150 anni musei civici

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1863 – 2013 STORIA DI UNA RICCHEZZA CULTURALE Un museo nuovo Il Museo civico che il 4 giugno 1863 apre le sue porte al pubblico in via Gaudenzio Ferrari 1 è un museo nuovo. È nuovo e diverso da quelli esistenti in città: il Museo di Storia Naturale, il Museo egizio e di antichità greco-romane del Collegio dei Nobili, la Reale Galleria di Palazzo Madama, la Reale Armeria di armi antiche e moderne di Palazzo Reale, la Galleria della Regia Accademia Albertina di Belle Arti. Appartiene alla seconda generazione dei musei moderni: musei “locali” e non più “nazionali” che nascono non più per volontà dinastica o governativa, ma ad opera delle municipalità desiderose di dotarsi di un proprio istituto di memoria e identità civica. Mentre è già nell’aria il trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Torino a Firenze, la decisione di raccogliere in un unico spazio le collezioni “dei fossili, delle conchiglie, degli oggetti di antichità, degli acquarelli Deguberantis, ed altri, dei quadri acquistati dal Municipio, o al medesimo donati, e del Museo Merceologico”, esprime la volontà del Municipio di porsi come protagonista dell’intera vita cittadina. Via Gaudenzio Ferrari 1 L’edificio prescelto come sede del Museo è il “nuovo fabbricato annesso al mercato del vino” perfettamente adattato all’uopo”. È una soluzione provvisoria in attesa di trovare spazi più ampi e prestigiosi: negli anni successivi si pensa a Palazzo Carignano, poi a Palazzo Madama, alla Mole Antonelliana, alla costruzione di un nuovo edificio. Nell’attesa si procede a un primo ampliamento e alla riorganizzazione delle collezioni anche attraverso scambi con il Museo di antichità e, nel 1878, il nuovo Regolamento del Museo ne ridefinisce l’ordinamento; le collezioni sono organizzate in tre sezioni: una dedicata alla “storia del lavoro nelle epoche remote” la seconda alla “storia del lavoro” dal periodo bizantino sino all’Ottocento e la terza agli “oggetti d’arte italiana moderna” (pittura, scultura, architettura ecc.). L’intento di farne uno strumento coerente con le politiche comunali di sviluppo della ricerca e dell’industria e al tempo stesso di volgersi al contemporaneo è esplicito e si confermerà pochi anni dopo quando alle due prime sezioni del Museo – arricchite dalle donazioni di Emanuele Taparelli d’Azeglio – è dato come scopo di “illustrare la storia dell’arte applicata all’industria”, prendendo a modello le esperienze più avanzate della museografia europea e in particolare il South Kensington Museum di Londra che ha ispirato la costituzione un altro museo torinese di quegli anni: il Regio Museo Industriale di via dell’Ospedale. Corso Siccardi Nel 1895 le collezioni d’arte moderna sono trasferite in corso Siccardi – l’attuale corso Galileo Ferraris – nella Palazzina dell’Esposizione nazionale delle Belle Arti del 1880. Lo sdoppiamento delle sedi dà impulso a un nuovo riordinamento delle collezioni e alla ridefinizione degli orientamenti del Museo che, nel 1896, si presenta al pubblico come Museo Civico d’Arte Antica e Galleria Civica d’Arte Moderna. E in quest’ultima è allestita un’esposizione degli oggetti che da alcuni anni si vanno raccogliendo in vista dell’apertura del Museo del Risorgimento presso la Mole Antonelliana che aprirà nel 1908. La costante esigenza di trovare nuovi spazi è indice di un dinamismo e di un’attenzione per lo sviluppo del Museo Civico, il cui patrimonio cresce grazie a importanti lasciti e donazioni. Cresce anche il pubblico: dai 43.000 visitatori del 1898 si passa ai 58.000 del 1900 con

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1863 – 2013 STORIA DI UNA RICCHEZZA CULTURALE

Un museo nuovo

Il Museo civico che il 4 giugno 1863 apre le sue porte al pubblico in via Gaudenzio Ferrari 1 è

un museo nuovo.

È nuovo e diverso da quelli esistenti in città: il Museo di Storia Naturale, il Museo egizio e di

antichità greco-romane del Collegio dei Nobili, la Reale Galleria di Palazzo Madama, la Reale

Armeria di armi antiche e moderne di Palazzo Reale, la Galleria della Regia Accademia

Albertina di Belle Arti. Appartiene alla seconda generazione dei musei moderni: musei “locali” e non più “nazionali”

che nascono non più per volontà dinastica o governativa, ma ad opera delle municipalità

desiderose di dotarsi di un proprio istituto di memoria e identità civica.

Mentre è già nell’aria il trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Torino a Firenze, la

decisione di raccogliere in un unico spazio le collezioni “dei fossili, delle conchiglie, degli

oggetti di antichità, degli acquarelli Deguberantis, ed altri, dei quadri acquistati dal Municipio,

o al medesimo donati, e del Museo Merceologico”, esprime la volontà del Municipio di porsi

come protagonista dell’intera vita cittadina.

