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1. Introduzione La cefalea di tipo tensivo (CTT) è riconosciuta generalmente con il termine comune di “mal di testa”. E’ tra i disturbi più diffusi ed eterogenei al mondo: il 95% della popolazione ne soffre o ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Ogni anno il 38% della popolazione riporta episodi di cefalea tensiva. Per la maggior parte dei casi si tratta di una cefalea occasionale caratterizzata da una blanda sintomatologia che poco incide sulla qualità di vita, ma in una relativa minoranza dei casi, pari a circa il 20% della popolazione, questo tipo di cefalea si presenta con caratteristiche tali da indurre il paziente a rivolgersi ad un medico specialista. Inoltre il 2.2% della popolazione soffre di cefalea tensiva cronica (presente almeno 15 giorni al mese). Tale cefalea primaria determina disabilità e riduzione della qualità di vita con conseguente elevato impatto socio-economico sia per le ingenti spese diagnostiche e terapeutiche sia per la ridotta capacità lavorativa. Recenti statistiche della World Health Organization confermano che il problema, insieme all’ emicrania, rientra tra le 20 maggiori cause di disabilità nel mondo. Si stima che il valore annuale di perdita di produttività negli Stati Uniti sia intorno ai 13 miliardi di dollari ed a 19 miliardi di dollari per tutti i disturbi derivanti dalla cefalea. 1

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1. Introduzione

La cefalea di tipo tensivo (CTT) è riconosciuta generalmente con il termine

comune di “mal di testa”. E’ tra i disturbi più diffusi ed eterogenei al mondo: il

95% della popolazione ne soffre o ne ha sofferto almeno una volta nella vita.

Ogni anno il 38% della popolazione riporta episodi di cefalea tensiva. Per la

maggior parte dei casi si tratta di una cefalea occasionale caratterizzata da

una blanda sintomatologia che poco incide sulla qualità di vita, ma in una

relativa minoranza dei casi, pari a circa il 20% della popolazione, questo tipo

di cefalea si presenta con caratteristiche tali da indurre il paziente a rivolgersi

ad un medico specialista. Inoltre il 2.2% della popolazione soffre di cefalea

tensiva cronica (presente almeno 15 giorni al mese). Tale cefalea primaria

determina disabilità e riduzione della qualità di vita con conseguente elevato

impatto socio-economico sia per le ingenti spese diagnostiche e terapeutiche

sia per la ridotta capacità lavorativa. Recenti statistiche della World Health

Organization confermano che il problema, insieme all’ emicrania, rientra tra

le 20 maggiori cause di disabilità nel mondo. Si stima che il valore annuale di

perdita di produttività negli Stati Uniti sia intorno ai 13 miliardi di dollari ed a

19 miliardi di dollari per tutti i disturbi derivanti dalla cefalea.

La CTT costituisce una sindrome dolorosa di difficile inquadramento

diagnostico ed argomento di vasta portata all’interno delle molteplici

patologie legate ad essa. La sua diagnosi si affida sostanzialmente alla

sintomatologia, soprattutto perché attualmente l’esatta patogenesi di questa

forma cefalalgica rimane ancora incerta, per quanto nell’eziologia tradizionale

rivestano un ruolo importante il fattore muscolare e il fattore psicologico.

Frequente è infatti la presenza di comorbidità tra disturbi psico-patologici,

quali depressione e attacchi di panico. Tali disturbi incidono sull’

atteggiamento generale del paziente nei confronti della propria cefalea,

spingendolo a ricorrere spesso ad esami e cure incongrue, anche quando è

evidente che esso è affetto da una CCT.

Questa patologia si presenta come un campo di interesse e di studio ancora

aperto, sia per quanto riguarda la conoscenza degli esatti meccanismi

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fisiopatogenetici, sia per quanto attiene alle implicazioni terapeutiche. Infatti

la CTT ha una scarsa risposta al trattamento farmacologico e il ruolo della

terapia non farmacologia (comportamentale e riabilitativa) nella prevenzione

di questa cefalea primaria è in continuo sviluppo.

Numerosi recenti studi sembrano dimostrare che un programma di terapia

comportamentale e riabilitativa può risultare molto efficace, specialmente se

condotto su pazienti selezionati. Nonostante ciò, sono pochi gli studi

pubblicati che hanno indagato le differenze nella gestione dei pazienti con

cefalee primarie in vari contesti ed il conseguente outcome sulle capacità

funzionali dei pazienti, e non sono disponibili percorsi gestionali

standardizzati per tale patologia.

Il quest’ ottica, scopo del presente studio è quello di valutare le dimensioni

del problema in ambito locale, le sue principali caratteristiche cliniche e

descrivere le procedure terapeutiche adottate (farmacologiche,

comportamentali, cognitive, ecc) attraverso una revisione della letteratura

sull’ argomento. Ulteriori obiettivi sono quelli di condurre un analisi dei

bisogni e l’individuazione di variabili in prospettiva di una programmazione

organizzativa e terapeutica atta ad affrontare questo problema.

Questa ricerca potrebbe contribuire in futuro all’ identificazione di linee guida

per quanto riguarda il trattamento non farmacologico nel campo della

cefalea di tipo tensivo.

Per ottenere i dati utili a tale studio si è fatto riferimento alla casistica clinica

raccolta e selezionata presso la banca dati del Centro Cefalee attivo presso

la Neurologia dell’Ospedale di Rovereto.

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2. Presupposti teorici

2.1.1. Aspetti clinico-nosografici.La cefalea di tipo tensivo è la più diffusa ed eterogenea delle cefalee

primarie. Il termine di cefalea di tipo tensivo è stato preferito nella

Classificazione IHS a quelli precedentemente in uso di cefalea tensiva,

cefalea muscolo-tensiva, cefalea psico-miogena e cefalea psicogena. La

definizione “di tipo tensivo” sottolinea infatti, l’incertezza patogenetica di

questa forma morbosa, pur lasciando aperta la possibilità che certi tipi di

tensione psichica e/o muscolare possano svolgere un ruolo eziopatogenetico

importante.

La cefalea di tipo tensivo si identifica spesso con il “comune mal di testa” il

quale, sia per la rarità dell’evento che per la blanda sintomatologia, poco

incide sulla qualità di vita; solo in una minoranza dei casi questa cefalea si

presenta con caratteristiche tali da indurre il paziente a rivolgersi al medico

(1).Nella cefalea di tipo tensivo il dolore è sordo, gravativo e/o costrittivo; è

descritto perciò come una sensazione di peso o come una morsa. In un 17%

di casi viene riferito come pulsante.

La localizzazione è bilaterale, a sede frontale e/o temporale, più raramente

occipitale, spesso diffusa “a casco” o “a cerchio”; nel 10% dei casi può

essere unilaterale.

Immagine tratta da: Fanciulacci M, Alessandri M. Cefalee primarie. Moderni aspetti di diagnosi e cura. Edizione Guidotti, Firenze 2003.

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Caratteristica di questa cefalea è la variabilità di sede del dolore, nello stesso

soggetto.

L’intensità è lieve o moderata, con variazioni anche nell’ambito della stessa

giornata. In alcuni casi il paziente riferisce di non avere un vero e proprio

dolore, ma una sensazione di pesantezza, di testa confusa o di testa piena o

vuota, di bruciore superficiale. L’intensità del dolore aumenta con

l’aumentare della frequenza della crisi.

La cefalea di solito non è aggravata dalle attività fisiche quotidiane; questo è

il criterio di maggior rilievo tra quelli che permettono di distinguere gli episodi

di cefalea di tipo tensivo da quelli emicranici. Tuttavia alcuni pazienti

riferiscono un modesto aumento di intensità del dolore durante attività,

specie di tipo intellettuale.

Gli episodi di cefalea di tipo tensivo hanno inizio la mattina, tendono ad

aumentare di intensità nella seconda parte della giornata per poi attenuarsi

verso sera. Rarissima è l’insorgenza o l’aggravamento notturno.

Generalmente la cefalea di tipo tensivo non impedisce le normali attività

quotidiane, ma può limitarle in circa la metà dei casi e molto raramente

costringere a letto (1).Una caratteristica di questo tipo di cefalea è la scarsità e in alcuni casi la

completa assenza di sintomi associati.

I sintomi vegetativi nella maggior parte dei casi sono assenti, ma talvolta è

stata descritta anoressia. Ancor più raramente possono comparire nausea o

fono o fotofobia. Una contrattura dei muscoli del capo e del collo e una

spiccata dolorabilità alla loro palpazione si osserva soltanto in una metà dei

casi con forma cronica od episodica ad alta frequenza (1).Non esistono esami strumentali o dati di laboratorio che identifichino un tipo

di cefalea primaria rispetto ad un'altra. La diagnosi è essenzialmente basata

sulle caratteristiche cliniche.

Per questo motivo i criteri diagnostici identificati nella nuova classificazione

delle cefalee (3) per le varie forme, sono sostanzialmente di natura clinica.

Questa nuova classificazione è il risultato di un lavoro di ricerca che da oltre

quaranta anni è teso ad individuare principi di classificazione e criteri

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diagnostici delle cefalee, tali da fornire regole chiare che consentono di

attribuire un particolare quadro clinico ad una ben definita entità nosografia.

Dopo numerosi tentativi di creare una classificazione che permettesse

importanti progressi nella diagnostica delle cefalee, nel 1985 la IHS

(International Haedache Society) nominò una Commissione per la

Classificazione delle Cefalee che pubblicò il primo lavoro nel 1988, sulla

rivista Cephalalgia. Attualmente questa classificazione viene adottata da tutte

le società nazionali per lo studio delle cefalee e dalla World Federation of

Neurology ed è stata accettata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.

Successive modificazioni (2004) sono state apportate alla prima edizione.

Classificazione delle cefalee di tipo tensivo

2.1Cefalea di tipo tensivo episodica sporadica

2.1.1 associata a dolorabilità dei muscoli pericranici

2.1.2 non associata a dolorabilità dei muscoli pericranici

2.2 Cefalea di tipo tensivo episodica frequente

2.2.2 associata a dolorabilità dei muscoli pericranici

2.2.3 non associata a dolorabilitià dei muscoli pericranici

2.3 Cefalea di tipo tensivo cronica

2.3.1 Cefalea di tipo tensivo cronica associata a dolorabilità dei

muscoli pericranici

2.3.2 Cefalea di tipo tensivo cronica non associata a dolorabilità dei

muscoli pericranici

2.4 Probabile cefalea di tipo tensivo

2.4.1 Probabile cefalea di tipo tensivo episodica

2.4.2 Probabile cefalea di tipo tensivo cronica

La suddivisione nei sottogruppi in episodica e cronica, introdotta nella prima

edizione della Classificazione, si è dimostrata estremamente utile. La cefalea

di tipo tensivo cronica è una malattia seria, che causa un importante

peggioramento della qualità della vita e un’elevata disabilità. Il sottotipo

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cronico è ovviamente sempre associato a disabilità e costi elevati, sia sul

piano personale che su quello socio-economico (4).Vengono riportati di seguito i criteri di classificazione dell’ IHS per la forma

episodica frequente e cronica, oggetto del nostro studio, tralasciando quelli

per la forma sporadica, che solitamente non porta il paziente a consultare il

medico.

Criteri diagnostici per la cefalea di tipo tensivo episodica frequente (IHS,

2004)

A. Almeno 10 episodi di cefalea che si verifichino in media >1, ma <15

giorni al mese per almeno 3 mesi e che soddisfano i criteri B-D

B. La cefalea dura da 30 minuti a 7 giorni;

C. Il dolore presenta almeno 2 delle seguenti caratteristiche:

1. Qualità gravativi-costrittiva

2. Intensità lieve o media (può inibire, ma non impedisce la

normale attività quotidiana)

3. Sede bilaterale

4. Non è aggravato da attività fisiche routinarie.

D. Si verificano entrambe le seguenti condizioni:

1. Nausea o vomito assenti (può presentarsi anoressia)

2. Possono presentarsi, ma non contemporaneamente, fono e

fotofobia.

