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11. Caratteristiche dei sistemi forestali di Loredana Barreca∗, Pasquale A. Marziliano*, Giuliano Menguzzato*, Luca Pelle*, Giancarlo Ruello**, Angelo Scuderi* 1. Carta di uso e copertura del suolo La situazione attuale dei boschi che caratterizzano il settore collinare e montano del territorio della Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale è, contestualmente, frutto delle condizioni ecologiche del territorio e della gestione attuata nel passato che ha determinato spesso una deviazione dalle fitocenosi originarie. Il presente studio si è posto l’obiettivo di realizzare una rappresentazione puntuale del territorio, con particolare riferimento a quello forestale, in modo da definire le linee guida per una sua corretta gestione nell’ambito di un uso sostenibile delle risorse naturali. Ciò ha portato, in primo luogo, alla realizzazione di una carta di uso e copertura del suolo in scala 1:25000 e di una serie di carte derivate che illustrano le principali caratteristiche fisiche e forestali del territorio della Comunità Montana. Gli elementi utilizzati sono stati: - ortofoto digitale a colori in scala nominale 1:10.000 (volo IT2000 del Ministero dell’Ambiente); - ortofoto digitale a colori in scala nominale 1:10.000 (volo 2006 del Ministero dell’Ambiente); - toponimi estratti dalle tavolette in scala 1:25.000 dell’IGM (Istituto Geografico Militare); - idrografia e viabilità in formato shape estratti dal DBPRIOR10K della Regione Calabria; - carta geologica in scala 1:25.000 della Cassa per il Mezzogiorno; - limite delle aree protette: ZPS (Zona di Protezione Speciale) e pSIC (proposta di Siti di Importanza Comunitaria) pubblicati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

∗ Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali (GESAF), Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria. ** Scienze e Tecnologie applicate all’Ambiente - Sezione Tecnologie innovative per la Gestione del Territorio, Università degli Studi di Siena.

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- cartografia del Parco Nazionale dell’Aspromonte messa a disposizione da parte dell’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte secondo la nuova perimetrazione in vigore dal 17 ottobre 2008; - DTM (Modello Digitale del Terreno) con dimensione del pixel di 20 m (20 x 20 m). La digitalizzazione degli elementi poligonali, lineari e puntuali è stata fatta a video. Per la definizione di bosco si è fatto riferimento alla definizione adottata dalla F.A.O. e dall’ISTAT e recentemente applicata anche nella redazione dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (CFS-ISTAT, 2005). Inoltre, è stata considerata una superficie minima cartografabile (U.M.C.) di 0,50 ha. Le diverse componenti di copertura e uso del suolo sono state discriminate utilizzando ortofoto digitali a colori (volo IT2000 e 2006). In più, per una più approfondita caratterizzazione del territorio e interpretazione dei fenomeni che lo contraddistinguono, sono state analizzate fonti storiche e documenti (piani di assestamento forestale, documentazione relativa al Parco Nazionale della Calabria – settore Aspromonte e di quello dell’Aspromonte, studi e relazioni varie relative al territorio in esame) che illustrano gli aspetti generali e le peculiarità delle foreste nel passato. Sono stati acquisiti documenti cartografici relativi all’estensione delle aree boscate (cartografia allegata ai piani di assestamento, immagini telerilevate, altri documenti cartografici più o meno recenti, ecc.). Sulla base di questi elaborati è stata verificata l’attuale superficie dei boschi, sono state ricavate notizie sulla loro composizione e su alcuni attributi strutturali (quali densità e grado di copertura). Inoltre, è stato possibile acquisire informazioni sullo sviluppo della viabilità principale e secondaria all’interno della Comunità Montana. Per quanto riguarda la caratterizzazione della struttura dei soprassuoli sono state acquisite informazioni di carattere selvicolturale e dendro-auxometrico relative alle principali tipologie forestali presenti nel territorio della Comunità Montana, indipendentemente dal tipo di proprietà. Le informazioni così acquisite hanno costituito la base per la definizione delle linee guida di gestione forestale dei boschi che ricadono nel territorio della Comunità Montana (cfr. cap.12). 2. La situazione forestale del passato Nel passato, fino alla seconda metà del XVIII secolo, anche il territorio della Comunità Montana, come del resto gran parte della Regione, era ricoperto di boschi che, proprio nella Piana di Gioia Tauro scendevano fin quasi al mare.

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Infatti, ancora nel 1830, foreste e pascoli, con esclusione dei castagneti e delle selve cedue, interessavano il 48% del territorio (Placanica, 1985). Tra la seconda metà del XVII e la prima metà del XVIII secolo, l’aumento della popolazione e l’inizio della rivoluzione industriale hanno determinato un significativo aumento della richiesta di grano che, a sua volta, ha innescato una sistematica distruzione delle foreste, perpetrata su ampie superfici, al fine di ottenere terre da coltivare. Così “s’aprì il campo al taglio di porzioni marginali del bosco, all’eliminazione dei pascoli, ai dissodamenti più o meno indiscriminati” (Placanica, 1985). In nome della granicoltura forzata, a carattere estensivo, in gran parte destinata all’esportazione verso le altre province del Regno di Napoli, l’antica Silva Brutia dei Romani ha subito un attacco concentrico che ha interessato tutta la Regione, anche se con caratteristiche differenti. Nella zona del Marchesato di Crotone e sulla Sila si è sviluppata principalmente la coltivazione dei cereali, mentre sulle Serre e sull’Aspromonte, in particolar modo sul versante tirrenico, a causa delle pendici più aderte, i territori sottratti al bosco furono destinati alla coltivazione dell’olivo. Per comprendere l’entità della trasformazione attuata nella Piana di Gioia Tauro a seguito della diffusione degli olivi si può fare riferimento allo sviluppo che ha avuto la città di Gioia Tauro passata, in pochi decenni, da piccolo villaggio quasi alle falde dell’Aspromonte (nel 1815 contava appena 314 abitanti) a una città con 6205 abitanti nel 1901. Le informazioni su quelle che erano le specie arboree presenti in queste aree prima dell’intervento, sono piuttosto limitate. Fra le specie di interesse agrario erano certamente frequenti i gelsi che alimentavano una fiorente industria della seta; c’erano piante di olivo, alberi da frutto in genere, qualche vite. Fra quelle di interesse forestale, un posto importante era occupato dalla sughera, ancor oggi presente allo stato sporadico, una presenza peraltro confermata anche dai numerosi toponimi. C’era certamente anche il leccio, seppure minoritario rispetto alla sughera, così come lungo i corsi d’acqua erano abbondanti pioppi, salici e ontani, favoriti dalla presenza di acquitrini, che probabilmente rendevano possibile anche la presenza della farnia. Con l’aumento della popolazione, a partire dall’inizio del 1800, è iniziata una radicale trasformazione del territorio basata sulla distruzione del bosco, sulla bonifica delle aree paludose e sull’impiego in massa delle specie arboree di interesse agrario, in primis olivo e castagno, che caratterizzano ancor oggi il paesaggio della pianura e della collina. “Le pendici dell’Aspromonte furono fortemente interessate dal sistematico impianto dell’oliveto, che, partendo dall’anfiteatro dispiegantesi verso ovest e nord, da Bagnara a Oppido, a Polistena, fino alle opposte groppe delle Serre, venne a dominare tutta la vasta piana di Gioia e Rosarno” (Placanica, 1985)

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che divenne tutto un mare di uliveti. Ma, osserva sempre Placanica (1985), “l’olivicoltura calabrese restò qualitativamente arretrata. […] I proprietari quasi mai si interessavano alla gestione diretta della produzione ma, concedendo in proprietà a terzi il solo frutto annata dopo annata, se ne disinteressavano del tutto”. Nel settore meridionale del territorio della Comunità Montana, al confine con quella del Versante dello Stretto, ha iniziato ad affermarsi un altro tipo di coltivazione, quella del castagno, che nelle modalità di gestione, basata su un modulo colturale che prevedeva turni brevi (4/5 anni), è rimasta unica nel panorama forestale nazionale e internazionale. Nella zona di Sant’Eufemia d’Aspromonte ha avuto una tale diffusione e ha assunto un’importanza tanto grande da costituire “l’unica impresa silvana di rilievo dell’intera regione” (Bevilacqua, 1985). Si è trattato, a tutti gli effetti, di un intervento di arboricoltura da legno ante litteram, dove gli assortimenti che si ottenevano dalla gestione dei cedui risultavano concorrenziali con i prodotti dell’agricoltura (Pasquale, 1863) e in grado di assicurare ogni anno un reddito di “un milione di lire, di cerchi, doghe e tavole legname da tratto” (Bevilacqua, 1985). Le zone più prossime ai centri abitati, poste generalmente in posizione dominante per difendere la popolazione dalla malaria, erano destinate alla coltivazione della vite, dei cereali e dei prodotti orticoli in genere, elementi indispensabili per la sopravvivenza. Spesso, per guadagnare piccoli fazzoletti di terra, veniva distrutto il bosco e per rendere possibile le coltivazioni sono state realizzate complesse sistemazioni dei terreni con terrazzamenti sostenuti da muri a secco. Solo dove le condizioni morfologiche escludevano la possibilità di sviluppo delle colture agrarie si è conservato il bosco. Un quadro dettagliato sulle condizioni dei popolamenti forestali alla fine del XIX secolo nella provincia di Reggio Calabria è stato fatto da Calabrò (1889). L’Autore, analizzando la situazione del circondario di Palmi, uno dei tre circondari in cui era divisa la Provincia di Reggio Calabria e che comprendeva trentaquattro comuni con una popolazione di 119.774 abitanti e in cui ricadeva anche il territorio dell’attuale Comunità Montana, evidenziava come il bosco di alto fusto interessasse una superficie di 12.381 ettari, di cui appena 1.232 governati a ceduo; i terreni cespugliati coprivano un’area di 143 ettari, mentre le aree nude abbracciavano 1.201 ettari. Questa stima, circa i terreni boscati, era confortata dai dati riportati dall’Ispezione Superiore di Catanzaro (13.206 ettari tra alto fusto, ceduo e terreni cespugliati), mentre c’era una grande differenza per quanto atteneva i terreni nudi che, secondo l’ufficio di Catanzaro, ammontavano a ben 8.938 ettari.

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Questi dati evidenziano la grave condizione di degrado in cui versava questo territorio, sotto l’aspetto forestale, a seguito della sconsiderata gestione del bosco. Molti comuni, spinti dalla necessità di “provvedersi di entrate straordinarie per poter formare i loro bilanci”, ottennero di “far tagli su larga scala”. […]. I boschi privati conservano apparenza di vegetazione; i comuni non hanno che macchie ineguali e qualche parvenza di bosco”. Una osservazione questa che, a distanza di quasi un secolo, si sta purtroppo riproponendo con grande intensità anche ai nostri giorni. A queste necessità si sommavano i bisogni delle popolazioni locali che per procurarsi legna da ardere e terreni da coltivare, hanno determinato gravi erosioni della superficie boscata. Secondo quanto permesso dalla legge, si tagliava l’albero fin presso il colletto o si bruciava la base e l’albero cadeva; dopo qualche tempo la scure ne faceva legna come sostanza morta. Così dal 1871 al 1880, in un decennio, è stata disboscata, con l’autorizzazione della Prefettura e del Ministero, una superficie di 2547 ettari e in un quinquennio, dal 1870 al 1874, con il taglio dei boschi comunali si è ricavata una somma di 467.027 lire (Calabrò, 1889). Nella seconda metà del XIX secolo, con l’affermarsi del processo di industrializzazione, si è determinato un forte aumento della richiesta di legname che è stata alla base della costruzione di segherie mobili che funzionavano giorno e notte, senza contare la grande diffusione che ha avuto la carbonizzazione in bosco, che in breve tempo ha provocato una radicale conversione delle faggete appenniniche. Negli stessi anni la costruzione della rete ferroviaria ha reso possibili i collegamenti anche a grandi distanze e favorito la commercializzazione del legname a seguito della riduzione dei costi del trasporto. Ciò ha accelerato lo sfruttamento dei boschi protrattosi, nel secolo scorso, fino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando con una nuova e diversa politica di industrializzazione del Paese si è determinata una significativa diminuzione delle utilizzazioni. Negli anni successivi è iniziata un’intensa attività di ricostituzione boschiva attuata nell’ambito della I e II Legge Speciale Calabria che ha consentito di effettuare rimboschimenti e interventi di ricostituzione e miglioramento dei boschi esistenti su una superficie di circa 153 mila ettari, oltre a una capillare e intensa attività di sistemazione dei corsi d’acqua e di stabilizzazione dei versanti, i cui effetti sono ancor oggi pienamente efficaci. 3. La situazione attuale Le analisi condotte confermano che il territorio della Comunità Montana risulta ripartito in parti quasi uguali tra colture agrarie e aree boscate (tab. 1 e

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2) che, assieme, interessano il 96% della superficie. Le aree urbanizzate coprono una superficie di 3,8 km2 ovvero l’1,4% della superficie complessiva del territorio oggetto di indagine. Tabella 1 - Principali macrocategorie di uso e copertura del suolo.

