13 14 · 2019-07-13 · si fa discepolo e agisce, accoglie, opera per il bene. Due discepole di...

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Segue a pag. 9 Segue a pag. 10 Segue a pag. 13 Segue a pag. 19 Cos’è la sofferenza, oltre al dolore fisico e al tormento che procura? Perché chi ha fatto esperienza del dolore, ... Gli eventi della storia ci aiutano a capire il presente. “Chi ignora il proprio passato – soleva dire il giornalista Indro Montanelli - ... Il 5 luglio u.s. nella Concatte- drale di Irsina la Comunità dio- cesana e la nostra Città hanno voluto dare l’ultimo commiato... Come nasce la celebre e monu- mentale Cattedrale di Aceren- za? La risposta a questa interes- sante domanda potrà essere... L’esperienza della malattia Lo sbarco sulla Luna Don Nicola Tommasini iCammini 13 14 31 LUG 2019 copia € 1,20 • abb. € 20,00

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Segue a pag. 9 Segue a pag. 10 Segue a pag. 13 Segue a pag. 19

Cos’è la sofferenza, oltre al dolore fisico e al tormento che procura? Perché chi ha fatto esperienza del dolore, ...

Gli eventi della storia ci aiutanoa capire il presente. “Chi ignora il proprio passato – soleva dire il giornalista Indro Montanelli - ...

Il 5 luglio u.s. nella Concatte-drale di Irsina la Comunità dio-cesana e la nostra Città hanno voluto dare l’ultimo commiato...

Come nasce la celebre e monu-mentale Cattedrale di Aceren-za? La risposta a questa interes-sante domanda potrà essere...

L’esperienzadella malattia

Lo sbarco sulla LunaDon Nicola Tommasini iCammini

13 1431 LUG 2019

copia € 1,20 • abb. € 20,00

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SOMMARIO

Un progresso all’indietro ............................

Bilancio della Bruna 2019 ......................

Omelia Festa della Bruna ......................

Messaggio alle autorità .........................

L’esperienza della malattia ..................

Tina e il teatro PAT ..................................

Don Nicola Tommasini ...........................

Serate di “Avvenire” .................................

iCammini ....................................................

Scoprire il continente africano .............

La comunità deve aprirsi all’altro ........

Lo sbarco sulla Luna ...............................

Mettiamoci in viaggio .............................

MATERA - Cantiere aperto ....................

Nuove povertà: come arginarle? .........

Cittadinanza onoraria ai Carabinieri ...

“Speranza e Vita” .....................................

È… tempo di autonomia ........................

DIRETTORE RESPONSABILEAntonella Ciervo

REDAZIONEGiuditta Coretti, Anna Maria Cammisa,Domenico Infante, Mariangela Lisanti,Marta Natale, Paolo Tritto, Filippo Lombardi, Eustachio Di Simine, Nino Vinciguerra,Giuseppe Longo, Antonello Di Marzio,Rosanna Bianco, Angelo D’Onofrio, Lindo Monaco.

COLLABORATORIDon Gerardo Forliano, Giusy Cucari,Pippo De Vitis, Giorgio Simone, Anna Polidoro.

Chiuso il 12 luglio 2019

SEDE LogosVia dei Dauni, 20 - 75100 Matera

PROGETTO GRAFICODream Graphics di Antonio [email protected]

STAMPAD&B stampagrafica BongoVia Cartesio, 8 - Gravina in Puglia (Ba)

La redazione si riserva la facoltà di pubblicare o meno gli articoli o lettere inviati e, qualora fosse necessario, di intervenire sul testo per adattarlo alle esigenze di impaginazionee renderlo coerente con le linee editoriali.

Quindicinale della Diocesi di Matera - Irsina

Iscrizione n°1/2009 - Registro della stampa del

Tribunale del 03/02/2009

n. iscrizione ROC 22418 Anno XI

n. 13/14 del 31/07/2019

Contributo libero € 1,20 - Abbonamento € 20,00

ccp n° 12492757 - causale: Logos 2019

intestato a: Arcidiocesi di Matera-Irsina

Scrivici o invia il tuo articolo [email protected]

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a cura di Filippo LombardiIn buona compagnia…

Ogni giorno il calendario ci ricorda il nome di un san-to, anche se nello stesso

giorno altri santi possono essere ricordati, perchè i santi non sono solo 365 ma “una moltitudine im-mensa che nessuno poteva con-tare” (Ap 7,9).In questo mese di luglio la Chie-sa celebra due donne che hanno seguito Gesù: Maria Maddalena, 22 luglio, e santa Marta, sorella di Lazzaro, 29 luglio.

La Maddalena è colei che ha in-contrato per prima Gesù risorto, lo ha scambiato per il giardiniere e lo ha riconosciuto solo quando

si è sentita chiamare per nome da Gesù.Marta è la donna o s p i t a -le, che accoglie G e s ù n e l l a casa di B e ta n i a e si pre-o c c u p a di fargli una fe-s t o s a a c c o -g l i e n za , l a m e n -t a n d o s i p e r c h é la sorel-la, Maria, poco collaborava con lei nei pre-parativi. Gesù elogia Maria, perché si è scelta la parte migliore, quel-la dell’ascolto del Maestro, ma non disprezza certamente Marta. Azione e contemplazione sono complementari nella vita cristia-na.Chi ha incontrato Gesù lo ascolta, si fa discepolo e agisce, accoglie, opera per il bene.

Due discepole di Gesù

2 Logos - Le ragioni della verità

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di Filippo Lombardi

L’estate si sa fa caldo, sarebbe un controsenso il contrario. C’è un tema, però, che la rende oltremodo calda, è il tema dei migranti.Siamo difronte a una svolta epo-cale, a un fenomeno inarrestabile e ingovernabile, che dura da decenni e che tira in gioco rapporti di forza: accoglienza si, accoglienza no, li accoglie l’Europa, alcune nazioni volenterose, restano in balia delle onde o dei trafficanti. Non è, co-munque, un problema che si può risolvere con gli slogan né si può affrontarlo con leggerezza. Non lo risolve la fermezza di Salvini così come non lo risolve l’appel-lo generico all’accoglienza, tanto meno l’indifferenza di chi erige muri e presidia le frontiere. L’immagine del papà Oscar, di 25 anni, con la sua bambina Valeria, di 23 mesi, avvinghiata a lui nascosta sotto la maglietta, ritrovati sulle sponde del fiume Rio Grande nel tenta-tivo di entrare in Usa dal Messico forse l’abbiamo già dimenticata, risale appena a 15 giorni fa. O le tante altre immagini di profughi sepolti naufraghi nel Mediterraneo le abbiamo forse rimosse per fare spazio alla paura, al bisogno di sicurezza, al desiderio di sentirci tranquilli a casa nostra, dimentichi dei tanti nostri ragazzi e giovani che, sia pur non profughi, cercano altrove lavoro e futuro. I fenomeni migratori sono sempre esistiti, la storia dell’umanità è una storia di incontri, di scambi culturali, di arricchimenti reciproci. Ognuno di noi oggi è il prodotto di culture che si sono intrecciate nel tempo, si sono contaminate e integrate, tollerate e accolte. Dimentichia-

mo che queste persone scappano dalle guerre e dalla fame, moltis-simi ogni giorno muoiono ancora di fame e di sete, che non hanno mezzi per curarsi, che continuano a essere sfruttati e depredati delle loro ricchezze. È in gioco l’umani-tà! Non un vago senso di umanità e di compassione, che, magari, si affaccia alla vista di alcune im-magini, è in gioco la mia umanità. Chi è l’uomo? Quale la sua dignità, il suo valore? Chi non riconosce l’umanità dell’altro, chiunque esso sia, a qualunque razza e popolo appartenga, sminuisce la propria umanità. Chi pensa di affermare sé stesso negando l’altro, nega anche la propria umanità. Ognuno è se stesso in relazione a un Tu, al di fuori di questa relazione l’uomo perde se stesso, perde il senso della propria umanità e, magari, la cerca in una relazione spersonaliz-zante con la natura, con gli animali, con un’energia cosmica e non con l’altro da sé, che pur nella diversi-tà è fratello, solidale in umanità. L’uomo è anche relazione con la natura, con il creato, con gli anima-li, con le piante, ma prima di tutto è relazione con l’uomo e con il suo Creatore. Se queste considerazio-ni non risolvono il problema delle migrazioni danno però il senso di come affrontarlo, di quali priorità vanno considerate e di quali leggi possono aiutare a risolverlo. Giova ricordare che non è l’uomo fatto per la legge ma la legge è fatta per l’uomo; intanto si rispettano le leg-gi in quanto sono fatte per l’uomo e per il suo bene, per il bene comune; al contrario si possono disatten-dere le leggi quando sono contro

l’uomo e la sua dignità. Ritrovare questi principi fondamentali della convi-venza civile potrà aiutare ad affrontare il problema delle migrazioni anche sul piano internazionale, superando gli egoismi collettivi mal governati da politiche che alimentano paure e privile-giano il benessere econo-mico sul bene della dignità delle persone.

L’EDITORIALE Vincent Lambert

Un progresso all’indietroÈ in gioco l’umanità

La morte di Vincent Lambert a Reims in Francia, un malato te-traplegico dal 2008, a seguito di

un incidente stradale, sopravvenuta l’11 luglio u.s. a seguito della sospen-sione dell’alimentazione e idratazio-ne, pone molti interrogativi sul fine vita.Anche in questo caso è in gioco l’u-manità. Il dibattito che ne è scaturito nei mesi precedenti tra chi rivendi-cava il diritto a vivere, perché la vita ha valore fino al suo spegnimento naturale e chi, invece, supplicava la morte, perché questa poteva essere la volontà del paziente, si è spostato dal piano famigliare, la madre e il pa-dre di Vincent dalla parte della vita e la moglie dall’altra, al piano pubblico tra magistrati, avvocati e media. È emerso ancora una volta lo scontro tra chi crede fermamente nella vita, non solo in nome di principi religiosi ma in nome del valore della dignità della persona umana, e chi pensa che l’eutanasia sia la soluzione al problema della malattia e del dolore e che anche la nutrizione e l’idrata-zione debbano essere sospese. Il tribunale francese si è pronunciato il 2 luglio per la sospensione dell’idra-tazione e della nutrizione considerati come cure e non come sostegno umano indispensabile e diritto ina-lienabile per la sussistenza in vita e dopo solo nove giorni la morte è sopraggiunta. Ancora una volta la domanda: Chi è l’uomo? Quali sono i suoi diritti? Può decidere lui o altri per lui se deve vivere o morire?Stiamo già in una società che aven-do smarrito il senso dell’umano decide per la morte in nome di un diritto e desidera che lo Stato con le sue leggi renda legittimo il diritto a morire. Questo già avviene in diversi stati. Il medico che è a servizio della vita si rende protagonista della mor-te. I famigliari si fanno interpreti della volontà del malato; e qualora fosse il malato stesso a chiedere la morte non la si può dare né legalizzare in ossequio a una volontà contro la vita.Riposa in pace Vincent e prega perché la nostra coscienza non stia troppo tranquilla in questo mondo sempre più poco umano.

O.I.

3Logos - Le ragioni della verità

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La festa della Bruna 2019, 630ma edizione, si è conclusa con un bi-lancio altamente positivo, sia per

il coinvolgimento corale di tutta la co-munità cittadina che per l’afflusso di turisti e visitatori, sia per la larga parte-cipazione alle manifestazioni religiose che per il coinvolgimento alle inizia-tive civili e di spettacolo: una festa di popolo, che si riconosce nello sguardo di Maria e si affida alla sua protezio-ne. Tutto si è svolto con ordine, senza contrattempi e con grande soddisfa-zione di tutti. Il merito va al Comitato, guidato, per l’ultimo anno, dal mitico Mimì Andrisani, al Delegato vescovi-le don Vincenzo Di Lecce, al parroco della Cattedrale don Angelo Gallitelli con i suoi collaboratori, al presidente

dell’associazione dei Cavalieri, Anto-nio Paolicelli, a tutte le Forze dell’ordi-ne, dalla Polizia di Stato ai Carabinieri alla Polizia locale, all’Amministrazione comunale. Grande impegno e fatica da parte di tutti perché tutti i cittadini potessero essere garantiti nella pro-pria incolumità personale. Il due lu-glio è il giorno più lungo per i materni, ma tutta la festa è lunga per tutto un anno, dalla scelta del tema per il Car-ro, alla gara per la costruzione del Car-ro, al lavoro lungo per l’allestimento, ai contratti per le luminarie e gli spetta-coli… una vera e propria impresa che giustifica le ingenti spese e anche il diuturno lavoro di volontariato dell’as-sociazione Maria Ss.ma della Bruna. È intensa la preparazione immediata

della Festa con la Novena, arricchita per il terzo anno dalla Festa di Avve-nire, l’ottavario che si conclude con una partecipata processione; la festa del Carro dei bambini “a B’rnette”, la presenza di Gesù Bambino nei luoghi della sofferenza: dalla Residenza per anziani “Mons. Brancaccio”, all’Ospe-dale, al Carcere alla Casa dei Giovani. Nel clima della Festa sono stati gra-ditissimi ospiti quest’anno tre illustri Cardinali: Card. Gianfranco Ravasi, Card. Angelo Amato, Card. Pietro Pa-rolini, Segretario di Stato. Tantissimi i momenti belli e intensi della Festa che lasciamo al ricordo di chi li ha vis-suti. La Bruna 2019, in definitiva, è sta-ta degna di Matera Capitale europea delle Cultura. F.L.

