185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati,...

164
A11 185

Transcript of 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati,...

Page 1: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

A11185

Page 2: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 3: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamoPaleontologia del pensiero

Graziano Cavallini

Page 4: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Copyright © MMVIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0821–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2006

Page 5: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’oggetto stesso, lungi dal precedere ilpunto di vista, si direbbe creato dalpunto di vista.

De Saussure 1994, p. 17

È un carattere peculiare dello spiritoumano di essere portato a cercare nelmondo reale i modelli concreti dellesue creazioni.

Enriques 1985, p. 166

Per quanto la logica possa soccorrere alprocesso di astrazione costruttivo deiconcetti, essa non può da sola surroga-re le associazioni psicologiche checostituiscono tale processo.

Enriques 1983, p. 38

Page 6: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 7: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

7

Indice 9 Introduzione

21 Lingua e realtà

21 Un problema atavico 21 La storia recente 22 Come funziona la lingua? 24 L’ideologia della realtà 25 Segni del tempo e dell’atemporalità 28 La realtà per la scienza 29 Che senso ha l’idea di una realtà inconoscibile? 30 Dalla realtà alla lingua o viceversa? 33 La conoscenza esperta implica la lingua 37 Attribuzione di significato

37 I primitivi dei derivati 38 Relatività delle prospettive 40 Come si forma la conoscenza 43 Le persone sono sistemi aperti 45 I significati espressi nella cultura 47 Sensi e significati 51 L’organizzazione culturale della conoscenza

51 Schemi e concetti 53 Chi produce i concetti 55 Schemi e loro dialettica con i concetti 56 I sistemi funzionali 58 L’interiorizzazione 60 Codici elaborati e codici ristretti 62 L’interiorizzazione della cultura ambientale 63 L’intelligenza nei sistemi cognitivi 67 La funzione dei modelli nella conoscenza

67 Livelli mentali

Page 8: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Indice 8

68 Amplificatori e costituenti cognitivi

71 Miopia etnocentrica e storica

72 Contrasti culturali delle capacità cognitive

75 Modellamento culturale dell’intera personalità

76 Modelli mentali forniti dalla scolarizzazione

79 L’impatto dell’alfabetizzazione sullo sviluppo culturale

84 La Teoria della Forma

86 Reinterpretazione della Teoria della Forma

89 Costruttivismo e integrazionismo

92 Naturalismo culturale

95 Come capiamo

95 Realtà e verità: quasi un riepilogo

98 L’articolazione della conoscenza

102 Universalità e mondi possibili

105 Natura del riferimento

110 Ancora sulla funzione dei modelli nella conoscenza

117 La conoscenza scientifica

117 Cercare di capire con e senza modelli

120 Modelli sbagliati

123 Universalità del pensiero per modelli

125 Che cosa sono i modelli

129 Rapporti tra modelli e fenomeni

132 Modelli e idee

133 I modelli nella scienza

137 Conclusioni

137 Idea corretta dei modelli

138 Qualità dei modelli

140 L’impatto della scrittura

145 Mente e realtà

149 Bibliografia

Page 9: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

9

Introduzione

Tutta la storia del pensiero razionale, fin dai suoi albori, è per-corsa dal problema del rapporto tra la lingua e la realtà, connes-so sia a quello della natura e del funzionamento della mente sia a quello della natura della realtà stessa. Affrontare tali problemi ha costituito sempre un ostacolo arduo, se non insormontabile, che si è trascinato attraverso i secoli venendo progressivamente superato solo in parte con conquiste faticose e appunto sempre parziali.

Riguardo alla mente, oggi sono note sue trasformazioni pro-vocate storicamente da una serie di processi concatenati. Uno è stato l’imporsi del pensiero razionale, che si è accompagnato al-la progressiva riduzione della rappresentazione di tipo immagi-nifico strettamente legata alla percezione (al punto da essere confusa con questa), quale forma dominante del pensiero; e al distacco sempre più accentuato da essa (Jaynes 1984). Un altro è stata l’adozione generalizzata e stabile nei circoli dotti greci verso il V secolo a. c., e probabilmente molto prima, della scrit-tura con un tipo nuovo più flessibile di alfabeto rispetto a quelli precedenti (Havelock 1987a, b, Goody 1989): processo comple-tato poi, nel XV secolo d. c., con la diffusione della trattatistica scientifica tramite la stampa. Entrambe le svolte hanno condotto a mano a mano a forme sempre più astratte di conoscenza (Ha-velock 1983 e 1987 a, Ong 1986 e 1989, Goody 1989 e 2002), e allo sviluppo connesso di sempre maggiori capacità di astrazio-ne (Olson 1979).

Finché i processi di pensiero restano vincolati all’esperienza diretta e alla possibilità di rappresentarsene sia i contenuti sia le operazioni solo mediante immagini di tipo percettivo ed esempi concreti, è ovvio che questo compromette l’astrazione e la con-nessa capacità di individuare la diversa natura di segni e refe-renti, inducendo anzi a scambiarne i rispettivi ruoli e a confon-derli interpretandoli come se fossero la medesima cosa. È sol-tanto con il progredire delle generalizzazioni svincolate dal pia-

Page 10: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 10

no empirico immediato e da un’immaginazione talmente domi-nante e prossima a quello da venire scambiata per sensorialità che si riesce sempre meglio a intravedere e a cogliere la natura simbolica e in qualunque misura ipotetica della conoscenza, e a distinguere con superiore chiarezza le nature e i ruoli rispettivi di segni e referenti. Allora si riesce anche a raggiungere con maggiore sicurezza la consapevolezza metacognitiva, vale a di-re la comprensione della natura della conoscenza e dell’espres-sione, e a definire meglio i concetti di «realtà» e di «esistenza».

Per quanto riguarda le civiltà più remote, le origini della ri-flessione metacognitiva sistematica si rintracciano nella Grecia del VII–VI secolo a. c.. In quel contesto, come e quanto i segni, non solo linguistici ma anche matematici (allora direttamente legati alla lingua), rimandino al mondo reale e siano in grado di comunicarlo viene ampiamente investigato fin dal secolo suc-cessivo dai sofisti e da Socrate. Il fatto è documentato dai testi pervenutici e dai commenti di studiosi che come Platone, A-ristotele, Euclide, Plutarco, Archimede, Plotino, Pappo, Proclo, Simplicio direttamente o indirettamente ci hanno tramandato la tradizione orale dell’indagine intellettuale e la testimonianza degli scritti per noi perduti.

I noti paradossi di Zenone sono l’emblema delle difficoltà incontrate all’epoca nel tentativo di districare la questione; così come numerose altre concezioni e travagli di pensiero coevi at-testano l’incapacità di astrarre completamente i significati dei segni (e delle idee di cui questi sono portatori), svincolandoli del tutto dall’esperienza percettiva. Ne abbiamo espressioni ben studiate. Una è la considerazione pitagorica dei numeri quali ar-chetipi e proprietà reali del cosmo (Enriques 1983a), che arrive-rà fino a Galailei e a Keplero, ma anche oltre. Un’altra è la pra-tica certamente antica già all’epoca di Socrate e di Platone dell’analisi linguistica intesa quale metodo fondamentale di in-dagine gnoseologica, testimoniata in molti dialoghi platonici (come il Protagora e il Cratilo). Ancora, attestano la difficoltà citata gli impacci euclidei nello sforzo di definire gli enti mate-matici, con confusioni superate solo nel corso del XIX secolo (Enriques 1983a). Infine, un’ultima testimonianza è data dalla

Page 11: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 11

stessa teoria platonica del mondo delle idee, in quanto questa rivela che non si riusciva a fare a meno di ipostatizzare i co-strutti mentali, così da concepirli quali entità dotate di esistenza propria indipendente da coloro che le pensano e dagli atti di pensiero con i quali le pensano. Ancora Occam dovrà contrasta-re tale credenza denunciando l’inesistenza materiale degli uni-versali, senza tuttavia mettere in questione le idee sugli esem-plari singolari.

Appunto ancora a Galilei e a Keplero non erano chiare la di-stinzione e la relazione tra i segni e i referenti fisici che quelli denotano, come attestano convinzioni del primo quali quella che la natura sia “scritta in forme matematiche” o quella che le orbite astrali debbano necessariamente coincidere con cerchi; e l’idea del secondo che il sistema solare sia disposto conforme-mente a una successione concentrica dei poliedri regolari. Nel contempo, però, si conservava la tradizione raffinata di ritenere le rappresentazioni matematiche nient’altro che finzioni tese u-nicamente a “salvare i fenomeni”, vale a dire a concordare con essi, senza pretendere di indicarne la natura: concezione che consentiva a Osiander e a Bellarmino di considerare la cosmo-grafia copernicana un semplice modello fittizio.

Complessivamente, comunque, è l’intero sviluppo del pen-siero volto al controllo formale del ragionamento e del sapere — vale a dire di ciò che chiamiamo «filosofia» — ripreso si-stematicamente nel basso medioevo e ancor più decisamente con il Rinascimento europeo a essere pur sempre contrassegnato e tormentato dal dilemma della natura dei segni e del ruolo che essi svolgono nella conoscenza. Questa situazione permane irri-solta dagli inizi di tale ripresa con Ruggero Bacone e Occam fino a Lullo, Ramo, Hobbes, Leibniz, Locke, Hume, Kant, Mill. Essa continua a riecheggiare nelle riflessioni di Frege e in quelle di Wittgenstein, e a riemergere insopprimibile ancora ai giorni nostri negli scritti di Putnam, di Quine, di Kripke, di Searle, e sostanzialmente in tutto il dibattito contemporaneo di filosofia del linguaggio e della conoscenza (Di Francesco 1986).

In Matematica, alla conquista dell’astrazione piena si giunge solo alla fine dell’800 con la fondazione rigorosa delle teorie a-

Page 12: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 12

ritmetica e geometrica da parte soprattutto di Cauchy, Frege, Weierstrass e Dedekind, ma naturalmente con i contributi pre-cedenti e la preparazione di innumerevoli altri, da Cartesio, Wallis, Lagrange a Eulero, Gauss, Monge, Desargues, Poncelet, Fourier, Galois; con la definizione del concetto di «limite» che fa finalmente superare i paradossi di Zenone; con il raggiungi-mento di una concezione soddisfacente del continuo spaziale in seguito alle generalizzazioni richieste dalla formulazione delle Geometrie non euclidee e dalla teoria cantoriana degli insiemi transfiniti (Enriques 1983a); con la generalizzazione e l’astra-zione sempre più spinte nei modi di concepire gli spazi matema-tici e gli enti matematici in genere. Rientrano nel processo di ta-le conquista, di fatto tuttora in corso per l’ambito complessivo delle matematiche, e del resto ovviamente inesauribile, i tentati-vi di creare la logica formale (Frege, Peano) e di definire la na-tura e il ruolo dei segni matematici (Hilbert). Il chiarimento del rapporto tra teoria e metateoria arriva solo nel 1931 con i teo-remi di incompletezza di Gödel, che rendono piena la compren-sione della natura, del ruolo e dei limiti delle teorie (e che anch’essi fanno superare paradossi nel frattempo presentatisi nella teoria degli insiemi quali quello di Burali–Forti e Russell o quello di Tarski).

La portata delle difficoltà insite nella comprensione del rap-porto tra segni e referenti è rivelata ad esempio dal fatto che vi siano rimasti impigliati matematici della grandezza di un Newton, di un D’Alambert, di un Carnot, i quali tutti hanno commesso l’errore di applicare in maniera inappropriata proce-dure algebriche per non aver tenuto conto delle loro proprietà in relazione a quelle delle situazioni trattate (Bompiani 1983, pagg. 277–284). E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si-gnificato della meccanica quantistica per non aver saputo distri-care la matassa ingarbugliata della relazione tra rappresentazio-ne mentale e realtà fisica supposta (Cavallini 2001a, 2002b).

Ora, le Matematiche, compreso il loro largo impiego in Fisi-ca, costituiscono l’ambito disciplinare meglio formalizzato che abbiamo, quello entro il quale è attuato il massimo di rigore e di

Page 13: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 13

consapevolezza conosciuto nella costruzione e nello sviluppo dei concetti: così che dovrebbe esservi favorita anche la consa-pevolezza della relazione tra i segni e le operazioni, da un lato, e i loro referenti concettuali, dall’altro. Perciò la storia delle Matematiche risulta particolarmente indicativa riguardo alle difficoltà della presa di coscienza del rapporto tra segni e refe-renti, oltre che esserlo riguardo ai metodi più idonei a superarle.

Considerando sia tale storia sia lo stato attuale della Filosofia in generale e di quella del linguaggio, appare evidente che non è entro solo la Filosofia e la Logica anche nelle sue espressioni più formali che si può risolvere la questione (Enriques 1983a). Nonostante tutte le diffidenze tradizionali dei filosofi per la psi-cologia e per la conoscenza empirica, una grande quantità di da-ti di ricerca e di sviluppi teoretici connessi fanno pensare che occorra rivolgersi anche, ed essenzialmente, proprio alla psico-logia e alla storia di qualunque conquista intellettuale in qua-lunque ambito.

Appena si adotta questa prospettiva balza subito chiaro un vizio di fondo dell’indagine tradizionale sul significato.

Le analisi di filosofia del linguaggio sono sempre state mina-te in partenza dal fatto di concepire la relazione tra segni e refe-renti come diretta, fissa, statica e isolata: vale a dire stabilita una volta per sempre e in modo unico a prescindere dai contesti e dagli usi molteplici che si fanno dei segni, compresa la pratica abituale di ricorrere sia al medesimo segno per indicare referen-ti diversi, sia a segni diversi per indicare un medesimo referente (in verità, però, medesimo solo per l’apparenza dovuta al fatto di considerarlo in un’unica prospettiva presunta oggettiva, men-tre segni diversi esprimono prospettive diverse, che i loro refe-renti effettivi includono, risultando perciò diversi). In altri ter-mini, secondo tale visione, parole e frasi (non importa se nomi propri dal punto di vista logico o descrittivi, se singolari o gene-rali) servirebbero essenzialmente, e forse esclusivamente, a in-dicare oggetti (fisici o mentali).

Molto più tardiva e sostanzialmente solo recente è invece la presa di coscienza che parole e frasi servono a esprimere punti di vista, convinzioni, sentimenti, desideri, volontà, modi di inte-

Page 14: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 14

razione. Vale a dire, esse esprimono, anziché oggetti (fisici o ideali) isolati e concepiti come nel vuoto, stati mentali. Lo fan-no fondandosi sull’assunto implicito abituale che gli stati men-tali sono sempre connessi direttamente o indirettamente a situa-zioni di fatto, compresi singoli oggetti o loro proprietà singole o combinate. Ma anche oggetti, proprietà e sistemi strutturati di proprietà vengono isolati dal contesto percettivo globale e dal flusso continuo dell’esperienza, quali contenuti separati, solo con atti mentali.

Le espressioni linguistiche tanto le singole parole quanto le proposizioni e i discorsi implicano sempre stati mentali. Anche quando sono volte espressamente a dirigere l’attenzione su oggettivi fisici o mentali intesti di per sé stessi, come avulsi dal contesto, questi risultano pur tuttavia inevitabilmente con-cepiti, delineati e indicati nella prospettiva data dagli specifici stati mentali (cioè cognitivi, che abbinano categorizzazioni pu-ramente intellettuali e reazioni affettive) con i quali si agisce e dalle specifiche operazioni mentali compiute per farlo.

Per la verità, ciò era già stato in qualche misura compreso e affermato fin dall’antichità con le concezioni di Gorgia del rap-porto tra lingua e realtà e con quelle di Protagora sul fatto che la conoscenza riflette modalità di vedere esclusivamente umane e non oggettive. Ma si tratta di una posizione che non ha pratica-mente mai determinato le concezioni tecniche di Filosofia della lingua e di Linguistica della tradizione moderna, tanto più te-nendo conto del fatto che gli inizi della Linguistica quale disci-plina autonoma datano solo dalla fine dell’Ottocento (de Saus-sure 1994, p. 13). Perciò l’idea che la lingua esprima prospetti-ve mentali, stati d’animo e interazioni cognitive anziché og-getti va vista come un’alternativa recente alla tradizione.

Questa veduta alternativa sottolinea come pensiero e lingua ineriscano all’attività esistenziale e pratica, costituendone una componente e uno strumento che si possono comprendere solo tenendo conto di tale loro appartenenza. Si coglie così anche che pensiero e lingua vertono sostanzialmente in prima istanza e in maniera diretta immediata su stati e processi cognitivi, i quali però si intendono tacitamente, come cosa scontata, collegati

Page 15: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 15

all’ambiente fisico, sociale e culturale nel quale si agisce e si vive, e come riferiti a esso. Le stesse psicologie personali, con i loro stati e processi interiori individuali, rientrano in tale am-biente fisico, culturale e, in ultima istanza, sociale; così come vi rientrano le idee sull’interiorità e i riferimenti a essa.

Il rapporto tra la conoscenza e l’ambiente fisico, sociale e culturale è tanto di riflesso e derivazione della prima dal secon-do quanto di costruzione del secondo mediante proiezioni men-tali e conoscitive. La circolarità tra i due aspetti risulta piena ap-pena si considera che mente e conoscenza si formano con l’inte-riorizzazione della cultura, e funzionano su basi culturali, se-condo modalità culturali e coinvolgendo prodotti culturali (Ca-vallini 1995, 2001b, 2005a, b, c).

Si spiega, così, l’irrilevanza della distinzione tra oggetti pre-senti e assenti o reali e immaginari, posta sempre al centro delle analisi filosofiche, che ne risultano sempre impastoiate in con-fusioni insanabili. In realtà, che conta sono gli oggetti mentali, rispetto ai quali, in prima istanza, non fa alcuna differenza se i loro riferimenti siano reali o immaginari, presenti o assenti, tro-vati o inventati, conosciuti o ipotizzati, solo immaginati quali componenti di mondi fantastici o puramente logici o progettati quali obiettivi di azioni realizzatrici (Cavallini 2002c e 2003). Va poi sottolineato che anche il riferimento a oggetti costituisce un modo di dire pratico e sbrigativo, mentre effettivi sono solo i processi mentali coinvolti nelle interazioni e negli atti di pensie-ro (Rosch e Lloyd 1978).

La relazione tra parole e cose è mediata dalle convinzioni individuali e collettive (che si alimentano reciprocamente e coevolvono) — vale a dire dalle conoscenze, ma anche dalle credenze infondate — e dalle abitudini. Ciò rende secondaria sul piano strettamente linguistico la questione della verità di fatto dei significati delle parole e delle frasi, che rimanda uni-camente al piano conoscitivo. Il tentativo di fissare e di segui-re dei criteri di verità linguistica è una soluzione puramente formale relativa alla Logica, non alla Linguistica. Viene adot-tata quale strumento di controllo dell’uso fatto delle parole: uno strumento appunto logico, non comunicativo. Il problema

Page 16: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 16

diventa linguistico, come in generale per ogni uso della lingua, solo dal momento in cui ci si interessa ai modi di usarla in funzione della conoscenza del mondo reale (compresa la pos-sibilità di intervenire su di esso).

La mediazione cognitiva delle relazioni tra parole e cose to-glie anche qualunque mistero alla domanda di come funzionino i nomi propri: domanda che spesso viene indicata come centrale in Filosofia della lingua (Kripke 2003 , Putnam 1987 e 1993b, Di Francesco 1986) e che rientra nell’altra più generale circa l’arbitrarietà dei segni, di come questa non ne pregiudichi il po-tere referenziale. Evidentemente è l’uso dei segni, con le abitu-dini e le concezioni a cui esso è legato sia venendone prodotto sia producendole a sua volta, a stabilire la capacità referenziale tanto dei nomi propri quanto, più in generale appunto, di qua-lunque parola e di qualunque altro segno (de Saussure 1994, Wittgenstein 1967).

Collocare il problema del significato fondamentalmente al livello esistenziale–operativo, precisando come quello linguisti-co sia un’emanazione e un’espressione di esso, chiarisce le co-se. Si vede, così, che la funzione referenziale della lingua non riguarda solo questa considerata isolatamente. Tale funzione ri-guarda congiuntamente gli elementi strettamente linguistici (pa-role e frasi, idealmente astratte da ogni uso contestuale e spo-gliate di ogni componente dovuta agli usi e ai contesti) congiun-tamente al loro uso contestuale.

È addirittura improprio e ingannevole, riferendosi alla co-municazione reale, parlare di lingua concepita in quanto feno-meno esclusivamente grammaticale, o più esattamente alla rap-presentazione esclusivamente grammaticale della lingua (de Saussure 1994, Wittgenstein 1967, Bachtin 1968, 1979 e 1988, Medvedev 1978, Volosinov 1976 e 1977). L’attività linguistica effettiva è qualcosa di ben più completo e ampio. Essa include in maniera insopprimibile la congiunzione degli usi linguistici con esperienze pratiche e immaginative e con attività sensomo-torie. La sua possibilità di riferirsi al mondo sia fisico sia cogni-tivo ne costituisce una proprietà fondamentale ineliminabile quando la si considera integralmente: proprietà che si determina

Page 17: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 17

solo grazie a quel connubio di attività linguistica e attività co-gnitiva consistente a sua volta congiuntamente di attività menta-li e sensomotorie.

In tutta evidenza, si può concepire l’uso della lingua solo ri-tenendo che esso attivi reti neuronali in qualche forma e misura coinvolte nelle corrispondenti interazioni sensomotorie con l’ambiente fisico e nei corrispondenti atti di pensiero. Ciò ov-viamente deve avvenire in modi equivalenti e complementari nella fruizione e nella produzione linguistiche, in coincidenza con la corrispondenza e complementarità tra afferenza ed effe-renza sensomotorie.

È anche palese che la sovrapposizione, il collegamento e la corrispondenza a livello neuronale tra lingua ed esperienza em-pirica e mentale avvengono con le attività congiuntamente ope-rative e linguistiche, che rappresentano la norma del comporta-mento umano. In tal modo, le rispettive capacità si formano in seguito al progressivo abbinamento tra i vari piani, e in seguito alla progressiva costituzione e sviluppo dell’abitudine di gestirli in congiunzione.

Questo apprendimento è ovviamente provocato dal coinvol-gimento sociale dei bambini e degli individui inesperti in attivi-tà svolte su qualcuno dei piani considerati. Il coinvolgimento può consistere anche solo nell’esposizione a tali attività, che ne stimola e favorisce l’osservazione anche solo spontanea e in-consapevole, oltre che nella partecipazione a esse. In ogni caso, queste comportano in genere l’interazione di operazioni sia pra-tiche sia linguistiche; mentre la partecipazione a esse dei meno esperti vengono usualmente stimolate, promosse, guidate e so-stenute da interlocutori esperti. Ne conseguono l’apprendimento e lo sviluppo di capacità di correlare aspetti percettivi, riflessivi, operativi e linguistici, in ragione delle caratteristiche delle atti-vità indicate, e delle modalità con le quali gli apprendisti vi par-tecipano.

Le modalità della formazione e dell’attribuzione di si-gnificato attuate con gli usi linguistici riferiti a situazioni empi-riche trovano un riscontro perfettamente equivalente, che costi-tuisce anche una solida conferma di tali modalità, nella forma-

Page 18: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 18

zione dei concetti e delle teorie scientifiche e nelle attribuzioni di significato a concetti e teorie scientifiche (Agazzi 1969 e 1979, Bellone 1994, Duhem 1978, Enriques 1985, Faggiani 1957, Holton 1983, Pickering 1984, Ridley 1984, Toraldo di Fancia 1986).

Occorre quindi tenere conto del fatto che gli atti di nomina-zione e di denominazione sono inseriti negli spazi cognitivi in-dividuali. Gli oggetti concepiti come esistenti al di fuori di que-sti risulterebbero infinitamente trascendenti qualunque somma di tali atti o combinazione di atti osservativi (Di Francesco 1986). Questo segnala che la costruzione cognitiva degli oggetti rientra in condizioni di osservabilità e di descrivibilità sempre diverse e ulteriori mai esaurite e tanto meno esaustive (ibidem, Rosenfield 1989).

Capire che quello di oggetto risulta, così, un concetto al li-mite (del resto come tutti i concetti), rende più perspicua, reali-stica e concreta la concezione del rapporto tra la lingua e i suoi referenti.

Un errore tipico che si commette al riguardo consiste nel concentrare l’attenzione o sulla lingua o sui referenti intesi quali oggetti, illudendosi di poter stabilire tra l’una e gli altri una re-lazione diretta, statica ed esaustiva di riferimento della prima ai secondi e di causazione di essa da parte di questi. Parole e frasi rivelerebbero di per sé stesse, senza il concorso di nient’altro (né le intenzioni e le prospettive dei parlanti, né i contesti di di-scorso, né i riferimenti impliciti alla realtà extralinguistica) gli oggetti nominati e denominati.

Ci si dovrebbe invece chiedere che cosa si fa, e si riesce a fa-re, quando si usa la lingua, quando si esperisce, e quando si fa l’una cosa con o senza l’altra. Ad esempio, gli usi linguistici consentono innanzitutto di formare, fissare e comunicare (ad al-tri e a sé stessi: il che significa anche poter controllare in qua-lunque momento) dei pensieri, compresi i pensieri relativi al fat-to che con altri pensieri si intenda riferirsi a oggetti solo imma-ginati in quanto non raggiungibili con la conoscenza diretta.

Spesso, poi, non si è abbastanza attenti a distinguere i conte-nuti di discorso reali, nell’accezione di corrispondenti a entità

Page 19: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 19

osservabili o comunque ritenute esistenti entro determinate co-ordinate spaziotemporali, da quelli puramente concettuali. Que-sti ultimi possono essere solo immaginari, vale a dire dichiara-tamente irreali e irrealistici; come possono essere invece ipote-tici ma suscettibili di riferirsi a realtà, e cioè realistici nell’accezione di potenzialmente reali. L’ultimo caso è quello che si determina sempre quando si riflette su fenomeni inspiega-ti o per i quali manca un’interpretazione sicura. Si ricorre allora a costruzioni ipotetiche intenzionalmente concepite come po-tenzialmente capaci di spiegare delle esperienze altrimenti in-spiegabili, indicando realtà per ora sconosciute ma la cui esi-stenza si ritiene necessaria. È una procedura tipica della scienza, che però, generalmente in forme meno consapevoli, si esercita comunemente nella quotidianità usuale.

Attenendosi agli atti effettivi, è palese che non vi sono mai separate totalmente le operazioni linguistiche, quelle cognitive (quasi che non lo fossero anche quelle linguistiche!) e quelle percettive. Nessuno dei tre ambiti è completamente indipenden-te dagli altri. Lo si può isolare solo in astratto con le analisi teo-riche. Queste, tuttavia, diventano assurde e fonte di assurdità se fanno perdere di vista gli ineliminabili apporti reciproci tra i tre ambiti.

Assurda è appunto l’idea di oggetti e di stimoli entrambi definiti al di fuori dei processi cognitivi che li definiscono e li registrano secondo proprie modalità funzionali. Nella cono-scenza, e nell’espressività linguistica che vi rientra sostenendola e codeterminandola insieme agli stimoli e ai vincoli fisici, non si affrontano mai stimoli isolati, bensì complessi di stimoli che vengono strutturati in configurazioni prodotte in larga misura in corrispondenza di modelli culturali.

Il modo in cui noi percepiamo gli stimoli dipende da come essi vengono categorizzati, da come sono organizzati in funzio-ne di altri stimoli, e non dalla loro struttura assoluta (come la frequenza assoluta di un suono) (Rosenfield 1989, p. 128).

Non sono tanto importanti gli stimoli di per sé, quanto inve-ce l’informazione che l’attività cognitiva riesce a ricavarne (ivi, p. 138) completando la propria reazione agli stimoli dati con la

Page 20: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Introduzione 20

propria attività di fondo che corrisponde alla visione del mondo del soggetto in funzione sia delle proprie modalità di pensiero e di comportamento generali o costanti sia di quelle momentanee dovute ai suoi stati via via variabili.

Per gran parte dei suoi contenuti, la nostra è una realtà vir-tuale, data da ciò che la gente pensa sia il mondo, da quello che se ne dice. Su questa base si organizza la costituzione anche della parte di contenuti di realtà direttamente legati alle sensa-zioni.

Per i singoli individui quest’ultima parte è certamente mino-ritaria nel comporre le loro idee complessive della realtà.

Una proporzione infinitamente più ampia di contenuti legati alle sensazioni caratterizza l’immagine della realtà fissata nella cultura, dato che questa si produce combinando le esperienze di miliardi di persone, e tendenzialmente di tutti. Però, anche tali esperienze e i controlli sensoriali che ne derivano sono filtrati dalla comunicazione sociale, con la quale si costruisce quell’immagine. Pertanto, non si può mai stabilire con certezza ed esaustività assolute quanto vi è dovuto ai contenuti sensoriali e quanto a quelli virtuali o ideologici.

Neppure la realtà fissata nella cultura potrà mai corrisponde-re all’ideale dell’oggettività intesa come riduzione della cono-scenza a pura sensorialità, e ancor meno ai contenuti esclusiva-mente fisici di questa.

Nell’affrontare tale tematica ho dovuto riproporre anche ar-gomentazioni che ho presentato ripetutamente e in maniera più estesa in libri precedenti, riportati in bibliografia. D’altra parte, l’autonomia e la completezza di discorso che ogni lavoro deve avere non consentono certo, solo perché se ne è parlato altrove, di ometterne aspetti necessari.

La ripetitività è comunque ridotta al minimo sia perché l’esposizione presente è molto più succinta delle precedenti, sia soprattutto per il nuovo taglio che questa assume con la centra-zione del tutto nuova sul tema dell’attribuzione di significato.

Page 21: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

21

Lingua e realtà

Un problema atavico

L’analisi degli usi linguistici ha sollevato praticamente da sem-pre il problema di come con la lingua si riesca a indicare la real-tà extralinguistica, vale a dire di come si riesca a mettere in cor-rispondenza parole, frasi e discorsi con il mondo sia fisico sia mentale.

Gli interrogativi e le discussioni al riguardo si presentano già nella tradizione filosofica orale e nei primi testi scritti dell’antica Grecia, e sono stati affrontati via via nel corso della storia del pensiero occidentale servendosi delle conoscenze e delle tecniche di indagine razionale proprie delle diverse epo-che. Essi hanno assunto un’impostazione tecnica consona alla cultura scientifica attuale solo alla fine dell’Ottocento, partico-larmente grazie alla logica formale fondata su concetti e proce-dure matematiche rigorose.

Mi riferirò pertanto alla letteratura prodotta da quel momen-to a oggi.

La storia recente

Il primo autore che va richiamato entro tali limiti cronologici e culturali è Frege. La sua impostazione e i concetti che egli ha elaborato costituiscono infatti ancora punti di riferimento ob-bligati, tuttora continuamente citati nella letteratura speciali-stica.

L’indagine di Frege è caratterizzata dal fatto che egli ha po-sto la distinzione fondamentale tra il modo soggettivo e quello oggettivo (nell’accezione che verrà precisata oltre) di intendere i significati linguistici, e ha puntualizzato la compresenza di en-trambi quei modi negli usi linguistici di una medesima persona e di chiunque (Frege 1973).

Page 22: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 22

In effetti, qualunque parola o frase non designa mai rigida-mente e univocamente un unico significato uguale per tutti. In parte può darsi che lo faccia, e sulla base del prevalente succes-so della comunicazione usuale si è convinti che in linea di mas-sima lo faccia; sebbene rappresenti anche attualmente un quesi-to filosofico irrisolto se davvero sia così, come ciò avverrebbe e come lo si potrebbe dimostrare (Kripke 2003, Putnam 1987 e 1993b, Quine 1966).

Resta comunque il fatto che, ammesso che la lingua indichi contenuti reali intesi più o meno allo stesso modo da tutti (come sembra provato e ragionevole credere faccia), essa inoltre cer-tamente esprime anche modi di vedere le medesime cose che sono soggettivi e variabili da una persona all’altra e, per una medesima persona, da una circostanza all’altra.

Questa osservazione classica di Frege è spinta all’estremo dalla considerazione che la lingua tende anche a comunicare stati puramente mentali. Poiché essi sono per definizione asso-lutamente privati, non sarebbe dato sapere se possano venire davvero comunicati per quel che sono. In altri termini, ci si chiede fino a che punto una comunicazione linguistica che verta su sensazioni e sentimenti possa produrre in chi ne fruisce pro-prio le medesime sensazioni e i medesimi sentimenti di chi la effettua (Wittgenstein 1967, Kripke 2003, Putnam 1987 e 1993b). Si è convinti che una tale trasmissione sia da escludere. In ogni caso, come minimo, non solo non è stato finora trovato il modo di provare che essa avviene, ma sembra impossibile provarlo.

Come funziona la lingua?

Un ulteriore aspetto che ha creato molte perplessità sui modi in cui funziona la lingua riguarda il significato dei nomi pro-pri. Che la loro assegnazione sia completamente arbitraria, in quanto non ha nulla o ben poco a che vedere con le caratteri-stiche delle persone o degli animali o delle cose a cui vengono imposti, è del tutto evidente. Ci si chiede, allora, come si fac-

Page 23: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 23

cia a intendere che essi indicano gli individui che si designano con essi.

Anche questa tematica è stata ampiamente trattata nella let-teratura specialistica, particolarmente da Kripke e da Putnam, rilevando inoltre che, sotto il profilo logico, il medesimo pro-blema si pone non solo per i nomi propri in senso stretto, ma per tutti i termini e tutte le espressioni volte a nominare e de-nominare anziché a descrivere (Di Francesco 1986).

Tutte le considerazioni citate convergono a delineare la que-stione unitaria di fondo del rapporto che si stabilisce tra la lin-gua e la realtà.

Che nel caso dei nomi propri, come quelli di persona, inter-vengano l’uso e l’abitudine, e ci si debba rifare a essi, avrebbe dovuto essere rivelatore del fatto che l’origine dei significati e la possibilità stessa di attribuirli e di intenderli non si esauriscono nei nomi in sé, bensì implicano anche qualcosa d’altro: le deci-sioni, gli usi, le convenzioni, la conoscenza di tali usi e conven-zioni. Vedremo che a questi fattori vanno aggiunte le conoscen-ze in generale che ciascuno possiede.

Non è che la dipendenza dei significati linguistici dagli usi linguistici oltre, ovviamente, alla relazione inversa: della di-pendenza degli usi linguistici dai significati linguistici sia sfuggita, o sia sfuggita del tutto. È che non si è riusciti a capire con chiarezza e precisione che cosa essa indicasse, e tanto meno a coglierne gli aspetti pertinenti. La ragione è che non si è riu-sciti a definire adeguatamente i legami che esistono tra lingua, psicologia della conoscenza e ruolo della cultura in entrambe. Invece, la comprensione di tali legami è indispensabile per spiegare i processi su tutti e tre i piani, nessuno dei quali è indi-pendente dagli altri due.

In particolare, sono finora mancati nella letteratura linguisti-ca e di filosofia della lingua i riferimenti a una specifica teoria psicologica della conoscenza che è disponibile e che fornisce le indicazioni necessarie per operare quei collegamenti. Tuttavia, sebbene tale teoria, formulata nell’allora Unione sovietica, ri-salga a tre quarti di secolo fa, nel mondo occidentale si è inco-minciato ad averne conoscenza soltanto negli anni Sessanta del

Page 24: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 24

Novecento. Perciò non se ne trova traccia nella letteratura ri-chiamata, e meno che mai citazioni esplicite e utilizzazioni con-sistenti 1.

L’ideologia della realtà

Viene spontaneo pensare che la conoscenza sia originata dal contatto con delle realtà esistenti fuori di noi, ed è quello che normalmente si pensa a livello di senso comune. A questa con-vinzione ne sono legate altre: che la realtà sia proprio come la percepiamo, che essa esista in piena indipendenza da noi e dalle nostre percezioni e idee, che gli oggetti in linea di massima per-durino (almeno entro certi lassi temporali che, a seconda dei ca-si, possono andare dalle frazioni di secondo all’eternità o a du-rate praticamente equivalenti all’eternità in rapporto alla scala umana dei tempi) e si trasformino in oggetti diversi quando si modificano o scompaiono, in sostanza che essi permangano an-che quando non li percepiamo e che quelli più durevoli ci fosse-ro anche prima che entrassimo in contatto con essi e che ci sa-ranno anche dopo che quel contatto sarà cessato.

Si vede bene che un’idea apparentemente così semplice co-me quella che sia la realtà a provocare la conoscenza ne implica

1 Potrebbe costituire in qualche modo un’eccezione Wittgenstein (1967). Come è

noto, quest’opera, rispetto alle posizioni precedenti dell’autore, rappresenta una svolta attribuita soprattutto all’accoglimento da parte sua dell’intuizionismo di Brouwer (Trin-chero, M., Nota introduttiva a Wittgenstein 1967, p. X), e, per riconoscimento dello stesso Wittgenstein, dovuta in qualche misura alle sue discussioni con Ramsey e con Sraffa (Wittgenstein 1967, p. 4). Tuttavia, Wittgenstein ebbe collega a Oxford Nikolaj Bachtin, egli pure filosofo della lingua e fratello di Michail Bachtin, con il quale aveva condiviso un'intensa esperienza culturale caratterizzata dalla presenza dei temi connessi alla Teoria dell’Attività (Cavallini 2005b, cap. 4, Appendice), che è la teoria a cui mi ri-ferisco nel testo. Clark e Holquist (1991, p. 47) sostengono che le conversazioni di Ni-kolaj «con Wittgenstein costituirono uno dei fattori che influenzarono il passaggio del filosofo dal positivismo logico del Trattato alla più ampia speculazione delle Ricerche

filosofiche». In base ai motivi di fondo comuni a Michail Bachtin e a Wittgenstein, la te-si appare del tutto plausibile. Per quanto flebile, potrebbe costituirne una traccia di con-ferma l’affermazione di Wittgenstein che le idee «non portano nessun marchio di fab-brica» (Wittgenstein 1967, p. 4): una tipica espressione Bachtiniana della natura sociale del pensiero.

Page 25: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 25

invece molte altre. Alla base di quell’idea c’è quindi un’intera vera e propria ideologia, una concezione organica del mondo. Per ideologia intendo un sistema coeso di idee, senza darne al-cuna valutazione positiva o negativa riguardo alla sua validità, alla sua parzialità o imparzialità, alla sua attendibilità o meno, al suo gradimento, e così via; e senza alcun interesse per simili questioni nell’ambito di una pura e semplice definizione.

Qualunque valutazione di quella natura richiederebbe di fis-sare preliminarmente dei criteri in base ai quali effettuarla. Per poter decidere in maniera sicura, universale e assoluta che un sistema di idee è vero o falso, fazioso o obiettivo, da accettare o da rifiutare, e così via, bisognerebbe possedere un riferimento inequivocabile e indiscutibile che garantisse tutte le qualità del genere contemplate.

Di fatto, la ricerca di un tale riferimento rimanda all’idea della realtà già indicata come solo in apparenza evidente e sicu-ra. E, con il dover mettere in discussione quest’ultima, svanisce anche la certezza di qualunque criterio, che si potrebbe ottenere solo rifacendosi alle proprietà assolutamente certe della realtà.

Va infine osservato che la lingua, vale a dire la capacità di attribuire nomi alle cose e di capire i significati delle parole e delle loro combinazioni, rientra nella conoscenza in generale. Ne è una forma specifica. Perciò, la comprensione della natura e del funzionamento della conoscenza linguistica impone di chia-rire che cos’è la conoscenza in generale, e, dato che questo lo implica, anche di chiarire il concetto di realtà.

