2. - NATURA E BIODIVERSITA’ Premessa e Fonte dati · Così come per la pubblicazione del...

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20 2. - NATURA E BIODIVERSITA’ Premessa e Fonte dati La conservazione della natura è oggi un tema di grande attualità che si inserisce anche nel dibattito sociale oltre che politico, economico ed ambientale. Essa rappresenta pertanto una azione responsabile e scientifica per una gestione compatibile delle risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili. E’ utile ricordare a tal proposito il lavoro del Comitato italiano dell’Unione mondiale per la Conservazione della Natura (International Union for Conservation of Nature – IUCN) ovvero influenzare, incoraggiare e assistere le società del mondo al fine di conservare l’integrità e la diversità della natura e di assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile. Il concetto di conservazione della natura è certamente complesso e multidimensionale pertanto è particolarmente difficile definire degli indicatori adatti per l’analisi, il monitoraggio e lo studio dell’evoluzione del fenomeno. Così come per la pubblicazione del precedente Rapporto sullo Stato dell’Ambiente, questo aggiornamento contiene una serie di indicatori scelti per definire la situazione a livello locale rispetto alla natura e biodiversità. La Provincia di Viterbo si estende per un’area di circa di 3612 km², e comprende 60 comuni; rientra all’interno della Tuscia Laziale, area che si estende a Nord di Roma tra il fiume Tevere e il Mar Tirreno. Il territorio provinciale racchiude una grande varietà di paesaggi determinati dall’irregolarità dei suoi confini amministrativi, che raramente coincidono con i limiti naturali quali corsi d’acqua, linee di spartiacque etc. e che vanno dalle pianure alluvionali della fascia costiera (Maremma Laziale) ai complessi vulcanici dell’interno, che culminano nei 1053 m del Monte Cimino. Il territorio della Tuscia Laziale si sviluppa in massima parte su substrati vulcanici derivanti dall’attività esplosiva di tre importanti complessi vulcanici: quello vulsino, dominato dalla vasta depressione lacustre di Bolsena, quello vicano con il lago di Vico in posizione centrale, e quello cimino subito a Sud-Est di Viterbo. Uno degli aspetti della qualità di un territorio è la naturalità del paesaggio, dove per naturalità si intende il grado di diversità ecologica e biologica dell’ambiente. Tale indicatore è un utile strumento conoscitivo di base per monitorare gli effetti delle pressioni sul territorio da parte delle attività umane. E’ importante a tal proposito fare riferimento alla normativa dalla quale derivano le azioni di tutela. Rete Natura 2000 “Natura 2000” è il nome che il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato al sistema coordinato e coerente (una "rete") di aree presente nel territorio dell'Unione e destinate alla conservazione della biodiversità ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali di interesse comunitario (individuate dalla Direttiva 79/409/CEE "Uccelli“ e dalla Direttiva 92/43/CEE "Habitat“). La "rete" è composta da due tipi di aree: le Zone di Protezione Speciale (ZPS), previste dalla Direttiva "Uccelli“, e i Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC), previsti dalla Direttiva "Habitat“ Quadro normativo di riferimento DIRETTIVA 79/409/CEE "UCCELLI" del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (art. 4) DIRETTIVA 92/43/CEE "HABITAT" del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. D.P.R. 8 SETTEMBRE 1997, N. 357 come modificato dal d.p.r. 12 marzo 2003, N. 120 ( Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche)

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2. - NATURA E BIODIVERSITA’ Premessa e Fonte dati La conservazione della natura è oggi un tema di grande attualità che si inserisce anche nel dibattito sociale oltre che politico, economico ed ambientale. Essa rappresenta pertanto una azione responsabile e scientifica per una gestione compatibile delle risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili. E’ utile ricordare a tal proposito il lavoro del Comitato italiano dell’Unione mondiale per la Conservazione della Natura (International Union for Conservation of Nature – IUCN) ovvero influenzare, incoraggiare e assistere le società del mondo al fine di conservare l’integrità e la diversità della natura e di assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile. Il concetto di conservazione della natura è certamente complesso e multidimensionale pertanto è particolarmente difficile definire degli indicatori adatti per l’analisi, il monitoraggio e lo studio dell’evoluzione del fenomeno. Così come per la pubblicazione del precedente Rapporto sullo Stato dell’Ambiente, questo aggiornamento contiene una serie di indicatori scelti per definire la situazione a livello locale rispetto alla natura e biodiversità. La Provincia di Viterbo si estende per un’area di circa di 3612 km², e comprende 60 comuni; rientra all’interno della Tuscia Laziale, area che si estende a Nord di Roma tra il fiume Tevere e il Mar Tirreno. Il territorio provinciale racchiude una grande varietà di paesaggi determinati dall’irregolarità dei suoi confini amministrativi, che raramente coincidono con i limiti naturali quali corsi d’acqua, linee di spartiacque etc. e che vanno dalle pianure alluvionali della fascia costiera (Maremma Laziale) ai complessi vulcanici dell’interno, che culminano nei 1053 m del Monte Cimino. Il territorio della Tuscia Laziale si sviluppa in massima parte su substrati vulcanici derivanti dall’attività esplosiva di tre importanti complessi vulcanici: quello vulsino, dominato dalla vasta depressione lacustre di Bolsena, quello vicano con il lago di Vico in posizione centrale, e quello cimino subito a Sud-Est di Viterbo. Uno degli aspetti della qualità di un territorio è la naturalità del paesaggio, dove per naturalità si intende il grado di diversità ecologica e biologica dell’ambiente. Tale indicatore è un utile strumento conoscitivo di base per monitorare gli effetti delle pressioni sul territorio da parte delle attività umane. E’ importante a tal proposito fare riferimento alla normativa dalla quale derivano le azioni di tutela. Rete Natura 2000 “Natura 2000” è il nome che il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato al sistema coordinato e coerente (una "rete") di aree presente nel territorio dell'Unione e destinate alla conservazione della biodiversità ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali di interesse comunitario (individuate dalla Direttiva 79/409/CEE "Uccelli“ e dalla Direttiva 92/43/CEE "Habitat“). La "rete" è composta da due tipi di aree: le Zone di Protezione Speciale (ZPS), previste dalla Direttiva "Uccelli“, e i Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC), previsti dalla Direttiva "Habitat“ Quadro normativo di riferimento DIRETTIVA 79/409/CEE "UCCELLI" del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (art. 4) DIRETTIVA 92/43/CEE "HABITAT" del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. D.P.R. 8 SETTEMBRE 1997, N. 357 come modificato dal d.p.r. 12 marzo 2003, N. 120 ( Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche)

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DM 17 ottobre 2007 (Criteri minimi per la definizione delle misure di conservazione relative alle ZSC e ZPS) D.G.R. N. 2146 del 19 marzo 1996 Direttiva 92/43/CEE /HABITAT: approvazione della lista dei siti con valori di importanza comunitaria del Lazio ai fini dell’inserimento nella rete ecologica europea “Natura 2000". D.G.R. n. 1103 del 2 agosto 2002 Approvazione delle linee guida per la redazione dei Piani di gestione e la regolamentazione sostenibile dei SIC e ZPZ (punto 1.4). D.G.R. n. 651 del 19 luglio 2005 Integrazione Deliberazione della Giunta Regionale n. 2146/96 (individuazione di nuove ZPS e/o ampliamento di ZPS esistenti) D.G.R. n. 534 del 4 agosto 2006 Definizione degli interventi non soggetti alla procedura di Valutazione di Incidenza D.G.R. n. 363 del 16 maggio 2008 Rete Europea Natura 2000: Misure di conservazione obbligatorie da applicarsi nelle ZPS D.G.R. n. 928 del 17 dicembre 2008: Modifiche alla DGR 363 concernente “Rete Europea Natura 2000: Misure di conservazione obbligatorie da applicarsi nelle ZPS”. D.M. 22/01/2009: modifica del DM 17/10/2007 concernente i criteri minimi uniformi per la definizione delle misure di conservazione relative alle ZSC e ZPS. Occorre inoltre citare la modifica alla DGR n. 533 del 4 agosto 2006. Rete Europea Natura 2000: misure di conservazione transitorie e obbligatorie da applicarsi nelle Zone di Protezione Speciale. Essa delibera alcune modifiche relative all’Allegato A. Nello specifico esse riguardano: il punto 2 lettera d) in cui è specificato che a decorrere dalla stagione venatoria 2007/2008 è vietato l’esercizio dell’attività venatoria con cartuccia con bossoli in materiale plastico fatta eccezione per le zone umide nelle quali era invece vietato così come specificato alla lettere c) dello stesso punto. Ciò in considerazione di determinati aspetti legati anche alla sicurezza e all’incolumità personale sollevati da alcune Associazioni venatorie, Associazioni e Gruppi di Ricerca in ambito venatorio. Alcune definizioni S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario): area geograficamente definita che contribuisce a mantenere un habitat Naturale o una specie vegetale o animale. Per le specie animali che occupano ampi territori i pSIC corrispondono ai luoghi ove sono presenti elementi essenziali per la loro vita. Z.P.S. (Zona di Protezione Speciale): Territori idonei in numero e superficie alla conservazione di specie animali minacciate, rare, potenzialmente danneggiate da modifiche del loro habitat. HABITAT D’INTERESSE COMUNITARIO: habitat che rischiano di scomparire, hanno un’area ristretta, costituiscono esempi notevoli di una o più delle regioni biogeografiche. (questi habitat figurano nell’Allegato I) SPECIE D’INTERESSE COMUNITARIO: specie che sono in pericolo, sono vulnerabili, sono rare, sono endemiche. Fonte dati Le fonti consultate per la stesura del presente capitolo sono state reperite presso l’Assessorato Ambiente della Provincia di Viterbo. I dati relativi al rischio incendi sono stati forniti dal Corpo Forestale dello Stato, Coordinamento Provinciale Viterbo elaborati dall’ufficio Agenda 21. Rapporto sullo Stato delle province del Lazio 2008 UPI su dati Eures

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Tabella di sintesi dei principali indicatori

INDICATORI

STATO TENDENZA NEL TEMPO

Naturalità del territorio (S) ☺ ☺ Aree protette e siti di importanza comunitaria (R) ☺ ☺ Biodiversità e frammentazione ambientale (R) ☺ ☺ Rischio incendio boschivo (P) Superficie boscata distrutta dal fuoco Indicatori

2.1– Naturalità del territorio

I fattori di pressione che agiscono sugli ambienti naturali sono determinati dalle attività umane e naturali e possono alterare anche profondamente il territorio nelle sue caratteristiche naturali. Tali pressioni incidono nel tempo nell’impoverimento della biodiversità. Il Lazio ha una straordinaria diversità di ambienti naturali ed una straordinaria ricchezza di specie vegetali ed animali. La conservazione degli ambienti naturali è necessaria per la tutela degli equilibri ecologici e l’analisi delle componenti ambientali e permette di definirne lo stato ambientale.

Definizione dell’indicatore e metodologia di calcolo L’indicatore misura la naturalità del territorio provinciale. Evidenze riscontrate I dati sono stati rilevati dall’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (Fonte INFC 2005 – Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ispettorato Generale - Corpo Forestale dello Stato. CRA - Istituto Sperimentale per l’Assestamento Forestale e per l’Alpicoltura) L’avvio del nuovo Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC) è nel 2002-2003 partito dopo uno studio preliminare dal CRA-ISAFA che ha delineato il percorso progettuale, organizzativo ed attuativo, volto a fornire, nei tempi previsti dagli accordi internazionali e in particolare dal Protocollo di Kyoto, le informazioni richieste al nostro Paese, sulla consistenza e lo stato delle foreste, informazioni che in Italia apparivano datate e insufficienti a fornire risposte efficaci alle rinnovate esigenze informative a livello nazionale e internazionale. Analogamente al primo inventario l’INFC è stato realizzato dal personale del Corpo Forestale dello Stato, che ha coordinato e finanziato il progetto; il CRA-ISAFA, come responsabile della progettazione, ha curato gli aspetti tecnico-scientifici, la formazione del personale, l’elaborazione e la presentazione dei risultati. Le stime di superficie Sulla base delle procedure di classificazione utilizzate, la superficie forestale complessiva è stata suddivisa secondo uno schema gerarchico a quattro livelli.

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Il primo è costituito dalle due macrocategorie inventariali Bosco e Altre terre boscate, definite sulla base delle corrispondenti categorie FAO, che insieme costituiscono la superficie forestale complessiva. Al secondo livello, quello delle categorie inventariali, il Bosco viene ripartito in Boschi alti, Impianti di arboricoltura da legno e Aree temporaneamente prive di soprassuolo, mentre le Altre terre boscate sono suddivise nelle categorie inventariali denominate Boschi bassi, Boschi radi, Boscaglie e Arbusteti. Nell’ambito della macrocategoria delle Altre terre boscate è stata convenzionalmente aggiunta una quinta classe, denominata Aree boscate inaccessibili o non classificate. Questa classe comprende tutti i punti di campionamento che, assegnati in prima fase alle aree boscate, non sono stati ulteriormente classificati in seconda fase perché non raggiungibili né descrivibili da lontano, o perché privi di informazioni attendibili a causa di limitazioni tecniche o procedurali. Ai livelli gerarchici inferiori, le aree forestali vengono classificate secondo 23 categorie forestali e oltre 90 sottocategorie forestali sulla base della specie o del gruppo di specie prevalente e, a livello di sottocategoria, di alcune caratteristiche biogeografiche e stazionali. Le stime di superficie si riferiscono all’intero territorio nazionale e ai 21 distretti territoriali, le Regioni e le Province Autonome italiane, e si basano sui valori di estensione dei distretti territoriali ufficiali pubblicati dall’ISTAT per il 2002, i più aggiornati disponibili al momento dell’avvio delle prime fasi di progettazione del disegno inventariale. I dati riferiti al territorio provinciale di Viterbo di seguito riportati sono estratti dal rapporto INFC, Stime di superficie 2005. Fonte INFC 2005 – Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ispettorato Generale - Corpo Forestale dello Stato. CRA - Istituto Sperimentale per l’Assestamento Forestale e per l’Alpicoltura. Tab.2.1.1: Estensione delle macrocategorie e categorie inventariali nella provincia di Viterbo (dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio – INFC. Stime effettuate nel 2005, dati pubblicati nell’agosto 2008)

Macrocategorie Inventariali

Estensione Totale della

macrocategoria Categorie Inventariali

Estensione Totale della categoria

Superficie (ha)

ES (%)

Superficie (ha)

ES (%)

Bosco 82.534 6.3

Boschi alti 81.428 6.4 Impianti di arboricoltura da legno 737 70.7 Aree temporaneamente prive di

soprassuolo 368 100.0

Altre terre boscate 9.186 19.9

Boschi bassi 737 70.7

Boschi radi 343 100.0

Boscaglie 0 - Arbusteti 2.211 40.8

Aree boscate inaccessibili o non classificate 5.895 24.9

Totale 91.720 5.9

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Tab. 2.1.2: Estensione delle categorie forestali dei “boschi alti” nella provincia di Viterbo. (dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio – INFC. Stime effettuate nel 2005, dati pubblicati nell’agosto 2008)

Categorie Inventariali Estensione Totale della categoria

Superficie (ha)

ES (%)

Pinete di pino nero, laricio e loricato 368 100.0 Pinete di pini mediterranei 368 100.0

Altri boschi di conifere pure o miste 368 100.0 Faggete 368 100.0

Boschi a rovere, roverella e farnia 15.475 15.3 Cerrete, boschi di farnetto, fragno, vallonea 42.741 9.0

Castagneti 9.948 19.1 Ostrieti, carpineti 3.685 31.5

Boschi idrofili 1.842 44.7 Altri boschi caducifogli 3.316 33.3

Leccete 1.842 44.7 Sugherete 368 100.0

Altri boschi di latifoglie sempreverdi 737 70.7 La gestione del patrimonio forestale di proprietà sia pubblica che collettiva nonché degli enti morali, in base alla normativa nazionale (R.D. n. 3267/23, art. 130) e regionale (L.R. n. 39/02, art. 17), deve essere effettuata sulla base di un Piano di Gestione ed Assestamento Forestale (PGAF o PAF). Come stabilito dall’art.13 della suddetta Legge Regionale essi non devono avere una durata superire ai 15 anni e devono contenere almeno i seguenti elementi:

• obiettivi del piano; • delimitazione e zonizzazione del patrimonio boschivo dell’ente; • documentazione cartografica; • analisi della vegetazione; • descrizione delle particelle forestali; • determinazione della provvigione e della ripresa legnosa; • piano degli interventi selvicolturali; • modalità e tecniche di esercizio dell’attività di utilizzazione forestale; • piano della viabilità forestale (art. 41, comma 5, L.R. 39/02) e misure per il miglioramento

della rete viaria forestale e per la salvaguardia del sistema idrografico esistente all’interno del patrimonio boschivo;

• modalità di conservazione In provincia di Viterbo gli enti pubblici, collettivi e morali che per la gestione del proprio patrimonio boschivo hanno adottato un PAF ed avviato le procedure per la sua approvazione da parte della Regione Lazio, sono riportati nella seguente tabella.

