100 anni di Salgari - Sito ufficiale della Regione Piemonte · 100 anni di Salgari PARCHI PARCHI...

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.353/2003 - art. 1, comma 1 - n. 4 anno XXVI - Editore Regione Piemonte - p.zza Castello 165 - Torino MONDI VICINI SGUARDI LONTANI IN COPERTINA 100 anni di Salgari PARCHI PARCHI 204 Aprile 2011

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MONDI VICINI E SGUARDI LONTANICon questo numero lascio la direzione di Piemonte Parchi all’ingegner Enzo Gino.Ringrazio la Regione Piemonte per l’opportunità professionale e ringrazio conaffetto la redazione della rivista, che mi ha sostenuto per oltre tre anni in unlavoro corale di progettazione e di cura. Infine saluto i lettori che ci hanno seguito e apprezzato, senza i quali nessungiornale avrebbe motivo di esistere.La fine del mio impegno coincide con due anniversari: i 150 anni dell’Unitàd’Italia e i 100 anni dalla morte di Emilio Salgari. Ne approfitto per suggerireuna riflessione ispirata ai temi e alla storia di questa rivista.Anche Salgari visse il fervore per i festeggiamenti dell’Unità nazionale – erapassato mezzo secolo – e non nascose il suo scetticismo verso l’onnipotenzadella tecnica: «Uomo dell’Ottocento che non si lascia abbagliare dagli idolidella falsa modernità – scrive Ernesto Ferrero –, Salgari ama e rispetta laNatura molto più degli esseri umani. Il Progresso non lo attira e non loesalta: a lui interessano le virtù basilari». Fu in parte profeta perché di lì a treanni la retorica modernista sfociò nell’abominio della Grande Guerra, e inparte fu, appunto, un uomo dell’Ottocento, che preferiva affidarsi alle antichecertezze – le leggi naturali, il confronto e lo scontro ad armi pari – piuttostoche all’incognita di invenzioni tanto miracolose quanto ambigue e sfuggenti.Cento anni dopo il messaggio di Salgari torna paradossalmente attuale,perché il Novecento si è nutrito proprio di quelle incertezze che luirifuggiva. La tecnologia ha affrontato e risolto problemi enormi creandonealtri di segno e grandezza opposta – devastazioni ambientali, mutamenticlimatici, crisi energetica –, questioni ambigue e parzialmente sfuggenti comelui aveva previsto. Quella Natura che Salgari eleggeva a baluardo eticocontro l’ingovernabilità del “progresso”, oggi si presenta come unicoriferimento certo per un progresso durevole, capace di conciliare il benedella specie umana con quello delle altre specie e con la sopravvivenza delPianeta. Ecco la funzione dei parchi naturali: sperimentare la conciliazione edestenderla in ogni dove.C’è un altro insegnamento salgariano che ci interroga con stupefacenteattualità, ed è quel suo vivere nel piccolo e sognare in grande. Credo cheavrebbe condiviso lo slogan della testata Piemonte Parchi: “Mondi vicini esguardi lontani”. La prospettiva dello scrittore veronese, che all’inizio del Novecento potevaessere letta e derisa come una semplice fuga nella fantasia, si offre al nostrotempo virtuale e globale in cui è diventato molto facile viaggiare e moltodifficile sognare. I luoghi si assomigliano, le immagini appiattiscono la realtà,sembra di essere già stati dappertutto. Come a suo modo insegnava Salgari,abbiamo un gran bisogno di rileggere il piccolo con le lenti “grandi”dell’immaginazione, della geografia, della letteratura e della scienza. Ecco lo sforzo di questa rivista: raccontare il Piemonte ai cittadini delmondo e spiegare il mondo ai piemontesi.

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LE VIRTÙ DI SANDOKANDopo aver letto qualche libro scritto da Salgari, viene spontaneo chiedersiche rapporto c’è fra gli ambienti ed i personaggi esotici descritti da Salgàrinei suoi libri e la realtà torinese. Come sia potuto accadere che chi non hamai visto l’India o il Far West, ma ha invece abitato in corso Casale, abbiapotuto rappresentare nei suoi libri storie di quei paesi lontani? Emilio visse in anni in cui le potenze in Europa si spartivano l’Africa in zoned’influenza dando il via alla terza colonizzazione inglese che consolidava anche la propria presenza in Asia e Australia. I benestanti, in Europa, in quellache venne poi chiamata la Belle Epoque, facevano la fila davanti ai teatri per applaudire nella sua nuova stesura, dopo il fiasco iniziale, Madame Butterflye nelle proprie case in stile Art Nuveau non mancavano di mettere in bellavista oggetti “coloniali” provenienti dall’estremo oriente.Erano gli effetti della prima forma di globalizzazione, avvenuta attraverso il colonialismo. Si incrementarono i commerci e gli scambi fra l’Europa e l’estremo oriente e con essi la circolazione delle persone, che portava con sé anche le notizie, la conoscenza e spesso le suggestioni di luoghi e culture lontane. Salgari fu evidentemente coinvolto dai racconti di quelle terre e più di altri li seppe tradurre nelle storie che tutti oggi conosciamo. È uno dei tanti effetti prodotti dalla intraprendenza commerciale che hacontribuito oltre che a portare l’Italia, sia pur tra tanti errori, a conquistareun suo ruolo fra le grandi nazioni del mondo, anche a sviluppare unaconoscenza che superava i limiti della conservazione e del provincialismomisurandosi con vicende e culture lontane sia geograficamente checulturalmente. È un effetto che ancora oggi non si è esaurito. Superate le pause delle grandiguerre, ed i protezionismi la globalizzazione continua ancora oggi più forteche mai, cambiando rapporti, culture, produzioni. E qui un altro merito del “nostro” scrittore. Non si è limitato a descriverepassivamente mondi nuovi; attraverso i suoi racconti ed i suoi personaggi, dal più famoso, Sandokan ai vari corsari Nero, Verde e Rosso ha insegnato a schiere di giovani che il coraggio, la lealtà, la giustizia, sono le virtù da seguire. Poco importa se fanno spesso fatica ad affermarsi, poco importa se alla finec’è sempre un “cinico editore” che ci costringerà alla semi-povertà comeaccadde a lui, ciò che importa è tenere vive queste virtù che continuino a suggestionare schiere di giovani lettori che prima di fare i conti con la durarealtà siano convinti che un altro mondo può esistere. I personaggi di Salgàricome quelli di Saint Exupery, o di Calvino per passare ai personaggi dei fumetti come Tex Willer, Spider Man, Batman, e tanti altri immaginarieroi ce lo hanno fatto sognare. Ci spiegano che anche se il mondo cambia, con la necessità di globalizzare,delocalizzate, smaterializzare su scala planetaria, i valori ed i principi degliuomini restano sempre quelli.

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TORINOBosco del Vaj, Collina di Superga Via Alessandria, 2 - 10090 Castagneto Po TO tel. e fax 011 912462 La Mandria, Collina di Rivoli, Madonna della Neve sul Monte Lera, Ponte del Diavolo,Stura di Lanzo Viale Carlo Emanuele II, 256 - 10078 Venaria Reale TO tel. 011 4993311 fax 011 4594352 Gran Bosco di Salbertrand Via Fransuà Fontan, 1 - 10050 Salbertrand TO tel. 0122 854720 fax 0122 854421 Laghi di Avigliana Via Monte Pirchiriano, 54 - 10051 Avigliana TO tel. 011 9313000 fax 011 9328055 Monti Pelati e Torre Cives, Sacro Montedi Belmonte, Vauda Corso Massimo d’Azeglio, 216 - 10081 Castellamonte TO tel. 0124 510605 fax 0124 514463 Orsiera Rocciavrè, Orrido di Chianocco, Orrido di Foresto Via S. Rocco, 2 - Fraz. Foresto - 10053 Bussoleno TO tel. 0122 47064 fax 0122 48383 Po (tratto torinese) Corso Trieste, 98 - 10024 Moncalieri TO tel. 011 64880 fax 011 643218 StupinigiVia Magellano 1 - 10128 Torinotel. e fax 011 5681650 Val Troncea Via della Pineta - La Rua - 10060 Pragelato TO tel. e fax 0122 78849

VERBANO-CUSIO-OSSOLAAlpe Veglia e Alpe Devero, Alta Valle Antrona Viale Pieri, 27 - 28868 Varzo VB tel. 0324 72572 fax 0324 72790 Sacro Monte Calvario di Domodossola Borgata S. Monte Calvario, 5 - 28845 Domodossola VBtel. 0324 241976 fax 0324 247749 Sacro Monte della SS. Trinità di Ghiffa Via SS. Trinità, 48 - 28823 Ghiffa VB tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLIAlta Valsesia Corso Roma, 35 - 13019 Varallo VC tel. e fax 0163 54680 Bosco delle Sorti della Partecipanza Corso Vercelli, 3 - 13039 Trino VC tel. 0161 828642 fax 0161 805515 Garzaia di Carisio, Garzaia di Villarboit,Isolone di Oldenico, Lame del Sesia, Palude di Casalbeltrame Via XX Settembre, 12 - 13030 Albano Vercellese VC tel. 0161 73112 fax 0161 73311 Monte Fenera Fraz. Fenera Annunziata - 13011 Borgosesia VC tel. e fax 0163 209356 Sacro Monte di Varallo Loc. Sacro Monte Piazza Basilica - 13019 Varallo VC tel. 0163 53938 fax 0163 54047

PARCHI NAZIONALIGran Paradiso Via Della Rocca, 47 - 10123 Torino tel. 011 8606211 fax 011 8121305 Val Grande Villa Biraghi, piazza Pretorio, 6 - 28805 Vogogna VB tel. 0324 87540 fax 0324 878573

AREE PROTETTE D’INTERESSE PROVINCIALELago di Candia, Monte Tre-Denti e Freidour,Monte San Giorgio, Conca Cialancia, Stagno di Oulx, Colle del Lys c/soProvincia di Torino - c.so Inghilterra 7/9 - 10138 Torinotel. 011 8616254 / Fax 011 8616477

REGIONE PIEMONTEASSESSORATO COMMERCIO E FIERE,PARCHI E AREE PROTETTE Assessore William Casoni DIREZIONE AMBIENTE Direttore Salvatore De GiorgioVia Principe Amedeo, 17 - 10123 TorinoSETTORE PARCHIResponsabile Giovanni Assandrivia Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 4323524 fax 011 4324759/5397

AREE PROTETTE REGIONALIALESSANDRIABosco delle Sorti La Communa c/o Comune, Piazza Vitt. Veneto - 15016 Cassine AL tel. e fax 0144 715151 Capanne di Marcarolo Via Umberto I, 32 A - 15060 Bosio AL tel. e fax 0143 684777 Po (tratto vercellese-alessandrino)Fontana Gigante, Palude S. Genuario, Torrente OrbaPiazza Giovanni XXIII, 6 - 15048 Valenza AL tel. 0131 927555 fax 0131 927721 Sacro Monte di Crea Cascina Valperone, 1 - 15020 Ponzano Monferrato AL tel. 0141 927120 fax 0141 927800

ASTIRocchetta Tanaro, Valle Andona, Valle Botto e Val Grande, Val Sarmassa Via S. Martino, 5 - 14100 AT tel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLA Baragge, Bessa, Brich di Zumagliae Mont Prevé Via Crosa, 1 - 13882 Cerrione BI tel. 015 677276 fax 015 2587904 Burcina Cascina Emilia - 13814 Pollone BI tel. 015 2563007 fax 015 2563 914 Sacro Monte di Oropa c/o Santuario, Via Santuario di Oropa, 480 -13900 BI tel. 015 25551203 fax 015 25551209

CUNEO Alpi Marittime, Juniperus Phoenicea di Rocca,S. Giovanni-Saben Piazza Regina Elena, 30 - 12010 Valdieri CN tel. 0171 97397 fax 0171 97542 Alta Valle Pesio e Tanaro, AugustaBagiennorum, Ciciu del Villar, Oasi di CravaMorozzo, Sorgenti del Belbo Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio CN tel. 0171 734021 fax 0171 735166 Boschi e Rocche del Roero c/o Comune, Piazza Marconi 8 - 12040 SommarivaPerno CN tel. 0172 46021 fax 0172 46658 Gesso e Stura c/o Comune Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo tel. 0171 444501 fax 0171 602669 Po (tratto cuneese), Rocca di Cavour Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo CN tel. 0175 46505 fax 0175 43710

NOVARABosco Solivo, Canneti di Dormelletto, FondoToce, Lagoni di Mercurago Via Gattico, 6 - 28040 Mercurago di Arona NO tel. 0322 240239 fax 0322 237916 Colle della Torre di Buccione, Monte Mesma,Sacro Monte di Orta Via Sacro Monte - 28016 Orta S. Giulio NO tel. 0322 911960 fax 0322 905654 Valle del Ticino Villa Picchetta - 28062 Cameri NO tel. 0321 517706 fax 0321 517707

PIEMONTE PARCHI Anno XXVI - N° 4Editore Regione Piemonte – p.zza Castello 165 – Torino

Direzione e Redazione via Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 432 5761 fax 011 432 5919 e-mail: [email protected]

Direttore responsabileEnrico CamanniComitato di direzioneEnrico Camanni, Gianluca Castro, Massimiliano PaneroVice direttoreEnrico Massone CaporedattoreEmanuela Celona Redazione Toni Farina, Loredana Matonti, Aldo Molino, Mauro PiantaHanno collaborato a questo numero:C. Bordese, S. Camanni, S. Della Casa, F. Chiaretta, C. Dutto,B. Gambarotta, E. Giacobino, C. Grande, C. Insalaco, A. Jona, E. Ferrero, G. Tesio, G. ValenteFotografiG. Airola, A. Bee, F. Chiaretta, G. Colombo/ISA, T. Farina, C. Insalaco, L. Matonti, A. Molino, G. Valente, Realy Easy Star,Contrasto, Photomoovie, arc. MRSNT, arc. LIPU Asti, arc. Canottieri Caprera, www.tipsiages.itDisegni F. Cecchin, C. GirardMappe e Grafici S. ChiantorePromozione e iniziative specialiSimonetta AvigdorSegreteria amministrativaGigliola Di Tonno Segreteria di redazioneLoredana Matonti (orario mart-giov dalle 10 alle 12.30 e dalle 14 alle 16.30) Arretrati e copie omaggioAngela Eugenia, tel. 011 4323273 fax 011 [email protected] Guide territorialiToni FarinaPiemonte Parchi WebMauro Pianta – www.piemonteparchiweb.itPiemonte Parchi Web JuniorLoredana Matonti www.piemonteparchiweb.it/juniorBiblioteca Aree ProtetteMauro Beltramone, Paola Sartori - tel. 011 4323185 L’editore è disponibile per eventuali aventi diritto per fonti iconografiche nonindividuate. Riproduzione anche parziale di testi, immagini e disegni è vietatasalvo autorizzazione dell’editore. Testi e fotografie non richiesti non sirestituiscono e per gli stessi non è dovuto alcun compenso.Registrazione tribunale di Torino n. 3624 del 10.2.1986Stampa: stampato su carta FSCGrafica, impaginazione, stampa e distribuzione Satiz Srl – Torino

In copertina: Lo sguardo di una tigre (foto A. Bee)

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AREE PROTETTE IN PIEMONTE

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«SCRIVERE È VIAGGIARESENZA LA SECCATURADEI BAGAGLI»

EMILIO SALGARI (1862-1911)

EDITORIALIMONDI VICINI E SGUARDI LONTANI di Enrico Camanni

LE VIRTÙ DI SANDOKAN 1dell'Assessore ai parchi della Regione Piemonte

100 ANNI DI SALGARI E LA NATURA SI FA ROMANZO 6di Ernesto Ferrero

L’AVVENTURA DI UN UOMO LIBERO 9di Carlo Grande

ESAGERATI MA CREDIBILI 12di Gianni Valente

IL REALISMO FANTASTICO 14di Alberto Jona

SALGARI SUPERSTAR 17di Steve Della Casa

SUI SENTIERI SALGARIANI 20di Furio Chiaretta

FOCUS PARCO PO TORINESE 24di Toni Farina, Giovanni Tesio, Cristina Insalaco

NATURA PROTETTATIGLIOLE, IL CENTRO RECUPERO FAUNA SELVATICA 34di Aldo Molino

TERRITORIOGLI “SPIANTATI” DI CASTELLETTO 37di Loredana Matonti e Aldo Molino

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BANDHAVGARH NATIONAL PARK, INDIA

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MOMPRACEM100 ANNI DOPO

La tendenza più significativa che si registra da alcuni anni è quelladell’ecoturismo, un nuovo tipo di business legato agli animaliselvatici, soprattutto nelle areetropicali. Non il classico safari a bordo di jeep, ma un vero e proprio pedinamento degliesemplari avvistati, con conseguenze,in termini di perdite annue,paragonabili a quelle del bracconaggio.Nel 2010 i principali parchi di Indiae Sud-Est asiatico hanno ospitatoquasi cinquantamila visitatoriciascuno, giunti per immortalaretigri, chital (specie di cervi asiatici) o dhole (cani rossi selvatici) allostato brado. Il governo indiano si sta muovendo per limitare la frenetica costruzione di villaggituristici nelle vicinanze delle areeprotette, responsabili delladistruzione dell’ecosistema naturalee della fuga delle potenziali prededelle tigri, ma le resistenze postedalle lobby del settore bloccanoqualunque attività di salvaguardia.

