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7/30/2019 12_Caciolli_Ninfeo http://slidepdf.com/reader/full/12caciollininfeo 1/13  143 Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 3 – numero 3 – volume 2 - maggio– agosto 2006 sezione: Glossario pagg. 143-155  NINFEO Isabella Caciolli* Summary The text travels over the stages of the nymphaeum like element of many types of historical gardens, from the ties that the Greeks recognized between the cove and the nymphs, to the architectural types realized in the ancient roman garden, to the resumption of the topic in the 15th century, to its spread in the baroque garden, until the end, of the topic like sterile fashionable element.  Key-words  Nymphaeum, artificial grotto, renaissance garden, baroque garden.   Abstract Il testo ripercorre sommariamente le tappe del ninfeo quale elemento di molte tipologie della storia dei giardini, dai significati simbolici e dai legami che i Greci riconoscevano fra la grotta e le ninfe, ai manufatti realizzati nei giardini romani antichi, alla ripresa del tema nel primo Rinascimento, alla sua diffusione nel giardino barocco, fino allo scadimento, perdurato ancora nel secolo decimonono, del tema come sterile elemento alla moda.  Parole chiave  Ninfeo, grotta, giardino rinascimentale, giardino barocco. * Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

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Quaderni della Ri-VistaRicerche per la progettazione del paesaggioISSN 1824-3541 

Università degli Studi di Firenze

Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ 

Firenze University Press

anno 3 – numero 3 – volume 2 - maggio– agosto 2006

sezione: Glossario pagg. 143-155

 NINFEO 

Isabella Caciolli*

Summary

The text travels over the stages of the nymphaeum like element of many types of historical gardens, from the tiesthat the Greeks recognized between the cove and the nymphs, to the architectural types realized in the ancientroman garden, to the resumption of the topic in the 15th century, to its spread in the baroque garden, until the end,of the topic like sterile fashionable element.

 Key-words Nymphaeum, artificial grotto, renaissance garden, baroque garden. 

 Abstract Il testo ripercorre sommariamente le tappe del ninfeo quale elemento di molte tipologie della storia dei giardini,dai significati simbolici e dai legami che i Greci riconoscevano fra la grotta e le ninfe, ai manufatti realizzati neigiardini romani antichi, alla ripresa del tema nel primo Rinascimento, alla sua diffusione nel giardino barocco,fino allo scadimento, perdurato ancora nel secolo decimonono, del tema come sterile elemento alla moda.

 Parole chiave Ninfeo, grotta, giardino rinascimentale, giardino barocco.

* Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

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GROTTE E NINFE NELL’ANTICHITÀ CLASSICA

Per i Greci, come per altri popoli del mondo antico, la grotta era immagine del legame fra ilmondo visibile e quello soprannaturale, memento e lascito dei primigeni culti della MadreTerra, generosa e spietata, fertile e mortifera, dove nell’oscurità implacabile dell’antro sicelebravano l’utero e l’oltretomba.La grotta ritorna moltissimo nei miti classici come simbolo del cosmo, come luogo sacro,metaforico e misterico. Porfirio, nelle riflessioni sulla grotta come rappresentazione delcosmo generato e sensibile, nota che gli interni sempre atri si prestavano per leggervil’allegoria ed il segno di tutte le potenze invisibili, quelle “…la cui essenza appunto non è percepibile allo sguardo.”1. È nella caverna di Notte, che Fanes, il primo nato nel mondodell’apparire, figlio del Tempo e di Ananke, la Necessità, sedeva con in mano lo scettro, ed ènella medesima caverna che fu celato Zeus per salvarlo dal padre, dopo che Rea lo aveva partorito in un antro del monte Ditteo, a Creta. È in una grotta che Demetra si rinchiuse dopoil ratto della figlia Persefone o Kore, luogo che sarebbe divenuto un santuario del culto a leidedicato, quello presso Figaléa. È ancora in una grotta, quella di Pan, che fu consumato lo

stupro su Creusa, il più impietoso da parte di Apollo, il dio dalla violenza nascosta, ed è nellastessa grotta che ella poi partorì, sola, il figlio del dio. La grotta come scenario degli atti piùinintelligibili, ierogamici, ierofanici e foschi. Cosa dire di Eleusi, probabilmente i Misteri piùcelebri? Nei Grandi Misteri, quelli istituiti per tributare Demetra come potenza nutrice,l’iniziazione sacerdotale cominciava con l’incatenamento nella caverna, un ambiente bassoed oscuro, a rappresentare l’anima che aveva lasciato il mondo intellegibile per abitarequello sensibile, dal quale doveva poi liberarsi rompendo le catene 2.La grotta rappresentava ed era sede di un’altra correlazione soprannaturale. Nelle umiditàdelle caverne, là dove stillano acque purissime, erano gli spazi consacrati alle ninfe, creaturedalla lunga vita, ma non sollevate dalla morte, dall’oscurità appunto, creature dellaseduzione, dell’impulso indomabile, portatrici di nessi materici.Il legame tra grotta, acqua e ninfe è confermato da molti scrittori antichi. Alcune acque

sorgive erano stimate capaci di mettere in condizione di ricevere poteri particolari, cheAristotele nell’Etica ad Eudemo definisce ispirazione, proprio in virtù dell’influenza delleninfe3. Le ninfe erano la possessione4, nymphόl ē  ptos era colui che delira catturato dalleninfe, come testimonia Massimo di Tiro nel definire un chiaroveggente eleusino d’Atene5;del resto basta ricordare che le ninfe erano onorate ovunque si celebrasse Demetra, come suecooperatrici. Porfirio ci ricorda che Kore fu allevata dalle ninfe e a lei s’innalzavano statuenei pressi delle fonti6. Omero tratteggia uno scenario significante della correlazione tra leninfe e la grotta, quando descrive la dimora di Calipso, colei il cui nome è Occultatrice, coleiche vive in un’isola distante dal mondo, in un luogo sospeso, quindi intermedio. Calipso èuna ninfa  spelaia ed è tramite l’ammirazione di Hermes (anche lui nato in una grotta!),incaricato di trasmetterle la decisione di Zeus, che il Poeta ci descrive la bellezza del luogo.Il dio giunge ad Ogigia e, prima di svelarsi alla ninfa, resta in contemplazione della dimora.

