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1) STORIA E PRINCIPI FONDAMENTALI DELL'INTEGRAZIONE EUROPEA a) Cenni storici b) Le personalità importanti: i. Altiero Spinelli ii. Konrad Adenauer iii. Alcide de Gasperi iv. Jean Monnet v. Paul-Henri Spaak vi. Robert Schuman vii. Gaetano Martino viii. Valery Giscard d'Estaing ix. Jacques Delors x. Helmut Kohl xi. Javier Solana xii. Romano Prodi c) Gli eventi di rilievo d) I principi fondamentali dell'UE e) Gli obiettivi dell'UE f) I simboli dell'Unione 2) LE ISTITUZIONI E I TRATTATI a) Le competenze dell'Unione b) Le istituzioni europee c) L'ordinamento giuridico comunitario d) I Trattati e) Il triangolo istituzionale f) Il Patto di stabilità e crescita 3) LA COSTITUZIONE EUROPEA E IL FUTURO DELL'UNIONE a) La Carta dei Diritti Fondamentali b) La convenzione europea c) Il cammino della Convenzione d) La costituzione dell'Europa unita e) La cittadinanza dell'Unione e i diritti dei cittadini f) Il futuro dell'Europa 4) ALLARGAMENTO E POLITICHE DI PROSSIMITÀ a) L'adesione di un nuovo Stato all'Unione b) I criteri di adesione c) L'Agenda 2000 d) Allargamento e) Valutazioni sull'allargamento f) Le politiche di prossimità 5) L'EURO E LE POLITICHE DELL'UNIONE a) L'integrazione come sinonimo di politiche comuni i. Politica agricola comune ii. Politica commerciale iii. Politica economica iv. Politica monetaria v. Politica regionale vi. Coesione economica e sociale

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1) STORIA E PRINCIPI FONDAMENTALI DELL'INTEGRAZIONE EUROPEAa) Cenni storici b) Le personalità importanti:

i. Altiero Spinelli ii. Konrad Adenauer iii. Alcide de Gasperi iv. Jean Monnet v. Paul-Henri Spaak vi. Robert Schuman vii. Gaetano Martino viii.Valery Giscard d'Estaing ix. Jacques Delors x. Helmut Kohl xi. Javier Solana xii. Romano Prodi

c) Gli eventi di rilievo d) I principi fondamentali dell'UE e) Gli obiettivi dell'UE f) I simboli dell'Unione

2) LE ISTITUZIONI E I TRATTATIa) Le competenze dell'Unione b) Le istituzioni europee c) L'ordinamento giuridico comunitario d) I Trattati e) Il triangolo istituzionale f) Il Patto di stabilità e crescita

3) LA COSTITUZIONE EUROPEA E IL FUTURO DELL'UNIONEa) La Carta dei Diritti Fondamentali b) La convenzione europea c) Il cammino della Convenzione d) La costituzione dell'Europa unita e) La cittadinanza dell'Unione e i diritti dei cittadini f) Il futuro dell'Europa

4) ALLARGAMENTO E POLITICHE DI PROSSIMITÀa) L'adesione di un nuovo Stato all'Unione b) I criteri di adesione c) L'Agenda 2000 d) Allargamento e) Valutazioni sull'allargamento f) Le politiche di prossimità

5) L'EURO E LE POLITICHE DELL'UNIONEa) L'integrazione come sinonimo di politiche comuni

i. Politica agricola comune ii. Politica commerciale iii. Politica economica iv. Politica monetaria v. Politica regionale vi. Coesione economica e sociale vii. Politica estera e di sicurezza comune viii.Altre politiche

b) Il progresso europeo c) Innovazione e Strategia di Lisbona d) Il Cammino verso la moneta unica e) I criteri di convergenza f) Il mercato Unico

6) L'Europa e i GIOVANI

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a) I programmi europei per i giovani b) Convenzione europea dei giovani c) Lavorare nelle istituzioni europee d) Guida alle elezioni europee e) Il problema della disoccupazione f) L'immigrazione

ACCORDO EUROPEO e ACCORDI DI ASSOCIAZIONE

L'accordo europeo indica una forma specifica di accordo d'associazione, concluso tra l'Unione europea ed alcuni Stati dell'Europa centrale ed orientale (articolo 238 del trattato CE). L'obiettivo dell'accordo era di preparare la futura adesione all'Unione europea dello Stato associato e aveva come fondamento il rispetto dei principi dei diritti umani, della democrazia, dello Stato di diritto e dell'economia di mercato. Concluso per un periodo illimitato, l'accordo europeo comporta molteplici elementi: una componente politica, che prevede consultazioni bilaterali e multilaterali su

qualsiasi questione di interesse comune; una componente commerciale al fine di instaurare una zona di libero scambio; la cooperazione a livello economico, culturale e finanziario; il ravvicinamento delle legislazioni, in particolare per quanto riguarda la proprietà

intellettuale e le regole di concorrenza. Sul piano istituzionale, la gestione generale dell'accordo europeo spettava al Consiglio di associazione, composto, da un lato, da rappresentanti del Consiglio e della Commissione e, dall'altro, da rappresentanti del governo dello Stato associato. Un comitato di associazione composto da membri del Consiglio di associazione, provvedeva alla sorveglianza dei lavori e preparava le delibere del Consiglio di associazione. Infine era prevista una commissione parlamentare d'associazione, composta da membri del parlamento europeo e del parlamento nazionale dello Stato associato, il cui compito era di formulare raccomandazioni al Consiglio di associazione.

Dieci paesi dell'Europa centrale e orientale (ad eccezione dell'Albania e degli Stati sorti dall'ex Iugoslavia, tranne la Slovenia) avevano con l'Unione europea importanti scambi commerciali che la firma di accordi europei ha reso molto più dinamici.

Gli accordi europei costituivano il quadro giuridico dell'associazione fra i paesi candidati e l'Unione europea. Riguardavano le relazioni politiche ed economiche fra i partner e si prefiggevano di creare un quadro adeguato per la progressiva integrazione dei paesi candidati nella Comunità. Gli accordi europei furono conclusi con la Bulgaria, la Repubblica ceca, l'Ungheria, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania.Tali accordi, volti ad istituire una zona di libero scambio entro il 2002, prevedevano la liberalizzazione degli scambi dei prodotti industriali e la cooperazione economica in numerosi settori. Consentivano di discutere dei progressi della preparazione all'adesione, a livello ministeriale e in sede di consigli di associazione. Dato che gli accordi di associazione riguardavano gran parte dei settori legati all'acquis comunitario, furono utilizzati per aiutare i paesi candidati ad elaborare un programma nazionale di recepimento dell'acquis e ad adottare le norme giuridiche comunitarie prima dell'adesione.Gli accordi di associazione con Cipro, Malta e la Turchia riguardavano gli stessi settori di quelli dei paesi dell'Europa centrale e orientale (ad eccezione del dialogo politico) e si

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prefiggevano di creare un'unione doganale. La Turchia ha già firmato un accordo di unione doganale con l'Unione europea nel 1995.

PARTENARIATO EURO-MEDITERRANEO

Il Partenariato Euro-Mediterraneo si realizza attraverso accordi di associazione tra l’UE e i Paesi Terzi del Mediterraneo (PTM). A questo proposito bisogna ricordare che tale formula di partenariato bilaterale viene applicata solo a nove dei PTM, in quanto la Turchia prima, e Malta e Cipro poi, hanno firmato degli accordi di associazione di preparazione all’adesione all’UE.

Gli accordi di associazione sono simili ad accordi di libero scambio anche se vanno al di là di una dimensione prettamente commerciale. Pur differendo da Paese a Paese, il contenuto di tale accordi, in base ai i principi stabiliti per il Partenariato Euro-Mediterraneo, prevede per tutti le seguenti tematiche:

- Rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, come condizione necessaria per la conclusione di un accordo;

- Libero scambio di merci e servizi secondo quanto previsto dagli accordi del World Trade Organization (WTO), e armonizzazione tra le parti per la protezione dei diritti intellettuali e lo scambio di altri beni economici;

- Cooperazione finanziaria con aiuti previsti dall’Unione europea a sostegno delle economie di ogni singolo Stato e dell’intera regione;

- Cooperazione sociale e culturale soprattutto in materia di diritti dei lavoratori e di lotta all’emigrazione clandestina;

- Istituzioni comuni, che prevedono un Consiglio di Associazione (a livello di ministri e da riunirsi almeno una volta l’anno) e un Comitato (a livello di ambasciatori) che assiste il Consiglio.

Al momento accordi di cooperazione sono stati firmati con la Tunisia (luglio del 1995), Israele (novembre 1995), il Marocco (febbraio 1996), l’Autorità Palestinese (febbraio 1997) e la Giordania (novembre 1997). Sono stati avviati anche negoziati con l’Egitto, il Libano e l’Algeria, mentre i negoziati con la Siria sono in via di preparazione.

NEGOZIATI DI ADESIONEIl processo di adesione dei 10 Stati membri recentemente entrati nell'UE è iniziato il 30 marzo 1998 con la prima serie dei paesi candidati (il gruppo di Lussemburgo).I negoziati di adesione riguardano la capacità dei candidati di rispettare tutti gli obblighi di uno Stato membro dell'Unione europea e di applicare l'acquis comunitario alla data dell'adesione, in particolare le misure necessarie ad estendere il mercato unico, che dovranno essere attuate immediatamente. Il negoziato riguarda inoltre gli aiuti di preadesione che l'Unione potrà fornire per agevolare il recepimento dell'acquis. Infine, il negoziato potrà concludersi anche se il recepimento completo dell'acquis non sarà terminato, grazie all'applicazione di misure transitorie dopo l'adesione. Gli eventuali periodi di transizione dovranno però essere per quanto possibile brevi e riguardare soltanto un numero limitato di settori.I negoziati si svolgono nel quadro delle conferenze intergovernative bilaterali, con riunioni ogni sei mesi a livello ministeriale e ogni mese a livello degli ambasciatori.La definizione esatta delle posizioni di negoziato viene effettuata soltanto in seguito a una procedura di valutazione nei particolari ("screening") della situazione di ciascun paese candidato rispetto alla normativa comunitaria e alle disposizioni relative al secondo e al terzo pilastro.Le posizioni comuni di negoziato sono definite dalla Commissione per ciascun capitolo di competenza comunitaria e approvate all'unanimità dal Consiglio. I risultati dei negoziati

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sono integrati in un progetto di trattato di adesione, il quale deve essere approvato dall'Unione europea e ratificato dagli Stati membri e dai paesi candidati.