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Tab.2.13: Enti che hanno avviato un PAF

Ente proprietario Comune Stato del procedimento di approvazione del piano

UN. AGR. DI TARQUINIA Tarquinia Approvato ed esecutivo

UN. AGR. DI VEJANO Vejano

COMUNE DI RONCIGLIONE Ronciglione Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI BARBARANO ROMANO Barbarano Romano Approvato ed esecutivo

FONDAZIONE FRATELLI AGOSTI Bagnoregio Approvato ed esecutivo

UNIV. AGR. DI CIVITELLA D'AGLIANO Civitella D'agliano Approvato ed esecutivo

COMUNE DI BLERA Blera Approvato ed esecutivo

RIS. NATURALE SELVA DEL LAMONE Farnese Approvato ed esecutivo RISERVA NATURALE MONTE

RUFENO Acquapendente Approvato ed esecutivo

COMUNE DI VILLA S. GIOVANNI IN TUSCIA

Villa S. Giovanni in T. Approvato ed esecutivo

UN. AGR. DI GRAFFIGNANO Graffignano Approvato ed esecutivo

UNIV. AGRARIA DI CHIA Soriano nel Cimino Approvato ed esecutivo

COMUNE DI CANINO Canino Approvato ed esecutivo

UN. AGR. DI CIVITELLA CESI Civitella Cesi Approvato ed esecutivo

COM. DI SORIANO NEL CIMINO Soriano nel Cimino

Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI MONTEROMANO Monteromano Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI FABRICA DI ROMA Fabrica Di R. scaduto

ASBUC DI GROTTE S. STEFANO Viterbo - Grotte S. Stefano Approvato ed esecutivo

COMUNE DI ARLENA DI CASTRO Arlena Di C. Approvato ed esecutivo

COMUNE DI VALENTANO Valentano Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

UN AGRARIA DI BASSANO ROMANO Bassano Romano Approvato ed esecutivo

COMUNE DI BOLSENA Bolsena Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI PIANSANO Piansano Approvato ma non esecutivo

COMUNE DI VITORCHIANO Vitorchiano Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI FALERIA Faleria Approvato ma non esecutivo

UN. AGR. DI MONTEROMANO Monteromano Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE. DI CAPRAROLA Caprarola Approvato solo per la porzione esterna alla Ris. Nat. Lago di Vico

UN. AGRARIA DI ORIOLO ROMANO Oriolo Romano Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI NEPI Nepi Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI TUSCANIA Tuscania Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

COMUNE DI ISCHIA DI CASTRO Ischia Di Castro Adottato dall’Ente proponente ma non approvato

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2.2. – Frequenza ed estensione degli incendi L’estate del 2007 per molto tempo verrà ricordata come una delle più disastrose per gli incendi boschivi. L’Italia, la Grecia, l’Albania hanno avuto le conseguenze più gravi ma la piaga degli incendi boschivi, più in generale, colpisce indistintamente tutti i paesi dell’area mediterranea. Ogni anno nel periodo estivo vengono distrutti migliaia e migliaia di ettari di boschi con un danno ambientale ma anche patrimoniale elevato a cui vanno aggiunti i costi per fronteggiare questo subdolo nemico che si nasconde in comportamenti superficiali e spesso intenzionali. E’ un problema che impegna risorse di tutti, mette a rischio a volte la vita di persone, animali e cose. Fino a qualche anno fa la principale causa degli incendi era legata allo sfruttamento dei suoli quando in effetti un bosco andato in fumo poteva diventare, l’anno successivo terreno edificabile o pascolo per le greggi o altro ancora. Nel 2000 entra in vigore la Legge-quadro che all’art.10 stabilisce che le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco, non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. Essa prevede inoltre che le regioni formulino un “Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” I Comuni sul cui territorio si siano verificati incendi di aree boschive o a pascolo sono tenuti a censire tramite un apposito catasto, cosiddetto “catasto degli incendi”, le aree percorse dal fuoco ed a congelarle. La realizzazione del ‘catasto degli incendi’ necessita di risorse, uomini e mezzi, e in molti casi gli enti locali nonne dispongono. Proprio per questo, in molti Comuni, quasi tutti, il catasto degli incendi boschivi non era mai stato istituito, almeno fino all’estate appena passata. Il 2007 ha visto una situazione critica rispetto al numero di incendi che hanno colpito l’Italia centro-meridionale. Conseguentemente a ciò, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato (27 luglio 2007) lo stato di emergenza, cui ha fatto seguito un ordinanza (O.P.C.M. n. 3606 del 28 agosto 2007), con la quale ha nominato il Capo del Dipartimento della protezione civile quale Commissario delegato per il superamento del contesto emergenziale delle regioni Lazio, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Per superare l’aspetto relativo alla carenza di risorse dei Comuni la normativa stabilisce che essi possono avvalersi del lavoro del Corpo Forestale dello Stato che dispone dei rilievi delle aree e li mantiene costantemente aggiornati. Tutti i Comuni interessati hanno ricevuto il materiale cartografico delle perimetrazioni degli incendi, i cosiddetti poligoni, e l’elenco delle particelle catastali percorse dal fuoco. L’elenco delle aree percorse dal fuoco deve essere esposto, per eventuali osservazioni, all’albo pretorio comunale per un periodo di trenta giorni, trascorsi i quali valutate le eventuali osservazioni presentate, i Comuni approvano, entro ulteriori 60 giorni, gli elenchi definitivi e le relative perimetrazioni. A coadiuvare il Commissario delegato nel compito di effettuare la ricognizione dei Comuni tenuti a censire (ai sensi della legge n. 353/2000, art.10,c.2) i soprassuoli percorsi dal fuoco, l’ordinanza (art.1, c.7) individua le figure dei ‘soggetti attuatori’ identificandoli nei Presidenti delle Regioni, per il Lazio e la Campania e i diciannove Prefetti per la Sicilia, la Calabria e la Puglia. I dati così elaborati e certificati saranno quindi resi disponibili ai Comuni per il successivo accatastamento da parte dei comuni stessi. Va specificato che la 353/2000 sancisce l’obbligo di provvedere al censimento per i soli Comuni i cui territori siano stati percorsi dal fuoco. Tuttavia sono diversi i Comuni che hanno voluto istituire con apposita delibera di giunta il catasto degli incendi pur in assenza degli stessi nominando un responsabile. Tra i comuni che al contrario sono tenuti all’istituzione del catasto, possiamo dire che nel Lazio tutti i comuni hanno istituito il catasto delle aree percorse dal fuoco. C’è da specificare inoltre che l’ordinanza 3606 intervenuta nelle sole regioni Lazio, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia è intervenuta a seguito degli eventi gravi ed eccezionali verificatisi durante la stagione estiva 2007; tuttavia la normativa vigente in materia di incendi boschivi e catasto delle aree bruciate interessa, evidentemente, la totalità del territorio nazionale.

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Gli incendi rappresentano un grave rischio per la conservazione del patrimonio naturale. Il patrimonio forestale costituisce un'immensa ricchezza per l'ambiente e l'economia, per l'equilibrio del territorio, per la conservazione della biodiversità e del paesaggio. Tuttavia ogni anno assistiamo all'incendio di ettari di bosco, molto spesso dovuto a cause dolose, legate alla speculazione edilizia, o all'incuria e alla disattenzione dell'uomo. Le conseguenze per l'equilibrio naturale sono gravissime e i tempi per il riassetto dell'ecosistema molto lunghi. Appare pertanto particolarmente importante operare sul fronte della previsione e prevenzione degli incendi prima ancora dell’attività di contrasto diretto e spegnimento. Lo stesso regolamento della Commissione Europea n. 804/94 da attuazione ad un sistema comunitario di informazione sugli incendi denominato “Base comune minima d’informazioni sugli incendi boschivi”. Esso prevede che ciascun incendio monitorato debba essere ascritto, in base alla sua origine presunta, in una delle quattro categorie di seguito riportate:

incendio di origine ignota incendio di origine naturale incendio di origine accidentale o dovuto a negligenza incendio di origine volontaria, ossia provocato con l’intenzione deliberata di distruggere uno

spazio forestale per motivi diversi. E’ possibile in tal modo migliorare le statistiche relative alle cause determinanti gli incendi boschivi, che, disaggregate per zone omogenee dal punto di vista amministrativo o territoriale, rielaborate e commentate, costituiscono le fondamenta per mettere in atto strategie di prevenzione e contrasto. A tal proposito occorre citare il lavoro fatto nel 2007 dall’università della Tuscia di Viterbo sugli studi circa l’identificazione e la dinamica delle cause scatenanti un incendio boschivo. La Convenzione stipulata tra la Direzione Generale delle Foreste e il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e delle sue Risorse dell’Università della Tuscia ha quindi l’obiettivo di mettere a punto e diffondere una metodologia per la corretta determinazione delle cause d’incendio. I risultati ottenuti sono di una maggiore capacità di lettura del fenomeno, una individuazione della specificità locale e, in alcuni casi, l’individuazione diretta degli autori dei reati. L’attività oggetto della Convenzione ha riguardato nello specifico la Liguria e la Calabria ed ha dimostrato una decisa efficacia, evidenziata dalla stretta correlazione tra la causa dell’incendio e l’individuazione dei sospettati. Le accresciute conoscenze circa le cause degli incendi possono quindi fornire un valido contributo alle attività di prevenzione, ed è quindi auspicabile che sulla base dei risultati preliminari, un necessario periodo di sperimentazione, integrazione e messa a punto, il metodo di determinazione possa essere diffuso a livello nazionale. La provincia di Viterbo ha un patrimonio ambientale importante da tutelare ed ha finora messo a punto una serie di attività anche di tipo formativo e di addestramento circa le attività previsione, prevenzione e spegnimento degli incendi boschivi rivolto agli operatori delle organizzazioni di volontariato della Protezione Civile. La Provincia di Viterbo infatti, coordina, attraverso una propria sala operativa di Protezione Civile, i 60 comuni per ridurre la probabilità del rischio incendio ed i conseguenti danni ambientali. Le operazioni di avvistamento incendio e primo intervento sono gestite principalmente da gruppi ed Associazioni di volontari, mentre la “Comunità Montana Alta Tuscia Laziale” (Acquapendente, Gradoli, Grotte di Castro, Latera, Onano, Proceno, San Lorenzo Nuovo, Valentano) e la “Comunità Montana dei Monti Cimini” (Canepina, Capranica, Caprarola, Carbognano, Ronciglione, Soriano nel Cimino, Vallerano, Vetralla, Vignanello, Vitorchiano) svolgono tale servizio direttamente per conto dei Comuni aderenti. Definizione dell’indicatore e metodologia di calcolo L’indicatore prende in considerazione la superficie boscata e non boscata percorsa dal fuoco nel periodo 2006-2008 nel territorio provinciale, nonché il numero di incendi fornendo così un trend

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evolutivo. In tal modo sarà possibile anche valutare la gestione delle attività di prevenzione in atto ed eventualmente apportare delle attività di miglioramento. Evidenze riscontrate Osservando i dati relativi ai grafici si può osservare una situazione critica nell’anno 2007 quando si è registrato un numero elevato di incendi rispetto agli anni precedenti. Nella tabella seguente viene riportato il dato numerico del numero di incendi, della superficie boscata e non boscata percorsa dal fuoco nonché del totale riferito all’intero territorio provinciale. Tab.2.2.1: Nr. incendi e Superficie percorsa da incendi 2006 VITERBO PROVINCIA

Incendi Nr

Boscata Ha

Non boscata ha

Totale ha

27 61,8525 185,0930 246,9455 Di seguito vengono, invece, riportati i dati inerenti al numero di incendi e alla superficie boscata e non boscata percorsa nell’anno 2006, 2007 e 2008 distinti per Comune (Tab. 2.2.2, 2.2.3 e 2.2.4) Tab. 2.2.2: Nr. incendi e Superficie percorsa da incendi 2006

Comune Incendi Numero

Superficie percorsa dal fuoco Boscata

ha Non boscata

ha Totale

ha

Bagnoregio 1 0,3419 0,6582 1,0001 Barbarano Romano 3 26,4150 20,3449 46,7599

Bassano Romano 3 6,6085 5,6384 12,2469 Bolsena 1 2,0349 1,5391 3,5740

Caprarola 1 6,4190 0,0000 6,4190 Civitella d’Agliano 3 5,8000 11,7000 17,5000

Gallese 3 0,8032 0,8734 1,6766 Gradoli 1 0,4521 0,3877 4,8398

Ischia di Castro 1 2,7288 108,5700 111,2988 Nepi 2 5,8811 4,6999 10,5810

Oriolo Romano 1 1,0922 0,9907 2,0829 Orte 2 0,2657 0,3347 0,6004

Tarquinia 0 0,4681 0,0000 0,4681 Vasanello 1 0,3676 0,0000 0,3676 Vetralla 1 2,7905 0,2409 3,0314

Vitorchiano 1 0,7271 0,0000 0,7271 TOTALE

PROVINCIALE 27 61,8525 185,0930 246,9455

Fonte: Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Viterbo

29

Tab. 2.2.3: Nr. incendi e Superficie percorsa da incendi 2007 Comune Incendi

Numero Superficie percorsa dal fuoco

Boscata ha Non boscata ha Totale ha Acquapendente 2 2,9457 34,7981 37,7438

Bagnoregio 1 8,5904 9,2257 17,8161 Bassano Romano 4 6,2807 0,6123 6,8930

Bomarzo 1 3,7110 5,3994 9,1104 Canepina 6 4,2064 0,8263 5,0327 Capranica 2 6,4106 2,4846 8,8952 Caprarola 1 0,1099 0,0000 0,1099

Carbognano 1 0,5794 0,0000 0,5794 Castel sant’Elia 1 5,0607 1,7606 6,8213

Civita Castellana 1 0,6227 8,12090 8,7436 Corchiano 1 0,3276 0,0000 0,3276

Faleria 2 3,6770 3,7468 7,4238 Gallese 1 1,0406 0,0000 1,0406

Graffignano 2 5,6667 0,9831 6,6498 Latera 1 0,7743 5,0110 5,7853

Monte Romano 2 0,9638 11,0993 12,0631 Monterosi 0 0,5000 40,8077 41,3077

Nepi 5 34,4905 16,3091 50,7996 Oriolo Romano 1 63,3512 7,3198 70,6710

Orte 2 31,3481 10,9096 42,2577 Proceno 1 6,1792 58,3856 64,5648

Soriano nel cimino 9 15,5398 1,0598 16,5996 Tarquinia 6 16,7468 145,2055 161,9523 Tuscania 9 26,90890 18,3133 45,2222

Valentano 1 4,8598 1,4807 6,3405 Vallerano 3 1,1959 0,2744 1,4703 Vasanello 2 2,8861 0,0000 2,8861

Vejano 1 1,0257 0,4332 1,4589 Vetralla 1 4,8615 0,7068 5,5683

Vitorchiano 0 0,1289 0,0000 0,1289 TOTALE 73 268,3797 385,2736 653,6533

Fonte: Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Viterbo Tab. 2.2.4: Nr. incendi e Superficie percorsa da incendi 2008 Comune Incendi

Numero Superficie percorsa dal fuoco Boscata ha Non boscata ha Totale ha

Bassano Romano 2 5,6679 0 5,6679 Bolsena 1 0,0781 0 0.0781 Bomarzo 3 4,6151 4,6101 92252 Canepina 6 7,4942 0 7,4942 Capranica 2 20,0961 0 20,0961 Castel sant’Elia 1 0,2628 0 0,2628 Cellere 1 1,4412 26,858 28,2992 Faleria 2 0,4642 2,1237 2,5879 Gallese 3 2,1231 1,0536 3,1767 Graffignano 1 2,2102 0 2,2102 Monte Romano 1 0,8769 34,2349 35,118 Nepi 1 0,2584 10,6816 10,94 Oriolo Romano 1 0,4051 0 0,4051 Orte 1 0,0939 0 0,0939 Soriano nel cimino 3 1,0448 0 1,04848 Sutri 1 1,8683 3,1453 5,0136 Tarquinia 1 43,1645 16,6917 59,8562 Tuscania 2 3,0483 46,6114 49,6597 Vejano 2 0,8717 0,7069 1,5786 Viterbo 6 12,2304 44,3757 56,6061 TOTALE 41 108,3152 191,0929 299,4081 Fonte: Corpo Forestale dello Stato Coordinamento Provinciale di Viterbo

Fig. 2.2.1: T

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53

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31

della biodiversità. Anche in questo caso, come in altri, appare fondamentale l’attività di prevenzione sul territorio e l’uso sempre più diffuso di tecnologie in grado di ottimizzare le azioni di contenimento dei danni causati. Definizione dell’indicatore e metodologia di calcolo L’indicatore definisce la percentuale di superficie boscata distrutta rispetto all’intera superficie comunale boscata. Il dato si riferisce all’anno 2007 e 2008 ai comuni in cui si sono verificati incendi basandosi sul dato relativo alla superficie boscata comunale disponibile. Fig.2.3.1: Percentuale percorsa dal fuoco/superficie boscata comunale 2007

Comune Superficie Boscata comunale

ha

Superficie percorsa dal fuoco Boscata

ha

% superficie percorsa dal

fuoco/superficie boscata tot

Acquapendente 6.353 2,9457 0,04 Bagnoregio 1.995 8,5904 0,43 Bassano Romano 383 6,2807 1,63 Bomarzo 1.230 3,7110 0,30 Canepina 1.420 4,2064 0,29 Capranica 853 6,4106 0,75 Caprarola 1.806 0,1099 0,006 Carbognano 252 0,5794 0,23 Castel Sant’Elia 853 5,0607 0,6 Civita Castellana 1.187 0,6227 0,05 Corchiano 363 0,3276 0,09 Faleria 776 3,6770 0,48 Gallese 710 1,0406 0,15 Graffignano 595 5,6667 0,95 Latera 658 0,7743 0,12 Monte Romano 2.746 0,9638 0,03 Monterosi 100 0,5000 0,5 Nepi 1.416 34,4905 2,43 Oriolo Romano 619 63,3512 10,23 Orte 1.762 31,3481 1,78 Proceno 559 6,1792 1,10 Soriano nel Cimino 2.555 15,5398 0,60 Tarquinia 3.647 16,7468 0,46 Tuscania 2.320 26,90890 1,15 Valentano 709 4,8598 0,68 Vallerano 543 1,1959 0,22 Vasanello 857 2,8861 0,33 Vejano 1.978 1,0257 0,05 Vetralla 3.251 4,8615 0,15 Vitorchiano 944 0,1289 0,01 Fonte: Elaborazione Ufficio A21 su dati Corpo Forestale dello Stato

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Fig.2.3.1: Percentuale percorsa dal fuoco/superficie boscata comunale 2008 Comune Superficie Boscata

comunale ha

Superficie percorsa dal fuoco Boscata

ha

% superficie percorsa dal

fuoco/superficie boscata tot

Bassano Romano 383 5,6679 1,47 Bolsena 898 0,0781 0,008 Bomarzo 1.230 4,6151 0,37 Canepina 1.420 7,4942 0,59 Capranica 853 20,0961 2,35 Castel Sant’Elia 853 0,2628 0,03 Cellere 640 1,4412 0,22 Faleria 776 0,4642 0,05 Gallese 710 2,1231 0,29 Graffignano 595 2,2102 0,37 Monte Romano 2.746 0,8769 0,03 Nepi 1.416 0,2584 0,01 Oriolo Romano 619 0,4051 0,06 Orte 1.762 0,0939 0,005 Soriano nel Cimino 2.555 1,0448 0,04 Sutri 1.395 1,8683 0,13 Tarquinia 3.647 43,1645 1,18 Tuscania 2.320 3,0483 0,13 Vejano 1.978 0,8717 0,04 Viterbo 7.302 12,2304 0,16 Fonte: Elaborazione Ufficio A21 su dati Corpo Forestale dello Stato

2.4 – Estensione di aree protette e siti di importanza comunitaria Nel 2007 “Il Sistema delle aree protette della Regione Lazio” ha compiuto trent’anni. E’ infatti del 1977 la prima legge quadro che stabilì le linee guida per l’istituzione di Parchi e Riserve Naturali nella Regione. Nel Lazio oggi le aree più importanti per la conservazione della biodiversità godono tutte di qualche forma di tutela, sotto forma di riserva o parchi naturali, SIC o ZPS. Tuttavia nonostante ciò tali aree sono territori estremamente vulnerabili e necessitano di politiche di conservazione efficaci. In particolare occorre garantire politiche di gestione idonee che siano in gado di preservare tali aree e non ostacolarne la crescita. Ciò può avvenire anche grazie ad una migliore strutturazione degli Enti. Mantenere l’identità dei diversi ecosistemi, la conservazione degli habitat e garantire la protezione delle specie vegetali e animali, significa realizzare l’obiettivo primario dell’umanità ovvero assicurare la qualità dell’ambiente in cui viviamo. Definizione dell’indicatore e metodologia di calcolo L’indicatore misura l’estensione della superficie terrestre o marina tutelata dalla normativa nazionale o regionale e la sua percentuale rispetto al territorio provinciale. Il valore ambientale ed ecologico complessivo è invece determinato dal numero ed estensione dei Siti d’Importanza Comunitaria (SIC). Evidenze riscontrate Il territorio provinciale presenta un territorio estremamente ricco di risorse naturali la cui salvaguardia attraverso una corretta gestione appare necessaria per garantire uno sviluppo economico e sociale equilibrato e sostenibile.