“Un bosco aggirava la grotta tutto fiorente:ontani e pioppi e cipressi odorosi,dove uccelli di vaste ali avevano i nidi:civette e falchi e cornacchie dalla lunga linguagracchianti assidue, amiche del mare;e c’era davanti una vite carica d'uve;e quattro fontane, l’una all’altra vicine,di fila, una chiara acqua mandavano in rivoli opposti;

1 PORFIRIO, L’antro delle Ninfe, Adelphi, Milano, 2006, pag. 47.2 VICTOR MAGNIEN, I Misteri di Eleusi, Edizioni di Ar, Padova, 1996, pag. 311.3 VICTOR MAGNIEN, op. cit., Padova, 1996, pag. 282.4 R OBERTO CALASSO, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano, 1988, pag. 173.5 VICTOR MAGNIEN, op. cit., Padova, 1996, pag. 281.6 PORFIRIO, op. cit., Milano, 2006, pag. 47. 

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e intorno un fiorire era di viole e di apiosu morbidi prati: tanto che uno là pervenuto,anche se dio, ne avrebbe incantata la vistae allegrezza del cuore. Là rimanevaimmoto stupito a guardare il nunzio di Zeus.E quando nell'animo tutto ebbe ammirato,rapido entrò nella vasta caverna…”7.L’isola di Calipso è tale che si rende distante anche nel tempo; Ulisse, prima di stancarsidella ninfa, per molti anni vi oblia l’ansia di partire, quasi placato, incantato da un fascinostatico, dagli alberi, che erano gli stessi dedicati al culto dei morti. La grotta di Calipso èforse una porta dell’oltretomba, ma Omero accenna a qualcosa in più nel raffigurare la viterigogliosa, che lega alla vita. Quella vite, dono dell’ebbrezza fatto al mondo da Dioniso,rimanda all’arte, al lavoro, alla cultura e contrassegna la grotta ad espressione diquell’ingegno, divino o umano, che rende la natura dimora abitabile. Nel mondo classico l’ingegno era sia la genialità dell’intelletto, la massima attività spirituale,che discende dal divino, sia la forza della natura, che, nella sua ciclicità, costantemente

genera; la grotta era natura resa accogliente dal genio umano, resa capace di essere il luogodell’abitare, del procreare e del creare, ed era natura che si rende paesaggio, che imita l’arte8.Esistono due descrizioni di autori latini, Ovidio e Apuleio, che mettono in evidenza ilduplice rapporto dell’ingenium. Il primo scrive: “C’era una valle tutta coperta di picee e diaguzzi cipressi, chiamata Gargàfia, sacra a Diana dalle vesti succinte. In fondo a essa, nel piùfolto del bosco, c’era una grotta, perfetta, ma non per arte umana; la natura, col suo estro,aveva fatto un lavoro che pareva artificiale: con pomice viva e tufo leggero aveva costruitospontaneamente un arco. A destra fruscia e luccica una fonte dall’acqua trasparente, con lalarga sorgente incorniciata da un bordo erboso”9. L’altro, illustrando l’atrio del palazzo diBirrena, tratteggia una statua di Diana, alle cui spalle “…sorgeva una roccia incavata a mo’di grotta e tappezzata di muschio, d’erbe, di foglie, di virgulti, di pampini e di arboscelli:tutta una vegetazione fiorita dal marmo. Dentro, sul nitore del marmo si delineava lucente

l’ombra della dea.Dalla cornice della grotta pendevano frutti e grappoli d’uva, e la loro fattura era così esattache l’arte, emula della natura, li aveva espressi in tutto simili al vero. Si potrebbe quasi pensare che, per coglierli e cibarsene, basterebbe attendere la stagione del mosto, quando ilfiato dell’autunno dà al frutto il colore della compiuta maturazione; se poi ci si curvasse aguardar la sorgente che si riversa ai piedi della dea e increspa la sua dolce corrente, sicrederebbe che quei grappoli, simili a quelli che veramente pendano da una vite, posseggano,tra gli altri segni della realtà, anche l’illusione del movimento”10. Nel segno di questo doppio aspetto furono fatti i ninfei11, i cui primi esempi furono probabilmente elaborati in seno alla cultura alessandrina e di cui il mondo romano offrediverse testimonianze, principalmente inerenti ad ambiti privati.

7 OMERO, Odissea, Libro quinto, traduzione di Enzio Cetrangolo, RCS Libri, Milano, 2000, pag. 145.8 MASSIMO VENTURI FERRIOLO, La grotta, le ninfe e il paesaggio della Grande Dea, in ISABELLA LAPI BALLERINI, LITTA MARIA MEDRI (a cura di),  Artifici d’acque e giardini. La cultura delle grotte e dei ninfei in Italia e in Europa, Atti del V Convegno Internazionale sui Parchi e Giardini Storici, Edifimi, Firenze, 1999, pagg. 15-19.9 PUBLIO OVIDIO NASONE,  Metamorfosi, Libro terzo, traduzione di Piero Bernardini Mazzolla, Einaudi, Torino,2006, pag. 99.10 APULEIO, L’asino d’oro o Le metamorfosi, Libro II, 4, traduzione di Claudio Annaratone, BUR, Milano, 1995, pag. 42.11 Occorre specificare che non è esatto adoperare il termine ninfeo come se gli antichi lo avessero codificatolinguisticamente con precisione e vi identificassero un determinato genere di manufatto e solo quello. In realtà,nel Rinascimento, gli scavi archeologici avevano portato alla luce iscrizioni recanti le parole nimphaeum o 

nimphaea, ma non ci sono riscontri letterari che facciano inequivocabilmente capire cosa si intendesse con taledenominazione: i testi classici dimostrano piuttosto una certa contaminazione di termini e destinazioni di uso,

essendovi autori che parlano di nimphaeum, come altri di amaltheum, crypta, spelunca, specus. Più determinatosembra l’utilizzo della parola nella cultura alessandrina, dove indica una forma privata di architettura nel sensousato in questo scritto.

