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Astronomia - Sommario 1 Elementi propedeutici di fisica 1.1 Forze e strutture 1.2 Le 4 forze naturali 1.2.1 L'interazione gravitazionale 1.2.2 Interazione elettromagnetica 1.2.3 Interazione forte 1.2.4 Interazione debole 1.3 Le Particelle elementari e i quanti di forza 1.4 La radiazione elettromagnetica 1.4.1 Spettri di emissione 1.4.2 Spettri di assorbimento 1.4.3 Effetto Doppler 2 Unità di misura in astronomia 2.1 Il parsec e la parallasse 3 Il sistema solare: Leggi di Keplero 3.1 prima legge di Keplero 3.2 seconda legge di Keplero 3.3 terza legge di Keplero 4 Il sistema solare: I pianeti 5 Il sistema solare: i corpi meteorici 6 Il sistema solare: corpi cometari 7 Il sistema solare: il sole 7.1 Struttura del sole 7.2 Origine dell'energia solare 7.3 La struttura interna del sole 8 Il sistema solare: origine 9 Le stelle: classificazione e sistemi di riferimento 10 Le stelle: Caratteristiche fisiche 10.1 Luminosità e variabilità 10.2 Massa e dimensioni 10.3 Temperatura e colore: i tipi spettrali 11 Le stelle: evoluzione 11.1 Il diagramma HR 11.2 Formazione stellare: fase di presequenza 11.3 Fase di stabilità ed evoluzione finale 11.4 Evoluzione stelle doppie: binarie cataclismiche (novae e supernovae Ia) 12 Le stelle: Oggetti collassati 12.1 Stelle a neutroni e pulsar 12.2 Buchi neri 13 Il Mezzo interstellare 13.1 Polvere 13.2 Gas 13.3 Distribuzione 14 La Galassia: Via Lattea 15 Le Galassie 15.1 Morfologia e classificazione 15.2 Galassie peculiari: Nuclei Galattici Attivi (AGN)

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Astronomia - Sommario

1 Elementi propedeutici di fisica1.1 Forze e strutture1.2 Le 4 forze naturali

1.2.1 L'interazione gravitazionale1.2.2 Interazione elettromagnetica1.2.3 Interazione forte1.2.4 Interazione debole

1.3 Le Particelle elementari e i quanti di forza1.4 La radiazione elettromagnetica

1.4.1 Spettri di emissione1.4.2 Spettri di assorbimento1.4.3 Effetto Doppler

2 Unità di misura in astronomia2.1 Il parsec e la parallasse

3 Il sistema solare: Leggi di Keplero3.1 prima legge di Keplero3.2 seconda legge di Keplero3.3 terza legge di Keplero

4 Il sistema solare: I pianeti5 Il sistema solare: i corpi meteorici6 Il sistema solare: corpi cometari7 Il sistema solare: il sole

7.1 Struttura del sole7.2 Origine dell'energia solare7.3 La struttura interna del sole

8 Il sistema solare: origine 9 Le stelle: classificazione e sistemi di riferimento10 Le stelle: Caratteristiche fisiche

10.1 Luminosità e variabilità10.2 Massa e dimensioni10.3 Temperatura e colore: i tipi spettrali

11 Le stelle: evoluzione11.1 Il diagramma HR11.2 Formazione stellare: fase di presequenza11.3 Fase di stabilità ed evoluzione finale11.4 Evoluzione stelle doppie: binarie cataclismiche (novae e supernovae Ia)

12 Le stelle: Oggetti collassati12.1 Stelle a neutroni e pulsar12.2 Buchi neri

13 Il Mezzo interstellare13.1 Polvere13.2 Gas13.3 Distribuzione

14 La Galassia: Via Lattea15 Le Galassie

15.1 Morfologia e classificazione15.2 Galassie peculiari: Nuclei Galattici Attivi (AGN)

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15.3 Distribuzione: la struttura a grande scala dell’universo16 Moti della terra

16.1 Moto di rotazione16.1.1 Prove del moto di rotazione16.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre16.1.3 Durata del moto di rotazione: il giorno

16.2 moto di rivoluzione16.2.1 Prove del moto di rivoluzione16.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioni

16.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinozi16.3.1 Conseguenze della precessione

16.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'anno16.5 moti minori millenari

16.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidi16.5.2 Variazione dell'eccentricità dell'orbita16.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asse16.5.4 Nutazioni

16.6 moto rispetto al centro galattico17 La Misura del Tempo

17.1 Il calendario17.2 Fusi orari17.3 Linea di cambiamento di data

18 L’Orientamento18.1 Orizzonte e punti cardinali18.2 Orientamento diurno18.3 Orientamento notturno18.4 Declinazione magnetica18.5 Determinazione delle coordinate geografiche

18.5.1 Latitudine di notte18.5.2 Latitudine di giorno

18.6 Longitudine19 La Luna

19.1 l’aspetto fisico19.2 Moto di rotazione19.3 Sistema Terra-Luna19.4 Moto di rivoluzione e fasi lunari19.5 Mese sidereo19.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni (Metone)19.7 La luna e le maree19.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissi

19.8.1 Eclisse di Luna19.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)19.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)

19.9 Librazioni19.10 L'orbita della luna intorno al sole19.11 Ipotesi sull'origine della luna

19.11.1 Ipotesi della fissione19.11.2 Ipotesi della cattura19.11.3 Ipotesi dell’accrescimento19.11.4 Ipotesi dell’impatto meteorico

20 Appendice 1 – Distanze in Astronomia Distanze fino a qualche decina di UA (interplanetarie)

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20.1 Metodi trigonometrici, Periodi di rivoluzione e Radio-echi Distanze fino a qualche centinaio di parsec20.2 Parallassi annue e Parallassi di gruppo20.3 Le distanze fino a qualche decina di Kiloparsec: Parallassi spettroscopiche e Parallassi dinamiche Le distanze fino a qualche Megaparsec20.4 Cefeidi, Regioni H II, Novae, Parallassi nebulari Le distanze fino a qualche decina di Megaparsec20.5 Ammassi globulari e Supergiganti estreme Le distanze fino a qualche centinaio di Megaparsec20.6 Tully-Fisher e Supernovae Le distanze fino a qualche migliaio di Megaparsec20.7 Galassie più luminose, Lenti gravitazionali e Legge di Hubble

21 Appendice 2 - Composizione moti orbitali21.1 Giorno solare ed Equazione del Tempo E21.2 Calcolo mese sidereo21.3 Movimento linea dei nodi e degli apsidi lunari21.4 Rotazione linea degli apsidi terrestri (moto diretto del perielio)21.5 Precessione degli equinozi21.6 Anno Tropico21.7 Data degli equinozi e dei solstizi21.8 Data afelio/perielio21.9 Effetto della precessione sulle coordinate celesti21.10 Giorno siderale

22 Appendice 3 - Fotometria 22.1 Intensità luminosa I22.2 Flusso luminoso Φ 22.3 Brillanza B22.4 Illuminamento E22.5 Calcolo quantità fotometriche solari22.6 Fotometria stellare22.7 Indici di colore22.8 Magnitudine ed albedo planetaria (modello elementare)

23 Appendice 4 – dati e costanti

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1 Elementi propedeutici di fisica

1.1 Forze e struttureLa caratteristica forse più appariscente dell'universo sta nella grande varietà di oggetti che lo compongono. Dagli atomi alle galassie l'universo rivela una gerarchia di strutture e forme in continua evoluzione.A ben guardare un universo amorfo, senza struttura potrebbe teoricamente esistere, costituito solo da particelle elementari e radiazione in moto caotico, senza possibilità di legami reciproci. Le strutture si producono infatti perché esiste un qualche genere di restrizione al movimento disordinato della materia. Possiamo allora affermare che l'esistenza nell'universo di materia strutturata rivela inequivocabilmente l'esistenza di restrizioni, di forze che costringono le particelle ed i corpi in genere ad aggregarsi in modo più o meno ordinato.

In fisica il concetto di forza viene descritto attraverso le tre leggi della dinamica (Newton).

1) Il principio di inerzia afferma che un corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto uniforme lungo una linea retta se non esiste una forza ad esso applicata.

2) Quando una forza viene applicata ad un corpo libero di muoversi essa produce una variazione della velocità del corpo (accelerazione) per tutto il tempo durante il quale la forza agisce. Tale accelerazione risulta direttamente proporzionale alla forza applicata ed inversamente proporzionale alla massa del corpo ( F = ma). Naturalmente se la forza agisce su di un corpo già in movimento, essa può produrre un'accelerazione positiva se agisce nel senso del moto, negativa se agisce in senso opposto. Se infine una forza viene applicata perpendicolarmente alla direzione del moto essa non produce variazioni sul modulo della velocità, ma esclusivamente sulla direzione, costringendo il corpo a muoversi di moto circolare uniforme.

3) Se un corpo esercita una forza su di un secondo corpo, allora il secondo esercita sul primo una forza uguale e contraria.

Nel sistema internazionale di unità di misura (SI) l'unità di misura della forza è il newton (N). 1 newton è la forza che, applicata ad una massa di 1 kg, le imprime un'accelerazione di 1 m/s2.Nel sistema cgs l'unità di misura delle forze è la dina (dyn). 1 dina è la forza che, applicata ad una massa di 1 g, le imprime un'accelerazione di 1cm/s2. I fisici ritengono oggi che in natura esistano 4 tipi fondamentali di forze o interazioni in grado di giustificare tutte le strutture esistenti.

1.2 Le 4 forze naturali

1.2.1 L'interazione gravitazionale E' la forza che si esercita tra corpi in virtù della loro massa. E' una forza esclusivamente attrattiva che agisce in modo proporzionale alla massa dei corpi, mentre risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza che separa i corpi. Viene descritta dalla legge di gravitazione universale enunciata per la prima volta da Newton.

221

d

mmGF =

dove G è la costante di gravitazione universale.L'esperienza dimostra che la forza gravitazionale tra corpi anche molto vicini è estremamente debole, a meno che non siano in gioco masse enormi. Per questo motivo l'interazione gravitazionale

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non può essere invocata per spiegare la stabilità dei corpi di piccole dimensioni. Essa diventa invece l'unica forza in grado di strutturare corpi molto massicci ed è quindi considerata la forza principale capace di governare le grandi strutture dell'universo, dai pianeti alle stelle, alle galassie. Il suo raggio d'azione è infinito, nonostante che alle grandi distanze la sua intensità diventi naturalmente molto piccola.

1.2.2 Interazione elettromagneticaMentre la forza gravitazionale è una proprietà della massa ed è quindi sempre presente tra due corpi qualsiasi, la forza elettromagnetica agisce solo tra corpi elettricamente carichi. In natura esistono due tipi di cariche elettriche, convenzionalmente designate come positive e negative. La forza elettromagnetica risulta attrattiva solo tra cariche di segno opposto, mentre diventa repulsiva per cariche dello stesso segno. L'intensità della forza varia in funzione dell'intensità delle cariche in gioco e della loro distanza con una legge analoga a quella di gravitazione universale, nota come legge di Coulomb.

221

d

QQKF =

dove K è una costante di proporzionalità pari a 1

4πεo

, con εο costante dielettrica del vuoto.

Nel sistema SI la carica elettrica si misura in coulomb (C).Poiché gli atomi di cui è composta la materia sono formati da un nucleo di protoni carichi positivamente, intorno al quale orbitano elettroni negativi, la forza coulombiana risulta essere responsabile della struttura atomica e molecolare, producendo tutti quei legami che noi definiamo 'chimici', i quali garantiscono la stabilità dei corpi ordinari. Le forze elettriche hanno come le forze gravitazionali raggio d'azione infinito, ma risultano circa 1036 volte più intense di queste ultime.

1.2.3 Interazione forte Dopo aver verificato che la forza repulsiva che si esercita tra i protoni positivi è enormemente più intensa di quella attrattiva dovuta alla loro attrazione gravitazionale, diventa inevitabile postulare l'esistenza di un qualche altro tipo di forza capace di giustificare la stabilità dei nuclei atomici. L'esistenza di tale forza attrattiva estremamente intensa, chiamata interazione forte, venne confermata dopo che nel 1932 Chadwick ebbe scoperto il neutrone nei nuclei atomici. Successivi esperimenti durante i quali i neutroni vennero fatti collidere con protoni e con nuclei atomici dimostrarono infatti l'esistenza di una attrazione tra nucleoni (protoni e neutroni), che si rendeva efficace solo quando questi venivano portati a distanze inferiori a 10-13 cm. Oltre tale distanza l'interazione forte non è più in grado di far sentire i suoi effetti ed è per questo motivo che le dimensioni tipiche dei nuclei atomici sono tutte di questo ordine di grandezza (10-13 cm). Il minuscolo raggio di azione dell'interazione forte spiega anche perché sono richieste energie enormi per portare due protoni ad unirsi in un processo di fusione nucleare, come quello che avviene all'interno delle stelle.

Forza di coloreIn realtà oggi i fisici ritengono che l'interazione forte non sia una forza fondamentale di natura ma una specie di residuo di una forza, detta forza di colore, che tiene uniti i quark all'interno di ciascun adrone.Secondo tale modello ciascun adrone è formato da tre quark di colore diverso, rosso, verde e blu. Naturalmente i colori indicano semplicemente tre diversi tipi di cariche, nello stesso modo in cui i termini positivo e negativo indicano convenzionalmente i due tipi di carica elettrica. I tre quark all'interno di un adrone si attirano per la presenza delle tre cariche di colore, le quali complessivamente appaiono neutre, come un atomo appare neutro per il fatto di essere costituito da tanti protoni positivi quanti elettroni negativi. I fisici si riferiscono al fatto che gli adroni non possiedano complessivamente una carica di colore residua dicendo che gli adroni sono bianchi (la somma dei tre colori fondamentali, rosso verde e blu).Ma quando due adroni sono sufficientemente vicini è possibile che il quark di un certo colore di un adrone attiri un quark di colore diverso dell'altro adrone. Tali interazioni tra quark di adroni diversi sarebbero dunque responsabili delle forze che tengono uniti protoni e neutroni nei nuclei atomici e che noi abbiamo finora descritto come interazione forte. L'interazione forte rappresenterebbe quindi un residuo della forza di colore, in modo analogo a quanto accade per le

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forze intermolecolari che rappresentano un residuo della più fondamentale attrazione elettromagnetica che tiene uniti protoni ed elettroni all'interno degli atomi e delle molecole.

Infatti solo quando due protoni possiedono un'energia cinetica (e quindi una temperatura) tale da vincere la repulsione elettrostatica fino a portarsi a distanze di 10-13 cm, l'interazione forte può produrre i suoi effetti attrattivi. L'interazione forte risulta 137 volte più intensa della interazione elettromagnetica. Tutte le particelle soggette ad interazione forte sono classificate come adroni.

1.2.4 Interazione debole L'interazione debole venne introdotta nel 1935 da Fermi per descrivere il fenomeno del decadimento beta. Si tratta dell'interazione naturale più sfuggente e difficile da descrivere Poiché i suoi effetti sono quelli di provocare particolari tipi di decadimenti a livello di particelle elementari. In generale possiamo affermare che l'interazione debole è responsabile di tutti quei decadimenti in cui sono implicati neutrini. L'esistenza del neutrino venne postulata nel 1930 da Pauli per salvare il principio di conservazione dell'energia che sembrava altrimenti violato nel decadimento beta, visto che la somma della quantità di moto del protone e dell'elettrone non era pari a quella iniziale del neutrone.

n p e e→ + + ν

L'interazione debole presenta raggio d'azione dell'ordine di 10-16 cm ed è 1013 volte meno intensa dell'interazione forte. Tutte le particelle che non sentono l'interazione forte e che sono in grado di 'sentire' l'interazione debole sono dette leptoni (gli adroni sentono sia l'interazione forte che

l'interazione debole). Sono leptoni l'elettrone, il muone (µ), il tauone (τ) ed i rispettivi neutrini.

1.3 Le Particelle elementari e i quanti di forzaLe 4 forze naturali agiscono essenzialmente sulla materia. Attualmente i fisici possiedono un modello estremamente sintetico ed elegante che descrive la materia. Quando una porzione di materia viene ritenuta non ulteriormente divisibile (l'atomo dei greci) prende il nome di particella elementare o quanto di materia. Si ritiene che esistano 2 tipi di particelle materiali elementari (non composte da altre particelle): Quark e Leptoni.Si conoscono 6 Quark e 6 Leptoni, comunemente raggruppati in 3 famiglie, ciascuna contenente due Quark e due Leptoni secondo il seguente schema (la massa è espressa in MeV (l'elettronvolt è l'energia acquistata da un elettrone quando viene accelerato dalla differenza di potenziale di 1volt. 1 MeV = 106 eV) e la carica elettrica come frazione della carica unitaria dell'elettrone)

QUARK

LEPTONI

I famiglia II famiglia III famiglia

nome sigla carica massa nome sigla carica massa nome sigla carica massa

up u +2/3 2-8 charm c +2/3 1000-1600 top t +2/3 175600down d -1/3 5-15 strange s -1/3 100-300 bottom b -1/3 4100-4500

I famiglia II famiglia III famiglia

nome sigla carica massa nome sigla carica massa nome sigla carica massa

elettrone e -1 0,511 muone µ -1 105,66 tauone τ -1 1777neutrinoelettron.

νe 0 < 0,0051 neutrinomuonico

νµ 0 < 0,27 neutrino tauonico

ντ 0 < 316

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La prima famiglia va a costituire la materia ordinaria con la quale è costruito l'intero universo materiale dagli atomi alle galassie. Le rimanenti due famiglie sono costituite da particelle instabili che si formano attualmente solo in condizioni termodinamiche particolari (ad esempio nei grandi acceleratori di particelle) e si trasformano (decadono) rapidamente nelle particelle stabili della prima famiglia.Ciascuna delle 12 particelle presenta inoltre la sua antiparticella che si distingue solo per avere carica elettrica opposta. Le antiparticelle vengono rappresentate con il simbolo della particella con una barretta sopra. Ad esempio l'elettrone (e o e-) ha come antiparticella l'antielettrone o positrone (e o e+).

A differenza dei Leptoni, i Quark non esistono liberi in natura, ma si aggregano a gruppi di 2 o 3. Le particelle composte da 3 Quark sono chiamate barioni, quelle composte da 2 Quark sono dette mesoni. Barioni e mesoni costituiscono un unico gruppo di particelle note come adroni.Gli unici due barioni stabili nelle attuali condizioni termiche dell'universo sono il protone (duu) formato da due Quark up ed un Quark down e il neutrone (ddu) formato da un quark up e due Quark down.La carica elettrica degli adroni si ottiene come somma algebrica della carica elettrica dei singoli Quark che li compongono. Non esistono adroni con cariche elettriche frazionarie. I mesoni si formano dall'unione di un Quark e di un Antiquark. Ad esempio il pione negativo π- presenta la seguente struttura uu. I mesoni presentano un quark di un colore ed un antiquark del rispettivo anticolore (antirosso = ciano; antiverde = magenta; antiblu = giallo), in modo che anch'essi si presentano globalmente neutri (bianchi) per quanto riguarda la carica di colore.

I barioni possiedono tutti spin semintero e sono perciò fermioni (ubbidiscono al principio di esclusione di Pauli), mentre i mesoni presentano spin intero e sono perciò bosoni (non ubbidiscono al principio di esclusione di Pauli).

Quark e Leptoni interagiscono attraverso i 4 tipi di forze fondamentali già descritte. Oggi però anche le forze o interazioni vengono descritte attraverso teorie quantistiche. Ciò significa che quando due particelle materiali interagiscono tramite una delle quattro forze di natura lo fanno, secondo le attuali vedute, scambiandosi un quanto di forza. I quanti associati alle quattro forze di natura possono a tutti gli effetti essere considerati come particelle portatrici di forza (vettori di forza).Le particelle che mediano le interazioni sono tutte bosoni (bosoni intermedi).

interazione quanto spin carica elett.

gravitazionale gravitone (ipotetico) 2 0 elettromagnetica fotone 1 0 forte (di colore) 8 gluoni 1 0 debole 3 bosoni deboli

W+ 1 + 1

W- 1 - 1 Z° 1 0

L'interazione gravitazionale è una forza puramente attrattiva che agisce tra corpi dotati di massa tramite scambio di gravitoni. La descrizione quantistica di tale interazione non è ancora soddisfacente.

L'interazione elettromagnetica è una forza che agisce sia in modo attrattivo che repulsivo tra particelle dotate di carica elettrica tramite scambio di fotoni.

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L'interazione di colore agisce tra i Quark tramite scambio di 8 gluoni, mantenendo legati i Quark all'interno degli adroni. I leptoni non possiedono carica di colore e su di essi non agisce pertanto l'interazione forte.

L'interazione debole è alla base di tutti i processi tra particelle in cui sono coinvolti neutrini. Sia quark che leptoni presentano carica debole. In tutte le reazioni di interazione debole sono coinvolti 4 fermioni. Il decadimento del neutrone è una tipica interazione debole mediata dal bosone W-

n p e e→ + + ν

I bosoni deboli elettricamente carichi (W+ e W-) sono in grado di trasformare i Quark l'uno nell'altro secondo il seguente schema

Così il decadimento beta del neutrone deve essere interpretato come una trasformazione di un Quark d in un Quark u

per emissione di un bosone debole W- il quale decade poi in un elettrone e in un antineutrino elettronico

In modo analogo i leptoni possono trasformarsi l'uno nell'altro per interazione debole secondo il seguente schema

Ad esempio il muone decade in un elettrone, un neutrino muonico e in un antineutrino elettronico secondo la seguente reazione

Le 4 interazioni fondamentali presentano ovviamente una diversa intensità (o adesività).Tali differenze tendono però ad annullarsi con l'aumentare della temperatura.L'intensità dell'interazione debole e di quella elettromagnetica diventano ad esempio paragonabili ad una temperatura di circa 1015°K, che corrisponde ad una energia cinetica media ( 3

2 kT) delle particelle di circa 1011 eV.L'ipotesi che l'interazione debole e l'interazione elettromagnetica potessero essere a tutti gli effetti indistinguibili ed unificarsi a tali energie ha trovato una conferma sperimentale nel 1983 ad opera dell'équipe del CERN guidata da C. Rubbia.

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Al di sopra di 1015°K non ha quindi più senso distinguere fotoni e bosoni deboli e sarebbe più opportuno parlare di un unico tipo di vettori intermedi, i bosoni elettrodeboli che trasportano un'unica forza elettrodebole unificata.

Anche se non è ancora stato possibile effettuare una verifica sperimentale, pochi scienziati hanno oggi dei dubbi che anche l'interazione forte possa unificarsi con l'interazione elettrodebole. Vi sono diverse teorie che prevedono tale unificazione al di sopra di 1027°K (1023 eV) e che sono note come Teorie di Grande Unificazione (GUT).Secondo la più semplice di tali teorie (SU5) al di sopra di tale temperatura risultano stabili 24 bosoni vettori intermedi, noti come bosoni X che trasportano un'unica forza grandunificata. Lo scambio di tali bosoni tra Quark e Leptoni trasforma gli uni negli altri. Sopra tale temperatura non avrebbe nemmeno più senso distinguere tra Quark e Leptoni che vengono spesso indicati come lepto-quark.Al di sotto di tale temperatura 12 bosoni X decadono negli 8 gluoni e nei 4 bosoni elettrodeboli, mentre gli altri 12 bosoni X decadono in quark e leptoni stabili.

Esistono infine ipotesi teoriche, sulle quali non vi è ancora sufficiente convergenza da parte degli specialisti, che prevedono una completa unificazione di tutte e 4 le forze a 1032 °K (1028 eV). Tra queste sollevano particolare interesse tra i fisici le teorie supersimmetriche (SUSY) che prevedono che sopra una certa temperatura anche fermioni e bosoni diventino indistinguibili. Secondo tali teorie ogni particella elementare nota dovrebbe essere associata ad una particella supersimmetrica (superpartner) che differisce, oltre che per la massa molto elevata solo per mezza unità di spin. Così tutti i fermioni avrebbero dei bosoni per superpartners e viceversa. I fermioni supersimmetrici (tutti con spin 1/2 tranne il gravitino con spin 3/2) vengono indicati aggiungendo la desinenza -ino al nome del loro partner normale (fotino, gluino, Wino, Zino, gravitino), mentre i bosoni supersimmetrici (tutti con spin zero) vengono indicati anteponendo il prefisso s- al nome dei loro partners normali (selettrone, sneutrino, squark).

1.4 La radiazione elettromagneticaLa maggior parte delle informazioni che ci pervengono dallo spazio sono sotto forma di energia elettromagnetica. La conoscenza della natura e delle leggi che governano la radiazione elettromagnetica risulta quindi fondamentale nello studio dei corpi celesti.Nel 1820 il fisico danese Hans Christian Oersted scoprì che un magnete ed un filo percorso da corrente elettrica si attirano reciprocamente.Nel 1831 l'inglese Michael Faraday trovò che a sua volta un magnete in movimento esercita una forza su di una carica elettrica ferma costringendola a muoversi, fenomeno oggi noto come induzione elettromagnetica.Divenne dunque presto evidente che la forza elettrica e la forza magnetica, fino ad allora ritenute separate, dovevano essere due aspetti di uno stesso fenomeno.Qualche decennio più tardi lo scozzese James Clerck Maxwell sintetizzò tali risultati sperimentali con uno straordinario lavoro teorico. Servendosi esclusivamente del calcolo differenziale Maxwell dimostrò infatti che un campo elettrico di intensità variabile nel tempo produce nello spazio circostante un campo magnetico anch'esso di intensità variabile. Il campo magnetico indotto, variando di intensità, induce a sua volta un campo elettrico variabile e così via.In conclusione l'iniziale perturbazione del campo (elettrico o magnetico che sia) non rimane confinata nello spazio, ma si propaga come una serie di campi magnetici ed elettrici concatenati di intensità variabili. Le variazioni di intensità si presentano con tipico andamento sinusoidale, tanto da meritare al fenomeno il nome di onda elettromagnetica.

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La teoria di Maxwell permette anche di ottenere per via teorica la velocità di propagazione dell'onda, la quale risulta essere pari al reciproco della radice quadrata del prodotto della costante

dielettrica del vuoto (εo) per la permeabilità magnetica del vuoto (µo).

v = 1

ε µo o = 300.000 km/s

La straordinaria coincidenza numerica tra la velocità di propagazione dell'onda elettromagnetica e la velocità di propagazione della luce nel vuoto 'c', portò Maxwell a formulare l'ipotesi, in seguito confermata sperimentalmente da Hertz, che la luce non fosse altro che un onda elettromagnetica di particolare lunghezza d'onda.

Un'onda elettromagnetica, essendo un campo di forze di intensità variabile che si propaga nello spazio, agisce su tutte le particelle cariche e sui magneti che incontra costringendoli a vibrare al suo stesso ritmo, così come un sughero sull'acqua viene fatto oscillare dal passaggio di un'onda d'acqua.

Essendo la radiazione elettromagnetica un fenomeno ondulatorio, essa è descrivibile attraverso i caratteristici parametri associabili a qualsiasi onda:

1) il periodo T viene definito come il tempo impiegato dal campo elettromagnetico per eseguire una vibrazione completa o, il che è lo stesso, il tempo impiegato da una cresta d'onda per raggiungere la posizione precedentemente occupata dalla cresta che la precede.

2) viene definita frequenza ν , il reciproco del periodo (1/T). La frequenza misura il numero delle oscillazione nell'unità di tempo. Si misura in cicli al secondo o hertz.

3) Si definisce infine lunghezza d'onda λ , lo spazio tra due creste successive. La lunghezza d'onda rappresenta anche lo spazio percorso dall'onda nel tempo T.

Poiché la velocità di propagazione 'c' delle onde elettromagnetiche è costante ed essa è pari al

rapporto tra lo spazio percorso λ ed il tempo impiegato a percorrerlo T, se ne deduce che λ e T sono direttamente proporzionali

c = λ/Τinoltre, poiché ν = 1/T, la relazione si può scrivere

c = λ νlunghezza d'onda e frequenza sono inversamente proporzionali.L'onda elettromagnetica trasporta energia. Ce ne possiamo facilmente convincere pensando al fatto che le onde elettromagnetiche sono in grado di mettere in movimento le cariche elettriche investite, eseguendo su di esse un lavoro. Quando però si prendono in considerazione fenomeni in cui sono coinvolti scambi energetici tra radiazione elettromagnetica e materia, il nostro modello ondulatorio diventa purtroppo inadeguato ed incapace di dar ragione di molti fatti sperimentali.In tal caso viene utilizzato un modello corpuscolare in cui la radiazione risulta costituita da pacchetti di energia detti fotoni.L'energia portata da ciascun fotone risulta direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione secondo una costante di proporzionalità 'h', detta costante di Planck.

E = h νDunque la radiazione ad alta frequenza (e piccola lunghezza d'onda) risulta composta da fotoni altamente energetici, mentre la radiazione a bassa frequenza (ed elevata lunghezza d'onda) è costituita da fotoni poco energetici.

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La classificazione delle radiazioni elettromagnetiche in base alla lunghezza d'onda (o, il che è lo stesso, in base alla frequenza) prende il nome di spettro elettromagnetico.Le onde elettromagnetiche che il nostro occhio riesce a percepire, indicate come frazione visibile

dello spettro o spettro visibile, possiedono una lunghezza d'onda compresa tra 0,39 µ e 0,77 µ.Noi percepiamo ciascuna lunghezza d'onda della radiazione visibile come un colore diverso. Alla

radiazione di maggior lunghezza d'onda corrisponde il rosso (0,62 - 0,77 µ). Al diminuire della lunghezza d'onda corrisponde l'arancione, il giallo, il verde, il blu ed infine, alla radiazione di minor

lunghezza d'onda corrisponde il violetto ( 0,39 - 0,43 µ). Al di là del violetto troviamo radiazioni di minor lunghezza d'onda e di maggior energia, invisibili all'occhio umano, corrispondenti all'ultravioletto, ai raggi X ed ai raggi gamma.Al di qua del rosso troviamo radiazioni di maggior lunghezza d'onda e di minor energia, corrispondenti all'infrarosso, alle microonde ed alle onde radio.

Attraverso una tecnica detta spettroscopia è possibile suddividere una radiazione proveniente da un corpo e composta da onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda nelle sue componenti, dette radiazioni monocromatiche. Si ottengono così una serie di righe colorate aventi ciascuna una particolare lunghezza d'onda, che definiscono lo spettro di quel corpo.Esistono due tipi fondamentali di spettri: gli spettri di emissione e gli spettri di assorbimento.

1.4.1 Spettri di emissione Gli spettri di emissione sono prodotti direttamente dai corpi e rappresentano una forma di emissione di energia da parte della materia. Trattandosi di un caso di interazione materia/radiazione tali fenomeni vanno trattati utilizzando il modello corpuscolare. Esistono due tipi di spettri di emissione: spettri di emissione continui e spettri di emissione discontinui o 'a righe'.

1) Gli spettri di emissione continui vengono prodotti da corpi solidi o liquidi a qualsiasi temperatura al di sopra dello zero assoluto (0°K). La radiazione emessa è identica per qualsiasi tipo di corpo ad una stessa temperatura. In altre parole lo spettro che si forma non dipende dalla natura chimica del corpo emittente, ma è funzione esclusivamente della sua temperatura. Lo spettro che si forma si dice continuo in quanto sono presenti tutte le righe spettrali anche se con intensità diversa. L'intensità delle righe spettrali cresce da sinistra verso destra, raggiunge un massimo per poi decrescere. Affermare che ciascuna riga spettrale presenta una diversa intensità, significa dire che ciascuna riga trasporta una diversa quantità di energia. Se costruiamo il diagramma che mette in relazione la distribuzione di energia dello spettro in funzione della lunghezza d'onda si ottiene una curva di questo tipo

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La lunghezza d'onda in corrispondenza con il massimo della curva trasporta la maggior quantità di

energia ed è detta lunghezza d'onda di massima emissione (λmax), mentre le radiazioni di lunghezza d'onda minore e maggiore risultano meno intense e trasportano quindi una minor quantità di energia.Si noti che l'intensità massima non è necessariamente situata in corrispondenza delle lunghezze d'onda più energetiche (lunghezze d'onda minori). Ciò perché queste ultime, pur essendo formate da fotoni più energetici, sono evidentemente costituite da un numero di fotoni molto esiguo rispetto a quello che costituisce le lunghezze d'onda in corrispondenza delle quali è situato il picco. La posizione del picco di energia dipende dalla temperatura del corpo emittente. Diminuendo la temperatura il massimo si sposta verso lunghezze d'onda maggiori e contemporaneamente la curva si abbassa.

Il valore della lunghezza d'onda di massima emissione è ricavabile in base alla legge dello spostamento di Wien

λmax T = K

Temperatura assoluta e lunghezza d'onda di massima emissione risultano dunque inversamente proporzionali. E' per questo motivo che un corpo portato ad alta temperatura ( ad esempio una sbarra di ferro) ci appare prima rosso, poi arancione, poi giallo, poi bianco-azzurro. Per lo stesso motivo vedremo che esistono stelle superficialmente 'più fredde' che ci appaiono rosse e stelle via via più calde che vediamo gialle, arancioni etc. Ciò non significa che emettono solo quella lunghezza d'onda, ma che le altre lunghezze d'onda emesse sono talmente deboli da essere sovrastate dalla lunghezza d'onda di massima emissione.

Per temperature molto basse il massimo di emissione non cade più nella banda della luce visibile, ma si sposta nella zona dell'infrarosso, fino a raggiungere, per temperature bassissime le microonde e le onde radio.

Naturalmente un corpo a maggior temperatura deve emettere complessivamente anche una maggior quantità di energia e viceversa. Infatti diminuendo la temperatura la curva non solo si sposta ma si abbassa. Si può dimostrare che l’area sottesa alla curva (integrale della funzione) rappresenta l'energia totale emessa nell'unità di tempo e per unità di superficie radiante.La relazione che descrive la variazione di energia emessa in funzione della temperatura del corpo emittente è detta legge di Stefan-Boltzmann.

E = σ T4

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Per inciso ricordiamo che la curva di spettro continuo è detta anche curva di corpo nero (così viene chiamato un radiatore integrale, cioè un corpo in grado di riemettere tutta l'energia che assorbe) e che tutti i tentativi di descrivere matematicamente tale curva applicando il modello ondulatorio di Maxwell rimasero infruttuosi fino all'inizio del '900, quando l'introduzione della costante di Planck 'h' aprì le porte ad un modello corpuscolare e quantizzato dell'emissione di energia radiante.

2) Gli spettri di emissione a righe si producono quando un gas o un vapore assorbe una opportuna quantità di energia che poi riemette sotto forma di particolari e caratteristiche righe spettrali.Facendo attraversare la radiazione proveniente da un gas eccitato attraverso uno spettrografo non si ottengono tutte le righe spettrali, ma uno spettro composto da poche righe separate da spazi vuoti in cui le righe sono assenti.L'interesse di tali spettri è dovuto al fatto che il tipo di righe emesse da ciascun elemento o composto chimico allo stato gassoso, dipende dalla sua particolare struttura atomica e quindi esiste uno spettro a righe specifico e caratteristico per ciascun elemento o composto. In tal modo analizzando le righe spettrali provenienti dai corpi celesti è spesso possibile risalire ai composti di cui sono costituiti, eseguendo una vera e propria analisi chimica a distanza.

1.4.2 Spettri di assorbimentoQuando una radiazione termica di corpo nero, dopo aver attraversato un vapore o un gas, viene analizzata allo spettrografo, si constata che dallo spettro continuo mancano alcune righe spettrali, le quali sono state assorbite dal gas interposto. In pratica si osserva che i gas ed i vapori assorbono le stesse radiazioni che emettono quando vengono eccitati (legge di Kirchhoff - 1859), per cui lo spettro di assorbimento risulta l'esatto negativo dello spettro a righe. Le righe nere degli spettri di assorbimento vengono dette righe di Fraunhofer, dal nome del fisico che per primo le osservò nel 1815 nello spettro solare.

1.4.3 Effetto DopplerQuando osserviamo gli spettri provenienti da corpi in moto relativo rispetto a noi essi ci appaiono deformati. In particolare le righe risultano spostate verso lunghezze d'onda maggiori se la sorgente luminosa possiede un moto relativo di allontanamento, mentre risultano spostate verso lunghezze d'onda minori se la sorgente è animata da un moto relativo di avvicinamento.Poiché nello spettro visibile le lunghezze d'onda maggiori corrispondono al rosso, mentre le lunghezze d'onda minori corrispondono al blu, il fenomeno di "dilatazione" della lunghezza d'onda proveniente da un corpo in allontanamento è indicato come spostamento verso il rosso o red-shift, mentre il fenomeno di "compressione" della lunghezza d'onda proveniente da un corpo in avvicinamento è indicato come spostamento verso il blu o blu-shift.Naturalmente ciò non significa che una radiazione che ha subito un red-shift o un blu-shift ci appaia effettivamente rossa o blu, significa solo che ci appare con una lunghezza d'onda rispettivamente maggiore o minore di quella che possedeva al momento di emissione.L'intensità del fenomeno è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità radiale di allontanamento o di avvicinamento. Il fenomeno è analogo, come fece notare Doppler nel 1842 e come dimostrò sperimentalmente Fizeau nel 1848, a quello che si produce nelle onde acustiche. E' noto infatti che una sorgente sonora in avvicinamento produce un suono più acuto, mentre in allontanamento produce un suono più grave (effetto Doppler).Supponiamo ora che una sorgente luminosa emetta onde elettromagnetiche di periodo Te e che la sorgente si stia allontanando dall'osservatore ad una velocità v.Dopo aver emesso la prima cresta, la seconda verrà emessa dopo un tempo Te. Ma nel tempo Te compreso tra un'emissione e la successiva la sorgente si allontana di uno spazio vTe. Questa distanza aumenta il tempo richiesto perché la seconda cresta raggiunga l'osservatore: alla velocità della luce c, lo spazio vTe verrà infatti percorso dalla seconda cresta in un tempo vTe/c.

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L'osservatore dunque non misurerà più un periodo Te, ma un periodo più lungo. Il tempo compreso tra l'arrivo di una cresta e l'arrivo di quella successiva sarà infatti pari al periodo normale Te più il tempo necessario per percorrere il tratto vTe

To = Te + vTe/c

In base a tale nuovo periodo l'osservatore calcolerà una lunghezza d'onda pari a

λo = cTo

mentre la lunghezza d'onda in partenza è in relazione con il periodo originario Te

λe = cTe

Dividendo membro a membro le due ultime relazioni si ottiene

λλ

o

e

ee

e

c TvT

ccT

=+( )

da cui semplificandoλλ

o

e

v

c= +1

ed infineλ λ

λo e

e

v

c

−=

λ λλ

o e

e

− viene comunemente indicato come 'z', parametro di red-shift. Si dimostra dunque che se z

è dovuto ad effetto Doppler esso è pari al rapporto tra la velocità relativa del corpo emittente e la velocità della luce. Poiché è piuttosto semplice calcolare di quanto è aumentata o diminuita la lunghezza d'onda di uno spettro a righe, confrontandola con gli spettri standard dei vari elementi e composti ottenuti in laboratorio, rimane di conseguenza subito determinata la velocità di allontanamento o di avvicinamento espressa come percentuale della velocità della luce.Se ad esempio misuriamo un aumento della lunghezza d'onda delle righe spettrali dell'idrogeno che costituisce una galassia dell'1%, possiamo dedurne che tra la terra e tale galassia esiste un movimento di allontanamento reciproco che avviene ad una velocità dell'1% di quella della luce (v/c = 0,01), pari a 3.000 km/s.Determinando il parametro di red-shift (z) di alcuni corpi celesti sono stati calcolati valori superiori ad 1. Ciò non può naturalmente significare che tali corpi possiedono velocità superiori a quelle della

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luce. Significa invece che essi si allontanano con velocità talmente prossime a quelle della luce (velocità relativistiche) che è necessario utilizzare una relazione relativistica per il calcolo di z.Nella relatività speciale z è legato alla velocità di allontanamento v dalle seguenti relazioni

zc v

c v= +

−−1 e

( )( )

v

c

z

z=

+ −+ +

1 1

1 1

2

2

Si tenga presente che per valori di z < 0,01, cioè per velocità inferiori all’1% della velocità della luce, la relazione classica e quella relativistica forniscono valori praticamente coincidenti.

2 Unità di misura in astronomia

Per distanze relativamente piccole, dell'ordine di grandezza del nostro sistema solare si usa l'unità astronomica (UA), inizialmente definita come la distanza media sole-terra (semiasse maggiore orbita), circa 150 milioni di km. Tuttavia, poiché il semiasse maggiore dell’orbita terrestre ha una dimensione variabile con il tempo, l’Unità Astronomica è stata ridefinita come la distanza dal centro del Sole alla quale una particella di massa trascurabile si muoverebbe su di un orbita circolare con periodo pari ad un anno gaussiano (anno gaussiano = 365.2568983 giorni. Fu adottato da Carl Friedrich Gauss come lunghezza dell'anno siderale nei suoi studi sulla dinamica del sistema solare). Una Unità astronomica è pertanto pari esattamente a 149.597.870.691 m, mentre il semiasse maggiore dell’orbita vale attualmente 1,0000001124 UA (149.597.887.506 m nell’anno 2000).

Per distanze superiori, galattiche ed extragalattiche, si usano l'anno-luce ed il parsec.

L'anno-luce (al) è la distanza percorsa dalla luce in un anno alla velocità di circa 300.000 km/s, pari a circa 10.000 miliardi di km (9,46053 1012 km).

Poiché l’anno tropico dura 365,2422 giorni (pari a 31.556.926 s) e la luce viaggia a 2,99792458 105 km/s, un anno-luce sarà pari a 31.556.926 s x 299.792,458 km/s = 94.605.284.124.640 km

2.1 Il parsec e la parallasseIl parsec (pc), abbreviazione di parallasse-secondo, è la distanza alla quale il raggio medio dell'orbita terrestre verrebbe visto sotto l'angolo di un secondo di grado.1 parsec corrisponde a 3,26 anni-luce e a 206.265 UA.

Tale unità di misura deriva dal fatto che le prime misure di distanza in astronomia, effettuate per le stelle più vicine, si basavano su metodi trigonometrici, tramite determinazione dell'angolo di parallasse. Il termine parallasse indica lo spostamento apparente di due punti situati a distanza diversa dall'osservatore quando quest'ultimo si sposta lungo una retta trasversale alla linea di osservazione. E' il medesimo effetto prospettico che si produce quando, osservando un dito proteso davanti a noi, prima con il solo occhio destro e poi con il solo occhio sinistro, esso sembra muoversi rispetto allo sfondo.

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La distanza tra i due punti di osservazione è detta base parallattica. Nel caso dell'esempio precedente la base parallattica è costituita dalla distanza interoculare. Le due proiezioni che si ottengono saranno evidentemente tanto più separate quanto maggiore è la base parallattica e/o quanto più vicino è l'oggetto all'osservatore. L'angolo compreso tra le due visuali è detto angolo parallattico o parallasse.

Per ottenere uno spostamento parallattico di un pianeta rispetto allo sfondo delle stelle fisse è necessaria una base parallattica sufficientemente estesa, ad esempio il diametro terrestre. Per utilizzare il diametro terrestre come base parallattica è sufficiente eseguire 2 osservazioni a distanza di 12 ore, aspettando che la terra compia mezzo giro intorno al suo asse. La metà dell'angolo compreso tra le due visuali è detto parallasse diurna.

Per poter ottenere effetti parallattici per oggetti più distanti dei pianeti (come sono appunto le stelle) è necessario prendere come base parallattica l'asse maggiore dell'orbita terrestre, eseguendo le osservazioni a distanza di 6 mesi. In 12 mesi le stelle più vicine sembrano infatti percorrere un ellisse sullo sfondo delle stelle più lontane (fisse). Tale ellisse non è altro che la proiezione dell'orbita della terra sulla sfera celeste. L'angolo 2α sotto il quale noi osserviamo l'asse maggiore di tale ellisse apparente è lo stesso sotto cui un osservatore posto sulla stella osserverebbe l'asse maggiore dell'orbita terrestre. La metà di tale angolo, pari ad α, è detto parallasse annua della stella. Tale angolo permette la misura della distanza d della stella (o del pianeta in caso di parallasse diurna). Ricordando infatti che in un triangolo rettangolo il rapporto tra le misure dei cateti è pari alla tangente dell'angolo opposto al primo cateto, potremo scrivere:

rd

tgα=

C

sA

sB

A

B

sα2α d

r

Naturalmente lo spostamento apparente e il conseguente valore della parallasse risulterà tanto maggiore quanto più la stella è vicina alla terra, mentre diminuirà, al punto da non essere più

16

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misurabile per stelle molto distanti. Quando la parallasse annua di una stella è di 1" (1/3600 di grado), la relazione precedente fornisce una distanza di

( )dr

km= = = ⋅ =tg

UA

tg 1 / 3600 UA = al

α1

206264 8 3 0856776 10 3 26163313, , ,

Una stella dista quindi 1 parsec dalla terra quando misuriamo per essa un angolo di parallasse di 1 secondo di grado (1"). Nessuna stella, per quanto vicina, presenta una parallasse superiore al secondo di grado. La stella più vicina, Proxima Centauri (cielo australe), presenta una parallasse di 0,76" e quindi dista da noi 3,26/0,76 = 4,3 al. Le prime determinazioni di una parallasse stellare annua si devono a Struve (1822 - α Aquilae 0,181") e a Bessel (1837 - 31 Cygni 0,314").

È facile verificare che la distanza della stella, espressa in parsec è inversamente proporzionale all’angolo di parallasse. Se π è la parallasse annua, allora

π= 1

)( pcd

Se misuriamo un angolo di mezzo secondo di grado la stella si trova ad una distanza doppia (2 pc), se misuriamo un angolo di 1/10 di secondo la distanza è dieci volte maggiore (10 pc) e così via. Attualmente i nostri strumenti non ci permettono di apprezzare angoli inferiori al centesimo di secondo ed è quindi impossibile determinare la parallasse di stelle la cui distanza sia superiore a 100 parsec (circa 300 al).

Immaginiamo che l’orbita terrestre giaccia su di una circonferenza che abbia come centro la stella di cui vogliamo misurare la distanza d.Poiché le parallassi stellari presentano, come abbiamo appena visto, valori molto piccoli, sempre inferiori al secondo di grado, possiamo ragionevolmente confondere l’arco TT1 con la corda ad esso sottesa, la quale rappresenta il diametro dell’orbita terrestre. Ricordando che un radiante è l’angolo che sottende un arco lungo quanto il raggio della circonferenza, potremo scrivere la seguente proporzione

1 rad : d = α : 1 UAPoiché ovviamente in una circonferenza sono contenuti 2π radianti pari a 360°, un radiante corrisponde a 360°/2π = 57,29578 ° = 206.264,8 “. Se dunque esprimiamo gli angoli in secondi di grado, la proporzione precedente diventa 206.264,8 : d = α : 1 UA e la distanza d della stella, espressa

ovviamente in UA, varrà d =206 264 8. , UA

α.

Ma essendo 1 pc = 206.264,8 UA, la distanza in parsec è pari a d =1 pc

α

3 Il sistema solare: Leggi di Keplero

Secondo le nostre conoscenza attuali il sistema solare è composto da 9 pianeti orbitanti intorno al sole, alcuni dei quali con uno o più satelliti. Tra l'orbita di Marte e quella di Giove si muove inoltre una larga cintura di corpi rocciosi, detta fascia degli asteroidi. L'intero sistema solare dovrebbe poi essere circondato, fino ad una distanza di circa 2 anni-luce da una specie di guscio o alone, costituito da qualche centinaio di miliardi di corpi cometari.

Le leggi fondamentali che descrivono le orbite planetarie sono state enunciate verso i primi anni del '600 da Johannes Kepler, il quale si avvalse dell'enorme quantità di osservazioni e di dati ricavati negli ultimi decenni del '500 dal suo maestro, l'astronomo danese Tyge Brahe.

17

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3.1 prima legge di KepleroI pianeti percorrono orbite ellittiche quasi complanari, di cui il sole occupa uno dei due fuochi.Il punto di massima distanza dei pianeti dal sole è detto afelio, mentre il punto di minima distanza è detto perielio. La linea ideale che congiunge afelio e perielio è detta linea degli apsidi. Le orbite presentano modeste eccentricità. Per l’eccentricità e di un ellisse valgono le seguenti relazioni:

• 2

222

a

bae

−= , con a = semiasse maggiore; b = semiasse minore (da cui 21 eab −= )

•a

ce = , con c = semidistanza focale (distanza centro/fuoco) = Rmax – a = a – Rmin

da cui )1(max eaR += )1(min eaR −=

Se ne deduce che il semiasse maggiore è pari alla media aritmetica della distanza massima e minima 2

minmax RRa

+=

mentre il semiasse minore è pari alla media geometrica delle suddette distanze minmax RRb ⋅=

3.2 seconda legge di KepleroIl raggio vettore che congiunge il centro del sole al centro dei pianeti descrive aree uguali in tempi uguali.La conseguenza più notevole di questa legge è che la velocità di rivoluzione dei pianeti intorno al sole non è costante, ma varia in relazione alla distanza, in modo che i pianeti accelerano avvicinandosi al perielio, mentre rallentano nel tratto che va da perielio ad afelio (in corrispondenza degli apsidi l’accelerazione è nulla, mentre la velocità è minima in afelio e massima in perielio). È possibile capire tale comportamento ricordando il principio fisico noto come costanza del momento angolare o momento della quantità di moto (mvr = k).Essendo infatti m, massa del pianeta, costante v ed r devono essere inversamente proporzionali.

3.3 terza legge di KepleroI quadrati dei tempi di rivoluzione (P) di ciascun pianeta sono proporzionali ai cubi del raggio medio dell'orbita (R) P2 = K R3.Poiché si può dimostrare che il raggio medio dell’orbita è pari al semiasse maggiore a dell’ellisse la relazione può essere scritta P2 = K a3

L’ellisse è una curva simmetrica. Se consideriamo due punti P e P* disposti simmetricamente sull’ellisse possiamo osservare come la loro distanza media da un fuoco F sia pari a (FP + FP*)/2. Ma per ragioni di simmetria la distanza FP* del secondo punto dal primo fuoco è uguale alla distanza F’P del primo punto dal secondo fuoco. La distanza media è perciò pari alla semisomma delle distanze di un punto dai due fuochi. Nell’ellisse la somma delle distanze di un punto dai due fuochi vale 2a per costruzione e quindi la distanza media vale a (cvd).

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La conseguenza di tale legge è che passando da un pianeta più interno (più vicino al sole) ad uno più esterno, la velocità di rivoluzione non è inversamente proporzionale al raggio (come avviene all'interno di una stessa orbita), ma al suo quadrato. Assumendo infatti che la velocità di rivoluzione

media sia pari al rapporto tra la lunghezza dell'orbita approssimata come circolare (2πR) ed il

periodo di rivoluzione (P) P

RV

π= 2. Sostituendo opportunamente nella terza di Keplero si ottiene

tRV cos2 =

La terza legge di Keplero, come del resto anche le prime due, può essere dedotta per via teorica dalla legge di gravitazione universale.Essendo infatti la terra in equilibrio dinamico intorno al sole, la forza centripeta (gravitazionale) deve essere perfettamente bilanciata dalla forza centrifuga. La prima è espressa dalla legge di gravitazione universale, mentre la seconda è espressa dalla seconda legge della dinamica

F Gm m

Rs t= 2 F m at=

con ms massa del sole e mt massa della terra

Eguagliando i due secondi membri e nell'ipotesi che la massa gravitazionale della terra, che compare nella legge di gravitazione, abbia lo stesso valore della sua massa inerziale, che compare nella seconda legge della dinamica, si ottiene

a Gm

Rs=2

Approssimando ora le orbite planetarie a delle circonferenze ed indicando con R il raggio medio dell'orbita terrestre e con V la sua velocità media, il valore della sua accelerazione è pari a

R

Va

2

=

Sostituendo opportunamente nella precedente e semplificando otteniamo

V Gm

Rs2 =

Sostituendo infine alla velocità media il rapporto tra la lunghezza dell'orbita (al solito approssimata

come circolare 2πR) ed il periodo di rivoluzione (P) , la relazione diventa

2 2πR

PG

m

Rs

=

ed in definitiva

PGM

Rs

22

34=

π

dove 4 2πGMs

è la costante di proporzionalità che compare nella terza legge di Keplero. Tale valore è

in realtà approssimato, in quanto non è esatto affermare che i pianeti orbitano intorno al sole. Newton ha infatti dimostrato che due corpi che si attraggono gravitazionalmente ruotano intorno ad un baricentro comune. Le distanze dei due corpi dal baricentro risultano inversamente proporzionali alle relative masse. Così se indichiamo con Rs ed Rt la distanza del sole e della terra dal baricentro

comune, vale la seguente relazione.Ms Rs = Mt Rt

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Il fatto che comunemente si accetti di considerare il moto planetario come un movimento dei pianeti intorno al sole è dovuto all'elevato valore della massa solare, enormemente più grande di quella di qualsiasi altro pianeta. In tal modo la distanza del sole dal baricentro comune è talmente piccola che il baricentro viene quasi a coincidere con il centro del sole. La terza legge di Keplero rappresenta perciò una approssimazione, anche se molto buona della situazione reale. Infatti se si tiene conto anche della massa dei pianeti e non solo della massa del sole la relazione diventa

3

22

)(

4R

MMGP

ps +π=

Si vede in tal modo che la costante di proporzionalità contiene la somma della massa del sole e della massa del pianeta preso in considerazione, così che essa è leggermente diversa per ciascun pianeta. Se si tiene però conto del fatto che la massa dei pianeti è trascurabile rispetto alla massa del sole, l'errore commesso è accettabile.

Il risultato corretto può essere ottenuto introducendo la massa ridotta. Si può infatti dimostrare che la condizione di equilibrio dinamico tra due corpi che ruotano intorno al baricentro comune rimane inalterata se allontaniamo il corpo di massa minore m1 portandolo ad una distanza dal baricentro pari a R = R1 + R2, a patto di assegnargli una massa minore,

detta appunto massa ridotta pari a µ =⋅+

m m

m m1 2

1 2

. Infatti se m R m R1 1 2 2= , avremo anche m

m

R

R1

2

2

1

= ed anche

m

m m

R

R R1

1 2

2

1 2+=

+ . Moltiplicando ora entrambi i membri per m2 e riordinando otterremo

( )m m

m mR R m R1 2

1 21 2 2 2

⋅+

+ = ⋅ → µ ⋅ = ⋅R m R2 2

Così la forza centrifuga del corpo di massa minore diventa

F am m

m m

v

R

m m

m m

R

Pc = ⋅ =⋅+

⋅ =⋅+

⋅⋅

µπ1 2

1 2

21 2

1 2

2

2

4

che, eguagliata alla forza gravitazionale

m m

m m

R

PG

m m

R1 2

1 2

2

21 2

2

4⋅+

⋅⋅

=⋅π

→ ( )PG m m

R22

1 2

34=

⋅+π

20

Infatti su ciascuno dei due corpi in rotazione reciproca intorno al baricentro B agisce una forza centrifuga (F1 ed F2)

uguale e contraria alla forza gravitazionale (centripeta)

Essendo la forza centrifuga pari a F ma m R= = ω2 (dove a è l'accelerazione e ω è la velocità angolare), l'eguaglianza tra le due forze F1 ed F2 diventa

m R m R1 12

1 2 22

2ω ω=

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La relazione così ottenuta è d'altra parte molto utile per calcolare le masse dei pianeti una volta nota la massa solare, le loro distanze medie dal sole (R) e i loro periodi di rivoluzione (P).

Nel caso in cui si esprimano i periodi di rivoluzione ed i semiassi maggiori in unità terrestri (anni terrestri ed UA) la relazione diviene particolarmente semplice.

P Ranni UA2 3=

Ad esempio, sapendo che Giove dista dal sole 5,2 UA, è possibile calcolare agevolmente il suo periodo di rivoluzione in anni terrestri

P RGiove = = =3 35 2 11 86, , anni

La terza di Keplero può essere infine utilizzata per calcolare le masse di corpi in rotazione reciproca, come ad esempio sistemi di stelle doppie, mettendola a sistema con la relazione che lega le masse alle rispettive distanze dal baricentro comune. Ad esempio, sapendo che il Sole dista circa 30.000 al dal centro galattico e percorre un’intera orbita intorno ad esso alla velocità di circa 250 km/s in un periodo di circa 230 milioni di anni, è possibile, trattando in prima approssimazione l’intera galassia come un sistema kepleriano, stimarne la massa, la quale risulta essere circa 200 miliardi di volte superiore a quella del Sole.

Calcolo alternativoConsideriamo la condizione di equilibrio del corpo di massa m2 che ruota intorno al baricentro B alla distanza R2, percorrendo nel tempo P la circonferenza 2πR2.

La sua forza centrifuga sarà pari a

( )F m a m

V

Rm

R P

Rm

R

P2 2 2 222

22

2

2

22

22

2

2 4= = = =

π π/

Eguagliamo ora la forza centrifuga F2 alla forza gravitazionale

21

Se nella 3^ di Keplero usiamo per la costante di gravitazione il valore G = 6,67259 10-8 cm3 g-1 s-2 il raggio deve essere misurato in centimetri, la massa in grammi ed il periodo di rivoluzione in secondi. Se ora scriviamo la relazione approssimata per un pianeta generico P e per la terra T

PGM

RPs

P2

234

PGM

RTs

T2

234

e dividiamo membro a membro le due relazioni otteniamo una relazione in cui le variabili sono misurate in unità terrestri. I periodi di rivoluzione e i semiassi maggiori dei pianeti sono espressi cioè come multipli del periodo di rivoluzione terrestre (anno) e del semiasse maggiore terrestre (UA) e la costante di proporzionalità diventa unitaria.

P Ranni UA2 3=

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mR

PG

m m

R2

22

21 2

2

4π =

da cui

R Gm P

R21

2

2 24=

πApplicando lo stesso ragionamento al corpo m1 si ottiene

R Gm P

R12

2

2 24=

πOsservando ora che R = R1 + R2, si ottiene

R R R Gm P

RG

m P

RG

P

Rm m= + = + = +1 2

22

2 21

2

2 2

2

2 2 2 14 4 4π π π( )

da cui

PG m m

R22

2 1

34=+

π( )

4 Il sistema solare: I pianeti

Il pianeta più vicino al sole è Mercurio, cui seguono Venere, la Terra, Marte, la fascia degli asteroidi, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. Gli antichi conoscevano solo 5 pianeti, oltre alla Terra. Urano fu scoperto nel 1781 e Nettuno nel 1846 sulla base di perturbazioni gravitazionali dell'orbita di Urano. Lo stesso accadde nel 1930 per Plutone, la cui esistenza fu ipotizzata per spiegare alcune irregolarità nell'orbita di Nettuno. Il sistema planetario presenta forti regolarità e simmetrie che ci inducono a considerare l'ipotesi di un'origine comune del sole e dei pianeti. Se infatti i pianeti fossero degli intrusi casualmente catturati dal campo gravitazionale del sole essi non presenterebbero le seguenti regolarità:

a) tutti i pianeti si muovono intorno al sole nello stesso verso antiorario, se osservati dal polo nord celeste. Tale verso risulta concorde con il movimento di rotazione del sole intorno al suo asse.

b) le orbite dei pianeti giacciono tutte sullo stesso piano o quasi. Fa eccezione Plutone che risulta inclinato di 17° rispetto al piano dell'orbita terrestre (eclittica). Questa ed altre anomalie di Plutone fanno d'altra parte ritenere che esso abbia avuto una genesi diversa rispetto agli altri pianeti. Alcuni sostengono ad esempio che si tratti di un ex satellite di Urano entrato in orbita intorno al sole.

c) i moti di rotazione dei pianeti intorno al loro asse sono tutti concordi e antiorari se osservati dal polo nord celeste. Fanno eccezione Plutone e Venere che presentano un moto di rotazione orario o retrogrado.

d) le distanze dei pianeti dal sole seguono una legge empirica, che rimane peraltro ancor oggi misteriosa, scoperta nel 1766 da Tietz (Titius) e successivamente divulgata da Bode. Espressa in termini moderni, con le distanze medie dei pianeti dal sole (R) misurate in unità astronomiche, la legge di Titius e Bode prende la seguente forma:

R = 0,4 + 0,3 (2n)

con n che può assumere i valori - ∞ (meno infinito), 0, 1, 2, 3.......

con n = - ∞ R = 0,4 U.A. (Mercurio) con n = 0 R = 0,7 U.A. (Venere)con n = 1 R = 1 U.A. (Terra)etc

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I valori così ottenuti si approssimano in modo piuttosto soddisfacente alle distanze reali, con l’eccezione dei pianeti più esterni. E' inoltre interessante notare che fino a tutto il '700, la legge di Titius e Bode mostrava un 'buco' per n = 3, prevedendo in tale posizione la presenza di un pianeta tra Marte e Giove.La lacuna fu colmata nel 1801 quando l'astronomo italiano Piazzi scoprì in quella posizione il più grande degli asteroidi, Cerere.

e) i pianeti possono essere suddivisi in due grandi gruppi omogenei per quanto riguarda le proprietà fisiche e chimiche, se si esclude ancora una volta Plutone. I 4 pianeti terrestri (Mercurio, Venere, Terra, Marte) ed i 4 pianeti gioviani (Giove, Saturno, Urano, Nettuno).