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Nel territorio provinciale ricadono tre dei 13 Parchi Regionali del Lazio che complessivamente a livello regionale, ricoprono una superficie di 117.350 ettari come si può vedere nella tabella seguente Tab.2.4.1: Parchi regionali del Lazio Provincia Superficie in ettari Monti Aurunci Latina 19.375

Frosinone Monti Simbruini Frosinone 29.990

Roma Riviera di Ulisse Latina 514 Aguzzano Roma 60 Monti Lucretili Roma 18.204 Appia Antica Roma 3.500 Castelli Romani Roma 12.000 Inviolata Roma 535 Pineto Roma 243 Veio Roma 15.000 Bracciano e Martignano Roma 16.682

Viterbo Antichissima città di Sutri Viterbo 7 Marturanum Viterbo 1.240 Totale Lazio 117.350 Fonte: Rapporto sullo Stato delle province del Lazio 2008 UPI su dati Eures Oltre ai Parchi , nel territorio provinciale sono presenti 6 Riserve Naturali definite dalla Legg 39/91, come “aree terrestri, fluviali, lacustri o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della fauna e della flora, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche”:

Salina di Tarquinia Lago di Vico Monte Casoli di Bomarzo Monte Rufeno Selva del Lamone Tuscania

Complessivamente le aree occupano una superficie totale di 10.491 ettari. Vi sono inoltre 2 aree protette che coprono complessivamente 5.824 ettari che sono:

Oasi di Vulci Pian Sant’Angelo

Nel corso dell’anno 2008 la Regione Lazio ha istituito due riserve naturali. Con la Legge regionale 24 dicembre 2008, n. 23 viene istituita la riserva naturale regionale, d’interesse provinciale, Valle dell’Arcionello che comprende parte del territorio del comune di Viterbo. L’intervento legislativo mira, in particolare, alla conservazione e alla valorizzazione delle risorse naturali e culturali presenti nel territorio, allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni locali, attraverso la promozione delle attività economiche compatibili, nonché alla valorizzazione di elementi di interesse storico-culturale al fine di promuoverne la fruizione. La gestione della riserva è affidata alla Provincia di Viterbo che provvede ad adottare, previo parere degli enti locali, i relativi strumenti di gestione, il bilancio e il rendiconto, secondo criteri e modalità indicati dalla legge regionale 29/97 di riferimento in materia di aree naturali protette. Alla

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medesima normativa la legge rinvia, altresì, per quanto riguarda la sorveglianza, le sanzioni e le misure di salvaguardia, precisando, in riferimento a quest’ultimo aspetto, che all’interno del perimetro della riserva l’attività venatoria è vietata, fatti salvi eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici, effettuati nel rispetto della normativa vigente.

La perimetrazione dell’area della Riserva naturale regionale Valle dell'Arcionello parte dal ponte sul Fosso Luparo ad est del centro abitato di Viterbo, il confine della Riserva volta in senso orario fino a includere le aree a nord-est e poi attestarsi sulla Strada Palanzana. Da qui prosegue costeggiando la suddetta strada fino ad arrivare in località Palazzo Vescovile. Quindi il perimetro prosegue verso il Monastero dei Cappuccini e volta a nord fino a giungere a ridosso del Fosso della Palanzana, in località La Palanzanella. Seguendo l'andamento sinuoso del corso d'acqua, in direzione est, prosegue poi fino a giungere in località Grottone. Da qui il perimetro volta a ovest costeggiando i lotti agricoli posti in località Grottone e prosegue poi a sud fino ad arrivare sulla strada provinciale Cimino. Costeggiando tale strada in direzione ovest, il confine passa a nord della località Ontaneto e volge ad est fino a giungere a ridosso del Fosso Luparo. Segue quindi l'andamento sinuoso del corso d'acqua in direzione nord-ovest fino ad attestarsi sulla strada Monte Pizzo, costeggiandola in direzione nord-ovest fino a ricongiungersi con il centro abitato di Viterbo. Da qui il perimetro prosegue attestandosi su Via Belluno e raccordandosi infine con il limite rappresentato dal ponte sul Fosso Luparo. Complessivamente si tratta di un’area periurbana, individuabile attraverso confini riconoscibili, di circa 390 ettari. Legge regionale 24 dicembre 2008, n. 24 istituisce la riserva naturale lago di Vico, nell’ambito del sistema delle aree naturali protette del Lazio, di interesse regionale. La riserva comprende parte dei territori dei comuni di Caprarola e di Ronciglione e quelli della riserva naturale parziale Lago di Vico, già istituita con la legge regionale n. 47 del 1982. La gestione della riserva naturale è affidata

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all’ente regionale di diritto pubblico “Monti Cimini - riserva naturale lago di Vico”, di nuova istituzione. Dalla data di insediamento del Consiglio direttivo del nuovo ente regionale cessa la gestione della riserva naturale parziale Lago di Vico da parte del comune di Caprarola. La Giunta regionale, sulla base di una ricognizione effettuata dal comune medesimo, attribuisce al nuovo ente regionale la titolarità delle risorse patrimoniali, finanziarie e umane e di ogni altro rapporto giuridico.

La perimetrazione della nuova Riserva Naturale Lago di Vico parte dal confine della Riserva, individuato dalla L.R. 47/1982, dal punto a quota circa 910 m slm del Monte Fogliano, si scende verso sud lungo il confine del comune di Ronciglione fino all'intersezione con la strada, in località "Ponte del Tesoro". Il perimetro prosegue lungo la stessa attraversando la località "Bosco Macchia Grossa" e raggiunge l'intersezione posta a quota 637,0 m ove piega verso est sempre lungo la strada fino al quadrivio a quota 616,0 m presso Casaletto. Da qui segue il tracciato della Strada provinciale" Poggio Cavaliere", correndo a nord delle località "le Cacchiere" e "la Fontanaccia". Presso "Coste di Vico", il perimetro si distacca dalla strada per seguire il limite della vegetazione verso il lago, passando a nord dell'insediamento di Poggio Cavaliere. A est del suddetto insediamento, il perimetro ritorna a correre lungo il tracciato stradale verso est fino all'intersezione con la Strada Provinciale Cimina a quota 546,4 m. La linea del confine volge poi verso nord lungo la stessa Strada Provinciale Cimina fino a ricongiungersi con l'esistente confine della Riserva Naturale in località "Cappello di Prete", presso il bivio con la Strada Provinciale Lago di Vico. L’articolo 3 della Legge regionale del 6 ottobre 1997, n.29 delinea gli obiettivi fondamentali del Sistema regionale della aree naturali protette, tra cui “la promozione del turismo sostenibile e delle attività ad esso connesse”. In questa direzione è orientato il programma “Rete degli Eco-alberghi” finalizzato a promuovere una rete di strutture ricettive ecosostenibili, articolata in maniera omogenea rispetto al sistema delle aree protette della regione e caratterizzata da parametri qualitativi coerenti, anche attraverso l’impiego di risorse finanziarie e immobili pubblici. Il

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programma è stato avviato nel 2004 in forma sperimentale. Si è partiti da una ricognizione degli immobili, seguita da una fase di progettazione delle ristrutturazioni, a cura degli enti di gestione delle aree protette. Nel 2005 la Regione Lazio ha finanziato i primi undici interventi, nell’ambito del 3° Accordo integrativo dell’APQ “Aree sensibili: parchi e riserve”, sottoscritto nel 2005 dal ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio, dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dalla Regione e dal Docup, il Documento unico di programmazione Obiettivo2 Lazio 2000-2006. Tra le strutture finanziate vi sono: Casale alle Noci, Riserva di Monte Casoli in località Collevalle, nella campagna viterbese; Saline di Tarquinia, Complesso di archeologia industriale, con centro salute per trattamenti di fangoterapia e talassoterapia; Nel 2008 la Giunta Regionale ha stanziato 29 Mln di euro per finanziare "progetti strutturati" di valorizzazione nei Parchi e nelle Riserve del Lazio, con 14 Mln di euro di fondi POR - FESR Lazio 2007-2013 e 15 Mln di euro di risorse finanziarie regionali. Tali risorse serviranno a realizzare tre tipi distinti di interventi di valorizzazione di aree ambientali delle aree protette: gli itinerari storico religiosi (via Francigena), le vie d'acqua lacustri e fluviali e i percorsi naturalistici. Obiettivo degli interventi è quello di promuovere uno sviluppo turistico sostenibile e rispettoso dell'ambiente, in grado di promuovere anche l'occupazione sul territorio. Le aree interessate dal provvedimento anche le Riserve Regionali: Lago di Vico, Monte Rufeno, Selva del Lamone, Valle del Treja. La Provincia di Viterbo gestisce in forma diretta ai sensi del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali le due riserve naturali regionali di Tuscania e di Monte Casoli di Bomarzo istituite con leggi regionali rispettivamente 29/97 e 30/99. La Provincia è Ente gestore delle due riserve ed è competente al rilascio di nulla osta per interventi di impianti ed opere all’interno delle aree naturali protette di Tuscania e Monte Casoli di Bomarzo, oltre a ciò svolge anche attività informative, istruttive, divulgative e di normazione. Nell’anno 2007 è stato organizzato un corso in collaborazione con l’Agenzia Regionale Parchi, sulle tecniche di conduzione di visite guidate ed attività educative in ambito escursionistico per le RR.NN. di Tuscania e di Monte Casoli di Bomarzo. Al termine del corso è stato istituito l’“ Elenco Ufficiale degli accompagnatori escursionistici delle Riserve Naturali di Tuscania e di Monte Casoli di Bomarzo” a cui sono stati iscritti i 30 frequentatori del corso muniti dell’attestato finale. Tale elenco è disponibile presso il sito internet della Provincia e pubblicato su vari siti di settore. Gli accompagnatori escursionistici sono stati coinvolti nelle attività di educazione ambientale e di visite guidate nelle due Riserve E’ stata sottoscritta una convenzione con l’azienda agricola Caponetti ubicata all’interno della riserva naturale di Tuscania, in virtù della quale l’azienda mette a disposizione della Provincia di Viterbo parte dei suoi terreni per la realizzazione di sentieri natura e ne consente l’accesso ai visitatori. Alla Provincia spetta il compito di realizzazione dei sentieri e della relativa manutenzione. L’obiettivo è di poter offrire ad eventuale utenti sentieri naturalistici rappresentativi degli habitat e degli aspetti naturalistici della riserva. L’azienda in questione è stata l’unica sensibile alle problematiche ambientali ed al turismo naturalistico. Ad oggi la riserva non offre alcun sentiero natura, dato che l’intero territorio si estende su terreni privati. A seguito della convenzione è stato redatto un progetto per i sentieri natura, che ha già ottenuto il nulla osta della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale ed il permesso di costruire del Comune di Tuscania , è attualmente in fase di cantierizzazione. La Provincia ha partecipato al programma dell’Agenzia Regionale Parchi della Regione Lazio “Giorniverdi” organizzando 8 escursioni nei periodi primaverili ed autunnali nelle due Riserve.

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Attraverso un’organizzazione onlus composta da accompagnatori escursionistici formati dalla Provincia si è estesa, nel periodo estivo ed autunnale, l’apertura dei centri visita delle due riserve. Con deliberazione n. 43 il Consiglio Provinciale ha approvato all’unanimità il Regolamento per il trasporto di armi e l’introduzione di mezzi di cattura faunistica all’interno delle RR. NN. di Tuscania e di Monte Casoli di Bomarzo. Il regolamento è stato redatto dopo consultazione delle Associazioni Venatorie Provinciali e locali e dopo ulteriore coinvolgimento della la Consulta Provinciale per le Aree Protette e della Commissione ambiente. Il Regolamento è stato trasmesso alle Associazioni Venatorie nazionali, regionali e provinciali; inviato alle Province del Lazio e a quelle delle Regioni limitrofe, è stato pubblicato sul sito internet dell’Amministrazione e pubblicato agli Albi della Provincia e dei Comuni interessati. Di esso ne è stata fatta ampia diffusione per mezzo della stampa, sia cartacea che on line. Sulla scorta delle indicazioni del regolamento è stato possibile rilasciare le autorizzazioni necessarie ad attraversare con le armi le due Riserve ai sensi della legge quadro sulle aree protette 394/91, ad oggi sono state rilasciate complessivamente 105 autorizzazioni, di cui 61 relativamente alla Riserva di Monte Casoli di Bomarzo e 44 a quella di Tuscania. Rientra tra le attività svolte dall’ufficio aree protette la promozione delle due riserve e delle loro offerte turistiche e peculiarità naturalistiche, a tal fine nei giorni 13,14,15 luglio ha aderito e partecipato, alla manifestazione “Naturalmente bio” organizzata dalla Riserva Naturale Monterano a Canale Monterano (RM), allestendo uno apposito stand divulgativo. Analoga partecipazione alla manifestazione organizzata dalla Regione Lazio “Ecofest” tenutasi a Roma all’interno di Villa Borghese nei giorni 27, 28 e 29 settembre. E’ stato realizzato nei mesi di marzo aprile maggio, un progetto di educazione ambientale nelle scuole medie di Tuscania e Bomarzo attraverso lezioni frontali in classe a cui sono seguite esercitazioni ed escursioni guidate presso le riserve stesse. Al contempo sono stati presentati alla Regione Lazio ipotesi di intervento per interventi mirati alla tutela del patrimonio idrico ed alla salvaguardia della biodiversità oltre al recupero e conservazione del patrimonio storico culturale. Tra le proposte riguardanti la Riserva Naturale di Monte Casoli: miglioramento dei percorsi naturalistici, collegamento del Parco Mostri con il centro informativo Riserva Naturale, realizzazione di una pavimentazione ecologica, realizzazione di un centro di educazione ambientale, di un centro di ricerca e didattica inerente la biodiversità della zona, potenziamento delle strutture ricettive ed informative. Per Tuscania, al fine di preservare le acque del fiume Marta, sono state avanzate proposte di intervento finanziabili per il potenziamento del depuratore comunale, per la separazione delle acque bianche dalle acque nere. Altri interventi prevedono l’acquisizione di un vecchio mulino in stato di abbandono situato lungo il sentiero “Moletta” e la sua ristrutturazione e valorizzazione da adibire a centro visite didattico informativo all’interno della Riserva Naturale; il ripristino e l’implementazione di percorsi storico-naturalistici nel territorio della Riserva, per la realizzazione di lavori di recupero di ex acquedotto comunale da adibire a sede della Riserva stessa. La gestione delle due Riserve ha visto nell’anno anche il rilascio di 20 Nulla Osta preventivi per interventi antropici ( autorizzazioni, concessioni ecc.) nelle Riserve come richiesto dalla legge quadro sulle aree protette 349/91 e dalla legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997 n. 29. Le strategie per la conservazione delle emergenze naturalistiche nei SIC/ZPS La Provincia di Viterbo, di concerto con la Regione Lazio, il Ministero dell’Ambiente e in attuazione delle Direttive Comunitarie in materia, nell’ambito di una condivisa politica ambientale

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per perseguire la conservazione delle specie e degli habitat nei SIC/ZPS, sta operando da alcuni anni attraverso due tipologie di azioni distinte: FASE I - PIANIFICAZIONE: redazione dei Piani di Gestione specifici per ogni singolo SIC/ZPS delle misure di conservazione in base alle proprie peculiarità e dei Piani per la Rete Ecologica; FASE II - INTERVENTI: realizzazione di interventi volti a favorire la conservazione e/o il ripristino di condizioni ambientali ed ecologiche favorevoli alla presenza e conservazione delle specie della flora e della fauna e degli habitat che risultano minacciati; Pianificazione La presenza di un SIC/ZPS impone l’obbligo al rispetto dei divieti di cui alle “Misure di conservazione obbligatorie nelle ZPS” approvate con D.G.R. n. 363 del 16 maggio 2008; inoltre in queste aree tutti sono tenuti al mantenimento in uno stato di conservazione adeguato degli habitat e delle specie per cui il sito è stato individuato ed alla realizzazione della valutazione di incidenza per gli interventi e i piani che posso interferire con la conservazione; in altre parole nella gestione di un sito Natura 2000 bisogna perseguire la salvaguardia dell'efficienza e della funzionalità ecologica di habitat e/o specie per le quali il sito è stato istituito, Il Piano di Gestione di un SIC/ZPS è uno strumento operativo che intende disciplinare gli usi del territorio al fine di conservare gli habitat e le specie che hanno determinato l'individuazione del pSIC/ZPS:

• Aggiorna lo stato di conservazione di specie e habitat • Individua le criticità e le cause di stress per il SIC/ZPS • Individua azioni e interventi di conservazione necessari al loro mantenimento e/o ripristino,

pur in presenza di attività umane. Un aspetto a cui si deve prestare particolare attenzione nella pianificazione della Rete Natura 2000 è la consultazione dei soggetti interessati dal Piano. Il coinvolgimento della popolazione è infatti ritenuto un punto irrinunciabile della filosofia dell'Unione Europea in tema di conservazione e sviluppo sostenibile locale. Da un punto di vista "urbanistico" il Piano di Gestione non è attualmente uno strumento riconosciuto dalla normativa vigente (al contrario di un Piano di Parco). Le indicazione del Ministero dell'Ambiente e del territorio e la raccomandazione della Regione Lazio, sono quelle di far sì che le previsioni e le norme attuative dei Piani di Gestione vengano assorbite dagli strumenti di pianificazione ordinari vigenti e maggiormente appropriati. Il D.P.R. n. 357/1997 individua nelle Regioni gli enti responsabili della gestione delle aree della Rete Natura 2000. Ad oggi, per quasi tutti i SIC/ZPS del territorio laziale, si dispone del Piano di Gestione adottato dall’ente incaricato della sua redazione ma non ancora approvato dalla Regione; pertanto questi documenti costituiscono al momento attuale, fondamentali strumenti per la conoscenza del territorio e rappresentano le linee guida per una gestione sostenibile di tali aree pur non avendo ancora valore cogente. Il Piano/Programma per la Rete Ecologica è uno strumento conoscitivo che intende tutelare la Biodiversità attraverso la valutazione della frammentazione degli ambienti naturali e l’individuazione delle strategie da mettere in atto per risolvere le criticità evidenziate. La frammentazione può portare alla perdita di biodiversità con effetti sulla fauna, sulla vegetazione, sulle funzioni ecosistemiche negli ambienti coinvolti. Il processo di frammentazione ambientale è un fenomeno di origine antropica, che genera una progressiva riduzione della superficie degli ambienti naturali e un aumento del loro isolamento. L’espansione dei centri abitati e la realizzazione di reti infrastrutturali tecnologiche e di trasporto, costituiscono un importante elemento di trasformazione del paesaggio e di frammentazione degli ambienti naturali poiché

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introducono delle forti discontinuità e spesso divengono delle barriere difficilmente superabili per la fauna presente. Gli interventi finalizzati alla conservazione di specie ed habitat realizzati dalla Provincia sono quelli che discendono dall’attività di analisi e pianificazione e che sono diretti a superare le criticità per la conservazione delle specie e degli habitat nelle aree Natura 2000 che sono stati rilevati negli studi e monitoraggi propedeutici ai Piani. Aggiornamento contesto della Rete Natura 2000 nella Provincia di Viterbo Rispetto a quanto pubblicato sull’argomento nei precedenti Rapporti sullo Stato dell’Ambiente, va prima di tutto segnalato che in Provincia di Viterbo, ai 47 siti individuati tra pSIC e ZPS per un totale di circa 36.529 ha, vanno aggiunte due nuove ZPS. Tab. 2.4.2.: Nuove ZPS istituite nella Provincia di Viterbo

CODICE DEL SITO

NOME DEL SITO COMUNI INTERESSATI

IT6030005

Comprensorio Tolfetano-Cerite- Manziate Barbarano R., Blera, Monteromano, Oriolo R., Tarquinia, Vejano

IT6030085 Comprensorio Bracciano-Martignano Bassano R., Monterosi, Nepi, Oriolo R., Sutri La Regione Lazio alla fine del 2005 con D.G.R. n. 651/05 ha designato i nuovi siti e ampliamenti e il Ministero dell’Ambiente li ha approvati comunicando alla Commissione Europea la proposta e i relativi Formulari Standard di identificazione. Fig. 2.3.2: Localizzazione aggiornata delle aree SIC e ZPS della Provincia di Viterbo

Grazie all’impegno della Regione Lazio che ha messo ha disposizione i fondi necessari molti enti (Provincia, Comuni, Parchi) sono stati coinvolti nella redazione dei Piani di Gestione di SIC/ZPS del territorio provinciale. Nella tabella seguente è riportato il quadro aggiornato dei Piani di Gestione redatti.