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100 ANNI DI SALGARI

Salgari è un uomodell’Ottocento che non si lascia abbagliare dai falsimiti del Progresso:preferisce la natura e le virtù del coraggio e della lealtà. Oggi sarebbe un ambientalista arrabbiato

E LA NATURA SI FA ROMANZO

La sera del Capodanno 1910 il gior-nalista napoletano Antonio Casulligiunse a Torino per intervistare l’ido-lo della sua adolescenza, EmilioSalgari, cui nel 1897 la ReginaMargherita aveva conferito la crocedi Cavaliere perché aveva saputo“istruire dilettando” i fanciulli italiani,e non solo loro. Con la tramvia cheportava a Chivasso, Casulli arrivò fi-no al Ponte di Sassi. Lo scrittore abi-tava in un villino disadorno, di pochepretese, svuotato d’energie dopo unforsennato lavoro trentennale, spa-ventato dalla cecità incombente. Si sentiva escluso da un mondo chelo considerava un fenomeno da ba-raccone, e non era disposto a ricono-scergli lo status di vero scrittore. Sua moglie Ida, da lui detta Aida inomaggio all’eroina verdiana, spiegòal giornalista che erano andati a starelì per via dell’aria buona che scende-va da Superga. Lui confermò che lacampagna gli era sempre piaciuta,sin da quando i suoi l’avevano spedi-

Ernesto Ferrero

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Qui sopra, un ritratto di Salgari con il suo cane. Nella pagina a fianco: Salgari ritrattoda Alberto della Valle nel 1904 circa; lo scrittore con la famiglia nel giardino dellavilletta nei pressi della Madonna del Pilone; nella foto piccola, la madre di Salgari,Luigia Gradara (foto Realy Easy Star). In ultima pagina, la morte di Salgari in unarticolo di cronaca tratto dall’archivio storico de La Stampa

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to a balia sulle colline di Valpolicella,dove tentava avventurose navigazio-ni in torrenti e canali a bordo di unabrenta o di una zattera costruita allapeggio. L’acqua era un altro dei suoigrandi amori. Malgrado fosse statobocciato all’Istituto Nautico diVenezia, si presentava come capitanodi lungo corso e raccontava di viaggiavventurosi negli oceani. Se, lasciato il giornalismo per viveredei suoi romanzi, si era trasferito aTorino, non era solo perché la cittàera allora una capitale editoriale equi poteva trovare un lavoro stabile:il Po gli ricordava l’Adige di gioven-tù, prima che lo ingabbiassero in altimuraglioni dopo la disastrosa allu-vione del 1882. Alla Madonna del Pilone lanatura era ancora incontami-nata. Con i loro fumi sporchi,le fabbriche di automobili(ne nasceva una alla settima-na) erano altrove: in precolli-na, in Vanchiglia, a borgoSan Paolo.Il cavaliere amava passeg-giare sull’argine, sempre av-volto nell’impermeabilegiallino e nel fumo dellesue sigarette, dove la suafertile immaginazione nonaveva difficoltà a trasforma-re nelle giungle del Borneoplatani, pioppi, frassini erobinie che crescevano di-sordinate. Accanto al Po correva ilcanale Michelotti, che raccoglieva leacque della collina (fu davvero in-sensato interrarlo con i detriti del ri-facimento di via Roma in epoca fasci-sta). In mezzo al fiume c’era l’isoladetta “dei conigli”, che per i ragazzirappresentava una meta favolosa eambitissima, ad onta dei divieti deigenitori: una prova di coraggio. Sullerive si muovevano barcaioli, cavatoridi ghiaia, pescatori, lavandaie, chepoi stendevano nei prati vicini le lorolenzuola che sbattevano al vento co-me vele. Nelle piole (“Stella d’oro”,“Sebastopoli”) e nelle bocciofile sibeveva gagliardamente e si cantavain libertà fino a notte fonda. Il borgoospitava rinomati ristoranti, ed eradiventato una meta di buongustai: ci

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Ernesto Ferrero, Premio Strega 2000 con N.e direttore del Salone del libro di Torino, hadedicato a Emilio Salgari un romanzo biogra-fico, Disegnare il vento. L’ultimo viaggio delcapitano Salgari, uscito il 5 aprile da Einaudiin occasione del centenario della scomparsadello scrittore veronese.

i botanici, che non sapevano bene inquale famiglia iscriverla. Così per luisono rimaste le piante: divinità im-prevedibili, da avvicinare con defe-rente e sospettoso rispetto, semprepronte a tendere agguati, rare voltesoccorrevoli e protettive. Uomo dell’Ottocento che non si la-scia abbagliare dagli idoli della falsamodernità, ama e rispetta la Naturamolto più degli esseri umani. Il Progresso non lo attira e non loesalta: a lui interessano le virtù ba-silari, il coraggio, la lealtà, la fedel-tà, non i nuovi marchingegni, di cuifiuta la pericolosità. Dice che quelladell’automobile è una tecnologiarozza, puzzolente, rumorosa, peri-colosa: non arriverà a fine secolo.Allora meglio l’elettricità, che alme-no è silenziosa: ma anche quella cirenderà nevrotici, ansiosi: elettrici,appunto. Non gli piacciono i padi-glioni smisurati della grandeEsposizione Universale che si stannocostruendo al Valentino per festeg-giare cinquant’anni dell’Unità d’Italia.Si suicida proprio due giorni primadella solenne inaugurazione.Per aprirsi il ventre e poi le vene delcollo con un rasoio, come un samu-rai, sceglie un ambiente che è il con-trario della città: il bosco della colli-na di Val San Martino dove andavain pic-nic con i bambini. Cento annidopo, sarebbe stato un ambientalistaaccanito e arrabbiato, un MauroCorona senza canottiera e bandana.Altro che il solitario dimenticato del-la Madonna del Pilone: sarebbe di-ventato un eroe mediatico, le tvavrebbero fatto a gara per ospitarlo.Me lo vedo duettare con Licia Colò,con Fabio Fazio, arringare le follecon Beppe Grillo. Ma lo preferiscocosì, a passeggio sulle rive del fiu-me, prigioniero dei mondi avventu-rosi che lui stesso aveva creato, malibero nella forza trascinante dellasua scrittura.

faceva bel frescoanche d’estate. In quell’ambientedi canali, mulinie acque placidelo scrittore cerca-va di medicarestanchezze e de-pressioni. Ogni tanto prova-va a pescare anchelui, sempre conl’aria di chi avevacat turato ton ni ebarracuda, ma conscarso successo.Per non tornare acasa a mani vuo-te, passava dalmercato e i pescili trovava lì suibanchetti. A casa ridevano:miracolo, il mareera arrivato a To -rino! La domenicaportava i bambini afare scampagnate emerende; qualchevolta lasciavano ilfiume per la collina. C’è rimasto l’elencodei cibi che allieta-vano il cestino deiSalgari: frit tatine, pe-sci marinati, uova,sarsèt… Erano an-che gite d’istruzione. Il cavalieresembrava conoscere gli usi e i costu-mi d’ogni pianta, a partire dal nomebotanico (un’abitudine che avevapreso dalla madre, una veneziana al-legra che non aveva niente delle “pa-turnie” dei Salgari).Naturalmente trasformava platani epioppi in baniàn e paletuvieri, invi-tando i bambini a non farsi sorpren-dere da tigri, elefanti e bisonti che sinascondevano nella folta vegetazio-ne. Lui l’esotico andava a scovarlo inbiblioteca. Riempiva centinaia dischede con le caratteristiche di piantee animali, poi lasciava cadere queinomi magici nel racconto, quasi connoncuranza, coinvolgendo il lettorenella magia di suoni incantatori. Chipuò sottrarsi al profumo esaltante del

mussenda, dellosciambaga, del na-gatampo? Chi puònegare il sapore in-dicibile della polpadel duriòn?Non importa chel’autore storpi oadatti secondo lesue convenienze inomi delle specieesotiche che de-scrive: l’aperturadi credito che illettore gli conce-de è totale, un at-to di complicità. Nei suoi romanzila scintilla del-l’emozione scattadall’incontro tral’enfasi retorica eteatrale dei dia-loghi con l’accu-ratezza della ri-costruzione am-bientale, che infondo è la veraprotagonista deiromanzi. La Natura salga-riana è costrettaobbedire al se-gno della di-smisura: tutto èfuori scala, gi-gantesco, im-

mane, il più delle volte minaccioso.Vi sono piante che avvelenano soloa dormici sotto. Tutto nasce, proba-bilmente, con l’emozione suscitatanel Salgari diciottenne da una pic-cola mostra che accompagna ilCongresso geografico internaziona-le di Venezia. Nel padiglione delle Indie olandesi ilragazzo si incanta davanti a una ri-produzione della Rafflesia gigante: ilfiore più grande e più brutto delmondo, un parassita rossiccio con lepicchiettature bianche della veleno-sissima Amanita, un grosso imbutocome quello dei fonografi, senza fo-glie né radici, che puzza di carneavariata, impiega mesi per giungerea maturazione e poi appassisce incapo a una settimana. Un rebus, per

100 ANNI DI SALGARI

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L’AVVENTURA DI UNUOMO LIBEROCarlo Grande UUomini, animali, eroi, terre lontane:

se è vero, come dice la Yourcenar,che ogni storia è rappresentata dapiccole isole nell’oceano del dicibile,i libri di Salgari (anzi, Salgàri, stanteche il nome deriva da un termine chein veneto significa “salice”), disegna-no un arcipelago vastissimo, che nonsi può contrarre in pochi temi comeil razzismo dell’autore, il suo stile o ilsuo anti-imperialismo.Ne è convinta Eloisa Del Giudice, gio-

vane studiosa e traduttrice allaSorbona, che sta trasponen-

do in francese La bohè-me italiana, romanzo

salgariano piuttostoraro (edito inItalia da Lubrina),

il solo, nellastermi nataproduzione

dello scrittore,non legato all’eso-tismo. Si tratta di

un libro autobiogra-fico, nel quale sono rie-

vocati i giorni lontani espensierati della giovi-nezza, quando insiemea un gruppo di artisti e

letterati bohémien l’auto-re andò in campagna a

fondare una colonia

Criticato dagli inglesi per il suo anti-imperialismo e dagli indiani per il sarcasmo sulla lororeligione, fu davvero un romanziere scomodo

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da destra e da sinistra, dagli inglesiperché li definiva sfruttatori, dagliindiani perché non risparmiava lo-ro, in modo particolare con i dialo-ghi tra Sandokan e Tremal-Naik,frecciate sarcastiche a proposito direligione. Sono “creduloni”, dice,per i loro infantili sacrifici (comequelli delle capre in onore di Kalì).Sandokan e Tremal-Naik sorridonodella visione della fine del mondoche hanno gli indù: Vishnù chescende sulla terra su un cavallobianco, e impugnando una spadafiammeggiante stermina tutti gli uo-mini empi e purifica la terra daogni male. Concetti non molto di-versi da quelli dell’Apocalisse diGiovanni.Sarebbe criticato anche dagli am-bientalisti, oggi: sono frequentissi-me le scene di caccia in cui gli ani-mali vengono dipinti come ferocis-simi e sempre pronti ad attaccarel’uomo. Il rinoceronte è dotato diforza bruta ed è senza cervello:merita, come la tigre, di esseresterminato. Ma le simpatie diSalgàri, in genere, vanno ai più de-boli. Dalle sue righe traspaiono

artistica, la “Topaia”.Alcuni artisti scapi-gliati passavano iltempo a ordire scher-zi, apparizioni dispettri per evitare dipagare la pigione, ascolarsi fiumi di bar-bera e grappini, trafeste chiassose e“sconcerti” assordanti.«Salgari è uno scrittoreall’avanguardia – spie-ga Eloisa Del Giudice– poco diffuso nel mondo anglosas-sone perché anti-imperialista. Ebbegrande successo nel mondo ispano-fono: molti adulti lo conoscono e loamano, sono gli stessi che ora cerca-no per i loro figli su Amazon la tra-duzione in inglese delle Tigri diMompracem, uscita negli Stati Unitisolo nel 2003. Nel Regno UnitoSalgàri non è mai stato tradotto, menche meno in una lingua indiana; e loè poco anche in Francia. È più vivala tradizione di Jules Verne e dei suoilibri d’avventura. Salgàri, mentre l’im-pero britannico era nella sua massi-ma espansione, parlava troppo di in-digeni, inoltre la patria per lui eraqualcosa che si sceglie. La principes-sa che sposa Sandokan dice:«Mompracem è la nostra patria». Gliinglesi storcevano il naso perché alcentro del racconto non c’era un ma-schio caucasico ma un principe loca-le e popolazioni indigene, i “Tigrotti

100 ANNI DI SALGARI

della Malesia”. A proposito di tigrotti:gli animali sono una colonna portan-te della narrativa di Salgàri, dal puntodi vista sia lessicale che dell’intreccio.Gli studiosi hanno sottolineato adesempio i molti “suoni” del regnoanimale riferiti agli uomini: certunisbuffano come foche, altri tuonanocome muggiti di cammello, o urlanocome coguari, fremono come orsi. E le spade “sibilano come serpenti”. Di più: i personaggi salgariani, scriveMichele Mari in I demoni e la pastasfoglia (Cavallo di ferro), costituisco-

no essi stessi unafamiglia ferina:spesso sono cru-deli come fiere,anzi, in fondo so-no bestie toutcourt: Sandokanè una tigre,Tremal- Naik unserpente… Sonospietati, diceMari, come glieroi dei we-stern, nei quali«essere “buo-no” significasolo avere unapreventiva ra-gione (perlo-

più un torto da vendicare) dopodi-ché si può, anzi si deve essere san-guinari come i “cattivi”».L’esuberanza semantica, lessicale enarrativa di Salgàri – che lo rendeun colorato, sensuale, caotico e mu-sicale anticipatore di “Bollywood” –gli attira molte critiche: i malesi“con le teste di scimmia” verrannoemendati nella traduzione inglesedel 2003, una tendenza alla “disin-fettazione” della narrativa purtrop-po molto attuale come è avvenutoper Mark Twain, nella traduzionedel quale, ha recentemente segna-lato il NY Times, si è abolito il ter-mine “nigger”, “negro”, che avevaperfetta motivazione in quel pe-riodo. Sarebbe stata una buona oc-casione per spiegare la temperierazzista dell’epoca, contro cui lostesso scrittore lottava. In realtàSalgàri era una persona libera: co-me capita spesso venne bastonato

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l’ammirazione e l’appoggio moralealla lotta dei ribelli indiani controgli inglesi. Esalta il coraggio dei ri-voltosi indiani, simbolo dell’anti-colonialismo, combattenti per la li-bertà. Insomma, si può esseregrandi artisti benché un po’ politi-camente scorretti: «Salgàri – ribadi-sce Eloisa Del Giudice – resta unautore fondante per l’educazionedei bambini: non rappresenta ungenere minore, ma il puro piacereper l’avventura, essenziale anchenella vita adulta. Salgari è l’artistadell’inverosimile, con le sue av-venture impensabili ci abitua a nonavere limiti mentali. Se Verne è unorefice, una mente esatta, Salgàri èun grande disinibitore, è uno stra-ordinario esaltatore della creativi-tà». Pericoloso, dunque, pericolo-sissimo, allora come oggi, per ilpotere costituito.

Carlo Grande, torinese, è scrittore, sceneggiatoree giornalista de La Stampa. Già direttore responsa-bile della rivista di Italia Nostra, ha scritto numerosiromanzi. Sul sito de La Stampa cura un blog dedi-cato alla creatività: www.lastampa.it/grande

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Nella pagina accanto: Eloisa Del Giudice, giovane studiosa che sta trasponendo in francese La bohème italiana, romanzo salgariano piuttosto raro. In questa pagina, sopra copertina del libroLe tigri di Mompracem della Viglongo Editore di Torino; sotto, disegno giovanile di Emilio Salgariraffigurante i tughs in azione: nell’esploratore vittima degli strangolatori par di riconoscere un autoritratto del “nostro” pittore autodidatta

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GLI ANIMALI DI SALGARI

Magari non c’è il puro rigore scientifico, ma le pagine dedicate dallo scrittore agli animaliesotici sono precise e dettagliate

ESAGERATI MA CREDIBILIGianni Valente

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tenzione è attratta da curiose luci in-termittenti che si muovono lentamen-te tra gli alberi. I miei amici cubani, di-vertiti dal mio stupore, gridano alle-gramente “le cucujo, le cucujo” e conmolta delicatezza prendono in manoalcuni di questi insetti. Sembrano del-

le lucciole giganti con due luci chenell'oscurità della notte appaionopiuttosto forti. Mentre le osservo inte-ressato e cerco di filmarle, qualcosacomincia a girare nella mia mente, unricordo dapprima molto confuso chepoi lentamente si focalizza sulle mieletture da ragazzo e in particolare sul-le epiche avventure del Corsaro Neronelle foreste del Sud America. Tornato a casa mi metto a rileggere iromanzi del ciclo dei corsari e in ef-fetti ritrovo proprio l'episodio checercavo: gli eroi di Salgari, duranteuna marcia forzata di notte nella fore-sta amazzonica, catturano alcune cu-cujo e le legano delicatamente allecaviglie in modo che funzionino co-me due fanali. Poi lo scrittore fa unadigressione scientifica sui più aggior-nati studi a proposito del funziona-mento chimico e fisiologico di questiorgani luminosi. Questo esempio rispecchia bene, amio avviso, l'approccio di Salgari aglianimali e il ruolo che questi ebberonei suoi romanzi. In realtà sarebbepiù corretto parlare di ruoli, al plura-le, dato che gli animali sono presen-tati con varie sfaccettature ben diver-se tra loro. Infatti da un lato danno ri-lievo alle avventure dei personaggiperché con la loro stranezza o con laloro ferocia esaltano il pathos del-l'azione. Dall’altra però sono i prota-gonisti di pagine didattiche nelle qua-li Salgari fornisce informazioni abba-stanza dettagliate e precise, come nelcaso appunto delle “cucujo”. Certomanca del tutto il rigore scientifico emolte descrizioni fanno sorridere chiha un po' di dimestichezza con gliaspetti faunistici. Però è indubbio chele descrizioni degli animali di Salgarifornirono una pur vaga informazione

Qui sopra, uno dei tanti epici scontri tra i personaggi di Salgari e le tigri. Nella pagina a fianco, dall’alto in basso:l'armadillo cui è dedicata un'ampiadescrizione nel Corsaro Nero; il babirussache è un buon banchetto per Sandokane i suoi compagni; l'elefante indiano, altroformidabile avversario con cui devonoconfrontarsi gli eroi di Salgari; il bradipoche attirò la curiosità dell’autore per lasua stranezza (foto G. Valente)

SSiamo in cammino alla periferia diGuantanamo, città cubana tristementefamosa per la presenza del carcereamericano. Stiamo tornando da unacena tra amici ed è buio, la notte calapresto e in fretta ai tropici. Mentre at-traversiamo un boschetto, la nostra at-

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attraverso i racconti e i disegni deiprimi viaggiatori.

Così queste frammentarie edepiche informazioni non fa-cevano che stimolare la cu-riosità e l'interesse di granparte della società, senza to-

glierne l’alone di mistero e difascino. In quegli anni, probabil-

mente, il solo nome diMalesia, Assam, Caraibi era ingrado di suscitare forti emo-

zioni, almeno nei ragazzie nelle persone più sen-sibili al gusto dell'av-ventura. Salgari dunque

a più di una generazione diragazzi che non avevanomolti altri strumenti per co-noscere la fauna esotica. E,al di là di una notevole esa-gerazione sulla ferocia e sul-la forza, le nozioni fornitesono fondamentalmente giu-ste, dimostrando che il no-stro scrittore svolse ricercheabbastanza accurate e ap-profondite. Personalmenteho apprezzato di più le de-scrizioni salgariane della fau-na dopo avere letto Il vec-chio che leggeva romanzi diamore, il romanzo diSepulveda ambientato nellaforesta amazzonica. Lo scrit-tore sudamericano, pur vi-vendo ai giorni nostri eavendo quindi una disponi-bilità molto maggiore di in-formazioni, ha infarcito ilsuo romanzo con una seriedi strafalcioni naturalisticidavvero notevole.Ma ritorniamo a Salgari. C'è una coincidenza di dateche mi ha molto colpito. Ilsuo primo romanzo Le tigridi Mompracem compare apuntate nel 1883, lo stessoanno in cui Stevenson pub-blica uno dei più famosi libridi avventure per ragazzi,L’isola del Tesoro, am-bientato nei Caraibi.La coincidenza nonmi sembra casuale,ma è probabil-mente dovuta alfatto che queglianni rappresen-tarono veramen-te l'epoca d'oroper gli scrittori dilibri di avventurein paesi lontani. Erainfatti un momen-to storico in cuiquasi tutto il mon-do veniva esplora-to, ma molte re-gioni erano co-nosciute dapoco e solo

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assaporò a pieni polmonil'atmosfera esotica che tra-spariva dagli scritti e dai di-segni dell'epoca e seppemirabilmente trasferirla neisuoi romanzi. Oggi la situa-zione è ben diversa, ogniagenzia di viaggio proponeofferte stracciate per tra-scorrere una settimana sullespiagge dei Caraibi o dellaThailandia, mentre la televi-sione mostra quotidiana-mente le immagini degli an-goli più remoti della terra. Ecosì il mistero e la magiadelle terre lontane stannoscomparendo, come puregli scrittori capaci di presen-tare un quadro così efficaceed evocativo dell'atmosferadelle Sundarbans, la selvag-gia regione indiana alle focidel Gange.«Dite al molango che vivenelle Sundarbans, sfidandoil colera e la peste, le febbrie il veleno di quell'aria im-pestata, di entrare in quellejungle ed egli, al pari delbengalese, si rifiuterà. Il bengalese e il molangonon hanno torto: inoltrarsiin quelle jungle è andare in-contro alla morte. Infatti là,in quegli ammassi di spine edi bambù, si celano le tigrispiando il passaggio dei ca-notti e persino dei velieri,per scagliarsi sul ponte e ag-gredire il barcaiolo o il ma-

rinaio che ardisse mostrarsi; là nuota-no e spiano le prede orridi e gigante-schi coccodrilli, sempre avidi di carneumana; là vaga il formidabile rinoce-ronte a cui tutto fa ombra irritandolofino alla pazzia; là vivono e muoionole numerose varietà di serpenti india-ni, fra i quali il Rubdira mandali il cuimorso fa sudare sangue e il pitoneche stritola fra le sue spire un bue». (I misteri della jungla nera)

Gianni Valente è un regista e cineoperatorespecializzato nella realizzazione di documentarisulla fauna e sull’ambiente ed è responsabile delsettore filmati della cooperativa Arnica. Dal 1991si dedica a tempo pieno a questa attività e harealizzato oltre 60 documentari

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IL MUSEO DI SALGARI

mare i bambini acciambellati sui sofàdurante la visione dello sceneggiatocon Juliette Greco e un fantasma mi-sterioso che passeggiava nottetempoper il Louvre, fino a recentissimi filmdove i musei di paleontologia si ani-mano di notte in un viaggio fantasti-co alla Gulliver.