• I pianeti terrestri presentano dimensioni relativamente piccole, ma, essendo costituiti di materiali prevalentemente silicatici (rocciosi), hanno densità elevate (4 - 5,5 kg/dm3). Presentano pochi o nessun satellite e le loro velocità di rotazione sono piuttosto basse.

• I pianeti gioviani sono di grandi dimensioni (pianeti giganti), ma essendo composti essenzialmente di elementi chimici leggeri, prevalentemente Idrogeno, presentano densità molto basse, in alcuni casi (Saturno) addirittura inferiori a quella dell'acqua. Presentano in genere un elevato numero di satelliti ed elevate velocità di rotazione intorno al loro asse (10 - 15 ore).

5 Il sistema solare: i corpi meteorici

Il materiale solido extraplanetario appartenente al nostro sistema solare può essere classificato in relazione alle dimensioni in polvere meteorica (< 1 mm), meteoroidi (1 mm - 1 km) e asteroidi (1 km - 1000 km).Gli asteroidi sono per lo più concentrati in un fascia compresa tra l’orbita di Marte e quella di Giove. Si ritiene siano il residuo dei planetesimi che durante la formazione dei pianeti non sono stati in grado di aggregarsi a causa delle forti perturbazioni gravitazionali di Giove. Sono stati finora osservati più di 15.000 asteroidi, anche se solo di settemila se ne conosce l’orbita con sufficiente precisione. Si stima tuttavia che il numero totale dei pianetini sia dell’ordine delle centinaia di migliaia. Il primo fu individuato la notte del 1° gennaio 1801 da Giuseppe Piazzi e battezzato Cerere. La polvere forma un disco lenticolare nel quale sono immerse le orbite dei pianeti. Le particelle di polvere diffondono la luce solare e sono pertanto responsabili di quella tenue luminosità, nota come luce zodiacale, osservabile in particolari condizioni in corrispondenza dell’alba e del tramonto.Anche i meteoroidi sono distribuiti prevalentemente sul piano su cui giacciono i pianeti. Si ritiene che polveri e meteoroidi provengano in parte dalla disgregazione delle comete ed in parte dalla fascia degli asteroidi.

Si valuta che ogni giorno il nostro pianeta sia bombardato da circa 20 milioni di particelle meteoriche più o meno consistenti. Nella maggior parte dei casi il materiale meteorico che colpisce l’atmosfera terrestre ha dimensione minuscole. I corpi con diametri compresi tra 0,1 ed 1 mm costituiscono quasi l’80% di tutta la massa meteorica che penetra nell’atmosfera, ma sporadicamente possono raggiungere dimensioni relativamente elevate.I corpi di dimensioni minori non riescono a raggiungere la superficie terrestre venendo completamente bruciati e vaporizzati a causa dell'attrito atmosferico. I meteoroidi che presentano una massa sufficientemente elevata da giungere a colpire il suolo, producendo in alcuni casi veri e propri crateri, sono detti meteoriti. Il calore generato dal forte attrito con l'atmosfera produce sempre sulla superficie delle meteoriti una caratteristica patina di fusione.

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I meteoroidi attraversano la nostra atmosfera con velocità elevate (12 - 72 km/s) ed il calore che si libera eccita e ionizza i gas (sia atmosferici che il materiale sublimato dal corpo) limitrofi producendo caratteristiche scie luminose (stelle cadenti).

La velocità delle particelle interplanetarie in prossimità della Terra deve essere minore o uguale a 42 km/s, velocità di fuga del Sistema Solare alla distanza della Terra. Poiché la velocità orbitale media della Terra attorno al Sole è di circa 30 km/s, la velocità relativa del materiale meteorico intercettato dalla Terra sarà 42 + 30 = 72 km/s per le particelle in collisione frontale, 42 – 30 = 12 km/s per le particelle che inseguono la Terra.

La relazione esistente tra comete e sciami meteorici fu suggerita per la prima volta nel 1866 dall’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, il quale scoprì le analogie fra i parametri della cometa Swift-Tuttle e quelli dello sciame delle Perseidi (lacrime di San Lorenzo, il 10 agosto), stabilendo una connessione definitiva tra le comete e le stelle cadenti. Successivamente, attraverso studi sistematici, queste analogie furono riscontrate anche per altre comete. Durante il suo moto di rivoluzione intorno al sole la terra attraversa periodicamente alcuni di questi sciami che producono piogge meteoriche particolarmente intense. Gli sciami oggi riconosciuti in maniera ufficiale sono circa un centinaio, ma molti di essi sono poco evidenti.Le scie luminose prodotte da uno sciame meteorico che interagisce con la nostra atmosfera sembrano apparentemente provenire da un punto della volta celeste, chiamato radiante. Generalmente gli sciami meteorici prendono il nome della costellazione in cui si trova il loro radiante. Abbiamo così lo sciame delle Liridi, delle Acquaridi, delle Orionidi, e così via. Ma gli sciami meteorici più noti sono, il 10 agosto, lo sciame delle Perseidi ed il 17 novembre quello delle Leonidi, così chiamati poiché sembrano provenire rispettivamente dalla costellazione di Perseo e del Leone. Il radiante non è in realtà puntiforme, ma è una regione più o meno estesa. Più le traiettorie di caduta convergono in un’area ristretta, più lo sciame meteorico è giovane. Infatti i disturbi gravitazionali, che la Terra e gli altri corpi celesti producono sugli sciami, hanno l’effetto di deviare il tragitto dei meteoroidi, i quali mutano progressivamente le loro orbite. Si ritiene che col passare del tempo i meteoroidi appartenenti ad uno sciame andranno ad occupare una fascia sempre più ampia di spazio, finché diverrà impossibile riconoscerne il radiante, e quel che resta dello sciame andrà ad incrementare il numero delle meteore sporadiche.Il flusso di meteore non è uniforme durante le ore notturne, ma aumenta progressivamente e diviene massimo verso il mattino. Ciò dipende dal fatto che la Terra si muove lungo la sua orbita e l’emisfero anteriore (rivolto nel verso del moto) terrestre spazza più particelle interplanetarie di quello posteriore. In definitiva, verso sera e durante le prime ore della notte la Terra intercetta solo i meteoroidi abbastanza veloci da raggiungerla, mentre verso mattino essa si scontra con tutti gli oggetti che trova sulla propria orbita.

I fenomeni luminosi che accompagnano un meteoroide si definiscono meteore, se presentano una luminosità inferiore a quella di Venere (m = - 4), bolidi se risultano più brillanti.

I meteoriti si dividono in:- aeroliti o meteoriti rocciosi o litoidi (92%), composti di silicati pesanti di Ferro e Magnesio;- sideriti o meteoriti metallici (7%), composti di leghe di Nichel e Ferro; - sideroliti o meteoriti miste o metallico-litoidi (1%).

Le meteoriti litoidi sono di gran lunga le più frequenti e vengono ulteriormente suddivise in condriti e acondriti a seconda che presentino o meno al loro interno dei granuli tondeggianti detti condrule.

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Lo studio delle meteoriti è di particolare interesse in quanto si ritiene che i meteoroidi rappresentino frammenti primordiali della nube protosolare derivanti dalla disgregazione di corpi di dimensioni maggiori (soprattutto asteroidi e secondariamente comete). Le meteoriti più vecchie finora analizzate (condriti) presentano un'età, calcolata con metodi radiometrici (Rb/Sr) in 4,57 miliardi di anni. Ciò avvalora naturalmente l'idea che tale materiale si sia formato contemporaneamente al nostro sistema solare.

Secondo l'ipotesi che attualmente appare più probabile le condriti rappresenterebbero le meteoriti più antiche e primitive, formatesi dalla disgregazione di corpi in fase di accrezione non ancora differenziatisi al loro interno in strati a diversa densità. Particolarmente interessanti risultano, a sostegno di tale ipotesi, un particolare tipo di condriti ricche di composti del carbonio (condriti carbonacee). Le condriti carbonacee presentano infatti la stessa composizione chimica della fotosfera solare (eccetto naturalmente l'idrogeno e l'elio) a testimonianza del fatto che sia il sole che le condriti carbonacee si sarebbero condensate contemporaneamente dalla stessa materia che costituiva la nebulosa protosolare.

Acondriti, sideroliti e sideriti si sarebbero invece formate successivamente, a causa della disgregazione di corpi planetesimali (piccoli pianeti in fase di accrescimento) che, fortemente riscaldatisi (impatti meteorici, decadimenti di isotopi primordiali (Al-26 che decade in Mg), trasformazione di energia potenziale in energia cinetica durante lo sprofondamento del nucleo) avrebbero differenziato al loro interno (differenziazione gravitativa) un pesante nucleo metallico ed un mantello più superficiale e leggero. Le acondriti rappresenterebbero frammenti del mantello, le sideriti frammenti del nucleo, le sideroliti frammenti della zona di confine tra mantello e nucleo.

Lo studio della composizione chimica delle meteoriti permette quindi di comprendere ed interpretare la struttura e la probabile composizione chimica dei pianeti ed in particolare dell'interno della terra.

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6 Il sistema solare: corpi cometari

I corpi cometari sono oggetti celesti di forma irregolare e di dimensioni variabili, mediamente con diametri di qualche decina di chilometri. Analisi dettagliate delle orbite cometarie hanno rivelato l'appartenenza di questi oggetti al sistema solare. Se infatti le comete fossero corpi estranei al nostro sistema, sarebbero caratterizzate da traiettorie iperboliche, mentre presentano tipiche orbite ellittiche intorno al sole, anche se, a differenza dei pianeti, caratterizzate da grande eccentricità.

Il primo a supporre che le comete compiano un’orbita ellittica intorno al Sole e ripassino quindi periodicamente in vicinanza della Terra, fu Halley, il quale riuscì a prevedere il ritorno della cometa che da lui prende il nome per il 1759. Halley calcolò analiticamente l'orbita della cometa utilizzando i passaggi avvenuti nel 1531, 1607, 1682, sulla base della nuova teoria di gravitazione universale scoperta da Isaac Newton.

I corpi cometari sono costituiti da materiale meteorico e da gas solidificatisi alle bassissime temperature cosmiche. E' il cosiddetto modello a "palla di neve sporca", proposto negli anni '50 dall'astronomo americano Whipple e sostanzialmente confermato dalla sonda Giotto che nel 1986 ha potuto osservare da vicino la cometa di Halley.

Tra i gas ghiacciati predomina, di gran lunga, l’acqua, seguita dall’anidride carbonica, dal metano, dall’idrogeno, dalla formaldeide e dall’ammoniaca. Le polveri meteoriche sono invece composte prevalentemente da silicati, granuli di ferro-nickel, carbonati e da una miscela di sostanze organiche, tra cui sono presenti anche precursori di aminoacidi. Il rapporto tra ghiacci e polveri risulta fortemente variabile da cometa a cometa e questo si riflette in un ampia gamma di densità, stimate fra 0,2 e 1,5 grammi per centimetro cubo. La superficie è di colore scuro, con una albedo estremamente bassa, pari a 0,04, a causa di una sottile incrostazione superficiale di molecole organiche sottoposte all’azione delle radiazioni ionizzanti.Le osservazioni effettuate dalla sonda Giotto hanno inoltre dimostrato che i corpi cometari possiedono una struttura estremamente porosa, in cui le cavità interne giungerebbero ad occupare fino al 95% del volume totale. La cometa di Halley presentava ad esempio una densità inferiore a

quella dell'acqua (0,2-0,6 g/cm3). Quando il corpo cometario, detto nucleo, si avvicina al sole, inizia a sublimare producendo un'atmosfera gassosa che lo inviluppa, detta chioma (il termine cometa deriva dal latino coma = chioma). La chioma può raggiungere dimensioni enormi. Recenti osservazioni hanno evidenziato diametri paragonabili a quelli del sole. I gas e le polveri non evaporano uniformemente da tutta la superficie, ma escono con getti violenti da alcuni crateri. Ad ogni passaggio attorno al sole il nucleo cometario perde parte della sua massa, fino al punto in cui l'attrazione gravitazionale esercitata dal sole non ha il sopravvento sulla gravità interna e la materia che lo compone si sgretola, andando a formare materiale incoerente (gas, polveri e meteoroidi) che continua a muoversi nello spazio come un enorme sciame meteorico.

Man mano che si avvicina al sole la chioma inizia a sfumare in una coda allungata, composta di gas e polveri estremamente rarefatti che vanno disperdendosi nello spazio. La coda viene prodotta dall'interazione della radiazione e del vento solare con la chioma ed è per questo motivo sempre disposta in senso opposto rispetto al sole. Essa può raggiungere lunghezze di centinaia di milioni di chilometri.

Si possono formare due diversi tipi di code: 26

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- La coda di polveri o di tipo II. Di aspetto biancastro, deve la sua luminosità alla capacità dei suoi costituenti di riflettere e diffondere la luce solare. Essa si presenta leggermente incurvata rispetto alla congiungente nucleo-Sole a causa della azione gravitazionale di quest’ultimo. - La coda di gas ionizzati o di tipo I. Prodotta dall’azione dei fotoni solari più energetici che eccitano le molecole della chioma. La sua luminosità è determinata essenzialmente dallo spettro di emissione dei gas eccitati. In particolare la dominante blu è dovuta a una particolare riga dello ione positivo dell'ossido di carbonio. La coda di gas ionizzati è in genere più rettilinea, breve e sottile rispetto a quella di polveri. Il tipo di coda sviluppato viene determinato essenzialmente dalla composizione del nucleo. Si possono pertanto originare sia code di un solo tipo, sia code miste.

La maggior parte delle comete finora osservate presentano periodi di rivoluzione intorno al sole molto elevati (103 – 106 anni). Vengono definite comete a lungo periodo le comete che presentano un periodo superiore ai 200 anni). Le orbite di tali comete presentano tutte le possibili inclinazioni rispetto al piano dell'eclittica. Dal numero di comete osservate, dall'analisi delle loro orbite e della loro periodicità l'astronomo olandese Jan Oort (1950) dedusse l'esistenza nel nostro sistema solare di miliardi di corpi cometari. Secondo Oort essi formerebbero un guscio (nube di Oort) intorno al sistema solare. Secondo recenti stime la nube di Oort avrebbe la forma di un enorme sferoide avente il diametro maggiore pari a 3,2 al ed il diametro minore di 2,5 al. I corpi cometari si muoverebbero all'interno della nube di Oort molto lentamente su orbite praticamente circolari, impiegando milioni di anni per percorrerle interamente. Ogni anno tuttavia alcuni di essi, forse per urti reciproci o per interazioni gravitazionali (anche con le stelle più vicine), perdono energia e cadono verso il sole. Le comete a breve periodo (P < 200 anni) presentano invece orbite poco inclinate rispetto al piano dell'eclittica. Secondo l'astronomo olandese Gerard P. Kuiper (1951) esse formerebbero un anello di corpi cometari, detto cintura di Kuiper, posto appena fuori dell'orbita di Plutone.

La presenza nelle comete di sostanze volatili in grandi quantità suggerisce che i nuclei cometari debbano essersi formati in una regione relativamente fredda e quindi esterna della nebulosa protoplanetaria, ma i rapporti esistenti tra nube di Oort e cintura di Kuiper e le modalità della loro formazione sono attualmente ancora oggetto di dibattito.

Secondo un’ipotesi ormai classica la nube di Oort rappresenterebbe il residuo della nebulosa primordiale dalla quale ebbero origine il sole e i pianeti, mentre la cintura di Kuiper si sarebbe formata in un secondo tempo, a causa della progressiva modificazione delle traiettorie delle comete a lungo periodo. Attraversando le regioni centrali del nostro sistema solare le loro traiettorie verrebbero infatti fortemente modificate, specialmente da Giove, divenendo così comete di breve periodo con orbite poco inclinate rispetto al piano dell'eclittica.

Le teorie più recenti ribaltano invece tale prospettiva. I corpi planetesimali formatisi nelle regioni periferiche della nube protoplanetaria, e quindi particolarmente ricchi di ghiacci (cometesimi), si sarebbero in parte condensati a formare alcuni dei corpi più esterni del sistema planetario ed in parte sarebbero andati a costituire la cintura di Kuiper. In questo contesto Plutone e Caronte vengono considerati nient’altro che gli elementi di maggiore dimensione della fascia di Kuiper (così come Cerere è il corpo di maggiori dimensioni della fascia degli asteroidi). Allo stesso modo alcune lune ghiacciate dei pianeti esterni potrebbero essere corpi di questo tipo, come ad esempio Tritone, catturato da Nettuno in un’epoca successiva alla sua formazione. Si potrebbe inoltre giustificare la forte inclinazione degli assi polari di Urano e Nettuno mediante l’urto con un gran numero di corpi cometesimali. I dati ottenuti dal Voyager 2 sulla struttura interna di Urano e Nettuno sembrano dare ulteriore credito a tale ipotesi. I due pianeti, anziché avere un interno a 3 strati, come Giove e Saturno (nucleo roccioso, mantello liquido e spessa atmosfera) sarebbero costituiti da un insieme indifferenziato di miliardi e miliardi di corpi cometari.

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Solo in parte questi corpi cometesimali riuscirono ad aggregarsi a formare i pianeti esterni. La frazione residua sarebbe rimasta confinata ai margini a formare la fascia di Kuiper.Le perturbazioni gravitazionali prodotte dalla materia, stelle gas e polveri, concentrata lungo il piano della Galassia, avrebbero progressivamente estratto corpi cometari dalla cintura di Kuiper distribuendoli nella nube di Oort.

Nel 1992, dopo circa 5 anni di sistematiche ricerche David Jewitt e Jane Luu individuarono il primo corpo appartenente alla cintura di Kuiper, designato QB1. A tutt’oggi ne sono stati individuati alcune decine (ice subdwarf), tutti con una caratteristica dominante cromatica rosso cupo, molto simile a quella dei nuclei cometari.

I parametri orbitali delle comete vengono calcolati tenendo conto della sola azione della gravità solare. Le caratteristiche orbitali così calcolate (periodo, eccentricità etc) non sono tuttavia sufficientemente precise. Due fattori modificano infatti sensibilmente le orbite cometarie: l’effetto razzo e le perturbazioni dei pianeti. L’effetto razzo è una conseguenza del principio di azione-reazione, per il quale l’emissione di gas e polveri dalla superficie del nucleo cometario determina un’accelerazione sulla cometa. L’effetto razzo può produrre variazioni nei passaggi al perielio sino ad alcuni giorni. Di entità molto maggiore sono le perturbazioni indotte dai pianeti, soprattutto dai giganteschi pianeti esterni. Poiché le perturbazioni gravitazionali non possono essere trattate esattamente con gli strumenti della meccanica celeste è necessario limitarsi a previsioni approssimate, valide per un periodo relativamente breve. L’effetto delle perturbazioni è infatti tale da rendere possibili evoluzioni delle orbite nel lungo periodo completamente diverse, anche a partire da osservazioni iniziali pressoché identiche. Per questo motivo il comportamento dinamico delle comete nel lungo periodo è definito caotico e le orbite calcolate con periodi di migliaia di anni risultano poco significative.

7 Il sistema solare: il sole

Il sole è una dei miliardi di stelle che popolano la nostra galassia. Non possiede una posizione privilegiata all'interno della galassia ed anche le sue caratteristiche sono comuni a molte altre stelle.

Alcuni dati sul soleLa distanza media dalla terra, misurabile in base al tempo impiegato da un'onda radio per raggiungere la superficie solare, essere riflessa e ritornare, è di circa 150 milioni di chilometri .Conoscendo la distanza sole-terra e l'angolo sotto il quale viene osservato il diametro solare è possibile, con un semplice calcolo trigonometrico, calcolare il diametro reale del sole, che risulta

essere pari a circa 1,4 milioni di km (1,392.106 km).

Applicando la terza legge di Keplero al sistema sole-terra è possibile infine calcolare la sua massa,

pari a 2.1033 g (1,9891.1033 g). Avendo poi calcolato il diametro possiamo facilmente ottenere il valore della sua superficie (approssimando la sua forma ad una sfera) e del suo volume. Conoscendo infine massa e volume è possibile ottenere la sua densità media che risulta pari a 1,41 g/cm3.

Un cm2 di superficie terrestre al di sopra dell'atmosfera riceve dal sole ogni minuto circa 2 calorie,

pari a circa 1,4.106 erg/cm2 s (1,368 .106 erg/cm2 s). Tale valore rappresenta la cosiddetta costante solare. Essa viene espressa comunemente in langley ( 1 langley = 1 cal/cm2 min).

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Poiché il sole emette energia in tutte le direzioni, la stessa quantità di energia investirà tutti i cm2 di una ideale superficie sferica avente per centro il sole e per raggio la distanza sole-terra. Per ottenere dunque l'energia totale emessa dal sole per unità di tempo (potenza totale), sarà sufficiente moltiplicare la costante solare (potenza unitaria) per la superficie di tale sfera ideale.

Il valore così ottenuto, espresso in erg/s, è pari a 4.1033 (3,847.1033 erg/s).Sapendo che il sole produce energia tramite fusione nucleare, cioè trasformando direttamente massa in energia secondo la relazione E = mc2, possiamo calcolare che il sole trasforma in energia circa 4,5 milioni di tonnellate di materia al secondo.

E' possibile poi calcolare l'energia emessa da ciascun cm2 di superficie solare dividendo il valore

della potenza solare totale (4.1033 erg/s) per la sua superficie. Il valore così ottenuto, introdotto

nella relazione di Stefan-Boltzmann (E = σT4), ci permette di risalire alla temperatura superficiale del sole (temperatura efficace) , che risulta essere di 5780 K .Lo stesso risultato può essere ottenuto misurando la lunghezza d'onda di massima emissione di energia nello spettro solare. Poiché tale lunghezza d'onda risulta essere, come era logico attendersi, nella regione del giallo (il sole è una stella gialla), si risale facilmente alla temperatura di emissione

utilizzando la legge di Wien ( λmax T = cost). I valori ottenuti con i due metodi naturalmente coincidono.Dall'analisi spettroscopica (righe di Fraunhofer) il sole risulta composto essenzialmente di idrogeno, seguito dall'elio e da piccole percentuali di tutti gli altri elementi chimici.

7.1 Struttura del soleIl sole emette la sua energia radiante da uno strato superficiale detto fotosfera, la quale si comporta come un corpo nero alla temperatura di 5780 K. La fotosfera non è omogenea. Essa appare costituita da miriadi di grani brillanti sparsi su di un fondo più scuro. Tale strutture granulose, dette grani, hanno un diametro di circa 1000 km. Ciascun grano compare, brilla e scompare nel giro di pochi minuti, producendo complessivamente un effetto brulicante. I grani costituiscono la sommità di enormi colonne di plasma caldo ascendente, che si formano grazie a movimenti di convezione interni al sole. L’entità del loro blu-shift ci permette di calcolare una velocità di risalita di circa 1 km/s.

La mancanza di alcuni grani in certi settori della fotosfera può produrre aree tondeggianti più scure dette pori. I pori hanno una vita media di circa un'ora e poi generalmente vengono nuovamente sostituiti dalle granulazioni luminose. In alcuni casi vengono ad essere perturbate zone molto più estese della fotosfera, con formazione di vaste macchie scure dalla struttura complessa, dette macchie solari. Le macchie sono in genere accompagnate da aree limitrofe che presentano una maggiore intensità luminosa rispetto alla circostante fotosfera, dette facole.Il colore più scuro delle macchie è dovuto al fatto che esse presentano una temperatura di circa 2000° inferiore rispetto alle zone circostanti della fotosfera. Sono formate da una zona centrale più scura e fredda, detta ombra e da una zona periferica meno scura, detta penombra, che mostra una tipica struttura raggiata, composta da numerosi filamenti chiari e scuri, che si formano e si dissolvono in continuazione. La vita media di una macchia solare va da pochi giorni a pochi mesi,

% numero di atomi % in massaH 92,1 73,4He 7,8 24,9O, C, N, Ne 0,1 1,3Altri 0,01 0,4

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ma le macchie vengono sostituite in continuazione andando a costituire un ciclo caratteristico, che sembra dipendere dall'evoluzione del campo magnetico solare.Le macchie solari sono infatti sede di forti campi magnetici, qualche migliaio di volte più intensi del campo magnetico generale del sole. Ma mentre il campo magnetico generale del sole è poloidale (come quello della terra) con le linee di forza che corrono parallelamente alla superficie solare, il campo magnetico associato alle macchie è costituito da linee di forza perpendicolari alla superficie solare.

Effetto Zeeman

Gli astrofisici sono in grado di verificare l'intensità dei campi magnetici e la direzione delle linee di forza ad essi associati tramite l'effetto Zeeman. E' infatti noto che la radiazione sottoposta ad un campo magnetico esterno produce righe spettrali sdoppiate (effetto Zeeman). L'entità dello sdoppiamento (∆λ) è proporzionale all'intensità del campo magnetico applicato. Inoltre se le linee di forza del campo magnetico risultano perpendicolari alla direzione della radiazione (come avviene al di fuori delle macchie solari) la riga spettrale produce altre due righe laterali, per un totale di tre righe, mentre se le linee di forza risultano parallele alla direzione della radiazione (come avviene all'interno delle macchie solari) la riga spettrale semplicemente si sdoppia in due laterali.

Il ciclo delle macchie solari inizia quando le macchie cominciano a comparire simmetricamente e contemporaneamente alle medie latitudini (40° - 45 ° Nord e Sud) nei due emisferi. Compaiono solitamente in coppie disposte lungo la direzione E-W. La macchia che precede, nel senso di rotazione del sole è detta macchia P (preceeding), quella che segue è detta macchia F (following). La macchia P ha sempre la stessa polarità magnetica dell'emisfero al quale appartiene, mentre la macchia F ha sempre polarità opposta. Le macchie si spostano quindi lentamente verso l'equatore solare, raggiungendolo dopo circa 11 anni. La produzione di macchie raggiunge un massimo a circa metà ciclo, dopo 5 - 6 anni, e va esaurendosi mentre viene raggiunto l'equatore. Mentre le macchie che raggiungono l'equatore dopo 11 anni provenendo dai due emisferi, scompaiono, nuove macchie si producono alla latitudine di partenza (30° - 40° N e S). Il ciclo ricomincia però con polarità inversa. Infatti il campo magnetico generale del sole si capovolge ogni 11 anni e con esso la polarità delle macchie P ed F. Tenendo quindi conto di tale inversione di polarità, il ciclo delle macchie solari inizia nuovamente con le stesse caratteristiche ogni 22 anni circa.Le macchie naturalmente oltre a migrare verso l'equatore, accompagnano il movimento di rotazione del sole. Ma la loro velocità di rotazione è maggiore alle basse latitudini. Ciò conferma il fatto che il sole non ruota intorno al proprio asse come un corpo solido. Si calcola infatti che le zone equatoriali compiano una rotazione completa in 25 giorni, mentre le zone polari impiegano circa 30 giorni.Non esiste ancora un modello organico in grado di dar ragione della dinamica delle macchie solari. Si ritiene comunque che gli intensi campi magnetici ad esse associati si formino a causa del deformarsi del campo magnetico poloidale. Secondo tale ipotesi le linee di forza del campo magnetico, immerse nel plasma solare, verrebbero deformate dal moto differenziale di quest'ultimo, più veloce all'equatore che ai poli, con formazione di un campo magnetico toroidale in cui le linee di forza sarebbero costrette ad avvolgersi più volte parallelamente all'equatore. L'addensarsi delle

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N

S

R a d i a z i o n e p e r p e n d i c o l a r e

N SR a d i a z i o n e p a r a l l e l e a

3 R i g h es p e t t r a l i

2 R i g h es p e t t r a l i

M a n c a l a r i g ac e n t r a l e

∆ λ

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linee di forza intensificherebbe il campo magnetico nelle regioni adiacenti all'equatore solare. Nei punti di maggior intensità del campo magnetico le linee di forza sarebbero infine costrette ad estroflettersi verso la superficie della fotosfera. Nei punti in cui le linee attraversano la fotosfera, in entrata ed in uscita, si creerebbero le macchie solari, più fredde a causa della difficoltà di risalita in tali zone del plasma caldo dagli strati solari più profondi.

Oltre alle macchie solari la fotosfera presenta anche altri tipi di perturbazioni. Tra queste ricordiamo le cosiddette protuberanze, enormi eruzioni di materiale incandescente che si innalzano in poche ore per centinaia di migliaia di chilometri al di sopra della fotosfera. Le protuberanze, proiettate sulla superficie del sole, appaiono come filamenti scuri.

Alcune di queste invece di dissolversi verticalmente formano immensi archi che ricadono sulla fotosfera (protuberanze a ponte). Spesso nelle zone della fotosfera perturbate dalla presenza di macchie e protuberanze, si producono improvvise vampate di luce, dette brillamenti o flares, che in pochi minuti si estendono su superfici enormi della fotosfera.I brillamenti emettono grandi quantità di radiazioni altamente energetiche che, causando tempeste magnetiche sulla terra, favoriscono le aurore polari. Si ritiene che si formino a causa di brusche interruzioni delle linee di forza del campo magnetico solare, causate dalla torsione e tensione cui sono sottoposte a causa della rotazione differenziale del sole, in particolare in corrispondenza delle macchie. Al di sopra della fotosfera vi è l'atmosfera solare. La radiazione emessa dalla fotosfera viene filtrata dall'atmosfera solare, la quale è dunque responsabile della formazione dello spettro di assorbimento solare. L'atmosfera viene divisa in due strati : la cromosfera e la corona solare.La cromosfera è uno strato sottile, spesso qualche migliaio di chilometri, a diretto contatto con la fotosfera. La cromosfera diventa visibile solo durante le eclissi di sole o attraverso opportune tecniche. In queste occasioni essa appare come un sottile anello rosa carico che borda il sole. A forte ingrandimento la cromosfera rivela una struttura filiforme in continua agitazione. Si tratta di lingue di idrogeno incandescente (spicole) mosse dai forti squilibri termici e da potenti campi magnetici. Il colore della cromosfera è dato essenzialmente dalla cosiddetta riga Hα dell'idrogeno (la prima riga, rossa, della serie di Balmer). Al di sopra della cromosfera inizia la corona solare, anch'essa visibile solo durante le eclissi di sole. La corona solare è un'aureola, sfumata in enormi pennacchi, che si spinge fino ad 8 milioni di chilometri dalla superficie solare. La corona è costituita da gas ionizzati sempre più rarefatti. Nella sua parte più esterna le particelle di cui è costituita sono in grado di vincere l'attrazione gravitazionale del sole e di disperdersi nello spazio sotto forma di vento solare. Sorprendentemente la corona solare presenta temperature cinetiche (calcolate sulla base dell'energia cinetica media posseduta dalle particelle) dell'ordine del milione di gradi. La presenza nello spettro del gas coronale delle righe del CaXV (Ca14+) e del FeXIV (Fe13+) confermano tali temperature. Il risultato è paradossale in quanto sembra in contraddizione con il secondo principio della termodinamica, secondo il quale il calore non può fluire spontaneamente da un corpo più freddo (la fotosfera) ad uno più caldo (la corona). Sembra comunque che la temperatura della corona non abbia nulla a che vedere con la temperatura della superficie solare e le cause di tale fenomeno non sono state ancora definitivamente chiarite. Tra le ipotesi che attualmente godono di maggior credito: a) propagazione nell’atmosfera di energia sotto forma di onde d’urto prodotte dai moti convettivi del plasma solare; b) correnti elettriche veicolate nell’atmosfera solare dalle linee di forza del campo magnetico.

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7.2 Origine dell'energia solareSe l'energia solare provenisse da normali reazioni chimiche di combustione, il sole si sarebbe esaurito nell'arco di un migliaio di anni.Verso la fine dell'Ottocento i fisici Helmholtz e Kelvin concepirono un meccanismo basato sulla trasformazione di energia meccanica in calore. Essi ammisero che gli strati più esterni del sole, cadendo verso il centro per effetto della gravità, producessero calore per trasformazione di energia potenziale in energia cinetica. Successive verifiche teoriche di tale modello misero d'altra parte in luce che anche in tal modo il sole potrebbe sopravvivere non più di una decina di milioni di anni. Troppo poco se pensiamo che esistono rocce terrestri ben più antiche. La via giusta fu imboccata nel 1927 da Atkinson e Houtermans, che ipotizzarono la presenza all'interno del sole di reazioni termonucleari. Se infatti i nuclei di un elemento più leggero possiedono un'energia cinetica (e quindi una temperatura) sufficientemente elevata da vincere la repulsione elettrostatica causata dai protoni, possono avvicinarsi a distanze inferiori ai 10-13 cm, in modo da permettere all'interazione forte di tenerli uniti attraverso un processo detto di fusione nucleare. Si possono in tal modo formare nuclei di elementi più pesanti. Si verifica però che la somma delle masse dei nuclei che si fondono risulta lievemente superiore alla massa del nucleo dell'elemento che si forma per fusione. Tale difetto di massa si trasforma integralmente in energia secondo la nota relazione einsteniana E = mc2.Il difetto di massa risulta percentualmente inferiore per gli elementi di peso atomico più elevato finché non si arriva alla formazione di nuclei di ferro.

Per tutti gli elementi più pesanti del ferro accade il contrario. Il nucleo dell'elemento che si forma risulta cioè più massiccio della somma dei nuclei che si fondono. Il che significa che la nucleosintesi degli elementi più pesanti del ferro è una reazione endoergonica che richiede cioè energia da trasformare in massa (questo è il motivo per cui il processo contrario di rottura del nucleo dell'uranio in nuclei più leggeri, processo detto di fissione nucleare, risulta essere esoergonico).

Tempo di sopravvivenza del sole1) In caso di combustioneSupponendo che il sole sia formato da Carbonio ed Ossigeno nelle proporzioni necessarie a dare una reazione di combustione, secondo la reazione

C + O2 → CO2 + 393,51 kj/mol (3,9351 1012 erg/mol) 12g 32g 44g

L'energia liberata per grammo di reagenti sarà3,9 1012 erg/mol : 44 g/mol ≈ 9 1010 erg/g

Se l'intera massa del sole (M = 2 1033 g) bruciasse si otterrebbe pertanto un'energia pari a

9 1010 erg/g . 2 1033 g = 1,8 1044 erg

Poiché il sole emette energia al ritmo di L = 4 1033 erg/s = 1,2 1041 erg/anno, sarebbe in grado di sopravvivere per un tempo pari a

1,8 1044 erg : 1,2 1041 erg/anno = 1.500 anni

2) In caso di contrazione gravitazionaleIl sole possiede un'energia gravitazionale pari a

ergR

MGE g

482

103,25

3 ⋅==

se il sole collassasse tale energia si trasformerebbe completamente in energia cinetica e quindi irradiata in un tempo2,3 1048 erg : 1,2 1041 erg/anno ≈ 19 milioni di anni

valore trovato da Kelvin un secolo fa

3) In caso di fusione nucleareUna mole di Idrogeno atomico pesa 1,00794 g , 4 moli pesano quindi 4,03176 g

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Una mole di Elio pesa 4,00260 g, con un difetto di massa rispetto all'idrogeno da cui si è formato pari a 0,02916 gLa diminuzione percentuale è pari a

%7,000723,003176,4

02916,0 ≈=

Poiché la fusione avviene solo nel nucleo del sole e nell'ipotesi che esso contenga circa un 10% dell'intera massa solare, pari a 2 1032 g e che questa sia costituita per il 75% in peso di Idrogeno, il combustibile a disposizione per il

processo di fusione sarà 2 1032 . 0,75 = 1,5 1032 g. Durante la fusione vi sarà un difetto di massa totale pari a

1,5 1032 g . 0,007 ≈ 1030 gTale massa produrrà un'energia pari a

mc2 = 1030. 9 1020 ≈ 1051 ergTale energia verrà dissipata in un tempo pari a

1051 erg : 1,2 1041 erg/anno ≈ 10 miliardi di anni

Naturalmente affinché all'interno del sole, come del resto all'interno di qualsiasi stella, si inneschino le reazioni di fusione è necessario che si producano temperature estremamente elevate, dell'ordine dei milioni di gradi. Tali temperature vengono raggiunte attraverso il meccanismo ipotizzato da Helmholtz e Kelvin. All'epoca in cui il sole era una enorme nube di idrogeno, la contrazione gravitazionale del gas ha dunque sviluppato energia termica sufficiente a portare la temperature delle sue zone centrali ai livelli richiesti dalle reazioni di fusione termonucleare.

In realtà una temperatura di qualche decina di milioni di gradi non sarebbe sufficiente a vincere la repulsione coulombiana tra due protoni, fino a portarli a 10-13 cm l’uno dall’altro. Infatti l’energia cinetica media di una particella è

E kTc =3

2, mentre l’energia potenziale legata alla repulsione coulombiana tra due particelle aventi carica elettrica

unitaria è pari a Ee

rp =2

eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la distanza r, otteniamo, per una

temperatura all’interno del sole di 15 milioni di kelvin

re

kTcm= ≈ ⋅ −2

37 5 10

211,

Ma in tali condizioni di temperatura le particelle evidenziano uno spiccato carattere ondulatorio. La meccanica quantistica assegna infatti ad una particella in moto una dimensione caratteristica, nota come lunghezza d’onda di De Broglie, che dipende dalla quantità di moto della particella secondo la relazione

λ DB

h

mv= . Possiamo stimare la velocità della particella dalla relazione

E mv kTc = =1

2

3

22 , ottenendo v

kT

m=

3, che sostituita nella relazione di

De Broglie, ci fornisce (sostituendo ad m la massa del protone)

λ DB

h

mkT

m

cm= ≈ ⋅ −

36 5 10 11,

Le dimensioni quantistiche delle particelle sono dunque dello stesso ordine di grandezza della distanza tra le particelle. Ne consegue che la probabilità di interagire superando la barriera coulombiana (effetto tunnel) è sufficientemente elevata da rendere efficace la reazione.

Le due reazioni fondamentali di fusione che si ritiene alimentino il sole, come la maggior parte delle stelle, sono il ciclo protone-protone (o ciclo di Critchfield) ed il ciclo Carbonio-Azoto (o ciclo di Bethe).Il ciclo protone-protone prevede la fusione di due protoni con formazione di un nucleo di deuterio, un positrone ed un neutrino (uno dei due protoni si trasforma in un neutrone con un decadimento beta inverso). Il deuterio si fonde in seguito con un altro protone formando un nucleo di Elio leggero con emissione di energia sotto forma di un fotone gamma. Infine due nuclei di Elio leggero si possono fondere per dare un nucleo di Elio e due protoni.

Ciclo pp

p + p ⇒ 12 H + e+ + νe

12H + p ⇒ 2

3He + γ

23He + 2

3He ⇒ 24He + 2p

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Il ciclo CN prevede invece che il Carbonio funga da catalizzatore alla fusione dell'idrogeno in Elio. Fondendosi successivamente con quattro protoni e subendo due decadimenti beta inversi il carbonio si trasforma in un isotopo instabile dell'Azoto, quindi in un isotopo instabile dell'Ossigeno e poi nuovamente in Carbonio attraverso l'emissione di un nucleo di Elio.γ

L'unica possibilità che abbiamo di controllare la validità di questi e altri modelli di reazioni termonucleari è di misurare il flusso di neutrini proveniente dal sole. Il compito non è dei più facili poiché i neutrini interagendo "debolmente" con la materia vengono intercettati con estrema difficoltà ed è inoltre necessario impedire che i rilevatori di neutrini subiscano l'azione della rimanente radiazione cosmica che disturberebbe eccessivamente la ricezione. E' per questo motivo che i rilevatori sono posti nel sottosuolo a grandi profondità (laboratorio del Gran Sasso). Finora il flusso di neutrini misurato risulta essere notevolmente inferiore a quello atteso sulla base dei modelli teorici, e ciò rappresenta uno dei principali

problemi astrofisici in attesa di soluzione.

7.3 La struttura interna del soleAll'interno del sole agisce un meccanismo omeostatico, una specie di termostato naturale che permette il mantenimento di un equilibrio dinamico. Impercettibili movimenti della superficie solare in espansione ed in contrazione rappresentano il risultato di tale equilibrio. Si calcola che tali pulsazioni ritmiche avvengano con un periodo regolare in cui il raggio solare varia di una decina di chilometri ogni 2 ore e 40 minuti circa.L'equilibrio complessivo viene raggiunto grazie ad un equilibrio meccanico, in cui la forza gravitazionale viene eguagliata dalla forza centrifuga legata al moto termico delle particelle e ad un equilibrio termodinamico, in cui l'energia prodotta viene interamente dissipata dalla fotosfera sotto forma di energia radiante.Il meccanismo termostatico è piuttosto semplice: quando il sole produce un eccesso di energia rispetto a quanto ne irradia la fotosfera, esso tende a riscaldarsi e ad espandersi. L'espansione tende a raffreddare il sole sia perché il gas si espande adiabaticamente sia perché un aumento della superficie radiante consente uno smaltimento della radiazione più efficiente. La diminuzione della temperatura interna produce infine un rallentamento delle reazioni di fusione che producono energia ed in definitiva una diminuzione della quantità di energia prodotta. Quando invece il sole produce energia in difetto, la diminuzione di temperatura porta ad una contrazione della massa gassosa. Il conseguente riscaldamento, legato in parte alla compressione adiabatica ed in parte alla minor superficie radiante, induce un aumento della velocità delle reazioni termonucleari ed in definitiva aumenta la quantità di energia prodotta.Gli astrofisici hanno proposto diversi modelli solari, costruiti sulla base degli equilibri ora descritti, calcolando densità e temperature solari alle diverse profondità. Il valore di temperatura ottenuto per le zone centrali del sole varia a seconda del modello considerato, aggirandosi comunque attorno ad un valore di 15 milioni di gradi.

Le temperature necessarie a mantenere i processi di fusione vengono raggiunte solo in una zona centrale del sole detta nucleo. Gli strati esterni al nucleo non producono energia, ma la convogliano

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verso la fotosfera. Si distinguono altri due strati, oltre al nucleo, che si caratterizzano essenzialmente per le diverse modalità attraverso le quali l'energia viene trasportata: lo strato radiativo e lo strato convettivo.• Lo strato radiativo si trova appena sopra il nucleo solare. In questo strato l'energia viene

trasportata sotto forma di radiazione elettromagnetica. I fotoni impiegano milioni di anni per attraversare tale strato Poiché sono continuamente assorbiti e riemessi dalle particelle cariche che formano il plasma solare.

• Lo strato convettivo è lo strato più superficiale al quale appartiene la fotosfera. In esso la temperatura è scesa sufficientemente da permettere al plasma di assorbire la radiazione proveniente dal sottostante strato radiativo. Tale processo produce un aumento di temperatura del plasma che forma la base dello strato convettivo. Si generano in tal modo dei movimenti convettivi di risalita del plasma caldo che si manifestano in superficie attraverso il caratteristico aspetto granulare della fotosfera.

8 Il sistema solare: origine

Possiamo classificare le teorie sulla genesi del sistema solare in catastrofiche e nebulari.Le prime, oramai completamente abbandonate, ipotizzano la formazione dei pianeti attraverso l'espulsione violenta di materia solare per cause diverse. Ricordiamo ad esempio l'ipotesi del naturalista francese Buffon il quale, nel 1745, avanzò l'idea che i pianeti si fossero formati in seguito alla condensazione di uno spruzzo di materia solare generato dalla caduta di una cometa sulla superficie del sole. Teorie di questo genere vennero riprese anche nel nostro secolo. Agli inizi del '900, ad esempio, trovò un certo credito l'ipotesi che i pianeti si fossero formati per aggregazione di materia solare strappata al sole dall'attrazione gravitazionale di una stella passata casualmente nelle vicinanze (Chamberlin, Moulton, Jeans). L'ipotesi venne presto abbandonata quando divenne chiaro che le probabilità di collisione tra due stelle sono talmente basse da risultare trascurabili e che la materia solare eventualmente strappata al sole sarebbe comunque troppo calda per potersi condensare in pianeti.

Verso gli anni '40 del secolo scorso iniziò dunque a prendere definitivamente piede la teoria di una nascita del sistema solare per evoluzione di una nebulosa primordiale. Si trattava della riedizione di una vecchia ipotesi nota come teoria nebulare di Kant-Laplace.Nel 1755 Kant ipotizza che il sole ed i pianeti si siano formati per aggregazione gravitazionale (ricordiamo che la legge di gravitazione newtoniana aveva da poco dimostrato tutta la sua potenza) all'interno di una nebulosa discoidale di gas e polveri in lenta rotazione.Nel 1796 Laplace tentò di giustificare dal punto di vista scientifico le affermazioni di Kant, cercando di dimostrare che mentre la nube primordiale si contraeva essa doveva aumentare la sua velocità di rotazione (per la conservazione del momento angolare) fino a produrre nelle sue regioni periferiche una forza centrifuga tale da permettere la separazione di anelli di materia, all'interno dei quali si sarebbero successivamente formati i pianeti.La teoria laplaciana si affermò durante la prima metà dell'ottocento soprattutto grazie all'enorme fama ed autorità di cui godeva l'autore presso il mondo scientifico contemporaneo. Ma nella seconda metà dell'ottocento Maxwell dimostrò che l'ipotetica nube in contrazione non poteva avere velocità sufficiente per espellere anelli di materia per forza centrifuga.La teoria nebulare non era inoltre in grado di spiegare l'attuale distribuzione del momento angolare all'interno del nostro sistema solare. Se infatti il sole ed i pianeti si sono formati per contrazione e frammentazione di una massa di gas in rotazione, il momento angolare complessivo della nebulosa si sarebbe dovuto suddividere proporzionalmente alle masse dei diversi componenti del sistema solare. Così ci si dovrebbe attendere che la maggior parte del momento angolare si trovi concentrato nel sole il quale possiede il 99,9% della massa del sistema solare. In realtà il sole contribuisce solo per il 2% al momento angolare complessivo, mentre il rimanente 98% è concentrato nei pianeti.

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Nel 1943 Carl von Weizsäcker ripropone la teoria nebulare di Kant-Laplace integrando e rendendo più solida l'ipotesi originaria. La teoria nebulare, nella formulazione odierna, può essere così riassunta.La nebulosa primordiale, costituita prevalentemente di idrogeno, elio e piccolissime quantità di elementi pesanti aggregati in granuli microscopici, si trovava in lenta rotazione intorno ad un asse. Il moto di rotazione costrinse il materiale in fase di collasso a distribuirsi su di un disco appiattito, rigonfio al centro. E' infatti facile verificare che mentre la forza gravitazionale ha la stessa intensità in tutti i punti periferici della nebulosa equidistanti dal suo centro, la forza centrifuga risulta maggiore per il materiale più distante dall'asse di rotazione. La composizione di tali forze produsse quindi una risultante diretta non verso il centro della nebulosa, ma verso il suo piano equatoriale.Possiamo inoltre facilmente convincerci che durante tale processo di sedimentazione sul piano equatoriale, il materiale che si trovava nelle adiacenze dell'asse di rotazione era in quantità maggiore rispetto a quello che si trovava a maggiori distanze da esso. Ciò spiega la formazione della massiccia protuberanza centrale destinata a formare il protosole.

Nelle fasi iniziali il protosole era ancora instabile ed emetteva enormi quantità di materia sotto forma di un intenso vento solare. E' lo stadio T-Tauri (dal nome della giovane stella variabile nella costellazione del Toro, in cui per la prima volta venne rilevato tale fenomeno), attraverso il quale il sole avrebbe allontanato dalla zona più interna del disco nebulare gran parte dei gas più leggeri e si sarebbe alleggerito di una frazione notevole della sua massa.

L'introduzione dello stadio T-Tauri nel modello nebulare permette di giustificare l'anomala distribuzione osservata del momento angolare. Perdendo massa il sole diminuisce infatti anche il suo momento angolare. Nelle regioni adiacenti al protosole poterono accumularsi solo gli elementi più pesanti, in grado di non evaporare e di non essere spazzati via dal vento solare. Essi precipitarono sul piano del disco fornendo il materiale col quale si formarono poi i pianeti interni. I composti più leggeri, come l'elio, l'idrogeno, l'acqua, l'ammoniaca ed il metano si accumularono invece nella parte più esterna del disco nebulare, più lontana dal protosole e quindi più fredda, diventando il materiale da cui si formarono in seguito i pianeti gioviani e i corpi cometari.A poco a poco le particelle iniziarono ad aggregarsi all'interno del disco nebulare, creando agglomerati di dimensioni maggiori, detti planetesimi, che divennero centri di attrazione gravitazionale per i frammenti più piccoli. Ogni planetesimo spazzava così lo spazio intorno a sé, accrescendosi a spese del materiale intercettato, in modo analogo a quanto fa una valanga.Non tutti i planetesimi erano destinati a diventare pianeti. Negli urti reciproci alcuni si disgregarono ritornando a formare materiale meteorico di piccole dimensioni, mentre altri prevalsero definitivamente diventando i protopianeti.Le differenze di dimensioni tra Giove e Saturno, da una parte, ed Urano e Nettuno, dall'altra, possono essere interpretate sulla base della diversa velocità orbitale. Urano e Nettuno più distanti dal sole e quindi più lenti furono meno efficienti di Giove e Saturno nel catturare il materiale nebulare.La grande massa acquisita da Giove divenne infine causa di disturbi gravitazionali così elevati da impedire l'ulteriore accrescimento di altri pianeti nelle immediate vicinanze. Si spiega in tal modo la presenza della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove.

Risultante verso ilpiano equatoriale

Forza gravitazionale

Forza centrifuga

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I residui della nebulosa troppo lenti e distanti per aggregarsi in pianeti rimasero a ruotare ai bordi del sistema solare andando a formare la nube di Oort.

9 Le stelle: classificazione e sistemi di riferimento

Il sole è una dei 100 miliardi di stelle che costituiscono la nostra galassia. Fin dall'antichità le stelle sono state raggruppate in costellazioni, alle quali sono stati attribuiti nomi di animali, di oggetti e di figure mitologiche. Una costellazione è un raggruppamento di stelle vicine le une alle altre solo per ragioni prospettiche e non prodotto da una reale prossimità fisica. Nel 1928 l'Unione Astronomica Internazionale decise di uniformare l'utilizzo delle costellazioni per individuare una stella sulla volta celeste. L'intera sfera celeste venne così suddivisa in 88 aree poligonali, diverse per forma e dimensioni, ognuna contenente una precisa costellazione. Quando oggi gli astronomi si riferiscono ad una qualche costellazione, in realtà individuano in maniera univoca un settore ben determinato della sfera celeste. La sfera celeste è un'astrazione che noi utilizziamo per comodità, al fine di poter individuare in modo univoco nel cielo un oggetto celeste, tramite opportuni sistemi di coordinate. Per poter costruire un sistema di coordinate celesti è necessario individuare sulla sfera celeste alcuni elementi di riferimento. Tra questi i più importanti sono:• L'asse del mondo, prolungamento dell'asse terrestre, che interseca la sfera in corrispondenza di

due punti detti poli celesti (nord e sud). A causa della rotazione terrestre l'intera sfera celeste sembra quindi ruotare intorno ai poli celesti da est verso ovest.

• L'equatore celeste, proiezione dell'equatore terrestre sulla sfera celeste. • L'eclittica, il percorso apparente che il sole compie tra le costellazioni zodiacali in un anno.

L'equatore celeste e l'eclittica giacciono su due piani inclinati di 23° 27' e si intersecano in due punti opposti detti rispettivamente punto γ (gamma) o punto d'Ariete o punto vernale e punto Ω (omega) o punto di Bilancia o punto autunnale. Il punto d'Ariete è il punto che il sole occupa durante l'equinozio di primavera (21 marzo). Esso deve il suo nome al fatto che nell'antichità tale punto era situato nella costellazione dell'Ariete (attualmente si trova nei Pesci), il cui segno zodiacale è la lettera greca gamma (γ) che ricorda la testa di un ariete. Il punto di Bilancia è il punto che il sole occupa durante l'equinozio di autunno (23 settembre). Esso deve il suo nome al fatto che nell'antichità tale punto era situato nella costellazione della Bilancia (attualmente si trova in Vergine), il cui segno zodiacale è la lettera greca omega (Ω) che richiama la forma di una bilancia.

• Il meridiano celeste fondamentale, o colùro equinoziale, è il cerchio massimo passante per il punto Gamma (ed ovviamente anche per il punto Omega) e per i poli celesti e quindi perpendicolare all'equatore celeste.

Questi elementi sono comuni a tutti gli osservatori, in qualsiasi punto della terra l'osservatore si trovi. Esistono poi alcuni elementi propri di ciascun osservatore:• Lo Zenit, il punto delle sfera celeste che si trova sulla perpendicolare dell’osservatore ed il

Nadir, in posizione diametralmente opposta e non è quindi visibile;• L'orizzonte celeste, il cerchio massimo perpendicolare alla verticale dell'osservatore, che

individua la porzione di sfera celeste osservabile in un certo istante (volta celeste).Un sistema di coordinate celesti che faccia riferimento alla posizione dell'osservatore si dice relativo, in caso contrario si dice assoluto.A) Il sistema altazimutale o orizzontale è un sistema relativo, usato fin dall'antichità. Utilizza come asse di riferimento l'orizzonte. Le due coordinate sono • l'altezza h della stella (da 0 a 90°) definita come la distanza angolare della stella rispetto

all'orizzonte, misurata perpendicolarmente ad esso (in direzione dello zenit)• l'azimut A è la distanza angolare (da 0° a 360°) che il piede dell'altezza della stella forma con il

Sud (misurata in senso orario, da sud verso ovest).

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Le coordinate altazimutali di una stessa stella sono ovviamente diverse a seconda del luogo di osservazione e, per uno stesso luogo, cambiano con l'ora a causa dell'apparente moto di rotazione della sfera celesteB) Il sistema equatoriale mobile è un sistema assoluto. E' detto mobile poiché è ancorato alla sfera celeste e la segue nel suo moto apparente. Utilizza come elementi di riferimento l'equatore celeste ed il meridiano celeste fondamentale. Le due coordinate sono• la declinazione δ (da 0° a ± 90°), definita come la distanza angolare della stella rispetto

all'equatore celeste misurata perpendicolarmente all'equatore stesso (lungo l'arco di meridiano passante per la stella)

• l'ascensione retta α o AR, definita come la distanza angolare tra il punto Gamma ed il piede del meridiano passante per la stella (misurata in senso antiorario). L'ascensione retta si misura in genere in unità di tempo siderale (ore, minuti, secondi) da 0 a 24h siderali, piuttosto che in gradi (da 0° a 360°).

Il giorno siderale è il tempo necessario affinché la terra effettui una rotazione completa rispetto al punto Gamma e misura quindi l'intervallo di tempo tra due culminazioni successive del punto Gamma sul meridiano del luogo (circa 23h 56m 4s solari). Gli orologi degli osservatori astronomici sono sincronizzati sul tempo siderale e non sul tempo solare. Così se una stella ha un'ascensione retta di 2h e 20m essa culminerà sul meridiano del luogo esattamente 2h e 20m dopo il punto Gamma e quindi nel momento in cui l'orologio siderale dell'osservatorio segnerà proprio tale ora. Le stelle di ogni costellazione vengono classificate in base alla loro luminosità. Secondo la convenzione introdotta da Johann Bayer nel 1603, la stella più brillante di una costellazione è indicata con la prima

lettera dell'alfabeto greco (alfa) seguita dal nome della costellazione al genitivo o dalle sue prime tre lettere (α-Centauri o α Cen). La seconda in ordine di luminosità con la seconda lettera dell'alfabeto greco (beta) e così via. Fanno eccezione le stelle dell'Orsa Maggiore (Grande Carro) in cui le lettere greche accompagnano la successione delle stelle nella costellazione.Ben presto ci si rese conto che le stelle in una costellazione sono più numerose delle lettere dell’alfabeto. Nel 1725 Flamsteed, nel suo libro Historia Coelestis Britannica introdusse un nuovo sistema di classificazione ancor oggi comunemente usato, secondo il quale a ciascuna stella di una costellazione viene assegnato un numero arabo progressivo in ordine di ascensione retta.

Abbrev. Nome Genitivo Traduzione

And Andromeda Andromedae Andromeda (figlia di Cèfeo) (B)Ant Antlia Antliae Macchina Pneumatica, PompaAps Apus Apodis Uccello del ParadisoAqr Aquarius Aquarii Aquario (Z)Aql Aquila Aquilae AquilaAra Ara Arae AltareAri Aries Arietis Ariete (Z)Aur Auriga Aurigae Auriga (B)Boo Bootes Bootis Boote, Vaccaro (B)Cae Caelum Caeli Scalpello, BulinoCam Camelopardalis Camelopardalis Giraffa (B)Cnc Cancer Cancri Cancro, Granchio (Z)CVn Canes Venatici Canum Venaticorum Cani da Caccia, Levrieri (B)CMa Canis Major Canis Majoris Cane MaggioreCMi Canis Minor Canis Minoris Cane Minore (B)Cap Capricornus Capricorni Capricorno (Z)Car Carina Carinae CarenaCas Cassiopeia Cassiopeiae Cassiopea, (madre di Andromeda) (B)Cen Centaurus Centauri CentauroCep Cepheus Cephei Cèfeo (re d’Etiopia) (B)Cet Cetus Ceti BalenaCha Chamaeleon Chamaeleontis CameleonteCir Circinus Circini Compasso

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Col Columba Columbae ColombaCom Coma Berenices Comae Berenices Chioma di Berenice (B)CrA Corona Australis Coronae Australis Corona AustraleCrB Corona Borealis Coronae Borealis Corona Boreale (B)Crv Corvus Corvi CorvoCrt Crater Crateris CoppaCru Crux Crucis Croce del SudCyg Cygnus Cygni Cigno (B)Del Delphinus Delphini Delfino (B)Dor Dorado Doradus Pesce SpadaDra Draco Draconis Dragone (B)Equ Equuleus Equulei Cavalluccio (B)Eri Eridanus Eridani Eridano, (il fiume Po)For Fornax Fornacis FornaceGem Gemini Geminorum Gemelli (Z)Gru Grus Gruis GruHer Hercules Herculis Ercole (B)Hor Horologium Horologii OrologioHya Hydra Hydrae IdraHyi Hydrus Hydri Serpente d’acquaInd Indus Indi Indiano d’AmericaLac Lacerta Lacertae Lucertola (B)Leo Leo Leonis Leone (Z)LMi Leo Minor Leonis Minoris Leoncino (B)Lep Lepus Leporis LepreLib Libra Librae Bilancia (Z)Lup Lupus Lupi LupoLyn Lynx Lyncis Lince (B)Lyr Lyra Lyrae Lira (B)Men Mensa Mensae TavolaMic Microscopium Microscopii MicroscopioMon Monoceros Monocerotis UnicornoMus Musca Muscae MoscaNor Norma Normae SquadraOct Octans Octantis OttanteOph Ophiuchus Ophiuchi Ofiuco, SerpentarioOri Orion Orionis Orione, (cacciatore)Pav Pavo Pavonis PavonePeg Pegasus Pegasi Pegaso (cavallo alato) (B)Per Perseus Persei Persèo (figlio di Zeus) (B)Phe Phoenix Phoenicis FenicePic Pictor Pictoris Cavalletto del PittorePsc Pisces Piscium Pesci (Z)PsA Piscis Austrinus Piscis Austrini Pesce AustralePup Puppis Puppis PoppaPyx Pyxis Pyxidis BussolaRet Reticulum Reticuli ReticoloSge Sagitta Sagittae Freccia, Saetta (B)Sgr Sagittarius Sagittarii Sagittario, (arciere) (Z)Sco Scorpius Scorpii Scorpione (Z)Scl Sculptor Sculptoris ScultoreSct Scutum Scuti ScudoSer Serpens Serpentis SerpenteSex Sextans Sextantis SestanteTau Taurus Tauri Toro (Z)Tel Telescopium Telescopii TelescopioTri Triangulum Trianguli Triangolo (B)TrA Triangulum Australe Trianguli Australis Triangolo AustraleTuc Tucana Tucanae TucanoUMa Ursa Major Ursae Majoris Orsa Maggiore (B)UMi Ursa Minor Ursae Minoris Orsa Minore (B)Vel Vela Velorum VeleVir Virgo Virginis Vergine (Z)Vol Volans Volantis Pesce VolanteVul Vulpecula Vulpeculae Volpetta (B)

B = costellazioni boreali Z = costellazioni zodiacali

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Le stelle note fin dall'antichità sono ancor oggi contraddistinte da un nome proprio, spesso di origine araba. Ad esempio: Sirio (9 CMa / α CMa = alfa Canis Maioris); Betelgeuse (58 Ori / α Ori = alfa Orionis); Vega (3 Lyr / α Lyr = alfa Lyrae); Mizar (79 Uma / ζ UMa = zeta Ursae Maioris).Le 88 costellazioni sono disposte 26 sopra l’eclittica, 50 sotto e 12 giacciono sull'eclittica e sono dette costellazioni zodiacali. Mentre la terra ruota intorno al sole, quest'ultimo sembra dunque muoversi sullo sfondo delle costellazioni zodiacali.