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Tab. 2.: SIC/ZPS per i quali e stato redatto il Piano di Gestione e relativi Regolamenti

CODICE DEL SITO

NOME DEL SITO Piani di Gestione Ente redattore del Piano

IT6010001 Medio corso del fiume Paglia Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010002 Bosco del Sasseto Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010003 Monte Rufeno Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010004 Monte Rufeno Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010005 Fosso dell’Acqua Chiara Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010006 Valle del Fossatello Si Riserva Naturale Monte Rufeno IT6010007 Lago di Bolsena * Si Provincia di Viterbo IT6010008 Monti Vulsini Si Provincia di Viterbo IT6010009 Calanchi di Civita di Bagnoregio Si Provincia di Viterbo IT6010011 Caldera di Latera Si Provincia di Viterbo IT6010012 Lago di Mezzano Si Provincia di Viterbo IT6010013 Selva del Lamone Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010014 Il Crostoletto Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010015 Vallerosa Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010016 Monti dio Castro Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010017 Sistema fluviale Fiora-Olpeta Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010018 Litorale a NW delle foci del Fiora Si Comune di Montalto di C. IT6010019 Pian dei Cangani Si Comune di Montalto di C. IT6010020 Fiume Marta (alto corso) Si Provincia di Viterbo IT6010021 Monte Romano Si Regione Lazio – A.R.P. IT6010022 Monte Cimino (versante nord) Si Provincia di Viterbo IT6010023 Monte Fogliano e Monte Venere Si Riserva Naturale Lago di Vico IT6010024 Lago di Vico Si Riserva Naturale Lago di Vico IT6010025 Saline di Tarquinia Si Regione Lazio IT6010026 Saline di Tarquinia Si Regione Lazio IT6010027 Litorale tra Tarquinia e Montalto Si Comune di Tarquinia IT6010028 Necropoli di Tarquinia Si Comune di Tarquinia IT6010029 Gole del Torrente Biedano Si Comune di Blera IT6010030 Area di S. Giovenale e Civitella C. Si Comune di Blera IT6010031 Lago di Monterosi Si Comune di Monterosi IT6010032 Fosso del Cerreto Si Provincia di Viterbo IT6010033 Mola di Oriolo Si Regione Lazio – A.R.P. IT6010034 Faggete di Monte Raschio e Oriolo Si Parco Nat. Reg. Bracciano-Martignano.

IT6010035 Fiume Mignone (basso corso) Si Regione Lazio – A.R.P. IT6010036 Sughereta di Tuscania Si Provincia di Viterbo IT6010037 Il Quarto di Barbarano Romano Si Parco Sub Urbano Marturanum IT6010038 Travertini di Bassano in Teverina Si Comune di Orte IT6010039 Acropoli di Tarquinia Si Comune di Tarquinia IT6010040 Monterozzi No IT6010041 Isole Bisentina e Martana Si * Provincia di Viterbo IT6010055 Lago di Bolsena e isole Bisent. e Mart. Si * Provincia di Viterbo IT6010056 Selva del Lamone- Monti di Castro Si Riserva Nat. Selva del Lamone IT6010057 Lago di Vico–Monte Ven. e Monte Fo. Si Riserva Naturale Lago di Vico IT6000001 Fondali tra foci fiume Chiarore e Fiora No IT6000002 Fondali antistanti Punta Morelle No IT6000003 Fondali tra la foce del Arrone e del Marta No IT6000004 Fondali tra Marina di Tarquinia e Punta Q. No IT6030005 Compr.rio Tolfetano-Cerite- Manziate Si * Regione Lazio – A.R.P. IT6030085 Compr.rio Bracciano-Martignano Si * Parco Nat. Reg. Bracciano-Martignano.

* In fase di ultimazione

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L’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Viterbo dal 2004 ad oggi ha svolto e sta svolgendo numerose attività nell’ambito della Rete Natura 2000. • Ha redatto 8 Piani di Gestione di aree pSIC/ZPS adottati dalla Provincia di Viterbo con DGP

n.268 del 27-09-04 e n 212 del 29-06-2006 e trasmessi alla Regione Lazio per l’approvazione: - IT 6010008 “Monti Vulsini”; - IT 6010009 “Calanchi di Civita di Bagnoregio”; - IT 6010011 “Caldera di Latera”; - IT 6010012 “Lago di Mezzano”; - IT 6010020 “Fiume Marta (alto corso)”; - IT 6010022 “Monte Cimino (versante nord)”; - IT 6010032 “Fosso Cerreto”; - IT 6010036 “Sughereta di Tuscania”;

• Redazione di 2 Piani/Programmi di Rete Ecologica adottati dalla Provincia di Viterbo con DGP n. 477 del 27-12-06 e trasmessi alla Regione Lazio per l’approvazione: - “Piano della Rete Ecologica dei SIC/ZPS Monte Rufeno, Caldera di Latera, Lamone, Fiora”; - “Piano - Programma Rete Ecologica Monti Vulsini, Calanchi di Civita di Bagnoregio, Monte Cimino, Lago di Vico”;

• Sono stati inoltre realizzati i seguenti interventi: - Studi, analisi e interventi preliminari per la riqualificazione naturalistico-turistica e la

costituzione del parco fluviale del fiume Marta”; - “Realizzazione di strutture di risalita per i pesci per il ripristino della continuità fluviale ed

attività di monitoraggio per il miglioramento degli habitat idonei alla presenza dell’ittofauna”;

- “Azioni Urgenti per la Salvaguardia dei Siti Natura 2000 dell’Alta Tuscia” (progetto LIFE);

- “Recupero di trosce e fontanili, habitat di anfibi protetti nel pSIC/ZPS IT 6010008 “Monti Vulsini”;

- “Interventi di miglioramento della stabilità ecologica della faggeta e successive azioni di monitoraggio – nel pSIC/ZPS IT 6010022 “Monte Cimino (versante nord)”.

• Sono in fase di redazione/realizzazione i seguenti studi/interventi: - “Piano di Gestione e delle misure di conservazione per la tutela della ZPS IT 6010055

Lago di Bolsena e Isole Bisentina e Martana e dei pSIC in essa inclusi”; nell’ambito di questa attività, in collaborazione con l’Autorità dei Bacini Regionali della Regione Lazio, sono state avviate le procedure per la definizione del Piano Stralcio di tutela del bacino del Lago di Bolsena e dei Criteri per la gestione del livello idrico del lago. Si tratta di strumenti di gestione fondamentali per una corretta gestione anche dal punto di vista naturalistico di un patrimonio così importante come il lago di Bolsena.

- “Interventi di riqualificazione ambientale del Bacino del Lago di Bolsena e del Fiume Marta”.

• E’ in corso di implementazione il sito internet dell’Assessorato Ambiente in materia di RETE NATURA 2000 che darà la possibilità di consultare tutti i Piani di Gestione di SIC/ZPS disponibili, i Piani/Programmi di Rete Ecologica Provinciale e le schede progettuali degli interventi realizzati. Per accedere alla banca dati provinciale Natura 2000 occorre accedere al sito www.provincia.vt.it, scegliere Aree Tematiche, Ambiente e cliccare su Natura 2000.

Tutti gli studi, i piani gli interventi e le opere sopra elencate sono state realizzate con fondi europei (DOCUP OB. 2 o APQ7) e messi a disposizione dalla Regione Lazio.

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2.5 – Biodiversità e frammentazione ambientale La Rete Ecologica in Provincia di Viterbo Contributo a cura del dott. Enrico Calvario 1e della dott.ssa Maria Nicolina Ripa2 Uno dei fenomeni più rilevanti legato alla antropizzazione dei sistemi naturali è la riduzione della diversità biologica. Lo studio della diversità biologica, o biodiversità, rappresenta un tentativo di inquadrare dal punto di vista quantitativo la molteplicità e la varietà con cui si manifesta il mondo vivente nelle sue espressioni spazio-temporali. Con il termine biodiversità si può indicare la varietà degli organismi viventi in un dato ambiente e rappresenta uno degli indicatori del buono stato di conservazione ambientale. La perdita di biodiversità è spesso conseguenza di una frammentazione degli ambienti naturali, fenomeno che influisce sulla fauna, sulla vegetazione, sulle funzioni ecosistemiche negli ambienti coinvolti. La frammentazione ambientale può essere definita come il processo, di origine antropica, che genera una progressiva riduzione della superficie degli ambienti naturali e un aumento del loro isolamento: le superfici naturali vengono, così, a costituire frammenti spazialmente segregati e progressivamente isolati inseriti in una matrice territoriale fortemente caratterizzata dagli insediamenti umani (AA.VV., 2003). I processi di trasformazione del territorio a scopi insediativi o produttivi sono infatti la causa principale di alterazione della struttura del paesaggio e, conseguentemente, della frammentazione degli habitat presenti. L’espansione dei centri abitati secondo il modello della suburbanizzazione, prevede una crescita degli spazi urbani attorno ai nuclei e lungo le direttrici viarie principali; ciò comporta un consumo di suolo sottratto solitamente a spazi destinati alla produzione agricola, soggetto in ogni caso alle regole della pianificazione urbanistica. Negli ultima venti anni si è invece assistito ad una “urbanizzazione diffusa” delle zone agricole, definita con il termine di origine anglosassone “sprawl”. Esso costituisce un modello dilatato di espansione delle aree urbane, sebbene discontinuo e a bassa densità, che comporta un maggior consumo di suolo e, soprattutto sottratto alle regole della pianificazione urbanistica. Anche la realizzazione di reti infrastrutturali tecnologiche (elettrodotti soprattutto, ma anche opere idrauliche che compromettono la continuità degli habitat fluviali) e di trasporto, costituisce un importante elemento di trasformazione del paesaggio e di frammentazione degli ambienti naturali poiché questi elementi introducono delle forti discontinuità e spesso divengono delle barriere insormontabili per la fauna presente. A ciò si aggiunge la progressiva industrializzazione e trasformazione dall’agricoltura tradizionale a quella meccanizzata che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso. Le profonde trasformazioni che hanno interessato questi territori, hanno condotto ad una sostituzione dei sistemi agricoli complessi tradizionali che rappresentavano un esempio di agroecosistema e di attività produttiva sostenibile, con sistemi sempre più specializzati e semplificati. Le monocolture specializzate e meccanizzate hanno gradualmente sostituito le tradizionali rotazioni colturali ed i seminativi arborati che caratterizzavano l’agricoltura dei primi decenni del secolo scorso; le siepi si sono notevolmente ridotte per favorire la meccanizzazione delle lavorazioni. Tutto ciò comporta una semplificazione degli ecosistemi (o agroecosistemi) ed una riduzione della diversità biologica e condiziona pesantemente il grado di naturalità delle aree agricole. Ne derivano ecomosaici sempre più frammentati in cui il territorio agro-forestale, che riveste un ruolo importante in quanto spesso rappresenta la matrice prevalente entro la quale sono localizzati gli ambiti a più elevata naturalità e costituisce spesso una sorta di “buffer zone” tra questi ultimi e le aree più fortemente antropizzate, perde i propri caratteri di biopermeabilità. (Collinge, 1996, Forman R.T., 1995; Romano B., 2000).

1 Società Lynx Natura e Ambiente Roma 2 Università della Tuscia – DAF

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Gli effetti della frammentazione ambientale sulla diversità biologica sono diversi e complessi rilevabili alle diverse scale spaziali e si esplicano sia a livello di singoli individui, sia a livello di comunità o popolazioni. La rilevanza di questi processi dipende in primo luogo dalle specie presenti che mostrano una sensibilità diversa alla frammentazione in funzione delle proprie caratteristiche ed esigenze ecologiche. Alcune specie infatti mostrano una maggiore capacità adattativa e soprattutto una maggiore rapidità di adattamento alle nuove condizioni; altre invece risentono in misura maggiore delle trasformazioni. Questo è un aspetto fondamentale del problema che non può essere trascurato; se infatti il processo di frammentazione ambientale e le conseguenze di esso sui diversi habitat e specie possono essere descritti in linea generale, analisi, soluzioni non possono prescindere da un approccio specie-specifico. La Rete Ecologica L’ampio dibattito scientifico attorno al tema della frammentazione ambientale ha posto in evidenza la rilevanza di questo fenomeno in atto in numerosi contesti territoriali e l’esigenza di contrastarne il progressivo incremento. La messa in atto di strategie in grado di arrestare ed invertire questo fenomeno costituisce un impegno assunto dai governi del mondo nel Summit mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg del 2002. Se, in un primo momento, l’istituzione di aree protette poteva sembrare una efficace misura di protezione degli ambienti naturali, in grado di mitigare gli effetti delle trasformazioni ambientali, studi recenti hanno invece evidenziato come queste possano rivelarsi insufficienti per la conservazione, in tempi lunghi, della biodiversità e dei processi ecologici (Diamond, 1975) sottolineando i rischi connessi con la creazione di “isole” rappresentate dalle aree protette circondate da ambienti pesantemente trasformati dall’uomo. La visione olistica del paesaggio, nel quale esiste una corrispondenza tra struttura e funzione per cui esso è inteso come il risultato di processi fisici, biotici e culturali che vi si svolgono e che ne condizionano la forma attraverso processi dinamici, costituisce il fondamento per un approccio volto alla promozione di una naturalità diffusa in cui viene considerato l’intero mosaico territoriale più che i singoli ecosistemi e la conservazione della natura si realizza non solo attraverso la protezione delle specie e delle aree naturali, ma anche mediante la tutela ed il ripristino di una struttura spaziale coerente, ovvero della rete ecologica.. (Bennett, 1999, Forman, 1997). Il programma “Rete Ecologica” è stato attuato per la provincia di Viterbo perseguendo l’obiettivo di ottenere uno strumento di “indirizzo pianificatorio/programmatorio” secondo la metodologia classica ad una scala sub-regionale, attraverso l’utilizzo di modelli e tecnologie informatiche “automatizzate”. Una prima fase ha visto la scelta delle specie target e individuazione di core areas, stepping stones, corridors, buffers. In una seconda fase sono stati eseguiti “approfondimenti di campo” con i quali è stato possibile percepire problematiche di livello “gestionale”, e quindi individuare fenomeni di frammentazione non altrimenti evidenziabili, in relazione ad alcune delle specie target precedentemente individuate. Tale attività ha consentito peraltro di raccogliere diversi nuovi dati di presenza per specie di Anfibi (di interesse comunitario e non) e di sistematizzare le informazioni disponibili per il Lupo nel viterbese, formulando ipotesi relative all’utilizzo dell’area da parte della specie, anche attraverso specifici sopralluoghi di campo. Contributo di Gianpaolo Montinaro su Anfibi-Rettili acquatici e di Giorgio Boscagli sul Lupo. L’attenzione è stata rivolta anche alla identificazione del fenomeno della frammentazione dello spazio aereo (tema raramente trattato a livello di “sistema territoriale”) dovuto alla presenza di elettrodotti di MT e AT, in prossimità di ZPS con specie ornitiche sensibili all’elettrocuzione ed alla collisione. Questo specifico contributo, nello spirito della DGR 533/2006, ha voluto individuare le problematiche derivanti dalla presenza di impianti già esistenti ed ha formulato ipotesi di specifici interventi di mitigazione volti a ridurre l’effetto di tale tipologia di frammentazione.