Via Gaudenzio Ferrari 1

L’edificio prescelto come sede del Museo è il “nuovo fabbricato annesso al mercato del vino”

perfettamente adattato all’uopo”. È una soluzione provvisoria in attesa di trovare spazi più

ampi e prestigiosi: negli anni successivi si pensa a Palazzo Carignano, poi a Palazzo Madama,

alla Mole Antonelliana, alla costruzione di un nuovo edificio. Nell’attesa si procede a un primo

ampliamento e alla riorganizzazione delle collezioni anche attraverso scambi con il Museo di

antichità e, nel 1878, il nuovo Regolamento del Museo ne ridefinisce l’ordinamento; le

collezioni sono organizzate in tre sezioni: una dedicata alla “storia del lavoro nelle epoche

remote” la seconda alla “storia del lavoro” dal periodo bizantino sino all’Ottocento e la terza

agli “oggetti d’arte italiana moderna” (pittura, scultura, architettura ecc.).

L’intento di farne uno strumento coerente con le politiche comunali di sviluppo della ricerca e

dell’industria e al tempo stesso di volgersi al contemporaneo è esplicito e si confermerà pochi

anni dopo quando alle due prime sezioni del Museo – arricchite dalle donazioni di Emanuele

Taparelli d’Azeglio – è dato come scopo di “illustrare la storia dell’arte applicata all’industria”,

prendendo a modello le esperienze più avanzate della museografia europea e in particolare il

South Kensington Museum di Londra che ha ispirato la costituzione un altro museo torinese di

quegli anni: il Regio Museo Industriale di via dell’Ospedale.

Corso Siccardi

Nel 1895 le collezioni d’arte moderna sono trasferite in corso Siccardi – l’attuale corso Galileo

Ferraris – nella Palazzina dell’Esposizione nazionale delle Belle Arti del 1880. Lo sdoppiamento

delle sedi dà impulso a un nuovo riordinamento delle collezioni e alla ridefinizione degli

orientamenti del Museo che, nel 1896, si presenta al pubblico come Museo Civico d’Arte

Antica e Galleria Civica d’Arte Moderna. E in quest’ultima è allestita un’esposizione degli

oggetti che da alcuni anni si vanno raccogliendo in vista dell’apertura del Museo del

Risorgimento presso la Mole Antonelliana che aprirà nel 1908.

La costante esigenza di trovare nuovi spazi è indice di un dinamismo e di un’attenzione per lo

sviluppo del Museo Civico, il cui patrimonio cresce grazie a importanti lasciti e donazioni.

Cresce anche il pubblico: dai 43.000 visitatori del 1898 si passa ai 58.000 del 1900 con

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l’esposizione delle spoglie di Umberto I per giungere ai 113.000 del 1913, di cui 90.000 alla

Galleria d’arte Moderna appena riallestita. È una punta altissima – sarà nuovamente raggiunta

solo nel 1996! – cui segue una decrescita per tutto il periodo della guerra sino alla chiusura del

1918 dopo Caporetto.

Palazzo Madama

Nel periodo tra le due guerre la svolta coincide con la nomina a direttore di Vittorio Viale nel

1930 che in questo ruolo sarà uno dei protagonisti della vita culturale cittadina fino al

pensionamento nel 1965. A lui si deve il trasferimento del Museo Civico d’Arte Antica in

Palazzo Madama che riapre con un allestimento che ridisegna nuovamente identità e missione

del museo avviandolo a essere anche una pinacoteca regionale, dotato di moderni servizi –

una biblioteca, una fototeca -, e promotore di grandi mostre come quella del Barocco

piemontese (1937) o quella del Gotico e del Rinascimento piemontese (1939), allestite

entrambe in Palazzo Carignano.

Viale fa del Museo non solo un luogo di esposizione all’altezza dei modelli più alti della

museografia del tempo, ma un laboratorio di ricerca che coinvolge i migliori studiosi dell’epoca

e anche un attore di primo piano nella tutela del patrimonio storico e artistico in stretto

rapporto da un lato con il mondo del collezionismo e dell’antiquariato e dall’altro con le

Soprintendenze statali che si estende nel tempo ben al di là dei confini del museo e della città.

La “nuova” Galleria d’Arte Moderna

Gli anni della guerra vedono Vittorio Viale gestire con grande capacità il trasferimento delle

collezioni in luoghi sicuri – i Castelli di Settime e Agliè – prima che i bombardamenti colpiscano

Palazzo Madama, il Borgo Medievale e soprattutto la Galleria d’Arte Moderna e ampliare la

sfera di competenza del Museo sotto la cui responsabilità, nel 1942, passano la Mole

Antonelliana, il Borgo Medievale e la vigilanza su tutto il patrimonio artistico e culturale della

Città.