10 Le stelle: Caratteristiche fisiche

Le stelle sono corpi celesti caratterizzati da un bilancio energetico negativo. In altre parole l’energia che ricevono dal cosmo è inferiore rispetto a quella che irradiano e ciò grazie alla presenza al loro interno di rezioni in grado di generare enormi quantità di energia. I principali parametri fisici attraverso i quali vengono descritte le stelle sono: la luminosità, la temperatura superficiale, la massa, il raggio ed il tipo spettrale.

10.1 Luminosità e variabilitàLe stelle vengono classificate in base alla loro luminosità sulla base di una scala introdotta nel II secolo a.C. dall'astronomo greco Ipparco. In essa si attribuiscono alle stelle più luminose il valore 1 ed a quelle al limite della visibilità ad occhio nudo il valore 6, alle altre valori intermedi.Tale scala naturalmente non riflette la vera luminosità delle stelle, la quale dipende evidentemente dalla distanza, ma solo la luminosità percepita dall'osservatore e viene oggi chiamata scala delle magnitudini apparenti (m).In realtà la scala delle magnitudini apparenti è ingannevole in quanto il nostro occhio non reagisce alle variazioni dell'intensità dello stimolo luminoso producendo una sensazione visiva ad esso proporzionale. Per avere una misurazione oggettiva dell'intensità della luminosità è necessario ricorrere ad un fotometro, uno strumento che trasforma, tramite una cellula fotoelettrica, la luce in corrente elettrica.Fu proprio usando un rudimentale fotometro che il grande astronomo tedesco Herschel, verso la fine del '700, scoprì che una stella di 1a magnitudine non è solo 5 volte più luminosa di una di 6a

magnitudine, come ci suggerisce il nostro occhio, ma è ben 100 volte più luminosa.

Verso la metà dell'ottocento la relazione esistente tra intensità dello stimolo luminoso (I) e sensazione visiva percepita dall'osservatore (S), venne chiarita da Fechner e Weber. Essi dimostrarono infatti che quando le nostre sensazioni visive aumentano o diminuiscono in modo lineare, l'intensità dello stimolo sta variando in modo esponenziale. In tal modo lo stimolo percepito S risulta proporzionale al logaritmo dell'intensità I, misurata tramite un fotometro.

S = k log I + cost

Ciò significa che la sensazione è proporzionale alla variazione relativa ( ∆ I/I) e non alla variazione assoluta ( ∆ I) di intensità L’occhio, come tutti i nostri sensi, non è un trasduttore lineare della sensazione, ma è un trasduttore logaritmico.

In forma differenziale risulta infatti che la variazione dS dello sensazione risulta proporzionale alla variazione relativa dI/I dell’intensità luminosa.

dS KdI

I= ⋅

Integrando, si ottiene infatti S = K log I + C, con C costante di integrazione che dipende dalle unità di misura usate.La legge psico-fisica di Fechner e Weber descrive in realtà il comportamento della maggior parte dei nostri sensi. Si noti, ad esempio, come sia più facile distinguere le differenze di peso tra 100g e 200g, piuttosto che tra 50kg e 51kg. Infatti,

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nonostante nel primo caso vi sia una variazione assoluta di soli 100g contro una di 1 kg, la variazione relativa è nei due casi rispettivamente del 100% e del 2%.

Se noi applichiamo tale relazione alla luminosità percepita dal nostro occhio, di due stelle di 1a e 6a

magnitudine, in cui le rispettive intensità misurate con un fotometro siano quindi le luminosità apparenti l1 e l6, otteniamo

6 - 1 = k log l6 - k log l1 = k logl

l6

1

Ricordando ora che già Herschel aveva dimostrato che il rapporto tra l'intensità fotometrica di una stella di 1a magnitudine ed una di 6a è di 100 a 1, possiamo scrivere

5 = k log 10-2

e quindi k = - 2,5. La relazione fondamentale della fotometria stellare diventa quindi (con I1 > I2)

1

2

I

Immm 1012 log5,2−=∆=−

nota come relazione di Pogson (dal nome dell’astronomo inglese N.R. Pogson, che la introdusse nel 1856) che lega la differenza di magnitudine al rapporto delle intensità luminose.

Esplicitiamo ora il rapporto tra le intensità luminose

1

2log2

5

I

Im −=∆ ⇒

2

1log5

2

I

Im =∆ ⇒

2

15

2

10I

Im=

∆ ⇒ 1025 1

2

∆m I

I=

12512,2 IIm =∆

In altre parole fra un grado e l'altro della scala di Ipparco vi è in realtà una differenza di luminosità di 2,512 volte. Quindi se tra due stelle esiste una differenza di magnitudine pari a ∆m, ciò significa che una stella è 2,512∆m più luminosa dell'altra. Ogni 5 gradi di magnitudine comportano perciò una differenza di luminosità fotometrica pari a 2,5125 = 100 volte.

Se dobbiamo ad esempio confrontare la luminosità di Sirio m = - 1,45 con quella di Aldebaran (m = 0,85) troveremo

( ) ( )( )l

l1

2

= = = =− − −2 512 2 512 2 512 8 32 1 0 85 1 45 2 3, , , ,, , ,m m

Sirio dunque è apparentemente circa 8,3 volte più luminoso di Aldebaran. Naturalmente ciò non significa che siamo ora in grado di conoscere la luminosità effettiva o intrinseca della stella. Per poterlo fare dovremmo infatti conoscere anche la distanza della stella dalla terra.Conoscendo la distanza D terra-stella e misurando con un fotometro l'intensità della radiazione l che colpisce l'unità di superficie terrestre è possibile calcolare la luminosità intrinseca totale L tramite la relazione

l 4 π D2 = L

relazione analoga a quella utilizzata per calcolare la quantità di energia totale emessa dalla superficie solare partendo dalla costante solare e dalla distanza terra-sole.La relazione può essere scritta

24 D

Ll

π=

dove si evidenza il fatto che la luminosità apparente fotometrica è direttamente proporzionale alla luminosità intrinseca L ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

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Tale relazione viene utilizzata non solo per ottenere la luminosità intrinseca di stelle di distanza nota (la luminosità apparente l è sempre misurabile), ma in alcuni casi per ottenere la distanza di oggetti celesti di luminosità intrinseca nota e riconoscibili per altre caratteristiche. Tali oggetti vengono detti in astronomia indicatori di distanza. Ad esempio gli astronomi ritengono che tutte le esplosioni stellari note come supernove producano grosso modo la stessa quantità di energia e quindi presentino la stessa luminosità intrinseca. Una volta quindi che una supernova viene riconosciuta all'interno di una galassia, misurandone la luminosità apparente e data come nota la luminosità intrinseca, se ne può agevolmente calcolare la distanza.Per confrontare la luminosità intrinseca delle stelle in modo più semplice, si è convenuto di esprimerla secondo la scala di Ipparco, in gradi di magnitudine assoluta (M). Viene quindi convenzionalmente definita magnitudine assoluta la magnitudine apparente di una stella una volta posta a 10 parsec dalla terra.In questo modo si ottengono stelle con magnitudine assoluta addirittura negativa. Ad esempio una stella di magnitudine apparente del 1° grado della scala di Ipparco che si trovi ad una distanza reale dalla terra molto maggiore di 10 parsec, una volta avvicinata fino ai 10 parsec convenzionali, risulterà più luminosa e quindi presenterà una magnitudine assoluta minore di 1. Per ragioni opposte esistono stelle di magnitudine assoluta superiori al sesto grado.Quando noi confrontiamo due gradi di magnitudine assoluta, ad esempio una stella con M = 13 con una con M = 8, possiamo affermare che la seconda è effettivamente 100 volte più luminosa della prima. in quanto le due stelle si trovano idealmente alla stessa distanza dalla terra.La relazione che lega magnitudine apparente m, magnitudine assoluta M e distanza D (in parsec) è

5log5 10 +−= DmM

Una stella di luminosità intrinseca L e distanza D presenta un luminosità apparente l pari a 2D4

L=l

π, ma posta a 10

parsec presenterebbe una luminosità apparente l10 pari a 210 4

L=l

10π. Applicando ora la relazione di Pogson a

questi due valori di luminosità apparente, si ottiene

1

2

l

lmm 1012 log5,2−=− m M− = − = −

2 5 2 510 10

2

, log , logL 4 D

L 4 10

10

D

2

2

ππ

( )m M− = −2 5 2 5102

102, log , logD 10

5log5 10 −=− DMm

Essendo la quantità (m-M) correlata alla distanza della stella, essa viene detta modulo di distanza.

5log5 10 +−= DmM

Sapendo ad esempio che Sirio dista 2,64 pc e Aldebaran 18,4 pc, possiamo calcolarne la magnitudine assolutaLa magnitudine assoluta di Sirio (m = - 1,45) sarà M = − − + =1 45 5 2 64 5 1 44210, log , ,

La magnitudine assoluta di Aldebaran (m = 0,85) sarà M = − + = −0 85 5 18 4 5 0 4710, log , ,

Così la differenza di magnitudine assoluta tra Sirio e il Aldebaran è 1,44 - (- 0,47) = 1,91 Scopriamo dunque che Sirio è in realtà circa 2,5121,91 = 5,8 volte meno luminoso di Aldebaran.Il sole che ha una magnitudine apparente m = - 26,8 presenta una magnitudine assoluta M = 4,8. A 10 parsec diventerebbe quindi una stellina appena visibile ad occhio nudo.La luminosità di una stella e quindi anche la sua magnitudine, misurate tramite l'occhio si definiscono visuali (Mv). Quando in astronomia iniziarono ad essere utilizzate le emulsioni

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fotografiche fu possibile ottenere anche valori di magnitudine fotografica (Mpg). I valori ottenuti

sono in genere tra loro diversi in quanto l'occhio presenta un massimo di sensibilità nel giallo-verde, mentre la lastra fotografica nel blu-violetto. Applicando ad una macchina fotografica un filtro giallo si riesce a simulare la sensibilità dell'occhio umano e le magnitudini così ottenute sono dette fotovisuali (Mpv).

Le magnitudini ottenute con un fotometro sono dette fotoelettriche. Le magnitudini fotoelettriche vengono determinate in corrispondenza di particolari intervalli di lunghezze d'onda. In genere si ottengono per l'ultravioletto (MU o U) per il blu (MB o B) e per il giallo (visuali) (MV o V). La magnitudine fotoelettrica B è correlabile alla magnitudine fotografica (MB = Mpg + 0,11), mentre la magnitudine fotoelettrica V corrisponde alla magnitudine visuale o fotovisuale. Infine la magnitudine ottenuta misurando l'energia proveniente da una stella su tutte le lunghezze d'onda è detta magnitudine bolometrica o integrale (Mb).Le differenze nei valori di magnitudine misurati nei diversi intervalli di lunghezze d'onda sono importanti poiché sono correlabili alla temperatura superficiale di una stella. Infatti per la legge di Wien un corpo nero che aumenta la sua temperatura emette, in proporzione, sempre più energia in corrispondenza delle regioni a minor lunghezza d'onda (blu violetto). Così una stella molto calda presenterà una magnitudine nel blu minore della sua magnitudine visuale, mentre per una stella molto fredda avverrà l'opposto(valori minori di magnitudine corrispondono infatti a luminosità più elevate). Un indice di colore molto usato è proprio fornito dalla differenza tra la magnitudine fotografica e la magnitudine visuale (o fotovisuale).

I.C. = Mpg - Mpv

e utilizzando i valori fotoelettriciI.C. + 0,11 = B – V

Gli indici di colore hanno il vantaggio di essere determinabili indipendentemente dalla conoscenza della distanza. Ad esempio scriviamo le relazioni che legano la magnitudine assoluta nel blu e la magnitudine assoluta nel visuale alle rispettive magnitudini apparenti

5log5 10 +−= DmM BB 5log5 10 +−= DmM VV

sottraendo ora membro a membro le due relazioni è facile vedere come

VBVB mmMM −=−e quindi il valore dell’indice di colore costruito su tale differenza è indipendente dalla distanza della stella e può essere ottenuto anche dalla semplice differenza dei valori di magnitudine apparente.

Più basso è il valore di tale indice, più la stella emette nel blu e più elevata è la sua temperatura. L'indice di colore del sole è + 0,53, mentre l'indice di colore di una stella a 15.000°K è - 0,27.

Come tutte le scale convenzionali anche la scala delle magnitudini va tarata. Si assume come grado zero delle magnitudini apparenti visuali una luminosità apparente (misurata fuori dall'atmosfera terrestre) pari a 2,67 10-10 lumen/cm-2.Si assume come grado zero delle magnitudini apparenti bolometriche una luminosità (misurata fuori dall'atmosfera terrestre) pari a 2,56 10-5 erg/(s cm2)

Il corrispondente punto zero delle magnitudini assolute si ottiene moltiplicando tali valori per una superficie sferica di raggio 10 parsec.

22 104lD4l=L π⋅=π⋅

Tenendo conto che 10 pc = 3,0856775 1019 cm, si ottienecome grado zero delle magnitudini assolute visuali, il seguente valore di luminosità intrinseca visuale

( )L = 2,67 10 4 10-10 2 30⋅ ⋅ ⋅ = ⋅π 3 0856775 10 31919, , lumencome grado zero delle magnitudini assolute bolometriche, il seguente valore di luminosità intrinseca bolometrica

( )L = 2,56 10 4 10-5 2 35⋅ ⋅ ⋅ = ⋅π 3 0856775 10 3 0519, , erg / s

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Le unità di misura fotometriche

L'unità fotometrica fondamentale (sia nel sistema SI che nel cgs) è la candela (cd), che misura l'intensità I di una sorgente luminosa. Essa viene naturalmente definita in funzione di un campione luminoso, convenzionalmente individuato.Secondo la vecchia definizione 1 candela è pari ad 1/60 dell'intensità luminosa prodotta da 1 cm2 di corpo nero a 2042°K (temperatura di fusione del platino) entro l'angolo solido unitario (1 steradiante = 1 radiante2). Nel 1979 la XVI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure definì la candela come l’intensità luminosa di una sorgente di potenza 1/683 W/sr che emette una radiazione monocromatica di 5,40 1014 Hz (λ = 555,016 nm)

Un steradiante è l'angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una superficie sferica vede una calotta

sferica di superficie R2. Essendo l'intera superficie sferica pari a 4πR2, l'intero angolo solido sarà pari a 4π steradianti.Si definisce flusso luminoso Φ il prodotto dell'intensità luminosa per l'angolo solido Ω attraverso cui la luce diffonde. La

sua unità di misura è la candela . steradiante (cd.sr) o lumen (lm).

Φ = I ⋅Ω

Una sorgente luminosa puntiforme di 1 candela che diffonda luce in tutte le direzioni (sull'intero angolo solido) produce un flusso luminoso di 4π lumen. Per misurare gli effetti della luce che colpisce una superficie S si definisce l'illuminamento E, come il flusso che colpisce l'unità di superficie S, disposta perpendicolarmente ai raggi luminosi. La sua unità di misura è il lumen/m2 (o lux (lx), nel sistema SI) o lumen/cm2 (nel sistema cgs). Nel caso il flusso formi un angolo θ con la direzione normale alla superficie, il suo valore va moltiplicato per cosθ.

E =ΦS

cosϑ

Non tutte le stelle presentano una luminosità costante. Le variazioni di luminosità possono essere periodiche o del tutto irregolari. Registrando il segnale luminoso in funzione del tempo si ottiene la cosiddetta curva di luce, che presenta caratteristiche diverse a seconda del tipo di variabile.Le stelle variabili vengono indicate attraverso la seguente convenzione:la prima variabile scoperta in una costellazione viene indicata con la lettera 'R' seguita dal genitivo del nome della costellazione. La seconda variabile scoperta in ordine di tempo viene indicata con la lettera 'S', la terza con la 'T' e così via fino alla 'Z'. Nel caso si debba andare oltre la Z si prosegue con RR, RS, RT, RU......RZ e quindi SS, ST, SU......SZ fino a ZZ.A questo punto si continua con AA, AB, AC...AZ e poi BB, BC, BD,......BZ, fino a QZ, che indica la 334a variabile di una costellazione in ordine di scoperta. Le successive vengono indicate con V335, V336 etc.

Le stelle variabili possono essere classificate in variabili intrinseche e variabili binarie.

A) Le variabili intrinseche o pulsanti sono stelle instabili che variano la loro luminosità a causa di modificazioni della loro temperatura e del loro volume. Esse subiscono delle espansioni e delle contrazioni, da cui il termine 'pulsanti', che determinano delle variazioni della temperatura superficiale ed una conseguente modificazione della luminosità.

All'inizio del nostro secolo A. Eddington ipotizzò che le stelle variabili funzionassero come una specie di pentola a pressione, con un meccanismo a valvola posto in superficie che aprendosi e chiudendosi periodicamente regolava il flusso di energia verso l'esterno. In tal modo si susseguivano periodi di surriscaldamento ed espansione superficiale a periodi di raffreddamento e contrazione. Eddington intuì che il grado di ionizzazione del plasma superficiale poteva fungere da valvola, ma non poté trovare conferme a tale ipotesi. Oggi si ritiene che la principale causa di pulsazione sia collegata al comportamento dell'Elio. L'Elio ionizzato una volta può infatti innescare la pulsazione quando perde anche il secondo ed ultimo elettrone. Il modello, confermato da simulazioni al computer, prevede che la contrazione della stella porti a ionizzare completamente l'Elio che diventa in tal modo opaco alla radiazione (valvola chiusa). Il calore che in tal modo si accumula produce un'espansione ed un raffreddamento dell'elio che, riacquistando l'elettrone precedentemente perso, ridiventa trasparente alla radiazione (valvola aperta).

Nel 1596 l'olandese David Fabricius individuò nella costellazione della Balena la prima variabile pulsante. Poiché a quel tempo si riteneva che le stelle fossero costituite di un'essenza incorruttibile

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(etere o quintessenza), lo stupore che destò la scoperta fu tale da meritarle il nome di Meravigliosa della Balena o Mira Ceti.Oggi noi conosciamo parecchie variabili simili a Mira Ceti che vengono classificate come variabili di tipo "Mira". Si tratta di giganti rosse con periodi di variabilità che vanno dai 100 giorni ai 2-3 anni.

Le Cefeidi rappresentano un'altra classe di variabili pulsanti che prende il nome dalla prima stella scoperta con tali caratteristiche, Delta Cèphei. Le cefeidi sono giganti bianco-azzurre. Esistono in realtà più tipi di cefeidi, le principali sono: le cefeidi classiche (simili a Delta Cèphei) con periodi di variabilità che vanno da 1 a 50 giorni e le Cefeidi tipo RR Lyrae con periodi di variabilità inferiori al giorno. le Cefeidi tipo W Virginis, con periodi simili alle classiche ma mediamente meno luminose (circa 2 gradi di magnitudine).Le Cefeidi hanno svolto un ruolo fondamentale in astronomia poiché furono tra i primi indicatori di distanza individuati. Nel 1912 Henrietta Leavitt scoprì che le Cefeidi appartenenti alla piccola Nube di Magellano, una piccola galassia satellite che si trova appena fuori della nostra galassia, presentavano una luminosità media intrinseca, proporzionale al loro periodo di variazione. In altre parole cefeidi con periodi di variabilità più lunghi si rivelavano mediamente più luminose.Costruendo quindi un grafico periodo/magnitudine assoluta per stelle di cui si conosca la distanza è possibile utilizzarlo poi anche per cefeidi troppo lontane per poterne calcolare la distanza con metodi trigonometrici (metodi utilizzabili solo per stelle a distanze inferiori a 300 al). Così una volta individuata una cefeide in una galassia lontana, misurato il suo periodo di variabilità è possibile risalire attraverso il diagramma della Leavitt alla sua luminosità effettiva. Avendo la luminosità effettiva e misurando con un fotometro quella apparente si può infine calcolarne la distanza.

La relazione per le Cefeidi classiche è

PM v log5,27,1 −−=dove Mv è la magnitudine assoluta (media) visuale e P è il periodo di variabilità in giorni. Ad esempio sapendo che per δ Cephei il periodo è di 5,37 giorni se ne ricava una magnitudine assoluta media pari a

5,337,5log5,27,1 −=−−=vMSapendo inoltre che la magnitudine visuale apparente media (misurata con un fotometro) è mv = 4, se ne ricava un

modulo di distanza m - M = 7,5, da cui

5log55,7 10 −= D

D10log5,2 =

D = 10 2,5 ≈ 316 (1.030 al)pc

La relazione per le W Virginis è

PM v log5,245,0 −=

mentre per le RR Lyrae la magnitudine assoluta media è praticamente indipendente dal periodo e vale 0,6.

Sia le stelle tipo Mira che le Cefeidi sono considerate stelle che stanno esaurendo il loro combustibile e non riescono più a mantenere l'equilibrio meccanico e termodinamico che caratterizza invece le stelle stabili come il sole.Ma esistono fasi di instabilità stellare anche all'inizio del ciclo evolutivo di una stella, prima che una stella riesca a raggiungere un proprio equilibrio interno. Ne sono un tipico esempio le cosiddette variabili eruttive o "a flare", di cui le stelle tipo T-Tauri sono un caso particolare. Si tratta di stelle che presentano

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una variabilità estremamente irregolare, con improvvisi guizzi di luminosità. Sono dunque stelle giovani, particolarmente numerose nelle nebulose, come quella di Orione, dove si ritiene appunto che le stelle si formino a partire dalla materia nebulare.

B) Le variabili binarie sono sistemi di stelle doppie che per la loro lontananza dalla terra e/o per la loro reciproca vicinanza (doppie strette), non è possibile vedere come stelle singole nemmeno con i più potenti telescopi.Quando la nostra visuale (retta condotta dall'osservatore all'oggetto osservato) giace sul piano orbitale di tali sistemi doppi, si producono le condizioni necessarie affinché le due stelle si eclissino alternativamente. In tal modo quando le stelle risultano separate noi osserviamo un massimo di luminosità, mentre quando le stelle si eclissano osserviamo un minimo nella curva di luce. In genere Poiché è probabile che le due stelle non presentino la stessa luminosità, i minimi nella curva di luce hanno profondità differenti. Il minimo più profondo si ha quando la stella meno luminosa eclissa quella più luminosa, mentre il minimo meno profondo si ha quando la stella più luminosa eclissa quella meno luminosa.

Tali variabili sono dette variabili a eclisse o fotometriche.Quando il piano dell'orbita di questi sistemi doppi è talmente inclinato rispetto alla nostra visuale da non dar luogo a fenomeni di eclisse è a volte comunque possibile evidenziarli. Ciò accade quando le due stelle orbitano l'una attorno all'altra ad una velocità talmente elevata che la radiazione che emettono subisce un effetto Doppler. Compiendo osservazioni spettroscopiche in epoche diverse si potrà perciò evidenziare uno spostamento alternativo degli spettri verso il rosso e verso il blu , a seconda che sia la stella più luminosa o quella meno luminosa che in quel momento si sta allontanando o avvicinando. In tal caso non si determina una variazione nell'intensità luminosa ma una variazione periodica nella struttura dello spettro. Tali sistemi sono conosciuti come variabili spettroscopiche.

10.2 Massa e dimensioniI modelli teorici prevedono che la massa delle stelle sia compresa tra 0,08 – 120 volte la massa solare (in astronomia le masse si misurano in masse solari M ). Al di sotto di tali limiti non si innescano le reazioni termonucleari, al di sopra la gravità ha il sopravvento ed il sistema è destinato a collassare. La massa delle stelle può essere stimata per via indiretta utilizzando la relazione di Eddington, che lega la luminosità intrinseca alla massa (log L = 3,5 log M). Tale relazione è però valida solo per le stelle di sequenza principale e la costante di proporzionalità necessita di essere tarata per i diversi tipi spettrali. L’unico modo per ottenere una misura diretta delle masse stellari è studiare i sistemi doppi.I sistemi di stelle doppie o multiple non sono un'eccezione, ne sono stati osservati ormai molte migliaia. In alcuni casi è possibile osservare le due stelle separate (stelle doppie visuali) e misurare gli spostamenti relativi delle due stelle lungo archi di traiettorie ellittiche. E' ciò che fece Herschel, arrivando per primo a dimostrare l'esistenza di stelle doppie. I sistemi di stelle doppie sono stati studiati con particolare attenzione essendo una fonte preziosa di informazioni sulle stelle. Sappiamo così che le stelle non presentano un intervallo di masse molto ampio. I valori ottenuti dall'analisi dei sistemi doppi ci dicono che le stelle hanno in genere masse comprese tra circa 1/10 e 100 M , in buon accordo con i valori previsti dalla teoria.

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Maggiore è invece l'intervallo di variabilità per i diametri stellari, i quali si possono calcolare nei sistemi doppi ad eclisse sulla base dei tempi di occultamento e delle velocità di rivoluzione. Si è scoperto così che mentre le stelle più piccole hanno dimensioni pari a circa 1/100 di quelle solari, paragonabili a quelle di un pianeta terrestre (nane bianche), quelle più grandi possono superare il sole di oltre 1000 volte (supergiganti rosse), con un’escursione di circa 5 ordini di grandezza. I diametri stellari sono stati misurati anche con metodi diversi e sono risultati in buon accordo con i dati ottenuti dai sistemi doppi ad eclisse. In generale se di una stella si conosce la temperatura superficiale T e la luminosità intrinseca bolometrica Lb è possibile calcolare il raggio. Se infatti l'energia emessa per unità di superficie e di

tempo da una stella è E = σT4, l'energia totale (luminosità bolometrica) emessa da una stella di raggio R sarà

424 TRLb σ⋅π=

10.3 Temperatura e colore: i tipi spettraliLa stessa relazione può essere naturalmente utilizzata anche per calcolare la temperatura superficiale di una stella, una volta note la luminosità intrinseca bolometrica L ed il raggio R. Tale temperatura è detta temperatura efficace Te.

424 σ⋅π

=R

LT b

e

La temperatura efficace è determinabile solo nel caso del sole e di poche altre stelle di cui si è potuto misurare il raggio. In tutti gli altri casi è necessario ricorrere a metodi indiretti.Nel caso si riesca ad individuare nello spettro di una stella la lunghezza d'onda di massima emissione è possibile utilizzare la relazione di Wien

λmax T = KPiù spesso si ricorre alla cosiddetta temperatura di colore Tc, correlata all'indice di colore IC = mpg - mpv.

TICC =

+8250

0 85, La temperatura di colore ha il vantaggio di essere determinabile solo conoscendo i dati fotometrici apparenti (su diverse bande), senza dover ricorrere alla misurazione della distanza e del raggio della stella.

Parlando delle stelle abbiamo citato 'nane bianche', 'giganti azzurre' e 'giganti rosse'. Oltre a queste esistono anche stelle gialle, come il nostro sole, e arancioni. Il colore delle stelle è una diretta conseguenza della loro temperatura superficiale. Una volta fatta passare la luce stellare attraverso uno spettrometro è infatti possibile osservare quali sono le righe più intense. Il colore della stella

dipende infatti essenzialmente dalla riga di massima emissione di energia (λmax) e questa è legata alla temperatura superficiale dalla legge di Wien.E' così che le stelle con temperature superficiali più basse (3500°K) ci appaiono rosse, mentre quelle con temperature superficiali più elevate (30.000 - 40.000°K) ci appaiono bianco-azzurre. Naturalmente dalle stelle rosse alle stelle bianco-azzurre si passa, al crescere della temperatura, alle stelle arancioni e a quelle gialle con tutte le sfumature intermedie.Le temperature superficiali delle stelle influenzano non solo il loro spettro continuo, ma anche lo spettro a righe in modo caratteristico. Infatti al crescere della temperatura superficiale alcuni composti, che sono presenti nelle stelle più fredde, scompaiono poiché i legami chimici che li tengono uniti vengono spezzati. Dai composti si passa così agli elementi semplici, prima allo stato

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neutro e poi ad uno stato sempre più ionizzato. Naturalmente tutto ciò viene fedelmente registrato attraverso le righe spettrali caratteristiche che ciascuna sostanza chimica, presente alla superficie della stella, assorbe.Le caratteristiche spettrali delle stelle, colore, tipo di righe presenti e, di conseguenza, temperatura superficiale vengono raggruppate in 7 tipi o classi spettrali principali (classificazione di Harvard), contrassegnati con le lettere O B A F G K M, che gli astronomi anglosassoni ricordano attraverso la frase "O, Be A Fine Girl Kiss Me".Ciascuna classe spettrale viene a sua volta suddivisa in 10 sottoclassi, indicate con un numero da 0 a 9 che segue la lettera della classe.I tipi spettrali O e B indicano le stelle bianco azzurre molto calde, mentre il tipo M le stelle rosse relativamente fredde. Il sole è una stella G2.

La classificazione spettrale fu introdotta da E.C. Pickering dell’Harvard College Observatory, verso la fine dell’800. Inizialmente Pickering propose di classificare le stelle in funzione dell’intensità delle righe dell’idrogeno, assegnando la lettera A alle stelle con righe dell’idrogeno più intense e associando via via le successive lettere fino alla O alle stelle con righe dell’idrogeno progressivamente più tenui. Il successivo lavoro di classificazione e messa a punto eseguito dalle collaboratrici di Pickering (W.P Fleming e A.J. Cannon) portò a modificare la sequenza originaria in funzione del colore. Alcune classi si rivelarono superflue e vennero pertanto eliminate, mentre le classi O e B vennero anticipate. L’imponente lavoro di classificazione diede origine nel 1924 all’Henry Draper Catalogue, contenente 255.000 stelle.

Per generare righe di assorbimento nel visibile (serie di Balmer = transizioni n → 2, con n > 2) l’Idrogeno, che costituisce l’atmosfera di ogni stella, deve trovarsi in uno stato leggermente eccitato, con il suo unico elettrone nel secondo livello energetico (n = 2). Le stelle di tipo spettrale avanzato (late type) M sono troppo fredde per presentare l’idrogeno in questo stato, pertanto le righe di assorbimento dell’idrogeno cominciano a comparire solo nel tipo spettrale successivo (K) e diventano via via più intense fino al tipo spettrale A. Nelle stelle di tipo spettrale iniziale (early type) O e B le righe di assorbimento dell’idrogeno tornano a sparire, poiché l’elevata temperatura trasforma l’idrogeno neutro in idrogeno ionizzato.L’Elio è invece un elemento chimico molto più stabile dell’idrogeno (si eccita e si ionizza con molta difficoltà), Per questo motivo le sue righe spettrali iniziano ad essere evidenti solo nelle classi O e B, dove la temperatura è sufficientemente elevata.La maggior parte degli altri elementi, che gli astrofisici chiamano impropriamente metalli si eccitano e si ionizzano in genere con facilità. Così nei tipi spettrali avanzati M e K troviamo righe di composti molecolari (TiO) e di metalli neutri (Ca I - Calcio primo). Nei tipi spettrali intermedi compaiono le righe di metalli via via più ionizzati (Ca II, Ca III). Infine nei tipi spettrali iniziali (O e B) il grado di ionizzazione dei metalli è così elevato che le loro righe vanno a cadere nell’ultravioletto. In questo modo lo spettro visibile dei tipi spettrali O e B rimane piuttosto semplice, essendo caratterizzato solo dalle righe dell’idrogeno e dell’elio.

Lo studio degli spettri stellari ci ha permesso di determinare la composizione chimica media delle stelle. Se ci riferiamo alla percentuale di atomi dei diversi elementi, si trova che le stelle sono mediamente costituite da circa il 92% di Idrogeno, dall’8% di Elio, dallo 0,1% di Ossigeno, Carbonio, Azoto e Neon (in ordine di importanza) e solo dallo 0,01% di tutti gli altri elementi chimici.

La serie spettrale principale (OBAFGKM) è stata in seguito ampliata con serie secondarie introdotte per classificare stelle con spettri peculiari. I tipi R ed N presentano la stessa temperatura rispettivamente dei tipi K ed M, ma un rapporto C/O ribaltato rispetto alla serie principale (dove è l’Ossigeno a prevalere sul Carbonio)Il tipo S (stelle a Zirconio) hanno la stessa temperatura del tipo K, ma una netta prevalenza dell’ossido di Zirconio (ZrO) rispetto al più comune ossido di Titanio (TiO).Il tipo W (o W-R: stelle di Wolf-Rayet) Sono caratterizzate da righe dell’Elio in emissione molto allargate, su spettri continui spostati verso la regione ultravioletta, a testimonianza di una temperatura superficiale estremamente elevata, che le pone a fianco o addirittura prima delle stelle di tipo O. Le righe allargate testimoniano una intensa perdita di massa per vento stellare (il gas emittente si sta espandendo radialmente: poiché una parte di esso si avvicina ed una parte si allontana ciascuna riga subisce contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga). Si suddividono In due varietà: quelle ricche di Carbonio e povere di Azoto (WC) e quelle ricche di Azoto (WN).

11 Le stelle: evoluzione

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Gli antichi ritenevano le stelle corpi celesti perfetti ed incorruttibili, costituiti da una materia peculiare (quintessenza) che le rendeva eterne. Le stelle subiscono in realtà processi di trasformazione come qualsiasi altro corpo materiale presente nell’universo, ma i loro tempi evolutivi sono enormemente superiori ai nostri tempi biologici.Lo studio dell’evoluzione stellare si avvale di uno strumento fondamentale, il diagramma HR per rappresentare graficamente le trasformazioni fisiche cui vanno incontro le stelle durante la loro vita.

11.1 Il diagramma HRAll'inizio del '900 gli astronomi E. Hertzsprung e H. Russell, indipendentemente l'uno dall'altro, scoprirono che riportando in un diagramma le stelle, ordinate in base alla loro temperatura superficiale (tipo spettrale) ed alla loro magnitudine assoluta, se ne otteneva una distribuzione ordinata. Ponendo in ascisse i tipi spettrali o la temperatura superficiale in senso decrescente ed in ordinata la magnitudine assoluta decrescente (luminosità crescente), la maggior parte delle stelle (il 90% circa) si distribuisce lungo una linea curva che attraversa il diagramma diagonalmente dall’alto a sinistra, a destra in basso. Tale fascia è detta sequenza principale. Il sole si trova circa a metà della sequenza principale. Una piccola percentuale di stelle si concentra poi in due raggruppamenti isolati agli angoli opposti, in alto a destra e in basso a sinistra.La concentrazione di stelle nella sequenza principale è in realtà perfettamente naturale e prevedibile sulla base della legge di Stefan-Boltzmann, in quanto l'emissione di energia, e quindi anche di energia luminosa, aumenta all'aumentare della temperatura superficiale della stella.I due raggruppamenti isolati sembrano invece fare eccezione. In alto a destra si concentrano infatti stelle relativamente fredde, ma molto luminose, mentre in basso a sinistra stelle molto calde, ma poco luminose. La spiegazione può essere una soltanto. Dato che la temperatura superficiale delle stelle di tipo M in sequenza principale è la medesima delle stelle che si trovano in alto a destra, per la legge di Stefan-Boltzmann entrambe devono emettere la stessa quantità di energia per unità di superficie radiante. Le stelle in alto a destra, più luminose, devono quindi necessariamente emettere energia da una superficie più estesa. Esse sono quindi stelle fredde, ma molto grandi e per questo chiamate giganti rosse.Analogo ragionamento vale per le stelle calde in basso a sinistra. Esse emettono la stessa quantità di energia delle stelle calde e luminose di tipo O e B della sequenza principale, essendo poco luminose

devono perciò possedere una superficie radiante totale di piccole dimensioni e per questo motivo sono dette nane bianche.Anche i diametri delle stelle in sequenza principale si presentano in modo caratteristico. Le stelle di sequenza principale più voluminose sono quelle in alto a sinistra (giganti bianco-azzurre). Il diametro decresce poi progressivamente lungo la sequenza principale fino alle stelle più piccole che si trovano in basso a destra (nane rosse).

Le giganti bianco-azzurre sono comunque più piccole delle giganti

rosse, mentre le nane rosse sono più grandi delle nane bianche.Le giganti bianco-azzurre sono anche le stelle più massicce della sequenza principale. La massa delle stelle decresce infatti progressivamente scendendo lungo la sequenza principale. Esiste d’altra parte una relazione di proporzionalità tra massa e luminosità intrinseca di una stella, nota come

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relazione di Eddington. Più massiccia è una stella e maggiore è la quantità di energia che le sue regioni centrali devono produrre per contrastare la forza gravitazionale che tenderebbe a far collassare la stella.La relazione di Eddington afferma che la luminosità intrinseca è approssimativamente proporzionale alla potenza 3,5 della massa di una stella: L = k M3,5. Tenendo presente che per il sole tale relazione può scriversi L = k M 3,5, dividendo membro a membro si ottiene una relazione in cui scompare la costante di proporzionalità e la luminosità e la massa delle stelle sono espresse in unità solari

L M≈ 3 5,

Ad esempio una stella che presenti una massa doppia rispetto a quella del nostro sole (2 M ) avrà una luminosità pari a

circa 10 volte quella solare (10 L ) L M≈ = = ⊗3 5 3 52 113, , , L

La relazione di Eddington è stata ottenuta sulla base di considerazioni teoriche basate sulle condizioni di equilibrio delle stelle, ma i valori che essa fornisce sono in buon accordo con quelli misurati direttamente per i sistemi di stelle doppie. La relazione di Eddington è valida esclusivamente per le stelle in sequenza principale.

Le classi di luminositàIn realtà la classificazione delle stelle in base alla loro luminosità è più articolata. Si è potuto notare che a parità di tipo spettrale le stelle presentano le righe di assorbimento del loro spettro più o meno allargate (una riga spettrale si caratterizza infatti anche per il suo profilo, cioè per il modo con cui l’intensità della riga diminuisce più o meno bruscamente ai suoi margini). Si ritiene che il fenomeno sia dovuto alla diversa pressione esercitata dal plasma che costituisce la stella (quando la pressione in un gas aumenta le sue righe tendono infatti ad allargarsi sempre più). Così le stelle che presentano atmosfere molto dense, caratterizzate da elevate pressioni presentano righe spettrali più allargate rispetto a stelle caratterizzate da atmosfere rarefatte. D’altra parte, poiché il livello di rarefazione delle atmosfere stellari è correlato con le dimensioni della stella (le stelle giganti sono molto rarefatte, mentre le nane sono molto compresse) e quindi con l’entità della superficie radiante, è possibile in tal modo ricavare informazioni sulla diversa luminosità a parità di tipo spettrale. In definitiva maggiori sono le dimensioni stellari, più il plasma è rarefatto (la sua pressione è bassa) e più le righe spettrali presentano un profilo a bassa dispersione (righe strette). Una minor larghezza delle righe spettrali è dunque indice di maggiori dimensioni stellari e quindi, a parità di temperatura, di maggiore luminosità.Utilizzando tale criterio W.W. Morgan, P.C. Keenan e E. Kellman hanno introdotto nel 1937 un nuovo sistema di classificazione della luminosità delle stelle (Sistema MKK o MK) che suddivide le stelle in 8 classi di luminosità decrescente (0 - VII), distinguendo all’interno di ciascuna di esse 3 sottoclassi a ab b.

Classe Denominazione

0 0-Ia Ia-0 Ipergiganti o Supergiganti estremeIa Iab Ib SupergigantiIIa IIab IIb Giganti brillantiIIIa IIIab IIIb Giganti (normali)IVa IVab IVb Subgiganti Va Vab Vb Nane (Sequenza principale) (VI) sd Subnane (pop.II) (VII) D Nane bianche

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Ricostruire i fenomeni associati alla nascita, alla vita ed alla morte di una stella non è impresa semplice, poiché l'evoluzione stellare si svolge in periodi di tempo lunghissimi che possono andare da qualche milione di anni per le stelle più massicce a qualche miliardo di anni per le stelle meno massicce. Così non è possibile osservare "in diretta" le trasformazioni di una stella, ma è necessario capire in quale fase evolutiva si trovano le diverse stelle che noi osserviamo e tentare di rimettere in sequenza i diversi fotogrammi. E' un po’ come scattare una fotografia di una comunità umana in cui compaiono neonati, bimbi, adulti e vecchi, cercando di capire a che fase della vita umana appartiene ciascuno di loro.Le istantanee che noi possiamo scattare alle stelle sono rappresentate da punti del diagramma HR, il quale rappresenta perciò uno strumento fondamentale per interpretare l'evoluzione stellare. Si ritiene infatti che le modificazioni strutturali che una stella subisce durante la sua evoluzione si manifestino attraverso mutamenti nelle condizioni di temperatura e luminosità ed in definitiva con uno spostamento all'interno del diagramma HR. Naturalmente noi non abbiamo il tempo materiale per cogliere tali spostamenti all'interno del diagramma, ma possiamo cercare di interpretare il significato evolutivo di ciascun punto del diagramma.Gli astrofisici cercano conferme dei loro modelli evolutivi nei diagrammi HR degli ammassi stellari. Essi ritengono infatti che le stelle di un ammasso si siano formate più o meno contemporaneamente da una stessa nebulosa. Avendo dunque la stessa età e la stessa composizione chimica, la diversa posizione assunta nel diagramma HR è funzione solo della massa delle diverse stelle. E’ pertanto possibile mettere in evidenza come stelle di diversa massa, trovandosi in punti differenti del diagramma, stiano attraversando stadi diversi della loro evoluzione. Il numero di stelle che popola ciascuna zona del diagramma è inoltre proporzionale al tempo di permanenza della stella in quelle condizioni particolari di Temperatura e Luminosità. Zone scarsamente popolate del diagramma sono in genere punti di rapido passaggio, dove è pertanto poco probabile riuscire a cogliere stelle. Esistono tre tipi fondamentali di diagrammi di ammassi stellari, relativi rispettivamente alla fase di giovinezza, maturità e vecchiaia.

Per ottenere evidenze osservative sugli stadi iniziali dell’evoluzione stellare si studiano i diagrammi HR di gruppi di stelle che, trovandosi ancora immerse nella materia nebulare che le ha generate,

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testimoniano la loro giovane età. Tali aggregati sono costituiti soprattutto da stelle massicce (le più veloci a formarsi) di tipo spettrale O e B e sono detti associazioni OB.Gli ammassi aperti e gli ammassi globulari vengono utilizzati invece per studiare rispettivamente le fasi di maturità e di vecchiaiaGli ammassi aperti o di disco (Pleiadi, Jadi etc) sono aggregati contenenti da qualche centinaio a qualche migliaio di stelle che si collocano all'interno delle spire del disco galattico, mentre gli ammassi globulari o di alone sono enormi aggregati di stelle contenenti da 100.000 a qualche milione di stelle. Essi si dispongono a formare un enorme alone sferico che contiene il disco galattico, mentre sono assenti nel disco stesso. Nella nostra galassia ne sono stati contati poco più di un centinaio (circa 160). Oltre alle osservazioni dirette, esistono anche numerosi modelli teorici, in cui le diverse fasi dell'evoluzione stellare vengono dedotte a partire dalle caratteristiche di massa e di composizione chimica di una stella e si fondano sui meccanismi di equilibrio interno e di produzione di energia che si ritiene siano alla base della struttura stellare. In particolare gli astrofisici ritengono che l'evoluzione stellare sia condizionata essenzialmente dalla massa iniziale della stella e dalla sua composizione chimica (teorema di Vogt-Russell). La massa iniziale della stella ha effetto principalmente sulla sua velocità di evoluzione. Più massiccia è una stella, più rapidamente essa si forma, evolve e muore. La quantità di materia presente in una stella influenza in 2 modi diversi ed opposti la durata della sua vita. Da una parte più massiccia è una stella e tanta più materia essa ha a disposizione da poter trasformare in energia, secondo la relazione E = mc2. Dall'altra, all'aumentare della massa aumenta anche la velocità con cui la stella trasforma materia in energia secondo la relazione di Eddington. Per cui al crescere della massa l'energia a disposizione aumenta proporzionalmente, mentre l'energia utilizzata e dissipata cresce più che proporzionalmente. Possiamo quindi affermare che la stella è in grado di sopravvivere per un tempo che è direttamente proporzionale alla massa disponibile ed inversamente proporzionale alla velocità con la quale la massa viene trasformata in energia

5,25,3

−==∝ MM

M

L

Mt

I tempi di evoluzione di una stella decrescono quindi in modo esponenziale all'aumentare della massa.

11.2 Formazione stellare: fase di presequenzaLe stelle nascono dalla contrazione gravitazionale di gas e polveri che costituiscono le grandi nebulose, vere e proprie incubatrici stellari (nursery). Il meccanismo che innesca tale contrazione non è stato ancora chiarito. Tra le varie ipotesi vi sono le onde d'urto prodotte dall'esplosione di stelle massicce (supernovae), la collisione tra due o più nebulose ed altre ancora.

Durante la caduta gravitazionale del materiale nebulare l'energia potenziale si trasforma in energia cinetica con aumento progressivo di temperatura della protostella.In questa prima fase, la cui durata dipende come sempre dalla massa in fase di contrazione, la temperatura superficiale è talmente bassa che la maggior parte dell'emissione avviene nell'infrarosso.Nel 1947 vennero osservati e studiati all'interno di nebulose alcune strutture tondeggianti e dense di materia nebulare, con temperature estremamente basse (10°K) che risultarono essere tutte in fase di contrazione. Tali oggetti sono oggi noti come globuli di Bok e molti autori li ritengono probabili fasi iniziali nella formazione delle stelle.

Secondo i modelli teorici le protostelle nella loro fase iniziale dovrebbero essere circondate da un bozzolo di materia, compressa dal forte vento stellare, che si genera durante le prime fasi di vita. Il bozzolo, riscaldato dall'interno dovrebbe

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irradiare prevalentemente nell'infrarosso. Una probabile conferma di tale modello viene dall'oggetto Beklin-Neugebauer

scoperto in Orione.

Le condizioni che permettono ad una condensazione di materia nebulare di mantenersi e collassare, invece di disperdersi, sono state studiate all'inizio del '900 da Jeans. Se una nebulosa presenta una temperatura assoluta di T °K ed una densità di n atomi/cm3, essa collasserà solo se la sua massa è superiore alla cosiddetta massa di Jeans che, espressa in masse solari, vale

M j = ⋅ ⊗153T

n (M )

o, in alternativa, collasserà se il suo raggio è superiore al raggio di Jeans che, espresso in parsec, vale

RT

nJ = ⋅4 (pc)

Massa e Raggio di JeansPer il teorema del viriale una massa di gas autogravitante, in equilibrio dinamico tra la forza centrifuga e la forza

centripeta, vale la relazione 02 =+ cg EE Possiamo allora affermare che il collasso gravitazionale avverrà quando

cg EE 2> L'energia gravitazionale di una sfera di materia uniformemente distribuita è R

GMEg

2

5

3 ⋅−= . L'energia

cinetica media (per particella) è invece pari a kTEc 2

3= , dove k è la costante di Boltzmann e vale 1,380658 10-16 erg

K-1. L'energia cinetica totale sarà allora pari all'energia cinetica media per il numero totale N di particelle

E Ec c= =N NkT3

2.

Il numero di particelle presenti si ottiene dividendo la massa totale M per la massa media di una particella.

Supponendo che ogni 100 particelle che compongono l'universo, 75 siano di Idrogeno (peso molecolare = 2) e 25 di Elio

(peso atomico = 4), la massa media relativa (espressa in u.m.a.) sarà µr =⋅ + ⋅

=75 2 25 4

1002 5, .

La massa media assoluta (espressa in grammi) di una particella si determina moltiplicando la massa relativa per il valore

dell'unità di massa atomica (1,66 10-24 g/uma) µa g= ⋅ ⋅ = ⋅− −2 5 1 66 10 4 15 1024 24, , , .

L'energia cinetica totale diventa quindi EMkT

ca

= =3

2

3

2NkT

µ. Applicando ora il teorema del viriale si ottiene

3

52

3

2

2

⋅ > ⋅GM

R

MkT

aµ e quindi M

kTR

G a

>5

µ

esprimendo il raggio R in funzione della densità (ρ) ρ⋅π= 334 RM , si ottiene M

kT

G

M

a

3

3

43

5>

µ πρ ed in definitiva

M Mk

G

Tj

a

> = ⋅

375

4

3 3

π µ ρMj è detta Massa di Jeans. Il suo valore, rispettivamente in grammi ed in masse solari, è approssimativamente

MT

j = ⋅ ⋅6 10223

ρ (g) , M j = = ⋅ ⋅

−⊗

M

M

Tj3 10 11

3

ρ (M )

Se esprimiamo la densità di materia come densità particellare, cioè come numero n di particelle per unità di volume (

ρ µ= ⋅n a ) si ottiene rispettivamente

MT

j = ⋅ ⋅3 10343

n (g) M j = ⋅ ⊗15

3T

n (M )

Se invece di esplicitare la massa esplicitiamo il raggio (dopo aver espresso la massa in funzione della densità) otteniamo

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R Rk

G

TJ

a

> = ⋅15

4 πµ ρ

Tale quantità è detta Raggio di Jeans ed il suo valore, rispettivamente in centimetri ed in pc, è approssimativamente pari a

RT

J = ⋅ ⋅2 4 107,ρ

(cm) RT

J = ⋅ ⋅−7 8 10 12,ρ

(pc)

Se esprimiamo nuovamente la densità di materia come numero n di particelle per unità di volume ( ρ µ= ⋅n a ) si

ottiene rispettivamente

RT

nJ = ⋅ ⋅1 2 1019, (cm) RT

nJ = ⋅4 (pc)

Durante la fase di contrazione la protostella è ovviamente più fredda di quanto sarà una volta giunta in sequenza principale, ma, possedendo una maggiore superficie radiante, è anche più luminosa. Come conseguenza di tali caratteristiche, le protostelle raggiungono la sequenza principale partendo dall’alto e le fasi di contrazione generano una traccia evolutiva che termina sul bordo sinistro della sequenza principale, nella regione detta Linea di età Zero o ZAMS (Zero Age Main Sequence).

Gli studi teorici prevedono che la contrazione gravitazionale di una protostella avvenga in 2 fasi. La prima, durante la quale l’interno della stella subisce un rimescolamento convettivo, produce nel diagramma HR una traccia verticale detta Linea di Hayashi. La seconda, durante la quale l’energia si propaga all’interno della stella prevalentemente in modo radiativo, produce una traccia orizzontale che si congiunge alla sequenza principale.

Una volta che all'interno della protostella si raggiungono temperature sufficientemente elevate si innescano le reazioni termonucleari che iniziano a contrastare la caduta del materiale nebulare verso il centro e generano le condizioni di equilibrio meccanico e termodinamico che stabilizzano la stella. Nelle fasi finali la stella neonata genera un intenso vento stellare (stadio T Tauri) che spazza gran parte della materia nebulare che le orbita intorno. Il vento stellare risulta più efficace nella direzione dell’asse di rotazione della stella, dove gas e

polveri sono meno spesse, essendosi depositate prevalentemente sul piano equatoriale. In alcuni casi è stato possibile osservare in stelle neonate anelli di polveri circumstellari attraversati perpendicolarmente da getti di materia bipolare. Successivamente all’interno dei dischi di polvere nascerà il sistema planetario della nuova stella.

Il significato evolutivo della sequenza principale diventa allora chiaro. Essa rappresenta il punto del diagramma HR in cui le stelle consumano la maggior parte della loro vita, mantenendosi in equilibrio e trasformando all'interno del loro nucleo idrogeno in elio. La scala temporale caratteristica per la contrazione gravitazionale di presequenza è detta tempo di Kelvin-Helmholtz. Per una nebulosa protostellare di densità particellare n, il tempo di Kelvin-Helmholtz (in anni) è

tnKH ≈

⋅1 4 107, anni

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Come si può osservare il tempo di contrazione dipende solo dalla densità. Per una densità caratteristica delle nebulose di qualche centinaio di atomi per centimetro cubo i tempi caratteristici sono di circa 1 milione di anni. E’ probabile che durante la contrazione l’aumento della densità generi le condizioni per una frammentazione della massa nebulare in nuclei collassanti di dimensioni minori (all’aumentare della densità diminuisce la massa di Jeans). Ciò giustificherebbe il fatto che le stelle tendono a formarsi in gruppi o ammassi.

Tempo di Kelvin-HelmholtzUna particella di massa m posta alla superficie di una nebulosa protostellare di massa M e raggio R è soggetta ad una

forza gravitazionale F GmM

Rma= =2

. La particella cade dunque verso il centro con un’accelerazione aGM

R= 2

.

Poiché l’accelerazione è la derivata della velocità rispetto al tempo e ricordando che vdr

dt= , si ha

adv

dt

dv

dt

dr

dr

dr

dt

dv

drv

dv

dr= = ⋅ = ⋅ = ⋅

vdv

drG

M

r⋅ = 2

v dv GM

rdr⋅ = ⋅2

e integrando (dr è negativo poiché il moto in caduta avviene da quote maggiori a quote minori) si ottiene la velocità che

anima la particella ad una distanza R dal centro VGM

R2 2

= Immaginiamo ora che la nebulosa continui a contrarsi

fino a formare una stella di raggi trascurabile rispetto al raggio iniziale della nebulosa. Poiché la velocità è la derivata

dello spazio rispetto al tempo, possiamo scrivere VdR

dt

GM

R= =

2, ed in definitiva R dR GM dt

12 2⋅ = ⋅ che, integrata,

porge

R GM t3 29

2= ⋅

esprimendo infine la massa in funzione della densità ed esplicitando il tempo, otteniamo

tGKH =

1

6π ρTale quantità è nota come Tempo di Kelvin-Helmholtz e rappresenta la scala caratteristica dei tempi per la contrazione gravitazionale. Il suo valore, rispettivamente in secondi e in anni, (con ρ in g/cm3) è dell’ordine di

tKH ≈900

ρ s tKH ≈

⋅ −2 8 10 5,

ρ anni

Se misuriamo infine la densità come numero di particelle per centimetro cubo (ρ µ= ⋅n a ), si ottiene rispettivamente

tnKH ≈

⋅4 1014,4 s t

nKH ≈⋅1 4 107,

anni

Utilizzando i valori caratteristici delle nebulose T ≈ 10 °K ed n ≈ 102 - 104 particelle per centimetro cubo, si ottengono i

seguenti valori RT

nJ = ⋅ ≈4 0,1-1 pc M j = ⋅ ≈ ⊗153T

n 5 - 50 M t

nKH ≈⋅

≈1 4 107,

10 -10 anni5 6

La posizione assunta all'interno della sequenza e che poi viene mantenuta durante tutta la fase di stabilità dipende dalla massa stellare. Le stelle più massicce raggiungono più rapidamente la zona alta della sequenza diventando giganti bianco-azzurre, le stelle meno massicce raggiungono più lentamente la zona inferiore della sequenza diventando nane rosse. Naturalmente tutte le stelle con masse intermedie raggiungono una posizione intermedia che dipende dalla loro massa.Gli astrofisici cercano conferme dei loro modelli evolutivi nei diagrammi HR degli ammassi stellari. Essi ritengono infatti che le stelle di un ammasso si siano formate più o meno contemporaneamente da una stessa nebulosa. Avendo dunque la stessa età e la stessa composizione chimica, la diversa posizione assunta nel diagramma HR è funzione solo della massa delle diverse

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stelle. E’ pertanto possibile mettere in evidenza come stelle di diversa massa si trovino in stadi diversi della loro evoluzione.Per ottenere evidenze osservative sugli stadi iniziali dell’evoluzione stellare si studiano i diagrammi HR degli ammassi aperti e, in particolare, di gruppi di stelle che, trovandosi ancora immerse nella materia nebulare che le ha generate, testimoniano la loro giovane età. Le stelle che si trovano nella vicina nebulosa di Orione sono da questo punto di vista un luogo privilegiato per studiare la nascita delle stelle. Lo studio dei movimenti reciproci (moti propri) ci conferma infatti che l’associazione stellare in Orione (associazione O-B) si sta disgregando. Le stelle si stanno allontanando reciprocamente, ma trovandosi ancora relativamente vicine le une alle altre, il processo deve essere iniziato solo da qualche milione di anni. Anche la presenza del gas nebulare intorno alle stelle, destinato a disperdersi in pochi milioni di anni, è un’ulteriore elemento a favore della giovinezza di tali associazioni.

A conferma di quanto prevedono i modelli teorici, le stelle della nebulosa di Orione si distribuiscono per lo più al di sopra della sequenza principale, andando a formare un ventaglio più chiuso verso l'alto e più aperto verso il basso.

In altre parole nell'istantanea scattata tramite il diagramma HR abbiamo colto le stelle più massicce già arrivate in sequenza principale, mentre le stelle meno massicce sono ancora per strada. Partite insieme, le prime sono state più rapide, come previsto dalla teoria.

In realtà si calcola che non tutte le nebulose siano in grado di formare una stella. Se infatti la materia in fase di contrazione possiede una massa inferiore a circa 0,08 M , la temperatura non sale a sufficienza e non si innescano le reazioni termonucleari. La stella abortisce e si forma una nana nera (o nana bruna). Tali oggetti dovrebbero essere numerosissimi nelle galassie, ma difficilissimi da individuare, possedendo tipicamente temperature

superficiali intorno ai 1000°K e luminosità intrinseche dell’ordine di 10-5 - 10-6 L . Alcuni ritengono che le nane brune potrebbero contribuire in modo sostanziale alla massa oscura degli aloni galattici. Nel 1993 sono stati individuati nell’alone della nostra galassia alcuni oggetti che agiscono come lenti gravitazionali (effetto microlensing) su stelle della Nube di Magellano e che potrebbero essere delle nane brune. Ad essi è stato dato il nome di MACHO (Massive And Compact Halo Object - Oggetti di Alone Massicci e Compatti).

L’effetto microlensing si produce quando la luce proveniente da una stella lontana viene deflessa dal campo gravitazionale di una piccola massa che le transita innanzi, quasi esattamente sulla congiungente stella-osservatore. I raggi luminosi vengono deviati e concentrati verso l’osservatore (lente gravitazionale) che percepisce un aumento temporaneo della luminosità stellare. La probabilità di un tal evento è evidentemente molto piccola e dipende dal numero di oggetti interposti tra la stella e l’osservatore.

11.3 Fase di stabilità ed evoluzione finaleLe stelle rimangono in sequenza principale finché possiedono idrogeno nel loro nucleo da trasformare in elio attraverso il ciclo protone-protone ed il ciclo Carbonio-Azoto. Stelle con una massa pari a quella del sole impiegano 10 miliardi di anni.

Abbiamo già visto che la scala dei tempi evolutivi per una stella è t kM

Lk

M

MkM= = = −

3 52 5

,, . Se

ora misuriamo la massa di una stella in unità M (M = M/M ) e la sua luminosità in unità L (L

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= L/L ), possiamo tarare la relazione sul sole. La costante k assumerà infatti un valore pari al tempo di permanenza del sole in sequenza principale (1010 anni) e la relazione diventa pertanto

t annisp = =10

1010

10MM -2,5

LAd esempio una stella con 5 M rimane in sequenza principale circa 180 milioni di anni, mentre una stella di 10 M esaurisce l'idrogeno del proprio nucleo ed esce dalla sequenza principale dopo circa 30 milioni di anni. Quando la maggior parte dell'idrogeno si è trasformato in elio la stella esce dalla sequenza principale, avviandosi rapidamente (sempre in relazione alla sua massa) a concludere la sua vita.Gli astrofisici distinguono a questo punto 3 possibili strade alternative per l'evoluzione stellare in funzione della massa. E' bene tener presente che i limiti di massa di seguito riportati sono puramente indicativi, essendo stati più volte ricalcolati e corretti.