Giostre si, giostre no; parcheggio sì, parcheggio no; madonnari sì, ma non sull’asfalto; bancarelle sì, ma a singhiozzo; plastica no, vetro no, carta sì; fuochi belli, fuochi brutti; luminarie musicali in piazza sì, ma la di-scoteca poi, non si era mai vista! Sono state tante le polemiche che hanno accompagnato la viglia della fe-sta patronale 2019 a Matera. Ma si sono tutte sgonfiate a mano a mano che la giornata del due luglio trascor-reva con la sua plurisecolare lentezza ma anche con tanto brivido di vivacità. La differenza quest’anno l’ha fatta la gente, con la sua pazienza e la sua partecipa-zione attiva e composta, dalle prime ore dell’alba alle

ultime della sera. Persone di tutte le età venute “per salutare la Madonna”. Giovani, anziani, bambini, gente di mezza età: tutti presenti. Chi non poteva partecipa-re fisicamente, era a casa sintonizzato sulla diretta tv o seguiva tutto su internet. La differenza l’ha fatta an-che il clero presente alla processione serale che, spin-to dall’esempio dell’instancabile don Pino Caiazzo, ha colto ogni attimo per stringere la mano e scambiare un vero saluto con tutti, spostandosi a zig-zag, un po’ sul lato destro un po’ sul sinistro, con buona pace del ser-vizio di sicurezza che faticava a tenere tutti a bada.

G.C.

Positivo il bilancio della Bruna 2019Degna della capitale europea della Cultura

Festa della Bruna 2019La differenza la fa la gente

4 Logos - Le ragioni della verità

13/14 - 31 LUG 2019

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Carissimi, vi saluto ancora una volta nel nome del frutto be-nedetto del grembo di Maria,

Gesù, che da sempre e per sempre è in mezzo a noi. Saluto i confratelli presenti, i dia-coni, le religiose, le autorità civili e militari, l’Associazione Maria SS. Della Bruna con il suo Presidente Mimì Andrisani, tutte le confrater-nite, i Pastori dell’anima e Gli Angeli del Carro, voi fedeli qui presenti e quanti state seguendo da casa la celebrazione attraverso il servizio reso da TRM.Oggi per Matera è un giorno par-ticolare: è la festa della Madonna della Bruna. Stamattina, durante la messa “detta dei pastori”, pen-savo, volando indietro nel tempo, come i nostri pastori, attraverso la loro fede genuina, erano capaci di coniugare fede e lavoro, soprattut-to in questo giorno, attingendo alla Parola di Dio e mettendosi in cam-mino dietro alla dolce Madre della Bruna, con la gioia e l’ansia di chi sente la responsabilità nel guidare il proprio gregge e badare alla pro-pria famiglia. Ho immaginato che insieme a loro probabilmente ci fossero anche le greggi. Ho sentito i loro belati, le campanelle appese al collo, i fischi e le grida dei pasto-ri che si alternavano a canti e pre-ghiere. In quest’ottica si coglie e ca-pisce il senso della processione dei pastori attuale.Ai pastori, gente umile che al tempo di Gesù erano messi ai margini del-la società e considerati immondi, a loro fu dato a Betlemme il primo annuncio che Maria aveva parto-rito un Bambino, Gesù. I pastori, a Matera, danno a noi la sveglia per adorare nella Vergine della Bruna la presenza viva di Gesù, Dio che si è fatto come noi per farci come lui. Questa è la fede che ci è stata tra-mandata e che ha fatto cultura. Chi non conosce la storia di Matera, for-temente legata alla sua Madonna, non potrà capire nemmeno questo tipo di manifestazioni religiose.Siamo giunti a questo giorno dopo esserci preparati spiritualmente e

culturalmente in momenti di pre-ghiera, di ascolto della Parola e di meditazione, confrontandoci an-che su tematiche inerenti la nostra vita privata e sociale.Rivolgiamo un particolare ringrazia-mento a Sua Eminenza il Cardinale Angelo Amato, inviato direttamen-te da Papa Francesco, come suo delegato, il quale, nella celebrazio-ne di San Giovanni da Matera il 20 giugno, ha ricordato gli 880 anni dalla morte del nostro santo con-cittadino. Solenne concelebrazio-ne Eucaristica che ha visto la par-tecipazione dell’intera Arcidiocesi di Matera – Irsina: clero e fedeli. In quella occasione ho annunciato in modo ufficiale che San Giovanni da Matera deve essere considera-to Patrono minore principale della nostra Arcidiocesi, come già pro-clamato dal mio predecessore, S.E. Mons. Camillo Cattaneo della Vol-ta, nel 1830. Dal prossimo anno in tutte le parrocchie è obbligatorio celebrare la festa di S. Giovanni da Matera.Un grazie speciale anche a S. Emi-nenza Card. Pietro Parolin, Segreta-rio di Stato Pontificio, che ha chiuso la settimana di preghiera e di nove-na in preparazione alla Festa di Ma-ria SS della Bruna. In questi giorni la nostra fede, arricchita dalla loro presenza, ha sperimentato la pre-senza di Gesù, il vero festeggiato. Come Maria ha visitato Santa Elisa-betta, anche noi abbiano ricevuto la gioia di avere in visita tra noi alcu-ni Vescovi quali quello di Catanza-ro - Squillace, di Cassano allo Jonio, di Rossano - Cariati, di Taranto, di Melfi – Rapolla – Venosa. Davvero una grande ricchezza! È questa la vera essenza di questa festa: Maria che, visitata da Dio e resa feconda dallo Spirito Santo, ci dona il vero volto di Gesù.La settimana è stata arricchita al-tresì dalla festa del quotidiano Av-venire. Nell’anno in cui Matera è il centro dell’Europa, da questa no-stra amata città, in un’agorà affol-lata, in Piazza S. Francesco, mes-saggi antichi e sempre nuovi sono

stati oggetto di riflessione condivi-sa: Giovani, lavoro e legalità, sfide per lo sviluppo del mezzogiorno; il futuro dell’Europa tra America e Asia; l’eccellenza della proposta italiana nel mondo, formazione, ri-cerca e cura. Sani dibattiti che sono stati fermento per le nostre menti, nella speranza che arrivino al cuo-re di questa nostra Europa, che vive una fragilità culturale e spirituale.Nel brano del vangelo che è stato proclamato San Luca ci narra la vi-sitazione di Maria a S. Elisabetta. Il suo intento è quello di presentare le comunità del tempo presenti in tut-to l’Impero Romano. Ma c’è di più. Luca presenta Maria come modello che tutti siamo chiamati a imitare per accogliere la Parola di Dio: lei l’accoglie, la vive e la mette in pra-tica.La nostra comunità di Matera, ad imitazione di Maria, vive e mette in pratica il suo agire al servizio di tut-ti i fratelli. La Vergine Santa lascia la sua casa, il suo paese, Nazaret e, camminando per 150 Km, arriva in montagna ad Ain Karem, poco lontana da Gerusalemme. Ad Ain Karem, il mio predecessore, S.E. Mons. Antonio Ciliberti, ottenne di collocare in una bellissima edico-la, l’immagine della Madonna della Bruna, così come è rappresentata nell’affresco – icona nella nostra Basilica Cattedrale. Come in un pa-rallelismo, possiamo dire che da Matera Maria si è messa in cammi-no e ancora una volta ha raggiunto quella località descritta nel Vange-lo, a ricordarci che il suo viaggio non è da collocarsi in una precisa data storica ma in ogni oggi della storia in cui l’uomo vive e incontra Dio. Uomo che è in Oriente come nel-la vecchia Europa, in Africa, come in Asia, in America come in Ocea-nia e Australia. È l’uomo che abita il mondo che Dio viene a visitare attraverso Maria. Uomo sofferen-te nel corpo e nello spirito, uomo solo e abbandonato, disoccupato, giovane e scoraggiato, deluso e in-gannato, immigrato e senza fissa dimora, sfruttato e delegittima-

OMELIA FESTA MADONNA DELLA BRUNA02 luglio 2019

5Logos - Le ragioni della verità

13/14 - 31 LUG 2019 dal cuore del Padre

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to, schiavo degli idoli del tempo e abbandonato al suo destino. Chi non sa accogliere o non vuole ac-cogliere Maria che porta Gesù, Via, Verità e Vita, non trova il senso del-la propria esistenza.Una città senza Maria, un’Euro-pa senza vita spirituale, un mondo capace di costruire muri e steccati, diventano sempre più poveri, tristi, sofferenti, egoisti, perché senza Dio.Maria, anche oggi, partendo non da Nazaret ma da Matera, si mette in cammino per le nostre strade per raggiungere i luoghi abitati da ogni uomo. Da qui dialoga, come in un nuovo Areopago, con la Chiesa, con il mondo della politica e della cul-tura, con l’Europa, con l’umanità in-tera e ci dona la gioia che vive in Lei: Gesù, Salvatore del mondo. Gioia che fa sussultare, danzare, come Giovanni Battista nel grembo di sua mamma Elisabetta. Gioia che spa-lanca gli occhi sulla storia e guarda l’umanità con gli stessi occhi di Dio.

Nell’incontro tra le due cugine, Eli-sabetta indica il passato, Maria il presente e il futuro. È un incontro familiare come quelli che devono contraddistinguere i nostri rappor-

ti umani. Due donne, una diversa dall’altra, due generazioni a con-fronto, dove la più giovane, Maria, attraverso la sua visita, porta gio-ia, anzi porta la vera gioia che ha dentro, il frutto del suo seno, Gesù. Due donne gravide di vita umana e divina che esprimono il senso della famiglia, della casa, dell’agire di Dio che fa riconoscere ad ognuna delle due l’opera che lui sta compiendo.Le parole di Elisabetta, il saluto che rivolge a Maria, da quel momento diventano preghiera per ogni gene-razione, fino ai nostri giorni: è l’Ave Maria che fin da piccoli rivolgiamo a Maria, che per noi è la Madonna della Bruna. Un ultimo aspetto vorrei sottoline-are di quest’incontro. Elisabetta, rivolgendosi a Maria, dice: “Beata colei che ha creduto, nell’adempi-mento delle parole del Signore”. L’evangelista Luca, riportando le parole di Elisabetta, oggi a noi dice che credere nella potenza della Pa-rola di Dio significa fidarsi di Lui, che mantiene sempre fede alle sue pro-messe. Chi crede, sperimenta che la Parola è creatrice e genera vita nuova. E’ avvenuto nel seno di Ma-ria Vergine, avviene oggi in quanti

vivono l’attesa non di eventi prodigio-si ma del prodigio di Dio che vuole incarnarsi nella vita di ogni uomo. E questo vale per l’uomo colto come per l’analfabeta, per il ricco come per il povero, per il credente come per chi professa un’altra fede, per i materani come per gli europei, per gli africani come per gli asiatici, per gli americani come per gli australiani, per i credenti e i non credenti.Maria, a sua volta, benedice quest’in-contro con un canto d’amo-re meraviglioso, il Magnificat. La Vergine Santa si

definisce umile e parte “dei poveri di Dio”, addirittura di coloro che te-mono Dio e che ripongono speran-za e fiducia in Lui quando nella vita sperimentano l’assenza di diritti o di giustizia. Questi poveri sono il linguaggio vero di Dio, quella parte del popolo d’Israele che, come i pa-stori, seppur nell’umiltà e nella po-vertà, con la presenza del Signore nella loro vita, cambieranno la sto-ria, tanto da scrivere pagine di vita meravigliose alle quali tutti potran-no attingere. Sono esattamente il contrario degli orgogliosi che si fi-dano solo di se stessi: “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmati di beni gli affamati, a rimandato i ricchi a mani vuote”.La Madonna, attraverso l’immagine che porteremo per le strade della nostra città, busserà alla porta del-le “tante Elisabetta” che si trovano in situazioni di necessità, di bisogno, di sofferenze, di dubbi, di incertezze per il futuro; che stanno subendo ingiustizie e ricatti, vivendo situa-zioni di inimicizie e divisioni, ceden-do alla paura e allo sconforto. Ma-ria bussa alle porte delle famiglie in crisi, divise, al cuore delle donne che portano in sè il dono della vita e che hanno deciso di interrompere la gravidanza, all’animo dei giovani scoraggiati e arrabbiati, alle menti di quanti hanno la responsabilità di governo, agli imprenditori e operai, ai professionisti e a quanti mendi-cano quotidianamente la vita. Ma-ria viene a bussare alla porta di tutti. Se come Elisabetta sapremo aprire il cuore e spalancare gli occhi, que-sti si riempiranno di luce e anche le lacrime di dolore come quelle di gioia feconderanno, come pioggia, la nostra esistenza aprendoci alla speranza di una vita nuova.A Maria, la nostra dolce Madonna della Bruna, ci affidiamo affinchè, sul suo esempio, lasciamo agire la potenza dello Spirito Santo e la Pa-rola diventi carne nelle scelte di vita che siamo chiamati a fare.

Buona festa della Bruna a tutti.