Macrocategorie di uso del suolo Superficie

km2 % Superfici a bosco 125,0 45,1 Aree degradate 7,9 2,8 Colture agrarie arboree 91,4 33,0 Coltivi, pascoli e aree nude 49,2 17,7 Aree urbanizzate 3,8 1,4 Totale 277,3 100

Tabella 2 - Principali categorie di uso e copertura del suolo.

Tipologia di uso e copertura del suolo Superficie

(km2) (%)

Bosco di faggio 54,05 19,46 Bosco misto faggio - abete 5,21 1,88 Bosco di abete 2,24 0,81 Rimboschimenti di pino laricio 8,95 3,22 Piantagioni di douglasia 0,15 0,05 Bosco di castagno 24,11 8,68 Bosco misto e a prevalenza di querce caducifoglie 0,46 0,17 Bosco di leccio 29,73 10,70 Area in transizione da cespuglieto a bosco 1,96 0,71 Macchia mediterranea 5,77 2,08 Oliveti 82,14 29,58 Agrumeti 9,34 3,36 Coltivi vari 23,84 8,58 Pascoli e aree nude 25,40 9,15 Centri abitati e zone a tessuto urbano diffuso 3,75 1,35 Lago 0,02 0,01 Totale 277,3 100,00

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Alle quote inferiori e fino a poco oltre i centri abitati, dominano le colture agrarie rappresentate dagli oliveti, diffusi su 82,1 km2 (30% della superficie complessiva della Comunità Montana), che costituiscono l’aspetto peculiare e più caratteristico di tutta l’area. Le piante secolari rappresentano l’emblema dell’olivicoltura tradizionale di questa terra e interessano praticamente tutti i comuni, con la sola eccezione del settore più meridionale dell’area di studio. Purtroppo, in questi ultimi anni sono oggetto di drastici interventi che mirano a ridurre l’ampiezza della chioma, soprattutto in altezza, in modo da facilitare le operazioni di coltivazione e raccolta. Questi interventi, seppure accettabili dal punto di vista produttivo, contribuiscono a modificare in modo radicale il tipico paesaggio della Piana di Gioia Tauro, così come la recente introduzione di coltivazioni specializzate di arance e kiwi (interessano una superficie di 9,3 km2, pari al 3% della superficie complessiva della Comunità Montana e al 10,2% di quella agricola). Si tratta di colture localizzate prevalentemente nelle aree pianeggianti che costeggiano i più importanti corsi d’acqua e costituiscono una realtà molto interessante - soprattutto la coltivazione del kiwi - dell’agricoltura di questa zona della Calabria. Una parte significativa del territorio destinato a colture agrarie è interessata da coltivi, pascoli e aree nude. Queste ultime due categorie di uso del suolo sono tipiche di aree interne, spesso con morfologia piuttosto difficile, dove non può essere attuata una moderna agricoltura. Alcune di queste zone caratterizzano i terreni pianeggianti tra 800 e 1000 metri s.l.m.. L’altro elemento tipico del territorio della Comunità Montana è costituito dal bosco che interessa una superficie di 125,0 km2, il 45,1% dell’area complessiva. Investe anche aree a quote modeste, a partire dalle zone immediatamente a ridosso dei centri abitati, dove severe limitazioni di ordine morfologico hanno impedito, nel passato, un uso alternativo al bosco. Le cenosi più importanti sono costituite dai boschi di leccio, presenti su ampie superfici nel settore nord-orientale della Comunità Montana, nei comuni di Molochio, Varapodio, Oppido Mamertina e Santa Cristina d’Aspromonte. Scendendo verso sud, l’area boscata si presenta più frazionata e spesso il bosco è confinato in valli profondamente incise che scendono repentinamente verso la Piana di Gioia Tauro. La degradazione della lecceta per cause antropiche (incendi, pascolo oltre i limiti tollerabili, utilizzazioni eccessive, ecc.) ha portato alla costituzione di formazioni a prevalenza di specie arbustive xerofile e xerotolleranti con sporadica presenza di piante arboree, soprattutto di leccio e, localmente, anche di sughera. Complessivamente interessano una superficie di 6,0 km2, pari a circa il 2% della superficie totale e al 4,8% di quella forestale. Le aree importanti sono concentrate nel settore centrale e nord-occidentale della

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Comunità Montana, soprattutto lungo i corsi d’acqua e dove le pendenze sono piuttosto elevate. Localmente resistono, nonostante gli incendi, frammenti di popolamenti misti di latifoglie eliofile. Si trovano prevalentemente nel settore settentrionale della Comunità Montana, nella valle del Torrente Marro, e nel vallone dei Morticini, in quello occidentale nel comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. I rimboschimenti di conifere interessano una superficie di 909,2 ettari, il 7,3% di quella forestale e il 3,3% di quella della Comunità Montana. Sono concentrati prevalentemente nel comune di Molochio attorno alla Casa Forestale, in quello di Varapodio a Piano Alati e nella testata della fiumara di Careri; nel Comune di Oppido Mamertina tra Piano Racchelli e Piano Zillastro, quindi più a sud nella zona del Sanatorio Vittorio Emanuele III, nel comune di Scido ai Piani di Iunco e, soprattutto, nei comuni di Delianuova e Cosoleto in località Pantano Grande e Piano Melia. All’estremità occidentale interessano ampie zone nel Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte nella zona di Petrulli e Monumento a Garibaldi. Alcuni rimboschimenti a prevalenza di pino marittimo si riscontrano nel vallone Iaconi e Schiavo e in alcune piccole valli vicine nel comune di Sinopoli. Il piano montano è dominato dalla presenza continua di popolamenti di faggio, localmente misti con abete e, più raramente, da tratti di abetina pura. Interessano una superficie di 97,4 km2 che a partire da circa 900 m di quota si spingono, quasi senza soluzioni di continuità, fino alle cime più elevate. Complessivamente, interessa il 77,9% della superficie boscata e il 35,1% di quella della Comunità Montana. I boschi misti faggio-abete coprono complessivamente 2,5 km2 e l’abetina pura 2,2 km2. 4. Caratteristiche dei soprassuoli forestali nel territorio della Comunità Montana Dal punto di vista forestale, il territorio della Comunità Montana è caratterizzato da popolamenti di faggio, localmente misti con abete; da tratti di abetina pura; da rimboschimenti di pino laricio e, su limitate superfici, di douglasia; da boschi di castagno, di latifoglie eliofile, di leccio, dalla macchia mediterranea. Di seguito si riporta una breve descrizione dei soprassuoli e si delineano gli interventi di gestione più opportuni, finalizzati alla rinaturalizzazione dei popolamenti, così come previsto da una gestione forestale sostenibile.

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4.1. Boschi di faggio I popolamenti di faggio caratterizzano, con continuità, tutto il settore montano del territorio della Comunità Montana e costituiscono la realtà forestale più significativa e più rappresentativa dal punto di vista ecologico-vegetazionale, selvicolturale e paesaggistico-ambientale, oltreché in termini di superficie e produzione legnosa. Si tratta prevalentemente di soprassuoli puri e solo localmente misti con abete. Coprono una superficie di 5.404,9 ettari, pari al 19,5% del territorio della Comunità Montana e al 43,2% di quella classificata come forestale. Essi costituiscono una fascia continua che, con un andamento da nord/est a sud/ovest, interessa più o meno tutti i comuni. Altimetricamente si possono riscontrare già a 450 metri di quota e salgono fino alle cime più elevate. Nelle anguste valli che scendono verso la Piana di Gioia Tauro, il faggio entra in contatto con il leccio e, in alcuni casi, si osserva anche un’inversione dei piani di vegetazione con il faggio nel fondovalle e nelle esposizioni più fresche, e il leccio nelle zone maggiormente esposte e più calde. Il 42,2% di questi boschi è posto a quote inferiori a 1100 metri, il 21,5% è compreso tra 1100 e 1300 metri s.l.m. e il restante 36,3% si trova oltre questa quota. Solo lo 0,2% delle faggete si trova oltre 1850 metri s.l.m.. Il 34% delle faggete interessa aree pianeggianti o in leggero pendio (pendenze inferiori al 20%), il 30% rientra in aree con pendenze comprese tra 21 e 40%; nel 22% dei casi i popolamenti di faggio interessano pendici con acclività comprese tra 41 e 60%, mentre il 10% delle faggete interessa versanti dove l’acclività è tra 61 e 80% e solo il 4,4% supera tale valore estremo. La maggior parte delle faggete interessa aree con esposizione nord ed est e, subordinatamente, sud. Le formazioni più interessanti sono localizzate sulle pendici di Monte Scorda e Monte Fistocchio, aree caratterizzate da condizioni climatiche particolarmente favorevoli per il faggio, con piogge e umidità dell’aria costantemente elevata durante tutto l’anno. Condizioni ancora favorevoli si riscontrano in tutta l’area, più o meno pianeggiante, che da Passo Cancelo a nord porta ai piani di Zervò e di Carmelia. In tutta quest’area la faggeta, attualmente pura, si può considerare come una deviazione, per cause antropiche, dall’originario bosco misto faggio-abete conservatosi prevalentemente in zone difficilmente agibili. Infatti, la forte richiesta di legname da opera aveva determinato l’applicazione del cosiddetto taglio borbonico (taglio raso con riserve, generalmente non più di 100 a ettaro) che ha favorito, quasi esclusivamente, la rinnovazione del faggio. Successivamente, la forte richiesta di legna da ardere e di carbone, ha stimolato l’adozione diffusa della forma di governo a ceduo. Nelle zone più

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facilmente accessibili, questa forma di governo si è largamente mantenuta fino alla metà del secolo scorso. Dopo il secondo conflitto mondiale, le utilizzazioni sono fortemente diminuite e molti di questi cedui sono stati lasciati alla libera evoluzione. Così, l’abbandono colturale ha fatto sì che questi soprassuoli assumessero un aspetto simile a quello delle fustaie. Contemporaneamente è stata favorita anche una vigorosa ridiffusione del novellame di abete. Allo stato sporadico sono presenti anche l’acero montano, il tiglio, il tasso, etc., specie che rappresentano il naturale corteggio di questi boschi. Solo localmente si sono conservate in discrete condizioni vegetative e attorno a questi esemplari si riscontrano, con una certa frequenza, nuclei di novellame molto promettenti. Dal punto di vista fitosociologico questi popolamenti recentemente sono stati attribuiti a tre diverse associazioni: (i) Anemono apenninae-Fagetum (= Aquifolium-Fagetum sensu Gentile 1969) faggeta termofila legata a un clima con marcati caratteri di oceanicità; (ii) Galio hirsuti-Fagetum, faggeta termofila legata a un clima con caratteri di oceanicità più attenuati; (iii) Campanulo trichocalycinae-Fagetum, faggeta microterma distribuita a partire da 1500/1600 metri s.l.m. fino al limite superiore del bosco (Caminiti et al., 2002). Sulla base della gestione attuata nel passato è possibile distinguere alcuni tipi strutturali, riconducibili alla: - faggeta monoplana; - faggeta bistratificata; - faggeta pluristratificata. 4.1.1. Faggeta monoplana È una tipologia largamente dominante nelle faggete che si trovano prevalentemente alle quote medio-alte. I soprassuoli presentano età di 70/90 anni, molto prossime al turno generalmente adottato nella gestione dei boschi di faggio in buone condizioni vegetative. La distribuzione sul terreno delle piante adulte/mature è sufficientemente regolare e raramente si osservano vuoti, oppure gruppi di piante eccezionalmente densi. Questa situazione determina all’interno del bosco condizioni di elevata copertura, relativamente continua sul terreno anche su superfici piuttosto ampie. Ciò favorisce la formazione all’interno del bosco di un leggero accumulo di lettiera. Difficilmente, però, questa raggiunge uno spessore significativo, in grado di ostacolare l’insediamento e l’affermazione del novellame. Il sottobosco generalmente è scarso. Nelle zone più fresche e umide è presente il pungitopo (Ruscus aculeatus L.), l’agrifoglio (Ilex aquifolium L.), l’aglio

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ursino (Alium ursinum L.) e poche altre specie erbacee. Qua e là, dove le chiome presentano delle leggere interruzioni per morte accidentale o per tagli furtivi di singole piante si notano, con una certa frequenza, gruppi di novellame di faggio e, localmente, anche di abete. Presentano chioma piuttosto rada e accrescimenti stentati a seguito delle condizioni di aduggiamento determinate dalle piante mature circostanti. Tuttavia, come l’osservazione ha ampiamente dimostrato (Ciancio et al., 1985), queste piantine, se liberate dalla concorrenza, manifestano una pronta e vigorosa ripresa dell’attività incrementale, testimoniata dalla facilità con cui riformano una chioma folta e vigorosa. Il popolamento è costituito, mediamente, da 358 piante a ettaro (soglia minima di cavallettamento di 17,5 cm). I soggetti di dimensioni ridotte, ritardati nello sviluppo, con diametro inferiore a 17,5 cm, o piante di recente affermazione, sono piuttosto rari, così come quelli di dimensioni elevate, oltre i 65 cm di diametro, identificabili come piante del vecchio ciclo, non utilizzate con i precedenti interventi (tab. 3). La distribuzione delle piante in classi di diametro presenta il tipico andamento a campana, con la moda nella classe di 40 cm di diametro e la maggior parte delle osservazioni comprese tra le classi di diametro di 30 e 45 cm (fig. 1). Tabella 3 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta monoplana. Elementi dendrometrici.