Il Museo d’Arte Antica a Palazzo Madama riapre nel 1948 e nel 1950 è indetto il concorso per

ricostruire la Galleria d’Arte Moderna semidistrutta dai bombardamenti, mentre le collezioni

sono ospitate presso la Promotrice delle Belle Arti dove prosegue l’attività di mostre. La nuova

Galleria d’Arte Moderna, progettata da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti, aprirà nel 1959

trovandosi a essere, con il Museo dell’Automobile progettato da Amedeo Albertini nel 1960

uno dei pochi esempi di edifici costruiti per essere museo dell’intero Novecento. Un altro

piccolo ma importante primato del Museo Civico e di Torino.

Dagli anni Sessanta agli Ottanta del Novecento

In un clima di vivacità complessiva della vita culturale cittadina, i Musei Civici, divenuti quattro,

con l’ingresso al loro interno del Borgo Medievale e la presa in gestione del Museo Pietro

Micca e dell’Assedio di Torino del 1706 aperto nel 1961, si segnalano per un’attività espositiva

che, sul fronte dell’arte contemporanea, fa di Torino un centro di avanguardia nell’apertura

alle nuove tendenze internazionali e, in quella dell’arte antica, rinnova la tradizione di mostre

che, a Palazzo Madama, approfondiscono e innovano la conoscenza delle collezioni e del

patrimonio culturale.

È una situazione che si prolunga oltre la direzione di Vittorio Viale e che entra in crisi negli anni

Ottanta quando il tragico rogo del Cinema Statuto pone drammaticamente la questione della

sicurezza anche nei musei, portando alla chiusura nel 1981 della GAM e di Palazzo Madama nel

1988, nello stesso anno in cui in via Bricherasio apre il Museo di Numismatica e Arti orientali. È

un momento di stasi, controbilanciato da un’attività espositiva che trova per lungo tempo la

sua sede principale nella Mole Antonelliana.

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Dagli anni Novanta a oggi

Nel 1993 la riapertura della Galleria d’Arte Moderna segna l’inizio di una nuova fase: per i

Musei civici, per l’intervento della Città nei musei, per l’intero sistema museale metropolitano.

Nel 1996 riapre dopo importanti lavori di restauro, adeguamento funzionale e con un nuovo

allestimento multimediale la Rocca del Borgo medievale. Nello stesso anno la Città lancia

l’Abbonamento Musei Torino. Due anni dopo la GAM, tra i primi musei italiani, diventa

Istituzione, sperimentando la formula di autonomia parziale di gestione. Nel 2000 apre alla

Mole Antonelliana il Museo Nazionale del Cinema: a realizzare i lavori di restauro e

adeguamento funzionale, a seguire il progetto di allestimento e a gestire nei primi mesi il

Museo è la Città. Nel frattempo il pubblico dei Musei civici è cresciuto esponenzialmente,

passando dai 78.000 visitatori del 1993 ai 223.000 del 2001.

In una città che si prepara ad accogliere i Giochi Olimpici invernali del 2006, l’intero sistema

museale è in profondo rinnovamento e sviluppo. Nel 2003 la gestione dei Musei Civici passa

alla neocostituita Fondazione Torino Musei. Nel 2004, la Città promuove la costituzione del

Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà e

dell’Ecomuseo Urbano; nel 2006 riapre, completamente rinnovato, Il Museo Civico d’Arte

Antica a Palazzo Madama; nel 2007 è la volta del Museo della Frutta, promosso e gestito dalla

Città in convenzione con l’Università degli Studi; nel 2008 inaugura nel restaurato Palazzo

Mazzonis, il MAO, il Museo di Arte Orientale; nel 2011, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia,

nasce MuseoTorino e riaprono il Museo Nazionale dell’Automobile, la cui sede è di proprietà

civica e il Museo Nazionale del Risorgimento, la cui collezione comprende una quota rilevante

di beni di proprietà civica.

In meno di due decenni i musei dell’area metropolitana torinese sono triplicati: dai 23 aperti al

pubblico nel 1993 si è passati a 65 e si contano sulle dita di una mano quelli che non si sono

ancora rinnovati e o ampliati; i visitatori dai 639.000 del 1990 sono diventati 4.250.000 nel

2011; gli aderenti all’Abbonamento Musei dai 1000 del 1996 sono ora più di 85.000; la Città,

oltre ai “propri” musei, sostiene e partecipa alla gestione di un numero ben più vasto di musei

e il suo intervento e la sua azione sono stati determinanti nel fare di Torino un punto di

riferimento nazionale.

Tutto è cominciato, per la nostra Amministrazione, centocinquanta anni fa, quando il 4 giugno

1863 l’allora piccolo Museo Civico apriva le porte al pubblico in via Gaudenzio Ferrari 1. La

storia di questo secolo e mezzo, con i successi raggiunti, ma anche le difficoltà incontrate e

superate, è l’eredità materiale e ideale con cui la Città di Torino può guardare al futuro,

proseguendo in un cammino di innovazione che è il solo modo per tener viva una tradizione.

Daniele Jalla