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Definizione dell’indicatore e metodologia di calcolo L’indicatore vuole considerare la riduzione della biodiversità dovuta all’eccessiva antropizzazione del territorio attraverso lo studio delle specie presenti e minacciate. Evidenze riscontrate Nella pratica della Biologia della Conservazione alcune specie possono svolgere il ruolo di indicatori per effettuare valutazioni sulla qualità, la sensibilità e la vulnerabilità degli ecosistemi. Nello specifico settore della pianificazione delle reti ecologiche, può essere opportuno individuare quelle specie (o gruppi di specie caratterizzate ecologicamente) che risultano maggiormente sensibili al processo di frammentazione e più vulnerabili ad eventi che possono condurle alla scomparsa locale. La realizzazione di reti ecologiche basate sulle indicazioni fornite da alcune specie sensibili rappresenta, quindi, uno degli approcci possibili. Esso, malgrado limitazioni evidenti, può tuttavia consentire una semplificazione operativa della complessità dei processi ecologici, supplendo almeno in una prima fase alla impossibilità di considerare la biodiversità in toto. La scelta delle specie target può basarsi su due criteri principali: conservazionistico e di sensibilità ecologica al processo di frammentazione. Facendo riferimento al criterio di sensibilità ecologica al processo di frammentazione in relazione alle esigenze ecologiche e alla ampiezza di nicchia potranno anche essere selezionate specie che, benché relativamente diffuse e abbondanti alla scala di indagine (quindi non rientranti nelle liste rosse, come nel criterio precedente), possono mostrare una vulnerabilità intrinseca alla frammentazione ambientale. Alcune specie, ancora relativamente diffuse, possono essere quindi selezionate al pari di quelle minacciate perché possono rivelarsi intrinsecamente sensibili al processo di frammentazione e svolgere un ruolo chiave nella funzionalità dei sistemi ecologici (ad esempio, le specie mutualistiche, gli insetti impollinatori, alcuni Piciformi e Passeriformi specialisti). Inoltre, queste specie possono agire da “ombrello” per un largo seguito di specie presenti nella stessa area di studio. Tali specie, proprio perché stenoecie e sensibili ai fattori e processi suddetti, sono generalmente poco abbondanti in ambienti antropizzati e nei frammenti residui di habitat ove esse possono essere scomparse localmente. In tal senso le specie target, così selezionate, possono essere assimilate a specie focali che mostrano una sensibilità a quei fattori (area, isolamento, qualità ambientale) individuati come le componenti del processo di frammentazione. La selezione di specie target suddivise per determinate tipologie ambientali, oltre che l’individuazione dei relativi pattern di distribuzione, abbondanza e dispersione, potrà consentire in un’ottica di pianificazione la definizione delle aree di rete ecologica funzionale e sistema-specifica: sono state scelte quindi specie indicatrici degli ambienti forestali e degli ambienti aperti ed inoltre alcune specie di anfibi. Gli anfibi rappresentano un gruppo di vertebrati fondamentale per il mantenimento degli equilibri naturali. Prede e predatori con adattamenti all’ambiente sia acquatico sia terrestre entrano a far parte di numerose catene trofiche. Per questi motivi la loro tutela e gestione è imprescindibile nello scopo della salvaguardia degli ecosistemi naturali ciò nonostante la riduzione delle zone umide e la frammentazione degli habitat stanno minacciando numerose specie di batraci presenti sul territorio regionale. Sono quindi state utilizzate le seguenti specie indicatrici, in quanto sensibili ai diversi aspetti della frammentazione: Guild degli ambienti forestali Picchio rosso maggiore (Picoides major) Sparviere (Accipiter nisus) Picchio rosso minore (Picoides minor) Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) Colombaccio (Columba palumbus) Biancone (Circaetus gallicus) Picchio muratore (Sitta europea) Lodolaio (Falco subbuteo) Ghiandaia (Garrulus glandarius) Poiana (Buteo buteo) Lupo (Canis lupus)

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Guild degli ambienti aperti (agricoltura estensiva e pascoli) Allodola (Alauda arvensis) Cappellaccia (Galerida cristata) Calandra (Melanocorypha calandra) Calandrella (Calandrella brachydactyla) Albanella minore (Circus pygargus) Anfibi e rettili (zone umidi, trosce e fontanili) Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata/perspicillata) Tritone crestato (Triturus carnifex) Testuggine palustre europea (Emys orbicularis) Ululone a ventre giallo (Bombina variegata/pachypus)Tritone punteggiato (Triturus vulgaris) Analisi della Connettività Alla base dell’analisi della connettività applicata (Piazzi e Cozzolino, 2004) stanno i modelli di analisi dell’idoneità ambientale. Questi forniscono l’informazione di base per la definizione della connettività ecologica potenziale di un’area e permettono l’identificazione della struttura della Rete Ecologica. Per la realizzazione dei modelli di idoneità ambientale è stato utilizzato un modello di tipo deterministico adattato al contesto locale. Nei modelli deterministici l’acquisizione dei dati di base si basa sulla consultazione di uno o più esperti che, sulla base della conoscenza ed esperienza diretta o indiretta, costituiscono il riferimento per la costruzione del rapporto specie habitat. (Il modello di tipo deterministico si è avvalso delle schede della Rete Ecologica Nazionale corrette, per aumentarne il dettaglio ottenibile tramite la Carta di Uso del suolo CORINE Livello IV della Regione Lazio, con analisi di preferenza su dati MITO). La metodologia adottata permette di identificare e valutare le connessioni ecologiche all’interno di una Rete Ecologica Il primo passo di questa analisi consiste nella conversione del mosaico ambientale in un mosaico di idoneità ambientale per la singola specie o per il gruppo realizzando mappe analitiche prodotte con metodologie di analisi multicriteria. La carta di idoneità (faunistica) ambientale costituisce a questo punto la caratterizzazione del mosaico ambientale sulla base dell’eco-field delle specie. Le aree con maggior valore di idoneità rappresentano quelle che soddisfano le necessità ecologiche della specie, mentre le altre avranno valori più bassi man mano che le caratteristiche ambientali si discostano da quelle ottimali. La definizione delle aree di idoneità ambientale consente di derivare mappe di biopermeabilità territoriale e di valutare le connessioni funzionali nel “sistema”di core areas. Lo sforzo di applicare modelli a grande scala su animali come gli anfibi è notevole, in quanto non si hanno ancora informazioni dettagliate sulla loro reale distribuzione e sulle loro capacità di dispersione. Lo strumento principale per la conoscenza dello stato e la localizzazione delle popolazioni erpetologiche della Provincia di Viterbo sono contenute all’interno del database degli anfibi e dei rettili del Lazio coordinato dal Prof. Marco A. Bologna (Laboratorio di Zoologia, Dipartimento di Biologia Università di Roma Tre). Nonostante il database possa contare su un numero elevato di dati (originali e bibliografici) raccolti nel corso di numerosi anni, alcune porzioni di territorio risultano povere di informazioni per la mancanza di studi erpetologici locali. Il primo obiettivo di questo contributo è stato quello di ampliare le conoscenze faunistiche sulla distribuzione delle popolazioni riproduttive di anfibi e rettili target (salamandrina dagli occhiali, tritone crestato, tritone punteggiato, ululone dal ventre giallo e testuggine palustre europea) in settori prescelti dell’area di studio, secondariamente è stato controllato lo stato dell’arte delle raccolte d’acqua artificiali (in particolare fontanili e trosce) redigendo una sorta di “atlante” dettagliato e particolareggiato utile per le importanti indicazioni relative alla gestione ed alla manutenzione di questi fondamentali elementi di connettività.

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La Provincia di Viterbo ha finanziato nell’anno 2008, uno studio sull’Albanella Minore (Circus pygargus). Lo studio, svolto nei mesi di Aprile, Maggio, Giugno 2008, ha due importanti finalità:

favorire il successo riproduttivo della specie, attraverso l’elencazione, lo studio e la documentazione dei fattori limitanti la nidificazione;

contribuire alla realizzazione di una banca dati aggiornata sulla consistenza numerica della popolazione della specie nel territorio della Provincia di Viterbo, nonché sui trend di crescita o decremento delle popolazioni stesse, al fine di proporre eventuali azioni di salvaguardia. Le importanti attività svolte negli ultimi 20 anni nel territorio della Provincia di Viterbo dalle realtà Associative, alle quali si devono le conoscenze attuali sul fenomeno, hanno riguardato maggiormente l’aspetto “conservativo" della popolazione di Circus pygargus, in termini di ricerca e protezione dei nidi, piuttosto che studi di carattere ecologico della problematica, ovvero della relazioni tra le specie, e tra le stesse e l’ambiente in cui vivono. L’Albanella minore (Circus pygargus), è un rapace diurno

legato alle colture cerealicole, agli ambienti umidi erbosi e alle distese arbustive in zone calanchive. Occupa in linea generale le basse quote (0-700/1000) e i terreni a morfologia poco accidentata, caratterizzati dalla presenza di colture cerealicole sufficientemente estese; localmente si trova anche nelle zone umide, come paludi e stagni. Nonostante sia diffusa in ambienti a fisionomia steppica, sembra non tollerare le aree a clima caldo arido, come quelle tipicamente mediterranee. Quindi il mosaico ambientale costituito da brughiere con gruppi di alberi o terreni coltivati, nelle vicinanze di una zona umida, rappresenta la condizione ottimale alla nidificazione di questa specie. Caccia negli ambienti aperti, e si alimenta prevalentemente di piccoli roditori, insetti e piccoli uccelli; saltuariamente anche di lombrichi, lumache, anfibi e rettili. Il territorio provinciale può essere suddiviso in un certo numero di regioni fitoclimatiche, delle quali le più interessanti sotto il profilo della presenza di Albanella minore sono: - la maremma laziale interna a sud dell’apparato vulcanico vulsino, fino a Blera e Monte Romano, parte della Valle del Fiora, e i pianori posti ad Ovest-Sud/Ovest di Viterbo; - le zone immediatamente interne alla costa: Tarquinia, Tuscania, Montalto di Castro, Canino. In queste due macro-aree, il paesaggio agrario è costituito prevalentemente da vaste estensioni coltivate a frumento, e in percentuale inferiore di appezzamenti coltivati a fieno (Medicago spp., Trifolium spp., ecc.), pascoli e incolti. Le zone boscate, aventi non di rado superfici relativamente estese, rappresentano l’altro elemento caratterizzante che interrompe la continuità delle coltivazioni di pianura e di collina. In misura ancora minore, proseguendo dalla costa verso l’interno, su porzioni relativamente ridotte di territorio insistono oliveti e vigneti

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In base alle difficoltà che ogni anno si presentano per la conservazione dell’Albanella minore nel territorio della Provincia di Viterbo, era senz’altro necessario iniziare ad elencare e descrivere quelle che sono le cause principali, che ad ogni stagione riproduttiva ne ostacolano seriamente la nidificazione, in aree che come detto sono invece potenzialmente molto favorevoli in tal senso. Sul disturbo antropico, l’unico modo per limitarlo rimane quello del dialogo con i proprietari o gli affittuari dei terreni, che sensibilizzati sul tema, magari anche attraverso lo strumento del rimborso del raccolto non sfalciato, potrebbero sicuramente dare un decisivo contributo alla presenza della specie nella fase riproduttiva. Sulla predazione da fauna selvatica, una volta verificata l’avvenuta deposizione delle uova e in seguito la nascita dei pulli, sono diverse le soluzioni che vengono messe in campo nelle aree del paese dove si svolgono attività di studio e tutela della specie, (Delta del Po, Maremma Laziale, versante Adriatico): delimitazione del nido o del campo con recinzione elettrica; utilizzo di naftalina o simili (distribuita nei pressi ma non vicino al nido) per confondere il sensibile olfatto di altri animali che una volta sfalciato il campo e lasciata la porzione di raccolto con il nido, individuerebbero facilmente la presenza dei pulli; spostamento dei giovani altrove nel giorno della mietitura. Tutte queste validissime opzioni possono produrre soluzioni positive o negative, ma non esiste una soluzione standard, perché ogni situazione è diversa dalle altre. Perseguire una strada piuttosto che un’altra è pertanto a completa discrezione di chi opera sul campo. Sul disturbo da altri uccelli, senza dubbio occorre dire che vi sono situazioni in cui l’abbattimento selettivo delle specie cosiddette “problematiche” (pest-species), appare come l’unica soluzione praticabile, soprattutto per brevi periodi e in aree dove l’utilizzo di prede con sostanze repellenti (strumento in qualche caso efficace), potrebbe coinvolgere anche le specie che intendiamo tutelare. Sull’utilizzo di erbicidi, occorrerebbe intanto verificare la giusta applicazione delle normative vigenti in materia e la composizione dei prodotti utilizzati. In generale uno strumento utile potrebbe essere quello di favorire, ovvero incentivare, la coltivazione di aree a fieno piuttosto che a frumento, nelle zone di nidificazione dell’Albanella minore. Come detto, l’aumento della percentuale dei coltivi a fieno, alternati a frumento, pascoli ed incolti, rappresentano nel territorio della provincia di Viterbo, un mosaico ambientale particolarmente favorevole alla nidificazione. E possibile visionare l’intero studio collegandosi al sito della provincia sezione Rete Natura 2000. La Provincia, nello specifico l’Assessorato Ambiente ha dato incarico ad un ornitologo per lo svolgimento di uno studio finalizzato alla tutela, monitoraggio e conservazione della specie Occhione (Burhinus Oedicnemus) nella provincia di Viterbo. L’Assessorato Ambiente ha tra le sue competenze l’attuazione di progetti volti alla salvaguardia del patrimonio faunistico, perseguibili anche mediante una ricognizione della presenza e dello status di specie protette e/o considerate a rischio e la cui conservazione richiede la messa in campo di specifiche azioni volte alla tutela delle specie esaminate. La specie Occhione (Burhinus Oedicnemus) è considerato un importante bioindicatore dello stato di salute dell’ambiente, pertanto le azioni volte alla sua tutela, oltre a perseguire l’intento della sua protezione, hanno come presupposto fondamentale la conservazione e lo sviluppo della biodiversità Tale specie è minacciata di estinzione nelle principali convenzioni internazionali: Berna, Bonn, ed in Italia è specie “particolarmente protetta” dalla normativa vigente sul prelievo venatorio. La popolazione italiana è valutata in 200-400 coppie nidificanti e la sola provincia di Viterbo si ritiene possa ospitare circa il 15-20% della popolazione nidificante italiana, una porzione quindi importantissima e meritevole di particolare attenzione.

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Le immissioni ittiche La direttiva “Habitat”3 (92/43/CEE) contribuisce a salvaguardare la biodiversità in Europa mediante la conservazione degli habitat, della flora e della fauna di questa regione: a questo scopo essa introduce all’articolo 6, comma 3, la valutazione d’incidenza, un procedimento di carattere preventivo volto a tutelare l’integrità dei siti della Rete Natura 2000 attraverso l’esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente connessi alla conservazione degli habitat e delle specie per cui essi sono stati individuati, ma in grado di condizionarne l’equilibrio ambientale. In ambito nazionale, la valutazione d’incidenza viene disciplinata dall’art. 6 del DPR 12 marzo 2003 n. 120, che ha sostituito l’art. 5 del DPR 8 settembre 1997, n. 357 che trasferiva nella normativa italiana i paragrafi 3 e 4 della direttiva “Habitat”. Ai fini della valutazione di incidenza, i proponenti di piani e interventi non finalizzati unicamente alla conservazione di specie e habitat di un sito Natura 2000, presentano uno “studio” volto ad individuare e valutare i principali effetti che il piano o l’intervento può avere sul sito interessato, facendo riferimento a quanto previsto nell’allegato G del DPR 357/97. Tale allegato, che non è stato modificato dal nuovo decreto, prevede che lo studio per la valutazione di incidenza debba contenere: − una descrizione dettagliata del piano o del progetto che faccia riferimento, in particolare, alla

tipologia delle azioni e/o delle opere, alla dimensione, alla complementarietà con altri piani e/o progetti, all’uso delle risorse naturali, alla produzione di rifiuti, all’inquinamento e al disturbo ambientale, al rischio di incidenti per quanto riguarda le sostanze e le tecnologie utilizzate;

− un’analisi delle interferenze del piano o progetto col sistema ambientale di riferimento, che tenga in considerazione le componenti biotiche, abiotiche e le connessioni ecologiche.

La metodologia procedurale nella valutazione d’incidenza, proposta nella guida della Commissione Europea DG Ambiente4, è un percorso di analisi e valutazione progressiva che si compone di 4 fasi principali: FASE 1: verifica (screening) - processo che identifica la possibile incidenza significativa su un sito della rete Natura 2000 di un piano o un progetto, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, e che porta all’effettuazione di una valutazione d’incidenza completa qualora l’incidenza risulti significativa; FASE 2: valutazione “appropriata” - analisi dell’incidenza del piano o del progetto sull’integrità del sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, nel rispetto della struttura e della funzionalità del sito e dei suoi obiettivi di conservazione, e individuazione delle misure di compensazione eventualmente necessarie. In questa fase si esegue quindi un’analisi sempre più mirata degli effetti ambientali, nella quale prima si considera se il progetto possa avere effetti sui fattori ecologici complessivi e poi si analizzano le possibilità che si verifichino occasioni di disturbo alle popolazioni: attraverso questa analisi si arriva a definire la sussistenza e la maggiore o minore significatività dell’incidenza sull’integrità del sito. Una volta individuati gli effetti negativi del piano o progetto e chiarito quale sia l’incidenza sugli obiettivi di conservazione del sito, è possibile individuare in modo mirato le necessarie misure di mitigazione (fase 3). FASE 3: analisi di soluzioni alternative/misure di mitigazione - individuazione e analisi di eventuali

3 La Direttiva Habitat impegna gli Stati membri (articolo 22, comma a) ad esaminare l’opportunità di reintrodurre specie autoctone per il loro territorio di cui all’allegato IV, qualora questa misura possa contribuire alla loro conservazione, sempre che, da un’indagine condotta anche sulla scorta delle esperienze acquisite in altri Stati membri o altrove, risulti che tale reintroduzione contribuisce in modo efficace a ristabilire tali specie in uno stato di conservazione soddisfacente, e purché tale reintroduzione sia preceduta da un’adeguata consultazione delle parti sociali interessate. All’articolo 22, comma b, la Direttiva Habitat impegna, altresì, gli Stati membri a regolamentare, ed eventualmente a vietare, le introduzioni di specie alloctone che possano arrecare pregiudizio alla conservazione degli habitat o delle specie autoctone. 4 “Assessment of plans and projects significantly affecting Natura 2000 sites. Methodological guidance on the provisions of Article 6 (3) and (4) of the Habitats Directive 92/43/EEC”, guida metodologica redatta dalla Oxford Brookes University per conto della Commissione Europea DG Ambiente

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soluzioni alternative per raggiungere gli obiettivi del progetto o del piano: le misure di mitigazione hanno lo scopo di ridurre al minimo o addirittura eliminare gli effetti negativi di un piano/progetto durante o dopo la sua realizzazione, salvaguardando così l’integrità del sito; FASE 4: definizione di misure di compensazione - individuazione di azioni, anche preventive, in grado di bilanciare le incidenze previste, nei casi in cui non esistano soluzioni alternative o le ipotesi proponibili presentino comunque aspetti con incidenza negativa, ma per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico sia necessario che il progetto o il piano venga comunque realizzato. Qualora, a seguito della valutazione di incidenza, un piano o un progetto risulti avere conseguenze negative sull’integrità di un sito (valutazione di incidenza negativa), si deve procedere a valutare le possibili alternative. In mancanza di soluzioni alternative, il piano o l’intervento può essere realizzato solo per motivi di rilevante interesse pubblico e con l’adozione di opportune misure compensative dandone comunicazione al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (DPR 120/2003, art. 6, comma 9). Se nel sito interessato ricadono specie e habitat naturali prioritari, l’intervento può essere realizzato solo per esigenze connesse alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica, o per esigenze di primaria importanza per l’ambiente, oppure, previo parere della Commissione Europea, per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico (DPR 120/2003, art. 6, comma 10). In tutti gli altri casi (motivi interesse privato o pubblico non rilevante), si esclude l’approvazione. Di seguito vengono elencati i più recenti indirizzi inerenti la rete Natura 2000 e la valutazione di incidenza, forniti dalla Regione Lazio e dal Ministero dell’Ambiente: - DGR n. 533/2006. Rete Europea Natura 2000: misure di conservazione transitorie e obbligatorie da applicarsi nelle Zone di Protezione Speciale. - DGR n. 534/2006. Definizione interventi non soggetti alla procedura di Valutazione di Incidenza. - DM 17 ottobre 2007. Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS). La Provincia di Viterbo “Assessorato Agricoltura Caccia e Pesca” ha sottoposto due progetti che rientrano nei siti della rete Natura 2000 a delle valutazioni d’incidenza5 (VI) per valutare l’ipotesi che l’attuazione degli stessi possa avere delle incidenze significative e delle ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito:

• il “Piano delle semine ittiche 2008” • il Regolamento per la disciplina del Carp-fishing nel Lago di Bolsena

Piano delle semine ittiche 2008 Il “Piano delle semine ittiche 2008” prevede il ripopolamento di acque correnti e lacuali ricadenti nel territorio provinciale con alcune specie appartenenti alle tre famiglie dei Salmonidi, Ciprinidi e Anguillidi, con quantitativi di una certa rilevanza. In totale il Piano prevede il ripopolamento delle acque provinciali con 8 specie (carpa, tinca, barbo, cavedano, trote fario e iridea, anguilla, luccio), con un numero di individui che va dai 2000 per le trote iridee ai 70.000 per le trote fario; è inoltre prevista la semina di oltre 26 q di stadi giovani di anguille. Il numero di corsi d’acqua interessati è 24, oltre a due bacini lacustri (lago di Bolsena e lago di Mezzano); questi corpi idrici appartengono complessivamente a 5 bacini idrografici (Paglia, Tevere, Fiora, Marta, Mignone) e interessano direttamente 11 siti di interesse comunitario, suddivisi in 7 Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e 4 Zone di Protezione Speciale (ZPS); 4 dei SIC ricadono o coincidono con altrettante ZPS. Nella prima fase della VI (screening) una volta individuati, tra i corsi d’acqua provinciali dove sono previsti gli interventi del Piano delle Semine Ittiche, quelli ricadenti in siti Natura 2000, per ogni SIC/ZPS vengono analizzate le caratteristiche, insieme alle specie ittiche presenti e quelle programmate dal Piano. Gli interventi sui SIC/ZPS sono:

5 Le Valutazioni d’incidenza sono state condotte da “Lynx Natura e Ambiente S.r.l.: il Piano di semine ittiche 2008 è del novembre 2007 e il Regolamento per la disciplina del Carp-fishing nel Lago di Bolsena è del maggio 2008

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RETE NATURA 2000 CORSI D’ACQUA CORRISPONDENTI

SPECIE ITTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO PRESENTI SEMINE ITTICHE PROGRAMMATE

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia

Fiume Paglia (bacino del Fiume Paglia)

cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e barbo (Barbus plebejus)

Carpe: 14.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm Tinche: 20.000 individui di dimensioni comprese tra 6 e 9 cm Barbi: 5.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm Cavedani: 16.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm. Trote fario: 1.300 individui di 250-300 g di peso, 10.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm (Torrente Stridolone)

SIC IT6010007 Lago di Bolsena e ZPS IT6010055 Lago di Bolsena – Isole Bisentina e Martana

Lago di Bolsena (bacino del Fiume Marta)

la rovella (Rutilus rubilio), il barbo (Barbus plebejus) e il ghiozzo di ruscello; (Padogobius nigricans)

Anguille: 26 quintali, oltre 60 kg di anguille allo stadio di ceche.