Segni del tempo e dell’atemporalità

Non sempre si è creduto che la conoscenza provenisse dalla con-statazione della realtà, e che pertanto anche le capacità e le abi-tudini linguistiche fossero prodotte e assicurate dalle realtà di cui si parla. Gran parte delle concezioni storicamente note hanno at-tribuito la conoscenza e i significati linguistici a poteri magici e a doni divini posseduti o concessi a particolari categorie di perso-ne (i mitici fondatori di una stirpe, i re–dei, i sacerdoti, gli indo-

Page 26: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 26

vini, i sapienti–maghi, gli sciamani), e solo tramite queste tra-smessi al resto dell’umanità. Residui di simili credenze sono an-cora diffusi e attivi nelle culture prescientifiche e tra molte per-sone di qualunque società anche scientificamente avanzata nel suo complesso, se non tra chiunque in qualche misura ed even-tualmente solo per aspetti occasionali e inconsapevoli.

Almeno fino al Settecento si è trattato di una posizione con-divisa in parte anche da grandi scienziati quali Newton e Leib-niz. Il primo credeva nell’alchimia e nella magia, il secondo nel potere della lingua di rivelare la natura del mondo fisico al pun-to che se si fosse riusciti a creare una lingua perfetta si sarebbe raggiunta anche la conoscenza perfetta di tutto (Rossi 1983). D’altra parte, non essendosi ancora saldamente costituita la scienza, né accumulate le conoscenze scientifiche oggi disponi-bili se non in tutti i campi dell’esperienza almeno in molti di es-si e nel nucleo fondamentale di quella che verte sul mondo fisi-co, le credenze che ora consideriamo di tipo magico erano l’unico modo disponibile di pensare e di ragionare.

In quanto, poi, alla convinzione che la conoscenza perfetta si sarebbe potuta raggiungere mediante il semplice perfeziona-mento linguistico, essa esprime a livello di pensiero raffinato un atteggiamento mentale che, in forme infinitamente più intuitive e semplici, è tipico dei bambini e delle persone di scarsa cultura formale, e che in psicologia è chiamato «realismo». Esso consi-ste nel ritenere che la lingua rifletta direttamente e automatica-mente la natura e le proprietà della realtà fisica (Piaget 1973a, Vygotskij 1992).

Credere che la conoscenza provenga direttamente dalla con-statazione della realtà, e credere che la lingua penetri nel cuore della realtà al punto che lo si possa raggiungere mediante for-mule linguistiche magiche o particolarmente fortunate, even-tualmente estorcendone il segreto alla divinità suo malgrado, rappresentano evidentemente due esiti complementari di un’unica concezione. Solo in parte sono reciprocamente oppo-sti, o lo sembrano solo in apparenza. Invece, essi coincidono nella confusione di fondo, che li contraddistingue entrambi, tra realtà, conoscenza e lingua.

Page 27: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 27

Manifestazioni massimamente rudimentali e ingenue di un tal modo di pensare sono l’animismo e il feticismo, per i quali si crede che tutto, dagli animali di qualsiasi livello evoluzionistico alla vegetazione alla materia inorganica, sia provvisto di anima 2 o addirittura di coscienza al punto che si possa entrare in comu-nicazione con qualunque cosa; e che determinate formule lin-guistiche o pratiche rappresentative abbiano il potere di influire su persone e cose a distanza e a loro insaputa, di assicurarsene i favori, di catturarne la volontà, di gettare il malocchio, e simili. Ancora il concilio di Trento dovette farne i conti nel codificare istruzioni circa il valore delle immagini sacre. Ma atteggiamenti animistici e feticistici, o loro relitti più o meno consistenti, im-pregnano chiaramente la fortuna tuttora incontrata da amuleti e cimeli destinati a evocare ricordi e sensazioni legate a persone amate o ad affermare il proprio investimento emotivo in gruppi particolari (come attesta, in quest’ultimo caso, il fiorente merca-to dell’oggettistica di qualunque genere contrassegnata da sim-boli di tifo sportivo o politico o di altro tipo che nulla hanno a che vedere con la natura degli oggetti in questione).

In sintonia con quanto cercherò di documentare nel corso del libro, la persistenza di componenti magiche del pensiero va a-scritta a lacune culturali, a insicurezza e a desideri esasperati dall’insoddisfazione dei bisogni fondamentali per l’equilibrio mentale. Spesso, invece, la si attribuisce a una misteriosa natura umana concepita in astratto, o a sue altrettanto misteriose com-ponenti: l’una e le altre che si conserverebbero immutabili e si manterrebbero attive attraverso lo sviluppo conoscitivo e al di sotto di esso, nelle parti più irrazionali dei processi psichici.

2 Con questo termine, generalmente preferito con riferimento esplicito o implicito

alla fede religiosa, o con quello di «spirito», generalmente preferito quale sinonimo nei discorsi che prescindono da implicazioni religiose, non si sa bene che cosa si intenda, se non un’idea vaga di facoltà spirituali sprovvista di qualunque relazione ben definita con dati osservativi e verificabile. È significativo che il termine francese ésprit, che significa innanzitutto e soprattutto «mente», e che nell’accezione di «spirito» indica prevalente-mente facoltà intellettuali, venga per lo più tradotto in italiano con «spirito» in accezio-ne spiritualistica e con «anima» (nonostante il corrispettivo francese specifico âme), e quasi mai con «mente». Si tratta di un’abitudine rivelatrice dei presupposti ideologici soggiacenti all’interpretazione delle parole.

Page 28: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 28

Ora, è vero che nell’architettura complessa del sistema ner-voso centrale ci sono strutture più primitive rispetto alla neocor-teccia, come quelle limbiche alle quali sono legate le emozioni mentre la neocorteccia è più specificamente coinvolta nelle fun-zioni cognitive superiori. Ed è certo che le funzioni svolte da ta-li parti arcaiche sia sono altrettanto indispensabili di quelle cor-ticali alla vita psicologica complessiva, sia spingono a compor-tamenti irrazionali o a coloriture irrazionali del comportamento. Ma esagerarne la portata fino a decretare l’ineluttabilità dei comportamenti irrazionali come se fossero dei modi di agire storicamente immutabili, avulsi da tutta la rimanente attività mentale e incontrollabili, equivale a soggiacere giusto a quel pensiero magico e a quelle idee mitiche che si pretenderebbe spiegare con tale veduta.

La realtà per la scienza

In verità, i modi di pensare e di comportarsi cambiano nel corso della storia, e lo fanno in conseguenza dell’evoluzione della cul-tura (al tempo stesso in cui, in coevoluzione, provocano que-st’ultima). Tale processo investe anche le idee del rapporto tra lingua e realtà, e l’idea stessa di realtà.

All’estremo opposto rispetto al pensiero magico e al senso comune si colloca la visione scientifica del rapporto tra lingua, e più generalmente tra qualunque linguaggio o sistema di segni, e realtà.

Su quel piano si è ormai ben consapevoli tanto delle relazio-ni complesse e intricate tra i due ambiti, quanto dell’impossi-bilità in entrambe le direzioni di ricavare l’uno direttamente dall’altro. In specifico, sia vi si è cercato di definire rigorosa-mente la natura dei segni (come si è già ricordato richiamando l’opera di Hilbert), sia si è maturata la convinzione di non pote-re e di non doversi cimentare con i tentativi di definire che cos’è la realtà.

Oggi, credo non si trovi un solo scienziato che sia disposto a impegnarsi in simili definizioni. Lo attesta la pratica molto dif-

Page 29: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 29

fusa negli scritti scientifici, soprattutto di fisici, di aggiungere alla parola «realtà», ogni volta che si è costretti a usarla, l’inciso «qualunque cosa essa significhi». Principalmente, lo attesta la consapevolezza acquisita a partire da Galilei e ormai universal-mente dichiarata che possibilità e obiettivo della scienza è cer-care di capire come avvengono i fenomeni, non che cosa sono nel senso di decretarne la natura ultima: ciò che un tempo si chiamava la loro essenza.

Che senso ha l’idea di una realtà inconoscibile?

Piuttosto che lasciare imprecisato il concetto di realtà, nel corso del libro si cercherà di darne una definizione adeguata perché concordante con le conoscenze accreditate. Se ci si riuscirà, si eviterà allora di dover più ricorrere a un uso del relativo termine che ne mantenga in sospeso il significato, o che addirittura sot-tintenda o esprima esplicitamente la convinzione che non si po-trà mai arrivare a sapere che cosa esso effettivamente significhi.

Quest’ultima era la soluzione adottata da Kant con il suo concetto di noumeno, di realtà inconoscibile nella sua essenza al di là dell’ambito fenomenologico, che è il solo conoscibile, nella concezione kantiana (Kant 1963, pp. 248–266). Ma una tale soluzione ha il limite di conservare l’accezione tradiziona-le del concetto di realtà, senza accorgersi che ciò comporta due gravi difetti. Il primo è che assumere per certa qualcosa nell’atto stesso in cui la si dichiara inconoscibile costituisce una scelta arbitraria di stampo metafisico, anziché una vera constatazione corrispondente ai fatti accertati. Questi sono so-lo i fenomeni. Non si ha alcuna garanzia che aggiungervi l’entità misteriosa a cui si dà il nome di realtà non sia infonda-to in quanto potrebbe trattarsi di un nome vuoto, riferito a una pura fantasia. Il secondo difetto è che, quand’anche quel nome indicasse qualcosa di effettivamente esistente, questo qualcosa non solo resterebbe estremamente vago, ma per principio non potrebbe corrispondere a come siamo portati dal nome stesso a immaginarlo.

Page 30: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 30

In sostanza, la vacuità dell’idea di realtà inconoscibile è data dal fatto che non si tratta di un vero concetto ma di uno pseudo-concetto che non veicola alcuna conoscenza, non serve a elabo-rare conoscenza e di fatto è inutile e superfluo (Engels 1974, pp. 524). Tutt’al più può indicare l’esistenza di limiti invalicabili per la conoscenza. Ma allora tanto vale attenersi a dichiarare questo astenendosi invece dall’aggiungervi assunti che travali-cano proprio i limiti dichiarati, entrando in contraddizione con quell’affermazione stessa. Dalla realtà alla lingua o viceversa?

Una prima conclusione che si deve trarre da quanto detto è che al momento non si è in grado di rispondere con precisione e con sicurezza alla domanda di che cosa sia la realtà. Questo si-gnifica che è inutile tentare di approfondire il relativo concetto, quand’anche si trattasse di un vero concetto, almeno per ora. Per quanto ne sappiamo fin qui potrebbe darsi che si trattasse di un’impossibilità assoluta e definitiva, come invece potrebbe trattarsi solo di una condizione provvisoria superabile.

In questo secondo caso ci servirebbero comunque ulteriori conoscenze per affrontare la questione. E presumibilmente, nel cercarle, ci si dovrebbe servire di linee di indagine diverse da quelle consuete, dato che con esse non si è finora approdato ad alcuna soluzione accettabile.

Al riguardo, è fondamentale incominciare a precisare un primo aspetto. Nei termini della logica formale, l’idea della re-altà assume la natura di primitivo o di derivato a seconda di altri presupposti. Si tratta di un’idea primitiva se si pensa che la real-tà percettiva preceda la lingua, e che la sua esistenza prelimina-re sia necessaria per la creazione della lingua, affinché questa parli di qualcosa di effettivo e si possa verificare il valore di ve-rità di quello che essa dice. Si tratta invece di un derivato se si riconosce che quell’idea può essere definita solo mediante la lingua e il pensiero legato a questa. Se si ritiene indiscutibile il fatto che non possono esistere idee precise, chiare e distinte,

Page 31: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 31

senza una loro esplicita formulazione linguistica, allora è la lin-gua che dev’essere preliminare. Si deve riconoscere in essa il primitivo logico.

Come sempre, simili dilemmi del tipo se sia nato prima l’uovo o la gallina sono creati da visioni statiche connesse al considerare i termini di riferimento in maniera prestabilita fissa, anziché evolutiva. Nel caso della relazione cronologica e gene-tica tra l’uovo e la gallina il rompicapo appare subito fittizio ap-pena si consideri che nella catena evoluzionistica prima delle galline esistevano già altre specie animali che si riproducevano con meccanismi diversi da quelli che comportano le uova, e che da quelle specie tuttavia deriva la specie delle galline che de-pongono uova e nascono da uova.

Allo stesso modo, la costituzione e lo sviluppo tanto delle idee di realtà quanto della lingua nel corso dei secoli sono dovu-ti a una coevoluzione di entrambe. Non si può spiegare né l’una né le altre concependole come già formate ciascuna per conto proprio al di fuori della relazione reciproca e delle rispettive va-riazioni nel tempo.

Ciò che trae in inganno di solito è un uso indiscriminato sia del temine «realtà» sia del temine «lingua» che non distingue le diverse accezioni che essi assumono nelle diverse frasi nelle quali compaiono di volta in volta.

Intanto bisognerebbe essere sempre consapevoli del fatto che si usa il temine «realtà» indifferentemente tanto per indicare un contenuto (il referente oggettuale del termine, sia che lo si in-tenda quale entità fisica sia che lo si intenda quale entità menta-le o comunque immateriale) quanto per indicare invece l’idea di quel contenuto. Si è tuttavia portati a ritenere sostanzialmente immutabile la realtà intesa come contenuto, almeno nelle sue componenti fondamentali; mentre si riconosce senz’altro che le idee di realtà sono diverse nelle diverse culture, e cambiano e sono sempre cambiate da un’epoca all’altra all’interno di una medesima cultura.

Si è dunque convinti che solo le idee cambiano e possono cambiare, ritenendo invece la realtà effettiva sostanzialmente immutabile. Questa posizione però è contraddetta dalla consta-

Page 32: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 32

tazione elementare che la sola realtà che riusciamo a pensare in termini in qualche misura significativi (vale a dire non total-mente vuoti e puramente verbali) è quella definita dalle idee e dalla lingua che le esprime compiutamente in forme esplicite.

Qui emerge un altro aspetto della questione complessiva, che viene quasi sempre ignorato. Si pensa alla realtà e se ne parla tanto concependola consapevolmente o inconsapevolmente co-me qualcosa di generico, senza precisare ulteriormente che cosa si crede che essa sia; quanto facendosene altrettanto consape-volmente o inconsapevolmente delle idee che, per vaghe che siano, inducono comunque a concepirla come qualcosa che ha una qualche natura e determinati caratteri. Questa natura e ca-ratteri li riteniamo in sé stessi precisi, al di là del fatto che li i-gnoriamo.

Ma nulla ci autorizza a una tale conclusione: ad attribuire un qualunque tipo di caratteristiche a qualcosa che non sappiamo che cos’è, né, tanto meno, a credere che si debba in ogni caso trattare di caratteristiche, o di una natura, del tipo di quelle che conosciamo, alle quali siamo abituati a pensare e che sole siamo capaci di concepire.

L’equivoco che va evitato, insomma, è di credere che la real-tà debba corrispondere alle nostre idee, nonostante che dobbia-mo ammettere di non sapere che cosa essa sia. Delle due l’una. O la realtà, in quanto sconosciuta e inconoscibile nella sua es-senza, può essere infinitamente diversa da qualunque carattere stabilito con la nostra esperienza e concepito con la nostra im-maginazione: può cioè essere del tutto imprevedibile e inconce-pibile. O essa corrisponde in qualche modo alle idee che ne ab-biamo e che ce ne facciamo, ma allora nelle forme vaghe o specifiche nelle quali la immaginiamo la nostra concezione di essa è, in quella misura, un derivato delle nostre idee e delle nostre interazioni (i fenomeni, la realtà che registriamo) dalle quali a loro volta quelle idee derivano.

Ammettere che ciò che intendiamo per realtà è, o può essere, in una qualunque misura, un derivato delle idee equivale di fatto a riconoscere che la realtà concepita è, o può essere, nella stessa misura, un derivato della lingua, dato che le idee sono espresse

Page 33: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 33

mediante parole, e si formulano con chiarezza e precisione solo linguisticamente (Cavallini 2005a). La conoscenza esperta implica la lingua

Per quanto ne so Wittgenstein è stato il primo filosofo del lin-guaggio a indicare la collocazione storica e culturale dell’acqui-sizione della capacità di attribuire significati e di comprendere i significati linguistici. Egli, infatti, precisa che la comprensione dei significati delle parole, e del loro uso, implica il possesso preliminare di una lingua e la connessa abitudine a organizzare la rappresentazione delle cose secondo categorie e operazioni linguistiche (Wittgenstein 1967). Solo di conseguenza si può riuscire ad attribuire a parole e frasi i referenti che si intendono con esse.

Ora, poiché nessuno alla nascita possiede una lingua, questo equivale a dire che si può arrivare a dominarne una solo grazie al suo possesso da parte di interlocutori linguisticamente esperti che ne promuovono e guidano l’acquisizione con l’esibirne l’uso, e di solito insegnandola, in relazioni sociali e in contesti operativi. In altri termini, rispetto alla vita e all’apprendimento linguistico e cognitivo dei singoli, il possesso preliminare ne-cessario perché un tale sviluppo avvenga è dato in dimensione sociale, storica e culturale: è il possesso di una lingua e di una cultura da parte della comunità nella quale essi crescono, che ne eredita e ne tramanda costantemente il retaggio storico giusto ricevendola, passandola e continuando a farla evolvere da una generazione all’altra.

Questo modo di vedere dissolve l’idea del circolo vizioso secondo il quale per imparare a parlare e a capire occorrerebbe sapere già parlare e capire, dato che, in caso contrario, non si potrebbe afferrare né che cos’è la lingua e che cosa viene detto con essa né che cosa sono le cose e come le si debbono guarda-re e intendere (Quine 1966 lo sottolinea riguardo al potere refe-renziale delle parole). Più semplicemente, il dilemma si riduce di solito a non capire come si formano le capacità linguistiche e

Page 34: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo I 34

cognitive: a lasciare irrisolto il quesito e sostanzialmente a igno-rarlo, visto che non si sa come rispondervi.

Il rompicapo è insolubile finché nel concepire lo sviluppo in-tellettuale e linguistico si concentra l’attenzione sugli individui da soli, quasi che questi vivessero in isolamento e di conse-guenza si fosse costretti a cercare le spiegazioni della loro evo-luzione esclusivamente in essi, in loro meccanismi interni.

Di fatto è quanto è generalmente successo nella tradizione, dominata soprattutto dalla convinzione che anche le facoltà psi-cologiche scaturissero essenzialmente dalla crescita biologica. Una simile prospettiva sia spesso dichiarata sia ancor più tacita e inconsapevole ha sempre impedito di considerare adeguata-mente il ruolo della condizione sociale.

Ora, con tutta evidenza, di norma non si dà una situazione nella quale la conoscenza tanto linguistica quanto generale manchi in assoluto e poi misteriosamente compaia, rivelandosi o formandosi più o meno lentamente o repentinamente. Le nor-mali condizioni di vita sono storiche, sociali e culturali, e coin-volgono gli individui fin dalla loro nascita.

In tali condizioni, a possedere e a esercitare le conoscenze sia linguistiche sia generali sono i membri competenti delle va-rie comunità nelle quali quelli meno competenti e gli stessi neo-nati vengono allevati, stimolati così da suscitarne corrispondenti reazioni, guidati a conformare le loro interazioni e i loro com-portamenti a quelli altrui che funzionano per essi come modelli.

In sintesi, a possedere la lingua e le conoscenze complessi-vamente prese è la società (Bachtin). Sono i loro usi sociali a svolgere un’azione vicaria delle capacità implicate per chi anco-ra non le possiede, fino a promuoverne e a provocarne la forma-zione anche in loro. Vi riescono perché gli usi della lingua e delle conoscenze sono inseriti di norma in attività più comples-se rispetto alle quali gli interlocutori meno esperti dominano degli aspetti diversi da quelli che devono ancora apprendere, e perciò riescono a parteciparvi con un certo grado di coinvolgi-mento attivo. Perfino i neonati, pur non avendo la benché mini-ma competenza linguistica né alcuna conoscenza del mondo, sono però in grado di emettere suoni e di reagire agli stimoli

Page 35: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Lingua e realtà 35

sensoriali. Progressivamente, sotto l’influenza e la stimolazione linguistica e culturale generale esercitate da quanti interagisco-no con loro, imparano a conformare quei suoni prima a vocaliz-zi più prossimi alla lingua e poi alle parole, e le reazioni senso-motorie ai gesti e ai comportamenti modellati culturalmente.

Page 36: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 37: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

37

Attribuzione di significato

I primitivi dei derivati

Qualunque derivato implica uno o più primitivi indispensabili a costituirlo. Questo vale anche per il concetto di realtà, una volta riconosciuto che si tratta di un concetto derivato sia dall’esperienza sia dalle idee e dalla lingua con le quali tradu-ciamo l’esperienza in conoscenza (vale a dire, le diamo le forme più o meno precise della conoscenza e delle sue espressioni). D’altra parte, la sola realtà che riusciamo a concepire e della quale possiamo parlare è quella data nelle forme cognitive e linguistiche indispensabili a pensarla, a parlarne e a servirsi del-la relativa idea nell’elaborazione di conoscenza (Cavallini 2005a). Quello è l’unico contenuto effettivo del concetto di real-tà. Esso allora rimanda a conoscenze e a idee preliminari, e agli usi linguistici indispensabili per formulare e per esprimere sia tali conoscenze e idee sia il concetto stesso di realtà che ne de-riviamo.

Prendere atto che la concezione della realtà è un derivato da altre conoscenze e idee, e dalla lingua che dà loro forma e le e-sprime, comporta la comprensione del fatto che, per raggiunge-re un concetto chiaro di che cosa intendiamo effettivamente per realtà, dobbiamo risalire alle conoscenze (comprese le corri-spondenti parole ed espressioni linguistiche in genere) che lo fondano e costituiscono. Si dovrebbe dunque riformulare il con-cetto di realtà in sintonia con la sua genesi, anziché in maniera avulsa da questa, quasi che lo si potesse afferrare senza sapere come si è formato: su quali basi, in quali circostanze e con quali funzioni rispetto a esse, mediante quali processi.

Come per ogni altra espressione — si tratti di parole singole, di frasi o di interi discorsi — si dovrebbe stabilire qual è il si-gnificato della parola «realtà», come si è giunti a formulare la parola stessa e ad assegnarle quel significato, come lo si intende quando la si usa e come lo si coglie quando la si interpreta.

Page 38: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 38

Una tale ricostruzione rivela la mescolanza già richiamata di aspetti oggettivi e soggettivi, extralinguistici e linguistici, fat-tuali e ideologici. In specifico, essa rivela poi l’impossibilità di stabilire dei punti di inizio assoluti del processo di attribuzione dei significati e dei processi, interconnessi con questo e tra di loro reciprocamente, della conoscenza e della padronanza lin-guistica.

Detto nella maniera più semplice, non c’è un momento pre-ciso e particolare nel quale un individuo incomincia di colpo ad avere conoscenza del mondo, a riuscire a parlarne e a capire quello che se ne dice, a comprendere i significati delle cose e ad assegnarne loro di propri.

Questo vuol dire che non esistono dei primitivi che si im-pongano di per sé. L’idea dei primitivi sorge solo a livello teo-retico quando si compiono delle analisi dei concetti e dei modi di servirsene. Più precisamente, si tratta di costruzioni teoriche alle quali si ricorre per ridurre a elementi semplici le idee e i processi di conoscenza, che sono sempre più o meno complessi e che perciò non si riuscirebbero ad analizzare senza scomporli in fattori che idealmente li costituiscano.

Relatività delle prospettive

Una delle trappole dalle quali bisogna guardarsi è quella di con-fondere le rappresentazioni con i contenuti rappresentati: la lin-gua con la realtà di cui si intende parlare, le analisi con i feno-meni analizzati, i prodotti delle analisi con componenti effettivi di quei fenomeni.

Quando si parla di primitivi rispetto a un qualsiasi concetto occorre capire se essi sono dovuti direttamente ed esclusiva-mente al concetto stesso, quasi che questo potesse essere preso di per sé, o la loro individuazione non dipenda piuttosto dalla prospettiva con la quale si considera quel concetto e lo si ana-lizza. Ovviamente la situazione reale è la seconda. Qualunque aspetto venga definito, esso non appartiene mai del tutto alla re-altà indagata e solo a essa, bensì riflette anche il modo di guar-

Page 39: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 39

dare quella realtà, gli scopi con cui lo si fa, i presupposti consa-pevoli e inconsapevoli in base ai quali si compiono le osserva-zioni e le analisi, le conoscenze che si hanno e che si utilizzano al riguardo, le capacità di cogliere i riferimenti che sarebbero pertinenti, e così via.

In sintesi, gli aspetti definiti sono il prodotto di interazioni. In prima approssimazione, si può dire che nella loro individua-zione e definizione rientrano tanto situazioni, oggetti e proprietà intrinseche delle situazioni e degli oggetti esaminati quanto le proprietà dei sistemi che osservano e analizzano: vale a dire — nel caso delle specificazioni di aspetti di conoscenza — gli inte-ressi, gli obiettivi, gli orientamenti, le capacità, le qualità com-plessive di comportamento e di pensiero e le idiosincrasie delle persone che attuano quelle specificazioni.

Ma anche un tal modo di esprimersi va precisato. Di fatto non esistono né situazioni e oggetti né loro proprietà avulsi dai sistemi che li osservano e dalle proprietà o modi di funzionare di questi: per quanto ci interessa, dai nostri modi di interagire con essi, di conoscere in generale e in specifico di concepire e di conoscere quelle precise situazioni, oggetti e proprietà che di volta in volta fissiamo.

Distinguere da un lato i contenuti e dall’altro i processi di conoscenza costituisce un puro espediente teoretico inevitabile per definire in termini analitici mentali e linguistici gli oggetti del discorso. Ma, in concreto, quei contenuti e processi non esi-stono separatamente ciascuno per conto proprio al di fuori degli atti conoscitivi. Se togliamo questi ultimi, quelli svaniscono. Allora non si trovano più né contenuti né processi, né situazioni e oggetti né loro proprietà. Ciascuno di questi elementi appar-tiene alle interazioni conoscitive e si costituisce con esse: non è concepibile, nei termini in cui lo conosciamo, al di fuori di esse, della conoscenza stessa.

Anche l’idea di realtà esterne alla conoscenza ha la natura di ipotesi, costituisce un atto di conoscenza e di pensiero. Essa comporta che si ritengano quelle realtà sussistenti e dotate di una loro permanenza e di loro proprietà definite e permanenti indipendentemente dal fatto di conoscerle o meno.

Page 40: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 40

Tutte queste idee svolgono una funzione utile e presumibil-mente indispensabile sul piano della gestione della vita e dei comportamenti pratici, e dell’organizzazione del pensiero. Ma non forniscono alcuna prova né alcuna garanzia di corrisponde-re allo stato delle cose. Non autorizzano a credere che esista al di fuori dell’ambito della conoscenza un mondo esattamente uguale a quello che concepiamo, perfettamente corrispondente ai nostri modi di concepirlo, che sono inevitabilmente confinati all’interno di questa. Anzi, una tale convinzione incontra vizi logici e crea difficoltà di pensiero insormontabili da lungo tem-po evidenziati nella storia della scienza e della filosofia.

Pure l’identificazione di qualunque tipo di primitivi rispetto a un concetto dato dipende dalle prospettive adottate nel consi-derarlo: non solo da quest’ultimo, ma anche dalle situazioni in riferimento alle quali lo si considera, dal tipo di esame che si conduce su di esso, dagli scopi di tale esame, dai contesti delle analisi e dai modi di condurle.

Le prospettive con cui si vedono le cose, e le capacità di i-dentificare e di esaminare queste, variano con il variare di tutte le condizioni indicate. Principalmente, variano per ogni indivi-duo nel corso della sua vita e della sua evoluzione, che inoltre avvengono sempre in congiunzione con il variare delle condi-zioni e delle circostanze in cui egli vive, esperisce, osserva, co-nosce, pensa e riflette.

Dunque, pure i primitivi ai quali chiunque di noi potrebbe ri-salire nell’esaminare un qualunque concetto variano e sono di-versi in rapporto a tutte tali variazioni. Essi, come le capacità in generale, per lo più sono il frutto di una lenta progressione ri-spetto alla quale non esiste un inizio assoluto, e in linea di mas-sima non esistono neppure passaggi bruschi da una visione a un’altra, rotture nette e novità repentine e assolute.

Come si forma la conoscenza

In quanto adulti dotati di una conoscenza e di modi di pensare già formati e di vecchia data, e ancor più in quanto persone abi-

Page 41: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 41

tuate ai sistemi di conoscenze codificate e al ragionamento for-male, siamo generalmente portati a pensare alla conoscenza e a qualunque suo contenuto in termini di categorie definite. Questo atteggiamento induce a considerare i concetti in una prospettiva statica di tutto o niente, per la quale la cose vengono sempre commisurate a quello che sappiamo e alle sue categorie accredi-tate, così da farci pensare che qualunque cosa esiste se vi si con-forma mentre non esiste affatto in caso contrario e allora va e-sclusa totalmente e definitivamente.

In particolare, un tale atteggiamento mentale porta a consi-derare i contenuti esaminati solo dopo che la loro definizione è stata completata e perfezionata sotto il profilo della loro espres-sione formale, senza più tener conto del fatto che si tratta dei prodotti di processi di scoperta o di invenzione che possono es-sersi svolti in tempi lunghissimi, anche di secoli, e senza più es-sere consapevoli dei processi che li hanno generati. Nonostante la frequente citazione della dialettica hegeliana, e più di recente della complessità e dei processi non lineari, nelle pratiche di pensiero correnti siamo ancora poco abituati alle concezioni di-namiche che contemplano il sorgere e il dissolversi progressivi delle situazioni, le conversioni delle une nelle altre, le evoluzio-ni e le trasformazioni.

Eppure, sia le conoscenze sia le capacità di conoscere si formano lentamente con uno sviluppo che, pur avendo degli an-tecedenti nella vita prenatale, si attua nella sua parte più sostan-ziale a partire dalla nascita, e prosegue per tutta la vita. Ciò che lo caratterizza principalmente è che si svolge in situazioni so-ciali per le quali gran parte degli atti di conoscenza e di defini-zione delle conoscenze non vengono compiuti dai singoli indi-vidui da soli bensì da gruppi di individui che li sviluppano inte-grando in un’unica attività congiunta i rispettivi interventi, si influenzano reciprocamente, collaborano e completano ciascuno gli apporti dell’altro.

Questa condizione vale soprattutto per i neonati, per i bam-bini piccoli e per chiunque in qualunque campo conoscitivo non abbia raggiunto la piena autonomia o sia meno competente o in-formato su qualche particolare di un altro con il quale interagi-

Page 42: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 42

sce. In tutti tali casi gli interlocutori più esperti o comunque fa-voriti da qualche superiorità di conoscenza svolgono nei con-fronti di quelli meno capaci o meno informati delle funzioni so-stitutive con l’attuare essi quello che non sanno fare gli altri e mettendolo a loro disposizione.

In specifico riguardo ai neonati e più in generale ai bambini dipendenti che sono sostenuti nel loro sviluppo intellettuale e comportamentale da figure vicarie, queste sono tali appunto perché agiscono al posto loro e per conto loro. È come se fosse-ro dei prolungamenti esterni del loro corpo e delle parti sostitu-tive e integrative del loro cervello in formazione (Vygotskij 1973, 1974, 1987 e 1992, Kaye 1989, Rogoff 1991, Wertsch 1991a). E infatti quest’ultimo si forma progressivamente giusto grazie alla stimolazione e alla guida che ne conseguono, assu-mendo sia la propria architettura biologica sia la propria funzio-nalità psicologica sulla base dei modelli forniti via via dalle a-zioni vicarianti.

Il processo indicato genera specificamente la capacità di at-tribuire significati, di elaborare comunicazioni in forme com-plesse e complete di pensiero e di interpretare le comunicazioni altrui. I bambini imparano giusto a fare ciò, a familiarizzarsi con il discorrere e con le parole, a combinare insiemi di parole in costruzioni linguistiche, a convertire le costruzioni linguisti-che sia proprie sia altrui in pensieri e in sistemi cognitivi.

Il coinvolgimento nelle azioni svolte insieme a interlocutori esperti e guidate da questi, e in tale contesto particolarmente la comunicazione verbale, formano in chi apprende i relativi mo-delli di comportamento e di comunicazione l'abitudine di cen-trare l'attenzione sul significato complessivo di situazioni e di processi complessi, guidandolo a trattare le une e a usare gli al-tri a più livelli di complessità o di ripartizione in elementi più semplici. Le scelte effettuate delineano i contesti in riferimento ai quali vengono determinati i singoli significati dei singoli e-lementi verbali e non verbali che compongono le totalità prese. La lingua abitua a centrare l’attenzione sui singoli significati così definiti e a servirsene per determinare i significati globali. In tal modo si stabilisce la dialettica del discorso e del pensiero

Page 43: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 43

basata sul servirsi in combinazione delle totalità e dei loro sin-goli componenti come di riferimenti reciproci nell'attribuire i ri-spettivi significati parziali e complessivi.

Per effetto di un simile ammaestramento si acquisisce una grande flessibilità nel considerare i contenuti via via fissati co-me momentanei o definitivi, sequenziali (ma con continue re-troazioni degli uni sugli altri) o conclusivi, strumentali (come i significati contestuali degli elementi che fungono da mezzi nei vari passaggi per costruire i significati totali) o finali (relativi cioè ai fini il cui ottenimento conclude il discorso e l'azione mentale ed eventualmente anche materiale che lo accompagna).

Le persone sono sistemi aperti

Le persone sono sistemi aperti, nel senso che la loro vita tanto organica quanto mentale si svolge in continua interazione con l'ambiente. Per i bambini dipendenti, i genitori e gli adulti che se ne prendono cura e che comunicano con essi, in larga misura verbalmente, sono inseriti in tale interazione sia come parti dell’ambiente sia come parti degli organismi dei bambini stessi. I processi che intervengono sul piano dell’alimentazione, della sopravvivenza e dell’assicurazione del benessere fisico si pro-lungano in quelli analoghi della formazione intellettuale e com-portamentale.

Gli individui concepiti come organismi e persone isolate o autosufficienti sono pure astrazioni. Ciascuno di noi è costitui-to in larga misura degli altri: elementi sia dell’ambiente fisico sia di quello sociale, e cioè dei comportamenti altrui diretta-mente esperiti o testimoniati dai prodotti culturali, entrano nel-la nostra vita e nella nostra formazione in quanto ne costitui-scono dei contenuti, dei riferimenti, degli stimoli, delle guide e dei modelli.

La relazione simbiotica stabilita normalmente tra il bambino e la madre è emblematica dell’intero sviluppo e della vita intera. Tale relazione, per il bambino, si ripete e si prolunga nei rap-porti con chiunque gli fornisca una guida analoga a quella ma-

Page 44: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 44

terna, agendo per lui, interpretando i suoi stati e gli eventi in sua vece, procurandogli delle esperienze significative e guidandolo a ordinarle e ad assegnare loro dei significati, che sono in gene-re di tipo convenzionale. Questo vale per la relazioni improntate alla massima dipendenza; ma qualunque relazione che comporti una qualunque integrazione dei comportamenti, dei pensieri e dei discorsi di qualcuno al fare, al pensare e all’esprimersi di un bambino o di un qualunque altro interlocutore svolge in qualche misura una funzione corrispondente.

Con particolare rilevanza nel caso dei bambini, sono le rela-zioni di questo tipo che li guidano a diventare progressivamente capaci di organizzare a loro volta la propria vita, a formarsi le proprie conoscenze e a ordinarle via via in modi sempre più or-ganici. Mediante le interazioni sociali i comportamenti e le qua-lità intellettuali degli individui diventano sempre più conformi a quelli esibiti dagli altri adulti o interlocutori competenti. Ciò avviene sia grazie alle interazioni dirette sia grazie a quelle sta-bilite indirettamente attraverso la familiarizzazione con i pro-dotti culturali.

I vissuti personali e il mondo che ne risulta per ciascuno continuano così a formarsi secondo rappresentazioni mentali ugualmente correlate a quelle convenzionali e largamente sia sostenute da espressioni verbali convenzionali sia tradotte in e-spressioni comportamentali e verbali convenzionali che consen-tono di continuare a partecipare alla vita sociale e a inserirvisi sempre meglio e sempre più attivamene.

Poiché la parte di gran lunga prevalente della conoscenza della realtà risiede nell’esperienza e nella cultura sociali, me-diante tali relazioni e le rappresentazioni mentali a cui esse dan-no luogo arriviamo a organizzare progressivamente le nostre concezioni e le nostre esperienze con sempre maggiore corri-spondenza ai caratteri della realtà. Questo significa che la nostra conoscenza e le nostre capacità di conoscere assumono forme sempre più efficaci e produttive.

Page 45: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 45

I significati espressi nella cultura

Nella conoscenza e nei discorsi collettivi i significati esistono e sono espressi da lungo tempo ben prima che ciascuno di noi impari a riconoscerli e a servirsene. E però gli interessi e le e-sperienze personali determinano in larga misura come li incon-triamo e ce ne impossessiamo (Kaye 1989, Rogoff 1991), in qualche misura potendoli intendere in modo tutto nostro per tempi più o meno lunghi.

La domanda di come si formano le capacità di attribuire si-gnificato va posta con riferimento non all'evoluzione biologica dei bambini da sola e in quanto tale, sebbene sia essa a fornirne alcune delle condizioni iniziali indispensabili. Ma a livello più essenziale quella formazione richiede quali altre condizioni u-gualmente indispensabili delle relazioni sociali asimmetriche.

Queste, di norma, coinvolgono tutti i tipi di comportamento e si stabiliscono tra qualunque tipo di interlocutori. Esse valgo-no anche nell’età adulta e nelle relazioni intrattenute esclusiva-mente tra adulti che abbiano in qualunque campo competenze e capacità diverse gli uni dagli altri. Sono le relazioni sociali a-simmetriche che allora si stabiliscono a possedere il valore di spinte e di canalizzazioni evolutive, tanto nel caso dei bambini quanto in quello degli adulti. In ogni interazione di tipo asim-metrico gli interlocutori dipendenti possono imparare, e in ge-nere imparano, le competenze espresse da quelli dominanti, o per lo meno ne vengono influenzati così da essere stimolati a crescere sotto il profilo comportamentale e intellettuale.

In particolare nei dialoghi tra genitori e figli piccoli la con-catenazione tra i rispettivi interventi, guidata soprattutto dai genitori, produce lo sviluppo di discorsi e di corsi di pensiero unitari in quanto si svolgono ciascuno attorno a un tema unita-rio che si viene determinando con la realizzazione stessa del dialogo.

Di norma sono principalmente i genitori o gli adulti in gene-rale a guidare i dialoghi, a conoscere già di volta in volta il tema trattato e i suoi vari aspetti, e a saper come passare dall’uno all’altro di questi per collegarli in sequenze coerenti e in visioni

Page 46: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 46

complessive. Ma anche gli interventi dei bambini possono for-nire dei contributi essenziali, esprimendo desideri e interessi, dando informazioni sconosciute al loro interlocutore adulto o facendo osservazioni che a lui non verrebbero in mente (Rogoff 1991, Wertsch 1991a).

Quel che più conta, quali che siano gli apporti di un bambi-no, di solito è l’adulto a coordinarli convertendoli in sviluppi coerenti del discorso condotto in comune, e, grazie a questa condivisione, anche in pensieri organici del bambino stesso. Tuttavia, le proporzioni dei rispettivi interventi, del loro peso nel far evolvere le situazioni e delle rispettive responsabilità e iniziative al riguardo, si modificano progressivamente con il crescere delle capacità dei bambini, in direzione del raggiungi-mento di un pieno equilibrio, fino a quando questo non è rag-giunto.