Potenziamento della strategia di preadesioneIl potenziamento della strategia di preadesione, chiesto dal Consiglio europeo di Dublino del dicembre 1996, si basa sia su strumenti esistenti (gli accordi europei, il Libro bianco sul mercato interno e il programma PHARE) sia su un nuovo strumento che sarà l'asse essenziale della strategia potenziata di preadesione: i partenariati per l'adesione.I partenariati per l'adesione, avviati il 15 marzo 1998, riuniscono in un unico quadro tre elementi fondamentali:

i settori prioritari per recepire l'acquis comunitario; la programmazione dell'assistenza finanziaria dell'Unione; le condizioni degli aiuti, basati sul rispetto degli obblighi derivanti dagli accordi

europei di associazione e sui progressi nel rispetto dei tre criteri di Copenaghen. Precisano come saranno modulati tutti gli strumenti destinati ad aiutare i candidati nel preparare l'adesione, in particolare:

un programma nazionale di adozione dell'acquis comunitario, nel quale ciascun candidato deve precisare le misure normative e regolamentari, le riforme delle strutture istituzionali e amministrative e le risorse umane e di bilancio che intende utilizzare in ciascun settore prioritario individuato dal partenariato per l'adesione;

una valutazione congiunta delle priorità in materia di politica economica; un patto contro il crimine organizzato ; "tracciati" del mercato interno, elaborati nel 1997 dal commissario europeo

responsabile del mercato interno, per permettere ai candidati di conformarsi all'acquis comunitario.

La Commissione si è impegna a presentare annualmente al Consiglio europeo una relazione sui progressi ottenuti da ciascun candidato sulla via dell'adesione. La prima relazione è stata presentata il 4 novembre 1998. La seconda relazione è stata pubblicata dalla Commissione nell'ottobre 1999, la terza nel novembre 2000 e l'ultima nel novembre 2001.

RISORSE PROPRIE

Le risorse proprie indicano le entrate di natura fiscale concesse all'Unione europea affinché possa finanziare le proprie spese nel rispetto dell'attuale massimale dell'1,27% del PNL comunitario. All'origine il bilancio comunitario dipendeva dai contributi finanziari degli Stati membri. In seguito alla decisione del 21 aprile 1970, l'autonomia finanziaria è stata gradualmente realizzata col 1° gennaio 1978. A decorrere da questa data il bilancio comunitario è integralmente finanziato attraverso le risorse proprie. Attualmente queste ultime sono costituite da quattro fonti:

i dazi agricoli e i contributi zucchero e isoglucosio: si tratta, principalmente, dei dazi doganali agricoli nonché, nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati dello zucchero, dei contributi alla produzione e all'immagazzinamento;

i prelievi riscossi sulle importazioni di prodotti agricoli i dazi doganali, ossia quelli della tariffa doganale comune (TDC) e gli altri diritti fissati

dalle Comunità sugli scambi con i paesi non membri: provenienti dall'applicazione della tariffa doganale comune alle esportazioni degli Stati terzi;

la risorsa IVA: proveniente dall'applicazione dell'aliquota uniforme all'imponibile IVA di ciascuno Stato membro. I proventi sono ottenuti mediante applicazione di un tasso dal 1999 pari all’1%. Secondo quanto stabilito nel corso del vertice di Berlino esso è stato ridotto allo 0,75 nel 2002 e allo 0,50 nel 2004;

la "quarta risorsa": introdotta nel 1988, cosiddetta risorsa "complementare" in quanto è fissata in funzione delle tre altre fonti di entrata del bilancio. Essa è fondata sul PNL, applicando al PNL di tutti gli Stati membri un'aliquota fissata nell'ambito della procedura di bilancio. In pratica si tratta di contributi versati dagli Stati membri qualora le precedenti risorse non risultassero sufficienti a garantire una certa entità delle entrate comunitarie. I versamenti al bilancio comunitario coprono lo scarto esistente tra le precedenti risorse proprie ed una percentuale del PNL degli Stati membri fissate per il periodo 2000-2006 all’1, 27%.

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Nel 2004 lo stato di previsione delle entrate dell'Unione europea è stata di 111 miliardi di euro, di cui circa il 48,1% provenienti dalla risorsa PNL, 24,2% dalla risorsa IVA, 10,7% da dazi e prelievi, il 17% proveniente da altre entrate. (Fonte: Commissione europea – Comunicato stampa IP/03/217- 2003)

Il fatto che la Comunità si finanzi mediante risorse proprie non significa che la riscossione dei dazi, dei prelievi e delle altre entrate sia affidata alle istituzioni comunitarie: essa rimane prerogativa degli Stati membri, i quali provvederanno a versare le somme percepite alla Comunità.

IL BILANCIO COMUNITARIOÈ il documento contabile approvato annualmente delle istituzioni comunitarie nel quale sono dettagliatamente individuate le risorse a disposizione della Comunità europea e le relative spese.Tutte le entrate e le spese dell'Unione formano oggetto di previsioni annuali e sono iscritte nel bilancio comunitario. Le entrate si basano su "risorse proprie" (dazi doganali, prelievi agricoli, risorse provenienti dall'IVA, risorse sul Prodotto nazionale lordo) per cui il bilancio comunitario risulta essere finanziato da entrate proprie e non da contributi a carico degli Stati membri. Le spese vengono ripartite su periodi pluriennali ("prospettive finanziarie"), derivanti da un accordo tra le istituzioni europee (ad es.: prospettive finanziarie 2000-2006).Il bilancio comunitario traduce in termini di destinazione delle risorse le priorità e gli orientamenti perseguiti dall’Unione europea (UE), autorizzando annualmente il finanziamento dell’insieme delle attività e degli interventi comunitari. Il bilancio comunitario ha caratteristiche fondamentalmente diverse da quelle dei bilanci nazionali. Ciò per la dimensione tutto sommato limitata (100 miliardi di euro, circa l’1% del Pil comunitario), per la concentrazione su due settori di spesa (politica agricola e azioni strutturali), per la rigidità e scarsa autonomia (spesa definita in un quadro pluriennale, assenza di possibilità di ricorso al prestito). Un’altra differenza sostanziale sta nella responsabilità della gestione, affidata in teoria alla sola Commissione ma di fatto trasferita agli Stati membri, che gestiscono larga parte della spesa.Il bilancio comunitario, così come la quasi totalità dei bilanci statali poggia su molteplici precisi principi contabili, tra cui: l'unità (l'insieme delle spese e delle entrate è riunito in un unico e solo documento

sottoposto ad approvazione dell’autorità competente;); l'annualità (le operazioni di bilancio sono raggruppate in un esercizio finanziario

annuale); l'equilibrio (le spese non devono superare le entrate); l’universalità, che dispone che delle entrate determinate non siano correlate a delle

spese determinate, e che non ci sia compensazione tra le stesse, arrivando ad indicare solo il relativo saldo

A questa regola si pongono due eccezioni: il regime dei dodicesimi provvisori; i bilanci rettificativi e supplementari, che devono essere adottati col concorso di particolari condizioni e intervenire prima del deposito del bilancio;

la specialità che si propone di far sì che i crediti aperti non siano cumulati, ma suddivisi per cause giustificative nel bilancio comunitario. A tal fine si prevede da un lato uno stato generale delle entrate, dall’altro uno stato delle entrate e delle spese (es. L.488);

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La Commissione ha il compito di trasmettere al Consiglio, che condivide col Parlamento europeo l'autorità di bilancio, un progetto preliminare di bilancio. La ripartizione del potere tra queste due istituzioni è stabilita in funzione della natura delle spese: spese obbligatorie o spese non obbligatorie. Tuttavia a prescindere dalla classificazione delle spese e della conseguente ripartizione del potere, merita ricordare che, in ultima istanza, spetta al Parlamento europeo adottare o respingere il bilancio nella sua integralità.La Commissione Prodi ha iniziato un sistema di gestione basato sulle attività (GBA) che consiste a definire le risorse finanziarie consacrate ai programmi insieme alle spese di gestione corrispondenti. Per attuare questo nuovo sistema è stato necessario riformare la struttura del bilancio e il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee.L’obiettivo principale è di garantire che l’allocazione delle risorse s’inserisca in un processo politico e sia compatibile con le priorità e gli obiettivi politici fissati previamente. In questo modo l’attività diventa il comune denominatore di un quadro concettuale comune dove s’inseriscono le priorità, la pianificazione, la stesura del bilancio, il controllo e la rendicontazione. La separazione tradizionale tra gli stanziamenti di funzionamento e quelli operativi è sostituita da una struttura che mette in evidenza non solo il costo delle politiche comuni ma anche i suoi fabbisogni in termini di risorse umane e di altri tipi di assistenza tecnica. Per la sezione III del bilancio (relativa alla Commissione europea) una nuova nomenclatura entra in vigore. Le spese sono raggruppate in 30 politiche e in 200 attività correlate, ciascuna delle quali collegate alla relativa Direzione generale della Commissione. Si mantengono i titoli, i capitoli, gli articoli e le voci con la differenza che ciasun titolo del BBA include sia le spese di funzionamento sia le spese operative per una data politica. I titoli indicano il costo complessivo di una politica, i capitoli le sue attività, gli articoli e le voci corrispondono ai programmi e ai progetti. Uno dei capitoli contiene le risorse amministrative assegnate ad una determinata politica e la sua struttura è identica per tutti i titoli.L’entrata in vigore della nuova struttura del bilancio dipende dal nuovo regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, adottato definitivamente dal Consiglio in giugno 2002, e indirettamente dall’adozione del regolamento recante le modalità d’esecuzione del regolamento finanziario ancora all’esame del Consiglio. Col nuovo regolamento finanziario si migliora la presentazione e chiarezza del testo che contiene solo i principi e le definizioni essenziali rinviando al regolamento sulle modalità d’esecuzione tutte le precisazioni e le norme d’attuazione concrete.Si adotta di una nuova struttura per il bilancio secondo la nuova gestione per attività. Le autorità di bilancio (Parlamento e Consiglio) riceveranno maggiori informazioni dai servizi di contabilità sia per la formazione del bilancio sia per la sua esecuzione. Semplificazione delle modalità di trasferimento dei crediti da una ligna di bilancio ad un’altra Razionalizzazione dei metodi d’esecuzione che possono essere gestione centralizzata, concorrente (con gli Stati membri) o dencentrata (con gli Stati beneficiari degli aiuti esterni), o gestione congiunta con degli organismi internazionali. Modernizzazione della gestione finanziaria centrandola sui risultati e le performances.