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Dal primo secolo a.C., nelle dimore dei romani si diffuse un livello di lusso tale che lafantasia nelle elaborazioni degli elementi architettonici invase anche il giardino, che daspazio produttivo o circoscritto dal peristilio si espanse e si articolò in parti a diversadestinazione. Per le grandi residenze extraurbane, dov’era più ricercata l’originalitàcompositiva, in special modo nell’area che dalla Campania risale verso il Lazio, furonoinventate sistemazioni del verde che compresero ippodromi, ambulationes,  gestationes,giochi d’acqua, grotte ed altro ancora. Erano tutti corredi per aumentare la gradevolezzadella vita quotidiana, per facilitare l’otium, il riposo produttivo, stimolatore della mente,senza il quale non era possibile essere lucidi e ragionevoli ed infine, ma non certo ultimacome motivazione, per autocelebrare il livello sociale raggiunto.Sembra che le grotte fossero venute in particolare auge nel periodo fra la fine dellaRepubblica ed il primo secolo dopo Cristo. Secondo i modelli letterari, e basta ricordareOmero per convincersene o il Fedro di Platone12, la natura può esser detta bella quando ècontrassegnata da un boschetto, una fonte fresca e vivace, un ruscello per rinfrescarsi, un prato morbido e verdeggiante ed, infine, una grotta per riposare. La grotta artificiale,ombreggiata da un gruppo d’alberi, rallegrata da rivoli e zampilli e posta in prossimità di un

corso d’acqua, divenne uno degli elementi fondamentali dei giardini. Seneca descrive unavilla a Cuma, che sorgeva a mezza strada fra il lago e il mare, dove: “ …ci sono due grotteartificiali di grande e buona fattura, paragonabili ad un vastissimo atrium, una delle qualinon riceve luce, mentre l’altra ne riceve fino al tramonto”13. Accanto a questo tipo direalizzazioni, d’impronta rustico-naturalistica prettamente romana, fecero la loro comparsaambienti racchiusi, di stampo ellenistico, vere e proprie stanze, spesso voltate, dov’eradominante la presenza dell’acqua, nelle più svariate forme, in omaggio a ninfe e altredivinità fluviali o marine. Nella villa imperiale di Claudio a Punta Epitaffio, nel golfo diBaia, un ninfeo marmoreo, dalla pianta rettangolare absidata, era stato costruito nella parte più vicina al mare, ai piedi del relativo sistema di terrazze degradanti lungo la collina. Si sa per certo che costruzioni del genere furono edificate nelle ville laziali coeve, a Formia, aTivoli, a Cassino.

Cercando di trovare una regola costruttiva che esemplifichi com’erano i ninfei, dagli scrittidegli autori, quali Plinio o Seneca, e dai reperti archeologici sembra possibile affermare chela caratterizzazione tipologica di questi manufatti fosse data principalmente dai materiali edalle tecniche decorative, i più evocativi possibili dei legami riconosciuti fra grotte e ninfe:spuma di pietra pomice, tufi, conchiglie, concrezioni calcaree, tutto quello che potevarichiamare le pulsanti profondità della terra o l’acqua. I pavimenti erano lastricati o, piùsovente, a mosaico ed era frequente che delle tessere colorate, magari in blu egiziano o in bianco, potessero trovarsi nelle pareti per aumentare l’effetto mineralogico. Gli ambienti,quale che fosse la forma della loro pianta, erano dotati di nicchie, esedre absidate e simili, incui il partito decorativo, che peraltro scandiva tutta la struttura, raggiungeva l’apice dellasimulazione. Giochi d’acqua e statue erano collocati nelle nicchie e, insieme alle pavimentazioni mosaicate, potevano esporre miti o temi letterari; negli esempi relativi alle

ville imperiali o a quelle appartenenti ai personaggi più altolocati, dei simulacri dei padronidi casa erano sistemati a far parte della narrazione decorativa.Si può ipotizzare che fossero vani nei quali cercare rifugio dalla calura estiva, nei quali si poteva banchettare, come nel nymphaem triclinare dell’imperatore Claudio o che

12 Nel dialogo fra Socrate e Fedro, il primo esclama: “Per Hera! Bel luogo per fermarci! Questo platano è moltofrondoso e alto; l’agnocasto è alto e la sua ombra bellissima, e, nel pieno della fioritura com’è, rende il luogo profumatissimo./E poi scorre sotto il platano una fonte graziosissima, con acqua molto fresca, come si può sentirecol piede./Dalle immagini e dalle statue, poi, sembra che sia un luogo sacro ad alcune ninfe e ad Archeloo./E sevuoi altro ancora, senti com’è gradevole e molto dolce il venticello del luogo./Un dolce mormorio estivo rispondeal coro delle cicale./Ma la cosa più piacevole di tutte è quest’erba che, disposta in dolce declivio, sembracresciuta per uno che si distenda sopra, in modo da appoggiare perfettamente la testa./Dunque, hai fatto da guidaad un forestiero in modo eccellente, o caro Fedro.”, PLATONE,  Fedro, traduzione di Giovanni Reale, Rusconi

Libri, Milano, 1993, pag. 43.13 MARCO VANNUCCHI (a cura di), Giardini e parchi. Storia-Morfologia-Ambiente, volume 7 della serieMARIELLA ZOPPI (a cura di), Progettare con il verde, Alinea, Firenze, 2002, pag. 38.

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semplicemente servissero, al pari di tutto il sistema della villa, a testimoniare lo statussociale. Sembra assolutamente escludibile un utilizzo religioso o in qualche modo sacrale.Può essere interessante prendere nota del fatto che, quando si propagò, in ambienti termali oa corte, la moda dei giardini dipinti, fossero spesso illustrati in quelli i temi della grotta edell’acqua, rappresentati in forma di natura addomesticata; sono ulteriori esempi di come talisuggestioni filosofico-letterarie fossero usate per dimostrare il grado di ricchezza e di lussoabitativo che ci si poteva concedere.