La concatenazione dei diversi interventi viene assicurata, soprattutto agli inizi, dagli adulti o comunque dagli interlocutori più competenti. Ma poi via via viene attuata dagli interlocutori dipendenti sempre più quanto più aumentano le loro capacità. È proprio tale concatenazione a sviluppare le visioni di temi unita-ri superordinati rispetto ai singoli interventi e ai singoli momen-ti, contenuti e aspetti parziali. Questi altrimenti rimarrebbero di-sgregati e sparsi in maniera occasionale disordinata. Così, inve-ce, vengono connessi in sequenze ordinate tali da risultare sia significative sia idonee ad assegnare ai singoli elementi coinvol-ti significatività generale e significati precisi specifici (Kaye 1989).

In sintesi, tanto l’agire coerente che conduce alla realizza-zione di prodotti e di scopi significativi e che abitua ad agire in vista del loro ottenimento, quanto il parlare secondo criteri cor-rispondenti producono capacità di pensiero logico. Per gli indi-vidui incapaci sono l’esempio e la guida di altri capaci ad assi-curarne il coinvolgimento e a favorirne la partecipazione attiva necessari per l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale.

È una tale compartecipazione che abitua a riconoscere e a usare le categorie cognitive convenzionali, e a connetterle me-diate relazioni, comprese quelle gerarchiche. In tal modo si

Page 47: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 47

forma la capacità di articolare il pensiero secondo la corrispon-dente varietà di livelli di astrazione. La qualità dell’articola-zione considerata, la sua maggiore o minore ricchezza, la mag-giore o minore finezza delle sue categorie, sono caratteristiche distintive di ogni singola cultura.

Le corrispondenti qualità del pensiero di cui diventano capa-ci gli individui dipendono da quelle della cultura o delle culture nella quale o nelle quali essi crescono. Più specificamente di-pendono da che cosa essi ne interiorizzano.

Sensi e significati

Le idee che utilizziamo non le produciamo noi ma le troviamo già predisposte nella cultura espressa dai comportamenti e dai discorsi della gente, oltre che esposta nei testi scritti e dall’inse-gnamento formale. Questa constatazione vale per la stragrande maggioranza delle idee, se non per tutte; e anche quelle che ci formiamo per esperienza diretta con processi mentali personali ricalcano in linea di massima le idee esistenti e ne sono costitui-te in larga misura, se non del tutto.

La constatazione si applica anche alle idee che, nelle diver-se circostanze e a determinati fini, possiamo individuare quali primitivi rispetto ad altre che allora consideriamo dei loro de-rivati.

Particolarmente, le idee non si stabiliscono d’acchito una volta per tutte. Per lo più esse si generano con una certa pro-gressione, prendendo forma su tempi anche lunghi. Di solito, poi, anche quelle che sembrano già complete e che usiamo nor-malmente, in realtà sono piuttosto fluide e si modificano nel tempo con lo sviluppo conoscitivo e mentale.

Questo processo caratterizza specificamente i modi nei quali ci appropriamo delle idee, in dipendenza di come le interpre-tiamo sulla base delle nostre conoscenze, delle nostre capacità intellettuali, dei nostri stati d’animo e di tutta una serie di altre variabili. Le idee si formano e si trasformano via via che le in-contriamo e ce ne serviamo, ci familiarizziamo con i loro usi, le

Page 48: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 48

colleghiamo ad altre e le inquadriamo in sistemi più ampi di co-noscenza.

Tutta la componente soggettiva della formazione delle idee contrassegna quei modi personali di intendere i significati che rende questi piuttosto dei sensi. I significati propriamente intesi coincidono invece con la componente che usualmente viene definita come oggettiva, ma che sarebbe più appropriato chia-mare sociale e convenzionale.

A questo proposito si rendono necessarie alcune precisazioni terminologiche. In letteratura i termini «senso» e «significato» ricorrono in accezioni non uniformi da un autore all’altro, spes-so il primo al posto del secondo, creando comunque ostacoli al confronto diretto delle rispettive concezioni.

Qui seguo la terminologia proposta da Leontjev (1976) che chiama appunto «significati» i riferimenti concettuali condivisi socialmente, vale a dire convenzionali, e «sensi» le loro inter-pretazioni soggettive. In quanto all’oggettività dei significati, essa va intesa nell’accezione scientifica rigorosa della loro pro-prietà di essere appunto condivisi socialmente. Questo fornisce il massimo di garanzia possibile, nell’ambito delle esperienze conosciute e delle concezioni accreditate, che non sia mai stata smentita la corrispondenza dei significati con le esperienze e con la coerenza logica.

Perciò è più appropriato dire che i significati sono accredita-ti, piuttosto che definirli come oggettivi. È vero che il fatto che si siano sempre dimostrati validi li rende quanto di più attendi-bile abbiamo, suggerendo la fiducia che possano risultare tali anche in futuro, e dando a questa fiducia una certa consistenza. Tuttavia è noto che qualunque teoria può solo evitare di essere smentita (“falsificata”, come si usa dire) in determinate condi-zioni, particolarmente quelle abituali. Ma nessuna teoria potrà mai essere verificata e confermata in maniera definitiva, dato che non si potrà mai escludere che prima o poi intervengano e-sperienze e idee nuove contrastanti con quelle generalmente possedute e tali da confutare le teorie accreditate (Popper 1970).

Ora, i significati sono costrutti teorici, per di più dipendenti dalle teorie (Agazzi 1969 e 1979, Duhem 1978, Enriques 1985),

Page 49: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Attribuzione di significato 49

e per la maggior parte di essi da concezioni per molti versi me-no consistenti delle teorie, nelle quali si inquadrano e grazie alle quali soltanto diventano comprensibili. Perciò anch’essi sono soggetti alla relatività storica e culturale delle concezioni e delle teorie.

Così, le idee presentano limiti sotto due profili. Da un lato valgono solo in riferimento all’esperienza storica e alle rappre-sentazioni di realtà proprie di ciascuna comunità: vale a dire alla sua cultura. Da un altro lato anche le idee maggiormente condi-vise all’interno di ciascuna comunità, più tipiche della sua cul-tura e ritenute oggettive nel suo ambito, vengono intese non so-lo dai suoi diversi membri ma anche dal medesimo individuo in sensi non completamente coincidenti bensì diversi da una circo-stanza all’altra a seconda dei contesti, degli stati d’animo e delle condizioni cognitive complessive del momento. I significati so-no sempre appresi, trattati e utilizzati dalle singole persone in chiavi più o meno soggettive (Silverstein 1989).

Del resto, è proprio della comunicazione, e particolarmente della conversazione, che gli interlocutori debbano continuamen-te confrontare i rispettivi modi di intendere le parole, i discorsi e le “cose”: vale a dire i referenti che essi intendono indicare con le parole e con i discorsi. È usuale che debbano precisare in qualche misura i rispettivi intendimenti e li debbano progressi-vamente sintonizzare gli uni con gli altri. Di norma, ciò accade in proporzione inversa alla reciproca familiarità e al grado di condivisione sia dei contenuti di cui si parla (Vygotskij 1992) sia delle lingua naturale o dei linguaggi specialistici con i quali se ne parla.

Le idee non hanno solo componenti strettamente circoscritte ai concetti e al ragionamento. In genere concorrono a formarle anche la sensibilità e i sentimenti: questi pure orientano e gui-dano la conoscenza, e ne fanno parte.

Le categorie cognitive in base alle quali organizziamo effet-tivamente le nostre interazioni nella vita quotidiana e nella co-noscenza corrente sono appunto in larga misura legate alla sen-sibilità e ai sentimenti. Se non fosse così, esse risulterebbero del tutto impersonali, non verrebbero suscitate dalle esperienze e

Page 50: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo II 50

non avrebbero alcuna presa su queste. Gli atti di conoscenza ba-sati su tali categorie li chiamiamo «sensi».

Esistono invece categorie cognitive che scaturiscono dal confronto e dalla sovrapposizione dei sensi del maggior numero di persone concepibile, in pratica fatte proprie dall’intera socie-tà, e in riferimento alle quali si stabilisce la comprensione reci-proca all’interno di ogni data comunità culturale. Queste cate-gorie risultano allora spersonalizzate, e devono esserlo al mas-simo grado per svolgere quella funzione in maniera universal-mente valida. Le componenti degli atti di conoscenza basate su questo secondo tipo di categorie li chiamiamo «significati».

Giusto in ragione del grado di universalità con cui riescono a corrispondere a qualsiasi esperienza e contenuto di conoscenza pertinente, a qualsiasi senso personale che vi si possa riferire, i significati devono essere massimamente generali e astratti.

Page 51: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

51

L’organizzazione culturale della conoscenza Schemi e concetti

Da quanto si è detto in conclusione del capitolo precedente ri-sulta che le nostre interazioni, e la conoscenza che le rappresen-ta, si articolano ad almeno due livelli di organizzazione dei rela-tivi processi e di individuazione dei relativi contenuti.

Un livello è quello percettivo o rappresentativo in chiave so-stanzialmente figurativa attinente ai sensi. L’altro è quello gene-rale astratto che rende significativi e riconoscibili i processi e i contenuti della percezione immediata e dell’immaginazione in quanto esemplari di classi, che per definizione sono appunto ge-nerali e astratte (Cavallini 2003).

In realtà i livelli tanto della percezione e della rappresenta-zione ideativa quanto del pensiero generale astratto sono in-numerevoli e confluenti gli uni negli altri con confini reciproci sfumati al punto che è impossibile identificarli ciascuno sepa-ratamente, in particolare quelli reciprocamente più vicini. Il grado di astrazione e di generalità di ciascun livello e delle ri-spettive categorie è sempre relativo: questione di maggiore o minore astrazione e generalità dell’uno rispetto all’altro; mai di astrazione e generalità assolute a un estremo e di loro totale assenza, e cioè di concretezza assoluta ed esclusiva, all’altro estremo.

Proprio per un tale passaggio continuo o impercettibile tra i livelli, e soprattutto per la costante convergenza in diversa mi-sura nella percezione e nel pensiero effettivi di classificazione generale astratta e di individuazione percettiva o immaginativa concrete, ai fini dell’analisi dell’articolazione dei processi co-gnitivi si adotta la soluzione pratica di distinguere i due livelli dell’astratto e del concreto. Ciò induce a parlarne come se cia-scuno di essi valesse in assoluto, mentre in realtà essi sono sempre reciprocamente relativi e ciascuno vale in relazione all’altro.

Page 52: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 52

Quello che conta è capire che la conoscenza sarebbe impos-sibile se in ogni suo atto non convergessero sia la presenza o il richiamo al concreto sia il riferimento all’astratto. Kant (1963) lo ha espresso egregiamente rilevando che l’intelletto senza la sen-sibilità è vuoto, e che complementarmente la sensibilità senza l’intelletto è cieca: il che significa che se non ci si riferisse alla percezione o all’immaginazione legata alle sensazioni i concetti sarebbero privi di contenuto; e, complementarmente, che se non ci si riferisse a categorie astratte, vale a dire alle classi logiche o concetti veri e propri, non si avrebbe alcuna comprensione dei contenuti percettivi e immaginativi: non si riuscirebbe a indivi-duare alcunché, a isolarlo dal flusso continuo delle sensazioni dotandolo di significato e di valore autonomo.

Riprendendo Kant, nella letteratura psicologica recente que-ste due componenti dei processi cognitivi sono state denominate rispettivamente «schemi» e «concetti».

Gli schemi indicano appunto modi di concepire le cose basa-ti su esempi empirici o su rappresentazioni figurative che vi si rifanno per i loro aspetti che sembrano di volta in volta più si-gnificativi. Una proprietà degli schemi che ne risulta è che essi hanno tratti sfumati, che li rendono flessibili. Costituiscono cioè categorie dai confini molto elastici, adatti a farle corrispondere a una gran varietà di esemplari e di situazioni (Cavallini 1995 e 2002a, Nelson 1985, 1986 e 2002, Rosch e Lloyd 1978, Jo-hnson–Laird 1988, Minsky 1989).

In tal modo gli schemi consentono di inquadrare gli eventi, le azioni, gli oggetti e tutte le rispettive proprietà come rientran-ti in famiglie tipiche: il che rende tutti tali contenuti singoli ri-conoscibili in base ad affinità con altri corrispondenti sotto qualche profilo e collegabili da relazioni che danno loro si-gnificato.

I concetti indicano quelle componenti dei modi di concepire le cose che le fanno ripartire per classi generali astratte sottratte a qualunque proprietà dei loro singoli esemplari reali, vale a di-re della percezione e dell’immaginazione di tipo figurativo.

Nell’esperienza personale e nella comunicazione sociale il rifarsi a concetti spinge la conoscenza verso le sue forme più

Page 53: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 53

generali e astratte. Il rifarsi alla percezione e all’immaginazione che in qualche modo richiami delle sensazioni favorisce la comprensione e l’uso dei concetti in riferimento alle situazioni e ai contenuti concreti.

Schemi e concetti sono dunque appunto complementari e in-teragiscono reciprocamente. D’altra parte questa loro dialettica è dovuta al fatto che l’astrazione e la generalizzazione derivano principalmente e fondamentalmente dal confronto sociale dei vissuti e delle idee soggettive, quando porta a sovrapporli e a modificarli fino a farne coincidere i tratti essenziali attribuendo loro dei significati univoci: vale a dire convertendo i vissuti e le idee tendenzialmente di tutti in categorie generali astratte.

Il processo appena descritto coincide quindi con la deconte-stualizzazione e la spersonalizzazione delle categorie cognitive, che le rende suscettibili di essere applicate in maniera univoca a qualunque situazione pertinente da parte di chiunque.

Anche questo contribuisce a illustrare come le capacità co-gnitive si formino nelle interazioni tra individui e società, e co-me non potrebbe realizzarsi conoscenza senza l’intervento con-giunto tanto dell’attività degli individui quanto della cultura so-ciale, alla quale essi devono necessariamente rifarsi per cono-scere qualunque cosa. Chi produce i concetti

I concetti propriamente intesi sono delle categorie impersonali universalmente valide rispetto sia a chi le utilizza sia ai conte-nuti che ne possono costituire i referenti. La loro natura para-digmatica, in via di principio condivisa da tutti all’interno di una stessa comunità culturale, fornisce un riferimento comune di valore intersoggettivo tanto nell’organizzare i propri pensieri quanto nell’interpretare le comunicazioni altrui.

In quanto universali e impersonali, i concetti possono for-marsi solo su base sociale. Si tratta cioè di costrutti prodotti so-cialmente o comunque con contributi prevalentemente sociali anche quando sono formulati originariamente da singoli indivi-

Page 54: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 54

dui. Infatti, anche in questo caso chi li formula lo fa sintetizzan-do delle conoscenze sociali preesistenti, senza le quali non po-trebbe mai mettere a punto dei concetti.

Più precisamente, i concetti vengono prodotti nell’ambito di quel tipo particolare di pensiero che è il ragionamento formale. Sono costrutti caratteristici delle discipline conoscitive, e rien-trano nella formulazione delle teorie, in riferimento alle quali soltanto assumono e rivestono i propri peculiari significati. In-vece, quando sono intesi in termini di senso comune o comun-que senza il sufficiente riferimento alle teorie che li compren-dono vengono convertiti in schemi: le loro interpretazioni non corrispondono più a veri e propri concetti.

In conclusione, in linea di massima i concetti non si genera-no a livello di pensiero individuale e non vi appartengono quali suoi prodotti congeniti. Fa eccezione l’apporto tutto sommato marginale nella loro composizione complessiva e rispetto alla totalità dei concetti esistenti dato dagli interventi spesso conclu-sivi dei geni. Tuttavia, le definizioni definitive dei concetti sono per lo più anch’esse opera collettiva svolta con i perfeziona-menti progressivamente apportati al primo accostamento a essi o alla loro messa a punto originaria.

Una volta formulati, i concetti esistono nella loro specifica identità che si impone uguale per tutti. Non rispettarla piena-mente e rigorosamente equivale a travisarli, appunto ad alterarli facendone degli schemi.

Nella normalità dei casi i concetti esistono già definiti all’interno delle discipline e delle teorie, e ci si può appropriare di essi solo imparandoli con lo studio di queste. Anzi, come a-veva già rilevato Kant (1963), i concetti non costituiscono delle realtà di fatto o degli enti di pensiero effettivi, bensì delle proie-zioni al limite dei contenuti di esperienza o di immaginazione che vengono considerati reciprocamente corrispondenti sotto qualche profilo. I concetti sono dunque dei riferimenti ai quali si può tendere nell’organizzare il pensiero, tuttavia senza che si possa mai adeguarvelo completamente.

In altre parole, in genere non si raggiunge l’organizzazione compiutamente concettuale del pensiero e della conoscenza. I-

Page 55: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 55

noltre, riguardo al pensiero e alla conoscenza individuali, piut-tosto che di concetti in quanto formazioni ottenute e possedute, si dovrebbe parlare di concettualità quale modalità tendenziale di impostazione e di svolgimento del ragionamento. Si tratta in-fatti di una caratteristica del modo di svolgere delle operazioni mentali, non di qualcosa che esista in quanto tale nella mente. Schemi e loro dialettica con i concetti

Neppure gli schemi sono entità mentali presenti da qualche par-te nelle teste, bensì modalità di funzionamento della mente (Rosch e Lloyd 1978). A differenza dei concetti, gli schemi si formano, si conservano e si sviluppano in dimensione tanto in-dividuale quanto sociale. Le loro componenti individuali espri-mono dei vissuti e dei modi strettamente personali di agire e di concepire. Le loro componenti sociali esprimono le categorie di pensiero e i modi tipici di pensare di gruppi sociali culturalmen-te omogenei, manifestandosi nel senso comune e nelle idee condivise in maniera sostanzialmente acritica e generalmente inconsapevole, indiscussa. Ne sono esempi emblematici gli ste-reotipi culturali: ma, per qualunque concezione, qualunque suo tratto non concettuale che caratterizzi il modo condiviso di pen-sare di una particolare comunità distinguendolo dal modo tipico di pensare di altre costituisce uno schema o un elemento di pen-siero schematico.

Schemi individuali e schemi sociali interagiscono nella co-municazione prodotta non soltanto dagli scambi verbali ma an-che dall’esposizione ai comportamenti altrui e dalle relazioni in-terpersonali di qualunque genere. Tanto gli schemi individuali quanto quelli sociali si trasformano in conseguenza del crescere dell’esperienza e, soprattutto, del confronto sociale delle idee.

In letteratura si sostiene che essi evolvano verso forme sem-pre più generali e astratte per effetto dell’accumulo delle espe-rienze dello stesso tipo ma variamente differenziate, così da in-durre a notare aspetti comuni e aspetti distintivi tra le diverse si-tuazioni, a concepire ciascun aspetto individuato come un’idea

Page 56: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 56

autonoma e a riunire in famiglie gli aspetti simili, producendo anche per queste idee corrispondenti.

Tuttavia questo non è il meccanismo dominante, e come spiegazione generale dell’evoluzione degli schemi non convin-ce. Meno che mai è credibile che sia esso a farli convertire in concetti. La spiegazione adeguata chiama in causa il confronto degli schemi di valore meno generale e astratto con altri corri-spondenti di valore più generale e astratto, che a mano a mano fa trasformare i primi fino a farli conformare ai secondi e a so-stituirli con questi. Una tale spiegazione è l’unica che regga quando gli schemi si convertono in concetti.

In generale, comunque, gli schemi che si formano agli inizi sono sempre molto strettamente legati alle situazioni specifiche esperite e alle percezioni immediate. Questo vale tanto per gli schemi individuali quanto per quelli sociali. Pertanto, più sono primitivi più corrispondono a situazioni circoscritte e danno luogo a forme di pensiero limitate. Poi progressivamente diven-tano sempre più generali e astratti, dando all’organizzazione del pensiero la capacità di abbracciare ambiti di esperienza sempre più ampi e di conseguire conoscenze sempre più ricche e artico-late.

L’intero processo descrive come si forma e si sviluppa la mente. Anch’esso mostra che ciò avviene in dipendenza dei prodotti culturali che si impara via via a conoscere e a usare grazie alla condivisione della conoscenza sociale e alla parteci-pazione sociale ai loro usi.

I sistemi funzionali

Una proprietà fondamentale della conoscenza consiste nel fatto che essa è organizzata in forme precise reciprocamente connes-se da precise relazioni. Questo la rende organica e ne consente il funzionamento. È grazie a quella proprietà che si riescono a uti-lizzare tanto le parole quanto le nozioni di qualunque tipo per formare le frasi e i discorsi con le prime e i pensieri con le se-conde. Inoltre, si riesce a farlo con una certa intercambiabilità e

Page 57: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 57

conversione reciproca tra le varie parole e tra le varie nozioni disponibili.

Questa natura delle conoscenze sia linguistiche sia generali viene espressa indicando che si tratta di sistemi funzionali. Il concetto è stato formulato nell’ambito della teoria psicologica nota come «Teoria dell’Attività» (Vygotskij 1973, 1974, 1987 e 1992, Leontjev 1976 e 1977, Lurija 1971, 1974 e 1976, Luria e Yudovich 1975, Cavallini 2005b).

Un sistema funzionale è caratterizzato dall’essere costituito di un complesso di operazioni: cioè di azioni materiali o mentali interconnesse in modo tale da assumere ciascuna significato in funzione delle altre. Servendosi di un sistema funzionale nel-l’attuare un comportamento, questo ne ricalca l’organizzazione, così che si svolge come se fosse il sistema funzionale utilizzato a realizzarlo automaticamente.

Usualmente si esprime in maniera abbreviata questo feno-meno dicendo che i sistemi funzionali sono tali in quanto fun-zionano autonomamente. In realtà un sistema funzionale è una forma di organizzazione di atti compiuti in passato la quale ser-ve ora da modello per compierne di nuovi dello stesso tipo. Quel modello di per sé è inattivo. Ad attivarlo è sempre l’intervento di un attore che lo replica con il proprio comporta-mento, anche solo mentale, nell’atto stesso di agire o solo men-talmente o anche materialmente secondo quel modello.

Si possono fare esempi del genere di qualcuno che esegue un brano musicale seguendo uno spartito o il ricordo di questo o di precedenti esecuzioni, il far di conto applicando la tavola pita-gorica e gli algoritmi delle operazioni aritmetiche o algebriche, ma anche il semplice più frequente parlare in base alle abitudini linguistiche che ricalcano gli algoritmi formalizzati dalla grammatica.

Più sinteticamente, qualunque comportamento che rispetti i criteri culturali di condotta è tale in quanto è attuato secondo dei sistemi funzionali, vale a dire dei modi tipici di comportarsi prestabiliti e riconosciuti. Di norma si agisce così senza pensar-ci, scegliendo e applicando i sistemi funzionali inconsapevol-mente. Solo di fronte a delle difficoltà o a delle situazioni parti-

Page 58: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 58

colarmente impegnative capita che ci si fermi a riflettere per in-dividuare qual è la procedura adatta e come funziona, cioè come si fa ad applicarla.

Una simile procedura, come qualunque altra, è un sistema di operazioni coordinate, o un sistema di tali sistemi, già noti e perciò utili per organizzare nella maniera più rapida, sicura ed efficace il comportamento che vogliamo.

Di conseguenza, lo è ogni frase e ogni discorso, ogni attività sufficientemente organica da soddisfare uno scopo, ogni pensie-ro e ogni atto di conoscenza. Gli schemi e i concetti sono siste-mi funzionali. Lo è tutta la conoscenza, in quanto può esistere solo organizzata in categorie e in operazioni interconnesse, in quanto la sua elaborazione può avvenire solo riproducendo le funzioni connesse a queste, e in quanto il suo uso guida a riatti-vare tale funzionalità. L’interiorizzazione

Si impara a usare i sistemi funzionali percependo come si com-portano le persone attorno a noi, e principalmente unendosi ai loro comportamenti, cercando di conformarvisi e di imitarli, ri-petendone certi modi e forme organizzative.

Si arriva a riconoscere e ad assumere come propri tutti questi riferimenti, di fatto applicando i relativi sistemi funzionali o delle loro componenti, molto prima di riconoscerli in quanto tali quali entità a sé stanti o comunque definibili come contenuti au-tonomi di conoscenza. In altri termini, i sistemi funzionali ven-gono attivati e appresi sul piano pratico dello svolgimento di at-tività sostenute dalla loro organizzazione e dal loro funziona-mento, molto prima di diventare capaci di capire il significato delle rappresentazioni simboliche di essi e di rappresentarseli con il pensiero astratto.

Si è più o meno sempre notato che gli aspetti concreti opera-tivi e percettivi intervengono nella conoscenza e nell’appren-dimento prima di quelli simbolici astratti. Lo si è teorizzato nel-la pedagogia moderna, raccomandando di adeguarvi l’educazio-

Page 59: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 59

ne e l’insegnamento. Ma in maniera più analitica e meglio so-stenuta da dati sperimentali lo si è indicato in psicologia come uno dei tratti salienti dello sviluppo cognitivo (Piaget 1952 e 1968, Bruner et al. 1973, Nelson 1985, 1986 e 2002).

Questo dipende appunto dal ruolo che svolge la natura dei sistemi funzionali nel processo del loro riconoscimento progres-sivo che fa evolvere le capacità cognitive dal piano percettivo a quello rappresentativo astratto. Il fatto è che i sistemi funzionali non esistono quali entità autonome isolate. Essi prendono forma solo in qualità di sequenze di azioni svolte nell’attuare i com-portamenti, che sono le uniche realtà osservabili direttamente.

Anche quando i sistemi funzionali vengono fatti oggetto specifico di insegnamento o di riflessione, essi assumono consi-stenza solo come forme delle relative attività e discorsi di chi li insegna o riflette su di essi. Anche a considerarli quali prodotti, questi vanno pur sempre attivati come forme delle attività ri-flessive retrospettive che li contemplano sotto quel profilo, o delle corrispondenti attività didattiche e di apprendimento.

Perciò il ruolo dei sistemi funzionali nel determinare lo svi-luppo cognitivo è sfuggito tanto a lungo. A parte il caso della teoria dell’attività, solo ora, in virtù della conoscenza che si sta acquisendo di questa, si è messi in grado di capire come si svol-ge quel ruolo.

In psicologia viene definito interiorizzazione il processo con il quale qualcosa di esistente nell’ambiente esterno viene reso parte del pensiero degli individui. Nella teoria dell’attività l’interiorizzazione riguarda i sistemi funzionali.

In realtà nulla viene interiorizzato nel senso stretto del ter-mine, che farebbe credere che qualcosa venisse trasferito dall’e-sterno all’interno delle menti. Queste non esistono finché non si sono a mano a mano formate giusto modellando in conformità ai sistemi funzionali disponibili nella cultura l’attività neuronale produttrice del pensiero.

Di conseguenza i sistemi funzionali non vengono travasati nelle menti prendendoli dal di fuori. Semplicemente, venendo coinvolti in interazioni organizzate sulla falsariga dei sistemi funzionali nell’ambito delle quali per lo più sono diretti da in-

Page 60: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 60

terlocutori più competenti di loro, gli individui in crescita sono stimolati e guidati a conformare anche i propri comportamenti a quelli che osservano e a cui partecipano. In tal modo li confor-mano pure ai sistemi funzionali espressi dai comportamenti imi-tati o in qualunque forma e misura ripresi nei propri, e si abi-tuano a farlo.

Parlare di interiorizzazione equivale dunque a servirsi di una metafora. Il processo effettivo consiste nell’organizzare le pro-prie attività mentali e operative in conformità a modelli esterni. Si tratta di un processo il cui nucleo essenziale si svolge tutto interiormente e che produce effetti interiori. Non di meno esso si attua solo attraverso interazioni con l’ambiente e necessita di riferimenti esterni, con le loro proprietà e i loro modi specifici di venir fatti funzionare, quali modelli delle categorie e delle operazioni che costituiscono quel processo.

Lo sviluppo cognitivo è dato dalla conservazione da parte dei singoli delle modalità di azione mentale così esperite e ap-prese, e delle forme organizzative e operatorie che le caratteriz-zano. Questo comporta che i sistemi funzionali fungono da or-ganizzatori del pensiero di quanti li interiorizzano, apportando-gli le proprie qualità categorizzatrici e operatorie nella misura e a seconda dei modi in cui vengono interiorizzati. Codici elaborati e codici ristretti

Contrariamente a quel che induce a credere la difficoltà di per-cepirli e di coglierne la portata ai fini dello sviluppo cognitivo, sono i sistemi funzionali interiorizzati a formare le facoltà psi-cologiche e a fornirne le proprietà.

Le capacità di pensare delle persone dipendono fondamen-talmente dalle qualità dei sistemi funzionali che esse hanno in-teriorizzato, oltre che da come li hanno interiorizzati, e cioè da come sanno servirsene e da come concepiscono le categorie e le operazioni mentali che vi corrispondono.

Maggiore è il numero dei sistemi interiorizzati e più ricca è la loro articolazione interna, maggiore è il numero dei tipi di ca-

Page 61: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 61

tegorie e di operazioni che coloro che li possiedono sono messi in grado di stabilire e di svolgere, e superiore è la finezza di tali categorie e operazioni. Maggiore è il rigore con cui sono stati definiti i sistemi funzionali e gli elementi che li compongono, più sono precisi i pensieri che sostengono. Più i sistemi interio-rizzati hanno natura astratta e portata generale, più ampi risulta-no gli ambiti di conoscenza che si riesce ad affrontare, venendo resi capaci di collegare contenuti che altrimenti apparirebbero privi di relazioni reciproche.

La misura in cui i sistemi funzionali possiedono le proprietà indicate contraddistingue i diversi schemi e fa distinguere reci-procamente quelli di un medesimo tipo. Ma, soprattutto, fa con-trapporre gli schemi ai concetti. I concetti, infatti, sono netta-mente superiori agli schemi e si caratterizzano come sostanzial-mente diversi da essi sotto questo profilo.

Sebbene i concetti derivino pur sempre da schemi, questi so-no convertiti in concetti solo quando sono portati al massimo dell’articolazione, del rigore, della generalità e astrattezza. Quando tale elaborazione è stata compiuta quelli che ne risulta-no non sono più schemi bensì concetti.

Le differenze tra i due tipi di categorie e tra le loro rispettive proprietà danno luogo a distinte possibilità dei rispettivi funzio-namenti e di conseguenza a distinte potenzialità di organizzare il pensiero. Simili differenze sono espresse emblematicamente dalle nozioni sociolinguistiche di «codice ristretto» e di «codice elaborato» (Bernstein 1973).

Il codice ristretto coincide con una lingua povera, attuata in forme rudimentali scarsamente differenziate e perciò generiche, poco organizzata e perciò inadatta a favorire i controlli di coeren-za dei discorsi, vincolata all’immediatezza percettiva e priva di consistenti capacità di astrazione e di generalizzazione (Bernstein 1969, 1971 e 1973). Giusto all’opposto, la dizione di codice ela-borato definisce una lingua ricca, attuata in forme altamente dif-ferenziate e precise, molto flessibile, ben organizzata e perciò a-datta a favorire i controlli di coerenza dei discorsi, svincolata dal-l’immediatezza percettiva e basata in larga misura su costruzioni astratte e su generalizzazioni (Bernstein 1969, 1971 e 1973).

Page 62: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 62

Ovviamente le due dizioni indicano costrutti teorici utili a guidare le analisi degli studiosi contrapponendo due estremi i-deali delle abitudini linguistiche reali, che si collocano sempre in qualche intervallo intermedio della retta immaginaria che col-lega quei due estremi. Le capacità linguistiche effettive tanto di ciascun individuo quanto di singole comunità di parlanti caratte-rizzate dalla maggiore prossimità all’uno o all’altro degli estre-mi mostreranno sempre nel concreto una qualche sovrapposi-zione dei diversi tratti citati e delle proporzioni varie di ricorso a essi.

Nondimeno, l’utilità scientifica dei due concetti consiste nel fatto che essi mettono in evidenza in forme perspicue proprietà che caratterizzano, più ancora che capacità linguistiche, capaci-tà di pensiero. E infatti vi ci si è riferiti qui principalmente sotto questo profilo, indicando nel codice ristretto e in quello elabora-to solo due esempi salienti sintetici delle proprietà mentali pro-dotte dall’interiorizzazione dei sistemi funzionali. Queste pro-prietà si distribuiscono su un ampio ventaglio in relazione ai tipi di sistemi funzionali coinvolti. L’interiorizzazione della cultura ambientale

Ciascun individuo nel corso della sua evoluzione partecipa di norma in varia misura a una molteplicità di ambienti sociali quali la famiglia, il vicinato, la scuola, centri di svago, eventuali associazioni e luoghi di ritrovo. Tutti questi ambienti sono in genere caratterizzati in forme loro tipiche da comunicazioni sia linguistiche sia legate ad altri linguaggi, e dallo svolgimento di attività conoscitive. Inoltre, libri, giornali, televisione, opere d’arte o loro riproduzioni concorrono a creare ambienti culturali all’interno delle famiglie, alcuni certamente su scala generale e in larga misura, altri più raramente e con presenza più ridotta in dipendenza da ragioni economiche oltre che culturali.

Tutti questi mezzi veicolano dei sistemi funzionali favoren-done l’interiorizzazione da parte degli interessati. Questa espo-sizione variegata ai sistemi funzionali ha per effetto la sovrap-

Page 63: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 63

posizione delle realtà e dei modi culturali che si determinano nell’ambito sociale, dando luogo a interferenze sia costruttive sia distruttive tra culture e tra aspetti culturali le quali si riflet-tono nella formazione dei singoli, oltre che nelle abitudini dei gruppi.

L’affermazione corrisponde alla constatazione ovvia che o-gni persona nella sua crescita e nella sua intera vita acquisisce dagli ambienti che frequenta e dalle attività di qualunque tipo che svolge delle conoscenze, degli strumenti di conoscenza e delle abitudini conoscitive che condizionano via via il suo svi-luppo cognitivo e le sue caratteristiche psicologiche.

Quel condizionamento sarà per certi versi positivo, mentre per altri potrà risultare negativo. Infatti, data la molteplicità del-le fonti di influenza, si determinano inevitabilmente sovrapposi-zioni e interferenze tra tutte le acquisizioni effettuate, e tra i processi tanto di loro rielaborazione quanto di elaborazioni nuove originali che possono conseguirne. Così, in linea di mas-sima certe acquisizioni e certi sviluppi mentali favoriranno per ciascun individuo le sue capacità di interagire con gli ambienti fisici, sociali e culturali che via via incontrerà; mentre altre ac-quisizioni e altri sviluppi potranno risultare contrastanti con le caratteristiche e le richieste proprie di questi, coincidendo con abitudini mentali che creano ostacoli a capirle, ad accettarle e a conformarvisi. L’intelligenza nei sistemi cognitivi

Si è già accennato alla fusione tra le componenti emotivo–affettive e quelle intellettive in senso stretto. Entrambe agiscono le une sulle altre con influenze positive o negative per le perso-nalità. Pertanto anche nella capacità o nell’incapacità di com-prendere le situazioni e di inserirvisi produttivamente rientrano componenti emotivo–affettive oltre che abilità cognitive in sen-so stretto.

In sociologia dell’educazione è stato constatato che la cultu-ra parentale esercita i propri effetti nel formare le capacità co-

Page 64: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 64

gnitive e comportamentali da una generazione all’altra per più generazioni. Vi si parla di «capitale culturale» e di «eredità cul-turale» per indicare il sistema di atteggiamenti, di valori, di idee e di forme di sensibilità che ogni famiglia trasmette ai figli, sia inconsapevolmente e indirettamente con i propri modi di fare che fungono da modelli per loro, sia consapevolmente e diret-tamente, con gli ammaestramenti intenzionali espliciti (Bour-dieu 1972).

Una tale trasmissione modella ovviamente in maniera unita-ria tanto l’emotività e l’affettività quanto l’intelligenza intesa in accezione strettamente intellettuale. Del resto, entrambe le sfere — emotivo–affettiva e intellettuale — fungono da strumenti dei processi cognitivi e delle capacità comportamentali complessi-vi. E infatti Bourdieu parla di «gusto» e di «buon gusto» per sintetizzare l’insieme delle qualità intellettuali intese con il con-cetto di capitale culturale. Inoltre, egli come tutti i sociologi che si sono occupati di formazione umana, considera la lingua par-lata nell'ambiente familiare il fattore principale dello sviluppo intellettuale (ivi, pp. 140–141).

La natura di sistema funzionale della lingua è più evidente e si coglie più facilmente che non quella corrispondente delle strutture emotivo–affettive soggiacenti ai comportamenti, e dei modelli che questi costituiscono sotto il profilo emotivo–affettivo. Perciò il richiamo della sociologia dell’educazione al ruolo formativo privilegiato della lingua rende più esplicito co-me a determinare le facoltà psicologiche sia l’interiorizzazione dei sistemi funzionali. Ma, in realtà, anche i modelli di compor-tamento emotivo–affettivo costituiscono dei sistemi funzionali che intervengono a orientare e a strutturare le personalità e le capacità cognitive generali.

L’intera cultura, tutto ciò che manifesta influenze culturali e si presenta come espressione di cultura, ha il carattere di siste-ma funzionale e di organizzatore cognitivo e comportamentale. Ogni elemento di quel genere concorre a formare le qualità u-mane.

La chiarificazione più acuta di questo che si trovi in letteratu-ra è la teoria secondo la quale l’intelligenza è all’origine una

Page 65: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

L’organizzazione culturale della conoscenza 65

proprietà dei sistemi conoscitivi e non degli individui (Olson 1979). Per sistemi conoscitivi intendo le organizzazioni omoge-nee di mezzi culturali, reciprocamente distinte, con le quali si at-tuano le operazioni mentali dando loro forme specifiche e fun-zionamenti organici. Tali sono tutti i linguaggi in tutte le loro va-rietà culturali, da quelli verbali delle diverse lingue a quelli, anch’essi tipizzati da una cultura all’altra, gestuali, grafici, pit-torici, plastici, architettonici, musicali, matematici nelle diverse specializzazioni aritmetica, algebrica, geometrica, e così via.

Altrettanto rilevanti, e di effetto formativo specifico unico e fondamentale non meno di quello dei linguaggi teorici, sono i linguaggi operativi creati, trasmessi e utilizzati nelle attività pratiche quali modi e mezzi di svolgerle in forme precise e or-ganiche indispensabili per realizzarle al meglio. Olson mette in evidenza questo aspetto citando il caso di abilissimi intagliatori del legno che si sono dimostrati incapaci di connettere due assi ad angolo retto (ibidem). Il sistema funzionale indispensabile per compiere quell’operazione è l’insieme sia del concetto di angolo retto sia degli altri concetti geometrici e metrici euclidei ai quali quello è connesso e la cui conoscenza risulta essenziale per dominarlo e servirsene.

L’operazione indicata è apparentemente semplicissima. Ma lo è per noi, per quanti conoscono la geometria euclidea o i cri-teri e le tecniche operativi corrispondenti di misurazione degli angoli. Per chi non possiede queste conoscenze si tratta di un’operazione impossibile.

Non possedere le conoscenze indispensabili per realizzarla e addirittura per capirne la natura e il significato vuol dire non a-vere interiorizzato i corrispondenti sistemi funzionali. L’intelli-genza necessaria per compiere l’operazione, che quando questa viene eseguita sembra risiedere nella mente di chi la realizza, si rivela così invece insita prima di tutto in quei sistemi. Solo di conseguenza può diventare una proprietà di individui. Solo gra-zie all’interiorizzazione dei sistemi funzionali implicati si for-mano le corrispondenti capacità degli individui che indichiamo sinteticamente e genericamente con i termini di «intelligenza», di «abilità», di «competenza» e simili.

Page 66: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo III 66

L’esempio va generalizzato riguardo a qualunque facoltà e qualità umana. Tutte queste riflettono proprietà culturali. Per tutte, prima che si formino ne esistono dei modelli, degli ele-menti e dei riferimenti nelle culture di appartenenza degli indi-vidui che poi le sviluppano. E questi le sviluppano solo in con-seguenza dell’interiorizzazione di sistemi funzionali, che ne or-ganizzano i comportamenti, provocando così la formazione dei loro modi di essere, di sentire, di pensare e di agire.