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Meno eccezioni alle regole. Regole contabili più moderne. Trasparenza e prevenzione delle frodi durante gli appalti di gara. Il nuovo regolamento finanziario è entrato in vigore il 1 gennaio 2003, dopo l'adozione del progetto di regolamento sulle modalità d’esecuzione. Quest’ultimo, per quanto riguarda il titolo sulle sovvenzioni, stipula che la Commissione europea deve adottare un programma di lavoro annuale in materia di sovvenzioni e pubblicarlo nel sito Internet entro il 31 gennaio di ogni esercizio. Il programma di lavoro deve precisare l’atto di base, gli obiettivi, il calendario degli inviti a presentare proposte corredate dal rispettivo importo indicativo e i risultati desiderati. Gli inviti a presentare proposte precisano gli obiettivi perseguiti, i criteri d’ammissibilità, di selezione e d’attribuzione, le modalità di finanziamento comunitario, le modalità e il termine di deposito delle proposte, la data possibile d’inizio delle azioni, e la data di chiusura della procedura d’attribuzione. Possono essere assegnate sovvenzioni senza invito a presentare proposte nel quadro dell’aiuto umanitario, in casi d’urgenza eccezionali, a favore di organismi identificati nell’atto di base o che si trovino in situazione di monopolio di diritti o di fatto, e in situazioni di crisi nei paesi terzi.

DAZIO imposta indiretta sui consumi, applicata storicamente sugli scambi tra città (dazi interni) e tra Stati (dazi doganali o esterni). Mentre i dazi interni sono andati progressivamente scomparendo, in quanto provocano intralci al traffico commerciale e alla localizzazione delle industrie, i dazi doganali costituiscono ancora uno degli strumenti più efficaci del protezionismo commerciale. I dazi doganali possono essere commisurati alla quantità della merce che varca il confine statale (dazi specifici), oppure al valore della merce (dazi ad valorem). I dazi all'importazione sono i più diffusi e vengono pagati all'atto dell'entrata delle merci nel territorio dello Stato; i dazi all'esportazione, attualmente molto rari, colpiscono le merci al momento della loro uscita dal territorio dello Stato.

Jacques Delors

Jacques Delors nasce a Parigi il 25 Luglio 1925. Autodidatta, è uno dei principali ispiratori della “seconde gauche” e fondatore del movimento “Citoyens 60”. Nel 1962 viene nominato capo dell’Ufficio degli Affari sociali e nel 1969 passa al Segretariato per la formazione. Nel 1974 aderisce al Partito socialista nelle cui fila viene eletto al Parlamento europeo dove presiede la Commissione economica e monetaria. Nel 1981 viene nominato Ministro delle finanze, carica che conserverà fino al 1984. Davanti all’aggravarsi della crisi economica, Delors inaugura una politica di rigore e di deflazione competitiva. Dopo aver lasciato il governo, viene nominato presidente della Commissione europea. I tre mandati di Delors alla guida della Commissione (1985-1995) segnano un profondo rilancio della costruzione europea. Egli propone l’“Obbiettivo 1992” (soppressione della barriere doganali e fiscali all’interno degli Stati membri). I suoi sforzi conducono alla firma dell’Atto Unico (1986) che estende le competenze dell’Unione sulle materie di coesione economica e sociale. Egli presiede in seguito il comitato incaricato di studiare il progetto di una Unione economica e monetaria il cui contributo ispirerà il Trattato di Maastricht e la nascita della moneta unica. Firmato nel 1992, il Trattato di Maastricht aumenta considerevolmente le competenze dell’Unione europea. Nel frattempo Delors mette mano alle politiche strutturali dell’Unione (pacchetto Delors), alla Carta sociale europea e al progetto Erasmus. Nel 1993 esce il Libro bianco sulla competitività e l’occupazione che verrà adottato dal Consiglio europeo nel 1993. Nel 1994 Delors lascia un’Europa profondamente rinnovata e allargata a 15 Stati.In seguito dirige il gruppo di studio “Notre Europe” e, dal 2000, il Consiglio per l’occupazione.

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ALTIERO SPINELLI (BIOGRAFIA)

La vita di Altiero Spinelli è raccontata in due appassionanti autobiografie, "Ulisse" e "La goccia e la roccia", che l’autore stesso ha raccolto nel ciclo Come ho tentato di diventare saggio, a significare il processo di maturazione umana, civile, politica condotto nell’arco di un’intera esistenza.

È uno dei padri dell’Europa unita, ideatore del Movimento federalista, da lui fondato nel 1943.

Nato a Roma il 31 agosto del 1907, Spinelli passa i primi anni in Sud America, poi torna a Roma, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza in una famiglia patriarcale, laica e socialista. Studia legge all’Università La Sapienza, mentre il Paese comincia a subire la morsa della dittatura fascista. Il giovane Altiero partecipa all’attività clandestina comunista contro il fascismo e, nel 1927, viene arrestato e condannato dal tribunale speciale per cospirazione contro i poteri dello Stato. Iniziano gli anni della reclusione, dieci di carcere e sei di confino. È il tempo della sofferenza e anche della riflessione sulle sorti dell’Italia e del mondo. Studia a fondo i testi dei federalisti angolsassoni, abbandona il colonialismo e abbraccia il federalismo. In quel periodo elabora, insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene (1941), progetto per una federazione europea di Stati.

Spinelli si rende presto conto del fatto che la battaglia per la federazione europea richiede la creazione di un'organizzazione politica nuova, immune dai feticci nazionali e dei limiti delle ideologie tradizionali. Sulla base di questa convinzione promuove la fondazione del Movimento Federalista Europeo (Milano, 27 - 28 agosto 1943).

Caduto il fascismo, nel 1943 Spinelli è libero di tornare a casa. Si trasferisce a Milano, diventa membro della segreteria politica del Partito d’Azione Alta Italia - poi della segreteria politica nazionale - e fonda il Movimento federalista europeo (Mfe). Tra il 1948 e il ’62 è segretario generale del Movimento e anche membro del Bureau Executif e delegato generale dell’Union européenne des Federalistes (Uef) a Parigi.

Agli inizi degli anni cinquanta, l'azione di Spinelli e del MFE sul governo italiano si rivela decisiva per fare della costituente europea la questione centrale delle trattative intergovernative per la creazione della Comunità europea di difesa (CED). E' grazie a questa azione che l'Assemblea ad hoc (l'assemblea allargata della CECA) viene incaricata di elaborare lo statuto della Comunità politica europea, cioè dell'organismo politico incaricato di controllare l'esercito europeo.

L'Assemblea assolve al suo mandato elaborando un testo di costituzione, ma la sua opera viene vanificata dalla mancata della CED da parte della Francia (1954).

Nonostante questa sconfitta, fra il 1954 e il 1960 Spinelli e il MFE rilanciano la lotta federalista impegnandosi per mobilitare l'europeismo ormai diffuso in una protesta popolare crescente -azione del Congresso del Popolo europeo- diretta contro la legittimità stessa degli stati nazionali.

Fra il 1962 e il ’65, Spinelli fa parte della redazione del Mulino e, nel 1965, fonda l’Istituto Affari Internazionali, dirigendolo fino al 1970.

Dopo aver abbandonato il MFE negli anni sessanta, nel 1970 viene nominato membro della Commissione esecutiva della CEE. Dal 1976 al 1986 è membro del Parlamento europeo, divenendo nel 1984 presidente della Commissione istituzionale. È nel Parlamento europeo che Spinelli, per la seconda volta, ha l'opportunità di avviare un'azione di tipo costituzionale, promuovendo all'interno del Parlamento europeo, ormai eletto direttamente, l'elaborazione di un progetto di Trattato di Unione europea (approvato a larghissima maggioranza il 14 febbraio 1984). Questa iniziativa viene frenata e ridimensionata dalle resistenze dei governi nazionali, che nel 1985 varano il meno ambizioso Atto Unico europeo, un trattato comunque importante sulla via dell’integrazione.

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Essa segna tuttavia l'ingresso sulla scena europea del Parlamento europeo come nuovo soggetto politico nel processo di democratizzazione delle istituzioni comunitarie. Muore a Roma il 23 maggio 1986.

Il suo nome rimane legato agli anni della lotta contro i totalitarismi negli anni più bui del Ventesimo secolo, così come agli anni più esaltanti della nascita dell’Europa unita.

L'azione di Spinelli e il federalismo come nuovo comportamento politico

L'atteggiamento di Spinelli si distingue da quello dei federalisti che, prima di lui, si erano limitati a denunziare la crisi storica dello stato nazionale, collocando la realizzazione della Federazione europea in un futuro indeterminato. Questo federalisti, al contrario di Spinelli, non si erano posti l'obiettivo di elaborare un programma di azione preciso e non avevano rinunciato ad impegnarsi prima di tutto sul fronte delle lotte liberali, democratiche o socialiste.

Spinelli invece, convinto che la Federazione europea, dopo la seconda guerra mondiale, sarebbe diventata un obiettivo concreto della lotta politica, si rende conto del fatto che si apre uno spiraglio per la lotta federalista. Spinelli denuncia pertanto, senza esitazione, i limiti dell'approccio funzionalista all'unificazione europea, e l'illusione degli europeisti di poter raggiungere la federazione senza la rinuncia alla sovranità nazionale da parte degli Stati.

La sua azione mira sin dall'inizio a sfruttare le contraddizioni che si manifestano nel mettere in comune le politiche nazionali. Al metodo comunitario seguito da Jean Monnet, Spinelli contrappone il metodo costituente, consapevole del fatto che, se da un lato bisogna far accettare agli Stati un trattato in base al quale essi si dichiarano disposti a cedere parte della loro sovranità a favore e di un governo sovranazionale, dall'altro lato è necessario far partecipare il popolo europeo alla definizione di una costituzione che stabilisca la forma e i compiti della nuova unione fra Stati.

Su questa posizione, difesa e sostenuta per tutta la vita, Spinelli riesce, nel 1984, a portare l'intero Parlamento europeo chiamato a portare a termine la battaglia costituente iniziata da Spinelli. Muore nel 1986.

JEAN MONNET (BIOGRAFIA) Per un uomo come Jean Monnet, che aveva capito sin dalle prime esperienze politiche che "la riflessione non può essere separata dall'azione", i fatti salienti della sua vita rappresentano anche una indicazione importante del suo pensiero e del suo modo di fare politica.

Nato nel 1888, dopo aver trascorso la giovinezza ad aiutare il padre nel commercio del cognac, allo scoppio della prima guerra mondiale si pose, nel tentativo di rendersi utile, il "formidabile problema" dell'organizzazione degli approvvigionamenti, che gli Alleati non sapevano risolvere e che poteva compromettere l'esito del conflitto. Una volta intuita la soluzione, cioè una programmazione comune tra Francia e Inghilterra, riuscì a farsi ricevere dal Presidente del Consiglio Viviani ed a convincerlo della bontà della sua proposta. Invitato a Londra, diede vita ad un pool franco-inglese per coordinare gli acquisti ed i trasporti.