Alla fine dell’Ottocento enei primissimi anni delNovecento un mu-seo di Torino eradiventato la metamagica e immagi-nifica di uno scrittoreche torinese era di

adozione, e checon la forza della parolaavrebbe fatto vagare nellagiungla o su mari tempestosigenerazioni di giovani e nongiovani lettori in Italia e nelmondo: Emilio Salgàri. Loscrittore veronese, che daglianni Novanta dell’Ottocentosi era trasferito a Torino, eraun abituale visitatore delMuseo di Zoologia, quelloche conosciamo oggi comeMuseo Regionale di ScienzeNaturali. Certamente gli spazi nonerano quelli attuali di viaGiolitti nel complesso delCastellamonte dell’anticoospedale San Giovanni, ciracconta Elena Giacobinoresponsabile della sezio-ne Museologia e didatticadel Museo.Dobbiamo invece imma-ginarcelo con una certafantasia nella sede diPalazzo Carignano, dovedal 1876 era stato spo-stato dopo la prima ubi-cazione all’Accademiadelle Scienze.

Alberto Jona

IIl museo come mondo in cui cercareispirazione, come luogo in cui sve-gliare la fantasia, come spazio stimo-lante dell’immaginario, ha più volteaccompagnato il campo della lettera-tura e dell’arte in genere, da Savinioe Forster fino al set cinematografico etelevisivo: da Belfagor che faceva tre-

Lo scrittore era solito frequentare il Museo di Zoologia di Torino, che divenne presto meta d’ispirazione per le sue storie che avrebberofatto vagare nella giungla o per mari generazioni di lettori

IL REALISMO FANTASTICO

Lepidotteri esotici, inizi del XX secolo. Si tratta di una scatola contenente una piccolaraccolta di farfalle donata al Museo di Zoologiada Guido Gozzano (foto arc. MRSNT)

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Immaginarcelo con una certa fantasiaperché purtroppo di quella sede stori-ca a Palazzo Carignano non ci è rima-sta nessuna traccia iconografica, adifferenza delle altre due sedi.Abbiamo le planimetrie di fineOttocento che ci dicono dove si af-facciasse il Museo, cioè sull’attualevia Cesare Battisti, ma immagini, da-gherrotipi, fotografie o dipinti pareproprio che non ce ne siano. Ci sonoinvece le immagini o meglio i disegnidegli animali esposti, questo sì, nelleguide del primo Novecento che illu-strano le collezioni del Museo. Cosìalmeno quello che vedeva Salgaripossiamo ipotizzarlo con una qual-che certezza, anche grazie alla data-zione della maggior parte degli ani-mali storici presenti al Museo, la cuidata di acquisizione è spesso dellametà dell’Ottocento, in piena epocadi viaggi di scoperta ed esplorazionidi terre ignote.Il Museo di Zoologia, come a queitempi appunto si chiamava, costitui-va per la maggioranza del pubblicodi allora forse l’unica via di accessoa regioni del pianeta che altrimenti sa-rebbero state inconoscibili: l’Oriente,l’Africa, le Americhe, il Polo Nord. Inquesto sicuramente possiamo indivi-duare una delle cause del successostrepitoso di Salgari, un successo chenon lo toccò purtroppo in vita. I ro-manzi di Salgari erano l’unico mododi accesso a un altrove che si favo-leggiava misterioso, sensuale, selvag-gio e giusto e che i suoi pirati, le suePerle di Labuan, le sue tigri diMompracem incarnavano andando anutrire un immaginario collettivo checi siamo portati dietro almeno finoagli anni Settanta e Ottanta delNovecento, quando Kabir Bedi furo-reggiava nella televisione italiana neipanni di Sandokan.E il Museo? Sappiano che Salgari eraun assiduo frequentatore del Museodi Zoologia ed è assai affascinantepensare che gli animali esposti orain via Giolitti li abbia osservati estudiati anche lui, proprio gli stessi:tigri, leoni, elefanti, orsi bianchi,bufali; è quasi incredibile pensareche quei musi fissi che ci guardanoattraverso, abbiano guardato anche

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Lorenzo Delleani, “Museo Zoologico”, 1871. Olio su tela. Galleria Civicad’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (foto arc. MRSNT)

Salgari e abbiano messo in moto lasua selvaggia fantasia. Imbalsamaticon tecniche e soprattutto con co-noscenze vaghe e incerte da partedei tassidermisti di allora, che rico-struivano secondo un proprio im-maginario e qualche disegno, ippo-potami con zampe grassissime, tigriche sembrano più gattoni che felinitemibili, antilopi filiformi come can-ne al vento, quegli stessi animali so-no stati dunque il punto di partenzaper le avventure di Sandokan, delCorsaro Nero o della figlia Jolanda.Salgari li ha fatti muovere e rivivereancora una volta attraverso la forza

della sua fantasia e delle sue parole,oltrepassando quelle teche – ancoraalmeno in parte le stesse – che lifermavano nel gesto e nel tempo. Inoccasione del centenario della mor-te di Emilio Salgari, il MuseoRegionale di Scienze Naturali – rac-conta Ermanno De Biaggi, direttoredel Museo – ha in programma di al-lestire una mostra dedicata alloscrittore, un percorso attraverso lafantasia del romanziere veronese,ma anche attraverso il suo sapere ela sua straordinaria capacità di im-maginazione. Salgari infatti non siera mai mosso dall’Italia, un viaggio

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Alberto Jona, musicista e musicologo e hapubblicato studi sul Settecento e sul teatro mo-zartiano. Ha fondato con Alessandro Baricco laScuola Holden a Torino; attualmente è presiden-te e direttore di HoldenArt

solo in nave nell’Adriatico. Però isuoi romanzi sono intessuti di di-gressioni naturalistiche e storiche,che oltre a essere un momento quasididattico, vanno a costruire, comenei melodrammi coevi – è stato scrit-to – passaggi di atmosfere, pause altumulto degli eventi esattamentecome le ouverture o gli interludiscandiscono l’incedere dell’azionenell’opera lirica. La mostra – racconta sempre DeBiaggi – sarà costruita in grandiambientazioni scenografiche chefaranno rivivere come in un teatrodella memoria gli ambienti esoticidescritti da Salgari. Quindi il pub-blico potrà realmente immergersi,così come avveniva un tempo at-traverso i suoi romanzi, nell’imma-ginario di Salgari ripercorrendolo eappropriandosene. Il percorso del-la mostra sarà un viaggio con isuoi romanzi in Europa, in Africa,in Oriente, nelle Americhe e nelleRegioni Polari, toccando anche lafantascienza e le influenze lettera-rie di scrittori come Verne,Stevenson o ancora i suoi epigoni.La forza evocatrice della parola èunica e così la libertà della fanta-sia che Salgari sapeva destare nellettore: i volti di Sandokan o dellaPerla di Labuan erano volti diversiper ciascun lettore, i pirati e i maripercorsi erano differenti per cia-scun ragazzo che apriva i suoi ro-manzi a partire dall’immaginario edalla storia privata di ciascuno.Così anche la giungla e le belvegrazie alle parole di Salgari aveva-no in ciascun lettore una propriaimmagine indelebile. Il cinema ela televisione hanno per sempreforse fissato un volto, soprattuttoper noi italiani, per esempio aSandokan, mentre i romanzi diSalgari lasciavano quella meravi-gliosa libertà d’immaginazione cheha fatto sognare e trepidare interegenerazioni di lettori.

MUSEO REGIONALE DI SCIENZE NATURALI

In questa pagina, dall’alto: facciata su via Accademia Albertinadel Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino; StoricoMuseo di Zoologia, particolare dell’interno; Andrea Bruno,Particolare della Sala dell’Arca, 2000 (foto arc. MRSNT)

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Steve Della Casa

SALGARI SUPERSTARCINEMA

NA partire dagli anni Venti sono numerosi i film tratti dai romanzi dello scrittoreveronese. Funzionano (quasi) sempre. Il più celebre? Il Sandokan di Kabir Bedi

Non poteva essere diversamente.Emilio Salgari, grande best seller acavallo tra i due secoli, suscitò l’inte-resse di registi e produttori già aitempi del cinema muto, quandoTorino era la capitale del cinema ita-liano. Nei primi anni Venti vengonoannunciati ben cinque film tratti daisuoi romanzi. Non si sa se siano maistati realizzati. Si sa invece che la ca-sa di produzione che li annuncia ave-

va sede a Torino in via GiacintoCollegno, quartiere Cit Turin. La pri-ma cosa che viene in mente è: ma lagiungla nera dove pensavano di tro-varla? Come vedremo questo non sa-rà un problema. Nemmeno trent’annidopo, quando il pubblico era giàmolto più smaliziato.Non poteva essere diversamente.Salgari ritorna di attualità presso i no-stri registi e produttori quando sta

per scoppiare la Seconda GuerraMondiale. Qui il motivo non è l’attesacommerciale, anche se i romanzi diEmilio continuano a essere dei bestseller. Il motivo è invece indiretta-mente politico. Chi sono infatti i bie-chi e avidi cattivi di molti suoi ro-manzi? Gli inglesi, è ovvio. E avendol’Italia annunciato con grande orgo-glio il proprio ingresso in guerra con-tro la perfida Albione, ecco che i ro-

Qui sopra, Sandokan, 1976 (foto ITC/Album/Contrasto).Nella pagina successiva, il Corsaro nero (foto PhotomovieCollection)

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Steve Della Casa è stato direttore del TorinoFilm Festival dal 1999 al 2002. Collaboratore delquotidiano La Stampa e delle riviste Film TV,Cineforum, SegnoCinema. Dal 1994 è condutto-re del programma quotidiano radiofonicoHollywood Party (RadioTre). Nel 2004 è nomi-nato consigliere d’amministrazione del MuseoNazionale del Cinema; dal 2006 è Presidentedella Film Commission Torino Piemonte.

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ubriaco e molesto che Fellini gli affidain La dolce vita). Barker viene a Torinoe prende alloggio alla villa del Sole,sopra Moncalieri. Lo raggiunge la fi-danzata, la bionda Lana Turner.Seguendo il copione dei divi più im-portanti di loro, i due decidono di spo-sarsi in fretta e furia. Lo faranno al mu-nicipio di Torino nel giugno 1953. Lecronache dei giornali dell’epoca de-scrivono minuziosamente l’avveni-mento. Il matrimonio durerà meno diun anno. Il film, girato un po’ aMadonna di Campagna, un po’ sulSangone e un po’ nella pineta di SanRossore andrà benino, tant’è vero cheil produttore decide di farne subito unaltro, Il segreto dei Thugs. Ma vuolespendere ancora meno, e quindi utiliz-za a man bassa scene non impiegateper il primo film. Il risultato è che dellastoria non si capisce niente.Non poteva essere diversamente.Negli anni Settanta l’Italia è attraversa-

ta da grandi tensioni sociali.Gli studenti si rivoltano, glioperai scioperano, si manife-sta per il Vietnam e per ilCile. Ed è per questo cheSergio Sollima, già noto peralcuni western rivoluziona-ri e terzomondismi comeCorri, uomo, corri e La re-sa dei conti, decide di in-terpretare Salgari a modosuo. Il suo Sandokan tele-visivo, girato veramente inMalesia, è un capolavorodi ritmo e di trovate.Sandokan è Kabir Bedi,star indiana che in seguitosi trasferirà in Italia. Ma soprattutto i nemici diSandokan non sono solo co-lonialisti ma veri e propri im-perialisti e depredatori dimaterie prime, e Sandokanusa contro di loro le tattichedella guerriglia quasi fosseun viet-cong. Ancora oggiSollima spiega così lo stra-ordinario successo del suosceneggiato, che ha avutoun seguito, due versionicinematografiche. E comeesempio di tale interpreta-zione cita il fatto di aver

sentito con le sue orecchie un corteo dilavoratori in sciopero che invece deicanti sindacali intonava “Sandokaaaan”,la marcetta di Guido e Maurizio DeAngelis che andò a hit parade e fu unvero e proprio tormentone a metà anniSettanta. Non poteva essere diversa-mente. Ci sono molte altre versioni ci-nematografiche salgariane, ognunacon la sua storia, ognuna con i suoi ri-sultati. Ma tutte hanno un tratto in co-mune: quando si vuole portare sulloschermo l’avventura, Salgari va semprebene. Che ci siano o no i soldi e diconseguenza i divi. Le sue storie sulloschermo funzionano: perché sono av-ventura distillata e allo stato puro.

manzi più segnatamen-te antinglesi si vedonovisti con un occhio diparticolare riguardo.Corrado D’Errico e EnricoGuazzoni sono i registi,gli esterni sono in Siciliaoppure tra Pisa e Livor -no, dove c’era no gli sta-bilimenti di Tir re nia edove una sorta di mac-chia mediterranea fittapoteva garantire unaquasi credibile esoticità. A causa della guerra, ifilm americani non pote-vano arrivare in Italia.Quindi tra il 1939 e il1945 questi film ebberoun certo successo, inproiezioni spesso inter-rotte dagli allarmi aerei edal coprifuoco. Nonc’erano tanti divertimen-ti, il cinema restava quel-lo principale.Non poteva essere diver-samente. Nel dopoguerraritornano i film d’avven-tura americani e hannoun appeal e dei mezzimolto superiori a quellinazionali. A fine degli anniCinquanta ci sarà la riscossa degli ita-liani prima con i film di Maciste e poicon i western all’italiana, che batteran-no di molte lunghezze i loro colleghidi oltreoceano. Ma prima, per soprav-vivere, il nostro cinema d’avventuradeve ricorrere ad alcuni espedienti. Il principale di questi espedienti è ilbasso costo: si gira con poche compar-se, con attori americani in declino econ comparse italiane pronte a tutto, siriciclano costumi e costruzioni da unfilm all’altro. Anche il buon EmilioSalgari non sfugge a questo destino. Lestorie di questi film sono molto diver-tenti e istruttive. Nel 1953 gli studiFERT di Torino mettono in produzioneI misteri della giungla nera con perprotagonista Lex Barker, che fino a po-co tempo prima era stato Tarzan suglischermi americani. Barker si trasferiscein Italia, dove si distinguerà per le suesregolatezze e le sue ubriacature (èautobiografica la parte dell’americano

CINEMA

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L’EX RAJA D’ORIENTE

Re degli animali per i cinesi, simbolo di regalità per gli indiani, mangiatrice di uomini per le popolazioni dei villaggi al confinecon la giungla: in una parola, la tigre. Felino dal caratteristico manto striato, è uno dei più grandi predatori presenti sul pianeta,secondo soltanto all’orso. Il suo nome deriva dal persiano e significa “freccia”, chiaro riferimento alla velocità che è in gradodi raggiungere una volta che ha puntato la preda.Originaria dell’Estremo Oriente, la tigre (Panthera tigris) abita le regioni boschive di India, Cina e Russia, mostrando adatta-menti incredibili ai vari climi nei quali si trova a vivere. Da ciò derivano diverse sottospecie come la tigre del Bengala (Pantheratigris tigris), la tigre siberiana (Panthera tigris altaica) e la tigre della Cina meridionale (Panthera tigris amoyensis).A differenza di leone e leopardo, questo felino non ama muoversi in spazi aperti, dove il suo appariscente manto può essererapidamente identificato, mettendo in fuga le prede. Cacciatrice dall’incredibile forza, è in grado di uccidere animali grandiquattro o cinque volte la sua taglia, lacerando loro i tendini all'altezza delle ginocchia per renderli impotenti. Di dimensionivariabili, può raggiungere i trecento chilogrammi di peso e i tre metri di lunghezza (coda compresa), utili per avere la megliosu bufali e gaur, ma anche su coccodrilli, orsi ed elefanti.Da un punto di vista ecologico viene considerata un predatore alfa, un’animale cioè al vertice della catena alimentare, ma no-nostante ciò la sua presenza sul territorio è diminuita drasticamente, con riduzioni dell’areale di oltre il 90%. A causarne lascomparsa è stato l’uomo che, a partire dal 1700, ha compiuto vere stragi per fini sportivi – i nobili inglesi si dilettavano nellebattute di caccia a cavallo –, oppure commerciali, in quanto il mercato conciario europeo si basava principalmente sulle pel-licce degli animali esotici. Con la fine del colonialismo queste pratiche si sono ridotte, ma l’esplosione demografica che ha in-teressato Cina e India ha determinato la distruzione di intere foreste per far spazio a nuove città, portando la tigre sull’orlodell’estinzione. Per questo sono state istituite più di sessanta aree protette e, con la collaborazione dello IUCN (UnioneInternazionale per la Conservazione della Natura), è partito il programma Save The Tiger Fund, volto a salvaguardare le pochemigliaia di esemplari superstiti.

Claudio Dutto

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Il cantore dei corsari visse tra il Po e la collina di Torino. Lo ispirarono le lunghepasseggiate sulle sponde del fiume, da solo o con i figli. Ma anche i resoconti di viaggio e le enciclopedie della Biblioteca Civica

Furio Chiaretta

L’«L’imponente massa delle acque si di-vide e suddivide in una moltitudinedi fiumicelli, di canali e di canalettiche frastagliano in tutte le guise pos-sibili l’immensa estensione di terrestrette fra l’Hugly, il vero Gange, edil golfo del Bengala. Di qui una infi-nità d’isole, d’isolotti, di banchi i qua-li, verso il mare, ricevono il nome diSunderbunds.Nulla di più desolante, di più strano

e di più spaventevole che la vista diqueste Sunderbunds. Non città, nonvillaggi, non capanne, non un rifugioqualsiasi; dal sud al nord, dall’estall’ovest, non scorgete che immensepiantagioni di bambù spinosi, strettigli uni contro gli altri, le cui alte cimeondeggiano ai soffi del vento...»Così inizia I misteri della jungla nera.Difficile immaginare che l’autore nonsia mai stato in India, non abbia visto

il delta del Gange e non si sia maispinto oltre il Mar Adriatico. Forsel’ispirazione gli venne passeggiandotra i prati e gli acquitrini alla con-fluenza della Stura nel Po, a due pas-si dalla sua casa di Torino.Emilio Salgari – autore di 80 romanzie oltre 150 racconti d’avventura – fe-ce nella sua vita un solo vero viaggio,tre mesi a bordo di una nave nelMare Adriatico, tra Venezia e Brindisi.