1) Stelle di piccola massa (0,08 M < M < 0,8 M )Comprese tra il tipo spettrale M8 e G8, comprendono la maggior parte (circa il 90%) delle stelle di sequenza principale. Si presume che in tali stelle il movimento convettivo interno interessi tutta la massa stellare. Non esiste un vero nucleo e l'elio prodotto nelle regioni centrali più calde si mescola con gli strati esterni più freddi.Quando le reazioni di fusione iniziano a rallentare per mancanza di idrogeno, l'intera stella comincia a collassare. La contrazione gravitazionale viene infine arrestata dal fenomeno della degenerazione elettronica. Quando infatti la materia viene compressa fino a densità dell'ordine di 106-108 g/cm3

(1-100 t/cm3), gli elettroni manifestano una violenta repulsione di natura quantistica, legata al principio di esclusione di Pauli. Gli elettroni sono infatti fermioni e non possono coesistere su di un medesimo livello energetico in numero superiore a 2 con spin antiparallelo. Un modo alternativo per descrivere il fenomeno della degenerazione elettronica si ha facendo riferimento al carattere ondulatorio (lunghezza d’onda di De Broglie) delle particelle materiali. Tenendo infatti presente che la lunghezza d’onda di De Broglie per una particella materiale vale λ = h/(mv), al diminuire della lunghezza d’onda (come conseguenza del collasso) deve aumentare la quantità di moto (mv), essendo h una costante (costante di Planck). L’aumento della quantità di moto mv comporta un aumento dell’energia cinetica (½ mv2) e quindi della pressione esercitata dagli elettroni. Si forma in questo modo una stella di dimensioni planetarie, costituita al suo interno da materia allo stato degenere (gas di Fermi), rivestita da un sottile strato gassoso non degenere a temperature molto elevate (40.000-50.000°K). Tali stelle sono note come nane bianche. Le nane bianche possono esistere come tali solo al di sotto di un certo limite di massa, detto limite di Chandrasekhar, pari a 1,44 M , (valore inizialmente calcolato dal fisico indiano Chandrasekhar, oggi si ritiene che tale limite debba essere più basso, intorno a 1,2 M ). Le nane bianche sono destinate a raffreddarsi in tempi lunghissimi, trasformandosi in nane nere (o nane brune).

2) Stelle di media massa ( 0,8 M < M < 8 M ).Comprese tra il tipo spettrale G8 e B3, comprendono circa il 10%) delle stelle di sequenza principale.In queste stelle l'elio che si forma dalla fusione dell'idrogeno rimane confinato nel nucleo stellare. In tal modo quando le reazioni termonucleari iniziano a rallentare per scarsità di idrogeno e l'energia prodotta non è più sufficiente a contrastare la forza gravitazionale, la stella comincia a collassare.

Il nucleo di elio centrale viene compresso, si riscalda e raggiunge temperature dell'ordine del centinaio di milioni di gradi, sufficienti a innescare la fusione dell'elio, mentre gli strati superficiali, fortemente riscaldate, tornano ad espandersi, trovando un nuovo precario equilibrio a grande

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distanza dal centro. Si forma una stella enorme, dalla superficie esterna molto fredda (3.000-4.000°K), nota come gigante rossa. La traccia evolutiva che nel diagramma HR sale verso la regione delle giganti rosse è detta Ramo delle Giganti Rosse (Red Giant Branch - RGB).

Il processo di fusione dell’elio è detto ciclo del triplo elio o 3α, in cui tre nuclei di elio si fondono per formare un nucleo di carbonio ed un fotone energetico.

3 24

612 He C⇒ + γ

Secondariamente il Carbonio può assorbire un altro nucleo di elio e trasformarsi in Ossigeno

612

24

816C He O+ ⇒

Contemporaneamente un sottile strato di idrogeno al di sopra del nucleo raggiunge le temperature necessarie per fondere idrogeno in elio. Si formano così due strati concentrici a livello dei quali viene prodotta energia mediante fusioni di diverso tipo.Le stelle rimangono in stadio di gigante rossa per tempi molto brevi se paragonati alla durata della loro permanenza in sequenza principale. L'efficienza delle reazioni di fusione di elementi più pesanti dell'idrogeno diminuisce infatti progressivamente. Già la fusione dell'Elio in Carbonio presenta un difetto di massa dello 0,065% contro lo 0,7% della fusione dell'Idrogeno in Elio.

L'Elio ha massa 4,0026 uma e quindi 3 atomi di Elio 12,0078 uma, mentre il Carbonio 12 pesa 12 uma. Il difetto di massa è pari a 12,0078 - 12 = 0,0078 uma. Il valore percentuale è quindi 0,0078/12,0078 = 0,00065.

Durante le reazioni di fusione si generano anche neutroni liberi che sono responsabili della formazione di elementi chimici più pesanti, attraverso i cosiddetti processi-s, in cui un nucleo cattura un neutrone e subisce un decadimento beta aumentando il suo numero atomico.

Vengono definiti processi-s (da slow = lento) le reazioni di assorbimento neutronico da parte di un nucleo, in presenza di una densità di neutroni relativamente bassa. In queste condizioni il neutrone catturato ha il tempo di decadere (decadimento β) prima che un nuovo neutrone venga assorbito.La presenza negli spettri stellari delle righe del Tecnezio (Tc) rappresenta una delle migliori conferme dell’esistenza della nucleosintesi stellare e dei processi-s. Il Tecnezio non ha infatti isotopi stabili (non esiste sulla terra). Anche il più stabile, il Tc-98, ha un tempo di dimezzamento di due milioni di anni.

Quando l’Elio del nucleo comincia ad esaurirsi e l'energia prodotta torna a diminuire la forza gravitazionale prevale ancora e la stella collassa nuovamente.

Le stelle di media massa non sono però in grado di comprimere ulteriormente la materia al loro interno, in quanto vengono raggiunte densità tali che la degenerazione elettronica è in grado di contrastare la forza gravitazionale. All'interno della gigante rossa si forma in modo quiescente (senza eventi esplosivi) una nana bianca. Inizialmente la nana bianca è oscurata dal guscio di gas e polveri che forma gli strati più esterni della gigante rossa. Poiché le nane bianche possono esistere come tali solo al del limite di Chandrasekhar, pari a 1,44 M , gli astrofisici ritengono che durante l'evoluzione quiescente da gigante rossa a nana bianca, la stella debba espellere, sotto forma di un intenso vento stellare, buona parte della sua massa iniziale.Ciò contribuisce a sospingere ad una certa distanza dalla nana bianca l'inviluppo gassoso, il quale va a formare una specie di guscio opaco a circa 1 anno luce dal centro. La materia che compone tale guscio, eccitata dalla radiazione emessa dalla nana bianca, diventa visibile emettendo per fluorescenza (emissione su lunghezze d'onda superiori a quelle assorbite) prima di disperdersi nello spazio.Oggi si ritiene che gli oggetti celesti che verso la fine del '700 Herschel aveva denominato nebulose planeterie per il loro aspetto sferico e compatto, rappresentino appunto tale fase di transizione di stelle di media massa, da giganti rosse a nane bianche. L’estrema rarefazione delle nebulose planetarie (103 particelle per cm3) è responsabile della formazione di alcune righe proibite (ad

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esempio le due intense righe verdi a 4959 Å e 5007 Å dell’OIII), inizialmente attribuite ad elementi chimici sconosciuti (come il nebulio o il coronium individuato nella corona solare).

Le righe proibite sono dovute a transizioni elettroniche estremamente poco probabili nelle condizioni di densità del gas raggiungibili nei laboratori terrestri, dove l’elevata frequenza degli urti tra le particelle porta a continue eccitazioni e diseccitazioni collisionali. Nelle atmosfere rarefatte delle nebulose planetarie, dopo che una particella si è eccitata a causa di un urto, un secondo urto è poco probabile e la diseccitazione può avvenire tramite emissione di radiazione.

Conferme di tale modello teorico vengono ancora una volta dall'analisi dei diagrammi HR di gruppi di stelle omogenee per età, quali sono quelle che formano i cosiddetti ammassi stellari. Come abbiamo già detto gli astrofisici ritengono che le stelle di un ammasso abbiano approssimativamente la stessa età e la stessa composizione chimica. In conseguenza di ciò, la diversa posizione assunta nel diagramma HR deve essere funzione solo della massa delle diverse stelle. Nella nostra galassia esistono due tipi fondamentali di ammassi: gli ammassi aperti (o di disco) e gli ammassi globulari (o di alone).

I diagrammi HR degli ammassi aperti presentano tutti la sequenza principale interrotta nella sua parte superiore. Nel punto di interruzione le stelle piegano verso destra, andando a formare un uncino detto punto di svolta o turn-off point. Qui il diagramma manca quasi completamente di stelle (lacuna di Hertzsprung) per poi riprendere nella regione delle giganti rosse.Mettendo a confronto diagrammi HR di ammassi diversi si osserva che la posizione del punto di svolta è diversa da ammasso ad ammasso.

Gli astrofisici interpretano tali diagrammi come una conferma delle loro teorie sull'evoluzione stellare. Il punto di svolta coglie infatti le stelle che stanno lasciando la sequenza principale per trasformarsi in giganti rosse. Naturalmente le stelle più massicce, che si sono evolute più rapidamente, si sono già trasformate in giganti rosse e mancano quindi dalla sequenza principale. In tal modo ammassi che presentano un punto di svolta molto basso debbono essere ritenuti più vecchi, in quanto anche stelle di massa minore hanno già lasciato la sequenza principale per trasformarsi in giganti rosse. Esiste una relazione tra posizione del punto di svolta ed età dell'ammasso stellare.La lacuna di Hertzsprung si giustifica con il

fatto che la transizione dalla sequenza principale alla zona delle giganti rosse è talmente rapida che è molto poco probabile cogliere le stelle in questa fase.La lacuna di Hertzsprung non è comunque completamente priva di stelle. E' infatti proprio qui che possiamo trovare le variabili intrinseche come le "cefeidi" e le variabili di tipo "Mira", a testimonianza del fatto che la transizione avviene attraverso delle vistose modificazioni degli equilibri interni della stella.

I diagrammi HR degli ammassi globulari mostrano tutti punti di svolta estremamente bassi, con la sequenza principale ridotta praticamente alle nane rosse (subnane), a testimonianza del fatto che si tratta di aggregati di stelle estremamente vecchie. Si calcola che essi abbiano oltre 10 miliardi di anni.

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Nel 1942 Baade accertò una sostanziale differenza nei tipi spettrali e nella composizione chimica delle stelle appartenenti agli ammassi aperti rispetto alle stelle appartenenti agli ammassi globulari.Infatti mentre le stelle degli ammassi globulari risultarono composte essenzialmente da idrogeno ed elio, le stelle degli ammassi aperti (e delle altre stelle appartenenti al disco galattico, come il sole) contenevano anche quantità più o meno apprezzabili di tutti gli altri elementi chimici (che gli astrofisici chiamano in modo improprio "metalli"). Baade suddivise così le stelle in due popolazioni. Le stelle come il sole, contenenti anche metalli furono dette stelle di popolazione I, le stelle senza metalli come quelle degli ammassi globulari, stelle di popolazione II.

Oggi gli astronomi ritengono che le due popolazioni stellari siano il prodotto di diverse generazioni stellari. In altre parole le stelle di popolazione II, prive di elementi più pesanti si sarebbero formate per prime all'interno della galassia, quando ancora gli unici elementi a disposizione erano l'idrogeno e l'elio formatisi durante il Big Bang (nucleosintesi primordiale). Esse rappresentano dunque la prima generazione stellare. Quando poi le stelle più massicce di prima generazione hanno arricchito le nebulose galattiche di elementi più pesanti attraverso esplosioni di supernovae, le successive generazioni stellari hanno prodotto stelle ricche di 'metalli', classificate come stelle di popolazione I. Esse costituiscono quindi stelle di seconda generazione o, in generale, stelle di generazioni successiva alla prima.I diagramma HR di ammassi globulari sono quindi diversi dai diagrammi HR degli ammassi aperti, sia per la differenza di età che si esprime in una diversa posizione del punto di svolta (molto più bassa), sia per la diversa composizione chimica. Ricordiamo infatti che, per il teorema di Vogt-Russell, il tipo di evoluzione stellare dipende esclusivamente dalla massa e dalla composizione chimica. Gli astrofisici ritengono ad esempio che il cosiddetto ramo orizzontale che compare nei diagrammi HR degli ammassi globulari sia da mettere in relazione proprio alla loro diversa composizione chimica. Si tratta di una sequenza quasi orizzontale di stelle che congiunge la zona delle giganti rosse con la parte mediana della sequenza principale.

Gli astrofisici ritengono che essa sia prodotta dal fatto che le stelle, dopo essersi trasformate in giganti rosse, mutano rapidamente le loro caratteristiche di temperatura e luminosità, ritornando al centro della sequenza principale. Da qui si ritrasformano lentamente in giganti rosse, producendo il ramo orizzontale.Nel braccio orizzontale si trovano le cefeidi del tipo RR Lyrae (e le W Virginis), a testimonianza del fatto che la trasformazione avviene attraverso condizioni di non equilibrio.

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Un'altra caratteristica dei diagrammi HR degli ammassi globulari è l'assenza della lacuna di Hertzsprung. Le stelle poco massicce rimaste in sequenza principale si trasformano infatti in giganti rosse in modo talmente lento che diventa probabile coglierle in tutte le fasi intermedie del loro percorso ed esse si uniscono quindi alla zona delle giganti rosse con un tratto continuo. Le stelle di sequenza di popolazione II sono inoltre leggermente meno luminose (classe VI di luminosità = subnane) dei corrispondenti tipi spettrali di popolazione I (classe V di luminosità = nane).

3) Stelle di grande massa (8M < M < 120 M ).Stelle di tipo spettrale O e B (fino a B3), comprendono meno dell’1%) delle stelle di sequenza principale. Quando l’idrogeno del nucleo si è trasformato in Elio e non viene più prodotta energia sufficiente per contrastare la forza gravitazionale, la stella collassa e comprime il suo nucleo di elio fino ad innescarne la fusione. Contemporaneamente un guscio esterno di Idrogeno raggiunge la temperatura di fusione, mentre gli strati più superficiali si espandono enormemente fino a trasformare la stella in una supergigante, con dimensioni che possono raggiungere 1000 volte quelle del sole.Quando il nucleo di Elio si sarà trasformato in un nucleo di C/O ed il guscio esterno di idrogeno si sarà trasformato in Elio, la produzione di energia comincerà a diminuire, costringendo la stella a collassare nuovamente. Durante questa contrazione, le stelle di grande massa sono in grado di portare le temperature del loro nucleo a valori intorno ai 2 miliardi di gradi, sufficienti per innescare

la fusione del Carbonio, con formazione di Neon e Magnesio ( )1020

1224Ne Mg ; . Contemporaneamente

Il guscio esterno di Elio si riaccende per dare Carbonio e Ossigeno, mentre un terzo guscio si aggiungerà ai primi due dove l'idrogeno sarà in grado di formare elio.Ogni qual volta l’energia si esaurisce il meccanismo si ripete e ciascun guscio fonde per dare elementi più pesanti, mentre un nuovo guscio si aggiunge esternamente.

Nello stadio successivo l’Ossigeno fonde producendo prevalentemente Silicio e Zolfo ( )1428

1632Si S ;

ed infine il Silicio genera Ferro e Nichel ( )2656

2860Fe Ni ; In questo modo all'interno dell'enorme e

rarefatto inviluppo gassoso che caratterizza una supergigante, si produce una struttura annidata a cipolla, densa e compatta, formata da strati concentrici, caratterizzati da temperature e densità crescenti verso il centro, in cui si producono per fusione elementi sempre più pesanti.

Abbondanze cosmiche degli elementi e nucleosintesiFred Hoyle fu il primo ad intuire che che gli elementi chimici potessero formarsi nelle stelle durante la loro evoluzione. Insieme a William Fowler e ai coniugi Margaret e Geoffrey Burbidge (scherzosamente riuniti nella sigla HB2F), mise a punto i primi modelli di nucleosintesi stellari (1957). Il loro pionieristico lavoro venne in seguito esteso e perfezionato con la collaborazione di R.W. Wagoner (1967).I modelli teorici elaborati per prevedere i processi di nucleosintesi stellare (cioè quali elementi chimici, ed in che proporzioni, si formino durante l’evoluzione di una stella) sono in grado di giustificare in modo molto soddisfacente le percentuali cosmiche osservate (abbondanze relative) degli elementi chimici, con l’eccezione dell’Idrogeno e dell’Elio. L’origine di questi ultimi è da ritenersi cosmologica e le loro abbondanze ben si accordano, come vedremo, con quelle previste dai modelli elaborati per la nascita dell’universo (Big Bang e relativi processi di nucleosintesi primordiale).Da questo punto di vista la composizione chimica dell’universo può essere considerata una testimonianza “archeologica” della sua storia evolutiva, un reperto fossile cruciale dove sono registrate le trasformazioni cui è stata sottoposta la materia dalla sua nascita ad oggi. L’elemento di gran lunga più diffuso nell’universo è l’Idrogeno (≈ 73% in peso), seguito dall’Elio (≈ 25% in peso) e da tutti gli altri elementi chimici (≈ 2% in peso) con al primo posto l’Ossigeno seguito da C, N, Ne, S, Si, Fe.Ogni 100.000 atomi di Idrogeno ve ne sono 8.500 di Elio, 65 di Ossigeno, 35 di Carbonio, 20 di Azoto.In generale l’abbondanza relativa di un elemento chimico nell’universo diminuisce all’aumentare del suo numero atomico Z. Troviamo però alcune interessanti regolarità: gli elementi con Z dispari sono meno frequenti dei loro vicini con Z pari e si evidenziano inoltre picchi di frequenza in corrispondenza degli elementi con numero di massa A multiplo intero di 4 (massa dell’Elio) come C-12, O-16, Ne-20, Mg-24, Si-28, S-32, Ar-36, Ca-40, Ti-48, Cr-52, Fe-56, Ni-60.Tali regolarità si spiegano facilmente ricordando che l’Elio (Z = 2 e A = 4) rappresenta il mattone fondamentale con il quale vengono costruiti per successiva fusione gran parte degli elementi più pesanti.

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La produzione di energia in queste fusioni è però via via inferiore, poiché sempre minore risulta il difetto di massa. Il limite di questo processo risulta essere lo stadio del ferro, poiché la fusione del ferro per formare nuclei più massicci richiede energia (reazione endoergonica) invece di produrla. Così invece di contrastare il collasso gravitazionale la fusione del ferro lo accelera. Ne segue una fase di implosione delle regioni centrali della stella. Il nucleo centrale di Ferro crolla su se stesso con una velocità che si calcola essere circa un quarto di quella della luce. L'energia gravitazionale in tal modo liberata produce una immensa onda d'urto che spazza via le regioni più esterne, in una esplosione di elevatissima potenza detta supernova (di tipo II). Gli strati più esterni della stella, investiti da un'enorme quantità di energia, la utilizzano per produrre elementi di peso atomico superiore tramite processi-r, di cattura rapida di neutroni. E' così che le supernovae arricchiscono l'universo di tutti gli elementi chimici, anche quelli più pesanti, formando nuove nebulose, dalla contrazione delle quali nascono successive generazioni stellari.

Vengono definiti processi-r (da rapid = rapido) le reazioni di assorbimento neutronico da parte di un nucleo, in presenza di una elevata densità di neutroni. In queste condizioni il neutrone catturato non ha il tempo di decadere (decadimento β) prima che un nuovo neutrone venga assorbito ed in tal modo il nucleo può rapidamente aumentare il suo numero di massa.

Una supernova è in grado di produrre luce quanto una piccola galassia, presenta infatti in media una magnitudine assoluta pari a M = -18. La prima supernova ad essere avvistata e di cui abbiamo notizia dalle cronache cinesi e giapponesi, fu la supernova del 1054 d.C. nella costellazione del Toro, che rimase visibile in pieno giorno per alcune settimane.In tempi più recenti sono state avvistate nella nostra galassia soltanto altre due supernovae. Quella studiata da Tycho Brahe nel 1572 e quella di Keplero del 1604.Ormai sono quasi quattro secoli che non esplode più una supernova nella nostra galassia e gli astronomi sono costretti a studiare le supernovae che esplodono in galassie esterne. Moltissime informazioni sono state ottenute dalla supernova esplosa nel 1987 nella grande Nube di Magellano, una piccola galassia, satellite della nostra. L'esplosione di una supernova produce una enorme nube di gas e polveri in espansione. Particolarmente studiata la nebulosa del Granchio (Crab Nebula), prodotta dalla supernova del 1054 ed ancor oggi perfettamente visibile.La parte centrale della stella, che ha subito il collasso, può evolvere secondo tre modelli diversi in funzione della massa residua, andando a formare diverse classi di oggetti collassati. Se la massa che rimane dopo l'esplosione è inferiore 1,44 M (MCh = limite di Chandrasekhar) si forma una nana bianca, se è compresa tra 1,44 M e circa 3 M (MOV = limite di Oppenheimer-Volkov) si forma una stella a neutroni, se supera le 3 M si forma un buco nero.

11.4 Evoluzione stelle doppie: binarie cataclismiche (novae e supernovae Ia)Quando in un sistema di stelle doppie le due stelle possiedono masse diverse e sono sufficientemente vicine (doppie strette) da riuscire, in opportune condizioni, a rubarsi reciprocamente materia, si producono fenomeni particolari di evoluzione stellare. La stella di massa maggiore, indicata come primaria, subisce infatti un'evoluzione più rapida e diventa una gigante rossa quando la stella meno massiccia, indicata come secondaria, è ancora in sequenza principale.A questo punto, se le stelle sono sufficientemente vicine, parte dell'inviluppo gassoso della gigante rossa cade sulla stella secondaria, accelerandone l'evoluzione.Col procedere dell'evoluzione la stella primaria si trasformerà in una nana bianca mentre la secondaria diverrà a sua volta una gigante rossa. Successivamente il flusso di materia è destinato ad invertirsi e parte dell'inviluppo gassoso della secondaria cadrà sulla nana bianca (primaria). La materia entrando in orbita intorno alla nana bianca forma un anello di accrescimento. Nel punto in cui il flusso di materia urta l'anello di accrezione si produce un forte aumento di temperatura che si manifesta tramite una macchia luminosa (macchia calda). Quando la materia che si accumula sulla superficie della nana bianca raggiunge la temperatura di fusione essa esplode come un'atomica.

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L’esplosione è così violenta che la luminosità della stella aumenta fino a 150.000 volte in poche ore.I primi fenomeni di questo tipo furono inizialmente interpretati come l'accensione di una nuova stella in cielo. La prima nova fu osservata, secondo quanto narra Plinio, da Ipparco nel 143 a.C. Fino ad oggi ne sono state osservate qualche centinaio, non tutte ugualmente splendenti.

Spesso il fenomeno della nova non giunge a distruggere il sistema binario, per cui la stella secondaria può continuare a perdere materia a favore della primaria fino ad una nuova esplosione che in genere si manifesta ogni 10 - 20 anni (novae ricorrenti). A differenza delle novae non ricorrenti che manifestano magnitudini assolute molto diverse, le nove ricorrenti presentano tutte la stessa magnitudine assoluta (M = -7,5) e rappresentano pertanto dei buoni indicatori di distanza.

In alcuni casi invece il fenomeno risulta particolarmente violento e l'aumento di luminosità (M = - 20) diventa addirittura superiore a quello delle supernovae di II tipo (M = - 18). Gli astronomi indicano queste esplosioni come supernovae di tipo Ia e ritengono che in tal caso il sistema stellare ne risulti completamente distrutto. Si ritiene che ciò avvenga quando la nana bianca si trova al limite di Chandrasekhar. L’ulteriore acquisto di materia avvia un collasso gravitazionale che innesca una reazione di fusione esplosiva nelle regioni centrali della stella.Tipicamente la luminosità di una supernova di tipo Ia raggiunge il massimo in circa tre settimane per poi diminuire progressivamente nell’arco di alcuni mesi. Presentano una luminosità massima che varia leggermente da caso a caso, ma che è ben correlata con la durata dell’esplosione (periodo di aumento della luminosità). Le esplosioni più lunghe sono caratterizzate da una maggiore luminosità. Misurando la durata del periodo esplosivo è quindi possibile effettuare le opportune correzioni e calcolare la luminosità intrinseca con un errore che attualmente si stima essere intorno al 10%. Ciò fa delle supernovae di tipo Ia le candele campione meglio calibrate ed attualmente più utilizzate. Le supernovae di tipo Ia esplodono in una galassia mediamente ogni 300 anni.

Le supernove di tipo Ib non presentano nei loro spettri le righe dell’Idrogeno. Si ritiene che le supernove di tipo Ib siano prodotte da esplosioni analoghe alle supernove di tipo II, in cui l’inviluppo gassoso superficiale di Idrogeno sia stato in qualche modo asportato.

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12 Le stelle: Oggetti collassati

12.1 Stelle a neutroni e pulsarLe stelle a neutroni si formano quando la forza gravitazionale è talmente intensa da vincere la repulsione elettronica associata alla materia degenere. Gli elettroni vengono spinti all'interno dei nuclei atomici dove si uniscono ai protoni per trasformarsi in un neutrone ed un neutrino. In queste condizioni la stella diventa un unico enorme nucleo atomico formato solo da neutroni in cui la densità è enorme, dell'ordine di 1015 - 1017

g/cm3 (1-100 miliardi di tonnellate).

Le stelle a neutroni presentano densità dello stesso ordine di grandezza della densità dei nuclei atomici. Un nucleo ha massa dell’ordine di 10-24 g, dimensioni dell’ordine di 10-13 cm e volume dell’ordine (10-13)3 = 10-39 cm3. La densità è pertanto dell’ordine di 10-24/10-39 = 1015 g/cm3.

Le stelle a neutroni presentano un diametro caratteristico di una decina di chilometri. Dovendo poi rispettare la legge della costanza del momento angolare, con il procedere del collasso (diminuzione del raggio) la velocità di rotazione della stella aumenta progressivamente fino a raggiungere valori estremamente elevati.L'esistenza delle stelle a neutroni venne ipotizzata teoricamente nel 1932 da L.D. Landau. Nel 1934 Zwicky suggerì che una stella a neutroni potesse formarsi in certe condizioni come residuo dell'esplosione di una supernova.Per poter confermare l'esistenza delle stelle a neutroni è necessario attendere la scoperta negli anni '60 delle pulsar. La prima pulsar, una sorgente celeste che emetteva impulsi radio ad intervalli regolari di 1,3 secondi, venne scoperta nel 1967 dai radioastronomi di Cambridge. I giornali parlarono addirittura di extraterrestri che tentavano di comunicare con noi.Gli astrofisici ritenevano invece si trattasse di una stella in rapidissima rotazione (per l'appunto un giro ogni 1,3 secondi) in grado di inviare un segnale radio ad ogni rotazione (modello a faro). Naturalmente solo stelle sufficientemente piccole e dense da non essere mandate in pezzi dalle enorme forza centrifuga, potevano ruotare ad una tale velocità. La maggior parte degli astrofisici pensava ad una stella a neutroni e la conferma arrivò l'anno successivo.Gli astronomi pensarono infatti che se le pulsar erano effettivamente stelle a neutroni e le stelle a neutroni si formavano come residuo di un'esplosione di supernova, allora si sarebbe forse potuto scoprire una pulsar al centro della nebulosa del Granchio.Nel 1968 si scoprì che la nebulosa del Granchio conteneva una velocissima pulsar che emetteva un segnale ogni 33 millisecondi (circa 30 giri al secondo). Si trattò di una notevole conferma sia della natura delle pulsar che del modello di evoluzione di una supernova.Si ritiene che l'emissione degli impulsi radio regolari da parte di una pulsar sia dovuto al campo magnetico estremamente intenso associato alla stella, il cui asse non coincide con l'asse di rotazione della stella. In tal modo la stella ruotando costringe l'asse magnetico ed il campo stesso a compiere un rapido movimento doppio conico. L'intenso campo magnetico rotante cattura e trascina in rapida rotazione il plasma stellare, con produzione di fasci rotanti di radiazione.Nel caso la massa residua in via di collasso ecceda il limite di Oppenheimer-Volkov nemmeno i neutroni riescono ad arrestare l'implosione e tutta la materia si concentra in un punto a densità infinita. La stella si trasforma in un buco nero.

linee campomagnetico

rotazioneasse magnetico Emissione radio

collimata

Plasma incaduta

assemagnetico

asse dirotazione

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12.2 Buchi neriUn buco nero è un oggetto nei cui dintorni la gravità è talmente elevata da non permettere nemmeno alla luce di evadere. Tale comportamento si manifesta fino ad una certa distanza critica, detta raggio di Schwarzschild.

Per calcolare il raggio di Schwarzschild consideriamo che la velocità che un corpo di massa "m" deve possedere per vincere l'attrazione gravitazionale di un altro corpo di massa maggiore "M", detta velocità di fuga può essere calcolata eguagliando l'energia cinetica all'energia gravitazionale (Ecin = Egrav)

1

22mv G

mM

R=

da cui la velocità di fuga risulta pari a

vGM

R= 2

Dunque se, a parità di massa M, il raggio R della stella diminuisce, la velocità di fuga deve aumentare. Poiché in un buco nero il raggio è destinato ad azzerarsi la velocità di fuga tende ad infinito. Quando, durante la contrazione, la velocità di fuga diventa uguale alla velocità della luce,

vGM

Rc= =

2

il raggio assume un valore critico, pari a

RGM

cs = 22

Tale raggio è detto appunto raggio di Schwarzschild. Esso viene dunque definito come il raggio entro il quale una data massa deve essere compressa affinché la velocità di fuga eguagli la velocità della luce.Per una stella della massa del sole il raggio di Schwarzschild assume il valore di 3 km, per la terra di 1 cm.

Nel caso dell'implosione di una supernova di II tipo la materia continua la sua caduta fino a densità infinita. La superficie sferica individuata dal raggio di Schwarzschild ha comunque una sua importanza fisica e viene detta orizzonte degli eventi. Infatti, poiché non esiste nessun corpo in grado di raggiungere la velocità della luce, nessun corpo che si trovi all'interno dell'orizzonte degli eventi possiede velocità sufficiente per uscirvi. Ciò vale anche per la radiazione elettromagnetica che all'interno dell'orizzonte possiede una velocità inferiore alla velocità di fuga. Nessuna informazione ci può perciò giungere dall'interno dell'orizzonte degli eventi che circonda un buco nero.

Da un punto di vista teorico sono possibili anche buchi neri a densità finita. Se infatti aumenta la massa del corpo in fase di collasso gravitazionale, aumenta anche il raggio di Schwarzschild. In queste condizioni un oggetto può raggiungere il suo raggio di Schwarzschild in corrispondenza di una densità relativamente bassa.

Eleviamo al cubo il raggio di Schwarzschild ed esprimiamolo in funzione della densità ρπ

=M

R43

3 , ottenendo

ρπ

=3

32

6

3 2

c

G MSe ad esempio una galassia di piccole dimensioni, poniamo di 108 masse solari, collassasse fino al suo raggio di Schwarzschild, potrebbe formare un buco nero di circa 2 U.A. (se fosse al posto del sole arriverebbe oltre Marte) e con la densità dell'acqua.

La speranza di osservare un buco nero è oggi riposta sull'eventualità che uno di essi si trovi all'interno di un sistema binario. In tal caso potremmo osservare una stella che sta ruotando intorno ad un "nulla" che presenta le caratteristiche di massa di un buco nero. Inoltre il buco nero sarebbe in grado di fagocitare la stella compagna, rubandole materia. Cadendo all'interno del buco nero tale materia sarebbe destinata, secondo gli astrofisici, a ruotare in modo vorticoso in una spirale sempre più stretta, riscaldandosi fino a temperature molto elevate con emissione di una tipica radiazione

66

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nella banda dei raggi X. Gli astrofisici ritengono ad esempio che la sorgente di raggi X nella costellazione del Cigno, nota come Cignus X-1, potrebbe essere prodotta da un buco nero. Un buco nero che fagocita materia rappresenta il più efficiente meccanismo di produzione di energia, dopo il processo di annichilazione materia-antimateria. La sua efficienza può giungere fino al 50% contro lo 0,7% del ciclo p-p.

Infatti, un corpo di massa m che da grande distanza (idealmente da distanza infinita, dove l’energia potenziale è nulla) si avvicina fino a distanza R ad un corpo di massa M, è in grado di liberare una quantità di energia gravitazionale pari a

R

mMG

R

mMG

R

mMGE +=

−−

−=

0

Se ora sostituiamo ad R il raggio di Schwarzschild, otterremo l'energia che la particella di massa m può arrivare a dissipare durante la sua caduta verso un buco nero fino all'orizzonte degli eventi

2/2

2

2

mc

cGM

mMG

R

mMGE

s

===

Come si vede metà della massa della particella può essere trasformata in energia con un'efficienza massima del 50%.

Nessun oggetto materiale può giungere indenne al centro di un buco nero. Durante il percorso esso subisce infatti delle violente sollecitazioni interne (effetti mareali) che tendono ad allungarlo nel senso di caduta, fino a ridurlo in brandelli. Si tratta delle stesse forze che sulla terra producono le maree, allungando l’idrosfera lungo l’asse Terra-Luna. Le forze mareali sono un effetto della differente attrazione gravitazionale cui sono sottoposti punti diversi di uno stesso corpo. Esse sono dunque proporzionali non al valore della gravità in un certo punto, ma alla differenza di gravità esistente tra due punti.

Consideriamo un corpo di lunghezza 2L e massa m che stia cadendo verso un buco nero di massa M. Quando si trova a

distanza d dal centro del buco nero, esso è sottoposto ad una forza gravitazionale F GMm

dg = 2, che agisce sul

baricentro B, generando un’accelerazione aF

m

GM

dg= = 2

.

Ma nel medesimo istante, i punti A e C, che si trovano ai due estremi del corpo a

distanza rispettivamente minore ( d d LA = − ) e maggiore ( d d LC = + ) dal

centro del buco nero, sono sottoposti ad una attrazione gravitazionale più intensa (

FgA) e meno intensa ( FgC

) rispetto a quella che agisce sul baricentro ( FgB).

Il punto A possiede quindi una maggior accelerazione rispetto a B, pari a

( )aGM

d LA =− 2

mentre il punto C è soggetto ad un’accelerazione inferiore e pari a

( )aGM

d LC =+ 2

In altre parole mentre nel baricentro B vi è corrispondenza tra forza applicata e accelerazione generata, questo non accade negli altri punti. Qui infatti l’accelerazione tende a rimanere la stessa che si ha nel baricentro (il corpo è infatti rigido e tutti i suoi punti si muovono in modo solidale), mentre la forza applicata risulta diversa per la diversa distanza dal centro di attrazione.Si determinano pertanto delle tensioni interne che tendono ad allungare il corpo ed i cui effetti in un certo punto sono evidentemente proporzionali alla differenza tra la gravità nel punto e la gravità al baricentro. Calcoliamo ad esempio l’accelerazione differenziale (e quindi anche la corrispondente forza mareale) a cui è sottoposto il punto A.

( )a a aGM

d L

GM

dM A B= − =−

−2 2

67

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( )( )a GM

d d L dL

d d LM =− + −

2 2 2

2 2

2

nell’ipotesi che le dimensioni del corpo siano trascurabili rispetto alla distanza che lo separa dal centro di attrazione (

L d<< ) possiamo omettere nelle somme sia L (rispetto a d), che L2 (rispetto a d2), ottenendo il seguente risultato

approssimato

a GMdL

d

GM L

dM = =⋅2 2

4 3

dove si dimostra che le forze mareali sono direttamente proporzionali alla distanza L del punto dal suo baricentro ed inversamente proporzionali al cubo della distanza d del baricentro dal centro di attrazione. Naturalmente all’altra estremità il corpo sarà sottoposto ad una forza eguale e contraria.In un buco nero, dove la gravità raggiunge valori elevatissimi, le differenze di gravità su dislivelli anche molto piccoli diventano talmente elevate da produrre la completa disgregazione in senso radiale dei corpi in caduta. Ad esempio l’intensità delle forze mareali per unità di massa (quindi l’accelerazione) in corrispondenza del raggio di Schwarzschild è pari a

a

GM L

R

GM L

GM

c

c

GMLM

SS

=⋅

=⋅

=

2 2

2 23

2

3

3 2

Se per ipotesi il Sole (M = 2 1033 g) si trasformasse in un buco nero, un uomo dell’altezza di 2 m subirebbe, attraversando l’orizzonte degli eventi, un effetto mareale dell’ordine di 1012 cm/s2. La testa ed i piedi verrebbero strappate in direzione opposta con un’accelerazione 1 miliardo di volte superiore alla normale accelerazione di gravità.

Fino a non molto tempo fa si riteneva che un buco nero potesse solo accrescersi inglobando altra materia. Recentemente Hawking ha dimostrato che la superficie di un buco nero può dare fenomeni di "evaporazione quantistica" legati al principio di indeterminazione di Heisenberg.

13 Il Mezzo interstellare

Un tempo si riteneva che lo spazio galattico interstellare fosse praticamente vuoto. Oggi l’esistenza di materiale diffuso tra gli oggetti condensati (stelle, pianeti etc) è stata definitivamente accertata sulla base di innumerevoli evidenze osservative. Il mezzo interstellare (ISM – interstellar medium) costituisce circa il 10-15 % della massa galattica ed è composto per il 99% circa (in massa) di gas e per il rimanente 1% di polvere.

13.1 PolvereLa polvere è formata da particelle solide di minuscole dimensioni (0,1 - 1 µ), costituite prevalentemente di grafite, solfuro di carbonio (CS), silicati e ghiacci. Ciascuna particella è mediamente formata da 108 atomi. La densità media è di 100 particelle di polvere per km3 (10-13

particelle per cm3). L’effetto principale della polvere è quello di assorbire e, soprattutto, di diffondere (scattering) la luce. Ciò provoca una diminuzione della luminosità delle stelle che prende il nome di estinzione interstellare. L’estinzione dipende naturalmente dalla quantità di polvere interposta e di conseguenza anche dalla distanza della stella. Si calcola che mediamente vi sia una diminuzione di magnitudine apparente pari a 1-2 gradi per kpc.

La luce che proviene dal centro della galassia, posto a circa 10 kpc, subisce una diminuzione molto più elevata di circa 27/28 gradi di magnitudine. In altre parole dal centro della galassia ci arriva solo 1 fotone ogni 100 miliardi. Infatti, se il

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rapporto tra flusso percepito ed flusso in assenza di estinzione è 1/1011, applicando la relazione di Pogson si ottiene

5,2710

1log5,2

11=−=∆m )

Inoltre per le loro dimensioni i granuli diffondono prevalentemente la luce a minor lunghezza d’onda (luce blu) e per questo motivo le stelle appaiono sistematicamente più rosse (più corretto sarebbe dire “meno blu”) di quanto ci si potrebbe aspettare sulla base del loro tipo spettrale (arrossamento interstellare o reddening). Si tratta dello stesso fenomeno che arrossa il sole all’alba e al tramonto, quando la sua radiazione deve attraversare uno strato più spesso di atmosferaEssendo l’entità dell’arrossamento proporzionale alla quantità di polvere interposta, esso è di conseguenza correlabile al grado di estinzione. Ciò permette agli astronomi di apportare le opportune correzioni alla luminosità, sulla base del livello di arrossamento.

La differenza tra l’indice di colore (B-V) osservato e quello teorico fornisce un parametro noto come eccesso di colore EB-V. Maggiore è l’arrossamento, minore il flusso nel blu, maggiore la magnitudine nel blu B, maggiore l’indice di colore osservato e, di conseguenza, più elevato l’eccesso di colore. L’eccesso di colore è correlato all’estinzione (o

assorbimento, absorption) AV nella banda del visibile V, dalla relazione VBV EA −⋅= 2,3 . Una volta calcolata,

l’estinzione AV si utilizza per correggere i valori di magnitudine apparente misurati 5log5)( 10 +−−= DAmM V

13.2 GasIl gas è costituito essenzialmente da idrogeno (73% in massa), elio (25% in massa) e da minime percentuali di altri elementi (2% - in prevalenza O, C, N, Ne, S, Si, Fe). Presenta una densità media di 1 particella per centimetro cubo La pressione è circa 1025 volte inferiore a quella atmosferica.

I diversi elementi possono presentarsi, a seconda delle condizioni termodinamiche del gas sia in forma atomica (neutra o ionizzata) che in forma molecolare. In particolare l’idrogeno si presenta in forma:- ionizzata (Regioni H II) - atomica (idrogeno neutro o Regioni H I) - molecolare (H2)L’idrogeno neutro (atomico) e quello ionizzato si osservano facilmente. L’idrogeno neutro (HI) emette una riga di 21 cm, il secondo emette nel visibile la tipica radiazione rossa della serie di Balmer (riga Hα) dell’idrogeno eccitato. L’idrogeno molecolare è invece difficile da osservare direttamente e per rilevarlo si utilizza come sonda la molecola di CO (la seconda molecola per abbondanza dopo l’idrogeno molecolare - CO/H2 = 1/105), la quale viene eccitata ed emette proprio grazie agli urti con l’H2 un’intensa riga di 2,6 mm (ed a 1,3 mm).

13.3 DistribuzioneGas e polveri si concentrano prevalentemente sul piano galattico ed in particolare sulle braccia della spirale, dove presentano una concentrazione dieci volte maggiore rispetto allo spazio interbraccia.Le braccia sono disegnate da nubi di idrogeno atomico diffuso (regioni HI) punteggiate da densi agglomerati di idrogeno molecolare (nubi molecolari giganti)

• Il 50% circa del mezzo interstellare si trova diffuso nelle spire a formare le cosiddette regioni HI dell’idrogeno neutro (atomico), con una densità particellare intorno a 10 particelle/cm3 ed una temperatura dell’ordine di 102 °K. Come si ricorderà fu proprio la mappatura di tale gas (Edward Purcell e Harold Ewen – 1951) a permettere di disegnare la forma a spirale della nostra galassia.

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• Il rimanente 50% va a costituire le cosiddette nubi molecolari giganti (o complessi molecolari giganti GMC), enormi strutture gravitazionalmente legate, immerse nelle vaste regioni HI. Manifestano un’elevata estinzione per la presenza di elevate quantità di polveri, che proteggono le sostanze allo stato molecolare dagli effetti distruttivi della radiazione ad alta frequenza (UV, X, gamma etc). Sono costituite in primo luogo da idrogeno molecolare, ma in esse si trova una grande varietà di altre specie chimiche molecolari. La temperatura relativamente bassa (10 K) e la elevata densità (ρn ≈ 103/104 cm-3) ne fanno i luoghi ideali per la formazione stellare. Nonostante presentino una maggior pressione rispetto al gas che le circonda, sono sostanzialmente stabili e non si espandono essendo probabilmente corpi autogravitanti. Dopo gli ammassi globulari, sono gli oggetti più massicci esistenti nella nostra galassia, con masse dell’ordine di 105/106 M . Finora ne sono state contate circa 6.000. Al loro interno la materia nebulare può interagire in modo diverso con la radiazione proveniente dalle stelle, diventando osservabile nel visibile e formando in tal modo tre tipi fondamentali di nebulose: oscure, in emissione, in riflessione. Alcune nebulose sono note fin dall'antichità. Quella di Orione è ad esempio visibile ad occhio nudo quando il cielo è particolarmente terso. A differenza delle stelle che presentano sempre un aspetto puntiforme, a qualsiasi ingrandimento, le nebulose ci appaiono come macchie di luce diffusa (altre come macchie scure sul cielo stellato). In passato il basso potere di risoluzione dei telescopi non permetteva di distinguere una nebulosa da una galassia ed il termine “nebulosa” veniva utilizzato per indicare indifferentemente qualsiasi oggetto dall’aspetto diffuso, non puntiforme.

Le nubi oscure sono caratterizzate da una densità che decresce radialmente in modo omogeneo dall’interno verso l’esterno. Sono individuabili per l’elevata estinzione che producono sulle stelle retrostanti e si manifestano pertanto come macchie scure sul fondo stellato. Presentano dimensioni di pochi parsec (5-10 pc) e masse pari a 102-103 M . Quando le dimensioni non superano il parsec sono dette globuli. Quando si presentano come striature scure allungate sono dette proboscidi.

Le nebulose in emissione sono regioni di idrogeno ionizzato (regioni H II) da stelle giovani e massicce (ammassi aperti giovani, associazioni O-B), che presentano la tipica colorazione rossastra dell’idrogeno in emissione. La dimensione di una regione HII (Raggio di Strömgren) e la sua luminosità dipendono dal tipo spettrale (e quindi dalla temperatura) della stella eccitante. Le regioni H II possono essere per questo motivo utilizzate come indicatori di distanza. La pressione molto elevata che caratterizza le regioni HII (T ≈ 104

°K ; ρn ≈ 102/103 cm-3) ne fa delle strutture non in equilibrio e dunque in espansione, destinate a dissolversi nel giro di qualche milione di anni. La bassa densità particellare è responsabile (come avviene anche nelle nebulose planetarie) della formazione di righe proibite.

Se le stelle che si formano sono più fredde, il gas e le polveri circostanti diffondono e riflettono la radiazione emessa, producendo nebulose in riflessione. Poiché le radiazioni diffuse con maggior efficienza sono quelle a minor lunghezza d’onda, le nebulose a riflessione presentano caratteristici colori bluastri (il cielo diurno è azzurro per la stessa ragione).

Recentemente si è scoperto che l’idrogeno atomico che forma le spire (Regioni HI) è in equilibrio di pressione con altre due fasi gassose: - Un mezzo internebulare caldo, che separa le regioni HI, con una densità particellare intorno a

10-1 particelle/cm3 ed una temperatura dell’ordine di 104 °K. Costituisce circa il 50% del volume del mezzo interstellare;

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- Un gas coronale caldissimo, che si estende fuori dal disco galattico fino all’alone, con una densità particellare intorno a 10-3 particelle/cm3 ed una temperatura dell’ordine di 106 °K. Pur contenendo una minima frazione della massa, costituisce circa il rimanente 50% del volume del mezzo interstellare. È stato scoperto nel 1976 da E.B.Jenkins e D.M. Elmegreen e si ritiene possa essersi formato al passaggio delle onde d’urto delle esplosioni di supernova.

Come si diceva, le tre fasi sono in reciproco in equilibrio, non evidenziando alcuna tendenza ad espandersi l’una a spese dell’altra. Ciò dipende dal fatto che esse presentano sostanzialmente i medesimi valori di pressione, come si può dedurre dal fatto che il prodotto della densità particellare per la temperatura risulta sempre costante.

Ricordando infatti che la costante di Boltzmann (k = 1.380658 10-23 j k-1)) è pari al rapporto tra costante R dei gas e numero N di Avogadro, sostituendo opportunamente nell’equazione di stato dei gas perfetti si otterrà

V

nkNT

V

nRTp ==

osservando ora che nN/V è il numero di particelle per unità di volume o densità particellare (ρn), possiamo scrivere

Tkp nρ⋅=dove si dimostra che i gas in cui è costante il prodotto (ρn T), presentano la stessa pressione.

Fase Densità(particelle cm-3)

Temperatura(°K)

ρT Pressione(pascal)

Gas atomico freddo 10 102 103 10-20

Gas atomico caldo e diffuso 10-1 104 103 10-20

Gas coronale 10-3 106 103 10-20

La pressione del mezzo interstellare risulta quindi 1025 volte inferiore alla pressione atmosferica (1 atm = 101325 pascal).

14 La Galassia: Via Lattea

Il sole, le stelle, le nebulose, gli ammassi stellari sono raggruppati dalla forza di gravità in una struttura alla quale diamo il nome di Galassia. La nostra non è l'unica galassia a popolare l'universo, ma questa certezza ci deriva da scoperte relativamente recenti.Agli inizi del nostro secolo si riteneva che la nostra galassia rappresentasse da sola l'intero cosmo o addirittura, per una certa ripugnanza a considerarla completamente circondata dallo spazio vuoto, che le stelle fossero distribuite in modo uniforme per tutto l'universo.Il primo a concepire l'idea che le stelle possedessero una qualche particolare distribuzione nel cosmo fu T. Wright. Nel 1750 Wright ipotizzò che le stelle fossero disposte su di una lastra circolare di spessore finito. Herschel dette verso la fine del '700 consistenza scientifica a tale ipotesi, attraverso un lungo e paziente conteggio delle stelle che giunse a dimostrare come esse fossero più frequenti nella direzione del disco galattico che nella direzione ad esso perpendicolare. Egli propose correttamente di interpretare la Via Lattea come una zona di cielo in cui le stelle apparivano più concentrate essendo disposte sul piano galattico e suggerì un rapporto spessore/diametro di 1/5.

All’inizio del ‘900 l’olandese Jacobus Kapteyn (1901), utilizzando e perfezionando le tecniche di conteggio stellare introdotte da Herschel stimò per la prima volta le dimensioni del disco galattico (26.000 x 6.500 al), ponendo però il sole quasi al centro del sistema.

Un'idea più concreta sulla reale struttura della galassia, sulle sue dimensioni e sulla posizione del sole al suo interno si iniziò ad avere solo nel 1918 quando H. Shapley, utilizzando le cefeidi presenti negli ammassi globulari, ne determinò la distanza e scoprì che presentavano una

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distribuzione sferica. Egli propose correttamente che il centro della galassia dovesse coincidere con il baricentro dell'alone galattico costituito dagli ammassi globulari. Emerse allora che il sole non si trovava, come molti ritenevano, al centro della galassia, ma a circa 3/5 del raggio.

Shapley non poteva però sapere che le cefeidi degli ammassi globulari erano RR Lyrae, molto meno luminose delle cefeidi classiche. In tal modo egli sovrastimò le distanze degli ammassi globulari e la nostra galassia risultò erroneamente possedere dimensioni eccessive (250.000 al). In questo modo sembrava che tutti gli oggetti osservabili rientrassero nei limiti della galassia ed in definitiva che quest’ultima fosse l’unica struttura dell’universo.

A tale ipotesi era nettamente contrario H.D.Curtis, il quale aveva stimato in un milione di anni luce la distanza della nebulosa di Andromeda e riteneva pertanto che si trattasse di una struttura che, come molte altre, si trovasse al di fuori della nostra galassia.

Si accese una grande disputa che divise in due fazioni il mondo accademico sulla unicità o meno della nostra galassia nell’universo.Il primo a congetturare che alcune nebulose osservate nella nostra galassia fossero in realtà esse stesse galassie esterne alla nostra (universi-isola) fu Kant nel 1755. Naturalmente ciò rimase per molto tempo una pura supposizione fino a quando nel 1923 Hubble riuscì a risolvere, con il telescopio di 2,5 metri di Monte Wilson, la nebulosa di Andromeda in stelle separate ed identificò nelle sue spire alcune Cefeidi che gli permisero di calcolarne la distanza. Essa si rivelò di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi altro corpo celeste fino ad allora osservato all'interno della nostra galassia. La nebulosa di Andromeda era diventata la galassia di Andromeda, la prima galassia ad essere osservata. Una galassia a spirale con la materia che si concentrava in spire su di un disco galattico.Nel 1927 Lindblad e Oort dimostrarono, attraverso l'analisi dei red-shift e dei blu-shift stellari, che la nostra galassia ruotava intorno al centro galattico.

Il sole ad esempio compie una rivoluzione completa intorno al centro galattico in circa 200 milioni di anni con una velocità di circa 250 km/s.

Il moto delle stelle nella galassiaIl moto rispetto al sole delle stelle appartenenti alla nostra galassia può essere evidenziato misurandone separatamente la componente radiale e la componente tangenziale. La componente radiale (Vr = cz) è la più semplice da misurare in quanto produce uno spostamento delle righe spettrali osservate (red o blu-shift). La componente trasversale (moto proprio) è evidenziabile solo per stelle sufficientemente vicine a noi da produrre spostamenti significativi sulla volta celeste.

Tale componente si misura in frazioni di secondi d'arco all’anno (moto proprio µ in arcsec/anno) e solo conoscendo anche la distanza della stella d è possibile convertire tale velocità angolare in una velocità lineare trasversale (Vt = µ d). Si tenga presente che è necessario convertire l’unità di misura del moto proprio da arcsec/anno in rad/s e la distanza d da parsec in km in modo che la velocità trasversale venga data in km/s.

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( )( ) ( ) ( )µ

µarcsec / anno

arcsec / rad s / annorad / s

206 265 31557 600. . .⋅= ( ) ( ) ( ) ( )d pc UA pc km UA d km⋅ ⋅ ⋅ =206 265 1496 108. / . /

dove, 206.265 è il numero di secondi di grado contenuti in un radiante (ed anche il numero di unità astronomiche contenute in un parsec) e 31.557.600 è il numero di secondi di tempo contenuti in un anno giuliano di 365,25 giorni. In definitiva si avrà

Vd

dt =⋅ ⋅ ⋅

= ⋅ ⋅µ

µ1 496 10

31557 6004 74

8,

. .,

Quando sono note entrambe queste componenti sarà evidentemente possibile calcolare la velocità risultante (Vs = Velocità spaziale). Si tenga presente comunque che, poiché sia il sole che le stelle sono in movimento rispetto al centro

galattico, la velocità spaziale rappresenta la velocità della stella rispetto al sole (supposto fermo).La velocità spaziale rappresenta quindi la differenza tra la velocità della stella (Vst) e la velocità del sole (Vso) misurate rispetto al centro della

galassia.

V V VS St So= −Se prendiamo in considerazione le velocità spaziali delle stelle che si trovano nelle immediate vicinanze del sole, abbiamo l’impressione che il sole presenti un moto di traslazione verso un punto della costellazione di Ercole detto apice solare (di coordinate equatoriali α = 270° δ = + 30°), alla velocità di circa 19,5 km/s. Tale moto si manifesta tramite la sola componente radiale: un blu-shift per le stelle prossime alla posizione dell’apice ed

un red-shift per le stelle in posizione opposta (anti-apice), mentre le stelle che si trovano in posizione laterale non presentano alcuna componente radiale, ma solo dei moti propri.

Nel 1951 venne infine la conferma che anche la nostra è una galassia a spirale come Andromeda. Il risultato fu acquisito grazie ad un lavoro di mappatura dell'idrogeno neutro presente nel disco galattico (iniziato da Edward Purcell e Harold Ewen). L'idrogeno è infatti l'elemento di gran lunga più diffuso nell'universo. Negli spazi interstellari esso si trova a bassissima temperatura come idrogeno neutro. Nel suo stato fondamentale il protone e l'elettrone dell'idrogeno si presentano con spin antiparalleli. Assorbendo una minima quantità di energia l'idrogeno passa in uno stato eccitato, in cui protone ed elettrone possiedono spin paralleli. Quando infine l'idrogeno ritorna nel suo stato fondamentale emette una caratteristica riga spettrale di 21 cm (come previsto nel 1944 dall’olandese Hendrik van de Hulst).Tale radiazione non è naturalmente osservabile con un normale telescopio ottico, ma con un radiotelescopio opportunamente sintonizzato. Inoltre su tale lunghezza d'onda non si hanno fortunatamente i fenomeni di diffusione ed interferenza da parte della enorme quantità di polveri concentrati nel disco galattico che rendono ardua l'osservazione ottica.L'idrogeno neutro del disco galattico è stato in tal modo accuratamente mappato e se ne è potuta osservare una caratteristica distribuzione in spire.

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Negli anni '60 e '70 sono stati scoperti gli spettri di altre molecole nello spazio interstellare, come quello dell'ammoniaca (NH3), della formaldeide (H2CO), dell'ossido di carbonio (CO) etc.

Ma probabilmente la scoperta che fece più scalpore fu quella dell'acido formico (HCOOH) e della metilammina (CH3NH2), le quali reagendo sono in grado di formare il più semplice degli

aminoacidi, la glicina.

Tutti i dati raccolti fino ad oggi ci permettono di tracciare un modello galattico piuttosto attendibile.La nostra galassia ha dunque la forma di un disco del diametro di circa 100.000 anni luce. Lo spessore del disco è mediamente di 1500 anni luce, ma in prossimità del centro è presente un rigonfiamento detto bulbo (bulge) o nucleo galattico che presenta uno spessore di circa 15.000 anni luce. Il disco galattico è racchiuso in un guscio sferico di ammassi globulari, in cui la materia interstellare (gas e polveri) è estremamente rarefatta.La maggior parte della materia (stelle, ammassi aperti, materia interstellare) è infatti distribuita in spire all'interno del disco galattico.Le spire ruotano sul piano galattico nella stessa direzione delle stelle, ma con velocità inferiore (circa la metà) rispetto ad esse. Secondo i modelli attuali le spire sarebbero quindi delle semplici onde di densità della materia, luoghi in cui il "traffico stellare" risulta momentaneamente rallentato e quindi più intenso. Il modo in cui i bracci a spirale si formano e sopravvivono è tuttavia ancora oggetto di studio e l'esistenza di molti modelli alternativi che tentano di risolvere il problema dimostra come la soluzione non appaia ancora a portata di mano.Gli astrofisici hanno stimato la massa galattica in 200 miliardi di M . Conoscendo infatti la massa del sole, la sua distanza dal centro galattico e trattando la galassia come un sistema kepleriano è possibile utilizzare la terza legge di Keplero.

Data l'incertezza dei dati a disposizione possiamo effettuare un'analisi dimensionale, limitandoci agli ordini di grandezza.

La massa del sole è pari a Ms ≈ 2 1033 g

La sua distanza dal centro galattico è D ≈ 3 104 al ≈ 3 1022 cm

Il suo periodo di rivoluzione è Ps ≈ 2 108 anni ≈ 6 1015 s

applicando la terza di Keplero

32

2

)(

4R

MMGP

Gs += π

esplicitiamo la massa della galassia MG

( ) ( )( )

MR

G PM gG s=

⋅− =

⋅ ⋅ ⋅

⋅ ⋅ ⋅− ⋅ ≈ ⋅

4 4 314 3 10

6 67 10 6 102 10 4 10

2 3

2

2 22 3

8 15 233 44π ,

,

Dividendo infine per la massa del sole si ottiene appunto la massa galattica in masse solari, pari 2 1011 M

Ciò naturalmente non significa che la galassia possieda 200 miliardi di stelle, poiché molta materia non si trova concentrata nelle stelle, ma nelle polveri e nei gas interstellari. Si stima quindi che la galassia contenga circa 100 miliardi di stelle e che la massa rimanente sia presente sotto forma di materia diffusa o collassata.Recentemente alcuni dati sembrano indicare la presenza intorno alla galassia di un enorme alone di materia oscura (non luminosa) che manifesta i suoi effetti gravitazionali modificando il comportamento dinamico della rotazione galattica.

Le misure effettuate sulla massa luminosa di molte galassie indicano un rapporto medio M/L dell'ordine di 10 – 20 M /L. Il che significa che mediamente la porzione luminosa di una galassia che emette la stessa quantità di luce prodotta

dal nostro sole, possiede una massa da 10 a 20 volte superiore. La nostra galassia dovrebbe pertanto avere una luminosità pari a circa 1010 L .

La densità media delle stelle nella nostra galassia è stimata attorno a 10-2 al-3, pari a circa 1 stella per ogni 100 anni-luce cubici, che equivale ad una distanza media di circa 5 anni-luce tra stella e

74

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stella. Se infatti la distanza media tra due stelle è d, il numero di stelle per unità di lunghezza è 1/d, il numero di stelle per unità di superficie è 1/d2 ed il numero di stelle per unità di volume (ρS) è 1/d3. Se ne deduce pertanto che in un aggregato tridimensionale di elementi la distanza che media che li separa è pari a

aldS

5101 3 2

3 ≈=ρ

=

La misura della parallasse ha permesso di individuare circa 6700 stelle in un raggio di 55 al. Utilizzando tale dato è possibile stimare la densità delle stelle comprese in una sfera di 55 al di raggio.

322

342

34

1055

6700 −− ⋅≈π

=ρ alstelleR

nSS

Approssimando ora la galassia con un disco di raggio R = 50.000 al e spessore medio h = 1.500 al, il volume galattico sarà πR2h ed il numero totale N di stelle contenute nella nostra galassia sarà dunque pari al volume galattico per il numero di stelle contenute nell'unità di volume

11222 1010500.1000.50 ≈⋅⋅⋅π=ρ⋅π= −ShRN

In ottimo accordo con le stime dinamiche.

15 Le Galassie

Andromeda è la galassia a noi più vicina, poco più di 2 milioni di anni luce, e molto simile alla nostra galassia per massa e struttura. Oltre ad Andromeda l'universo risulta popolato a distanze sempre maggiori da un numero enorme di galassie. Si stima ne esistano oltre un centinaio di miliardi.