E. Non attribuita ad altra condizione patologica

Criteri diagnostici per la cefalea di tipo tensivo cronica (IHS, 2004)

A. La cefalea è presente > 15 giorni al mese da >3 mesi (>180 giorni all’

anno) e soddisfa i criteri elencati ai punti B-D.

B. La cefalea dura ore o può essere continua

C. La cefalea presenta almeno 2 delle seguenti caratteristiche:

1. Qualità gravativo-costrittiva

2. Intensità lieve o moderata (può ridurre, ma non impedire la

normale attività quotidiana)

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3. Sede bilaterale

4. Non è aggravato da attività fisiche routinarie

D. Si verificano entrambe le seguenti condizioni:

1. non più di uno tra i seguenti sintomi: fotofobia, fonofobia e

nausea lieve

2. assenza di nausea moderata o forte e di vomito

E. Non attribuita ad altra condizione o patologia

2.1.2. Aspetti fisiopatologici della cefalea di tipo tensivo.I meccanismi patogenetici della cefalea di tipo tensivo sono ben lungi

dall’essere chiariti e negli ultimi anni pochi sono stati i progressi fatti in

questa direzione. Due aspetti sono considerati fondamentali in questa

cefalea: la tensione muscolare, intesa come incremento del tono dei muscoli

pericranici e la componente psicologica. Ci si è quindi sempre chiesti se la

cefalea di tipo tensivo sia primitivamente fisica o psichica, se cioè il dolore si

generi dalla tensione dei muscoli della testa o trovi la sua principale ragione

nelle relazioni emotive del soggetto. Mentre in passato questa forma di

cefalea veniva considerata di natura prevalentemente psicogena, un certo

numero di studi apparsi dopo la prima edizione della Classificazione

Internazionale delle Cefalee suggerisce fortemente l’esistenza di una base

neurobiologica, perlomeno per i sottotipi più gravi (4).E’ opinione comune che nella CTT i muscoli pericranici siano più contratti del

normale. Tale convincimento è tanto diffuso che la precedente terminologia

definiva queste cefalee con il termine “cefalee muscolotensive”, indicando

quindi una patogenesi muscolare nel dolore cefalico. Si presupponeva inoltre

che la contrazione di questi muscoli inducesse un dolore miofasciale irradiato

al capo con modalità e caratteristiche soggettive molto variabili, ma

sostanzialmente riconducibili ad un’alterazione dei muscoli/tessuti miofasciali

del pericranio e/o del collo. D’altra parte, il sistema nervoso è estremamente

adattabile alla situazione dell’organismo e la risposta che si può evocare,

varia in modo considerevole in relazione a un elevato numero di fattori

concomitanti (fisici, neurochimici e psicologici). In particolare, la trasmissione

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attraverso le vie nervose provenienti dai tessuti miofasciali dirette al talamo e

alla corteccia sensitiva può essere amplificata in determinate circostanze. E’

necessario quindi cercare di valutare se e quando la componente muscolare

sia un fattore rilevante nell’induzione del dolore cefalico nella CTT (5).I modelli sperimentali di dolore muscolare non sono pienamente

soddisfacenti nel fornire indicazioni precise sulla patogenesi del dolore nelle

cefalee di tipo tensivo.

E’ tuttavia, quasi certamente da escludersi, che la contrazione della

muscolatura cranica sia la causa di questo tipo di cefalea, in quanto, con

indagini elettromiografiche questa attività muscolare non è evidenziabile in

tutti questi pazienti, dall’altro questo stato è rilevabile anche nei pazienti

emicranici.

Attualmente è diffusa l’opinione che anche la cefalea di tipo tensivo, così

come l’emicrania, sia causata da alterazioni a livello biochimico e/o

neuroendocrino in grado di determinare un disturbo nei meccanismi di

risposta dell’organismo a generiche condizioni di stress. A favore di questa

ipotesi esistono numerosi dati sperimentali, come ad esempio alcuni studi

sulle anomalie riscontrate nei livelli di serotonina plasmatici o piastrinici che

si rilevano sia nell’emicrania che nella cefalea tensiva (6, 7).Il modello di Olesen cerca di conciliare ciò che concerne lo psichico nella

complessa problematica riguardante l’eziopatogenesi della cefalea di tipo

tensivo. Secondo tale modello questa cefalea potrebbe derivare da un’

anormale integrazione delle afferenze nocicettive miofasciali e vascolari a

livello del nucleo trigeminale caudale. Gli impulsi afferenti nocicettivi sono

normalmente modulati da un complesso sistema che ha diversi livelli di

localizzazione del nevrasse. Nella cefalea di tipo tensivo la modulazione di

questi impulsi potrebbe essere alterata in più punti da fattori psichici, primo

fra tutti lo stress cronico. Il risultato consisterebbe in una facilitazione della

trasmissione degli impulsi nocicettivi, specie miofasciali. Una ulteriore

amplificazione degli impulsi nocicettivi avverrebbe ad opera di situazioni ad

alto contenuto emozionale che preattivano la corteccia cerebrale,

aumentando la percezione del dolore. Un terzo meccanismo specifico della

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cefalea di tipo tensivo sarebbe costituito dal controllo che il cervello esercita

sul tono muscolare. L’ansia può provocare, infatti, uno stato di contrazione

muscolare protratta. Secondo questo modello la partecipazione dei fattori

fisici e di quelli psicologici può essere diversa da paziente a paziente. Se in

alcuni casi la componente miofasciale è prioritaria, in altri possono essere

prevalenti gli eventi emozionali o psicopatologici, con conseguente

facilitazione della trasmissione del dolore e/o amplificazione della sua

percezione (1).Ancora, una ipersensibilizzazione generalizzata al dolore probabilmente

contribuisce inoltre al dolore cronico in questi pazienti (8).Si può ipotizzare che solo nei pazienti con dolorabilità alla palpazione dei

muscoli pericranici sia presente un’iperalgesia centrale, cosa che suggerisce

che lo stimolo doloroso cronico a partenza dai tessuti miofasciali induce una

sensibilizzazione dei sistemi nocicettivi centrali (5).In particolare la sensibilizzazione centrale sembra svolgere un ruolo

significativo nella CTTC.

I meccanismi biochimici alla base dell’ iperalgesia dei pazienti con CTT

possono essere numerosi in relazione ai possibili siti di azione interessati alla

modulazione dello stimolo doloroso. In particolare si sa, che stimoli dolorosi

muscolari ripetuti sono in grado di modificare la soglia nocicettiva più che

stimoli di origine cutanea con attivazione delle cellule delle corna posteriori a

livello spinale. La contrattura muscolare cronica sembra quindi essere un

fattore rilevante per la cronicizzazione del dolore (5). (Figura) Gli sforzi terapeutici in fisioterapia sono destinati soprattutto a produrre il

rilassamento del muscolo, ma possono anche attivare i processi

antinocicettivi centrali.

Si sta tentando di speculare che l'effetto più grande della fisioterapia sia nella

CTTC che nella CTTE potrebbe essere dovuto alla sensibilizzazione centrale

ridotta e/o all'azione anti-nocicettiva aumentata. D'altra parte non è possibile

escludere che l'effetto della fisioterapia è mediato pure da un meccanismo

periferico, che si attua con la distensione dei muscoli, aumentando il flusso

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locale di sangue alla zona affetta che potrebbe ridurre la concentrazione

locale dei mediatori di dolore (9).

La figura illustra un’ipotesi di uno schema funzionale che spiega il mantenimento del dolore nella CTTC anche in assenza di stimoli dolorifici periferici evidenziabili.Immagine tratta da: Gallai Virgilio, Pin Luigi Alberto, Trattato delle cefalee, Centro Scientifico Editore 2002.

L'allungamento del muscolo inoltre è in grado di ridurre lo stato di eccitabilità

del motorneurone che può portare ad una riduzione del tono muscolare e del

dolore (10, 11).I meccanismi precisi sottesi alla cefalea di tipo tensivo rimangono ancora del

tutto sconosciuti. E’ molto probabile che i meccanismi del dolore periferico

giochino un ruolo nella forma episodica, mentre i meccanismi del dolore

centrale avrebbero un ruolo più importante nella cefalea di tipo tensivo

cronica (4).Saranno necessari ulteriori studi e nuove tecniche al fine di ottenere dati

oggettivabili, utili per la comprensione della patogenesi ed indicativi per un

trattamento terapeutico mirato (5).

2.1.2.a. Possibili fattori causali.Non ci sono evidenze di una rilevante componente genetica in questa forma

di cefalea. La classificazione dell’IHS suggerisce però una serie di probabili

fattori causali della cefalea, definiti secondo i criteri diagnostici del DSM-III o

secondo criteri oggettivabili al momento. I probabili fattori causali elencati

nella classificazione IHS sono: disfunzione oromandibolare, stress

psicosociale, ansia depressione, cefalea come sintomo di allucinazione o

delirio, stress muscolare, abuso di farmaci, cefalea secondaria ad altre cause

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Stimolazione periferica a bassa intensità prolungata nel tempo

(ad esempio miofasciale)

Sensibilizzazione centrale (corna posteriori e nucleo trigeminale)

Percezione dello stimolo come dolore (corteccia)

che la peggiorano del 100%. Questi fenomeni sono quindi da prendere in

considerazione come fattori di scatenamento della cefalea e dunque come

possibili bersagli di un intervento terapeutico diretto sul meccanismo

patogenetico o di interventi diretti sugli aspetti comportamentali (5).La quarta cifra della classificazione mette in luce i probabili fattori causali

della CTT e, sebbene il loro ruolo nella patogenesi di questa cefalea non

possa essere dimostrato in modo inoppugnabile, essa può essere utile per

motivi di studio e di ricerca (5).

Possibili fattori causali della CTT secondo la classificazione IHS.

1. Nessun fattore causale identificabile

2. Disfunzione oromandibolare

3. Stress psicosociale

4. Ansia

5. Depressione

6. Sintomo di allucinazione o disturbo somatoforme

7. Stress muscolare

8. Abuso di farmaci

9. Disturbo organico

Questi fattori, che possono essere associati tra loro, devono acquistare una

marcata rilevanza per poter essere considerati causa della cefalea (1).Il primo fattore causale preso in esame è la disfunzione oromandibolare. E’

una condizione clinica molto comune nella popolazione. E’ necessaria la

valutazione accurata delle articolazioni temporomandibolari e dell’apparato

stomatognatico per rilevare la presenza di almeno tre tra i segni e i sintomi

che soddisfano i criteri diagnostici IHS per la disfunzione oromandibolare. Il

suo inserimento tra i possibili fattori causali serve a distinguere le cefalee

primarie nelle quali sia presente un sintomo oromandibolare come scroscio,

attività mandibolare dolorosa, limitazione della funzione dell’articolazione

temporomandibolare (ATM) o bruxismo, da quelle forme che si

accompagnano a un disturbo organico dell’articolazione che necessita di un

intervento causale specifico e nelle quali la cefalea deve essere considerata

un sintomo secondario alla patologia temporomandibolare (codice 11.7) (5).

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Per quanto riguarda l’ansia, la depressione, e lo stress psicosociale, sono

difficili da valutare ed è pertanto problematico stabilire un sicuro nesso di

causalità con la cefalea di tipo tensivo (1). Quindi, solo quando i criteri

diagnostici DSM III-R dello stato ansioso, della condizione depressiva e dello

stress psicosociale vengono soddisfatti, allora si può parlare di cefalea di

tipo tensivo causata rispettivamente da disturbo d’ansia, disturbo depressivo

e psicosociale.