LA RISCOPERTA DEL NINFEO NEL R INASCIMENTO 

Tra il Quattrocento ed il Cinquecento, insieme alla riscoperta del mondo romano, fu ripresoil tema del ninfeo14, che non tardò a divenire protagonista del giardino rinascimentale, anchese in un primo momento andò ad occuparne gli spazi limitrofi o, più spesso ancora, sicollocò in prossimità della residenza se non dentro di quella, come il caso, peraltro assaidiscusso ed incerto per cagione di un’ambiguità terminologica, della “grotta” di Isabella

d’Este, una Schatzkammer con funzione di museion pliniano.L’entusiasmo per i ninfei va collocato all’interno della sistematica opera di studio eriproduzione dello stile di vita ambientale ed esistenziale del mondo antico, ma il lorospecifico riutilizzo va considerato anche in base al fatto che nel Rinascimento, periodofecondo di discussioni filosofiche e scientifiche, fu assai radicato il concetto d’arte comeimitazione e superamento della natura e che, quindi, l’antro delle ninfe si prestò, forse più dialtri soggetti, ad essere uno degli esercizi in cui riunire materia e temi letterari, oltre chespazio di sperimentazione di nuove tecnologie.Molti i testi antichi che contribuirono alla fortuna del tema, tipo le  Metamorfosi di Ovidio,dalle cui abbondanti descrizioni di grotte artisti e committenti seppero trarre ispirazione, siaformale sia come scelta dei materiali, o il  De antro Nymphaurum di Porfirio, che fornì una base speculativa per inquadrare il concetto di grotta nella temperie platonica ed aristotelica

dell’Umanesimo.Il  De antro Nymphaurum è un’esegesi neoplatonica di alcuni versi del canto tredicesimodell’Odissea 15, dai quali l’autore prende spunto per leggere il poema come simbolo deldramma dell’anima che, discesa nel mondo della generazione, percorre la strada per ri-approdare a quello divino.Tale interpretazione, aveva permesso al libro di conoscere grande fortuna durante tutto ilMedioevo, ma nel 1518, a Roma, fu finalmente messo in stampa e ciò gli procurò un discretorilancio. Scrive Porfirio: “Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverneal cosmo, considerato nella sua totalità o nelle sue parti, poiché facevano della terra ilsimbolo della materia di cui il cosmo è costituito (per questo motivo alcuni identificano terrae materia) e d’altra parte li antichi rappresentavano per loro il cosmo che si forma dallamateria: essi, infatti, per la maggior parte sono di formazione spontanea e connaturali alla

14 Elena Cenci richiama l’attenzione sul prolungarsi dell’incertezza sul preciso significato della parola ninfeo per tutto il Cinquecento. Ripetuti tentativi per mettere ordine sul senso da assegnare al nome furono portati avantidagli studiosi del tempo, come lo storico Fabricius o Pirro Ligorio, ma, in genere, per riferirsi alle realizzazioniche venivano costruite nei giardini coevi, si parlava di grotte artificiali o di fontane. Nel primo Seicento cominciòa diffondersi l’identificazione ninfeo-grotta artificiale, che fu però ratificata soltanto nel secolo successivo,quando con tale termine si indicarono sia le strutture del mondo greco e latino, sia i manufatti rinascimentali e barocchi. Si veda a tale proposito: ELENA CENCI, “L’antro delle ninfe”: significato ed evoluzione dall’Antichità

al Cinquecento, in FRANCESCO NUVOLARI (a cura di),  Il giardino storico all’italiana, Atti del Convegno, SaintVincent aprile 1991, Electa, Milano, 1992, pagg. 147-153.15 Si tratta dei versi, presenti nel Libro tredicesimo: “Sorge alla testa del porto un olivo chiomato/da foglie sottili;lì presso c’è un antro/amabile, oscuro, luogo sacro alle Ninfe/che si dicono Naiadi; dentro vi sono crateri /e brocche di pietra; lì fanno il suo nido le api./E vi son grandi telai anche di pietra, /dove tesson le Ninfe manti

 purpurei,/stupore a vedersi; vi scorron acque perenni, /e due porte vi sono, una a Borea rivolta,/dove scendono gliuomini, l’altra che a Noto /si volge, è aperta agli dei e non v’entrano uomini;/ma è solo il cammino degliimmortali.”, OMERO, op. cit., Milano, 2000, pag. 395.

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terra, circondati da un blocco uniforme di roccia, che internamente è cava e all’esterno si perde nella infinita illimitatezza della terra. […] Poiché la materia è fluida, priva in sé dellaforma che la modella e le conferisce apparenza, gli antichi, come simboli delle qualità insitenel cosmo in virtù di essa, accolsero l’acqua che sgorga e trasuda dagli antri, la tenebrosità e,come dice il poeta, l’oscurità”16. Parole che legittimavano la rilettura dell’antro comemanifesto dei segni del mondo sensibile e materiale, ma al contempo come specchio delmondo intellegibile, per l’impossibile percezione della sua essenza. Lo stesso Platone tratta(ed ampiamente!) delle grotte e il suo mito della caverna si intrecciava profondamente con isimbolismi dei Misteri.È plausibile pensare che, anche se in tempi molto brevi il ninfeo sarebbe divenuto meroelemento alla moda, almeno in un primo momento fosse usato come evocazione di metaforee condizionamenti neoplatonici. La conoscenza del mondo antico e delle sue regolearchitettoniche fu adoperata come marchio di distinzione per mostrare la dimensione socialeed economica dei committenti.Il ninfeo faceva parte delle menzioni particolarmente elitarie, che dovevano palesare, oltreall’evidente ricchezza, anche la cultura dei proprietari. Opere come il ninfeo a camera della