SIC IT6010020 Fiume Marta (alto corso)

Fiume Marta ( Comune di Marta): bacino del Fiume Marta

vairone (Leuciscus souffia), lampreda di ruscello (Lampetra planeri), alosa (Alosa fallax), rovella (Rutilus rubilio), barbo (Barbus plebejus) e ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans).

Barbi: 1.500 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm Cavedani: 18.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm Trote iridee: 600 individui adulti di 250-300 g di peso (fosso rigomero)

SIC IT6010029 Gole del Torrente Biedano

Fosso Biedano (Comune di Vetralla): bacino del Fiume Marta

il vairone (Leuciscus souffia), la rovella (Rutilus rubilio) e il barbo (Barbus plebejus

Barbi: 2.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm Cavedani: 2.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm

SIC IT6010012 Lago di Mezzano

Lago di Mezzano (Comune di Talentano): bacino Fiume Fiora

Non sono segnalate nel sito specie ittiche di interesse comunitario

Carpe: 30.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm Tinche: 35.000 individui di dimensioni comprese tra 6 e 9 cm

SIC IT6010017 Sistema fluviale Fiora-Olpeta e ZPS IT6010057 Selva del Lamone – Monti di Castro

Fosso Olpeta (Comuni di Farnese e Valentano) e Fosso Timone (Comune di Canino): bacino del Fiume Fiora

il vairone (Leuciscus souffia), la rovella (Rutilus rubilio), il barbo (Barbus plebejus alosa (Alosa fallax), ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans), Lampreda di mare (Petromyzon marinus), il nono Aphanius fasciatus), Chondrostoma genei

Trotelle fario: 25.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm ; Trote iridee: 1000 individui adulti di 250-300 g di peso (Fosso Timone)

SIC/ZPS IT06010032 Fosso Cerreto

Fosso Castello (fosso del Ponte e della Massa Comune di Castel S.Elia): bacino del Fiume Tevere

il vairone (Leuciscus souffia), la rovella (Rutilus rubilio), il barbo (Barbus plebejus), ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans), lampreda di ruscello (Lampetra planeri)

Carpe: 5.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm Cavedani: 8.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm.

ZPS IT603005 Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate

Fiume Mignone (Comune di Vejano): bacino del Fiume Mignone

lampreda di ruscello (Lampetra planeri), barbo (Barbus plebejus), la rovella (Rutilus rubilio), ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans) il vairone (Leuciscus souffia) ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans)

Cavedani: 18.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm

SIC IT 6010035 Fiume Mignone (basso corso) e ZPS IT603005 Comprensorio Tolfetano-Cerite-Manziate

Fiume Mignone (Comune di Tarquinia): bacino del Fiume Mignone

lampreda di mare (Petromyzon marinus), il barbo (Barbus plebejus), l’alosa (Alosa fallax) e il nono (Aphanius fasciatus).

Carpe: 40.000 individui di dimensioni comprese tra 9 e 12 cm Tinche: 30.000 individui di dimensioni comprese tra 6 e 9 cm Barbi: 3.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm Cavedani: 18.000 individui di dimensioni comprese tra 3 e 5 cm

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Una volta individuati i possibili impatti derivanti dagli interventi previsti nel Piano di semine Ittiche nella fase di screening, le problematiche evidenziate nella fase di “valutazione appropriata” sono riportate nella tabella di sintesi che segue:

TIPO DI SEMINA

CORSO D’ACQUA INTERESSATO (COMUNE)

SITO NATURA 2000 INTERESSATO

SPECIE O COMUNITÀ

SOTTOPOSTE A INCIDENZA

INCIDENZA PREVISTA

Immissione di specie alloctone: trota fario o di torrente e trota iridea

T. Stridolone (Acquapendente), F.so Timone (Canino), F.so Olpeta (Farnese) T. Lavena (S. Lorenzo Nuovo), F.so Rigomero (Vetralla)

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia, SIC IT6010017 Sistema fluviale Fiora-Olpeta

Ciprinidi reofili e gobidi

Rapporti di competizione (predazione, risorse) con i ciprinidi reofili, gobidi e anfibi.

Immissioni di popolazioni/specie alloctone: barbo (Barbus sp.)

F. Paglia(Acquapendente), F.Marta (Marta), T. Biedano (Vetralla), F. Mignone (Tarquinia)

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia, SIC IT6010020 Fiume Marta (alto corso), SIC IT6010029 Gole del Torrente Biedano, SIC IT 6010035 Fiume Mignone (basso corso)

Popolazioni indigene di barbi (Barbus plebejus/tyberinus)

Inquinamento genetico delle popolazioni indigene di barbi

Immissioni di carpe (Cyprinus carpio) e tinche (Tinca tinca)

F. Paglia (Acquapendente), F.Fiora (Canino, Ischia di Castro), F. Mignone (Tarquinia) Fosso Castello (Cstel S.Elia)

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia, SIC IT6010017 Sistema fluviale Fiora-Olpeta, SIC IT 6010035 Fiume Mignone (basso corso), SIC/ZPS IT06010032 Fosso Cerreto

Ciprinidi reofili

Zone ittiche inidonee, totalmente o parzialmente

Immissioni di cavedano (Leuciscus cephalus).

F. Paglia(Acquapendente), F.Fiora (Canino, Ischia di Castro,) F.Marta (Marta), T. Biedano (Vetralla), F. Mignone (Vejano, Tarquinia)

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia, SIC IT6010017 Sistema fluviale Fiora-Olpeta, SIC IT6010020 Fiume Marta (alto corso), SIC IT6010029 Gole del Torrente Biedano, ZPS IT603005 Comprensorio Tolfetano Cerite, SIC IT 6010035 Fiume Mignone (basso corso)

Ciprinidi reofili

Possibili fenomeni di ibridazione o competizione con il cavedano dell’Ombrone L. lucumonis Alterazioni composizione della comunità ittica

Immissioni di anguilla (Anguilla anguilla)

L. di Bolsena (Bolsena) SIC IT6010007 Lago di Bolsena Anguilla

Incremento della specie (bilancio positivo)

Le incidenze previste nella fase di “valutazione appropriata” sono collegate al tema delle immissioni faunistiche6 di specie o popolazioni alloctone, che è motivo di intenso dibattito tra i tecnici e gli esperti del settore in quanto sono numerose le interazioni che tali attività provocano sulle specie e le comunità biologiche residenti, soprattutto in presenza di aree a forte valenza naturalistica quali sono i siti della rete Natura 2000. In relazione a questa tematica, il D.P.R. del 12 marzo 2003, n. 120 di modifica ed integrazione del D.P.R. dell’8 settembre 1997, n. 357, ha introdotto variazioni al quadro normativo che regola le immissioni di specie animali e vegetali. In particolare l’art. 12 del DPR 120/2003:

1. affida al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, sentiti il Ministero per le Politiche Agricole e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica per quanto di competenza, il

6 Con il termine di “immissioni faunistiche” si intende il trasferimento e il rilascio, intenzionale o accidentale, di una o più specie. Reintroduzioni, ripopolamenti e introduzioni rappresentano casi specifici di immissioni intenzionali (traslocazioni)

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compito di redigere linee guida per la reintroduzione ed il ripopolamento delle specie autoctone7 e prescrive che ogni intervento di questo tipo possa essere realizzato solo se autorizzato dagli organismi competenti (Regioni, Province ed Enti Parco Nazionali), che presentano allo stesso Ministero un apposito studio che evidenzi che la reintroduzione di specie autoctone contribuisce in modo efficace a ristabilire dette specie in uno stato di conservazione soddisfacente;

2. prevede il divieto di introdurre, reintrodurre e ripopolare specie e popolazioni alloctone8. Tale divieto, ribadito a livello regionale dalla D.G.R. n. 533 del 4 agosto 2006, si applica quindi nei confronti dell’utilizzo, in interventi di reintroduzione o ripopolamento, di individui geneticamente o morfologicamente differenziati rispetto alle popolazioni originariamente presenti nell’area di intervento. Pertanto il divieto di immissioni di specie e popolazioni alloctone, previsto dalla normativa nazionale e regionale, è contemplato anche nella terza fase della valutazione d’incidenza, volta a ridurre in maniera significativa o eliminare le incidenze derivanti dal Piano, sui siti Natura 2000 interferiti. In particolare, nel territorio provinciale di Viterbo andrebbero evitate le semine con trota fario e/o trota iridea nei seguenti corsi d’acqua:

- Torrente Stridolone, nel comune di Acquapendente, in stretta continuità del SIC denominato “Medio corso del Fiume Paglia”, codice IT6010001, in quanto affluente di sinistra orografica del Paglia, situato poco a monte del sito di interesse comunitario; questo corso d’acqua, sebbene classificato dalla carta ittica come “zona a trota inferiore”, potrebbe non essere stato originariamente interessato dalla presenza della trota fario o di torrente, in quanto probabilmente indigena solo dell’arco alpino e dell’Appennino settentrionale, ma solo dalla trota macrostigma;

- Fosso Olpeta, nei comuni di Farnese e Valentano, ricompresso nel SIC “Sistema fluviale Fiora-Olpeta” , codice IT6010017, e nella ZPS “Selva del Lamone – Monti di Castro”, codice IT6010057: anche in questo caso, l’indigenato della trota fario o di torrente è fortemente dubbio e una sua immissione sarebbe motivo di disturbo per le specie autoctone;

- Fosso Timone, un affluente di destra orografica del Fiora, in quanto il nucleo immesso potrebbe entrare in contatto con la comunità ittica del sito, anche in considerazione dell’elevata plasticità ecologica della trota iridea.

Le immissioni di trota fario o di torrente possono inoltre determinare delle alterazioni all’interno della comunità ittica che possono esplicitarsi in fenomeni di competizione e/o di rapporti preda-predatore: infatti le trote fario o di torrente di maggiore taglia possono predare pesci come ad esempio vaironi (Leuciscus souffia) o possono competere per il cibo con le altre specie. Tali fenomeni di competizione/predazione possono essere presenti in tutti i corsi d’acqua interessati dalle semine di trote e quindi, oltre in quelli già elencati, nel Fosso Rigomero (Comune di Vetralla) e nel Torrente Lavena. Relativamente alle previste semine di barbo (Barbus sp.), il problema del riconoscimento ed individuazione degli esemplari autoctoni è complicato dalla mancanza di un’impostazione unanimemente accettata da parte dei sistematici e dalle difficoltà di determinazione degli esemplari; ciò anche a causa della facilità con cui le diverse specie si ibridano fra loro; inoltre nel caso del barbo, qualora si volesse comunque effettuare il ripopolamento, occorre seguire l’iter autorizzativo previsto dal DPR 120/2003. Attualmente però le linee guida previste dall’art. 12 non sono ancora state emanate. Pertanto, sia in considerazione delle problematiche di ordine sistematico-tassonomico, sia di natura normativa, l’immissione di questa entità faunistica dovrebbe essere preclusa nei corsi d’acqua interessati dalle previste “semine” con individui di barbo (Barbus sp.): • Fiume Paglia, nel Comune di Acquapendente, rientrante nel SIC denominato “Medio corso del

Fiume Paglia”, codice IT6010001; 7 Specie autoctona o indigena: specie naturalmente presente in una determinata area geografica nella quale si è originata o è giunta senza l'intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell'uomo 8 Specie alloctona (sinonimi: esotica, aliena): specie che non appartiene alla fauna o flora originaria di una determinata area geografica, ma che vi è giunta per l'intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell'uomo

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• Fiume Marta, nel Comune di Marta, compreso nel SIC denominato “Fiume Marta (alto corso)”, codice IT6010020;

• Torrente Biedano, nel Comune di Vetralla, nel tratto situato a circa 5 km a valle del SIC denominato “Gole del Torrente Biedano”, codice IT6010029;

• Fiume Mignone, nel Comune di Tarquinia, nel tratto coincidente con il SIC denominato “Fiume Mignone (basso corso)”, codice IT 6010035.

È inoltre necessario sottolineare che anche nei corsi d’acqua esterni ai siti di interesse comunitario, data la continuità ambientale esistente, almeno a livello di sottobacino idrografico, le semine con “barbi” andrebbero evitate in quanto si potrebbero avere degli effetti di “inquinamento genetico” a carico delle popolazioni di barbi indigene. Questa problematica è particolarmente incidente sulle specie ittiche che generalmente presentano delle popolazioni discrete, con caratteristiche fenotipiche e genotipiche spesso proprie di singoli bacini. In questo caso il problema delle immissioni generalmente produce una introgressione di geni alloctoni all’interno della popolazioni residenti, indigene: l’incrocio tra individui alloctoni ed indigeni determina di fatto una perdita per lo più irreversibile della variabilità genetica che penalizza le popolazioni selvatiche in quanto riduce la loro capacità di adattarsi alle differenti condizioni ambientali. Analogamente, dovrebbe essere previsto un divieto di immissioni di cavedani (Leuciscus cephalus) lungo il Fiume Paglia, nel Comune di Acquapendente, rientrante nel SIC denominato “Medio corso del Fiume Paglia”, codice IT6010001, in quanto in tale sito risulta segnalato il congenere cavedano dell’Ombrone L. lucumonis (specie di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat) con cui la specie di cui si prevede l’immissione, potrebbe avere fenomeni di introgressione genica o di competizione per le risorse. In questo caso la problematica è però più controversa, visto l’incerto status sistematico del Cavedano dell’Ombrone. Inoltre, facendo riferimento ai risultati ottenuti nella carta ittica provinciale si possono rendere maggiormente congrue le previste semine, adeguando i quantitativi e le diverse specie, alle caratteristiche della comunità ittica presente nei diversi tratti, facendo attenzione soprattutto alla zonazione ittica ed all’adeguatezza in termini di idoneità degli habitat e delle specie utilizzate per il piano delle semine. Nelle semine previste nei quatto corsi d’acqua presi in considerazione, Fiume Paglia (Comune di Acquapendente), Fiume Marta (Comune di Marta), Torrente Biedano (Comune di Vetralla) Fiume Mignone (Comune di Tarquinia) sono emerse le seguenti problematiche: • la tinca non risulterebbe una specie idonea da immettere nei corsi analizzati in quanto non rilevata

nel corso dei campionamenti ittici svolti nell’ambito della carta ittica provinciale; • la carpa, è una specie poco frequente nei corsi d’acqua esaminati, e parimenti alla tinca

scarsamente idonea ad essere immessa nei tratti classificati come “zona a barbo”; • i barbi ed i cavedani immessi, al di là dei problemi collegati all’idoneità delle caratteristiche

tassonomiche dei nuclei utilizzati, dovranno essere immessi rispettando le frequenze tra le specie all’interno del corso d’acqua, così come rilevato dalla carta ittica.

Adottando le precauzioni e le indicazioni appena definite dalla valutazione d’incidenza, il Piano delle Semine ittiche 2008 risulterà pienamente compatibile con le esigenze di conservazione delle specie e degli habitat presenti nei Siti Natura 2000 interessati da tali interventi. Il Regolamento per la disciplina del Carpfishing nel Lago di Bolsena La Provincia di Viterbo, ai sensi dell’art. 15 della legge regionale 7 dicembre 1990 n. 90 e dell’art. 36 della legge regionale 6 agosto 1999 n. 14, ha proposto la regolamentazione dell’esercizio controllato della pesca sportiva con la tecnica del Carpfishing nel lago di Bolsena nell’ottica di coniugare i principi di tutela e conservazione del patrimonio ittico con la sua gestione razionale a fini ricreativi. Il Carpfishing, è una tecnica di origine anglosassone, che prevede la cattura della Carpa (Cyprinus carpio) e del cosiddetto Amur (carpa erbivora, Ctenopharyngodon idellus), con metodi e tecniche evolute, e l’immediato rilascio dopo aver effettuato la foto di rito: rispetto alla tradizionale pesca a fondo praticata comunemente, gli individui catturati vengono trattati con la massima cura per poi

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essere liberati. L’esca (boilies) non viene posizionata direttamente sull’amo ma su un filo esterno (hair rig) che permette di lasciare l’amo completamente nudo e libero: in tal modo l’esca, che si trova nelle stesse condizioni in cui si trova in pastura, senza la presenza dell’amo e del filo sul cui l’amo è montato, presenta una sorta di “naturalità” che non insospettisce la preda. Vengono inoltre utilizzati nel Carp fishing i segnalatori di abboccata (sonar), che permettono di poter stare in pesca per più giorni e il materassino di slamatura, materasso imbottito al di sopra del quale si devono sistemare i pesci durante le delicate operazioni successive alla cattura, che devono garantire l’incolumità della carpa. Questo ciprinide, originario dell'Asia dove veniva allevato già prima del V secolo A.C., è stato introdotto in Italia nel periodo dell’Impero Romano ed attualmente è ampiamente acclimatato nelle acque stagnanti e nei fiumi a lento corso della pianura. Per tale motivo la Carpa, pur non essendo originaria del territorio Italiano, essendovi giunta - per intervento diretto intenzionale o involontario dell’uomo – e quindi naturalizzata in un periodo storico antico (anteriormente al 1500 D.C.), viene considerata una specie “parautoctona”9. La Carpa erbivora o Amur è un’altra specie di ciprinide che proviene dalle acque cinesi del fiume Amur, fiume che origina in Russia, attraversa una buona parte della Cina e sfocia nell'Oceano Pacifico ed è stata introdotta in Italia nel 1975 come pesce di ripopolamento dei laghetti adibiti alla pesca sportiva. Relativamente alla prima fase della Valutazione d’incidenza (fase di screening) sono state inizialmente individuate le aree in cui il proposto regolamento preveda sia possibile praticare la tecnica del Carpfishing sulle specie descritte: − Dalla chiesa S. Magno al torrente il Fiume (confine tra il Comune di Grotte di Castro e S. Lorenzo

Nuovo); - Dal ristorante “Il Faro” (al Km 7,100 S.P. Lago di Bolsena al Km 2,400 direzione Nord-Est

dall’incrocio posto al Km 5,200 della S.P.Lago di Bolsena per una lunghezza di Km 4,500) al ristorante “Da Morano”.