Gli stress psicosociali più frequenti si sono dimostrati, secondo alcuni studi

(Puca et al., 1999), quelli occupazionali, quelli relativi a circostanze della vita

e quelli coniugali (5).La cefalea di tipo tensivo come sintomo di delirio o di disturbo somatoforme è stata in passato definita cefalea psicogena. Il disturbo

psichiatrico che la sottende soddisfa i criteri DSM III-R per delirio somatico o

somatoforme (1).La condizione di stress muscolare può essere determinata da una

contrazione muscolare protratta dal mantenimento di una posizione sbagliata

o da una prolungata mancanza di riposo e di sonno. Questo tipo di disturbo

si riscontra spesso in persone che lavorano molte ore davanti a un computer

e che spesso presentano posizioni non corrette in ambito lavorativo. Tale

situazione può essere trattata con beneficio con la correzione della postura e

con opportuni esercizi di ginnastica o di rilassamento muscolare (5).Per quanto riguarda l’abuso di farmaci, questo fattore è soprattutto

associato alla cronicizzazione delle cefalee (5).Questa evenienza si realizza qualora si determini un uso eccessivo di alcuni

particolari gruppi di farmaci utilizzati nel trattamento della cefalea di tipo

tensivo. Si ha in genere, il passaggio da una cefalea di tipo tensivo episodica

ad alta frequenza ad una cefalea cronica quotidiana. L’interruzione dell’uso

eccessivo ripristina generalmente, il quadro clinico di partenza. La

classificazione IHS non solo individua questi farmaci, ma ne precisa la dose

necessaria perché si verifichi la trasformazione precedentemente detta (1).Infine, in caso di disturbo organico, il numero 9 può essere utilizzato come

quarta cifra in una diagnosi di cefalea di tipo tensivo solo quando questa

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cefalea, già preesistente, sia aggravata del 100% o più dalla successiva

comparsa di una delle patologie elencate nei raggruppamenti 5-11 della

Classificazione IHS. Qualora la cefalea, con caratteristiche di tipo tensivo,

compaia per la prima volta in stretta relazione temporale con uno dei disturbi

sopramenzionati, allora deve essere posta diagnosi di cefalea secondaria.

2.1.3. Aspetti diagnostici.La diagnosi di cefalea di tipo tensivo si ottiene in gran parte sul terreno

clinico e deriva da una accurata anamnesi, focalizzata sulla definizione dei

caratteri semeiologici del dolore e degli altri sintomi che l’accompagnano,

sull’esame fisico e sull’esperienza clinica. Gli esami strumentali e di

laboratorio sono opportuni per escludere altre malattie, quando ve ne sia il

sospetto e non per confermare in modo obiettivo la diagnosi di cefalea

primaria (1).Benché l’anamnesi resti un presidio fondamentale nella definizione della

cefalea di tipo tensivo e di tutte le cefalee, accade spesso, nella pratica

clinica, di trovarsi di fronte a pazienti che mostrano notevoli difficoltà a

descrivere i loro sintomi. Questi pazienti non sanno precisare la frequenza e

la durata degli attacchi, la prevalenza delle crisi più forti, il tempo incorso tra

l’assunzione di un analgesico e la scomparsa dell’attacco trattato, il rapporto

tra l’andamento della crisi cefalalgiche e il ciclo mestruale. Lo strumento più

idoneo per avere queste informazioni in modo preciso ed obiettivo si è

rivelato il diario della cefalea. Il diario prevede la registrazione di una

notevole quantità di informazioni e necessita, quindi, da parte del paziente,

non solo l’impegno, ma anche l’idoneo livello culturale. Nelle carte diario

diagnostiche infatti, il paziente deve registrare:

- ora di insorgenza e di cessazione della cefalea

- presenza di disturbi che precedono e/o accompagnano la cefalea

- sede e qualità della cefalea

- gravità della cefalea (intensità e disabilità)

- ciclo mestruale

- tipo e quantità di farmaci sintomatici assunti ed ora di assunzione (1).

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Importante fase dell’esame obiettivo nella CTT è la rilevazione di una

alterata contrazione dei muscoli pericranici, che può determinare dolorabilità

dei muscoli alla palpazione.

La prima edizione della Classificazione separava in modo arbitrario i pazienti

con o senza disturbi dei muscoli pericranici. Questa suddivisione si è

dimostrata valida, ma il solo aspetto distintivo realmente utile è la dolorabilità

muscolare evocata dalla palpazione manuale e non, come si suggeriva nella

prima edizione, sulla base dei dati ottenuti con l’elettromiografia di superficie

o con l’algometria a pressione. Pertanto per suddividere tutti e tre i sottotipi di

cefalea di tipo tensivo si usa ora solo la palpazione manuale, preferibilmente

come palpazione a pressione controllata (4). Sulla base di questi criteri,in

conclusione, il clinico dovrebbe essere in grado di distinguere una cefalea di

tipo tensivo con alterazione dei muscoli pericranici, da una cefalea di tipo

tensivo senza tali alterazioni con un ragionevole grado di sicurezza (12).Gli studi EMG non forniscono elementi clinicamente utili alla diagnosi. Le

differenze osservate sono spesso riferibili a difformità metodologiche di

registrazione e i dati fino ad ora ottenuti non consentono di formulare ipotesi

univoche sulla relazione tra aumento dell’attività elettrica muscolare e CTT

(Jensen, 1999). Ciò non esclude che la contrazione muscolare di per sé

possa rappresentare un punto di partenza per l’attivazione del processo

nocicettivo, rilevante per la genesi o per il mantenimento della sensazione

dolorosa. Clinicamente la palpazione manuale dei muscoli pericranici ha

sempre messo in luce una soglia del dolore più bassa nei pazienti con CTTC

rispetto ai controlli e ai pazienti con CTTE. Questo rilievo è presente in tutti i

muscoli pericranici, come evidenziato da alcuni studi controllati (Bendtsen et

al., 1996b) (5).La palpazione dimostra quindi, rispetto alle altre metodiche un maggior grado

di validità e una maggiore facilità e immediatezza di esecuzione.

La dolorabilità dei muscoli pericranici viene valutata palpando i muscoli

frontale e trapezio bilateralmente. La palpazione si esegue con il II e III dito

della mano destra mentre la testa del soggetto viene trattenuta con la mano

sinistra. La dolorabilità è valutata secondo una scala a 4 punti (0 = non

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dolore, 1 = presenza di dolore senza reazione visibile, 2 = presenza di dolore

e reazione visibile al dolore, 3 = presenza di dolore intenso con una reazione

marcata del paziente) (12).

2.1.4. Aspetti terapeutici.Un trattamento che miri esclusivamente alla riduzione di una contrattura

muscolare, cervicale o craniale, difficilmente determinerà dei risultati

soddisfacenti. Per questo motivo pare opportuno affrontare questa patologia

utilizzando tutte le possibilità terapeutiche a disposizione. Questo anche in

considerazione del fatto che l’evoluzione di una forma episodica in cronica, in

presenza di particolari fattori detti di conversione, è una evenienza sempre

possibile e temibile in quanto tale condizione è più resistente agli interventi

terapeutici.

2.1.4.1. Terapia farmacologica.Recentemente un Comitato di Studio della SISC ha formulato le linee guida

per la terapia della cefalea di tipo tensivo, seguendo il criterio della medicina

basata sulle evidenze (Evidence Based Medicine).

Nella forma episodica a frequenza medio-bassa l’uso di farmaci analgesici

assunti all’inizio dell’episodio cefalico rappresenta il trattamento di prima

scelta. Comunque la cefalea di tipo tensivo, quando di lieve entità, può

rendere inutile qualsiasi trattamento. La somministrazione orale

dell’analgesico è indicata in quei pazienti che hanno una cefalea lieve o

moderata, non complicata da nausea. Il miglioramento deve essere ottenuto

entro due ore. Anche gli analgesici da banco possono risultare efficaci. Il

paracetamolo, l’acido acetilsalicilico, l’ibuprofene, il ketoprofene e il

naprossene sono farmaci con buona evidenza scientifica di efficacia. Nelle

forme ad alta frequenza la medicazione o peggio, l’automedicazione con

analgesici comporta il rischio di cadere nell’uso quotidiano di tali farmaci, con

le caratteristiche della cefalea cronica quotidiana.

Nelle forme croniche ed episodiche ad alta frequenza i farmaci sintomatici

non sono più sufficienti ed è obbligatorio instaurare un trattamento di

15

profilassi. Questo va anche iniziato in caso di controindicazioni all’uso

sintomatico o in soggetti che tendono ad abusarne. I farmaci utilizzati nel

trattamento profilattico della cefalea di tipo tensivo includono gli

antidepressivi triciclici e tertraciclici, gli SSRI impiegati a dosi minori di quelle

utilizzate negli stati depressivi ed i miorilassanti, per i quali l’efficacia non è

stata dimostrata da studi controllati (1).

2.1.4.2. Terapia non farmacologica.L’approccio terapeutico non farmacologico, che comunque non deve

considerarsi alternativo, ma piuttosto integrato all’intervento farmacologico, si

fonda su due tipologie di intervento.

Da un lato gli interventi terapeutici di natura comportamentale, quali ad

esempio il training autogeno, Bio-feedback, psicoterapia.

Tali metodiche, probabilmente, devono la loro efficacia non tanto ad un

effetto miorilassante periferico quanto piuttosto alla possibilità di influenzare

le reazioni del soggetto a condizioni di stress di varia natura.

Dall’altro le risorse della medicina riabilitativa possono essere inquadrate in

due ambiti: l’utilizzo di metodiche chinesiterapiche e dei mezzi fisici in senso

stretto.

Le cefalee di tipo tensivo possono presentarsi in concomitanza con

alterazioni funzionali e/o organiche del rachide cervicale, ad esempio nelle

sequele dei traumi cranio-cervicali.

In queste condizioni il disturbo cervicale di natura statico-posturale, o

disfunzionale o da conflitto disco-radicolare o altro, oltre a poter provocare un

tipo specifico di cefalea cervicogenica può in soggetti predisposti,

determinare un sensibile aggravamento di una cefalea di tipo tensivo.

In queste situazioni il ricorso a metodiche chinesiterapiche che appariranno

più appropriate al caso, comporterà anche un effetto positivo sulla cefalea di

tipo tensivo determinando una riduzione dei fattori scatenanti.

Per quanto riguarda l’uso di mezzi fisici i migliori risultati sembrano legati alle

metodiche di elettroanalgesia.

16

Gli studi che documentano l’efficacia di questo approccio terapeutico in tutte

le forme di cefalea, anche nelle forme primarie ed in particolare

nell’emicrania, sono numerosi (13, 14).E’ importante sottolineare come anche nell’ambito di una teoria “centrale”

dell’eziopatogenesi della cefalea di tipo tensivo, le risorse terapeutiche non

farmacologiche a nostra disposizione, conservino oltre ad una dimostrata

efficacia pratica anche dei validi presupposti teorici.

Un aspetto che non va sottovalutato e peraltro assume particolare

importanza nell’intervento terapeutico non farmacologico, è l’impatto

psicologico del paziente al trattamento. Una qualsiasi terapia è

necessariamente destinata al fallimento se il paziente non la identifica come

un tentativo di miglioramento della sua condizione patologica.

