[10-2010] Seneca

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Seneca Gli anni della formazione e l’esilio in Corsica Lucio Anneo Seneca nacque attorno al 5 a Cordova nella Spagna Betica. Di famiglia ricca (gli Annei), il padre fu Seneca il Vecchio, e lui era zio di Lucano. Il padre lo mandò a studiare a Roma dove ricevette una perfetta educazione retorica e un indirizzo verso la filosofia. In seguito all’avvento di Tiberio al trono, che chiese la chiusura della “scuola dei Sestii”, Seneca preferì trasferirsi in Egitto. In seguito al suo ritorno a Roma (intrapresa la carriera forense e il cursus honorum) divenne questore l’anno successivo e in poco tempo uno degli oratori più ammirati della capitale, tanto da suscitare l’invidia di Caligola, e riuscì a sfuggire alla morte rinunciando a tenere discorsi in pubblico. Sotto Claudio fu accusato di adulterio con la sorella di Caligola e riuscì nuovamente a scampare alla morte con la relegazione in Corsica. Gli otto anni di solitudine lo portarono a riprendere gli studi filosofici, precedentemente abbandonati. Alla corte di Nerone e il successivo allontanamento Grazie ad Agrippina (che si pensa sia stata sedotta da Seneca) Seneca tornò a Roma come precettore del figlio Nerone, per cui ella aveva grandi ambizioni di potere, a cui Seneca, più o meno consapevole, si prestò. Alla morte di Claudio nel 54 Agrippina ottenne l’investitura ufficiale per il 17enne Nerone. Seneca scrisse l’ambigua laudatio funebre recitata da Nerone ai funerali di Claudio, mentre di nascosto scriveva la dissacrante parodia Apokolokyntosis verso colui che lo aveva esiliato. Fino al 58 di fatto fu Seneca a governare, ed in quegli anni scrisse il De clementia dedicato a Nerone. Nel 59 Nerone uccise la madre. Data l’inconciliabilità tra la tendenza all’autarchia di Nerone e l’atteggiamento filo senatorio di Seneca egli maturò la decisione di staccarsi dalla corte. In seguito al sospetto che Seneca volesse uccidere Nerone per succedergli, egli si tagliò le vene, morendo. Una personalità controversa Seneca, avendo vissuto in pieno il dramma degli intellettuali del suo tempo, fu forse l’unico a tentare di inserirsi nel gioco politico per esercitarvi una funzione attiva in quanto uomo di cultura. In seguito a diverse esperienze tuttavia Seneca scoprì la sua vera vocazione: scoprire l’interiorità . Il confronto con Cicerone può illuminarci su questa vocazione di Seneca: essere per Roma il filosofo dell’individualità. 1. Cicerone : Fiducia persistente di poter giovare allo stato e ai cittadini. 2. Seneca : Crede di poter giovare solo a se stesso, o al massimo ai suoi pochi amici. Per questo Seneca riuscì nella sua missione di rivelare ad un pubblico sempre più ampio il mondo dell’interiorità. Delineò e difese la fredda superiorità del sapiens stoico. Pochi a Roma ebbero come lui il senso dell’humanitas. Come ogni uomo Seneca cedette a debolezze e compromessi (come quando si piegò ad adulare Claudio, al fine di ottenere il richiamo a Roma). Inoltre rimase sempre in una posizione non chiara tra vita attiva e contemplativa, quindi tra l’otium e il

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SenecaGli anni della formazione e l’esilio in Corsica

Lucio Anneo Seneca nacque attorno al 5 a Cordova nella Spagna Betica. Di famiglia ricca (gli Annei), il padre fu Seneca il Vecchio, e lui era zio di Lucano. Il padre lo mandò a studiare a Roma dove ricevette una perfetta educazione retorica e un indirizzo verso la filosofia. In seguito all’avvento di Tiberio al trono, che chiese la chiusura della “scuola dei Sestii”, Seneca preferì trasferirsi in Egitto. In seguito al suo ritorno a Roma (intrapresa la carriera forense e il cursus honorum) divenne questore l’anno successivo e in poco tempo uno degli oratori più ammirati della capitale, tanto da suscitare l’invidia di Caligola, e riuscì a sfuggire alla morte rinunciando a tenere discorsi in pubblico. Sotto Claudio fu accusato di adulterio con la sorella di Caligola e riuscì nuovamente a scampare alla morte con la relegazione in Corsica. Gli otto anni di solitudine lo portarono a riprendere gli studi filosofici, precedentemente abbandonati.

Alla corte di Nerone e il successivo allontanamento

Grazie ad Agrippina (che si pensa sia stata sedotta da Seneca) Seneca tornò a Roma come precettore del figlio Nerone, per cui ella aveva grandi ambizioni di potere, a cui Seneca, più o meno consapevole, si prestò. Alla morte di Claudio nel 54 Agrippina ottenne l’investitura ufficiale per il 17enne Nerone. Seneca scrisse l’ambigua laudatio funebre recitata da Nerone ai funerali di Claudio, mentre di nascosto scriveva la dissacrante parodia Apokolokyntosis verso colui che lo aveva esiliato. Fino al 58 di fatto fu Seneca a governare, ed in quegli anni scrisse il De clementia dedicato a Nerone. Nel 59 Nerone uccise la madre. Data l’inconciliabilità tra la tendenza all’autarchia di Nerone e l’atteggiamento filo senatorio di Seneca egli maturò la decisione di staccarsi dalla corte. In seguito al sospetto che Seneca volesse uccidere Nerone per succedergli, egli si tagliò le vene, morendo.