Secondo la precisazione di Kaye (1989), gli individui della nostra specie alla nascita sono esseri umani solo dal punto di vi-sta biologico; ma non sono ancora persone. Le diventano solo con la socializzazione.

Il discorso assume una specifica valenza riguardo allo svi-luppo delle capacità di attribuire significati. Il mondo non ha si-gnificati di per sé. Li riceve da chi è capace di attribuirglieli, e tale capacità deriva dall’essersi impossessati di conoscenze o si-stemi funzionali che formano e strutturano le facoltà psicologi-che. I significati che si attribuiscono esprimono la cultura di cui ci si è impadroniti, che fa da sfondo all’attività dell’attribuzione di significati ed è il complesso dei riferimenti imprescindibili per poterli stabilire.

I significati sono storici e culturali, prima e ancora più di es-sere psicologici e personali.

I significati sono storici e culturali, prima e ancora più di es-sere atemporalmente naturali, oggettivi e imposti sul piano fisico, poiché si stabiliscono con le interazioni, senza che pos-sano appartenere ai soli oggetti più di quanto potrebbero appar-tenere ai soli soggetti. In quanto poi alla loro componente data da questi, anche già nella stessa organizzazione percettiva degli stimoli sensoriali e nello stesso riconoscimento delle proprietà fisiche, essa si determina sulla base del riferimento a sistemi funzionali e la richiede come essenziale.

Page 67: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

67

La funzione dei modelli nella conoscenza Livelli mentali

La teoria di Olson precisa la comprensione di fenomeni che erano già stati osservati da tempo in psicologia. In specifico, essa ap-profondisce la concezione secondo la quale lo sviluppo cognitivo procede dalle abilità connesse alle attività operative a quelle insi-te nell’uso delle rappresentazioni figurative a quelle proprie delle rappresentazioni attuate con i segni astratti (Bruner et al. 1973).

Bruner aveva chiamato questi tre livelli rispettivamente ese-

cutivo, iconico e simbolico. Il loro significato nella descrizione delle qualità del pensiero e della loro evoluzione consisteva co-munque nel porre in evidenza appunto la progressione dalla sua contestualizzazione nel piano percettivo al suo passaggio alla raffigurazione mediante immagini materiali o mentali e infine al suo articolarsi nei segni astratti. Il punto essenziale di questa analisi è che rimarca delle specifiche trasformazioni mentali che si attuano nei rispettivi passaggi.

Il pensiero operativo resta molto circoscritto a singole situa-zioni per il fatto di essere soggetto ai vincoli della concretezza percettiva e alla frammentarietà espisodica delle esperienze immediate. A questo livello materiale le esperienze e le azioni vengono svolte necessariamente in sequenze che distanziano nel tempo ed eventualmente anche nello spazio i loro diversi mo-menti, ostacolandone una comprensione unitaria.

Le rappresentazioni per immagini incominciano a svincolare il pensiero dai limiti delle singole situazioni percepite diretta-mente, consentendo di considerarle quasi come se fossero si-multanee e spazialmente compresenti. Ciò favorisce l’indivi-duazione delle loro eventuali reciproche relazioni e dei loro e-ventuali tratti comuni al di della singolarità di ciascuna e della loro varietà complessiva. Ne risultano quindi visioni più ampie e organiche, maggiormente tendenti alle generalizzazioni e alle astrazioni, rispetto alle visioni tipiche del livello concreto.

Page 68: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

68

Infine, quando il pensiero viene attuato servendosi di segni completamente privi di legami percettivi con i contenuti rappre-sentati si possono realizzare le generalizzazioni e le astrazioni piene. Solo allora si producono le classi logiche strettamente in-tese, cioè corrispondenti a quelle definite con la logica formale.

Anche Piaget, che è stato l’autore più influente nell’ambito della psicologia cognitivistica occidentale, concepiva lo svilup-po del pensiero come caratterizzato da stadi che procedono dal-la concretezza della sensomotricità e delle operazioni legate a oggetti materiali o a immagini di tipo figurativo anche solo mentali, all’astrattezza del pensiero logico formale o proposi-zionale (Piaget 1952 e 1968).

Vi è comunque una differenza fondamentale tra le posizioni di Piaget e di Bruner da una parte e quella di Olson dall’altra. I primi continuano a concepire le caratteristiche del pensiero co-me insite nel funzionamento mentale degli individui. Il secondo ritiene invece che si tratti originariamente di proprietà dei si-stemi culturali e delle tecniche prevalentemente utilizzate nelle singole culture e nei diversi ambienti sociali. Solo in un secon-do momento, in seguito all’interiorizzazione da parte degli indi-vidui delle rispettive forme di organizzazione cognitiva, quelle proprietà vengono trasferite — più esattamente vengono repli-cate — nel pensiero di cui questi diventano via via capaci. Solo così esse contribuiscono a formare le facoltà psicologiche per-sonali, plasmandole sulla falsariga delle attività svolte.

Questa interpretazione della formazione delle facoltà psico-logiche e del funzionamento dei processi cognitivi riveste la massima importanza per spiegare in generale come capiamo, e in particolare come lo facciamo attribuendo dei significati ai contenuti delle interazioni. Amplificatori e costituenti cognitivi

L’essenza della teoria di Olson richiamata è che l’intelligenza si forma in origine con la creazione e lo sviluppo dei sistemi di conoscenza (che egli definisce «media» o «ambienti») e coinci-

Page 69: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

69

de innanzitutto con la loro funzionalità. Più e meglio un tale si-stema mette in grado di svolgere un determinato tipo di attività — registrare conoscenza in modo cumulativo e ritrovarla a pia-cere, rappresentarla, comunicarla, esprimere idee e sentimenti, costruire oggetti, ampliare e affinare le qualità personali quali la piacevolezza del canto o la destrezza fisica, e così via — più e-levata è la sua funzionalità.

Quest’ultima può essere allora considerata una forma di in-telligenza, e in ogni caso rende effettivamente più capaci, cioè intelligenti, coloro che se ne servono. In tal senso l’intelligenza degli individui è un prodotto secondario che si costituisce a mi-sura della quantità e della qualità degli elementi dei sistemi di conoscenza interiorizzati, ed è conseguente a questa interioriz-zazione e all’intelligenza primaria originaria insita in quelli.

Con la teoria di Olson, ai fini della spiegazione della natura e dello sviluppo dell’intelligenza l’attenzione si sposta definiti-vamente dalle proprietà endogene degli individui, dalla loro biologia e dalla loro dotazione innata, alle proprietà delle cultu-re e delle loro tecniche di conoscenza–comunicazione.

Le tecniche di conoscenza sono l’insieme degli strumenti e dei modi con i quali si conosce. Vale a dire sono le forme e le operazioni che consentono di fissare le conoscenze, di renderle riconoscibili, comunicabili, utilizzabili, collegabili mediante re-lazioni, rielaborabili. In sintesi, le tecniche di conoscenza coin-cidono con le possibilità e le capacità di pensare, mentre cia-scun tipo omogeneo dei loro strumenti costituisce un media o “ambiente” o sistema cognitivo quali appunto quelli della lin-gua, del disegno, della musica, della danza, dell’atletica, delle arti e mestieri, delle specializzazioni operative quotidiane.

Bruner definisce il complesso di tutte le conoscenze che vi rientrano, insieme agli utensili materiali che vi si accompagna-no, degli amplificatori protesici della mente, in quanto dotano questa di funzioni stabilite al suo esterno, nella cultura, o svolte al suo esterno, nelle azioni compiute dagli attrezzi o assicurate dai loro usi.

In realtà, la teoria di Olson porta a dire che le conoscenze fissate nella cultura e quelle prodotte dall’uso degli strumenti

Page 70: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

70

tramandati per via culturale o che scaturiscono dalle proprietà e dai funzionamenti di questi sono dei veri e propri costituenti della mente prima ancora che dei suoi prolungamenti e dei suoi amplificatori: che la mente non solo viene espansa ma invece si forma con esse.

La teoria di Olson rappresenta, così, il completamento di quella dell’attività originariamente proposta da Vygotskij (1974, 1987 e 1992).

A parte l’annosa diatriba di stampo filosofico e speculativo tra innatisti e ambientalisti, della quale si potrebbero rintraccia-re elementi precursori fin dall’antichità ad esempio nella con-vinzione dei greci che l’appartenenza alla loro cultura fosse es-senziale per raggiungere la piena umanità, la concezione innati-stica dell’intelligenza era già stata superata in psicologia prima di Olson. In particolare Piaget (1952, 1968, 1973a, 1973b, 1981 e 1983, Piaget e Inhelder 1971) spiegava la genesi dell’intelli-genza con le interazioni sensomotorie e con le loro coordinazio-ni. Le prime sarebbero sfociate per semplice processo naturale nella costituzione delle operazioni formali, mentre le seconde raggiungerebbero nella formazione dei gruppi operatori mate-matici il culmine della loro evoluzione fino all’astrazione piena.

Tuttavia, è stato soltanto con la teoria di Vygotskij della produzione delle strutture intrapsichiche (cioè individuali) per effetto dell’interiorizzazione di quelle interpsichiche (vale a dire interpersonali o sociali) che il centro dell’attenzione è diventata la cultura sociale. Questa è stata indicata da Vygotskij non solo quale fattore complementare della componente biologica dello sviluppo psicologico, ma quale unità di analisi fondamentale per spiegare le qualità mentali. Al contrario, nella teoria piage-tiana il ruolo della cultura sotto questo profilo era sostanzial-mente trascurato, dato che la formazione dell’intelligenza vi ve-niva attribuita alle proprietà dello spazio e degli oggetti materia-li, in interazione con la reattività biologica, intendendo tali pro-prietà come esclusivamente fisiche.

L’aver sostituito alle concezioni che mettevano al centro dell’analisi dello sviluppo mentale i processi endogeni dei sin-goli quella secondo la quale le facoltà umane sono essenzial-

Page 71: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

71

mente dei derivati delle culture costituisce una rivoluzione co-pernicana in psicologia. Essa risulta determinante per capire come si diventa capaci di attribuire significati ai contenuti di e-sperienza percettiva e mentale unicamente con il rifarsi a forme strutturali della conoscenza preesistenti.

Ovviamente, quelle alle quali si ricorre più frequentemente e più facilmente sono le forme abituali utilizzate da lungo tempo, perciò diventate automatiche e tali da non richiedere normal-mente di doverle cercare con sforzi più o meno prolungati, con dubbi e fatica. Altrettanto ovviamente, quelle più affidabili sono le forme convenzionali, in quanto appaiono garantite dal con-senso universale di lunga data. Miopia etnocentrica e storica

Il consenso universale di lunga data riguardo alle idee e ai modi di pensare induce facilmente a credere tanto che le une e gli altri siano insiti nella natura umana quanto che coincidano con la re-altà e con i suoi modi di essere e di accadere.

Che si intenda la natura umana nella chiave prettamente bio-logica o in quella di uno spiritualismo metafisico, ci si colloca comunque su un terreno irrilevante per la comprensione delle facoltà psicologiche, nel primo caso perché i processi mentali non si esauriscono nell’ambito biologico e non sono riducibili unicamente a fenomeni biologici, e nel secondo perché la me-tafisica si sottrae a qualunque possibilità di verifica scientifica.

Di conseguenza, il naturalismo che risulta dall’accettazione acritica delle abitudini e della conoscenza convenzionale, con una soggezione spinta fino al punto da ritenere le prime espres-sione diretta e immutabile della conformazione biologica e da confondere la seconda con la realtà cosmica stessa, poggia su basi di estrema fragilità.

Quel naturalismo crolla e si dissolve, rivelandosi pura fanta-sia, appena si esce dall’uniformità di una condizione esistenzia-le e conoscitiva in qualunque misura circoscritta, riuscendo a stabilire dei confronti con altri modi di vivere e di pensare.

Page 72: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

72

Per comunità circoscritte, i limiti che impediscono di con-frontare un sistema di vita e di idee con un altro derivano dal non sapere che esistono altre realtà comparabili (a parte il non tenerne conto pregiudizialmente). Per l’intera umanità, o per una sua parte che presuma di rappresentarla tutta riguardo alla tipicità della sua natura più significativa, come è accaduto per secoli agli strati sociali dominanti europei, quei limiti sono sto-rici, dovuti alla mancanza di esperienze e conoscenze ancora da venire.

In entrambi i casi, si è impediti a immaginare realtà alterna-tive sconosciute e spesso neppure concepite né ritenute conce-pibili.

La mancanza di possibilità di confronti culturali ostacola la comprensione della dipendenza dello sviluppo psicologico dalle qualità delle culture di appartenenza. Diventa allora difficile rendersi conto di come per conoscere qualunque cosa occorra possedere dei modelli mentali adatti a strutturarne la visione, o poter ricorrere a simili modelli disponibili nella cultura.

Nel corso del Novecento sono state condotte ricerche psicolo-giche di impostazione antropologica, note ormai come indagini cross–culturali o trans–culturali, che hanno reso evidente questo. Contrasti culturali delle capacità cognitive

All’inizio degli anni Trenta del Novecento Luria (1976) aveva raccolto una copiosa messe di dati che, insieme alle interpreta-zioni che seppe darne, documentano in maniera inequivocabile la dipendenza delle facoltà mentali degli individui dagli am-bienti culturali nei quali essi crescono e vivono, e dalle tecniche conoscitive proprie di tali ambienti. Lo ha fatto avendo potuto studiare una popolazione tradizionalmente analfabeta giusto nel momento storico in cui l’introduzione di scuole e di corsi di al-fabetizzazione stavano modificandone quella condizione. Ciò gli ha permesso di confrontare i modi di pensare emblematici da un lato degli analfabeti e dall’altro di quanti erano stati in qual-che misura alfabetizzati.

Page 73: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

73

Luria notò che, oltre all’alfabetizzazione, a incidere sulle modalità di pensiero intervenivano le condizioni di vita, a se-conda che fossero più legate ad attività rurali, artigianali e do-mestiche condotte a livello individuale o comunque sostanzial-mente prive di divisione del lavoro, o strutturate dalla pia-nificazione e dal coordinamento sociale in aziende agricole col-lettive.

La prima condizione non forniva stimoli alla decontestualiz-zazione delle idee, alla spersonalizzazione dei punti di vista, al-la generalizzazione e all’astrazione: tutti tratti invece promossi dalla seconda condizione. Il lavoro collettivo su vasta scala, sebbene non facesse raggiungere gli stessi risultati dell'i-struzione formale di tipo scolastico, agiva nella medesima dire-zione formando capacità di pensiero ipotetico e relativamente astratto.

In effetti, un’organizzazione razionalizzata in funzione di condizioni operative impersonali stimola la riflessione e la presa di coscienza mediante categorie e relazioni generali molto più di quanto possa farlo la partecipazione a modi di azione più le-gati alla percezione momentanea di situazioni di tipo circoscrit-to e ripetitive, nonché a rapporti strettamente personalizzati.

Le differenze riscontrate da Luria tra analfabeti e persone re-lativamente alfabetizzate si presentavano già a livello percetti-vo, ad esempio nell'identificazione di colori. Mentre le persone alfabetizzate la basavano su categorie corrispondenti ai comuni nomi di colore, donne analfabete, pur disponendo di fini capaci-tà discriminative per la lunga esperienza del ricamo, individua-vano le diverse sfumature come colori singoli, non riuniti o ac-comunabili in famiglie o segmenti convenzionali del continuo cromatico. Non erano cioè capaci di classificazioni astratte.

Le persone analfabete o scarsamente scolarizzate si dimo-stravano inoltre incapaci di fare o di seguire discorsi astratti e di comprendere ipotesi controfattuali, e si rifiutavano di ricono-scerne una qualche validità e sensatezza fino a ritenerli disdice-voli sotto il profilo morale.

Comportamenti analoghi riguardano le forme degli oggetti. Mentre studentesse dell'istituto pedagogico li catalogavano rifa-

Page 74: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

74

cendosi a quelle geometriche astratte, gli analfabeti si servivano di riferimenti concreti consistenti in oggetti noti di forma uguale o affine. Chiamavano ad esempio un oggetto circolare piatto, setaccio, secchio, orologio, luna; il triangolo tumar (un amuleto a forma triangolare); uno quadrato specchio, porta, casa, tavola.

Pure le capacità di considerare i vari oggetti in funzione di loro raggruppamenti risultavano molto diverse tra alfabetizzati e analfabeti. Questi ultimi ricorrevano a modelli concreti iden-tificando come uguali solo oggetti che presentavano delle somi-glianze percettive, quale il colore, o funzionali, quale la possibi-lità di usarli per un medesimo scopo o con una medesima fun-zione. Ad esempio, non riuscivano a considerare come apparte-nenti a una stessa categoria utensili diversi che per noi sono del-lo stesso tipo, poniamo da taglio o da percussione e così via, e-scludendone un unico di diverso tipo presentato insieme a essi. Anziché formare delle classi costruivano delle storie o delle si-tuazioni rispetto alle quali indicavano delle azioni realizzabili con gli oggetti citati. Chi, invece, ricorreva a modelli astratti coglieva in generale la somiglianza o meno degli oggetti in base al criterio di formazione delle relative classi logiche.

La modalità di aggregazione dei contenuti percettivi seguita dagli analfabeti è nota in psicologia come organizzazione “te-matica” e “funzionale” (Bruner et al. 1973). Essa è tipica di chi non ha interiorizzato i criteri di pensiero astratti riferiti alle clas-si logiche. Viene infatti riscontrata normalmente nei bambini non scolarizzati o non ancora sufficientemente scolarizzati.

I soggetti analfabeti studiati da Luria rivelavano i medesimi vincoli al piano percettivo mostrandosi incapaci di cogliere i nessi tra frasi distinte ma collegate così da costituire per noi la premessa maggiore e minore, e la conseguente, di un sillogi-smo. Pertanto, sfuggiva loro anche il contenuto logico com-plessivo, e quello stesso di ogni singola proposizione veniva di solito compreso male e alterato in mancanza del suo inquadra-mento nel discorso globale.

Altri dati raccolti con la medesima ricerca da Luria, che ha ispirato tutte quelle successive di confronto tra tipi di sviluppo cognitivo prodotti in culture reciprocamente diverse, portarono

Page 75: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

75

a conclusioni analoghe riguardo a svariati processi: astrazione e generalizzazione, ragionamento consequenziale, soluzione di problemi ipotetici, immaginazione e autocoscienza. Modellamento culturale dell’intera personalità Particolarmente significativo è che gli analfabeti studiati da Lu-ria considerassero sconvenienti operazioni che trovavano su-perflue o addirittura insensate, come dare definizioni e ipo-tizzare condizioni astratte prive di riferimenti esperienziali o perfino in contrasto con essi. Il presupposto era che le cose si sanno o non si sanno: se si sanno e si vedono (che fa lo stesso), non c'è alcun bisogno di parlarne; se non si sanno e non si pos-sono sperimentare, parlarne sarebbe stoltezza intollerabile.

Si tratta di un atteggiamento anch’esso molto diffuso nella nostra cultura tra i bambini più piccoli e tra gli individui — sia bambini sia adulti — meno acculturati che ancora non ne hanno interiorizzato le procedure ipotetiche o non le dominano a sufficienza: per loro le cose son quel che sono perché sono così e basta, non c'è che constatarle, e proprio nulla da precisare o da aggiungere. Vale a dire che sfugge loro che i dati percettivi so-no integrati dalle rappresentazioni mentali, diventando si-gnificativi solo in rapporto a queste.

In particolare sfugge loro che in base ai medesimi dati si possono percepire e concepire cose diverse perché si possono strutturare i dati secondo modelli diversi e con costruzioni ipo-tetiche diverse. Da parte dei soggetti indicati non vi è ovvia-mente alcuna consapevolezza del fatto che le modalità e le cate-gorie delle costruzioni ipotetiche seguono in larga misura criteri linguistici.

L’atteggiamento citato indica che l'influenza degli organiz-zatori culturali si esercita sull'intera sfera mentale e sull'intero orientamento esistenziale delle persone, e non soltanto sui pro-cessi di solito considerati più squisitamente conoscitivi nell’accezione più ristretta riferita al solo ragionamento. I vin-coli culturali che determinano il pensiero non solo rendono i-

Page 76: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

76

naccessibile quello ipotetico decontestualizzato e la sua poten-za nel travalicare l'esperienza diretta, ma ancor più fon-damentalmente fissano la dipendenza da questa con condizio-namenti emotivi, oltre che con quelli ideativi, e la radicano nella sfera affettiva.

Ricerche successive a quella di Luria ne hanno confermato i dati e la sua interpretazione (Bruner et al. 1973, Scribner e Cole 1981).

Quelle guidate da Bruner sono state condotte con bambini statunitensi (tra cui degli eschimesi), messicani e senegalesi, studiando comparativamente l'influenza sul loro sviluppo cogni-tivo della vita cittadina o rurale, della scolarizzazione, e del pos-sesso o meno di una lingua tipica di una cultura tecnologica-mente avanzata. La conclusione fondamentale è stata che sono l’insegnamento formale e l’introduzione a una lingua “elabora-ta” che esso attua a promuovere il pensiero formale astratto o proposizionale.

La ricerca svolta da Scribner e Cole, come già quella di Lu-ria, ha indagato le caratteristiche cognitive di adulti, sia analfa-beti sia alfabetizzati. I dati raccolti in questo caso sono risultati meno netti e sicuri, perché le condizioni di vita anche dei sog-getti analfabeti studiati erano ormai più o meno diffusamente e più o meno profondamente contaminate da pratiche operative e da modi di parlare e di pensare legate alla scrittura e introdotte informalmente nei loro ambienti — per quanto privi dell’inse-gnamento formale istituzionalizzato della scrittura — dagli al-fabetizzati.

Tuttavia, pur con questi limiti, le caratteristiche cognitive fondamentali riscontrate tra gli analfabeti totali o parziali sono risultate dello stesso tipo di quelle messe in evidenza tanto da Luria quanto da Bruner. Modelli mentali forniti dalla scolarizzazione Il fattore rivelatosi fondamentale in tutti i casi considerati è la qualità delle pratiche linguistiche.

Page 77: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

77

La scolarizzazione è risultata determinante nell’abituare le persone, su vasta scala, a usare la lingua “elaborata” tipica degli ambienti culturali caratterizzati da una diffusa presenza delle pratiche e delle conoscenze in qualche modo derivate dalla scienza o dalle procedure della ricerca razionale. Del resto è e-vidente che l’istruzione scolastica familiarizza non solo con de-terminati usi linguistici, particolarmente quelli della lingua scritta, ma anche, sia pure a diversi livelli di ampiezza e di pro-fondità a seconda dei gradi e degli orientamenti scolastici, con conoscenze e modelli di espressione e di pensiero tipici della scienza e della letteratura colta.

Siamo di nuovo al tema che il pensiero non si svolge nel vuo-to e senza contenuti. E nemmeno la lingua, che esprime il pen-siero e gli dà forma, è priva di contenuti, né viene appresa in tota-le indipendenza da questi, con la loro totale esclusione. L’insegnamento scolastico verte tanto su processi di pensiero e su operazioni mentali scientifiche o anche solo razionali formali quanto su espressioni e forme linguistiche tipiche del discorso scientifico e di quello razionale formale. Tali espressioni e forme espressive, e tali processi e operazioni, vengono trasmessi insie-me alle nozioni tradizionalmente concepite quali loro contenuti.

Considerare le nozioni come contenuti isolati avulsi dai pro-cessi con cui vengono trattate, comunicate e apprese costituisce solo un’astrazione dell’analisi teoretica che non ha niente di corrispondente nella realtà della comunicazione, dell’insegna-mento e dell’apprendimento. Tutti gli aspetti e i fattori coinvolti in queste pratiche costituiscono a pari titolo delle conoscenze. Tutte rientrano ugualmente nella formazione. Tutte diventano parte costitutiva delle menti di quanti le interiorizzano.

Nel loro complesso, tutte le conoscenze apprese forniscono dei modelli cognitivi che entrano nella dotazione mentale degli interessati. La capacità o l’incapacità già viste di servirsi delle forme geometriche quali termini di classificazione degli oggetti e delle figure sono un esempio tanto delle differenze di modi di percepire e di concepire prodotte dalla disponibilità o meno di simili modelli quanto della corrispondente influenza dei modelli forniti dalla cultura scientifica.

Page 78: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

78

In generale, i modelli mentali che si formano per effetto dell’istruzione scolastica sono caratterizzati da qualità più pros-sime a quelle dei concetti che a quelle degli schemi, e anche quando costituiscono schemi tendono a esserlo del tipo più a-stratto, contrassegnano più dei significati che dei sensi.

Ciò vale per i modelli legati alla lingua; ma vale altrettanto per quelli connessi a tutti i linguaggi: anche quelli artificiali del-le matematiche e specifici delle singole discipline.

Concentrare l’attenzione principalmente sulla lingua è giu-stificato sia dalla sua infinitamente maggiore pervasività rispetto agli altri linguaggi in tutte le sfere della conoscenza e in tutte le situazioni, sia dalla sua estensione e complessità quale sistema di comunicazione e di organizzazione, che la contraddistingue come unica.

L’esame delle differenze tra diversi tipi di lingua, conside-rati in quanto organizzatori cognitivi, ha il suo riferimento fondamentale nei livelli di analisi e di sintesi che ciascun tipo consente.

La scolarizzazione abitua a usare la lingua in situazioni de-contestualizzate rispetto ai contenuti espressi per via linguistica, così che i significati che nelle comunicazioni contestualizzate sono in una certa misura indicati dalla condivisione delle perce-zioni e dell’esperienza non linguistica vengono a mancare, co-stringendo a riferirsi unicamente agli enunciati per afferrarli. L’istruzione scolastica spinge quindi all’attenta analisi dei di-scorsi e delle costruzioni linguistiche, e abitua a basare la co-municazione, la comprensione e il pensiero anche puramente in-teriore su queste, in forme relativamente decontestualizzate a-stratte e impersonali.

La lingua “elaborata” tipicamente introdotta dalla scuola per la generalità della popolazione incide particolarmente sulla formazione intellettuale dei bambini dei ceti sociali deprivati dal punto di vista culturale, nella misura in cui essi non hanno altre occasioni di incontrarla e di apprenderla. Questo vale al di là del fatto scientificamente documentato che la cultura scolasti-ca rende molto di più ai coetanei delle classi culturalmente av-vantaggiati perché i suoi modi, le sue forme e le condizioni in

Page 79: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

79

cui viene esercitata sono loro più familiari, essi la conoscono già o la riconoscono e se ne appropriano più facilmente.

Quando è interiorizzata, la lingua funziona come strumento complementarmente sia di analisi sia di sintesi. Il suo lessico suddivide e articola la concezione del mondo nelle idee dei vari oggetti, qualità, azioni, relazioni e modi corrispondenti ai so-stantivi, aggettivi, verbi, connettivi logici e avverbi. Le strutture grammaticali della lingua consentono di riunire le idee di tutti tali contenuti e aspetti di pensiero, che vengono intesi come contenuti reali e aspetti propri della realtà, in visioni unitarie e in sintesi, e forniscono la logica delle relative elaborazioni. Sia il lessico sia la grammatica abbracciano diversi livelli di genera-lità, ed esprimono e suggeriscono distinzioni e dipendenze co-me quelle tra classi e sottoclassi; tra funzioni reciproche di si-tuazioni, oggetti e azioni; tra tempi degli eventi e delle azioni; tra aree tematiche e domini di conoscenza per certi versi distinti e per altri intrecciati.

In sostanza, la lingua esprime e suggerisce le immagini rela-tive alle connessioni tra totalità e parti di discorso e di esperien-za. Congiuntamente, lessico e grammatica suggeriscono la strut-turazione del sapere.

Non sorprende dunque che la scolarizzazione sia il fattore più efficace tra quelli che incidono sullo sviluppo cognitivo considerati ciascuno singolarmente (Greenfield et al. 1973, p. 348). Sorprendente, caso mai, è che nella letteratura psicologica prima di Vygotskij, e per la verità anche molto dopo di lui, non si sia mai indicato questo fatto, o non gli si sia mai dato tutto il risalto che merita. Vygotskij (1992) dichiara il suo stupore al ri-guardo, e anche Bruner (et al. 1973) seguendolo, rileva che con la scolarizzazione si osserva un cambiamento radicale delle ca-pacità mentali. L’impatto dell’alfabetizzazione sullo sviluppo culturale

La rivoluzione prodotta nello sviluppo cognitivo dall’istruzione scolastica viene considerata di solito nella prospettiva psicolo-

Page 80: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

80

gica attinente le caratteristiche mentali dei singoli individui. Tuttavia, la sua portata statistica ne fa un fenomeno sociale e culturale generale.

L’alfabetizzazione, infatti, riguarda non solo le singole per-sone ma altrettanto i gruppi umani fino alle intere comunità e al-le loro culture. Va quindi vista anche in chiave antropologica e sociologica. Sotto questi profili, in concreto non si riesce a de-finire né l’umanità quale caratteristica di specie né singoli tipi umani quali contrassegni di gruppi o etnici o concepiti in rela-zione a qualunque altro criterio (linguistico, ideologico, profes-sionale, geografico, economico, generazionale, e così via) senza rifarsi alla cultura propria dei gruppi considerati: vale a dire alla tipicità delle loro condizioni di vita e dei loro atteggiamenti e comportamenti di qualsiasi genere.

La lingua scritta gioca ovviamente un ruolo primario nella funzione esercitata dalla scuola. Ma la sua introduzione costi-tuisce anche una delle innovazioni più determinanti per la quali-tà delle culture.

Le trasformazioni prodotte dall’alfabetizzazione investono tanto le menti individuali quanto le culture sociali, e accomuna-no entrambe le sfere sotto questo profilo. Considerare quelle trasformazioni su entrambi i versanti apre una prospettiva spe-cifica con la quale analizzare l’interdipendenza tra lo sviluppo cognitivo dei singoli e quello delle culture.

A intervenire in entrambi i casi è il rapporto segnalato da Marx (1977) tra la qualità degli strumenti utilizzati e quella del-le attività svolte. Vygotskij (1974, 1987 e 1992) ne ha poi ripre-so le concezioni in chiave psicologica.

L’uso di nuovi strumenti, come quello della lingua scritta ri-spetto all’uso della lingua esclusivamente orale, consente di af-frontare nuovi compiti (Goody 2002), e di trasformare tanto i vecchi compiti quanto i vecchi modi di fare in compiti e in comportamenti nuovi. Anche i contenuti elaborati e i prodotti ottenuti si modificano con la trasformazione o la sostituzione degli strumenti utilizzati.

L’avvento della scrittura rende diverse contemporaneamente e congiuntamente sia le facoltà psicologiche dei singoli sia le

Page 81: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

81

culture sociali a paragone delle rispettive realtà in condizioni di pura oralità.

In effetti, la comprensione del fatto che le facoltà mentali degli individui si formano mediante l’interiorizzazione delle strutture cognitive presenti nella cultura, acquisendone le quali-tà, è stata promossa da studi sociologici e antropologici prima che da quelli psicologici. Questo è vero con la sola parziale ec-cezione di Vygotskij, la cui psicologia però è stata ispirata dalle osservazioni di Marx (1977) sui riflessi dell’evoluzione storica dell’organizzazione produttiva nella formazione della natura umana: osservazioni di taglio schiettamente sociologico e an-tropologico, sebbene compiute nel quadro di un’analisi econo-mica.

In ogni caso, il riferimento principale attuale per la compren-sione della dipendenza delle psicologie personali dalle caratteri-stiche delle culture sociali è fornito dalle analisi di storia della cultura volte a precisare come questa si è trasformata nel pas-saggio dall’esclusiva oralità all’uso della scrittura. L’attenzione si è concentrata sui cambiamenti qualitativi che ne sono conse-guiti in misura delle proporzioni assunte dalla comunicazione scritta rispetto a quella orale nelle diverse società, e dei fenome-ni connessi tanto del coinvolgimento di strati più o meno ampi delle popolazioni quanto del grado più o meno approfondito dell’alfabetizzazione delle persone e dell’uso più o meno ampio della scrittura da parte loro (Goody 1988, 1989 e 2002, Goody e Watt 1973, Havelock 1983 e 1987a, b, Ong 1986 e 1989).

I dati raccolti e le analisi compiute con le ricerche indicate di storia delle culture convergono con le interpretazioni psicologi-che finora illustrate perché, pur scaturendo dall’attenzione alle società e alle culture collettive piuttosto che allo sviluppo co-gnitivo individuale in quanto tale, i caratteri e le trasformazioni messi in luce riflettono ovviamente anche gli aspetti corrispon-denti delle psicologie delle persone che si formano e agiscono nell’una o nell’altra condizione culturale.

Quella che ne viene illuminata è appunto la dipendenza della formazione delle menti individuali dalle culture interiorizzate e dalle tecnologie e dagli strumenti intellettuali presenti in queste.

Page 82: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

82

I tratti identificati a livello di culture come paradigmatici della diversa organizzazione cognitiva tipica rispettivamente dell’oralità esclusiva e della scrittura sono gli stessi che nei pa-ragrafi precedenti si è visto contrassegnano le qualità cognitive rispettivamente, da un lato, dei bambini non ancora scolarizzati e degli adulti analfabeti, e, dall’altro, dei bambini secolarizzati e degli adulti alfabetizzati.

Più specificamente, le trasformazioni individuate riguardo alle culture sono dello stesso tipo di quelle riscontrate dalle in-dagini psicologiche come tipicamente prodotte dall’insegna-mento della lingua scritta e delle varie forme di conoscenza ca-ratterizzate dall’impostazione e dell’organizzazione propria del-la lingua scritta.

Si tratta cioè fondamentalmente dell’acquisizione cumulati-va molto superiore rispetto alle culture puramente orali delle in-formazioni, del controllo molto più esteso e approfondito delle conoscenze e dei processi conoscitivi — in particolare dell’ar-gomentazione, delle inferenze e degli sviluppi operatori in ge-nere (ma si pensi al caso dei calcoli matematici e della formula-zione e definizione dei teoremi) —, dell’astrazione molto più spinta e delle generalizzazioni incomparabilmente più estese, delle decontestualizzazioni che mettono in grado di elaborare norme di valore universale e di sviluppare il pensiero ipotetico.

Tali conquiste sono state evidenziate fin dagli studi pionieri-stici dei primi testi scritti delle civiltà egizia, mesopotamica, fe-nicia, israelitica e greca, e da quelli dei trattati scritti che rivela-no, anziché la semplice traslitterazione di precedenti versioni orali, una composizione già caratterizzata in origine dall’impo-stazione scritta. In seguito le ricerche etnologiche compiute con l’attenzione rivolta agli effetti dell’assenza o della presenza del-la scrittura nelle società studiate hanno confermato differenze corrispondenti e trasformazioni corrispondenti nel passaggio dall’oralità esclusiva alle culture scritte.

Per richiamare un solo esempio a titolo emblematico, l’uso della scrittura ha trasformato i modi di assicurarsi la conserva-zione e l’apprendimento delle nozioni, rendendo obsolete e ab-bandonate sia la composizione ritmica (sul modello del canto e

Page 83: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

83

della cantilena) in funzione mnemotecnica sia la ripetitività dei discorsi in funzione didattica e anch’essa mnemotecnica. Si-gnificativo dell’inerzia con la quale si tende a conservare le abi-tudini facendole sopravvivere alla perdita della loro funzionalità in conseguenza del mutare delle condizioni a cui rispondevano è che si è continuato a seguire a lungo entrambe le pratiche del-la composizione ritmica e dell’insegnamento ecolalico anche per i testi scritti. Tuttora in certe culture l’insegnamento è basa-to in generale sulla pura ripetizione priva di comprensione, e anche nella nostra spesso parte di esso mantiene questa natura obsoleta e sterile.

In sintesi, con le ricerche citate la scrittura è stata analizzata in quanto tecnologia che introduce modi diversi di operare in tutti i settori: non solo della comunicazione, ma anche del pen-siero, della memoria individuale e collettiva, del lavoro e della produzione materiale.

Questo ha indotto a parlare della scrittura come di una tecno-logia intellettuale che investe l’intera sfera mentale, in interdi-pendenza con quella culturale (Goody 2002).

D’altra parte, la scrittura, quale tecnologia intellettuale, è connessa a tutta una serie di altre tecnologie e alla loro organiz-zazione in un sistema operativo unitario. Sono comprese le con-dizioni che costituiscono i prerequisiti necessari per l’inven-zione e l’uso della scrittura e per il costituirsi e il permanere del quadro unitario nel quale essa è inserita, nonché le condizioni che conseguono dall’introduzione della scrittura e dalla situa-zione che essa produce (ivi, p. 147).

Rispetto alla comprensione dei processi di attribuzione di si-gnificato le trasformazioni indicate equivalgono a quelle delle categorie e delle operazioni cognitive soggiacenti in forma di schemi, di concetti e di modelli mentali in genere. Di nuovo, si tratta di trasformazioni orientate verso schemi sempre più a-stratti e verso concetti, in generale verso modelli mentali sia di tipo massimamente razionale sia connessi a esperienze e a rap-presentazioni massimamente sofisticate e raffinate anche dal punto di vista della sensibilità e dell’affettività.

Page 84: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

84

La Teoria della Forma

Un dato riferito da Luria nella relazione della sua ricerca com-parativa tra analfabeti e alfabetizzati già citata risulta partico-larmente indicativo di come avviene l’attribuzione di signifi-cato. I soggetti che organizzavano la propria percezione con ri-ferimenti concreti anziché astratti «non manifestavano nella lo-ro percezione nessun segno di conformità con le leggi della per-cezione strutturale descritte dalla psicologia della Gestalt» (Lu-ria 1976, pp. 62–63). In altre parole, non erano soggetti alle il-lusioni ottiche provocate dalla vista di immagini incomplete, o alterate dalla sovrapposizione o dall’aggiunta di segni estranei, o comunque ambigue.

Tali illusioni furono indagate estesamente e approfondita-mente in psicologia nei primi decenni del Novecento, tanto da aver determinato la costituzione di una scuola psicologica o piuttosto di un vero e proprio settore di studi conosciuto ormai come Teoria della Forma o Psicologia della Forma (in tedesco, Gestalt) (Bozzi 1989, Kanizsa et al. 1983).

Questo indirizzo psicologico si incentrò sulla scoperta che le percezioni si determinano come delle totalità organiche, struttu-rate secondo leggi che inducono a riunire in figure complete gli elementi sensoriali. Tali figure si impongono alla percezione perché sono o sembrano dotate di precisi confini che le fanno distinguere dall’esterno (vale a dire dallo sfondo e da tutto ciò che pur essendo presente nel campo percettivo non viene ritenu-to parte di esse) e le fanno apparire continue al loro interno, così che vengono concepite e percepite come unitarie.

Il fattore determinante del fenomeno è che la percezione, che si era sempre creduto fosse dovuta a meccanismi puramente sen-soriali a loro volta concepiti come solo fisici, si è rivelata invece più composita e intrisa di componenti ideative. Oggi si sa che gran parte dei suoi contenuti sono prodotti mentali, cioè interiori, dovuti all’attività cerebrale interagente con le componenti fisico–chimiche delle funzioni sensoriali ma non ridotta solo a queste.

Detto nel modo più semplice, gran parte di quello che cre-diamo di percepire non esiste nella realtà. Complementarmente,

Page 85: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

85

gran parte di quello che esiste nella realtà non lo percepiamo materialmente. Con l’accumulo delle esperienze e con il con-nesso sviluppo di conoscenza ci abituiamo per così dire a “rias-sumere” le situazioni fatte oggetto di percezione, a trascurarne tutti quegli aspetti che per esperienza sappiamo o crediamo di sapere si accompagnano sempre o di solito a quelli che consta-tiamo effettivamente.