15.1 Morfologia e classificazioneIn base alla loro forma le galassie sono classificate in spirali, ellittiche ed irregolari. In alcune galassie a spirale le spire non partono dal nucleo galattico ma dall'estremità di un segmento di materia che attraversa il nucleo stesso e per questo motivo sono dette spirali barrate.Un tempo si pensava che le galassie nascessero come ellittiche per poi trasformarsi in spirali (Hubble). Oggi si ritiene invece che la struttura della galassia dipenda essenzialmente dalle particolari condizioni dinamiche e cinematiche della nube protogalattica.Secondo gli astrofisici infatti le galassie si sarebbero formate dalla frammentazione del gas primordiale in immense condensazioni nebulari (protogalassie), ciascuna in rotazione intorno ad un proprio asse e soggette ad un moto di contrazione gravitazionale.Se le velocità di rotazione e di contrazione della nube protogalattica sono tali per cui la materia che sedimenta sul piano del disco ha il tempo per essere totalmente utilizzata nella formazione di stelle di alone di prima generazione, si dovrebbe formare una galassia ellittica. In caso contrario parte della materia nebulare, arricchita di elementi pesanti dall'esplosione delle supernovae più massicce, raggiunge il piano contribuendo a formare galassie a spirale.

15.2 Galassie peculiari: Nuclei Galattici Attivi (AGN)

75

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Gli AGN (Active Galactic Nuclei) costituiscono un gruppo di oggetti celesti, caratterizzati da luminosità estremamente elevate (fino a 1015 L ) e da una emissione non termica (non di corpo nero).Si manifestano in modi diversi, ma oggi si ritiene che possano essere ricondotti ad un comune modello galattico. Gli astrofisici ritengono infatti che tutti gli oggetti classificati come AGN siano galassie con i nuclei interessati da fenomeni esplosivi di enormi proporzioni di cui non conosciamo la natura. Il candidato più probabile a fungere da motore centrale (central engine) per gli AGN dovrebbe essere il solito enorme buco nero. Dal nucleo galattico si dipartono getti di materia luminosa che si allontanano in direzione perpendicolare al disco galattico (jets). Il nucleo è inoltre circondato da nubi emittenti di gas e polveri in espansione indicate come BLR (Broad Lines Region = regione a linee allargate) e NLR (Narrow Lines Region = regione a linee sottili).

La larghezza delle righe in emissione è correlabile con la velocità di espansione del gas. Se la materia si espande in tutte le direzioni, parte di essa si avvicina e una parte si allontana dall’osservatore, in modo che ciascuna riga subisce contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga.

Secondo il modello unificato i diversi tipi di AGN possono essere spiegati facendo riferimento alla differente angolazione con cui un AGN viene osservato.Alcuni tra gli oggetti classificati come AGN sono le galassie di Seyfert, le Radiogalassie, i Blazar e i Quasar. Le Galassie Star-burst sono galassie peculiari a volte impropriamente classificate come AGN. Si tratta di galassie in cui l’elevata luminosità è sostenuta da un eccezionale tasso di formazione stellare (star-burst), probabilmente innescato da uno scontro con un’altra galassia. Il loro spettro ottico è molto simile a quello delle regioni HII.

Le galassie di Seyfert, sono galassie a spirale caratterizzate dalla presenza di un nucleo puntiforme, di aspetto stellare, particolarmente brillante.

Le radiogalassie sono galassie ellittiche che presentano un’emissione radio paragonabile a quella ottica e quindi fino ad un milione di volte più intensa di quella emessa nella stessa banda dalle galassie normali. L'emissione radio è concentrata in due enormi lobi che si trovano in posizione opposta rispetto alla galassia, uniti ad essa da sottili filamenti. Le onde radio sono generate dal movimento spiraleggiante del plasma intorno alle linee di forza del campo magnetico (emissione di sincrotrone).

I Blazar (ing. blaze = vampata) sono caratterizzati da una luminosità fortemente e rapidamente variabile, con periodi inferiori al giorno. Si suddividono in oggetti BL Lac (BL Lacertae) e in OVV (Optical Violently Variable).

I Quasar o QSO vennero osservati per la prima volta nel 1962. Inizialmente essi furono identificati attraverso un'emissione radio intensissima e fortemente concentrata. In seguito, puntando i telescopi ottici su di essi, venne rilevata anche una sorgente luminosa dall'aspetto stellare, puntiforme. Ciononostante, l'analisi dello spettro confermò che non poteva assolutamente trattarsi di stelle. Si coniò allora il termine di "oggetti quasi stellari" o Quasi Stellar Objects (QSO o Quasar).In un secondo tempo vennero scoperti oggetti analoghi, ma radioquieti, anch'essi classificati come quasar.Gli spettri dei quasar non furono immediatamente riconosciuti finché non si tentò di interpretarli come spettri fortemente spostati verso il rosso.Se i quasar sono oggetti così distanti, come la maggior parte degli astronomi ritiene, un semplice calcolo dimostra che la loro luminosità intrinseca deve essere enorme, superiore a quella di un'intera galassia.Ma il dato più sconcertante fu la scoperta che alcuni quasar presentavano una luminosità variabile.

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Da una parte è infatti piuttosto improbabile che un'intera galassia di stelle produca una variazione sincrona della luminosità di tutte le sue componenti.In secondo luogo è possibile dimostrare che se le dimensioni di un oggetto luminoso sono maggiori della lunghezza cT, dove T è il periodo di variabilità della luminosità, un osservatore non sarebbe in grado di percepirne la variabilità. Ciò ha come conseguenza che se un quasar presenta, come spesso avviene, un periodo di variabilità della sua luminosità di un mese, esso non può possedere un diametro superiore ad un mese-luce.Eppure da una regione così minuscola, comparabile alle dimensioni del sistema solare, viene emessa una quantità di energia maggiore di quella emessa da un'intera galassia.Gli astronomi si chiedono quale meccanismo possa produrre una quantità così elevata di energia in un volume così piccolo. Forse enormi buchi neri che stanno inghiottendo materia? Oggi si ritiene che i quasar siano i nuclei attivi di galassie così lontane da non poter essere osservate. Ma la grande lontananza dei quasar pone anche un problema evolutivo.Forse è possibile ipotizzare una relazione tra quasar, radiogalassie e galassie normali, per cui i primi rappresenterebbero forme primordiali di aggregazione della materia (ricordiamo che i quasar essendo molto distanti nello spazio, sono anche molto distanti nel tempo) destinati ad evolversi e a trasformarsi nelle odierne strutture galattiche? Tutte domande in attesa di risposta, problemi sui quali dibatte oggi la cosmologia moderna.

15.3 Distribuzione: la struttura a grande scala dell’universo

Alcune galassie appaiono talmente vicine da far supporre l'esistenza tra di esse di un legame gravitazionale. L'esistenza di ammassi di galassie (cluster) è stata ipotizzata negli anni Trenta da Fritz Zwicky e da lui stesso poco dopo confermata con la scoperta dell’enorme ammasso in Coma (Chioma di Berenice). Glia ammassi formati da qualche decina di galassie sono detti gruppi.La nostra galassia appartiene ad un piccolo ammasso formato da una ventina di galassie (quasi tutte ellittiche nane) che ruotano intorno ad un baricentro comune. Tale ammasso è detto Gruppo Locale. Il Gruppo Locale appartiene all'ammasso della Vergine, comprendente 2500 galassie (quasi tutte a spirale). Analizzando i red-shift delle galassie appartenenti al Gruppo Locale e all'ammasso della Vergine a cui esso appartiene è stato possibile evidenziare un movimento di caduta del Gruppo Locale verso il Centro dell'ammasso della Vergine alla velocità di circa 220 km/s. Ragionando in termini di ordine di grandezza, un ammasso tipico è una struttura delle dimensioni di 10 Mpc contenente 103 galassie, con una densità dell’ordine di 1 galassia per Mpc3 ed una distanza media tra galassie di 1 Mpc. Le stime dinamiche della massa (massa del viriale) è dell’ordine di 1015

masse solari, circa 1 ordine di grandezza più elevata della semplice somma delle masse delle singole galassie. Gli ammassi presentano pertanto tipicamente un rapporto M/L dell’ordine di 300h M /L .

L’esistenza di raggruppamenti di ordine superiore, i superammassi (supercluster), formati da aggregati gravitazionali di ammassi di galassie, fu ipotizzata nel 1953 da Gerard de Vaucouleurs. Le sue osservazioni lo indussero a ritenere che il Gruppo Locale, l’ammasso in Ercole, l’ammasso in Coma e l’ammasso in Vergine fossero gravitazionalmente legati a formare una enorme struttura appiattita (Superammasso Locale) di cui l’ammasso in Vergine costituiva il centro. L’ipotesi di de Vaucouleurs tardò ad essere accettata, ma i dati osservativi non sembrano lasciare dubbi sull’esistenza del Superammasso Locale e di numerose altre analoghe strutture. Le prime conferme vennero nel 1959 con il lavoro di classificazione eseguito da George Abell su 2712 ammassi, le cui posizioni suggerivano chiaramente una loro distribuzione non omogenea nello spazio ed in seguito con i lavori di mappatura bidimensionale di Jim Peebles e tridimensionale di Margaret Geller e John Huchra. I superammassi sono tra loro separati da immensi spazi vuoti (voids). L'universo su grande scala mostra oggi una struttura spugnosa, con gli ammassi ed i superammassi che si distribuiscono in enormi filamenti e superfici curve, aventi uno spessore minore di un decimo delle

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loro dimensioni, che racchiudono bolle di spazio prive, almeno apparentemente, di materia luminosa delle dimensioni di 100 Mpc. Riuscire a giustificare una tale distribuzione di materia è oggi uno dei problemi centrali della cosmologia. Sempre in termini di ordine di grandezza, un superammasso tipico è una struttura delle dimensioni di 100 Mpc contenente una decina di ammassi, tra loro separati da una distanza media di qualche decina di Megaparsec. La massa è dell’ordine di 1016 M , con un rapporto M/L analogo a quello misurato per i singoli ammassi.

La distribuzione di materia nell'universo appare estremamente irregolare su piccola scala. Ma l'omogeneità cresce con la scala, tanto che gli astronomi sono convinti che l'universo possa considerarsi fondamentalmente omogeneo ed isotropo a grandissima scala, cioè su distanze superiori ai 100 Mpc.

Recenti lavori di conteggio di galassie hanno evidenziato una densità media delle galassie dell’ordine di 10-2 Mpc-3 (vedi “L’origine della struttura dell’universo” in Le Scienze n 285 maggio ’92). È stata censita un’area che copre il 10% della sfera celeste, per una profondità di 2 miliardi di anni luce (circa 610 Mpc), individuando circa 2 milioni di galassie. Tenendo conto che una sfera di tale raggio occupa un volume di circa 109 Mpc3 e che il conteggio ha interessato il 10% di tale volume (108 Mpc3), la densità media di galassie nell’universo risulta di 2 galassie per 100 Megaparsec cubici

328

6

10210

102 −− ⋅⋅=⋅==ρ MpcgalassieV

nGG

Attualmente la porzione di universo osservabile (distanza-orizzonte), per un universo euclideo, vale

MpchH

ctcO

oo 2000

3

2 1−≈=⋅=

dove h è un fattore di incertezza sul valore della costante di Hubble. Una sfera di tale raggio ha un volume di circa 1010

Mpc3 il quale dovrebbe dunque contenere circa 108 galassie (ng = VU dg = 1010 10-2 = 108), raggruppate in 105 ammassi, a loro volta riuniti in 104 superammassi, per una massa totale dell’universo osservabile dell’ordine di 1020 M (contro una Massa Critica dell’ordine di 1022 M ).

16 Moti della terra

16.1 Moto di rotazioneLa terra ruota attorno al proprio asse in circa 24 ore con un movimento antiorario se osservato dal polo Nord Celeste (proiezione lungo l'asse terrestre del polo Nord terrestre sulla volta celeste). Il movimento avviene cioè da W verso E.

16.1.1 Prove del moto di rotazioneOggi possiamo facilmente verificare direttamente tale rotazione attraverso l'osservazione da un satellite in orbita. In passato sono stati invece effettuati esperimenti per dimostrare indirettamente l'esistenza di tale moto. I più famosi si devono a G.B. Guglielmini (1691) e J.B. Foucault (1851).

16.1.1.1 Esperienza di Guglielmini

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Struttura numero componenti Dimensione (Mpc)

Massa (M .)

Galassia 1011 stelle 10-2 1011

Gruppo 10 galassie 1 1013

Ammasso 103 galassie 10 1015

Superammasso 10 ammassi 102 1016

Universo Osservabile 104 superammassi 2000h-1 1020

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Lasciando ripetutamente cadere un grave dalle torri di Bologna Guglielmini verificò che esso non cadeva lungo la verticale individuata dal filo a piombo, ma sistematicamente spostato verso Est. Se individuiamo con A il punto di partenza del grave in cima alla torre e con B il punto a terra che si trova sulla perpendicolare di A, è facile verificare che se la terra ruota A deve muoversi ad una velocità lineare maggiore di B. Trovandosi infatti ad una maggior distanza dall’asse di rotazione terrestre (DA > DB) la velocità lineare di A (VA = ω DA) è maggiore della velocità lineare di B (VB = ω DB). In altre parole quando la terra ha effettuato in 24 ore una rotazione completa A deve aver percorso una circonferenza maggiore di B nello stesso tempo (24 ore). Per il principio di inerzia il grave lasciato cadere da A deve conservare anche mentre cade la velocità iniziale che caratterizzava la cima della torre e giungendo a terra si troverà un po' più avanti (nella direzione del moto di rotazione terrestre) di B che ruota più lentamente. Poichè il corpo cade sempre spostato verso Est rispetto alla perpendicolare ciò dimostra che la direzione di rotazione della terra è da Ovest verso Est.

16.1.1.2 Esperienza di Foucault Il piano di oscillazione di un pendolo ha la caratteristica di mantenere invariato il suo piano di oscillazione rispetto all'universo (stelle fisse).Foucault appese un pendolo alla cupola del Pantheon a Parigi e lo fece oscillare in modo che la sua punta tracciasse un solco sulla sabbia disposta sul pavimento dell'edificio. Con il passare del tempo il piano di oscillazione ruotava . Non potendo trattarsi di una effettiva rotazione del piano di oscillazione del pendolo, l'unica spiegazione possibile rimaneva una rotazione della terra intera e quindi del pavimento sul quale il pendolo stava lasciando le sue tracce.Se l'esperimento venisse condotto ai poli il piano di oscillazione eseguirebbe una apparente rotazione completa di 360° in 24 ore. All'equatore non si avrebbe alcuna rotazione, mentre a latitudini intermedie in 24 ore la rotazione sarebbe minore di 360°, tanto minore quanto minore è la latitudine.Se la latitudine è pari a ϕ , il piano di oscillazione del pendolo compie in 24 ore una rotazione pari a 360° sen ϕ , con una velocità angolare di 15 sen ϕ gradi all'ora. Per compiere quindi una rotazione completa (giorno pendolare) di 360° impiega

( ) ϕϕ sensen

h

ho

o 24

15

360/

=⋅

16.1.2 Conseguenze del moto di rotazione terrestre

16.1.2.1 Alternarsi del dì e della notte La rotazione della terra espone evidentemente la sua superficie ad un continuo cambiamento di condizioni di illuminazione rispetto alla luce proveniente dal sole. Poichè la terra ruota da Ovest verso Est, il sole sembra sorgere ad Est, effettuare un movimento apparente di salita lungo un arco di circonferenza sulla volta celeste, per poi ridiscendere e tramontare ad Ovest. Quando il sole raggiunge il punto più alto della sua traiettoria apparente si dice che si trova in culminazione (mezzogiorno solare). Il sole è in culminazione su di un punto della superficie terrestre quando sta transitando esattamente sopra il meridiano passante per il luogo.Il sole è sufficientemente distante dalla terra da poter considerare i suoi raggi paralleli tra loro. In tal modo la terra risulta costantemente divisa in due parti uguali, una illuminata ed una oscura, da un

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cerchio massimo detto circolo di illuminazione. In realtà, a differenza della luna, dove la mancanza di atmosfera produce una netta separazione tra ombra e luce, sulla terra il circolo di illuminazione non è netto. I fenomeni di rifrazione e di diffusione della luce solare prodotti dalla presenza dell'atmosfera terrestre, producono una zona di penombra, detta crepuscolo. In altre parole i raggi solari che in assenza di atmosfera sfiorerebbero solamente la superficie terrestre senza colpirla, vengono deviati e vanno ad illuminare parzialmente una piccola porzione della zona in ombra, producendo l'illuminazione tipica dell'alba e del tramonto.

16.1.2.2 Le forze d’inerzia: forza centrifuga e forza di Coriolis Un osservatore solidale con un sistema in moto accelerato, qual è appunto un sistema in rotazione, non verifica il principio di inerzia, nel senso che sperimenta fenomeni in disaccordo con esso. I sistemi in moto accelerato sono perciò detti sistemi non inerziali. In essi, corpi apparentemente non soggetti a forze, manifestano accelerazioni. In realtà si può dimostrare che la comparsa di tali accelerazioni è legata al particolare sistema di riferimento considerato ed esse non esisterebbero se il sistema fosse fermo o si muovesse di moto rettilineo uniforme. Paradossalmente in un sistema accelerato l'inerzia di un corpo si manifesta come una accelerazione apparente. Per questo motivo tali accelerazioni apparenti vengono attribuite a forze fittizie dette forze d'inerzia. Le forze d’inerzia, come le accelerazioni ad esse correlate, sono grandezze vettoriali.

Generalità sui corpi in rotazione Dato un corpo rigido in rotazione attorno ad un asse, tale che, dopo un intervallo di tempo ∆t esso abbia ruotato di un angolo ∆θ, si definisce velocità angolare istantanea il limite per ∆t → 0 del rapporto tra la variazione dell'angolo di rotazione (espresso in radianti) e l'intervallo di tempo ∆t (derivata dello spostamento angolare rispetto al tempo)

dt

dϑϑω =∆∆

→∆ tlim=

0t

Si conviene inoltre di associare a tale grandezza scalare un vettore

r parallelo all'asse di rotazione e con il medesimo verso che avrebbe il moto di avanzamento di una vite (destrorsa) che ruoti nello stesso senso del corpo considerato. In tal modo, detto

rr il vettore

distanza che congiunge un punto P del corpo con un punto qualsiasi dell'asse di rotazione, è sempre possibile calcolare la velocità lineare

rv del punto P come il

prodotto vettoriale

vr

=∧ω ed in modulo v r= ⋅ ⋅ω αsendove α è l'angolo (convesso, minore di 180°) compreso tra i due vettori, cosicché r sin α è la proiezione di r sulla retta perpendicolare che congiunge il punto P all'asse di rotazione e rappresenta dunque la distanza di P dall'asse. Nel caso della terra è facile verificare che, utilizzando il raggio terrestre, la velocità lineare di un punto a latitudine ϕ è pari a

ϕωαω cos⋅⋅=⋅⋅= rsenrvSi rammenti che il prodotto vettoriale

A B∧ è

uguale ad un vettore C che ha per modulo (AB

sin α), pari all’area del parallelogramma avente per lati i vettori A e B (dove α è l’angolo convesso), direzione perpendicolare al piano individuato dai due vettori, mentre il verso è dato dalla regola della mano destra (se le dita della mano destra accompagnano la rotazione

di A verso

B lungo l’angolo α, il pollice esteso individua il verso del vettore

C ).

16.1.2.3 Forza centrifuga e schiacciamento polare 80

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La più comune forza d'inerzia è la forza centrifuga che si manifesta su corpi ancorati ad un sistema in rotazione. Un osservatore solidale con un riferimento rotante (una giostra ad esempio) si sente spinto verso l'esterno in direzione normale all'asse di rotazione. Tale sensazione è un effetto dell'inerzia che tenderebbe a far muovere l'osservatore di moto rettilineo uniforme rispetto al sistema esterno fisso, lungo la direzione tangente al suo moto rotatorio.L’effetto più evidente della forza centrifuga è lo schiacciamento delle regioni polari ed il relativo rigonfiamento equatoriale. Il fenomeno si produce infatti per la maggior forza centrifuga cui sono sottoposte le regioni equatoriali rispetto a quelle polari, in virtù di una maggior distanza delle prime dall'asse di rotazione. Si può dimostrare che tale forza è proporzionale ad una accelerazione (accelerazione centrifuga) che vale

( ) a r vc = − ∧ ∧ = − ∧ω ω ω

Con v velocità lineare di rotazione del punto. E' facile verificare che l’accelerazione centrifuga è sempre diretta in senso radiale.

16.1.2.4 Forza di Coriolis e legge di Ferrel Nel caso il corpo possieda una velocità propria vp rispetto al sistema in rotazione, oltre alla forza centrifuga, compare una seconda forza fittizia, detta forza di Coriolis (1835).Anche in tal caso si può dimostrare che tale forza è proporzionale ad una accelerazione (accelerazione di Coriolis) che vale

a vCor p= − ∧2ω

Tale forza fittizia costringe il corpo in movimento a deviare rispetto alla sua direzione iniziale. Gli effetti di tali deviazioni sono particolarmente evidenti per corpi debolmente vincolati alla superficie terrestre, come velivoli. Le deviazioni prodotte dalla forza di Coriolis sono descritte dalla legge di Ferrel. La legge di Ferrel (1860 circa) afferma che un corpo in movimento sulla superficie terrestre, subisce una deviazione rispetto alla sua direzione iniziale, verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra nell'emisfero australe. La legge di Ferrel governa il movimento delle masse d'aria (venti) e delle masse d'acqua (correnti marine) costringendole a ruotare in modo caratteristico nei due emisferi. Per comprendere la legge di Ferrel è necessario aver chiari i seguenti concetti:a) La velocità lineare di rotazione dei diversi punti della superficie terrestre non è costante. I punti

più rapidi sono quelli che appartengono all'equatore (essendo quelli più distanti dall'asse di rotazione; V = ω D). Man mano che procediamo verso i poli incontriamo paralleli di raggio minore, i cui punti, essendo più vicini all'asse di rotazione, sono sempre più lenti.

b) Quando un oggetto si trova su di un punto della superficie terrestre ruota assieme ad essa con la stessa velocità. Nel momento in cui l'oggetto abbandona la superficie terrestre continua per inerzia a mantenere la velocità di rotazione del punto dal quale era partito.

Immaginiamo ora un aereo che si alzi in volo da un punto A sull'equatore e che proceda lungo un meridiano verso un punto B posto più a Nord. L'aereo si sposta verso punti della superficie terrestre che stanno ruotando verso Est più lentamente di quanto per inerzia non stia facendo lui (VA > VB) . In tal modo L'aereo si trova a precedere in direzione Est i punti della superficie terrestre che sta sorvolando. Ciò equivale ad una deviazione verso destra del velivolo.Allo stesso modo se l'aereo da A si alza in volo verso un punto C posto sullo stesso meridiano ma in direzione Sud nell'emisfero australe, esso si troverà ad essere più veloce dei punti che sorvola (VA > VC), precedendoli sempre in direzione Est. Ma in questo caso ciò equivale ad una deviazione verso sinistra del velivolo.

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Se ora immaginiamo che il velivolo parta da B o da C e si diriga verso il punto A sull'equatore, esso parte da punti aventi una velocità di rotazione verso Est minore del punto di arrivo. Il velivolo trovandosi così a sorvolare punti della superficie terrestre via via più rapidi si trova in ritardo rispetto al moto di rotazione terrestre, spostato cioè in entrambi i casi verso Ovest. Ciò equivale ad una deviazione verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra nell'emisfero australe. In realtà la forza di Coriolis produce deviazioni laterali solo quando il movimento avviene lungo un meridiano. Si può infatti dimostrare che negli altri casi compaiono anche delle deviazioni verticali (verso l’alto o verso il basso). In particolare se il corpo si muove lungo l’equatore la forza di Coriolis si manifesta unicamente in direzione verticale.

La forza di Coriolis in dettaglio

Per una trattazione più dettagliata e precisa degli effetti della forza di Coriolis è necessario determinare caso per caso la direzione del vettore accelerazione con le regole del prodotto vettoriale. Possiamo in generale affermare che tale forza si manifesta su tutti i corpi in movimento rispetto alla superficie terrestre, con l'eccezione dei casi in cui i vettori

v e ω hanno la stessa direzione (in caso di parallelismo l'angolo compreso tra i

vettori è nullo ed essendo sin 0 = 0, anche il prodotto vettoriale si annulla). Casi del genere si hanno quando un corpo si muove lungo la verticale in corrispondenza dei poli (ad esempio un grave che cade sopra un polo) o quando un corpo parte dall'equatore con direzione tangente al meridiano. Quando un corpo si muove rispetto alla superficie terrestre possiamo distinguere due casi:a) movimento tangenziale (parallelo alla superficie)b) movimento radiale (perpendicolare alla superficie)

1) Movimento tangenzialeNel caso di un movimento tangenziale è facile verificare che l'angolo α tra i vettori v e

ω

coincide con l'angolo ϕ di latitudine del corpo. L'accelerazione di Coriolis presenta in tal caso modulo pari a

a vCor = ⋅ ⋅2ω ϕsenPer la regola del prodotto vettoriale essa è sempre perpendicolare al piano individuato dai due vettori v e

ω . Consideriamo ora il caso generale in cui la direzione del vettore velocità formi un angolo β qualsiasi con il meridiano passante per il luogo. Possiamo allora considerare le componenti della velocità lungo

il meridiano (v cosβ) e lungo il parallelo (v sinβ) La componente lungo il meridiano produce solo una deviazione laterale, mentre la componente lungo il parallelo produce sia una deviazione laterale che una deviazione verticale. Per rendercene conto rappresentiamo il moto di un corpo che si muova tangenzialmente ad un parallelo che non sia l'equatore, in direzione est. Come si può osservare l’accelerazione di Coriolis risulta in questo caso perpendicolare all'asse di rotazione. E' dunque possibile scomporre il suo effetto sul moto del corpo in una componente tangenziale, che lo devia verso destra, e in una componente verticale che, in questo caso, lo devia verso l'alto.

Naturalmente se il corpo si muove lungo un parallelo in direzione Ovest la componente orizzontale è diretta sempre verso la sua destra (in questo caso verso il polo nord) mentre la componente verticale è diretta verso il basso. La componente verticale è tanto maggiore quanto più la direzione del vettore velocità si scosta dalla direzione del meridiano

82

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passante per il luogo e, a parità di inclinazione, diventa via via maggiore scendendo in latitudine. In particolare un corpo che parta dall'equatore con un qualche angolo rispetto al meridiano presenta solo una componente verticale che diventa massima quando il suo moto è tangente all'equatore.In definitiva un corpo che si muova verso est subisce oltre ad una deviazione laterale anche una deviazione verso l'alto (e pesa quindi meno di un corpo fermo), mentre un corpo che si muova verso ovest subisce anche una deviazione verso il basso (e pesa quindi di più di un corpo fermo).

2) Movimento radialeNel caso di un movimento radiale (caduta di un grave, proiettile lanciato verticalmente) è facile verificare che l'angolo α tra i vettori

v e ω coincide con la colatitudine, cioè con l'angolo complementare

all'angolo di latitudine. Se dunque ϕ = 90 - α, l'accelerazione di Coriolis presenta in tal caso modulo pari a

a v vCor = ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅2 2ω α ω ϕsen cosE' semplice verificare che, per la regola del prodotto vettoriale, l'accelerazione di Coriolis è in questo caso sempre tangente al parallelo passante per il luogo e diretta verso est. Si noti come il parallelo passante per il luogo non è un cerchio massimo e la sua direzione non è quella est-ovest, ma è deviata verso nord.

16.1.3 Durata del moto di rotazione: il giornoIl tempo impiegato dalla terra per compiere una rotazione intorno al proprio asse è detto giorno. La durata del giorno risulta diversa se si prende come punto di riferimento esterno per misurare la rotazione una stella o il sole.

Essendo molto distante, una stella rappresenta un buon punto di riferimento, potendo essere considerata ferma rispetto alla terra (stella fissa). Il tempo impiegato affinché una stella fissa ritorni in culminazione su di un dato meridiano misura dunque la durata di un'effettiva rotazione di 360° della terra intorno al proprio asse. Il giorno così misurato è detto giorno sidereo e dura circa 23 ore e 56 minuti (23h 56m 4,0989s = 86.164,0989 s).In realtà il giorno sidereo può ritenersi costante solo in prima approssimazione e per intervalli di tempo sufficientemente piccoli. La terra sta infatti impercettibilmente rallentando. Le stime più recenti forniscono una variazione della velocità angolare della Terra pari a 4 ore ogni 700 milioni di anni. Si ritiene che il motivo più probabile di tale rallentamento sia da ricercare nell’azione frenante delle maree. La terra starebbe trasferendo momento angolare alla luna, la quale sta aumentando progressivamente la sua distanza al ritmo di 3,7 ± 0,2 m/secolo

Nonostante il giorno sidereo sia una misura relativamente esatta della durata della rotazione terrestre, tutte le attività umane sono regolate sulla posizione del sole e non delle stelle.Se dunque misuriamo il tempo necessario affinché il sole culmini per due volte consecutive sullo stesso meridiano (intervallo di tempo tra due mezzodì) si ottiene il giorno solare, pari a circa 24 ore. Il sole non si può però considerare fisso rispetto alla terra, poiché mentre la terra compie una rotazione intorno al proprio asse, essa si sposta contemporaneamente sulla sua orbita di un tratto di circa 1 grado rispetto al sole. (la terra impiega infatti circa 365 giorni a compiere una rivoluzione di 360° intorno al sole con una velocità angolare di circa 1° al giorno. Più precisamente impiega un

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Il fatto che circa 350 milioni di anni fa il giorno durasse 22 ore è stato confermato dall’analisi dei resti fossili di alcuni coralli del periodo Devoniano (345 - 400 milioni di anni fa). Tali fossili presentano, come d’altra parte alcuni coralli odierni, anelli di accrescimento annuali e sottoanelli giornalieri. Ma mentre i coralli attuali mostrano 365 sottoanelli per anno, i coralli del Devoniano ne mostrano 400 per anno. Poiché il periodo di rivoluzione della terra è relativamente costante, l’anno presentava allora lo stesso numero di ore (365 x 24 = 8760), ma, essendo formato da 400 giorni, ogni giorno doveva essere costituito da 8760/400 ≈ 22 ore.

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anno sidereo, pari a 31.558.150 secondi, a compiere una rivoluzione intorno al sole rispetto alle stelle fisse).

Una volta che la terra ha dunque compiuto, dopo 23 ore e 56 minuti, una rotazione completa attorno al suo asse, non trova il sole nuovamente in culminazione, essendosi spostata in senso antiorario rispetto ad esso di circa un grado. Per ritrovare nuovamente il sole in culminazione la terra deve dunque ruotare ancora di un angolo pari al suo spostamento rispetto al sole, compiendo una rotazione complessiva di 361°.Poichè la terra impiega circa 24 ore per compiere una rotazione di 360° intorno al suo asse, la sua velocità angolare di rotazione sarà di 360°/24h pari 15 gradi all'ora. Per coprire un grado impiegherà quindi un quindicesimo di ora pari a 4 minuti circa (235,90s = 3m 55,9s).

Composizione dei moti orbitaliLe velocità angolari seguono delle regole di composizione identiche a quelle utilizzate per comporre le velocità lineari. Si pensi ad esempio ad un’autovettura A che si muova a 50 km/h verso un’autovettura B, la quale si avvicini a sua volta a 30 Km/h. Il risultato è il medesimo se si considera una delle due autovetture ferme e l’altra con una velocità pari a (50 - (-30) = 80 Km/h. Nel caso in cui l’autovettura B si stia allontanando nella stessa direzione di A, la sua velocità relativa risulta pari a (50 - 30 = 20 km/h). Si noti come i valori delle velocità abbiano segno concorde se il loro verso è il medesimo, discorde se il verso è contrario. In modo analogo possiamo comporre i moti orbitali.

Se ωrot e ωriv sono rispettivamente la velocità di rotazione e di rivoluzione della terra rispetto alle stelle fisse, allora la

velocità di rotazione della terra rispetto al sole può ottenersi componendo i due movimenti e sarà pari a (ωrot - ωriv). Essendo entrambi i moti diretti (antiorari) il loro segno sarà concorde.

ω ωπ π π

rot rivsid sid solG A G

− = − =2 2 2

da cui si ricava che il giorno solare dura

31.558.149,76 86164,098986400 24

31.558.149,76 86164,0989sidereo sidereo

solaresidereo sidereo

A GG s h

A G

× ×= = = =− −

86400 - 86164,0905 = 235,9095 s = 3m 55,91s più del giorno sidereo

In realtà il giorno solare non ha sempre la stessa durata costante di 24 ore. Essa varia infatti con periodicità nel corso dell’anno a causa dell’eccentricità e dell’inclinazione (o obliquità) dell’orbita terrestre. Il valore di 24 ore che noi utilizziamo rappresenta il giorno solare medio, media dei 365 giorni solari.

Effetto dell’eccentricitàPer la seconda legge di Keplero in perielio la Terra si muove più velocemente intorno al sole e quindi in 24 ore si sposta rispetto ad esso di un tratto leggermente superiore di 1°. La velocità di rotazione terrestre è invece costante e per compiere un po' più di 1° di rotazione al fine di riavere il sole in culminazione impiegherà un po' più di 4 minuti. Il giorno solare in perielio è un po' più lungo di 24 ore. Per ragioni opposte il giorno solare in afelio raggiunge la sua durata minima, inferiore alle 24 ore.

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Per effetto della diversa velocità orbitale della Terra, il giorno solare vero in perielio dura circa 8,1 s più del giorno solare medio, mentre in afelio dura circa 7,7 s meno del giorno solare medio

La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della diversa velocità orbitale della Terra, di circa 15,8 secondi nel corso dell’anno, valore che rappresenta la massima escursione nella durata del giorno solare causata dall'eccentricità dell'orbita terrestre.

Gli scarti però si accumulano nel corso dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno, occorre tenere conto di tutti gli scarti precedenti. Questo porta ad una differenza massima tra giorno vero e giorno medio di circa ± 8 minuti.

Effetto dell’inclinazione (obliquità) dell’orbitaCome abbiamo già detto, dopo un giorno sidereo la Terra si è spostata di circa un grado lungo la sua orbita intorno al Sole e dunque dovrà coprire quest’angolo con un ulteriore rotazione. Possiamo descrivere lo stesso fenomeno pensando che la Terra sia ferma e che il Sole si muova lungo l’eclittica.

L'asse di rotazione della Terra è inclinato sul piano dell'eclittica e così anche l'orbita apparente del sole. Il piano dell'eclittica è inclinato rispetto all'equatore celeste di ε = 23,44°. La proiezione della posizione del Sole sull'equatore celeste introduce un'altra variazione periodica sulla durata effettiva del giorno solare.

Quando il Sole attraversa l’equatore in corrispondenza dei punti equinoziali la sua proiezione sull’equatore si muove più lentamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta più breve del giorno solare medio. Quando invece si trova in corrispondenza dei punti solstiziali, il Sole si muove parallelamente all’equatore, la sua proiezione sull’equatore si muove più rapidamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta più lungo del giorno solare medio.

Per rendercene conto immaginiamo che il Sole si trovi nel punto gamma (equinozio di primavera) e che sia in culminazione (mezzogiorno) sul meridiano A. Dopo un giorno sidereo la Terra ha compiuto una rotazione di 360° rispetto alle stelle fisse, ma il meridiano A non ritrova il Sole in culminazione, perché il Sole si è spostato lungo l’eclittica di circa 1°. Poiché tuttavia l’eclittica è inclinata di 23,44° rispetto all’equatore, il sole non si è spostato di 1° in longitudine, ma di 1° cos(23,44°)= 0,9175°. Sarà quindi sufficiente che la Terra ruoti di 0,9175° per ritrovare il Sole in culminazione, impiegandoci dunque non 235,90 s, ma 235,90 x cos(23,44°) = 216,43 s.

Il valore 235,90 s (differenza tra il giorno solare medio ed il giorno sidereo) rappresenta dunque il tempo medio tra il tempo minimo impiegato in corrispondenza dei punti equinoziali ed il tempo massimo impiegato nei punti solstiziali pari a 235,90 / cos(23,44°) = 257,12 s

La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della obliquità dell’orbita terrestre, di 257,12 – 216,43 = 40,69 secondi nel corso dell’anno..Anche in questo caso gli scarti però si accumulano nel corso dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno, occorre tenere conto di tutti gli scarti precedenti. Questo porta ad una differenza massima tra giorno vero e giorno medio di circa ± 10 minuti.

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Equazione del tempoPer ottenere la durata reale del giorno (giorno vero) è necessario sommare gli effetti dell’eccentricità e dell’obliquità. Le due componenti con periodi di un anno e di 6 mesi sono sfasate perchè la posizione del perigeo non coincide ne’ con un equinozio, ne’ con un solstizio.Sommando i due effetti senza tener conto degli effetti cumulativi si ottiene

Osserviamo che il giorno solare più corto è il 14 Settembre (circa 22 secondi in meno del giorno solare medio), mentre il giorno più lungo è il 21 dicembre (circa 28 secondi in più del giorno solare medio). Sono differenze piccole, che però si accumulano nel corso dell'anno raggiungendo anche parecchi minuti prima di cambiare segno. Tenendo invece conto degli effetti cumulativi si ottiene

Osserviamo che il giorno solare vero più lungo cade il 44mo giorno dell’anno (13 febbraio) e quello più corto cade il 304mo giorno dell’anno (31 ottobre). Inoltre il giorno vero dura esattamente 24 ore come il giorno solare medio 4 volte all’annogiorno 106 (16 aprile)giorno 164 (13 giugno)giorno 243 (31 agosto)giorno 358 (24 dicembre)

16.2 moto di rivoluzioneLa terra possiede un moto di rivoluzione intorno al sole con movimento antiorario per un osservatore posto al polo nord celeste, che compie in circa 365 giorni e 6 ore. Il piano individuato dall'orbita terrestre è detto eclittica. L'asse di rotazione terrestre è inclinato di 66° 33' rispetto all'eclittica e di 23° e 27' (il valore esatto è 23° 26’ 21,4”) rispetto alla perpendicolare all'eclittica.

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Durante il suo moto di rivoluzione intorno al sole l'asse terrestre può essere considerato, in prima approssimazione, fermo o, per meglio dire, esso si muove intorno al sole mantenendo inalterata la sua orientazione rispetto alle stelle fisse (si usa dire che durante il moto di rivoluzione l’asse terrestre rimane sempre parallelo a se stesso).

16.2.1 Prove del moto di rivoluzione

16.2.1.1 Parallasse annua Come abbiamo già visto, le stelle più vicine alla terra sembrano oscillare rispetto a quelle più distanti (considerate fisse) a causa della diversa posizione di osservazione che la terra assume durante il suo moto di rivoluzione. L’angolo di oscillazione è tanto minore quanto più distanti sono gli astri osservati.

16.2.1.2 Diversa durata del giorno solare Abbiamo già visto come il giorno solare abbia una lunghezza diversa come conseguenza della differente velocità di rivoluzione della terra lungo la sua orbita. Tale fenomeno può dunque essere portato come prova del moto di rivoluzione terrestre.

16.2.1.3 Aberrazione delle stelle fisse Fenomeno scoperto da J. Bradley nel 1728 per il quale tutte le stelle, indipendentemente dalla loro distanza, vengono osservate in una posizione diversa da quella effettiva a causa del moto di rivoluzione della terra. Il fenomeno può essere in prima approssimazione spiegato (come fece lo stesso Bradley) nell’ambito della meccanica classica, supponendo che la velocità della luce si componga vettorialmente con la velocità della terra (la relatività speciale ha in realtà dimostrato che la velocità della luce è una costante di natura e non può comporsi con altri moti relativi). Così facendo si trova che tutte le stelle oscillano intorno alla loro posizione vera di ± 20,5 secondi di grado, quantità definita angolo di aberrazione.

Angolo di aberrazioneSupponiamo che una stella si trovi in S e che la linea visuale che congiunge S alla Terra in T formi un angolo θ con il vettore v, velocità orbitale della terra. Il risultato è ovviamente il medesimo se pensiamo la terra ferma e la stella soggetta ad un vettore controverso -v. Tale vettore può essere scomposto in una componente radiale (v cosθ), che non modifica la posizione della stella, e in una componente trasversale (v sinθ) che modifica le coordinate celesti della stella. Infatti tale componente trasversale, componendosi con il vettore velocità della luce c, produce un vettore risultante c’. In tal modo la luce della stella sembra provenire da un direzione diversa e la sua posizione apparente sulla sfera celeste viene ad essere S’. con una variazione di un angolo α delle coordinate celesti effettive. L’angolo α che la direzione vera forma con la direzione apparente, detto angolo di aberrazione, è tale che

tan αθ

=⋅v sin

cPrendiamo ora in considerazione una stella la cui direzione formi un angolo ϕ con il piano dell’eclittica (ϕ = latitudine eclitticale della stella). Possiamo facilmente osservare come la componente trasversale assuma i valori massimi in A e B, dove θ = 90° (± v sin90° = ± v) ed i valori minimi in C e D, dove θ = ϕ (± v sinϕ).Se ne deduce che ogni stella presenta sempre lo stesso angolo massimo di aberrazione (per θ = 90°), detto costante di aberrazione, che vale

tan α =v

c

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Poiché la velocità media di rivoluzione della terra è v = 29,785 km/s e la velocità della luce è c = 299.792,458 km/s, la costante di aberrazione vale α = 20,5” (l’IAU Unione Astrofisica Internazionale fornisce per l’anno 2000 il valore α = 20,495520” ± 1 10-6”). La velocità media di rivoluzione si può calcolare assumendo l’orbita terrestre come circolare, con raggio pari alla distanza media Terra-Sole (R = 1 UA, pari al semiasse maggiore a = 1,4959787 108 km) ed il periodo di rivoluzione P pari ad 1 anno sidereo (31.558.150 s)

va

P=

oppure utilizzando la 3^ legge di Keplero

( )PG M M

aS T

2 34=

ed esprimendo

il periodo in funzione della velocità media (relazione precedente) si ottiene

( )v

G M M

aS T=

+

In definitiva ogni stella presenta un’oscillazione annua massima di circa 41” (± 20,5”) intorno alla sua posizione vera (il

vettore v si orienta infatti in senso opposto ogni 6 mesi) ed una oscillazione minima, orientata perpendicolarmente a quella massima, il cui valore dipende ovviamente dalla latitudine eclitticale ϕ . Se dunque α = 20,5” è la costante di aberrazione e ϕ è la latitudine eclitticale, ogni stella descrive nel periodo di un anno un’ellisse (ellisse di aberrazione) di semiassi α e α sinϕ . Per le stelle che giacciono sul piano dell’eclittica l’ellisse degenera in un segmento di ampiezza 2α, mentre per le stelle perpendicolari al piano dell’eclittica l’ellisse diventa una circonferenza di raggio α.

16.2.2 Conseguenze del moto di rivoluzione: alternarsi delle stagioniIl fatto che sui due emisferi terrestri (boreale e australe) si alternino diverse stagioni meteorologiche è una delle conseguenze principali del moto di rivoluzione della terra. In realtà il moto di rivoluzione non è l'unico responsabile di tale fenomeno. Ad esso contribuisce anche la particolare inclinazione dell'asse terrestre ed il fatto che l'asse mantiene inalterata la sua orientazione rispetto alle stelle fisse. Se infatti l'asse fosse perpendicolare all'eclittica e non inclinato i due emisferi verrebbero raggiunti per tutti i 365 giorni dell'anno dalla stessa quantità di radiazione solare e sarebbero caratterizzati da un'unica stagione uniforme.Il moto di rivoluzione fa si che l'asse terrestre formi con la direzione dei raggi solari angoli diversi man mano che la terra procede lungo il suo cammino intorno al sole. In tal modo i raggi solari giungono con inclinazione diversa sui due emisferi nei vari periodi dell'anno creando le condizioni per il prodursi di diverse condizioni climatiche. Per descrivere il fenomeno con maggior dettaglio possiamo individuare 4 punti fondamentali dell'orbita in relazione agli angoli formati dall'asse con la direzione dei raggi solari.

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A) punto in cui è minima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (66° 33'). L’emisfero boreale e più esposto alla radiazione solare.

B) punto in cui è massima l'inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari (113° 27' = 90° + 23° 27'). L'emisfero australe è più esposto alla radiazione solare.

C) e D) punti intermedi in cui i raggi solari risultano a 90° rispetto all'asse terrestre. I due emisferi risultano egualmente esposti ai raggi solari.

Esaminiamo ora in dettaglio le condizioni di illuminazione dei due emisferi nei quattro punti precedentemente individuati.

A) SOLSTIZIO D'ESTATELa terra raggiunge tale punto poco prima di giungere in afelio. L'afelio viene raggiunto il 4 luglio, mentre il punto di minima inclinazione dell'asse rispetto ai raggi solari viene raggiunto il 21 giugno, detto solstizio d'estate.

La data del solstizio di giugno in realtà oscilla tra il 20 ed il 22 giugno e quella dell’afelio tra il 4 ed il 5 luglio a causa del meccanismo del calendario, che alterna anni civili di 365 giorni ad anni di 366.

Durante il solstizio d'estate i raggi solari risultano perpendicolari (sono allo zenit), a mezzogiorno, sul parallelo di 23° e 27' di latitudine nord. Tale parallelo è detto tropico del Cancro. I raggi solari risultano inoltre tangenti ai due paralleli che si trovano a 66° e 33' di latitudine Nord e Sud, detti rispettivamente Circolo polare artico e antartico.

Durante il solstizio d'estate tutti i punti a Nord del circolo polare artico (calotta polare artica) rimangono illuminati dal sole per 24 ore, mentre tutti i punti a Sud del circolo polare antartico (calotta polare antartica) rimangono al buio per 24 ore.

Il circolo di illuminazione individua un piano inclinato di 23° e 27' rispetto all'asse terrestre e taglia in parti diseguali tutti i paralleli che vanno dall'equatore ai due circoli tranne l'equatore, che viene diviso in due parti uguali. Nell'emisfero boreale sarà maggiore il tratto di parallelo illuminato rispetto a quello oscuro, mentre il contrario avverrà nell'emisfero australe. Ciò comporta che la

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durata del dì sarà maggiore rispetto a quella della notte nell'emisfero boreale, minore in quello australe, eguale all'equatore.

Poichè i paralleli sono tagliati dal circolo di illuminazione in parti tanto più disuguali quanto più ci avviciniamo ai circoli polari, la differenza di durata tra il giorno e la notte si farà tanto più accentuata quanto più ci sposteremo verso i poli.In tale situazione si verifica un periodo caldo nell'emisfero boreale (estate boreale) ed un periodo freddo nell'emisfero australe (inverno australe).Riassumendo l'estate è dunque legata al fatto che il polo nord in questo periodo è inclinato verso il sole ed i raggi solari risultano perciò maggiormente concentrati nell'emisfero boreale (a mezzogiorno il sole risulta più alto sull'orizzonte rispetto a quanto accade d'inverno). Inoltre quanto più un raggio solare giunge inclinato sulla superficie terrestre tanto minore sarà la quantità di energia ceduta per unità di superficie, sia perché si diluisce su di una superficie maggiore, sia perché deve attraversare un tratto più spesso di atmosfera.Inoltre l'emisfero boreale risulta riscaldato dal sole per un numero di ore più elevato rispetto all'emisfero australe (il dì è più lungo).

B) SOLSTIZIO D'INVERNOQuando dopo circa 6 mesi la terra si trova in prossimità del perielio (che raggiunge il 3 gennaio), l'asse terrestre, essendosi mantenuto parallelo si trova avere la massima inclinazione (113° e 27') rispetto ai raggi solari. E' il polo sud questa volta a puntare verso il sole. La terra si trova in solstizio d'inverno (22 dicembre). A causa del meccanismo del calendario, anche la data del solstizio di dicembre oscilla tra il 20 ed il 22 dicembre, mentre quella del perielio tra il 3 ed il 4 gennaio.

I raggi del sole sono perpendicolari al tropico del Capricorno (23°27' di latitudine Sud) e nuovamente tangenti ai circoli polari. Le condizioni di illuminazione risultano essere perfettamente capovolte rispetto al solstizio d'estate. Nell'emisfero Nord si produce una stagione fredda (inverno boreale), mentre nell'emisfero Sud una calda (estate australe).Poichè l'estate boreale cade in afelio essa è leggermente più lunga e meno calda dell'estate australe (la terra è infatti più distante dal sole e si muove più lentamente).L'inverno boreale, cadendo invece in prossimità del perielio , è leggermente più tiepido e più corto di quello australe. Il fatto che l'inverno e l'estate cadano attualmente in prossimità dell'afelio e del perielio è assolutamente casuale. Le posizioni dei solstizi ( e degli

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equinozi) sono infatti destinate a mutare gradualmente e con regolarità rispetto all'orbita terrestre. Il solstizio d’estate coincideva con l’afelio intorno al 1250 d.C. (coincidenza apsidi - solstizi), mentre gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500 d.C.

C - D EQUINOZIGli equinozi occupano una posizione intermedia tra i punti solstiziali, tale per cui i raggi solari risultano perpendicolari all'asse terrestre e giungono quindi (a mezzogiorno) perpendicolarmente all'equatore. Il calore solare viene ad essere quindi egualmente distribuito sui due emisferi. Il circolo di illuminazione coincide con i meridiani, passa per i poli e taglia tutti i paralleli in due parti uguali. Il dì dura 12 ore, come la notte. L’equinozio di primavera viene raggiunto il 21 marzo (19/21), mentre L’equinozio di autunno il 23 settembre (22/24). La linea degli equinozi risulta pertanto perpendicolare all’asse terrestre.Naturalmente mentre la terra si muove lungo la sua orbita anche l'inclinazione dei raggi solari

rispetto al suo asse e quindi alla sua superficie si modifica con regolarità. Il sole che a mezzogiorno si trova allo Zenit al tropico del Cancro durante il solstizio d'estate, con il passare dei giorni si troverà

allo Zenit (sempre a mezzogiorno) su paralleli di latitudine via via inferiore, fino a raggiungere l'equatore durante l'equinozio d'autunno, per poi scendere fino al tropico del Capricorno sul quale giungerà allo Zenit durante il solstizio d'inverno.Qui sembrerà fermarsi per riprendere il suo moto in senso contrario. Il fatto che ai due tropici il sole dia l'impressione di fermarsi per poi tornare indietro ha dato il nome ai solstizi (sol stare). Il nome degli equinozi deriva invece dal fatto che quando il sole si trova allo zenit all'equatore il dì e la notte hanno la stessa durata (aequus nox).

Risulta evidente che il sole non potrà mai trovarsi allo zenit al di fuori delle latitudini comprese tra i due tropici. Ciò dipende dall'inclinazione attuale dell'asse terrestre. Se l'asse fosse ad esempio inclinato di 30° rispetto alla perpendicolare all'eclittica, allora anche i tropici verrebbero a trovarsi a 30° di latitudine nord e sud, mentre i circoli si abbasserebbero a 60° N e S.

I due tropici ed i due circoli polari suddividono la terra in cinque zone dette zone astronomiche o climatiche. La zona compresa tra i due tropici ( l'unica zona della terra dove il sole giunge allo zenit a mezzogiorno per due volte all'anno) è detta zona torrida. Tra i tropici ed i circoli vi sono le due zone temperate (australe e boreale). Al di sopra dei circoli vi sono le due calotte: calotta polare artica e antartica.

16.3 Moto doppio conico dell'asse e precessione degli equinoziCome si è visto, durante il moto di rivoluzione, l'asse di rotazione tende a mantenere inalterata la sua orientazione. Ciò è dovuto al fatto che la terra gira attorno al proprio asse e, come tutti i giroscopi (trottole), si oppone ad ogni sollecitazione che tenda a modificarne l'assetto di rotazione

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(il momento angolare è una quantità vettoriale e si mantiene costante in modulo, direzione e verso). La luna, il sole ed i pianeti esercitano però sulla terra un'attrazione gravitazionale che risulta maggiore sul rigonfiamento equatoriale, dove è presente un eccesso di massa, rispetto ai poli. Tale attrazione tenderebbe a raddrizzare l'asse portandolo a 90° rispetto al piano dell'eclittica. Il risultato di tali forze su di un sistema rotante, qual è la terra, è quello di produrre una rotazione dell'asse il quale, facendo perno sul centro della terra, descrive due coni aventi vertice al centro della terra.

Poiché l’equatore celeste è perpendicolare all’asse terrestre, anch’esso esegue il medesimo movimento, cambiando lentamente l’orientazione rispetto alle stelle fisse. Anche la linea degli equinozi, che essendo l’intersezione dell’equatore celeste con il piano dell’eclittica risulta essere sempre perpendicolare all’asse terrestre, ruota rispetto alle stelle fisse con la stessa velocità dell’asse terrestre. Tale rotazione oraria della linea degli equinozi è nota come precessione degli equinozi. La precessione si completa in un periodo di circa 26.000 anni, detto anno platonico.

16.3.1 Conseguenze della precessione1) I punti equinoziali stanno lentamente scivolando in senso orario sull’eclittica attraverso le

costellazioni zodiacali. Tenendo conto che una costellazione dello zodiaco ha un’ampiezza di 30°, gli equinozi (ed i solstizi) percorrono ciascuna costellazione in 1/12 di anno platonico, pari a circa 2.150 anni. Se l’equinozio di primavera cadeva 2000 anni fa nella costellazione dell’Ariete, oggi cade nei Pesci. Ma in generale tutti i segni zodiacali sono slittati rispetto alle posizioni che avevano quando è nata l’astrologia (senza che gli astrologi abbiano mostrato di accorgersene).

2) Tra 13.000 anni circa l’asse terrestre, avrà compiuto mezzo giro e non punterà più verso la stella polare, ma verso Vega nella costellazione della Lira, che dista ben 47° dalla polare.

3) I punti equinoziali (e quindi le stagioni) cambiano la loro posizione rispetto all’orbita terrestre. Attualmente gli equinozi si trovano circa a metà strada tra afelio e perielio (apsidi), ma lentamente li raggiungeranno. Questo terzo punto verrà ripreso in seguito, dopo che avremo discusso dei movimenti dell’eclittica rispetto alle stelle fisse (moti millenari).

16.4 Durata del periodo di rivoluzione: l'annoViene definito anno il tempo necessario affinché la terra completi il suo moto di rivoluzione intorno al sole. Anche in questo caso la durata dell'anno dipende dal punto di riferimento considerato.

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ApprofondimentoIl fenomeno della precessione fu scoperto da Ipparco di Nicea nel 139 a.C., osservando che le longitudini eclitticali delle stelle erano tutte aumentate di una stessa quantità (circa 2°) rispetto ai valori misurati nella prima metà del III sec. a.C. (280 ca) da Aristillo e Timocari. Poiché la longitudine eclitticale è la distanza angolare di una stella rispetto al punto γ (equinozio di primavera), Ipparco ne dedusse che tale punto si era spostato nell’arco di 144 anni di circa 2° = 7200” (circa 50” all’anno). La velocità angolare di precessione rispetto alle stelle fisse (precessione generale) è

pari, secondo recenti stime dell’Unione Astrofisica Internazionale (IAU) a circa − 50 291, " ( − 50 290966, " ) per

anno giuliano (365,25 giorni solari medi) per l’anno 2000 (il segno meno indica un movimento retrogrado).La precessione generale è generata dall’effetto del sole (precessione solare - 34,6″/y), della luna (precessione lunare - 15,8 ″/y) e dei pianeti in senso diretto (precessione planetaria 0,12″/y). L’effetto cospirante del sole e della luna si dice precessione lunisolare.Il periodo necessario affinché la linea degli equinozi compia una rotazione completa di 360° (= 1.296.000 ″) rispetto alle stelle fisse sarà quindi pari a circa 26.000 anni (intervallo di tempo noto come anno platonico).

Pyeq = ≈

1296 000

50 291

. . "

, "/25.770 anni

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Rispetto ad una stella fissa noi misuriamo l'anno sidereo. Esso misura una effettiva rivoluzione di 360° intorno al sole ed ha una durata di 365 giorni 6 ore e 9 minuti circa (365d 6h 9m 10s = 365,25636 giorni solari medi = 31.558.150 s). Come al solito noi usiamo però misurare il tempo rispetto al sole. Il tempo necessario affinché la terra riassuma la stessa posizione rispetto al sole è detto anno solare o tropico. Esso misura in pratica l'intervallo di tempo tra due equinozi o due solstizi dello stesso segno (ad esempio il tempo necessario affinché la terra ritorni all'equinozio di primavera). A causa del fenomeno della precessione l'anno tropico risulta circa 20 (20m 25s) minuti più breve dell'anno sidereo e pari a circa 365 giorni 5 ore e 49 minuti (365d 5h 48m 45s = 365,24219 giorni solari medi = 31.556.925 s).

16.5 moti minori millenariCome è stato già anticipato le interferenze gravitazionali degli altri pianeti sulla terra producono altri fenomeni, tra i quali ricordiamo:

16.5.1 Movimento di rotazione della linea degli apsidil’orbita terrestre è un ellisse e le posizioni assunte dagli altri pianeti rispetto ad essa tendono a modificarne sia l'eccentricità che l’orientamento rispetto alle stelle fisse. Come conseguenza delle perturbazioni gravitazionali planetarie essa ruota in senso antiorario, facendo perno sul sole, in circa 111.500 anni. Se l’orbita rimanesse ferma rispetto alle stelle fisse, un punto equinoziale (o solstiziale) la percorrerebbe completamente in circa 26.000 anni. Ma l’orbita terrestre, e con essa la linea degli apsidi, va incontro alla linea degli equinozi e ne abbrevia in questo modo il periodo di rotazione rispetto all’eclittica a circa 21.000 anni. In altre parole gli equinozi (e naturalmente anche i solstizi) impiegano circa 21.000 anni a percorrere tutta l’orbita (ad esempio da perielio a perielio) e come conseguenza le stagioni sono destinate a manifestarsi in punti via via diversi dell’orbita. Avevamo infatti già avuto modo di dire che l’estate boreale cade oggi in prossimità dell’afelio solo

93

Durata dell’anno tropicoSia ωriv la velocità angolare orbitale della Terra rispetto alle stelle fisse e ωeq la velocità angolare della linea degli equinozi rispetto alle stelle fisse. Possiamo considerare ora la velocità relativa della Terra rispetto alla linea degli equinozi, come differenza delle due velocità precedenti (ωT - ωeq). Possiamo cioè pensare che i punti equinoziali siano fermi rispetto alle stelle fisse e che la Terra si muova rispetto alle stelle fisse con una velocità comprendente anche quella della linea degli equinozi. La Terra impiega un anno tropico (Atr) a percorrere un’orbita rispetto ai punti equinoziali. Possiamo pertanto scrivere

ω ωπ π π

riv eqsid plat trA A A

− = − −

=

2 2 2

( )( )

smh

platsid

platsidtr AA

AAA 45485365 =s 925.556.3124219,365

25,365770.2525636,365

25,365770.2525636,365 d==⋅+⋅⋅=

−⋅

=

In realtà il valore dell’anno tropico così ottenuto (365,24219 gsm) è un valore medio (anno tropico medio). Infatti la durata dell’anno tropico dipende dal punto dell’orbita che si prende come riferimento ed il suo valore è ad esempio diverso se lo si misura rispetto all’equinozio di primavera o all’equinozio d’autunno o ad uno dei due solstizi. La causa di tali differenze va ricercata nel fatto che la terra non completa la sua orbita quando ritorna allo stesso equinozio o allo stesso solstizio (per il moto di precessione di tali punti) ed il tratto parziale di orbita che ha percorso viene compiuto in tempi differenti in relazione alla diversa velocità con cui si muove nei diversi punti della sua orbita. Attualmente la durata dell’anno tropico rispetto ai diversi punti equinoziali e solstiziali è pari a

Anno Tropico Equinozio Primavera 365,24233Solstizio Estate 365,24161Equinozio Autunno 365,24207Solstizio Inverno 365,24275

Media 365,24219

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casualmente. Essa sta infatti lentamente scivolando in senso orario sull’orbita, come d’altra parte fanno tutte le stagioni. In prima approssimazione la linea degli equinozi si sovrappone alla linea degli apsidi ogni 21.000 anni circa e le stagioni si ribaltano ogni 10.500 anni. In altre parole dopo 10.500 anni circa l’asse si trova ad aver compiuto mezzo giro rispetto al sole e le condizioni termiche risultano completamente invertite (l'estate boreale si avrà non più in prossimità dell'afelio ma del perielio). Poichè intorno al 1250 d.C. il solstizio d’estate coincideva con l’afelio (coincidenza apsidi - solstizi) e la linea degli equinozi compie un quarto di giro ogni 5.250 anni circa (21.000/4) gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500 d.C.