6 Logos - Le ragioni della verità

13/14 - 31 LUG 2019dal cuore del Padre

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Carissimi,il 01 luglio, nella tradizione di questa nostra Chiesa locale,

rappresenta un momento impor-tante di dialogo tra la Chiesa e le istituzioni che saluto con affetto e stima. Mi si permetta un partico-lare saluto a S. E. Il Signor Prefet-to, alla sua prima festa della Bru-na. Saluto i rappresentanti della nuova Giunta Regionale e i nuovi Sindaci da poco eletti, alcuni dei quali riconfermati. Saluto tutte le istituzioni civili e militari convenuti in questa Basilica Cattedrale.“La Chiesa – dice il Concilio Vatica-no II – stima degna di lode e di con-siderazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assu-mono il peso delle relative respon-sabilità” (GS 75).“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1).Queste parole mi sono propizie per rivolgermi a voi, che, nel rispet-to del ruolo che svolgete, agite per il bene del nostro territorio e della nostra gente. Questo è l’anno in cui Matera rap-presenta l’Europa, anzi è l’Europa. E’ Capitale della Cultura Europea. Tutti assistiamo al gran numero di persone che attraversano le strade della nostra città: i popoli s’incon-trano, le lingue dialogano, le diver-sità sono sempre più ricchezza di un nuovo umanesimo.Matera è città ricca di storia mille-naria, di uomini e donne che han-no impreziosito la cultura italiana, di eroi che, per primi in Italia, han-no versato il loro sangue insorgen-do contro l’occupazione nazista, di santi pastori che hanno saputo guidare questa Chiesa con amore e determinazione attraverso l’an-nuncio profetico del vangelo, con-tro ogni forma di rassegnazione, di discriminazione e di ingiustizia.

Matera oggi rappresenta il nuo-vo Areopago, il cortile dei Genti-li. Come S. Paolo ad Atene, che nell’Areopago interagì con la cul-tura del tempo senza rinunciare alla verità evangelica, così oggi da Matera diciamo all’Europa, con Papa Francesco, che «abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una cultura dell’o-dio e individualista che, forse non più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materiali-sta». Sia io che voi, abbiamo una grande responsabilità: “ridare ani-ma al popolo e farlo crescere”. Tra-guardo al quale possiamo giunge-re se saremo capaci di camminare insieme per costruire la storia sen-za dimenticare che l’Europa ha incontestabili radici cristiane. Ma l’Europa sta vivendo una forte crisi di fede. Risuonano molto attuali le paro-le di Benedetto XVI quando dice-va nel 2010 che alla crisi di fede si accompagna una crisi morale. Tutti rischiamo di soccombere alla «pressione esercitata dalla cultura dominante, che presenta con insi-stenza uno stile di vita fondato sul-la legge del più forte, sul guadagno facile e allettante».Sintetizzo il pensiero del Papa emerito in questi termini: crisi di fede e di morale che dobbiamo in-quadrarla in una crisi più generale che sta vivendo il vecchio Conti-nente: è scristianizzato, frammen-tato, in balia di flussi d’immagini sempre nuove che impediscono la riflessione e la vera comunione fra le persone. La cultura dell’odio e individua-lista, condannata da Papa Fran-cesco è esattamente il contrario della cultura cristiana. Abbiamo celebrato da poco la solennità del Corpus Domini. Gesù, mentre si ri-vela nello spezzare il pane, chiama i discepoli ad essere carità: “Date loro voi stessi da mangiare”. Parla al plurale: il bene è comune, per tutti, nessuno escluso. Gesù non rimanda indietro nessuno. Questa

è stata la tentazione dei discepoli: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei din-torni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta», dice: «Voi stessi date loro da man-giare».Riporto un altro passaggio di Papa Francesco che ben descrive il con-testo politico culturale nel quale l’Europa oggi vive. In questi anni, dice Francesco, «in molti hanno beneficiato dello sviluppo tecno-logico e del benessere economico, ma i più sono rimasti inesorabil-mente esclusi». Nel frattempo, «una globalizzazione omologante ha contribuito a sradicare i valori dei popoli, indebolendo l’etica e il vivere comune, inquinato, in anni re-centi, da un senso dilagante di pau-ra che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio».Parole, queste, che richiamano alla necessità che si ritorni a met-tere l’Uomo al centro delle atten-zioni comuni, salvaguardando e di-fendendo i diritti umani ben sanciti nella carta costituzionale italiana ed europea. Un’Europa capace di tornare ad essere Terra di Uomini, nel rispetto della loro dignità: solo così si garantisce la costruzione della “civiltà dell’amore”.In questo 2019, anno in cui Matera è al centro dell’attenzione dell’Eu-ropa intera, la Madonna della Bru-na, varcando la soglia della Cat-tedrale e percorrendo le strade di questa città in festa, accoglie sot-to il suo manto ogni cultura, ogni religione, ogni tradizione, rivesten-dole della vita divina che porta in sé.Ma non solo Matera è al centro dell’Europa, tutta la Basilicata lo è. Questa nostra regione, piccolo lembo di terra ma dal cuore gran-de, necessita di concrete azioni e scelte operative, che garantisca-no ai giovani di poter rimane nella propria terra, coltivare le proprie tradizioni per costruire qui il pro-prio avvenire. Da qui, oggi nasce questo nostro comune impe-

MESSAGGIO ALLE AUTORITÀ CIVILI E MILITARI01 luglio 2019

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gno! Impegno che ci permette, per dirla con Don Tonino Bello, di fare per-corsi di “convivialità delle differen-ze” per sviluppare, “in sinergia con gli altri attori sociali del territorio, dialogo e cooperazione con le isti-tuzioni pubbliche per promuovere la riqualificazione degli spazi della vita pubblica e “organizzare” una solidarietà capace di incontrare le nuove povertà, di costruire retico-li di integrazione culturale, di tra-sformare le criticità in occasioni di promozione dell’uomo, ristabilen-do il principio della partecipazione di tutti alla costruzione di una città aperta, dialogante ed educante”.Non a caso S. Paolo ci ricorda che in Cristo «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tut-ti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gl 3,28).Impegno che consentirà alle ec-cellenze presenti nel territorio re-gionale (fabbriche, insediamenti industriali, coltivazione della frutta e altro) di continuare a produrre economia guardando ai lavoratori e al contesto tutto, in un clima di collaborazione tra imprenditori, istituzioni e abitanti. La Chiesa in-segna che bisogna tenere insieme i tre principi che stanno alla base di ogni ordine sociale: lo scambio di equivalenti; la redistribuzione; la reciprocità. In questo modo si po-trà intervenire non solo sul piano culturale, ma anche su quello pro-priamente istituzionale. Sono prerogative indispensabili af-finchè il principio di fraternità trovi la sua giusta collocazio-ne nell’ordinaria vita econo-mica. Sappiamo che purtrop-po non sempre è stato così.Impegno che consentirà di costruire ponti di umanità e solidarietà per far risalire la china a quanti sono precipi-tati nell’abisso del vizio del gioco, a volte legalizzato, che è causa di rottura e fallimen-to per tante famiglie. Tanti di loro sono diventati preda degli usurai. La nostra Fon-dazione antiusura “Mons. Ca-valla” ascolta molte di queste storie. Non sempre da soli riu-sciamo a risolvere i problemi.

Impegno che consentirà di costru-ire ponti di umanità perché questa nostra bella e amata terra ritorni ad essere incontaminata. La man-canza del rispetto dell’ambiente e lo sfruttamento selvaggio hanno portato a un grande aumento di malattie che mietono vite umane di qualunque età. Basta bonificare i siti contaminati o piuttosto sa-rebbe opportuno avviare una va-lida azione di Sorveglianza Sani-taria accompagnata da studi che mirino al benessere degli operai e degli abitanti delle zone della Val Basento?Impegno che consentirà di costru-ire ponti di umanità che ci permet-tano d’incontrarci, di stare insie-me, condividere il vissuto, gioire e soffrire con la certezza di poter contare sulla attuazione di inve-stimenti strategici sulle politiche attive per il lavoro e sulla forma-zione. È in questo incontro che le famiglie potranno sanare le pro-prie ferite e riscoprire la bellezza di vivere in armonia.Impegno che consentirà di co-struire ponti di umanità perchè la “civiltà dell’amore” sia fondata sull’amore sano, gratuito che non è possesso ma libertà di cuore. Perché nessuno è proprietà per-sonale di altri e quindi nessuno può essere annientato (penso ai femminicidi e infanticidi che in Ita-lia sono sempre più in aumento). Siamo tutti di Dio e Dio è amore, e l’amore è armonia capace di supe-

rare difficoltà e sofferenze.La nostra devozione alla Madon-na della Bruna, in un crescendo di armonia tra fede e cultura, ci aiuti a capire che cultura è soprattutto carità. È lei, la Madre, che continua a mettersi in cammino portando dentro di sé la Parola che si è fatta carne per servire la storia attuale, l’uomo nelle sue fragilità. È in que-sti termini che va letta la visita di Maria alla cugina Elisabetta, bi-sognosa di affetto, di vicinanza, di servizio.Grazie, carissimi, per la vostra pre-senza attiva e costante sul terri-torio; grazie per la sicurezza che garantite alla nostra gente; grazie per le politiche di inclusione nelle quali siete impegnati e per i ponti che state costruendo verso l’Euro-pa e il mondo intero. Perché come dice lo scrittore Ita-lo Calvino, nelle Città Invisibili, “il ponte è la linea dell’arco che le pie-tre formano”, ma “senza pietre non ci sarebbe arco”. Noi siamo le pie-tre chiamate a costruire e reggere l’arco affinchè possa essere solido passaggio per l’umanità a noi affi-data.Se Matera e il suo comprensorio sono guardati con meraviglia, il merito è anche vostro.Vi affido alla Madonna della Bruna e vi benedico.

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L’esperienzadella malattia,

esperienzadell’amore di Dio

Cos’è la sofferenza, oltre al dolore fisico e al tormen-to che procura? Perché

chi ha fatto esperienza del dolo-re, dell’angoscia e delle lacrime di fronte alla malattia e a quelle particolari situazioni che portano il segno della morte, sa bene che c’è un “oltre” tutto questo. C’è un umanissimo oltre. Nella soffe-renza noi scopriamo soprattutto la verità più grande riguardo alla nostra esistenza: siamo fatti per la vita. In fondo soffriamo princi-palmente per questo; non tanto per il dolore o per l’angoscia, ma perché non riusciamo più, con le nostre deboli forze, a trattenere una vita che sembra sfuggirci di mano. L’immagine più adeguata, pertanto, dell’uomo sofferente non è tanto quella che lo vede ri-piegato sulla sua malattia. È quel-la dell’uomo che, per quello che gli rimane, si attarda ad accarezzare teneramente la vita e gli affetti da cui non vorrebbe separarsi. Ma non è follia amare la vita, legarsi affettivamente a ciò che, prima o poi, sprofonderà nel nulla? In un limitato orizzonte umano tale amore si rivelerebbe indubbia-mente poco ragionevole. Non così, invece, in quello infinito dell’amo-re di Dio. Noi uomini possiamo amare soltanto ciò che ha una propria consistenza. Il bambino

ama la mamma perché è buona, il ragazzo ama la ragazza perché è bella, l’alunno ama il docen-te perché è bravo. Ognuno ama qualcun altro perché è qualcosa, perché cioè ai suoi occhi sembra avere una certa consistenza. Non è così per l’amore di Dio. Un amo-re che è radicalmente diverso dal nostro. Non a caso Gesù ha detto: “Amatevi come io vi ho amato”. Quel “come” è detto perché l’a-more divino non è la stessa cosa dell’amore di cui sono capaci gli uomini. E non è soltanto qualcosa di superiore, ma è del tutto diver-so. Perché Dio non ama soltanto ciò che è; ama anche – e soltan-to lui può questo – ciò che non è, ciò che è nulla. Egli ha tratto ogni cosa dal nulla. Nessun uomo può fissare un punto del nulla e veder-ci qualcosa. Lo sguardo di Dio, in-vece, nel momento in cui si posa su ciò che è niente, crea qualcosa. Per il suo sguardo, nell’atto del suo posarsi, quel niente non è più un niente, ma diventa qualcosa. E diventa qualcosa di veramente grandioso. Diceva santa Teresa di Lisieux che siamo come i piccoli fiori del campo che nessuno con-sidera e che addirittura vengono calpestati, come le pratoline e le violette, ma che sono «destinate a rallegrare lo sguardo del Buon Dio quando lo abbassa ai suoi piedi».

Di questo possiamo fare esperien-za in ogni momento della nostra vita. La vita dell’uomo è un nulla ma, sorprendendo questo nulla in azione, possiamo ammirare tut-ta la sua grandezza. O meglio, la grandezza di Colui che lo ha tratto dal nulla e lo spinge verso l’esse-re. Purtroppo, il peccato ha inver-tito questa prospettiva spingendo l’orgoglio umano a ritenere di es-sere qualcosa e, di conseguenza, di essere destinato di perdere via via qualcosa, di essere destinato a scivolare miseramente nelle tene-bre del nulla. Lo sguardo di Dio in-vece dirada le nostre tenebre, rive-lando la verità del nostro essere: siamo un nulla che Dio ha scelto di inserire nel seno del suo amore, dal quale traiamo la nostra consi-stenza e una vita sempre più pie-na, sempre più umana e gioiosa. Cosa indica il destino cui noi uo-mini siamo chiamati? La vita o la morte? Lo sguardo di Dio su di noi è la risposta a questa nostra de-cisiva domanda. Nei momenti del pericolo, i nostri vecchi invocava-no: “Signore, guardaci”. Nel mo-mento in cui lo sguardo creatore di Dio si pone su di noi, veniamo salvati; nel momento in cui si pone amorevolmente sulle nostre infer-mità, veniamo restituiti alla vita.