Una personalità controversa

Seneca, avendo vissuto in pieno il dramma degli intellettuali del suo tempo, fu forse l’unico a tentare di inserirsi nel gioco politico per esercitarvi una funzione attiva in quanto uomo di cultura. In seguito a diverse esperienze tuttavia Seneca scoprì la sua vera vocazione: scoprire l’interiorità. Il confronto con Cicerone può illuminarci su questa vocazione di Seneca: essere per Roma il filosofo dell’individualità.

1. Cicerone : Fiducia persistente di poter giovare allo stato e ai cittadini.2. Seneca : Crede di poter giovare solo a se stesso, o al massimo ai suoi pochi amici. Per questo Seneca riuscì nella sua

missione di rivelare ad un pubblico sempre più ampio il mondo dell’interiorità. Delineò e difese la fredda superiorità del sapiens stoico. Pochi a Roma ebbero come lui il senso dell’humanitas.

Come ogni uomo Seneca cedette a debolezze e compromessi (come quando si piegò ad adulare Claudio, al fine di ottenere il richiamo a Roma). Inoltre rimase sempre in una posizione non chiara tra vita attiva e contemplativa, quindi tra l’otium e il negotium. Egli tuttavia si difendeva affermando che lui doveva solo insegnare, non essere esempio.

Un autore stoicista molto prolifico

Seneca scrisse sia in prosa che in poesia, e scrisse trattazioni scientifiche, tragedie, satire. Grazie al carattere filosofico e al loro messaggio morale Seneca fu un autore prediletto nelle scuole e per questo suoi numerosi testi ci sono pervenuti. Seneca fu istruito da numerosi maestri che gli hanno fornito svariati spunti poi ampliamente elaborati. Il carattere eclettico era proprio tra i filosofi romani. Ma quello di Seneca non è un generico eclettismo, in quanto egli prese una posizione più forte sulla dottrina stoica. La filosofia di Seneca è fondata sui concetti di natura e ragione: l’uomo deve conformarsi alla natura e seguire la ragione.

La figura del sapiens e il graduale itinerario verso la sapienza

Il pensiero di Seneca è incentrato sul sapiente. Dato il suo spirito pragmatico, evita le esagerazioni dell’antica Stoà. Infatti non crede che il sapiente sia immune al dolore e alla gioia, ma crede che esso possa dominarle con la ragione. Quindi esso deve “allenare” il suo autocontrollo, che passo dopo passo, in un lungo processo, lungo anche una vita, lo porta ad un’ascesi che lo purifica. I passi sono: trionfo sulle passioni, consapevolezza di essere parte del logos (Dio, il cui progetto è il nostro destino), e quindi accettazione e condivisione di tale destino. La ricerca scientifica è propedeutica a questa ascesi in quanto l’uomo attraverso essa diventa consapevole della propria ragione. Ma l’obbiettivo ultimo rimane sempre la libertà interiore.

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Il ruolo sociale del sapiente

L’obbiettivo ultimo del sapiente è raggiungere la libertà interiore. Ma il suo suolo nella società, nello scontro tra principe e classe senatoria, era sempre meno chiaro e importante. Risorgere dall’autocrazia in cui si viveva era difficile, e non era di certo possibile farlo ritornando agli antichi valori e virtù dell’età repubblicana, ma l’unica soluzione era quella di vincolare il principe all’esercizio della clemenza e di un’azione filantropica nei confronti del popolo. E ciò è possibile attraverso un ruolo importante del sapiente, del saggio.

L’utopia del De clementia

Egli desidera portare nell’azione di governo il suo credo filosofico, tentando di influire sulle vicende statali attraverso la formazione di un principe saggio. Infatti opera su due lati: “domesticare” l’autocrate, “incoraggiare” i senatori. Seneca, nonostante la grande difficoltà, fece un’analisi estremamente lucida della società in cui visse. Così come prevede la filosofia stoica, la forma migliore di governo è una monarchia retta da un monarca cultore della giustizia che deve rispondere di ogni sua azione alla ragione, affinché venga tutelato l’ordine e l’armonia del logos divino. Tale è il tema del De clementia, scritto al fine di “educare” Nerone alla giustizia, ragionevolezza e alla clemenza. Lo stesso modello platonico di stato ideale prevedeva un rex iustus (Nerone) che doveva cooperare con un legislatore-filosofo (Seneca). Tale strategia di guidare il principe verso il bene sembrò inizialmente funzionare, ma poi il princeps cominciò a comportarsi da tiranno. Così il filosofo è costretto a ritirarsi nell’otium, come appunto fece Seneca. Nel 65 d.C. Seneca si tolse la morte per ordine di Nerone.