16.5.2 Variazione dell'eccentricità dell'orbitaAttualmente la differenza tra la distanza afelio-sole e la distanza perielio-sole è di circa 5 milioni di chilometri. Tale differenza è una misura dell'eccentricità dell'orbita. Se infatti essa si riducesse a zero l'ellisse si ridurrebbe ad una circonferenza, se aumentasse l'ellisse si farebbe più eccentrica. Tale distanza è destinata a mutare da un minimo di 1 milione di chilometri ad un massimo di 14 milioni di chilometri. Il ciclo (ad esempio dal valore minimo per ritornare al valore minimo) si completa in 92.000 anni.

16.5.3 Variazione dell'inclinazione dell'asseL'asse terrestre varia la sua inclinazione rispetto alla perpendicolare all'eclittica da un minimo di 22° ad un massimo di 24°20' in un periodo di 40.000 anni circa. Naturalmente al variare dell'inclinazione dell'asse deve variare di conseguenza la latitudine di tropici e circoli.

16.5.4 NutazioniIl movimento doppio conico dell'asse non è regolare, ma si attua con piccole ondulazioni dette nutazioni (Bradley - 1736). Ciascuna nutazione si completa in 18,6 anni ed è dovuta alle perturbazioni gravitazionali prodotte dalla rotazione oraria (retrograda) della linea dei nodi lunari.

La nutazione comporta una modificazione periodica delle coordinate celesti analoga a quella prodotta dall’aberrazione. Anche le date degli equinozi e dei solstizi subiscono delle oscillazioni come conseguenza della nutazione. A volte si fa riferimento ai solstizi e agli equinozi medi, la cui data è più facilmente calcolabile, non essendo influenzata dalla nutazione.

16.6 moto rispetto al centro galattico

94

L’asse terrestre descrive intorno alla sua posizione media un ellisse di semiassi 9,21” e 6,86” (ellisse di nutazione) che si sovrappone al moto principale di precessione, generando un’oscillazione periodica.

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In realtà la terra segue il sole nel suo movimento di rivoluzione intorno al centro galattico con una velocità stimata di circa 250 km/s, per cui la sua orbita assume la forma di una spirale che si avvita intorno al sole.

17 La Misura del Tempo

17.1 Il calendarioL'anno tropico non è un multiplo esatto del giorno solare medio e non inizia quindi in alle ore 0 del 1 gennaio, ma alle 5 e 49 minuti del 1 gennaio. Per evitare questo inconveniente è stato introdotto l'anno civile di 365 (o 366) giorni. Naturalmente assieme all'anno civile deve essere introdotto un meccanismo, detto calendario, in grado di recuperare periodicamente le frazioni di giorno non calcolate nell'anno civile, pena il progressivo sfasamento tra anno civile e tempo astronomico.Uno dei primi calendari utilizzati a questo scopo è il calendario giuliano, introdotto sotto Giulio Cesare nel 45 a.C. Il calendario giuliano prevede un anno civile di 365 giorni ed un recupero delle circa 6 ore non contate ciascun anno, ogni quattro anni con l'introduzione di un anno di 366 giorni. Il giorno in più veniva aggiunto tra il sesto ed il settimo giorno prima di marzo e chiamato bis sextum, da cui bisestile. L’anno giuliano dura quindi mediamente 365,25 giorni solari medi. L'anno tropico non dura però esattamente 365giorni e 6 ore, ma 365 giorni 5 ore e 49 minuti. Il calendario giuliano, recuperando invece 6 ore, contava circa 11 minuti in più all'anno (11m 15s) e ciascun giorno bisestile introdotto portava uno sfasamento di circa 44 minuti rispetto al tempo astronomico.Verso il 1500 il tempo civile aveva accumulato uno sfasamento di circa 10 giorni rispetto al tempo astronomico. Nel 1582 il calendario venne perciò riformato sotto papa Gregorio XIII. Vennero dapprima soppressi i 10 giorni in più che si erano accumulati (si passò dal 4 ottobre del 1582 al 15 ottobre del 1582) ed il calendario giuliano venne sostituito dal calendario gregoriano, lo stesso che attualmente utilizziamo.

Poichè si calcola che gli 11 minuti contati in più ogni anno sfasano il calendario giuliano di circa 3 giorni ogni 400 anni, il calendario gregoriano introduce un nuovo meccanismo per eliminare appunto 3 giorni ogni 400 anni. Tale meccanismo prevede che tutti gli anni secolari aventi le prime due cifre divisibili per 4 continuino ad essere bisestili, mentre gli anni secolari con le prime due cifre non divisibili per quattro non siano più bisestili (mentre lo erano nel calendario giuliano.Così il 1600 fu bisestile, mentre il 1700, il 1800 ed il 1900 videro soppressi il loro giorno bisestile. In tal modo dal 1600 al 1900, in un periodo di 400 anni sono stati soppressi 3 giorni bisestili. Il 2000 sarà nuovamente bisestile. Poiché ogni 400 anni vi sono 303 anni composti di 365 giorni e 97 anni bisestili di 366 giorni, l’anno gregoriano ha una durata di

365 303 366 97

400365 2425 365 5 49 12

⋅ + ⋅= =, d h m s

ed è quindi circa 27 secondi più lungo dell’anno tropico. Poiché il giorno solare medio è formato di 86.400 secondi, il calendario gregoriano produce uno sfasamento rispetto al tempo astronomico di 1 giorno ogni 86.400/27 = 3.200 anni circa.

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I Francescani ottennero dal Papa di non eliminare i primi 10 giorni di ottobre per poter celebrare la festa di San Francesco (4 ottobre). Nella notte tra il 4 ed il 5 morì ad Alba in Spagna Santa Teresa d’Avila, che si celebra pertanto il 15 ottobre. La riforma fu adottata inizialmente solo dagli Stati italiani, da Spagna e Portogallo. In Francia avvenne nei giorni 9-20 dicembre 1582, in Austria 6-17 gennaio 1584, in Inghilterra 2-14 settembre 1752 (11 giorni). I paesi ortodossi si adeguarono nel XX secolo, ultima la Grecia che eliminò 13 giorni tra il 15 febbraio e il 1° marzo del 1923. L’unione Sovietica nel 1918.

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17.2 Fusi orariIn una certa località è mezzogiorno quando il sole culmina sul meridiano del luogo, raggiungendo il punto più alto della sua traiettoria apparente. Ora, poiché il moto apparente del sole è da Est ad Ovest, quando il sole è in culminazione su di un punto A della superficie terrestre, non può essere contemporaneamente in culminazione su di un punto B che si trovi su di un altro meridiano rispetto ad A (cioè che abbia una diversa longitudine). In altra parole il sole non può essere ad esempio contemporaneamente in culminazione a Venezia e a Milano. Ne consegue che quando a Venezia è mezzogiorno, a Milano, che si trova più ad ovest, il sole deve ancora giungere in culminazione e mancherà perciò qualche minuto a mezzogiorno. Per evitare l'inconveniente che luoghi diversi (con diversa longitudine) all'interno di uno stesso stato presentino ore differenti, si è convenuto di dividere la superficie terrestre in 24 spicchi aventi dei meridiani come confini ed un'ampiezza longitudinale di 15° l'uno. Tali spicchi sono detti fusi orari e tutte le zone comprese all'interno di uno spicchio hanno convenzionalmente la stessa ora del meridiano passante per il centro del fuso. Ad esempio per l'Italia il meridiano centrale del fuso è quello che passa per Monte Mario nei pressi di Roma. Quando il nostro orologio segna mezzogiorno (ora legale a parte) in realtà è mezzogiorno solare solo sul meridiano centrale. Lì il sole è effettivamente in culminazione, mentre a Venezia, che si trova leggermente più ad est il sole è già stato in culminazione e la sua ora effettiva (solare) è di mezzogiorno e qualche minuto, mentre ad Aosta, per ragioni opposte non è ancora mezzogiorno.In effetti i confini dei fusi non seguono perfettamente l'andamento dei meridiani, ma vengono opportunamente modificati in modo da seguire i confini politici degli stati. Naturalmente questo non è possibile per stati molto estesi in longitudine come gli Stati Uniti o la Russia, dove si è costretti ad usare più di un fuso. Il primo fuso è convenzionalmente quello in cui il meridiano centrale coincide con il meridiano fondamentale passante per Greenwich. Quando ad esempio il sole è in culminazione si Greenwich in tutto il primo fuso è mezzogiorno, mentre nel secondo fuso ad est di Greenwich sono le 13, nel terzo le 14 e così via.

17.3 Linea di cambiamento di dataPoniamo ora che a Greenwich siano le 10 del 6 marzo e immaginiamo di muoverci molto velocemente verso Est con un aviogetto. Mentre attraverseremo i fusi verso Est dovremo far avanzare le lancette dell'orologio, spostandole verso le 11, le 12 e così via fino a che, giunti all'antimeridiano di Greenwich (13° fuso) sposteremo le lancette alle 22 del 6 marzo. Proseguendo verso est il viaggiatore raggiungerà il fuso delle 24, il cui meridiano centrale è detto linea di mezzanotte (LM). Attraversandolo il viaggiatore sposterà il suo orologio dalle 24 del 6 marzo alle 1 del 7 marzo. Immaginiamo ora un altro viaggiatore che stia compiendo anch'egli molto velocemente il giro del mondo ma verso Ovest, partendo da Greenwich il 6 marzo ore 10. Mentre attraversa i fusi verso ovest egli dovrà portare indietro le lancette dell'orologio alle 9 di mattina del 6 marzo, alle 8, alle 7 e così via finche, raggiunta la linea di mezzanotte sposterà le lancette dall'una del 6 marzo alle 24 del 5 marzo. Così i due viaggiatori incontrandosi alla linea di mezzanotte provenienti da parti opposte, si troverebbero d'accordo sull'ora ma non sul giorno. Per evitare tale inconveniente il XIII fuso, che contiene l'antimeridiano di Greenwich, viene diviso dal 180° meridiano in due parti aventi stessa ora, ma date diverse. Qualunque sia l'ora sul mezzo spicchio ad ovest dell'antimeridiano, sul mezzo spicchio ad est è la stessa ora del giorno precedente. In definitiva esistono due meridiani in cui le date cambiano in modo opposto: la linea di mezzanotte (la data aumenta verso est) e la linea internazionale di cambiamento di data (LCD, la data diminuisce verso est). In ogni momento la terra è dunque divisa in due zone aventi date diverse (a est della LCD vi è sempre la data inferiore). Naturalmente quando il sole è in culminazione su Greenwich la linea di mezzanotte coincide con la linea di cambiamento di data e tutti i luoghi presentano la stessa data (attraversando

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contemporaneamente le due linee la data dovrebbe sia aumentare che diminuire e quindi non varia). Per evidenti ragioni di opportunità la LCD passa sempre attraverso l'oceano e nei pochi casi in cui incontrerebbe qualche isola, viene fatta deviare.

18 L’Orientamento

18.1 Orizzonte e punti cardinaliOrientarsi significa individuare sull'orizzonte i 4 punti cardinali. L'orizzonte è la circonferenza che delimita la porzione visibile all'osservatore della superficie terrestre, separandola dalla volta celeste.L’orizzonte geometrico dipende dall’altezza h (in metri) dell’osservatore rispetto al suolo. Il raggio dell’orizzonte geometrico (in metri) è approssimativamente pari a 3570. h .

L’orizzonte sensibile è in realtà leggermente più ampio a causa dei fenomeni di rifrazione della luce che permettono al nostro occhio di ricevere immagini situate anche oltre l’orizzonte geometrico.L'EST è il punto dell'orizzonte dal quale sembra sorgere il sole nei giorni equinoziali , detto anche oriente o levante. L'OVEST, o occidente o ponente, è il punto dell'orizzonte dove sembra tramontare il sole nei giorni equinoziali. Nei giorni non equinoziali il sole sorge e tramonta leggermente più a Nord durante l'estate boreale e leggermente più a sud durante l'inverno boreale. L'angolo che i raggi del sole formano con il piano equatoriale nei giorni non equinoziali è detto declinazione solare. I valori della declinazione solare per ogni giorno dell'anno (in pratica la latitudine alla quale il sole risulta allo zenit a mezzogiorno) sono riportati negli annuari astronomici. Ponendosi con la destra ad est e la sinistra ad ovest il NORD risulta posto esattamente dinanzi all'osservatore, mentre il SUD si trova alle sue spalle.

18.2 Orientamento diurnoPer orientarsi si può dunque indicativamente osservare il punto in cui sorge o tramonta il sole. Nell'emisfero boreale è inoltre possibile individuare il sud dalla posizione del sole a mezzodì (naturalmente se ci troviamo tra equatore e tropico del Cancro è necessario che il sole non stia culminando in un punto più a Nord). Per un osservatore posto nell'emisfero australe la posizione del sole in culminazione indica naturalmente il Nord.

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Un altro metodo pratico per orientarsi con il sole in qualunque ora del giorno è disporre la lancetta delle ore verso il sole, individuare l'angolo che essa forma, in senso orario, con la direzione delle 12 e tracciarne la bisettrice. Al mattino la bisettrice indica il Sud, al pomeriggio il Nord. Un secondo metodo prevede di puntare la lancetta delle ore verso il sole. Il Nord viene indicato dalla direzione che la lancetta delle ore avrebbe dividendo l'ora (misurata da 1 a 24) per due. Un terzo metodo utilizza un bastone piantato verticalmente sul terreno. Mentre il sole si sposta da Est ad Ovest l'ombra del bastone si sposta da ovest ad est. Dopo aver atteso un certo intervallo di tempo affinché divenga evidente uno spostamento dell’ombra sul terreno, la retta che congiunge i due vertici dell'ombra del bastone individua la direzione Est-Ovest.

Dimensione dell’orizzonte geometrico (Approfondimento facoltativo)

Se R è il raggio medio terrestre (6.371 km), h è l’altezza dell’osservatore e d è la visuale dell’osservatore, tangente all’orizzonte, per il teorema di Pitagora potremo scrivere

( )d R h R2 2 2= + − e quindi d h Rh2 2 2= +

essendo h << R, potremo trascurare h2 rispetto a 2Rh. Si avrà pertanto

d Rh2 2≈ e quindi

d Rh R h h h≈ = ⋅ = ⋅ ⋅ = ⋅2 2 2 6 371000 3570. . .

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18.3 Orientamento notturnoDi notte ci si può orientare con la stella polare la quale indica il polo Nord celeste con circa 51' di scarto. ( La stella polare è l'ultima stella del timone del piccolo carro, individuabile prolungando l'asse anteriore del grande carro di circa tre volte la sua lunghezza). Nell'emisfero australe è

possibile orientarsi individuando la stella σ Octantis che indica il Sud con circa 1° di scarto.

Essendo però σ Octantis poco luminosa si cerca in genere la costellazione Croce del Sud che però dista 30° dal Polo Sud.

18.4 Declinazione magneticaNaturalmente ci si può orientare con la bussola, la quale tuttavia non indica il polo Nord geografico, ma il polo Nord magnetico, il quale si trova attualmente a circa 75° N e 100° W in una delle isole Regina Elisabetta (Canada), mentre il polo Sud magnetico si trova a circa 68° S e 140° E circa.In effetti non si tratta di veri e propri punti, ma di zone di estensione variabile, che mutano la loro posizione con il tempo. Evidentemente solo per un osservatore posto sul meridiano di 100° W (e sul suo antimeridiano) l'ago della bussola indica contemporaneamente il polo nord geografico ed il polo nord magnetico.In tutti gli altri casi l'ago della bussola punta verso il polo nord magnetico e non verso quello geografico. La direzione individuata dall'ago (che punta verso il Nord magnetico) forma in tal caso con la direzione individuata dal meridiano passante per il luogo (che punta verso il Nord geografico) un angolo detto declinazione magnetica.La declinazione magnetica può essere occidentale o orientale e varia da luogo a luogo. Conoscendo la declinazione magnetica di una certa località è possibile individuare con esattezza, tramite una bussola, il polo nord geografico.

18.5 Determinazione delle coordinate geografiche18.5.1 Latitudine di notteDurante la notte la latitudine è pari all'angolo che la visuale verso la stella polare forma con il piano dell'orizzonte. In altre parole è possibile calcolare la latitudine di un luogo semplicemente misurando l'altezza della stella polare sul piano dell'orizzonte. Nello schema la latitudine del punto A è rappresentata

dall'angolo α. E' facile osservare che i due angoli β sono uguali in quanto corrispondenti, mentre i due angoli

α sono uguali in quanto entrambi complementari di angoli corrispondenti (le due rette parallele sono 2 raggi provenienti dalla stella polare, uno passante per il centro della terra, uno passante per il punto A. La retta incidente coincide con il raggio terrestre passante per A).E' facile convincersi che più ci spostiamo verso nord (maggior latitudine) più la stella polare ci appare alta sul piano dell'orizzonte, mentre più ci si sposta verso l'equatore più la stella si abbassa sul piano dell'orizzonte (al polo Nord (latitudine 90°) la stella si trova allo zenit, a 90°, mentre all'equatore (latitudine 0°) i suoi raggi giacciono sul piano dell'orizzonte.

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18.5.2 Latitudine di giornoDurante le ore diurne, nei giorni equinoziali, la latitudine è pari al complemento a 90° dell'altezza del sole sul piano dell'orizzonte a mezzogiorno. In altre parole una volta misurato durante un giorno equinoziale l'angolo che i raggi solari formano a mezzogiorno con il piano dell'orizzonte è necessario sottrarlo a 90° per ottenere la latitudine del luogo.

Nello schema α rappresenta la latitudine di A, mentre

β rappresenta l'altezza del sole sul piano dell'orizzonte. I due

angoli α sono uguali perché corrispondenti,

mentre i due angoli β sono uguali perché complementari di angoli corrispondenti ( le due rette parallele sono due raggi provenienti dal sole, uno passante per il centro della terra, uno passante per il punto A. La retta incidente coincide con il raggio terrestre passante per A).Nei giorni non equinoziali è necessario conoscere il valore della declinazione solare del luogo. Il valore dell'angolo di declinazione va aggiunto all'angolo di latitudine precedentemente calcolato in primavera estate, mentre va tolto in autunno inverno. Tale correzione è evidentemente necessaria per riportare il sole in posizione equinoziale.

18.6 LongitudineE' possibile calcolare la longitudine possedendo un orologio sincronizzato sull'ora di Greenwich. Ricordando infatti che il sole impiega 1 ora per percorrere 15° di longitudine è possibile tradurre differenze di tempo tra l'ora locale e l'ora di Greenwich in differenze di longitudine.Ad esempio se il nostro orologio ci informa che a Greenwich sono le 10 e 30 mentre il sole si trova in culminazione sul nostro meridiano, possiamo dedurre che il sole arriverà in culminazione a Greenwich tra un'ora e mezza. Greenwich si troverà quindi ad Ovest del nostro meridiano ad una distanza di 22° 30', distanza che il sole copre appunto in un'ora e mezzo (15° + 7° 30'). La nostra longitudine sarà pertanto 22°30' E. In generale quando l'ora locale è maggiore di quella di Greenwich il luogo si trova ad Est di Greenwich, quando è minore il luogo si trova ad Ovest.

19 La Luna

GeneralitàLa luna possiede una massa pari ad 1/81 circa di quella terrestre (ML = 7,3483 1022 kg) ed una raggio medio di 1738 km. La sua densità è di 3.3 kg/dm3 contro i 5.5 kg/dm3. La forza di gravità è 1/6 di quella terrestre.

99

Gravità lunareLa forza di gravità di un corpo celeste di massa M e raggio R può essere espressa in rapporto alla gravità terrestre (ponendo cioè la gravità terrestre pari a 1) mediante la seguente relazione

( )M M

R R

T

T

/

/2

che si ottiene facendo il rapporto tra la forza gravitazionale misurata nei due sistemi. Essendo il raggio medio terrestre (RT) pari a 6371 km e la massa terrestre (MT) pari a 5,9742 1024 kg

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19.1 l’aspetto fisicoLa superficie lunare presenta grandi distese scure chiamate mari (costituite da estese pianure coperte da una polvere soffice che riflette meno la luce solare, detta regolite). I rilievi lunari visti dalla terra si presentano invece più luminosi e sono costituiti da catene montuose e dai bordi rialzati di crateri (alcuni vulcanici, altri da impatto meteorico). Sulla superficie lunare si notano inoltre dei solchi che possono arrivare a parecchie decine di km di lunghezza e a profondità fino a 500 m. La loro origine è incerta (fessure dovute all'antico raffreddamento ed alla relativa contrazione della crosta; canali scavati dalla lava; fratture (faglie) legate ai movimenti successivi della crosta lunare). Sulla luna è assente sia l'acqua che l'atmosfera, poiché la piccola velocità di fuga caratteristica della luna ha permesso a queste molecole di perdersi nello spazio, vincendo la gravità lunare (probabilmente quando la luna era molto più calda e tali molecole possedevano energie cinetiche piuttosto elevate). L'assenza di acqua ed atmosfera ha impedito che la superficie lunare subisse fenomeni erosivi paragonabili a quelli terrestri, in tal modo la crosta lunare conserva praticamente intatto l'aspetto fortemente craterizzato prodottosi miliardi di anni orsono al momento della sua formazione. L'assenza di atmosfera fa inoltre sì che non si abbiano fenomeni crepuscolari (il circolo di illuminazione è netto). L'albedo (frazione della luce totale riflessa da un corpo) lunare è solo del 7%, contro quella della terra che è del 35%. In altre parole la terra (a causa delle superfici acquee, dei ghiacciai, delle nubi) riflette, per unità di superficie, una quantità di luce solare incidente cinque volte superiore a quella riflessa dalla luna ed appare dunque dallo spazio molto più brillante.

19.2 Moto di rotazioneLa luna ruota attorno al proprio asse da Ovest ad Est in circa 27 giorni terrestri (un giorno lunare dura 27 giorni terrestri). Il periodo di oscurità e quello di luce sono quindi molto lunghi. Se a ciò si aggiunge l'assenza di atmosfera, di nubi, acqua e copertura vegetale si comprende come l'escursione termica (differenza di temperatura tra il giorno e la notte) sia molto elevata. La temperatura diurna può infatti raggiungere un centinaio di gradi °C, mentre di notte si può arrivare a 150 °C sotto zero.

19.3 Sistema Terra-LunaIn prima approssimazione la luna percorre un’orbita ellittica intorno alla terra, in senso antiorario se osservata dal polo nord celeste. La terra occupa naturalmente uno dei due fuochi dell’ellisse. Il punto di minima distanza Terra-Luna è detto perigeo (da centro a centro 356.410 km), mentre il punto di massima distanza prende il nome di apogeo (da centro a centro 406.697 km).La distanza media è di 384.400 km.

In realtà la massa della Luna non è del tutto trascurabile rispetto alla massa della Terra ed è quindi solo una grossolana approssimazione affermare che la Luna ruota intorno alla Terra. Più correttamente entrambe ruotano intorno ad un baricentro comune che si trova all’interno della Terra, circa 1700 km sotto la sua superficie. Per questo motivo Terra e Luna possono essere considerate un sistema gravitazionale doppio.

100

Distanza del baricentro Sistema Terra-Luna (Approfondimento facoltativo)

Il baricentro divide la distanza Terra-Luna in due parti inversamente proporzionali alle due masse. Detta DT/L la distanza media tra il centro della Terra ed il centro della Luna, DT

la distanza media del baricentro dal centro della Terra e DL la distanza media del baricentro dal centro della Luna, si avrà

M D M DT T L L=

ed essendo ovviamente DT/L = DT + DL

DM

M MDT

L

T LT L=

+⋅ =

⋅⋅ + ⋅

⋅ ≈/

,

, ,. .

7 3483 10

5 9742 10 7 3483 10384 400 4 671

22

24 22 km

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19.4 Moto di rivoluzione e fasi lunariIl piano dell'orbita lunare non coincide perfettamente con il piano dell'orbita terrestre o eclittica (sul quale giace anche il sole), ma è inclinato rispetto ad esso di circa 5° (5° 8’ 43”).Il moto di rivoluzione lunare fa sì che essa cambi continuamente la sua posizione relativa rispetto al sole ed alla terra. Si individuano usualmente 4 posizioni fondamentali:

a) congiunzione La luna si trova tra il sole e la terrab) opposizione La terra si trova tra la luna ed il solec) quadrature sono le due posizioni intermedie tra congiunzione ed opposizione. Luna terra e sole formano i vertici di un triangolo rettangolo.Le posizioni di congiunzione ed opposizione prendono il nome di sizigie o sigizie. In effetti tali termini non si riferiscono solo alle posizioni della luna rispetto al sole ed alla terra ma a possibili posizioni reciproche di qualsiasi corpo del sistema planetario rispetto al sole. Naturalmente in ognuna di queste posizioni è possibile osservare la luna diversamente illuminata dal sole. Le diverse condizioni di illuminazione osservabili dalla terra sono dette fasi lunari.a) quando la luna si trova in congiunzione noi osserviamo la metà non illuminata della luna. La

fase lunare è detta di luna nuova o novilunio. Durante il novilunio la luna sorge, culmina e tramonta con il sole.

b) quando la luna è in opposizione osserviamo la metà illuminata della luna. La fase lunare è detta di luna piena o plenilunio. Durante il plenilunio la luna sorge quando tramonta il sole, culmina a mezzanotte e tramonta al sorgere del sole.

c) quando la luna si trova nelle due quadrature l'emisfero lunare che noi osserviamo risulta per metà illuminato e per metà oscuro. Le due fasi lunari sono dette primo quarto e ultimo quarto.

La porzione della luna non illuminata dal sole dovrebbe risultare perfettamente oscura. In realtà essa è debolmente illuminata dalla luce del sole riflessa dalla terra. Tale debole chiarore è detto luce cinerea. La corretta interpretazione di tale fenomeno si deve a Leonardo da Vinci. Dalla fase di novilunio a quella di plenilunio si ha luna crescente. Nella fase contraria si ha luna calante.

19.5 Mese sidereoLa durata del periodo di rivoluzione è ancora una volta diversa a seconda che prendiamo come punto di riferimento una stella fissa o il sole. Il tempo necessario affinché la luna compia una rivoluzione completa di 360° intorno alla terra, ritornando nella stessa posizione rispetto ad una stella fissa è detto mese sidereo. Esso ha una durata di circa 27,32 giorni terrestri (27d 7h 43m 11,5s = 27,321661 gsm = 2.360.591,5 s) La luna ruota intorno al suo asse impiegando lo stesso tempo che impiega a compiere una rivoluzione intorno alla terra. La conseguenza di tale curiosa coincidenza è che la luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. L’emisfero nascosto della luna si presenta più ricco di crateri di piccole dimensioni, mentre sono praticamente assenti i grandi mari che

101

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caratterizzano l’emisfero rivolto verso la terra. Quest’ultimo, a causa dell’attrazione gravitazionale terrestre, risulta inoltre leggermente più protuberante.

19.6 Mese sinodico e ciclo delle lunazioni (Metone)

Il mese sinodico o lunazione è il tempo necessario affinché la luna raggiunga nuovamente una fase lunare dello stesso segno. Ad esempio l'intervallo di tempo tra due lune piene consecutive. In altre parole il mese sinodico rappresenta il tempo necessario perché la luna raggiunga nuovamente la stessa posizione relativa rispetto al sole ed alla terra. Il mese sinodico dura circa 29,53 giorni terrestri (29d 12h 44m 2,9s = 29,530589 gsm = 2.551.442,9 s, oltre due giorni in più rispetto al mese sidereo. Ciò è dovuto al fatto che mentre la luna compie il suo moto di rivoluzione intorno alla terra, quest'ultima compie un tratto della sua orbita intorno al sole, cambiando perciò la sua posizione rispetto ad esso. Poichè il mese sinodico dura 29,53 giorni, un anno non contiene un numero intero di lunazioni. In un anno giuliano si possono susseguire 12 lunazioni complete (354,367 gsm) con l'avanzo di circa 11 giorni. Di conseguenza le fasi lunari non si ripetono ogni anno alla stessa data, ma solo ogni 235 lunazioni, corrispondenti a circa 19 anni tropici. Tale ciclo è detto ciclo aureo o di Metone (astronomo greco del V sec. a.C.)

19.7 La luna e le mareeA causa del suo moto di rivoluzione intorno alla terra la luna non sorge, culmina e tramonta sempre alla stessa ora tutti i giorni, ma con circa 50 minuti di ritardo ogni giorno. In altre parole la terra completa una rotazione intorno al suo asse rispetto alla luna in 24h e 50m circa (giorno lunare).

La luna è la principale responsabile (assieme al sole) dei fenomeni mareali che interessano l’idrosfera (ma anche l’atmosfera e in misura molto minore la stessa crosta terrestre). Si è già detto che gli effetti mareali sono dovuti alla diversa attrazione gravitazionale cui sono sottoposti punti diversi di uno stesso corpo. L’idrosfera, pensata per semplicità come un guscio sferico di spessore uniforme, si deforma sotto l’azione della luna assumendo la forma di un ellissoide di rotazione (ellissoide di marea) avente l’asse maggiore orientato lungo la direzione Terra-Luna. In tal modo, osservando il sistema Terra-Luna dal polo nord celeste, possiamo individuare 2 zone di alta marea in corrispondenza dei punti in cui la luna è allo zenit e al nadir e due zone di bassa marea nei punti intermedi, dove la luna appare sull’orizzonte, in procinto di sorgere o di tramontare.

102

In realtà il ciclo di Metone non è preciso poiché 19 anni tropici contengono 19 x 365,24219 = 6939,6016 giorni solari medi, mentre 235 mesi sinodici sono composti da 235 x 29,530589 = 6939,6884. Vi è una differenza di poco più di 2 ore (2h 5m) che dopo 11 cicli e mezzo circa ( ≈ 219 anni), sfasa il ciclo di 1 giorno.

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L’asse maggiore dell’ellissoide di marea tende a rimanere sempre allineato con la luna, cosicché la Terra compie una rotazione rispetto ad esso in un giorno lunare (24h 50m). In altre parole, basse ed alte maree si alternano ogni quarto di giorno lunare (6h 12,5m).Le forze che generano le maree si determinano a causa del non perfetto equilibrio esistente tra forze centrifughe e gravitazionali nei vari punti della Terra. Tale equilibrio esiste solo al centro della Terra, ma non alla sua superficie, dove la forza gravitazionale può risultare maggiore (nei punti più vicini alla luna) o minore (nei punti più distanti) rispetto alla forza centrifuga.

L’azione mareale della Luna è circa 2,2 volte più intensa di quella del Sole. Quando la Luna si trova in sizigie gli effetti mareali dei due astri si combinano e le alte maree presentano le massime ampiezze (maree di sizigie), mentre quando la Luna si trova in quadratura l’effetto mareale del Sole indebolisce quello della Luna, senza peraltro annullarlo (maree di quadratura).

Determinazione dell’accelerazione mareale

Terra e Luna si attraggono con una forza pari a F GM M

dgL T= 2

dove d è la distanza che separa i rispettivi centri. La

Terra è dunque sottoposta ad una accelerazione in direzione della Luna pari a aF

MG

M

dg

g

T

L= = 2 che si esercita sul

suo baricentro. Poiché la Terra non cade sulla Luna e la loro distanza media rimane, almeno in prima approssimazione, costante, il sistema Terra-Luna deve essere in equilibrio dinamico. Ciò significa che il moto di rotazione del sistema intorno al baricentro comune genera una accelerazione centrifuga esattamente uguale all’accelerazione gravitazionale centripeta. Ma essendo la terra rigida tutti i suoi punti si muovono in modo solidale con il baricentro e possiedono quindi

la stessa accelerazione centrifuga, pari a

a a GM

dc gL= = 2

, sempre diretta in senso opposto

alla direzione della Luna. Dunque, mentre la forza centrifuga è identica in tutti i punti, la forza gravitazionale esercitata è invece diversa in intensità e in direzione, a causa della differente distanza dal centro della Luna. Le forze

103

Giorno lunareSe la velocità angolare orbitale della Luna rispetto alle stelle fisse è pari a

ω LsidM

=°360

e la velocità angolare di rotazione della Terra rispetto alle stelle

fisse è pari a ω rotsidG

=°360

, allora la velocità di rotazione della terra rispetto

alla Luna in moto di rivoluzione intorno ad essa sarà pari a

ω ωπ π π

rot Lsid sid LG M G

− = − =2 2 2

dove GL è il tempo necessario affinché la terra compia una rotazione rispetto alla Luna. E, riordinando

GM G

M GLsid sid

sid sid

=⋅−

=⋅−

=2 360 591 5 86164 1

2 360 591 5 86164 189 428 3

. . , . ,

. . , . ,. , secondi

3.028,3 secondi = 50,47 minuti più di un giorno solare medio (86.400 s).

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mareali sono la risultante di tali forze applicate e si manifestano evidentemente in tutti i punti in cui tale risultante è diversa da zero e quindi in tutti i punti che non siano il centro della terra, dove la forza gravitazionale è esattamente controbilanciata dalla reazione centrifuga. Se R è il raggio terrestre e d è la distanza tra i baricentri della Terra e della Luna, l’accelerazione gravitazionale nei punti in cui la Luna è allo zenit e al nadir vale

( )aGM

d RgL=

± 2

e quindi l’accelerazione mareale in grado di produrre le alte maree

( )a a aGM

d R

GM

dM g cL L= − =

±−2 2

( )( )a GM

d d R dR

d R dM L=− + ±

±

2 2 2

2 2

2

e nell’ipotesi che il raggio terrestre R sia trascurabile rispetto alla distanza d Terra-Luna (R<<d e R2<<d2)

aGM R

dML=

23

Si può dimostrare che nei punti intermedi, di bassa marea, l’accelerazione mareale è, in modulo,

esattamente la metà che nei punti di alta marea, mentre la direzione dei vettori è centripeta, essendo orientata verso il centro della Terra. Gli effetti mareali del Sole sono meno intensi di quelli lunari. Per confrontare gli effetti mareali dei due astri, determiniamo il rapporto tra le rispettive accelerazioni mareali

( ) ( )GM R

d

GM R

d

M M

d d

L

L

S

s

L S

L S

3 3 3

25 33

10 13 3

7 348 10 1 989 10

3 844 10 1 496 102 18:

/

/

, / ,

, / ,,= =

⋅ ⋅⋅ ⋅

19.8 Mese draconico, retrogradazione dei nodi ed eclissiEssendo l'orbita lunare inclinata di circa 5° (5° 8’ 43”) rispetto all'eclittica, la luna compie metà del suo percorso di rivoluzione sopra il piano dell'eclittica e metà sotto. I due punti di intersezione, in cui la luna attraversa il piano dell'eclittica sono detti nodi e la linea che li congiunge è detta linea dei nodi. La linea dei nodi rappresenta l'intersezione tra il piano dell'eclittica ed il piano dell'orbita lunare.La linea dei nodi (intersezione del piano dell'orbita lunare con l'eclittica) ruota, in senso opposto al movimento di rivoluzione lunare (e terrestre), compiendo una rotazione completa in senso orario rispetto alle stelle fisse in 18,6 anni (retrogradazione o regressione dei nodi). In altre parole i nodi vanno incontro alla luna, la quale ritorna pertanto ad un nodo dello stesso segno (ad esempio il nodo ascendente) un po' prima di aver compiuto una rivoluzione completa di 360° rispetto alle stelle fisse.

Ricordando che il tempo necessario per compiere una rivoluzione completa rispetto alle stelle fisse è definita mese sidereo (27,32166 giorni solari medi = 27d 7h 43m 12s), la luna compierà un'orbita rispetto ad un nodo in un tempo inferiore. Tale intervallo di tempo è detto mese draconitico o

104

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draconico (27,212220 gsm = 27d 5h 5m 35,8s = 2.351.135,8 s). La rotazione dell’orbita lunare, misurata dalla regressione dei nodi, muta periodicamente l’inclinazione dell’orbita lunare nei confronti del piano equatoriale. Così l’angolo che il piano dell’orbita lunare forma con il piano equatoriale va da un massimo di 28° 35’ (23° 26’ + 5° 9’), quando orbita lunare ed equatore sono inclinati in senso opposto rispetto all’eclittica (A), ad un minimo (dopo 9,3 anni) di 18° 17’ (23° 26’ - 5° 9’), quando orbita lunare ed equatore sono inclinati nello stesso senso rispetto all’eclittica (B). La Luna può dunque giungere allo zenit solo su regioni comprese tra le latitudini di 28° 35’ N e S (ed in certi anni solo su regioni comprese tra le latitudini di 18° 17’ N e S).La regressione della linea dei nodi porta periodicamente questi ultimi ad occupare le posizioni di sizigie. Quando ciò avviene si producono le condizioni necessarie al manifestarsi del fenomeno delle eclissi. Infatti quando la Luna si trova contemporaneamente in sizigie e in uno dei due nodi, Luna Sole e Terra si trovano ad essere allineati. Nel caso l'allineamento sia perfetto si parla di eclissi totali, nel caso ciò non avvenga e la luna in sizigie si trovi solo nelle vicinanze di un nodo si possono produrre eclissi parziali.In realtà l’eclisse è un fenomeno per cui un astro entra nel cono d'ombra di un altro. Sono dunque propriamente eclissi solo quelle di luna, mentre le eclissi di sole sono in effetti occultazioni (per cui un astro passa davanti ad un altro e lo occulta).

19.8.1 Eclisse di LunaQuando la luna si trova in opposizione e in un nodo essa è destinata a scomparire completamente nel cono d'ombra della terra. Naturalmente durante le eclissi di luna, la luna si trova sempre in plenilunio.

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Quando la luna attraversa il cono d'ombra l'eclisse è visibile da tutto l'emisfero terrestre notturno. Poiché l’ombra della Terra è quasi 3 volte più grande della Luna, un’eclissi totale di Luna può durare oltre 100 minuti. Affinché si produca un'eclisse di luna è necessario che la luna ed un nodo si trovino contemporaneamente in opposizione. Se la linea dei nodi fosse ferma rispetto alle stelle

fisse, i nodi si verrebbero a trovare in opposizione ogni sei mesi (alternativamente il nodo ascendente e discendente) e potrebbero pertanto verificarsi non più di due eclissi lunari all'anno. Poichè la linea dei nodi si muove di moto retrogrado di circa 20° all'anno, i nodi si presentano in opposizione con periodicità leggermente inferiore ai 6 mesi e quindi a volte possono presentarsi le condizioni per eclissi lunari anche tre volte all'anno.

19.8.2 Eclisse di Sole (occultazione)L'eclisse o occultazione solare si produce ogniqualvolta la luna ed un nodo si trovano in congiunzione. La luna è in grado di oscurare il sole in quanto possiede lo stesso diametro apparente della nostra stella. Nel caso però in cui la luna si trovi in apogeo e la terra in perielio, il diametro apparente del sole risulta maggiore di quello lunare e si producono le cosiddette eclissi anulari, in cui un anello luminoso del disco solare compare dietro al bordo lunare.Essendo il cono d'ombra della luna molto meno esteso di quello terrestre, le eclissi solari sono visibili sono in una stretta area ampia da 200 a 300 km (zona di totalità) che si sposta da ovest verso est per migliaia di chilometri, attorniata da una vasta zona di penombra. Per un osservatore che si trovi a percorrere il diametro di tale zona oscura l'eclisse può durare fino a 7m 30s.A differenza delle eclissi lunari, le eclissi solari possono verificarsi ai due passaggi consecutivi della luna in prossimità di un nodo in congiunzione. Per questo motivo si possono avere fino ad un massimo di 5 eclissi di sole all'anno. In un anno si verificano un minimo di due eclissi (entrambe di sole) ed un massimo di 7 (5 di sole e due di luna; eccezionalmente 4 di sole e 3 di luna). Le eclissi solari sono dunque in assoluto più frequenti. Ma relativamente ad un osservatore particolare risultano più frequenti le eclissi di luna in quanto visibili sempre da tutti gli osservatori dell'emisfero notturno. L'intervallo di tempo medio che separa due eclissi solari totali osservabili da una particolare regione terrestre è di circa 360 anni.

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19.8.3 Il ciclo delle eclissi (Saros)Mediamente si verificano da 2 a 7 eclissi all'anno. I Caldei avevano scoperto che le eclissi si ripetevano con la stessa successione ogni 223 lunazioni pari a 18 anni circa (18 anni e 10-12 giorni, a seconda del numero di anni bisestili presenti). Tale intervallo di tempo è noto come ciclo di Saros. In tale periodo si susseguono 71 eclissi, 43 di sole e 28 lunari.

19.9 LibrazioniSi è detto che poiché la rotazione e la rivoluzione lunare hanno la stessa durata di circa 27 giorni, la luna rivolge sempre la stessa faccia alla terra. In realtà noi possiamo vedere circa il 59% della superficie lunare. Ciò è dovuto ad oscillazioni periodiche della Luna dette librazioni, descritte per la prima volta da Galileo e da lui definite titubazioni. Le librazioni si distinguono in vere e apparenti.

a) Le librazioni vere o fisiche sono dovute all’attrazione che la terra esercita sul rigonfiamento equatoriale della luna e ad irregolarità nel moto di rotazione lunare.

b) Le librazioni apparenti o geometriche si possono suddividere in • librazioni in longitudine - dovute al fatto che mentre il moto di rotazione della luna avviene a velocità costante, in modo regolare ed uniforme, il moto di rivoluzione è più veloce in perigeo e più lento in apogeo. In tal modo noi possiamo scorgere di volta in volta una piccola fetta di superficie lunare normalmente non visibile, alternativamente ad est e ad ovest (± 7,5°). Il risultato è che la luna, vista dalla terra sembra produrre lievi oscillazioni attorno al suo asse, paragonabili a quelle di una testa che dice di no.• librazioni in latitudine - dovute al fatto che l’asse di rotazione lunare è inclinato di 6° 41’ rispetto alla perpendicolare all’orbita della luna. Poiché l’asse mantiene costante la sua orientazione rispetto alle stelle fisse (come avviene anche per l’asse terrestre), di conseguenza durante il suo moto di rivoluzione la luna ci mostra alternativamente il suo

107

Ciclo di Saros e mese anomalisticoIl ciclo di Saros misura il periodo di tempo necessario affinché luna, terra e nodi ritornino in una stessa posizione rispetto al sole. Ricordando che un'eclisse si produce quando la luna si trova contemporaneamente in sizigie e in un nodo, il tempo necessario affinché tale situazione si ripeta nuovamente si determina calcolando il minimo comune multiplo tra il mese draconico ed il mese sinodico. Tale intervallo di tempo risulta essere di circa 6585 giorni solari medi e 8 ore, corrispondente a 242 mesi draconici e a 223 mesi sinodici.Il ciclo non è in realtà preciso, infatti

242 * 27,212221 = 6585,357

223 * 29,530589 = 6585,321La differenza (circa 52m) fa si che alcune eclissi vadano lentamente sparendo dal ciclo e se ne inseriscano di nuove.Il ciclo di Saros dura - 18 anni 10 giorni e 8 ore circa (con 5 anni bisestili)- 18 anni 11 giorni e 8 ore circa (con 4 anni bisestili)- 18 anni 12 giorni e 8 ore circa (con 3 anni bisestili, evento raro che si può verifica a cavallo di un anno secolare non bisestile) . La linea che congiunge apogeo e perigeo (linea degli apsidi lunari) si muove in modo concorde al movimento di rivoluzione lunare, compiendo una rotazione completa rispetto alle stelle fisse in 8,85 anni. In altre parole la luna dopo aver completato una rivoluzione di 360° rispetto alle stelle fisse, partendo ad esempio dall'apogeo, non si ritrova dopo un mese sidereo in apogeo poiché quest'ultimo nel frattempo si è allontanato.L'intervallo di tempo tra due passaggi successivi della luna in perigeo è detto mese anomalistico e dura 27,554551

giorni solari medi = 27d 13h 18m 33,2s = 2.380.713,2 s)Dopo un Saros le eclissi si presentano non solo nello stesso ordine, ma anche con lo stesso aspetto in quanto il ciclo di Saros risulta essere un multiplo, anche se meno preciso, del mese anomalistico (239 x 27,55455 = 6585,537). Le eclissi si presentano pertanto approssimativamente con la luna alla stessa distanza dalla terra.I Greci chiamarono exeligmos un ciclo di 3 Saros, pari a 669 lunazioni, che corrisponde ad un numero di giorni approssimativamente intero (19.755,964 gsm). Dopo 3 Saros le eclissi si ripresentano quindi quasi nello stesso momento della giornata (con un’ora di anticipo circa)

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polo nord ed il suo polo sud (± 6,7°). Il risultato è che la luna, vista dalla terra sembra produrre lievi oscillazioni paragonabili a quelle di una testa che dice di si.

• librazioni parallattiche o diurne - dovute al fatto che la distanza Terra-Luna non è trascurabile rispetto alle dimensioni della terra. Osservando la luna quando sorge e tramonta e si trova appena sopra l’orizzonte ci poniamo alle due estremità di una base parallattica costituita approssimativamente dal diametro terrestre e ciò ci consente di scorgere ± 1° di superficie lunare.

19.10L'orbita della luna intorno al solePer un osservatore esterno al nostro sistema planetario la luna non compie delle ellissi intorno alla terra, ma segue la terra nella sua orbita ellittica intorno al sole, disegnando intorno ad esso una traiettoria appena ondulata (epicicloide). L'orbita lunare possiede la notevole caratteristica di presentare sempre la concavità rivolta verso il sole

19.11Ipotesi sull'origine della lunaI campioni lunari prelevati dalle missioni Apollo hanno indicato che la luna si è formata 4,5 miliardi di anni fa, contemporaneamente dunque alla terra ed al resto del sistema solare. L'analisi chimica dei campioni ha inoltre dimostrato che esistono alcune differenze sostanziali rispetto alla terra. La luna possiede infatti una quantità minore di elementi volatili (K, Na, B etc) mentre è particolarmente ricca di sostanze non volatili o refrattarie (Al, Ca, Th, Lantanidi). Tuttavia rocce terrestri e rocce lunari presentano lo stesso rapporto fra l'isotopo leggero dell'ossigeno (16O) e gli isotopi pesanti (17O e 18O). Ciò fa ritenere che si siano formate nella stessa regione del sistema solare, poiché il rapporto tra gli isotopi dell'ossigeno è molto diverso nelle meteoriti, soprattutto in quelle che provengono da regioni lontane del sistema solare. Sulla base di tali risultanze possiamo analizzare le diverse ipotesi che nel tempo sono state avanzate sull'origine del nostro satellite.

19.11.1 Ipotesi della fissioneProposta inizialmente da George Darwin, figlio di Charles, prevede che dalla terra allo stato primordiale semifluido si sia staccata una porzione di magma, a causa del rapido moto di rotazione. Molti scienziati ritengono infatti che inizialmente la terra avesse un periodo di rotazione estremamente breve dell'ordine di qualche ora. Da allora ad oggi la terra avrebbe rallentato la sua velocità di rotazione, frenata dall'attrazione gravitazionale della luna. Una variante successiva dell'ipotesi della fissione prevede che la terra abbia addirittura aumentato inizialmente la sua velocità di rotazione a causa dello sprofondamento del materiale metallico verso il centro durante il processo di formazione del suo nucleo. L'aumento di velocità avrebbe generato la forza centrifuga necessaria al distacco del materiale destinato a formare il nostro satellite.L'ipotesi della fissione spiegherebbe perché la luna presenta una densità media inferiore a quella terrestre. Infatti la luna si sarebbe formata da materiale terrestre superficiale, più leggero di quello che occupa gli strati terrestri più profondi. Ma non è in grado di giustificare:- l'inclinazione del piano dell'orbita lunare rispetto all'eclittica - la diversa composizione chimica evidenziata dalle recenti missioni spaziali

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- l'attuale valore del momento angolare del sistema Terra-Luna. Infatti se la luna si fosse staccata dalla terra il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna dovrebbe essere uguale a quello della terra prima del processo di fissione, ma il momento angolare attuale del sistema Terra-Luna è notevolmente inferiore a quello richiesto dalle teorie della fissione per giustificare il distacco.

19.11.2 Ipotesi della catturaSecondo tale ipotesi la luna sarebbe un corpo formatosi in un'altra zona del sistema solare e catturato gravitazionalmente mentre passava casualmente accanto alla terra. Tale ipotesi presenta il vantaggio di poter spiegare la diversa inclinazione dell'orbita lunare e la sua diversa composizione chimica, ma si tratta di un'ipotesi altamente improbabile. Un corpo celeste che passasse infatti casualmente vicino alla terra dovrebbe possedere una traiettoria ben precisa per essere catturato. Anche lievi differenze porterebbero ad un impatto o ad una spinta gravitazionale con sorpasso (effetto fionda, simile al cosiddetto “gravity assist” sfruttato dalle sonde interplanetarie).

19.11.3 Ipotesi dell’accrescimentoSecondo tale ipotesi la luna si sarebbe formata attraverso un processo analogo a quello attraverso il quale si formò il nostro pianeta. In altre parole il materiale meteorico inizialmente presente sull'orbita terrestre si sarebbe condensato a formare un pianeta doppio. In tal caso però la struttura interna e la composizione chimica della luna dovrebbero essere analoghe a quelle terrestri. Tale ipotesi non spiega dunque perché la luna possieda un nucleo metallico così piccolo (o forse addirittura inesistente, vista la sua densità media così ridotta - 3,3) e le sue rocce presentino abbondanze chimiche così diverse.

19.11.4 Ipotesi dell’impatto meteoricoSecondo tale ipotesi (Hartmann e Davis - 1975; R.A. Daly 1946) la luna si sarebbe formata a causa di un impatto della terra con un gigantesco meteorite. L'enorme quantità di detriti scagliati in orbita si sarebbero poi aggregati a formare la luna. Recentemente tale ipotesi sta trovando un certo consenso in quanto permette di giustificare numerosi evidenze osservative che gli altri modelli non sono in grado di spiegare. Possiamo infatti ipotizzare che - durante l'impatto il nucleo metallico, più pesante, del meteorite si sia fuso con la terra, mentre

solo i materiali più leggeri siano andati a formare i frammenti dai quali si condensò la luna.- il meteorite avesse una composizione inizialmente simile a quella terrestre (stessa composizione

isotopica dell'ossigeno), ma durante l'impatto l'enorme liberazione di energia abbia consentito solo agli elementi meno volatili di partecipare alla costituzione del nostro satellite.

- l'impatto sia avvenuto non centralmente, ma secondo un angolo tale da imprimere alla terra un moto di rotazione molto rapido, tale da giustificare il suo elevato momento angolare.

109

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20 Appendice 1 – Distanze in Astronomia

Tra le grandezze relative ai corpi celesti le distanze sono sicuramente le più difficili da misurare. Possiamo suddividere i metodi di misura in primari (o diretti) e secondari (o indiretti). I metodi primari sono quelli che permettono una misurazione diretta della distanza, in genere utilizzando procedure di tipo geometrico o cinematico, e che consentono una successiva taratura dei metodi secondari che su di essi si appoggiano.

METODI PRIMARI

Distanze fino a qualche decina di UA (interplanetarie)

20.1 Metodi trigonometrici, Periodi di rivoluzione e Radio-echi

Metodi trigonometrici: Parallassi diurne e Massima elongazioneIl termine parallasse indica lo spostamento apparente di due punti situati a distanza diversa dall'osservatore quando quest'ultimo si sposta lungo una retta trasversale alla linea di osservazione. La distanza tra i due punti di osservazione è detta base parallattica. Lo spostamento parallattico sarà tanto più evidente quanto maggiore è la base parallattica e/o quanto più vicino è l'oggetto all'osservatore. L'angolo compreso tra le due visuali è detto angolo parallattico o parallasse.

Per ottenere uno spostamento parallattico di un corpo appartenente al nostro sistema planetario (pianeta, satellite, asteroide etc) rispetto allo sfondo delle stelle fisse è necessaria una base parallattica sufficientemente estesa, ad esempio il diametro terrestre. Per utilizzare il diametro terrestre come base parallattica è sufficiente eseguire 2 osservazioni a distanza di circa 12 ore, aspettando che la terra compia mezzo giro intorno al suo asse. La metà dell'angolo compreso tra le due visuali è detto parallasse diurna (o orizzontale).In pratica si registra la posizione del pianeta P al momento in cui sorge e in cui tramonta (quando cioè si trova all’orizzonte), determinando in tal modo l’angolo 2α.

si determina quindi la distanza in funzione del raggio terrestre R. Infatti per le regole della

trigonometria deve essere dR

=sen α

.

Ad esempio sapendo che la parallasse media della luna è di circa 0,95°, si trova per essa una distanza pari a circa 60 raggi terrestri

dR

R= =sen ,

,0 95

60 3

Per corpi celesti che orbitano intorno al sole su orbite interne a quella terrestre è possibile determinare la massima distanza angolare (elongazione massima) del corpo rispetto al sole. Quando infatti osserviamo un pianeta interno (Mercurio, Venere) alla sua massima elongazione, la visuale è

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tangente all’orbita del pianeta e quindi perpendicolare alla direzione Pianeta-Sole. In queste condizioni, per le regole della trigonometria, il rapporto tra la distanza Pianeta-Sole (DP) e la distanza Terra-Sole (DT) deve essere pari al seno dell’elongazione massima εmax.

D

DP

T

= sen maxε

Così, ad esempio, sapendo che l’elongazione massima di Venere è circa 46,5°, possiamo determinare la sua distanza dal sole in Unità astronomiche come d UA UA= ⋅ ° =1 46 5 0 725sen , ,

Aristarco ed Ipparco: sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna

I primi ad usare metodi parallattici e trigonometrici per la determinazione di distanze cosmiche furono gli antichi Greci.La prima stima della distanza della Luna si deve ad Aristarco di Samo (III sec. a.C.), famoso soprattutto per la sua ipotesi eliocentrica, in seguito abbandonata in favore del geocentrismo tolemaico.Nell’unica opera pervenutaci, “Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna”, Aristarco afferma correttamente che quando la luna ci appare illuminata per metà (dicotomia lunare) essa deve necessariamente trovarsi al vertice dell’angolo retto di un triangolo rettangolo, ai rimanenti vertici del quale si trovano Terra e Sole. Aristarco valuta in 87° (un quadrante (90°) meno un trentesimo di quadrante (3°)) l’angolo α compreso tra le visuali che dalla Terra portano alla Luna e al Sole.

In termini trigonometrici ciò significa che l’angolo β = 3° e che il rapporto tra la distanza Terra-Luna (DL) e la distanza Terra-Sole (DS) è pari al seno di β.

111

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D

DsinL

S

= ° = 31

19

In realtà al tempo di Aristarco non erano ancora disponibili tavole trigonometriche (la trigonometria nasce con Ipparco di Nicea verso la seconda metà del II secolo a.C) ed egli dimostra che il rapporto deve essere compreso tra 1/18 e 1/20. Il risultato è assolutamente corretto dal punto di vista formale, ma il valore dell’angolo α ottenuto da Aristarco è inferiore al valore reale (89° 51’ 10’’) per la evidente difficoltà di misurare un angolo così prossimo ad un angolo retto. Il valore corretto dell’angolo porta ad un rapporto tra le distanza pari a circa 1/390.

Aristarco osserva poi correttamente che Sole e Luna hanno nel nostro cielo dimensioni apparenti uguali (durante un eclisse di Sole il disco lunare si sovrappone perfettamente a quello solare). Da ciò deriva che distanza e dimensione dei due astri devono essere in proporzione. In altre parole, poiché il Sole è circa 19 volte più distante della Luna, allora anche le dimensioni del Sole devono essere 19 volte superiori a quelle della Luna.

19S S

L L

D R

D R= =

Dalle osservazioni di un'eclisse lunare Aristarco trasse inoltre la conclusione che l'ampiezza dell'ombra proiettata dalla Terra nella regione dove essa è attraversata dalla Luna è due volte il diametro della Luna.

In realtà, come successivamente trovò Ipparco, l’ombra alla distanza della Luna è circa 2,5 volte più grande della Luna stessa.

Se indichiamo con RO il raggio dell’ombra e con RL il raggio della Luna è facile verificare come il percorso effettuato dalla Luna per entrare completamente nel cono d’ombra (A → B) è pari a 2RL. Il tempo necessario per effettuare tale percorso è di circa un’ora. Infatti, poiché la Luna impiega circa 30 giorni (29,5 giorni) per completare una rivoluzione di 360° rispetto al sistema Terra-Sole, essa si muove di 360°/30 = 12° al giorno = 0,5° all’ora. In altre parole impiega un’ora per spostarsi di un suo diametro. La velocità del moto di entrata sarà ovviamente pari a 2RL/1

Il percorso effettuato dalla Luna per attraversare completamente il cono d’ombra rimanendo al suo interno (B → C) è pari a (2RO - 2RL). Il tempo necessario (tempo di totalità) per effettuare tale percorso è di circa un’ora e mezza. La velocità di tale moto di entrata sarà ovviamente pari a (2RO - 2RL)/1,5.Trattandosi di un tratto breve e limitato dell’orbita lunare possiamo assumere come costante la velocità di rivoluzione e scrivere pertanto

2RL/1 = (2RO - 2RL)/1,5

112

Page 113: 130164057 Astronomia Doc

da cui, riordinando, si ottiene

RO = 2,5RL

Aristarco usa questi dati per calcolare le dimensioni e la distanza della Luna, sfruttando lo schema geometrico che si viene a creare durante un’eclisse di Luna.Dati1) RO = 2RL

2) 19S S

L L

D R

D R= =

3) dimensione angolare Sole = dimensione angolare Luna = 0,5°

dalla similitudine dei triangoli BCD e ABE si ricava la proporzione

EA EB

DB DC=

e, sostituendo opportunamente

2S T S

T L L

R R D

R R D

− =−

Ricordando che Aristarco aveva trovato DS/DL = 19 ed RS = 19 RL, la proporzione diventa

1919

2L T

T L

R R

R R

− =−

che, riordinata, fornisce

20

57L TR R=

Per Aristarco dunque le dimensioni lunari sono circa un terzo (20/57 ≈ 1/3) di quelle terrestri.

Si noti come il valore trovato da Aristarco per le dimensioni della Luna è praticamente indipendente dal valore assegnato al rapporto DS/DL = 19. Se ipotizziamo infatti che la distanza del Sole aumenti e dunque il rapporto DS/DL tenda ad infinito, si trova che il rapporto RL/RT tende a 1/3.Se infatti poniamo DS/DL = RS/RL = k, la relazione diventa

113

Page 114: 130164057 Astronomia Doc

2L T

T L

kR Rk

R R

− =−

1

3L T

kR R

k

+=

se k tende ad infinito, allora k + 1 ≈ k e la relazione diventa

1 1

3 3 3L T T T

k kR R R R

k k

+= ≈ =

Poiché, come abbiamo detto, per Aristarco le dimensioni dell’ombra terrestre alla distanza della Luna sono pari a 2 volte le dimensioni della Luna e le dimensioni della Luna sono circa un terzo delle dimensioni terrestri, possiamo scrivere

RO = 2RL = 2 ⅓ RT = ⅔ RT

Per Aristarco l’ombra della Terra si rimpicciolisce di circa un terzo delle dimensioni terrestri o, se vogliamo, si rimpicciolisce di un diametro lunare.

Nella sua opera Aristarco scrisse che il Sole e la Luna presentavano il medesimo diametro apparente di 2° (1/45 di quadrante). Tuttavia Archimede scrisse che Aristarco fu il primo a determinare che il Sole e la Luna presentavano il medesimo diametro apparente di mezzo grado. Se consideriamo corretta l’informazione di Archimede, questo significa che per Aristarco erano necessari 720 diametri lunari (pari a 1440 RL) per completare una circonferenza di 360° sulla sfera celeste avente raggio pari alla distanza Terra-Luna (DL). Quindi l’orbita descritta dalla Luna intorno alla Terra è una circonferenza la cui lunghezza corrisponde a 720 volte il diametro della Luna. Il raggio DL di tale circonferenza si ottiene ovviamente dividendo la sua lunghezza per 2π

201440

1440 5780

2 2

TL

L T

RR

D Rπ π

= = ≈

IpparcoAnche Ipparco si occupò del problema. Egli pubblicò i suoi risultati in due libri intitolati Peri megethoon kai 'apostèmátoon ("Sulle Dimensioni e Distanze"). che non ci sono pervenuti, ma del cui contenuto parla Tolomeo nell’Almagesto e Pappo di Alessandria, nel suo commentario all’Almagesto.

Nell’Almagesto Tolomeo attribuisce inoltre ad Ipparco l'invenzione di uno strumento, detto diottra, per misurare i diametri apparenti del Sole e della Luna e Pappo d'Alessandria, nel suo Commento al quinto libro dell'Almagesto, descrive la diottra come una guida scanalata lunga quattro cubiti (circa 2 metri) dove sono montate due pinnule rettangolari. La prima, fissa a un estremo della guida, reca un piccolo foro d'osservazione; la seconda, scorrevole lungo la scanalatura, è priva di fori. Puntato lo strumento, si sposta avanti e indietro la pinnula mobile finché copre esattamente il disco del Sole o della Luna. Il rapporto fra il diametro della pinnula mobile e la sua distanza dalla pinnula fissa permette di calcolare l'angolo sotteso dal corpo celeste.