Paolo Tritto

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Tina eil teatro PAT

Nato da una idea di Tina Latorre e Marco Bileddo, il TeatroPAT/Puppets and Actors Theater unisce il linguaggio del teatro di figura, che utilizza pupazzi, burattini, marionette, maschere e vari oggetti, all’a-zione di attori dal vivo. Una miscela teatrale che ren-de gli spettacoli del PAT adatti a qualsiasi pubblico, dai più piccoli agli adulti. Attraverso storie originali, rivisitazione di classici della letteratura e fiabe della tradizione italiana, il TeatroPAT porta in scena temi importanti come l’ambiente, il riciclo, il rispetto del prossimo, oltre a invogliare il pubblico dei bambini e

dei ragazzi alla lettura, alla scrittura e alla creativi-tà. Infatti, gli spettacoli si propongono anche come momenti propedeutici alla successiva realizzazione di laboratori volti alla creazione di pupazzi, burattini, maschere, teatrini, alla scrittura dei testi e alla mes-sa in scena di uno spettacolo. Il TeatroPAT opera nella splendida città di Matera, Capitale della Cultura Europea 2019 e Patrimonio Mondiale Unesco, nella magnifica terra di Basilicata.

LETTURE in ricordo di tina:

“Avessi voce che solo col canto scancella ogni strappo, ogni spinta, ogni ordine di distruzione. Avessi io o tu, non importa la parola, una, immensa, di tregua, di bacio, di pane, di fagiolino, di notte di luna, di dormire vicino. Io non ho questa voce e tu? Fate piano. Fate piano-per ogni goccia, per ogni delicato dito, per ogni tavola partita da un porto rudimentale, antico. Fate piano, ch’è delicato tutto nel suo esile canto d’esserci, fate piano per carità, fate piano”

(tratto dal libro di poesie “Chioma” di Mariangela Gualtieri)

Tina Latorre: saggia e coraggiosa, testarda e fedele, amica, consigliera, artista, donna curiosa e potente, donna suono, donna mantra, donna dono delle mani, donna della forma e dell’essenza, donna della pro-fondità del mare, donna canto, donna fiaba, donna sogno, donna viaggiatrice, donna tamburo, donna del qui ed ora, donna che non demorde, donna che morde la vita e la incoraggia, donna che dona la forma e la racconta, donna tanghera, donna luce, donna volo, donna capriola, donna etere, donna eterna vibra-zione, donna uni-verso... TINA

“Quando ti viene una nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia”. Allora Don Rafaniè, le volte che mi viene il pensiero di una mancanza la devo chiamare presenza? “Giusto, così ad ogni mancanza dai il benvenuto, le fai un’acco-glienza”. Così quando sarete volato io non devo sentire la mancanza vostra? “No, quando ti viene di pen-sare a me io sono presente”

(Montedidio di Enri De Luca)

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Il 5 luglio u.s. nella Concattedrale di Irsina la Comunità diocesana e la nostra Città hanno voluto dare

l’ultimo commiato a don Nicola Tommasini con la concelebrazione della S. Messa presieduta dal nostro arcivescovo Mons. Antonio Giusep-pe Caiazzo con la partecipazione di numerosi sacerdoti e fedeli proprio nel giorno del 66° anniversario del-la sua ordinazione presbiterale. Il 5 luglio del 1953 io avevo 10 anni e come chierichetto della Parrocchia di S. Agostino partecipai al rito della ordinazione sacerdotale nella Cat-tedrale di Irsina. Nel nostro paese in quegli anni vi erano bravi sacerdoti, ma quasi tutti anziani. Don Peppino Arpaia, parroco e vicario generale, in un Promemoria sull’ex-Convento di S. Agostino così scriveva: “Il Signore Iddio ha voluto soccorrere la nostra miseria e provvedere alle necessità del suo gregge. Due sacerdoti no-velli sono stati quest’anno ordina-ti ed uno, don Tommasini Nicola, è venuto in mio aiuto nella nostra parrocchia. Io sono per cadere. Egli raccoglierà con gioia la nobile fa-tica”. E don Nicola con la guida di don Peppino e dell’indimenticabile Mons. Aldo Forzoni si mise al lavoro per riorganizzare in modo moderno la vita parrocchiale con un’atten-zione particolare al ministero della parola e della catechesi per tutte le età e per le varie categorie; si impe-gnò nel rinnovamento della liturgia attraverso sussidi che potessero rendere comprensibili a tutti i riti in lingua latina; organizzò la “Confe-renza S. Vincenzo de’ Paoli” perché fossero alleviate le povertà allora più evidenti di oggi. Furono anni di grandi iniziative. Nei miei ricordi ri-vedo la chiesa, il chiostro e l’asso-ciazione sempre pieni di ragazzi e di

giovani che trovavano un punto di riferimento per la loro crescita uma-na e spirituale; rivedo gli uomini che cominciavano a superare il rispet-to umano e a trovare il coraggio di partecipare agli incontri di catechesi per gli adulti e alla Messa domeni-cale; rivedo i volti degli assegnatari delle contrade dell’Ente Riforma (Borgo Taccone, San Giovanni e Notargiacomo) e quelli dei salariati delle masserie del nostro territorio che, la sera, dopo il lavoro si riuni-vano per ascoltare le catechesi di don Nicola e di collaboratori laici in situazioni di emergenza e spesso senza luce elettrica. E cominciaro-no i tempi difficili dell’emigrazione: le forze vive del nostro paese furo-no costrette ad emigrare nel nord Europa e nel nord Italia in cerca di lavoro e di fortuna. Don Nicola av-vertì l’esigenza di farsi presente tra gli emigrati in Germania e a Sas-suolo per aiutarli a trovare nelle missioni cattoliche all’estero e nelle parrocchie di Sassuolo un punto di riferimento per il superamento dei loro problemi e per un inserimento da protagonisti. Tra tutte queste at-tività e iniziative don Nicola seppe ritagliarsi spazi di tempo per lo stu-dio e per la ricerca, per cui su indi-cazione dei Vescovi, soprattutto di Mons. Giuseppe Vairo, fece la scelta di dedicarsi all’evangelizzazione del mondo della cultura e della scuola senza tralasciare la collaborazione in parrocchia. Ha insegnato per tan-ti anni nel nostro Liceo Scientifico Statale, aiutando i giovani a ricerca-re la verità nel confronto tra le varie ideologie; ha svolto attività accade-miche presso l’Università Statale di Bari ed è stato docente presso l’Isti-tuto teologico interreligioso di San-ta Fara a Bari e nel Seminario Mag-

giore di Basilicata a Potenza. Ha insegnato per tanti anni nell’Istitu-to Superiore di Scienze Religiose di Matera di cui era il direttore, spinto dalla convinzione che la Chiesa dei nostri tempi ha bisogno di laici pre-parati anche dal punto di vista teo-logico. In questo contesto don Nico-la comincia a scrivere e pubblicare tanti libri: testi a livello scientifico, testi di filosofia e di antropologia religiosa, pubblicazioni sulla pietà popolare e monografie sui santuari mariani. Su questi temi si è confron-tato nei convegni con studiosi con ideologie diverse ricevendone stima e rispetto. Per don Nicola erano im-portanti le parole di San Giovanni Paolo II: “La cultura è un terreno pri-vilegiato nel quale la fede si incon-tra con l’uomo… una fede che non diventa cultura è una fede non pie-namente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Anche i numerosi viaggi in Terra Santa come guida dei pellegrini per oltre vent’anni erano per don Nicola un pulpito diverso dall’altare e dal-la cattedra per evangelizzare Gesù Cristo, l’unico salvatore del mondo. Negli ultimi anni, ritiratosi a Bari per motivi di salute presso la famiglia della sorella Raffaella e sostenuto spiritualmente dai PP. Carmelitani di Bari non ha rinunziato ad appro-fondire i suoi studi e a proporli a tut-te le persone che lo incontravano. Di don Nicola si può dire ciò che è sta-to affermato di due sacerdoti luca-ni: prete e basta (Beato Domenico Lettini), prete-prete (don Giusep-pe de Luca). E come ha affermato il nostro Arcivescovo a conclusione della sua omelia: “don Nicola sacer-dote contento di essere sacerdote”.

Don Gerardo Forliano

Don Nicola TommasiniUn Prete contento di essere Prete

Papa Francesco@Pontifex_it

Oggi nel Vangelo Gesù ci dice qual è la vera gioia dei suoi discepoli: “Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luca 10,20), cioè nel cuore di Dio Padre.

7 Lug 2019 237 732 5261

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Ricche serate di presa di coscien-za di tanti problemi grandi, anco-ra aperti e complessi sono state

anche le tavole rotonde successive. Nella seconda serata, la voce auto-revole di Romano Prodi e quella a noi più familiare di Salvatore Adduce, in qualità di presidente della fondazione Matera2019, introdotti da Mons. Vin-cenzo Orofino, vescovo di Tursi-Lago-negro, in veste di rappresentante della Conferenza Episcopale di Basilicata, hanno aperto tante visioni su “Il futuro dell’Europa tra America ed Asia”. Si può ancora parlare di futuro dell’Europa? È la domanda che sorge dopo aver ascol-tato Mons. Orofino: se le radici europee sono culturali, prettamente cristiane, cosa oggi è rimasto? “Roma non è sta-ta costruita in un giorno!”, è la visione diversa di Prodi: ci vogliono decenni per costruire l’Europa, figlia della Rivolu-zione francese, minata da un senso di unità non ancora raggiunto da parte di tutti i Paesi che ne fanno parte, anco-ra priva di un’unità fiscale (così vado ad impiantare la mia azienda dove le condizioni sono migliori). Che però non rinnega la presenza della Chiesa, infatti l’art. 49 della Costituzione Europea pre-vede rapporti “strutturati” tra le Chiese e i singoli Stati. Invece, i rapporti tesi sono talvolta tra gli Stati, in particola-re con quelli “manchevoli”, raggruppati un tempo con sarcasmo dai giornalisti con l’acronimo “Pigs” (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), in inglese “maiali”. Che sia il preludio - Tarquinio, direttore di “Avvenire”, ormai a tutti familiare dopo tre anni di seguito a Matera, ha espres-so il suo timore - ad una nuova guerra? Le nuove “caravelle” sono americane e cinesi, ha detto ancora Prodi: Apple, e-bay, Amazon, Alibaba, Alipay… e an-

che la Russia, a tutti gli effetti deside-rosa di frantumare ancor più l’Unione, rappresenta un incombente pericolo. E se dell’Europa probabilmente non possiamo fare a meno, anche perché i Cinesi sono 23 volte più numerosi di noi Italiani, dobbiamo riappropriarci delle nostre radici culturali cristiane - ormai languide, come esprimono le statisti-che riportate nella conferenza - per essere quella via della cultura - è stato l’ulteriore spunto di riflessione di Mons. Orofino - tra la via della seta dell’eco-nomia cinese e la via del potere ameri-cano. Invece, l’Italia è il fiore all’occhiel-lo in ambiti come l’istruzione e la sanità, è emerso nella serata successiva, ulti-ma materana. Benché nel ranking delle università italiane non parrebbe abbia-mo eccellenze, gli studenti che tornano da esperienze di studio in altre universi-tà europee sottolineano come il nostro sistema formativo sia più articolato, ha riportato il rettore della Cattolica prof. Franco Anelli. E in termini sanitari, ben-ché abbondino i titoli della mala-sanità - ha sottolineato Tarquinio - in base alle statistiche sarem-mo al terzo posto nel mondo come qualità dei servizi. Pertan-to, l’Italia si piazza al secondo posto nel mondo (dopo Ger-mania) per sanità dei suoi abitanti e (dopo Giappone) per du-rata della vita, sen-za dimenticare che l’Italia, nel “turismo sanitario” è preferi-ta, ad esempio, alla Germania - ha pun-tualizzato il giova-

nissimo dott. Paolo Rotelli, presidente dell’Università “Vita-Salute. S. Raffae-le” di Milano, per il secondo anno tra gli ospiti di Avvenire a Matera - per il rap-porto “umano” che crea con il paziente. E questi ambiti di eccellenza possono esportarsi: per la sanità, ha ricordato sempre Rotelli, è significativo il caso del dott. Frigiola che per 30 anni ha fatto oltre 350 missioni sanitarie in tutto il mondo per formare nuove professio-nalità. E che dire delle “smart clinics”, le cliniche ‘a domicilio’, e dell’impianto di nuove strutture sanitarie di eccellenza in altre parti del mondo, come l’attiva-zione a Mosca di un nuovo polo del S. Raffaele? Rimane alta l’attenzione sul-la questione etica - ha aperto una fine-stra di riflessione in tal senso l’interven-to di Mons. Ciro Fanelli, arcivescovo di Melfi - in considerazione della presenza di “imprenditori” della salute: ma i pri-vati, hanno sottolineato sia Anelli che Rotelli, lavorano per il pubblico ed è a mezzo del canale pubblico che si affac-ciano tanti pazienti.