Soglia di cavallettamento

n.p. / ha Ø (cm) Hg (m) G /ha (m2) V / ha (m3)

Ø > 2,5 cm 382 38,2 25,49 39,45 565,9 Ø > 17,5 cm 358 38,7 25,64 39,01 561,6

Le piante manifestano un buon portamento, i fusti sono diritti e non presentano diametri particolarmente elevati. La ramificazione è molto contenuta e limitata solo alla parte terminale del tronco. Gli individui cresciuti in popolamenti a densità ridotta, invece, sono caratterizzati da un habitus differente. La ramificazione prevale sull’accrescimento longitudinale, la chioma è inserita in basso e tende a occupare tutto lo spazio a disposizione. I fusti sono piuttosto irregolari e svasati alla base. In tutti i casi le condizioni fitosanitarie sono buone e non ci sono evidenze di attacchi degni di nota da parte di patogeni e/o di insetti. I valori di area basimetrica e volume, rispettivamente, 39,45 m2 e 565,9 m3 ha-

1, evidenziano l’elevata capacità produttiva e le buone condizioni vegetative di questi soprassuoli.

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Figura 1 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta monoplana. Distribuzione delle piante in classi di diametro. 4.1.2. Faggeta bistratificata È una tipologia tipica dei boschi comunali nei quali le utilizzazioni sono state effettuate con una certa regolarità ed è la risultante dell’applicazione di un forte taglio di utilizzazione che ha portato all’eliminazione di oltre il 50% delle piante, generalmente quelle più belle e di maggiori dimensioni. Negli anni successivi, nonostante l’abbondante rinnovazione affermatasi dopo l’intervento, non sono state più effettuate utilizzazioni. Solo quando la rinnovazione ha raggiunto lo stadio di perticaia adulta o giovane fustaia, è stato effettuato un nuovo taglio con l’eliminazione quasi totale delle piante del vecchio ciclo. Contemporaneamente è stato effettuato anche un leggero diradamento. Prima di questo secondo intervento, il soprassuolo risultava costituito da piante mature distribuite in modo abbastanza regolare sul terreno, con un grado di copertura piuttosto limitato. Le chiome degli alberi risultano ancora distanziate fra di loro. A quote comprese tra 1200/1300 e 1800/1850 metri, gli interventi colturali attuati hanno determinato l’instaurasi di condizioni ecologiche particolarmente favorevoli per l’insediamento e l’affermazione del novellame di faggio, localmente misto con abete nelle zone più fresche. La rinnovazione è localizzata preferibilmente allo scoperto o al limite esterno dell’area di proiezione delle chiome delle piante adulte, mentre la presenza di novellame sotto copertura risulta sporadica.

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I gruppi di rinnovazione sono generalmente costituiti da un numero limitato di soggetti. Ciò determina, fin dall’inizio, condizioni di concorrenza piuttosto limitate, per cui le piante crescono rapidamente e, in genere, presentano forma discreta. Anche in seguito, la competizione risulta limitata, per cui anche la mortalità è contenuta. I soggetti più vigorosi si trovano sempre fuori dalla copertura delle piante adulte e prevalentemente al centro delle aree scoperte. L’accrescimento longitudinale risulta piuttosto sostenuto e l’ampliamento della chioma è molto contenuto. In genere, condizioni di concorrenza tali da provocare una riduzione del numero degli effettivi si registra quando le giovani piante hanno raggiunto 8/10 centimetri di diametro e 8/10 metri di altezza. La coesistenza sulla stessa superficie di piante di differenti classi di età, fa sì che il popolamento assuma una struttura chiaramente bistratificata, con uno strato dominante costituito dai soggetti del vecchio ciclo, che hanno superato il turno e non ancora sgomberati, distribuiti in modo più o meno regolare sulla superficie, che sovrastano uno strato dominato edificato dalla rinnovazione che si è affermata a seguito dell’utilizzazione. Le differenze di altezza fra i due strati tendono progressivamente a ridursi con il passare del tempo, fino ad annullarsi quasi del tutto per età prossime a quelle della scadenza del turno. La condizione di maggiore densità in cui sono cresciute le giovani piante favorisce l’allungamento dei fusti e limita l’ampliamento della chioma. Nella tabella 4 sono riportati i valori di diametro e altezza della pianta di dimensioni medie a partire da una soglia minima di cavallettamento di 2,5 e 17,5 centimetri. L’elevata differenza fra le due densità, testimonia la presenza di favorevoli condizioni ecologiche e la facilità con cui si insedia la rinnovazione, con densità del soprassuolo tali che stimolano la crescita del novellame. Il grado di copertura è sempre elevato . Tabella 4 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta bistratificata. Elementi dendrometrici.

Soglia di cavallettamento

n.p. / ha Ø (cm) Hg (m) G /ha

(m2) V / ha (m3)

Ø > 2,5 cm 529 29,0 23,09 33,47 464,1 Ø > 17,5 cm 356 34,3 24,60 31,27 442,9

La distribuzione delle piante in classi di diametro (fig. 2) evidenzia chiaramente la presenza sulla stessa superficie di due popolazioni: (i) quella costituita dalle piante del vecchio ciclo con diametri tra 40 e 70 centimetri e un massimo nella classe di 45 centimetri di diametro; (ii) quella formata dalla giovane stangaia affermatasi dopo le utilizzazioni, con diametri tra 5 e 35

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centimetri e un massimo di osservazioni nelle classi di 15 e 25 centimetri di diametro. Le piante di faggio più grosse sono in discrete/buone condizioni vegetative. Con una certa frequenza manifestano irregolarità nella zona del colletto (costolature piuttosto evidenti fino a circa un metro di altezza) e una ramificazione piuttosto robusta. I fusti non evidenziano danni o malformazioni evidenti per attacchi di patogeni o insetti. Le piante più giovani hanno la chioma inserita in alto e il diametro è generalmente contenuto. I fusti sono diritti e slanciati. Quelle che si trovano sotto copertura delle piante del vecchio ciclo presentano, in genere, dimensioni inferiori rispetto a quelle che crescono libere; la chioma è spesso asimmetrica, con leggeri segni di aduggiamento. L’area basimetrica e il volume a ettaro, così come i valori di altezza dominante e di statura, mettono in evidenza le elevate capacità produttive di questi soprassuoli. Anche in questa tipologia boschiva, il sottobosco è scarso e limitato a quelle situazioni dove, per ragioni diverse, dopo il taglio di utilizzazione, non si è insediato novellame o dove si erano creati vuoti eccessivamente ampi, prontamente occupati da rovo o da graminacee. Nelle situazioni in cui prevalgono i gruppi di novellame si osserva, con una certa frequenza, un leggerissimo strato di lettiera, mentre sotto copertura delle piante del vecchio ciclo si riscontra prevalenza di un sottile tappeto di graminacee. Nelle situazioni più fresche è spesso presente il pungitopo e l’agrifoglio.

Figura 2 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta bistratificata. Distribuzione delle piante in classi di diametro.

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Man mano che aumenta l’età delle piante e il grado di copertura cresce, c’è una certa tendenza all’accumulo di lettiera che, comunque, si mantiene entro limiti sempre piuttosto modesti. Quando il popolamento passa da una struttura bistratificata a una tendenzialmente monostratificata, le condizioni della lettiera all’interno del bosco tendono ad avvicinarsi, in modo evidente, a quelle della struttura monoplana. 4.1.3. Faggeta pluristratificata Questa tipologia strutturale è tipica delle faggete di proprietà privata e di parecchi demani comunali ed è frutto dell’applicazione nel passato del taglio a scelta (Iovino e Menguzzato, 2004), con modalità spesso diversificate in rapporto alle differenti condizioni dei soprassuoli. Negli ultimi tempi una maggiore attenzione nell’individuazione e definizione di interventi selvicolturali più appropriati per le diverse realtà e una diminuzione del pascolo, hanno consentito un significativo miglioramento della funzionalità bio-ecologica di questi sistemi forestali e attivato i processi di rinnovazione. I rilievi selvicolturali evidenziano l’elevata densità a ettaro di questi soprassuoli e la grande abbondanza di soggetti con diametro inferiore a 17,5 cm (66% delle piante a ettaro). I valori di area basimetrica e volume a ettaro, rispettivamente di 28,05 m2 e 353,4 m3, considerando una soglia minima di cavallettamento di 2,5 centimetri, e di 23,05 m2 e 306,2 m3 ha-1 per un diametro minimo di 17,5 centimetri (tab. 5), sono leggermente inferiori a quelli che si possono ritenere ottimali considerando le condizioni stazionali particolarmente favorevoli per la vegetazione forestale; essi evidenziano che, nonostante tutto, il sistema forestale sia ancora in una fase di ricostituzione. Tabella 5 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta pluristratificata. Elementi dendrometrici.

Soglia di cavallettamento

n.p. / ha Ø (cm) Hg (m) G /ha (m2) V / ha (m3)

Ø > 2,5 cm 903 19,8 19,53 28,05 353,4 Ø > 17,5 cm 397 27,1 22,53 23,05 306,2

La distribuzione in classi di diametro (fig. 3) sottolinea chiaramente questa situazione. Il campo di variazione dei diametri è tra 5 e 70 centimetri e la moda cade nella classe di 20 centimetri di diametro. Le piante di oltre 30 centimetri non sono molto numerose, fatto questo chiaramente legato alla tendenza da parte dei privati di utilizzare le piante quando hanno raggiunto 40-50 centimetri (ovvero intorno a 60-80 anni). Tali dimensioni sono

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giudicate ottimali sia in rapporto alle richieste del mercato sia perché l’abbattimento e l’esbosco risulta più agevole, soprattutto, laddove prevalgono, anche su piccole superfici, strutture caratterizzate da una alternanza di gruppi di piante di diverse età e dimensioni in rapporto agli interventi attuati nel passato. Valori troppo bassi rispetto alle condizioni della stazione rischiano di privilegiare, nella gestione del sistema bosco, quasi esclusivamente gli aspetti produttivi e finanziari. Appare, quindi, auspicabile aumentare gradualmente nel tempo i valori di area basimetrica e volume in modo da arrivare a situazioni di maggiore complessità del sistema, con effetti ancora più positivi anche sulla biodiversità nel suo complesso e sugli aspetti ecologici, paesaggistico-ambientali, ecc..

Figura 3 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Faggeta pluristratificata. Distribuzione delle piante in classi di diametro. L’utilizzazione si concretizza quasi sempre nel taglio di singole piante o di piccolissimi gruppi di 2-3 piante. Il grado di copertura del bosco trattato col taglio a scelta, risulta sempre elevato, prossimo al 100%. Nelle fasi di novelleto, la densità dei singoli gruppi non è particolarmente elevata. Ciò determina condizioni di ridotta concorrenza fra i singoli soggetti e permette loro un accrescimento vigoroso. Questo requisito si conserva nel tempo, cosicché le piante tendono a crescere in altezza e limitano l’ampliamento della chioma. I rami si mantengono sempre piuttosto sottili e seccano con una certa facilità, per cui già nella fase di stangaia, i fusti sono privi di rami per una buona parte del tronco. Ciò è favorito anche dall’assenza di interventi di diradamento.

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In questa tipologia strutturale, è molto evidente la tendenza dell’abete a rinnovarsi con grande facilità e ad invadere la faggeta, ricostituendo, almeno dal punto di vista della composizione specifica, i popolamenti che caratterizzavano queste aree prima delle utilizzazioni che hanno portato alla semplificazione strutturale rappresentata dal ceduo di faggio. L’abete si insedia, con relativa facilità, a seguito delle utilizzazioni o nei piccoli vuoti che si creano all’interno della faggeta come conseguenza di danni di origine meteorica o per tagli furtivi. Nelle situazioni più favorevoli, presenta fin dall’inizio un accrescimento sostenuto, ma spesso può sopravvivere in condizioni di aduggiamento anche per alcuni decenni e quindi prontamente riprendersi non appena tali condizioni si attenuano. Le piante di maggiori dimensioni hanno la chioma piuttosto ampia, inserita in basso, con rami abbastanza grossi. I soggetti più giovani, invece, cresciuti generalmente in gruppi relativamente densi, presentano caratteristiche nettamente migliori. I fusti sono diritti, slanciati, la ramificazione è contenuta; i rami sono sottili e inseriti in alto. Spesso hanno altezze uguali o superiori a quelle delle piante più grosse. Sotto copertura, la presenza di specie erbacee o arbustive è alquanto discontinua. Dove prevalgono gruppi di faggio piuttosto densi, il sottobosco è scarso e assume un certo sviluppo solo nei piccoli vuoti e in corrispondenza di piante con diametri elevati e chioma ampia. In questi casi prevalgono il rovo, il pungitopo e varie specie erbacee. La lettiera si decompone con facilità per cui il terreno è generalmente ricoperto dalle foglie dell’anno. 4.2. Bosco misto faggio - abete Questa tipologia boschiva oggi interessa una superficie non particolarmente ampia, concentrata soprattutto nei comuni di Santa Cristina d’Aspromonte e Sinopoli e con nuclei sparsi nei comuni di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Cosoleto, Delianuova e Scido, a quote comprese tra 950 e 1880 metri, con un massimo del 32% tra 1500 e 1700 metri s.l.m. Le aree presentano pendenze da contenute a moderatamente acclivi (26% con pendenze inferiori al 20% e il 41% compreso tra il 21 e il 40%). Aree con acclività superiore al 60% sono molto scarse, appena il 9%. Le esposizioni prevalenti sono quelle est (34%), mentre il 31 e il 24% dei boschi presenta esposizione, rispettivamente, sud e nord. Si tratta di popolamenti che nel passato assumevano indiscutibilmente una diffusione e un’importanza ben superiori a quella attuale. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, a seguito di utilizzazioni di forte intensità e su ampie superfici, i boschi misti sono stati ridotti a faggete, localmente miste con piccoli gruppi o singole piante di abete. Non mancano, però, aree limitate