Mediante ricerche sperimentali si è accertato che gli elementi effettivamente percepiti, nell’accezione di effettivamente colti con i sensi, sono sempre poco più del 20% di quelli che costituiscono le situazioni fisiche e che crediamo di percepire a quel livello. Sfruttando le caratteristiche strutturali dei pochi elementi effetti-vamente percepiti sul piano fisico, ci lasciamo guidare da tali indi-zi nell’immaginare che cosa dev’essere tutto il resto, e a rico-struire o creare a livello mentale rappresentazioni corrispondenti.

Le caratteristiche strutturali che ci guidano sono le connes-sioni di qualunque genere esistenti tra gli elementi: quelle spa-ziali, temporali, di complementarità rispetto a totalità che nor-malmente li comprendano o possano comprenderli come succe-de per le parole con le lettere dell’alfabeto o per le melodie con i suoni, logiche, e così via. Non sorprende, quindi, che fin da bambini diventiamo molto abili ad aggiungere mentalmente parti mancanti a qualunque cosa percepiamo effettivamente: pezzi di lettere o di parole, successioni anche solo di poche no-te, linee che ci richiamino l’idea di un qualunque oggetto, e si-mili. Così facendo, economizziamo i tempi e le energie richieste dalle interazioni analiticamente dettagliate, dalle esplorazioni protratte a percorrere e tutto ciò che è presente nel campo per-cettivo soffermandoci a esaminarne ogni minimo particolare.

In conclusione, la percezione non si attua affatto sul solo piano sensoriale fisico. Si tratta invece di una funzione compo-sita nella quale si combinano processi sia sensoriali in termini fisici sia mentali in termini ideativi.

«È già stato dimostrato come gran parte di ciò che viene per-cepito sia in realtà dedotto» (Bartlett 1990, p. 76).

«L’esperienza che sembra immediata è una costruzione del pensiero» (Bozzi 1989, p. 179).

Page 86: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

86

Reinterpretazione della Teoria della Forma

Gli psicologi della Forma non si limitarono a studiare la perce-zione. Essi estesero le loro osservazioni e le loro analisi al pen-siero, trovando che anche questo è caratterizzato da leggi corri-spondenti di strutturazione (Wertheimer 1965).

Oggi la consapevolezza della natura almeno parzialmente ideativa e deduttiva della percezione, e della natura in larga mi-sura ipotetica del pensiero, è ormai acquisita da parte degli psi-cologi. Filosofi ed epistemologi ne sono per lo più altrettanto consapevoli.

Meno noti sono i processi soggiacenti a tali fenomeni. In ge-nere non si riesce né a individuarli né a immaginarli. Tanto me-no riuscirono a spiegarli i gestaltisti.

Essi si limitarono ad accertare che la gente riempie mental-mente le lacune che rendono gli insiemi di elementi percettivi discordanti dalle figure che si percepiscono o si tende a percepi-re. In genere quelle lacune vengono ignorate cancellandone così o riducendone gli effetti distruttivi che ostacolano la percezione di immagini soddisfacenti. Si normalizza in armonia con certi modelli mentali tutto ciò che nella realtà fisica rispetto a essi ri-sulta anomalo, ingombrante, fuorviante, inutilizzabile.

I gestaltisti dimostrarono che si percepisce molto più di quanto è presente nel campo sensoriale visivo, uditivo, tattile (e altrettanto avviene per il gusto e l’olfatto), ciascuno preso sin-golarmente o più spesso in combinazione. Giunsero alla conclu-sione ormai banale che le totalità percepite sono qualcosa di maggiore della somma delle parti.

Quello che non riuscirono ad afferrare, o non afferrarono in maniera sufficientemente completa e chiara, è che, principal-mente, le percezioni sono qualcosa di superiore sotto il profilo cognitivo ai loro elementi costituivi di natura puramente senso-riale in quanto risultano dotate di significati che non apparten-gono al livello di quelli e non sono colti sul piano sensoriale.

Quello che sembra sia sfuggito, o non sia stato considerato adeguatamente, è che le percezioni soddisfano il bisogno di in-dividuare dei contenuti in modo univoco e sicuro solo quando

Page 87: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

87

corrispondono a configurazioni note o almeno ai criteri usuali di riconoscimento di immagini (estendendo il termine anche alle configurazioni uditive, tattili, gustative, olfattive) ben iden-tificabili. Questo non può succedere altro che in base al posses-so di corrispondenti modelli o di abitudini percettive a produrne del medesimo tipo.

Solo i contenuti familiari, o i loro tratti familiari, hanno si-gnificato. Solo le rappresentazioni che vi corrispondono, o più precisamente che possono essere fatte corrispondere ai medesi-mi modelli ideali con i quali normalmente riconosciamo quelli, sebbene lo facciamo inconsapevolmente e perciò non ci ren-diamo conto dell’intervento e della necessità di tali modelli, so-no suscettibili di assumere significati.

Qualunque altro contenuto, qualunque contenuto estraneo al-le nostre concezioni, inusitato non solo di per sé ma anche ri-spetto ai criteri abituali di concepire e di percepire, resta privo sia di significato sia di senso, incomprensibile e insensato.

È ovvio, o dovrebbe esserlo, che i completamenti e le nor-malizzazioni percettive possono essere compiute solo da chi possiede dei modelli mentali corrispondenti alle immagini non ambigue e complete che sembrano costituire il riferimento della percezione, mentre in realtà sono proprio tali modelli mentali a esserlo. Lo stesso processo consente di interpretare come im-magini piene i disegni che presentano unicamente dei profili. Giusto l'integrazione mentale, che può alternare i contenuti im-maginari dei riempimenti, spiega le interpretazioni alternate del-le figure ambigue e i giochi di sovrapposizione delle prospettive nelle illustrazioni assurde alla Escher.

È, o dovrebbe essere, altrettanto ovvio specialmente nel caso di lettere dell'alfabeto, figure geometriche, disegni stilizzati e schematizzazioni convenzionali quali le linee di prospettiva tracciate o immaginate, che i corrispondenti modelli mentali non possono che derivare dall’apprendimento della cultura for-male.

Chi conosce l’alfabeto latino riconoscerà prontamente una lettera nei segni frammentari che possono essere fatti rientrare nella sua composizione, essere visti come suoi tratti o pezzi. A

Page 88: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

88

seconda della qualità, quantità in proporzione alla figura com-pleta, disposizione spaziale, potrà essere certo che vi corrispon-de un’unica precisa lettera o avere dubbi su quale sia rappresen-tata tra alcune per qualche verso simili. Se non conosce il cinese o l’arabo non gli succederebbe la stessa cosa quando a essere rappresentati in modo frammentario fossero dei relativi segni, né gli verranno in mente ideogrammi cinesi o lettere arabe ma solo o piuttosto lettere latine nelle situazioni indicate.

Reazioni analoghe sono la norma rispetto a qualunque figura e a qualunque oggetto o scena la cui idea possa essere suggerita da elementi percettivi sparsi. In determinati casi i modelli accet-tabili per i nostri processi cognitivi sono così vincolanti da ri-sultare coattivi anche contro la consapevolezza che le cose non sono come le percepiamo.

In ogni caso, i modelli inconsapevolmente utilizzati nella percezione non possono derivare altro che dalle proprie espe-rienze e ricordi, e dalle loro rielaborazioni attuate secondo i cri-teri culturali di cui si dispone. D'altronde, le configurazioni de-gli stimoli nella normale percezione presentano sempre un gra-do più o meno elevato di ambiguità e di incompletezza, non fos-se altro che per la prospettiva unilaterale inevitabile dell'osser-vatore, che per lo più percepisce gli oggetti sotto angoli visuali che ne deformano la visione e che gli consentono di percepirne solo certe parti e non altre.

Dunque, i processi messi in luce dagli psicologi della Gestalt rappresentano la norma, non riguardano solo casi speciali e figure incomplete o parzialmente mascherate o comunque ambi-gue. Sempre tutto quello, di ciò che percepiamo, che è effettiva-mente accessibile sul piano sensoriale è incompleto e può essere parzialmente mascherato o ambiguo.

In sintesi, le strutture evidenziate dalla psicologia della For-ma, e più esattamente i processi che in qualche misura le rileva-no e in qualche altra misura le producono, sono strutture gene-ralizzate, tendenzialmente universali, solo per quanti sono cre-sciuti e vivono nelle culture che ne fanno continuamente uso. È così perché i processi cognitivi si formano sulla base di espe-rienze e di apprendimenti che esprimono quelle strutture come

Page 89: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

89

loro proprietà fondamentali ricorrenti. In quanto tali, queste confluiscono nella caratterizzazione altrettanto fondamentale di schemi cognitivi e di concetti.

Le facoltà cognitive e i loro modi di funzionare si costitui-scono con l’interiorizzazione dei modelli sia di organizzazione dei contenuti percepiti e pensati sia di operazioni mentali corri-spondenti alle sequenze e coordinazioni di atti delle interazioni compiute tanto in rapporto alla realtà materiale quanto alla co-municazione sociale. Facoltà e processi cognitivi, formandosi, svolgendosi e sviluppandosi si conformano a quei modelli. Costruttivismo e integrazionismo

Se i modi in cui si strutturano le percezioni e i pensieri fossero naturali e universali non si saprebbe spiegare né come essi e-mergano nel corso dello sviluppo né la ragione delle differenze cognitive individuali e culturali. La stessa varietà delle culture sarebbe inspiegabile, così come lo sarebbero le marcate corri-spondenze tra i caratteri cognitivi dei singoli individui e quelli delle loro rispettive culture.

Consideriamo fenomeni quali il parlare determinate lingue anziché altre che pure milioni di propri simili parlano; oppure, con differenze più sottili ma altrettanto consistenti e percepibi-li che dipendono dall’appartenenza familiare o geografica o sociale, l’esprimersi a livello sia di costruzioni frasali e di scelte lessicali sia di pronuncia sia di uso della mimica e della gestualità in forme tipicamente legate a tali fattori (Efron 1974). Già solo simili fenomeni elementari ben noti e genera-lizzati riuscirebbero misteriosi. Qualunque tentativo di loro spiegazione genetica si rivela inadeguata e presenta incon-gruenze ineliminabili. D’altra parte neppure l’idea che conse-guano dall’insegnamento diretto e dall’imitazione puramente replicativa è sostenibile, come attestano convincenti osserva-zioni e argomentazioni linguistiche relative alla personalizza-zione e creatività dei modi in cui i bambini fin da piccoli im-parano a parlare.

Page 90: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

90

Altrettanto si può dire di tutta una varietà di tratti di persona-lità relativi ai valori, agli atteggiamenti e ai comportamenti, ai gusti, e così via.

Modellazioni dei processi cognitivi in tutte simili sfere, tra le quali forse la più evidente è quella che porta a parlare e a capire una lingua piuttosto che un’altra, rendono evidente che i tipi di facoltà psicologiche non sono né universalmente coincidenti né naturali nell’accezione di estranee alla cultura. Sono invece re-lative e storiche. Si possono spiegare quali formazioni dovute a generalizzazioni di modi culturali di strutturare i processi e i contenuti cognitivi, e all’interiorizzazione di tali modi da parte dei singoli. Non sono affatto innate, bensì apprese. Non sono af-fatto comuni a ogni essere umano, bensì solo a coloro che han-no interiorizzato una cultura che ne sia portatrice.

La Teoria dell’Attività ha reso trasparenti questi fenomeni. Al di fuori di essa c’è invece una gran confusione nel concepire la genesi e la natura della psicologia.

L’aver constatato che nella percezione e nella conoscenza interviene in misura consistente l’immaginazione ha indotto molti a sostenere che l’intera realtà percepita e concepita è pro-dotta unicamente o essenzialmente da costruzioni mentali. Si è formata una vera e propria corrente di pensiero psicologico e filosofico ormai nota come Costruttivismo (Watzlawick 1988).

In una riedizione moderna di concezioni che furono già di Berkeley e di Spinoza, per i costruttivisti tutto è creazione sog-gettiva, tanto le percezioni e le idee relative al mondo materiale quanto le interpretazioni dei discorsi.

Resta da spiegare come mai riusciamo in genere a capirci, a collaborare nel produrre manufatti corrispondenti ai progetti di alcuni (o addirittura alla riunione in uno unico di più progetti parziali stesi da progettisti diversi) e alla loro realizzazione da parte di altri quasi sempre assemblando componenti provenienti dal lavoro di più persone, a sviluppare della conoscenza appa-rentemente condivisa e delle discipline conoscitive prodotte dal-l’impegno e dalle conquiste cumulativi di miriadi di individui e di miriadi di esperienze compiute in tutti i settori del sapere e delle attività umane.

Page 91: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

91

Resta da spiegare come può funzionare la comunicazione e dar luogo alla cooperazione e alle convenzioni. Resta da spiega-re come mai le persone credono di capirsi quando parlano la stessa lingua e non quando ciascuno usa una lingua sconosciuta all’altro. Finché ci si affida a una posizione tanto estremistica quale il costruttivismo, resta da decidere come o costruiamo tut-to dall’interno delle nostre menti solipsistiche in forme in qual-che modo coincidenti o riusciamo a impadronirci con attività solitarie di conoscenze precostituite esistenti all’esterno (Cobb 1989).

Dobbiamo scegliere tra ritenere che tutti costruiscano cia-scuno per conto suo misteriosamente i medesimi sistemi cono-scitivi o sistemi tanto simili da impedire di coglierne le diffe-renze; oppure convincerci che altrettanto misteriosamente tutti riescano, con costruzioni reciprocamente indipendenti, ad ap-propriarsi di sistemi conoscitivi convenzionali con tutta eviden-za prestabiliti ed esistenti al loro esterno.

Il concetto di interiorizzazione risolve i dubbi. Le strutture mentali si formano con processi interiori che però sono inseriti sia nell’attività sensomotoria sia nella comunicazione sociale, le quali abbracciano entrambe in un tutt’uno interno ed esterno ri-spetto ai corpi e alle menti dei singoli (Cavallini 2005a). Di con-seguenza, come si è visto nei paragrafi precedenti, le caratteri-stiche delle realtà sia fisiche sia simboliche precostituite rispetto alla vita e allo sviluppo psicologico degli individui ed esistenti all’esterno di essi costituiscono dei modelli e funzionano da ri-ferimenti tanto dello svolgimento delle attività pratiche e menta-li quanto della formazione delle capacità cognitive, che si attua sulla base delle attività svolte e in coevoluzione con esse.

Abbiamo visto che sono particolarmente le qualità strutturali a determinare l’organizzazione delle attività operative e dei pro-cessi cognitivi, e che ciò si realizza specialmente nelle intera-zioni sociali che coinvolgono comportamenti condivisi con in-terlocutori esperti e guidati da essi.

Piuttosto che parlare di costruttivismo si dovrebbe invece parlare di integrazionismo, o di concorso complementare di co-struzioni e di integrazioni mentali che si alimentano a vicenda.

Page 92: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

92

Le integrazioni forniscono alle costruzioni personali i contenuti che esse elaborano e i modelli organizzativi in base ai quali queste si attuano; mentre le costruzioni personali consentono ai singoli individui di integrare nei propri processi mentali tali contenuti e modelli ripresi dall’esterno (Cavallini 1992a, b). Naturalismo culturale

La conseguenza per le persone di crescere e di vivere nei mede-simi ambienti culturali o in ambienti contrassegnati da elementi culturali comuni è di venire con ciò stesso esposte in linea di massima ai medesimi prodotti culturali e di formarsi sotto il pro-filo psicologico in conformità a questi: vale a dire in modi ten-denzialmente comuni. Le uguaglianze e le somiglianze delle loro facoltà cognitive si determinano in proporzione alla condivisione dei modelli culturali interiorizzati. Sono infatti questi a fornire gli schemi e i concetti che, in termini di logica formale, costituiscono le classi più o meno astratte ma sufficientemente generali da po-ter essere utilizzate per riconoscere i vari contenuti di esperienza come esemplari di un tipo o dell’altro, cioè per poterne cogliere o attribuirvi i significati che li rendono riconoscibili, interessanti o insignificanti da un qualsiasi punto di vista, reciprocamente con-nessi o indifferenti, gradevoli o sgradevoli, e così via.

Da questo deriva l’illusione che le facoltà mentali siano o innate o sviluppate secondo processi strettamente personali. I contenuti e i modelli culturali, una volta convertiti attraverso le interiorizzazioni in materiali, strutture e processi cognitivi, fun-zionano come proprietà innate e sembrano tali.

Si tratti della regola della somma degli angoli del triangolo o della sua generalizzazione per tutti i poligoni, delle leggi del moto o di quelle dell’evoluzione, dei principi della prospettiva o di un qualunque concetto, in ogni caso tutti questi riferimenti cognitivi e innumerevoli altri analoghi sono nozioni e punti di vista che prima sono stati codificati nella cultura, sia pure even-tualmente per merito di sintesi individuali, e solo in seguito so-no diventati modi di conoscere generalizzati.

Page 93: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La funzione dei modelli nella conoscenza

93

Quando si parla di conoscenze, ciò a cui in realtà ci si riferi-sce facendolo non sono tanto delle nozioni prese di per sé, quanto la loro generalizzazione, e per molte di esse la loro e-spressione formale. Le conoscenze e le procedure che le riguar-dano, giusto in quanto fissate nella cultura, sono generalizzate nello stesso modo o in modi strettamente corrispondenti per tut-ti gli esseri umani che le interiorizzano.

Quali processi rendono le psicologie relativamente omoge-nee è illustrato tanto dal divario di capacità intellettuali tra indi-vidui di diversa formazione culturale già descritto, quanto da quello per certi versi analogo esistente oggi tra l’umanità e tutte le altre specie animali, anche quelle superiori con le quali con-dividiamo un antenato e alle quali dovevamo perciò essere mol-to simili in un lontano passato.

Ad esempio, l’uso di conoscenze che oltrepassano i limiti circoscritti del campo percettivo immediato sono generalizzate tra le persone adeguatamente scolarizzate. Invece gli scimpanzé sanno trattare le situazioni solo basandosi su percezioni dirette (Köhler 1961). Tale differenza dipende esclusivamente dall'in-teriorizzazione di una cultura simbolica da parte nostra e non lo-ro. Sebbene non tutti interiorizziamo gli stessi modelli né tutti questi, né facciano lo stesso uso dei modelli interiorizzati, né ne compiano le stesse sintesi, il divario che separa le persone alfa-betizzate, soprattutto se molto colte, da quelle analfabete è vi-stoso, e quello che separa le persone in genere da tutti gli altri animali è di un’enormità assoluta.

Resta però la constatazione, già espressa da Galilei (1933, VII, p. 27) che in entrambi i casi il divario non sia poi tanto dis-simile. Esso infatti è riconducibile in entrambi i casi alla mede-sima ragione e ha la medesima natura nel possesso o nella man-canza di una cultura, o di sue parti fondamentali per raggiunge-re determinate qualità.

In conclusione, il naturalismo apparente delle qualità perso-nali è del tutto illusorio. L’impressione del loro carattere natura-le consegue dal fatto che si formano in base a modelli diffusi nelle società e perciò assorbiti in comune da tutti gli individui che vivono nella medesima società. La cultura trasmessa è tal-

Page 94: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo IV

94

mente convenzionale e condivisa da costituire in effetti una condizione naturale nell’ambito di ciascuna rispettiva società. Ma si tratta di una naturalità costruita storicamente e acquisita di seconda mano: di una naturalità né fisica né biologica ma so-ciale e culturale.

Page 95: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

95

Come capiamo

Realtà e verità: quasi un riepilogo

La concezione più ingenua del conoscere consiste nel credere che si tratti della pura e semplice registrazione della realtà. A sua volta, la concezione massimamente ingenua della realtà consiste nel credere che essa sia qualcosa che esiste di per sé in totale indipendenza da chi la conosce, e che sia esattamente ciò che percepiamo.

In genere, quando ci riferiamo alla realtà pensiamo a ciò che è fuori di noi, e anche la realtà data da noi stessi — dal corpo e dalle sue varie parti e funzioni, altrettanto che dai pensieri e dai loro con-tenuti — la intendiamo allo stesso modo come qualcosa di ogget-tivo che possiamo considerare e sulla quale possiamo riflettere e-sattamente come facciamo con qualunque altro oggetto e processo.

In sostanza, l’idea comune di realtà è di ciò che si impone al-la conoscenza con esclusione di qualunque contributo dato da questa e di qualunque sua interferenza nel determinarla. Gli stessi pensieri e la stessa conoscenza sono ritenuti reali solo nel-la misura in cui si può pensare a essi quali processi che si con-statano, che si possono trattare quali oggetti esterni alle consta-tazioni e al pensiero di essi in modo tale che allora ne costitui-scono dei riferimenti in quanto contenuti da riflettere.

Tale concezione è quella di senso comune, al di là di quanto di essa confluisca poi nelle concezioni tese alla razionalità e più raffinate della filosofia e delle discipline formali.

Del resto, l’ideale della rimozione di qualsiasi componente soggettiva dalla conoscenza è stata elevata a lungo a criterio di scientificità, di oggettività e di verità. In quest’ottica, tanto la percezione quanto la conoscenza e il pensiero consisterebbero in processi di duplicazione di ciò che “esiste veramente”. Anche della percezione, della conoscenza e del pensiero si dice che so-no “veri” se rispecchiano contenuti effettivamente esistenti, re-altà intesa quale oggettualità a loro esterna.

Page 96: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

96

Già qui emerge l’ambiguità della realtà e della verità di per-cezioni, conoscenze e pensieri. Tutti questi processi hanno una duplice realtà e una duplice verità, sono veri e reali a due livelli. A uno, lo sono in quanto processi che effettivamente si svolgo-no, indipendentemente dai loro contenuti e dal loro valore in ri-ferimento alla realtà esterna, oggettiva. A un altro livello, sono veri e reali in funzione dei loro contenuti e del loro valore in ri-ferimento alla realtà esterna, oggettiva. Diciamo che lo sono so-lo se lo sono i loro contenuti: se questi coincidono con la realtà esterna, oggettiva, e allora i rispettivi processi la riportano fe-delmente. Solo a questa condizione percezioni, conoscenze e pensieri sono veri nella seconda accezione, dicono il vero.

A loro volta anche le idee di oggettività e di verità presenta-no ovviamente i medesimi problemi di giustificazione dell’idea di realtà, dato che, per definizione, la implicano. Nella visione ingenua di senso comune oggettività e verità indicano in manie-ra fedele la realtà, quando addirittura non sono date direttamen-te e unicamente da questa; e comunque sempre vi devono coin-cidere nell’accezione di corrispondervi perfettamente.

Invece, abbiamo visto, per il pensiero razionale di stampo scientifico attuale i concetti di oggettività e di verità vengono intesi in tutt’altro modo. L’oggettività è data dal consenso mas-simamente documentato sotto il profilo osservativo e massima-mente controllato sotto quello logico. La verità esprime la corri-spondenza di una qualunque affermazione a ciò che è constata-bile oggettivamente entro i limiti di pertinenza dell’afferma-zione considerata.

Oggettività e verità sono dunque relative a ambiti di espe-rienza e a sistemi di conoscenza prestabiliti che non sono mai ritenuti né esaustivi di qualunque possibilità futura o immagi-nabile di compiere esperienze e di conoscere, né definitivi. La verità, inoltre, è sempre intesa o sottintesa come tale rispetto ai singoli ambiti di discorso e alle singole situazioni alle quali ci si riferisce in ciascuna circostanza e momento: dalle singole frasi dotate di un significato e di un valore autonomi alle conversa-zioni e alle discussioni prolungate concepite come unitarie, ai testi che possono estendersi per interi volumi e idealmente

Page 97: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

97

all’intero scibile quando anch’essi costituiscono un’unica tratta-zione.

La concezione della realtà come esistente di per sé e dotata di proprietà assolute nel senso di esclusivamente proprie viene definita in filosofia “realismo ingenuo”. Rientra per forza di co-se in questo atteggiamento mentale anche la convinzione che pure la verità sia assoluta e non possa che essere tale, che qua-lunque affermazione relativa, dipendente da visioni circoscritte, non indichi più la verità. La verità dovrebbe dare la conoscenza completa, esaustiva della realtà.

Il realismo ingenuo rende arduo il problema della natura del significato.

Concepire come assolute le realtà trattate equivale a ritenerle dotate di esistenza e di caratteri propri che ne fanno qualcosa di separato dalla percezione, dal pensiero e dalla conoscenza. La realtà risulta allora isolata dagli osservatori. Questi non apporte-rebbero alcun contributo alla conoscenza e alla realtà stessa, né potrebbero e dovrebbero apportarvelo. Farlo significherebbe al-terarle, rendendole rispettivamente pregiudizio e irrealtà.

Supporre una relazione diretta tra la realtà così concepita e la vera conoscenza sottopone quest’ultima alla natura monolitica e inalterabile della realtà. La conoscenza potrebbe essere solo to-talmente passiva rispetto alla realtà. La verità sarebbe totalmen-te priva di componenti umane.

Una simile condizione darebbe una totale garanzia di validi-tà della conoscenza rispetto al mondo oggettivo, ma la cono-scenza risulterebbe totalmente priva di significatività, in quanto completamente estranea al pensiero e ai modi umani di essere e di vivere, a meno che il pensiero e i modi umani di essere e di vivere non fossero perfettamente isomorfi alla realtà. Ma di questo non abbiamo alcuna prova, né potremmo mai averla, neppure se quell’isomorfismo esistesse, dato che per stabilirlo bisognerebbe sapere che cos’è la realtà indipendente dal pensie-ro e dalla conoscenza, mentre qualunque realtà possiamo stabi-lirla solo con il pensiero e con la conoscenza.

Insomma, la prova dell’isomorfismo tra una realtà data in sé e completa al di fuori della conoscenza e la sua conoscenza ri-

Page 98: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

98

chiederebbe di assumere preliminarmente come vera l’ipotesi stessa di quell’isomorfismo che andrebbe provato. Il realismo ingenuo comporta il classico circolo vizioso di implicare quale premessa proprio quello che pretende dimostrare.

È indicativo che perfino un genio come Einstein vi è caduto quando ha definito come criterio di completezza delle teorie scientifiche la corrispondenza tra ogni loro elemento e ogni e-lemento della realtà (Einstein et al. 1988), senza accorgersi che ciò richiede che si conosca che cos’è la realtà al di fuori delle teorie nel momento stesso in cui sono proprio queste a definire che cos’è la realtà (Cavallini 2001a e 2002b). L’articolazione della conoscenza

Il realismo consistente nel credere che le parole abbiano valore di realtà ed evochino direttamente proprietà delle cose è stato sempre riscontrato come caratteristico delle culture prive di pensiero scientifico, e certamente creava difficoltà ancora alla filosofia greca classica. Ma non ci se n’è mai liberati completa-mente neppure nelle società moderne scientificamente più avan-zate, tanto meno a livello di senso comune e soprattutto delle mentalità più ingenue.

Quello che sfugge, si può dire da sempre, al senso comune riguardo alla conoscenza è che i relativi processi si articolano su più livelli che interagiscono reciprocamente completandosi a vicenda. In quanto all’attribuzione di significato non si pone né si è mai posto alcun problema in quell’ambito, poiché si è sem-pre ritenuto e si continua a credere che i significati appartenga-no alle cose, e che a comunicarli sia la semplice percezione del-le cose o quel suo sostituto che è il pensare a esse come sono.

Nel modo ingenuo di pensare si è cioè sempre supposto che la conoscenza si imperniasse sulla duplice polarità della realtà da un lato e dei processi cognitivi dall’altro, e anzi in genere lo si è dato per scontato. Si è cioè per lo più creduto che tutto av-venisse nell’interazione tra questi due poli, che si esaurisse in questa e che ci fossero appunto solo due poli.

Page 99: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

99

Abbiamo visto nel primo capitolo che le riflessioni di Frege sono state suscitate dall’insostenibilità di questa posizione, senza tuttavia che egli sia pervenuto a una teoria soddisfacente della referenza. Né mi risulta che alcun altro vi sia riuscito do-po di lui.

La comprensione, realizzata già nella scolastica, del fatto che la funzione referenziale richiede l’intervento dei concetti quali mediatori tra i segni e i referenti non basta, finché non si riesce a precisare l’origine dei concetti con una spiegazione di-versa da quella della pura e semplice induzione. De Saussure (1994) ha colto bene l’importanza della produzione sociale della lingua, del suo uso e del consenso generale sui valori dei segni (ivi, p. 138) — sebbene uso e consenso non giochino per lui il ruolo centrale che assegnerà poi loro Wittgenstein — e del fatto che gli individui trovano la lingua già pronta e l’apprendono come tale. Ma nemmeno questa attenzione basta se non fa indi-viduare la modellizzazione cognitiva insita nella lingua e non ne spiega l’origine e la funzione. Un’uguale considerazione riguar-da il modello del cosiddetto “triangolo semiotico” di Ogden e Richards, ricorrente in linguistica, che pone rispettivamente ai tre vertici il “simbolo” (per altri autori “segno” o “significante”, ecc.), il “pensiero” o “riferimento” (c. s. “significato” o “concet-to”, ecc.) e il “referente” (l’oggetto reale o mentale al quale si intende riferirsi), così da stabilire una relazione diretta tra sim-bolo e significato, da un lato, e tra significato e referente, dall’altro, e una indiretta in quanto mediata dal significato tra simbolo e referente.

Ma anche in questo caso è proprio l’origine, la natura e la modalità di funzionamento del significato che resta da spiegare.

Mi pare invece che non si sia mai riusciti a precisare in ma-niera soddisfacente e soprattutto univoca l’articolazione insita nella funzione referenziale.

Se la mia impressione degli insuccessi è corretta, questi sono dovuti al fatto che non basta interporre il significato tra il segno e il referente oggettivo, né affiancare il senso soggettivo contin-gente al significato oggettivo universale nella funzione media-trice. Neppure aiuta l’articolazione saussuriana del segno in

Page 100: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

100

suono e concetto. Ancor meno aiuterebbe cercare il referente in un’oggettività esterna all’atto di conoscere e assoluta.

Rispetto alle due prime soluzioni, la conoscenza risulta un processo molto più articolato che su due o tre livelli prestabiliti e fissi. Rispetto all’ultima, per la verità sostanzialmente estranea alla linguistica moderna, il referente non può trovarsi all’esterno dell’atto conoscitivo.

Complessivamente conoscere, riconoscere, nominare, deno-minare non si riferiscono ciascuno a un contenuto sussistente di per sé, a un polo, valendosi di un’idea o termine o segno sussi-stente di per sé, all’altro polo. Ciascuno di tali atti si riferisce a una relazione e la coinvolge in maniera unitaria inscindibile. Le scomposizioni possono essere compiute solo sul piano teoretico delle analisi astratte, mentre nelle rispettive pratiche concrete non si determina alcun elemento effettivo autonomo isolato.

La conoscenza richiede la definizione di significati, e questa a sua volta implica un’articolazione a più livelli, così che la co-noscenza ne comporta tutta una serie di intrecciati e fusi.

Prendiamo il caso più comune e in apparenza più semplice: quello di riconoscere un oggetto qualunque presente nel campo percettivo. Questo sarà inevitabilmente un oggetto particolare, che potrà essere riconosciuto solo identificandolo quale esem-plare della classe generale di tutti gli oggetti dello stesso tipo sotto un qualche profilo (corrispondente al criterio appunto di individuazione della classe interessata).

La classe è la componente che indica il significato, il modo massimamente condiviso, oggettivo in tale accezione, di inten-dere il contenuto percepito. Un tale modo è tendenzialmente u-niversale. Ma lo è solo tendenzialmente e solo in teoria, dato che nei fatti gli atti di conoscenza e di pensiero effettivi restano sempre circoscritti alle caratteristiche culturali e alle competen-ze di chi li compie, con ciò stesso circoscrivendo in maniera corrispondente i significati concepiti.

Senza pretendere di entrare in analisi linguistiche rigorosa-mente tecniche, che esulano dalla mia competenza, mi limito a notare che non basta introdurre i sensi accanto ai significati, e che i significati non si identificano con i referenti oggettuali, né

Page 101: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

101

coincidono con essi. La situazione è molto più complessa e arti-colata.

Ogni atto di conoscenza e ogni segno scelto per esprimerne il contenuto è idealmente scomponibile in diversi ingredienti:

— il referente inteso, o contenuto o oggetto al quale ci si vuole riferire e al quale in genere si crede di riferirsi;

— la classe generale astratta che consente di identificare quel referente come un suo esemplare: questa corrisponde a un concetto o significato universale nel pensiero formale in acce-zione strettamente razionale o concettuale, mentre nel pensiero informale, che è ovviamente quello più usuale, corrisponde a uno schema della massima generalità in rapporto alla compe-tenza dell’utente del segno e alla situazione in cui questo viene usato. In tal modo, la classe generale di riferimento è variabile a seconda dei contesti lungo tutta una gamma di gradi intermedi tra i concetti e gli schemi più legati alla percezione e all’idea-zione soggettiva, e adattata di volta in volta alle circostanze;

— l’interpretazione sia soggettiva sia contingente, in quanto legata allo stato momentaneo del soggetto conoscente e alla si-tuazione, della classe generale (al di là di quella fondamentale di valore generale per il soggetto data dalla sua competenza per-sonale) in termini di schemi.

In sintesi, per comodità teoretica si possono pensare tre li-velli di articolazione della conoscenza e dell’attribuzione di si-gnificato; ma ciascuno di essi non è rigidamente fissato, bensì è variabile e sfumato in dimensione tanto soggettiva quanto con-testuale, con interazioni reciproche che concorrono a definirli ciascuno in relazione all’altro, e a combinarli fondendoli in un atto unitario e in un’idea che per quanto flessibile e mobile è pur sempre anch’essa unitaria (a meno di oscillazioni tra idee diver-se per incertezza su quale corrisponda meglio al referente inte-so: vale a dire su che cosa si stia percependo o pensando).

Del resto, gli schemi sono caratterizzati dall’essere sfumati e perciò molto flessibili. D’altra parte, essi costituiscono le cate-gorie mentali normalmente utilizzate, al punto da essere prati-camente quasi sempre le sole effettive. In altri termini, in genere il fuoco degli atti di conoscenza e di pensiero coincide con

Page 102: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

102

schemi: solo nel caso eccezionale dei ragionamenti rigorosi formali si sposta su concetti.

Correlativamente alla natura prevalentemente e quasi esclu-sivamente schematica della conoscenza, vi è sempre un suo qualche grado di incertezza.

C’è insomma tutta una serie di motivi di mancanza di asso-lutezza, che richiedono distinzioni sottili, riguardo alla cono-scenza e alle sue espressioni linguistiche o segniche in generale.

De Saussure (1994) rileva ad esempio la differenza tra si-gnificazione e valore delle parole, collegando quest’ultimo, di-versamente dal significato, che nella sua visione appartiene alla singola parola in sé, alle funzioni espressive che le parole non hanno di per sé stesse ma assumono in relazione alle altre che le accompagnano, al contesto linguistico in cui compaiono. Tra le scelte che i parlanti compiono in proposito non ci sono solo quelle che segnalano distinzioni concettuali anche molto sottili, ma anche quelle che esprimono componenti soggettive di natura affettiva e sentimentale. In questi ultimi casi, il valore deriva da un impegno personale verso i contenuti conosciuti o pensati che travalica quello puramente intellettuale, comportando appunto sentimenti e affetti la cui importanza nel determinare compor-tamenti normali è stata sottolineata da Damasio (1996 e 2000).

Complicazioni ulteriori nascono poi dal fatto che sono oggetti di conoscenza, e cioè esemplari delle classi di riferimento, conte-nuti sia percepiti sia solo pensati. Di solito si prende come fon-damentale ed essenziale la contrapposizione tanto tra oggetti a-stratti e concreti quanto tra oggetti presenti o assenti nel campo percettivo. Ma la sola cosa che conta è la distinzione tra universa-le, rispetto all’ambito di discorso definito (Agazzi 1969 e 1979), e contingente: tra generale e specifico (Cavallini 2002c e 2003). Universalità e mondi possibili

Si ha l’impressione che nei discorsi sulla conoscenza e sul si-gnificato si annidi costantemente la trappola consistente nel confondere il pensiero con la realtà fisica, scambiando i prodotti

Page 103: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

103

della riflessione per elementi del mondo esterno, e non riuscen-do a districare le categorie universali dai dati contingenti. Que-sto vale anche per la letteratura specialistica, o addirittura è vero soprattutto di essa.

In questa si fa ad esempio un gran parlare dell’universalità dei concetti come di un carattere che dev’essere applicabile non solo a qualunque situazione reale o immaginabile nei termini della realtà nota ma anche a qualsiasi mondo ipotizzabile in a-stratto, ai cosiddetti “mondi possibili” (Kripke 2003, Putnam 1987 e 1993b, e, in chiave critica, Bonomi 1987). Si tralascia però sempre di distinguere tra possibilità reali, e cioè coerenti dal punto di vista logico con i dati assunti e con le conoscenze possedute, e possibilità puramente immaginarie anche contra-stanti con tali dati e conoscenze. Si immagina ad esempio in una prospettiva controfattuale come sarebbe una persona o un even-to noti del nostro mondo in un altro mondo nel quale venissero contraddistinti da condizioni appunto contrarie a quelle che li definiscono nelle realtà di partenza per pretendere che tutto ciò che c’è di universale nel loro essere permanga a conservarli tali e quali anche nelle mutate condizioni. Ci si arrovella sulle difficoltà e le contraddizioni che ne conseguono. Si resta prigio-nieri di quelle proprie farneticazioni senza saper più distinguere che cosa sarebbe universale e che cosa contingente nella com-binazione puramente immaginaria di situazioni reciprocamente incompatibili.

Il vizio di partenza dell’uso di controfattuali per determinare significati universali è che vi si presume di rifarsi all’essenza dei significati considerati, quando la scienza comporta l’abban-dono proprio dell’idea delle essenze.

Quello che sfugge nei contorcimenti mentali che ne deriva-no, ma anche in generale nelle riflessioni e nei discorsi più u-suali, è che l’universalità di qualunque idea o concetto è sempre limitata sia riguardo alla cultura e alle competenze personali sia riguardo agli universi effettivamente accessibili e alle circostan-ze date. Anche concepire qualcosa nei termini della classe più generale e astratta possibile, quelli massimamente universali, viene circoscritto dal rapporto variegato e indefinibile con i sen-

Page 104: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

104

si, che pur non riducendola necessariamente ai sensi in qualche modo la particolarizza e la contamina con essi. Ciò succede da un lato per l’intervento della soggettività e da un altro lato per la contingenza delle situazioni e degli atti. Le elaborazioni che ne risultano sono pertanto articolate in una rete di fattori e di livel-li, con interazioni e sfumature tra l’uno e l’altro di entrambi che li modifica da una circostanza all’altra e che è difficile o impos-sibile distinguere.

Le situazioni effettive non possono essere che particolari e contingenti. Solo i costrutti teorici possono essere concepiti in dimensione generale e universale.

La contingenza deriva dalla circoscrizione dei significati teo-ricamente universali in assoluto a universi particolari. Questa delimitazione si verifica sempre nella realtà in dipendenza dell’universo ritenuto reale e dato per scontato in generale, in ri-ferimento al quale si pensano o si determinano le esperienze e al quale riferiamo le conoscenze in generale. Queste, poi, vengono ulteriormente specificate in funzione della situazione immediata di ciascuna esperienza e di ciascun pensiero (Bonomi 1987, p. 87): situazione che pure costituisce un universo ulteriormente circoscritto di riferimento implicito o esplicito.