114

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Utilizzando la diottra, Ipparco trovò che le dimensioni della Luna variano durante il suo moto orbitale, mentre non fu in grado di rilevare nessuna variazione sensibile del diametro apparente del Sole. Egli trovò che alla distanza media della Luna, il Sole e la Luna aveva il medesimo diametro apparente e che il diametro della Luna sta 650 volte nell’intera circonferenza. In altre parole il diametro apparente medio è pari a 360°/650 = 0,554° = 0° 33' 14". Ipparco notò anche che la Luna presenta una parallasse diurna, risulta cioè spostata dalla sua posizione rispetto al Sole o alle stelle, se osservata da punti diversi della superficie terrestre. La parallasse diurna della Luna è l’angolo πL sotto il quale un osservatore, posto sulla superficie della Luna, osserverebbe il raggio della Terra.

Misurando l’entità di tale angolo di parallasse è dunque possibile calcolare la distanza Terra Luna (DL) espressa in Raggi terrestri. Il raggio Terrestre può essere infatti approssimato all’arco AB posto sulla circonferenza di raggio DL. Il rapporto RT/DL è dunque pari alla parallasse lunare espressa in radianti. E dunque DL, espresso in raggi terrestri, è semplicemente il reciproco della parallasse lunare espressa in radianti.

1

( )LL

Dradπ

=

Per il Sole Ipparco, non fu tuttavia in grado di individuare alcuna parallasse osservabile (oggi sappiamo che il suo valore è πS = 8,8", nettamente al di sotto della risoluzione dell’occhio umano che è di circa 1’. Probabilmente per questo motivo nel primo libro, Ipparco ipotizzò che la parallasse del Sole fosse effettivamente nulla, il che equivale a porre idealmente il Sole a distanza infinita. Come conseguenza di tale ipotesi, la diversa manifestazione di una medesima eclisse di Sole per osservatori posti in punti diversi della superficie terrestre deve essere attribuita solo alla parallasse lunare.

115

Page 116: 130164057 Astronomia Doc

In altre parole, la posizione apparente della Luna nel cielo rispetto al Sole dipende dalla posizione dell’osservatore sulla superficie terrestre. Tale spostamento apparente è detto parallasse lunare e la sua entità dipende dalla distanza che separa i due punti di osservazione e, ovviamente, dalla distanza della Luna. Ipparco utilizzò probabilmente le informazioni relative all’eclisse di Sole del 14 marzo 190 a.C, che fu totale per gli osservatori posti nell’Ellesponto (Dardanelli, latitudine φ = 41°), mentre risultò parziale per gli abitanti di Alessandria (latitudine φ = 31°) che videro occultati solo i 4/5 del Sole.

Partendo da questi dati Ipparco concluse che la distanza della Luna doveva essere compresa tra 71 ed 83 raggi terrestri. Non conosciamo esattamente il procedimento utilizzato da Ipparco per ottenere tale risultato, anche se diversi storici della scienza hanno tentato varie ricostruzioni.

Poiché per Ipparco il Sole occupa sulla sfera celeste 0,554°, la frazione di Sole non oscurata dalla Luna ad Alessandria corrisponde a 1/5 di 0,554° pari a 0,111° . Tale angolo è uguale all’angolo di parallasse α del bordo inferiore C della Luna osservato dai due punti A e B sulla superficie terrestre.Dunque l’arco AB posto sulla circonferenza di raggio DL ha una lunghezza pari a

0,1112

360LDπ ⋅

L’arco AB posto sulla superficie terrestre, di ampiezza pari alla differenza di latitudine (Δφ = 10°) tra l’Ellesponto ed Alessandria, ha invece una lunghezza pari a

102

360TRπ ⋅

Se ora assumiamo che questi due archi siano approssimativamente uguali possiamo scrivere

0,111 102 2

360 360L TD Rπ π⋅ = ⋅

da cui10

900,111L T TD R R= ⋅ = ⋅

Tale risultato è stato ottenuto ponendo il Sole e la Luna allo zenit tra Ellesponto ed Alessandria, perpendicolare dunque ad una latitudine, intermedia tra 41° e 31°, pari a 36° . Possiamo affinare il risultato se consideriamo che il 14 Marzo la declinazione del Sole è di circa 3° Sud.

La direzione dei raggi solari è dunque inclinata di 36 + 3 = 39° rispetto alla verticale che passa per la latitudine di 36°. In tal modo l’arco di circonferenza BD (approssimato con un segmento) avente raggio DL forma anch’essa un angolo di 39° con l’orizzonte e la sua lunghezza può essere correlata

116

Page 117: 130164057 Astronomia Doc

all’arco AB (anch’esso approssimato con un segmento) che congiunge l’Ellesponto ad Alessandria dalla relazione

BD / cos 39° = AB

sostituendo nella relazione precedente otterremo0,111 1 10

2 2360 cos39 360L TD Rπ π⋅ ⋅ = ⋅

°

( )10cos 39 70

0,111L T TD R R= ⋅ ° = ⋅

Nel secondo libro Ipparco usa un metodo diverso per la stima delle distanze, utilizzando un eclisse di Luna.

Se consideriamo il triangolo STL, avremo che la somma dei suoi angoli interni è ovviamente pari a 180°

πS + πL + β = 180°doveπS = Parallasse diurna del SoleπL = Parallasse diurna della Luna

Ma anche la somma dei tre angoli α + β + γ = 180° andando a formare un angolo piatto

doveα = dimensione angolare del Raggio solare γ = dimensione angolare del raggio dell’ombra terrestre alla distanza della Luna

117

Page 118: 130164057 Astronomia Doc

Dunque possiamo scrivere

πS + πL + β = α + β + γed in definitiva

πS + πL = α + γ

I valori di α e β erano, come sappiamo, noti ad Ipparco. Le dimensioni angolari del Sole (uguali a quelle della Luna) erano stati stimati da Ipparco a 0,554° e dunque α = 0,554° / 2 = 0,277°L’ombra terrestre alla distanza della Luna era stata valutata da Ipparco pari a 2,5 volte le dimensioni della Luna e dunque, essendo il raggio lunare apparente uguale a quello del Sole, γ = 0,277° x 2,5 = 0,6925°.

In definitiva α + γ = 0,277° + 0,6925°. = 0,9695°

Se ne deduce che la somma della parallasse diurna del Sole e della Luna deve essere pari a 0,9695° e, noto uno dei due valori, l’altro resta univocamente determinato.

πS + πL = 0,9695°

A differenza di quanto aveva fatto nel primo libro in cui aveva assegnato al Sole una parallasse nulla (πS = 0), nel secondo libro Ipparco assegna al Sole una distanza dalla terra di 490 Raggi terrestri, che corrisponde ad una parallasse solare pari a πS = 0,1169° ≈ 7’

Se infatti DS è la distanza Terra-Sole, la circonferenza avente raggio DS ha una lunghezza 2πDS ed il raggio terrestre RT rappresenta una frazione di tale circonferenza pari a πS/360

2360

ST SR D

ππ= ⋅ ⋅

e dunque, se DS = 490 RT, la parallasse solare deve valere

360 3600,1169 7 '

2 2 490T T

SS T

R R

D Rπ

π π⋅ ⋅= = = ° =⋅ ⋅

Assegnata dunque al Sole una parallasse di 0,1169°, resta determinata la parallasse lunare

πL = 0,9695° - πS = 0,9695° - 0,1169° = 0.8526°

118

Page 119: 130164057 Astronomia Doc

valore che ci permette di calcolare la distanza della Luna in raggi terrestri utilizzando la relazione

2360

LT LR D

ππ= ⋅ ⋅

da cui

360 36067,2

2 2 0,8526T T

L TL

R RD R

π π π= ⋅ = =

⋅ ⋅

Possiamo notare come per Ipparco il valore della parallasse assegnata al Sole rappresenti un limite superiore, superato il quale, la paralasse solare sarebbe osservabile e misurabile. In altre parole la parallasse solare potrebbe avere qualsiasi valore compreso tra 0° e 0,1169°. Se ora facciamo tendere a zero il valore della parallasse solare osserviamo come la distanza della Luna tenda a 59 raggi terrestri. Infatti per πS = 0 la parallasse lunare vale

πL = 0,9695° - πS = 0,9695° - 0= 0,9695°e la distanza della Luna diventa

360 36059,1

2 2 0,9695T T

L TL

R RD R

π π π= ⋅ = =

⋅ ⋅

Periodi di rivoluzione (Terza legge di Keplero)La terza legge di Keplero afferma che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è direttamente proporzionali al cubo della sua distanza media (semiasse maggiore a dell’orbita ellittica) dal sole.

( )PG M M

aS P

22

34=

Ovviamente la legge vale per qualsiasi corpo celeste in orbita intorno al sole (ad esempio una cometa). Poichè tutti i corpi celesti in orbita intorno al nostro sole possiedono una massa trascurabile rispetto alla massa solare, possiamo scrivere M M MS P S+ ≈ . Se poi misuriamo il semiasse maggiore a dell’orbita in UA, il periodo P in anni terrestri e le masse in unità solari, la relazione diventa

( ) ( )P aanni UA2 3=

La misura del tempo di rivoluzione (in anni) di un corpo celeste intorno al sole ci permette dunque di calcolare la sua distanza media dal sole in unità astronomiche. Ad esempio, sapendo che Giove impiega 11,86 anni terrestri a compiere una rivoluzione intorno al sole possiamo determinare la sua

distanza che risulta essere pari a a P UA= = =23 23 1186 5 2, ,

Radio-EchiE’ possibile determinare la distanza di un corpo celeste inviando sulla sua superficie un fascio di onde elettromagnetiche e misurando il tempo necessario affinché queste vengano riflesse e ritornino sulla terra. Essendo c la velocità della luce e 2t il tempo di andata e ritorno la distanza sarà pari a d = ct.In realtà, poiché la terra si muove intorno al sole durante il periodo di misurazione, la formula per il calcolo della distanza dovrà tenerne conto e sarà pertanto più complessa.Affinché la radiazione non venga diffusa e quindi si disperda è necessario utilizzare una lunghezza d’onda più grande delle asperità presenti sulla superficie riflettente. Per i pianeti si usano lunghezze d’onda dell’ordine del metro.

119

Page 120: 130164057 Astronomia Doc

Distanze fino a qualche centinaio di parsec

20.2 Parallassi annue e Parallassi di gruppoParallassi annueEseguendo due osservazioni di una stella relativamente vicina a distanza di 6 mesi, è possibile individuare una sua oscillazione rispetto allo sfondo delle stelle fisse. In 12 mesi le stelle più vicine sembrano infatti percorrere un ellisse sullo sfondo delle stelle più lontane (fisse). Tale ellisse non è altro che la proiezione dell'orbita della terra sulla sfera celeste. L'angolo 2α sotto il quale noi osserviamo l'asse maggiore di tale ellisse apparente è lo stesso sotto cui un osservatore posto sulla stella osserverebbe l'asse maggiore dell'orbita terrestre. La metà di tale angolo, pari ad α, è detto parallasse annua della stella. Tale angolo permette la misura della distanza d della stella (o del pianeta in caso di parallasse diurna). Ricordando infatti che in un triangolo rettangolo il rapporto tra le misure dei cateti è pari alla tangente dell'angolo opposto al primo cateto, potremo scrivere:

rd

tgα=

C

sA

sB

A

B

sα2α d

r

Naturalmente lo spostamento apparente e il conseguente valore della parallasse risulterà tanto maggiore quanto più la stella è vicina alla terra, mentre diminuirà, al punto da non essere più misurabile per stelle molto distanti. Quando la parallasse annua di una stella è di 1" (1/3600 di grado), la relazione precedente fornisce una distanza di

( )dr

km= = = ⋅ =tg

UA

tg 1 / 3600 UA = al

α1

206264 8 3 0856776 10 3 26163313, , ,

Una stella dista quindi 1 parsec dalla terra quando misuriamo per essa un angolo di parallasse di 1 secondo di grado (1"). Nessuna stella, per quanto vicina, presenta una parallasse superiore al secondo di grado. La stella più vicina, Proxima Centauri (cielo australe), presenta una parallasse di 0,76" e quindi dista da noi 3,26/0,76 = 4,3 al.

Le prime determinazioni di una parallasse stellare annua si devono a Struve (1822 - α Aquilae 0,181") e a Bessel (1837 - 31 Cygni 0,314"). Attualmente i nostri strumenti non ci permettono di apprezzare angoli inferiori al centesimo di secondo ed è quindi impossibile determinare la parallasse di stelle la cui distanza sia superiore a 100 parsec (circa 300 al).

120

Page 121: 130164057 Astronomia Doc

Parallassi di gruppo (o di ammasso)Alcuni gruppi di stelle, gravitazionalmente legate all’interno della nostra galassia, si muovono sulla volta celeste in modo praticamente solidale, presentando quasi il medesimo moto proprio (µ in arcsec/anno). Gli esempi più importanti si trovano tra gli ammassi aperti (gli ammassi delle Jadi e delle Pleiadi nel Toro).Per questi gruppi di stelle è a volte possibile individuare anche il punto della sfera celeste (apice del moto) verso il quale sembrano convergere le singole stelle. Il movimento delle stelle sulla sfera celeste è rappresentato dalla velocità tangenziale (Vt), proiezione della velocità spaziale della stella (Vs) in direzione perpendicolare alla visuale e tangente alla sfera celeste.

Mentre i vettori Vs sono tutti praticamente paralleli tra di loro (tutte le stelle di un gruppo si stanno muovendo insieme nello spazio), è facile verificare che i vettori Vt, essendo tangenti ad un cerchio massimo, devono convergere verso un punto comune (i cerchi massimi si intersecano sempre), detto appunto apice del moto.

Si può dimostrare che l’angolo α compreso tra la visuale Terra-Ammasso e la direzione Terra-Apice è pari all’angolo compreso tra il vettore Velocità spaziale (Vs) ed il vettore Velocità radiale (Vr).

Essendo poi V

Vt

r

= tan α , possiamo scrivere

V Vt r= ⋅ tan αe ricordando che la velocità radiale è legata al red-shift dalla relazione V c zr = ⋅ , si avrà

V c zt = ⋅ ⋅ tan αD’altra parte la velocità tangenziale è legata al moto proprio, dalla relazione che lega la velocità lineare alla velocità angolare (V = ω R)

V dt = ⋅ ⋅4 74, µil coefficiente 4,74 è necessario per convertire l’unità di misura del moto proprio da arcsec/anno in rad/s e la distanza d da parsec in km, in modo che la velocità trasversale venga data in km/s.

( )( ) ( ) ( )µ

µarcsec / anno

arcsec / rad s / annorad / s

206 265 31557 600. . .⋅= ( ) ( ) ( ) ( )d pc UA pc km UA d km⋅ ⋅ ⋅ =206 265 1496 108. / . /

dove, 206.265 è il numero di secondi di grado contenuti in un radiante (ed anche il numero di unità astronomiche contenute in un parsec) e 31.557.600 è il numero di secondi di tempo contenuti in un anno giuliano di 365,25 giorni. In definitiva si avrà

121

Page 122: 130164057 Astronomia Doc

Vd

dt =⋅ ⋅ ⋅

= ⋅ ⋅µ

µ1 496 10

31557 6004 74

8,

. .,

Eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la distanza (espressa in parsec) avremo infine

dcz z

=⋅

= ⋅ ⋅tan

,. tan

αµ

αµ4 74

63240

Il metodo delle parallassi di gruppo permette di stimare distanze fino a qualche centinaio di parsec.METODI SECONDARI

L’intervallo di distanza tra i 0,5 kpc (limite delle misurazioni dirette) e i 50 Mpc (limite al di sotto del quale la relazione di Hubble risulta poco affidabile) viene coperto da tutta una serie di metodi secondari che si basano in gran parte su indicatori di distanza.

Indicatori di distanzaGli indicatori di distanza sono oggetti celesti di luminosità intrinseca L (o magnitudine assoluta M) nota. Vengono anche chiamati candele campione o candele standard. Le parallassi ottenute tramite indicatori si dividono in due classi in relazione al criterio di calibrazione della funzione di luminosità: parallassi spettroscopiche e parallassi fotometriche. Con le prime si ricava la magnitudine in funzione delle caratteristiche dello spettro, con le seconde si riconosce per certe sue caratteristiche un oggetto celeste di luminosità nota o calcolabile (stelle variabili, novae, supernovae, ammassi globulari, regioni H II etc)Una volta individuato un indicatore di distanza è sufficiente misurarne la luminosità apparente l (o la magnitudine apparente m) perché sia calcolabile la distanza tramite le note relazioni fotometriche. Ricordando infatti che L l d= ⋅ 4 2π e M m= − +5 510log d si avrà

dL

l=

⋅4π d

m M

=+

10

15

Tenendo presente che attualmente i nostri strumenti sono in grado di percepire oggetti fino ad un limite di luminosità m ≈ 20, è possibile calcolare la massima distanza (in pc) entro la quale un indicatore di magnitudine M può essere individuato e quindi utilizzato, applicando la

dM M

= =+

10 10

120

5

25

5

20.3 Le distanze fino a qualche decina di Kiloparsec: Parallassi spettroscopiche e Parallassi dinamiche

Parallassi spettroscopicheIl metodo si basa sulla possibilità di riconoscere il tipo spettrale di una stella e la classe di luminosità alla quale appartiene. In genere, noto il tipo spettrale, si risale alla luminosità misurando la larghezza delle righe di assorbimento (sistema MK).

Si è potuto notare che a parità di tipo spettrale le stelle presentano le righe di assorbimento del loro spettro più o meno allargate. Si ritiene che il fenomeno sia dovuto alla diversa pressione esercitata dal plasma che costituisce la stella. Maggiori sono le dimensioni stellari, più il plasma è rarefatto (la sua pressione è bassa) e più le righe spettrali si restringono.Una minor larghezza delle righe spettrali è dunque indice di maggiori dimensioni stellari e quindi, a parità di temperatura, di maggiore luminosità.

Parallassi dinamicheAd un sistema doppio visuale è possibile applicare la terza legge di Keplero

( )PG M M

a22

1 2

34=

122

Page 123: 130164057 Astronomia Doc

la quale, se misuriamo il semiasse maggiore a dell’orbita in UA, il periodo P in anni terrestri e le masse in unità solari, diventa

( )( )

( )Pa

anniUA2

3

1 2

=+M M

Se π è l’angolo (in secondi d’arco) sotto il quale vediamo il semiasse maggiore dell’orbita del sistema doppio, allora la sua distanza d in parsec si ottiene come

( )d

a P= =

+π π

21 2

3 M M

Poiché il periodo di rivoluzione è facilmente determinabile, il metodo può essere utilizzato solo se è possibile assegnare le masse alle due componenti stellari. Si tenga comunque presente che le stelle non presentano un intervallo di masse molto esteso. Inoltre, essendo la somma delle masse sotto radice cubica, un errore nell’assegnazione delle masse non incide in modo sostanziale sul risultato. Se le masse sono completamente sconosciute è possibile, al fine di stimare grossolanamente la distanza, utilizzare un valore medio che per i sistemi doppi di stelle è M M1 2 2+ = ⊗M .

Le distanze fino a qualche Megaparsec

20.4 Cefeidi, Regioni H II, Novae, Parallassi nebulari

Le CefeidiSono stati i primi indicatori di distanza, introdotti in astronomia all’inizio del ‘900. Si tratta di stelle variabili in cui il periodo di variabilità è correlato alla magnitudine assoluta. Tra le diverse classi di Cefeidi si possono ricordare le Cefeidi classiche, le RR Lyrae e le W Virginis, che presentano le seguenti relazioni (con P in giorni)

PM v log5,27,1 −−= PM v log5,245,0 −= M v = 0 6,Classiche W Virginis RR Lyrae

Essendo il periodo massimo di una cefeide intorno ai 50 gg, la loro magnitudine massima risulta essere pari a circa -6. Esse possono essere pertanto utilizzate come indicatori fino a distanze dell’ordine dei 106 pc.

Le regioni H IIQuando nei bracci delle galassie a spirale si formano stelle molto calde (associazioni O-B), la regione gassosa circostante viene eccitata con formazione di una nebulosa in emissione (regione H II) la cui dimensione (Raggio di Strömgren) e luminosità dipendono dal tipo spettrale (e quindi dalla temperatura) della stella eccitante. Una volta individuato il tipo spettrale della stella eccitante è quindi possibile risalire alle caratteristiche della regione H II. Tali regioni possono essere utilizzate come indicatori di distanza sia utilizzando i valori di magnitudine assoluta, sia utilizzando i valori della loro estensione radiale (misurando la loro dimensione angolare apparente e risalendo alla loro distanza tramite le note relazioni trigonometriche)

Tipo spettrale

Magnitudine visuale

Temperatura Efficace

Raggio di Strömgren(pc)

O5 -5,6 48.000 108O6 -5,5 40.000 74

123

Page 124: 130164057 Astronomia Doc

O7 -5,4 35.000 56O8 -5,2 33.500 51O9 -4,8 32.000 34

O9.5 -4,6 31.000 29B0 -4,4 30.000 23

B0.5 -4,2 26.200 12

Le NovaeLe novae sono esplosioni stellari che si producono in sistemi doppi. Nel giro di 2-3 giorni la loro luminosità iniziale aumenta fino ad un massimo per poi ritornare lentamente al minimo. La magnitudine assoluta massima raggiunta da una nova può essere stimata ricorrendo alla seguente relazione

M = -11,75 + 2,5 log tDove t è il tempo in giorni che la nova impiega a diminuire di 3 gradi la sua magnitudine massima.Mediamente t ≈ 50 gg e la magnitudine assoluta media di una nova al massimo vale intorno a -7,5.

Parallassi nebulariNovae e supernovae generano degli involucri gassosi in rapida espansione radiale i quali, essendo eccitati dall’esplosione stellare che li ha generati, producono uno spettro in emissione.Poiché una parte del gas in espansione si avvicina ed una parte si allontana rispetto all’osservatore ciascuna riga subisce contemporaneamente un red ed un blu-shift che la allarga. L’entità dell’allargamento delle righe permette ovviamente di calcolare la velocità v di espansione dell’involucro. Dopo un tempo t l’involucro gassoso presenterà un raggio R = vt (nell’ipotesi che la velocità sia rimasta costante). Se l’involucro gassoso viene visto dalla terra sotto un angolo 2α, la

distanza d sarà pari a dR

tg=

α

Le distanze fino a qualche decina di Megaparsec

20.5 Ammassi globulari e Supergiganti estremeL’ammasso globulare più luminoso di una galassiaGli ammassi globulari di una galassia presentano una magnitudine assoluta media intorno a -7, con valori massimi intorno a -10. Ipotizzando quindi che l’ammasso globulare più luminoso di una galassia presenti magnitudine assoluta -10, possiamo stimarne la distanzaLe distanze raggiungibili in questo modo sono dell’ordine dei 107 pc

d pc= ≈+

10 10

25 10

5 7

La stella più luminosa di una galassia124

Page 125: 130164057 Astronomia Doc

Le stelle più luminose che conosciamo, sono le cosiddette Ipergiganti o supergiganti estreme, appartenenti alla classe di luminosità 0 (zero), tutte con magnitudine intorno a -9, indipendentemente dal tipo spettrale. Ipotizzando che la stella più brillante di una galassia sia una ipergigante se ne può stimare la distanza.

Le distanze fino a qualche centinaio di Megaparsec

20.6 Tully-Fisher e SupernovaeRelazione di Tully-Fisher: la larghezza della riga di 21 cmNel 1977 Tully e Fisher hanno dimostrato che esiste una relazione tra la magnitudine assoluta di una galassia a spirale e la velocità di rotazione della galassia, determinata misurando la larghezza della riga a 21 cm dell’idrogeno neutro che popola le sue spire.

L = 180 V4

Con V in Km/s ed L in unità di luminosità solare L .La base fisica di tale relazione riposa sul fatto che la luminosità di una galassia è proporzionale da una parte al numero di stelle che la compone e quindi alla sua massa (L ∝ M) e dall’altra alle dimensioni della galassia e quindi all’entità della sua superficie emittente (L ∝ R2). Essendo la galassia un sistema rotante in equilibrio dinamico possiamo eguagliare forza centrifuga e forza centripeta

V

R

GM

R

2

2=

ed esplicitare la massa, ottenendo così la nota relazione del viriale

MRV

G=

2

che, espressa in masse solari, diventa

M =⊕

RV

GM

2

dove M = 2 1033 g

Assumendo ora per le galassie a spirali un rapporto M/L costante e pari a M / L = 25(in unità solari), sostituendo si ottiene

L =⋅ ⊕

RV

GM

2

25

Si assuma infine come brillanza superficiale media di una galassia il valore l ≈ ⋅ −⊕5 10 38 2L cm/ ,

ottenuto dividendo la luminosità media delle galassie (108 L ) per il raggio medio al quadrato (R = 50.000 al). In tal modo la relazione tra luminosità assoluta e raggio può essere scritta

L l= ⋅ R2 e quindi R =Ll

che, sostituita nella relazione precedente, fornisce

LLl

=⋅ ⊕

V

GM

2

25

e in definitiva

125

Page 126: 130164057 Astronomia Doc

( )Ll

=⋅ ⊕

V

GM

4

225

Si noti come, se V è in Km/s, sia necessario introdurre un coefficiente 105 per trasformare la velocità in cm/s e renderla così omogenea con le altre grandezze. Avremo perciò

( )( ) ( )

Ll

=⋅

=⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

= ⋅⊕

− −

10

25

10

5 10 25 6 67259 10 2 10180

5 4

2

20 4

38 8 33 24

V

GM

VV

,

Per trasformare la luminosità assoluta in magnitudine assoluta, scriviamo la relazione di Pogson

M MG S− = −⊕

2 5 10, logL

LG

dove MG =Magnitudine assoluta della galassiaMS = Magnitudine assoluta del sole = 4,8LG = Luminosità assoluta della galassia in unità solari L = Luminosità assoluta del sole in unità solari = 1

da cui

MG − = −⋅

4 8 2 5110, , log

180 V 4

e quindiM VG = − −0 84 10 10, log

In definitiva la magnitudine assoluta della galassia viene ad essere legata alla sua velocità di rotazione. Quest’ultima può essere stimata misurando l’allargamento della riga a 21 cm dell’idrogeno neutro. Infatti la radiazione proveniente dal lato della galassia che si allontana è affetta da un red-shift, mentre la radiazione proveniente dal lato della galassia che si avvicina presenta un blu-shift. Il risultato è che tutte le righe spettrali risultano contemporaneamente spostate di un’egual percentuale sia verso destra che verso sinistra e quindi allargate in misura tanto maggiore quanto maggiore è la velocità di rotazione della galassia.I moderni telescopi sono in grado di misurare la larghezza della riga di 21 cm fino a circa 100 Mpc.

Le supernovaeLe supernovae sono esplosioni stellari di enorme potenza. Si dividono in supernovae di tipo I (suddivise in Ia e Ib) e tipo II. Le supernove di tipo II e di tipo Ib presentano una magnitudine assoluta al massimo intorno a -18, mentre le supernove di tipo Ia raggiungono al massimo i -20.Con queste candele standard si raggiungono distanze dell’ordine dei 108 -109 pc.

Le distanze fino a qualche migliaio di Megaparsec

20.7 Galassie più luminose, Lenti gravitazionali e Legge di Hubble

Si tenga presente che attualmente la porzione di universo osservabile (distanza-orizzonte) ha proprio questo ordine di grandezza che, per un universo euclideo, vale

O c tc

Hh Mpco

o

= ⋅ = = −2

32000 1

dove h è un fattore di incertezza sul valore della costante di Hubble

126

Page 127: 130164057 Astronomia Doc

La galassia più luminosa di una ammasso di galassieSi è statisticamente rilevato che le galassie più luminose di un ammasso di galassie sono in genere delle ellittiche giganti con magnitudine assoluta intorno a -23. Le distanze stimate in questo modo sono dell’ordine di 109 pc

d pc= ≈+

10 10

25 23

5 9

Le lenti gravitazionaliLa relatività generale prevede che la radiazione elettromagnetica venga deflessa passando accanto ad una forte concentrazione di massa. In questo modo la luce proveniente da oggetti molto distanti (quasar ad esempio), può essere deflessa da un oggetto massiccio (ad esempio una galassia o un ammasso di galassie) interposto sulla nostra linea di vista e concentrata verso di noi con un meccanismo analogo a quello di una lente. L’effetto “lente gravitazionale” è già stato osservato sotto forma di immagini multiple di quasar lontani.

Se l’oggetto interposto G non è perfettamente allineato (condizione d’altra parte maggiormente probabile) si formano due immagini (Q1 e Q2) del quasar Q disposte sulla sfera celeste in modo non simmetrico (α1 ≠ α2) rispetto a G. Ciò comporta che i raggi luminosi che formano le due immagini sdoppiate compiono un percorso di lunghezza diversa (d1 > d2) per giungere sino a noi.

La relatività generale permette di calcolare la differenza di percorso in termini relativi (d d

d1 2

2

−).

Supponiamo ad esempio di trovare che d1 risulta essere di un miliardesimo più lungo di d2

d d

d1 2

29

1

10

−= e di osservare un aumento di luminosità nell’immagine Q2 che si ripeta identico

dopo 3 anni nell’immagine Q1. Possiamo allora dedurre che la differenza di percorso (d1 - d2) deve essere pari a 3 anni-luce. Essendo poi la differenza tra i due tragitti molto piccola possiamo porre d ≈ d1 ≈ d2 e scrivere pertanto

d d

d

d d

d1 2

2

1 29

1

10

−≈

−=

e quindi

( )d d d= − ⋅ = ⋅1 29 910 3 10

trovando così che la distanza d del quasar è di 3 miliardi di anni-luce.

Legge di HubbleNel 1929 Hubble giunse a definire una relazione che legava la distanza delle galassie all'entità del loro red-shift z e quindi, essendo z = v/c, alla loro velocità di allontanamento.

v = H D

127

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dove v è la velocità di allontanamento in km/s, D è la distanza in megaparsec (Mpc) e H è una costante di proporzionalità, detta costante di Hubble, alla quale si dà oggi (Ho) un valore compreso tra 50 e 100 km s-1 Mpc-1 (chilometri al secondo per megaparsec).

Introducendo il parametro di red-shift 'z' ( dove z = ∆λ/λ = v/c), la relazione diventa

zc = H D

In tal modo la misura del red-shift di ciascuna galassia diventa una misura, oltre che della sua velocità di recessione v, anche della sua distanza D. E' in questo modo che gli astronomi hanno calcolato la distanza degli oggetti celesti più remoti, come radiogalassie e quasar. Per tener conto dell'incertezza relativa al valore di Ho e per uniformare la trattazione si usa introdurre un parametro

(fattore di Hubble) definito come

100oH

h =

e quindi Ho vale 11o Mpc skmH −−= h 100 . E se trasformiamo i megaparsec in km (1 Mpc = 3,085677567 1019

km) 118 h 1024,3 −−⋅= sH o

Poichè il valore di Ho è compreso tra 50 e 100 è evidente che h può assumere valori compresi tra 0,5 e 1. Così se

vogliamo utilizzare la relazione di Hubble per determinare la distanza di oggetti lontani, dovremo scrivere

Mpczh

z

Mpcskm

skm

h

zcD 1-

2

5

h 3000)/(10

/103

100=

⋅⋅≈=

dove i valori di distanza vengono dati a meno di un fattore h-1.

La relazione di Hubble è poco affidabile per distanze inferiori ai 50 Mpc, in quanto al di sotto di questo limite i movimenti locali (velocità peculiari ≈ 103 km/s) sono dello stesso ordine di grandezza del moto di recessione. Per distanze inferiori a 50 Mpc la velocità di recessione è infatti v < 5000h km/s.

128

Page 129: 130164057 Astronomia Doc

21 Appendice 2 - Composizione moti orbitali

DATI:Newcomb (1900)Anno sidereo = 365,25636 gsm (giorni solari medi) (-9,5 10-5 s/y)

= 365d 6h 9m 10s = 31.558.150 sAnno anomalistico = 365,25964 gsm

= 365d 6h 13m 53s = 31.558.433 s (-0,26 s/cen)Anno tropico = 365,24220 gsm

= 365d 5h 48m 46s = 31.556.926 s (-5,305 10-3 s/y)

Stime attuali Anno sidereo = 365,256363 gsmAnno anomalistico = 365,259635 gsmAnno tropico = 365,242190 gsm

Giorno sidereo = 23h 56m 4,0989s = 86164,0989 s

Giorno siderale = 23h 56m 4,0905s = 86164,0905 sωTrot - Velocità angolare rotazionale Terra: 2π/86164,1 = 7,2921151 10-5 rad/s = 15,041067 ″ s-1

Mese sidereo = 27d 7h 43m 11,5s 27,321661 gsm = 2.360.591,5 sMese sinodico = 29d 12h 44m 2,9s 29,530589 gsm = 2.551.442,9 sMese anomalistico = 27d 13h 18m 33,2s 27,554551 gsm = 2.380.713,2 sMese draconico = 27d 5h 5m 35,8s 27,212220 gsm = 2.351.135,8 s

21.1 Giorno solare ed Equazione del Tempo E

Le velocità angolari seguono delle regole di composizione identiche a quelle utilizzate per comporre le velocità lineari. Se ωrot e ωriv sono rispettivamente la velocità di rotazione e di rivoluzione della terra rispetto alle stelle fisse, allora la velocità di rotazione della terra rispetto al sole può ottenersi componendo i due movimenti e sarà pari a (ωrot - ωriv). Essendo entrambi i moti diretti (antiorari) il loro segno sarà concorde.

ω ωπ π π

rot rivsid sid solG A G

− = − =2 2 2

da cui si ricava che il giorno solare dura

31.558.149,76 86164,098986400 24

31.558.149,76 86164,0989sidereo sidereo

solaresidereo sidereo

A GG s h

A G

× ×= = = =− −

86400 - 86164,0989 = 235,9011 s ˜ 3m 55,9s più del giorno sidereo

In realtà il giorno solare non ha sempre la stessa durata costante di 24 ore. Essa varia infatti con periodicità nel corso dell’anno a causa dell’eccentricità e dell’inclinazione (o obliquità) dell’orbita terrestre. Il valore di 24 ore che noi utilizziamo rappresenta il giorno solare medio, media dei 365 giorni solari.

129

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Effetto dell’eccentricitàPer la seconda legge di Keplero in perielio la Terra si muove più velocemente intorno al sole e quindi in 24 ore si sposta rispetto ad esso di un tratto leggermente superiore di 1°. La velocità di rotazione terrestre è invece costante e per compiere un po' più di 1° di rotazione al fine di riavere il sole in culminazione impiegherà un po' più di 4 minuti. Il giorno solare in perielio è un po' più lungo di 24 ore. Per ragioni opposte il giorno solare in afelio raggiunge la sua durata minima, inferiore alle 24 ore.

La velocità di rivoluzione della Terra alla distanza R dal Sole può essere calcolata con la seguente relazione

( )v G M MR aS T= + −

2 1

doveG = costante di gravitazione universale = 6,67428 10-11

a = semiasse maggiore (J2000) = 1.0000001124 UA = 149.597.887.506 me = eccentricità orbitale (J2000) = 0.01671022MT= Massa della Terra = 5,9736 1024 kgMS = Massa del Sole = 1,9891 1030 kg

La velocità massima si ha in perielio, in corrispondenza del raggio minimo Rmin = a(1-e)

( ) ( )( )

max

2 1 130,29188 km/s

1 1S T

S T

G M M ev G M M

a e a a e

+ + = + − = = − − La velocità minima si ha in afelio, in corrispondenza del raggio massimo Rmax = a(1+e)

( ) ( )( )

min

2 1 129,29615 km/s

1 1S T

S T

G M M ev G M M

a e a a e

+ − = + − = = + + Le rispettive velocità angolari ω (in rad/s) si ottengono dividendo le velocità lineari per il Raggio corrispondente

( )7max max

maxmin

2,0592984 101

v v

R a eω −= = = ⋅

( )7min min

minmax

1,9261405 101

v v

R a eω −= = = ⋅

+

Calcoliamo la durata del giorno solare vero in perielio componendo la velocità di rotazione della terra rispetto alle stelle fisse con la sua velocità massima di rivoluzione.

(max)

2rot riv

perielioG

πω ω− =

da cui

(max)(max)

2 286408.1160 s

2perieliorot riv

rivsidereo

G

G

π ππω ω ω

= = =− −

Dunque, per effetto della diversa velocità orbitale della Terra, il giorno solare vero in perielio dura 86408,1160 - 86164,0989 = 244,0171 s = 4 min 4,0 sec più del giorno sidereo e 86408,1160 – 86400 = 8,1160 s più del giorno solare medio

130

Page 131: 130164057 Astronomia Doc

Calcoliamo la durata del giorno solare vero in afelio

(min)

2rot riv

afelioG

πω ω− =

da cui

(min)(min)

2 286392.2957 s

2afeliorot riv

rivsidereo

G

G

π ππω ω ω

= = =− −

Dunque, per effetto della diversa velocità orbitale della Terra, il giorno solare vero in afelio dura 86392,2957 - 86164,0989 = 228,1968 s = 3 min 48,2 sec più del giorno sidereo e 86400 - 86392,2957 = 7,7043 s meno del giorno solare medio

La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della diversa velocità orbitale della Terra, di 244,0171 – 228,1968 = 15,8203 secondi nel corso dell’anno, valore che rappresenta la massima escursione nella durata del giorno solare causata dall'eccentricità dell'orbita terrestre.

Per rappresentare tale variazione durante tutto l'anno, assumiamo che l'andamento sia sinusoidale (in verità non lo è, ma l'eccentricità dell'orbita terrestre è molto piccola e dunque l'approssimazione è ottima). Inoltre sappiamo che, rispetto al valore medio, avremo la durata massima al perielio (intorno al 3 gennaio), mentre quella minima all'afelio (intorno al 4 luglio). L'ampiezza del coseno è ovviamente la metà dell'escursione totale precedentemente calcolata (15,82/2 = 7,91s). Il ciclo è di un anno tropico (365,2422 giorni solari medi)

( )27,91 cos 3

365, 2422s d

π ⋅ ⋅ −

dove d è il numero di giorni dall’inizio dell’annod = 1 (1 gennaio)d = 2 (2 gennaio)…..d = 365 (31 dicembre)

Gli scarti però si accumulano nel corso dei giorni, e dunque per sapere quanto tempo ritarda o anticipa il Sole vero rispetto al Sole medio in un certo giorno, occorre tenere conto di tutti gli scarti precedenti. Matematicamente questa operazione si realizza integrando la funzione precedentemente trovata.

131

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L'integrale del coseno è il seno, la periodicità e la fase rimangono le stesse. Per calcolare la massima variazione accumulata basta sommare tutti i contributi che appartengono alla stessa semionda positiva (o negativa).Se dunque indichiamo con A la durata dell'anno (365,2422 giorni) si avrà

/ 4

/ 47,91 cos 2 919,618 15,327

A s s m

A

xdx

⋅ = = ∫Possiamo ora scrivere l'espressione dell'equazione del tempo dovuta all'eccentricità dell'orbita terrestre. L'ampiezza del seno è ovviamente la metà dell'escursione totale precedentemente calcolata (15,327m/2=7,66m)

( )27,66 3

365, 2422m sen d

π ⋅ ⋅ −

Effetto dell’inclinazione (obliquità) dell’orbita

Come abbiamo già detto, dopo un giorno sidereo la Terra si è spostata di circa un grado lungo la sua orbita intorno al Sole e dunque dovrà coprire quest’angolo con un ulteriore rotazione. Possiamo descrivere lo stesso fenomeno pensando che la Terra sia ferma e che il Sole si muova lungo l’eclittica.

L'asse di rotazione della Terra è inclinato sul piano dell'eclittica e così anche l'orbita apparente del sole. Il piano dell'eclittica è inclinato rispetto all'equatore celeste di ε = 23,44°. La proiezione della posizione del Sole sull'equatore celeste introduce un'altra variazione periodica sulla durata effettiva del giorno solare.

Quando il Sole attraversa l’equatore in corrispondenza dei punti equinoziali la sua proiezione sull’equatore si muove più lentamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta più breve del giorno solare medio. Quando invece si trova in corrispondenza dei punti solstiziali, il Sole si muove parallelamente all’equatore, la sua proiezione sull’equatore si muove più rapidamente di quanto non faccia il Sole medio ed il giorno solare vero risulta più lungo del giorno solare medio.

Per rendercene conto immaginiamo che il Sole si trovi nel punto gamma (equinozio di primavera) e che sia in culminazione (mezzogiorno) sul meridiano A. Dopo un giorno sidereo la Terra ha

132

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compiuto una rotazione di 360° rispetto alle stelle fisse, ma il meridiano A non ritrova il Sole in culminazione, perché il Sole si è spostato lungo l’eclittica di circa 1°. Poiché tuttavia l’eclittica è inclinata di 23,44° rispetto all’equatore, il sole non si è spostato di 1° in longitudine, ma di 1° cos(23,44°)= 0,9175°. Sarà quindi sufficiente che la Terra ruoti di 0,9175° per ritrovare il Sole in culminazione, impiegandoci dunque non 235,90 s, ma 235,90 x cos(23,44°) = 216,43 s.

Il valore 235,90 s (differenza tra il giorno solare medio ed il giorno sidereo) rappresenta dunque il tempo medio tra il tempo minimo impiegato in corrispondenza dei punti equinoziali ed il tempo massimo impiegato nei punti solstiziali pari a 235,90 / cos(23,44°) = 257,12 s

La durata del giorno solare varia dunque, per effetto della obliquità dell’orbita terrestre, di 257,12 – 216,43 = 40,69 secondi nel corso dell’anno..

Anche in questo caso, per rappresentare tale variazione durante tutto l'anno, assumiamo che l'andamento sia sinusoidale. Inoltre sappiamo che, rispetto al valore medio, avremo la durata massima in corrispondenza dei solstizi, mentre quella minima agli equinozi. L'ampiezza del coseno è ovviamente la metà dell'escursione totale precedentemente calcolata (40,69/2 = 20,345s). Il ciclo è semestrale (365,2422/2=182,6211 giorni solari medi)

( )220,345 cos 81

182,6211s d

π − ⋅ ⋅ −

dove d è il numero di giorni dall’inizio dell’anno e l’81mo giorno dell’anno è l’equinozio di primavera in corrispondenza del quale si presenta il primo minimo..

Come in precedenza, per calcolare gli scarti che si accumulano con il passare dei giorni integriamo la funzione precedente. Per calcolare la massima variazione accumulata basta sommare tutti i

133

Page 134: 130164057 Astronomia Doc

contributi che appartengono alla stessa semionda positiva (o negativa).Se dunque indichiamo con A la durata dell'anno (365,2422 giorni) si avrà

/8

/820,345 cos 2 1182,657 19,711

/ 2

A s s m

A

xdx

⋅ = = ∫Possiamo ora scrivere l'espressione dell'equazione del tempo dovuta all'obliquità dell'orbita terrestre. L'ampiezza del seno è ovviamente la metà dell'escursione totale precedentemente calcolata (19,711m/2=9,86m)

( )29,86 81

182,6211m sen d

π − ⋅ ⋅ −

Equazione del tempoPer ottenere la durata reale del giorno (giorno vero) è necessario sommare gli effetti dell’eccentricità e dell’obliquità. Le due componenti con periodi di un anno e di 6 mesi sono sfasate perchè la posizione del perigeo non coincide ne’ con un equinozio, ne’ con un solstizio.Sommiamo prima le equazioni relative alla durata di un singolo giorno senza tener conto degli effetti cumulativi.

( ) ( )2 27,91 cos 3 20,345 cos 81

365, 2422 182,6211s sd d

π π ⋅ ⋅ − − ⋅ ⋅ −

Osserviamo che il giorno solare più corto è il 14 Settembre (circa 22 secondi in meno del giorno solare medio), mentre il giorno più lungo è il 21 dicembre (circa 28 secondi in più del giorno solare medio). Sono differenze piccole, che però si accumulano nel corso dell'anno raggiungendo anche parecchi minuti prima di cambiare segno.

Sommiamo ora le equazioni relative alla durata di un singolo giorno tenendo conto degli effetti cumulativi.

134

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( ) ( )2 27,66 3 9,86 81

365, 2422 182,6211m msen d sen d

π π ⋅ ⋅ − − ⋅ ⋅ −

Osserviamo che il giorno solare vero più lungo cade il 44mo giorno dell’anno (13 febbraio) e quello più corto cade il 304mo giorno dell’anno (31 ottobre). Inoltre il giorno vero dura esattamente 24 ore come il giorno solare medio 4 volte all’annogiorno 106 (16 aprile)giorno 164 (13 giugno)giorno 243 (31 agosto)giorno 358 (24 dicembre)

L’equazione del tempo E tiene conto di questi effetti cumulativi e permette di trasformare il tempo medio M (misurato da un orologio) nel tempo vero T (misurato da una meridiana) e viceversa e viene definita come

T = M + E.Si noti come, se T è maggiore di M, sarà necessario sottrarre ad M il valore di E per ottenere il tempo vero T. Se, ad esempio, il tempo vero T è pari a 24h 10m, quando l’orologio segna mezzanotte (tempo medio M), il giorno vero T non è ancora terminato (mancheranno ancora 10 minuti) e dunque per calcolare l’ora vera devo sottrarre ad M la maggior durata di T.Per questo motivo i segni delle due componenti (eccentricità e obliquità) dovranno essere cambiati e l’equazione del tempo E si scrive

( ) ( )2 27,66 3 9,86 81

365, 2422 182,6211m mE sen d sen d

π π = − ⋅ ⋅ − + ⋅ ⋅ −

Si tenga infine presente che in alcuni vecchi testi l’equazione del tempo viene definita come M = T + E. Si tratta di una formulazione legata al passato, quando la vita era regolata sul sole e quindi sul tempo vero T ed era dunque più utile trasformare l’ora indicata da una meridiana (T) nell’ora indicata da un orologio meccanico (M). Se si utilizza quest’ultima formulazione non è ovviamente necessario cambiare i segni delle due componenti nell’equazione del tempo.

135

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21.2 Calcolo mese sidereo

Velocità angolare orbitale Terra = ωTsidA

=°360

Velocità angolare orbitale Luna = ω LsidM

=°360

Dopo un mese sinodico (Msin) la terra si è spostata rispetto al sole di un angolo α ω= ⋅Msin T . La luna, per tornare in congiunzione, dovrà coprire il medesimo angolo e, alla velocità ωL, impiegherà un tempo

αω

ωωL

sinT

L

sin sid

sid

MM M

A= ⋅ =

Il mese sinodico sarà pertanto uguale al mese sidereo più il tempo impiegato dalla luna per coprire l’angolo α

M MM M

Asin sidsid sin

sid

= +⋅

e, riordinando

MA M

A Msidsid sin

sid sin

=⋅+

MA M

A Msinsid sid

sid sid

=⋅−

21.3 Movimento linea dei nodi e degli apsidi lunari

Sia ωnod la velocità angolare della linea dei nodi rispetto alle stelle fisse e ωL la velocità angolare orbitale della luna rispetto alle stelle fisse. Possiamo considerare ora la velocità relativa della Luna rispetto ai nodi, come differenza delle due velocità precedenti (ωL - ωnod). Possiamo cioè pensare che i nodi siano fermi rispetto alle stelle fisse e che la luna si muova rispetto a queste con una velocità comprendente anche quella dei nodi.

Si pensi ad un’autovettura A che viaggia a 50 km/h verso un’autovettura B, la quale si avvicini a sua volta a 30 Km/h. Il risultato è il medesimo se si considera una delle due autovetture ferme e l’altra con una velocità pari a (50 - (-30) = 80 Km/h. Nel caso in cui l’autovettura B si stia allontanando nella stessa direzione di A, la sua velocità relativa risulta pari a (50 - 30 = 20 km/h). Si noti come i valori delle velocità abbiano segno concorde se il loro verso è il medesimo, discorde se il verso è contrario.

La Luna impiega un mese draconico (Mdra) a percorrere un’orbita rispetto ai nodi. Possiamo pertanto scrivere

M

M

draL nod

sidnod

−=

°°

360 360360ω ω ω

e quindi

ω nodsid draM M

s y=°

−°

−°

= − ⋅ ° = − °−360 360 360

2 360 591 5

360

2 351135 86 1333483 10 19 3557

. . , . . ,, / , /

136

Page 137: 130164057 Astronomia Doc

I nodi ruotano quindi in senso retrogrado (orario) rispetto alle stelle fisse alla velocità di circa 19° all’anno e impiegano pertanto

Pnod =°

≈360

19 355,18,6 anni tropici

per effettuare una rotazione completa.

Analogamente possiamo calcolare la velocità di rotazione degli apsidi lunari rispetto alle stelle fisseLa Luna impiega un mese anomalistico (Man) a percorrere un’orbita rispetto agli apsidi. Possiamo pertanto scrivere

M

M

anL aps

sidaps

−=

°°

360 360360ω ω ω

e quindi

ωapssid anM M

s y=°

−°

−°

= ⋅ ° = °−360 360 360

2 360 591 5

360

2 380 713 21 2889594 10 40 67566

. . , .. . ,, / , /

Gli apsidi lunari ruotano quindi in senso diretto (antiorario) rispetto alle stelle fisse alla velocità di circa 41° all’anno e impiegano pertanto

Paps =°

≈360

40 6756,8,85 anni tropici

per completare una rotazione.

21.4 Rotazione linea degli apsidi terrestri (moto diretto del perielio)

La terra impiega un anno anomalistico Aan a percorrere un orbita rispetto agli apsidi (ad esempio da perielio e perielio). Potremo pertanto scrivere

A

A

anT aps

sidaps

riv

−=

°°

360 360360ω ω ω

ed in definitiva

ω ωaps Tan

riv A= −

°360

ωapssid anA A

d y=°

−°

−°

= ⋅ ° ≈−360 360 360

365 256363

360

365 2596358 82909774 10 11 6096

, ,, / , "/

La linea degli apsidi si muove dunque di moto antiorario, concorde con quello di rivoluzione della terra. Ciò porta ad una diminuzione della velocità di rivoluzione della terra rispetto agli apsidi. La rotazione completa della linea degli apsidi rispetto alle stelle fisse si completa quindi in un periodo di

Papsaps

≈360

ω111.600 anni

137

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21.5 Precessione degli equinozi

La prima stima moderna della velocità di precessione degli equinozi si deve a Newcomb (1896) che trovò per l’anno 1900 il valore ωeq = 50,256 + 2,22 10-4 ″/y, che riportato al 2000, fornisce 50,278″/y. Le stime più recenti dell’IAU (Unione Astrofisica Internazionale) danno per il 2000 un valore pari a 50,290966″ per anno giuliano (365,25 gsm), pari a 3.8246989 10-5 °/d

Il moto di precessione della linea degli equinozi (precessione generale) è prodotto dall’effetto del sole (precessione solare - 34,6″/y), della luna (precessione lunare - 15,8″/y) e dei pianeti in senso diretto (precessione planetaria 0,12″/y). L’effetto cospirante del sole e della luna si dice precessione lunisolare.Il fenomeno della precessione fu scoperto da Ipparco di Nicea nel 139 a.C., osservando che le longitudini eclitticali delle stelle erano tutte aumentate di una stessa quantità (circa 2°) rispetto ai valori misurati nel 283 a.C. da Timocari. Poiché la longitudine eclitticale è la distanza angolare di una stella rispetto al punto γ (equinozio di primavera), se ne deduce che tale punto si era spostato nell’arco di 144 anni di circa 2° = 7200” (circa 50” all’anno).

La velocità di rotazione del punto gamma rispetto agli apsidi è pari a

( )ω ωeq aps y− = − − = −50 291 11 609 61 900, , , "/

Il punto gamma completa dunque una rotazione rispetto agli apsidi (sempre in senso retrogrado) in un periodo di circa

360 60 60

61 920 940

°⋅ ⋅≈

, "/.

y anni

In altre parole ogni 21.000 anni circa l’asse terrestre esegue una rotazione completa rispetto alla linea degli apsidi e le stagioni si ribaltano ogni 10.500 anni.

Nel 2000 i solstizi disteranno dagli apsidi circa 13° (12,9442° = 46 600” - Meeus 1985). Tale angolo è coperto in

46600

61 9750

"

, "/ y≈ anni tropici

Se ne deduce che intorno al 1250 d.C. il solstizio d’estate coincideva con l’afelio (coincidenza apsidi - solstizi). Poiché, infine, la linea degli equinozi compie un quarto di giro ogni 5.250 anni circa (21.000/4) gli equinozi verranno a coincidere con gli apsidi (equinozio di primavera in perielio) verso il 6500 d.C.

In modo analogo possiamo calcolare il periodo di rotazione della linea degli equinozi (ωeq) rispetto alle stelle fisse

Peq =°⋅ ⋅

≈360 60 60

50 291,25.770 anni tropici

detto anno platonico.(Anno platonico = 25.770 anni tropici).

Tenendo conto che una costellazione dello zodiaco ha un’ampiezza di 30°, gli equinozi (ed i solstizi) percorrono ciascuna costellazione in 1/12 di anno platonico, pari a circa 2.150 anni. Se l’equinozio di primavera cadeva 2000 anni fa nella costellazione dell’Ariete, oggi cade nei Pesci.

138

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21.6 Anno TropicoL’anno tropico viene spesso definito come il tempo necessario affinché il sole compia una rivoluzione rispetto al punto gamma (intervallo tra due equinozi di primavera). In realtà il valore che viene normalmente associato all’anno tropico (365,242190 gsm) è un valore medio (anno tropico medio). Infatti la durata dell’anno tropico dipende dal punto dell’orbita che si prende come riferimento ed il suo valore è ad esempio diverso se lo si misura rispetto all’equinozio d’autunno o ad uno dei due solstizi.La causa di tali differenze va ricercata nel fatto che la terra non completa la sua orbita quando ritorna allo stesso equinozio o allo stesso solstizio (per il moto di precessione di tali punti) ed il tratto parziale di orbita che ha percorso viene compiuto in tempi differenti in relazione alla diversa velocità con cui si muove nei diversi punti della sua orbita.

La velocità lineare (v) e angolare (ω) della terra lungo la sua orbita dipendono dalla sua distanza R dal sole secondo le relazioni

( )v G M MR aS T= + −

2 1 ω =

v

R

con MS (massa del Sole) = 1.9891 1033 gMT (massa della Terra) = 5,9742 1027 gG (costante di gravitazione universale) = 6,67259 10-8

a (distanza media Sole-Terra = semiasse maggiore dell’orbita = 1 UA) = 1.4959787 1013 cm

Calcoliamo la sua velocità media rispetto all’orbita

ωπ

= = ⋅ = ⋅− −21 720197 10 4 106668 102 2

Arad d arcsec s

an

, / , /

Possiamo allora calcolare la durata dell’anno tropico medio sottraendo all’anno anomalistico (tempo necessario per percorrere l’intera orbita da perielio a perielio) il tempo mediamente necessario alla Terra per coprire l’angolo di precessione che fa annualmente slittare equinozi e solstizi rispetto agli apsidi (61,9 secondi d’arco)

61 9

4 1067 101507 0 017452

,

,,

⋅≈ =− s d

L’anno tropico è dunque mediamente 0,01745 giorni più breve dell’anno anomalistico (365,25964 - 0,01745 = 365,24219).Se consideriamo la velocità massima (in perielio) e minima (in afelio) con cui la terra si muove possiamo calcolare quale è il valore minimo e massimo che può assumere l’anno tropico.

La distanza R della terra dal sole si può determinare scrivendo l’equazione in coordinate polari di un’ellisse

( )R

a e

e=

−+

1

1

2

cosθdovee (eccentricità dell’orbita terrestre) = 0,01672a (distanza media Sole-Terra = semiasse maggiore dell’orbita = 1 UA) = 1.4959787 1013 cmθ = angolo antiorario che il raggio vettore R forma con la direzione sole-perielio

139

Page 140: 130164057 Astronomia Doc

Poiché θ = 0° in perielio e cos 0° = 1 θ = 180° in afelio e cos 180° = -1 le corrispondenti distanze minima e massima valgono

( )R a emin = −1 ( )R a emax = +1

Utilizzando la distanza minima si otterrà la velocità massima (in perielio), mentre la distanza massima fornirà la velocità minima (in afelio)

( )ωmax

min

min

, / , /=+ −

= ⋅ = ⋅− −

G M MR a

Rrad s arcsec s

S T

2 1

2 0590 10 4 2470 107 2

( )ωmin

max

max

, / , /=+ −

= ⋅ = ⋅− −

G M MR a

Rrad s arcsec s

S T

2 1

1 92594 10 3 9725 107 2

il tempo minimo e massimo necessario alla Terra per coprire l’angolo di (61,9 secondi d’arco)61 9

1457 24 17 0 016869,

,maxω

≈ = =s dm s

61 91558 25 58 0 018035

,,

minω≈ = =s dm s

L’anno tropico può quindi durare approssimativamente dai 24 ai 26 minuti in meno dell’anno anomalistico, a seconda del punto dell’orbita che si prende come riferimento.

Tenendo conto che attualmente la linea degli equinozi forma un angolo di circa 13° con la linea degli apsidi è possibile stimare la durata dell’anno tropico rispetto ai quattro diversi punti equinoziali e solstiziali.

140

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La distanza Terra-Sole e la velocità angolare nei punti equinoziali e solstiziali possono essere calcolate conoscendo l’angolo θ che il raggio vettore forma con la direzione Sole-Perielio. Tale angolo vale rispettivamente

Equinozio Primavera θ = 90° - 13° R = 1,4900 1013 cm ω = 0.04140 arcsec/sSolstizio Estate θ = 180° - 13° R = 1,5203 1013 cm ω = 0.03976 arcsec/sEquinozio Autunno θ = 270° - 13° R = 1,5012 1013 cm ω = 0.04078 arcsec/sSolstizio Inverno θ = 360° - 13° R = 1,4716 1013 cm ω = 0.04243 arcsec/s

Si determina di conseguenza la relativa lunghezza dell’anno tropico come differenza rispetto all’anno anomalistico

Aan - Atr Anno Tropico AGr - Atr

Equinozio Primavera 1.495 s = 0,01730 d 365,24233 0,00017 dSolstizio Estate 1.557 s = 0,01802 d 365,24161 0,00089 dEquinozio Autunno 1.518 s = 0,01757 d 365,24207 0,00043 dSolstizio Inverno 1.459 s = 0,01689 d 365,24275 - 0,00025 d

Media 1.507 s = 0,01745 d 365,24219 0,00031 d

Sull’ultima colonna compare la differenza tra l’anno gregoriano (365,2425) e l’anno tropico. Si noti come l’assunzione dell’Equinozio di Primavera come punto di riferimento per la misura dell’anno tropico rende attualmente minima la sfasatura con il calendario gregoriano.

NOTAGli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 una durata dell’anno tropico (misurata in tempo delle effemeridi ET) leggermente diversa

Anno Tropico AGr - Atr

Equinozio Primavera 365,242377 0,000123 dSolstizio Estate 365,241629 0,000871 dEquinozio Autunno 365,242021 0,000479 dSolstizio Inverno 365,242744 - 0,000244 d

Media 365,242193 0,000307 d

Tali durate sono perfettamente coerenti con un angolo di 16,8° tra linea degli equinozi e linea degli apsidi, mentre gli stessi algoritmi forniscono un angolo di 12.9442°.

21.7 Data degli equinozi e dei solstiziPer determinare la data degli equinozi e dei solstizi è necessario osservare come la durata dell’anno tropico, precedentemente calcolata per ciascun equinozio e per ciascun solstizio, si riferisca ai cosiddetti equinozi e solstizi medi, in assenza cioè dei fenomeni di nutazione e aberrazione. Gli equinozi ed i solstizi veri possono cadere fino a qualche decina di minuti prima o dopo la data prevista per gli equinozi ed i solstizi medi.