L’approccio non farmacologico alle cefalee comprende modalità terapeutiche

invece che alla semplice abolizione del sintomo “cefalea”, mirano alla

ristrutturazione del “rapporto paziente-malattia”. Secondo Biondi vi sono

diversi possibili livelli di intervento terapeutico non farmacologico che

dovrebbero essere adottati a seconda del livello patogenetico ritenuto dal

clinico di maggior rilevanza (15).Malgrado l'alta prevalenza di CTT nella popolazione in genere, i livelli di

utilizzazione delle terapie non-farmacologiche nei sofferenti di CTT,

rimangono studiati in modo non adeguato, nonostante ci sia stato un

aumento considerevole di casi negli ultimi anni. Soltanto alcuni studi hanno

valutato l'efficacia delle tecniche tradizionali di fisioterapia con il calore, il

massaggio, la trazione, esercitazione specifica o la educazione posturale su

CTT (11, 16).

a. Terapia Comportamentale.Il trattamento psicologico può essere fondamentale, in quanto uno dei fattori

favorenti più frequentemente riscontrati in questi pazienti è la scarsa

tolleranza allo stress. A questo scopo vengono utilizzate strategie cognitive e

comportamentali per il trattamento dello stress, come il biofeedback, il

17

training autogeno. Queste tecniche, da un lato, quando applicate da sole

danno risultati che compaiono lentamente, dall’altro sembrano potenziare il

trattamento farmacologico (1).Questo trattamento eseguito come già detto con modalità diverse, è definito

comportamentale perché modifica il modo di pensare e quindi di agire

dell’individuo di fronte a circostanze stressanti. L’obiettivo principale è quello

di modificare il comportamento cognitivo, cioè di insegnare al paziente a

cambiare i propri pensieri, azioni ed aspettative che, aumentando i livelli di

attivazione emozionale, influenzano la cefalea. Esso è chiamato anche

trattamento di autoregolazione o autocontrollo, perché messo in atto dallo

stesso paziente (1).

a.1. Terapia cognitivaUn evento stressante di qualsiasi natura viene valutato cognitivamente dal

paziente e rappresenta lo stimolo per una reazione di tipo emozionale più o

meno adeguata. A questo livello si può intervenire con una terapia di tipo

cognitivo che permetta al paziente di valutare adeguatamente gli stimoli

stressanti e quindi di influenzare la risposta emozionale e quella

psicofisiologica ad essi conseguente (17). Il sintomo cefalea rappresenta una

delle possibili risposte psicofisiologiche conseguenti ad uno stress

emozionale cronico (15). La terapia cognitiva è una psicoterapia breve,

diretta su condizioni o sintomi bersaglio specifici, che include tutti i vari modi

di conoscere e ragionare. Con essa si mira ad identificare le aree di stress

che contribuiscono in modo significativo allo sviluppo ed al mantenimento

della cefalea. Il terapeuta come un insegnante, aiuta il paziente a valutare e

modificare i suoi pensieri e comportamenti che testimoniano un cattivo

adattamento alle situazioni stressanti. Vengono individuate e rimosse anche

quelle speranze irrazionali che creano e sostengono livelli elevati di tensione

nervosa, ansietà e depressione. Il paziente deve quindi imparare strategie

per riconoscere e gestire tali situazioni, compreso lo stress, causato dalla

stessa cefalea. Gli stressor devono essere identificati mediante un’analisi

dettagliata della vita del malato e quindi, affrontati con lui, per arrivare ad

18

eliminare forme tradizionali di pensiero e comportamento, le quali perpetuano

la condizione stressante. Anche le strategie di gestione dello stress sono

quindi progettate per promuovere una maggiore capacità nel ridurre le

risposte da stress (1).Non in tutti i pazienti si riesce ad instaurare una terapia di tipo cognitivo, e

pertanto sarà necessario intervenire più a valle rispetto alla risposta

all’evento stressante. Le modificazioni psicofisiologiche conseguenti alla

realizzazione emozionale possono essere corrette utilizzando tecniche di tipo

comportamentale come il biofeedback elettromiografico (EMG-BFB) o

termico o il training autogeno (15).

a.2. Training autogeno (Relaxation training).La tecnica del Relaxation Training (RT) utilizza una serie di suggerimenti

comportamentali per controllare il rilasciamento muscolare attraverso esercizi

che il paziente può imparare e applicare poi a sé stesso (5).E’ la più semplice terapia comportamentale. Il paziente acquisisce la

consapevolezza dei vari gradi di tensione psichica e la capacità di ridurli

attraverso esercizi di contrazione e rilassamento progressivo di alcuni gruppi

muscolari o di aumento della temperatura corporea. Esistono vari tipi, ma

quelli più usati frequentemente derivano dal “rilassamento progressivo”

introdotto da Jacobson nel 1938 che è basato su esercizi di contrazione e

rilassamento di vari gruppi muscolari. Esistono programmi terapeutici

abbreviati come quello di Bernstein e Borkovec o programmi standardizzati

come quello proposto da Andrasik. Tutti questi programmi usano esercizi di

contrazione e rilassamento per allenare il soggetto in una serie di sedute in

modo che impari a ridurre la tensione (18). Il rilassamento è aiutato da

tecniche ausiliarie come esercizi di visualizzazione, esercizi diaframmatici;

con questa procedura il paziente impara a tenere sotto controllo le risposte

biologiche allo stress (l’ ipertono muscolare e la diminuzione della

temperatura corporea). Quando il training raggiunge un livello elevato, il

controllo diventa una reazione quasi inconscia (1).

19

Il problema dell’ applicazione clinica delle tecniche di rilassamento è

costituito spesso dal fatto che l’apprendimento viene condotto e perfezionato

solo in condizioni di riposo, in un lettino o in una poltrona. Il soggetto impara

pertanto a rilassarsi e a ridurre la tecnica di rilassamento fuori seduta, a

casa, ma sempre in condizioni analoghe “protette”. Tali setting sono poco

rappresentativi della vita reale. Di fronte al riprendere delle normali attività

che generano attivazione o tensione in situazioni reali di stress, il beneficio di

una seduta di rilassamento scompare assai presto. Sulla base di numerose

osservazioni cliniche Biondi et al. (19), da vari anni hanno introdotto una

modalità di rilassamento che si potrebbe definire “attivo” e che ha lo scopo di

migliorare l’efficacia del rilassamento. Essa viene attuata in quattro fasi:

1. la prima fase è la modalità di apprendimento standard della tecnica in

seduta; in questo caso si utilizza il rilassamento progressivo secondo

Jacobson, basato sulla tecnica di tensione-rilassamento dei vari gruppi

muscolari;

2. nella seconda fase si passa rapidamente a produrre lo stato di

rilassamento non su un lettino ma su una comune sedia o poltroncina, a

occhi aperti; si punta a perfezionare la capacità di produrre una risposta di

rilassamento rapida, fino a che il soggetto impari a instaurare al massimo in 5

secondi, eventualmente richiamandola più volte;

3. nella terza fase il soggetto viene addestrato ad effettuare tale risposta

rapida di rilassamento durante minime attività, ad esempio guardando la TV,

leggendo un giornale, parlando a bassa voce con il terapeuta, richiamandola,

riattivandosi e richiamandola ancora, più volte, fino a che non sviluppa un

soddisfacente grado continuo di controllo durante tutta l’attività;

4. nella quarta fase si apprende a effettuare la risposta di rilassamento sotto

vari test di maggiore stress in seduta, quali conversare al telefono,

discutendo con il terapeuta su temi personali che destano consistente

attivazione emozionale, sia negativa che positiva (contare all’indietro da mille

sottraendo il numero 7 o altri test di prestazione, discutere propri recenti

insuccessi, problemi con partner o sul lavoro, ecc.);

20

5. l’ultima fase riguarda la generalizzazione a contesti di vita quotidiana extra

seduta, suggerendo al soggetto di attuare tale tecnica numerose volte al

giorno a casa e fuori (guidando, lavorando, facendo acquisti, parlando con

altri, parlando in pubblico, ecc.).

Tale modalità di rilassamento attivo in molti casi permette di ampliare i

possibili benefici del rilassamento classico. La terapia richiede comunque 2-3

sedute per apprendere la tecnica (fasi 1-2) e altre 2-3 sedute per la fase 3.

Le velocità di apprendimento sono diverse da soggetto a soggetto. Per molti

le fasi 4 e 5 sono assai difficili e almeno la metà dei soggetti ha bisogno di un

periodo protratto, di 3-4 settimane di pazienza e fatica, per impadronirsene.

E’ indispensabile che il passaggio da una fase a quella superiore si attui solo

se c’è padronanza consolidata della precedente. Può essere utile, ma non

indispensabile, monitorare mediante un’apparecchiatura di biofeedback

elettromiografico i progressi di tale apprendimento. A seconda dei casi clinici,

può essere necessario associare tecniche di tipo cognitivo e di stress

management. In sintesi, il fattore-chiave di questa metodica è favorire

l’apprendimento a gestire situazioni di stress attivando contemporaneamente

risposte di rilassamento. Perché questo si verifichi, occorre che il soggetto

sia specificatamente addestrato a questo, non solo che impari a rilassarsi

dentro casa in condizioni di quiete e ripeta passivamente l’esercizio (19).

a.3. Biofeedback.Il biofeedback è il più noto ed utilizzato metodo di terapia psicologica e la sua

efficacia è dimostrata da numerosi studi controllati. E’ un programma di

addestramento non invasivo, teso a sviluppare la capacità del soggetto di

controllare il sistema nervoso autonomo. Dopo aver appreso la tecnica, il

paziente dovrebbe essere in grado di ostacolare alcune risposte biologiche

tipiche dello stress, come l’aumento del battito cardiaco, della pressione

sanguigna, del tono di certi muscoli e la diminuzione della temperatura

cutanea. Il paziente si addestra a modificare le risposte allo stress ed a

raggiungere quei mutamenti che esprimono uno stato di rilassamento,

usando apparecchi che emettono segnali quando i cambiamenti desiderati

21

sono raggiunti (1). Il biofeedback utilizza uno strumento elettronico per

monitorare una funzione fisiologica e inviare al paziente l’informazione

sull’andamento della funzione stessa sotto forma di segnale acustico o

luminoso. In questo modo il paziente può rendersi conto dell’andamento di

una variazione fisiologica che solitamente è considerata indipendente dalla

volontà e quindi può apprenderne il controllo. Nel trattamento delle cefalee di

tipo tensivo si usa il biofeedback elettromiografico. La funzione monitorizzata

è infatti la contrazione dei muscoli cranio facciali e gli elettrodi sono di solito

applicati a livello frontale. I protocolli terapeutici si articolano in un ciclo di

sedute, di solito otto-dieci, a cadenza fissa, della durata di 20-30 minuti

ciascuna. Generalmente la seduta è suddivisa in tre fasi: una fase di

registrazione basale dei livelli di tensione muscolare; il paziente è invitato a

chiudere gli occhi e rilassarsi. Una seconda fase con feedback visivo o

acustico dove il paziente viene guidato, attraverso il feedback, a rilassarsi

progressivamente sempre di più. La guida al rilassamento viene data dal

segnale che diminuisce in intensità e frequenza man mano lo stato di

rilassamento del paziente aumenta. Infine una fase di self-control dove il

paziente viene invitato a mantenere il rilassamento senza l’aiuto di alcun

segnale. Dopo il ciclo di sedute, il paziente viene rivisto ogni tre mesi per una

seduta di follow-up fino a un anno dal termine della terapia. L’uso del

biofeedback, nella pratica clinica, lo si deve ai lavori di Miller che negli anni

’60 applicò i principi del condizionamento operante ai processi fisiologici. In

ogni caso non esistono a tutt’oggi un’ adeguata spiegazione dell’efficacia

terapeutica di queste tecniche nella CTT (18, 20).

a.4. Psicoterapia.In malattie come le cefalee primarie, che hanno un decorso cronico, sembra

giustificato un piano che preveda terapie farmacologiche e non; è infatti

importante insegnare al paziente a partecipare alla gestione della malattia e

ad utilizzare procedure di cura basate su risorse proprie. D’altra parte il

trattamento farmacologico ha dei limiti, primo fra tutti il non influire sui

problemi psicocomportamentali del paziente, che attraverso lo stress

22

agiscono sulla malattia. Associare quindi la terapia farmacologica a quella

comportamentale può, in certi pazienti, facilitare il successo del trattamento.

Le tecniche di psicoterapia comportamentale sembrano abbastanza

promettenti in tutti i tipi di dolore cronico. In molti casi di cefalea di tipo

tensivo la causa risiede nell’effetto di uno stress emozionale cronico e di un

disordine adattativi, prodotti dall’incapacità del soggetto di utilizzare

meccanismi cognitivi adeguati, per cui l’intervento terapeutico centrato sulla

modificazione cognitiva appare un metodo valido. Tale tecnica pare dia

migliore risultato se associata al biofeedback.

Nonostante queste considerazioni il trattamento psicologico è attualmente

poco utilizzato nella routine terapeutica del paziente cefalgico (1).

b. Terapia Riabilitativa.Il trattamento riabilitativo comprende principalmente due modalità: le

metodiche chinesiterapiche e l’utilizzo dei mezzi fisici. Questo perché la

cefalea di tipo tensivo può presentarsi in concomitanza con alterazioni

funzionali e/o organiche del rachide cervicale, che possono determinare un

aggravamento della cefalea. Diversi sono gli esercizi consigliati allo scopo di

migliorare la postura delle spalle, del collo e del capo, di facilitare un

rilassamento dei muscoli. Ad esempio nello studio eseguito da Torelli et al.