Sala d’Ercole nel Palazzo Farnese a Caprarola, dove, a ridosso di una parete, è presente unavasca incorniciata da una grotta in paramento calcareo, animata da statue e inserita sullosfondo di un paesaggio in prospettiva, ne dimostrano l’uso come citazione colta, come topos

encomiastico dell'antichità e come connotazione del censo, di modo tale che l’esibizione e lacapacità di comprensione dell’oggetto costituivano, quasi, una prova d’appartenenza adun’oligarchia.Sui richiami filosofici s’innestarono altri temi, tipo quelli decorativi magico-pastoralisuggeriti da Vitruvio per l’allestimento delle scene satiriche17, basati sull’idea romana dellagrotta come segno semantico del luogo ameno e assai noti nel Cinquecento per le molteinterpretazioni iconografie esistenti, fra cui quella celeberrima del Serlio pubblicata a Pariginel 1545, nel secondo volume del suo Sette libri dell’architettura; è con tale connotazioneche i ninfei entrarono a far parte dei giardini, con cui erano in apparente contrasto formale

considerando il rigore geometrico dei modelli detti all’italiana, ma in perfetta linea con gliantichi valori di natura primitiva e sacrale e con il pensiero platonico del celato, daambientare appunto in luoghi recessi e ascosi.Uno degli antesignani, se non addirittura il primo, esempio di ninfeo isolato in un contestonaturalistico è quello costruito dal Bramante, probabilmente nel 1508, per ornare il CasinoColonna a Gennazzano. Il padiglione era una meta di passeggiate ed intrattenimenti,collocato alle pendici di un avvallamento a poca distanza dal palazzo: ivi, un ninfeo porticatosi apriva verso il paesaggio. Fu, tuttavia, in ambiente fiorentino che furono costruite grotteartificiali d’ispirazione porfiriana, indipendenti dalla residenza, quali, ad esempio, le Grottedette di Madama e Grande del Giardino di Boboli.La Grotta di Madama, cronologicamente la prima di quelle presenti a Boboli essendo stata portata a compimento dal Fortini nel 1555 su progetto del Tribolo, è, nonostante le piccole

dimensioni, un eloquente registro di un tratto stilistico assai tipico dalla prima metà delsecolo, ossia l’uso abbondante del paramento calcareo, tendenza che, se, per esempio, inambiente romano andò smorzandosi a favore di una forma più architettonica e sobria con predominanza di decorazioni pittoriche o plastiche, in Toscana perdurò fino nel Seicento.

16 PORFIRIO, op. cit., Milano, 2006, pag. 43.17 Scrive Vitruvio, nel primo tomo del De Architectura, V, cap. VIII: “Le specie delle Scene sono tre: una, che sidice Tragica, l’altra Comica, e la terza Satirica. Gli ornamenti di esse sono fra loro diversi, e formati condifferente compartimento; perché le tragiche sono adorne di colonne, frontespizi e statue, ed altri similiornamenti regi: le comiche poi rappresentano edifizi di persone private, con logge sporgenti, e facciate dispostecon finestre all’uso dei comuni edifizi: le satiriche finalmente sono adorne d’alberi, spelonche, moti, ed altre cose

campestri, ad imitazione de’paesi dipinti.”Parole che ebbero vasta risonanza nelle esegesi rinascimentali e che portarono a numerose interpretazionigrafiche, al punto da essere un topos della trattatistica architettonica del tempo.

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Figura 1. Prospetto della Grotta di Madama, Giardino di Boboli, Firenze. Da notare la dialettica di forma, materiae colore. Il progetto è del Tribolo, mentre la costruzione, avvenuta fra il 1553 e il 1555, si deve al genero diquesti, Davide Fortini, e a Bartolomeo del Tasso. La Grotta si trova a ridosso del muro di cinta, in una parte delGiardino più riservata ed appartata, ad uso domestico della famiglia granducale. L’impianto originale,rettangolare a vano unico con nicchia centrale, ricorda alcuni ninfei romani privati, di cui si voleva richiamaretutta l’antica simbologia. L’apparato decorativo plastico interno, con capre e montoni, contiene un’allusione almito di Zeus allattato dalla capra Amaltea cui sovrappone un’allegoria politica e zodiacale che collega Cosimo I ela sua sposa Eleonora di Toledo, la committente dell’opera, a potenti contemporanei o passati.Figura 2. Prospetto della Grotta Grande del Giardino di Boboli, Firenze. La facciata, poi lievementecompromessa dai restauri del 1925, che reinterpretarono le decorazioni secondo il gusto del primo Novecento,mantiene l’impostazione del precedente vivaio, opera del Vasari, su cui fu costruita. I lavori di trasformazione

iniziarono nel 1583, con l’Ammannati a sovrintendere alle opere murarie ed il Buontalenti a quelle decorative.  Il fronte, incassato, della Grotta è rivestito interamente da stalattiti, messi a contrasto con due pulitissimi elementi d’impostazione classica, il timpano e la porta marmorea, promossa adinserto prezioso. L’intenzione figurativa di evidente richiamo a cavità primigenie appartienemolto all’umanesimo fiorentino, che volentieri interpretava l’antro come regressus ad 

uterum, il passaggio iniziatico, come dimostrano i cenni presenti un poco in tutte le grottemedicee, dalla Grotta Grande dove si mette in scena un vero e proprio percorso iniziatico, daPoggio a Caiano, dove nella decorazione del fregio dell’atrio emerge una spelonca al cuicentro figura una dea madre, emblema della natura generante, a Pratolino dove è allestital’idea di un ingresso ad un mondo sotterraneo con un ninfeo che occupa il piano basamentaledella villa.