L’ars vivendi e l’ars moriendi: modus vivendi

L’impulso che lo spinse a questa azione fu la necessità di dare una risposta ai problemi pratici e politici dell’élite a cui apparteneva. La sua è infatti un’etica aristocratica che intende rassicurare il suo gruppo sociale ormai in crisi d’identità. A questo scopo inventa un’ars vivendi (teoria pratica del vivere) che ne esalti la dignità e l’autorità, fondata sui principi stoici di ricercare il bene e accettare il male, inevitabile, e quindi accompagnata da un’ars moriendi (teoria pratica del morire). Seneca al momento della sua morte volle lasciare agli amici la sola cosa, ma la più bella, che egli possedeva, l’immagine della sua vita. Pg 9. Ma con questo Seneca non intendeva elevare a monumento se stesso, come modello assoluto di sapiente, ma bensì fornire la strada dell’imitazione. Il sapiente è una sorta di virtù vivente, anzi “plasmata”: il sapiente vivendo inscrive la virtù nella storia e la offre agli altri uomini come esempio per l’imitazione.

Una piena interazione tra vita e opera

1. La giovinezza e i periodi lontani da Roma: Ricerca di perfezionamento individuale. 2. L’inizio dell’attività pubblica: Interesse alla dimensione politica e partecipazione alla gestione dell’impero.3. Ritiro forzato: Ricerca sempre più profonda individuale.

Si tratta di un’apertura progressiva e coerente a livelli sempre più ampi:

1. Ricerca di un’ars viventi personale che gli garantisse felicità e tranquillità.2. Trasmissione di questa all’intera società romana.3. Trasmissione di questa ai posteri.

L’obbiettivo etico

La precarietà, causata da una minaccia perennemente incombente sulla sua classe senatoria, poteva risolversi e trasformarsi in qualcosa di positivo. Dare fiducia, questo era un altro degli obbiettivi di Seneca. Se il tentativo politico di avere un imperatore dominato dal senso del dovere e circondato da uomini di governo di valore risultò utopico, il tentativo etico di sanare la spaccatura tra vita privata e la vita pubblica. Ad una classe in crisi, che cercava non solo sul piano politico ma anche su quello esistenziale un modo di vita meno agitato e sconvolto, Seneca offriva contemporaneamente il modello pratico di una vita tesa alla ricerca della libertà interiore, e quindi una proposta filosofica di una via verso la tranquillità dell’anima. Il perfezionamento dell’io (verticale) deve integrarsi con gli altri uomini (orizzontale).

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La spinta verticale

Correggere l’erronea valutazione dell’uomo di ciò che è bene e male. Eliminare le passioni (che ostacolano il riconoscimento del bene ed impediscono l’esercizio della ragione).

Operati questi due obbiettivi l’uomo può conquistare la libertà interiore, fondamenta per rapportarsi in modo corretto con gli altri. Per iniziare questo cammino è necessario rivolgere l’attenzione verso se stessi, e riconoscere di avere bisogno di una terapia morale. Su questo primo punto Seneca insiste molto pg 14. Non contestualizzato, il pensiero di Seneca, sembrerebbe cedere all’individualismo, inteso come:

Valorizzazione dell’individuo nella sua specificità. Valorizzazione della vita privata (e dei valori che ne sono propri), valorizzazione dell’otium. Presa di coscienza che spinge l’uomo a rapportarsi maggiormente con se stesso al fine di migliorarsi.

E’ necessario quindi riconoscersi malati (alterazione dello stato normale di salute). In Seneca è ricorrente l’analogia tra medicina ed etica. L’elemento comune ai due campi, che permette lo scambio concettuale tra essi, è il pathos come stato di passività del soggetto: per il corpo è sottostare ad una malattia che altera le sue proprietà, per l’anima è la condizione di “lasciarsi vivere” aperta alle degenerazioni del male morale. Ciò che rende grave la cosa, è l’incoscienza della stessa.

L’espansione orizzontale

Il momento positivo della cura di sé è già slancio orizzontale, di recupero di una dimensione sociale. Infatti, il capire che è compito dell’uomo adempiere agli scopi a lui assegnati dalla divinità è già in favore del progetto universale. Quindi vi è un incrocio tra verticalità e orizzontalità: perfezionamento individuale e sforzo comune. Rende l’idea la metafora del militare. Seneca si limita a proporre una possibile integrazione dell’attività dei singoli di buona volontà nella compagine dello stato. Seneca si rivolge ai suoi contemporanei non come cittadini ma come individui, spingendoli a migliorare per far parte di un tutto. Così la morale individualistica assume un valore civile, perché l’azione dell’individuo entra in un valore più ampio.

Testio Invito alla filosofia, sola difesa della nostra vita [ 39 ]o La vera filosofia esige moderazione [ 113 ]o Il filosofo e il principe [ 73 ]o Il principe e la clemenza [ 78 ]o Alessandro come antiexemplum [ 84]