Alla fine delle ostilità, grazie ai brillanti risultati conseguiti, venne nominato segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni. Monnet iniziò questa sua nuova missione con grande entusiasmo. Pensava, come molti suoi contemporanei, che questa nuova organizzazione internazionale potesse imporsi "per la sua forza morale, per gli appelli all'opinione pubblica e grazie alle abitudini che finirebbero col prevalere". Ma dovette ben presto riconoscere che la Società delle Nazioni non poteva affatto realizzare quegli obiettivi di pace e di concordia che si proponeva. Potevano essere prese solo decisioni all'unanimità. "Il veto - così Monnet commenta questa sua esperienza - è la causa profonda e nello stesso

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tempo il simbolo dell'impossibilità di superare gli egoismi nazionali". Nessuna volontà comune e nessun bene comune potevano essere conseguiti su questa base. Nel 1923 abbandonò dunque il suo incarico e ritornò ad occuparsi dell'impresa paterna.

Agli inizi della seconda guerra mondiale, Monnet venne di nuovo inviato a Londra per organizzare la gestione in comune delle risorse degli Alleati. Qui, nel giugno 1940, mentre l'esercito francese veniva travolto dalle truppe naziste, Monnet concepì una iniziativa audacissima che avrebbe potuto mutare l'intero corso della seconda guerra mondiale. Propose a Churchill e a De Gaulle, che lo accettarono, un progetto per una unione federale immediata tra Gran Bretagna e Francia. Tuttavia, questo disperato tentativo di impedire la sconfitta della Francia fallì, perchè la classe politica francese era ormai rassegnata alla resa.

Monnet decise allora di recarsi negli Stati Uniti per collaborare al Victory Program, convinto che l'America avrebbe potuto svolgere il ruolo di "grande arsenale delle democrazie". L'economista Keynes dirà, alla fine del conflitto, che con la sua azione di coordinamento Monnet ha probabilmente accorciato di un anno la seconda guerra mondiale. Nel 1943, ad Algeri, entrò a far parte del Comitato di liberazione nazionale "Francia libera", dove collaborò con De Gaulle per organizzare la resistenza in esilio.

Subito dopo la liberazione, Monnet propose al governo francese un "piano globale per la modernizzazione lo sviluppo economico". Nominato Commissario al Piano svolse un'opera essenziale per la ricostruzione dell'economia francese. E' da questa posizione che, nel 1949, Monnet si rese conto che la tensione tra Germania e Francia per il controllo della Ruhr, l'importante bacino carbosiderurgico, saliva minacciosamente, facendo presagire una possibile ripresa delle ostilità, come era avvenuto dopo la prima guerra mondiale. La soluzione a questo stato di cose non poteva, tuttavia, essere la Federazione, perchè la Francia, orgogliosa della sua sovranità appena riconquistata, la rifiutava. Per questo Monet elaborò, insieme a pochi collaboratori, una proposta rivoluzionaria: la messa in comune, sotto il controllo di un governo europeo, delle risorse franco-tedesche di carbone e acciaio. Schuman accettò la proposta e, in accordo con Adenauer, la rese pubblica il 9 maggio 1950. Un anno dopo, con il Trattato di Parigi, sei paesi -Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo - davano vita, alla Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA). Si avviò così la pacificazione franco-tedesca che ancora oggi rappresenta il sentimento profondo su cui si regge il processo di unificazione europea.

Nel 1955, dopo la grave crisi causata dal rifiuto della Francia di ratificare la Comunità europea di difesa (CED), Monnet diede vita al Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa con il quale, sino alla morte, avvenuta nel 1979, invitò instancabilmente la classe politica europea, a non abbandonare la via intrapresa dell'unità europea.

Gradualismo e costituzionalismo

La strategia individuata da Monnet per la costruzione dell'unità europea può essere definita come metodo gradualistico o funzionalismo. La proposta della CECA ne rappresenta il modello, che ha ispirato in seguito una numerosa serie di varianti. L'istituzione della CECA provocò in effetti i risultati previsti da Monnet. Con la pacificazione franco-tedesca tutti i dati del problema europeo si modificarono. Si passò dal confronto e dalla minaccia di una risorgente politica di potenza, alla politica di cooperazione e, col tempo, divenne pure possibile sviluppare con opportune iniziative gli embrioni del potere democratico contenuti nel progetto della CECA.

In una prima fase, il Movimento Federalista Europeo criticò l'approccio funzionalistico di Monnet, perchè lasciava sussistere fianco a fianco aspetti confederali della politica europea, in cui i governi detenevano un potere di veto, con aspetti sovranazionali. La messa in comune di alcuni settori in verità nascondeva a volontà dei governi di non cedere la sovranità, che restava intatta al livello nazionale nei fondamentali settori della moneta e della difesa. Al metodo funzionalistico, Altiero Spinelli contrappose il metodo costituente, come la sola via democratica per costruire con il popolo l'Europa del popolo.

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Tuttavia, le lunghe e difficili lotte per rendere democratica la Comunità europea hanno convinto i federalisti della complementarietà del metodo gradualistico e di quello costituente. Sino a che il quadro della politica internazionale si mantiene favorevole al processo di unificazione europea, ogni riforma istituzionale favorevole all'unità rafforza il fronte delle forze europeistiche e rende possibili forme più avanzate di lotta.

In definitiva, mentre il metodo gradualistico di Monnet ha consentito di avviare il processo di unificazione europea, il metodo costituente di Spinelli è indispensabile per portarlo a compimento.

La grandezza di Jean Monnet

Monnet non è mai stato il capo né di un governo, né di un partito, né di una amministrazione, né di una forza organizzata; e quando si è trovato alla testa di una organizzazione (il Commissariato francese al Piano, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio) si trattava di organizzazioni che egli stesso aveva creato, e di cui si occupò finché erano nello "stato nascente". Proprio per questo il suo caso è degno di meditazione.

Senza l'azione di Monnet non ci sarebbe la Comunità. Negli anni, mesi e giorni che ne precedono l'avvento, non esiste né traccia né segno di un progetto di questo genere per il problema che si trattava di risolvere (il posto da assegnare alla Germania occidentale nel mondo atlantico) nei partiti, nei loro organi deliberanti e dirigenti, nei ministeri e nei governi. Il progetto è di Monnet, l'azione per farlo accettare dai governi è di Monnet (a Schuman ed Adenauer va riconosciuto proprio il merito, del resto politicamente grandissimo, di aver accettato subito le proposte di Monnet).

I fatti sono questi, e il loro significato è chiaro. Monnet ha creato la comunità, e la Comunità ha condizionato la politica europea e mondiale. Ciò significa che da quarant'anni a questa parte le grandi forze storiche hanno seguito o fronteggiato un corso di cose in parte stabilito da un uomo solo, Jean Monnet.

ROBERT SCHUMAN (BIOGRAFIA) Nasce il 29 giugno 1886 a Lussemburgo. Trascorsa la giovinezza in Lorena studia diritto a Bonn, Monaco di Baviera, Berlino, Strasburgo dove ottiene il dottorato "summa cum laude" (1910).Lavora come avvocato a Metz, inizia la sua carriera politica nel 1919 quando viene eletto deputato del partito democratico popolare alla Assemblea generale francese (Parlamento Francese).

Durante la Seconda Guerra Mondiale, si unisce alla Resistenza francese. Arrestato dai tedeschi, viene trasferito in Germania, ma riesce a scappare.

Nel 1940 diventa sottosegretario di stato per i rifugiati e viene arrestato dalla Gestapo e quindi inviato a residenza obbligata a Neustadt (Germania). Evade e vive clandestino in Francia.

Nel 1945 viene eletto deputato nelle file del Mrp (democrazia cristiana); un anno dopo assume l’incarico di ministro delle Finanze. Nel 1947 arriva a presiedere il governo, ma rimane in carica solo un anno e nel 1948 viene nominato ministro degli Affari Esteri, carica che terrà fino al 1953.

Durante questo periodo si dedica allo studio del problema franco-tedesco e della particolare situazione in Alsazia–Lorena. Ma a impegnarlo è soprattutto il progetto di un’Europa unita, ambizione che coltiva insieme all’amico Jean Monnet. Entrambi vengono considerati artefici dell’attuale Ue visto che proprio Schuman il 9 maggio 1950, nel Salone dell'Orologio del Quai d'Orsai di Parigi, pronuncia una dichiarazione nella quale propone di mettere le industrie dell'acciaio e del carbone sotto il controllo di un organismo sovranazionale. Il progetto che prende il nome di "Piano Schuman", diventa realtà appena un anno dopo con la costituzione

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della Ceca (Comunità economica del carbone e dell'acciaio), alla quale aderiscono sei Paesi. E’ l’inizio dell’integrazione europea.

Nel 1955-56 è Ministro della Giustizia. Il 25 marzo 1957 vengono firmati a Roma i trattati per la Comunità Europea e l'Euratom.Si fa "Pellegrino per l'Europa" dal 1953 al 1961.Viene eletto all'unanimità Presidente del Parlamento europeo nel 1958 ed acclamato dall'Assemblea come "Padre dell'Europa".Si ritira a Scy-Chazelles (Metz) nel 1960 dove muore il 4 settembre 1963.

JAVIER SOLANA

Politico, nato il 14 luglio 1942 a Madrid Sua madre era una Madariaga, nipote del grande Salvador, suo fratello Luis, ex-direttore generale della televisione spagnola, è, invece, noto come l'uomo che negli ultimi anni del franchismo aiutò il principe Juan Carlos, l'attuale re, a mantenere contatti clandestini con l'opposizione di sinistra.Solana, dopo essersi laureato in fisica, si specializza negli Stati Uniti e diventa professore all'Università di Madrid. Intanto, fin dal 1964, si era iscritto al Psoe. Ma la sua militanza vera e propria nel partito inizia alla fine degli anni '70, quando incontra Felipe Gonzalez.

Da allora la sua vita cambia radicalmente. Deputato di Madrid nel 1977, ministro della Cultura nel 1982, diventa portavoce del governo nel 1985. Tre anni dopo assume la carica di ministro dell'Educazione; ministro degli Esteri nel giugno 1992, viene confermato dopo le elezioni generali del 1993. In questi anni si distingue come un abile negoziatore, pragmatico e discreto.

Unico collaboratore del primo ministro Gonzalez a figurare in tutti i suoi governi, Solana è stato ripetutamente indicato come futuro candidato alla stessa guida del governo anche perché è fra i pochi a non essere stato coinvolto negli scandali, che agli inizi degli anni Novanta scuotono il partito e l’esecutivo di Gonzalez. Nel 1995 viene, invece, eletto Segretario generale della Nato, nonostante Solana, fosse inizialmente tra gli oppositori dell'adesione della Spagna all'Alleanza atlantica. Tale opposizione, tuttavia, si attenuò notevolmente negli anni e svanì dopo la vittoria elettorale socialista del 1982, fino all'appoggio al sì nel referendum sulla permanenza della Spagna nella Nato, nel 1986.Nel 1999 lascia la Nato per diventare Segretario generale del Consiglio d’Europa, carica che riveste attualmente.