Occorre specificare che il tema della grotta ctonia comunicante con la residenza, chiamò però, in genere, in causa motivazioni più funzionali e, soprattutto, edonistiche che simbolico-filosofiche: nei ninfei ipogei, spesso collocati nelle immediate vicinanze di cucine, dispensee quant’altro, si cercava piuttosto di ottenere ambienti dove allestire situazioni conviviali alriparo dall’opprimente calura estiva e dove, una volta di più, esibire le disponibilità patrimoniali degli anfitrioni con lo spettacolo di acque refrigeranti dispendiosamente captate.In generale, in ninfei di quel tipo non è raro riscontrare una certa semplicità volumetrica e planimetrica, quasi delle sequenze di vani regolari, anche se esuberanti comeornamentazioni.Suggestivo è il caso del Castello di Maulnes18 (iniziato nel 1566), casino di caccia del Contedi Tonnère, un vero e proprio tempio per la letizia dei sensi, annoverato ai suoi tempi fra i

18 Si legga sull’argomento: JAN PIEPER ,  La fortezza dei sensi. Lo Chateau de Maulnes in Borgogna, in JONES

DALU (a cura di), Il teatro delle acque, Edizioni dell’Elefante, Roma, 1992. 

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 più eccellenti edifici di Francia, dove il ninfeo è collocato al piano interrato, fra le cucine e i bagni freddi, non soltanto perché logisticamente ed allegoricamente in prossimità dellasorgente racchiusa nel nucleo profondo dell’edificio, ma anche perché considerato spazio diquei piaceri carnali, il cibo e la nudità, anticamera per le “sollazzevoli istorie” che potevanoaver luogo negli appartamenti superiori.L’iniziale prospettiva di congiunzione tra natura e cultura che aveva portato il ninfeo adessere una delle dominanti dell’immaginario estetico nel periodo tra Umanesimo eRinascimento, fu successivamente surclassata da un altro tema portante del Cinquecento, chetrovò nel ninfeo la sua applicazione elettiva e lo aggiornò d’ispirazioni scientifico-collezionistiche, ossia l’attrazione per le pietre, i minerali e gli aspetti segreti della natura,argomento di numerosi trattati fra cui spicca il De re metallica dell’Agricola (Basilea, 1563).Il mondo materiale, la materia, era stato nuovamente elevato a soggetto di dotte speculazioniincentrate sullo studio della terra e dei misteri in essa racchiusi; anche in letteratura ritornavacon insistenza il motivo, già presente nei testi classici, del mondo sotterraneo, cui si potevaaccedere attraverso acque lacustri, come il viaggio verso gli inferi descritto nell’Orlandoinnamorato del Boiardo. La grotta acquistò, dunque, anche valenza di anticamera di quegli

spazi ctoni dove la natura svelava le sue meraviglie e la sua forza biologica.Un esempio del genere è costituito dal progetto voluto da Francesco I de’Medici per laGrotta Grande nel Giardino di Boboli19, in parte alterato in quella sorta di damnatio

memoriae perpetrata dal fratello Ferdinando I. Francesco I aveva voluto che la Grotta fosseuna dichiarazione della sua passione per le pietre ed i metalli, dove lo schema iconograficodoveva celebrare i segreti della creazione cosmica. Nella complessa allegoria, i mitiservivano per allestire uno scenario che mostrasse la formazione della natura mediantel’unione di terra e acqua, con una narrazione che partiva da figure appena abbozzate, ninfe,capre, pastori, fiumi, rappresentazioni di forze primitive e vitali plasmate in terracotta, per raggiungere, attraverso allusivi passaggi, come i potenti ed espressivi Prigionimichelangioleschi, la Venere Anadiomene, l’amore generatore; o addirittura servivano per mettere in scena un credo alchemico-scientifico che sottintendeva rapporti di reversibilità fra

 pietre ed esseri viventi.

Figura 3. Interno della prima camera della Grotta Grande. Agli angoli, due dei quattro Prigioni di Michelangelo,sullo sfondo il gruppo scultoreo di Vincenzo de’Rossi, raffigurante Teseo ed Elena.Figura 4. Scorcio della parete sinistra della prima camera della Grotta Grande.

La Grotta Grande testimonia il grado di finezza di dottrina e significati che poteva esseredispiegato in un progetto grazie alla cultura di chi lo estendeva, artista o committente chefosse; se a Boboli era un manifesto dell’inquietudine intellettuale del Granduca e del geniodel Buontalenti, altrove seguiva altri programmi simbolici d’altre trame filosofiche eletterarie, a dimostrare che i ninfei, prima di essere ambienti destinati alla ricreazione deisensi, erano anche spazi dove solleticare i piaceri della mente. 

19 Si vedano, a questo proposito, gli studi condotti sulle grotte del Giardino di Boboli da parte di Detlef Heikamp,Giorgio Galletti, Litta Maria Medri.

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 Nelle tre camere che compongono la Grotta Grande è un susseguirsi di tecniche e materialidifferenti, dalle sculture, ai bassorilievi, agli affreschi, gli uni fluenti negli altri in armoniosoaccordo e tutti percorsi, circondati, accarezzati dalle concrezioni che emulano la roccia, untrionfo di stalattiti, malte, spugne, gessi colorati, coralli, conchiglie, una massa vibrante,dove l’illusione del movimento, del guizzo vitale, della metamorfosi in atto, dell’animarsidella materia inanimata era spaventosamente rafforzata da un invisibile sistema di tubiciniche facevano tremolare d’acqua masse e forme plastiche.I materiali e le sostanze naturali utilizzate per la grotta Grande erano sostanzialmente glistessi delle opere coeve, conformandosi tutte con i modelli antichi: “Sulle pareti di grotte ecaverne gli antichi eran soliti applicare un rivestimento reso ad arte ruvido con il mescolarviminute scaglie di pomice ovvero spuma di travertino, quella che Ovidio chiama pomice viva.Abbiamo notato altresì che alcuni vi introducevano dell’ocra verde, per imitare il muschiodella grotta. Assai ci è piaciuto quanto abbiamo osservato in una caverna, quivi una sorgented’acqua sgorgava attraverso un rivestimento formato di diverse conchiglie e ostriche marine,talune rovesciate, altre col dorso in alto, accostate tra loro in modo da variare i colori inmodo graziosissimo”20.