(11) il corso di fisioterapia è stato organizzato in modo che i pazienti

facessero un trattamento individuale 2 volte alla settimana per 4 settimane e

poi esercizi fisici per altre 4 settimane in piccoli gruppi insieme con altri 5 o 6

pazienti. I pazienti hanno seguito tutti uno stesso programma standardizzato

che consiste in un iniziale massaggio, tecniche base di rilassamento (training

autogeno e terapia cognitiva-comportamentale) e un leggero stretching e un

programma quotidiano da fare attivamente a casa, su spalle, collo e muscoli

pericranici. Il fisioterapista ha istruito i pazienti come identificare ed evitare

qualche possibile fattore di stress muscolare nella loro vita quotidiana.

Uno degli scopi di questo trattamento era di insegnare ai pazienti di essere

attivi ed imparare come gestire, controllare ed eventualmente evitare il loro

23

dolore (11). L’effetto principale che si è ottenuto è stato la considerevole

diminuzione del numero dei giorni con cefalea dopo la fisioterapia.

b.1. Trattamenti riabilitativi.b.1.1. Manipolazione vertebrale.Secondo la definizione di Robert Maigne, la manipolazione vertebrale (MV),

nuovo approccio diagnostico-terapeutico ai problemi del dolore di origine

vertebrale, è “una mobilizzazione passiva forzata che tende a portare gli

elementi di una articolazione o di un insieme di articolazioni al di là del loro

gioco abituale, fino al limite del loro gioco anatomico possibile. Consiste

dunque per il rachide, quando lo stato di questo lo permette o lo richiede,

nell’eseguire dei movimenti di rotazione, lateroflessione, di flessione o di

estensione, isolati o combinati, a livello del segmento vertebrale scelto”. La

manipolazione è una manovra ortopedica precisa che va condotta su un

determinato segmento vertebrale dopo un esame anamnestico ed un fine

esame obiettivo che portano ad una corretta diagnosi di origine del dolore; se

il dolore di origine vertebrale è sostenuto da un disturbo doloroso del

“segmento mobile” allora la MV ne può divenire l’atto terapeutico elettivo (2). La modalità di esecuzione rispetta “la regola del non dolore e del movimento

contrario” della scuola francese di medicina manuale, secondo la quale la

manipolazione viene effettuata nelle direzioni che all’esame della mobilità

evidenziano un movimento indolore e libero. Questo movimento passivo si

esegue in tre tempi: 1. messa in posizione del paziente (supino, prono,

seduto etc.); 2. messa in tensione: il segmento mobile da trattare viene

mobilizzato passivamente dal terapista finché incontra una resistenza (fine

del movimento passivo) su cui deve insistere un attimo, senza tornare

indietro; 3. impulso manipolativo o manipolazione propriamente detta: si

esegue nella direzione e posizione scelta dal fisioterapista con la “messa in

tensione”, con un breve impulso, cioè con un movimento rapido limitato che

sembra vincere una resistenza dell’articolazione e che, in genere è

accompagnato da un caratteristico scroscio.

24

Esistono controindicazioni assolute all’effettuazione di una MV quali

mielopatia cervicale, ernia cervicale con segni neurologici, segni di

insufficienza vertebro-basilare, spondilolisi/listesi, dolore neoplastico, malattie

infettive o reumatiche, fratture vertebrali, pregresso stroke, grave osteoporosi

e anomalie della cerniera occipito-cervicale (2). Lo studio condotto da

Lenssinck, Damen et al. (21), designa una revisione sistematica dei trial

clinici. L’obiettivo dello studio era quello di verificare l’efficacia della

fisioterapia e della manipolazione (spinale) in pazienti con CTT. Questi studi

mostrano una grande varietà di interventi come la manipolazione vertebrale

chiropratica, la manipolazione del tessuto connettivo e la fisioterapia. Solo

due studi sono stati considerati di alta qualità, ma entrambi hanno dimostrato

risultati inconsistenti a causa dell’eterogenicità clinica e della scarsa qualità

metodologica. Non appare possibile trarre conclusioni valide. Pertanto gli

autori concludono che non c’è sufficiente evidenza per stabilire l’effettiva

efficacia della fisioterapia e della manipolazione vertebrale in pazienti con

CTT. Trials meglio disegnati e con follow-up sufficientemente lunghi sono

necessari per evidenziare l’evidenza concernente l’uso della fisioterapia e

della manipolazione nel trattamento di pazienti con CTT (21). In altri studi tra

cui una revisione sistematica di Hurwitz veniva evidenziata l’efficacia della

mobilizzazione e manipolazione cervicale per il dolore cervicale nella cefalea

primaria. Però solo tre studi su cinque includevano pazienti con CTT. La

revisione conclude che la manipolazione o la mobilizzazione possono

migliorare la cefalea di tipo tensivo (21).

b.1.2. Rieducazione posturale.Per atteggiamento posturale scorretto si indica, secondo i presupposti

biomeccanici, il mantenimento errato dei segmenti del rachide con

conseguente risposta muscolare incongrua di tipo permanente che comporta

un carico di lavoro maggiore ed un dispendio energetico muscolare.

Recenti studi hanno dimostrato l’impatto di mantenere posture scorrette sullo

sviluppo di patologie compresa la cefalea di tipo tensivo (22). Alcuni studiosi

hanno ipotizzato che la mancanza di forza e di tono presente nei muscoli del

25

collo è rilevabile soprattutto nei lavoratori che assumono posture statiche

prolungate del tronco e delle estremità (23, 24).In uno studio condotto da Hammil et al. (24) sugli effetti dell’intervento

fisioterapico nel trattamento della cefalea di tipo tensivo, la prima fase è stata

dedicata all’educazione e all’istruzione della propria postura, per il collo, la

testa, la posizione del corpo seduta, in piedi, a letto ed al lavoro. Durante il

secondo trattamento sono stati dati esercizi da svolgere a casa. Questi

esercizi consistono nel ritrarre il mento allo scopo di migliorare la posizione

della testa, inoltre esercizi isotonici per l’allungamento dei muscoli cervicali

posteriori (24). Le misurazioni registrate, hanno riguardato la fase di

precontrollo-pretrattamento-postrattamento e dei 12 mesi successivi. Il

trattamento ha incluso l’educazione posturale sia a casa che al lavoro,

esercizi isotonici a casa, massoterapia e stretching ai muscoli cervicali. I

risultati hanno riportato il punteggio della frequenza ed il grado d’impatto del

male, là dove appariva significativo il miglioramento durante il corso di

trattamento (24).In questo studio si è potuto evidenziare un miglioramento soprattutto per

quanto riguarda l’intensità del dolore degli episodi cefalgici.

Gli esercizi non vengono limitati al solo tratto cervicale, ma sono inseriti

anche nella fase finale ed insegnati al paziente in modo da recuperare il

normale ritmo cervico-dorso-lombare, catena cinetica che è spesso alterata

nei pazienti con problematiche relative al rachide cervicale. Si deve cercare

di raggiungere, attraverso un lavoro globale tutti i distretti muscolari del

rachide, il recupero di una nuova statica della colonna vertebrale non

influenzata dalle posizioni viziate, dal sovraccarico delle strutture articolari e

delle contratture muscolari. Questa fase di trattamento può risultare

abbastanza complessa perché è richiesta la partecipazione attiva del

paziente che deve apprendere i meccanismi di controllo posturale e

soprattutto deve essere in grado di mantenere la correzione nel tempo. Alla

dimissione dal trattamento riabilitativo, al fine di prevenire le possibili

recidive, si raccomanda al paziente di eseguire quotidianamente a domicilio

gli esercizi, in particolare quelli per il controllo posturale che devono

26

diventare automatici con l’allenamento; inoltre vengono dati consigli di igiene

di vita come: • dormire supino con un cuscino basso, eventualmente in

decubito laterale con un cuscino adeguato che mantenga in asse il rachide; •

evitare la posizione prona che costringe il rachide in estensione; • in caso di

lavoro d’ufficio, usare un piano di lavoro con un’inclinazione di 45° in modo

da evitare una contrattura muscolare che diventa antalgica quando il rachide

cervicale assume una posizione flesso-anteposta per un tempo prolungato.

Diversi tipi di esercizi sono consigliati allo scopo di migliorare la postura delle

spalle, del collo e del capo, di facilitare un rilasciamento dei muscoli. I disturbi

posturali comportano frequentemente la presenza di uno slivellamento delle

spalle, unitamente ad una perdita parziale o totale della lordosi cervicale o ad

una sua inversione per debolezza dei muscoli posteriori del collo. Perciò la

maggior parte degli esercizi consigliati per la postura delle spalle e del collo è

finalizzata a rinforzare questi muscoli ed a migliorare il livellamento delle due

spalle. Gli esercizi più frequentemente raccomandati a questo scopo sono:

1. in stazione eretta e con il corpo aderente posteriormente alla parete,

le spalle vengono portate a contatto della parete e rilasciate

ritmicamente;

2. con il corpo aderente posteriormente alla parete vengono eseguiti

movimenti orizzontali di anteropulsione e retropulsione del capo;

3. dopo aver disposto a coppa le mani nella zona cervicale vengono

eseguiti stiramenti del capo all’indietro con contropressione in avanti

delle mani per la durata di qualche secondo.

Tali esercizi vengono ripetuti per una decina di volte ogni due o tre ore

durante la giornata. In presenza di contratture dei muscoli del collo e della

nuca, altri esercizi possono essere aggiunti ai precedenti. Per migliorare la

mobilità del capo esso viene ruotato fino a che il mento tocca la zona

acromio-claveare da un lato e dall’altro, viene poi flesso anteriormente fino a

che il mento tocca il petto e successivamente esteso all’indietro (25).b.1.3. Terapia manuale.Nei pochi studi degli interventi non farmacologici che richiamano la cefalea

tensiva cronica trovati in una ricerca bibliografica, il trattamento descritto

27

include la terapia fisica, lo stimolo elettrico transcutaneo del nervo,

l’agopuntura e l’omeopatia. Queste tecniche hanno provocato vari livelli di

successo nella riduzione del dolore connesso con la cefalea cronica, anche

se la letteratura è limitata.

Soltanto uno studio scientifico di ricerca è stato intrapreso sugli effetti della

massoterapia sulla cefalea tensiva cronica. In questo studio, gli autori hanno

notato una diminuzione nel dolore al collo dopo che i soggetti hanno ricevuto

10 massaggi del corpo di durata superiore a un'ora per un periodo di due

settimane. Anche se il trattamento era efficace, il regime di massaggio

impiegato non può essere realistico per la maggior parte dei pazienti;

ancora, le procedure terapeutiche di massaggio non sono state descritte

chiaramente. Interessante è che, gli effetti del massaggio possono

persistere, come il dolore al collo è stato ridotto ancora ad un follow-up a 6

mesi.

Il massaggio terapeutico viene utilizzato soprattutto per la sua azione

antalgica e decontratturante in particolare per i muscoli paracervicali, per i

muscoli nucali, per i muscoli trapezio ed interscapolare. In fase iniziale sono

da preferire le manovre di sfioramento e frizione per l’elevata sensibilità che

può riferire il paziente; in un periodo successivo sono utilizzate anche le

manovre di impastamento e di pressione allo scopo di migliorare l’irrorazione

sanguigna dei tessuti superficiali e profondi. Tutte le manovre devono essere

eseguite progressivamente in considerazione dell’intensità del dolore, della

presenza di contratture di difesa e della tollerabilità del paziente.

Per evidenziare l’efficacia della massoterapia nella riduzione dell’incidenza

della cefalea tensiva, si è preso in esame lo studio strutturato di Quinn e

Moraska. I risultati di tale studio hanno messo in evidenza la riduzione della

frequenza degli episodi cefalgici durante il trattamento di massoterapia e nel

periodo seguente. I pazienti con CTTC hanno ricevuto un trattamento

strutturato di massoterapia orientato verso i muscoli della spalla e del collo.

La frequenza, la durata e l'intensità della cefalea sono state registrate e

paragonate alle misure della fase iniziale.