Si vede quanto sia composita la natura degli atti di cono-scenza e di pensiero. Questi determinano via via con i loro di-versi aspetti e componenti tutta una pluralità di universi tanto teorici quanto effettivi. Esplicitamente evocato o implicitamente lasciato sullo sfondo, si tiene sempre conto dell’universo fisico globale che diciamo conosciuto ma che è in prevalenza ipotiz-zato. Ci sono poi altri universi: quello determinato dalla cultura di appartenenza, o quelli determinati da più culture in varia mi-sura assorbite e utilizzate; quello determinato dalla psicologia personale, che ovviamente coincide solo in parte con la cultura di appartenenza; quello delimitato da ciascun ambito di espe-rienza e di pensiero; e infine quello delimitato da ciascuna sin-gola esperienza, da ciascun singolo pensiero e da ciascun singo-lo stato mentale (dato congiuntamente dallo stato d’animo e dal-le condizioni intellettuali del momento).

Non si deve far confusione tra universalità teorica, valida in

Page 105: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

105

tutti i mondi possibili, assoluta giusto solo perché teorica, e u-niversalità relative a una comunità culturale di qualunque esten-sione, a singoli ambiti di discorso e a singole situazioni, a sin-goli individui.

Anche credere che l’idea astratta di “tutti i mondi possibili” sia svincolata da qualunque delimitazione di un ambito di pen-siero è frutto di confusione e di trascuratezza concettuale. Essa fa parte dello specifico pensiero che concepisce la possibilità di realtà e di eventi diversi da quelli effettivi, ed è questo pensiero a costituire il contesto in cui essa rientra. Inoltre, quell’idea non indica mondi che potrebbero davvero attuarsi, perché nella sua genericità tralascia di definirne tutti gli aspetti che andrebbero precisati e quelli che precisa sono contrari alla realtà, non veri sia per definizione sia di fatto.

Insomma, non si deve far confusione tra possibilità, vale a dire tra ipotesi realistiche nell’accezione di compatibili sia reci-procamente dal punto di vista logico sia con le condizioni di re-altà note, e impossibilità, come lo sono tutte le ipotesi irrealisti-che perché incompatibili o reciprocamente o con le condizioni di realtà note.

In quanto alle comunità culturali, a seconda degli elementi di conoscenza considerati e condivisi da più individui, queste pos-sono andare da un gruppo etnico e dall’intera umanità, per certe idee, a solo due o pochi interlocutori, per altre, come avviene di solito nei dialoghi e nelle normali situazioni quotidiane. Natura del riferimento

Qualunque uso di un’idea e di un segno rientra in un atto menta-le specifico che ne costituisce il contesto psicologico e conte-stualizza quell’uso. Tale contestualizzazione influisce sul riferi-mento specifico dell’idea e del segno utilizzati e, da un atto al-l’altro e tra i contesti che ciascun atto determina, rende il rispet-tivo riferimento diverso rispetto al riferimento definito da quelli che sembrano la medesima idea o il medesimo segno solo perché vengono considerati astrattamente avulsi da qualunque contesto.

Page 106: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

106

Più precisamente, né un’idea né un segno hanno un proprio riferimento da soli, presi in isolamento. Ogni riferimento si co-stituisce unicamente con l’uso di un’idea o di un segno in un contesto, con l’abbinamento di un’idea o di un segno con un contesto; e ogni contestualizzazione rende specifico il rispettivo riferimento in maniera propria diversa da qualunque altra.

In ogni caso, per qualunque discorso e per qualunque segno o combinazione di segni, il riferimento effettivo non è il si-gnificato. Quest’ultimo è dato dalla categoria mentale — si tratti di uno schema tipico di una cultura o di un concetto — massi-mamente condivisibile, cioè convenzionale e oggettiva nell’ac-cezione già precisata. Il riferimento effettivo, o referente inteso, è la sintesi del contenuto percepito o pensato, del significato e del senso o schema individuale e contingente

La conoscenza non è determinata unicamente dai suoi con-tenuti, intendendo questi quali referenti oggettivi o realtà ester-ne precostituite che vengano registrate passivamente. Il soggetto conoscente concorre a determinare le conoscenze, apportandovi propri contributi.

La conoscenza comporta l’attribuzione di significato, e per-tanto implica quali propri componenti imprescindibili dei con-tributi apportatile dai soggetti che conoscono.

Dato che i referenti appartengono non alle parole e alle frasi, prese di per sé, ma ai loro usi, sono componenti imprescindibili dei referenti gli stati mentali (corrispondenti alle idee, sentimen-ti, credenze, intendimenti, propositi, e simili) dei soggetti che percepiscono, conoscono, parlano o scrivono o interpretano e-spressioni verbali orali o scritte (Castelfranchi e Parisi 1980).

I contenuti determinati, effettivamente conosciuti, vale a dire i referenti reali, non possono mai esaurirsi nella sola polarità degli oggetti esterni ma devono necessariamente costituirsi in quella che, semplificando, possiamo considerare la doppia pola-rità data in convergenza da stimoli esterni e dall’attività cono-scitiva. Va precisato che ai fini dell’analisi teoretica sono da considerarsi esterni all’attività conoscitiva di volta in volta con-siderata quale unità esclusiva in esame non solo gli stimoli fisici ma anche quelli mentali che non sono prodotti da essa nell’im-

Page 107: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

107

mediatezza della propria attuazione bensì o sono già stati pro-dotti in precedenza da altri processi conoscitivi o vengono pro-dotti in parallelo con essa da processi che si alternano a sue fasi parziali successive: processi che sono diversi da quelli che la compongono direttamente.

Anche questa distinzione tra esterno alla mente di un indivi-duo ed esterno alla singola specifica attività conoscitiva con-templata idealmente come unitaria, unica e diversa da ogni altro processo mentale del medesimo individuo, può apparire una sottigliezza sfuggente o addirittura di difficile comprensione, e in genere crea problemi nell’analisi dell’attività cognitiva. Tut-tavia è indispensabile.

L’intera attività mentale, che comprende anche gli affetti e i sentimenti in inscindibile interazione con i processi più stretta-mente concettuali solo in quanto considerati in astratto, è com-plessa e complicata da capire. La rende tale giusto il fatto che si svolga sempre come interazioni, molte delle quali che interven-gono tra parti di un’unica mente e di un unico organismo distinte o da distinguere teoricamente, e le altre interazioni che coinvol-gono congiuntamente organismo e ambiente in un’unità inscindi-bile nella sua realtà e difficile da districare con l’analisi teoretica.

Sorgono difficoltà a tentare di seguire le interazioni tra nume-rose costellazioni neuronali distinte, tra numerosi singoli neuroni e tra sistema nervoso centrale e rimanenti organi corporei, che tutte insieme costituiscono l’attività mentale (Damasio 1996 e 2000, Edelman 1993, 1995a e 1995b). Ma anche riuscire a separa-re idealmente le componenti interiori di questa dagli stimoli am-bientali esterni crea difficoltà enormi, se non insormontabili.

Sotto il profilo cognitivo neppure gli stimoli fisici esistono in quanto tali, isolati e scissi da un’interazione che li colga e che consiste di un’attività percettiva. Il modo in cui noi percepiamo gli stimoli dipende da come essi vengono categorizzati, da come li organizziamo in funzione delle nostre concezioni e delle no-stre condizioni percettive, oltre che in funzione degli altri stimo-li che li accompagnano. Gli stimoli non presentano di per sé stessi delle proprietà e una struttura assoluta esclusivamente lo-ro, equivalenti a quelle che appartengono ai nostri modi di rap-

Page 108: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

108

presentarli, come ad esempio la frequenza assoluta di un suono (Rosenfield 1989, p. 128).

Nella conoscenza, non sono tanto importanti gli stimoli di per sé, quanto invece l’informazione che l’attività cognitiva rie-sce a ricavare completando la propria reazione agli stimoli dati con la propria attività di fondo che corrisponde alla visione del mondo del soggetto in funzione delle sue capacità intellettuali e delle sue modalità operative sia generali o costanti sia momen-tanee dovute agli stati via via variabili (ivi, p. 138).

Ma anche considerare l’attività cognitiva e l’informazione da essa prodotta delle realtà esclusivamente individuali è sbagliato. La condizione di fondo di ogni individuo e di ogni suo atto di conoscenza e di attribuzione di significato è data dal suo sentirsi a un qualunque livello ma fondamentalmente inserito in una cul-tura che inquadra e rende concepibili e identificabili quella co-noscenza e quell’attribuzione di significato, e soprattutto dal suo sentirsi inserito in una comunità di suoi simili che hanno idee pertinenti rispetto al suo pensiero e alla sua conoscenza e che la vaglierebbero e vi reagirebbero se vi avessero accesso (Bachtin 1968, 1979 e 1988, Medvedev 1978, Volosinov 1976 e 1977).

Il pensiero individuale ha natura sociale anche quando si svolge in isolamento dal punto di vista materiale. E questo è ve-ro a maggior ragione per l’attribuzione di significato, dal mo-mento che il significato ha natura convenzionale, oggettiva nell’accezione di condivisa socialmente.

Qualunque tipo di linguaggio acquista significato per l’individuo solo in quanto quel significato viene condiviso da una comunità, anche se l’in-dividuo parlante non si rivolge a una comunità (Havelock 1987a, p. 87).

Mentre il linguaggio ovviamente è parlato da persone che possono credere di parlare come individui e di rivolgersi a interessi individuali, è probabile che la sua funzione primaria sia quella di servire finalità collettive (ivi, pp. 69–70).

Non è solo probabile, è certo che è collettiva la struttura

stessa della lingua, che è collettivo il modo di funzionare tanto di essa quanto del pensiero che le è inestricabilmente connesso.

Page 109: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

109

Più precisamente, sebbene a parlare siano individui, la ma-niera di funzionare della lingua (le sue strutture, categorie, rela-zioni tra categorie e tra forme linguistiche, le sue forme stesse e le conformazioni dei contenuti, regole combinatorie, metafore e riferimenti espliciti e impliciti: in sostanza, le elaborazioni e-spressive e i modi di produrle) è sociale, predisposta nella cultu-ra collettiva. Di conseguenza, quel che il singolo dice ricalca in qualche misura — generalmente elevata — un dire collettivo, e è costituito tanto da componenti personali quanto da componen-ti collettive (Bachtin 1968, 1979 e 1988, Leontjev 1976 e 1977, Lurija 1971, Vygotskij 1973, 1974, 1987 e 1992, Medvedev 1978, Volosinov 1976 e 1977).

Le memorie sono personali, appartengono a ogni uomo, donna e bam-bino della comunità, ma il loro contenuto, il linguaggio conservato, è comunitario, è un qualcosa condiviso dalla comunità in quanto espri-mente la sua tradizione e la sua identità storica (Havelock 1987a, p. 90).

Lo stesso vale per le espressioni e per il pensiero. La parte

strettamente personale derivata da esperienza individuale diretta non solo è sempre ampiamente minoritaria rispetto alla parte mutuata dalla collettività, ma, soprattutto, è anch’essa intrisa di modi comunitari di agire, di interagire e di concepire.

Si parla quando c’è qualcuno che ascolta, e se ne tiene conto nel farlo.

Si dovrebbe essere «consci di come le parole acquisiscano significato attraverso un’esperienza condivisa» (Arons 1992, p. 19): condivisione — va aggiunto — che, nel caso di un indivi-duo isolato, egli può stabilire non solo con un interlocutore vir-tuale ma anche tra le percezioni e delle corrispondenti espres-sioni linguistiche, così da collegarle reciprocamente in funzione della precisazione dei rispettivi contenuti come i medesimi. È da simili operazioni che scaturiscono i referenti (chiamati da Arons «significati») specifici sia delle percezioni sia delle paro-le impiegate: referenti definiti in relazione con i significati gene-rali delle idee e delle parole utilizzate.

In base alla complementarità già vista tra significati e sensi, la medesima parola, specificata da un riferimento implicito o

Page 110: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

110

esplicito a un particolare contenuto di esperienza o di pensiero, assume contemporaneamente al valore di indicatore di quel con-tenuto il valore di espressione latente o manifesta della prospet-tiva del parlante nell’usarla. Ancora sulla funzione dei modelli nella conoscenza

La complementarità esistente sul piano riproduttivo ed esisten-ziale tra individui e società si traduce nella natura sociale dei singoli. A questa si collega la complementarità tra senso e si-gnificato sia perché senso e significato rappresentano rispetti-vamente il modo tipico di intendere le cose l’uno degli individui e l’altro della società, sia perché non solo sensi e corrispondenti significati si implicano a vicenda ma, soprattutto, i secondi sono appresi dagli individui per effetto della comunicazione e delle interazioni sociali. Su tali basi gli individui producono i sensi, e attraverso la comunicazione e le interazioni sociali i sensi con-fluiscono nella formazione dei significati e rifluiscono nelle loro trasformazioni nel tempo.

Le cose, per la verità, sono rese più complesse dal fatto che i sensi esprimono modi tipici di sentire non solo degli individui ma anche delle comunità. Anche i sensi sono in larga misura so-ciali e vengono appresi con la vita sociale. Comunque, quel che interessa ora è che tanto i significati quanto i sensi, tanto i con-cetti quanto gli schemi, costituiscono dei modelli mentali, dei si-stemi funzionali che fungono da organizzatori cognitivi. Sono tutto questo in quanto, da quelli più prossimi al piano percettivo e alla concretezza — come le immagine eidetiche — a quelli più schiettamente simbolici e astratti — come i segni in generale e le equazioni matematiche — rappresentano qualcosa dei contenuti di esperienza reale o ipotetica e strutturano in conformità a ciò che rappresentano i processi di pensiero e di conoscenza.

È una tale condizione che rende così arduo distinguere tra contenuti di esperienza e modelli mentali utilizzati nel percepir-li, tra contenuti esterni al pensiero e alla conoscenza e contenuti interiori, tra contenuti e strumenti di pensiero e di conoscenza,

Page 111: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

111

tra contenuti e forme di pensiero e di conoscenza, tra pensiero e conoscenza.

Goody (2002, p. 38) riporta che i concetti relativi a pensare e a sapere non sono differenziati presso la popolazione africana dei LoDagaa. In effetti, la distinzione del pensiero quale proces-so idealmente separato dai contenuti sui quali esso necessaria-mente si svolge è un prodotto tipico dell’analisi teoretica con la quale si cerca di descrivere le attività fissandone regole e tratti caratteristici, non di eseguirle. Ovviamente, nel loro svolgimen-to pensiero e conoscenza sono inseparabili.

I modelli culturali e mentali hanno la caratteristica di coinci-dere tanto con dei contenuti quanto con delle forme di pensiero e di conoscenza. Bisogna averli appresi, o averli elaborati con una sintesi di altri appresi. Sotto questo profilo costituiscono dei contenuti, delle conoscenze, e infatti si dice che “si possiedo-no”, come lo si dice di qualsiasi contenuto e conoscenza. Ma danno forma ai pensieri, e da questo punto di vista emerge che si tratta di forme.

Per la precisione, parlare sia di “possesso” sia di “forme”, quasi ci si riferisse a oggetti inclusi nella mente, e questa a sua volta costituisse un contenitore, è servirsi di metafore consone a usi linguistici invalsi, che però suggeriscono idee fuorvianti. In conformità alla precisazione della Rosch già citata al capitolo 3, quello di dare forma ai contenuti rappresentati, e così di definire i contenuti stessi, è un modo di funzionare della mente. Non e-sistono forme precostituite dentro di essa, bensì esiste l’attitudi-ne a svolgere i processi mentali secondo modalità determinate dalle abitudini. A sua volta neppure la mente esiste. Anche l’uso di questo termine è metaforico e serve a esprimere anch’esso u-na modalità di funzionamento del cervello contratta per influen-za culturale, vale a dire per l’assuefazione a sintonizzare certe sue funzioni neuronali con modi culturalmente determinati.

Intesi come precisato, i modelli culturali e mentali funziona-no da strumenti del pensiero e della conoscenza, che non po-trebbero realizzarsi senza di essi. Tutto ciò indica che non si po-trebbe né pensare né conoscere senza averli interiorizzati, vale a dire senza averli appresi, senza essere stati immersi in una si-

Page 112: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

112

tuazione sociale, senza aver imparato a pensare e a conoscere secondo modalità culturali sociali.

Verosimilmente, per pensare e conoscere in maniera efficace è necessario continuare a essere immersi in una situazione so-ciale, dato che è provato come l’isolamento prolungato assoluto, con l’assenza di qualunque forma di comunicazione anche solo mediante la lettura, disgrega la coscienza e la personalità.

In ogni caso, è certo che si può capire solo ricorrendo a dei modelli preliminari. Si può conoscere e riconoscere un qualun-que contenuto, individuarlo e identificarlo, solo se si dispone di modelli mentali che consentano di farlo.

Sappiamo ormai che tali modelli sono ripresi dalla cultura, e comunque devono conservare le caratteristiche dei modelli cul-turali di origine perché i pensieri e le conoscenze elaborati in base a essi possano venire comunicati. La comunicazione inter-soggettiva può realizzarsi solo adeguandosi a modelli condivisi: appunto culturali e sociali.

La necessità di modelli per attuare pensiero e conoscenza va-le per qualunque tipo di contenuti, si tratti di oggetti o qualità o situazioni percepiti o immaginati oppure si tratti di parole e di discorsi uditi o letti. Già lo indica il fatto che pensiero e cono-scenza comprendano quale loro componente imprescindibile l’attribuzione di significato, stante che il significato ha natura simbolica. Ciò implica che a fronte dei contenuti di pensiero e di conoscenza debba esserci qualcosa che può stare al loro posto.

In effetti, per definizione il significato è qualcosa che sta per qualcos’altro.

Questo attesta che il significato non può coincidere con il re-ferente, né risiedere in esso. Può solo, unitamente ad altri fattori quale il senso o più realisticamente complessi di sensi, indicare la natura del referente e delle sue caratteristiche di fondo tali da farlo identificare.

Allo stesso modo di quanto succede con il pensiero e con la conoscenza, si può nominare e denominare qualcosa solo se si dispone di un modello linguistico utilizzabile per la circostanza. La connessione tra i due può essere suggerita dal fatto che il modello presenti qualche somiglianza o collegamento percettivo

Page 113: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

113

o concettuale con il referente al quale viene applicato, o può in-vece risultare completamente arbitraria, come nell’attribuzione dei nomi propri. Quando non esistano ragioni naturali o cultura-li di collegamento, la connessione si stabilisce giusto con l’atto della nominazione, e diventa convenzionale con la sua adozione sociale.

Con particolare evidenza nel caso dei nomi completamente arbitrari, la connessione deve stabilizzarsi per poter essere riuti-lizzata ripetutamente un numero imprecisato di volte e in ogni circostanza pertinente. Deve inoltre venire socializzata perché la si possa utilizzare quale strumento generalizzato di comunica-zione.

Altrettanto di quello che vale per la lingua succede per l’uso di qualunque linguaggio: iconico, matematico, specialistico di una qualunque singola disciplina. Si riesce a disegnare se si hanno modelli e convenzioni grafiche che vi facciano da sup-porto. Altrettanto, si riescono a rappresentare fenomeni (oggetti, situazioni, processi) e concetti (grandezze, proprietà, relazioni) in termini geometrici o algebrici o fisici o chimici o biologici o musicali e così via se si dispone dei modelli dati dalle rispettive nozioni.

Il ricorso all’uno o all’altro linguaggio non costituisce solo un modo di esprimere dei contenuti che esistano preliminarmen-te e che, mentre dovrebbero venire constatati per quel che sono in sé e per sé, possano venire poi rappresentati in qualsiasi for-ma. Rappresentare qualcosa, necessariamente in un linguaggio, vuol dire determinare il rispettivo contenuto, e determinarlo nel-le precise forme specifiche di quel linguaggio: renderlo percepi-bile e concepibile, analizzabile, relazionabile e componibile o meno con altri contenuti di conoscenza, compatibile o incompa-tibile con essi, in ragione delle qualità evidenziate dalla model-lizzazione in quella particolare, unica chiave espressiva. In so-stanza, equivale a costituirlo in quanto oggetto di pensiero, di conoscenza e di comunicazione.

È vero che i contenuti definiti con ciascun dato linguaggio o sistema di linguaggi può essere messo in relazione con altri con-tenuti definiti con altri linguaggi o sistemi di linguaggi riferendo

Page 114: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

114

tutti tali contenuti a una medesima situazione o oggetto o pen-siero, e considerandoli espressioni parziali delle rispettive realtà complete. Anzi, normalmente è così che si cerca di raggiungere delle visioni complete delle cose, prospettandole dai più svariati punti di vista e combinando in una totalità unitaria tutti gli a-spetti via via definiti. Si dà cioè per inteso che ciascuna realtà piena e completa sia sempre qualcosa di più ampio e complesso di ciascuna delle singole rappresentazioni che se ne possono da-re in ciascuna singola modalità rappresentativa. Anche un og-getto esclusivamente di pensiero può venire precisato per co-glierlo in tutto il suo essere con il rappresentarlo in diverse mo-dalità espressive, ed eventualmente con il realizzarne un proto-tipo materiale o dei prototipi materiali nella modalità esecutiva.

Così come in scienza si persegue l’ideale dell’oggettività combinando tutti i possibili punti di vista e ritenendo realtà og-gettiva solo la risultante della loro combinazione, altrettanto nella conoscenza usuale si ritiene realtà esaustiva, rispetto a una qualunque cosa, non una sua singola, inevitabilmente parziale, rappresentazione o una qualsiasi combinazione parziale di simi-li rappresentazioni, bensì ciò che fa da riferimento al complesso idealmente completo di tutte le possibili rappresentazioni in questione.

Resta però che reali sono soltanto le singole rappresentazioni e le loro combinazioni effettive. Non si potrà mai ottenere una rappresentazione effettiva che sia globale e unica, né sapere fin dove ci si è spinti nella conoscenza di una qualunque supposta realtà con le rappresentazioni effettuate, che parte di quella que-ste rappresentino, che cosa resta indefinito e inesplorato, qual è la proporzione della realtà rappresentata (o, che fa lo stesso, del-la rappresentazione di realtà ottenuta) rispetto alla sua ipotizzata esistenza totale quale risulterebbe espressa dall’insieme esausti-vo di tutte le sue possibili rappresentazioni parziali.

Siamo di nuovo e come sempre alla constatazione dell’im-possibilità di definire una realtà esterna alla conoscenza, e, completarmente, di ritenere questa esaustiva di quella.

Perciò bisogna ricorrere a un diverso concetto di realtà, che faccia superare questa frattura, tenendo conto del fatto che la

Page 115: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Come capiamo

115

conoscenza è sempre relativa a modelli parziali di qualunque cosa possa esistere oltre essa e oltre essi.

In ogni caso, tutto quanto conosciamo lo conosciamo sotto la specie di contenuto di interazione sia fisica sia mentale costitui-to in funzione degli strumenti sia operativi sia rappresentativi utilizzati.

C’è poi di più. Il possesso di modelli mentali e l’abitudine a servirsene co-

stantemente non si riducono alla disponibilità e all’uso di stru-menti di pensiero e di conoscenza direttamente utilizzabili in quanto predisposti e applicabili a realtà note o in qualsiasi grado accertate. Esso induce anche l’attitudine a modellizzare secondo canoni familiari qualunque interazione. Anche nelle situazioni impreviste e in misura maggiore o minore nuove e di tipo nuovo soccorre quell’attitudine che spinge a concepire dei modelli compatibili e a organizzare nei loro termini i materiali percettivi o concettuali sconosciuti e inusitati. La tendenza è a replicare modelli usuali o di tipo usuale; ma comunque non si può che ri-correre a questi anche quando si sia costretti a elaborarne di ori-ginali: cosa che in genere richiede sforzi tanto più ardui e tempi tanto più prolungati quanto più i modelli che servono divergono da quelli noti.

La scoperta che non si può capire altro che sulla base di modelli mentali preliminari contribuisce anche a risolvere l’atavico problema dato dalla contrapposizione tradizionale di induzione e deduzione come di due processi separati e reci-procamente alternativi. Ormai è noto che essi sono invece complementari ed entrambi sempre compresenti negli atti di pensiero e di conoscenza, i quali si attuano con la progressiva coevoluzione di loro componenti deduttive e induttive. La par-te deduttiva riguarda appunto tutto quello che si inferisce dai significati attribuiti ai contenuti trattati in base ai modelli uti-lizzati per identificarli, mentre la parte induttiva riguarda le specificazioni di significati e modelli in relazione ai particolari esemplari considerati.

La definizione di contenuti significativi non potrebbe realiz-zarsi se non li si rapportasse a significati noti, altrettanto di

Page 116: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo V

116

quanto questi ultimi non servirebbero a nulla se i significati pre-si a riferimento non venissero confermati come pertinenti e va-lidi dalla verifica della loro corrispondenza con gli esemplari implicati.

Così, induzione e deduzione sono sempre strettamente fuse, si alimentano l’una con l’altra e si sostengono l’una sull’altra.

Una tale complementarità è stata posta in luce particolar-mente con l’analisi storica e concettuale della scienza.

Page 117: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

117

La conoscenza scientifica

Cercare di capire con e senza modelli

Uno sguardo alla storia e alla filosofia della scienza aiuta a co-gliere la presenza di modelli mentali in ogni atto di attribuzione di significato e di comprensione.

Come scoperte e invenzioni siano guidate dal ricorso a mo-delli adatti alle situazioni affrontate diventa particolarmente manifesto quando capita di poter confrontare il successo di uno scienziato con l’insuccesso di un altro che ha indagato contem-poraneamente a lui in condizioni materiali sostanzialmente e-quivalenti quello che a noi appare ora il medesimo fenomeno.

Un esempio del genere è il seguente (ripreso da Holton 1992).

All’epoca nella quale Galilei osservò per le prime volte con un cannocchiale la Luna — cosa che fece nel novembre 1609 — dominava ancora la convinzione aristotelica che i corpi cele-sti fossero delle sfere perfette, composte di materia purissima e incorrotta, con la superficie assolutamente priva di qualsiasi ir-regolarità. Quindi anche la superficie lunare era ritenuta perfet-tamente regolare e liscia.

Prima di Galilei, a partire dal luglio del 1609, l’astronomo inglese Thomas Hariot aveva già osservato con un cannocchiale la Luna e ne aveva rilevato degli aspetti per lui incomprensibili. Uno consisteva nel fatto che alcune aree della Luna erano pale-semente più scure di altre, in contrasto con la presunta unifor-mità della sua superficie. Un altro era dato dalle irregolarità del-la linea che separa la parte in ombra della Luna da quella illu-minata (il terminatore).

Hariot non riuscì a spiegarsi perché il terminatore apparisse frastagliato invece di essere quella curva regolare continua che ci si aspetterebbe se la Luna fosse davvero una sfera perfetta.

Galilei invece si rese immediatamente conto che le irregola-rità della superficie lunare indicavano diverse condizioni di il-

Page 118: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

118

luminazione delle sue diverse zone, segnalando con questo la presenza di rilievi e di avvallamenti, compresi dei crateri. Dun-que, la Luna non possedeva affatto le qualità teorizzate dall’ari-stotelismo per i corpi astrali.

Egli tracciò dei disegni che documentano con tutta evidenza come avesse perfettamente capito il fenomeno non compreso da Hariot. Ogni particolare vi è reso con precisione quasi foto-grafica.

Da ciò risulta lampante come capire la natura del fenomeno osservato — vale a dire inquadrarlo in una concezione organica entro la quale esso viene collegato ad altre conoscenze pertinen-ti — ne trasforma la percezione. Nel disegno di Hariot sia il terminatore sia i rilievi, le valli e i crateri lunari sono rappresen-tati in maniera confusa, cioè non articolata in dettagli precisi, mediante una linea vagamente spezzata il primo e con tratti ge-nerici i secondi.

Come mai Galilei capì ciò che Hariot non riuscì a capire? Rispondere che evidentemente Galilei era intelligente men-

tre non lo era Hariot, o che il primo lo era più del secondo, è fuorviante se si pensa che l’intelligenza sia una facoltà persona-le innata, e non dice nulla se non si precisa che cos’è l’intelligenza.

In realtà sia Galilei sia Hariot erano uomini intelligenti in generale, ed entrambi erano preparati in questioni astronomiche.

D’altra parte, la diversità delle loro rispettive reazioni non può essere spiegata tanto con la qualità dei telescopi, vale a dire degli strumenti materiali, utilizzati rispettivamente dall’uno e dall’altro, che praticamente si equivalevano; quanto piuttosto dal possesso di ciascuno dei due di strumenti intellettuali rispet-tivamente diversi. Furono questi a produrre la diversità di per-cezioni e di concezioni tra i due.

Se si identifica l’intelligenza con il funzionamento del pen-siero in base a modelli adeguati alle situazioni affrontate, in ef-fetti, nella circostanza, Galilei era e fu più intelligente di Hariot, in quanto possedeva e utilizzò modelli culturali e mentali sco-nosciuti al collega, o ai quali questi non ricorse.

La cosa è documentata.

Page 119: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

119

Galilei si era interessato di teoria delle arti figurative ed era stato membro dell’Accademia Fiorentina del Disegno. In quel-l’ambito aveva certamente conosciuto studi di proiezioni delle ombre su superfici sferiche, in specifico sulla sfera reticolata, la cui superficie è caratterizzata da protuberanze e depressioni. Come tale, la sfera reticolata era un oggetto convenzionale con funzione di modello culturale che si prestava bene a fare da modello mentale adatto a rappresentare le irregolarità della su-perficie lunare: in altre parole, c’è una certa somiglianza tra le due superficie, e l’una può ricordare facilmente l’altra.

Galilei, nell’osservare la Luna e nel tentare di capirne l’aspetto, disponeva quindi di specifici strumenti intellettuali: i modelli di proiezioni di ombre sperimentati, e la teoria delle ombre che ne organizza in maniera organica sistematica la comprensione. Sono stati indubbiamente quegli strumenti intel-lettuali a guidarlo a cogliere il significato di quanto stava osser-vando.

Hariot disponeva certamente in misure paragonabili a quelle di Galilei non solo di un’intelligenza e di una cultura generali ma anche di una preparazione astronomica e di ottime capacità di disegno. Però, evidentemente, non possedeva quei medesimi ri-ferimenti e modelli mentali che consentirono a Galilei princi-palmente di concettualizzare e di conseguenza di percepire quel-lo che aveva osservato, o non seppe servirsene. Ma anche qualo-ra valesse il secondo caso, il mancato ricorso a nozioni possedu-te a un qualche altro livello equivarrebbe a non possederle nella circostanza, e in generale ad averne un dominio inadeguato.

Come tutte le nozioni convenzionali, i modelli che hanno portato Galilei alla comprensione della natura delle macchie lu-nari costituiscono dei “sistemi funzionali” che lo hanno guidato a organizzare e a svolgere il proprio pensiero in conformità alle operazioni predisposte delle quali sono costituiti, e che la loro attivazione ha convertito in operazioni mentali. In questo senso l’uso dei modelli determina intelligenza, i modelli culturali sono strumenti di produzione di intelligenza e la capacità e l’abitu-dine di utilizzarli costituisce una specifica tecnologia di pensie-ro e di conoscenza.

Page 120: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

120

Scienziati quali Hertz e Langevin avevano notato le proprie-tà di funzionamento automatico di costruzioni intellettuali che ora possiamo identificare quali sistemi funzionali o modelli or-ganizzatori del pensiero. È sintomatico che ne abbiano parlato in termini di meccanismi di intelligenza e di conoscenza.

Hertz, rilevando la capacità delle equazioni di Maxwell di far cogliere fenomeni insospettati quali la natura elettromagne-tica della luce, dichiarava la sensazione che esse abbiano una loro propria esistenza e intelligenza, che siano più intelligenti dei loro stessi creatori e di chiunque.

In modo analogo Langevin si espresse riguardo al calcolo tensoriale, rimarcando che esso dà una conoscenza della relati-vità superiore a quella di ogni fisico relativista, che è come se il calcolo tensoriale si incaricasse per conto di chi lo usa del pen-siero subordinato, facendo evitare qualunque dimenticanza e so-stenendo le analisi. Modelli sbagliati

Giusto per la propria intelligenza automatica — o più precisa-mente per i propri automatismi di intelligenza, di strutturazione del pensiero, di configurazione delle conoscenze e di compren-sione delle situazioni alle quali vengono applicati — i modelli portano per strade tutte loro. Perciò bisogna saper scegliere quelli adatti in ogni circostanza. Altrimenti, quando si ricorre a modelli sbagliati, si viene fuorviati e impediti a capire.

Anche di questo la storia del pensiero scientifico di Galilei fornisce degli esempi.

Nello studio delle maree egli si servì come modello per rap-presentarle lo scuotimento dell’acqua trasportata in botti sulle barche dovuto ai sobbalzi di queste. Quel modello gli risultava particolarmente attraente perché, facendo spiegare le maree, e-quiparate all’acqua scossa nelle botti sulle barche, con i movi-menti della Terra, equiparata alle barche ondeggianti, contribui-va a rafforzare la teoria allora osteggiata che questa appunto si muovesse. Se non che a provocare le maree sono forze gravita-

Page 121: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

121

zionali diverse da quelle inerziali connesse ai sobbalzi dei liqui-di in contenitori scossi, così che Galilei fu tratto in inganno dal modello scelto.

A fuorviarlo contribuì la spinta affettiva dell’attaccamento sentimentale, oltre che concettuale, alla teoria copernicana e a qualunque argomento che potesse smentire gli aristotelici. Que-sta precisazione evidenzia la componente emotiva dell’errore ga-lileiano in termini più concreti e più compiutamente umani di quelli semplicemente e astrattamente intellettuali in senso stret-to, più consoni alle condizioni vitali ed esistenziali globali dei comportamenti. Nel contempo richiama il tema generale di come l’affettività rientri intimamente nei processi cognitivi, a seconda delle circostanze favorendone o ostacolandone l’intelligenza.

Anche come fu ostacolata per Galilei la formulazione com-pleta e sicura del principio di inerzia serve a illustrare il valore dei modelli nella comprensione.

Egli inquadrò mentalmente il fenomeno nel sistema di rife-rimento terrestre, immaginando come si sarebbe mosso su una superficie perfettamente liscia equidistante da quella terrestre un corpo sottratto a qualsiasi influenza esterna. Questo avrebbe proseguito all’infinito, tracciando un cerchio che avrebbe riper-corso in eterno.

Perciò Galilei ritenne il carattere rettilineo del moto solo un effetto apparente dovuto al fatto di contemplare moti lungo trat-ti infinitesimi della circonferenza terrestre, riguardo ai quali è del tutto impercettibile la curvatura di questa. Egli applicò un ragionamento in sé corretto, ma basato su un modello che risul-tò poi sbagliato rispetto alla situazione alla quale lo riferiva. Anche in quel caso a spingerlo all’errore contribuì un fattore di natura affettiva: la sua convinzione pregiudiziale, sorretta da motivi estetici oltre che strettamente concettuali, che il cerchio costituisse l’unica figura geometrica perfetta, e che in quanto ta-le fosse la sola a poter reggere i moti naturali e a rappresentarli.

Galilei non fu certo il solo a scegliere talvolta dei modelli sbagliati. Capitò a Newton quando immaginò la materia costi-tuita da corpuscoli assolutamente duri, impenetrabili, inalterabi-li, eterni; e ritenne che anche la luce ne fosse composta. Capitò

Page 122: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

122

a Einstein, che non riuscì mai ad accettare né a concepire la fisica quantistica, per non essersi mai liberato dal modello di re-altà precostituita alla conoscenza con le specifiche proprietà in-dividuate da questa. Capitò ai coniugi Curie quando non riusci-rono a interpretare un decadimento radioattivo che essi avevano provocato sperimentalmente, e che invece Ettore Majorana sep-pe prontamente riconoscere dal solo stringato resoconto di mez-za pagina dell’esperimento che essi pubblicarono (Segré 1976). Evidentemente Majorana aveva in mente un modello adatto che i Curie non avevano, o lo concepì al momento rielaborando sot-to la spinta della notizia conoscenze pertinenti.

In fisica si sono ripetuti i casi analoghi di mancato ricono-scimento di eventi la cui riproduzione portò poi a importanti scoperte quando furono compresi. Coloro che vi sono incappati non erano certamente degli sprovveduti in termini generali di intelligenza e di preparazione professionale. Erano invece sprovvisti dei modelli necessari all’uopo, o non gli sovvenne di usarli.

Quelli esplicitamente citati sono stati tra i massimi geni mai vissuti. Ma disavventure analoghe sono capitate a innumerevoli altri grandi, i quali tutti, come loro, in altre circostanze hanno tuttavia saputo ideare o sfruttare modelli felicissimi che li hanno guidati a capire fenomeni incompresi da secoli da parte di tutti gli altri scienziati e di tutto il resto dell’umanità.

Dagli esempi negativi si può comunque trarre la lezione di quanto sia sbagliato insegnare nozioni avulse da loro usi si-gnificativi in contesti dei più svariati tipi. Il vero apprendimento si può avere solo se si insegna a collegare le nozioni trattate alle situazioni pertinenti di ogni genere rispetto alle quali è utile e necessario usarle. Nozioni delle quali non sono chiari gli usi, che non si sa in piena autonomia personale quando e come ap-plicare, non sono realmente apprese. Dire che si sono imparate è una pura espressione vocale priva di contenuto, una convenzio-ne illusoria magari adatta a riti sociali insensati, ma certamente non a produrre pensiero e capacità cognitive.

Eppure, ancora oggi gran parte del cosiddetto insegnamento praticato nelle scuole è svolto proprio nella più completa trascu-

Page 123: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

123

ratezza dell’interiorizzazione delle nozioni che si crede di inse-gnare, della loro appropriazione personale da parte dei discenti.

Non per niente, il transfer cognitivo, vale a dire la capacità di generalizzare a qualunque contesto pertinente delle nozioni, è uno dei processi più raramente rilevati dalle ricerche psicologi-che. È presumibile che questo dipenda in parte dall’uso di stru-menti di rilevazione inadeguati. Ma molto più sostanziale sem-bra essere l’incapacità generalizzata della scuola di stimolare la comprensione, insieme alla scarsa cura assegnata in genere di fatto a garantire la comprensione nelle interazioni e nelle comu-nicazioni sociali abituali. Si dà molta più importanza all’otte-nere quello che si vuole e delle prestazioni intelligenti o ottuse poco importa purché siano quelle volute.

In specifico è grottesco che si definiscano “insegnamento scientifico” le pratiche didattiche prevalenti nella formazione sco-lastica in campo scientifico, al punto da costituire il modello con-venzionale pressoché universale, caratterizzate come esse sono dalla totale mancanza di qualunque attività e atteggiamento scien-tifici. Qualunque insegnamento che non procuri l’esperienza e il senso di che cosa è fare scienza è semplicemente antiscientifico.

Ma l’analogo va detto della formazione in qualunque ambi-to. Ogni suo tipo in genere è svolto più come indottrinamento che come guida a sviluppare le competenze e le sensibilità ca-ratteristiche delle rispettive pratiche culturali, a guidarne l’espe-rienza e l’esercizio autonomo. Anche quella definita “umanisti-ca” o “artistica” o “espressiva” o “logica” e così via è tutto tran-ne quello che si proclama che sia, è in realtà rispettivamente an-tiumanistica, antiartistica, antiespressiva, antilogica, “anti” tutto ciò di cui porta il nome. Universalità del pensiero per modelli

Qualunque invenzione e qualunque scoperta, e più in generale qualunque tentativo di capire un qualsiasi fenomeno, si prenda nella storia della scienza, risulterà sempre che si tratta di atti guidati da modelli mentali.

Page 124: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

124

Il ricorso a essi è universale e imprescindibile in qualunque processo cognitivo. Solo, rispetto al pensiero e ai modi di cono-scere usuali risulta presumibilmente più palese nel caso del pen-siero e della conoscenza scientifici perché di essi sono mag-giormente studiate le manifestazioni più produttive, e perché queste introducono novità che, nel momento in cui si affermano e soprattutto quando le si studia retrospettivamente, sembrano in genere aver operato delle rotture brusche e vistose del pensie-ro e delle conoscenze precedenti.

