare.Alle quattro e mezza si decide di sospendere, pulire piastrelle e pennelli e fare un rapido giro di mezz’ora per la missione. Torneremo qui a finire, la scusa è buona e la suor Dionisia già ci ha trovato altre stanze da dipingere e ci ha offerto di tenerci a dormire qui. Siamo a metà strada da Naro Moru e potremmo abbinare i viaggi…

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Il preside della HIS si chiama Nestor, e passi.

Ma cosa ci fa una suor Dionisia a Mukuyu? Uno

spicchio di classicità in terra

keniota?

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Makuyu tourA SPASSO PER LA MISSIONE

Sporchi di vernice, smacchiettatti di giallo ocra, sporchi e sudati ci facciamo accompagnare dalla Claudia in giro per la missione: lei ha già fatto il giro e ormai sa tutto. Si vocifera di un friulano che da dieci anni viene da queste parti a mettere in piedi attività nella missione e ci farebbe piacere conoscerlo. Qui è un vera struttura complessa e quasi autosufficiente. Attraversiamo un orto enorme e ben tenuto, verdura che viene grassa e bella su questa terra rossa che incanta solo a guardarla (ossidi ferrosi derivati da disgregazione di rocce magmatiche, come chiosa didattico il Carlo). Da certi alberi eleganti pendono a grappolo grandi papaye: qualcuno ci sperde a fotografale incantato mentre una anziana dall’orto ci guarda incredula: gente che fotografa papaye e le trova anche interessanti?!! Poco oltre hanno la stalla con qualche mucca, più in là la chiesa. Stavolta sono io a convincere il gruppo a entrare ed è anche questo uno spettacolo interessante: enorme stanzone coperto di eternit, centinaia di banchi in legno, una tovaglia sull’altare coloratissima di fiori e frutti, gli scranni dei sacerdoti che ricordano i sedili in legno dei capi villaggio. Più in là la scuola primaria, entriamo perfino nella sala insegnanti e scambiamo due chiacchiere con i colleghi. Un gruppo parla con il maestro su uno sfondo di bouganville che renderebbe bella la scuola anche ai meno studiosi. Usciamo da questo grande cortile della scuola e un suono lacera la quiete come un richiamo. Tromba, indiscutibilmente tromba, e le antenne di Daniele si drizzano immediatamente: da un paio di mesi allieta la borgata di Travesio dei suoi esperimenti con la tromba e si è portato dietro in Kenya il bocchino per esercitare le labbra (mai usato finora, grazie a Dio). E’ l’occasione per una sosta: è una classe all’aperto che fa lezione di musica, uno di loro suona la tromba, c’è un flauto traverso e le altre bambini danzano seguendo il ritmo della canzone. Diciamo che il controllo dello strumento non è ottimo ma la stoffa c’è. Chiacchieriamo con la collega keniana, la Tamara non si stacca più dai bambini anche se in realtà ci divide una rete. Dobbiamo tirarli via di forza perché nel frattempo la Claudia e suor assunta chiamano disperate al cellulare. Resta il tempo per una caduta rovinosa di Carlo che salva comunque la preziosa telecamera a prezzo di una bella escoriazione al gomito (passerà alla storia come la caduta di Costantino, a evocare imperatori romani ecc.), resta il tempo per salutare velocemente un signore di Gorizia che qui viene da dieci anni a progettare, resta il tempo per la visita alla tipografia. C’è una tipografia vera e propria, con tanto di macchinari d’avanguardia, un capannone serio che non sfigurerebbe da noi. Lo gestisce Father George, un signore magro e allampanato dallo sguardo intelligente: è di Torino a dispetto del nome e ci tiene a mostrarci le meraviglie della tecnica. Abbiamo i minuti contati ma è una realtà incredibile che meriterebbe ore: da qui esce gente che sa un mestiere, richiestissima nel mercato del lavoro. Questo è il futuro dell’Africa, una di quelle cose di questo paese che siamo venuti ad apprezzare. Restano pochi minuti,il tempo di passare accanto alla scuola professionale da cui escono fior fior di meccanici, alla sezione parrucchiere ed ecco il matatu con Suor Assunta che ci aspetta impaziente. Suor Dionisia ci vuole ospitare e sicuramente torneremo a finire i lavori. Un'altra porta che si apre al nostro progetto africa, un’altra possibilità di intervenire, collaborare per la nostra scuola. Conquiste sul campo, non di quelle militari ma di quelle umane, che sono le migliori.