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nelle quali la partecipazione dell’abete è significativamente più elevata tanto da costituire boschi misti faggio-abete. In generale, si tratta di boschi in maggioranza di proprietà privata, frutto dell’applicazione, quale forma di trattamento, del taglio a scelta, che ne ha consentito il mantenimento. Le formazioni più rappresentative sono presenti in una fascia continua, non molto ampia in termini altimetrici, che dalla località Vaccarizzo si spinge fino a Monte Fistocchio e Monte Scorda. Alcuni soprassuoli, significativi in termini di superficie, caratterizzano anche i versanti settentrionali di Monte Montalto. In alcuni casi, l’abete, favorito dalle elevate condizioni di umidità che si riscontano in alcune valli che dai Piani di Zervò scendono verso la Piana di Gioia Tauro e nel Comune di Varapodio, si spinge anche a 800 metri di quota a contatto con le formazioni di leccio. Complessivamente i popolamenti misti faggio-abete interessano una superficie di 5,21 km2, pari al 4% di quella forestale e al 2% di quella complessiva della Comunità Montana. Interessano aree con pendenze superiori al 20-25%, con esposizione prevalente est. Anche in questo caso, come nella faggeta pluristratificata, le caratteristiche generali dei boschi variano molto da zona a zona, in relazione alla gestione attuata nel passato e alle particolari condizioni ecologiche delle singole stazioni. Si passa da soprassuoli nei quali una specie prevale nettamente sull’altra, a situazioni in cui si registra un rapporto quasi paritario. Ovvero, da casi in cui una specie è rappresentata prevalentemente da piante di dimensioni medie e grosse, mentre i soggetti più giovani sono costituiti quasi esclusivamente dall’altra specie, a situazioni nelle quali il grado di mescolanza è dato da gruppi quasi puri di faggio o di abete, fra loro alternati, ma sempre di dimensioni non molto ampie (non oltre 100-200 m2 di superficie), che conferiscono al soprassuolo, nel suo complesso, la caratteristica di bosco misto, fino alle formazioni in cui il grado di mescolanza è molto più accentuato, quasi di tipo atomistico. In tutti i casi, la mescolanza per piede d’albero è un fatto abbastanza raro. In generale, i gruppi di abete tendono a essere al loro interno molto più omogenei rispetto a quelli di faggio. Elemento comune a tutti questi soprassuoli è la facilità con cui si insedia la rinnovazione di entrambe le specie non appena si apre un piccolo vuoto per cause naturali o come conseguenza di interventi di utilizzazione. L’elemento che sembra giocare un ruolo determinante nell’innescare questo processo è la superficie limitata del vuoto, corrispondente all’area d’insidenza di una singola pianta o, al più, di un piccolo gruppo di piante vicine (due/tre al massimo), tanto da costituire un tutt’uno. Un’altra caratteristica peculiare è la struttura verticale molto irregolare, con piante di differenti dimensioni mescolate fra di loro.

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I gruppi di novellame sono caratterizzati da entrambe le specie, ma con una certa prevalenza dell’una o dell’altra in rapporto alla composizione del soprassuolo circostante. Se in questo prevale il faggio, nei gruppi di novellame tenderà a prevalere l’abete e viceversa. È significativo notare, però, come le piantine della specie meno rappresentata abbiano altezze superiori. In questi popolamenti, la presenza del sottobosco non costituisce mai un problema per l’insediamento e l’affermazione della rinnovazione. Presenta caratteristiche quanto mai varie e dipende dalle condizioni della copertura arborea. Dove prevalgono gruppi di piante adulte, che comunque interessano superfici piuttosto limitate, si riscontra un leggero accumulo di lettiera indecomposta, con qualche pianta di pungitopo dove la densità non è particolarmente elevata e, nelle zone più umide, anche di agrifoglio, a situazioni con un maggiore grado di illuminazione per effetto anche della presenza di gruppi di novellame di diverse età, o per la presenza di piante riferibili a differenti stadi di sviluppo su superfici limitate, dove i processi di decomposizione della lettiera sono rapidi e si riscontrano specie tipiche delle faggete riferibili all’Asyneumati Fagetum (Gentile, 1969). Per quanto riguarda la forma dei fusti si nota una significativa differenza fra le piante del vecchio ciclo rilasciate in occasione delle varie utilizzazioni che hanno la chioma alquanto ampia, spesso inserita in basso con i rami robusti, e le piante più giovani, cresciute in gruppi non particolarmente densi, con fusti slanciati, regolari, rami sottili e chioma raccolta. In tutti i casi, le condizioni vegetative sono da (ottime) buone a discrete e non si notano evidenze di attacchi di patogeni. Il grado di copertura è sempre elevato, mentre quello di sovrapposizione è abbastanza elevato. Le analisi selvicolturali e dendrometriche confermano la grande eterogeneità dei soprassuoli. Per quanto riguarda il numero delle piante a ettaro distinte fra le due specie, le differenze risultano particolarmente evidenti considerando tutte le piante, mentre diminuiscono esaminando solo quelle di oltre 17,5 centimetri. Differenze che si riscontrano anche analizzando le singole specie. Sulla base dei rilievi effettuati, si ha che la densità media a ettaro è di 682 piante, di cui il 43% (295 piante) di faggio e il 57% (387) di abete (tab. 6). Considerando solamente le piante con diametro superiore a 17,5 centimetri di diametro, la densità si riduce a 358 piante a ettaro mentre le proporzioni fra faggio e abete, sostanzialmente rimangono le stesse: il 39% di faggio (139 piante) e il 61% (219 di abete). L’analisi dei rilievi evidenzia, inoltre, come la maggior parte delle piante con diametro tra 2,5 e 17,5 centimetri è rappresentato dal faggio (53%). La distribuzione delle piante in classi di diametro presenta un campo di variazione sufficientemente ampio, tra 5 e 70 centimetri, ma il numero delle

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piante con diametro superiore a 50 centimetri è scarso. Le piante di maggiori dimensioni sono prevalentemente quelle di abete, così come quelle che rientrano nelle classi di 20, 25 e 30 centimetri, mentre il faggio tende a prevalere nelle classi diametriche intermedie di 35, 40 e 45 centimetri, oltre che in quelle più piccole di 5 e 10 centimetri (fig. 4). Inoltre, le piante delle classi di diametro tra 20 e 45 centimetri rappresentano il 40% di tutte le piante, mentre in quelle superiori si riduce ad appena il 3%, segno evidente che, anche in questo caso, analogamente a quanto osservato nella faggeta pluristratificata, dopo una fase di forti utilizzazioni e di gravi problemi di rinnovazione legati all’esercizio del pascolo, si è di fronte a un soprassuolo in via di miglioramento, ma ancora lontano dalla condizione ottimale dove i processi di mortalità (naturale o determinati dall’uomo con le utilizzazioni) e rinnovazione procedono con una certa continuità. Le caratteristiche della pianta di dimensioni medie sono riportate nella tabella 6. L’abete presenta sempre valori leggermente superiori a quelli del faggio. Inoltre, non ci sono differenze significative fra faggio e abete, sia considerando tutte le piante sia limitandosi a quelle di oltre 17,5 centimetri. Le piante più alte di faggio raggiungono 31,60 metri, mentre quelle di abete si fermano a 27,34 metri. Tali differenze, nel tempo, sono destinate ad annullarsi dal momento che le piante di abete sono prevalentemente soggetti del vecchio ciclo rilasciati nel corso delle utilizzazioni e non si sono ancora manifestate le conseguenze dell’effetto-coltivazione dovuto alla gestione. I valori particolarmente elevati di area basimetrica e di volume, considerando le piante con diametro uguale o superiore a 17,5 centimetri confermano le elevate capacità produttive riscontrate in questi soprassuoli, con una leggera prevalenza delle piante di abete. Tabella 6 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Bosco misto faggio-abete. Elementi dendrometrici.

Soglia di cavallettamento Specie n.p. /

ha Ø (cm) Hg (m) G /ha (m2) V / ha (m3)

Ø > 2,5 cm

Abete 387 25,1 17,35 20,22 205,5

Faggio 295 26,2 21,84 13,73 187,9

Totale 682 33,95 393,4

Ø > 17,5 cm

Abete 219 34,7 20,59 19,23 199,1

Faggio 139 34,3 24,49 12,67 178,6

Totale 358 31,90 377,7

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Figura 4 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Bosco misto faggio-abete. Distribuzione delle piante in classi di diametro. 4.3. Bosco di abete È una tipologia non molto frequente e interessa una superficie di appena 223,7 ettari, particolarmente nei comuni di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Santa Cristina d’Aspromonte e Molochio. Piccoli nuclei si riscontrano anche negli altri comuni, eccezion fatta per quello di Oppido Mamertina. Le abetine interessano aree con pendenze contenute, generalmente, non superiori al 40% (78% della superficie interessata da questi soprassuoli). L’esposizione prevalente è est. Come per la faggeta, anche questa tipologia di bosco è la conseguenza di interventi antropici che hanno favorito la rinnovazione dell’abete, quasi escludendo quella di faggio. Costituisce certamente una fase transitoria verso la fustaia mista faggio-abete. Generalmente è rappresentata da gruppi di piante, di età differente, che interessano superfici non particolarmente ampie, distribuiti in modo piuttosto irregolare all’interno della fustaia mista faggio-abete. La struttura è chiaramente pluristraticata. Si tratta il più delle volte di gruppi abbastanza densi in rapporto all’età delle piante (400 piante a ettaro considerando una soglia minima di cavallettamento di 17,5 centimetri, che salgono a 500 considerando anche le piante con diametro compreso tra 2,5 e 17,5 centimetri). La distribuzione delle piante in classi di diametro presenta un andamento a cappello di carabiniere, con la moda nella classe di 30 centimetri di diametro, mentre la media cade in quella

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di 35 centimetri. Il campo di variazione dei diametri è tra 9 e 70 centimetri (fig. 5). Il sottobosco è caratterizzato dalla presenza di viola, ciclamino, edera, pungitopo, agrifoglio, geranio, rovo, ecc.. Nella tabella 7 sono indicate le caratteristiche della pianta di dimensioni medie. La distribuzione delle piante sul terreno è caratterizzata da gruppi di dimensioni piuttosto regolari al loro interno, a volte con piante delle stesse dimensioni, in altri casi con un individuo di dimensioni elevate circondato da piante di diametro inferiore.

Figura 5 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Bosco di abete. Distribuzione delle piante in classi di diametro. Tabella 7 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Bosco di abete. Elementi dendrometrici.

Soglia di cavallettamento n.p. / ha Ø (cm) Hg (m) G /ha (m2) V / ha (m3)

Ø > 2,5 cm 500 36,1 22,69 47,80 538,4

Ø > 17,5 cm 400 38,7 23,24 47,07 532,9

Le piante presentano fusto cilindrico, regolare, privo di difetti evidenti. La chioma è generalmente poco sviluppata e raccolta in alto, cosicché buona parte del tronco risulta privo di rami. Purtroppo, non sono infrequenti rami secchi lungo il tronco che cadono con una certa difficoltà.

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Le buone capacità produttive di questi soprassuoli sono confermate dai valori di area basimetrica e volume riscontrati e che ammontano, rispettivamente, a 47,80 m2 e 538 m3 ha-1. Valori che si riducono di poco considerando solo le piante con diametro uguale o superiore a 17,5 centimetri. 4.4. Bosco di castagno Si tratta quasi esclusivamente di soprassuoli governati a ceduo, a conferma della grande importanza che ormai da molto tempo assume la produzione di paleria in questo territorio, tanto da costituire uno degli elementi peculiari della Comunità Montana. Sono presenti in quasi tutti i comuni, ma assumono una particolare importanza, soprattutto, nel settore meridionale. Coprono una superficie di 23,4 km2, pari al 8% del territorio della Comunità Montana e al 19% della superficie boscata. Occupano aree facilmente agibili e la loro gestione non presenta particolari problemi dal punto di vista tecnico. La forte domanda di assortimenti riconducibili a quelli della paleria di varie dimensioni, li rende una realtà economica di estremo interesse. Sulla base di analisi effettuate in alcune aree rappresentative, è risultata una densità media a ettaro di 1500-2000 ceppaie che, nel caso di turni brevi (4/5 anni), arriva anche a 5000. I turni correntemente applicati variano da 14 a 18 anni. La capacità di rinnovazione agamica è molto sostenuta, tanto che a sette anni dalla ceduazione, si possono contare ancora 20000 polloni a ettaro. A fine turno si hanno, mediamente, 4/5000 polloni a ettaro (tab. 8), molti dei quali per l’assenza di interventi di sfollamento, hanno dimensioni piuttosto ridotte. Le capacità produttive sono estremamente sostenute: 30-35 m2 a ettaro di area basimetrica e 200-250 m3 di massa, costituita per oltre l’80% da pali per chiudenda, ginelle, vergoni o archi per serre e pali Palermo. In questa zona della Calabria, la presenza di castagneti da frutto non ha mai rivestito, anche nel passato, una grande importanza e anche oggi la presenza di piante di grandi dimensioni è un fatto abbastanza inconsueto.