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ITINERARI

Il ripiano tra Strada Lauretta e Villa Rey dove Emilio Salgari si tolse la vita il 25 aprile 1911 (foto F. Chiaretta)

SUI SENTIERI SALGARIANI

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Dunque tutti i suoi romanzi sono “so-lo” il frutto di un’eccezionale, sfrena-ta fantasia, unita a un approfonditostudio su libri di geografia, esplora-zioni, scienze naturali.Eppure, anche se nate a tavolino, lesue descrizioni di luoghi e animaliesotici sono precise, accurate e av-vincenti.Uno scrittore a lungo considerato“minore” dalla critica (che lo ha ri-scoperto in tempi abbastanza recen-ti), ma divorato da milioni di lettori –soprattutto ragazzi – dalla fine delXIX secolo fino ai giorni nostri. Un autore da conoscere meglio a di-stanza di cent’anni della sua morte.

La vita di SalgariEmilio nasce a Verona nel 1862.Ragazzino molto vivace, legge Verne.A 16 anni è dai parenti di Venezia epassa le giornate sui moli a guardarele navi. Si iscrive al Regio IstitutoNautico, con l’obiettivo di diventarecapitano di lungo corso, ma dopodue anni il suo sogno si infrangecontro una serie di pessimi voti. Nel1880 si imbarca sull’Italia Una, e daitre mesi passati lì ricava un’ottima co-noscenza dei termini marinareschi edella vita di bordo.Così comincia a scrivere avventure,soprattutto di mare, e nel 1883 pub-blica i suoi primi racconti su “La nuo-va arena” di Verona. Qui nel 1884esce a puntate – come usava allora –il romanzo La Tigre della Malesia,che diventerà il celebre Le Tigri diMompracem, primo titolo del “ciclodella jungla” dedicato alle avventuredi Sandokan e Yanez. Da allora saràun susseguirsi ininterrotto di romanzie racconti ambientati in ogni luogoesotico del pianeta: dalla jungla dellaMalesia al Far West, dalle isole deiCaraibi alle Filippine, dall’Indiaall’Africa.Nel 1892 si sposa e l’anno successivosi trasferisce a Torino. Qui cambiaspesso casa, un po’ per il suo istintovagabondo, un po’ per il cresceredella famiglia, con la nascita diFatima (1892), Nadir (1894), Romero(1898), Omar (1900). Presto sceglie iquartieri in prossimità del Po e dellacollina: abita vicino alla Gran Madre

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In alto: un’antica osteria su corso Casale, a pochi passi dalle casedove abitò Salgari (si pronuncia con l’accento piano, poiché ilcognome deriva da salgàr, salice in veneto); in basso, la casa dicorso Casale 205 dove Salgari visse negli ultimi anni della sua vita(foto F. Chiaretta)

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(al 15 dell’attuale via Martiri dellaLibertà) e poi – dopo alcuni mesipassati a Genova tra 1898 e 99 – va avivere prima nel quartiere Vanchiglia(via Guastalla) e quindi alla Madonnadel Pilone: all’epoca era un piccoloborgo stretto fra il Po e le ripide pen-dici della collina, collegato alla veracittà solo dal Ponte di Sassi.Pochi metri separano le case abitateda Salgari in corso Casale (un villinoal n. 298, poi una casa di ringhiera al205) dai fitti boschi della collina edalla sponda del Po, che qui scorreampio e lento fra cortine di alberi,spesso avvolto dalla nebbia. Salgari fa lunghe passeggiate sullesponde del fiume, da solo o con i fi-gli, immaginando il delta del Gangeo lo “sciabordio dell’acqua” sulla co-sta di un’isola tropicale.Altre volte – come raccontano Arpinoe Antonetto nella biografia Salgari, il

Salgari aveva sempre rinunciato ai di-ritti d’autore calcolati sulle copie ven-dute (che lo avrebbero reso ricco),stipulando invece contratti che pre-vedevano un pagamento periodico incambio della stesura di almeno 4 ro-manzi all’anno. Da giovane avevaretto questa produttività esasperata,ma col passare degli anni comincia atemere che fantasia e creatività si af-fievoliscano. Il suo lavoro si fa stres-sante, scrive senza sosta e non riescepiù a dormire.La moglie Ada deve occuparsi di lui,dei debiti, dei quattro figli: la sua re-sistenza vacilla e il 19 aprile 1911viene ricoverata in manicomio. Il colpo per Emilio è durissimo: il 25aprile sale in bosco della collina e siuccide.In quei giorni si sta inauguratandol’Esposizione Universale, così la mor-te di Salgari – come la sua vita – pas-sa quasi inosservata.L’oblio nei confronti dello scrittoredura per gran parte del XX secolo.Pur con centinaia di migliaia di copievendute in tutto il mondo per la gioiadi giovani e adolescenti, la critica e ilpubblico “colto” lo ignorano: i ragaz-zini per bene della borghesia leggo-no Verne, Stevenson, London, manon possono avvicinarsi alle “disedu-cative” avventure di Sandokan e delCorsaro Nero. L’attenzione rinascecon gli sceneggiati televisivi ispirati aisuoi eroi: nel 1973 Le tigri diMompracem, nel 1976 il Sandokaninterpretato da Kabir Bedi, nel 1977 Il Corsaro Nero.Negli anni successivi gli vengono de-dicati mostre e convegni, ma Torinocontinua a dimenticare questo suocittadino: lo ricordano solo una targasulla casa di corso Casale 205, unascuola e una via sperduta, finché na-sce in collina un’originale iniziativa.

L’avventura di conoscere Il Salgari campus viene realizzato apartire dal 1989 su un pendio ombro-so della valle di Reaglie, a pochi pas-si da corso Casale. È un’idea di EnzoMaolucci che, dopo aver fatto cono-scere in Italia le tecniche di survival,decide di creare su 120.000 mq di ri-pido bosco questo “parco di ecologia

padre degli eroi – coinvolge tutta lafamiglia in spedizioni tra i boschi del-la collina, che vedono la costruzionedi un accampamento, l’accensione diun fuoco «e subito quell’angolo si tra-sformava in una briciola di Malesia,sperduta, gravida di insidie e di atte-se». Molti testimoni dell’epoca ricor-dano l’eccezionale capacità di Salgarinon solo nello scrivere, ma anche nelraccontare a voce avventure eccezio-nali immedesimandosi nei suoi eroi.Ma più delle passeggiate in collina,per lui sono fondamentali le giornatepassate alla Biblioteca Civica, perconsultare enciclopedie e leggere re-soconti di viaggi in terre lontane: èl’epoca delle esplorazioni in AfricaNera e ai Poli, e Salgari riesce a scri-verne senza muoversi da Torino.Anche perchè gli impegni con glieditori sono sempre più gravosi: allaricerca di entrate economiche sicure,

Il Parco naturale della collina di SupergaComprende due distinte aree: la Collina attorno alla celebre basilica e il Boscodel Vaj a sud di Castagneto Po. Boschi di querce, castagni, e relitte popolazionidi faggio e panorami mozzafiato sulla città. La centenaria tramvia a Dentiera con-duce da borgata Sassi a Superga quattrocento metri più in alto. E alla stazionesuperiore il Centro visita del parco con le sue molte iniziative: mostre, serate atema, passeggiate guidate notturne, educazione ambientale e molto altro.Un lungo sentiero segnalato conduce dalla Basilica al Sacro monte di Crea: unacamminata lunghissima lungo tutta la dorsale della Collina Torinese.L’area protetta ha una superficie complessiva di circa 500 ettariInformazioni al numero verde 800-333444Sito internet: www.colllina torinese.org

ITINERARI

Qui sopra, la funicolare Sassi-Superga inaugurata nel 1884,in una foto dell’epoca di Salgari

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Furio Chiaretta dal 1977 progetta, percorre edescrive itinerari a piedi, in treno, in camper. Nel1985 ha ideato con Enrico Camanni la rivista Alp.Dal 1991 ha affrontato la libera professione, colla-borando con diverse riviste e lavorando a progettidi turismo ecocompatibile. Le sue guide più re-centi sono dedicate ai più bei sentieri dellaProvincia di Torino e del Parco del Gran Paradiso.

PER SAPERNE DI PIU’I romanzi più famosi di Salgari sonostati pubblicati da diversi editori.Molto bello il volume che raccogliein 2200 pagine gli 11 romanzi dei ci-cli della jungla: Tutte le avventure diSandokan, Newton Compton 2010,euro 19,90.L’accurata biografia è di G. Arpinoe R. Antonetto, Emilio Salgari, ilpadre degli eroi, Viglongo 1982-2010, euro 22,00. Per le escursionic’è la carta e guida n.1, Sentieridella Collina torinese, euro 10,00.

maginare Sandokan e Yanez mentreesplorano le sunderbunds.Poi ci sono i prati del Parco dellaColletta, che si estende tra la con-fluenza della Dora e della Sturacon il Po, dove Salgari amava pas-seggiare. Infine un doveroso pelle-grinaggio: da corso Quintino Sella(penultima fermata del 56) si saleper strada del Lauro, e presto si svol-ta in strada Lauretta, che piega a de-stra e termina di fronte a un ripidobosco. Risalendolo, dopo pochi pas-si si esce in un bel ripiano con uncarpino: poco sotto c’è «uno dei bur-roncelli che voi conoscete, perchèandavamo a raccogliere i fiori», comescrisse Salgari ai figli prima di salirefin qui per togliersi la vita.È un angolo di verde pubblico, ac-cessibile a tutti e rimasto miracolosa-mente intatto. Un piccolo parco sen-za nome e quasi sconosciuto, ma as-sai suggestivo: perchè non intitolarloa Emilio Salgari in occasione del suocentenario?

Per informazioni sulla mostra e al-tre iniziative in preparazione a Torino: www.comune.torino.it/cultura/bi-blioteche

Ponti sospesi nel Salgari campus, situato all’inizio di corso Chieri,tra i boschi della valle di Reaglie (foto G. Colombo/ISA)

umana”, per scoprire in prima perso-na il rapporto tra la nostra specie egli ambienti in cui si è confrontatanella sua evoluzione. Varcato il rio diReaglie appaiono capanne in legno epaglia – per i pasti e il pernottamen-to degli ospiti – e un incredibile pra-ho malese attraccato nel bosco, convere sartie in corda che danno acces-so ad aeree passerelle tra gli alberi(protette da reti, risultano percorribi-li anche da bambini). Allontanandosidal campo base, ecco la radura per iltiro con l’arco e un ripido percorsodi caccia, sempre con l’arco: in stilesalgariano, i bersagli sono animaliselvatici (in materiale plastico) na-scosti tra le foglie. In questo ambiente – molto selvaggioanche se a pochi passi dalla città – siorganizzano attività per le scuole eper “Estate ragazzi”, il sabato è riser-vato agli arcieri, mentre la domenica,da marzo a ottobre, chiunque può en-trare per esplorazioni sui sentieri e suiponti sospesi, o per partecipare alleiniziative: molto interessanti gli stagedi archeologia sperimentale, in cui siimparano le tecniche di accensionedel fuoco, di caccia, di costruzione dicapanne dei nostri progenitori. «Qui iragazzi – si legge sul sito www.salga-ricampus.it – diventano protagonisti“adulti” di avventure e di esperienzemotorie e culturali entusiasmanti.Sviluppano coordinamento e destrez-za e si impadroniscono spontanea-mente di cognizioni storiche e scienti-

fiche. La fantasia è un elemento di co-noscenza, e l'adattamento (anche al“disagio”) è praticato come gioco,cioè come fattore indispensabile perl'innovazione e la creatività».

Sulle orme di SalgariIn cent’anni l’ambiente della collinapiù vicina alla città è profondamentecambiato, ma vi sono ancora angolie sentieri dove provare suggestionisalgariane.Quasi certamente i Salgari, come tuttii torinesi, salirono a Superga con latramvia a funicolare inaugurata nel1884 e rimasta simile ad allora. Da Sassi si può raggiungere in tram-via la stazione intermedia di PianGambino, e proseguire a piedi sulviottolo (segnavia 27-28) che sale perfitti boschi – oggi protetti dal Parconaturale della Collina torinese – finoalla Basilica di Superga. Oppure dalla stazione di Superga sipuò scendere un poco con l’itinera-rio 29 e poi percorrere il sentiero 63che va a mezza costa tra gli umidiboschi – quasi una jungla – che guar-dano verso San Mauro, per poi risali-re a Superga lungo un crinale (segna-via 65).Per chi è abituato alle camminate,da Superga c’è l’itinerario dell’AnelloVerde (segnavia 29) che scende trafitti boschi fino a corso Casale, e poiprosegue lungo il Po di fronteall’Isolone di Bertolla, ricchissimo diuccelli: qui davvero si possono im-

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PARCO DEL PO TORINESE

Dal 1990, con la nascita del parco, il viaggio del granfiume è protetto. Il tratto torinese interessa ben 14 ettaridi territorio. Tutti da scoprire, magari in bicicletta

Toni [email protected]

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DOVE IL PODIVENTA FIUME

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A Torino la trasformazione è com-pleta. Il passaggio al Castello delValentino alimenta il fiume di storia,gli infonde saggezza, e da padresaggio il Po prosegue il suo viaggioa oriente, tra foschie e risaie. Un viaggio denso di insidie, ma an-che, dal 1990, un viaggio protetto.Nel 1990 è stato infatti istituito inPiemonte del Sistema delle Areeprotette della Fascia fluviale del Po,ovvero il Parco del Po. Il sistema ègestito da tre enti creati su base

Qui sopra, il Po a Madonna del Pilone,Superga sullo sfondo (foto F. Chiaretta)

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provinciale. Il tratto torinese inte-ressa 14.000 ettari di territorio, checomprendono oltre all’asta princi-pale anche i tratti terminali degli af-fluenti Sangone, Stura di Lanzo,Malone, Orco e Dora Baltea.Le zone di confluenza sono le piùsignificative sotto il profilo ambien-tale e naturalistico e per questo –Sangone a parte - sono classificateriserve naturali. Riserve naturali so-no anche la Lanca di San Michele,tra Carignano e Carmagnola, dovesi trova il Bosco del Gerbasso, laLanca di Santa Marta e confluenzadel Banna a La Loggia, il MulinoVecchio, a est dell'abitato diRondissone, l’Isolotto del Ritano, aSaluggia, dove la Dora Baltea e isuoi canali creano un paesaggio ric-co di acque e flutti. Un cenno par-ticolare merita la Riserva delMeisino e Isolone di Bertolla, allaperiferia nord di Torino, che condi-vide con Amsterdam l’onore diospitare una garzaia cittadina (uni-ca in Italia). Un’area ricca di volati-li, anche non comuni, efficace di-mostrazione di convivenza fra areeurbanizzate e natura.Creato per tutelare un territorio par-ticolarmente minacciato dall'urba-nizzazione, dall'inquinamento idri-co e dalle attività estrattive, il Parcodel Po torinese presenta molte testi-monianze della storia che ha legatol'uomo al fiume: castelli e fortezze adominio del corso d’acqua, ponti,edifici di presa e canali irrigui. Puringombra di infrastrutture, l’area at-tigua al fiume offre ancora sorpre-se. Per verificarlo, nulla di megliodella rete di ciclabili e ciclostradepredisposte su iniziativa del parco.Si può pedalare su percorsi segna-lati lungo il fiume, attraversandopaesi e borgate e spingendosi alpiede dei rilievi collinari. E si puòpedalare a Torino e ai suoi confini,senza fretta, per cogliere con oc-chio diverso angoli altrimenti di-spersi nell’ansia quotidiana.

La proposta: “Corona di deliziein bicicletta”Per cogliere “con occhio diversomolti angoli della città e dintorni” il

ÈÈ nell’ultima porzione di viaggio at-traverso la piana della Granda cheil padre dei corsi d’acqua italianimodifica la sua condizione. IlMaira, il Varaita e il Pellice si sonoarresi al suo alveo arricchendone laportata e a Carmagnola, al suo in-gresso nel torinese, il Po è un fiu-me. Il Monviso è ancora vicino e ilsuo profilo ne accompagnerà anco-ra a lungo il viaggio, ma il suo an-dare nella pianura ha perso l’ani-mosità dei torrenti.

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percorso denominato “Corona didelizie” è la soluzione ideale. L’itinerario è la somma di quattrotratti autonomi che collegati con-sentono un anello intorno all’areaurbana di grande interesse storico eambientale.Interesse storico: le “delizie”, ovve-

ro le Regge Sabaude: Castello delValentino, Reggia di Venaria, Palaz -zina di Stupinigi, la cui importanza èsancita dall’Unesco quali Patrimoniodell’Umanità. Ma anche i molti edi-fici e monumenti sparsi lungo ilpercorso, apprezzabili grazie al len-to andare della bicicletta.

PARCO DEL PO TORINESE

Nel Parco informati

Sede del Parco del Po torinese alla Cascina Le Vallere, Corso Trieste, 98,Moncalieri (TO). Tel. 011 64880; e-mail: [email protected];www.parcopotorinese.itSul sito del parco info anche su affitto bicicletteAltre info: www.biciedintorni.org/ www.dueruotenelvento.com/Itinerari in bicicletta lungo il fiumeGuida e cartina illustrata dei percorsi ciclabili nel Parco del Po torinese.Scala 1:50.000. Venti percorsi, principali e secondari, descritti su libretti separa-bili. Il tutto raccolto in una pratica busta di plastica. Tutti i percorsi sono stati ri-levati con GPS e descritti in entrambi i sensi di percorrenza.Autore: AA.VV. Editore: Parco fluviale del Po torinese. Anno: 2009Costo 5 €. Acquistabile tramite Internet al sito del parco, oppure di persona presso: - Ente Parco del Po, corso Trieste 98 a Moncalieri- Tourinbike, via Fiochetto 39 a Torino- Ufficio Turistico comunale, via Lungo Piazza d'Armi 6 a Chivasso- Ufficio Turistico ATL in corso Vercelli 1 a Ivrea

Qui sopra, in bici sul Po (foto T. Farina)

Interesse ambientali e naturalistico:si lambiscono i quattro corsi d’ac-qua di Torino (Po e affluenti DoraRiparia, Stura di Lanzo e Sangone)e si attraversano la citata Riservadel Meisino e Isolone di Bertolla, iparchi naturali La Mandria e diStupinigi.Il percorso è stato progettato e collau-dato dall’Associa zione Bici&Dintorni(affiliata alla FIAB; FederazioneItaliana Amici della Bicicletta) cheha cucito vari tratti ciclabili, toc-cando ben 15 comuni e cercandoin modo accorto di evitare stradetrafficate.Buona parte dell’itinerario saràpercorso il 17 e 18 giugno nell’am-bito del raduno nazionale FIAB“Bici 150. La bicicletta uniscel’Italia”, collegato alle celebrazio-ni dell’anniversario. La lunghezza rilevante (96 km), lemolte varianti possibili e, soprat-tutto, le molte occasioni di sostaconsigliano di spezzare la pedalatain più giorni. Assolutamente inop-portuno l’approccio sportivo.