Gli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 i seguenti valori per gli equinozi ed i solstizi medi e veri (tempo delle effemeridi ET)

141

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data giuliana (medio) medio vero

equinozio di marzo 2 451 623, 804 397 JD 20d 7h 18m 19,9s 20d 7h 31m solstizio di giugno 2 451 716, 562 127 JD 20d 1h 29m 27,8s 20d 1h 46m solstizio di settembre 2 451 810, 211 722 JD 22d 17h 4m 52,8s 22d 17h 24m solstizio di dicembre 2 451 900, 054 191 JD 21d 13h 18m 2,1s 21d 13h 36m

Per determinare la data dell’equinozio/solstizio medio in un intervallo di anni non eccessivamente esteso, calcoliamo la differenza X tra anno giuliano (365,25) ed anno tropico. E’ allora facilmente verificabile che:• se l’anno successivo non è bisestile, l’equinozio/solstizio medio avanza di (6h - X)• se l’anno successivo è bisestile, l’equinozio/solstizio medio retrocede di (18h + X)

( ) ( ) ( ) ( )B NB NB NB BX X X X+ − + − + − − + → → → →6 6 6 18

essendo X:

Equinozio di marzo X = 365,25 - 365,24233 = 0.00767 d ≈ 662,7 s ≈ 11.045 mSolstizio di giugno X = 365,25 - 365,24161 = 0,00839 d ≈ 724,9 s ≈ 12.082 mEquinozio di settembre X = 365,25 - 365,24207 = 0,00793 d ≈ 685,2 s ≈ 11.419 mSolstizio di inverno X = 365,25 - 365,24275 = 0,00725 d ≈ 626,4 s ≈ 10.440 m

Medio X = 365,25 - 365,24219 = 0,00781 d ≈ 674,8 s ≈ 11.246 mAd esempio, partendo dai valori dati per il 2000, si calcola per i 4 anni successivi

Annoprimavera

(X = 11.045m)estate

(X = 12.082m)autunno

(X = 11.419m)inverno

(X = 10.440m)

2000 20d 07h 18,332m 21d 01h 29.463m 22d 17h 04,880m 21d 13h 18.035m

2001 20d 13h 07,287m 21d 07h 17.381m 22d 22h 53,461m 21d 19h 07.595m

2002 20d 18h 56,242m 21d 13h 05.294m 23d 04h 42,042m 22d 00h 57.155m

2003 21d 00h 45,197m 21d 18h 53.217m 23d 10h 30,623m 22d 06h 46.715m

2004 20d 06h 34,152m 21d 00h 41.135m 22d 16h 19,204m 21d 12h 36.275m

La data degli equinozi e dei solstizi oscilla dunque sia per il meccanismo del calendario (che alterna anni civili di 365 giorni ad anni di 366), sia per i fenomeni di nutazione ed aberrazione. Così l’equinozio di primavera cade il 19/21 marzo il solstizio d’estate cade il 20/22 giugno l’equinozio di autunno cade il 22/24 settembre il solstizio d’inverno cade il 20/22 dicembre

La data media sta comunque impercettibilmente variando poiché l’anno tropico ha una diversa durata rispetto all’anno gregoriano su cui si basa il nostro calendario. Ad esempio l’equinozio medio di primavera anticipa di 0.00017 giorni all’anno, mentre il solstizio d’inverno posticipa di 0.00025 giorni (dal riallineamento gregoriano del calendario avvenuto verso la fine del 1500 ad oggi l’equinozio ha quindi anticipato di circa 15s mentre il solstizio ha posticipato di circa 22s)

142

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21.8 Data afelio/perielioPer determinare la data in cui la terra si trova in corrispondenza degli apsidi è necessario osservare come la durata dell’anno anomalistico si riferisca al baricentro del sistema terra-luna. Così il momento di distanza massima o minima tra il centro della terra ed il centro del sole può differire fino ad oltre un giorno da quello del baricentro.

Gli algoritmi di Meeus (1985) generano per il 2000 i seguenti valori (tempo delle effemeridi ET)

data giuliana

Perielio 2 451 547, 510 272 JD 04d gennaio 00h 15m 26,8s Afelio 2 451 730, 140 549 JD 04d luglio 15h 22m 23,5s

Per determinare la data dell’afelio/perielio medio in un intervallo di anni non eccessivamente esteso, calcoliamo la differenza X tra anno anomalistico ed anno giuliano (365,25). X = 365,25964 - 365,25 = 0.00964 d ≈ 832,9s ≈ 13,882m

E’ allora facilmente verificabile che:

Per il Perielio• se l’anno di partenza è bisestile il perielio successivo retrocede di (18h - X)• se l’anno di partenza non è bisestile il perielio successivo, avanza di (6h + X)

( ) ( ) ( ) ( )B NB NB NB BX X X X− − + + + + + + → → → →18 6 6 6

Per l’Afelio• se l’anno successivo non è bisestile, l’afelio avanza di (6h + X)• se l’anno successivo è bisestile, l’afelio retrocede di (18h - X)

( ) ( ) ( ) ( )B NB NB NB BX X X X+ + + + + + − − → → → →6 6 6 18

Ad esempio, partendo dai valori dati per il 2000, si calcola per i 4 anni successivi

143

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Anche la data degli apsidi oscilla sia per il meccanismo del calendario, sia per l’azione della luna.

La data media sta comunque lentamente posticipando poiché l’anno anomalistico è ben 0.01714 giorni più lungo dell’anno gregoriano. Ciò significa che la data degli apsidi posticipa di un giorno ogni 60 anni circa (1/0.01714 ≈ 60). Così all’inizio del 1900 la data del perielio oscillava tra il 2/3 gennaio e quella dell’afelio tra il 3/4 luglio, mentre ora oscillano rispettivamente tra il 3/4 gennaio ed il 4/5 luglio.

21.9 Effetto della precessione sulle coordinate celesti

Tenendo presente che l’eclittica è inclinata di 23° 26’ 21” (≈ 23,44°) rispetto all’equatore celeste è possibile calcolare facilmente l’effetto della precessione sulle coordinate equatoriali (Ascensione Retta e Declinazione).Detta ωγ la velocità di rotazione del punto gamma (ωγ = ωeq = - 50,291”/y), le componenti di tale velocità lungo l’equatore e lungo il meridiano celeste fondamentale (coluro) sono rispettivamente

ω ω γAR y= ⋅ °= −cos , , "/23 44 46 14 ω ωδ γ= ⋅ °=sin y23 44 20 0, , "/

Annoperielio

(X = 13.882m)gennaio

afelio(X = 13.882m)

luglio2000 04d 00h 15,447m 04d 15h 22.391m

2001 03d 06h 29,324m 04d 21h 36.273m 2002 03d 12h 43,211m 05d 03h 50.155m 2003 03d 18h 57,093m 05d 10h 04.037m 2004 04d 01h 10,975m 04d 16h 17.919m

144

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21.10Giorno siderale

Il giorno siderale è il periodo di rotazione della terra misurato rispetto al punto gamma (intervallo di tempo tra due culminazioni successive del punto gamma). Poiché il punto gamma si muove di moto retrogrado (orario), con una velocità rispetto all’equatore celeste pari a

ω ω γAR y s= ⋅ °= − = − ⋅ °−cos , , "/ , /23 44 46 14 4 061 10 10

La velocità di rotazione della terra rispetto al punto gamma sarà al solito pari alla differenza tra la velocità di rotazione della terra rispetto alle stelle fisse e la velocità equatoriale del punto gamma (sempre rispetto alle stelle fisse)

( )ω ω ωγT T ARrot= − =

°− − ⋅ −360

86164 09894 061 10 10

,,

La rotazione della Terra rispetto al punto gamma si completa dunque in un periodo di

PTT

γ

γω

≈360

86.164,0905 s

detto giorno siderale, il quale risulta pertanto 8,4 10-3 s più breve del giorno sidereo.

145

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22 Appendice 3 - Fotometria

La fotometria studia e misura gli effetti delle radiazioni luminose sull'occhio umano, tentando di determinarne le relazioni (per lo più empiriche) con le grandezze energetiche che caratterizzano la radiazione luminosa. Il problema si presenta complesso in quanto radiazioni luminose a diversa lunghezza d'onda e a diverso contenuto energetico possono produrre la medesima sensazione visiva.

Chiamiamo radiazione luminosa o luce l'intervallo dello spettro elettromagnetico compreso tra le lunghezze d'onda che vanno da 0,4 a 0,7µ in grado di generare una sensazione visiva al nostro occhio.

22.1 Intensità luminosa IL'intensità di emissione luminosa è la potenza emessa sotto forma di luce entro l'angolo solido unitario (1 steradiante = 1 radiante2).

146

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Ricordiamo che 1 steradiante (sr) è l'angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una superficie sferica vede una calotta sferica di superficie R2. Essendo l'intera superficie sferica pari a 4πR2, l'intero angolo solido sarà pari a 4π steradianti.

Nel Sistema SI l'unità fotometrica fondamentale è la candela (cd), che misura l'intensità I di una sorgente luminosa. Essa viene naturalmente definita in funzione di un campione luminoso, convenzionalmente individuato. Un tempo la candela veniva definita come 1/60 dell'intensità luminosa prodotta da 1 cm2 di corpo nero a 2042°K (temperatura di fusione del platino). Nel 1979 la XVI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure definì la candela come l’intensità luminosa di una sorgente di potenza 1/683 W/sr che emette una radiazione monocromatica di 5,40 1014 Hz (λ = 555,016 nm)

22.2 Flusso luminoso ΦSi definisce flusso luminoso Φ il prodotto dell'intensità luminosa per l'angolo solido Ω attraverso cui

la luce diffonde. La sua unità di misura è la candela . steradiante (cd.sr) o lumen (lm).

Φ = I ⋅Ω

Una sorgente luminosa puntiforme che diffonda luce in tutte le direzioni (sull'intero angolo solido) produce un flusso luminoso di 4π lumen.

22.3 Brillanza BPer sorgenti estese (non puntiformi) viene definita la brillanza B (o luminanza o splendore) come l'intensità di emissione dell'unità di superficie in direzione ortogonale alla superficie stessa. Nel caso la direzione di emissione formi un angolo ϕ con la direzione normale alla superficie, la superficie emittente va moltiplicata per cosϕ . La sua unità di misura è la candela/m2 (o nit (nt), nel Sistema SI) o candela/cm2 (o stilb (sb), nel sistema cgs).

B =I

A ⋅cosϕ

22.4 Illuminamento EPer misurare gli effetti della luce che colpisce una superficie S si definisce l'illuminamento E, come il flusso che colpisce l'unità di superficie S, disposta perpendicolarmente ai raggi luminosi. La sua unità di misura è il lumen/m2 (o lux (lx), nel sistema SI) o lumen/cm2 (nel sistema cgs). Nel caso il flusso formi un angolo θ con la direzione normale alla superficie, il suo valore va moltiplicato per cosθ.

E =ΦS

cosϑ

Una sorgente puntiforme di intensità I posta al centro di una superficie sferica di raggio R incide su di essa con un flusso pari a 4πI lumen. L'unità di area di tale superficie viene perciò illuminata da

E =I IΦ

S Rlux= ⋅

⋅=4

2

ππ

4 R2( )

Possiamo definire quindi 1 lux come l'illuminamento a cui è sottoposta una superficie di 1 m2 posta alla distanza di 1 m da una sorgente di 1 candela che la illumini ortogonalmente con un flusso di 1 lumen.

147

Page 148: 130164057 Astronomia Doc

La relazione precedente mostra anche come l'illuminamento a cui è sottoposta una superficie è direttamente proporzionale all'intensità luminosa della sorgente ed inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza.Se due sorgenti luminose di diversa intensità ( I1 e I2) e a diversa distanza (R1 e R2) illuminano una superficie allo stesso modo (E = cost) allora deve valere

( ) ( ) 22

22

1

1

R

I

R

I = e anche

2

2

1

2

1

=

R

R

I

I

Come è già stato detto uno degli scopi della fotometria è quello di correlare il flusso luminoso alla potenza (energia per unità di tempo) trasportata dal fascio di radiazione ottica.

Il primo problema che si presenta è legato al fatto che il nostro occhio non è egualmente sensibile a tutte le lunghezze d'onda ottiche, ma presenta un massimo di sensibilità per la luce di 0,555 µ (giallo-verde). Si definisce a tal proposito il coefficiente di visibilità Kλ come il rapporto tra il flusso luminoso ed il

corrispondente flusso energetico (in watt) portati da una radiazione monocromatica di lunghezza λ

K lm Wlum

enλ = Φ

Φ( / )

Il valore massimo di tale coefficiente si ha appunto per la radiazione di 0,555µ e vale

K lm W0 555 683, /≈

A parità di energia trasportata dal raggio luminoso la sensazione ottica diminuisce di intensità man mano che ci discostiamo da tale lunghezza d'onda. Per determinare l'entità di tale diminuzione si calcola il cosiddetto fattore di visibilità relativa (Vλ) di una radiazione ottica di lunghezza d'onda λ.

VK

Kλλ=

0 555,

Per determinare il valore di tale fattore per le diverse lunghezze d'onda visibili è possibile misurare e rapportare l'energia portata da un fascio di radiazione a 0,555µ e l'energia trasportata da un fascio di radiazione di lunghezza d'onda λ, stimato di egual intensità luminosa (in grado di generare cioè la medesima sensazione ottica).Il fattore di visibilità relativa varrà dunque 1 per la radiazione di lunghezza 0,555µ e assumerà valori via via inferiori per le altre lunghezze d'onda ottiche, azzerandosi intorno a 0,4 e 0,7µ.

148

Page 149: 130164057 Astronomia Doc

λ (µ)

λV

1

0,5

0,70,60,50,4

Possiamo provare a stimare la visibilità media sovrapponendo alla curva una gaussiana normalizzata (media M = 0, scarto quadratico medio σ = 1, ordinata massima F(M) = 1 2π = 0,39894, area totale = 1) in cui i valori estremi (0,4 - 0,7) coincidano con i valori standardizzati -3,5 e +3,5 corrispondenti ad una area praticamente pari ad 1 (> 0,999).

99,73%

95,44%

68,26%

±3σ

±2σ

+1 +2 +3-1-2

0,3989

-3

±σ

L'ordinata media è pari all'area (1) diviso l'ascissa relativa (+3,5 - (-3,5) = 7) e vale quindi 1/7. Possiamo ora impostare una proporzione tra la gaussiana e la curva di visibilità tra le corrispondenti ordinate massime e medie

0,39894 : 1 = 1/7 : x

che ci fornisce una visibilità media di circa il 35,8 %

La relazione che lega il flusso luminoso alla potenza P del fascio per unità di area ed alla sezione trasversale S del fascio è

λλλ dSPVK 0

555,0 ∫∞

dove l'integrale viene esteso per consuetudine da zero ad infinito, ma si azzera al di fuori dell'intervallo di visibilità poiché in tal caso si annulla Vλ.

22.5 Calcolo quantità fotometriche solariIntegrando l'equazione di Planck per un corpo nero alla temperatura di 5778 °K (temperatura efficace del sole) da 0,39µ a 0,72µ si ottiene l'emissione ottica unitaria del sole, pari a 2,52 107

watt/m2. Calcoliamo ora l'emissione ottica totale moltiplicando per la superficie solare (6,087 1018 m2), ottenendo 1,534 1026 watt. Essendo l'energia portata su tutte le lunghezze d'onda del visibile, utilizziamo il fattore medio di visibilità relativa pari a 0,37 per calcolare il fattore di visibilità solare

149

Page 150: 130164057 Astronomia Doc

K K Vsole medio= ⋅ = ⋅ ≈0 555 683 0 358 245, , lumen / watt

il flusso del sole varrà alloraΦ sole lumen= ⋅ ⋅ = ⋅1 534 10 245 3 76 1026 28, ,

La sua intensità luminosa sarà

I =ΦΩ

=⋅

≈ ⋅3 76 10

43 10

2827,

π candele

la sua brillanza

B =I

Anit=

⋅⋅

≈ ⋅3 06 10

6 087 105 10

27

188,

,) (cd / m 2

mentre, ricordando che la terra dista dal sole R = 1,496 1011 m, l'illuminamento solare cui è sottoposta la terra (al di fuori dell'atmosfera) sarà

E =I IΦ

S Rlux=

⋅⋅

= =⋅⋅

= ⋅4 3 06 10

2 238 101 34 102

27

225π

π

4 R 2

,

,,

22.6 Fotometria stellareLa prima misura dell'intensità luminosa delle stelle fu naturalmente eseguita confrontando le stelle per mezzo dell'occhio (luminosità visuale). Così Ipparco, nel II sec. a.C., aveva fissato una scala empirica, detta delle magnitudini apparenti (m), comprendente 6 gradi di luminosità. Secondo tale scala la stella più luminosa del cielo risultava essere di prima magnitudine (m = 1) ed era 5 volte più luminosa di una (appena visibile) di sesta magnitudine (m = 6).Le magnitudini sono dette apparenti poiché il loro valore, a parità di intensità luminosa, dipende anche dalle distanza delle stelle. Una profonda revisione si ebbe nella seconda metà dell'ottocento quando si scoprì che la sensazione visiva (S) non è direttamente proporzionale all'intensità (l) dello stimolo luminoso percepito, ma al suo logaritmo. Tale relazione viene espressa dalla legge di Fechner e Weber.

lKS 10log =

che, nel caso di una stella, lega la magnitudine apparente m, alla luminosità apparente l (misurata in genere in lux)

C+ lkm 10log =

C è una costante (costante di zero) il cui valore dipende dalle unità di misura usate per esprimere la luminosità e dal valore assunto convenzionalmente come zero per la scala delle magnitudini

Poichè tramite registrazioni fotometriche (Herschel) una stella di prima magnitudine risultò essere in realtà 100 volte più luminosa di una di 6 magnitudine, la costante k assume il valore -2,5. Infatti

m m K K k6 1 10 10 10− = = log log logl - ll

l6 16

1

e quindi

5 210= = −k klog ( )1

100 k = -2,5

150

Page 151: 130164057 Astronomia Doc

La relazione fondamentale della fotometria stellare diventa quindi (relazione di Pogson)

m m2 1 102 5− = − , logl

l2

1

e quindi

( ) ( )2

1

l

lmmmm 101212 log4,0

5,2

1 =−=−

passando infine all'antilogaritmo

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )12121212 512,2101010 5 24,04,0 mm

mmmmmm

2

1

l

l −−−− ≈===

Se dobbiamo ad esempio confrontare la luminosità di Sirio m = - 1,45 con quella di Aldebaran (m = 0,85) troveremo

( ) ( )( ) 3,8512,2512,2512,2 3,245,185,012 ===≈ −−−mm

2

1

l

l

Sirio dunque è apparentemente circa 8,3 volte più luminoso di Aldebaran.

Per ogni grado di magnitudine (m2 - m1 = 1) la luminosità apparente aumenta di circa 2,512 volte. Come per ogni scala convenzionale anche nel caso delle magnitudini apparenti è necessario fissare un punto zero.Viene dunque definita di magnitudine visuale apparente zero (mvis = 0) una stella che produca (al di fuori dell'atmosfera) un illuminamento di 2,67 10-6 lux.La costante di zero assume in tal caso il valore

0 2 5 10= − ⋅, log 2,67 10 + C-6V

CV = -13,934

Ricordando che il sole fornisce un illuminamento di 1,34 105 lux, possiamo allora calcolarne facilmente la magnitudine apparente (visuale)

m m mV2 1 10 100 2 5 2 5 26 75− = − = − = −⋅⋅

= −⊗⊗, log , log ,

E

E

1,34 10

2,67 100

5

-6

La magnitudine visuale è naturalmente correlata al flusso ottico (spettro visibile) che ci proviene dalle stelle. Quando invece si misura il flusso energetico su tutte le lunghezze d'onda, si ottiene la magnitudine bolometrica. Anche in questo caso è necessario fissare un punto zero. Viene definita di magnitudine bolometrica apparente zero (mbol = 0) una stella che produca (al di fuori dell'atmosfera) una potenza unitaria di 2,56 10-5 erg/(s cm2).La costante di zero assume in tal caso il valore

0 2 5 10= − ⋅, log 2,56 10 + C-5b

Cb = -11,48

Ricordando che il sole fornisce una potenza unitaria (costante solare) di 1,368 106 erg/(s cm2), possiamo calcolarne la magnitudine apparente (bolometrica)

151

Page 152: 130164057 Astronomia Doc

m m m2 1 10 100 2 5 2 5 26 82− = − = − = −⋅

⋅= −⊗

⊗, log , log ,W

W

1,368 10

2,56 100

6

-5

Qualora si conosca la distanza R di una stella dalla terra se ne può calcolare anche la luminosità intrinseca L (espressa come intensità luminosa o come flusso luminoso)

Φ = E = E⋅ ⋅ ⋅S lumen4 R 2π

Sapendo ad esempio che Sirio dista 8,6 al (8,136 1016 m) e che la sua magnitudine apparente vale m = - 1,45 determiniamo:

- l'illuminamento, che è 2,5121,45 = 3,8 volte superiore a Eo e pari quindi a circa 10-5 lux

- il flusso, pari a ( ) 22 -5 16 294 R =10 4 8,136 10 =8,32 10 E lumen= π πΦ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

- l'intensità luminosa, pari a I =4 4

Φπ π

= ⋅ = ⋅8 32 106 62 10

2928,

, candele

scopriamo così che Sirio è 21,6 volte più luminoso del sole

Come si vede è scomodo confrontare le luminosità intrinseche delle stelle utilizzando lumen e candele. Si è perciò convenuto di misurare la luminosità intrinseca di una stella utilizzando la scala di Ipparco, dopo aver azzerato le differenze di distanza portando tutte le stelle a 10 parsec.La magnitudine apparente che una stella verrebbe a possedere se fosse posta a 10 parsec è detta magnitudine assoluta M.

Così una stella di luminosità intrinseca L (flusso) e distanza R, che presenta un luminosità apparente l (illuminamento) pari a

l =L

4 R2π

posta a 10 parsec presenterebbe una luminosità apparente l10 pari a

( ) 21010k4

L=l

π

dove k è un coefficiente (pari a 3,0857 1016 m/pc) che trasforma i parsec in m

Applicando la formula di Pogson a questi due valori di luminosità apparente, si ottiene

m m2 1 102 5− = − , logl

l2

1

( )2

1010 log5,2log5,2

−=−=−

R

10k

10k4L

R4LMm

2

2

ππ

Essendo R/k la distanza della stella espressa in parsec, la relazione diventa2

10

2

10 log5,2log5,2

=

−=−

10

R

R

10Mm pc

pc

( ) 210

210 log5,2log5,2 10RMm pc −=−

m M− = −5 510log Rpc

152

Page 153: 130164057 Astronomia Doc

Essendo la quantità (m-M) correlata alla distanza della stella, essa viene detta modulo di distanza.

Sapendo che il sole dista dalla terra 1,496 1011 m pari a 4,848 10-6 parsec, possiamo determinarne la magnitudine assoluta visuale e bolometrica

M mvis vis= − + = − − ⋅ + =−5 5 26 75 5 4 848 10 5 4 8210 106log , log , ,Rpc

M mbol bol= − + = − − ⋅ + =−5 5 26 82 5 4 848 10 5 4 7510 106log , log , ,Rpc

La magnitudine assoluta di Sirio (m = - 1,45 ; R = 2,64 pc) saràM = − − + =1 45 5 2 64 5 1 44210, log , ,

La magnitudine assoluta di Aldebaran (m = 0,85 ; R = 18,4 pc) saràM = − + = −0 85 5 18 4 5 0 4710, log , ,

Così la differenza di magnitudine assoluta tra Sirio e il Aldebaran è 1,44 - (-0,47) = 1,91 Scopriamo così che Sirio è in realtà circa 2,5121,91 = 5,8 volte meno luminoso di Aldebaran.

Tenendo poi conto che la luminosità apparente che segna il punto zero della scala delle magnitudini apparenti è 2,67 10-6 lux (lumen/m2), possiamo trovare il corrispondente valore (M = 0) per la scala delle magnitudini assolute, calcolando la corrispondente luminosità intrinseca visuale a 10 parsec

( ) ( )L = l 4 10k = 2,67 10 4 10 3,0857 102 -6 16 2⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅π π 319 1030, lumen

corrispondenti ad un'intensità luminosa di 2,54 1029 candele

Mentre, ricordando che il punto zero delle magnitudini apparenti bolometriche è 2,56 10-5 erg/(s cm2), la corrispondente luminosità intrinseca bolometrica a 10 parsec sarà

( ) ( )L = l 4 10k = 2,56 10 4 10 3,0857 102 -5 18 2⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅π π 3 05 1035, s cm-1 -2erg

In questo modo la relazione di Pogson

m m2 1 102 5− = − , logl

l2

1

può essere utilizzata anche per calcolare la magnitudine assoluta, sostituendo alle luminosità apparenti le luminosità intrinseche della stella e del punto zero

M vis − = −⋅

0 2 5 10, logL

3,19 1030

Mbol − = −⋅

0 2 5 10, logL

3,05 1035

Magnitudine assoluta di 1 candela M = −⋅

=2 5 73 510, log ,1

2,54 1029

Magnitudine apparente di 1 lux m = −⋅

= −2 5 13 910, log ,1

2,67 10 -6

Formula di RussellLa relazione di Pogson può essere utilizzata per ottenere una relazione tra la Magnitudine, la Temperatura ed il Raggio (in unità solari R ) di una stella. Indicando rispettivamente con MV e MV

la magnitudine visuale assoluta di una stella e del sole possiamo scrivere

153

Page 154: 130164057 Astronomia Doc

M MV V− = −⊗⊗

2 5 10, logL

Lv

v

Per determinare l’emissione di una stella in corrispondenza di una certa lunghezza d’onda λ possiamo ricorrere all’equazione di Planck che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero), fornendoci la quantità di energia (erg) emessa, per unità di tempo (s) e di superficie radiante (cm2), da un corpo alla temperatura T (K) in corrispondenza della lunghezza d’onda λ (cm).

)s cm (

1

110742,3

1

12 1-3-439,15

5

5

2

),( erg

ee

hcW

TTk

hcT

−⋅⋅=

−⋅=

λλλ λλ

π

Possiamo ora stimare l’energia emessa nell’intorno della lunghezza d’onda λ, calcolando l’area sottesa all’intervallo ∆λ centrato in λ. In prima approssimazione esso è pari all’area del rettangolo avente base ∆λ e altezza W(λT).Nel nostro caso, dovendo valutare l’emissione nel visibile λ = 5,5 10-10 cm, la relazione diventa

( )W

e e

ergT

T T

( ) ,

,

,

,, ( )⋅ =

⋅⋅

−= ⋅ ⋅

−⋅

−⋅ −

∆λ ∆λ3 742 10

5 5 10

1

1

7 4 101

1

5

5 5 1 439

5 510

1626164

5

cm s-2 -1

La luminosità assoluta visuale della stella sarà pari all’energia emessa nel visibile dall’intera superficie.

L W Rv T= ⋅ ⋅( ) ∆λ 4 2πSostituendo nella relazione di Pogson, otteniamo

M M e

R

e

Rv v

T

T

− = − = −

⋅ ⋅−

⋅ ⋅

⋅ ⋅−

⋅ ⋅⊗

⊗⊗

2 5 2 5

7 4 101

1

4

7 4 101

1

410 10

1626164

2

1626164

2, log , log

,

,

L

Lv

v

∆λ

∆λ

π

π

Ricordando che T ≈ 5778 °K, la relazione diventa

M Me

R

RV V

T

= −−

⊗2 5

91 593

110 26164

2

, log,

M M eR

RV VT= − + −

⊗4 9 2 5 1 510

26164

10, , log log

154

Page 155: 130164057 Astronomia Doc

e assegnando al sole magnitudine visuale assoluta 4,82 otteniamo

M eR

RVT= −

− −

⊗2 5 1 0 085 510

26164

10, log , log

o, esplicitando il raggio,

log , , log ,10 10

26164

0 2 2 5 1 0 085R

Re MT

V⊗

= −

− −

Se ora, in prima approssimazione, trascuriamo l'unità nella differenza dell’argomento del logaritmo otteniamo la classica relazione di Russell

MT

R

RV = −

284005 0 08510log ,

o, esplicitando il raggio,

log , ,10 0 228400

0 085R

R TMV

= − −

E’ possibile costruire una relazione analoga che leghi la magnitudine bolometrica al raggio ed alla temperatura. Indicando rispettivamente con Mbol e Mbol la magnitudine bolometrica assoluta di una stella e del sole possiamo scrivere

M Mbol bolbol

− = −⊗⊗

2 5 10, logL

Lbol

Per determinare l’emissione di una stella in corrispondenza di tutte le lunghezze d’onda possiamo ricorrere all’equazione di Stefan-Boltzmann. che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero), fornendoci la quantità di energia (erg) emessa, per unità di tempo (s) e di superficie radiante (cm2), da un corpo alla temperatura T (°K) in corrispondenza di tutte le lunghezze d’onda e moltiplicarla per la superficie della stella 4πR2. Essendo dunque

L T Rbol = ⋅σ π4 24potremo scrivere

M MR

R

R

Rbol bol− = −⋅⋅

= −⊗⊗ ⊗ ⊗ ⊗

2 54

42 510

2

2 10

2

2, log , logσ π

σ πT

T

T

T

4

4

4

4

M MR

R

R

Rbol bol− = − −

= − +⊗

⊗ ⊗ ⊗ ⊗2 5 4 2 10 510 10 10 10, log log log log

T

T

T

T

Assumendo infine per la temperatura e la magnitudine assoluta bolometrica del sole i valori T ≈ 5780 °K e Mbol = 4,75 si ottiene

log , log ,10 108 47 2 0 2R

RT Mbol

= − −

Confrontiamo ora tale relazione con la relazione

log , , log ,10 10

26164

0 2 2 5 1 0 085R

Re MT

V⊗

= −

− −

Eguagliando i due secondi membri ed esplicitando la differenza tra Mbol e MV si ottiene

155

Page 156: 130164057 Astronomia Doc

M M T ebol VT− = − − −

42 45 10 2 5 110 10

26164

, log , log

o, trascurando ancora l’unità nella differenza,

M M TTbol V− = − −42 45 10

28400, log

Il valore così ottenuto viene definito correzione bolometrica BC.La correzione bolometrica viene in realtà calcolata tramite modelli più sofisticati relativi alle atmosfere stellari. Il valore zero della scala è stato convenzionalmente fissato in modo che sia BC = 0 per stelle con Te = 6580 °K (tipo spettrale F5).

22.7 Indici di coloreQuando in astronomia iniziarono ad essere utilizzate le emulsioni fotografiche fu possibile ottenere anche valori di magnitudine fotografica (Mpg). I valori ottenuti sono in genere tra loro diversi in

quanto l'occhio presenta un massimo di sensibilità nel giallo-verde, mentre la lastra fotografica nel blu-violetto. Applicando ad una macchina fotografica un filtro giallo si riesce a simulare la sensibilità dell'occhio umano e le magnitudini così ottenute sono dette fotovisuali (Mpv).

Le magnitudini ottenute con un fotometro sono dette fotoelettriche. Le magnitudini fotoelettriche vengono determinate in corrispondenza di particolari intervalli di lunghezze d'onda. In genere si ottengono per l'ultravioletto (MU o U) per il blu (MB o B) e per il giallo (visuali) (MVo V) . La magnitudine fotoelettrica B è correlabile alla magnitudine fotografica (MB = Mpg + 0,11), mentre la magnitudine fotoelettrica V corrisponde alla magnitudine visuale o fotovisuale.

Le differenze nei valori di magnitudine misurati nei diversi intervalli di lunghezze d'onda sono importanti poiché sono correlabili alla temperatura superficiale di una stella. Infatti per la legge di Wien un corpo nero che aumenta la sua temperatura emette in proporzione sempre più energia verso le regioni a minor lunghezza d'onda (blu violetto). Così una stella molto calda presenterà una magnitudine nel blu minore della sua magnitudine visuale, mentre per una stella molto fredda avverrà l'opposto (valori minori di magnitudine corrispondono infatti a luminosità più elevate).

Un indice di colore molto usato è proprio fornito dalla differenza tra la magnitudine fotografica e la magnitudine visuale (o fotovisuale).

C = Mpg - Mpv = mpg - mpv

Un altro indice spesso utilizzato è l’indice B-V, dato dalla differenza della magnitudine fotoelettrica nel blu e nel visuale. La relazione tra questi due indici è approssimativamente

C + 0,11 ≈ B-V

L'indice di colore ha il vantaggio di fornire i valori di temperatura di una stella (nell'ipotesi che essa irradi come un corpo nero) indipendentemente dalla conoscenza della distanza della stella e del suo raggio (e quindi del valore della sua superficie emittente).

Più basso è il valore di tale indice, più la stella emette nel blu e più elevata è la sua temperatura. L'indice di colore del sole è + 0,55, mentre l'indice di colore di una stella a 15.000°K è - 0,27.

Per costruire l'indice di colore si ricorre ad una formulazione approssimata della funzione di Planck che descrive il comportamento emissivo di un radiatore perfetto (corpo nero).

156

Page 157: 130164057 Astronomia Doc

Whc

e

c

e e

ergT hc

k T

c

T T

( , ) ,

,( )λ

λ λ λ

πλ λ λ

= ⋅−

= ⋅−

=⋅

⋅−

−2 1

1

1

1

3 742 10 1

1

2

515

5

5 1 4392 cm s-3 -1

Poichè l'indice di colore viene costruito su lunghezze d'onda del visibile, intorno a 5 10-10 cm, la relazione diventa

( ) )s cm (

1

1102,1

1

1

105

10742,3 1-3-000.30

17

105

439,155

5

),(5

erg

ee

WTT

T

−⋅⋅=

−⋅

⋅=−⋅

λ

ed in tal caso è dunque possibile, per temperature inferiori ai 20.000 °K, trascurare l'unità nella differenza a denominatore ed utilizzare la seguente planckiana approssimata (approssimazione di Wien, per le basse temperature)

Wc

e eT c

T T

( , ) ,

λ λλ λ= ⋅ =

⋅⋅

−15

5

5 1 439

1 3 742 10 12

Siano ora mλ ed Mλ la magnitudine apparente ed assoluta di una stella di raggio R e distanza D,

misurate nella radiazione di lunghezza d'onda λ.

La luminosità assoluta della stella sarà pari a2

),( 4 RWL T πλλ ⋅=e la sua magnitudine assoluta

[ ] MT CRWM +−= 2),( 4log5,2 πλλ

La luminosità apparente della stella sarà pari a2

),(24

⋅==

D

RW

D

Ll Tλ

λλ π

e la sua magnitudine apparente

mT CD

RWm +

−=

2

),(log5,2 λλ

Se ora costruiamo l'indice di colore, come differenza tra le magnitudini (apparenti o assolute) a diverse lunghezze d'onda λ1 e λ2, otteniamo

IC m m WR

DC W

R

DCT T= − = −

+ +

+λ λ λ λ λ λ1 2 1 1 2 2

2 5 2 52 2

, log , log( , ) ( , )

2211

2

),(

2

),( log5,2log5,2log5,2log5,2 λλλλ CD

RWC

D

RWIC TT +

+++

−−=

tW

WIC

T

T coslog5,2),(

),(

2

1 +−=λ

λ

157

Page 158: 130164057 Astronomia Doc

E' ora facile verificare che costruendo l'indice di colore con le magnitudini assolute si ottiene lo stesso risultato, indipendente sia da R che da D.

Sostituiamo ora la planckiana approssimata ed otteniamo

t

e

eIC

T

T

cos110742,3

110742,3

log5,2

2

1

439,152

5

439,151

5

+⋅⋅

⋅⋅

−= −

λ

λ

λ

λ

teIC T coslog5,2 12

11439,15

1

2 +

−=

λλ

λλ

teT

IC coslog11439,1

5,2log5,12212

1 +

−+

=

λλλλ

tT

IC cos11562,1

log5,12212

1 +

−+

=

λλλλ

Se usiamo ad esempio

λ1 = 4,25 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nel blu

λ2 = 5,48 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile

la relazione diventa

C m mT

tpg pv= − =⋅⋅

+

⋅−

+−

− − −12 54 25 10

5 48 10

1 562 1

4 25 10

1

5 48 10

5

5 5 5, log,

,

,

, ,cos

L'indice di colore viene poi tarato fissando la costante di zero in modo che IC = 0 per stelle di classe spettrale A0 (T ≈ 10.000°K). La costante di zero varrà quindi

0 12 54 25 10

5 48 10

1 562

10 000

1

4 25 10

1

5 48 10

5

5 5 5=⋅⋅

+

⋅−

+−

− − −, log,

,

,

. , ,cost

cost = + 0,555e la relazione diventa

CT

= − +0 8258250

,

ed in definitiva la temperatura di colore è pari a

TCC =

+8250

0 825,

158

Page 159: 130164057 Astronomia Doc

Se invece utilizziamo

λ1 = 4,4 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nel blu

λ2 = 5,5 10-5 cm, lunghezza di massima emissione nella banda del visibile

Si ottiene l’indice B-V del sistema fotoelettrico U-B-V di Morgan-Johnson

B VT

− =⋅⋅

+

⋅−

+−

− − −12 54 4 10

5 5 10

1 562 1

4 4 10

1

5 5 10

5

5 5 5, log,

,

,

, ,cost

Anche in questo caso la taratura viene effettuata fissando la costante di zero in modo che B-V = 0 per stelle di classe spettrale A0 (T ≈ 10.000°K). La costante di zero varrà quindi cost = + 0,5 e la relazione diventa

( )B VT

− = − +0 717100

,

ed in definitiva la temperatura di colore è pari a

( )TB VC =

− +7100

0 71,

22.8 Magnitudine ed albedo planetaria (modello elementare)

Ipotizziamo che il Pianeta si comporti come un disco di raggio R perfettamente riflettente. Per tener eventualmente conto della forma ellissoidale del Pianeta possiamo usare il raggio di un cerchio avente la stessa aerea dell’ellisse planetario. L’area di un ellisse è pari a πab, con a semiasse maggiore (raggio equatoriale) e b semiasse minore (raggio polare). Per cui il raggio del cerchio avente la stessa area è pari a ba ⋅ e, ricordando che )1( α−⋅= ab , avremo anche α−⋅= 1aR 1.

Il flusso luminoso φ che colpisce la Terra proveniente da una sorgente estesa (il disco planetario o il disco solare) è direttamente proporzionale al flusso emesso per unità di superficie w (luminosità unitaria) del corpo emittente e all’angolo solido θ sotto il quale viene vista la superficie emittente da un osservatore posto sulla Terra.

φ = k w θUn Pianeta di raggio R posto a distanza D dal Sole intercetta una frazione di energia solare ( L ) pari all’area del suo disco planetario πR2 fratto l’area totale della superficie sferica 4πD2 investita dal flusso solare. Se il Pianeta si comporta come uno specchio piano perfettamente riflettente (albedo A = 1) la sua

luminosità totale sarà 2

24

RL

D

ππ e e la luminosità unitaria

24P

Lw

Dπ= e . La luminosità unitaria della

superficie solare sarà invece pari alla luminosità totale del Sole ( L ) diviso la sua superficie

24

Lw

Rπ= e

ee

.

1 Spesso nelle tabelle che riportano i dati planetari compare il raggio medio di un pianeta. In genere si tratta del raggio

della sfera che presenta lo stesso volume dell’ellissoide planetario ba 2

3

4 π e pari quindi a 3 1 α−⋅= aR

159

Page 160: 130164057 Astronomia Doc

Il rapporto tra luminosità intrinseca unitaria Pianeta/Sole sarà dunque pari a 2

22 4/

4

=

ππ D

R

R

L

D

L

L’angolo solido (in steradianti2) sotto il quale osserviamo la superficie del disco planetario è 2

2PTP

R

D

πθ = , dove DTP è la distanza Terra-Pianeta. In modo analogo l’angolo solido sotto il quale

osserviamo il disco solare è 2

2STS

R

D

πθ = e , dove DTS è la distanza Terra-Sole (unità astronomica) pari

a circa 149,6 milioni di km.

Dunque il flusso luminoso che colpisce la Terra proveniente dal Pianeta è2

2 24P P PTP

L Rk w k

D D

πϕ θπ

= ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅e

poiché tuttavia il Pianeta non riflette integralmente la radiazione proveniente dal Sole, ma solo una frazione di essa, definita albedo A del pianeta, il flusso in arrivo deve essere moltiplicato per tale frazione

2

2 24PTP

L Rk A

D D

πϕπ

= ⋅ ⋅ ⋅e

mentre il flusso luminoso che colpisce la terra proveniente dal Sole è

2

2 24S STS

L Rk w k

R D

πϕ θ

π= ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅e e

ee

Infine, il rapporto tra i due flussi vale

2

22 2

2

2 2

4

4

TSP TP

S TP

TS

L Rk A

D RD DA

L R D Dk

R D

πϕ π

πϕπ

⋅ ⋅ ⋅ ⋅= = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

e

e e

e

Possiamo ora calcolare la magnitudine apparente del pianeta utilizzando la relazione di Pogson che lega la differenza di magnitudine tra due corpi celesti al rapporto dei loro flussi luminosi ricevuti sulla Terra

11 2

2

5log

2m m

ϕϕ

− = − ⋅

Sapendo che la magnitudine apparente del Sole 26,74m = −e , la relazione diventa5

log2

PP

S

m mϕϕ

− = − ⋅e

2 1 steradiante è l’angolo solido sotto il quale un osservatore posto al centro di una sfera osserva una calotta sferica avente una superficie pari al quadrato del raggio. L’intera superficie sferica misura dunque 4π steradianti.

160

Page 161: 130164057 Astronomia Doc

25

log2

TSP

TP

D Rm m A

D D

⋅ = − ⋅ ⋅ ⋅ e

dalla quale è possibile esplicitare l’albedo A del Pianeta, detta albedo geometrica

( )( )

22

5102,512

P

P

m m

m m TP

P S TS

D DA

D Rϕ ϕ

−− ⋅= = ⋅ ⋅

e

e

Calcoliamo, ad esempio, l’albedo di Nettuno sapendo che:- la sua massima luminosità (in corrispondenza della sua massima vicinanza al Sole ed alla Terra)

corrisponde ad una magnitudine apparente pari a m = 7,8- il suo raggio medio è R = 24624 km = 1,646 10-4 UA- la sua distanza minima dal Sole (al perielio) è 29,811 UA- la sua distanza minima dalla Terra è 28,783 UA

( ) ( )2 2

26,74 7,8

4

29,811 28,7832,512 2,512 0, 41

1 1,646 10Pm m TP

TS

D DA

D R− − −

⋅ × = ⋅ = ⋅ = ⋅ × ⋅ e

Nettuno riflette circa il 41% della luce solare incidente

Fasi planetarieNel caso dei pianeti interni (Mercurio e Venere) e di Marte è necessario tener conto delle fasi, cioè del fatto che, come avviene per la Luna, il disco planetario osservabile dalla Terra non è sempre completamente illuminato. Il circolo di illuminazione (perpendicolare alla direzione Sole-Pianeta), proiettato sul disco planetario osservabile dalla Terra, traccia su di esso una semiellisse di semiassi a = R e b = R cos ϕ , dove ϕ è l’angolo di fase, cioè l’angolo Sole-Terra visto dal Pianeta. La distanza angolare del Pianeta dal Sole (vista dalla Terra) si definisce invece elongazione ε.

L’area illuminata del disco planetario osservabile dalla Terra sarà dunque pari all’area del

semidisco planetario (2

2Rπ) più l’area della semiellisse (

2

cos

2

2 ϕπ=π Rab)

2

cos12 ϕ+πR

dove 2

cos1 ϕ+ rappresenta la frazione illuminata del disco planetario in funzione dell’angolo di

fase ϕ .

161

Page 162: 130164057 Astronomia Doc

In definitiva, per un pianeta che presenti il fenomeno delle fasi, l’angolo solido sarà pari a

2

2

1 cos

2PTP

R

D

π ϕθ + = ⋅ ed il flusso

2

2 2

1 cos

4 2PTP

L Rk A

D D

π ϕϕπ

+ = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ e

Durante una rivoluzione sinodica dei pianeti interni l’angolo di fase può assumere tutti i valori compresi tra 0 e 2π. Possiamo considerare, in prima approssimazione, costante la distanza Terra-Sole e la distanza Pianeta-Sole, ma non la distanza tra la Terra ed il Pianeta.

Scriviamo allora la distanza Terra-Pianeta in funzione dell’angolo di fase usando il teorema di Carnot

2 2 2 2 cosTS TP TPD D D D D ϕ= + −da cui

2 2 2cos senTP TSD D D Dϕ ϕ= + −

Il flusso luminoso proveniente dal pianeta diventa allora

( )2

222 2 2

1 cos

4 2cos senP

TS

L Rk A

D D D D

π ϕϕπ ϕ ϕ

+ = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + −

e

ed il rapporto tra il flusso luminoso del Pianeta ed il flusso luminoso del Sole

162

ε

α

ϕϕ

R

R c o sϕ

C i r c o l o d i

i l l u m i n a z i o n e

T e r r a

S o l e

ϕε

= f a s e= e l o n g a z i o n e

π R 2

2π R 2

2c o sϕ+

=

π R 2 (2

1 + c o sϕ )

+

=

D

D

DT P

Page 163: 130164057 Astronomia Doc

( )

22

2 2 2

1 cos 1 cos

2 2cos sen

TS TSP

S TP TS

R D R D

D D D D D D

ϕ ϕ ϕϕ ϕ ϕ

⋅ ⋅+ + = ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅ + −

la magnitudine del Pianeta diventa così

( )

2

2 2 2

1 cos2,5 log

2cos sen

TSP

TS

R Dm m A

D D D D

ϕ

ϕ ϕ

⋅ + = − ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ + −

e

163

Page 164: 130164057 Astronomia Doc

23 Appendice 4 – dati e costanti

Newcomb (1900)Anno sidereo = 365,25636 gsm (giorni solari medi) (-9,5 10-5 s/y)

= 365d 6h 9m 10s = 31.558.150 sAnno anomalistico = 365,25964 gsm

= 365d 6h 13m 53s = 31.558.433 s (-0,26 s/cen)Anno tropico = 365,24220 gsm

= 365d 5h 48m 46s = 31.556.926 s (-5,305 10-3 s/y)

Stime attuali Anno sidereo = 365,256363 gsmAnno anomalistico = 365,259635 gsmAnno tropico = 365,242190 gsm

Velocità angolare linea degli apsidi terrestri = 6

( ) 8,82909774 10 / 11,609"/aps T d yω −= ⋅ ° ≈

Giorno sidereo = 23h 56m 4,0989s = 86164,0989 sGiorno siderale = 23h 56m 4,0905s = 86164,0905 sωTrot - Velocità angolare rotazionale Terra: 2π/86164,0989 = 7,2921151 10-5 rad/s = 15,041067 ″ s-1

Mese sidereo = 27d 7h 43m 11,5s 27,321661 gsm = 2.360.591,5 sMese sinodico = 29d 12h 44m 2,9s 29,530589 gsm = 2.551.442,9 sMese anomalistico = 27d 13h 18m 33,2s 27,554551 gsm = 2.380.713,2 sMese draconico = 27d 5h 5m 35,8s 27,212220 gsm = 2.351.135,8 s

Velocità angolare linea dei nodi lunari = 76,1333483 10 / 19,35496 /nodi s yω −= − ⋅ ° = − °

Velocità angolare linea degli apsidi lunari = 6

( ) 1,2889594 10 / 40,6756 /aps L s yω −= ⋅ ° = °

Page 165: 130164057 Astronomia Doc

G = costante di gravitazione universale = 6,67428 10-11

a = semiasse maggiore (J2000) = 1.0000001124 UA = 149.597.887.506 me = eccentricità orbitale (J2000) = 0.01671022MT= Massa della Terra = 5,9736 1024 kgMS = Massa del Sole = 1,9891 1030 kg

1 Unità Astronomica (UA) = 149.597.870.691 m

1 anno luce (al) = 9,4605284 1017 cm = 9,4605284 1015 m = 9,4605284 1012 km

1 parsec (pc) = 3,0856776 1018 cm = 3,2616334 al

1 parsec cubico (pc3) = 2,938 1055 cm3 = 3,470 101 al3

1 megaparsec (Mpc) = 103 kiloparsec (kpc) = 106 parsec

1 megaparsec cubico (Mpc3) = 2,938 1073 cm3 = 3,470 1019 al3

Costante di Hubble (Ho) = 100 h km s-1 Mpc-1 = 3,24 10-18 h s-1

Tempo di Hubble (Età massima dell’Universo) = 1/ Ho = 3,1 1017 h-1 s = 1010 h-1 anniEtà Universo euclideo = 2/(3 Ho) = 2,1 1017 h-1 s = 6,5 1010 h-1 anniOrizzonte Universo euclideo (Raggio osservabile) = 2c/(3 Ho) = 2000 h-1 Mpc = 6,17 1027 h-1 cmLuminosità media delle Galassie ( GL ) = 1010 h-2 LDensità numerica media delle galassie = 2 10-2 h3 Mpc-3 = 6,8 10-76 h3 cm-3

Radiazione isotropa di fondo = 2,728 ± 0,004 °KDensità critica (ρc) =1,879 10-29 h2 g cm-3 ≈ 1,1 10-5 h2 barioni cm-3 = 11 h2 barioni m-3

Densità radiazione (ργ) = 4,19 10-13 erg cm-3 = 4,66 10-34 g cm-3 = 412 fotoni cm-3

Entropia specifica Universo euclideo (η = ργ /ρc = rapporto fotoni/barioni) = 3,68 107 h-2

Luminosità solare intrinseca (L ) = 3,847 1033 erg/s = 3.847 1026 watt (3.86 1028 lumen = 3.06 1027 candele)

Costante solare = 1,962 cal cm-2 min-1 = 1,368 106 erg cm-2 s-1 = 1,368 103 watt/m2 (1,37 105 lux )

Diametro solare (fotosfera) (D ) = 1,392 106 km = 1,392 109 m = 1,392 1011 cm

Raggio solare (fotosfera) (R ) = 6,96 105 km = 6,96 108 m = 6,96 1010 cm

Superficie solare (fotosfera) = 6,087 1012 km2 = 6,087 1018 m2 = 6,087 1022 cm2

Potenza unitaria solare = 6.32 1010 erg cm-2 s-1 = 6.32 107 watt/m2 (5,04 108 nit)Temperatura solare efficace (di corpo nero) T = 5778 °K

165

Page 166: 130164057 Astronomia Doc

Emissione ottica del sole = 40%Magnitudine solare assoluta = visuale 4,83 - bolometrica 4,75Magnitudine solare apparente = visuale -26,74 / bolometrica -26,82

Luminosità corrisp. a M = 0 (fuori atm.) → visuale 3,171 1030 lumen = 2,523 1029 candele / bolom. 3,015 1035 erg/s

Luminosità corrisp. a m = 0 (fuori atm.) → visuale 2,65 10-6 lumen/m2 (lux) / bolometrica 2,52 10-5 erg/(s cm2)

Raggio terrestre equatoriale (a) = 6.378.388 m (Ellissoide internazionale o di Hayford)Raggio terrestre polare (b) = 6.356.912 m (Ellissoide internazionale o di Hayford)schiacciamento polare o ellissoidicità [(a-b)/a] = 1/298,0Raggio di una sfera avente la stessa superficie della Terra = 6.371.228 mRaggio di una sfera avente lo stesso volume della Terra = 6.371.221 mRaggio terrestre equatoriale (a) = 6.378.137 m (valore raccomandato dall'Unione internazionale geofisica e geodesia)Raggio terrestre equatoriale (a) = 6.356.140 ± 5 m (Ellissoide astrogeodetico)schiacciamento polare o ellissoidicità [(a-b)/a] = 1/298,257Precessione generale anno 2000 = - 50,291” per anno giuliano (365,25 giorni solari medi)

Distanza media Terra-Luna (da centro a centro) 3,844 108 mRapporto massa Luna/Terra 0,01230002

166

Page 167: 130164057 Astronomia Doc

Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno Urano Nettuno PlutoneDist Media Sole (UA)semiasse maggiore a (106 km)

0,3871(57,91)

0,7233(108,2)

1,000(149,6)

1,524(227,9)

5,203(778,4)

9,537(1426,7)

19,191(2871,0)

30,069(4498,3)

39,481(5906,4)

(1) Eccentricità e 0,2056 0,00677 0,0167 0,0934 0,04839 0,05415 0,0472 0,00859 0,2488(1) Perielio (UA) (106 km)

0,3075(46,00)

0,7182(107,5)

0,9833(147,1)

1,381(206,6)

4,951(740,7)

9,0207(1349,5)

18,2860(2735,6)

29,8108(4459,7)

29,658(4436,9)

(1) Afelio (UA) (106 km)

0,4667(69,82)

0,7279(108,9)

1,0167(152,1)

1,666(249,2)

5,455(816,1)

10,053(1504,0)

20,0965(3006,4)

30,3271(4536,9)

49,304(7375,9)

Dist. Min. Terra (UA) (106 km)

0,517(77,3)

0,255(38,2)

--

0,363(54,5)

3,934(588,5)

7,9913(1195,5)

17,259(2581,9)

28,783(4305,9)

28,701(4293,7)

Dist. Max. Terra (UA) (106 km)

1,483(221,9)

1,745(261,0)

--

2,682(401,3)

6,471(968,1)

11,086(1658,5)

21,105(3157,3)

31,332(4687,3)

50,356(7533,3)

(2) Per. rivol. sidereo (giorni) (anni)

87,969(0,2408)

224,70(0,6152)

365,2564(1)

686,980(1,881)

4332,589(11,862)

10759,22(29,46)

30685,4(84,01)

60189(164,8)

90465(247,7)

(2) Vel. Rivol. media (km/s) 47,88 35,03 29,79 24,13 13,06 9,65 6,80 5,43 4,74(3) Periodo riv. sinodico (giorni) 115,88 583,92 - 779,94 398,88 378,09 369,66 367,49 366,74(4) Periodo rotaz. sid (ore)

(giorni)1407,5(58,65)

-5832,4(-243,02)

23,9345(0,99727)

24,623(1,0259)

9,925(0,4135)

10,656(0,444)

-17,24(-0,718)

16,11(0,671)

-153,3(-6,387)

(4) Incl asse su orb (gradi) 0,00 177,3 23,45 25,19 3,12 26,73 97,86 29,56 122,46(5) Diam App min/max (sec arco) 4,5/13 9,7/66,0 -/- 3,5/25,7 29,8/59,0 14,5/20,1 3,3/4,1 2,2/2,4 0,06/0,11Inclinaz. Orbita su eclitt (gradi) 7,00 3,395 0,000 1,851 1,305 2,484 0,770 1,769 17,142Numero satelliti - - 1 2 63 62 27 13 3(6) Raggio equat. (km) 2440 6052 6378 3397 71492 60268 25559 24766 -(6) Raggio medio (km) 2440 6052 6371 3390 69910 58230 25362 24624 1137(6) Schiacciamento α 0,000 0,000 1/298,25 1/154 1/15,4 1/10,2 1/43,6 1/58,5 -Massa (kg) (masse terrestri)

3,30 1023

(0,055)4,87 1024

(0,81)5,9742 1024

(1)6,42 1023

(0,11)1,90 1027

(317,8)5,68 1026

(95,2)8,68 1025

(14,5)1,02 1026

(17,2)1,25 1022

0,0021Densità media (kg/dm3) 5,427 5,204 5,515 3,933 1,326 0,687 1,318 1,638 2,05(7) Gravità all’equatore (Terra = 1) 0,38 0,91 1 0,38 2,4 0,92 0,89 1,1 0,067(8) Velocità fuga (km/s) 4,3 10,36 11,186 5,03 60,2 36,1 21,4 23,5 1,2(9) Flusso term solare (Terra = 1) 6,67 1,91 1 0,431 1/27 1/91 1/368 1/904 1/1559Magnitudine max -1,9 -4,4 -3,86 -2,0 -2,7 0,7 5,5 7,8 15,1(10) Albedo geometrica 0,11 0,65 0,367 0,15 0,52 0,47 0,51 0,41 0,3(10) Temperatura di corpo nero (K) 442 239 247 217 91 64 36 33 43Temperatura media (K) 440 737 288 210 129 97 58 58 50Pressione atmosferica (atm) 10-15 91 1 6 10-3 - - - - 3 10-6

167

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(1) Per l’eccentricità e di un ellisse valgono le seguenti relazioni: ( ) 2222 abae −= ed ace = , con a = semiasse maggiore; b = semiasse minore, c

= semidistanza focale (distanza centro-fuoco) = (Rmax – a) = (a – Rmin), da cui 21 eb −= , )1(max eaAfelioR +== e )1(min eaPerielioR −== . Se

ne deduce che il semiasse maggiore è pari alla media aritmetica della distanza massima e minima ( ) 2minmax RRa += mentre il semiasse minore è pari alla

media geometrica delle suddette distanze minmax RRb ⋅=

(2) Il periodo P e la velocità media di rivoluzione V possono essere calcolati in funzione della distanza media D (pari al semiasse maggiore a utilizzando la 3a di

Keplero: P2 = k a3 oppure V2 a = k . Esprimendo tutte le variabili in unità terrestri si ottiene UAaV 1= e 3UAaP = La velocità del pianeta sarà

skmaUA / 179,29 ⋅ ed il suo periodo anniaP UA 3=

(3) Il periodo di rivoluzione sinodico Ps si può calcolare componendo la velocità angolare rispetto alle stelle fisse della Terra (ωT = 2π/PT) e del Pianeta (ωP=

2π/PP). Per i pianeti interni TPS PPP

π−π=π 222. Per i pianeti esterni

PTS PPP

π−π=π 222 Da cui, per i pianeti interni

PT

PTS PP

PPP

−⋅

= e per i pianeti esterniTP

PTS PP

PPP

−⋅

=

(4) Il moto retrogrado è preceduto dal segno meno e, secondo la convenzione recentemente adottata dall'Unione Astronomica Internazionale (IAU), ai pianeti con moto di rotazione retrogrado si assegna inclinazione dell'asse maggiore di 90 gradi.

(5) L’angolo (in radianti) sotto il quale il diametro 2R del pianeta viene osservato dalla Terra (da una distanza D) è pari a 2R/D. Poichè un radiante è pari

360°/2π = 57,29578° = 206264,8 secondi d’arco, il diametro apparente minimo e massimo di un pianeta si calcola max

28,206264

D

R⋅ e min

28,206264

D

R⋅

(6) Lo schiacciamento polare α di un Pianeta è pari α = (a-b)/a con a raggio equatoriale e b polare. Da cui il raggio polare è b = a (1 - α). Il raggio medio Rm è

pari 3 2ba e quindi 3 1 α−⋅= aRm

(7) La gravità di un Pianeta (in unità terrestri) si calcola facendo il rapporto tra la forza tra la forza di gravità calcolata sul Pianeta e sulla Terra

2

2

2

)/(

/

TP

TP

T

T

P

P

T

P

RR

MM

R

mMG

R

mMG

F

F ==

168

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(8) La velocità di fuga può essere calcolata eguagliando l'energia cinetica all'energia gravitazionale 1

22mv G

mM

R= da cui la velocità di fuga risulta pari a

RGMv 2=

(9) La quantità di energia solare che colpisce un pianeta per unità di superficie è inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza dal sole. Se D è la distanza del pianeta dal Sole (in unità astronomiche), il flusso risulta allora pari a 1/D2 volte il flusso che colpisce la Terra (Costante solare = 1380 W/m2)

(10) Un Pianeta di raggio R posto a distanza D dal Sole intercetta una frazione di energia solare Le pari all’area del suo disco planetario πR2 fratto l’area totale

della superficie sferica 4πD2 investita dal flusso solare. Se il Pianeta si comporta come uno specchio piano perfettamente riflettente (albedo A =1) la sua

luminosità totale sarà 2

24

RL

D

ππ e . Il flusso luminoso φ che colpisce la Terra proveniente da una sorgente estesa (il disco planetario) è direttamente proporzionale

al flusso emesso per unità di superficie 24

L

Dπe e all’angolo solido sotto il quale viene vista la superficie L’angolo solido (in steradianti) è π(R/DTP)2, dove DTP è la

distanza Terra-Pianeta. Dunque il flusso luminoso che proviene dal disco planetario è 2

2 24PTP

L Rk

D D

πϕπ

= ⋅e, mentre il flusso luminoso che proviene dal Sole e che

colpisce la Terra è

2

2 24STS

L Rk

R D

πϕ

π= ⋅e e

e

Il rapporto tra il flusso luminoso in arrivo dal Pianeta ed il flusso in arrivo dal Sole è allora pari

2

TSP

S TP

R D

D D

ϕϕ

⋅= ⋅ Possiamo confrontare tale rapporto con il

rapporto effettivamente misurato a partire dalla differenza di magnitudine Sole/Pianeta Pm m−e (con 26,784m = −e ). Il rapporto effettivo dei flussi è pari a

( )2,512 Pm m−e . Facendo ora il rapporto tra il valore effettivo e quello teorico (calcolato nell’ipotesi che A fosse uguale ad 1) si ottiene una stima dell’albedo del

pianeta( )

2

2,512 Pm m

TS

TP

AR D

D D

= ⋅ ⋅

e

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