28

Un periodo di quattro settimane di valutazione prima del trattamento è stato

usato per stabilire le misure della linea di base dei soggetti . A seguito del

periodo della linea di base, un programma di quattro settimane di trattamento

è stato iniziato ed ha incluso il trattamento terapeutico del punto trigger e di

massaggio dei seguenti 6 muscoli: trapezio superiore,

stermnocleidomastoideo, suboccipitale, splenio della testa, elevatore delle

scapole e temporale. Oltre che il massaggio, ogni sessione tecnica ha

incluso tecniche di stretching muscolare. Ogni soggetto ha ricevuto un totale

di otto sessioni di terapia manuale di 30 minuti ciascuna durante un periodo

di trattamento di 4 settimane. La sessione di terapia comprendeva due

massaggi ogni settimana intervallati da almeno 48 ore. I trattamenti di

massoterapia sono stati condotti da terapisti del massaggio certificati. Una

standardizzazione di un preciso protocollo di 30 minuti del tipo di terapia del

massaggio è stato sviluppato, raffinato ed esercitato da ogni terapista per 4

settimane prima che lo studio cominciasse. Il tipo di terapia è composta da 6

fasi distinte all'interno dei 30 minuti: segue la descrizione sommaria di ogni

fase.

Fase 1 - il preriscaldamento preparatorio del tessuto (3 minuti) include una

pressione bilaterale con progressione che va dalla regione cervicale più

bassa verso l’ occipite. Questa procedura è stata ripetuta, bilateralmente per

tre volte.

Fase 2 - il rilascio miofasciale (5 minuti) ha incluso manovre di scivolamento

esercitate con i palmi sopra le regioni del pettorale-deltoide, deltoide e del

deltoide posteriore . Questa procedura è stata ripetuta per tre volte in ogni

emilato. Ulteriori tre ripetizioni sono state fatte dall’occipite alla spalla laterale

lungo il trapezio superiore attraverso una leggera pressione del pugno.

Fase 3 - trazione cervicale assiale (2 minuti) comprende l’esecuzione di una

trazione assiale manuale con una mano sotto la testa ed il collo e l'altra

mano sulla fronte. La trazione delicata è stata applicata con il capo in

leggera flessione laterale di destra prima e con la testa in leggera flessione

laterale di sinistra. La trazione è stata tenuta per 15 secondi in ogni

posizione.

29

Fase 4 - procedura di terapia del punto trigger (15 minuti) consiste

nell’esplorare attraverso la palpazione del trapezio, dello

sternocleidomastoideo, del suboccipitale, dello splenio della testa, dei

muscoli superiori elevatori della scapola e del temporale per individuare e

trattare manualmente il punto trigger. Quando sono stati individuati, i punti

trigger sono stati trattati con pressioni e palpazioni leggere, graduando la

pressione sul dolore. La pressione è stata effettuata sul punto trigger fino a

che il paziente non ha segnalato che il dolore era diminuito o per un massimo

di 2 minuti. La pressione sul punto trigger allora è stata diminuita lentamente

per richiamare il flusso vascolare. Questa procedura è stata ripetuta 3 - 5

volte su ogni punto trigger. Normalmente nel tempo assegnato sono stati

trattati sei punti trigger.

Fase 5 – Tecniche di facilitazione dell’allungamento (5 minuti) costituito da

tecniche attraverso le quali il fisioterapista ha facilitato l'allungamento della

muscolatura paravertebrale cervicale. La procedura dell' allungamento ha

richiesto il rilassamento attraverso i meccanismi dell’ innervazione reciproca.

La muscolatura dell'antagonista è stata contratta in modo isometrico; ciò è

stata seguita dall'allungamento passivo della muscolatura dell'agonista.

Fase 6 - la sessione di chiusura (3-5 minuti) ha incluso dei movimenti passivi

alla regione cervicale.

I risultati di questo studio indicano che la terapia manuale è efficace nella

riduzione del numero di cefalee durante la settimana nei pazienti con CTTC.

Rispetto ai livelli della fase iniziale, la frequenza della cefalee è stata ridotta

in una settimana dal trattamento di massoterapia. Questa riduzione è stata

effettuata durante le 4 settimane del periodo di trattamento. Inoltre e’ stata

notata una tendenza verso una riduzione della durata media di ogni evento di

cefalea, fra il periodo della fase iniziale ed il periodo di trattamento. In base a

questi risultati, si può concludere che il dolore connesso con la cefalea

tensiva cronica può essere alleviato con il trattamento specifico di

massoterapia diretto ai muscoli cranici e cervicali (26).b.2. Mezzi fisicib.2.1. TENS (Transcutaneous Elettrical Nerve Stimulation).

30

Tra i differenti tipi di terapia fisica utilizzati nel trattamento della cefalea, la

stimolazione elettrica transcutanea del nervo (TENS) è la più frequentemente

impiegata. Tale tecnica si basa sulla teoria del cancello del dolore (Melzack e

Wall, 1965) e sull’osservazione che un’attività di meccanocettori a grosso

diametro e bassa soglia inibisce la risposta ad input nocicettvi da parte delle

cellule del corno dorsale del midollo. E’ stato riscontrato che la TENS

aumenta il livello ematico degli oppioidi e modula le risposte autonomiche,

provocando un aumento della temperatura cutanea (25). Il tipo più indicato è

la forma convenzionale, onda bifasica bilanciata di tipo rettangolare

asimmetrica, sotto forma di correnti antalgiche non dolorose, caratterizzate

da stimoli di breve durata (60-150 msec.), di debole intensità (non superiore

a 10 mA) con frequenza relativamente alta (80-100 Hz.). La durata di

stimolazione è solitamente di 30 minuti con la possibilità di protrarre il tempo

di erogazione in caso di ricomparsa del dolore al termine dell’applicazione,

ad un ritmo di 3 volte la settimana. La zona di localizzazione degli elettrodi

dipende dalla sede del dolore. Un elettrodo può essere collocato sul sito di

massimo dolore e il secondo a livello dell’emergenza della branca trigeminale

corrispondente (25). L’applicazione della TENS trova una controindicazione

nel caso di presenza di pacemaker e gravidanza; inoltre vanno evitate le

sedute troppo prolungate per la possibilità di produrre escare nella sede di

applicazione dell’elettrodo (25). In uno studio condotto da Jensen e Olesen

(1996), sono stati valutati cicli di terapie fisiche che si sono dimostrati efficaci

nel ridurre i giorni di cefalea in pazienti con cefalea cronica. Tale efficacia

sembra perdurare a distanza di un anno, come emerge da uno studio di

Hammill et al. (1996) (5). Un vantaggio della TENS rispetto ad altre tecniche

quali il biofeedback o l’agopuntura è rappresentato dalla maneggevolezza

dello strumento che permette l’autosomministrazione dello stimolo dopo il

periodo preliminare di addestramento (15).

b.2.2. Agopuntura.

31

L’agopuntura viene classicamente utilizzata sfruttando il principio dei flussi di

energia nel corpo umano, che sarebbero alterati in diverse condizioni

patologiche. Il ripristino delle attività sensoriali, muscolari e vascolari

dell’organo bersaglio rappresenterebbero il possibile meccanismo di azione.

Inoltre è noto che questa metodica induce modificazioni dei livelli di endorfine

note per essere gli “analgesici endogeni” e attiva i nuclei del rafe con un

aumento della serotonina circolante.

Nell’analgesi agopunturistica due meccanismi entrano in gioco:

1. Meccanismo di tipo riflesso. Risposta immediata da parte dell’organismo

ad uno stimolo applicato in una sede ben precisa, consistente in

modificazione della sensibilità, di tono, di motilità, di vascolarizzazione di un

organo, anche se non vi è continuità tra il punto di applicazione e l’organo

bersaglio. Effettivamente queste zone, anche se lontane, posseggono centri

comuni midollari.

2. Meccanismo neuroendocrino. La stimolazione del punto attiva impulsi che

scatenano la reazione neutralizzante attraverso il coinvolgimento del sistema

oppioide.

Un confronto tra i risultati clinici ottenuti mediante questa tecnica ed altri

trattamenti che rispondono ai criteri della medicina occidentale non è

semplice per la variabilità della tecnica e per l’importanza che rivestono segni

del tutto estranei alla nostra cultura medica (es.: ampiezza del polso, colore

della lingua, ecc.). Ogni singolo paziente, pur con la stessa diagnosi clinica di

cefalea, viene trattato in maniera diversa. E’ pertanto impossibile comparare

soggetti trattati con agopuntura per le carenze metodologiche e

l’imprecisione con cui la maggioranza degli studi effettuati sono stati condotti

e descritti in letteratura. L’agopuntura comunque sembra ridurre la

sensazione algica soggettiva, senza modificare l’attività comportamentale del

paziente nei riguardi del sintomo. Ciò spiegherebbe l’effetto temporaneo del

trattamento e la riduzione progressiva dell’efficacia ai cicli successivi di

trattamento con la stessa metodica (15).

2.1.4.3. Effetto placebo.

32

Qualsiasi sia il trattamento prescelto per ogni singolo paziente, non va

sottovalutata l’importanza dell’effetto placebo. E’ noto infatti che l’effetto

analgesico del placebo è valutabile nel 30-35%. Studi controllati hanno

documentato comunque una maggiore efficacia delle tecniche terapeutiche

non farmacologiche rispetto al placebo. L’effetto placebo ha comunque

valore terapeutico in quanto assume sul piano psicodinamico un significato di

risposta cognitiva positiva del paziente all’aspettativa di miglioramento

ottenuto con una tecnica in cui il paziente stesso si sente elemento attivo e

quindi responsabile. Tale vantaggio non si ottiene somministrando un

farmaco placebo, poiché in questo caso il paziente attribuisce il

miglioramento ad un intervento esterno e non alle proprie capacità (15).

3. Materiali e metodi.

33

In una prima fase del nostro studio si è proceduto alla raccolta e alla

registrazione sistematica di tutti i casi con diagnosi di CTT associata o meno

ad altre forme cefalalgiche, afferenti al Centro Cefalee dell’Ospedale di

Rovereto dal 1993 al 2004. La fonte d’informazione utilizzata è rappresentata

dalla Banca Dati di detto centro.

Per ogni paziente si è evidenziata il/i probabile/i fattore/i causale/i e le forme

di trattamento farmacologico e non farmacologico a cui ciascun paziente è

stato sottoposto.

Un’altra rilevazione è stata effettuata dai dati di follow-up, dai quali si è potuto

constatare il grado di efficacia del trattamento di cui ogni paziente ha

beneficiato.

Si è così attivato un archivio ad hoc costituito da schede per ogni singolo

paziente, riportanti le notizie anagrafiche e cliniche raccolte: cognome, nome,

data di nascita, residenza, codice di diagnosi IHS ’88, eventuali terapie

farmacologiche e non farmacologiche e dati di follow-up.

Per l’esemplificazione si riporta un facsimile con un caso ipotetico (Vedi

scheda a fine capitolo).

Si è raccolto un totale di 534 casi di cui 413 soggetti manifestavano una

forma di cefalea di tipo tensivo episodica e 121 soggetti avevano una

diagnosi di cefalea di tipo tensivo cronica. Come già specificato i dati sono

stati raccolti durante l’arco di tempo che va dal 1993 al 2004, e anche i

pazienti di cui si dispongono i dati di follow-up sono stati visitati per l’ultima

volta durante questo periodo.

L’unico elemento di inclusione dello studio è stata quindi la diagnosi di

cefalea di tipo tensivo.

In una fase successiva si è operato a una selezione dei pazienti con CTT

pura, ovvero non associata ad altre forme cefalalgiche e che fossero stati

sottoposti a un follow-up a distanza, per un totale di 46 soggetti. Si è

proceduto a una distinzione fra i due sessi. La percentuale delle femmine è

stata del 67%, quella dei maschi del 33%. La media dell’età è stata di 47 anni

con un range compreso tra 18 e 80 anni. La durata media della cefalea è

34

risultata essere di 10 anni. La suddivisione nelle due forme di CTT ha rilevato

una percentuale del 56.5% per la CTTE e del 43.5% per la CTTC. Infine i

soggetti che presentavano alterazioni muscolari erano il 48%, mentre i

pazienti senza alterazioni muscolari erano il 52% (Figura 1).