Tabella 8 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Cedui di castagno. Elementi dendrometrici.

Età (anni) N° cepp. / ha

N° poll / ha Ø (cm) Hg (m) G / ha

(m2) V / ha (m3)

12 - 18 1553 5589 9,0 11,03 33,22 196,1 4.5. Rimboschimenti Si tratta di interventi realizzati in attuazione della I e II Legge Speciale Calabria, finalizzati alla ricostituzione della copertura forestale su terreni che ne erano temporaneamente privi. Per raggiungere, in tempi brevi, una pronta

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copertura e difesa del suolo contro l’azione erosiva delle piogge, sono state impiegate soprattutto conifere. Fra queste un posto di assoluto rilievo è stato riservato al pino laricio, specie che proprio in Calabria ha la sua massima diffusione. Su superfici molto limitate è stata impiegata anche la douglasia. 4.5.1. Rimboschimenti di pino laricio Questi interventi interessano una superficie di 8,9 km2, pari al 3% della superficie della Comunità Montana e al 7% di quella forestale. I soprassuoli sono costituiti da popolamenti, di limitata superficie, realizzati nel periodo compreso fra le due guerre mondiali e da rimboschimenti eseguiti nei primi decenni della seconda metà del secolo scorso. Sono stati interessati praticamente tutti i comuni. Le aree interessate si trovano a quote comprese tra 650 e 1350 m, prevalentemente presentano esposizione nord ed est. Hanno età comprese fra 35 e 70 anni. La struttura verticale è di tipo strettamente monoplano e il soprassuolo, nel complesso, si presenta abbastanza omogeneo su superfici piuttosto ampie. Nel passato sono mancati i diradamenti, per cui la densità è eccessivamente elevata, cosicché sulle file non sono infrequenti le situazioni dove sono ancora presenti quasi tutte le piante messe a dimora inizialmente. In conseguenza di ciò, le piante sono slanciate, la chioma verde è contenuta e interessa solamente la parte terminale del tronco. I rami secchi tendono a cadere con difficoltà e sul fusto sono presenti numerosi monconi. Piuttosto frequenti sono anche le piante policormiche a testimonianza di danni verificatisi in giovane età. Inoltre, i tronchi, soprattutto sul lato verso occidente, sono abbondantemente ricoperti da muschi e licheni, a testimonianza delle condizioni particolarmente elevate di umidità dell'aria. Il grado di copertura, elevato e continuo per ampie superfici, determina l'accumulo sul terreno di uno strato di aghi che, talvolta, raggiunge anche i 10 cm di spessore e l'assenza di sottobosco. Solo nelle zone dove si registra una leggera attenuazione della copertura, si ha l'affermazione diffusa di felce mista e, nelle zone più aperte, di rovi. Nel piano arboreo, in corrispondenza di piccole interruzioni e soprattutto sul lato occidentale dell'area campione, si ha anche la presenza di novellame di faggio a tratti ben sviluppato; su quello orientale di querce (leccio e roverella). La densità è sempre elevata (tab. 9) in rapporto all’età delle piante, a conferma che finora non sono stati effettuati i normali interventi di diradamento. Fatto questo che impone una grande attenzione nel momento in cui si dovrà intervenire. La distribuzione delle piante in classi di diametro segue la curva a campana tipica del bosco coetaneo (fig. 6). L’incremento

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medio annuo si mantiene sempre su valori elevati a conferma delle favorevoli condizioni della stazione e delle capacità produttive di questa specie. Sotto copertura e nelle zone ove si sono aperti dei piccoli vuoti per eventi meteorici o per furti, così come nelle zone marginali e nelle piccole chiarie, si registra una prerinnovazione di faggio e di querce (soprattutto leccio e roverella) che conferma come siano già in atto processi di rinaturalizzazione che debbono essere tempestivamente assecondati con interventi che riducano in modo molto graduale la concorrenza del pino. Localmente si riscontra anche qualche esemplare di abete e di douglasia. Tabella 9 - Comunità Montana VTM. Rimboschimenti di pino laricio. Elementi dendrometrici.

Età (anni) N° p. / ha Ø (cm) Hg (m) G / ha

(m2) V / ha (m3) Ima (m3)

25 1332 22,2 15,24 51,25 389,2 15,6

35 1542 24,8 16,49 74,97 606,8 17,3

70 851 27,7 21,25 51,20 520,10 14,9

0

5

10

15

20

25

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

Diametro a m 1.30 (cm)

Freq

%

Popolamento di 25 anni Popolamento di 35 anni Popolamento di 70 anni

Figura 6 - Comunità M VTM. Rimboschimenti di pino laricio. Distribuzione delle piante in classi di diametro in popolamenti di 25, 35 e 70 anni di età. 4.5.2. Rimboschimenti di douglasia Questa tipologia di rimboschimenti è presente solamente in 3 aree, nei comuni di Molochio e Oppido Mamertina. Complessivamente queste piantagioni interessano 0,1 km2 e lo 0,1% di quella forestale. I risultati conseguiti sono

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certamente interessanti, in quanto dimostrano la possibilità di coltivazione di questa specie che, pur essendo esotica, potrebbe rappresentare un valido strumento nella realizzazione di impianti di arboricoltura da legno su terreni marginali all’agricoltura. Si tratta di rimboschimenti eseguiti nei primi anni settanta del secolo scorso, su ex coltivi, con sesti di impianto molto fitti. Nonostante la mortalità sia stata di poco inferiore al 40%, i soprassuoli sono ancora molto densi, fatto questo che ha limitato l’accrescimento delle singole piante (tab. 10). Le produzioni sono estremamente elevate, oltre 19 m3 a ettaro e per anno di incremento medio annuo. Tabella 10 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Piantagioni di douglasia. Elementi dendrometrici.

N° piante / ha Ø (cm) Hg (m) G ,/ ha (m2) V / ha (m3) Ima

(m3) 5589 1512 22,3 58,51 676,5 19,3

La distribuzione delle piante in classi di diametro (fig. 7) presenta il classico andamento a cappello di carabiniere. I fusti sono discreti, anche se i rami secchi interessano gran parte del fusto. La chioma verde è molto piccola e raccolta in alto. Non ci sono evidenze di attacchi di patogeni e anche i danni di altra natura sono, in genere, molto limitati. Il grado di copertura è estremamente elevato per cui il terreno è ricoperto da uno strato abbastanza spesso di lettiera indecomposta. È assente anche ogni forma di sottobosco e vegetazione erbacea. 4.6. Boschi di leccio È una tipologia boschiva estremamente importante che interessa, complessivamente, il 28,6 km2 di superficie, il 10% del territorio della Comunità Montana e il 23% di quello forestale. È particolarmente presente nei comuni di Oppido Mamertina, Varapodio e Molochio. Si tratta generalmente di popolamenti puri, densi, tanto da risultare in alcune situazioni quasi impenetrabili. Il soprassuolo, in genere, è caratterizzato da piante di piccole dimensioni (fig. 8). Spesso hanno superato il turno minimo previsto dalle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale della Regione Calabria. Solo in alcune aree, caratterizzate da condizioni di umidità particolarmente elevate, si mescola localmente al faggio che tende a scendere a quote piuttosto basse, dando origine non infrequentemente anche a fenomeni di inversione dei piani di vegetazione.

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Altimetricamente si sviluppano su versanti caratterizzati da pendenze piuttosto elevate tanto che, in alcuni casi, questi boschi sono agibili con una certa difficoltà, a quote comprese tra 200 e 1100 metri. Queste difficili condizioni morfologiche hanno indiscutibilmente limitato la loro utilizzazione e contribuito, indirettamente, anche alla loro conservazione. Oggi, però, di fronte a un significativo aumento del prezzo della legna da ardere si assiste ad una forte ripresa delle utilizzazioni, effettuate anche in zone estremamente difficili e dove il principio di precauzione dovrebbe consigliare una maggiore attenzione nell’uso del territorio. Per lo più si dovrebbe guardare con maggiore interesse all’ampiezza delle tagliate e alle operazioni di esbosco, affinché la brusca esposizione del suolo agli agenti meteorici non favorisca l’innesco di fenomeni erosivi scarsamente o per nulla controllabili.

Figura 7 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Piantagioni di douglasia. Distribuzione delle piante in classi di diametro. Nel passato, la loro utilizzazione era legata principalmente alla produzione di legna da ardere e di carbone. Attualmente, di fronte ad un significativo aumento della richiesta di legname, in parte anche da mercati fuori regione, si assiste a una forte ripresa delle utilizzazioni, attuate su ampie superfici, con gravi problemi per quanto attiene, soprattutto, la difesa e conservazione del suolo, l’impatto ambientale, ect.. Sulla base di alcuni rilievi effettuati in cedui di circa 24 anni, età minima prevista dalle Prescrizioni di Massima e di Polizia

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Forestale attualmente in vigore in Calabria per la ceduazione, si possono ricavare mediamente 120÷150 m3 ha-1 di legna da ardere, con un incremento medio annuo di 5/6 m3.

Figura 8 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Ceduo di leccio. Distribuzione dei polloni in classi di diametro. 5. I vincoli ambientali nel territorio della Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale All’interno del territorio della Comunità Montana esiste un articolato sistema di aree protette, dovuto alla presenza del (i) Parco Nazionale dell’Aspromonte, (ii) di due aree IBA (International Bird Area), (iii) di una zona ZPS e (iiii) di undici aree pSIC. 5.1. Parco Nazionale dell’Aspromonte - Codice EUAP0011 È stato istituito con L. n° 305 del 28-08-89 - D.P.R. 14-01-1994. Recentemente è stata attuata una ridefinizione dei confini che hanno comportato una riduzione della superficie, pari a circa 10.000 ettari. Infatti, sono state escluse alcune aree perché destinate soprattutto a colture agrarie. La superficie complessiva del Parco attualmente ammonta a circa 66.000 ettari. Rientra nel perimetro del Parco, con percentuali comprese tra il 40% del comune di Cosoleto e il 20% di quello di Sant’Eufemia d’Aspromonte, il settore montano del territorio di tutti i comuni che fanno parte della Comunità Montana (fig. 9).

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Figura 9 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Superfici di ciascun Comune che rientrano nel Parco Nazionale dell’Aspromonte.

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La quasi totalità di queste zone è caratterizzata da boschi dominati da faggio qua e là ancora misto con abete, nonostante le forti utilizzazioni eseguite durante il secondo conflitto mondiale che hanno determinato una fortissima riduzione della presenza della conifera e la conversione di molte fustaie di faggio in ceduo. Alcuni interventi di conversione all’altofusto attuati nel passato hanno dato esiti largamente positivi. I soprassuoli transitori sono in discrete condizioni vegetative ed è ragionevole ipotizzare per il prossimo futuro ulteriori significativi miglioramenti se il processo di rinaturalizzazione verrà accompagnato da idonei interventi selvicolturali. Nelle situazioni più favorevoli, si riscontra anche una significativa ridiffusione del novellame di abete. Per una completa e sicura affermazione di questa specie sono indispensabili interventi finalizzati ad attenuare il grado di copertura e stimolare l’accrescimento delle giovani piantine. Al limite inferiore della faggeta, soprattutto in corrispondenza delle zone pianeggianti in passato utilizzate per le colture agrarie, sono presenti anche numerosi rimboschimenti di conifere, in buone condizioni vegetative. Le altre formazioni forestali, soprattutto leccete e popolamenti di latifoglie eliofile, che caratterizzano il territorio della Comunità Montana alle quote inferiori, rientrano solo marginalmente nel territorio del Parco. Sono assenti anche zone abitate di un certo interesse con l’esclusione del Sanatorio Vittorio Emanuele III ai Piani di Zervò, oltre a singole abitazioni utilizzate soprattutto durante la stagione estiva, sparse un po’ dappertutto nelle aree pianeggianti tra 800 e 1000 m di quota. 5.2. Aree IBA All’interno del territorio della Comunità Montana ricadono, parzialmente, due Important Bird Area (IBA): (i) area Costa Viola, Codice Natura 2000 IT9350300 e (ii) Parco Nazionale della Calabria, oggi Parco Nazionale dell’Aspromonte - Codice Natura 2000 IT9310069 (tab. 11). Entrambe si trovano nel settore sud/occidentale del territorio della Comunità Montana e si sovrappongono alle due ZPS (Zone di Protezione Speciale). La prima ricade interamente nel territorio del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte e interessa aree tra 600 e 1100 m sul livello del mare. Ha una superficie complessiva di 1851,53 ettari. La seconda, interessata per una superficie minore (69,81 ettari), interessa il settore meridionale dei comuni di Sinopoli e Cosoleto, limitatamente alle aree montane (tab. 12).

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Tabella 11 - Elementi caratteristici delle aree IBA.