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Il percorsoParte prima - “Il Po dei Re”, Torinoin compagnia del FiumeDalla Cascina Le Vallere si va allaconfluenza fra Po e Sangone, al con-fine fra Moncalieri e Torino.Attraversata la passerella sulSangone la pista ciclo-pedonale con-duce al Parco del Valentino, passan-do sotto i ponti Balbis e Isabella etoccando il Parco Millefonti, con vi-sta sul Palazzo a Vela. Sosta d'obbli-go al Borgo Medioevale con ilCastello del Valentino, notevoleesempio di architettura seicentesca.Seguono il Ponte Umberto I, l'unicoadornato da grandi statue ai lati, e iMurazzi, dove si pedala a livello del-l'acqua. A metà dei Murazzi staPiazza Vittorio Veneto, la più grandedi Torino, con prospettive sulla viaPo, sulla Chiesa della Gran Madre,sul Monte dei Cappuccini e sullaVilla della Regina.Con la Basilica di Superga contro cie-lo sulla collina si attraversa il fiumesul Ponte Vittorio Emanuele I perproseguire in sponda destra. Si attra-versa così il Parco Michelotti entrandonella Riserva naturale del Meisino edell'Isolone di Bertolla, alla confluen-za fra il Po e la Stura di Lanzo. Sostacon binocolo alla mano, per verificareche natura e città possono convivere.Parte seconda - Dal Po alla Reggiadi VenariaAl Ponte Sassi si torna sulla sponda oc-cidentale del fiume. Si prosegue sullaciclopista parallela a Lungo PoAntonelli, quindi si attraversa la DoraRiparia su passerella. Dal Po si passacosì al suo affluente valsusino, in com-pagnia del quale si attraversa il Parcodella Colletta e si arriva in CorsoPrincipe Oddone, alla Stazione Dora,capolinea dei treni per l’aeroporto e leValli di Lanzo. Strada di Lanzo conducein Venaria che si attraversa per raggiun-gere l’omonima Reggia, “pezzo forte”dell’itinerario. E, accanto alla Reggia, ilParco La Mandria, con il castello, le ca-scine e i boschi. Storia e natura insiemealle porte di una grande città.Parte terza - Da Venaria a RivaltaDa una reggia a un castello, daVenaria a Rivoli. Dall’ingresso delParco La Mandria carrarecce e ciclabi-

li portano a Druento, da dove si pro-segue tra strade e residui appezza-menti agricoli verso Pianezza, in visitaal Santuario di San Pancrazio. Tornatisulla Dora Riparia una bella ciclabileconduce a Collegno, per visitare ilpregevole complesso architettonicodella Certosa Reale. Prossimo comu-ne Grugliasco con l'ennesimo rinno-vato centro storico. Quindi, sempresu tranquille strade e ciclopiste,Rivoli, il suo castello, in posizionedominante sul centro storico, riccodi indizi medioevali e sede di un im-portante Museo di Arte contempora-nea. Su strada secondaria si prose-gue poi per Rivalta, dove si può vi-sitare nel centro storico il Castellodegli Orsini, acquisito dal comune. Parte quarta - Ritorno a Moncalieri,in compagnia del SangoneA sud di Rivalta iniziano le piste ci-clabili sul Sangone. Laddove fino adalcuni anni or sono era il degradoora si pedala su percorsi di ottimo li-vello, che non sfigurano con le noteciclostrade “d’acqua” a nord delle

Alpi. E viaggiando in compagnia delSangone si va da Bruino a Beinasco,dove una passerella di ardite formeconsente di guadagnare il centro sto-rico della cittadina. Da Beinasco a Borgaretto e Stupinigi.Altro parco naturale altro castello,ancora natura e storia a braccetto.Ancora i Savoia e le loro residenze,la loro passione per la caccia, sotto-lineata dalla statua del cervo di frontealla palazzina. Imperdibili lo splendi-do bosco, bell’esempio di relitto diforesta planiziale, e il Mausoleo dellaBela Rosin (custodisce la spoglie diRosa Vercellana, moglie morganaticadi Vittorio Emanuele II).Si torna all’area urbana, si lambisce ilmargine sud di Torino, il ParcoColonnetti. Ed è il Sangone che si incarica dicondurre alla fine dell’anello.Moncalieri con il suo castello nonè lontana: il tempo di salutare iltorrente dalla passerella e di entra-re al Parco delle Vallere. Di ritro-vare il Po.

Qui sopra, inverno ai Murazzi del Po (foto T. Farina)

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Non solo Salgari. Pavese, Soldati, Calvino, Guareschi, Arpino, Levi: una sterminata folladi scrittori ha raccontato la vita e la vitalità del fiume che imbarca storie e destini

UN GRAN PODI LETTERATURAGiovanni Tesio

PPer la geografia il Po nasce dalMonviso, per la letteratura da Torino.Sulla scia di Pavese comincia alla con-fluenza del Sangone e diventa cittadinoin tutta una serie di fantasie operaie eimpiegatizie: da Carlo Levi a Soldati, daCalvino ad Arpino. Poi prende aria con-

tadina e sguscia come un’anguilla soprae sotto i capoluoghi di provincia dellealtre tre regioni che percorre: Pavia,Piacenza, Cremona, Mantova, Reggio,Parma, Ferrara, Rovigo. La “Padania” solcata dal fiume dei fiumiche «fra le arginature di Taglio e di

Porto Viro», come annota Gadda conqualche gonfiore nel suo Viaggio delleacque, «discende tra veli lontani dellenebbie a spengere il lungo travagliodella sua corsa, e divenir piaggia, estanco delta, e marina». Stanchezza sucui Bassani nel romanzo L'airone ha

In questa pagina, il Po a Torino con vistasulla Gran Madre (foto G. Airola)

IL FIUME

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giocato tra Codigoro e Volano l’ultimagiornata di un uomo stanco di finzioni. Più pianamente Gianni Celati intitolaVerso la foce i diari dei suoi viaggi di ve-rifica: la storia impietosa e puntuale diquattro derive, da Piacenza e Caorso al-le bocche del Po di Goro. Difficile – os-serva Celati – non sentirsi stranieri.Inquinamento, stato d’abbandono, pro-fitto, edilizia «per domiciliati intercam-biabili, senza patria né destinazione».Ma soprattutto campagne in cui si re-spira «un’aria di solitudine urbana». Dove sono più i vecchi barconi dellatrilogia Il mulino del Po con cuiBacchelli ha costruito la saga secolaredegli Scacerni? Dove i pìcari e i ladridi “pennuti” della Bassa di cui il cre-monese Danilo Montaldi ha raccoltoper sempre le voci nelle magnificheAutobiografie della leggera? Dove i cu-

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Qui sopra, Pavese ed Enzo Monferinisul Po in una foto storica

Torino è stata, corrispondendo in partea vicende dinastiche e parentali, in par-te alla mitologia dei suoi cultori pre esoprattutto post-unitari: dal Thesauropiù encomiastico all’Alfieri più risentitoal De Amicis più conforme al Gozzanopiù incrinevole al Salgari più immagi-nosamente nomade al Pavese più emo-tivamente combusto. Sempre il Po a tagliare la città, ma nona smentirne la vocazione ortogonale,pronto – con giusta discrezione – a na-scondere le più segrete notizie, a sca-varsi le nicchie esotiche, gli anditi e letournures surreali. Sempre lui ad acco-gliere gli affluenti con quella signorileplacidità che può inarcarsi all’improvvi-so in disdegni da ultimo giudizio.Nell’arco il grande parco che fa gara(ma “esageroma nen”) con il Tiegarten– come voleva Thovez – o con il Pratere il Bois de Boulogne: «Nessun parcodelle metropoli europee racchiude incosì poco spazio tanta armonia di pro-porzioni, tanta grazie e varietà di linee;nessuno compendia i panorami natura-li d’uno sfondo di colline armonioselambite e riflesse da un fiume regale,nessuno aduna tanta varietà di scenari:Superga, il Monte dei Cappuccini, ilprofilo secentesco del palazzo delValentino, il profilo turrito del Borgo edel castello Medievale e, ultimo, eccel-so, la cerchia delle Alpi, dominanti le

rati alla don Camillo e i sindaci alladon Peppone con cui Guareschi co-struì il suo universo di litiganti da bur-la? Dove i “vecchi bellissimi” degli ar-gini di Puttina, che Bevilacqua è anda-to cercando al Po di Viadana nel suoviaggio a ritroso, La festa parmigiana?La verità è che il Po degli scrittori scor-re nei millimetri del cuore.Ma il guru della Bassa è stato Zavattini,l’autore del Viaggetto sul Po. Lui a can-tar Luzzara e dintorni come un aedod'altri tempi («Ma sto affondando nellanostalgia, aiuto»). Lui a inventare i suoipittori naïfs e i suoi poeti di zolla. Lui agirar mondo sempre ancorato, comeGuareschi, al Mondo piccolo che nonesclude altri mondi. Invitato a tenere la “prolusione” al se-condo Congresso nazionale del Po,Zavattini finse di schermirsi. Secondolui avrebbero potuto più degnamentesostenere l’onore della parola e delcompito scrittori come Bacchelli oCarlo Levi. Quest’ultimo, scrive nella ProlusioneZavattini da Luzzara, nato a Torino «do-ve il Po si inurba», ma autore di un libromemorabile, il Cristo si è fermato aEboli, capace di sollecitare negli italiani«una solidarietà verso il Sud che va oltrele effimere ondate del sentimento». Unalezione che – in tempi grami – dovrem-mo tanto più meditare. Non c’è dubbio che l’orgoglio di Torinovenga dal Po. Si potrebbe ben dire, an-zi, che a Torino tutte le strade portinoal Po, conducendo inesorabili a queltermine e a quel principio d’acque e disponde, che i ponti congiungono inuna greggia di transumanza visionaria,come Apollinaire divinava poeticamen-te per la Senna della “Grande Parigi”. Fiume del mito (il precipitevole Fetontedalle parti di Madonna del Pilone) e fiu-me della storia (dalle truppe romane aquelle napoleoniche su quel ponte cheprende il nome dall’Empereur), fiumedei ritorni (l’Ob adventum regis impres-so alla Gran Madre) e fiume delle par-tenze (verso il suo Delta, verso il suoOriente), fiume delle sponde universali(la gran vicenda delle magnifiche eprogressive Esposizioni aniversarie),fiume delle sabbie e dei diporti, fiumedel loisir e delle fughe, fiume dei ci-menti, fiume della “Piccola Parigi” che

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Giovanni Tesio è professore ordinario di lettera-tura italiana all’Università del Piemonte Orientale“A. Avogadro” (sede di Vercelli), ha pubblicato al-cuni volumi di saggi (l’ultimo, Oltre il confine, nel2007). Da più di trent’anni collabora a La Stampae a Tuttolibri. È condirettore della collana“Biblioteca del Piemonte Orientale” e della rivista“Letteratura e dialetti”.

Murazzi un bordo in-valicabile. A Giuseppe Culicchiache nello stesso puntosi fa rincorrere da ungrosso maiale di pelopezzato «come quellodi una mucca». DaMario Soldati che sulponte di pietra (quellonapoleonico, quellodella Gran Madre) fa fi-nire un amore impos-sibile a Luigi Pirandelloche allo stesso ponteconduce i passi smar-

riti del suo fu Mattia Pascal in viaggioverso l’ignoto. Da Italo Calvino che tra I giovani delPo e Marcovaldo rintana fantasie ope-raie e ironicamente fiabesche. A LallaRomano che dalla Gran Madre aPiazza Vittorio vi contempla in granserietà la veduta notturna di “un’armo-nia assoluta”. Da Augusto Monti più volte e in piùmodi convocabile nel suo andare allaricerca di quella “falsa magra” che na-sconde le sue gioie. A un Renzo Laguzzi in vena senti-mentale (quanto antisentimentale lavena di Mario Gromo: ognuno cheabbia letto bene la sua guida lo sa). Da Carlo Levi che torna più volte –con Gobetti o senza Gobetti – ad at-traversare il Po a ogni ora del giorno,dall’infanzia scolastica alla giovinezzaliberale.

A Gianna Baltaro – arsenico e vecchimerletti – che insegue i suoi assassinitra piccole nostalgie e vecchi décors.Non ci sarebbe, per il resto, che la“vertigine della lista”, come direbbeUmberto Eco: da Laura Mancinelli aItalo Cremona, da Oddone Beltrami aCurt Seidel, da Natalia Ginzburg aMargherita Oggero, da Mario Lattes aElisabetta Chicco Vitzizzai, da ElenaFerrante a Benedetta Cibrario, daPaola Mastrocola a Gino Moretti, daDario Lanzardo a Dario Capello, daValdo Fusi a Marco Bosonetto, daMarina Jarre ad Andrea Bajani…Tutti nomi noti e meno noti – detti al-la rinfusa – per far risaltare la vita e lavitalità di un fiume che conduce allaletteratura come quei pescatori diFerrero alla parola: la preda più insi-diosa, ma anche la più felice. Quellache fa della letteratura un Po e chedel Po fa letteratura. Dopodiché nonresterebbe che tuffarsi in quel mare dicarta, e navigare tra le pagine comenel (nostro) gran fiume che va. DalThesauro a Pavese, il viaggio viaggiacon lui, imbarcando storie e destini.Con le parole più diverse, la lettera-tura non cessa di inventare – ognunoa suo modo – i suoi eterni Salgari.

IL FIUME

In questa pagina: sopra, una foto di scenatratta dal film Il mulino del Po di Lattuada,tratto dal romanzo di Bacchelli; sotto, sullesponde del Po in inverno (foto T. Farina)

masse degli alberi secolari». Alla facciadel cantore antifrastico! Qui l’AugustaTaurinorum del viandante d’ombra ed’orma diventa tutta un elogio, senzase e senza ma. E va da sé che la listadelle citazioni potrebbe essere benpiù numerosa (come mostrano le di-dascalie letterarie con cui ho passeg-giato insieme con Dario Lanzardo nelvolume che s’intitola, appunto, La cit-tà dei quattro fiumi).Dirne qualcuna? A patto che non si ab-bia pretesa di esaustività. Da OddoneCamerana che vi convoca «le società dicanottaggio, le corse nautiche, le festesportive, le cene sul Po, i bagni nel Po,le lezioni di nuoto, le vittime, i suicididel fiume, la costruzione dei ponti» ecosì via. A Sergio Astrologo che vi fanotare fino a chissà dove un avo capa-ce di veri e propri exploits di follia. Da Ernesto Ferrero, che estrae una sco-perta metafora tra fiume e scrittura, at-tento all’attenzione dei radi pescatoriche ancora si ostinano a tentare predeimprobabili (o che magari, dopo qual-che bonifica, ora sono tornate a essereprobabili). Ad Alessandro Perissinottoche annota “nonne coi passeggini”,“visi di neonati” e “maniaci” che fannodel jogging, ambientando su spondeinconsuete i suoi gialli pensosi. Da Pier Massimo Prosio che nella bar-riera di Casale riconosce ancora ilprofilo di antiche bisbocce, un tratto“picaresco e gaglioffo e di bonariamalavita”. A Carlo Fruttero e FrancoLucentini che vi conducono il geome-tra Bauchiero a «guardare le collineappiattite dalla notte». Da Dario Voltolini, che stabilisce ai

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Cristina Insalaco

Sul tratto torinese del Po ci sono cinque storichesocietà di canottaggio: una pattuglia di oltre 1000praticanti per uno sport affascinante che consente di vivere la natura in modo diverso

LA CITTÀ VISTADALL’ACQUA

REMARE SUL FIUME

Canottieri sul Po a Torino (foto A. Molino)

VVista da quaggiù Torino ha tutta un’al-tra anima. La vita scorre più leggera,l’aria ha un profumo tenue e delicatoe i colori delle rive avvolgono il fiumein un’oasi di incantevole serenità. Nonesistono il caos e la frenesia della cit-tà, non esistono il traffico, lo smog ele corse affannate contro le lancettedell’orologio. È un’altra Torino. UnaTorino gentile e silenziosa, dove lapacata tranquillità è interrotta soltantodal rumore del vento che scuote le fo-glie, dagli schizzi d’acqua dei canottie-ri, dai versi di papere, cigni e aironiche osservano le barche curiosi e poizampettano più in là. I canottieri delPo che vivono il fiume guardano lacittà da spettatori privilegiati.«Il canottaggio è uno sport meraviglio-so. Forma il fisico, educa il carattere einsegna a vivere». Ne parla cosìUmberto Dentis, il presidente della“Reale Società Canottieri Cerea”, conun sorriso splendente di rilassatezza eocchi ubriachi di benessere. «Quandosono sul Po scarico la mente e vivo ilfiume in totale armonia con la natura.Sto bene e mi diverto. Per me è comeuna droga bellissima». Passione, entu-siasmo, energia e determinazione: èquesto il canottaggio. Una sintesi difatica ed eleganza, un magnetismoperfetto tra l’anima del canottiere e ilfascino suggestivo di un fiume ritorna-to pulito.Per Federico Vitale, allenatore delCerea dal 2001, remare sul Po è «sanafatica e seria collaborazione, qui si

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con il ricordo della sua città nel cuore,inizia a dilettarsi nella “voga alla vene-ta”: una barca di legno, che in passatoveniva usata per caccia e pesca, e chesi rema come una gondola veneziana.Voga da solo ogni giorno su e giù peril Po, perché per lui è come avere an-cora negli occhi un pezzo dei poeticicanali della sua Venezia. Paolo è so-prannominato “Ombra”, ed è curiosoascoltare che qui, negli anni ai canot-tieri incollano addosso dei sopranno-mi che non vanno più via. C’è“Spazzola” che tutti (tranne la moglie)chiamano così per via del taglio deicapelli, c’è “Ferrovia” che prima di en-trare al Cerea lavorava alle Ferroviedello Stato, “l’Avvocato” e“l’Avvocaticchio” (che è arrivato do-po), o ancora “Freno”, perché si diceche quando sale lui la barca rallentasempre un po’.Di aneddoti stravaganti la società“Armida” ne ha raccolti talmente tan-ti da pubblicare un libro. Raccontacosì, ridendo, il presidente Gian

creano delle amicizie fortissime per-ché in barca si soffre e si gioisce insie-me». «A volte i bambini nelle caldegiornate d’estate mi chiedono anchedi poter fare il bagno. È come esserein vacanza tutto l’anno». Il Cerea, che prende il nome dal tradi-zionale saluto dialettale piemontese, èla più antica società di canottaggiod’Italia. Da 148 anni essere soci Cereaè un privilegio consentito solo agli uo-mini, ma il presidente Umberto Dentisgarantisce che non è affatto uno sportd’élite: «Uno vede dal ponte i ragazziremare e si immagina che sia una cosaper ricchi, invece è uno sport per tutti,non costa più di un abbonamento inpalestra». Al Cerea ci sono più di 250soci e una cinquantina di canottieri,tra bambini, agonisti e dilettanti. Daibimbi delle elementari fino al nonnopiù anziano che di anni ne ha 86. Epoi c’è Paolo Uberti, “il gondoliere diTorino”. Nato a Venezia nel 1934, tra-sportava in barca alimentari daVenezia alle isole; trasferitosi a Torino