Caratteristiche cliniche dei 46 pazienti con TTH pura in follow-up

F M TOTALE

Numero dei soggetti 31 (67%) 15 (33%) 46 (100%)

Età (anni ) 50 (18-80) 43 (21-73) 47 (18-80)

Durata della cefalea (anni) 13 (1-42) 6 (1-24) 10 (1-42)

Cefalea tensiva episodica 19 (41,3%) 7 (15,2%) 26 (56,5%)

Cefalea tensiva cronica 12 (26,1%) 8 (17,4%) 20 (43,5%)

Con alterazioni muscolare 14 (30,4%) 8 (17,4%) 22 (48%)

Senza alterazioni muscolari 17 (37%) 7 (15,2%) 24 (52%)

Figura 1. Tabella esemplificativa delle caratteristiche cliniche dei pazienti in follow-up.

Questi dati hanno permesso di ottenere una descrizione dettagliata del problema CTT

considerato nel nostro studio. per poterlo confrontare agli studi presenti in letteratura.

35

Facsimile di scheda riportante le notizie anagrafiche e cliniche con un caso ipotetico.

4. Risultati.

Come già accennato il numero dei casi di CTTE è risultato essere pari a 413

(282 femmine, 131 maschi) e a 121 (88 femmine, 33 maschi) per la CTTC.

CENTRO CEFALEEDivisione di Neurologia

36

AZIENDA PROVINCIALE SERVIZI SANITARI

Ospedale di Rovereto

REFERTO SPECIALISTICORovereto, li 26.7.93

Cognome/Nome: ROSSI ALBERTOData di nascita: 9.4.42

Data visita precedente: 12.6.93

ORIENTAMENTO DIAGNOSTICO

2.2 – Cefalea tipo tensivo cronica (cod. IHS)

2.2.1 – Con alterazione della contrazione muscolare pericraniale (e dolorabilità miofasciale)

Probabile/i fattore/i causale/i:

7. Stress muscolare:

contrazione muscolare tonica muscoli facciali

mancanza di riposo e/o sonno

8. Abuso di farmaci

TERAPIA PRATICATA E COMPLIANCE DEL PAZIENTE

Terapia: Cicladol (1 bust. al bisogno)

Beneficio: si

ACCERTAMENTI CONSIGLIATI

Monitoraggio della cefalea mediante carta-diario mensile

INDICAZIONI TERAPEUTICHE

Terapia al bisogno: Cicladol 20 mg ½ o 1 bust. Divisibile

Terapia preventiva: Laroxyl 10 gtt. alla sera

Ciclo di 15 sedute di biofeedback (previa esecuzione di profilo psico-fisiologico, tests di

diagnostica elettromiografia e neurovegetativa)

PROSSIMA VISITA DI CONTROLLO

Tra tre mesi

Per quanto riguarda la distinzione in classi d’età sono state considerate fasce

decennali da 7 a 77 anni. Per l’attribuzione alle classi d’età si è considerato

l’esordio della sintomatologia sulla base dei dati ricavati dalla cartella clinica

computerizzata di ogni singolo paziente (Figura 2).

Gli istogrammi 3 e 4 mostrano un confronto tra le varie classi d’età e i due

sessi. Da questi emerge che il picco di maggiore incidenza riguarda la fasce

dagli 11 ai 30 anni, sia per la CTTE che per la CTTC.

Un’ altro dato da rilevare è l’andamento bimodale per le femmine con CTTC

con un secondo picco tra i 50-60 anni e successivo brusco declino. Mentre in

tutti gli altri casi si rileva dopo la classe d’età di maggiore incidenza, una

costante e continua diminuzione dei casi registrati. Per la CTTE il picco nei

maschi è tra i 10-20 anni, per la CTTC il picco si sposta nella fascia d’età

successiva. Per il sesso femminile è in entrambe le forme tra gli 11-20 anni.

Terzo livello di diagnosi (terza cifra nell’IHS) è determinato dalla presenza o

assenza di alterazioni muscolari. Analizzando questa caratteristica della

cefalea di tipo tensivo si è potuto stabilire un’ulteriore suddivisione dei

soggetti, distinguendo per sesso quelli che presentano o non presentano

alterazioni muscolari sia nei casi di CTTE che di CTTC (Figura 5). Le

percentuali evidenziano la prevalenza delle femmine nella CTT senza

alterazioni muscolari, sia nella cefalea di tipo tensivo episodica (51%) che in

quella cronica (45%). Gli uomini con alterazioni muscolari risultano essere

invece in percentuale minore, sia nella CTTE (8%) che nella CTTC (11%).

Mentre le femmine con alterazione muscolare costituiscono una percentuale

maggiore nella forma cronica (27%) rispetto a quella episodica (17%), il

discorso si capovolge per quanto riguarda gli uomini senza alterazione

muscolare, che risultano essere pari al 17% nella forma cronica e il 24%

nella forma episodica. All’interno dei due sessi e delle due forme di cefalea di

tipo tensivo, quella che non presenta alterazioni muscolari, risulta essere

comunque nettamente superiore a quella che presenta alterazioni di tipo

muscolare (Figura 6 e 7).

Per quanto riguarda i fattori causali, non emergono particolari differenze tra i

due sessi (Figura 8).

37

Se si analizza l’incidenza, spicca nell’ordine gli stress psicosociali (13.7%

femmine, 14% maschi), disturbo di tipo ansioso (13.2% femmine, 11%

maschi), lo stress muscolare (8.8% femmine, 11% maschi) e lo stress di tipo

depressivo (8.4% femmine, 6% maschi) (Figura 9).

Degno di nota può essere che percentualmente lo stress muscolare sia

superiore negli uomini rispetto alle donne. Inoltre se si considerano i dati

ricavati dalla palpazione manuale risulta, che la dolorabilità muscolare sia

nettamente superiore nelle donne rispetto agli uomini. Significativo è anche il

tasso d’incidenza dell’uso continuativo di analgesici con percentuali di 5.1%

per le femmine e 8% nei maschi. Detto dato appare tanto più significativo se

si considera che tale abuso è correlato esclusivamente alla cefalea di tipo

cronico. In genere, se si determina un uso eccessivo di alcuni particolari

gruppi di farmaci utilizzati nel trattamento della CTT, si ha il passaggio da

una cefalea di tipo tensivo episodica ad alta frequenza ad una cefalea

cronica quotidiana.

Ulteriore elemento che è stato analizzato è l’associazione di altre tipologie di

cefalee alla cefalea di tipo tensivo (Figura 10). L’individuazione di altre

cefalee associate è estremamente importante, poiché ogni forma di cefalea

deve essere riconosciuta in quanto richiede un trattamento specifico.

Le figure 10 e 11 mostrano la frequenza di cefalee associate per un totale di

293 casi, tra i quali primeggia l’emicrania sena aura (76%), mentre tra le

cefalee secondarie sono state rilevate percentuali del 3% per la cefalea

traumatica, del 3% per la cefalea da alterazioni delle strutture craniche, del

2% delle malattie vascolari e del 2% per abuso di farmaci.

Tra le cefalee primarie che compaiono oltre all’emicrania senza aura e con

aura (6%), si ricordano anche la cefalea a grappolo (3.1. nell’IHS),

l’emicrania cronica parossistica (3.2), la cefalea trafittiva acuta idiopatica

(4.1), la cefalea benigna da tosse (4.4), la cefalea benigna da attività fisica

(4.5) e la cefalea associata ad attività sessuale (4.6) per un totale di 16 casi,

pari al 5% del totale.

Le figure 12 e 13 mostrano come la cefalea di tipo tensivo pura sia frequente

come la CTT associata ad emicrania.

38

Il dato più importante risulta essere comunque l’elevata percentuale

dell’associazione dell’emicrania senza aura alla cefalea di tipo tensivo pari al

41 % di tutti i pazienti esaminati (534). Questa coesistenza può comportare

un aggravamento del grado di disabilità che queste cefalee primarie possono

determinare al paziente nelle attività di vita quotidiana. Si riconferma quindi la

necessità di una diagnosi corretta e l’impostazione di un trattamento mirato

per ogni tipo di cefalea presente nel paziente.

Si è poi condotta un’analisi per tipo di trattamento preventivo, distinguendo la

terapia farmacologica, prescritta dal Centro Cefalee, da quella non

farmacologica (Figure 14 e 15). Nel 52% (287 pz.) dei casi i pazienti sono

stati sottoposti a un trattamento esclusivamente farmacologico, mentre il 6 %

(32 pz.) a un trattamento unicamente non farmacologico. L’associazione di

un trattamento farmacologico e non farmacologico è stata eseguita nel 12%

(65 pz.) dei casi. Un totale di 149 pazienti (27%) non si è sottoposto a

nessun tipo di trattamento. Una piccola percentuale, pari al 3% (17 pz.) ha

preferito scegliere un trattamento omeopatico.

Si è condotta un’ulteriore analisi sulla terapia non farmacologica che i

pazienti della nostra casistica hanno praticato (Figura 16 e 17). Bisogna

specificare che non tutte le metodiche non farmacologiche sono state

prescritte dal Centro. Molti pazienti si sono sottoposti alla massoterapia, alla

chiropratica, alla pranoterapia e all’agopuntura in modo autonomo. Mentre

tutte le altre metodiche (Biofeedback, Psicoterapia, Igiene posturale, Esercizi

isotonici, Terapia fisica) sono state prescritte espressamente dal Centro in

base alla tipologia del paziente.

Il totale di questi pazienti è di 97 e si dividono tra quelli sottoposti solo a un

trattamento non farmacologico (32 pz.) e quelli sottoposti a un trattamento

associato di tipo farmacologico e non farmacologico (65 pz.).

Nell’ordine i presidi di rieducazione posturale sono stati adottati nel 23 % (22

pz.) dei casi, il biofeedback nel 22% (21 pz.) e la terapia manuale nel 22%

(21 pz.), a seguire l’agopuntura (11%), gli esercizi isotonici (9%), la

chiropratica (4%), la psicoterapia (3%), la pranoterapia e le TENS (2%) ed

39

infine l’uso di diadinamiche, ultrasuoni e radarterapia, rispettivamente nell’1%

dei casi.

E’ stata condotta un’analisi su una sottopopolazione più ristretta di quei

pazienti per i quali si disponevano dati di follow-up (Figura 18). Detti pazienti

erano 102, di questi 46 presentavano una CTT pura (non associata ad altre

cefalee). Dei quali, 37 praticavano un trattamento farmacologico. Di questa

casistica limitata si è stimata l’efficacia del trattamento, basandoci su

parametri di Headache Unit Index, Headache Index, Pain Total Index,

Analgesic Index (Figura 19 e 20)

Nel 36 % non si è avuto nessun beneficio, nel 32% è stato segnalato un

beneficio e nel 32% non è stato possibile valutare l’efficacia del trattamento.

5. Discussione.

Con il nostro studio abbiamo voluto creare un quadro descrittivo della

patologia a livello locale, per poter concretizzare con dati reali quelle che

40

sono le caratteristiche di tale patologia e qual è l’indice di beneficio che i

pazienti hanno dalle varie terapie comunemente proposte. In questo modo si

è potuto verificare quali sono i valori e i limiti di tale approccio. Il nostro studio

è stato largamente confermato dai dati riportati in letteratura (Figura 1).

Come nella maggior parte degli studi, anche nella nostra casistica la CTT

prevale nettamente nel sesso femminile, con il 70% dei casi. Il dato è molto

simile a quelli della letteratura; infatti Friedman et al. e Kudrow riportano una

percentuale del 65%, Lance segnala una percentuale del 75% e Mathew et

al del 77% (27). Per quanto riguarda l’età d’insorgenza il nostro dato

conferma quanto rilevato nelle casistiche di Friedman (30%) e di Lance

(40%) che indicano un esordio prima dei 20 anni d’età e addirittura nel 16%

dei casi di Lance et al. l’insorgenza si verifica nella prima decade di vita.