N Codice Natura 2000 Denominazione Regione

bioecologica Superficie

(ettari)

1 IT9310069 Parco Nazionale Calabria Mediterranea 69,81

2 IT9350300 Costa Viola Mediterranea 1851,53

Tabella 12 - Superficie delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) nell’ambito dei vari comuni.

Comuni Superficie Ettari %

Sant'Eufemia d'Aspromonte 1843,45 95,95

Sinopoli 16,36 0,85 Cosoleto 61,52 3,20

5.3. Aree ZPS All’interno del territorio della Comunità Montana ricadono anche due Zone di Protezione Speciale (ZPS) che interessano il 7% della superficie e coincidono con le aree IBA, limitatamente alla superficie che ricade nella Comunità (fig. 10). Si tratta delle aree denominate, rispettivamente, Costa Viola e Parco Nazionale della Calabria. La prima vi ricade per poco più del 6% della sua area complessiva, la seconda solamente per l’1%. Il comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte è quello che presenta la maggiore superficie di ZPS nella Comunità Montana pari a poco più del 50% della sua estensione.

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Figura10 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Localizzazione delle aree ZPS.

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5.4. Aree pSIC Il sistema delle aree protette è completato dalla presenza di 11 aree pSIC (tab. 13), designate ai sensi della Direttiva 79/409/UE. Interessano complessivamente una superficie di 1772,11 ettari e ricadono in 9 comuni (tab. 14). Tabella 13 - Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC) presenti nel territorio della Comunità Montana. N° Codice Natura

2000 Denominazione del sito

Regione biologica Superficie (ha)

1 IT9350152 Piani di Zervò Mediterranea 166,61 2 IT9350155 Montalto Mediterranea 312,39 3 IT9350161 Torrente Lago Mediterranea 162,86 4 IT9350162 Torrente S. Giuseppe Mediterranea 22,90 5 IT9350164 Torrente Vasi Mediterranea 232,02 6 IT9350165 Torrente Portello Mediterranea 24,55

7 IT9350167 Valle Moio (Delianuova) Mediterranea 40,32

8 IT9350170 Scala-Lemmeni Mediterranea 52,67 9 IT9350175 Piano Abbruschiato Mediterranea 245,90

10 IT9350153 Monte Fistocchio e Scorda Mediterranea 453,62

11 IT9350151 Pantano Flumentari Mediterranea 58,28

Tabella 14- Comunità Montana Versante Tirrenico Meridionale. Superficie dei Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC) nei singoli comuni della Comunità Montana.

Comuni Superficie Ettari %

Sant'Eufemia d'Aspromonte 41,95 3,96 Sinopoli 25,58 2,42 Cosoleto 345,04 32,60 Delianuova 53,25 5,03 Scido 113,42 10,72 Santa Cristina d'Aspromonte 370,29 34,99 Oppido Mamertina 58,92 1,75 Varapodio 58,92 5,57 Molochio 31,27 2,96

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Il 60% dell’area complessiva dei pSIC rientra all’interno dei limiti amministrativi dei comuni che fanno parte della Comunità Montana, il restante 40% rientra nel demanio di comuni adiacenti a quelli della Comunità Montana. La superficie più ampia ricade nel comune di Santa Cristina d’Aspromonte con un’estensione di 370,29 ha, mentre nel comune di Oppido Mamertina è compresa la superficie più limitata, con appena 18,52 ha. Nella figura 11 è indicata la localizzazione dei pSIC. Le undici aree pSIC che ricadono nel territorio della Comunità Montana rientrano in sei delle venticinque tipologie proposte dal Ministero dell’Ambiente. E in particolare: 5.4.1. IT9350151 - Pantano Flumentari; IT9350161 - Torrente Lago Si tratta di Siti eterogenei, spesso molto differenti, per i quali, a causa dell’elevata variabilità e dell’alto numero di habitat compresi, non è possibile individuarne tipologie caratterizzanti. Tra le specie prioritarie, importanti ai fini della gestione del sito, è da ricordare la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata Lacèpéde, 1788) e l’ululone italiano (Bombina pachypus Bonaparte, 1839), anfibi elencati nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE. Altre specie importanti della flora e della fauna sono la brasca poligonifolia (Potamogeton polygonifolius Pourret), la carice dimessa (Carex tumidicarpa Anderss), punteggiata (Carex punctata Gaudin), la carice stellare (Carex stellulata L.), il centocchio rivi (Stellaria alsine) e c. minore (Anagallis minima), la cinquefoglia tormentilla (Potentilla erecta), la corrigiola litorale (Corrigiola litoralis), l’erba di San Giovanni prostrata (Hypericum humifusum), la ginestra d’Inghilterra (Genista anglica), il giunco bulboso (Juncus bulbosus), l’ontano napoletano (Alnus cordata Desf.), la rana appenninica (Rana italica Dubois, 1987), la salamandra pezzata (Salamandra salamandra Linnaeus, 1758), lo Sphagnum inundatum, il tritone italiano (Triturus italicus (Peracca, 1898)), la veronica delle paludi (Veronica scutellata L.). 5.4.2. IT9350152 - Piani di Zervò; IT9350153 - Monte Fistocchio e Monte Scorda; IT9350154 - Montalto; IT9350156 - Piano Abbruschiato I siti rientrano nella tipologia Faggeti con Abies, Taxus e Ilex. Gli habitat determinanti la tipologia sono le *Faggete degli Appennini di Taxus e Ilex (9210), le *Faggete degli Appennini di Abies alba e A. nebrodensis (9220); i *Popolamenti dell’Appennino meridionale di Abies alba (9510).

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Questo gruppo di siti forestali è caratterizzato da un insieme di habitat affini, nei quali la presenza di specie che possono essere interpretate come relitti terziari è piuttosto frequente (Taxus baccata, Ilex aquifolium, Daphne laureola). Per affinità ecologica e di distribuzione, sono comprese in questo gruppo anche le faggete con Abies alba e le abetine appenniniche. Si tratta di formazioni in cui la fisionomia, in genere, è determinata dal faggio o dall’abete. Tra le specie caratterizzanti le faggete con tasso e/o agrifoglio, possono essere citate: Acer obtusatum, Adenostyles orientalis, Allium pendulinum, Anemone apennina, Anemone trifolia, Aremonia agrimonoides, Asperula taurina, Cardamine chelidonia, Cardamine graeca, Daphne laureola, Doronicum columnae, Doronicum orientale, Geranium versicolor, Lathyrus venetus, Lilium croceum, Physospermum verticillatum, Potentilla micrantha, Ranunculus brutius e Viola alba subsp. dehnhardtii. Sono presenti, inoltre, un folto gruppo di specie endemiche e specie comunque interessanti in chiave fitogeografica: Acer lobelii, Adenostyles australis, Alnus cordata, Arisarum proboscideum, Geranium versicolor, Heptaptera angustifolia e Luzula sieberi subsp. sicula. La conservazione degli habitat presenti nei siti di questo gruppo è legata alle caratteristiche oceaniche del clima che, quando non sono evidenziabili a livello regionale, possono essere compensate da precipitazioni occulte o da suoli profondi, con buona capacità di ritenzione idrica. L’interesse che esprimono questi siti è fortemente legato alla presenza delle specie sempreverdi, Abies, Taxus e Ilex. Lo stato di salute, la diffusione e il grado di copertura delle popolazioni, unitamente alla facilità e abbondanza della rinnovazione e alla presenza di varie classi di età, costituiscono il principale indicatore di qualità dei siti. La presenza di comunità ornitiche tipicamente forestali-appenniniche, con particolare riferimento alle specie subendemiche di picidi, indica una buona qualità complessiva, insieme alla presenza di grandi e medi carnivori, che sono legati alla presenza di ambienti forestali ben conservati (lupo, martora, gatto selvatico). Le principali minacce per gli habitat d’interesse prioritario sono rappresentate da fenomeni di erosione del suolo, di acqua incanalata e di massa (frane) e, più in generale, da fenomeni di degradazione del suolo per compattazione del terreno nelle aree umide (torbiere) dovuti a calpestio, ridotta estensione di buona parte di queste fitocenosi, confinate a popolamenti relitti, a causa della gestione attuata nel passato, raccolta incontrollata di specie d’interesse comunitario (Ilex aquifolium) e di funghi, con conseguenti possibili danni per l’insediamento e l’affermazione della rinnovazione delle specie forestali.

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Altre specie importanti di Flora e Fauna presenti sono: l’abete bianco (Abies alba Mill.), l’acero napoletano (Acer neapolitanum Ten.), la camomilla montana (Anthemis montana L.), la campanula delle faggete (Campanula trichocalycina), la carice dei Nebrodi (Carlina nebrodensis), il cerfoglio selvatico (Chaerophyllum hirsutum), la digitale (Digitalis purpurea), l’epipogio (Epipogium aphyllum), l’erniaria glabra (Herniaria glabra), il ginepro (Juniperus hemisphaerica), la ginestra d’Inghilterra (Genista anglica), la lereschia (Lereschia thomasii), Limodorum brulloi Bartolo et Pulvirenti, l’osmunda regale (Osmunda regalis), la piantaggine (Plantago humilis), il pino laricio (Pinus laricio Poiret), la Soldanella calabrella, lo Sphagnum auriculatum, lo spillone biancastro (Centaurea deusta), lo spillone dei Nebrodi (Armeria nebrodensis), la viola dell’Etna (Viola aethnensis), il tasso (Taxus baccata), la farfalla apollo (Parnassius apollo Linnaeus, 1758), il driomio (Dryomys nitedula),la martora (Martes martes),la rana appenninica (Rana italica Dubois, 1987), la rana dalmatina (Rana dalmatina Bonaparte,1840), la salamandra pezzata (Salamandra salamandra Linnaeus, 1758), il topo quercino (Eliomys quercinus Linneus, 1766), la vipera (Vipera aspis Linnaeus, 1758). 5.4.3. IT9350162 - Torrente San Giuseppe; IT9350167 - Valle Moio (Delianuova) I siti rientrano nella tipologia dei faggeti e boschi misti mesofili. Gli habitat determinanti la tipologia sono le faggete ascrivibili al Luzulo-Fagetum (9110), all’Asperulo-Fagetum (9130), le foreste dei versanti e valloni del Tilio-Acerion (9180). In particolare, il gruppo include siti prevalentemente caratterizzati da faggete con affinità ecologiche e floristiche centro-europee e da boschi misti di forra con specie dei generi Tilia e Acer (*9180). E sono proprio questi ultimi a interrompere la monotonia del paesaggio delle faggete e a innalzare la qualità ambientale complessiva. Tra le specie più rappresentative, sono da ricordare: Acer pseudoplatanus, A. platanoides, Fraxinus excelsior, Tilia cordata, T. plathyphyllos e Ulmus glabra, Lunaria rediviva, e Asperula taurina. Si tratta di siti caratterizzati prevalentemente da cenosi forestali il cui interesse è legato principalmente all’eterogeneità degli habitat in cui si ritrovano. E, poiché sono contraddistinti da una elevata ricchezza di specie, soprattutto della fauna del suolo, uno degli indicatori principali per la valutazione della loro qualità è rappresentato dalla verifica della loro presenza. Presenza di stenoendemiti, di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali presenti quali la Rosalia alpina.

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Inoltre, considerata la grande varietà delle cenosi forestali, un indicatore faunistico è dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con particolare riferimento alle specie forestali di uccelli quali i picidi. Analoga valutazione può essere fatta per i mammiferi carnivori. Possibili minacce per la conservazione di questi habitat sono costituite da fenomeni localizzati di erosione idrica del suolo (incanalata e di massa, come le frane), di degradazione del suolo per compattazione in aree umide (torbiere) dovuti a calpestio, di riduzione della biodiversità a seguito di eccessive ripuliture del sottobosco, del taglio indiscriminato delle piante stramature, deperienti o secche in piedi, ecc.. Obiettivo prioritario di gestione deve essere il mantenimento o la ricostituzione della originaria complessità strutturale caratterizzante questi ecosistemi forestali. Specie prioritaria presente in questi siti è la felce bulbifera (Woodwardia radicans), riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC. Altre specie importanti sono: l’acero opalo (Acer opulifolium Chaix = A. opalus Mill.), la felce pelosa (Dryopteris affinis), il nocciolo (Corylus avellana L.), l’olmo montano (Ulmus glabra), il tiglio selvatico (Tilia cordata Mill.). 5.4.4. IT9350176 - Torrente Portello I siti rientrano nella tipologia Querceti mediterranei. Gli habitat determinanti la tipologia sono: i Retamares di Quercus suber e/o Quercus ilex (6310); i querceti xerofili dominati da Quercus pubescens (91H0); i querceti di Quercus suber (9330); quelli di Quercus ilex (9340). Questa tipologia è caratterizzata da due tipologie di boschi, riferibili a stadi vegetazionali, dinamicamente collegati. Nella maggior parte dei casi, si tratta di foreste a dominanza di leccio (Quercus ilex L.), riferibili all’ordine Quercetalia ilicis, ma anche di boschi a prevalenza di sughera (Quercus suber L.) e di formazioni aperte, assimilabili alla dehesa e al montado della Penisola Iberica (Habitat 6310). Oltre alle formazioni forestali sono compresi anche i prati terofitici e la macchia mediterranea. Quali indicatori di buono stato di conservazione si possono indicare: la capacità di rinnovamento della componente arborea (data dalla copertura delle plantule > 1% in un popolamento elementare); la ricchezza di classi diametriche (valutabili come classi di età) delle specie del genere Quercus (devono essere rappresentate diverse classi diametriche, oltre alle plantule, ciascuna con copertura superiore al 10%); la vetustà degli elementi arborei, che abbiano almeno il 10% di copertura (valutabile empiricamente dal diametro del tronco a circa 130 centimetri dal suolo, che deve essere > 40 centimetri); il grado di copertura dello strato arboreo (che deve essere > 70%).