RACCOGLITORE! PAGINA5

I salesiani e le suore salesiane esistono proprio per aiutare i giovani, e questa di Makuyu è una comunità-scuola enorme, con edifici ben costruiti e vari,giardini, campo da calcio e pallavolo, con aule colme di ragazzi di età diverse (dalle elementari alle scuole professioonali) e il tutto curato a dovere. Una vasta zona è dedicata all'allevamento di bovini e di pollame, altrettanta coltivata come orto e campi (producono per loro stessi ananas, banane, verdura varia, mais, ma volentieri regalano qualcosa a conoscenti e amici). Sembra che questa terra, rossa come il fuoco, come la paprica, come i costumi masai, e che leggerissima si attacca agli abiti e penetra nelle narici come polvere mossa dal vento, sia estremamente fertile e feconda. I frutti della terra sono ciò che gli africani hanno da sempre; coltivano la loro terra tutto l'anno e spesso se non distrutte dalla siccità (perchè manca l'acqua per loro stessi,

figurarsi per irrigare l'orto) i raccolti sono decenti, abbastanza da poter vendere qualcosa per strada stendendo gli ortaggi per terra sopra un telo o al mercato o su bancarelle di legno. La scuola salesiana offre agli studenti la possibilità di imparare un mestiere, come il tipografo (una stamperia fornita di macchinari e produttiva, stampa e rilega calendari, volantini, libricini religiosi), come la parrucchiera ,la sarta, l' idraulico e il meccanico. Proprio come Don Bosco, padre dei salesiani, fece a sua volta con i giovani italiani che mancando di possibilità, si trovavano abbandonati alla strada. Una delle aule portava sul muro una grande scritta, EDUCATION IS MATTER OF HEART, l'educazione è una questione di cuore. Forse perchè senza volontà e amore non si può crescere? Anche oggi c'è una frase su cui riflettere.

Anna

Murang’a, scuola salesiana

Caterine è vestita anni Novanta, indossa una gonna, a vita abbastanza alta, con dei colori che non centrano nulla con il bianco e il blu della sua maglia a righe. Caterine non sempre indossa le scarpe ma oggi si, ne ha un paio con un pò di tacco, così sporche da intravedere il loro colore grigio spento abbinato stranamente alla borsa piccolina e tondeggiante. Ha una fascia che le gira intorno la vita e che arriva fino a dietro al collo: tiene sulla schiena un bimbo che dorme e insieme a lui cammina sul ciglio della strada. La osservo dal mio furgoncino un pò scassato, non so dove stia andando, se è felice o se è triste, so solo che appena incrocio il suo sguardo mi accena un sorriso e mi saluta come se ci conoscessimo di già. Caterine è una delle tante donne africane che abitano qui o probabilmente a decine di km di distanza da qui, Caterine è una delle tante donne che mentre io le osservo continuando il mio viaggio verso l'Africa loro continuano l'instancabile cammino della vita.

Jolanda

Caterine

RossoHo le scarpe sporche di rosso: colpa della terra africana, ha questo colore molto intenso che attira involontariamente l'attenzione, un colore rosso che si contrasta con la loro pelle nera, il verde della vegetazione e il giallo delle banane.Ho le scarpe sporche di rosso a causa dell'eccessiva presenza di ferro nel terreno, sono rosse così come lo sono quelle della gente del luogo e spero mi rimangano così per molto tempo, anche quando tornerò a casa, penso che rimarrà uno dei ricordi più belli. Adesso spengo la candela e mi vado a perdere tra le risate delle bambine: questa sera è saltata la corrente ma ciò rende tutto più magico!