Anche se non la pratica più professionalmente, la fisica è rimasta il suo grande hobby. L'altro è la montagna: quando ha tempo prende zaino e scarponi chiodati e va a camminare per ore sulla Sierra madrilena.

KONRAD ADENAUER (BIOGRAFIA) Konrad Adenauer nacque a Colonia il 5 gennaio 1876 da una famiglia cattolica. Figlio di un agiato funzionario statale, studia legge ed economia a Friburgo, Monaco e Bonn. Giovane avvocato, entra in magistratura e, all’età di 20 anni, inizia a dedicarsi all’attività pubblica aderendo al Centro (partito cattolico tedesco) ed entrando a far parte dell’amministrazione di Colonia. Sarà sindaco della città dal 1917 al 1933, contribuendo a favorirne lo sviluppo economico e culturale, fondando una nuova università, sostenendo la costruzione dell’autostrada Colonia-Bonn e costituendo la Fiera internazionale. Membro e presidente del Consiglio di Stato di Prussia, perde ogni carica con l’avvento del nazismo e, nel giugno del 1934, viene arrestato con l’accusa di partecipazione a complotto sovversivo. Rilasciato, si ritira a vita privata per dieci anni. Torna all’attività politica e, in seguito al fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944, viene imprigionato altre due volte, seppur per brevi periodi di tempo.

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Al termine della guerra viene nuovamente nominato sindaco di Colonia, carica che ricoprirà fino all’ottobre 1945, quando verrà rimosso per decisione del governo britannico.Dal 1945 al 1949 fu uno dei massimi artefici della unificazione dei vari gruppi conservatori e cristiano-democratici nati nella Germania occidentale, è fra i fondatori dell’Unione cristiano-democratica (Cdu), partito erede e continuatore del Centro, di cui sarà presidente dal 1950 al 1966. Anticomunista e privo di legami con i nazisti, quando, nel 1949, viene creata la Germania Ovest, le potenze occupanti lo nominano cancelliere del nuovo Stato. Carica che manterrà attraverso tre successive elezioni, fino al 1963, guidando una coalizione di governo composta dal Cdu, dall’Unione cristiano-sociale e dai liberali. Dal 1951 al 1955 sarà anche ministro degli Esteri.

In questi anni si preoccupa soprattutto di inserire sempre più la Repubblica federale tedesca nel contesto politico del mondo occidentale, con l’obiettivo di fare della Germania Ovest un baluardo in grado di contenere l’espansione sovietica in Europa. A tal fine stringe relazioni con gli Stati Uniti, avvia una politica di riconciliazione con la Francia e favorisce l’ingresso del Paese nella Nato.

Sempre all'interno di un piano di riabilitazione politica ed economica della Repubblica federale a livello internazionale, si impegna a promuovere la realizzazione della Comunità economica europea, con altri esponenti della corrente politica democristiana europea (De Gasperi e Robert Schuman). Riuscirà nell’intento, facendo tra l’altro concludere con la Francia un trattato di cooperazione celebrato solennemente nella cattedrale di Reims nel luglio 1962, ma la sua politica crea anche dei malcontenti all’interno del proprio partito e, nel 1963, all’età di 87 anni sarà costretto a dimettersi e a ritirarsi a vita privata.

Le sue memorie sono raccolte nei quattro volumi delle Erinnerungen, composte tra il 1965 e il 1967, anno della sua morte. Morì a Colonia il 19 Aprile 1967.

ALCIDE DE GASPERI (BIOGRAFIA)

Lo statista italiano che contribuì alla ricostruzione della politica e dell’economia dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale, che fondò il partito della Democrazia Cristiana, che fu a capo di otto coalizioni di governo tra il 1945 e il 1953, e che fu fra i primi che si impegnarono nella costruzione dell’Europa unita, nasce nel 1881 a Pieve Tesino, terra del Trentino che allora appartenevano ancora all’Impero austro-ungarico.

Dato che, alla sua nascita, il territorio trentino apparteneva ancora all'Impero austro-ungarico (anche se di lingua italiana), è proprio nella vita politica austriaca che il giovane De Gasperi inizia a muovere i primi passi di quella che fu una lunga e fortunata carriera politica.

Laureatosi in filosofia all’università di Vienna, assume nel 1904 la direzione del quotidiano La voce cattolica di Trento, organo della diocesi di Trento, poi trasformato nel Nuovo Trentino (1906), divenutone il direttore, appoggia il movimento che auspicava la riannessione del Sud Tirolo all'Italia. Sia nel giornale che al parlamento austriaco, dove viene eletto nel 1911, si batte a favore della comunità italiana del Trento.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale la sua posizione diviene molto delicata e, sospettato dalla polizia asburgica per le sue idee irredentistiche (che già gli erano costate un arresto quando ancora era studente), viene costretto a rimanere a Vienna. Il che non gli impedisce, però, di compiere numerosi viaggi a Roma per sondare l’opinione dei leader italiani sulle sorti del Trentino.

Terminata la guerra e annesso il Trentino e l’Alto Adige all’Italia, De Gasperi, divenuto cittadino italiano, continua la propria attività politica all’interno del Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo. Presiede il suo primo congresso a Bologna nel 1919, e, nel 1921, entra nella direzione del partito e viene eletto deputato per il collegio di Trento. Diventa, in breve tempo, il presidente del partito e si pone nella condizione di poter succedere a Sturzo

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qualora questi voglia oppure, come poi in realtà avverrà, sia costretto ad abbandonare la vita politica italiana.

Intanto, in Italia, come del resto in altre parti d'Europa, si fa sentire il vento della rivoluzione russa, che nel nostro paese determina la scissione socialista del '21, la nascita del Pci, e l'inizio di un periodo pre-rivoluzionario, il "biennio rosso", che nel '19 e nel '20 vede la classe operaia protagonista di cruente lotte sociali, e che contribuirà non poco a spaventare la borghesia, spingendola tra le braccia di Mussolini.

Presidente del gruppo parlamentare del partito popolare, si oppone nel 1922 al ritorno di Giovanni Giolitti e accettò la cosiddetta “collaborazione condizionata” con Benito Mussolini, del quale appoggiò il primo governo. Passò però a una sempre più ferrea opposizione a partire dal 1923 (quando vennero varate delle leggi che minacciavano l’autonomia del Trentino) fino al 1924, anno del delitto Matteotti. In questo periodo, essendosi dimesso don Sturzo, assume la carica di segretario politico del Partito popolare.

Il partito viene però pesantemente attaccato per le sue posizioni antifasciste e, insieme ad altri partiti, sciolto con le leggi speciali del 1926. De Gasperi, trovato con documenti falsi in viaggio per Trieste e accusato di attività antifascista, viene arrestato e condannato a quattro anni di reclusione (1926). Verrà graziato nel 1928 e, nel 1929, viene assunto alla biblioteca Vaticana, iniziando contemporaneamente a collaborare con alcuni giornali.

Durante la seconda guerra mondiale prende parte alle riunioni clandestine dei partiti antifascisti e nel 1942 pubblica, clandestinamente, le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, atto di nascita del nuovo partito cattolico.

De Gasperi contribuì alla fondazione del partito della Democrazia Cristiana, che ereditava le idee e l'esperienza del Partito popolare di don Sturzo. De Gasperi non è un uomo d'azione, ma un "progettista" politico (suo il documento programmatico della Dc scritto nel '43), che alla fine della guerra mostra di avere le idee chiare sulla parte da cui stare, l'occidente anticomunista.

Dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) diviene segretario della Democrazia Cristiana, ricoprendo gli incarichi di ministro senza portafoglio nel primo governo Bonomi (1944) e di ministro degli Esteri nel secondo governo Bonomi (1944-1945) e nel governo Parri (1945). Dopo il referendum per la Repubblica, il presidente provvisorio Enrico De Nicola gli affida la guida del governo, che manterrà per otto gabinetti consecutivi, dal dicembre 1945 al novembre 1953. Opera principale della politica degasperiana fu la politica estera e la creazione dell'embrione della futura Unione Europea. Un'idea europeista che nasceva nell'ottica di una grande opportunità per l'Italia per superare le proprie difficoltà.

In qualità di presidente del consiglio, De Gasperi favorì e guidò una serie di coalizioni di governo, composte dal suo partito e da altre forze moderate del centro. In tale periodo affronta difficili rapporti con gli Alleati e si impegna a garantire all’Italia una ricostruzione politica ed economica, morale e materiale. Approva il piano Marshall, garantendosi così aiuti economici dagli Usa (in cui si reca in viaggio nel 1947), ma assicurandosi anche duri attacchi da parte delle forze della sinistra italiana. Continua comunque a portare avanti una politica caratterizzata da un sempre più vasto respiro internazionale e di amicizia con gli Stati del Patto Atlantico e del mondo Occidentale.

Contribuì all'uscita dell'Italia dall'isolamento internazionale, favorendo l'adesione al Patto Atlantico (NATO) e partecipando alle prime consultazioni che avrebbero condotto all'unificazione economica dell'Europa.

Fu uno dei principali promotori della realizzazione del mercato comune del carbone e dell'acciaio - Ceca - tra sei Stati (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Italia), che si rivelò subito un'iniziativa di pace per essere riuscita ad associare i vincitori e i vinti dell'ultima guerra. Convinto europeista si pone sempre più come uno dei leader delle istituzioni comunitarie, De Gasperi infatti non solo partecipò al progetto, ma ne seguì tutte le fasi e nel maggio del 1953 venne eletto presidente dell'Assemblea della Comunità europea del carbone e dell'acciaio.

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Accanto alla Ceca, De Gasperi aveva riposto molte speranze nella Ced, il progetto della Comunità di difesa europea nata da un'idea francese, nella quale vedeva il superamento dei nazionalismi europei. Lo statista trentino morì nel 1954, appena un anno dopo l'abbandono della guida del governo, negli stessi giorni in cui proprio l'Assemblea francese bocciava quel progetto.

Durante il quinto governo attua, tra l’altro, la riforma agraria e tributaria, l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno e dell’Ina-casa.

Appena un anno dopo aver abbandonato la guida del governo, muore a Sella di Valsugana, nella sua amata Trento. Con lui scompare uno dei Padri dell’Europa più celebri e stimati.