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Un buon stato di conservazione può essere indicato anche dalla presenza di comunità animali legate ad ambienti più secchi e forestali, in particolare dai rettili. Il quadro può essere completato dalla presenza di alcuni coleotteri, tipicamente legati a essenze quercine, come Lucanus cervus e Cerambyx cerdo. Le possibili minacce sono rappresentate da episodi di erosione localizzata del suolo (idrica incanalata); da fenomeni di degradazione dovuti a compattazione e a calpestio (prati terofitici); da incendi non controllati; dal pascolo eccessivo e non regolamentato; dall’estensione piuttosto limitata delle fitocenosi. Specie prioritarie sono la felce bulbifera (Woodwardia radicans) specie riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC. Altre specie vegetali e animali importanti sono la felce pelosa (Dryopteris affinis); il nocciolo (Corylus avellana), l’ontano napoletano (Alnus cordata Desf.). 5.4.5. IT9350164 - Torrente Vasi I siti rientrano nella tipologia Vegetazione arborea igrofila. Gli habitat determinanti la tipologia sono: - 3280 - Fiumi mediterranei a flusso permanente: Paspalo-Agrostidion e filari ripari di Salix e di Populus alba; - 91B0 - Frassineti di Fraxinus angustifolia; - 91E0 - *Foreste alluvionali residue di Alnion glutinoso-incanae; - 91F0 - Boschi misti di quercia, olmo e frassino di grandi fiumi; - 92A0 - Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba; - 92B0 - Formazioni riparie di fiumi mediterranei a flusso intermittente di Rhododendron ponticum, Salix e altri; - 92D0 - Foreste riparie galleria termomediterranee (Nerio-Tamariceteae). I siti di questa tipologia sono caratterizzati principalmente dalla presenza di fitocenosi ripariali arboree, dominate da specie dei generi Salix e Populus e da altre fitocenosi forestali planiziali, comunque igrofile. Tra gli Habitat che compaiono in questo gruppo di siti vanno ricordati anche i laghi (3150) e altri corpi idrici con acqua corrente (3260, 3270). Nelle fitocenosi ripariali sono indicatori di un cattivo stato di conservazione l’elevata copertura percentuale di specie nitrofile (a esempio Urtica dioica), indicatrici di elevata presenza di sostanze chimiche, provenienti presumibilmente dalle attività colturali nei terrazzi fluviali soprastanti, e la presenza di specie esotiche sia vegetali che animali. Altri indicatori utilizzabili sono il grado di strutturazione presente nelle comunità e la loro estensione.

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Per gli Invertebrati, sono indicatori di buona qualità ambientale la presenza di estese comunità, comprendenti varie famiglie di Coleoptera (quali Carabidae, Bembidiini, Cicindelidae, segnatamente Cicindela majalis, e Staphylindae) e di altri taxa, comprendenti Araneidi ed Eterotteri. Un indicatore di cattivo stato di conservazione è la mancanza degli elementi seriali e catenali tipici di questi contesti. Il contatto diretto ed esclusivo tra bosco ripario e acqua corrente, nella maggior parte dei casi, è legato a fenomeni d’inquinamento dovuti alle pratiche colturali che si svolgono in aree agricole limitrofe. Un indice di buono stato di conservazione e di buon funzionamento ecosistemico nel sito è fornito dalla presenza di comunità ornitiche con un’elevata diversità specifica, associata a una marcata diversità della componente ittica e/o erpetologica. Tra le minacce di degrado che possono avere riflessi più diretti sugli habitat forestali di ambiente fluviale, presenti anche nelle parti alluvionali più prossime ai corsi d’acqua, si possono indicare: − le modificazioni strutturali e le alterazioni degli equilibri idrici dei bacini, che sono dovuti a processi di urbanizzazione (costruzione di strade, edifici, ponti), ad interventi di artificializzazione dell’alveo (rettificazione, arginatura, ecc.), a sbarramenti dei corsi d’acqua (processi d’erosione fluviale), alle captazioni idriche (abbassamento della falda e prosciugamento degli specchi d’acqua), all’estrazione di ghiaia e sabbia e alla complessiva modifica del regime delle portate (piene catastrofiche); - il cambiamento della qualità delle acque, dovuto allo scarico di eccessive quantità di azoto e fosforo, provenienti dalle acque reflue urbane e dalle colture agricole, all’emissione di composti organici volatili (ad esempio, CO2, H2S) e alla deposizione d’inquinanti atmosferici (ad esempio, piogge acide); - l’inquinamento e/o la salinizzazione della falda che, ad esempio, possono far regredire i popolamenti forestali in formazioni a canneto; - la diffusione di specie alloctone invadenti negli habitat forestali (ad esempio, robinia, ailanto, quercia rossa, ecc.); - la compattazione e il costipamento del terreno (da calpestio, traffico ciclistico, ecc.) nei contesti suburbani, dove gli habitat sono intensamente frequentati da visitatori; - il pericolo d’incendio. Le specie prioritarie sono: la Cordulegaster trinacriae (Waterston, 1976), un invertebrato riportato nell’Allegato II Direttiva 92/43/EEC. Altre specie importanti della flora e fauna sono: l’acero napoletano (Acer neapolitanum Ten.), l’ontano napoletano (Alnus cordata Desf.), il tiglio nostrano (Tilia platyphyllos Scop.).

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5.4.6. IT9350170 - Scala-Lemmeni Il sito rientra nella tipologia Macchia mediterranea e gli habitat che la determinano sono rappresentati dal matorral di Juniperus phoenicea (5212); matorral di Laurus nobilis (5230); formazioni basse di euforbia in prossimità delle scogliere (5320); cespuglieti termomediterranei predesertici (5330); formazioni ad Euphorbia dendroides (5331); garighe ad Ampelodesma mauritanica (5332); formazioni a Chamaerops humilis (5333); cespuglieti mediterranei predesertici (5334); ginestreti termo-mediterranei (5335); Sarcopoterium spinosa phrygana (5420); Euphorbio verbascion (5430); formazioni di Olea e Ceratonia (9320); *foreste endemiche a Juniperus ssp (9560). Questo sito, particolarmente ricco di habitat diversi che, però, mantengono una sua omogeneità, è caratterizzato da aspetti vegetazionali che rappresentano stadi dinamicamente collegati, principalmente, da macchia mediterranea, ma anche da praterie terofitiche (*6220) e da querceti mediterranei (9340). La vegetazione di macchia è riferibile all’ordine Pistacio-Rhamnetalia alaterni, ma sono frequenti anche querceti mediterranei riferibili al Quercetalia ilicis e pratelli terofitici del Thero-Brachypodietea. Relativamente presenti sono anche habitat di costa alta (1240, 1170) e di rocce con vegetazione rada (8210), oltre a ginepreti delle dune costiere (*2250) e pinete (9540). L’approccio fitosociologico e sinfitosociologico nell’analisi di queste tipologie è particolarmente utile perché consente di comprendere appieno il significato di “omogenea etereogeneità” presente. Infatti, si nota una buona diversificazione degli habitat, ma questi, nel loro insieme, mostrano un raccordo funzionale che deve essere analizzato a scala di tessera (serie di vegetazione) e di paesaggio (geosigmeto). La ricchezza cenologica della tipologia è accresciuta anche dalla presenza di habitat ripariali, prevalentemente di tipo mediterraneo (92D0, 92A0, 92C0, 3270, 3280, 3250, 3290). Elevati valori di biomassa e di complessità strutturale, così come una copertura forestale continua (>70%), sono da interpretarsi come indicatori di buono stato di conservazione. Per quanto riguarda la presenza di insetti, le specie fitofaghe caratterizzanti sono, fra i lepidotteri, Choraxes jasius e Gonepterix Cleopatra; fra gli uccelli si possono riscontrare comunità strutturate che comprendono, oltre ai passeriformi tipici della macchia, anche coraciformi, columbidi e picidi. Fra i mammiferi l’elemento caratterizzante è l’istrice (Hystrix cristata, Linneo 1758), mentre nelle regioni centro-meridionali si possono trovare in questo ambiente residue popolazioni di caprioli autoctoni appartenenti al ceppo italico.

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Figura 11 - Aree proposte quali siti di Interesse Comunitario (pSIC).

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Minacce principali sono la frammentazione degli habitat, gli incendi ripetuti che si propagano con grande facilità, il pascolo non regolamentato, la progressiva desertificazione dei suoli conseguente a fenomeni di erosione, l’aerosol marino inquinato, l’ingressione in falda di acque marine e variazioni d’uso del suolo, con prevalenza di attività turistico-ricreative. Specie prioritarie sono: l’eremita odoroso (Osmoderma eremita), un invertebrato riportato nell’Allegato II Direttiva 92/43/EEC; la magnanina (Sylvia undata), un uccello migratore abituale non citato nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE; il garofano rupicolo (Dianthus rupicola), specie indicata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/EEC. Altre specie importanti della flora e della fauna sono: il fiordaliso cicalino (Centaurea deusta), l’erucastro (Erucastrum virgatum), il limonio bruzio (Limonium brutium), il limonio della Calabria (Limonium calabrum) e il Senecio gibbosus. Dall’analisi della superficie dei singoli pSIC, limitatamente alla parte che rientra nel territorio della Comunità Montana, emerge come circa il 60% della loro superficie rientri nei limiti amministrativi dei comuni oggetto di indagine, mentre il restante 40 % ricade in comuni limitrofi (fig. 12). Il comune di Santa Cristina d’Aspromonte con una superficie di 370,29 ha comprende l’area più vasta, mentre quello di Oppido Mamertina è interessato appena da un’area di 18,52 ha.

Figura 12 - Superficie delle aree proposte come Siti di Interesse Comunitario (pSIC) e superficie totale della Comunità Montana.

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5.5. Specie animali di interesse comunitario presenti nell’area All’interno della Comunità Montana ci sono anche diverse specie animali di particolare interesse e in pericolo di estinzione (Bernini et al., 2006). Per poter programmare gli interventi più adatti per una loro salvaguardia è necessario conoscere le loro caratteristiche ed esigenze. 5.5.1. Osmoderma eremita (SCOPOLI, 1763) Specie e Areale di distribuzione: è un coleottero cetonide di taglia medio grande (25-37 mm). In Italia è presente nelle regioni settentrionali e centrali; in quelle meridionali e in Sicilia è sostituito da altre entità, molto affini, recentemente descritte. Habitat/Esigenze ecologiche: questa specie si sviluppa in un particolarissimo microhabitat, ovvero all’interno di grosse cavità di vecchi alberi, per lo più salici, querce, castagno e faggio, ma anche platano, pioppi, olmi, aceri, e altre latifoglie. Pertanto, si rinviene in formazioni boschive mature, in filari di vecchi alberi e anche in parchi cittadini, per lo più in ambiente collinare e montano, fino a circa 1000 m di altitudine. Le larve di questa specie si nutrono entro ammassi di rosura di legno sedimentati nelle cavità di vecchi alberi. Gli adulti compaiono nella tarda primavera o all’inizio dell’estate. Dopo l’accoppiamento, le femmine depongono all’interno delle cavità una trentina di grosse uova. Lo sviluppo larvale procede di norma per tre anni. Le larve mature, prima di impuparsi, costruiscono una sorta di bozzolo costituito da escrementi e residui legnosi compattati. Conservazione: per la conservazione della specie è opportuno rilasciare le piante morte o senescenti che costituiscono il substrato alimentare e il luogo dove vivono e si sviluppano le larve, nelle formazioni forestali utilizzate dalla specie deve essere mantenuto un quantitativo base di necromassa. 5.5.2. Salamandra pezzata (Salamandra salamandra LINNAEUS, 1758) Specie e Areale di distribuzione: le popolazioni a sud delle Alpi Liguri appartengono alla sottospecie gigliolii endemica dell’Italia peninsulare (Salamandra salamandra gigliolii EILSET & LANZA, 1956). In Italia è diffusa dall’arco alpino lungo tutta la penisola fino alla Calabria; si rinviene con una certa continuità su tutto l’arco alpino e, con una certa discontinuità, sull’Appennino centrale, mentre risulta ben distribuita nei settori montani di Campania e Calabria.