REMARE SUL FIUME

Paolo, “il gondoliere di Torino”. Nato a Veneziae trasferitosi a Torino con il ricordo della suacittà nel cuore, inizia a dilettarsi nella “voga allaveneta” (foto C. Insalaco)

Luigi Favero: «Nel 1920, ad esempio,l’Armida organizzò una festa per rac-cogliere fondi per l’orfanatrofio“Umberto I” di via Ormea: ma l’ini-ziativa non solo non riuscì a racco-gliere nulla per gli orfani, ma misesul lastrico la società. Era una festasul tema dell’Africa, i soci si dipinse-ro il viso, affittarono una zebra e duegiraffe, e consumarono 10mila botti-glie di champagne. Spesa inutile edesagerata».Tra le società, spiega ancora il presi-dente, non c’è ostilità, ma una sanacompetizione: «Senza un po’ di con-correnza, che noia sarebbe?». «Primadella guerra noi eravamo considerati“i goliardi”, quelli del Cerea erano “inobili”, mentre le società Caprera edEsperia “i politici” e “i commercianti”,ma adesso di questa distinzione non èrimasto più niente». E se gli chiedi co-sa rappresenta per lui il canottaggio tirisponde «l’amore della mia vita».Walter Bottega, prima atleta e adessoallenatore dell’Armida, lo descrive«una scuola di vita, un passaggio divalori, uno sport che ti insegna a lot-tare, sudare, soffrire». Il mottodell’Armida è “li alleniamo per vince-re, ma gli insegniamo a perdere”. È anche la società con la percentualepiù alta di donne, circa il 30%, entratea far parte della società nel 1982. PerAnna Masera, caporedattrice del sitoLaStampa.it e socia Armida da tre annie mezzo, il canottaggio è stato unamore a prima vista. Felice ed entusia-sta, si descrive “quasi fanatica” di que-sto sport. «È stupendo quando nevica,mi sento immersa in un silenzio ovat-tato, in simbiosi con la natura. Un po’come la meditazione». Sul Po hannoiniziato la loro carriera ragazzi chehanno vinto titoli mondiali e naziona-li, in coppia, da soli, in barche da seie da otto. E da qualche anno sono ini-ziati corsi e soddisfazioni anche per idisabili. Come Silvia de Plaria, checon la società “Caprera” ha vinto ilquinto titolo dei campionati del mon-do. E Sara Kobal, una ragazzina di 14anni non vedente che nella società“Armida” ha trovato il coraggio dimettersi in gioco. Sara abita a Bra, fre-quenta il liceo classico e da grandevorrebbe fare la linguista. Con le gote

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Celoria, e per l’allenatore dell’EsperiaRoberto Romanini è uno sport «d’ariaaperta e libertà». Due suoi allievi,Federico ed Eleonora, 13 e 14 anni,raccontano orgogliosi della loro sceltadi non essere andati a giocare a calcioo danza come i compagni di classe,«poi, io sono anche dimagrita», scher-za Eleonora. Ogni stagione dell’annoin riva al Po è come una novità. Ilprofumo dei fiori e dell’erba frescadella primavera, la luce fredda dellemattine invernali, quando l’acqua di-venta uno specchio gelido che riflette

rosse e un timido sorriso, ha sempreuna voglia matta di salire il pomerig-gio in barca con le sue amiche. «Mipiace perché sento la squadra, hosempre insieme a me delle ragazze sucui poter contare. E poi ci raccontia-mo di tutto. Mi rilassa, mi sblocca, lafatica mi ricarica». Il canottaggio, rac-conta, le è servito ad aprire i suoi oriz-zonti, a trovare sicurezza e determina-zione per affrontare gli ostacoli dellascuola, della vita. E con gli altri sensiriesce a mettere ancora più a fuoco idettagli del mondo: gli odori più omeno intensi del fiume, i rumori degliuccelli o dell’immergersi del remo nel-l’acqua, «tramite l’eco della voce rico-nosco sempre il ponte esatto sotto cuistiamo passando». «L’importante – diceCristina Ansaldi, allenatrice dei ragazzicon disabilità fisiche e psicologicheall’Armida – è non fargli sentire il pro-blema come una condanna, mostrargliche c’è una soluzione a tutto, che nonesistono strade chiuse. È importanteche acquistino consapevolezza deipropri limiti e cerchino di superarli».Vedere un disabile che arriva sulle ri-ve del Po in carrozzina, e dopo qual-che minuto se ne va via in barca èun’emozione straordinaria.Del rapporto viscerale con la natura erispettoso del fiume parla anche ilpresidente del “Caprera” Piero

Cristina Insalaco è studentessa alla Facoltà diLettere e Filosofia di Torino. Collabora con alcu-ne testate giornalistiche e riviste culturali diTorino e ha scritto il libro di poesie intitolato Un semplice sguardo

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le immagini bianche delle sponde, oancora le esplosioni di colori all’arrivodell’estate. La stessa atmosfera chePavese descriveva in La bella estate,«scendendo a Torino sul filo della cor-rente, gli occhi lavati dal sole e daituffi, asciugavano distesi, e le rive, lacollina, le ville, le chiazze d’alberi lon-tani, s’incidevano nell’aria».

Qui sopra, una gita a valle della diga di Piazza Gran Madrea Torino. Sotto, 75° del Rowing, i veterani si preparanoalla gara (foto arc. Canottieri Caprera-Torino)

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NATURA PROTETTA

Aldo Molino

Qui sopra, un assiolo (foto arc. LIPU Asti)

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Sulle colline astigiane, il CRFS Lipu di Asticontribuisce con le sue attività non solo al recupero degli animali feriti, ma anche allaricerca scientifica e all’educazione ambientale

TIGLIOLE, IL CENTRORECUPERO DELLA FAUNA SELVATICA

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lataste che nelle notti estive riempiela collina del suo gracidare.Tigliole, il cui nome significa “tiglio”,è un comune dell’interland astigianosituato a ovest della città, non lonta-no da San Damiano e dalle valle delTriversa. Maggior gloria del paese èla chiesetta romanica dell’XI secoloche si trova isolata a est, ma per i na-turalisti c’è soprattutto il Centro recu-pero fauna selvatica a case Doglioni,gestito dalla Lipu. Su una superficiecomplessiva di cinque ettari, untempo vigneti e oggi prati o boschi,sono collocate una decina di volie-re, i laboratori e i servizi. I terreni diproprietà di Guido Giovara sonoconcessi alla Lipu in regime di co-modato d’uso gratuito per 10 anni. A mandare avanti “la casadi cura” ci so-no anche Angelo Rossi, consiglierenazionale Lipu, il delegatoprovinciale Domenico Marinettoe il veterinario Alessandro Viale,che con l’ausiliodei volontari siprendono curadegli animaliferiti che arriva-no da tutta laprovincia.

Il CRFS è una struttura “ospedaliera”realizzata allo scopo di recuperare,curare e reintrodurre in natura esem-plari di animali selvatici trovati feriti,malati o debilitati per cause diverse.Attualmente i recuperi effettuati so-no circa 400 all’anno. Il 35%-40% de-gli uccelli curati sono rapaci diurni enotturni, specie protette fondamen-tali per la conservazione dell’equili-brio biologico. Le cause che determi-nano l’inabilità sono principalmenteeventi traumatici causati dal trafficoveicolare, dai cavi elettrici, dalle ve-trate ma anche da atti di bracconag-gio o di caccia abusiva. Ci sono poigli immaturi, pulli (i pulcini) orfani oabbandonati dai genitori, o erronea-

mente ritenuti tali da chi liha trovati sul territorio.

A fine luglio la libera-zione degli uccelliche hanno termi -

nato la riabilita-zione è un ap-puntamentodi festa cher i c h i a m aogni annoalcune cen-tinaia di per-

L«La nostra visione è quella di unmondo ricco di biodiversità, dovela gente e la natura possano vive-re in armonia in modo equo e so-stenibile».Non è un parco, e neanche un SIC,ma in cima alla boscosa collina glianimali sono di casa. Mentre siamo comodamente sedutiall’interno del casotto del Centro visi-te ecco un verdone che saltella sul-l’albero di fronte, mentre dall’altro la-to un nutrito gruppo di peppole facolazione nella mangiatoia artificialeappositamente predisposta. E ancora,cardellini, capinere e tanti altri uccel-li. Il sentiero naturalistico ci porta poia visitare le gabbie dove sono custo-diti gli uccelli in convalescenza e inattesa di essere liberati, e quelli chepurtroppo non sono più adatti allavita selvatica perché troppo confi-denti con l’uomo, menomati o peri-colosamente alieni (nel senso chenon appartengono alla fauna autoc-tona e non possono essere reintro-dotti nell’ambiente). Ecco alloragheppi, allocchi, poiane, un’aquila(nord-africana), e ci sono anche unagallina che forse si crede un colom-bo, un recinto per i piccoli mammife-ri e un paio di caprioli che guardin-ghi osservano incuriositi i visitatori. Il piccolo stagno con le tife e un tri-pudio di ranocchi, tra cui la rana di

In questa pagina, una poiana e un’upupa(foto arc. LIPU Asti)

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sone. Il Centro gestisce anche unaserie di attività collaterali e si è fattopromotore di alcuni interessantiprogetti.Particolarmente rilevanti sono gliinanellamenti effettuati in collabora-zione con INFS. Inanellare significacatturare gli uccelli selvatici, identi-ficarli, applicare a una zampa unanello metallico e subito dopo rila-sciarli. Per catturare gli uccelli si uti-lizzano diversi metodi, tutti ovvia-mente innocui per gli animali, eprincipalmente apposite reti.La particolare morbidezza dei mate-riali con cui sono fabbricate garan-tisce che gli uccelli non ne abbianodanno. Le reti quando sono apertesono controllate con cadenza ora-ria. Gli uccelli catturati, liberati dal-la rete, vengono posti in sacchettidi cotone, che limitano i traumi datrasporto e anche lo stress da cattu-ra. Misurati, pesati e determinata laspecie, gli uccelli vengono dotatidell’anello di riconoscimento coninciso un codice alfa-numerico equindi immediatamente liberati.L’inanellamento sistematico di mi-gliaia di uccelli (annualmente 2500solo a Tigliole) ha permesso negliultimi decenni di tracciare le princi-

pali rotte migratorie di quasi tutte lespecie europee e di individuare larete di aree protette che garantiscala conservazione di questi animali equindi della bio-diversità. La catturae la successiva ricattura dei soggettiinanellati hanno permesso anche losviluppo delle conoscenze relativealla fisiologia, all’ecologia e all’eto-logia degli uccelli. L’attività di edu-cazione ambientale si rivolge pre-valentemente alle scolaresche; nelterritorio del centro di recuperoè stata realizzata un’au-la didattica all’aper-to dotata delle piùmoderne tecno-logie, oltre a per-corsi didatticicon capanni ebacheche esplicative. E ancora, sicontrollano le popolazioni di colom-bi, si vigila contro il bracconaggio, sistudiano le eventuali patologie deglianimali ricoverati, si promuove la dif-fusione dei nidi artificiali non soloper gli uccelli ma anche per i pipi-strelli. Tra i progetti che il Centroe la Lipu propugnano c’è l’istitu-zione di una zona di rispetto ve-natorio in cui l’unico vincolo ri-chiesto è il divieto di caccia.

Il CRFS è visitabile solo su prenota-zione telefonando al n. 347 2425611da marzo a settembre, il sabato po-meriggio dalle 15 alle 18.Per contattare la LIPU di Astilipuat @libero.itwww.lipuat.com

NATURA PROTETTA

Il mestiere dell’inanellatoreL’attività di inanellatore in Italia puòessere effettuata esclusivamente dapersone in possesso di un appositopatentino rilasciato dall’ISPRA (IstitutoSuperiore Per Ricerca Ambientale) edell’autorizzazione delle singole regio-ni a operare sul proprio territorio.L’acquisizione del patentino avvieneal superamento di un esame inerenteil riconoscimento delle specie e lacomponente teorica relativa al rilievoe alla gestione dei dati per la correttagestione pratica di tutte le operazionidi inanellamento. Il patentino prevedetre diversi livelli di specializzazione inrelazione alle specie che ogni inanel-latore può inanellare. Gli inanellatoriin Italia sono per lo più non profes-sionisti (spesso ex-cacciatori) chesvolgono questa attività nel loro tem-po libero spinti dalla passione perl’ornitologia.

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Qui sotto, un lucherino. Nel box una fase dell’inanellamento (foto arc. LIPU Asti)

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Loredana Matonti e Aldo Molino

GLI “SPIANTATI”DI CASTELLETTO

TERRITORIO

NA Castelletto Stura nel pianalto cuneese, dove sopravvive ancora l’antica tradizione del ballo delle spade, dopo mezzo secolo è tornato anche il “Reggimento degli spiantati”

Nel luglio 1363 la CompagniaBianca del Falco lascia il Cuneeseper dirigersi a Pisa, e con essa ilsuo condottiero John Hawkwood,Giovanni Acuto per dirla colMacchiavelli che forse l’inglese nonconosceva. Secondo le cronachemedievali l’Acuto, reduce dallaguerra dei cento anni, al comandodi una compagnia di ventura assol-data dai marchesi del Monferratoper combattere e contenere le miredei milanesi Visconti, occupòCastelletto Stura e il suo manieroper usarlo come base di scorrerie. Centocinquant’anni dopo il brigan-te saraceno Selim, un turco facente

parte della flotta del corsaroCajireddin Barbarossa, al serviziodel sultano Solimano II, sbarcò aSavona per far bottino e schiavi. Tragici avvenimenti che hanno la-sciato il ricordo tra gli abitanti diCastelletto. Castelletto Stura, pocopiù di mille abitanti, a 10 km daCuneo in destra della Stura diDemonte, è piccolo paese agricoloconosciuto soprattutto per i suoi fa-gioli, cibo un tempo povero e oggirivalutato per le qualità nutrizionali(alto contenuto di proteine e di fer-ro). Introdotti in provincia di Cuneoagli inizi dell’800, furono coltivaticon successo in tutto il pianalto,

tanto da originare una particolarevarietà molto apprezzata e dal 1989tutelata da un apposito Consorziocon sede alla Camera di Commerciodi Cuneo.Se dal punto di vista artistico e am-bientale Castelletto non si distin-gue particolarmente (da vedere co-munque la cappella di SanBernardo, del XV sec., con affre-schi quattrocenteschi di GiovanniMazzucco) così non è per le suetradizioni. Due antichissime manifestazionipopolari, ancora attive ai giorninostri, rivestono particolare inte-resse e fascino per il viaggiatore.

Ragazze del paese in costume (foto L. Matonti)

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accomunate, e delle coraggiose bat-taglie per conquistare di nuovo la li-bertà. C’è John Hawkwood, condot-tiero di ventura inglese, meglio cono-sciuto in Italia come Giovanni Acuto(che a Firenze ha addirittura un mo-numento) che lascia finalmente ilCuneese (più che cacciato) perchéchiamato a Pisa. E c’è il pirata Selim,giunto in paese al comando di unacolonna di 200 turchi per depredarlo

e metterlo a ferro e fuoco. La rappresentazione verte

sulle trattative tra gli in-vasori e gli abitanti diCastel letto circa la taglia

richiesta per evi-tare la distruzio-ne del paese. Gli assediantisul palconell’attesa bi-vaccano sicu-

ri, mentre i ca-pi giocano a da-

di. Finalmente sigiunge a un accor-do: viene concessala libertà al paesein cambio di tre-mila ducati e do-dici fanciulle. Al momento dipagare il “piz-zo”, un contadi-no, tal Revello,le cui figlie so-

no state malauguratamente sorteggia-te a far parte del bottino, non ci sta eaggredisce a colpi di zappa il turcoSelim. È la scintilla che fa esplodere larivolta. “Porch d’un Turch, /brut Maomet,/n’devne fòra del Castlet./ Noi soma ijfer soldà/ del regiment dij Spiantà,noi soma del Castlet, beivoma d’bondosset”, grida il popolo, brandendobadili e picconi, in mancanza di armi(da cui il nome di “Regiment ëd jeSpiantà”). E si mandano a chiamarerinforzi. Poveri Saraceni! Che poi, se-condo alcuni, non rappresentavanoaltro che lo spirito cattivo da scaccia-re dalla comunità.A dar manforte ai rivoltosi di Castel -letto arriva in soccorso anche la fan-tasia, ed ecco i “nostri” con Garibaldie le Camicie Rosse e gli immancabiliAlpini, che costringono gli invasori adasserragliarsi nel fortilizio presto an-ch’esso assalito e conquistato. I Saraceni in parte sono catturati, altrifuggono verso la Stura. Selim vienescovato in un porcile e tradotto in ca-tene con gli altri prigionieri al cospet-to del principe e dello Stato maggioredei vittoriosi. Volendo cercare analogie, qual-cosa di molto simile (ma qui iturchi curiosamente sono dal-la parte dei rivoltosi) va inscena ogni quattro annia Breil (Breglio) inValle Roja. Si trattadella “Stacada”, mani-festazione che un tem-po come a Castellettoavveniva nel perio-do carnevalesco eche adesso è stataspostata in estate. Le cariche più im-portanti della rap-presentazione furo-no per molto tempoun retaggio di fami-glia. Il titolo di redel Reggimentoera della fami-glia Garella, al-la quale suc -cesse la fa-m i g l i aEnd i c i ;

Il “Regiment di Spiantà” Un po’ di storia, spettacolo e un pizzi-co di fantasia, il tutto condito con ab-bondante divertimento e coinvolgi-mento emozionale. Agitare e servire.È il cocktail che Castelletto Stura pro-pone agli appassionati delle manifesta-zioni popolari, a metà tra la rievoca-zione storica e la favola, dove perso-

naggi disparati per epoche e pro-venienza si mescolano e sisovrappongono in una cu-riosa rappresentazione, il“Reggimento degli Spiantati”.Rievocazione fantasiosa di

due distinte invasioni, av-venute a distanza disecoli fra loro, madai castellettesi

In questa pagina, in alto il ballo delle spade;sotto, due popolane (foto L. Matonti)

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Selim era interpretato da un membrodella famiglia Rosso, mentre ilGovernatore era un discendente pro-prio di quel Revello propugnatoredella rivolta.L’ultima edizione del Reggimento,prima della lunghissima interruzione,è avvenuta nel 1960 (la tradizione di-ce che è stata la 44° rievocazionene apartire dalla prima del 1382), con lapartecipazione di quasi 500 figuranti:turchi, garibaldini, alpini e “spiantati”con cannoni di legno che parlamen-tano, sfilano, si combattono. Per lasua difficoltà e complessità di rappre-sentazione lo spettacolo anche inpassato era proposto solo saltuaria-mente nel periodo carnevalesco.Grazie all’associazione culturale “Per-corsi” e all’amministrazione comuna-le, che sono riuscite ad organizzareun evento d’importanza storica, cultu-rale e affettiva coinvolgendo tutta lacittadinanza castellettese e dei centrivicini, domenica 5 settembre 2010,dopo cinquant’anni il Reggimento de-gli Spiantati è ritornato in piazza perla 45° volta. I figuranti questa volta erano quasi250, suddivisi fra i diversi “eserciti”chesi sono fronteggiati.Proprio le trattative fra il re diCastelletto e Selim hanno rappre-sentano il clou della parte recitata,ove i contendenti se le sono can-tate di santa ragione, regalando di-

vertenti battute al pubblico.A far da filo conduttore è

stato il commento recitatodal regista Paolo Monasterolo,

il quale man mano ha spiegato alpubblico le fasi salienti dello spettaco-lo inquadrandole nel contesto storico.Il “clou” è comunque la gran saraban-da della “battaglia” con i mercenari diGiovanni Acuto e i saraceni di Selimda una parte, e dall’altra le truppe al-leate del Reggimento composto dallemilizie di Castelletto, di Riforano, del-la Motta, di Tetti Pesio e dai garibal-dini con alla testa l’eroe dei due mon-di in compagnia della bella Anita. E per i feriti e i caduti sul campo dibattaglia ecco la solerte assistenza de-gli improbabili medici e delle croce-rossine del reparto infermeria. Al ter-mine la sfilata dei vincitori da piazza

danza formando con le spade unacatena continua, che si svolge e siriavvolge su se stessa. Disposti sudue file parallele e sempre uniti dallespade, attraversano un grande circo-lo adorno di nastri colorati, infine in-crociano le spade formando un cer-chio su cui viene innalzato uno di lo-ro. Nella seconda parte del rito glispadonari con passi in direzioni alter-nate al ritmo del tamburo intreccianoi lunghi nastri colorati che pendonodall'estremità di un palo creando unintreccio che girando in senso con-trario è nuovamente sciolto.