Giuseppe Longo

Mons. Caiazzo: “Una serata più ricca dell’altra”

Serate di “Avvenire”: una finestra sul mondoUn’Europa frammentata e un’eccellenza sanitaria e formativa “made in Italy”

Mons. Orofino fa suo l’appello all’Europa di S. Giovanni Paolo II«Io, successore di Pietro, grido con amore a te, antica Europa: Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Rav-viva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo». (Santiago di Compostela, 09/11/1982)

Avvenire è giornale “libero”. Correttezza di informazione, dignità della persona e art. 21Nelle serate, molti ospiti hanno sottolineato l’attenzione che “Avvenire” ha per la correttezza dell’informazione - unico prerequisito per consentire una base veritiera su cui poi ognuno può costruire il suo punto di vista - e per la dignità delle persone di cui parla, senza colori di partito o di pelle o pregiudizi di alcun genere. “Avvenire” è inoltre assertore dell’art. 21 della Costituzione Italiana sulla libertà di manifestazione del pensiero: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad au-torizzazioni o censure».

12 Logos - Le ragioni della verità

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IL CAMMINO DELLE CATTEDRALI

Come nasce la celebre e monumentale Cattedrale di Acerenza? La risposta a questa interessante domanda potrà essere ricercata nello spettacolo di teatro sacro, “Nascita di una Cattedrale”. Narratori, comparse - rappresentanti gli artefici dell’origine della chiesa - e un plastico cercheranno di ricostruire l’ambientazione storica e l’atmosfera religiosa dell’epoca medioevale. Il tutto supportato dai testi di Antonio Gigante e Gaetano

LA GENESIDELLACATTEDRALEDI ACERENZAIN UNO SPETTACOLO

Corbo e le musiche del maestro Teodosio Bevilacqua. La Cattedrale, di Santa Maria Assunta e San Canio vescovo, viene edificata tra l’XI ed il XIII secolo. I lavori di costruzione, su dei resti di una chiesa paleocristiana, iniziano con la venuta dei Normanni in Italia meridionale. Nello specifico, Roberto il Guiscardo e il vescovo Arnaldo risultano essere gli autori e i fautori della Cattedrale che, grazie alla manodopera francese,

alla scoperta delle tracce di religiosità nel territorio della Basilicata

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TRA RADICI E FUTURO Il contributo della Arcidiocesi di Matera-Irsina al percorso di Matera 2019

C1

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TERRE DI LUCE RADICI E PERCORSI

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L’Africa è un continente intrigante da conoscere per l’arte e le diverse tradizioni. Eppure questi aspetti continuano ad essere trascurati per una rilevante emergenza: nel XXI secolo gli Stati africani si collocano in una posizione di esclusione e di emarginazione, sfavoriti da un contesto geoeconomico mondiale improntato sulla dipendenza. Aree ricche di materie prime agricole, minerarie e di fonti energetiche non riescono a slegarsi dai mercati dei Paesi consumatori del Nord del mondo.Nonostante questo disequilibrio, l’Africa non rinuncia alle sue produzioni artistiche di notevole valore. Le mostre esposte nel Museo Diocesano di Melfi – “Arte dell’Africa Nera”, “Sabbie”, “Volti e sguardi: i Guji del Sud Etiopia” – dimostrano quanto questo continente esprima considerevole ricchezza in termini di cultura e umanità.La mostra “Arte dell’Africa Nera” – costituita da 30 oggetti e 14 pannelli fotografici con testo esplicativo – è nata dall’esigenza di esporre oggetti d’uso quotidiano, che divengono sede di un complesso e ricco sistema di simboli e valenze. Statue, maschere, gioielli, ma anche ciotole, bicchieri, cucchiai e le cose della vita d’ogni giorno, si caricano attraverso il colore, la forma o l’intaglio di significati educativi, religiosi, magiche, e ludici. Di rado un oggetto africano viene creato solo per essere guardato: la sua bellezza è proporzionale al ruolo che svolge nella vita dell’uomo. L’esposizione racconta la ricchezza artistica dell’Africa descritta nelle principali aree del continente con le radici più antiche dell’arte africana.Invece la mostra “Sabbie” – attraverso 30 foto in carta fotografica applicata su forex – illustra il deserto, tempo e spazio utile per ritrovare la dimensione più profonda di se stessi, del silenzio, e riflettere sulla vita. Dunque, le foto rappresentano un pretesto per viaggiare, ed esplorare, non tanto il mondo, ma noi stessi in relazione all’infinito. Ultima tappa, “Volti e sguardi: i Guji del Sud Etiopia” in 47 foto e 8 pannelli illustrativi. La mostra mette a fuoco la vita del popolo Guji, uno dei maggiori gruppi etnici del sud Etiopia. “Sguardi, espressioni del volto e gesti fissati dalle foto mi aiutano a dare spessore e profondità alle relazioni di amicizia e alla condivisione di vita che già caratterizzano il nostro incontro quotidiano”. Queste sono le parole dell’autore della mostra, il missionario comboniano Pedro Pablo Hernandez Leobardo, che ben esprimono le relazioni umane del popolo Guji.

C5 IL CAMMINO DELLE GENERAZIONI

SCOPRIRE IL CONTINENTE AFRICANOATTRAVERSO L’ARTE

»

vedrà la luce attorno al 1080. “Il vescovo Arnaldo – come illustra il referente de I Cammini per la diocesi di Acerenza, Don Gaetano Corbo – proviene dal monastero di Cluny e ha dato l’impronta decisiva al disegno della Cattedrale, di stile prettamente romanico ma di ispirazione cluniacense. Lui portò ad Acerenza le più innovative indicazioni architettoniche d’oltralpe”.Il punto centrale storico-culturale, per la Cattedrale, si ravvisa nel rinnovamento trasmesso dai monaci francesi di Cluny: “Dal monastero di Cluny – osserva il sacerdote – parte l’esigenza di rinnovamento della chiesa incentrato sulla spiritualità, oltre che a livello artistico. Le maestranze francesi costruiscono un deambulatorio, un corridoio caratteristico posto intorno al coro e all’abside, utile ai fedeli per venerare le reliquie dei santi, San Mariano e San Canio”. Infatti a Cluny rivestiva grande importanza la liturgia che rispecchiava, attraverso la meditazione dei monaci, la nuova ondata di pietà più personale e soggettiva dell’XI secolo.Il messaggio che emerge da questo spettacolo è di matrice spirituale: “Questa iniziativa promuove l’autenticità della fede: il rinnovamento interiore delle persone e delle comunità – conclude Don Gaetano Corbo –è un tema ricorrente nella Chiesa, la stessa che deve trovare antidoti a diversi mali di cui soffre”.

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ARCIDIOCESI DI Matera-Irsina

SUPPLEMENTO A “LOGOS LE RAGIONI DELLA VERITÀ”, N. 13/14 DEL 31/07/2019

L’ITINERARIO SPIRITUALE DELLA “NOTTE SACRA”A PALAZZO SAN GERVASIO

Dal tramonto fino alle prime luci del mattino. Questo è l’arco temporale nel quale si alterneranno letture, preghiere,canti e declamazioni, innestati in un itinerario spirituale che avrà luogo in diverse chiese di Palazzo San Gervasio. Il percorso guidato della “Notte Sacra” prenderà il via dalla chiesa di San Nicola e proseguirà verso le comunità di San Sebastiano, SS. Crocifisso e San Rocco.L’evento richiama le frequenti ‘notti bianche’ ma racchiude una natura ben diversa dal mero divertimento. “L’itinerario spirituale – afferma il referente de I Cammini per la diocesi di Acerenza, Don Gaetano Corbo – è un invito rivolto ai cittadini di Palazzo San Gervasio a percorrere un cammino spirituale interiore. La proposta di spiritualità e preghiera consiste in un momento di riflessione e meditazione con Dio, importante e necessario anche per le giovani generazioni”.Le chiese coinvolte dall’iniziativa assumono gran valore storico ed artistico, oltre che spirituale. La chiesa madre di “San Nicola” del XIX secolo, in stile romanico pugliese, è stata edificata in tufo, a tre navate con la facciata a frontone due spioventi laterali. All’interno si ritrovano statue lignee del XVI secolo e di cartapesta dei maestri cartapestai di Lecce. La chiesa è stata ricostruita dopo il crollo, avvenuto il 18 ottobre 1921. Invece la chiesa di “San Sebastiano”, risalente al XVII secolo, ingloba in sé la peculiarità di essere a ridosso delle abitazioni, lungo il corso principale. La facciata ha una forma rettangolare con il portale in pietra in stile tardo-rinascimentale. All’interno risalta un imponente e prestigioso organo a mantice. Anche la chiesadel “Santissimo Crocifisso” del 1500, a tre navate in stile romanico, è stata costruita a ridosso delle abitazioni. La struttura presenta una facciata semplice, sempre di stile romanico, con la specificità di un portale centrale in pietra lavorata. L’altra tappa del percorso comprende la chiesa di “San Rocco”, nata nel 1753, eretta su commissione della famiglia Lacci e poi di proprietà della famiglia d’Errico. La caratteristica principale riguarda l’altare in marmo policromo ad intarsio su cui è collocata la statua di San Rocco, a opera dello scultore potentino Michele Busciolano. Successivamente la chiesa è stata tramutata in cappella di famigliain cui si rintracciano i monumenti funebri della famiglia d’Errico. C6 IL CAMMINO

DELLE SACRE NOTTI

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La comunitàdeve aprirsi all’altro

Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai…è questo il ritornello di:

“La Canzone di Maria Chiara” (C. Chieffo). Dov’è che non si può en-trare se non si guarda il mondo, il prossimo con gli occhi di un bam-bino? Nel regno del Padre dove ci accoglierà alla tavola imbandita per godere dei frutti che abbiamo saputo far germogliare sul nostro cammino. Non è difficile raggiun-gere questo stadio di vita spiri-tuale: bisogna semplicemente abbandonarsi nelle Sue braccia, senza cedere alla disperazione perché sorretti sempre dalla Sua presenza. Risulta difficile ricono-scere una presenza invisibile ma è proprio questo il nodo da scio-gliere, la verità da accettare. Per affermare la Sua presenza si deve agire nel nome della verità che implica libertà di scelta, di azione e di parola. Ogni comunità che si muove in ambito ecclesiale ha la fortuna di conoscere molto bene il valore della verità essendo aiu-tata da un pastore che tramite il Vangelo comunica e spiega le ri-chieste della parola del Signore. La comunità, in generale, è una

struttura organizzativa i cui com-ponenti hanno ideali condivisi, tali da creare una identità e in cui ogni individuo sostenuto dagli altri compie un percorso comune e svi-luppa le sue potenzialità a bene-ficio della collettività. I fedeli che frequentano abitualmente una chiesa, che professano la mede-sima fede, che fanno parte della medesima confessione religiosa costituiscono una comunità par-rocchiale. I gruppi di cristiani si ri-uniscono nelle parrocchie senza avere un’organizzazione gerarchi-ca, nel pluralismo di libere scelte politiche, per vivere, in modi molto vari, una fede ispirata direttamen-te al messaggio di Cristo traman-dato dai Vangeli. Può accadere che una qualsiasi comunità si ammali, in essa comincia ad inse-diarsi il male, “morbus” dicevano i latini; allora bisogna correre ai ripari per trovare il farmaco mi-gliore e guarire la ferita. “Mi piac-ciono le persone ferite, quelle che hanno paura. Mi piacciono perché pensano di non essere speciali in-vece non sanno che sono le per-sone migliori” (V. Rossi). Come non dare torto a Vasco: proprio

attraverso le ferite entra la luce che salva dal buio. Per afferma-re questa verità è necessario ab-bandonare una mentalità intrisa di pregiudizi e moralismi ovvero il morbus che può anche distrugge-re. Il giudizio è necessario perché è frutto di discernimento e conduce ad una scelta; il pregiudizio indica invece qualcosa che sta prima del giudizio indipendente da quella che è la realtà. È qualcosa di pre-esistente che deriva da sensazio-ni o da voci riportate che potreb-bero essere ingannevoli. Perché una comunità diventi sempre più ricca ha bisogno di vedere nell’al-tro il bene e di aprirsi ad esso per accoglierlo. Se solo pensassimo che il Padre possa avere pregiudizi nei confronti degli uomini sicura-mente non userebbe misericor-dia per nessuno e di conseguenza saremmo tutti disperati e persi nelle sabbie mobili del male. Per il cristiano è una necessità quella di abbandonare la mentalità pre-giudiziale per lasciare il posto alla positività e farsi impregnare, inon-dare i pensieri e il cuore da questa prospettiva di veduta.

Marta Natale

CASA DI ORTEGAIl Comune di Matera ha riaperto, dopo gli interventi di riqualificazione, il percorso pedonale che da piazza Duomo conduce nei rioni Sassi alla “Casa di Ortega”, il museo che ospita opere realizzate dall’artista spagnolo Josè Ortega, che visse e operò negli antichi rioni di tufo durante la dittatura franchista. La riapertura ha messo fine al disagio che aveva costretto i visitatori a compiere un percorso più lungo per raggiungere il museo. I lavori di restauro hanno avuto una durata di 70 giorni e un costo di circa 90 mila euro.