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Habitat/Esigenze ecologiche: è una specie legata agli habitat forestali, in particolare frequenta le faggete e altre formazioni mesofile evitando i boschi puri di conifere. È presente nei boschi con abbondante lettiera di foglie, nella quale ricerca gli invertebrati di cui si nutre. Dal punto di vista microclimatico si localizza di preferenza nelle stazioni caratterizzate da elevati tassi di umidità e precipitazione, quali versanti freschi e ombrosi e impluvi, in prossimità di corpi idrici. Questi ultimi, con acque fresche e limpide (pozze di ruscelli, torrenti, stagni, risorgive e raccolte d’acqua artificiali) sono gli ambienti utilizzati nel periodo primaverile per la deposizione delle uova. Le larve si nutrono di piccoli invertebrati acquatici e sono a loro volta predate da invertebrati carnivori (Tricotteri, Gambero di fiume ecc.) e da alcuni Vertebrati (Salmonidi, serpenti del genere Natrix, ecc.). Lo sviluppo larvale ha una durata molto variabile ed è compreso tra uno e sei mesi; lo svernamento può avere luogo anche allo stadio larvale. Conservazione: la specie è danneggiata dall’alterazione delle zone adatte al ciclo vitale, per gli incendi e il taglio indiscriminato dei boschi e dall’alterazione di vario tipo dei corpi idrici in cui si riproduce; l’inquinamento, l’introduzione di Pesci carnivori, in particolare Salmonidi sono fattori da evitare. Vista la diffusione della specie non sono necessarie ulteriori misure di conservazione. 5.5.3. Ululone appenninico (Bombina pachypus BONAPARTE, 1838) Specie e Areale di distribuzione: l’ululone appenninico è una specie endemica italiana distribuita dalla Liguria centrale sino all’Aspromonte. Sull’Appennino Calabro raggiunge il limite altitudinale massimo. Habitat/Esigenze ecologiche: vive in zone con copertura boschiva di latifoglie o in aree aperte con vegetazione naturale, in genere, a breve distanza dai corpi idrici. Si riproduce in raccolte d’acqua di piccole dimensioni e poco profonde, quali pozze temporanee o permanenti, pozze di ruscelli, torrenti, stagni e raccolte d’acqua artificiali. Le larve sono onnivore, potendosi cibare sia di vegetali che di piccoli organismi acquatici. Gli adulti sono voraci predatori di invertebrati che possono essere catturati anche in acqua. Conservazione: uno dei principali fattori di rischio per la specie, oltre alla distruzione degli habitat, è costituito dalla scomparsa dei pantani o delle pozze, utilizzate per la riproduzione, a causa di captazione o drenaggio. Questi interventi possono portare all’estinzione di popolazioni locali. Oltre al rispetto di tali indicazioni non sono necessarie ulteriori misure.

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5.5.4. Rana agile (Rana dalmatina BONAPARTE, 1840) Specie e Areale di distribuzione: presente in tutta l’Italia continentale, ben distribuita sull’Appennino calabro. Habitat/Esigenze ecologiche: è la più terragnola delle rane rosse, si incontra anche in luoghi distanti dai laghi e dai fiumi, spesso si insedia nei boschi misti e di latifoglie, ma popola anche le rive erbose dei fiumi e dei fossati. I siti riproduttivi sono costituiti da acque lentiche in ambienti planiziali, mentre in ambiente appenninico utilizza le pozze laterali dei torrenti. Conservazione: tra le cause di minaccia della specie sono da segnalare in primo luogo la compromissione degli ambienti in cui vive e si riproduce e l’introduzione di specie ittiche alloctone. Vista la diffusione della specie non sono necessarie ulteriori misure di conservazione. 5.5.5. Rana appenninica (Rana italica DUBOIS, 1987) Specie e Areale di distribuzione: presente dalla Liguria centrale alla Calabria, con una maggiore frequenza sul versante tirrenico dell’Appennino. Habitat/Esigenze ecologiche: si incontra in prossimità dei corsi d’acqua, torrenti e ruscelli, che scorrono all’interno di boschi misti di latifoglie e soprattutto faggete. I siti riproduttivi sono localizzati nei tratti di torrente a corrente debole, dove ancora, ai tronchi sommersi o alle rocce, due-tre ovature con 150-200 uova ciascuna. Conservazione: tra le cause di minaccia della specie sono da segnalare in primo luogo la compromissione degli ambienti in cui vive e si riproduce e l’introduzione di specie ittiche alloctone. Vista la diffusione della specie non sono necessarie ulteriori misure di conservazione. 5.5.6. Ramarro occidentale (Lacerta bilineata DAUDIN, 1802) Specie e Areale di distribuzione: presente su tutto il territorio nazionale. Habitat/Esigenze ecologiche: il ramarro è una specie ubiquista e termofila che predilige le fasce ecotonali con esposizione soleggiata e i versanti rocciosi nei pressi di campi, roveti, terrapieni, filari di siepi. Si nutre di invertebrati, frutti, uova e non esita a predare piccoli roditori e nidiacei di uccelli. Si arrampica e caccia sulla vegetazione densa che usa anche per termoregolarsi. Conservazione: per la conservazione di questa specie è utile la creazione di habitat ecotonali, radure e la costituzione di mucchi di rocce nelle scarpate o nelle radure.

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5.5.7. Lucertola muraiola (Podarcis muralis LAURENTI, 1768) Specie e Areale di distribuzione: la lucertola muraiola è ben distribuita nell’Italia settentrionale e centrale mentre nell’Italia meridionale presenta una distribuzione discontinua, prevalentemente montana. Habitat/Esigenze ecologiche: occupa una gran varietà di ambienti, rispetto a Podarcis sicula, con la quale vive in simpatria, preferisce microhabitat con maggiore umidità e talvolta coperti da fitta vegetazione. La lucertola muraiola mostra notevole adattamento alla vita arboricola. Conservazione: in ambienti forestali non esistono particolari preoccupazioni per la conservazione della specie. 5.5.8. Lucertola campestre (Podarcis sicula RAFINESQUE, 1810) Specie e Areale di distribuzione: presente e comune in tutta l’Italia peninsulare, isole minori comprese. Habitat/Esigenze ecologiche: si rinviene in una grande varietà di ambienti con preferenza per quelli aridi, quali muri, pietraie e anche su tronchi d’albero. La lucertola campestre può essere ritenuta il lacertide mediterraneo con maggiore capacità di propagazione e di adattamento ad ambienti anche estremamente diversi fra loro. Conservazione: la specie è comune in tutto l’areale di distribuzione ed al momento non presenta particolari problemi di conservazione. 5.5.9. Colubro liscio (Coronella austriaca LAURENTI, 1768) Specie e Areale di distribuzione: in Calabria è segnalata esclusivamente al di sopra dei 750 m. s/m, su tutti i sistemi montuosi. Habitat/Esigenze ecologiche: predilige aree meso-termofile dove diviene frequente in zone ecotonali e in ambienti asciutti, con coltivi e pascoli xerici, pietraie o manufatti. La specie è ovovivipara, partorisce i piccoli tra agosto e settembre. Conservazione: la specie è comune in tutto l’areale di distribuzione ed al momento non presenta particolari problemi di conservazione. 5.5.10. Saettone comune (Elaphe longissima LAURENTI, 1768) Specie e Areale di distribuzione: recentemente il genere Elaphe è stato suddiviso sulla base di dati morfologici e molecolari. Il Saettone comune è una specie endemica dell’Italia meridionale e della Sicilia, viene attribuita al genere Zamenis specie lineatus. Comune nell’area di distribuzione.

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Habitat/Esigenze ecologiche: di solito abita in zone aride come boschi soleggiati e asciutti, nella vegetazione cespugliosa ecc.; anche su vecchi muri e ruderi e su mucchi di fieno; è semi-arboricolo. In provincia di Reggio Calabria è stato segnalato dal livello del mare sino a 1955 m. s/m. Si nutre principalmente di piccoli mammiferi (specialmente topi e arvicole) che vengono soffocati tra le spire, e uccelli, specialmente nidiacei. I giovani predano spesso lucertole. Conservazione: l’unica minaccia per la specie è la distruzione dell’habitat in cui vive. Vista la diffusione della specie non sono necessarie misure di conservazione specifiche. 5.5.11. Biacco (Hierophis viridiflavus FITZINGER, 1843) Specie e Areale di distribuzione: la specie è distribuita pressoché ovunque, si tratta di una delle specie di rettili più comune. Habitat/Esigenze ecologiche: il biacco è una specie diurna e prevalentemente terricola ed è reperibile in una grande varietà di ambienti. Abita i luoghi aridi e assolati, le pietraie, i muretti a secco e le aree rocciose ma anche gli ambienti ricchi di vegetazione, le zone coltivate e le pertinenze fluviali. Il biacco si nutre di una grande varietà di animali: lucertole e piccoli roditori sono tra le più comuni, ma di tanto in tanto integra la sua dieta con nidiacei, uova di volatili e, talvolta, anche pesci. Le sue discrete dimensioni gli consentono di attaccare anche prede di grandezza considerevole, quali ratti, ramarri, orbettini e persino vipere. Conservazione: non presenta particolari problemi di conservazione. Vista la diffusione della specie non sono necessarie misure di conservazione specifiche. 5.5.12. Vipera comune (Vipera aspis LINNAEUS, 1758) Specie e Areale di distribuzione: la sottospecie hugyi, presente anche nel territorio calabrese, a seguito di una revisione dello status tassonomico di tutte la sottospecie del genere Vipera aspis (Zuffi, 2000), viene considerata specie utilea. La diffusione della specie sul territorio nazionale è relativamente costante, comune nelle zone montano-collinari. Habitat/Esigenze ecologiche: tale specie frequenta di preferenza tutti gli ambienti ben soleggiati: zone retrodunali costiere, aree collinari con incolti e coltivi, pascoli sub montani o montani, zone cespugliate e radure di boschi. La vipera si nutre soprattutto di piccoli mammiferi, come topi di campagna o toporagno ma, talvolta, ripiega su lucertole, uccelletti e grossi insetti.

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Partorisce in genere cinque-sei piccoli che maturano intorno ai due-tre anni di età. Conservazione: non presenta particolari problemi di conservazione. Vista la diffusione della specie non sono necessarie misure di conservazione specifiche. 5.5.13. Driomio (Dryomys nitedula PALLAS, 1779) Specie e Areale di distribuzione: il Driomio è un roditore appartenente alla famiglia dei Gliridi, è presente in Calabria con la sottospecie Dryomys nitedula aspromontis (VON LEHMANN, 1964). L’areale italiano della specie è circoscritto alle Alpi orientali e ad alcune località dell’Appennino Calabrese quali Aspromonte e Pollino. Habitat/Esigenze ecologiche: vive nei boschi di latifoglie e misti del piano montano. Si tratta di una specie schiva ed elusiva, estremamente difficile da osservare in natura: questa caratteristica rende assai problematico stabilirne con certezza la presenza. Come gli altri Gliridi italiani, è una specie ibernante. Nelle località più settentrionali l’ibernazione ha luogo da ottobre a maggio, mentre non si hanno notizie su quanto avviene nelle località dell’Italia meridionale. Conservazione: nonostante le notizie sulla distribuzione e sullo stato delle popolazioni siano piuttosto frammentarie, il Driomio appare abbondante nella parte settentrionale del suo areale italiano, mentre nessuna informazione è disponibile per quanto riguarda le popolazioni dell’Italia meridionale. La conservazione dei sistemi forestali ed una corretta gestione degli stessi sono misure sufficienti a garantire la presenza di tale specie. 5.5.14. Lupo (Canis lupus LINNAEUS,1758) Specie e Areale di distribuzione: è uno dei carnivori di maggiori dimensioni presente sul territorio nazionale con una popolazione di circa 500 individui. L’intera popolazione italiana appartiene alla sottospecie nominale. È specie a vasta distribuzione, originariamente presente in Nord America, in Eurasia e gran parte della Penisola Arabica e della Penisola Indiana. In Europa la specie ha mostrato un marcato declino, che ha causato l’estinzione di diverse popolazioni. In Italia dagli anni ’70, è seguita un’espansione dell’areale che ha portato la specie ad occupare tutta la fascia appenninica dalla Calabria alle Alpi marittime ed alcune aree delle Alpi occidentali. Habitat/Esigenze ecologiche: la specie frequenta habitat vari, dalla tundra ai deserti, alle foreste di pianura e di montagna. In Italia la specie predilige le aree con densa copertura forestale collinari e montane. È specie con abitudini

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prevalentemente notturne, che vive in branchi composti da un numero variabile di individui (2-7 in Italia) dediti alle attività di caccia, di allevamento prole e di difesa del territorio (in Italia in media esteso 150-250 Km2). Si riproduce tra gennaio e febbraio. La specie ha alimentazione piuttosto varia che comprende prevalentemente Ungulati selvatici (in prevalenza cinghiale e capriolo, ma anche cervo e muflone) e secondariamente domestici (in particolare ovini) con presenza di piccoli mammiferi, lepre, frutta, con proporzioni molto variabili secondo la disponibilità e la stagione. Conservazione: in Italia la specie ha subito, negli ultimi 20 anni, un incremento delle popolazioni (dai 100 individui di inizio anni ’70 alla stima dei 400-500 attuali) e di areale. Nonostante tale situazione, la specie continua ad essere minacciata a causa dell’alto numero di individui abbattuti illegalmente (all’incirca il 15-20% della popolazione all’anno), dalla frammentazione dell’habitat e dal randagismo canino. Per la conservazione del Lupo è necessario attuare serie politiche di repressione del bracconaggio. Allo stesso tempo è importante avviare delle campagne di sensibilizzazione al fine di sfatare i luoghi comuni e di cambiare la mentalità collettiva nei confronti di questo predatore. - Riferimenti bibliografici Bevilacqua P. (1985). Uomini, terre, economie. In “La Calabria” (a cura di

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