Erano quindi scelti, per le parti lapidee, la pietra calcarea, il saxum vivum degli antichi, i tufi,le pomici e tutto ciò che può presentare l’aspetto di non finito, che può alludere alla formaancora in genesi, ancora appartenente alla sorgente nascosta ed incessantemente vitale dellaterra, alle sue viscere pulsanti, mentre per le decorazioni erano preferiti maiolica, ciottoli,conchiglie, coralli, vetri smaltati e altre componenti costose, come quarzi o ematiti.Le opere del sedicesimo secolo raggiunsero un’artificiosità che ricalcava quella dei palazzicittadini: colature d’acqua pietrificate, effetti di vere acque percolanti lungo le pareti, corpidecorativi in stucco, ornamenti  rustici, statue, terrecotte, fontane, in una fantasia inventivadove l’architettura cedeva al paramento ipernaturalistico, dove la compostezza cedevaall’esuberanza polimaterica e la dialettica arte e natura era declinata in un incessantecontrappunto.Con la riscoperta del mondo antico, fu riproposto un altro ideale latino, quello dell’Arcadia,

la terra idilliaca. Riapparvero nella poesia umanista e rinascimentale i temi già cari aVirgilio, con le sue campagne popolate di dei e pastori, che celebravano la vita agreste, feliceed armoniosa perché il naturale ed il divino vi si mescolavano in pieno concerto. Dall’operaArcadia, scritta dal Sannazzaro nel penultimo decennio del quindicesimo secolo, moltissimiletterati e pittori hanno cantato e dipinto il mito secolarizzato e sempiterno della terra perfetta, primitiva, rurale e lirica, rifugio e sogno per gli orfani del paradiso cristiano.Il paesaggio dell’Arcadia era stigmatizzato in figure archetipe, boschi, rovine, templi, grotte,che chiedevano di essere trasportate in immagini dalle mani degli artisti: il ninfeo non ebbe bisogno di entrare nel mondo d’Arcadia perché vi stava già di diritto. Nella citata GrottaGrande, gli affreschi che fanno da sfondi rappresentano un ambiente rustico, dove anche lescene del duro lavoro dei cavatori sono stemperate da altre, gremite di ninfe e pastori conflauti in un evidente clima di pace bucolica.

Presto anche il concetto di giardino, da cui già, con l’Umanesimo, la Religione era statascalzata dalla Storia, fu coinvolto nell’estetica di un antimondo pagano, dovel’idealizzazione della dimensione pastorale si andò a congiungere con l’apparato mitologicodella natura, fatto di fauni, satiri, ninfe, deità agresti o anche più elevate: sotto la guida di unmeridiano Pan, proporzione, armonia, diletto, nostalgia e bellezza s’introdussero nei giardini,in un’invenzione formale fastosa ed evocativa dove i ninfei presero posto come legittimiattori. Scriveva Pellegrino Tibaldi, intorno al 1590: “…a li giardini si facino istorie pastoraleet cose piacevoli, purché non vi sono cose disoneste; […] vi si farà antri, grotte, scaturimenti,fontane, con alcune cosse rusticale fatte de vemine, pali, et coperti di paglia. Appresso, nelligiardini, si facci grotte de toffi che distilli acqua et con varii compartitti di gusi e di cossemarittime con vari et dilettevoli sugetti e belle invenzione con belle strade coperte di terra, di

20 LEON BATTISTA ALBERTI, De Re Aedificatoria, Libro IX, cap. IV, versione a cura di Giovanni Orlandi, Edizioniil Polifilo, Milano, 1966, pag. 804.

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sortone, che fa mufa che par pello di tappeto, con verdure, helera e ortelle che stano sempreverde”21.

IL NINFEO COME TEMA RETORICO

 Nel diciassettesimo secolo, il ninfeo si era spogliato definitivamente delle connotazioni cheaveva avuto nel primo Rinascimento per divenire un corredo di maniera, una dotazione per assicurare la piacevolezza del soggiorno in villa, al pari d’altre invenzioni, quali labirinti,limonaie, ragnaie, pescaie e via dicendo.Il ninfeo era, in realtà, ancora un elemento particolarmente privilegiato, dal quale eradifficile prescindere, a causa dell’enorme rilevanza assunta dall’acqua nei giardini del tempo.Dai giardini cinquecenteschi della meraviglia, da Villa d’Este a Tivoli, a Villa Gambara poiLante a Bagnaia, al copiatissimo Pratolino, l’acqua era stata e continuava ad essere uno deglielementi più configurativi dell’architettura del verde, qualcosa che parlava della Natura con più forza e pregnanza di altri, perché era insieme materia e dissoluzione della stessa,

 possedeva del pneuma e perciò dello spirito grazie al suo stato di fluidità ed era energia chel’uomo sapeva e poteva manovrare in un modo tanto appariscente da farla divenire puntofocale delle sistemazioni.Furono quelli i tempi dell’architetto idraulico e delle sue macchine: ai ninfei ed ai loro giochid’acqua, investiti ancora una volta del ruolo di connubio fra natura e artificio, potevanoessere affidati gli episodi spettacolari dei giardini, culmine e suggello dell’opera ingegnosadi entrambi i soggetti del bipolarismo, spesso sottolineata da tutte le industriose bizzarrie già prodotte dall’uomo manierista e proseguite poi da quello barocco: gli automi, gli animalimeccanici o di pietra, i complessi congegni idraulici, le illusorie prospettive dipinte, imarchingegni per l’imitazione dei suoni naturali e faunistici in particolare. Realizzazionimirabili e scenografiche, che divennero sempre più magniloquenti durante il Seicento.Il genere del ninfeo fiorì in tutta Europa, in special modo in Francia, e produsse esempi di

alto valore architettonico, ma, in generale, come già accennato, non possedeva più rimandi ditipo simbolico se non quelli dell’autorappresentazione.La grotta del giardino di Villa Garzoni a Collodi dimostra questo passaggio. Il giardino dellaVilla costituisce un’epitome di architettura del verde seicentesca, è una di quelle opere chechiariscono il peso raggiunto dai giardini, poiché è uno di quei casi del tutto indipendentidall’edificio, sia come asse prospettico sia come ingresso, una creazione che ha in primoluogo valore di per sé e poi come complemento alla residenza.La grotta, nonostante occupi una delle posizioni nodali nella composizione, è una partedell’insieme, a cui concorre al pari delle altre, una caratteristica scontata dell’arte deigiardini.È così descritta in un documento d’anonimo, databile intorno al 1690 e conservato nel FondoArnolfini dell’Archivio di Stato di Lucca: “…il qual catro introduce in un’ampia grotta