18 Logos - Le ragioni della verità

13/14 - 31 LUG 2019

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Gli eventi della storia ci aiu-tano a capire il presente. “Chi ignora il proprio pas-

sato – soleva dire il giornalista Indro Montanelli - non può com-prendere il proprio presente”. Cin-quant’anni fa, il 21 luglio 1969, ci fu un avvenimento di portata storica: la conquista della Luna. La diret-ta mondiale in tv, negli anni della guerra fredda, fu un evento me-diatico nell’evento in sé. I negozi di elettrodomestici, con le vetrine zeppe di schermi accesi in bianco e nero, furono presi d’assalto e i consumi elettrici, quella notte, fe-cero segnare valori record, mentre il numero dei furti fu quasi azzera-to. Con il primo uomo sulla Luna si avverava il sogno di intere gene-razioni di poeti, artisti e scienziati, di mettere piede su quella palla di luce che da sempre fa sognare la gente. Nella notte fra domenica

20 e lunedì 21 luglio 1969 l’astro-nauta americano Neil Amstrong posa il piede sul suolo lunare e pronuncia la storica frase: «È un piccolo passo per l’uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità». Con Amstrong, capo della mis-sione “Apollo 11”, c’erano anche Michael Collins, pilota del veicolo di comando ed Edwin Aldrin, pi-lota del modulo lunare e secondo uomo a scendere sulla Luna. I tre astronauti erano partiti il 16 luglio 1969 a bordo del razzo Sa-turno V, lanciato alle 09:32 (ora locale) dal Kennedy Space Center ed entrato nell’orbita terrestre 12 minuti dopo. La navicella spaziale Apollo si trovava all’estremità del razzo. Il viaggio durò 4 giorni: il 20 luglio 1969 il modulo lunare della navicella, “Eagle”, iniziò la discesa verso la superficie lunare, comple-tando l’allunaggio alle ore 20:17 (22:17 ora italiana). Sei ore più tar-

di, il 21 luglio alle ore 02:56 (04:56 ora italiana) compì la discesa sulla superficie del satellite, e fu seguito poco dopo da Aldrin. I tre astronauti rientrarono il 24 luglio poco prima dell’alba, ammarando nell’Oceano Pacifico a 2.660 km ad est dell’Isola di Wake. Da quel lontano luglio 1969, ci sono stati tanti “ripensamenti” storici, a partire proprio dalla di-retta tv che trasmetteva i primi passi sulla Luna di due traballan-ti astronauti, video che secondo i soliti beninformati sarebbe stato prodotto tempo prima dalla Nasa, l’agenzia spaziale americana, e sarebbe stato mandato poi in onda per l’occasione. Comunque sia andata, la Luna ora ci sembra più vicina, ma non ha smesso di affascinare tutte le sere e di in-cantare con il suo candore ogni abitante di questo pianeta.

G.C.

Anniversari 2019

Lo sbarco sulla LunaTra mito e realtà

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L’Associazione di Volontaria-to “Una strada per la vita - Andrea Cucari”, ha pre-

sentato il progetto “METTIAMOCI IN VIAGGIO VERSO LA NOSTRA VITA” rivolto ai bambini della scuola dell’Infanzia che si è realiz-zato nell’arco di tutto l’anno sco-lastico grazie all’impegno ed alla professionalità delle insegnanti Margherita Marzario e Paola Mar-tino. Attraverso forme didattiche di intervento basate soprattutto sul loro coinvolgimento esperien-ziale, hanno indotto nei piccoli alunni la conoscenza del rispetto delle regole fondamentali della civile convivenza e della sicurezza stradale.Nell’ambito dello stesso, grazie alla stretta collaborazione con le Forze dell’Ordine, i bambini hanno partecipato ad incontri con espo-nenti della Polizia Locale e della Polizia Stradale, della quale han-no avuto modo visitare anche la sede operativa, per comprende-re non solo le funzioni che gior-nalmente gli stessi svolgono, ma anche l’importanza fondamenta-le del loro lavoro per la sicurezza della nostra città legata alla circo-lazione stradale, in particolare.I piccoli hanno, infatti, instaurato con loro rapporti di cordiale ami-cizia vedendoli non come nemici

pronti a multare, ma amici, che salvano le persone dai pericoli di una guida spericolata e impru-dente.A conclusione del loro percorso, le insegnanti hanno elaborato una sceneggiatura cucita sulle capa-cità e sulla spontaneità dei bam-bini, mettendo in scena uno spet-tacolo davvero esilarante ma ricco di contenuti, espresso con la gio-iosità tipica della loro età.Vedere dei bambini muoversi con padronanza dello spazio scenico del salone, impegnati ad esprime-re con serietà concetti e messaggi importanti, seppur in maniera lu-dica, a tratti comica, ha costituito per gli spettatori presenti un mo-mento di divertimento, ma anche di riflessione e di crescita.I piccoli attori si sono cimenta-ti nella rappresentazione di vigili, segnali parlanti e pedoni che inte-ragivano per raccontare significa-ti e funzioni finalizzati al corretto comportamento da tenere sulla strada.I genitori hanno espresso apprez-zamento per il lavoro svolto dalle insegnanti, dalle Forze dell’Ordine e dagli esponenti dell’Associazio-ne promotrice del progetto che hanno fatto vivere ai loro bambini esperienze significative e coinvol-genti.

L’auspicio è che, attraverso i bam-bini, siano stati veicolati messag-gi agli adulti capaci di tradursi in comportamenti corretti e consa-pevoli da tenere sulla strada, al fine di evitare spiacevoli conse-guenze.A conclusione dello spettacolo, alla presenza del Dirigente Sco-lastico Dott.ssa Abbatino, degli agenti della Polizia Locale e del Presidente dell’Associazione “Una strada per la vita – Andrea Cucari” Dott. Giovanni Cucari, ai bambini sono stati consegnati un attestato di partecipazione, come riconosci-mento del percorso formativo di educazione stradale, e il diploma di frequenza della scuola dell’in-fanzia.Il Presidente dell’Associazione ha espresso soddisfazione per il la-voro svolto e i risultati consegui-ti, augurandosi che, partendo dai giovani, la cultura della sicurezza stradale rientri nella sfera più am-pia della cultura per la vita e che la strada non venga più considerato un luogo di passaggio in cui misu-rare la propria forza e aggressività non rispettando le norme del Co-dice della Strada, ma un luogo di incontro e di relazioni positive in cui esprimere la propria socialità e senso civico.

Giusy Cucari

“Mettiamoci in viaggio verso la nostra vita”Manifestazione finale del progetto di educazione stradale

MATERA

Cantiere apertoSono tanti i cantieri che in questo 2019 si sono aperti per migliorare la città. I turisti venendo a Matera non trova-no una città per-fetta, nessuna città

lo sarà mai, ma una città che migliora, che guarda al futuro, che vuole consegnarsi al 2020 come città più vivibile. Sta per essere consegnata alla città la Villa comunale, il parcheggio di Via Lanera, si sta provvedendo al rifacimento del manto stradale del-le vie del centro e di alcune arterie principali perife-riche, si sta adeguando Via A. Volta, sono cominciati

i lavori dell’Auditorium “Gervasio”… non solo look. E intanto le iniziative e gli eventi culturali del 2019 di-ventano sempre più incalzanti e qualificati per qua-lità e per coinvolgimento. Le attività commerciali si sono notevolmente moltiplicate. La città sembra una pentola in ebollizione, siamo certi che ne ver-rà fuori una bella e gustosa pietanza, nonostante qualche lamentela da parte dei cittadini. “Il mondo appartiene a chi saprà dargli una speranza più gran-de” diceva il teologo Teillard de Chardin; così Matera appartiene e apparterrà a chi ha saputo e sa guar-dare al futuro. Matera 2019 è una scommessa vinta, sta ai cittadini, alla politica, alle istituzioni custodire tanta ricchezza di idee e di valori.

O.I.

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Non è detto che le nuove povertà debbano essere una triste prerogativa delle

grandi città. Il fenomeno si pre-senta con la stessa virulenza an-che nei piccoli centri, spesso an-che con le stesse caratteristiche delle grandi città, che sono quelle legate a situazioni di emarginazio-ne, di solitudine, di droga, di gioco patologico. È il caso di Salandra, piccolo Comune in provincia di Matera, in cui da tempo il feno-meno viene affrontato dall’Asso-ciazione Ipazia. “Poco tempo fa – spiega la re-sponsabile Teresa Russo – abbia-mo intravisto la punta dell’iceberg, con la morte di un uomo di 56 anni, trovato nella propria abitazione a tre giorni dal decesso. Una per-sona con evidenti problemi, che tutti conoscevano e che invano e probabilmente anche nelle forme sbagliate aveva provato a chiedere aiuto all’amministrazione comu-nale, ricavandone solo una denun-cia. La realtà è che tanti (a Salan-dra sono almeno una ventina i casi conclamati) continuano a vivere (o a sopravvivere) ai margini della vita cittadina: anche la chiesa non va al di là della cosiddetta cari-tà cristiana. Questo anche perché

parliamo di una situazione sociale complessa, in cui spesso vengono a mancare anche quelle protezioni naturali che possono essere rap-presentate da genitori e parenti”.Ipazia, oltre ad aver aderito al progetto nazionale “Anziano fra-gile”, ha comunque individuato alcune possibili linee d’interven-to, certamente non risolutive, ma che potrebbero rappresentare lo stimolo ad intraprendere un per-corso alternativo nell’affrontare la problematica complessiva. “Pen-siamo ad esempio – spiega Teresa Russo – all’utilizzo del REI, al co-siddetto baratto amministrativo a seconda della fascia ISEE per le situazioni debitorie più compro-mettenti, ad un regolamento per

la gestione dei beni comuni, con stimoli e coinvolgimenti maggior-mente costruttivi per tutti. Penso ad iniziative come il taxi sociale per gli anziani che devono recarsi ne-gli ospedali di Potenza o di Matera, così come istituito dal Comune di Accettura”.Un programma certamente non facile da realizzare, ma che forse, con un po’ di buona volontà da parte di tutti – a cominciare dalla pubblica amministrazione – po-trebbe riaccendere la speranza di molti, che tale speranza conti-nuano a riversarla illusoriamen-te nelle promesse dispensate in campagna elettorale o in qualche “gratta e vinci”.

Pippo De Vitis

Nuove povertà: come arginarle?Le proposte dell’Associazione “Ipazia” di Salandra

Qualche giorno fa, il giornale Repubblica titolava “I cattolici a un bivio: il Papa o Salvini”. Un titolo provo-catorio non lontano da una realtà sociale che condur-rebbe, sullo stile dei sostenitori del “Capitano”, ad una distinzione noi-loro. Il cristianesimo non è l’invocazione di Maria durante i comizi - che non avveniva neanche ai (compianti) tempi della DC -, né tanto meno l’operazio-ne di odio nei confronti dei migranti, la quale si estende al Papa come massimo rappresentante di una linea di accoglienza e, più largamente, di rispetto. Non occorre fare riferimenti evangelici per giustificare, se ve ne dovesse essere ancora il bisogno, la posizione di umanità verso il problema sociale dell’immigrazione e dei rifugiati; non ve ne è il bisogno perché è necessario quanto più possibile mantenere una lettura laica della questione, per non concedere ulteriori pretesti. Ma la pena più grande viene proprio da quei cristia-ni-cattolici “fantoccio”, espressione di un surrogato di “fede alla carta”, che sprigionano la propria frustrazione su quei (è il caso di dirlo) “poveri cristi”. Il cristianesimo

non è questo. Questi dimenticano non solo la pietas cri-stiana, ma rinunciano al compito del cristiano di essere informato, di non seminare odio, di conservare le virtù. Se anche non vi fosse un passo evangelico - e ce ne sono- che inviti all’accoglienza, alla cura dell’uomo in difficoltà, queste necessità risponderebbero comunque ad un criterio di umanità che è proprio naturale dell’uo-mo. Non potete rivendicare più diritti di altri solo perché vantate l’appartenenza ad una cultura/nazione civilizza-ta, i diritti appartengono all’uomo in quanto tale come prerogativa della sua dignità, non siete voi a stabilire chi deve vivere e chi deve morire. Parlare in questi termini significa non comprendere la situazione emergenziale e di pericolo della vita che ogni migrante porta con sé; la lotta agli scafisti si fa contro gli scafisti, non sulla pelle dei migranti mentre sono in alto mare.Non siete tornati al Medioevo perché il Medioevo non è un’età oscura del pensiero, ma sicuramente, per dirla alla Kant, siete tornati allo “stato di minorità”. E minori restate.