In ogni caso, l’uso di modelli è onnipresente in scienza. È così per gli epicicli e deferenti che Tolomeo ha ripreso dalle rappresentazioni matematiche in astronomia di Eudosso, per i solidi platonici utilizzati da Keplero anch’essi per rappresentare la struttura astronomica dell’universo, per i vortici con cui Car-tesio si immaginava la natura ultima della materia, per le strut-ture a sferette rotanti sotto certi aspetti reciprocamente diverse ma sotto altri reciprocamente simili e per certi versi analoghe ai vortici cartesiani utilizzate da Laplace e da Maxwell per spiega-re l’elettricità e il magnetismo (Bellone 1973a, b e 1990), per i campi con le linee di forza di Faraday, per il calore e l’elettricità immaginati come fluidi, in generale per i modelli meccanici senza dei quali William Thomson si dichiarava incapace di ca-pire alcun fenomeno, per le onde prese a modello di fenomeni disparati da quelli elettromagnetici alle radiazioni, per l’etere, per l’idea di Fitzgerald e Lorentz della contrazione dei corpi nella direzione del loro moto, per la spiegazione di Bohr della struttura atomica in analogia con il sistema solare, per le orbite prima e poi gli orbitali o nubi elettroniche, per le strutture alge-briche di tipo matriciale ideate da Heisenberg nel tentativo di calcolare le interazioni quantistiche quando non conosceva la matematica delle matrici (Born 1980), per le equazioni di Schrödinger e per i diagrammi di Feynman rivelatisi poi le une e gli altri più soddisfacenti e più maneggevoli delle matrici allo stesso fine, per il concetto di fissione nucleare che Lise Meitner elaborò derivandone il nome dal corrispondente modello biolo-gico (Fritzsch 1983).

Naturalmente si tratta di solo pochi esempi tra quelli, che

Page 125: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

125

non si contano, che si potrebbero citare considerando già la sola fisica. Corrispondenti modelli e metafore utili per sintetizzare in un’unica immagine pensieri complessi, e così organizzarli e dominarli agevolmente, si riscontrano in ogni disciplina e in ogni campo del sapere: dal flogisto e dalle visualizzazioni delle strutture molecolari della chimica, all’idea di selezione naturale e alle rappresentazioni delle cellule della biologia, dalle epoche e da espressioni quali “i secoli bui” o “il Rinascimento” della storiografia alle metafore di “leggi di mercato” o di “prodotto interno lordo” dell’economia, dal triangolo semiotico di Ogden e Richards in linguistica ai concetti di “complesso di Edipo” o di schema in psicologia, dai criteri diagnostici in medicina (Fleck 1983) alla figura di “custode della costituzione” usata a indicare il presidente della repubblica.

Studiando come si caratterizza in maniera individuale il pen-siero dei singoli scienziati, Holton (1983) considera implicita-mente i modelli nella prospettiva globale che li include negli in-teressi scientifici personali, o temi della loro ricerca.

A loro volta Roger (1984), analizzando una scoperta fisiolo-gica specifica, e Fleck (1983), elaborando una teoria sulla de-terminazione degli sviluppi della medicina, mostrano anch’essi con chiarezza come pure in quegli ambiti le nuove conoscenze si siano prodotte organizzando le idee in riferimento a modelli preventivi. Che cosa sono i modelli

In matematica si definisce modello di una struttura astratta qua-lunque dominio che possa essere descritto per qualche criterio nei termini di quella, che perciò viene detto anche una sua in-terpretazione.

Qui, invece, uso la parola e l’idea di modello nell’accezione solita del parlare comune, come qualcosa che rappresenta qual-cos’altro secondo certi criteri: ad esempio di rapporto dimen-sionale, di selezione di aspetti dell’originale che sono quelli che interessano in una sua determinata analisi, o altro.

Page 126: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

126

Per maggior precisione, per come è usato il termine in tutto il testo, è un modello qualunque costrutto mentale che presenti aspetti che in qualche modo possono essere messi in corrispon-denza biunivoca con quelli di un fenomeno o altro contenuto di pensiero. I modelli sono tanto più applicabili e potenti quanto più la corrispondenza indicata permane attraverso trasformazio-ni equivalenti loro e dei contenuti rappresentati con essi.

Più esattamente, con i modelli si rappresentano fenomenolo-gie, e cioè classi di fenomeni soggetti a medesime determinate leggi o di contenuti qualsiasi per qualche aspetto reciprocamen-te omologhi.

Resta sostanzialmente irrilevante che dei costrutti mentali u-tilizzati come modelli vengano realizzati o meno degli esempla-ri materiali. Quel che conta è la loro funzione simbolica, il si-stema di idee o processi mentali che ne fanno dei sostituti di qualcosa. Anche i cosidetti modelli materiali in realtà sono ma-terializzazioni, visualizzazioni, dei corrispondenti modelli men-tali, che sono gli originali, i soli veri modelli, quelli che inter-vengono nell’uso e nell’interpretazione delle loro traduzioni fisiche.

Si vede comunque subito la stretta affinità dei modelli con i significati e con i sensi. Tutti quanti sono strumenti di rappre-sentazione. Tutti quanti vanno da quelli più figurativi, che pre-sentano una qualche somiglianza percettiva con i contenuti che rappresentano, a quelli completamente arbitrari e astratti, che non hanno alcun rapporto del genere.

Il diverso grado di collegamento percettivo con i contenuti rappresentati è una proprietà caratteristica dei diversi tipi di modelli, come pure dei diversi tipi di significati, coincidenti con concetti o tendenti a essi, e di sensi, coincidenti con schemi più o meno astratti e di valore più o meno generale.

Che la relazione tra modelli e contenuti da essi rappresentati non possa ridursi ad alcun legame fisico lo indica la funzione simbolica stessa esercitata dai primi nei confronti dei secondi. Gli elementi che compongono i modelli essenzialmente non valgono per la loro natura materiale, bensì per la loro interpre-tazione in termini psicologici, per l’abitudine o comunque la

Page 127: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

127

capacità di servirsene quali sostituti cognitivi di oggetti materia-li o mentali che vi sono fatti corrispondere. In genere gli ele-menti che compongono i modelli sono diversi da quelli che compongono i fenomeni ai quali li si applica; ma anche quando coincidono per natura li diversifica l’uso simbolico dei primi e non dei secondi. Di questo sono esempi i modelli materiali di oggetti materiali o intesi come tali, quali le rappresentazioni ste-riche delle molecole o i plastici architettonici e geologici.

In ogni caso, i legami tra modelli e contenuti modellizzati non sempre sono chiari; anzi, per lo più sono sfuggenti e, per i modelli più astratti, restano misteriosi. Anche a invocare l’abi-tudine quale origine di quel legame, restano da spiegarsi le ra-gioni della scelta iniziale e dell’instaurarsi dell’abitudine stessa.

Quello che conta in questa sede è che a determinare il valore simbolico dei modelli, vale a dire il loro legame con i contenuti adeguati, non può essere di per sé stessa una qualche identità o corrispondenza tra gli elementi che compongono gli uni e gli al-tri, quanto piuttosto deve essere una qualche identità o corri-spondenza delle relazioni o di certe relazioni esistenti all’in-terno dei due insiemi di elementi. Devono essere, cioè, certi ca-ratteri strutturali delle rispettive composizioni, che devono pre-sentare isomorfismi e corrispondenze reciproche che si conser-vano anche con le trasformazioni equivalenti per entrambi. Questo risulta particolarmente evidente per i modelli astratti, che sono privi di elementi della medesima natura o percettiva-mente simili a quelli dei loro referenti.

Che siano le proprietà strutturali dei modelli a renderli tali lo prova l’esperienza che spesso solo pochi loro componenti pos-sono bastare a indicare a che cosa alludono. Talvolta sono sufficienti pochissimi segni, qualche tratto appena accennato di uno schizzo, anche una sola linea caratteristica o una o due note di un motivo musicale. Evidentemente, a suggerire con tanta efficacia che cosa si intende rappresentare devono essere delle caratteristiche relazionali e strutturali degli elementi utilizzati, come la disposizione rispettiva dei segni tracciati che evochi i rapporti spaziali complessivi di una figura o un suo tratto tipico, l’andamento particolarmente caratterizzante di una linea, nell’e-

Page 128: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

128

sempio musicale il rapporto tonale caratteristico tra due note e le loro durate, o il valore tonale caratteristico anche di una sola nota se collocata in una posizione saliente come all’inizio del motivo o al passaggio cruciale di una sua variazione che serva a identificarlo.

Per inciso, simili esempi rafforzano nella maniera più con-vincente la teoria degli schemi, suggerendo che anche solo po-chi elementi di uno di essi riescano a richiamare l’intero schema interessato con l’attivare alcuni dei neuroni della rete neuronale la cui attività produce lo schema in questione e che si attivi tutta intera in seguito all’eccitazione di quei pochi.

Anche quando abbiamo l’impressione di aver visto o udito o avvertito in qualunque modalità sensoriale qualcosa per un ac-cenno sfuggente, o riconosciamo al volo qualcosa, o la scam-biamo per qualcos’altro (una persona, un animale, un oggetto, un luogo, una sensazione, un sentimento), è convincente credere che a provocarlo sia una qualche corrispondenza anche minima ma significativa tra l’impressione effettivamente ricevuta e la percezione che provocherebbe l’interazione effettiva ed esau-riente con la realtà in questione. A mediare quella corrispon-denza devono essere delle modalità di funzionamento neuronale il cui risvolto mentale è la riproduzione di schemi.

Senza di questi, resterebbero inspiegabili molti fenomeni della percezione, ad esempio come riconosciamo le lettere del-l’alfabeto scritte nelle fogge più varie e mutevoli anche nel me-desimo testo con la grafia corsiva (de Saussure 1994).

Se non intervenisse una modellizzazione mentale abituale, non si vede come riusciremmo a segmentare in parole distinte e separate il flusso verbale orale, pressoché continuo e comunque non scandito da interruzioni sufficientemente marcate da impor-re di per sé stesse gli stacchi tra le parole; e a farlo solo per le lingue conosciute e non per quelle sconosciute (ricordo tutto il mio sconcerto quando, dopo un lungo periodo di soggiorno a Londra con intensa immersione nell’inglese, appena salito sul-l’aereo per il ritorno, per qualche istante trovai incomprensibile e fatta di suoni strani la parlata della gente intorno, che stava parlando in italiano! Con tutta evidenza, avevo ancora la mente

Page 129: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

129

sintonizzata sui modelli strutturali dell’inglese tanto da risul-tarmi estranea l’organizzazione fonetica e lessicale italiana, no-nostante l’italiano sia la mia lingua materna).

La modellizzazione per schemi può spiegare come mai si riesca a riconoscere ad esempio una persona anche molto cam-biata per l’invecchiamento dopo anni che non l’abbiamo vista. E riesce a spiegare la forza del pregiudizio: una volta che si è gettato uno stigma su qualcuno, si tende a interpretarne ogni comportamento come convalida della correttezza dell’idea che ce ne siamo fatta e che in genere ci sembra di avere sempre avu-to, a conferma che continuiamo a constatare un suo modo di es-sere e non una nostra invenzione, nella classica spirale della profezia che si autoavvera.

In ogni caso, tanto in circostanze particolari quanto nella percezione e nella conoscenza usuali, la corrispondenza tra gli stimoli fisici e le nostre reazioni può attuarsi solo per la media-zione di modelli delle cui caratteristiche servano a strutturare i nostri processi cognitivi, e con essi gli stimoli avvertiti. Rapporti tra modelli e fenomeni

Data la pervasività dei modelli nella conoscenza e dato il suc-cesso con il quale di solito essi vengono utilizzati, colpisce che spesso non si riesca a cogliere la ragione della loro validità nelle situazioni alle quali vengono applicati, e addirittura che in gene-rale essi si rivelino privi di legami di fatto con i fenomeni che pure si possono rappresentare con essi.

Si tratta di una spia fondamentale della natura della cono-scenza, che dovrebbe rendere avvertiti di come essa possa es-sere sempre in qualche modo e in qualche misura incerta, arbi-traria e provvisoria. Del resto, se non fosse così non si avrebbe evoluzione del sapere se non per semplice addizione di nuovi dati a quelli precedenti che dovrebbero tuttavia restare immu-tati; e anche i modi di pensare e di conoscere potrebbero e do-vrebbero variare ben poco nel corso della storia e da una cultu-ra all’altra.

Page 130: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

130

La difficoltà di individuare quali siano le relazioni che con-sentono di collegare reciprocamente modelli e fenomeni, di co-gliere le ragioni della possibilità di usare i primi per rappresen-tare i secondi, non sembra tanto configurare una questione di ignoranza o di limiti di conoscenza quanto piuttosto indicare una condizione essenziale di mancanza di rapporto tra le loro ri-spettive nature. Resta allora un mistero come si riescano ugual-mente a stabilire per altri versi delle relazioni tra i due.

Tutto quello che riusciamo a capire o a immaginare al ri-guardo è che le corrispondenze tra modelli e fenomeni si stabili-scano sulla base di proprietà strutturali comuni a entrambi o per qualche verso comparabili. Ma non è gran che, e ci lascia nella condizione dei gestaltisti quando notavano le proprietà struttu-rali della percezione e del pensiero senza riuscire a spiegarne l’origine e la natura.

Esistono comunque prove consistenti dell’arbitrarietà del collegamento tra modelli e fenomeni soprattutto per la constata-zione che si possono concepire modelli efficaci, e applicarne di efficaci già disponibili, senza comprenderne in entrambi i casi né la natura né il funzionamento né che cosa li rende adeguati agli usi che se ne fanno.

Per sua esplicita ammissione, Schrödinger non riuscì mai a capire le ragioni del successo delle sue famose equazioni, che aveva formulato seguendo intuitivamente delle analogie mate-matiche.

Anche Heisenberg, senza conoscere, anch’egli per sua am-missione espressa, la matematica delle matrici, giunse ad ab-bozzare con una costruzione personale un metodo di calcolo dei processi quantici, che poi Born identificò con tale matematica (Born 1980).

Einstein indicava «la indipendenza logica del concetto dalle esperienze sensoriali», tutta l’arbitrarietà e la convenzionalità di quel rapporto, dicendo che la loro «relazione è analoga non a quella del brodo rispetto al bue, quanto piuttosto a quella dello scontrino del guardaroba rispetto al cappotto» (Einstein 1965, p. 41). Dato che egli riteneva il mondo una realtà esterna alla co-noscenza e autonoma da questa, non poteva che sorprendersi

Page 131: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

131

della possibilità di conoscerlo, trovando la sua comprensibilità «davvero un miracolo» (ivi, p. 39).

Le asserzioni di Feynman (1994) sono ancora più radicali. Egli infatti non si limita a rilevare la mancanza di qualsiasi rap-porto tra i segni usati nei calcoli matematici e i fenomeni calco-lati (cosa peraltro scontata, data l’arbitrarietà dei segni, che so-no solo dei promemoria di idee e di operazioni alle quali chia-ramente li connette soltanto l’abitudine); ma aggiunge con deci-sione di non capire niente della natura dei processi fisici per i quali pure ha inventato il sistema di rappresentazione più efficace che si conosca, i suoi famosi diagrammi. La natura in generale — egli sottolinea — per lui rimane un mistero, come per tutti.

Questo non toglie che si riescano a creare e a usare proficuamente dei modelli: evidentemente a stabilire un qualche tipo di relazioni tra essi e i fenomeni che per loro tramite arri-viamo a conoscere e a capire nell’accezione di saperli inquadra-re in sistemi di nozioni, collegare ad altri fenomeni, prevedere, produrre. Non si devono scambiare con i modelli le loro rappre-sentazioni materiali realizzate mediante segni o disposizioni di oggetti o creazioni di oggetti che “li riproducano”. Simili mate-rializzazioni dei modelli sono solo supporti del pensiero, appun-to promemoria delle idee, delle relazioni e delle operazioni ap-parentemente insite nelle proprietà strutturali dei modelli stessi ma in realtà stabilite e svolte da chi li usa seguendo queste e convertendole in proprietà funzionali: idee, relazioni e opera-zioni che si intende corrispondano o far corrispondere ai feno-meni, alle loro evoluzioni e trasformazioni interne, alle loro in-terazioni con altri fenomeni.

Possiamo non cogliere la specificità delle relazioni così sta-bilite. Particolarmente, possiamo fallire nel tentativo di diventa-re coscienti delle ragioni sottostanti che le rendono valide. Ciò non di meno, i modelli sono praticabili e praticati: il che indica oltre ogni dubbio che ne individuiamo anche solo intuitivamen-te, inconsapevolmente e più o meno vagamente a un qualche li-vello e per qualche criterio dei rapporti con i fenomeni e i con-tenuti mentali ai quali li applichiamo.

Page 132: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

132

Modelli e idee

I modelli nella scienza sono onnipresenti. Se ne è sempre parla-to con il termine generico di idee perché li si sono sempre con-siderati nella veste di contenuti di conoscenza, senza mai valu-tarne la funzione strutturante del pensiero.

Il pregiudizio sottostante a questa incapacità di cogliere la vera natura delle idee e la loro funzione di organizzatori cogni-tivi è stato sempre provocato dalla convinzione che la mente vi preesista, che le elabori o le accolga già fatte, anziché esserne essa stessa prodotta e costituita. Tale è la posizione espressa ad esempio dall’obiezione di Leibniz all’empirismo che le sensa-zioni sono precedute dal funzionamento dell’intelletto, e da Kant con la tesi delle categorie a priori.

Concepire l’intelletto, la mente, come la presenza stessa delle idee, come il gioco complesso del loro farsi, evolversi e dar luo-go ad altre idee e processi cognitivi dei più svariati livelli di a-strazione, di completezza e di precisione (dalle immaginazioni eidetiche più prossime alla percezione ai concetti totalmente pri-vi di elementi figurativi, dagli abbozzi di idee alle definizioni più esaustive, dagli accenni vaghi alle costruzioni rigorosamente dettagliate) getta una luce tutta diversa sul valore delle idee quali modelli. Allora, riconoscere che non è possibile alcun atto di co-noscenza, alcuna osservazione o esperienza che porti a indivi-duare dei contenuti significativi, senza il ricorso a idee prelimi-nari equivale a rendersi conto dell’impossibilità del pensiero senza modelli che lo organizzino e senza quadri di riferimento.

Questi sono indispensabili sia per attribuire significati e sen-si ai contenuti individuati, sia per elaborare ulteriori quadri che rendano sempre più comprensiva e penetrante la capacità di at-tribuire significati e sensi a materiali sempre nuovi.

Di tale dinamica delle idee consiste la mente. In questa chia-ve specifica vanno rilette le considerazioni di storia e di filosofia della scienza che, pur parlando genericamente di idee, illustrano l’indispensabilità e la pervasività dei modelli nella conquista di conoscenza.

Page 133: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

133

I modelli nella scienza

Fin dagli inizi dell’Ottocento Comte aveva sottolineato che le os-servazioni, e più precisamente la capacità di identificarne degli specifici contenuti, richiedono delle ipotesi preliminari su dove dirigere l’attenzione e su come interpretare quanto si osserva.

Questo riconoscimento significa rendersi conto che qualun-que osservazione non è mai la prima in assoluto, che essa non scaturisce improvvisamente dal niente, non si svolge nel vuoto più totale di abitudini e di idee, bensì si aggiunge a tutto un mondo di osservazioni già compiute e di idee precedenti, e lo prolunga. Quel mondo può essere di data più o meno vecchia o antica. Resta il fatto che le capacità tanto personali quanto col-lettive di osservazione e di comprensione sono in media propor-zionali alla mole e alla qualità delle osservazioni e dei modi di osservare acquisiti rispettivamente nell’esperienza personale e nella cultura sociale. E resta il fatto che fin dalle prime osserva-zioni effettuate da un individuo, quelle autonome e di successo sono il prodotto dell’esperienza, per breve che possa essere, ac-cumulata ed elaborata con tentativi e osservazioni precedenti guidate da altri.

Comte si sforzava di indicare un criterio di valutazione della significatività reale delle idee, contro il vizio metafisico di ac-cettarne di prive di riscontri empirici pretendendo tuttavia che vi corrispondessero dei contenuti reali. Egli quindi metteva in primo piano l’esigenza che le idee assunte quali ipotesi iniziali dovessero poi venire via via accordate con le evidenze empiri-che e con i progressi di osservazioni sempre più estese, appro-fondite e accertate. In ogni caso, come si è poi riconosciuto uni-versalmente in ambito scientifico e vi è ormai risaputo, non si riesce mai a eliminare con le osservazioni successive qualunque base ipotetica delle osservazioni empiriche, a sostituire comple-tamente le ipotesi che vanno inevitabilmente prese per punti di partenza. In sostanza, in qualunque conoscenza restano sempre dei componenti ipotetici che non si possono giustificare con dati di fatto, dei residui ideologici irraggiungibili mediante osserva-zioni e insopprimibili per opera di queste.

Page 134: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

134

Più o meno nel medesimo periodo scienziati quali Fourier e Poisson giunsero a sostenere che il carattere fondamentale del sapere scientifico non consiste nella spiegazione dei fenomeni in termini di immagini mentali in qualche modo riferibili alla percezione, bensì nella rappresentazione dei fenomeni stessi in forma di equazioni che ne permettano la definizione e l’elaborazione delle relative rappresentazioni secondo i canoni rigorosi delle matematiche, in specifico dell’algebra.

La concezione che le teorie si riducessero a sistemi di equa-zioni raggiunse l’apice nella seconda metà dell’Ottocento con Maxwell, Hertz e Boltzmann.

Anche Kirchhof, a metà dello stesso secolo, indicava che con la scienza non si ottengono spiegazioni ma solo descrizioni. Vale a dire, metteva in evidenza la natura di modelli delle idee scientifiche, che queste costituiscono appunto delle modellizza-zioni, non la rivelazione diretta e certa, univoca, della realtà. Dunque, secondo questa visione, peraltro oggi accreditata, la comprensione non è qualcosa di imposto dalla realtà stessa in maniera prescrittiva vincolante, bensì è un modo di intendere tra altri possibili.

Questa convinzione fu espressa in forme radicali a cavallo tra Ottocento e Novecento dal convenzionalismo di Poincaré (1929 e 1943), e successivamente dai vari indirizzi del pragma-tismo sostenuto ad esempio da Peirce, da James e da Dewey.

Ai primi del Novecento la presa di coscienza del ruolo ine-liminabile delle componenti ipotetiche — arbitrarie nell’acce-zione di non riconducibili a dati osservativi secondo criteri logi-ci vincolanti — nella conoscenza scientifica venne affermata con piena maturità filosofica, estesamente e con dovizia di e-sempi a conferma, da Duhem (1978) e da Enriques (1985).

Nei decenni successivi, particolarmente a partire dagli anni Trenta, Einstein insisté sull’arbitrarietà delle ipotesi scientifiche. Specificava di intenderla nell’accezione appena detta, ma la definizione fu infelice e fonte di malintesi, venendo interpretata come se sostenesse un’arbitrarietà assoluta anziché relativa, alla quale invece Einstein appunto pensava. La sua intenzione era di evidenziare il fatto, già chiarito da Duhem e da Enriques, che

Page 135: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

La conoscenza scientifica

135

nessun evento empirico è di per sé un’evidenza o un dato di co-noscenza tale da indurre a concepire un’ipotesi che gli corri-sponda in maniera diretta e semplice. Nessuna ipotesi è resa ne-cessaria da connessioni strettamente logiche con l’esperienza osservativa.

Duhem aveva già rilevato che la relazione tra una qualunque ipotesi e un qualunque dato di osservazione che si voglia pren-dere a sua conferma o smentita richiama tutta una serie di altre relazioni che costituiscono la teoria alla quale qualunque ipotesi inevitabilmente deve rifarsi. Di conseguenza, non si può accer-tare in maniera diretta semplice quale punto della teoria causa la concordanza o la discordanza tra un’ipotesi e un’osservazione, né, pertanto, asserire in maniera puntuale certa che cosa è con-fermato o smentito.

E anche Einstein argomentava che vi è tutta una lunga e complessa catena di passaggi concettuali che si frappone tra le ipotesi iniziali, di per sé ingiustificabili, e le loro verifiche empi-riche (Einstein 1954, 1965 e 1988). Così, è quell’intero sistema di idee che si può convalidare o confutare, nelle accezioni di ac-cettarlo o respingerlo in quanto soddisfacente o meno alle no-stre esigenze conoscitive legate al contesto e allo sviluppo cul-turale del momento.

Einstein aggiungeva infatti la considerazione che nel corso della storia teorie fisiche successive avevano dato luogo «alla creazione di nuove realtà» (Einstein e Infeld 1976, p. 301) l’una rispetto all’altra, o — che fa lo stesso — ogni volta a «nuovi ed essenziali aspetti della nostra realtà» (ivi, p. 303).

Quel che più conta, al riguardo, è che ciascuna teoria stori-ca e ciascuna rispettiva realtà (essa pure storica, sebbene si sia meno propensi a riconoscere che si tratti di una costruzione storica nel caso di quella che si ritiene la realtà) fu via via ac-cettata e “accertata” alla sua epoca come l’unica vera e come fatto incontestabile; ma poi molte furono abbandonate come errori o fantasie.

Attualmente questa consapevolezza è acquisita e rientra nel-la formazione di qualunque scienziato. Ne è un corollario il fal-sificazionismo di Popper (1970), che infatti si ispira a Einstein

Page 136: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Capitolo VI

136

nel sostenere che qualunque teoria scientifica potrà solo venire smentita da un’osservazione (per quanto neppure le smentite siano mai tanto dirette e semplici, comportando anch’esse, co-me le verifiche, intere reti di idee) ma mai definitivamente con-fermata.

Meno condivisa, sebbene altrettanto conseguente dalla com-prensione del rapporto tra teoria e dati osservativi, è la dichiara-zione di Feyerabend (1976 e 1990) della sostanziale omogeneità tra scienza e miti di ogni genere sotto il profilo della comune dipendenza da idee precostituite incontrollabili in assoluto e in qualche misura autoreferenziali al punto da costituire delle pro-fezie che si autoconvalidano e che non possono che avverarsi finché ci si mantiene fedeli al sistema di idee dal quale scaturi-scono.

Eppure, si è visto che anche un fisico autorevole come Fe-ynman (1994) è convinto dell’incomprensibilità del rapporto che stabiliamo tra le rappresentazioni matematiche e i fenome-ni, per quanto esso funzioni nelle condizioni date, così da sem-brare giustificato (né si potrebbero ottenere risultati altrettanto soddisfacenti rinunciandovi).

Le cose sono complicate dalla complessità già indicata del legame tra teorie ed esperienza. Avendo incentrato la sua atten-zione su questo punto, Lakatos (1976) è stato condotto a consi-derare quali oggetti unitari di analisi non tanto le singole ipotesi e nemmeno le teorie da sole, bensì i complessivi programmi di ricerca. Questi comprendono molto di più delle sole teorie, dato che includono molti altri fattori, dai sentimenti e dal tempera-mento degli scienziati coinvolti ai rapporti sociali, alle questioni di prestigio e di carriera, alla strumentazione disponibile, agli aspetti finanziari, e così via.

Si giunge, così, in armonia con quanto già adombrato ricor-dando le contaminazioni affettive di determinate convinzioni di Galilei e di Einstein, a concepire la scienza con maggior reali-smo di quello suggerito dall’esclusivo riferimento ai suoi ele-menti strettamente concettuali.

Page 137: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

137

Conclusioni Idea corretta dei modelli

I modelli non sono immagini. Sono modalità di organizzazione e di svolgimento del pensiero. Molti di essi suggeriscono im-magini, o possono suggerirne. Ma non vi coincidono, non han-no le proprietà di figure precise, complete, dalle linee ben definite e dai contorni netti.

I modelli non rappresentano oggetti. Indicano aree verso le quali dirigere il pensiero, entro le quali muoverlo badando a mantenerlo all’interno senza preoccuparsi di tracciare i confini del territorio esplorato e di seguirli.

Schemi o concetti, generatori di immagini anche le più pros-sime alle sensazioni e alle percezioni o inadatti a suscitare rap-presentazioni figurative, com’è per i segni più astratti e le equa-zioni matematiche, i modelli sono comunque sempre degli or-ganizzatori cognitivi. Essi strutturano il pensiero e gli danno forma, senza essere a loro volta delle forme. Anzi, in quanto modelli neppure esistono. Reali sono soltanto le tendenze a far funzionare i processi cognitivi nei modi che li producono. I mo-delli sono già dei prodotti di quei processi, giungono ad esisten-za solo quando vengono prodotti dai pensieri di qualcuno.

Gli stessi modelli che metaforicamente diciamo depositati nella cultura, in realtà non sono che i prodotti dei nostri pensieri guidati dai contenuti culturali esistenti, dagli oggetti della cultu-ra effettivamente definiti e disponibili. L’impressione di avere in mente dei modelli è data dai nostri pensieri che percorrono le forme e le proprietà delle visioni di quegli oggetti, ricavandone indicazioni di come svolgersi, più o meno come se appunto de-limitassero delle aree dove dirigersi ed entro cui stare, e degli i-tinerari confacenti da seguire.

L’impressione che forme e proprietà appartengano alle realtà esplorate, che siano presenti negli oggetti contemplati — tanto in quelli fisici esterni quanto, in analogia con essi, in quelli

Page 138: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

138

mentali interiori — è universale e invincibile al punto che non esitiamo a crederlo ed è convinzione scontata per il senso co-mune. Non è frequente, invece, il pensare che si tratti di forme e proprietà che sono prodotte nelle interazioni, e che costituisco-no delle caratteristiche di queste, non degli oggetti presi di per sé né delle rappresentazioni personali quasi che queste si attuas-sero a parte da sole.

Eppure, è proprio quel modo di pensare che regge alla prova dei fatti e si sottrae alla serie infinita di rompicapo, di contrad-dizioni e di vicoli ciechi che hanno tormentato e ostacolato da sempre la comprensione della natura dei processi di conoscenza e della conoscenza stessa intesa quale contenuto. Non compren-dere che cos’è questa comporta di non capire che cosa essa in-dica, quale valore assegnarle, quanto potersene fidare e come servirsene. Qualità dei modelli

Ho insistito sul fatto che i modelli, ma più propriamente l’attitudine a modellizzare, raggiungono i più svariati gradi di astrazione, di dettaglio e di completezza. Si va dalla fotografia, dal dipinto, dal disegno e dall’icona, che sembrano rendere per-cettivamente presente il contenuto rappresentato o richiamarlo sul piano della percezione per qualche sua parte rappresentata, al simbolo pure di natura percettiva che sfrutta anch’esso il meccanismo metonimico di sostituire una parte al tutto o di ser-virsi di un qualunque elemento connesso sotto il profilo fisico o culturale a un altro per indicare quest’ultimo, al segno massi-mamente astratto intraducibile di per sé in un’immagine e privo di qualunque rapporto sensoriale con il referente.

A ciascuno di tali gradi di astrazione, di dettaglio e di com-pletezza corrisponde una diversa modalità di organizzazione mentale e un diverso raggio di comprensione dei contenuti che si possono abbracciare concependoli come riferibili a ciascun modello utilizzato. Ne sono influenzate, e anzi determinate, sia la quantità degli oggetti conoscitivi riconducibili a un’unica

Page 139: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

139

classe comune sia le qualità concepibili come loro o più esatta-mente loro attribuibili con i diversi tipi di interazioni attuate o immaginate.

Questa constatazione riprende l’affermazione di Vygotskij (che a sua volta la mutua da Marx e da Engels) che la qualità degli strumenti utilizzati determina la qualità delle attività svol-te. Per quanto riguarda le attività psicologiche superiori, come sono quelle conoscitive e ideative, gli strumenti che incidono maggiormente sotto i profili sia quantitativo sia qualitativo sono quelli culturali tanto di natura materiale quanto di natura simbo-lica.

D’altra parte, si è detto ripetutamente come le proprietà sa-lienti degli strumenti materiali considerati in quanto sistemi funzionali siano quelle di natura simbolica che sempre presie-dono alla creazione dei loro prototipi, alla loro produzione e configurazione, ai loro funzionamenti e ai modi di usarli.

I modelli mentali, che sono sempre modelli culturali interio-rizzati o loro rielaborazioni, costituiscono appunto i tipici stru-menti dei quali ci si serve nel pensare, nel conoscere e nel capi-re. Li costituiscono anche quando il ricorso a essi è mascherato dall’uso esteriore in funzione simbolica di strumenti o oggetti materiali, in quanto i significati che allora assumono nelle ri-spettive azioni questi risultano dalla loro congiunzione con cor-rispondenti categorie e operazioni intellettuali.

Feynman (1994) fa l’esempio di servirsi di fagioli al posto di segni per contare. Una tale possibilità evidenzia come gli ogget-ti utilizzati nelle attività rappresentative servano solo a fissare i passi mentali compiuti, nel caso specifico con i conteggi, e i lo-ro prodotti mentali, che nel caso specifico sono i numeri via via ottenuti. I fagioli o qualunque altro oggetto o traccia materiale servono solo da promemoria, da indicatori percettivi di atti e di contenuti mentali che vi sono fatti corrispondere con il pensiero.

Goody (1989) rileva come di solito sfugga che comunichia-mo e pensiamo valendoci di strumenti materiali e di tecniche operative in misura paragonabile a quella con cui usiamo gli strumenti e le operazioni puramente simbolici e interiori. Que-sto risulta tanto più vero quando si considera che strumenti ma-

Page 140: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

140

teriali esterni e tecniche operative seguite in operazioni esterne danno forma ai pensieri connessi e ne determinano l’organizza-zione tanto quanto, reciprocamente, i pensieri determinano i comportamenti pratici e i loro prodotti materiali.

Oltre a comunicare mediante strumenti materiali e tecniche operative esterne, ci serviamo di entrambi anche per pensare: ad esempio di libri, di appunti, di grafici, di segni matematici, della lettura, della scrittura e del disegno quali supporti dei pensieri e dei ragionamenti che andiamo sviluppando (Waddington 1977). Inoltre, ci serviamo allo stesso modo delle persone, quando ci consultiamo e ci confrontiamo con esse e ne utilizziamo i con-tributi al pensare insieme e al nostro stesso pensiero (gran parte dell’intelligenza dei ricchi e dei potenti è costituita dai pensieri e dalle conoscenze dei loro consulenti; ma per tutti gran parte della propria intelligenza è costituita dalla idee altrui adottate).

Tanto gli apporti sociali quanto gli strumenti e le tecniche materiali di comunicazione e di svolgimento del pensiero sono altrettanto presenti degli strumenti e delle tecniche puramente mentali nei comportamenti umani, anche in quelli più usuali: nel pensiero, nel ragionamento e nella conoscenza. La qualità, vale a dire le proprietà e le funzioni di tale complesso di contributi, di strumenti e di tecniche utilizzati negli atti di pensiero e di cono-scenza, e dei modi d’uso che consentono, è altrettanto indispen-sabile per realizzare i livelli e le forme del pensiero e della cono-scenza attuali sul piano tanto individuale quanto sociale. Quel che più conta è che tali livelli e forme sono stati raggiunti nella dimensione storica dell’evoluzione culturale proprio e solo in virtù dell’uso di quegli apporti umani, di quegli strumenti e di quelle tecniche. Senza di essi, non sarebbero mai sorti né po-trebbero esistere o venire prodotti i modi di pensare, di ragionare e di conoscere tipicamente odierni, e le conoscenze attuali.

L’impatto della scrittura

Due grandi ambiti di creazione di procedure mentali e comunica-tive, di strumenti, di tecniche e di tecnologie di pensiero e di co-

Page 141: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

141

noscenza, si impongono all’attenzione: la scrittura e la scienza. Anzi, propriamente, si può parlare di un unico ambito, dato che le matematiche dalle tavolette babilonesi ai loro sviluppi successivi fino agli attuali, e la scienza con la sua elevata componente di te-oria, rientrano nella cultura scritta (Goody 1989). Quando poi si raggiunge il livello delle tecnologie, vale a dire dell’elaborazione degli strumenti e delle tecniche sulla base di orientamenti teorici e della consapevolezza metacognitiva, queste a loro volta metto-no in grado di coordinare organicamente strumenti e tecniche, e di svilupparli con progressione sistematica.

Ora, tutti gli autori che hanno indagato come la lingua svol-ga una funzione di organizzazione del pensiero hanno rilevato gli effetti di astrazione e di generalizzazione che essa produce, oltre a quello di dare forma precisa ai contenuti espressi.

Il dibattito sui rapporti tra lingua e pensiero è annoso e irri-solto: segno evidente che i processi soggiacenti sono ben più complessi di quanto riusciamo a scorgerne, anche per la fre-quente miopia intellettuale degli studiosi, che spesso procedono con impostazioni e metodi di indagine inadeguati ed eccedono nelle interpretazioni eccessivamente riduttive. Ma sul potere di astrazione e di generalizzazione della lingua e sulla superiorità della precisione, dell’estensione di applicazione e della flessibilità delle parole e delle costruzioni verbali rispetto a qua-lunque altro mezzo espressivo non c’è e non è possibile alcuna divergenza di opinioni. Su questi aspetti c’è accordo da Locke (1994) a Sapir (1969 e 1972) e a Whorf (1970), da Hume (1974) a Mill (1988) o a Cassirer (1976), da Humboldt (1991) a Vygotskij (1992), Leontjev (1976 e 1977) e Luria (1971, 1974, 1976, Luria e Yudovich 1975), da de Saussure (1994) a Have-lock (1983 e 1987a, b), Ong (1986 e 1989) e Goody (1989 e 2002, Goody e Watt 1973), da Bruner e dalla Greenfield (Bru-ner et al. 1973) a Bernstein (1969, 1971 e 1973) e a Oevermann (1972). E si potrebbero citare infiniti altri linguisti e psicologi.

Lo stesso Piaget (1952 e 1968), che pure ha nettamente sot-tovalutato la funzione mentale della lingua e l’ha intesa più qua-le prodotto di preventive strutture logiche che quale generatrice originaria di queste, ne riconosce tuttavia l’azione di grande e-

Page 142: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

142

spansione del pensiero una volta innestatasi su di esso con l’apprendimento o con lo sviluppo linguistico autonomo (che alcuni considerano, per me del tutto incredibilmente, un proces-so naturale e quello fondamentale).

Gli effetti di astrazione, di generalizzazione, di precisione, di estensione e di flessibilità prodotti sul pensiero dalla lingua so-no enormemente accentuati dall’introduzione della scrittura, particolarmente di quella alfabetica (Goody 1989, Havelock 1987b). Questa ne aggiunge poi altri che lo trasformano radical-mente con il potenziare i processi di memorizzazione e di ac-cumulo delle conoscenze, di composizione dei pensieri, del loro ordinamento, del loro coordinamento e della loro articolazione in strutture gerarchiche, della loro elaborazione sia progressiva sia retrospettiva, del loro controllo, della loro analisi e della possibilità di rivederli fino eventualmente a sostituirli o a sop-primerli del tutto, come non è possibile fare con le espressioni orali, una volta pronunciate. Inoltre, la scrittura rende possibile reiterare tali azioni anche a intervalli successivi e lungo archi di tempo teoricamente infiniti. Dilata poi in maniera altrettanto infinita in via di principio e in proporzioni incomparabili nei confronti della lingua orale i confini spaziali delle opportunità di scambi e di collaborazione sociale, così da favorire l’aumento quantitativo e il miglioramento qualitativo della produzione in-tellettuale sia individuale sia collettiva in misura esponenziale (Goody 1989).