Nell’anno in cui ricorreva il centenario della sua nascita, di lui Giulio Andreotti ha detto: “La Dc senza De Gasperi non avrebbe avuto il colpo d’ala che ne fece il fulcro della vita italiana e dell’immagine dell’Italia nel mondo; ma anche De Gasperi senza la Dc non sarebbe stato che un illustre notabile” (Ansa, 16 febbraio 1981). Giovanni Paolo II ne ha esaltato l’esempio, definendolo “cattolico di grande statura e di insigne prestigio politico” (Ansa, 2 aprile 1981), mentre Helmut Kohl ha osservato: “Egli è stato uno dei primi a mettere in evidenza nella politica europea ciò che unisce tra gli Stati al di là di ciò che divide, e da questo atteggiamento fondamentale ha lavorato per l’unità europea come una necessità spirituale, sociale e politica” (Ansa, 3 aprile 1981).

ROMANO PRODI

Romano Prodi è nato a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1939. Nel 1969 ha sposato Flavia Franzoni.Dopo la maturità classica al Liceo Ludovico Ariosto di Reggio Emilia, ha studiato all'Università Cattolica di Milano, dove si è laureato cum laude nel 1961 in Giurisprudenza, discutendo una tesi sul protezionismo nello sviluppo dell'industria italiana con il prof. Siro Lombardini. Si è quindi specializzato alle università di Milano e Bologna (allievo di Beniamino Andreatta), alla London School of Economics sotto la supervisione del prof. Basil Yamey, titolare della cattedra di Industrial Economics.È stato visiting professor presso la Harvard University e presso lo Stanford Research Institute.La sua carriera accademica ha avuto inizio alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna dove ha lavorato come assistente (1963), professore associato (1966) e infine professore (1971-1999) di organizzazione industriale e politica industriale. All'insegnamento universitario, ha unito un'intensa attività di ricerca, che in una prima fase si è indirizzata verso due temi divenuti poi classici negli studi di Economia industriale: lo sviluppo delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali (Modello di sviluppo di un settore in rapida crescita: l'industria della ceramica per l'edilizia, pubblicato nel 1966, è fra i primissimi saggi sull'argomento) e la politica antitrust (Concorrenza dinamica e potere di mercato è del 1967). Nella letteratura internazionale, il suo nome figura accanto a quelli di Giacomo Becattini, Franco Momigliano e Paolo Sylos Labini fra i fondatori della "Scuola italiana di Economia Industriale".I suoi interessi di ricerca si sono in seguito ampliati, fino a includere lo studio delle relazioni fra Stato e Mercato; le politiche di privatizzazione; il ruolo centrale giocato dai sistemi scolastici nella promozione dello sviluppo economico e della coesione sociale; il processo di integrazione europea e, all'indomani del crollo del Muro di Berlino, la dinamica dei diversi "modelli di capitalismo". Il capitalismo ben temperato del 1995 (raccolta di saggi pubblicati nella prima metà degli anni '90 sulle pagine della rivista "il Mulino"), e Un'idea dell'Europa (Bologna, 1999) offrono una sintesi delle riflessioni in tutti questi campi.Dal 1974 al 1978 ha presieduto la Società Editrice Il Mulino. Nel 1981 ha fondato Nomisma, una delle principali società italiane di studi economici, e sino al 1995 ne ha presieduto il Comitato scientifico. Ha scritto editoriali per i principali quotidiani italiani, quali Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore. Per molti anni ha diretto l'Industria-Rivista di economia e politica industriale. Nel 1992 ha condotto su RAIUNO il programma televisivo "Il tempo delle scelte", una serie di sei lezioni di economia.

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Dal novembre 1978 al marzo 1979, Romano Prodi è stato Ministro dell'Industria del Governo Andreotti - in sostituzione del dimissionario Carlo Donat Cattin. La breve parentesi ministeriale del 1978 (durata pochi mesi) gli consente di legare il suo nome alla normativa sul commissariamento ed il salvataggio dei gruppi industriali in crisi, e costituisce il suo trampolino di lancio verso la presidenza dell'Iri, che il Governo gli affida nel 1982. Infatti dal novembre 1982 all'ottobre 1989, è stato presidente dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), a quel tempo la maggiore holding italiana. Sotto la sua presidenza, l'Istituto ha attraversato una fase di profondo risanamento, impostando anche il processo di trasformazione e preparando le imprese alla privatizzazione. Alla guida della holding di Via Veneto, che con la rete di società controllate è il più grande gruppo industriale del Paese, riesce a riportare in utile i conti dell’ente. Alla fine infatti riesce a far passare i conti del gruppo da un passivo di 3.056 miliardi di lire (di inizio gestione) ad un utile di 1.263 miliardi.Lasciato l'Iri, Prodi torna ad occuparsi di università e di Nomisma, il centro studi che aveva fondato nel 1981, ma la sua assenza dalla scena pubblica non dura molto: nel 1993 torna, infatti, alla presidenza dell’Iri, chiamato dal Governo Ciampi a sostituire il dimissionario Franco Nobili. Si tratta questa volta di una permanenza breve (un anno) nel corso della quale Prodi avvia il programma di privatizzazioni: l'Iri cede prima il Credito Italiano, poi la Banca commerciale e avvia la procedura di cessione delle attività agro-alimentari (Sme) e di quelle siderurgiche (Terni).Ma da quel momento inizia la sua attività politica: indicato più volte come possibile segretario del Ppi e come candidato alla presidenza del Consiglio, Prodi viene indicato leader dell'Ulivo e inizia la lunga campagna elettorale in pullman che porterà alla vittoria della coalizione di centro-sinistra e alla sua nomina a capo del Governo nell’aprile del ’96.

Nel febbraio 1995 ha infatti fondato la coalizione dell'"Ulivo", che lo ha designato come suo candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in occasione delle elezioni politiche. Queste, svoltesi nell'aprile del 1996, hanno visto l'"Ulivo" prevalere sulla coalizione di centro-destra: così, nel maggio 1996, il Presidente della Repubblica affidava a Prodi l'incarico di formare il nuovo Governo. Ottenuta la fiducia delle Camere nello stesso maggio '96, il Governo Prodi è rimasto in carica sino all'ottobre 1998, conseguendo – fra gli altri – l'obiettivo di portare l'Italia nel gruppo di testa dei paesi aderenti all'Euro.Nel marzo 1999, il Consiglio europeo ha designato Prodi Presidente della Commissione europea di Bruxelles, designazione confermata nel settembre 1999 dal voto di fiducia del Parlamento europeo. Carica che manterrà fino al novembre 2004. Sotto la sua guida, l'Unione europea ha vissuto anni importanti di riassetto istituzionale, di grandi progetti costituzionali e un allargamento senza precedenti nella storia dell'Europa.Nel corso della sua carriera accademica ed istituzionale, Romano Prodi ha ricevuto numerosi riconoscimenti. È stato nominato membro onorario della London School of Economics and Political Science (1989) e membro onorario della Real Academia de Ciencias Morales y Politicas di Madrid (1997). Nel maggio 1999 ha ottenuto il Premio Schumpeter della Società Schumpeter.

PAUL-HENRI SPAAK (BIOGRAFIA)

Nato nel gennaio del 1899, inizia la sua carriera politica in Belgio prima della seconda guerra mondiale. Riveste numerose cariche ministeriali, fra cui quella di Ministro degli Esteri e, fra il '46 e il '49, quella di Primo ministro. Nel '41 è uno dei promotori dell'Unione doganale con i Paesi Bassi e il Lussemburgo, che porterà, nel 1944, alla nascita del Benelux.

Presidente del Consiglio d'Europa dal '49 al 51, si dimette in seguito alla gelida reazione della Gran Bretagna al piano Schuman. Fra i protagonisti della costruzione dell'Europa a sei e Presidente dell'Assemblea parlamentare della CECA, Spaak gioca un ruolo essenziale nei negoziati per il Trattato di Roma. Muore il 31 Luglio 1972. GAETANO MARTINO (BIOGRAFIA) Protagonista del "rilancio" europeo a metà degli anni '50, dopo la cocente delusione della Comunità europea di difesa (CED), Gaetano Martino, nato il 25 Novembre 1900, fu il promotore della Conferenza dei Ministri degli Esteri della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) tenutasi a Messina dal 1 al 3 giugno 1955.

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"Siamo tutti ansiosi di estendere sempre più la nostra integrazione. Mi auguro che in questa Conferenza aggiungeremo un'altra pietra alle fondamenta della costruzione europea", dichiarò Martino in apertura dei lavori, dando un forte segnale per riprendere la via dell'integrazione, cominciando da quella economica. In meno di due anni si arrivò ai Trattati di Roma e il Ministro Martino guidò la delegazione italiana per la stesura e la firma dei trattati il 25 marzo 1957.

Nato a Messina, Professore universitario di medicina, Gaetano Martino prestò servizio come medico nella Marina militare durante la Seconda Guerra mondiale. Membro del Partito liberale italiano, nel 1948 fu eletto alla Camera dei deputati e cinque anni più tardi ne divenne Vicepresidente.

Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Scelba, in seguito ad un rimpasto, passò al Ministero degli Affari esteri nel settembre 1954. In questa veste, il 21 novembre 1956 parlò davanti all'Assemblea dell'ONU, un anno dopo l'ammissione del nostro Paese alle Nazione Unite. Era la prima volta per un Ministro italiano. Martino fu anche uno dei tre "saggi" della Nato che scrissero il rapporto sui compiti dell'Alleanza atlantica nella sfera civile.

Rimase ministro degli Esteri fino al 1957. Rieletto deputato nel 1958 e nel 1963, dal 1962 al 1964 fu anche presidente del Parlamento europeo. Due anni più tardi divenne rettore dell'Università di Roma. Muore a Roma il 21 Luglio 1967.

HELMUT KOHL

Figlio di un funzionario delle finanze, Helmut Kohl nasce nel 1930 a Luswigshafen, sulle sponde del Reno vicino a Bonn. Sfollato in Austria per alcuni mesi durante la guerra, nel 1950 inizia gli studi di diritto, sociologia, storia e scienza della politica. Entrato nelle fila dell’Unione cristiano-democratica (CDU) all’età di 17 anni, viene eletto presidente del Land Renania –Palatinato nel 1969. Nel 1976, smessa questa carica, guida la CDU alle elezioni e le perde nonostante il buon piazzamento al 48,6%. Il paese resta nelle mani di una coalizione social-liberale fino al 1982 quando, grazie ad un accordo con Genscher, leader del partito liberale, Kohl viene investito della carica di Cancelliere.Nei lunghi anni al potere due furono le materie principali dove lo sforzo politico di Kohl si concentrò particolarmente: la politica di difesa del territorio tedesco e l’integrazione europea. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna ricordare la questione degli euromissili: Kohl si schierò per l’installazione dei missili Pershing II al fine di contrastare la sfida sovietica concretizzatasi nello stanziamento di missili SS 20 in Europa orientale. Tale atteggiamento di sostanziale identità con le posizioni americane mutò nel 1988-89 allorché Kohl si oppose al programma di rinnovo dei missili nucleari tattici sul suolo tedesco per dar credito alla svolta gorbacioviana in URSS. Per ciò che riguarda la politica europea, Kohl si legò al presidente francese Mitterand spingendolo verso una maggiore integrazione dell’Unione. Nel 1990, all’indomani della caduta del Muro di Berlino (1989), il Cancelliere fu al centro della solenne cerimonia di riunificazione fra le due Germanie. La sue esperienza politica si chiuse poco dopo al seguito di pesanti accuse di finanziamenti illeciti.