Per saperne di più

•Gallo Pecca L., Le maschere, il carnevale e le feste per l’avventodella primavera in Piemonte e nellaValle d’Aosta, Gribaudo 1987•Grimaldi P. (a cura di), Le spade della vita e della morte,Omega 2001

Italia in piazza Nuova sancisce la de-finitiva cacciata degli invasori.Un’iniziativa organizzata affinché, comericorda la Presidente dell’Associazione“Per-corsi”, Mariella Castellino, possaservire da monito per difendere la li-bertà e la pace.

Il ballo delle spadeBallato secondo la tradizione almenodal 1632, il “Bal del Saber” diCastelletto Stura fa parte conBagnasco, Fenestrelle, Vicoforte eBriaglia di quel gruppo di danze ar-mate tutt’oggi ancora attive sul terri-torio piemontese. In quanto rito e fe-sta propiziatoria per la nuova annataagraria, veniva eseguita un tempo inperiodo carnevalesco. Dopo il lungoperiodo di interruzione è stata ripre-sa e riproposta principalmente in oc-casione della festa patronale di SanMagno e talvolta in altre manifesta-zioni folcloriche (ha concluso anchela 45° edizione del Reggimento). I ballerini, dodici in costume orienta-lizzante, disegnano varie figure di

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Qui sotto, invasori saraceni con a capo Selim (foto L. Matonti)

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a cura di Emanuela [email protected]

NOTIZIE E CURIOSITÀAltre notizie e appuntamenti su www.piemonteparchi.itDDichiarato dall’ONU Anno Internazionale delle

Foreste, il 2011 si pone in continuum con il 2010, a suavolta dedicato alla biodiversità, stimolando sempre piùle coscienze di cittadini e governi sull’importanza dellasalvaguardia dell'ambiente a livello planetario, per ga-rantire il futuro nostro e della Terra. Da New York a Bahia, da Kinshasa a Johannesburg, daBerlino a Oslo, 365 giorni per cercare di porre un fre-no all’inesorabile deforestazione del pianeta. Il tema delle foreste e della deforestazione è sicura-mente uno dei più importanti nel panorama del con-trasto ai cambiamenti del clima. Dal 2000 a oggi sonoandati persi 5,2 milioni di ettari di foresta ogni anno,per un totale di oltre 161 milioni di ettari. Il 94,1% delladeforestazione avviene nelle aree tropicali del Brasile,del Congo e dell’Indonesia alimentando un businessspeculativo, coltivazioni industriali, industria del legna-me, ecc. valutato intorno a circa 150 miliardi di dollariogni 12 mesi. Proventi e denari di cui godono pochi privilegiati enon gli abitanti dei territori interessati e che inoltreincidono sui benefici socio-culturali ed eco-sistemiciinsiti nelle foreste. In queste aree vivono 1 miliardo e600 milioni di persone e le stesse verdi distese gio-cano un ruolo fondamentale nel proteggere la biodi-versità e nell’attenuare gli effetti del cambiamentoclimatico. Per celebrare l’Anno Internazionale delle Foreste sa-ranno organizzate diverse attività in tutto il Mondo.Dopo la “IX sessione del Forum delle Nazioni Unitesulle foreste” di febbraio a New York, in Europa, aOslo, la lente d'ingrandimento su queste tematiche sifocalizzerà dal 26 giugno al 1° luglio sulla “Conferenzaministeriale sulla protezione delle foreste in Europa”,cui seguirà a novembre in Polonia l’Assemblea genera-le dell’Amministrazione forestale dell’Unione europea.Ma è in Africa che si avrà l’epicentro, si spera decisio-nale, con la “Conferenza regionale sulle foreste” aKinshasa nella Repubblica Democratica del Congo, innovembre e soprattutto in Sudafrica dal  28 novem-bre al 9 dicembre. A Johannesburg si terrà la XVII Conferenza ONU sulClima (COP 17), chiamata a trovare gli accordi per il“dopo protocollo di Kyoto”. (Fonte: Ecoblog.it)

2011: anno internazionale delle foreste

La squadra formata dai guardiaparco del Gran Paradisosi è classificata seconda su 44 squadre provenienti dal-le aree protette italiane, svizzere, austriache, slovene,tedesche, francesi, e da quest'anno anche serbe e ro-mene. Nella competizione organizzata lo scorso gen-naio dal Parco Nazionale del Triglav (Slovenia), che havisto la partecipazione di 176 guardiaparco che hannogareggiato in squadre da quattro elementi per diversespecialità (scialpinismo, slalom gigante, sci di fondo etiro con la carabina), il team formato da Stefano Cerise,Alberto Peracino, Stefano Borney e Stefano Nicolussi siè aggiudicato il secondo posto con soli dieci punti didistacco dalla squadra del Parco Nazionale Svizzero,prima classificata, e posizionandosi davanti ai tedeschidel Parco Nazionale del Berchtesgaden. La manifesta-zione sportiva di livello internazionale, istituita in me-moria di Danilo Re, guardiaparco del Parco naturaledell'Alta Valle Pesio scomparso in servizio nel 1995, ol-tre a essere un momento conviviale e festoso, è stataanche occasione per un incontro sul tema “Il lavorodei guardiaparco - azioni concrete per l'applicazionedella Convenzione delle Alpi”.

Il Gran Paradiso “secondo” alle Olimpiadi dei guardiaparco

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Piemonte Parchi è su Facebook

I parchi entrano nel “paniere” IstatFra i 1.377 prodotti che sono stati scelti dall’Istat per costi-tuire il cosiddetto “paniere” sul quale verranno rilevati iprezzi al consumo delle famiglie italiane nel 2011, è stato in-trodotto l’ingresso ai parchi nazionali. Per Federparchi-Europarc Italia la notizia è sicuramente un segno positivo, inquanto rende esplicito il fatto che fra le spese degli italianiè ormai entrata in modo tangibile quella prevista per la vi-sita di territori protetti e ambienti naturali di cui il nostroPaese è ricco. È del resto ormai risaputo che, alla voce “tu-rismo”, uno dei pochi segni più, cioè di incremento di pre-senze e giro d’affari, si registra proprio per le destinazioni“verdi”: parchi, oasi e aree marine protette. Non si può pe-rò non rilevare anche un lato negativo della notizia: è risa-puto infatti che l’ingresso ai parchi nazionali non è a paga-mento. Ci sono biglietti d’ingresso per alcuni musei nei par-chi, si paga per dei servizi specifici (come l’accompagnamen-to su determinati percorsi), si spende per pernottamenti inostelli o foresterie, ma non c’è tariffa “d’ingresso”, e dunquei rilevamenti Istat peccano per forza di cose di “incomple-tezza”. L’auspicio della Federparchi è che in una prossimarevisione del “paniere”, l’Istat possa focalizzare ulteriormen-te la rilevazione sul costo dei servizi dei parchi, e non solodi quelli nazionali. (Fonte: Parks.it)

NOTIZIE E CURIOSITÀ

Un piccione di 5 metri a TorinoLo si può vedere, tutti i giorni, in via Giachino 53, all’interno di borgata Tesso(zona Spina 3), a due passi dalla futura Stazione Dora e dall’omonimo parco. Ma non è uno “scherzo della natura”, bensì un murale eseguito a pennello,finanziato dalla Fondazione ContradaTorino Onlus a seguito di unconcorso internazionale per “colorare” il fronte cieco dell’edifi-cio vinto da Mauro Fassino. Il concorso, riservato ai giovaniunder 35, aderiva a un manifesto ambientale che interessavail passato operaio della borgata e gli importanti flussi migratoriche l’avevano interessata. Da qui la scelta di trattare il tema del-l’immigrazione in modo insolito, attraverso la realizzazione di un“piccione viaggiatore”: animale spesso non benvoluto, condizionecondivisa da molti lavoratori arrivati in passato dal Veneto o dalMeridione e, oggi, spesso da extra comunitari che risiedono nel quar-tiere. La Fondazione ContradaTorino è una Onlus costituita nel 2008per iniziativa della Città di Torino, dell’Università degli Studi e dellaCompagnia di San Paolo e ha bandito il concorso rivolto ai giovani ar-tisti (under 35) per la riqualificazione, nella città di Torino, di tre pareticieche con differenti caratteristiche ambientali.

Vite silvestre nel Parco del FeneraAl Monte Fenera sono stati trovati esemplari della spe-cie Vitis vinifera silvestris cresciuti in un habitat incontami-nato. La scoperta è significativa poiché è sempre più ra-ro trovare esemplari di questa specie che riescano a vi-vere in ambienti naturali e senza l’intervento dell’uomo.Per questo è stata intrapresa una ricerca da partedell’Università degli studi di Milano, finanziata dal parcoe da uno sponsor privato, per definire le caratteristichegenetiche della vite e per raccogliere e catalogare esem-plari, al fine di creare un’opera inedita e completa suquesta antica coltura. (C. Dutto)

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Nasce il Centro Studi Valerio GiacominiCon un primo “rapporto’ sui parchi regionali toscani,presentato da Paolo Pigliacelli di Federparchi, si è apertal’attività del Centro Italiano Studi e Documentazionesulle Aree Protette. Il Centro, intitolato a ValerioGiacomini, grande studioso e padre della moderna e in-terdisciplinare visione dei parchi, nasce dalla collaborazio-ne tra la Regione Toscana e la Federazione dei Parchi.La sede è situata nella Tenuta di San Rossore, all’inter-no del Parco naturale di Migliarino San RossoreMassaciuccoli, altro importante partner della nuova im-presa. La struttura intende fornire un servizio di letturascientifica e critica della realtà organizzativa e gestionaledelle aree protette e delle loro performance, così impor-tanti per il Paese e ancora scarsamente conosciute e va-lorizzate. Info: www.parcoappennino.it

CORRE IONISul numero scorso di Piemonte Parchi, la fotografia pub-blicata a pag 22 non è la Cascina di Leri nel Vercellese mauna cascina nella zona di Leri.

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LE FORME DELLA NATURA

Volanogli uccelli volano

A«Aprono le ali, scendono in picchiata, atterrano meglio di aeroplani, cambianole prospettive al mondo, voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie im-percettibili, codici di geometria esistenziale.» Così Franco Battiato osserva il vo-lo degli uccelli in una sua celebre canzone. Tutti noi abbiamo visto almeno unavolta centinaia di storni disegnare nel cielo cerchi, ovali o nastri che poi d'in-canto si sfaldano, o le grandi formazioni a forma di “V” di anatre e oche cheseguono un corso d'acqua quasi come fosse un'autostrada. Ma come fanno de-cine o centinaia di uccelli a muoversi in modo così coordinato? Sembra che nonesista un leader, un capo, ma che ciascun individuo voli seguendo alcune sem-plici regole, come ad esempio quelle di mantenere una distanza di sicurezza daivicini o modulare la propria velocità con quella degli altri. Ma perché lo fanno?Per anatre e oche volare con la caratteristica formazione a “V” consente di ri-sparmiare energia: ogni uccello crea infatti una scia che permette a quello die-tro di muoversi con minore fatica. Se poi la posizione viene cambiata a rota-zione il gioco è fatto. Ma allo stesso tempo sembra anche che questa partico-lare formazione consenta a ogni uccello di avere sempre la migliore visuale.Secondo un modello computerizzato sviluppato da due ricercatoridell'Università di Rio de Janeiro, sono proprio le due teorie messe insieme cheportano i modelli computerizzati a definire gli schemi geometrici adottati dagliuccelli in natura. Ma c'è anche un altro motivo che spinge gli uccelli a radunarsiin grandi stormi, ed è quello della sicurezza. La vita di gruppo permette al sin-golo individuo di confondersi con gli altri soggetti. Per un predatore infatti, adifferenza di quanto possa sembrare, è molto più difficile individuare una pos-sibile preda all'interno di un gruppo numeroso e apparentemente disordinato.Per fare un paragone, è facile prendere al volo una singola pallina lanciata dalvicino mentre se le palline sono tante si rischia di mancarle tutte.

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Testo di Stefano CamanniDisegno di Cristina Girard

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DAL MONDO DELLA RICERCACCosa più ricercato di un bouquet di orchidee, fiori sensuali ed esotici per an-tonomasia? Eppure rare non sono, giacché rappresentano quasi il 10% di tuttela piante da fiore, né tantomeno esotiche, dato che solo in Italia se ne contanooltre 250 specie endemiche, spesso ignote compagne delle nostre passeggiate.Il loro fascino nasce forse dalla voluttuosa nomea di piante ammaliatrici di in-setti impollinatori, ma altrettanto affascinante è l'interazione con alcuni funghisimbionti, vitale per la loro sopravvivenza. Per saperne di più, soprattutto del-le orchidee diffuse nei climi temperati, bisogna dare uno sguardo nel sottosuo-lo, dove si dipana l'invisibile rete delle micorrize, intima unione tra le radici del-le piante superiori e i microscopici filamenti sotterranei - le ife - con cui i fun-ghi si espandono nel sottosuolo. Studi recenti hanno evidenziato come que-ste reti sotterranee mettano in comunicazione, tramite i filamenti fungini, al-beri anche di specie differenti, permettendo il passaggio e quindi la distribu-zione di carbonio organico, ovvero di molecole di nutrienti più o meno com-plesse, da un'estremità all'altra del bosco, una sorta di invisibile metropolitanadella materia a garanzia della biodiversità. Ma qual è il significato di queste retifungine per le orchidee, in particolare per quelle boschive? Le orchidee sonocaratterizzate da un seme privo di nutrimento per la futura piantina,e incapace di generare un primo germoglio fotosintetizzante. I fun-ghi presenti nel terreno, quelli che hanno stretto una simbiosi mi-corrizica con le radici delle piante verdi circostanti, rappresentanoun'ottima fonte di zuccheri, ed è quindi a essi che i semi di orchideasi associano, sviluppando le giovani piantine a spese del nutrimentofornito, attraverso le ife fungine, dalle piante verdi contigue. A se-conda della specie si differenzieranno in orchidee adulte verdi, ingrado di fotosintetizzare, o in orchidee aclorofilliche, per nulla oscarsamente verdi in quanto totalmente o parzialmente prive di clo-rofilla, che rimarranno vincolate per tutta la loro esistenza al fungoe quindi alla rete nascosta del bosco, che fornirà loro il nutrimentonecessario. Proprio di orchidee si occupa il gruppo di ricerca della professores-sa Perotto del Dipartimento di Biologia Vegetale dell'Università diTorino, dove Enrico Ercole sta concentrando i suoi studi sui diffe-renti funghi micorrizici associati a due specie sorelle tipiche degliambienti umidi palustri, Anacamptis palustris e Anacamptis laxiflora,entrambe a distribuzione mediterranea. Il maggior pericolo di estin-zione che minaccia la prima – la cui sopravvivenza è messa a rischiodalla costante riduzione del habitat – molto più della seconda, haspinto i ricercatori torinesi a investigare i differenti funghi associatialle due orchidee, per valutare la specificità dell'associazione e le ri-cadute delle diverse strategie alimentari. L'obiettivo è individuare lesoluzioni ecologiche ottimali che permettano di non perdere questipreziosi fari della biodiversità ambientale, insostituibili indicatoridella salute degli ecosistemi.

Un’orchideanel boscoClaudia [email protected]

Qui sopra, esemplare di Anacamptis palustris

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SENTIERI PROVATI

Le chiesetteromaniche del MonferratoRubrica a cura di Aldo [email protected]

LLa carta fortunatamente è dettagliata e precisa, ma sul terre-no non c’è praticamente traccia di segnavia o di cartelli indi-catori dei sentieri segnalati; solo qualche saltuaria e sbiaditaindicazione. Mappa alla mano quindi e con qualche conoscenza di topogra-fia si può andare alla scoperta, come ci propone la carta stessa,delle colline della Val Versa astigiana (il torrente Versa tributariodel Tanaro è un ruscello che nasce tra i bricchi di Cocconato),che rivelano aspetti ambientali e paesaggistici davvero interes-santi in un contesto scarsamente antropizzato. Uno di questi èdato dalla presenza di numerose chiesette romaniche, antichepievi che si ergono solitarie nelle campagne più o meno benconservate, ma tutte con uno straordinario patrimonio di storianon ancora completamente indagato. Come San Nazario eCelso pieve di Montechiaro o San Lorenzo di Montiglio attiguaal cimitero.La maggior parte di questi monumenti è raggiungibile in auto oper lo meno ci si può arrivare nei pressi, ma percorrendo le an-tiche carrarecce, lontano dal traffico motorizzato si possono ri-vivere esperienze più intime e vicine a quelle dei pellegrini e deiviaggiatori del passato.L’escursione proposta richiede circa 4 ore di cammino (ad an-datura turistica e contemplativa)e prevede un anel-lo attorno a Mon -tiglio e una lungadigressione versoMontechiaro (il pae-se non fa parte del-la Comunità collina-re). Ma come si ar-riva a Montiglio? Da Asti risalendo laVal Versa (S.P. 22) oda Chivasso percor-rendo l’ex S.S. n. 590. Ci sarebbe poi la ferrovia, linea Asti-Chivasso, ma è attiva soltan-to in periodo scolastico e con poche corse al giorno.Dalla piazza di Montiglio (250 m s.l.m., comodo parcheggio) de-dicata alla Regina Margherita si prende via Padre Carpignano.All’incrocio con via Braia si va a sinistra e dopo qualche centi-naio di metri, percorso il breve viale della Rimembranza, si giun-ge sul sagrato della chiesetta romanica di San Lorenzo. La chiesaè orientata est-ovest: in senso strettamente religioso significache l'origine della Cristianità è a oriente (Gerusalemme).La pieve fu dedicata a San Lorenzo divenuto successivamentepatrono del paese di Montiglio. Il culto di San Lorenzo fu intro-dotto nell'anno Mille da San Massimino Vescovo di Milano: eglifu il primo diacono martire della Chiesa di Roma. Il materialecostruttivo è un’arenaria locale chiamata pietra da Cantoni, unsedimento marino, formazione calcarea che ha una datazioneche va da 20 a 13,5 milioni di anni. È un materiale facilmente la-vorabile appena estratto dalla cava e che subisce successiva-mente un indurimento.Normalmente la pieve è chiusa ma se ne può visitare l’interno

«San Nazario e Celso, sulla sommità della morbidacollina, rappresentano un suggestivo riferimento per chi segua a piedi i sentierie le viottole che percorronole vallette e le crestecircostanti» (S. Calzone)

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contattando il Municipio o Francesco Ciravegna che ne è il cu-ratore. Ne vale sicuramente la pena, le sculture e le decora-zioni dei capitelli sono molto interessanti. Tornati indietro si prosegue in via Braia che per un tratto èparallela a via Asti, dalla quale poi si discosta per proseguiresterrata lungo il ciglio della collina. Superato il Bric Roico siscende quindi dolcemente e piegando verso destra, raggiuntala strada asfaltata, la si attraversa. Al successivo bivio si svoltaa sinistra (attenzione al ritorno: a questo bivio non si svoltama si continua diritto verso destra). Costeggiata la collina diCunico si giunge alla stazione ferroviaria di Cunico-Scandelluzza. Si passa l’asfalto e si prosegue sullo sterratodall’altra parte. Le indicazioni sulla mappa ci portano così adun casello ferroviario e all’attraversamento della ferrovia (at-tenzione!). Si prosegue adesso sul largo sterrato che puntaverso sud e al bivio in prossimità di una cappella campestresi va a sinistra. Il viottolo s’inoltra nella campagna salendo dol-cemente, supera una confluenza da sinistra e giunge in vistadel solitario campanile di San Nazario. Lo stradello aggira lacollina (sulla destra) e duecento metri prima della S.P.2 si pie-ga bruscamente a sinistra per salire a fianco di un vigneto escendere dolcemente alla chiesetta romanica di San Nazarioe Celso.La pieve, che ha avuto singolari vicende costruttive, alternafasce in cotto con altre in pietra da cantoni per un suggestivoeffetto di bicromia.Si ritorna lungo il medesimo itinerario sino al bivio segnalatoin precedenza. Si prosegue quindi pianeggiando nella valleLongoria sino a un bivio nei campi. Si svolta a destra puntan-do verso la collina di Rocca, avendo come riferimento in lon-tananza il muro in cemento di un fabbricato rurale. Il percorso prosegue ancora in direzione di Montiglio e conun tratto in salita raggiunge la piazza del paese.