Jolanda

READY4AFRICA NEWS! PAGINA6

Ready4AfricaNews - ANNO III, N.4

Coming back to NairobiSTANCHI MA FELICI

HAPA TUKO+L E O - M A J O R

Il rientro è felicità pura. Canto perfino io che sono stonato e nessuno mi dice niente. Abbiamo a bordo un borsone di ananas, quattro gallina passate a miglior vita, gentile omaggio delle colleghe di Makuyu, poco gradita dalle galline stesse., una suora in più e un ragazzo del conve per gentilezza verso l’orfanotrofio Maria Romero.Le hanno cantate tutte, dal caffè della Peppina all’inno d’Italia, con variazioni e basso continuo, dalla porsea ga fato i porsei, alla vecchia fattoria. La suora chiede quel mazzolin di fiori… Seguono nell’ordine il verso del coccodrillo, la fiera dell’est, ecc. La suora dice che potremmo insegnarne qualcuno alle bambine e il solito scemo di venti propone E mi e ti e Toni. Bocciata!Comunque mai visti degli studenti così contenti. Saranno contenti perché hanno lavorato? Perché in mezzo a questo disastro di città senti che la vita fermenta e cresce come le piantine negli infiniti vivai che stanno lungo le strade. C’è perfino una macchina scassata con due giovani africani che le sente cantare e si affianca per quasi un chilometro a incitare questo italian sound. Dal matatu vedi di tutto. Per prima cosa questa economia curiosa che fatico a capire: attorno a un distributore, un magazzino o semplicemente lungo la strada nasce il mercato: deve essere un’eredità africana tipica, questa idea di un punto collocato fra villaggi distanti in cui ci si trova per scambiarsi merci, ma qui è trapiantato in città con risultati incredibili: baracche dove vendono patate, carbone, zucche,

cellulari, lamiere, in mezzo all’erba e alla terra. Se non si vede non si crede: qui è un mondo che gira in un modo che non capisco, mercati e traffici che visti da un italiano medio paiono assurdi eppure esistono. Ma dell’Africa ti resta soprattutto questo, come un filmato ininterrotto che scorre fuori dal finestrino. E le piantagioni di ananas, distese a perdita d’occhio, quelle dell’omino Del Monte: qui sono proprio quelle Del Monte, una multinazionale che deve aver stravolto bene il paesaggio di questo paese. E sono quasi contento quando vedo delle bancarelle di ananas sulla via del ritorno, rubati nelle piantagioni enormi che corrono ai margini della strada. Meglio non fermarsi, però, dice suor assunta, questa è gente che ti mette il coltello alla gola e poi ti dà l’ananas!! Arriviamo finalmente, e tornare all’Orfanage è ormai come tornare a casa: le bambine ci vengono incontro sorridenti, ci salutano tutte trentasei, le suore ci hanno perfino preparato la cena a base di riso e verdura. Aspettiamo che le bambine finiscano di mangiare, la Tamara ormai è partita con la piccola Mary sulle ginocchia a darle da mangiare con il cucchiaio. Domani farà lo stesso e comincio a dubitare che intenda tornare in Italia.C’è chi ha ancora la forza di andare all’Internet point ma il destino vuole che sia chiuso. E’ proprio ora di andare a dormire, di chiudere questa giornata che più piena non si poteva davvero.

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Claudia BeaccoBreve premessa: Claudia, Lorenza o Magalì, Prof, Bea, insomma chi sono sono, ma sono qui per fare!

Fare bene: per fare bene bisogna capire e ascoltare. E’ un’arte complessa perché spesso le voci di quelli che hanno più cose da dire sono discrete e sottili. Ed è un’arte che in Italia mi riesce bene, ed è tempo di vedere se anche in una realtà così diversa ci so fare.Fare per gli altri: perché da quando ero ragazza ho coltivato il desiderio dello spendermi in un Paese in Via di Sviluppo e finalmente mi è dato.Fare con attenzione: perché l’uomo è una creatura fragile a Pordenone come a Nairobi.Fare silenzio: cioè provare emozioni. In quest'esperienza è inevitabile. Il silenzio è come il buio, bisogna avere il coraggio di guardarlo e poi pian piano si cominciano a vedere i contorni delle cose. E anche gli studenti più loquaci qui fanno silenzio...Lasciar fare: lasciar fare ai ragazzi, mettermi un po’ da parte. Bisogna valorizzare le loro capacità. Questi ragazzi qui tra la maturità e i test di ammissione hanno quasi paura di sognare in grande perchè vedono tantissimi giovani talenti che non hanno nulla da fare: “la politica teme il talento perché il talento ti regala la libertà e la forza di ribellarti”.Dal mio canto ai giovani fa bene partire, andare via, ma per curiosità, non per disperazione. E poi tornare. I giovani  devono andare per capire se stessi.Ed è un grande dono poter condividere con questi nostri 14 talenti un’esperienza così!