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Giorgio Simone

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L’Amministrazione comuna-le di Matera nel corso di un consiglio comunale aperto

presso il Cinema “Gerardo Guer-rieri’ ha concesso all’Arma dei Ca-rabinieri la cittadinanza onoraria per “l’alto senso del dovere e della fedeltà dimostrati a favore delle Stato e delle sue istituzioni e per la costante presenza a fianco de-gli enti locali, per il contributo e gli interventi di prevenzione, repres-sione e controllo del territorio per la difesa e sicurezza dei cittadini e dell’intera comunità di Matera”. La concessione della onorificen-za è stata consegnata al gene-rale di Corpo d’Armata Vittorio Tomasone, comandante Interre-gionale Carabinieri “Ogaden”, con competenza sulle regioni Cam-pania, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Molise, alla presenza anche del generale di brigata Rosario Castello, comandante della Le-gione Carabinieri “Basilicata”, del comandante provinciale dell’Ar-ma, tenente colonnello Samuele Sighinolfi, di una rappresentan-za dei militari del Comando pro-

vinciale, dei Reparti Speciali, dei delegati della Rappresentanza Militare e dei commilitoni dell’As-sociazione Nazionale Carabinieri, del presidente della Regione Vito Bardi e del presidente della Pro-vincia Piero Marrese.“E’ una ono-rificenza – ha detto Tomasone – che premia una realtà impor-tante che opera per la sicurezza del nostro Paese; riceverla qui, oggi, assume un grande signifi-cato, per il momento particola-re che questa città sta vivendo. Sono venuto a Matera tre volte e apprezzo la crescita che questo incantevole vuoto ha avuto, per-ché ha operato all’insegna della ragione e della passione e quan-do c’è passione si superano tutte le difficoltà”. A presiedere la ce-rimonia è stato Angelo Tortorelli che ha evidenziato come l’Arma è un simbolo dello Stato e rappre-senta una garanzia per ogni cit-tadino; il presidente del Consiglio comunale ha anche annunciato che è stato approvato un regola-mento che prevede la cittadinan-za onoraria anche a tutte le altre

Forze dell’Ordine. “Il conferimen-to della cittadinanza onoraria all’Arma dei Carabinieri – ha det-to il sindaco Raffaello De Ruggie-ri - si giustifica con la volontà, da parte del consiglio comunale, di riconoscere alle Forze dell’Ordine il valore straordinario dell’impe-gno profuso per la riuscita delle iniziative legate all’anno di Mate-ra Capitale. In questa fase stia-mo parlando all’Europa e oggi qui trasferiamo i valori dell’Arma, che rappresenta per i cittadini una garanzia, che sentono così la presenza dello Stato. Questa ini-ziativa rafforza l’autorevolezza di una città che è medaglia d’oro al valor civile e medaglia d’argento al valor militare per i fatti del XXI settembre 1943”. A conclusione della cerimonia la Banda dell’Ar-ma, diretta dal maestro colonello Massimo Martinelli, sulla scalina-ta della Chiesa di San Francesco d’Assisi, con oltre 8o orchestrali, ha offerto alla città un ricco re-pertorio musicale.

Mariangela Lisanti

Conferita lacittadinanza onorariaall’arma dei Carabinieri

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a cura di Rosanna Bianco

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RIOStigliano: “oro verde” della Basilicata

Stigliano è uno dei borghi nei quali la straordinaria bellezza naturale del pa-

esaggio si fonde con una ricca tradizione culturale agricola; la sua suggestiva collocazione (è il comune più alto della provin-cia di Matera, 909 metri s. l. m., distante dal capoluogo di regio-ne 72 chilometri e da Matera 79 chilometri) e la sua antica sto-ria, rendono Stigliano una meta accogliente in ogni momento dell’anno, in particolare in que-sta stagione calda, periodo dell’anno in cui si preferisce tra-scorrere giornate in un luogo fre-sco e lontano dalla calura delle grandi città.Le antiche origini di questo bor-go sono testimoniate dalla pre-senza di diversi monumenti storici che sono tuttora fruibili e che hanno fatto della sua cultu-ra, delle sue tradizioni un vero e proprio punto di forza.Tra le tante importanti pagine di storia paesana, alcune ricordano gli avvenimenti del 1861, anno in cui Stigliano fu occupata dai bri-ganti guidati da Carmine Crocco e divenne teatro di un famoso scontro, noto come la “Battaglia di Acinello”, tra i briganti e il Re-gio Esercito.Stigliano è stato anche luogo di confino negli anni del fascismo, scelto in virtù della sua altitudine e della salubrità del luogo, uno dei pochi nella regione in cui non vi era pericolo di con-trarre la malaria.Molti sono i palazzi gentili-zi (come Palazzo Formica, Palazzo Colonna e Palazzo Vitale), che caratterizzano il centro storico, così come le chiese; una di queste, a cui la comunità stigliane-se è particolarmente lega-ta, è la Chiesa dedicata a Sant’Antonio da Padova, il Santo Patrono del pae-se. La facciata della chiesa

è caratterizzata da bugne dia-mantate ed un campanile dalle forme arabeggianti; l’interno, a tre navate, conserva un antico e pregiato Crocifisso ligneo del XVII secolo attribuito a Padre Umile da Petralia; inoltre, all’in-terno della chiesa di Sant’Anto-nio, sono custoditi due preziosi quadri, sempre del XVII secolo, attribuiti al pittore Antonio Sta-bile ed ancora un dipinto del XVIII secolo raffigurante l’Imma-colata, attribuito a Domenico Guarino.La Chiesa Madre, dedicata a Santa Maria Assunta, è tra i più importanti edifici di culto del paese: l’interno è a tre navate con un pregevole soffitto ligneo riccamente decorato ed un po-littico del XVI secolo attribuito al pittore Simone da Firenze. Quest’ultima opera è costituita da quattordici immagini sacre separate da una statua della Vergine, denominata la “Madon-na del Polittico”. Di particolare interesse è la Crip-ta nella parte sottostante la chiesa, un tempo luogo di sepol-tura, all’interno della quale re-centemente sono stati rinvenuti degli affreschi.

Un altro luogo, sempre ubicato nel centro storico, “narrante” la storia di Stigliano è il Museo della Civiltà Contadina, l’“Angolo della Memoria”, all’interno del quale si può scoprire molto del passato stiglianese attraverso la visione dei numerosi arnesi domestici e da lavoro, di un frantoio in pietra e di una tipica casa contadina di recente ristrutturazione.Tanti sono gli eventi che carat-terizzano l’estate stiglianese, in particolare lo spettacolo “la Leg-genda del drago”, una suggesti-va rappresentazione rievocativa di un antico racconto locale se-condo il quale un feroce drago, che seminava panico e paura tra gli abitanti del posto, fu ucciso da un coraggioso signore di Sti-gliano.Stigliano è nota per essere la Ca-pitale del Pistacchio, “Oro verde di Stigliano”; a partire dagli anni ‘90, sui terreni un tempo coltiva-ti a cereali, si coltivano pistacchi, un prodotto che sta rilanciando notevolmente l’economia del paese.Stigliano è anche sede della Co-munità Montana della Collina Materana.

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Relatori straordinari quali Rita De Micheli, responsabile generale della Famiglia Spirituale di Padre

Mauri e don Charles Hakizimana, Assi-stente nazionale del Movimento Vedo-vile “Speranza e Vita” hanno animato la giornata di riflessione e di studio.L’incontro è stato inaugurato dal saluto di Mons. Don Pino Caiazzo, Arcivesco-vo di Matera-Irsina, che ha parlato di tre diverse tombe: la prima è una tom-ba che è stata scoperta recentemen-te nell’area della Cattedrale di Mate-ra, risalente al IV secolo avanti Cristo. All’interno di questa tomba sono stati ritrovati alcuni vasi, in ottime condi-zioni, e poche ossa. La seconda tom-ba citata è quella di Lazzaro, situata in Betania. Il nostro Arcivescovo la visita spesso quando va in pellegrinaggio in Terra Santa, e ogni volta invita i fedeli a entrare nella tomba, per poi richiamarli con le stesse parole utilizzate da Gesù: “Lazzaro, vieni fuori”. Uscendo dalla tomba, i fedeli devono lasciare lì tut-ti i loro dispiaceri ed il loro malessere, come una sorta di resurrezione dalla sofferenza. La terza tomba è stata pro-prio la tomba di Gesù: a differenza del-le altre due, che sono state svuotate del loro contenuto, questa tomba era già vuota, perché Gesù ha vinto la mor-te ed è risorto. Il Vescovo ci ha parlato di queste tre tombe perché noi vedove, dopo la morte di nostro marito, speri-mentiamo lo stesso dolore e lo stes-so senso di impotenza sperimentato da Gesù in seguito alla morte del suo amico Lazzaro, o da Maria per la morte di suo Figlio. Eppure, noi vedove abbia-mo una speranza che ci rincuora e che ci dà la forza: la consapevolezza che nostro Signore ha vinto la morte. Il cor-po muore, ma l’anima vive immortale nell’attesa della resurrezione in Cristo.Nel suo intervento Rita De Micheli ci ha spiegato come pos-siamo vivere l’amo-re nuziale di Cristo e della Chiesa in ogni stato di vita, soprat-tutto nella vedovan-za. Per Rita, noi non siamo delle “vedove”, ma il nostro nuovo nome è “spose per sempre”. Noi sorelle del Movimento Spe-ranza e Vita siamo

parte di una grande famiglia spirituale: la Famiglia di Padre Mauri. Questo non è un gruppo consolatorio, ma un’occa-sione per riscoprire la nostra chiamata spirituale come missionarie della Chie-sa e della famiglia. Siamo state chia-mate da Gesù perché ha in mente per noi un progetto ben preciso, pensato appositamente per noi. Ci ha scelte tra tanta gente proprio perché ci ama. Alla base di ogni vocazione, che sia vedovi-le, matrimoniale, coniugale, verginale o sacerdotale, c’è sempre l’amore di Gesù: la nostra missione è quella di far conoscere l’amore nuziale di Gesù a tutto il mondo, annunciando la bellez-za dell’amore di Dio e i prodigi che ha fatto in noi. Per vivere a pieno la spon-salità spirituale è necessario compiere tre passi fondamentali. Il primo è in-contrare Gesù: si tratta di un incontro personale e quotidiano con Dio, che ci porta ad assomigliare a Lui sempre di più, così come gli sposi, col tempo, si somigliano sempre di più tra loro. L’atto sponsale per eccellenza è l’adorazio-ne: come diceva Padre Mauri, il fonda-tore del nostro Movimento, la vedova è colei che, davanti a Gesù eucarestia, si trasforma e assume la fisionomia e la bellezza di chi adora. Il secondo passo da compiere è la condivisione: noi non rimaniamo chiuse nel nostro gruppo, ma condividiamo tutto ciò che ab-biamo. L’esempio più significativo è la condivisione della sofferenza, nel deli-cato momento in cui rimaniamo prive del nostro sposo: noi consorelle mo-striamo la nostra vicinanza e la nostra compassione soprattutto alle vedove più “giovani”, che hanno perso da poco il loro sposo. Noi vedove abbiamo at-traversato tutti gli stati di vita, per que-sto siamo maestre di fede per gli sposi, per le altre vedove e persino per i vergi-

ni. Dobbiamo essere una presenza pa-ziente, attenta ma mai giudicante, che orienta gli altri verso il Vangelo, senza mai condannare chi non riesce a vivere a pieno la bellezza dell’amore di Dio. Il terzo passo da compiere è l’accoglien-za: la figura simbolo di accoglienza è proprio la madre. Noi vedove, infatti, siamo una figura materna fondamen-tale per la Chiesa. Generiamo figli a Dio, non solo i nostri stessi figli, perché promuoviamo l’amore di Dio sempre e comunque, anche nella sofferenza. Una volta compiuti questi tre passi, siamo finalmente pronte a rinascere come spose in Cristo.Don Charles ha approfondito l’aspetto della vedovanza cristiana. Noi vedo-ve abbiamo una funzione ben precisa nella Chiesa: dobbiamo annunciare al mondo la morte e la resurrezione. Per compiere questa funzione, dobbiamo vivere la spiritualità vedovile attraverso tre elementi: il primo è il legame con Cristo mediante la vita sacramenta-le. Il sacramento più importante per le vedove è il matrimonio: agli occhi del mondo, la morte del nostro spo-so rappresenta per noi un legame che si spezza. In realtà, questo legame si rinnova e rinasce con il nostro nuovo sposo: Cristo. Ed è questo il secondo elemento da tenere a mente: noi ve-dove non siamo più legate alla morte di nostro marito, ma alla vita risorta del nostro sposo spirituale. Per entrare nella spiritualità vedovile, rivalutiamo il nostro matrimonio, arrivando al terzo elemento: abbracciamo un cammino di speranza e vita, come suggerito dal nome del nostro Movimento. La spe-ranza della resurrezione ci dona una nuova vita in Cristo. Quando riusciamo a comprendere tutti questi tre elemen-ti, la vedovanza diventa un simbolo di

amore e di vita: la vita nuova che Gesù ha inaugurato con la vit-toria sulla morte.Don Donato Di Cuia, l’Assistente del Movi-mento di Matera, ha concluso l’incontro rinnovando l’invito ad abbracciare que-sta nuova e autentica vita di testimonianza spirituale: una vita piena di speranza.

Anna Polidoro

Il Movimento Vedovile “Speranza e Vita” a Convegno30 maggio 2019 - Casa di Spiritualità “S. Anna”

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Con la Zes Jonica una nuova occasione di sviluppo

a cura di Angelo D’Onofrio

Il Ministro per il Sud Barbara Lezzi ha firmato il Decreto che istituisce la Zona Economica Speciale in-

terregionale Puglia-Basilicata, con snodo fondamentale il Porto di Ta-ranto. La costituzione della ZES per-metterà di rendere maggiormente appetibile l’area industriale della Valbasento per aziende e investito-ri impegnanti nei settori industriali dell’agroalimentare, della chimica verde, della meccanica, oltre che costituire un importante incentivo per le piccole e medie imprese che già sono attive nella nostra zona industriale. Tra gli incentivi previ-

sti nelle aree industriali interessate dalla ZES appulo-lucana, oltre a detassazioni e semplificazioni am-ministrative, è prevista anche l’isti-tuzione di un fondo di 300 milioni di euro per le imprese, la sospensione dell’IVA e importanti facilitazioni delle procedure burocratiche per

tutte le aziende che vorranno inse-diarsi nella Zona Economica Spe-ciale pisticcese. La durata della ZES Jonica è di sette anni, prorogabili di ulteriori sette su eventuale richiesta delle Regioni.Ora l’auspicio è che la ZES Jonica possa costituire l’occasione di con-creto rilancio per l’area industriale di Pisticci Scalo (circa 200 ettari di terreno) e attragga aziende e im-prese virtuose che permettano di lasciarci alle spalle un passato in-dustriale legato al chimico e al pe-trolchimico.