Info: Agenzia Turistica Montiglio Monferratovia Romano Gianotti 9, 14026 - Montiglio Monferrato (At)tel. e fax 0141 994006, e-mail [email protected] 

Per saperne di più:• Carta UVA, i sentieri della Comunità Collinare Unione VersaAstigiano e tutte le indicazioni per scoprirli, scala 1:25.000, Hapaxed.• De Stefano L., Vergano L., Chiese romaniche nella provinciadi Asti, 1960• Pittarello Liliana, Le chiese romaniche delle campagne astigiane,1984• Valente Tiziana, Zanchettin Ferruccio, Chiese romaniche nellaprovincia di Asti• Calzone Sergio, Quel bianco mantello di chiese, Editurist

Nella pagina accanto: in un giorno di pioggia verso San Nazario. In questa pagina, dall’alto: la solitaria chiesetta di San Nazario eCelso; interno di San Lorenzo di Montiglio; la remota stazioneferroviaria di Cunico-Scandelluzza (foto A. Molino)

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Il libro del meseRubrica a cura di Enrico [email protected]

LETTURE

IDEDICATO ALLA PIANURA PADANADove il Po diventa un Grande Fiume. Viaggio nella pianura delParco del Po Cuneese di Stefano Fenoglio, ed. Ente di gestionedel Parco del Po - Tratto cuneese (t. 0175 46505), € 10.

Il Po è il principale fiume italiano per lunghezza e portata. Il suobacino idrografico raccoglie le acque di 141 affluenti proventi dasette regioni e ha una superficie molto estesa, quasi un quartodell’intero territorio italiano.La pianura Padana attinge il nome proprio dal Po; è una realtàstraordinariamente viva e dina-mica, un punto nevralgico del-l'economia, in cui risiedono 16milioni di persone. Qui è localiz-zato il 37% delle imprese indu-striali con il 46% dei posti di la-voro; qui si allevano circa 10 mi-lioni di bovini e suini, pari al 55%dell’attività zootecnica e si ricavail 35% della produzione agricola;qui si consuma il 48% dell’ener-gia elettrica nazionale e si formail 40% del prodotto interno lor-do. Un motore efficiente e bendotato, che nell’altra parte dellamedaglia mostra criticità di tipoambientale, altrettanto diffuse eprofonde. Tralasciando la sca-dente qualità dell’aria che si re-spira, il carico inquinante riversa-to in val Padana è paragonato a114 milioni di abitanti-equivalentie ripartito tra il settore civile(15%), agrotecnico (33%) e industriale (52%). Una realtà arti-colata, complessa e contraddittoria, dunque, nella quale ilPiemonte svolge un ruolo di primissimo piano, che nel corsodel tempo si è caratterizzato per l’originale e lungimirante scel-ta di equilibrare sviluppo produttivo e salvaguardia ambientale.L’attuazione della politica regionale dei parchi e delle riservenaturali, ad esempio, ha indirizzato la promozione e la fruizionedi aree ritenute a torto marginali o insignificanti come le zoneumide attorno a laghi e fiumi, che oggi rappresentano il 27%

del territorio protetto. Il fiore all’occhiello di tale volontà èrappresentato dall’azione di tutela dell’intero tratto piemon-tese del fiume Po, dalle sorgenti sul Monviso al suo passaggioin Lombardia. Unica fra tutte le regioni interessate dal gran-de fiume, la Regione Piemonte ha dato vita al Sistema dellearee protette della fascia fluviale del Po, un’ampia superficieterritoriale di 360 km2, lunga 235 km, compresa nelle provin-ce di Cuneo, Torino, Vercelli, Alessandria e suddivisa orga-nizzativamente in tre enti dotati di personale specifico e qua-lificate strutture.L’Ente di gestione del Parco del Po (tratto cuneese da Piandel Re a Casalgrasso), che ha curato l’edizione di questo vo-lume, presenta la maggiore varietà di ambienti naturali chedalla montagna d’alta quota si succedono fino a raggiungere

la bassa pianura, in un iperbolicodislivello altimetrico di ben 3591metri. L’autore del libro completal’opera iniziata nel precedentevolume Alla scoperta della naturain Valle Po, incentrato sul trattomontano del Parco.Entrambi i lavori, scritti con lin-guaggio accattivante, semplice edivulgativo, ma nel contempo ri-goroso sotto il profilo scientifico,illustrano le bellezze ambientalidel Parco e sono destinati almondo della scuola e a quanti,amanti delle passeggiate, a piedio in bicicletta, desiderano cono-scere più approfonditamentequanto li circonda.Una pagina dopo l’altra, si sco-prono le molteplici forme di vitache animano la pianura, un ambi-to ritenuto, spesso a torto e conleggerezza, di scarso interesse

botanico e faunistico. Le riflessioni, nozioni e informazionipuntuali su uccelli, mammiferi e pesci, anfibi e rettili, inverte-brati terrestri e acquatici, sono corredate da bellissime foto-grafie, disegni e schemi esplicativi. Il libro è la sintesi di una lun-ga e accurata ricerca e fornisce un insieme di motivi in più pergodere personalmente il fascino di questi interessanti ambientiplaniziali, per vedere con i propri occhi le meraviglie del Parcoe, in questo inizio di primavera, per scoprire dal vero le millecose illustrate nel libro.

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I macrolepidotteri del Piemonte diFerruccio Hellmann e Paolo Parenzan,ed. Regione Piemonte-Museo Regio -nale di Scienze Naturali (t. 011 4326339),€ 50. Opera monumentale (oltre mil-le pagine) nella collana “Monografie”,che riunisce i dati pubblicati a partiredal ’700 a oggi e intende fare la sintesidelle conoscenze sui macrolepidotteridel Piemonte. Le informazioni biblio-grafiche risultano integrate con segna-lazioni inedite e per ciascuna delle1440 specie accertate (di cui 15 per laprima volta) vengono riportati il coro-tipo e l’ecologia.

I segreti del Bal da Sabre, video dvd diBruno Usseglio, ed. Parco Val Trocea(t. 0122 78849) documenta l’antica fe-sta della danza delle spade; un mo-mento di gioia e di allegria che divertee coinvolge l’intera comunità alpinadella Val Chisone. Le riprese del filmeffettuate a Fenestrelle mostrano losvolgersi della manifestazione ricca dicolori, balli in costumi tradizionali, rit-mi di tamburi che gareggiano con isuoni delle campane.

I boschi planiziali. Conoscenza, conserva-zione e valorizzazione a cura di P. Came -rano, C. Grieco, P. Terzuolo, ed. RegionePiemonte - Blu (t. 011 53393200), € 12 èun lavoro di alto profilo scientifico-divul-gativo, frutto della collaborazione fral’Assessorato agricoltura e foreste el’Istituto delle Piante da Legno e Ambiente,che presenta i dati aggiornati per tipolo-gie del notevole patrimonio forestalepresente in Piemonte.

10 anni con le aquile reali e qualche gipeto(testo in italiano e inglese) di FrancescoFramarin, ed. Temi (t. 0461 826775), € 20.L’aquila è un rapace magnifico e affasci-nante, dotato di una forte carica simbolicadi supremazia e di potere. La competenzadell’autore (eminente studioso e per annidirettore del Parco Nazionale GranParadiso) ci fa conoscere questo straordi-nario animale nel suo habitat naturale, de-scrivendo come in un racconto avvincen-te la sequenza delle fasi della vita di cop-pia, l’allevamento, i conflitti… Il libro èuno studio pieno di passione e amore perl’uccello alpino più temuto e ammirato.

Parco Park Parc. Arte e territori di resi-lienza urbana (testo in italiano e inglese),ed. Eventi & progetti (t. 011 3182235), € 15,racconta il flusso del rapporto dialetticotra arte e natura, favorendo il confrontofra espressioni maturate in varie parti delmondo. L’opera mostra poi le esperienzerealizzate in differenti workshop gestiti ecoordinati dal Parco dell’Arte Vivente diTorino, sotto la direzione artistica diPiero Gilardi.

di Angelo Meschini, ed. Belvedere (t. 0773 697948, ordinabile:www.edizionibelvedere.it), € 25.

“Ma perché proprio l’Occhione?”.Questa l’inevitabile domanda a chi, conpoche speranze, tenta di spiegare lapropria speciale passione rivolta a unuccello effettivamente singolare. Nonmaestoso come l’aquila, né coloratocome un gruccione, e tanto meno ele-gante come un’avocetta. Ma piuttostodimesso nella colorazione del piumag-gio, habituée di ambienti tutt’altro chespettacolari – campi aridi e letti fluvialiciottolosi – e addirittura buffo nei suoilineamenti sproporzionati e quasi fu-mettistici. E invece proprio lui,Burhinus oedicnemus, caradriforme di40-45 cm, lunghe zampe e soprattuttograndi occhi gialli, è l’oggetto esclusivodel magnifico libro scritto dall’ornitolo-go Angelo Meschini. Magnifico perchéricco di informazioni, esauriente nelsuo esplorare tutti gli aspetti della bio-logia di questa specie affascinante, ar-ricchito da disegni e fotografie di quali-tà. Una riuscita sintesi tra approccioscientifico e annotazioni apparente-mente di dettaglio, talvolta pure emo-zioni, frutto di un’esperienza maturatasul campo nonché di passione profon-da. Un lavoro serio e sincero, capaceanche di coinvolgere e fornire nuovispunti e motivazioni a naturalisti, bir-dwatchers, fotografi.

Giulio Ielardi

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AMBIENTALISTA SARÀ LEI...

di Bruno GambarottaNNei primi mesi del 1911 Emilio Salgari è oppresso da un carico soverchiante di disgrazie e decide di fare ka-rakiri in collina, proprio nei giorni in cui si inaugura a Torino la Grande Esposizione Internazionale. La notiziadella morte passa quasi inosservata sui giornali, ma le cronache registrano una folla strabocchevole ai fu-nerali, con intere scolaresche presenti. Da allora, la fortuna del nostro scrittore non è mai declinata.Pensiamo per contro a quanti autori, ben più osannati in vita, hanno subito un'eclisse pressoché totale.Salgari, per chi l'ha letto da bambino, resiste impavido. Mia madre, per farmi smettere di leggere i libri diSalgari quando già ero a letto, veniva a spegnere la luce e io reagivo sistemandomi sotto le coperte conuna pila. Tutti i miei coetanei leggevano Salgari. Come dice Lella Costa, i maschi che da piccoli preferivanoPiccole donne, da grandi hanno fatto gli stilisti. Stando così le cose, viene da chiedersi se la costante presenzadi Salgari come fonte dell'immaginario degli italiani abbia avuto qualche influenza sulla storia d'Italia nei cen-to anni trascorsi dalla sua morte. C'è stato un maldestro tentativo del fascismo di annettersi Sandokan ecompagni in funzione anti britannica, e sicuramente Benito Mussolini aveva letto i romanzi della serie deipirati. Così come Bettino Craxi deve aver divorato i libri del Nostro. I democristiani no, mi rifiuto di pen-sare che un doroteo, così scivoloso, così incline al compromesso, abbia mai sognato un assalto alla filibusta.Ve li immaginate Forlani, Rumor, Piccoli, mentre impugnano una scimitarra e incitano: «Avanti, miei prodi»?In genere al politico salgariano ripugna l'idea del connubio, delle convergenze parallele, del compromessostorico. Salgari del resto non è mai stato un autore da sagrestia o da scuole cattoliche. Gli eroi salgarianinon dimenticano i torti e covano la vendetta per una vita intera; nell'Italia di oggi i cronisti mettono il mi-crofono davanti alla bocca dei parenti delle vittime a cadavere ancora caldo per domandare ansiosi: «Veroche avete perdonato l'assassino?» Sentiamo: c'è qualcuno fra i presenti che ha il coraggio di proporre aSandokan di perdonare i nemici con la scusa che si sono dissociati dalla lotta armata? Lo sentiremmo urlaree digrignare i denti, ci ordinerebbe di metterci in prima fila nel prossimo arrembaggio e noi ubbidiremmo.Già, non possiamo eludere la regina di tutte le domande: il modello proposto dal nostro autore è com-patibile con la democrazia? Sandokan è il capo e prende le sue decisioni in solitudine, senza consultarsi connessuno. E non perde tempo a spiegarle. Soprattutto è monogamo e siamo in molti a pensare che sia ar-rivato vergine all'incontro fatale con la perla di Labuan. Che abbia chiesto a Yanez di spiegargli come na-scono i bambini? Nella storia d'Italia dell'ultimo secolo, fuori dal recinto della politica si trovano delle reincarnazioni più omeno riuscite del modello salgariano. Ognuno ha i suoi preferiti. Per quanto mi riguarda, comincerei daifuturisti (il loro Manifesto esce nell’anno della morte di Salgari) e dal loro capo Filippo Tommaso Marinetti,anche se alla fine ha accettato di diventare accademico d'Italia, con lo spadino e la feluca. I Sandokan nondovrebbero invecchiare, come è successo a Valentino Mazzola e a Gigi Meroni. Va da sé che Emilio eraun tifoso del Torino e non chiedeteci le prove perché è semplicemente assurdo immaginarlo juventino.Nel giornalismo possiamo arruolare Cilindro (detto Indro) Montanelli e senza esitazione Roberto Saviano.Purtroppo, e non per colpa sua, Saviano ci fa venire in mente che uno dei capi del clan dei casalesi, cat-turato di recente, si faceva chiamare Sandokan. Salgari avrebbe dovuto depositare il marchio per poterconcedere solo ai meritevoli il diritto di fregiarsene. Come l'indimenticabile Enrico Mattei, l'uomo che osòsfidare il cartello delle Sette Sorelle e pagò caro il suo coraggio. La stirpe per fortuna non si è estinta. C'èin questa stagione un perfetto Sandokan che occupa la scena italiana e non solo italiana. È un uomo soloal comando e il suo nome è Sergio Marchionne.

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Reincarnazionisalgariane

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Appuntamential museoa cura di Elena [email protected]

via Giolitti 36 - Torino tel. 011 432 6365

IL GELSO E IL SUO LEGAME CON IL BACO DA SETATorino, 16 aprile – 22 maggio

«La Gelsicoltura,colla conseguenteindustria dell’alleva-mento del filugello,rappresenta percontrade come lanostra, uno dei mez-zi più naturali, facili,convenienti, di sfrut-tare le condizionidell’ambiente clima-tico e tellurico.» Con queste parolesi apriva il Manualedi gelsicoltura delprofessor Faveroedito a Torino nel

1926, riferendosi alla coltura in Piemonte. Il particolare paesaggio agrario checaratterizzava il Piemonte della prima metà del secolo scorso oggi è scomparsoe, a testimonianza dell’epopea della gelsi-bachicoltura, non restano che sparutifilari, solitario relitto di quel tempo.Per ricordare e raccontare quest’albero, in occasione dell’8° Giornata Nazionaledel Giardino (UGAI) e dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sabato 16 aprile alle ore10.00 presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino si svolgerà il con-vegno Il gelso: albero dimenticato nel paesaggio agrario piemontese… e il suolegame con il baco da seta. A seguito del convegno, alle ore 12.00, verrà inaugu-rata la mostra tematica che sarà visitabile fino al 22 maggio nelle sale del Museo.L’esposizione di materiale didattico e oggetti, messi a disposizione da vari enti cul-turali e formativi piemontesi, comprende un percorso tra pannelli divulgativi, at-trezzi di lavoro, tessuti, suppellettili, filmati e fotografie storiche, illustrerà l’impor-tanza del gelso nella storia e nella cultura piemontese. Documenti storici e attrezzidi vita contadina ci riportano ad un passato in cui le vaste estensioni di pianura ele vallate piemontesi erano caratterizzate da filari di gelsi alternati a seminativi, di-sposti lungo ruscelli e strade o maritati alla vite allevata a cordone. Nelle Terre dei Savoia i duchi divennero spesso principali imprenditori della col-tura del gelso e dell’allevamento del baco da seta. La coltura si diffuse così nelle aziende agricole piemontesi,dove il clima e la natura del suolo erano favorevoli al gelsoe al baco da seta.Nella mostra, accompagnata da un ricco catalogo, coltura ecultura si trovano indissolubilmente legate in un percorsofatto di antichi testi, mappe storiche e fotografie, frutto diuna collaborazione tra il Museo Regionale di ScienzeNaturali di Torino, l’Università degli Studi di Torino eFloritalia. Uno sguardo al di fuori della nostra regione ci por-terà a conoscere la gelsicoltura nel Lam Dong, in Vietnam, esull’altopiano del Pamir, in Tajikistan, dove la coltura afferma-tasi nei secoli è ancora fiorente ai giorni nostri. Un’ulteriore declinazione della bachicoltura, che gioca un’im-portante ruolo economico, verrà sviluppata trattando le “se-te selvatiche”, tipiche di alcune aree dell’Africa e dell’Asia,quali il Madagascar e l’India.

Nella foto in alto, viale di gelsi nella pianuratorinese; sotto, la preparazione della farinadi gelso in Tajikistan

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