Nonostante il Regolamento in questione non sia direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito della Rete Natura 2000, dalla sua attuazione possono derivare effetti significativi sugli obiettivi di conservazione dei seguenti SIC/ZPS: - il SIC “Lago di Bolsena” (codice IT6010007); - il SIC “Isole Bisentina e Martana” (codice IT6010041); - la ZPS denominata “Lago di Bolsena – Isole Bisentina e Martana” (cod. IT6010055). La tabella sottostante riassume le principali problematiche e incidenze negative, individuate nella fase di “valutazione appropriata” e le possibili misure di attenuazione/mitigazione previste nella fase 3 della Valutazione d’incidenza, per ridurre o eliminare gli effetti negativi del Regolamento provinciale. 9 il documento “Linee guida per la reintroduzione e il ripopolamento di specie faunistiche di interesse comunitario” , redatto dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) propone che le specie “parautoctone” si possano ritenere autoctone ai sensi del DPR 120/03 

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Causa/Impatto Regolamento per la

disciplina del Carpfishing nel Lago di Bolsena

Problematiche ed incidenze Soluzioni alternative/mitigazioni

Pasturazione (prevede l’utilizzo delle boilies, non solo come esche che normalmente vengono poste sull'hair rig, ma anche come pastura da lanciare in acqua per diversi giorni nel luogo prescelto per la pesca per spingere le carpe a tornare ad alimentarsi laddove si effettuerà la battuta di pesca)

non vengono fornite delle indicazioni sulla quantità di boilies da utilizzare e sulla durata della pasturazione

fenomeni di eutrofizzazione con fioriture algali o eccessiva torbidità dell’acqua che potrebbero recare danno agli habitat acquatici di interesse comunitario, presenti nel SIC/ZPS Lago di Bolsena: vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition e vegetazione bentica di Chara

- limitazione della quantità di pastura: max 10 kg. di boilies per sessione di pesca; - durata della pasturazione: evitare la concentrazione in pochi giorni di ingenti quantitativi di boilies (preferire il mais al boilies); preferibile il lancio giornaliero di modiche quantità; - limitazioni della durata delle sessioni di pesca: concentrazioni in 4 giorni della settimana (ex. dal giovedì alla domenica) lasciando i primi giorni della settimana privi di disturbo

Individuazione delle aree di pesca

Si prevede la realizzazione di piazzole, numerate ed identificate tramite palina con tabella, dove si potrà praticare il Carpfishing nel periodo che va dal 1 luglio al 14 maggio, anche nelle ore notturne

Danneggiamento della fascia elofitica - canneti a cannuccia di palude (Phragmites australis) - dove svernano e nidificano la strolaga mezzana (Gavia arctica) e, nel periodo riproduttivo, il tarabusino (Ixobrychus minutus) e il martin pescatore (Alcedo atthis)

La localizzazione e la realizzazione delle piazzole dovrebbe avvenire ad una distanza minima di metri 15-20 dai margini dei fragmiteti a Phragmites australis. I Comuni di Gradoli e Montefiascone, sono da intendersi come “tratti non idonei” alla localizzazione delle piazzole per la presenza di estesi canneti a cannuccia di palude (vedi cartografia sottostante)

Limitazioni temporali l’esercizio del Carpfishing è previsto nel corso di tutto l’anno ad eccezione del “periodo di frega dei ciprinidi”, individuato dal 15 maggio al 30 giugno. Si prevede, in deroga alla L.R. 87/90, che si possa praticare il Carpfishing sulle piazzole anche nelle ore notturne, collocando un massimo di due tende per il riposo notturno dei pescasportivi.

Elemento di disturbo per alcune specie ornitiche di interesse, tra cui il tarabusino e la nitticora. Questi due aironi hanno dei ritmi di attività crepuscolari-notturne ed una stagione riproduttiva collocabile tra aprile e luglio

riduzione del periodo di accesso alle piazzole, almeno nelle ore notturne: il periodo prevedibile di interdizione della pesca, almeno nelle ore notturne, dovrebbe includere tutto il mese di maggio e la prima metà di luglio

Potenziali immissioni di specie alloctone quali le Carpe erbivore (Ctenopharyngodon idellus, Hypophthalmichthys molitrix, Hypophthalmichthys nobilis)

Non si prevedono azioni di ripopolamento di carpe erbivore destinate alla pratica del Carp fishing,

alterazione dell’equilibrio trofico e ambientale, competizione con le specie indigene, distruzione della vegetazione acquatica

divieto di introduzione di specie o popolazioni alloctone in base alla normativa nazionale e regionale

Potenziali immissioni di specie parautoctone, come la carpa

Non si prevedono azioni di ripopolamento di carpe destinate alla pratica del Carp fishing,

alterazioni all’interno della comunità ittica che potrebbero esplicitarsi in fenomeni di competizione e/o di rapporti preda-predatore

pur non essendo vietata l’immissione in natura, si propone che vadano valutati con particolare cautela l’opportunità e i rischi legati ad azioni di ripopolamento, prevedendo un’attenta indagine faunistica e un’adeguata valutazione tecnico-scientifica

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Cartografia relativa alla localizzazione dei canneti a Cannuccia di palude (Phragmites australis) nel Lago di Bolsena (1:50.000), quali ambiti non idonei alla localizzazione delle piazzole di Carpfishing

Cartografia preliminare delle aree in cui localizzare le piazzole nei Comuni di Gradoli e Montefiascone (1:15.000)

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Le precauzioni e le indicazioni definite dalla valutazione d’incidenza sono necessarie affinché il Regolamento per la disciplina del Carpfishing nel Lago di Bolsena risulti pienamente compatibile con le esigenze di conservazione delle specie e degli habitat presenti nei Siti Natura 2000 interessati dagli interventi contenuti nel Regolamento stesso. Al fine di rendere efficaci le misure che discendono dallo studio di incidenza, lo stesso propone di affiancare il Regolamento a una campagna di informazione e sensibilizzazione, destinata alla categoria ed alle associazioni di pescatori interessate al Carpfishing e volta a far conoscere le problematiche naturalistiche ed ambientali che possono derivare da comportamenti di pesca inadeguati o scorretti. Inoltre, tra le misure previste dalla Valutazione d’incidenza viene proposto un accordo con i pescatori sportivi in termini di collaborazione nella gestione della “pressione di pesca” (numero dei pescatori presenti, tesserini segnacatture) e dei comportamenti (pasturazione, durata delle sessioni di pesca, boilies consentite); inoltre, per verificare lo stato di conservazione degli habitat e delle specie di interesse comunitario presenti nei SIC/ZPS Lago di Bolsena, è opportuno che vengano svolte delle specifiche campagne di monitoraggio. Tali campagne dovranno essere anche rivolte allo studio della comunità ittica locale, anche in un’ottica di controllo e di verifica di potenziali immissioni di ittiofauna alloctona. Piano biennale di gestione e di contenimento dei danni da cinghiale (Sus scrofa) nel territorio provinciale di Viterbo Nel 2007 la stima dei danni da fauna nella Provincia di Viterbo si basa sull’andamento di alcuni indicatori: • gli importi indennizzati da parte della Provincia dal 1999 al 2005, che hanno conosciuto una

continua crescita (negli ultimi 2 anni la scarsità delle risorse economiche disponibili ha provocato una riduzione degli indennizzi rispetto agli importi stimati mediamente del 50%);

• il 62% degli indennizzi stimati per il 2007 è relativo a danni causati dai cinghiali; • gli importi indennizzati nel 2007 riguardanti Viterbo (€ 50643,57), Acquapendente (€

48463,32), Castiglione in Teverina (€ 28602,83), Ischia di Castro (€ 20669,26). Questi comuni costituiscono le aree maggiormente interessate dai danni, tanto che, intorno ad essi, sono state identificate 4 macroaree critiche: l’area della Selva del Lamone (Farnese, Ischia di Castro); l’area a Nord della Provincia al confine con la Riserva Naturale di Monte Rufeno (Acquapendente, Proceno); la valle del Tevere (Castiglione, Civitella, Bagnoregio, Bomarzo); l’area vasta della pianura viterbese (Viterbo, Tuscania, Montefiascone, Tarquinia);

• le tipologie di colture interessate da danni da cinghiale come il mais, con il 46% degli importi stimati nel 2007, seguito dalle coltivazioni arboree (18%) e dai cereali autunno-vernini (12%)

L’andamento di tali indicatori rivela l’assenza di una razionale gestione delle specie sia dal punto di vista venatorio sia da quello della gestione del territorio e della prevenzione dei danni. Pertanto la Provincia di Viterbo, con determinazione n.37/338/I del 29.06.2006, ha predisposto il“Piano biennale di gestione e di contenimento dei danni da cinghiale (Sus scrofa) nel territorio provinciale di Viterbo”, a cui ha collaborato l’Università della Tuscia (Dipartimento di Produzioni Animali) e l’Osservatorio per lo studio e la gestione delle risorse faunistiche. Tale Piano è stato finanziato dalla Regione Lazio all’interno del “Programma sperimentale di prevenzione dei danni all’agricoltura da fauna selvatica e degli incidenti stradali causati da fauna selvatica nel territorio della provincia di Viterbo” ed è stato approvato dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica con determina N° T-A 23 del 30/07/08. Il Piano di gestione per il biennio 2008-2010 parte da un’analisi dei dati pregressi in relazione agli importi indennizzati e alle colture interessate dai danni per poi individuare un piano operativo che, a seconda degli obiettivi, stabilisce degli interventi adeguati ed effettuati con tecniche diverse. In ultimo si esaminano i risultati raggiunti e le criticità riscontrate.

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Il Piano interessa due macroaree: quella del Comprensorio Nord della Provincia con i comuni al confine della Riserva Naturale di Monte Rufeno (Acquapendente, Proceno) e quella della Pianura Viterbese (Viterbo, Tuscania, Montefiascone, Tarquinia). Comprensorio Nord L’analisi dei dati pregressi per le annualità 2004-2007 evidenzia:

• l’aumento degli indennizzi stimati, coerentemente all’aumento dei danni da fauna selvatica stimati negli ultimi anni

• la concentrazione degli eventi dannosi causati dai cinghiali nella valle del fiume Paglia nei comuni di Acquapendente e Proceno;

• il mais sia da granella sia da insilato è la coltura maggiormente interessata dagli indennizzi, tanto da catalizzare negli anni circa il 65% degli importi indennizzati;

• il periodo critico, nel quale si concentrano i danni da fauna selvatica, è tipicamente quello estivo, in corrispondenza con la carenza di alimento e di acqua nelle aree boscate.

Dalla raccolta e implementazione dei dati (analisi dei dati pregressi e monitoraggio dei capi abbattuti) effettuate tra il mese di novembre 2007 e gennaio 2008, si è arrivati a un piano operativo, alla cui stesura hanno lavorato il Dipartimento Produzioni Animali e la Provincia di VT, che prevede i seguenti obiettivi:

• riduzione dei danni • riduzione dei conflitti sociali • messa a punto di una Strategia razionale di gestione del cinghiale

A seguito di un incontro con i caposquadra di tutto il comune e con gli agricoltori, la Polizia provinciale, il Dipartimento Produzioni Animali e la Provincia di VT hanno programmato gli interventi di prevenzione e controllo da effettuarsi nei mesi marzo-ottobre 2008 tra cui: recinzioni elettriche, scaccio, girate, selezione Le tecniche utilizzate nel piano operativo sono descritte dettagliatamente nella seguente tabella: MACRO AREA

ASSEGNAZIONE ANTICIPATA

ABBATTIMENTI SELETTIVI FORAGGIAMENTO DISSUASIVO

RECINZIONI ELETTRICHE

Compren- sorio Nord

• richiesta avanzata dalle 9 squadre operanti sul territorio (09/04/08)

• l’Ufficio Caccia provinciale ha assegnato le zone per 2 stagioni venatorie consecutive (12/05/08)

-operatori: art. 35 LR 17/95, iscritti alle squadre operanti nelle aree interessate. -mezzi: arma rigata superiore a 6.5 mm di calibro, munita di ottica di puntamento, sono esclusi strumenti ottici con ingrandimenti inferiori a 6. -Animali: cinghiale maschio o femmina di età inferiore a 2 anni (subadulto) compresi gli striati. -N° di capi/uscita/ selecontrollore:2 -N° di capi abbattuti dal 13/04/08 al 08/07/08: 54 -Il numero degli animali abbattuti è stato, per la quasi totalità, venduto; il ricavato è stato destinato a coprire le spese delle operazioni di gestione. -Destinazione degli animali ai mattatoi della provincia di Viterbo -Rilevamento dati (compilazione della scheda da parte della polizia provinciale o degli operatori)

L’alimento usato è il mais in granella. Le squadre ritireranno il mais 100 Kg alla volta, riempiendo un libretto di acquisto di 1000 Kg. Somministrazione: 50 Kg su 1Km lineare, a giorni alterni. Da maggio fino alla pre-apertura della caccia (1 Ottobre 2008) Quantità distribuite: 220 q.li

-Colture interessate: Colture primaverili-estive (mais, girasole, sorgo) -Periodo: Maturazione lattea fino alla raccolta -L’acquisto del materiale proviene da fondi derivanti dalla vendita dei capi abbattuti, mentre il montaggio è a carico delle squadre e degli agricoltori -Aziende interessate Rocchi Acquapendente Bramini Proceno; Paoletti - Proceno; Az. Camilli -Proceno

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I dati riferiti alle ultime tre annualità (2006-2007-2008) mostrano come le colture maggiormente interessate dal danneggiamento da fauna selvatica sono state quelle cerealicole (cerali autunno-vernini e mais). Inoltre i risultati evidenziano per il 2008:

• una notevole riduzione rispetto all’anno precedente del mais danneggiato e un aumento delle quantità di cereali autunno-vernini prelevati dai cinghiali: l’apparente contraddizione nasce dallo sfasamento tra gli interventi e il periodo di danneggiamento; infatti dalle perizie si evince che il danno si è verificato soprattutto alla semina, quando il progetto di gestione non era ancora operativo;

• l’abbattimento di 235 cinghiali rispetto ai 122 del 2007 nelle giornate di preapertura della caccia al cinghiale (1-6 ottobre): le funzioni di riduzione e contenimento dei danni risultano completamente espletate visto che l’aumento del 100 % dei capi abbattuti, fa prevedere un aumento considerevole della consistenza dei cinghiali nell’area, dato l’andamento della stagione 2007-2008 con una annata di elevata produzione di ghianda e un inverno mite.

Tra i fattori di criticità riscontrati si rilevano l’assenza totale di gestione della specie cinghiale nella Riserva Naturale di Monte Rufeno, le difficoltà di coordinamento delle numerose squadre di caccia operanti nell’area, la ridotta disponibilità numerica degli agenti di Polizia Provinciale, la mancanza di tempestività degli interventi, la mancata collaborazione nell’attuazione dei sistemi di prevenzione dei danni alle colture da parte di alcune aziende agricole. Pianura Viterbese L’analisi dei dati pregressi per le annualità 2004-2007 evidenzia:

• una diminuzione degli importi indennizzati stimati per il 2007, in controtendenza con i dati provinciali e quelli riferiti alla macroarea Comprensorio Nord: ciò è imputabile al fatto che la realizzazione di un piano di contenimento dei danni da fauna nell’area della pianura viterbese è avvenuta nell’estate 2007, dando i primi risultati di riduzione del fenomeno nello stesso anno;

• che la coltura maggiormente interessata dagli indennizzi è stata il mais sia da granella sia da insilato in tutte le annualità considerate tranne nel 2005 poiché, a causa della limitatezza dell’area, il danno provocato ad una singola azienda da parte dei corvidi ha fatto modificare le proporzioni delle tipologie colturali interessate dal fenomeno (gli importi sono stati equamente distribuiti per tipologia produttiva danneggiata: cereali autunno-vernini 4%, orticole 33%, coltivazioni arboree 11%, cereali primaverili-estivi 335, oleaginose 18%)

Alla luce dei dati pregressi, il calendario degli interventi del piano operativo ha visto nel maggio 2008 la re-iscrizione al registro provinciale della Squadra “Carbonare” con l’obiettivo di controllare/gestire la popolazione della specie cinghiale in un’area in cui la stessa, per l’eccessivo numero, è divenuta un problema per le colture intensive praticate (mais e cereali autunno-vernini) e per le altre specie di fauna selvatica presenti. La squadra ha operato in sinergia con gli agricoltori e gli enti preposti alla gestione e la sua composizione è tale da permettere una costante presenza di operatori con un’approfondita conoscenza del territorio: la Squadra “Carbonare” ha preso parte alle operazioni gestionali svolte nell’annata agraria 2006-2007 presso l’Az. Agr. “La Chirichea” nell’ambito del programma sperimentale, finanziato dalla Amministrazione provinciale di Viterbo, attivo su queste aree. Tra il maggio-ottobre 2008 il piano operativo ha previsto interventi di prevenzione e controllo, tra cui: recinzioni elettriche, scaccio, girate, selezione Infine tra novembre 2008 e gennaio 2009 è stato effettuato il monitoraggio dei capi abbattuti La tabella seguente mostra le tecniche di gestione utilizzate nella macroarea Pianura Viterbese:

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MACRO AREA ABBATTIMENTI ABBATTIMENTI

SELETTIVI RECINZIONI ELETTRICHE

ALTRE TECNICHE

UTILIZZATE pianura viterbese

Gli interventi sono stati effettuati dal 10/07/08/ al 30/07/08 abbattendo complessivamente 9 capi

- due sessioni di abbattimento serale a settimana; - operatori: art. 35 LR17/95; - mezzi: arma rigata superiore a 6.5 mm di calibro, munita di ottica di puntamento, sono esclusi strumenti ottici con ingrandimenti inferiori a 6; - animali: cinghiale maschio o femmina di età inferiore a 2 anni (subadulto) compresi gli striati. - N° di capi/uscita/ selecontrollore: 2 - N° capi abbattuti: 1 - Il numero degli animali abbattuti sarà per metà dei selecontrollori e per metà venduto; il ricavato sarà destinato a coprire le spese delle operazioni di gestione.