Maresacro è un progetto del FLAG Coast to Coast e nasce con l’obiettivo di rafforzare l’identità culturale regionale legata al mare cogliendo la relazione tra religiosità e terri-torio, riti religiosi, consuetudini sociali, pratiche e prodotti del mare.Il progetto Maresacro si basa sulla valorizzazione del patri-monio culturale immateriale il cui valore non risiede nella manifestazione in sé ma nella ricchezza di conoscenze e competenze che vengono tramandate da una generazio-ne all’altra. Il progetto interesserà principalmente i comu-ni di Maratea, Bernalda, Pisticci, Policoro e Scanzano Jo-nico. Con tali premesse il FLAG ha sviluppato il progetto la cui prima fase è la messa a sistema dei riti religiosi che si

svolgono nei mari di Basilicata attraverso la diffusione di un calendario unico degli appuntamenti, stimolando i pe-scatori a partecipare con le proprie imbarcazioni e favo-rendo il dialogo fra i vari soggetti coinvolti, inclusi gli ope-ratori turistici della costa, le amministrazioni, le istituzioni religiose e i comitati promotori. Il progetto proseguirà con la realizzazione di uno stampato dedicato ai riti religiosi nei mari di Basilicata e le tradizioni ad essi connesse e la successiva diffusione nei circuiti dedicati e nelle scuole. Ulteriore step sarà connettere Maresacro alla filiera del-la pesca artigianale costiera introducendo degli elementi innovativi legati alla diversificazione che consentiranno di conservare la tradizione per proiettarla nel futuro.

Il progetto MaresacroPer una nuova identità religioso-culturale

Lo Sport è Gioia di vivere!Bella giornata di sport domenica 16 giugno nel paese di Pisticci, dove si è svolta la festa diocesana dello sport, la festa delle associazioni sportive organizzata in collabo-razione del comune di Pisticci e l’associazione Slow food Magna Grecia. Tante le associazioni presenti, a rappresen-tare molte discipline sportive, e tantissimi visitatori, so-prattutto bambini, che hanno voluto provare “sul campo” le varie discipline. La giornata si è svolta in totale sinergia la manifestazione è stata aperta con l’arrivo di tutti i ra-gazzi e i bambini i quali si sono recarti nelle loro postazioni di gioco.C’è stata la dimostrazione di boxe, minitornei di calcio a cinque, partite di palla a volo, minitorneo di tennis da tavo-lo, partite al cacio balilla, animazione musica e balli. L’at-tività fisica, infatti permette ai ragazzi di crescere sani, di essere attivi e in buona salute. Grazie allo sport, i ragazzi riescono spesso a crearsi belle cerchie di amicizie, anche alternative a quelle scolastiche, spingendoli così a socia-lizzare e divertirsi. Inoltre, chi è spinto da una forte passio-ne, può trovare nello sport la sua felicità, il suo modo di emergere e volere vivere, fino a intraprendere una carriera sportiva professionale. Le gare o le partite forgiano il carat-tere di molti giovani, e lo sport spesso riesce a rendere più

sicuri coloro che magari non eccellono nello studio o tro-vano nell’attività sportiva una valvola di sfogo e una pas-sione importante. Ogni sport ha poi un codice di regole da rispettare, che in tutti i casi dovrebbe basarsi sull’insegna-mento di valori quali la lealtà, la sportività, il rispetto delle differenze e dell’avversario, il sapere perdere e l’impegno per raggiungere risultati migliori. Lo scopo della festa dio-cesana dello sport è stato quello di spronare i ragazzi a fare del loro meglio, affinché questo rimane nei limiti della sportività e della correttezza. La festa si è conclusa con la messa tenutasi dall’Arcivescovo mons. Antonio Giuseppe Caiazzo e per sua mano dopo aver spronato e ringraziato i ragazzi a fare sempre meglio c’è stata la premiazione, dove sono stati premiati tutti gli atleti i dirigenti gli animatori e gli accompagnatori. Si ringrazia l’ufficio diocesano turismo sport e tempo libero nella persona di don Rosario Manco, Carmelo Mennone, Antonio Lacarpia, Francesco Benedet-to, Gabriele Gallotta, Antonio Lavecchia, Pierpaolo Mulie-ro, Favale Nicola, Pierpaolo Depace, Michele Druda, Paolo Mennone, Pasquale Rosano, Giovanni D’Onofrio, Laviola Mariella e il comune di Pisticci. Ma soprattutto, si ringra-ziano tutti i partecipanti alla festa i quali hanno contribuito alla buona riuscita di essa e arrivederci all’anno prossimo.

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Ideato dalla professoressa Stel-la Maragno, il progetto triennale “E’… tempo di autonomia”, che ha

coinvolto sei ragazzi diversamen-te abili, ha emozionato i numerosi presenti negli ambienti dell’Istitu-to d’Istruzione Superiore “Isabella Morra” di Matera, dove sono stati illustrati i risultati di una iniziativa realizzata con impegno, ma so-prattutto con tanto amore. Mario, Francesco Pio, Simona, Piergior-gio, Giovanni e Pasquale, segui-ti dalle docenti Stella Maragno, Raffaella Abbatecola, Antonella Cristallo, Maria Carmela Gagliardi, Maria Teresa Gurrado e Vincenza Piancazzi, hanno avuto la possi-bilità di conoscere il territorio, di utilizzare i mezzi pubblici, di ca-pire come si gestisce il denaro, di osservare le attività che vengono

espletate nei vari ambienti lavo-rativi, di acquisire le competenze relative agli eventi messi in atto dalla “Fondazione Matera 2019” e di conoscere e utilizzare i servi-zi forniti dalle Forze dell’Ordine. E proprio i rappresentanti della Po-lizia di Stato, dei Vigili del Fuoco, dell’Arma dei Carabinieri e dell’As-sociazione Bersaglieri “Mauro Bi-netti”, presenti alla manifestazio-ne, hanno reso onore ai giovani studenti, che hanno ricambiato la loro attenzione e disponibilità, do-nando dei quadri rappresentanti gli stemmi dei vari Corpi. Presenti anche i rappresentanti della coo-perativa sociale “Auxilium”, che ha collaborato al progetto con due operatori, e la proprietaria del ri-storante “Oi Marì”, dove i ragazzi sono stati in visita con il modulo

“Imparo a muovermi nel ristoran-te”. Ad introdurre l’evento è stata la vicepreside Ventura Mascian-daro che, dopo aver portato i salu-ti del dirigente scolastico Antonio Epifania, visibilmente commossa, ha avuto parole di ringraziamen-to per tutti. “I docenti – ha detto la vicepreside, affiancata dal col-laboratore del dirigente scolastico Rocco Martino - hanno nel guidare questi ragazzi nella realizzazione di un progetto che li ha visti prota-gonisti”. La professoressa Teresa Gurrado, nell’illustrare il progetto ha spiegato che da tanti anni l’isti-tuto “Morra” rappresenta un im-portante centro di riferimento per le tematiche sulla disabilità; per-tanto, anche quest’anno ha volu-to continuare a sperimentare una rete di progettualità che ha po-sto al centro i bisogni evolutivi di crescita psichica, fisica, sociale e morale, dei soggetti disabili. “Io le mie colleghe – ha detto la docen-te - vogliamo dare agli studenti la possibilità di un’effettiva inclusio-ne con l’attuazione, appunto, di un progetto che miri all’integrazione, alla socializzazione e all’acquisi-zione di competenze, spendibili nel futuro sia in ambito del vissuto quotidiano, sia in ambito lavorati-vo; pertanto, continueremo a la-vorare in perfetta sinergia”.

Mariangela Lisanti

È… tempo di autonomia

SERATE DI AVVENIRE LETTURASALDI ESTIVIÈ cominciata il 2 luglio la stagione dei saldi estivi in Basilicata, definita, dalla Confcommercio di Potenza, come “l’appuntamento con il periodo più atteso dai consumatori e conveniente per fare shopping approfittando di sconti e offerte”. I commercianti hanno l’obiettivo di “sfruttare il vantaggio sulle altre regioni specie limitrofe anche per convincere i consumatori lucani che qualità-prezzo si trovano nel negozio di vicinato e non solo nel grande centro commerciale campano o pugliese”.

Ambiente, cultura, relazioni sociali: sono i “tre nuclei principali” del futuro immaginato per loro stessi da circa 200 studenti di 12 classi quarte di istituti scolastici superiori di Matera, Melfi (Potenza) e Potenza, emersi dai “Future Lab” realizzati dall’Università Cattolica e presentati in un convegno sulle “Città visibili”, il primo dei due appuntamenti di chiusura della Festa del quotidiano cattolico “Avvenire”, che si è svolto a Matera nell’ultima settimana di giugno. Appuntamento conclusivo è stato un convegno sull’”Eccellenza della proposta italiana nel mondo. Formazione, ricerca, cura”, col rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli e il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.

“Stiamo lavorando a una legge sulla lettura, ma stiamo portando avanti altri interventi come la presenza dell’Italia a grandi manifestazioni fieristiche del libro, Francoforte e Parigi, dove non eravamo presenti da 30 anni”. Lo ha detto a Matera lo scorso 28 giugno, il Sottosegretario ai Beni culturali, Lucia Borgonzoni, concludendo

un convegno promosso da Rai Libri su presente e futuro del libro e sulle “dinamiche di mercato” che lo riguardano.

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a cura di Nino Vinciguerra

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Un cittadino materano quasi sconosciuto in Basilicata è Vittorio Emanuele Spinazzo-

la. Il padre Nicola, originario di Po-marico, fu Tenente dei garibaldini ed entrò con Garibaldi in Napoli il 7 settembre 1860. Lì conobbe Ma-tilde Paldi figlia di un ufficiale degli Ussari e la sposò. Vissero a Pomari-co e, successivamente, si trasferiro-no a Matera dove divenne Diretto-re delle Poste. Vittorio Spinazzola nacque a Matera il 2 aprile 1863 e, sin da ragazzo, mostrò interesse per gli studi. Iscrittosi all’università Federico II di Napoli studiò Roma-nistica e Scienze della Letteratura laureandosi con il Prof. Francesco D’Ovidio (famoso filologo e critico letterario). Fu amico di Francesco Saverio Nitti e di Benedetto Croce, con cui fondò la Società dei Nove Musi, e di Gabriele D’Annunzio. In-fatti, il dramma di D’Annunzio “La città morta” (1896) nacque da un’idea di Spinazzola. Nel 1893 di-venne ispettore dell’Amministra-zione Provinciale per l’arte antica; nel 1895 e 1896 lavorò al Museo Ar-cheologico di Bologna e al Museo Archeologico di Taranto. Nel 1897 fu nominato consigliere personale del Ministro della Pubblica Istruzio-ne Emanuele Gianturco e fu Capo di Gabinetto del Ministero dell’I-struzione mentre dal 1898 al 1910 fu il curatore del Museo Nazionale

di San Martino a Napoli. Contem-poraneamente, dal 1903 al 1907, fu anche libero docente di archeolo-gia all’università di Napoli. Nel 1910 divenne direttore del Museo Arche-ologico Nazionale di Napoli e nel 1911 fu nominato Soprintendente agli scavi e ai musei della Campa-nia e del Molise. Ciò incluse anche la direzione degli scavi di Pompei. Già durante il suo periodo al Museo di San Martino, Spinazzola condus-se scavi a Paestum con importan-ti ricerche sull’Antro della Sibilla a Cuma e del Tempio di Apollo. A Pompei sviluppò un nuovo metodo per le ricerche archeologiche della città. In precedenza si era sempre scavato solo per luoghi singoli o per strutture produttive che avrebbero potuto dar luogo a visione gene-rale; Spinazzola invece cominciò a scavare per strade. In questo modo, ha liberato con numerose testimo-nianze di vita quotidiana, botteghe con le antiche insegne, iscrizioni elettorali e programmi di giochi gladiatori incisi sui muri della via più frequentata, con un’immagine più viva della città. A causa del suo atteggiamento critico su Mussolini, Spinazzola fu costretto a lasciare gli scavi di Pompei nel 1923. Rima-sto vedovo, nel 1932 sposò in se-conde nozze l’archeologa Alda Levi (1890-1950), sua ex allieva. Morì a Roma il 13 aprile 1943. Nel 1953 in

due volumi, per decisione del go-verno italiano, grazie ai suoi studi e ai suoi appunti, fu pubblicata l’o-pera “Pompei alla Luce degli Scavi nuovi di Via dell’Abbondanza (anni 1910-1923)”. Vittorio Spinazzola, nonostante la vita lo avesse porta-to a vivere lontano da Matera, la ri-cordava con affetto e la descriveva così: “Matera, la città dove son nato, è una città unica e assolutamente caratteristica, perché è una città tro-gloditica. La città, la vecchia Matera, si sviluppa essenzialmente ai lati di una gola interposta tra due pareti rocciose. Nel mezzo tra le due pareti corre un piccolo fiume. Nelle pareti rocciose da un lato e dall’altro del fiume sono ricavate le abitazioni tro-gloditiche che prendon luce da por-te e finestre. Tra il fiume e ciascuna delle pareti rocciose è una strada. Le due pareti della gola sono congiunte per mezzo di ponti gettati a cavallo del fiume. A sera è uno spettacolo del più alto interesse vedere le due pareti punteggiate dei lumi stabiliti nei vari terreni e superiori”.

Vittorio Spinazzola Un geniale archeologo materano

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