GISCARD D'ESTAING, VALÉRY (Coblenza 1926). Politico francese. Eletto deputato gollista nel 1956, fu più volte ministro delle Finanze e leader dei repubblicani indipendenti. Divenne presidente della repubblica nel 1974 sconfiggendo Mitterrand con un leggerissimo scarto (50,8% contro il 49,2%). Venne sconfitto dallo stesso Mitterrand nel 1981. Durante la sua Presidenza proseguì la politica di rilancio della costruzione europea con Helmut Schmidt. I due uomini rafforzarono la cooperazione monetaria favorendo la creazione del Sistema monetario europeo, che è entrato in vigore il 13 marzo 1979. Giscard d'Estaing ha anche cercato di dare un nuovo impulso alle istituzioni europee: propose la creazione di un vertice europeo, incontro dei capi di Stato e di Governo, per rilanciare la cooperazione politica europea, poi ufficializzata nel 1974 (verrà istituzionalizzato come Consiglio europeo con l'Atto unico). Si è espresso a favore di un'applicazione più frequente del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio dei

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ministri e di un aumento del potere del Parlamento europeo, tramite l'aumento dei suoi poteri di bilancio e l'elezione a suffragio universale. Eletto presidente della Convenzione nel 2002, ha guidato con mano ferma i lavori, lasciando una profonda impronta personale sulla bozza di Costituzione europea.

CONSIGLIO EUROPEO DI LAEKEN

Il Consiglio europeo di Laeken (14 e 15 dicembre 2001) ha adottato una Dichiarazione che indica metodo e temi del processo di riforma dell'Unione europea. Per assicurare una preparazione ampia e trasparente di tale riforma, la Dichiarazione di Laeken ha previsto la convocazione di una Convenzione con il compito di esaminare le seguenti questioni essenziali per il futuro sviluppo dell'Unione e di ricercare le soluzioni possibili:

una migliore ripartizione e definizione delle competenze nell'Unione europea; la semplificazione degli strumenti legislativi dell'Unione; più democrazia, trasparenza ed efficienza nell'Unione europea, con una riflessione sul

quadro istituzionale dell'Unione e sul ruolo dei Parlamenti nazionali; la semplificazione dei trattati, con la eventuale prospettiva dell'adozione di una

Costituzione europea e dell'inserimento della Carta dei diritti nel trattato di base.

Lo strumento della Convenzione, già utilizzato peraltro per la redazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ha un carattere sui generis, dal momento che vi partecipano rappresentanti sia delle istituzioni dell’Unione che dei Governi e dei Parlamenti nazionali. Con la Convenzione si tende quindi ad affermare un nuovo metodo di revisione costituzionale, che combina il metodo intergovernativo classico con la dimensione interparlamentare, e nel quale possono intervenire attivamente, a livello europeo e nazionale, tutte le istanze istituzionali, economiche, sociali e civili interessate.

Il Consiglio inoltre si è dichiarato d'accordo con la relazione 2001 della Commissione, che riteneva che se l'attuale ritmo dei negoziati e delle riforme fosse stato mantenuto, tutti i candidati (ad eccezione di Romania, Bulgaria e Turchia) potessero essere pronti per l'adesione alla fine del 2002. Per quanto riguarda la Bulgaria e la Romania, l'obiettivo fu di aprire i negoziati in tutti i capitoli nel corso del 2002.

Il Consiglio di Laeken fu solo il punto di arrivo di una lunga serie di Consigli europei dedicati al tema dell'allargamento. I principali altri furono quelli di Copenaghen, di Essen, di Madrid, Amsterdam, Berlino, Nizza, Goteborg e la Conferenza europea dell'ottobre 1997.

CONSIGLIO EUROPEO DI COPENAGHEN (GIUGNO 1993)La decisione di principio riguardante la prospettiva dell'allargamento dell'Unione ai paesi associati dell'Europa centrale e orientale è stata presa dal Consiglio europeo di Copenaghen, il quale ha inoltre definito i criteri che dovranno rispettare i paesi candidati prima dell'adesione.Tali criteri riguardano:

la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, il primato del diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro protezione (criterio politico);

l'esistenza di un'economia di mercato vitale nonché la capacità di far fronte alla pressione concorrenziale e alle forze del mercato all'interno dell'Unione europea (criterio economico);

la capacità di rispettare i propri obblighi, in particolare di approvare gli obiettivi dell'Unione politica, economica e monetaria (criterio del recepimento dell'acquis comunitario).

CONSIGLIO EUROPEO DI ESSEN (DICEMBRE 1994)Il Consiglio europeo di Essen ha messo a punto una strategia di preadesione volta a ravvicinare ulteriormente i paesi che hanno firmato un accordo di associazione con l'Unione europea. La strategia di preadesione si basa:

sugli accordi europei (o accordi di associazione);

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sul Libro bianco (pubblicato nel maggio 1995), che fissa le misure chiave in ciascun settore del mercato interno e definisce alcune priorità per il ravvicinamento delle legislazioni;

sul dialogo strutturato a livello istituzionale; sul programma PHARE , che rappresenta il principale strumento finanziario di

sostegno alle strategie di preadesione. Il programma di cooperazione transfrontaliera , anch'esso considerato un elemento essenziale della strategia di preadesione, incoraggia la cooperazione fra gli Stati, le regioni e i gruppi d'interesse lungo le frontiere dell'Unione europea e dei paesi dell'Europa centrale.

CONSIGLIO EUROPEO DI MADRID (DICEMBRE 1995)In occasione del Consiglio europeo di Madrid, la Commissione ha presentato una relazione intermedia nella quale mette in luce i potenziali vantaggi dell'allargamento per la pace e la sicurezza nonché per la crescita economica e lo sviluppo dell'intera Europa. Precisa inoltre che la condizione sine qua non dell'adesione è l'adozione dell'acquis comunitario, allo stato in cui si trova alla data di adesione, ma che potrebbero rivelarsi necessarie disposizioni transitorie in alcuni settori, come ad esempio l'agricoltura e la libera circolazione delle persone.

CONSIGLIO EUROPEO DI AMSTERDAM (GIUGNO 1997)Il Consiglio europeo di Amsterdam ha chiuso la conferenza intergovernativa adottando il trattato di Amsterdam.Il trattato, pur presentando notevoli progressi, in particolare in materia sociale e di occupazione, risponde in modo imperfetto a uno dei punti centrali del suo mandato: la riforma delle istituzioni. Pertanto, sarà necessaria una nuova conferenza intergovernativa per riformare un sistema istituzionale inizialmente previsto per sei Stati. La riforma rappresenterà la condizione indispensabile per qualsiasi aumento dei membri dell'Unione europea.

CONSIGLIO EUROPEO DI LUSSEMBURGO (DICEMBRE 1997)Il Consiglio europeo di Lussemburgo ha avallato l'analisi fatta dalla Commissione nel documento Agenda 2000. I negoziati inizieranno con sei paesi (chiamati il gruppo di Lussemburgo): Estonia, Ungheria, Polonia, Repubblica ceca, Slovenia e Cipro.Inoltre, per i cinque candidati della seconda tornata (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia) sono previsti 100 milioni di euro per finanziare progetti che consentano loro di colmare il ritardo nell'applicazione delle riforme economiche.

CONFERENZA EUROPEA (OTTOBRE 1997)Il 6 ottobre 1997, i ministri degli esteri dei Quindici hanno accolto positivamente il progetto francese di "Conferenza europea" destinata ad accompagnare negli anni futuri il processo di allargamento. La Conferenza europea si è riunita per la prima volta a Londra il 12 marzo 1998 con gli Stati membri dell'Unione europea nonché con tutti i paesi europei candidati all'adesione all'Unione e legati ad essa da un accordo di associazione. La Conferenza europea rappresenta un foro multilaterale in cui si svolgono consultazioni politiche, in particolare nei settori della politica estera e di sicurezza comune (PESC), della giustizia e degli affari interni nonché della cooperazione economica e regionale. La Turchia non ha desiderato parteciparvi. La Conferenza si riunisce ogni anno in presenza dei capi di Stato o di governo e del Presidente della Commissione e, se necessario, a livello ministeriale.Il Consiglio europeo di Helsinki ha stabilito che il futuro ruolo della conferenza europea sarà riesaminato in funzione dell'evolversi della situazione e delle decisioni prese in questo ambito per quanto riguarda il processo di adesione. Ha annunciato l'intenzione di riunire la conferenza nel corso del secondo semestre del 2000.

CONSIGLIO EUROPEO DI BERLINO (MARZO 1999)Il Consiglio europeo di Berlino ha trovato un accordo globale su Agenda 2000. Per quanto riguarda l'allargamento, l'accordo prevede tra l'altro la creazione di due strumenti specifici di preadesione: lo strumento strutturale di preadesione (ISPA) e lo strumento agricolo di preadesione (SAPARD). Il Consiglio europeo ha inoltre stabilito il quadro finanziario relativo a tali strumenti e ha deciso di raddoppiare gli aiuti di preadesione a partire dal 2000.

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L'accordo è stato concretato dall'adozione, nel giugno 1999, dei regolamenti che hanno istituito i due strumenti citati, nonché del regolamento relativo al coordinamento generale degli aiuti di preadesione.Il Consiglio europeo di Berlino ha inoltre confermato il programma Phare rinnovato quale strumento principale d'intervento, basato su due priorità essenziali legate al recepimento dell'acquis comunitario, vale a dire il "potenziamento istituzionale" (consistente nel potenziamento della capacità amministrativa e istituzionale dei paesi candidati) ed il finanziamento degli investimenti rispettivamente al 30 e al 70% della dotazione destinata ai paesi candidati, ad eccezione degli investimenti finanziati dagli strumenti strutturale e agricolo di preadesione.

CONSIGLIO EUROPEO DI HELSINKI (DICEMBRE 1999)Il Consiglio europeo di Helsinki ha deciso di organizzare, nel febbraio 2000, alcune conferenze intergovernative bilaterali in vista di avviare negoziati con la Romania, la Slovacchia, la Lettonia, la Lituania, la Bulgaria e Malta (paesi chiamati "il gruppo di Helsinki").Il Consiglio europeo ha riaffermato il principio di differenziazione, secondo il quale i vari candidati all'adesione conservano la possibilità di recupero nei confronti di quelli che avevano avviato i negoziati in precedenza.Ha altresì preso atto della nuova valutazione effettuata dalla Commissione riguardo ai progressi ottenuti dai paesi candidati (relazioni del 13 ottobre 1999).