Ritratti per un viaggio - quarta parteCI RACCONTIAMO “A MANO LIBERA”

Carlo CostantinoSono Carlo, docente del Leo-Major, al mio secondo incontro con l’Africa. Il primo, memorabile, risale a quasi tre anni fa, e mi ha rivelato una realtà che mi è rimasta dentro: il sorriso dei bimbi che non hanno niente, le feste di benvenuto degli amici della H.I.S.,il senso di inadeguatezza di fronte a tanta contraddizione… L’Africa chiama, non riesco ad ignorare la sua voce sottile, e mi ritrovo di nuovo in volo, non so bene come, né perché; forse, parafrasando gli America, “per ricordare il mio nome”.

Martina De FilippoCon un po' di stanchezza, ma con grandissima gioia, eccomi qua in Kenia. La classica domanda che è solito porre è che cosa ti aspetti da questo viaggio? In realtà non lo so ancora, ma di una cosa sono certa: sarà speciale. Questa opportunità di viaggio è arrivata nel momento più opportuno: con la fine del liceo, quest'anno si è conclusa una parte importante del mio percorso, non solo scolastico, e ora ne inizierà una del tutto nuova e sempre più impegnativa. Spero che questa esperienza di volontariato mi aiuti a rispondere alle molte domande che mi pongo su quello che sarà il mio futuro.

Alessandro GiacintaNon è più solo una possibilità, è fatta, ci siamo davvero... L’aereo, inesorabilmente, si avvicina sempre più alla nostra meta, inizio di un nuovo viaggio. Sono Alessandro, neodiplomato, futuro medico chirurgo? Futuro biologo (disoccupato)? Non lo so, certamente futuro viaggiatore, ma, nel frattempo, continuo a coltivare lo stile di vita che mi ha sempre affascinato, quello del volontariato, quello che ho scoperto mediante l’attività di animazione per bambini e ragazzi dei Punti Verdi, lo stesso che mi ha portato a diventare membro della Croce Rossa Italiana e che, ora, mi vede qua, seduto nell’aeroporto di Doha, con lo sguardo rivolto verso aerei che decollano ed atterrano, ad immaginare le storie che essi trasportano e sognando la nuova vita che mi attende dopo il prossimo volo. E’ con questo spirito che sono partito, ed ora eccomi qua... Tenterò di scrollarmi di dosso i paradigmi della società lasciata a parecchie miglia di distanza, così da lasciarmi travolgere ed avvolgere da questa cultura altra, divenendo tabula rasa, con la speranza di assimilarne almeno un po’.

READY4AFRICA NEWS

REDAZIONE:

JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCOSILVIA BURIOLLA

PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ

ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA

TOMMASO MARTINVALERIA DE GOTTARDO

MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO

ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA

GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO

TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI

20 Luglio 2011 ANNO III N.4

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Parenti, amici e conoscenti!

Aneddoti

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Qui in Africa, dice Don Romano, la natura da tanto e non vale la pena di pensare a pianificare. Tanto che non fanno il fieno perché c’è erba tutto l’anno. A pensarci non ho visto mai fieno nei viaggi precedenti. Salvo i periodi di siccità in cui muoiono di fame milioni di animali. E salvo non capire la lezione per la volta successiva. Nel viaggio fino a Makuyu fra le cento cose viste le prime sei balle di fieno in una rivendita per mangimi animali!!! Per noi friulani, gente di mucche e campi, è stupefacente e ce le indichiamo come fosse un miracolo.

Si vocifera che i maschi impegnati nelle operazioni di pittura a sei metri dal suolo in precario equilibrio abbiano approfittato della posizione relativamente defilata per prodursi in sonore e pericolose gare di scoregge. Si vocifera, c’è perfino chi attribuisce a questa attività la rapida asciugatura della vernice…

Daniele in corriera ha resistito imperterrito a decine di canzoni e canzonacce della comitiva, ai sobbalzi paurosi del matatu riuscendo a dormire beato con la bocca aperta. Il sonno del giusto. E mentre dormiva ragionava di rubinetti e guarnizioni. Incredibile!