Viceversa è raro un esordio in età avanzata: solamente il 3% dei pazienti di

Lance et al. manifesta un esordio dopo i 60 anni (27).Risulta chiara l’elevata importanza di una diagnosi corretta e approfondita

che individui non solo la forma di cefalea di tipo tensivo (episodica o cronica),

ma che sappia determinare in modo specifico la possibile causa di tale stato

patologico. Spesso questa fase risulta complessa. Nel nostro studio, per

esempio, nell’identificazione dei fattori causali è stata evidenziata l’elevata

percentuale (39.20% nelle femmine, 38.50% nei maschi) che, in entrambe i

sessi, non mostra alcun fattore causale identificabile (4° cifra secondo la

classificazione IHS). Questo dato può essere interpretato come una ulteriore

conferma della difficoltà attuale di individuare i fattori fisiopatologici certi che

stanno alla base della cefalea di tipo tensivo.

Per la nostra casistica di follow-up abbiamo utilizzato pazienti seguiti solo

con visite periodiche e monitoraggio della cefalea mediante carta diario. I

risultati mostrano che la percentuale di miglioramento è stato del 32% con la

terapia farmacologica. Un dato estremamente limitato, se si pensa che

attualmente il trattamento di base delle cefalee è maggiormente

farmacologico. E’ quindi necessario modificare l’approccio a tale patologia.

Noi crediamo che un programma standardizzato di terapia fisica possa avere

un buon risultato terapeutico, sempre che venga diretto ad un gruppo ristretto

41

di pazienti affetti da CTT. Inoltre dal nostro studio e dai dati in letteratura

emerge la necessità di identificare dei pattern di fattori predittivi circa l’utilizzo

delle varie tecniche fisioterapiche nel trattamento della CTT.

Per quanto riguarda l’efficacia delle terapie non-farmacologiche la validità del

biofeedback, ad esempio, trova conferma in letteratura. Il primo studio

controllato risale al 1973 quando Budzynski et al. segnalarono di aver

ottenuto, con l’EMG biofeedback, una riduzione della tensione muscolare e

della cefalea che non si verificano invece quando veniva somministrato un

biofeedback non mirato. Successivamente , molti altri studi hanno riportato

una riduzione del 50-70% della frequenza e dell’intensità della cefalea,

utilizzando protocolli simili a quello di Budzynski et al. Pure ricerche più

recenti confermano l’utilità di questo trattamento. Adler e Adler, associano al

biofeedback la psicoterapia, ottenendo un miglioramento dell’88% che si

mantiene a notevole distanza di tempo dal trattamento. Ultimamente Reich,

in uno studio volto a comparare gli effetti di diverse metodiche non

farmacologiche nella terapia preventiva della cefalea di tipo tensivo, sostiene

che il biofeedback risulta più efficace del training autogeno e dell’ipnosi (27).Ma ciò non basta, perché è necessario che il paziente venga conosciuto in

tutti i suoi aspetti (psicologico, comportamentale-motorio, cognitivo verbale),

e si deve valutare il suo livello di collaborazione in modo tale da creare un

trattamento farmacologico e riabilitativo mirato e personalizzato.

Nella cefalea di tipo tensivo accanto

alla iperattività muscolare, vi è una

consistente implicazione di ansia e

stress, come si desume dal 4° livello

diagnostico della classificazione

dell’IHS. Risulta quindi di

fondamentale importanza una

valutazione clinico-psicologica, che consideri tre sistermi generali di risposta:

- quello cognitivo, indagabile mediante il colloquio clinico oppure attraverso

scale e questionari di autovalutazione;

42

Momento diagnostico - prognostico come confluenza delle tre dimensioni

Comportamentale motorio

Psicofisiologico

Cognitivo-verbale

- quello comportamentale, riguardante il comportamento manifesto del

paziente;

- quello fisiologico, esplorabile mediante palpazione manuale, rilevazioni

poligrafiche di parametri quali l’attività EMG, la temperatura cutanea, l’attivtà

elettrodermica, la frequenza cardiaca, ecc.

Nell’affrontare detta patologia si dovrà valutare quale di questi tre ambiti

presenti risposte disadattive.

Nel paziente cefalalgico il miglioramento della qualità di vita non si ottiene in

modo rapido, ma attraverso un percorso che prevede quattro tappe (1).

Immagine raffigurante il percorso terapeutico dei pazienti con CTT (modificata rispetto l’originale).Immagine tratta da: Rosanna Cerbo, Felicia Carletto, Michela Bonamini, Livia Brusa, M. Gabriella Buzzi. Le cefalee tensive e la terapia non farmacologica. Confinia Cephalalgica 1993, II, 4: 203-209.

6. Conclusioni.

43

Valutazione iniziale

Storia clinica

Discussione (neurologo, psicologo, fisioterapista)

Scelta del programma fisioterapico

Trattamento (10-12 sedute)

Valutazione finale

Esclusione

Altro trattamento

Follow-up

Odontostomatologo Chirurgo maxilofacciale Oculista Ortopedico

1° Tappa

2° Tappa

3° Tappa

4° Tappa

Tradizionalmente, nella pratica medica, l’obiettivo della terapia della cefalee

è la risoluzione del dolore in atto. Il medico oggi deve però cambiare

atteggiamento e porre la propria attenzione non solo al trattamento del

singolo episodio di cefalea, ma anche alla cura sistematica di una malattia ad

andamento cronico. Uno dei più importanti concetti della medicina moderna è

quella della qualità di vita e del suo deterioramento legato alla malattia. In

questa ottica, l’obiettivo primario della terapia diviene il pieno recupero

funzionale del paziente, obiettivo che può essere raggiunto con modelli di

gestione del paziente tipici delle malattie croniche. Questi prevedono:

diagnosi precoce, trattamento adeguato, osservazione a lungo termine (1).Lo spettro delle tipologie di intervento terapeutico per la CTT è

estremamente vario; nelle forme sporadiche e lievi può essere opportuno

non eseguire alcuna terapia o può essere sufficiente l’assunzione di un

farmaco analgesico. Invece di fronte a cefalee frequenti, severe e inabilitanti

è necessario un valido programma terapeutico. Talvolta, come in alcune

forme di cefalea cronica quotidiana, si rende indispensabile un trattamento in

ambito ospedaliero. Infatti spesso l’efficacia della terapia profilattica si

manifesta dopo alcune settimane e a molti pazienti riesce difficile attenersi

con costanza alle prescrizioni terapeutiche. Le cefalee ad andamento

cronico, siano esse forme croniche ab inizio o cefalee cronicizzate,

rappresentano condizioni cliniche a rischio per abuso di farmaci. Peraltro lo

stesso abuso di farmaci (ergotamina o analgesici) può essere causa di

cronicizzazione del dolore (15).Inoltre l’uso quotidiano di sintomatici riduce l’efficacia di un trattamento di

profilassi. In questi casi la disassuefazione da tale abuso è un indispensabile

provvedimento terapeutico prima di iniziare la farmaco-profilassi (1).La terapia farmacologia di scelta nel trattamento delle forme tensive è

l’amitriptilina, ma sono da considerare i suoi effetti collaterali che

controindicano la somministrazione nei pazienti giovani e anziani. Inoltre

quest’ultima modalità terapeutica non garantisce un elevato grado di

beneficio, che risulta essere pari a un terzo (32%) dei casi nel nostro studio,

dato confermato anche dalla letteratura. Ecco perché sembra necessario un

44

approccio terapeutico che affianchi alla consueta terapia farmacologia, un

programma standardizzato di terapia non-farmacologica di tipo

comportamentale e riabilitativo.

Non è quindi sorprendente che le terapie non-farmacologiche si siano

imposte negli ultimi anni come terapie di prima scelta per le forme tensive,

soprattutto nei pazienti in età giovanile e in età pediatrica (al di sotto dei 15

anni) (28). I trattamenti non-farmacologici rappresentano validi mezzi terapeutici laddove i trattamenti farmacologici siano

controindicati per il rischio di abuso o per la presenza di effetti collaterali o malattie intercorrenti che non

permettono l’utilizzo di farmaci. I migliori risultati si ottengono se il metodo viene adeguatamente scelto per il singolo

paziente in base alle caratteristiche del dolore e alla disponibilità e personalità del paziente stesso. (15).

Approccio terapeutico alla cefalea di tipo tensivo.

Anche se non esiste a tutt’oggi un’adeguata spiegazione dell’efficacia

terapeutica delle tecniche comportamentali e riabilitative, lavori con lungo

follow-up e con studi di popolazioni di controllo, hanno confermato che il

vantaggio clinico ottenuto da dette tecniche è significativo (28).

45

1. Nessun fattore causale identificabile

2. Disfunzioni oromandibolari

3. Stress psicosociali

4. Disturbo di tipo ansioso

5. Disturbo di tipo depressivo

6. Disturbo somatoforme

7. Stress muscolare

8. Uso continuativo di analgesici e benzodiazepine

Tecniche di rilassamento Biofeedback Training autogeno Ipnosi

Psicoterapia

Metodiche chiropratiche

BenzodiazepineAtidepressivi tricicliciSerotoninergici “selettivi”Neurolettici

Misure gnatologiche (Bite-plane, etc.)

Misure psichiatriche

FisioterapiaTecniche di rilassamentoMetodiche chiropratiche

OspedalizzazioneSospensione del farmaco

Terapia di supportoTerapia di profilassi

La metanalisi (1994) di Bogaards et al. (29) ha concluso che i gruppi

sottoposti a terapie non-farmacologiche raggiungevano un miglioramento

clinico significativamente maggiore dei gruppi di controllo. Altri dati che

emergono da questi studi dimostrano che il vantaggio clinico non dipende

dalla tecnica usata (tipo di programma, lunghezza del trattamento), ma

dall’età del paziente e dalla durata della malattia e che il risultato migliore

ottenuto persiste nel tempo. Infatti questi studi hanno riportato che il

vantaggio clinico prosegue oltre l’anno di follow-up e anche dopo tre-cinque

anni (28).Il vantaggio ottenuto attraverso le terapie non-farmacologiche è largamente

dimostrato. Ci si pone allora il quesito di come mai queste tecniche non

rientrino nel comune iter terapeutico, come dimostrato dal nostro studio, dove

risulta essere utilizzato solo per il 16% dei pazienti. Sembra che essi non

siano sufficientemente informati dell’esistenza di un vasto spettro di possibili

trattamenti che potrebbero essere associati alla comune terapia

farmacologia. Il paziente quindi non ha sempre la capacità di decidere se

intraprendere un trattamento che non comprenda solo l’assunzione di

farmaci.

Risulta quindi necessaria una campagna d’informazione rivolta ai pazienti

cefalgici, perché possano scegliere, con opportune indicazioni mediche, la

migliore strada da percorrere per un trattamento preventivo efficace e

duraturo.

Arrivare a una diagnosi che comprenda un quarto livello diagnostico porta, a

una migliore gestione del paziente (1), potendo realizzare una visione

approfondita dello stesso, così da permettere di attuare un programma

personalizzato, che vedrà la figura del Neurologo affiancata a quella dello

Psicologo e del Fisioterapista.

Con questa modalità di approccio il paziente non dovrà trovarsi solo a

fronteggiare crisi spesso mutevoli per gravità e frequenza. Questi potrà

raggiungere un risultato terapeutico ottimale solo se acquisirà una “visione

ragionata” della terapia da utilizzare, che dovrà essere modulata sulla

diversa gravità e frequenza degli attacchi e sulle diverse circostanze di vita

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quotidiana, nelle quali le crisi possono presentarsi. E’ importante segnalare

come l’impostazione di un trattamento riabilitativo non può essere

standardizzata, ma deve essere adeguata al singolo caso in rapporto

all’entità della sintomatologia, al grado di limitazione funzionale ed alla

risposta del soggetto al trattamento. E’ quindi compito dell’equipe architettare

un trattamento “su misura” per il malato ed istruirlo affinché lo attui nel modo

migliore. Quando la terapia è efficace, diminuiscono la paura e l’ansia per

attacchi futuri e ciò può di per sé contribuire a ridurre la frequenza della crisi.

Lo scopo del trattamento non è quindi solo quello di cancellare il dolore, ma

anche quello di ripristinare rapidamente la qualità della vita variabilmente

compromessa da tale patologia (1).

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