La rivoluzione introdotta dalla scrittura nella comunicazione, nel pensiero e nel ragionamento, nella conoscenza e nelle capa-cità di capire è quindi totale. Essa ha liberato tutti questi proces-si da confini temporali e spaziali che sono anche confini espe-rienziali e intellettuali, operativi e operatori, che quando inter-vengono ne limitano le forme e l’organizzazione al punto da rendere quelle orali incomparabili con quelle scritte.

Pensare ed esprimersi mediante la scrittura o in forme orali esterne o interiori non sono due versioni di un’unica, medesima lingua: sono due modalità di pensiero e di espressione radical-mente diversi, che si attuano con due sistemi solo parzialmente imparentati (ibidem, Vygotskij 1992).

Page 143: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

143

Con il passaggio dalla pura oralità alla lingua scritta cambia-no i modelli cognitivi coinvolti e i modi di usarli. I testi scritti e, in maniera ancor più vistosa, la scienza forniscono modelli al-ternativi a quelli tipicamente orali, immagini e procedure incon-cepibili con l’oralità per numero e qualità.

Non si riesce a fare le stesse cose con la modalità scritta e con quella esclusivamente orale, né si conoscono e si fanno le stesse cose con il senso comune e con la scienza o le costru-zioni matematiche rigorose. Le rispettive differenze esem-plificano la diversa influenza che ha in generale sul pensiero, sulla conoscenza e sulla comprensione la diversa qualità degli strumenti sia materiali sia mentali utilizzati nel pensare, cono-scere, capire.

La diffusione della stampa ha aumentato a dismisura il rap-porto diretto con i testi nella lettura personale, sottraendolo alla mediazione dei pochi che prima avevano accesso esclusivo a essi, e liberando tutti gli altri dalla dipendenza dalle interpreta-zioni di quei pochi (Goody 1989). Si è imposta, così, l’abitudine di interpretarli e di diffonderne i contenuti attraverso la comuni-cazione e il confronto sociali seguendo vedute e interessi perso-nali propri, per quanto ovviamente non a proprio completo pia-cimento o non in modo completamente arbitrario sottratto a qualunque controllo. Si è comunque ridotto enormemente il po-tere di autorità costituite e la presa sul senso comune e sugli o-rientamenti generali di pensiero di credi calati dall’alto.

Non che questo non avvenga tuttora e non contamini la stes-sa divulgazione e perfino la cosiddetta formazione scientifica, che spesso è in larga misura tale solo di nome. In forme più subdole dell’aperta imposizione delle idee tipica dell’indottrina-mento di ogni tipo, opinion leaders e mass media, e più in gene-rale tutti gli apparati ideologici messi in luce da Althusser (1972), svolgono una costante azione di modellazione dei modi di pensare, che diventano comuni, di trasmissione di credenze e opinioni in larga misura false, di occultamento di conoscenze, di pensieri e di modi di pensare osteggiati dai governanti, dai politici e dai sostenitori e dai finanziatori dei comunicatori e dei proprietari dei mezzi di comunicazione.

Page 144: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

144

Tuttavia, ciò che caratterizza la comunicazione scritta è di favorire una rapporto più prolungato e più meditato con i testi rispetto a quanto avviene per i messaggi orali, e di conseguen-za una maggiore riflessione e un superiore controllo personali, una maggiore integrazione delle letture con idee proprie (per inciso, ma non più di tanto, certamente per questo i capi poli-tici hanno accolto come una manna la televisione, e la favori-scono, quale strumento di indottrinamento e di distrazione dall’approfondimento delle informazioni e dal pensiero auto-nomo meditato). In quanto poi alla comunicazione scientifica, questa tende a fornire in maniera molto più sistematica dei di-scorsi di senso comune insieme ai contenuti gli strumenti di conoscenza che consentono di verificarli e la guida a ripercor-rere i processi che li hanno ottenuti e che permettono di rico-struirli (e anche a questo proposito si spiega il favore dato sempre alla cultura umanistica in una nazione arretrata come l’Italia per mantenerla tale, particolarmente sotto il fascismo — che rafforzò quel favore con l’ostilità verso la scienza — e in ogni epoca per imposizione della chiesa cattolica e con il sostegno dei ceti conservatori).

Già la stessa sistematicità del sapere scientifico e il suo e-splicito richiamo tanto a reti estese di nozioni interconnesse quanto al rispetto della coerenza è un contributo consistente all’autonomia di pensiero.

Nella medesima chiave, la diffusione delle conoscenze scientifiche e dei modi di pensare scientifici sia fornisce in ab-bondanza modelli culturali più consapevoli, più organici e più comprensivi rispetto a quelli disponibili al di fuori della scien-za; sia ne consente delle rielaborazioni che ne generano in tutti i campi e in tutte le sfere di vita e di conoscenza altri conformi.

La diffusione tanto della scrittura quanto del sapere e degli atteggiamenti scientifici, insieme alle trasformazioni concomi-tanti che l’una e l’altro hanno provocato e sostenuto in ogni ambito di esperienza (economico, sociale, politico, dei costumi, psicologico, e di ogni altro genere) e continuano a provocare e a sostenere, ha attuato e continua ad attuare una poderosa mo-dificazione delle capacità cognitive, delle possibilità e dei modi

Page 145: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

145

di capire e di attribuire significato, dei significati stessi accessi-bili e di quelli maggiormente condivisi.

Le differenze generazionali rapide e spesso tumultuose sono lì ad attestarlo. Come lo attesta la reazione attuata in ogni epo-ca, ma particolarmente evidente oggi, con gli sforzi di ridurre la qualità dell’istruzione di massa nel più vasto contesto del tenta-tivo di contenere e di far arretrare i diritti occupazionali e civili per la parte preponderante più debole della popolazione. Mente e realtà

A cambiare con il mutare delle condizioni di conoscenza non sono solo i contenuti mentali, quasi che la mente di per sé rima-nesse immutata. È la mente stessa che cambia, fatta com’è dei modelli culturali interiorizzati. Cambia la natura umana, via via che si aggiunge storia e prosegue l’evoluzione della specie.

Come non esistono «delle idee già fatte preesistenti alle pa-role» (de Saussure 1994, p. 83), così non esistono né una mente già fatta preesistente alle categorie e ai processi fissati nei mo-delli culturali né un’umanità già fatta preesistente ai modi di vi-vere, di conoscere, di pensare e di sentire prodotti storicamente e trasmessi socialmente con la formazione delle menti indivi-duati attuata fin dalle prime cure parentali (Kaye 1989).

Neppure esiste una realtà già fatta preesistente alle idee che via via ce ne facciamo.

Per «realtà» si può intendere l’insieme dei contenuti e delle forme più consistenti della conoscenza che la rendono adeguata all’esperienza complessiva, agli aspetti costanti dei fenomeni per come essi si presentano entro l’orizzonte delle nostre interazioni e entro i limiti della nostra comprensione, inclusi quegli aspetti oggi sconosciuti che venissero (e si può essere certi che verranno) conosciuti in futuro. Nella misura in cui questi si collocassero in una linea di continuità con quelli noti e fossero compatibili con essi, non sconvolgerebbero le nostre idee della realtà. Nella misu-ra in cui le sconvolgessero farebbero cadere la realtà di quelli, ci indurrebbero a concepirli come superati in quanto irreali.

Page 146: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

146

In questa concezione conoscenza e realtà si compenetrano,

coevolvendo e alimentandosi reciprocamente, così che non ci

sono ostacoli a spiegarne il rapporto.

Normalmente, invece, si intende per «realtà» tutto ciò che è

all’esterno della conoscenza, tutto ciò che può divenirne oggetto

e provocarla appunto dall’esterno, oppure che le sfugge esisten-

do oltre i suoi confini.

Se si segue questa concezione, dall’intera analisi svolta dei

modelli e della conoscenza, risulta palese che gli uni e l’altra,

pur essendo concepiti in quell’ottica in qualche modo come del-

le repliche della realtà molto più di quanto non comporti la vi-

sione interazionistica, non corrispondono perfettamente alla re-

altà stessa, non la rispecchiano in maniera fedele e, tanto meno,

esaustiva.

Eppure modelli e conoscenza rappresentano senza alcun

dubbio la realtà nella misura in cui servono a sostenere dei no-

stri comportamenti proficui e adattati all’ambiente, a orientarci

con successo nelle situazioni e nei rapporti con gli oggetti e con

gli altri esseri viventi, a guidare previsioni conformi agli acca-

dimenti successivi, azioni e attività di trasformazione e addirit-

tura di produzione della realtà, a far coincidere i prodotti del no-

stro lavoro con le idee preventive che ne abbiamo e che se-

guiamo nel produrli, con i propositi perseguiti.

Non possono essere idee prive di qualsiasi relazione con la

realtà a produrne delle parti che combaciano e concordano con

quelle preesistenti o per lo meno le cui proprietà non entrano in

conflitto con quelle attribuite alle realtà esistenti e concepite. I

modelli e le conoscenze sono certamente “reali” nella misura in

cui hanno presa sul reale e ne sono verificati, convalidati (Marx

1972, p. 3 [tesi 2], Engels 1974, pp. 512–513).

Altrettanto reale non può che essere la mente, nonostante il

suo carattere sfuggente e nonostante tutta la problematicità

dell’individuarne la natura e dello spiegarla.

Non sappiamo ancora definire la mente in termini sufficien-

temente precisi da evitare espressioni in larga misura prive di

contenuto, lacunose al punto da risultare delle pseudode-

finizioni. Ma comunque si potrà forse un giorno definire la

Page 147: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Conclusioni

147

mente, già ora se ne può dire questo: che è la modalità di fun-

zionamento di reti di neuroni modulata da organizzatori

culturali.

A sua volta, il capire è la funzione mentale che struttura in

unità organiche distinte e interconnesse il flusso continuo

dell’interattività, convertendolo in prodotti di conoscenza e di

pensiero.

Non è molto. Restano enormi vuoti su quasi tutto.

Ma è almeno una traccia della direzione in cui muoversi con

le ricerche future.

Page 148: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 149: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

149

Bibliografia

Agazzi, E. 1969, Temi e problemi di filosofia della fisica, Milano, Manfredi

Editore [e 1974, Roma, Edizioni Abete]. Agazzi, E. 1979, Proposte per una semantica intensionale delle teorie em-

piriche, in Agazzi, E. (a cura di) 1979, Studi sul problema del significato, Firenze, Le Monnier, pp. 148–166.

Alexander, I. 2001, Come si costruisce una mente, Torino, Einaudi. Althusser, L. 1972, Ideologia ed apparati ideologici di Stato, in Barbagli

1972, pp. 15–35. Arbib, M.A. e Hesse, M.B. 1992, La costruzione della realtà, Bologna, il Mu-

lino. Arons, A.B. 1992, Guida all’insegnamento della fisica, Bologna, Zanichelli. Bachtin, M. 1968, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi. Bachtin, M. 1979, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi. Bachtin, M. 1988, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, Tori-

no, Einaudi. Barbagli, M. (a cura di) 1972, Scuola, potere e ideologia, Bologna, il Mulino

[riedizione rinnovata 1978, con il titolo Istruzione, legittimazione e

conflitto, ivi]. Bartlett, F.C. 1990, La memoria. Studio di psicologia sperimentale e sociale,

Milano, Angeli. Bateson, G. 1984, Mente e natura. Un’unità necessaria, Milano, Adelphi. Bateson, G. 1986, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi. Bellone, E. 1973a, I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna

da Laplace a Bohr, Milano, Feltrinelli. Bellone, E. 1973b, Il mondo di carta, ricerche sulla seconda rivoluzione scien-

tifica, Milano, Mondadori. Bellone, E. 1989, I nomi del tempo. La seconda Rivoluzione scientifica e il mi-

to della freccia temporale, Torino, Boringhieri. Bellone, E. 1990, Storia della Fisica moderna e contemporanea, Torino, U-

TET.). Bellone, E. 1994, Spazio e tempo nella nuova scienza, Roma, La Nuova Italia

Scientifica. Bellone, E. 2000, I corpi e le cose. Un modello naturalistico della conoscen-

za, Milano, Bruno Mondadori. Berger, P.L. e Luckmann, T. 1995, La realtà come costruzione sociale, Bolo-

gna, il Mulino. Bernstein, B. 1969 Classi sociali e sviluppo linguistico, una teoria dell’ap-

prendimento sociale, in Cerquetti, E. (a cura di) 1969, Sociologia dell’e-

ducazione, Milano, Angeli, pp. 38–66.

Page 150: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

150

Bernstein, B. 1971, Struttura sociale, linguaggio e apprendimento, in Passow, H. et al. (a cura di) 1971, L’educazione degli svantaggiati, Milano, Angeli.

Bernstein, B. 1973, Classe sociale, linguaggio e socializzazione, in Giglioli, P.P. (a cura di) 1973, Linguaggio e società, Bologna, il Mulino, pp. 215–235.

Bertuglia, C.S. e Vaio, F. 2003, Non linearità, caos, complessità. Le dinami-

che dei sistemi naturali e sociali, Torino, Bollati Boringhieri. Bloor, D. 1994, La dimensione sociale della conoscenza, Milano, Cortina. Bocchi, G. e Ceruti, M. (a cura di) 2002, Origini della scrittura. Genealogie

di un’invenzione, Milano, Bruno Mondadori. Boltzmann, L. 1999, Modelli matematici, fisica e filosofia. Scritti divulgativi,

Torino, Bollati Boringhieri. Bompiani, E. 1983, Il principio di continuità e l’immaginario in Geometria, in

Enriques 1983a, pp. 271–308. Boncinelli, E. 2004, Io sono, tu sei. L’identità e la differenza negli uomini e in

natura, Milano, Mondadori. Bonomi, A. 1987, Le immagini dei nomi, Milano, Garzanti. Boole, G. 1976, Indagine sulle leggi del pensiero su cui sono fondate le teorie

matematiche della logica e della probabilità, Torino, Einaudi. Born, M. 1980, Autobiografia di un fisico, Roma, Editori Riuniti. Bourdieu, P. 1972, La trasmissione dell’eredità culturale, in Barbagli 1972,

pp. 131–161. Bozzi, P. 1989, Fenomenologia sperimentale, Bologna, il Mulino. Bridgman, P.W. 1969, La critica operazionale della scienza, Torino, Borin-

ghieri. Bridgman, P.W. 1973, La logica della fisica moderna, Torino, Boringhieri. Bronfenbrenner, U. 1986 (1979), Ecologia dello sviluppo umano, Bologna, il

Mulino. Bruner, J.S. 1975, Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Roma, Armando. Bruner, J.S. 1976, Psicologia della conoscenza, 2 voll., Roma, Armando. Bruner, J.S. 1988, La mente a più dimensioni, Bari, Laterza. Bruner, J. 1989, Vygotsky, a historical and conceptual perspective, in Wertsch

1989, pp. 21–34. Bruner, J.S. 1999, Apprendimento dell’uso delle parole, in Bruner, J.S. e Gar-

ton, A. 1999, Crescita umana. Apprendimento e maturazione nel bambi-

no, Torino, Boringhieri, pp. 83–108. Bruner, J.S. and Sherwood, V. 1981, Tought, Language and Interaction in In-

fancy, in Forgas, J.P. 1981, pp. 27–52 (trad. it. Pensiero, linguaggio ed in-

terazione nell’infanzia, in Ugazio 1988, pp. 72–100). Bruner, J.S. et al. 1969, Il pensiero. Strategie e categorie, Roma, Armando. Bruner, J.S. et al. 1973, Studi sullo sviluppo cognitivo, Roma, Armando. Cassirer, E. 1976, Filosofia delle forme simboliche, vol. I, Il linguaggio, Fi-

renze, La Nuova Italia. Cassirer, E. 1977, Filosofia delle forme simboliche, vol. II, Il pensiero mitico,

Firenze, La Nuova Italia.

Page 151: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

151

Cassirer, E. 1967, Filosofia delle forme simboliche, vol. III, tomo I, Fenome-

nologia della conoscenza, Firenze, La Nuova Italia. Cassirer, E. 1966, Filosofia delle forme simboliche, vol. III, tomo II, Fenome-

nologia della conoscenza, Firenze, La Nuova Italia. Castelfranchi, C. e Parisi, D. 1980, Linguaggio, conoscenze e scopi, Bologna,

il Mulino. Cavallini, G. 1992a, «Come pensiamo il pensiero? Costruttivismo e integra-

zionismo», Scuola e Città, 1, pp. 13–30. Cavallini, G. 1992b, «Organizzatori cognitivi e costruzione sociale della cono-

scenza», Scuola e Città, 10, pp. 424–430. Cavallini, G. 1995, La formazione dei concetti scientifici. Senso comune,

scienza, apprendimento, La Nuova Italia, Firenze. Cavallini, G. 1998, «Realtà e conoscenza stocastica tra Fisica e Psicologia»,

Epistemologia, XXI, pp. 313–342. Cavallini, G. 2001a, La costruzione probabilistica della realtà. Dalla mec-

canica quantistica alla psicologia della conoscenza, CUEN, Napoli. Cavallini, G. 2001b, La formazione umana. Dalla biologia alla psicologia me-

diante l’acculturazione, Bologna, CLUEB. Cavallini, G. 2002a, Fondamenti di pedagogia, Bergamo, Edizioni Junior. Cavallini, G. 2002b, «La fallacia del realismo in “EPR”», Epistemologia,

XXV, 1, pp. 39–62. Cavallini, G. 2002c, «Sull’esistenza degli oggetti non percepiti», Epistemolo-

gia, XXV, 2, pp. 199–224. Cavallini, G. 2003, «La conoscenza come combinazione di effettivo e ipoteti-

co», Epistemologia, XXVI, 2, pp. 267–284. Cavallini, G. 2005a, Dentro e fuori la mente. Linguaggi, conoscenza e realtà,

Roma, Aracne. Cavallini, G. 2005b, L’origine sociale delle personalità. La psicologia

dell’attività da Marx a Vygotskij, Bachtin e gli sviluppi odierni, Roma, Aracne.

Cavallini, G. 2005c, Alle radici del pensiero. Come si forma la mente, Roma, Aracne.

Civita, A. 1993, Saggio sul cervello e la mente, Milano, Guerini e Associati. Clark, K. e Holquist, M. 1991, Michail Bachtin, Bologna, il Mulino. Cobb, P. 1989, «Experiential, Cognitive, and Anthropological Perspectives in

Mathematics Education», For the Learning of Mathematics, 2, pp. 32–42. Cromer, A. 1996, L’eresia della scienza. L’essenziale per capire l’impresa

scientifica, Milano, Cortina. Damasio, A.R. 1996, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello u-

mano, Milano, Adelphi. Damasio, A.R. 2000, Emozione e coscienza, Milano, Adelphi. Dantzig, T. 1967, Il numero, linguaggio della scienza, Firenze, La Nuova Italia. De Saussure, F. 1994, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza. D’Espagnat, B. 1980, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica,

Napoli, Bibliopolis.

Page 152: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

152

D’Espagnat, B. 1983, Alla ricerca del reale. Fisica e oggettività, Torino, Bo-ringhieri.

Devlin, K. 2003, Il linguaggio della matematica. Rendere visibile l’invisibile, Torino, Bollati Boringhieri.

Di Francesco, M. 1986, Parlare di oggetti. Teorie del senso e del riferimento, Milano, Unicopli.

Di Francesco, M. 1998, L’io e i suoi sé. Identità personale e scienza della

mente, Milano, Cortina. Di Francesco, M. 2000, La coscienza, Bari, Laterza. Di Francesco, M. 2002a, What is consciousness for? From epiphenomenalism

to causal efficacy, in Aa.Vv. 2002, Exploring Consciousness. Humanities,

Natural Science, Religion, Milano, Fondazione Carlo Erba, pp. 85–106. Di Francesco, M. 2002b, Spiegare la mente, in Parrini, P. 2002, Conoscenza e

cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini e Associati, pp. 181–198.

Donaldson, M. 1979, Come ragionano i bambini, Milano, Emme. Duhem, P. 1978, La teoria fisica, il suo oggetto e la sua struttura, Bologna, il

Mulino. Eco, U. 2005, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani. Edelman, G.M. 1993, Topobiologia. Introduzione alla biologia meolecolare,

Bollati Boringhieri, Torino, 1993. Edelman, G.M. 1995a, Sulla materia della mente, Milano, Adelphi. Edelman, G.M. 1995b, Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei

gruppi neuronali, Torino, Einaudi. Efron, D. 1974, Gesto, razza e cultura. Indagine preliminare su alcuni aspetti

spazio–temporali e “linguistici” del comportamento gestuale di ebrei o-

rientali e italiani meridionali abitanti a New York in condizioni ambienta-

li sia simili che differenti, Milano, Bompiani. Einstein, A. 1954, La questione del metodo [Il metodo della fisica teorica,

conferenza Herbert Spencer del 10 giugno 1933], in Einstein, A. 1954, Come io vedo il mondo, Milano, Giachini, pp. 63–74.

Einstein, A. 1965, Fisica e realtà, in Einstein, A. 1965, Pensieri degli anni

difficili, Torino, Boringhieri, pp. 36–75. Einstein, A. 1988, Lettera a Maurice Solovine, in Einstein, A. 1988, Opere

scelte (a cura di E. Bellone), Torino, Bollati Boringhieri., pp. 731–742 Einstein, A. e Infeld, L. 1976, L’evoluzione della fisica. Sviluppo delle idee

dai concetti iniziali alla relatività e ai quanti, Torino, Boringhieri. Einstein, A., Podolsky, B. e Rosen, N. 1988, La descrizione quantica della re-

altà può essere considerata completa?, in Einstein, A. 1988, Opere scelte (a cura di E. Bellone), Bollati Boringhieri, Torino, 1988, pp. 374–382.

Engels, F. 1974, Dialettica della natura, in Marx, K. e Engels, F. vari anni, Opere, Roma, Editori Riuniti, vol. XXV, pp. 315–590.

Enriques, F. s. d. (ma edizione originale francese del 1941), Causalità e de-

termismo nella filosofia e nella storia della scienza, Roma, Atlantica. Enriques, F. 1958, Natura, ragione e storia, Torino, Einaudi.

Page 153: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

153

Enriques, F. (a cura di) 1983a, Questioni riguardanti le matematiche elemen-

tari, 2 voll., Bologna, Zanichelli. Enriques, F. 1983b, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai giorni

nostri, Bologna, Zanichelli. Enriques, F. 1985, Problemi della scienza, Bologna, Zanichelli. Enriques, F. 1987, Per la storia della logica. I principii e l’ordine della scien-

za nel concetto dei pensatori matematici, Bologna, Zanichelli. Enriques, F. 1990 Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli. Enriques, F. e De Santillana, G. 1973, Compendio di storia del pensiero scien-

tifico dall’antichità fino ai tempi moderni, Bologna, Zanichelli. Faggiani, D. 1957, La struttura logica della fisica, Torino, Einaudi. Festinger, L. 1987, Teoria della dissonanza cognitiva, Milano, Angeli. Feyerabend, P. 1976, Consolazioni per lo specialista, in Lakatos e Musgrave

1976, pp. 277–312. Feyerabend, P. 1990, Addio alla Ragione, Roma, Armando. Feynman, R. P. 1994, QED. La strana teoria della luce e della materia, Mila-

no, Adelphi. Fleck, L. 1983, Genesi e sviluppo di un fatto scientifico. Per una teoria dello

stile e del collettivo di pensiero, Bologna, il Mulino. Forgas, J.P. (Ed.) 1981, Social Cognition. Perspectives on Everyday Under-

standing, London, Academic Press. Foucault, M. 1967, Le paorle e le cose. Un’archeologia delle scienze umane,

Milano, Rizzoli. Frege, G. 1973, Senso e denotazione, in Bonomi, A. (a cura di) 1973, La strut-

tura logica del linguaggio, Milano, Bompiani, 9–32 (e, col titolo Senso e

significato, in Frege, G. 1965, Logica e aritmetica, Torino, Boringhieri). Fritzsch, H. 1983, Quark. I mattoni del mondo, Torino, Boringhieri. Gadamer, H.G. 1997, Verità e metodo, Milano, Bompiani. Galilei, G. 1933, Le opere, 20 voll., Firenze, Barbèra. Gazzaniga, M.S. 1989, Il cervello sociale. Alla scoperta dei circuiti della

mente, Firenze: Giunti. Gonseth, F. 1992, Il problema della conoscenza nella filosofia aperta, Milano,

Angeli. Goodman, N. 1985a, La struttura dell’apparenza, Bologna, il Mulino. Goodman, N. 1985b, Fatti, ipotesi e previsioni, Bari, Laterza. Goodman, N. 1988, Vedere e costruire il mondo, Bari, Laterza. Goody, J. 1988, La logica della scrittura e l’organizzazione della società, To-

rino, Einaudi. Goody, J. 1989, Il suono e i segni. L’interfaccia tra scrittura e oralità, Mila-

no, Il Saggiatore. Goody, J. 2002, Il potere della tradizione scritta, Torino, Bollati Boringhieri. Goody, J. e Watt, I. 1973, Le conseguenze dell’alfabetizzazione, in Giglioli, P.P.

(a cura di) 1973, Linguaggio e società, Bologna, il Mulino, pp. 361–405. Greenfield, P.M., Reich, L.C. e Olver, R.R. 1973, Cultura ed equivalenza, in

Bruner et al. 1973, pp. 301–351.

Page 154: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

154

Hanson, N. 1978, I modelli della scoperta scientifica. Ricerca sui fondamenti

concettuali della scienza, Milano, Feltrinelli. Hanson, N. 1985, Modelli di scoperta, Milano, Feltrinelli. Havelock, E.A. 1983, Dike. La nascita della coscienza, Bari, Laterza. Havelock, E.A. 1987a, La Musa impara a scrivere. Riflessioni sull’oralità e

l’alfabetismo dall’atichità al giorno d’oggi, Bari, Laterza. Havelock, E.A. 1987b, Dalla A alla Z. Le origini della civiltà della scrittura in

Occidente, Genova, Il Melangolo. Hesse, M.B. 1980, Modelli e analogie nella scienza, Milano, Feltrinelli. Holton, G. 1983, L’immaginazione scientifica. I temi del pensiero scientifico,

Torino, Einaudi. Holton, G. 1992, L’immaginazione nella scienza, in Preta, L. (a cura di) 1992,

Immagini e metafore della scienza, Bari, Laterza, pp. 3–38. Humboldt, W. 1991, La diversità delle lingue, Bari: Laterza. Hume, D. 1974, Ricerche sull’intelletto umano e sui principii della morale,

Bari, Laterza. Israel, G. 1986, Modelli matematici, Roma, Editori Riuniti. Israel, G. 1997, La visione matematica della realtà. Introduzione ai temi e alla

storia della modellistica matematica, Bari, Laterza. Itard, J. 1995, Il ragazzo selvaggio, Milano, Anabasi. Jaynes, J. 1984, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza,

Milano, Adelphi. Johnson–Laird, Ph. N. 1988, Modelli mentali. Verso una scienza cognitiva del

linguaggio, dell’inferenza e della coscienza, Bologna, il Mulino. Jordan, P. 1964 (ed. or. ted. 1947), L’immagine della fisica moderna, Milano,

Feltrinelli. Kanizsa, G., Legrenzi, P. e Sonino, M. 1983, Percezione, linguaggio, pensie-

ro, Bologna, il Mulino. Kant, E. 1963, Critica della ragion pura, Bari, Laterza. Karmiloff–Smith, A. 1995, Oltre la mente modulare. Una prospettiva evoluti-

va sulla scienza cognitiva, Bologna, il Mulino. Kaye, K. 1989, La vita mentale e sociale del bambino. Come i genitori creano

persone, Roma, Il Pensiero Scientifico. Keil, F.C. 1979, Semantic and Conceptual Development. An Ontological Per-

spective, Cambridge (Ma), Harvard University Press. Keil, F.C. 1992, Concepts, Kinds, and Cognitive Development, Cambridge

(Ma), The MIT Press. Köhler, W. 1961, L’intelligenza nelle scimmie antropoidi, Firenze, Giunti–Barbèra. Kripke, S. 2003, Nome e necessità, Torino, Bollati Boringhieri. Lakatos, I. 1976, La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca

scientifica, in Lakatos e Musgrave 1976, pp. 164–276. Lakatos, I. e Musgrave, A. (a cura di) 1976, Critica e crescita della conoscen-

za, Milano, Feltrinelli. Lakoff, G. e Johnson, M. 1982, Metafora e vita quotidiana, Roma, Editori Eu-

ropei Associati.

Page 155: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

155

Leontjev, A.N. 1976, Problemi dello sviluppo psichico, Roma, Editori Riu-niti.

Leont’ev (Leontjev), AN. 1977, Attività, coscienza, personalità, Firenze, Giunti Barbèra.

Lerner, D. (a cura di) 1971, Quantità e qualità e altre categorie della scienza, Torino, Boringhieri.

Locke, J. 1994, Saggio sull’intelligenza umana, Bari, Laterza, voll. 2. Lolli, G. 1985a, La matematica, i linguaggi e gli oggetti, in Mangione, C. (a

cura di) 1985, Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico Geymonat, Milano, Garzanti, pp. 213–240.

Lolli, G 1985, Le ragioni fisiche e le dimostrazioni matematiche, Bologna, il Mulino.

Luckmann, T. 1983, Life–World and Social Realities, London, Heinemann. Lurija (Luria), AR. 1971, Linguaggio e comportamento, Roma, Editori Riuni-

ti. Lurija (Luria), AR. 1974, Il ruolo del linguaggio nella formazione di connes-

sioni temporali e la regolazione del comportamento nei bambini normali e

oligofrenici, in Vygotskij, Lurija, Leontjev, pp. 97–113. Luria, A.R. 1976, La storia sociale dei processi cognitivi, Firenze, Giunti–

Barbèra. Luria, AR. e Yudovich, F.Ia. 1975, Linguaggio e sviluppo dei processi menta-

li nel bambino, Firenze, Giunti–Barbèra. Macnamara, J. 1984, Names for Things. A Study of Human Learning, Cam-

bridge (Ma), The MIT Press. Markman, E.M. 1989, Categorization and Naming in Children. Problems of

Induction, Cambridge (Ma), The MIT Press. Marx, K. 1972, Tesi su Feuerbach, in Marx, K. e Engels, F. vari anni, Opere,

Roma, Editori Riuniti, vol. V, pp. 3–5. Marx, K. 1977, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo, Ro-

ma, Editori Riuniti. Maturana, H.R. e Varela, F. J. 1985, Autopoiesi e cognizione, Venezia, Marsi-

lio. Maturana, H. e Varela, F. 1987, L’albero della conoscenza, Milano, Garzanti. Medvedev, P.N. (Bachtin, M.) 1978, Il metodo formale nella scienza della let-

teratura, introduzione critica al metodo sociologico, Bari, Dedalo Libri. Mill, J.S. 1988, Sistema di logica deduttiva e induttiva, 2 voll., Torino, UTET. Miller, G.A., Galanter, E. e Pribram, K.H. 1992, Piani e struttura del compor-

tamento, Milano, Angeli. Minsky, M. 1989, La società della mente, Milano, Adelphi. Nelson, K. 1985, Making sense, the acquisition of shared meaning, Orlando,

Academic Press. Nelson, K. (Editor) 1986, Event Knowledge, Structure and Function in Devel-

opment, Hillsdale, Erlbaum. Nelson, K. 2002, Language in Cognitive Davelopment. Emergence of the Me-

diated Mind, Cambridge (Ma), Harvard University Press.

Page 156: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

156

Newman, D., Griffin, P. and Cole, M. 1989, The construction zone, Working for

cognitive change in school, Cambridge (Ma), Cambridge University Press. Nisbett, R. e Ross, L. 1989, L’inferenza umana. Strategie e lacune del giudi-

zio sociale, Bologna, il Mulino. Oevermann, U. 1972, Scuola, linguaggio e socializzazione primaria, in Bar-

bagli 1972, pp. 163–210. Olson, D.R. 1979, Linguaggi, media e processi educativi, Torino, Loescher. Ong, W.J. 1986, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, il

Mulino. Ong, W.J. 1989, Interfacce della parola, Bologna, il Mulino. Perret–Clermont, A.–N. 1981, La construction de l’intelligence dans

l’interaction sociale, Berne, Peter Lang. Piaget, J. 1952, Psicologia dell’intelligenza, Firenze, Giunti–Barbèra. Piaget, J. 1968, La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Firenze, Giunti–

Barbèra. Piaget, J. 1973a, La rappresentazione del mondo nel fanciullo, Torino, Borin-

ghieri. Piaget, J. 1973b, L’epistemologia genetica, Bari, Laterza. Piaget, J. e Inhelder, B. 1971, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’ado-

lescente, Firenze, Giunti–Barbèra. Piaget, J. et al. 1981, Le possible et le nécessaire, 1: L’évolution des possibles

chez l’enfant, Paris, Presses Universitaires de France. Piaget, J. et al. 1983, Le possible et le nécessaire, 2: L’évolution du nécessaire

chez l’enfant, Paris, Presses Universitaires de France. Pickering, A. 1984, Constructing Quarks, Chicago, The University of Chicago

Press. Poincaré, H. 1929, La valeur de la science, Paris, Flammarion. Poincaré, H. 1943, La Science et l’Hypothèse, Paris, Flammarion. Pontecorvo, C., Ajello, A.M. e Zucchermaglio, C. 1991, Discutendo si impa-

ra, Roma, La Nuova Italia Scientifica. Popper, K.R. 1970, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorretti-

vo della scienza, Torino, Einaudi. Prigogine, I. e Stengers, I. 1990, Tra il tempo e l’eternità, Torino, Bollati Bo-

ringhieri. Putnam, H. 1987, Mente, linguaggio e realtà, Milano, Adelphi. Putnam, H. 1993a, Matematica, materia e metodo, Milano, Adelphi. Putnam, H. 1993b, Rappresentazione e realtà, Milano, Garzanti. Quine, W.V.O. 1966, Il problema del significato, Roma, Ubaldini. Quine, W.V.O. 1982, Saggi filosofici 1970–1981, Roma, Armando. Ridley, B.K. 1984, Time, space and things, Cambridge, Cambridge University

Press. Roger, J. 1984, Genesi e destino di due scoperte scientifiche: vescicole ovari-

che e spermatozoi, in Cimino, G., Grmek, M.D. e Somenzi, V. (a cura di) 1984, La scoperta scientifica. Aspetti logici, psicologici e sociali, Roma, Armando, pp. 171–179.

Page 157: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

157

Rogoff, B. 1991, Apprenticeship in Thinking. Cognitive Development in So-

cial Context, New York, Oxford University Press. Rorty, R. 1992, La filosofia e lo specchio della natura, Milano, Bompiani. Rosch, E. and Lloyd, B. B. (Editors) 1978, Cognition and Categorization,

Hillsdale, Erlbaum. Rosenfield, I. 1989, L’invenzione della memoria, Milano, Rizzoli. Rossi, P. 1979, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da

Hooke a Vico, Milano, Feltrinelli. Rossi, P. 1983, Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria

da Lullo a Leibniz, Bologna, il Mulino. Rossi, P. 1988, La memoria del sapere. Forme di conservazione e strutture

organizzative dall’antichità a oggi, Bari, Laterza. Russo, L. 1996, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la

scienza moderna, Milano, Feltrinelli. Sangalli, A. 2000, L’importanza di essere fuzzy. Matematica e computer, To-

rino, Bollati Boringhieri. Sapir, E. 1969, Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Torino, Einaudi. Sapir, E. 1972, Cultura, linguaggio e personalità. Linguistica e antropologia,

Torino, Einaudi. Schaller, S. 1995, A man without words, Berkeley, University of California

Press. Schank, R.C. e Abelson, R.P. 1977, Scripts, Plans, Goals and Understanding,

Hillsdale, Erlbaum. Scribner, S. and Cole, M. 1981, The Psychology of Literacy, Cambridge (Ma),

Harvard University Press. Segré, E. 1976, Personaggi e scoperte nella fisica contemporanea, Milano,

Mondadori. Silverstein, M. 1989, The functional stratification of language and ontogene-

sis, in Wertsch 1989, pp. 205–235. Snell, B. 2002, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Torino, Ei-

naudi. Tattersall, I. 1998, Il cammino dell’uomo, Bologna, il Mulino. Tomasello, M. 2003, The cultural origins of human cognition, Cambridge

(Ma), Harvard University Press [trad. it. 2005, Le origini culturali della

cognizione umana, Bologna, il Mulino]. Toraldo di Fancia, G. 1986, Le cose e i loro nomi, Bari, Laterza. Ugazio, V. (a cura di) 1988, La costruzione della conoscenza. L’approccio

europeo alla cognizione del sociale, Milano, Angeli. Volosinov, V.N. 1976, Marxismo e filosofia del linguaggio, Bari, Dedalo Li-

bri. Volosinov, V.N. 1977, Freudismo, Bari, Dedalo Libri. Vosniadou, S. and Ortony, A. 1989, Similarity and analogical reasoning,

Cambridge University Press, Cambridge. Vygotskij, L.S. 1973, Lo sviluppo psichico del bambino, Roma, Editori Riuni-

ti.

Page 158: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Bibliografia

158

Vygotskij, L.S. 1974, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e

altri scritti, Firenze, Giunti–Barbèra. Vygotskij, L.S. 1987, Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri. Vygotskij, L.S. 1992, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Bari, La-

terza. Vygotskij, L.S., Lurija, A.R. e Leontjev, A. N. 1974, Psicologia e pedagogia,

Roma, Editori Riuniti. Waddington, C.H. 1977, Strumenti per pensare, Milano, Mondadori. Wallon, H. 1970, Le origini del pensiero nel bambino, vol. I: I mezzi intellet-

tuali e vol. II: I compiti intellettuali, Firenze, La Nuova Italia. Washburn, S.L. e Moore, R. 1984, Dalla scimmia all’uomo. Un’indagine sul-

l’evoluzione umana, Bologna, Zanichelli. Wason, P.C. e Johnson–Laird, P.N. 1977, Psicologia del ragionamento, Fi-

renze, Martello–Giunti. Watzlawick, P., Helmick Beavin, J. e Jackson, D. 1971, Pragmatica della co-

municazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei

paradossi, Roma, Astrolabio. Watzlawick, P. 1988 (a cura di), La realtà inventata. Contributi al costruttivi-

smo, Milano, Feltrinelli. Wertheimer, M. 1965, Il pensiero produttivo, Firenze, Giunti–Barbèra. Wertsch, J.V. (Editor) 1981, The Concept of Activity in Soviet Psychology,

Armonk, Sharpe [UMI 1992]. Wertsch, J.V. 1985, Vygotsky and the Social Formation of Mind, Cambridge

(Ma), Harvard University Press. Wertsch, J.V. (Editor) 1989, Culture, communication, and cognition, Vygot-

skian perspectives, Cambridge (Ma), Cambridge University Press. Wertsch, J.V. 1991a, Voices of the Mind. A Sociocultural Approach to Medi-

ated Action, London, Harvester Wheatsheaf. Wertsch, J.V. 1991b, Sociocultural Setting and the Zone of Proximal Devel-

opment, The Problem of Tex–Based Realities, in Tolchinsky Landsmann, L. (Editor) 1991, Culture, Schooling, and Psychological Development, Norwood, Ablex, pp. 71–86.

Whorf, B.L. 1970, Linguaggio, pensiero e realtà, Torino, Boringhieri. Wittgenstein, L. 1967, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi. Yates, F.A. 2004, L’arte della memoria, Torino, Einaudi. Zuczkowski, A. 1995, Strutture dell’esperienza e strutture del linguaggio, Bo-

logna, CLUEB.

Page 159: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 160: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 161: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

Page 162: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non
Page 163: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non

Finito di stampare nel mese di settembre del 2011

dalla ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.

00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15

per la Aracne editrice S.r.l. di Roma

Page 164: 185 - Aracne editrice · E anche altri geni quali Einstein o Schrödinger ne sono stati ostacolati, venendo impediti a cogliere il si- gnificato della meccanica quantistica per non