sotterranea la maggior parte fabbricata con grand’arte e maestria, che ha il pavimento dimosaico, è tutta incrostata di tufi ed altre materie che insieme vene accozzano, ha nel suovertice un occhio simile alli sopradetti, che introduce una luce proporzionata alla qualità delluogo, intorno alla stessa sono state costruite più nicchie di grandezze differenti, con dentrostatue diverse rappresentanti una Nettuno coi cavalli marini al suo cocchio, e altre vari mostrimarini, che tutti gettano acqua; vi sono diversi scherzi d’acqua da far giuocare a piacimento,e fra gl’altri il catro, e vi sono li seditori di pietra: dalla quale grotta si passa a due stanziniche possono servire ad uso di credenza per approntarvi rinfreschi.” 

21 SIMONCINI GIORGIO (a cura di), L’architettura di Leon Battista Alberti nel commento di Pellegrino Tibaldi, DeLuca Edizioni d’Arte, Roma, 1988, pag. 185. 

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Figura 5. Prospettiva d’insieme delle terrazze del giardino progettato da Ottaviano Diodati per la Villa Garzoni aCollodi. Il giardino è costruito lungo un ripido pendio, su un asse diverso rispetto a quello della villa, in modo deltutto autonomo da quella, con tanto di cancello d’ingresso indipendente.

Figura 6. Interno della Grotta di Nettuno, posta al centro della prima terrazza.  L’ambiente, ottagonale, presentasette nicchie in cui sono collocate le statue di Nettuno e di creature del suo corteggio; il pavimento camuffa neldisegno degli scherzi d’acqua, che formano un cancello di zampilli all’entrata o una raggiera che dalla vasca di Nettuno irrora tutta la stanza. Due stanzini laterali servivano “per credenza per approntarvi rinfreschi”.

Il tema della grotta continuò a perdurare nel Settecento, sia nel senso finora descritto, masopratutto come sfondo nelle composizioni plastiche di racconti mitologici, come la fontanadi Diana e Atteone nella Reggia di Caserta; oppure poteva riapparire in interpretazionisingolari come quelle di due opere di Claude-Nicolas Ledoux, l’ingresso della Saline royaled’Arc-et-Senans (1773-1779), sviluppata poi nello schema della città ideale di Chaux e lagrotta al centro della composizione paesaggistica dell’hôtel Thélusson (1778-1781), oggi

scomparso.Entrambe, però, andrebbero ascritte, piuttosto che a rielaborazioni d’ispirazioni classiche, adun certo senso del sublime e, in specifico, la prima sia a quelle intenzioni sociali che sempre

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muovevano il suo autore sia ad un rimando morfologico delle soluzioni saline, la seconda,situata com’era nel cuore di una residenza privata dal gusto informale, a quei sentimenti preromantici che già percorrevano gli ultimi decenni del diciottesimo secolo.

Figura 7. Sezione della porta d’accesso della Salina di Chaux, acquaforte pubblicata nel 1804 da Claude-NicolasLedoux nel suo L’Architecture considérée sous le rapport de l’art, des moeurs et de la législation. 

I GIARDINI INFORMALI E LA SCOMPARSA DEL NINFEO

Con l’affermazione del modello di giardino informale, elaborato in Inghilterra, calò il sipariosull’uso del ninfeo. Non avvenne la stessa cosa per la grotta rustica, che, anzi, conobbe unnuovo auge, come elemento d’arredo del nuovo modo di concepire il verde, dove oggettiarchitettonici, presentati come più naturali possibile, concorrevano alla realizzazione discene e scorci in armonia con l’imperante estetica del sentimento.Il ninfeo come teatro architettonico non trovava posto in una composizione che dovevaapparire come creata dalla stessa natura, senza che fosse manifesto l’intervento dell’uomo,mentre l’antro, spogliato di tutti i lasciti formali manieristici e di tutte le funzioniutilitaristiche che non fossero quelle di grezzo ricetto estivo, entrò nel gioco dei finti scavi

archeologici, rovine, romitori, dei tempietti, dei padiglioni. Vi entrò già codificatodefinitivamente come manufatto selvatico ed aspro, che se rimandava a malie letterarie eranoquelle dell’Orlando furioso o dell’Orlando innamorato, se non alle auree cronache della vitadegli eremiti e con una diffusione tale che, nell’Ottocento inoltrato, ornava non soltanto igrandi parchi, ma persino i giardini delle dimore borghesi, anche quelli di piccoledimensioni, sia nelle abitazioni cittadine sia in quelle di campagna. I manuali di progettazione architettonica del tempo, rivolti ad una committenza borghese, trattano dellagrotta come di un complemento che normalmente compariva nei giardini di paese. Le realizzazioni, in genere, si conformavano ad un modello, ipogeo o no, sostanziato da un percorso diramato in collegamenti irregolari che presentavano delle aperture su scene adeffetto, interne (visuali di scuri cubicoli, anfratti, ambienti, passaggi) o esterne (squarciattraverso cui occhieggiare paesaggi pittoreschi). I corredi erano sedili ricavati nelle pareti o

elementi simili. Il tutto in rigorosa simulazione di cavità naturali per eccitare gli statiemozionali, i brividi contenuti, le facili sensazioni. Soltanto con l’Eclettismo ed il Liberty si

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 potranno ritrovare alcune composizioni spurie dove riemergeranno tratti decorativi dellinguaggio classico. 

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Figure 1-6: A NDREA MARTINI, 2006.

Figura 7: DANIEL R ABREAU,  Les grottes rayonnantes de Claude-Nicolas Ledoux, scénographie construite d’un imaginaire paysager mythologique et italo-antique, in LAPI

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Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di maggio 2006.

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