• Colture interessate: Colture primaverili-estive (mais);

• Periodo: Maturazione lattea fino alla raccolta

• L’acquisto del materiale proviene da fondi derivanti dalla vendita dei capi abbattuti, mentre il montaggio è a carico delle squadre e degli agricoltori;

• Aziede interessate: -Az. Chirichea, Az. Bicoca

• Repellenti

olfattivi (zolfo, naftalina)

• Dissuasori acustici (Musica, Cannoncino, Ululato)

• Girata “in bianco” (senza arma da fuoco)

L’analisi dei risultati nell’ultimo triennio mostra come le tipologie colturali relative al mais (granella e silo mais) hanno subito una drastica riduzione delle quantità prelevate sin dal 2007, anno in cui si è iniziata la gestione dell’area nell’azienda Chirichea. Nel 2008 l’estensione del Piano di gestione alle aziende interessate dagli interventi (Chirichea, Bicoca, Aonzo e Crisanti) evidenzia l’azzeramento totale dei danni, Anche nella Pianura Viterbese, come nel Comprensorio Nord, i fattori di criticità maggiormente riscontrati riguardano la ridotta disponibilità numerica degli agenti di Polizia Provinciale, la mancanza di tempestività degli interventi, la mancata collaborazione nella attuazione dei sistemi di prevenzione dei danni alle colture da parte di alcune aziende agricole. Anche se non sono compresi nel Piano di gestione e contenimento, sono stati eseguiti degli interventi in risposta alle segnalazioni dei singoli agricoltori. Solo nel caso della località “Sughereto” situata nel comune di Tuscania si è proceduto a stilare un calendario degli interventi.

COMUNI LOCALITA’

COLTURA INTERESS

ATA AZIONE CALENDARIO DEGLI

INTERVENTI CRITICITA’

Tuscania Sughereto

Frumento duro

Controllo in selezione

1-2 volte la settimana dal 4 giugno al 2 luglio trebbiatura

Ritardo di attuazione

Latera M. Razziolo, la Piana

Mais Controllo,scaccio,recinzione elettrica (non attuata)

4 azioni di controllo ed operazioni di scaccio 1-2 volte la settimana, dal 27 luglio al 24 agosto

estrema difficoltà di coordinamento con gli agricoltori e con i cacciatori locali

Castiglione in Teverina

La Pazzaglia vigneto Controllo, scaccio

5 azioni di controllo ed operazioni di scaccio 1-2 volte la settimana, dal 7 luglio al 19 settembre

complessità amb.le, contiguità delle aree coltivate ed aree ad alta vocazione per il cinghiale.

Bassano Romano

Luglio 2008: Incontro Comune AFV Capo squadra di caccia al cinghiale, agricoltori.

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In conclusione l’obiettivo del Piano di gestione è quello di arrivare a una riduzione drastica della popolazione di cinghiali fino al raggiungimento di una DAF di 3 capi/100 ha nelle aree vocate, 0-1 capi/100 ha aree non vocate. Pertanto, oltre all’istituzione di un sistema di ricezione delle emergenze e coordinamento degli interventi (“SOS Danni”), le proposte operative avanzate dal Piano di gestione sono relative alla:

• Deroga all’articolo 35 della legge regionale 17/95 (Polizia Provinciale), in quanto nel Piano si chiede che alla polizia provinciale sia riservata la funzione di coordinamento delle operazioni di campo che saranno condotte e gestite, oltre che dagli agenti della polizia provinciale, dalle guardie venatorie volontarie;

• Deroga all’articolo 34 comma 2 della legge regionale 17/95 (arco temporale massimo), in quanto si chiede l’ampliamento del periodo di caccia alla specie cinghiale (mese di ottobre);

• Deroga all’articolo 35, comma 5 della legge regionale 17/95 (operatori), perché si chiede l’ammissione alle operazioni di controllo effettuate con la tecnica della braccata o battuta di tutti i cacciatori iscritti alle squadre di caccia al cinghiale non escludendo i non possessori di abilitazione al selecontrollo.

Programma sperimentale di reintroduzione della starna (perdix perdix) nella ZRC “Pisello Lemme” La starna (Perdix perdix) rientra attualmente tra le specie elencate nella Lista Rossa degli Uccelli Nidificanti in Italia redatta dal WWF nel 1999, nelle Appendici 2/1 e 3/1 della Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, nell’Appendice 3 della Convenzione di Berna, ed è considerata vulnerabile dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). La sottospecie Perdix perdix italica rientra tra le specie elencate nell’allegato 1 della Direttiva 79/409/CEE, che sono quelle: _ minacciate di sparizione _ che possono essere minacciate da talune modifiche del loro habitat _ considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale limitata _ che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat. _per le quali sono previste misure speciali di conservazione e tutela In questo scenario la Regione Lazio si è impegnata a sostenere economicamente gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) ed altri organi competenti in materia di gestione Faunistica che si impegneranno negli anni 2007/2009 in un “Programma sperimentale di reintroduzione10 della Starna (Perdix perdix)”, che prevede la ricostituzione di nuclei stabili della suddetta specie, in aree idonee dal punto di vista ambientale e colturale. L’ATC VT1 si è assunto il difficile compito di tentare la ricostituzione di un habitat idoneo allo scopo di reintrodurre la Starna (Perdix perdix), nelle Zone di ripopolamento e cattura (ZRC) di “Pisello Lemme” nelle aree: “Ficoncella”, “Strada Lemme”e “Ruscitore”, essa ha provveduto a presentare alla Regione Lazio un progetto che descrive localizzazione dell’intervento, obiettivi, modalità e tempi di azione. La Provincia di Viterbo che gestisce l’ATC VT1, ha approvato con Determina n° 57/543/I del 11/09/2007 il programma sperimentale di reintroduzione della starna (perdix perdix) nella ZRC “Pisello Lemme”-VT ,a cui hanno collaborato dell’Osservatorio per lo Studio e la Gestione delle Risorse Faunistiche, Dipartimento di Produzioni Animali della Facoltà di Agraria di Viterbo. Il Programma prevede: _ localizzazione dell’area di studio; _ caratteristiche ambientali dell’area di studio; 10 Gli interventi faunistici di introduzione e reintroduzione sono disciplinati dall’art. 12 del D.P.R 357/1997 integrato dal D.P.R 120/2003

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_ vocazione faunistica dell’area di studio (modello di idoneità ambientale per la starna); _ individui da utilizzare per il progetto; _ modalità di rilascio; _ programmi di monitoraggio degli individui rilasciati; _ miglioramenti ambientali previsti; _ misure di tutela; _ annocontrollo numerico della specie Volpe rossa (Vulpes Vulpes),predatrice di uova e covate; _ soggetti impiegati nella vigilanza; _ costi e programmazione delle spese; In relazione al primo aspetto, la scelta dell’area sperimentale su cui effettuare l’intervento, si è subito orientata verso la ZRC “Pisello Lemme”, a causa delle caratteristiche ambientali e strutturali del territorio, idonee ad ospitare la starna; all’interno, sono state scelte tre aree (1a, 1b, 1c) di circa 1000 m2 ciascuno perché, in base a segnalazione di anziani cacciatori ed agricoltori, ospitavano la specie da reintrodurre fino agli anni ’70. I sopralluoghi preliminari e le analisi cartografiche finalizzate a valutare l’idoneità ambientale della ZRC Pisello Lemme, hanno analizzato i fattori biotici ed abiotici in grado di influenzare la conservazione e la riproduzione della specie; a ciascun parametro è stato assegnato un punteggio che varia in funzione della sua rispondenza alle richieste specifiche della specie e infine è stata elaborata per ciascun parametro una cartografia specifica. Tali caratteristiche, sintetizzate tramite modello di idoneità ambientale per la starna, hanno portato a valutare l’area BUONA per il Progetto. Carta finale dell'idoneità ambientale del Territorio dell’ATC VT1 per la Starna (Perdix perdix) – Dettaglio della

ZRC “Pisello Lemme” Preso atto dell’elevata vocazione faunistica della ZRC in questione, sono state evidenziate le potenziali problematiche capaci di influenzare negativamente la riuscita del programma di reintroduzione della starna: _ difficoltà gestionali dell’area; _ assenza di guardiania; _ consistente presenza di predatori opportunisti in particolare la Gazza (Pica pica), Cornacchia grigia (Corvus corone cornix) e Volpe (Vulpes vulpes); _ presenza nel cuore della ZRC di numerosi capi ovini e soprattutto di cani da gregge che spingono la fauna a disperdersi verso l’esterno, esponendosi maggiormente all’azione venatoria. Per mitigare queste potenziali problematiche, sono stati organizzati una serie di incontri (due in Giugno - Luglio 2007, due in Settembre - Ottobre 2007, due in settembre 2008) con il mondo agricolo e venatorio locale, durante i quali sono state illustrate le aree su cui concentrare i miglioramenti ambientali ed in cui è stato descritto,

quantificandolo in termini monetari, il sostegno da destinare a quanti avessero aderito al progetto tramite interventi colturali mirati (rilascio di colture in piedi, seminativi a perdere, rilascio di residui colturali), guardiania, montaggio dei recinti e delle voliere di preambientamento, foraggiamento degli animali in voliera e post liberazione fino al perfetto adattamento alle nuove condizioni ambientali. In base alla distribuzione delle particelle di frumento rilasciate sul territorio e alla maggiore disponibilità di alimento naturale che gradualmente andrà a sostituire il mangime fornito in cattività,

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all’esposizione, alla presenza di copertura arbustiva ed erbacea ed alla disponibilità da parte dei titolari dei terreni interessati, il tecnico ha indicato tre siti di immissione su cui procedere con la realizzazione dei recinti di preambientamento ed il posizionamento delle voliere: VT1a “Ficoncella”, VT1b “Az. Bernini”, VT1c “Ruscitore”. Relativamente alla scelta degli individui da utilizzare per il progetto, sono state scelte delle starne di certificata origine italiana, al fine di evitare l’immissione di patrimoni genetici inquinanti le possibili popolazioni autoctone forse presenti nel centro Italia. Successivamente, su ciascun sito scelto per il rilascio degli animali, è stato montato il recinto elettrico, con lo scopo di scoraggiare eventuali predatori; all’interno di ciascuno dei tre recinti è stata posizionata una voliera di circa 10 – 12 m2 dove è stata poi alloggiata una piccola stazione di foraggiamento I primi sessanta animali immessi in voliera il 3 Ottobre sono stati liberati il giorno 11 Ottobre: infatti il periodo migliore per l’immissione delle starne nella voliera è stato individuato immediatamente dopo le piogge di fine estate, poiché le precipitazioni portano ad una fondamentale modifica strutturale del terreno, alla creazione di punti d’acqua naturali e soprattutto alla ripresa vegetativa. Dopo un primo periodo di ambientamento durante il quale le starne sono state alimentate in modo artificiale, con il pieno e definitivo adattamento al nuovo habitat, avvenuto a fine Novembre, sono stati smontati sia le stazioni di foraggiamento sia i recinti elettrici. Per garantire il raggiungimento delle condizioni ambientali idonee ad ospitare la starna in modo permanente sono stati eseguiti interventi di: - controllo dei predatori opportunisti, che hanno riguardato esclusivamente corvidi ( con la tecnica di trappolaggio dei corvidi mediante gabbie- trappola di tipo “letter box”) e volpi (tramite "fox lamping", che prevede l'abbattimento notturno con faro e carabina) - miglioramento ambientale, mediante la coltivazione di colture a perdere (sorgo e favino) per garantire la disponibilità trofica, rifugio e protezione termica alla specie per l’inverno 2007/2008 e mediante il rilascio del terzo sfalcio dell’erba medica, superficie coprente utile come area di rifugio, futuro sito di nidificazione ed area ricca di artropodi ed insetti. Il monitoraggio dei capi di starna immessi e dell'evoluzione della presenza della specie è consistito in monitoraggi periodici, condotti con tre diversi metodi: 1) “Radio tracking”; 2) Cani da ferma; 3) “Play back”. La tecnica 1) permette un controllo a distanza della posizione del soggetto munito di zainetto-emettitore, posizionato sugli animali grazie a degli appositi fili elastici che lo tengono fermo sul dorso senza limitare l’animale nei più piccoli movimenti in volo. Il monitoraggio, che è avvenuto tramite un ricevitore che indica l’intensità del segnale ed un’antenna che lo capta, è stato effettuato tutti i giorni ed in ogni località; l’operazione veniva ripetuta da più punti in modo da poter interpolare i segnali ricevuti individuando così la posizione della brigata in maniera abbastanza precisa. I vantaggi di questa tecnica 2) derivano dal fatto che, attraverso l’utilizzo dei cani, i cacciatori locali vengono coinvolti attivamente e il territorio ispezionato dai censitori viene moltiplicato riducendo al minimo i tempi di azione e la possibilità di sottostimare la popolazione presente a causa del mancato conteggio di una o più brigate. Il monitoraggio effettuato con i cani da ferma nell’Ottobre/Novembre 2007 è stato finalizzato a verificare la sopravvivenza a breve termine delle starne immesse e quello effettuato nell’Agosto/Settembre 2008, il successo riproduttivo delle coppie reintrodotte. La tecnica del play back 3) rende possibile verificare in tempi rapidi la presenza di un maschio territoriale inducendo per reazione la sua risposta: essa consiste nell’indurre il canto nel maschio territoriale emettendo da una stazione di rilevamento tramite magnetofono le vocalizzazioni preregistrate di un cospecifico. Durante il periodo dell’accoppiamento, infatti, i maschi sono particolarmente aggressivi ed intensa risulta l’attività di canto: il maschio, sentendo minacciato il proprio territorio, risponde al canto del “rivale” emettendo potenti vocalizzazioni apprezzabili dall’orecchio dell’operatore anche a notevole distanza in condizioni di vento assente.

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I risultati dei monitoraggi condotti con le tecniche esaminate hanno portato ai seguenti risultati: 1) Nell’area 1 “Ficoncella” le starne sono state reperibili più a lungo rispetto agli altri due siti, visto che l’ultima segnalazione risale al 25 gennaio 2008. Il nucleo reintrodotto dopo la liberazione ha subito una drastica riduzione nella prima decade, a causa soprattutto di rapaci diurni (Poiana, Astore); sono inoltre state registrate predazioni da parte di Volpe e mustelidi. Il nucleo così ridotto a circa 12 capi è rimasto nell’area di rilascio fino alla fine dell’inverno, dopo il quale la scomparsa delle starne è stata ricondotta alla presenza dei greggi che sia per disturbo diretto (cani) sia per competizione spaziale (riduzione dei pascoli) hanno determinato la dispersione del nucleo. 2) Nell’area 2 “Az. Bernini” la dispersione degli animali è stata pressoché immediata. Il fattore critico è stato individuato nella presenza di cani incustoditi, mentre il monitoraggio con la tecnica del radiotracking ha evidenziato uno spostamento del nucleo verso NORD. 3) Nell’area 3 “Ruscitore” il nucleo di base di 10 coppie si è progressivamente ridotto fino a 8 individui che hanno stazionato nell’area fino a novembre. Forte è stata la pressione esercitata dai predatori opportunisti, in particolare cornacchie, gazze e volpi. Anche in questo caso la presenza di cani incustoditi si è rivelata la criticità maggiore: al richiamo lanciato con la tecnica del playback sono infatti accorsi alcuni cani. La relazione del primo anno di attuazione del “Programma sperimentale di reintroduzione della starna (perdix perdix) nella ZRC “Pisello Lemme”-VT suggerisce di agire soprattutto sull’ambiente di rilascio pur se esistono nell’area fattori di disturbo, ovini e cani, nei confronti dei quali difficilmente si può intervenire in maniera definitiva. Viene inoltre considerata l’ipotesi di individuare un’area alternativa dove spostare due moduli di reintroduzione situati in località Ruscitore e Az. Bernini, mantenendo in essere quello situato in località “Ficoncella”, località che si è rivelata quella a maggiore idoneità. LIFE-Natura “Azioni urgenti per la salvaguardia dei Siti Natura 2000 dell’Alta Tuscia” Il progetto finanziato dall’Unione Europea nell’Ambito del Programma LIFE-Natura, è stato realizzato in collaborazione con l’Università della Tuscia, Dipartimento di tecnologie, ingegneria e scienze dell’ambiente e delle foreste (DAF), per salvaguardare gli habitat, la flora e la fauna di interesse comunitario presenti nella parte nord-ovest del territorio provinciale di Viterbo. L’obiettivo di favorire il ripristino e la valorizzazione di alcuni habitat di interesse comunitario presenti nei Siti di Importanza Comunitaria è stato raggiunto. I sette Siti d’Importanza Comunitaria proposti (SICp) presenti nel territorio dell’Alta Tuscia Viterbese beneficiari del progetto LIFE sono stati: • “Selva del Lamone”, esteso su 3066 ha; • “Caldera di Latera” esteso su 1217,5 ha; • “Sistema fluviale Fiora-Olpeta” esteso su 1040 ha; • “Il Crostoletto” esteso su 40,7 ha; • “Lago di Mezzano” esteso su 149,1 ha; • “Monti di Castro” esteso su 1558,4 ha; • “Vallerosa” esteso su 13,9 ha. Per una superficie complessiva di 7.086 ettari nei territori dei Comuni di Farnese, Ischia di Castro, Latera, Valentano, Montalto di Castro e Canino. Le principali azioni che sono state realizzate per il raggiungimento degli obiettivi di conservazione hanno considerato: Analisi preliminare del territorio:

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• Predisposizione di una banca dati territoriale (GIS) per individuare le aree prioritarie di intervento. Tutela dei boschi: • Regolamentazione della gestione a ceduo dei boschi, l’avviamento all’alto fusto e eliminazione di specie alloctone; • Adesione al sistema di certificazione della gestione forestale a livello europeo (Pan European Forest Certification (PEFC).

Tutela degli habitat prativi: • Gestione degli habitat prativi mediante sfalcio periodico. Tutela della vegetazione ripariale: • Interventi di fitodepurazione delle acque; • Restauro della vegetazione della fascia ripariale. Tutela delle Orchidee e delle piante erbacee rare: • Realizzazione di staccionate e strutture per la riduzione del calpestio. Monitoraggio della Chirotterofauna: • Aggiornamento dei dati riguardanti le specie di pipistrelli presenti nel territorio. Monitoraggio della qualità delle acque: • Raccolta dei dati relativi allo stato di inquinamento delle acque del sistema Lago di Mezzano Fiume Olpeta.

Fruizione e disseminazione: • Riqualificazione e manutenzione dei sentieri esistenti; • Realizzazione di pannelli didattico-informativi; • Azioni di comunicazione e sensibilizzazione; • Organizzazione di incontri pubblici e conferenze stampa; • Realizzazione di materiale divulgativo; • Creazione di un sito web; • Produzione di gadget e di CD-ROM divulgativi.

Il progetto ha apportato notevoli benefici agli ambienti di intervento, ed ha soprattutto comunicato alle popolazioni locali ed alle Amministrazioni che i Siti di Interesse Comunitario sono ambienti da preservare e che possono essere, con i progetti LIFE e le altre misure Comunitarie, un’importante occasione di sviluppo.

Tutti i risultati sono disponibili nella sezione documenti del sito dedicato al progetto: http://www.life-natura.viterbo.it