CONSIGLIO EUROPEO DI NIZZA (DICEMBRE 2000)Il Consiglio europeo di Nizza ha sottolineato che con l'entrata in vigore del trattato di Nizza e delle modifiche istituzionali che esso comporta, l'Unione europea sarà in grado di accogliere i paesi candidati che saranno pronti a partire dalla fine del 2002. consentendo loro di partecipare alle elezioni europee del 2004.Gli Stati membri hanno adottato la posizione comune che utilizzeranno in occasione delle conferenze di adesione per quanto riguarda la ripartizione dei seggi al Parlamento europeo, la ponderazione dei voti nel Consiglio, la composizione del Comitato economico e sociale e la composizione del Comitato delle regioni per un'Unione a 27 membri.Il Consiglio europeo si è compiaciuto della nuova strategia di allargamento adottata dalla Commissione nel novembre 2000. La "tabella di marcia" contenuta in tale strategia costituisce, secondo il Consiglio europeo, un quadro indicativo e flessibile che potrà essere adeguato a seconda dei progressi ottenuti da ciascun candidato, per esempio per consentire ai candidati meglio preparati di progredire più rapidamente nei negoziati.

CONSIGLIO EUROPEO DI GÖTEBORG (GIUGNO 2001)Questo Consiglio europeo ha confermato che dovrebbe essere possibile chiudere i negoziati entro la fine del 2002 con i candidati che saranno pronti, in vista della loro partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo del 2004 in qualità di membri. Ha inoltre segnalato che il processo di ratifica del Trattato di Nizza proseguiva nonostante il risultato del referendum irlandese.

IL TRATTATO DI NIZZA

Adottato nel dicembre 2000, in occasione del Consiglio europeo di Nizza, e firmato il 26 febbraio 2001, il Trattato di Nizza completa la Conferenza intergovernativa (CIG) aperta nel febbraio 2000 e il cui oggetto era l'adattamento del funzionamento delle istituzioni europee all'arrivo di nuovi Stati membri. Questo Trattato apre la via alla riforma istituzionale necessaria per il recente allargamento dell'Unione europea ai paesi candidati dell'Europa orientale e meridionale. Esso determina inoltre tre grandi assi: la composizione ed il funzionamento delle istituzioni europee, la procedura decisionale in seno al Consiglio e le cooperazioni rafforzate.

I principali cambiamenti che esso instaura riguardano la limitazione delle dimensioni e della composizione della Commissione, l'estensione del voto a maggioranza qualificata, una nuova ponderazione dei voti in seno al Consiglio e l'ammorbidimento del dispositivo delle cooperazioni rafforzate. Collateralmente alle discussioni su queste quattro questioni chiave si sono affrontati anche altri soggetti di natura istituzionale: la semplificazione dei Trattati, l'articolazione delle competenze, l'integrazione della Carta dei diritti fondamentali e il ruolo

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dei Parlamenti nazionali. Nella "Dichiarazione sull'avvenire dell'Unione" allegata al Trattato sono state fissate le prossime tappe da seguire per approfondire le riforme istituzionali e fare in modo che il Trattato di Nizza costituisca soltanto una tappa di tale processo. Il Trattato di Nizza è stato ratificato da tutti gli Stati membri conformemente alle loro regole costituzionali rispettive ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2003.

TRATTATO DI MAASTRICHT

È il documento firmato a Maastricht nel 1992 dai rappresentanti degli Stati membri, la cui denominazione ufficiale è Trattato sull’Unione europea.

Struttura del trattatoIn particolare il trattato è articolato nelle seguenti sezioni:

— disposizioni comuni: Questa prima sezione definisce le linee guida che ispirano l’azione comunitaria, il cui compito è quello di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri ed i loro popoli;

— modifiche al Trattato CEE: Questa sezione rappresenta la parte più innovativa dell’intero Trattato di Maastricht a cominciare dall’alto valore simbolico da attribuire alla disposizione che sostituisce l’espressione “Comunità Economica Europea” con “Comunità Europea”. La modifica è un evidente segnale della volontà di non limitare più l’azione della Comunità alle sole relazioni economiche ma di estenderla anche ad altri campi finora considerati di esclusiva competenza degli Stati membri (politiche anche sociali).

Principi fondamentali di questa parte del trattato sono:- l’instaurazione di una unione economica e monetaria;- l’istituzione di una cittadinanza europea;- l’affermazione del principio di sussidiarità: in base al quale la Comunità interviene in quei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale;

- l’ampliamento delle politiche comunitarie (in particolare, industria, sanità pubblica, educazione e cultura);

la revisione dei poteri attribuiti ad alcune istituzioni comunitarie ed, in particolare, l’ampliamento delle funzioni del Parlamento europeo;

— modifiche ai Trattati CECA ed Euratom. — disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune: Rappresenta

una delle novità più importanti del Trattato di Maastricht, rappresenta il secondo pilastro.— disposizioni relative alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale

L’apertura delle frontiere tra i paesi comunitari a partire dal 1° gennaio 1993 ha inevitabilmente imposto un notevole ridimensionamento delle possibilità di controllo frontaliere. Al fine di realizzare una più efficace cooperazione in questo settore con il Trattato di Maastricht si è deciso di delineare alcune strategie comuni tra gli Stati membri, tra cui rientra anche la costituzione di un Ufficio europeo di Polizia (Europol). Tuttavia molte delle disposizioni contenute in questo titolo (che originariamente era denominato cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni) sono state comunitarizzate con il Trattato di Amsterdam;

— disposizioni su una cooperazione rafforzata. Non era previsto dall’originario Trattato di Maastricht, ma è stato aggiunto dal Trattato di Amsterdam. Prevede la possibilità che alcuni Stati membri possano perseguire autonomamente determinate politiche quando non è possibile raggiungere l’unanimità;

— disposizioni finali. Oltre all’art. 49, che disciplina la procedura per l’adesione di nuovi Stati, la disposizione più importante (ora abrogata) contenuta in questo titolo era quella che prevedeva la convocazione, entro il 1996, di una conferenza intergovernativa per apportare eventuali modifiche al trattato, da questa disposizione è nato il Trattato di Amsterdam.

Adottato: Maastricht, 7 febbraio 1992Entrato in vigore: 1° novembre 1993Ratificato: 3 novembre 1992

I PILASTRI DELL’UNIONE EUROPEA

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I tre pilastri che compongono il figurato tempio dell’Unione sono:— Primo pilastro: la dimensione comunitaria, cioè l’insieme delle 3 comunità: CE, CECA, EURATOM.— Secondo pilastro: la politica estera e di sicurezza comune (PESC);— Terzo pilastro: la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (CGAI), divenuta, in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.Il motivo di questa anomala costruzione va ricercato nella volontà degli Stati membri di non abdicare del tutto alle proprie prerogative sovrane in settori da sempre considerati di competenza interna.La principale differenza tra i tre pilastri è data dal fatto che per le politiche avviate nell’ambito del primo pilastro si applica il cd. metodo comunitario, che marginalizza il ruolo dei governi nazionali a favore delle istituzioni comunitarie. In particolare la volontà degli Stati si manifesta in seno al Consiglio, che tuttavia può deliberare anche senza raggiungere l’unanimità. La collaborazione nell’ambito degli altri due pilastri è, invece, di carattere tipicamente intergovernativa (Metodo intergovernativo), attribuendo tutto il potere decisionale agli Stati membri. Gli strumenti tipici della cooperazione nell’ambito del secondo e del terzo pilastro sono i principi e gli orientamenti generali , le strategie comuni , le azioni comuni , le posizioni comuni , la cooperazione sistematica , le decisioni-quadro e le decisioni , tutti scarsamente vincolanti per gli Stati membri e comunque quasi sempre adottabili soltanto all’unanimità regola parzialmente mitigata con l’introduzione del meccanismo dell’astensione costruttiva (esso sancisce che durante la procedura di votazione in sede di Consiglio dell’Unione l’astensione di uno Stato membro non impedisce di raggiungere l’unanimità).. L’unico atto veramente vincolante, previsto soltanto nell’ambito della cooperazione del terzo pilastro, è la convenzione internazionale che però impegna lo Stato soltanto nel momento in cui ha ricevuto la ratifica; non a caso quasi tutte le convenzioni elaborate sulla base della cooperazione in materia di giustizia e affari interni non sono ancora entrate in vigore.Per quanto riguarda il terzo pilastro è da sottolineare che il Trattato di Maastricht ha anche previsto la possibilità di trasferire alcune politiche avviate in questo settore nell’ambito del primo pilastro, avvalendosi della cd. passerella comunitaria e procedendo ad una comunitarizzazione della relativa disciplina. Tale facoltà è stata già sfruttata in occasione della firma del Trattato di Amsterdam che ha provveduto alla comunitarizzazione delle disposizioni in materia di asilo, visti, immigrazione e cooperazione doganale.

IL TRATTATO DI AMSTERDAM

Firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il I° maggio 1999, il trattato di Amsterdam introduce dei progressi nel campo dei diritti dei cittadini (noti come protezione dei diritti fondamentali), della cooperazione in materia di sicurezza e di giustizia (con l’integrazione dell’acquis della convenzione di Schengen nelle competenze dell’UE), della Politica estera e di sicurezza comune (con la creazione di un Alto rappresentante della PESC) ed il rafforzamento della democrazia.

Esso accresce il numero delle materie rilevanti di una decisione presa all’unanimità degli Stati membri in seno al Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo visto il suo ruolo rinforzato nella presa di decisioni.

Dopo l’Atto unico europeo (AUE) ed il Trattato di Maastricht si tratta del terzo trattato con il quale sono state apportate significative modifiche ai trattati istitutivi delle Comunità europee. In particolare il Trattato di Amsterdam è nato sulla base di una specifica disposizione contenuta già nel Trattato di Maastricht e che prevedeva la convocazione, per il 1996, di una Conferenza intergovernativa (CIG) con il compito di proporre i necessari adattamenti ai trattati, in vista delle sfide che si pongono per il nuovo millennio ed in seguito alla introduzione dell’euro . La più importante novità introdotta dal Trattato di Amsterdam nell’ambito delle politiche comunitarie è sicuramente l’impegno assunto per la promozione di un più alto livello

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occupazionale, della politica sociale, della politica dell’ambiente , della sanità pubblica e della tutela dei consumatori .Sebbene estremamente limitate rispetto alle iniziali aspettative, non mancano anche nel settore della PESC rilevanti novità introdotte dal Trattato di Amsterdam. In particolare:— è previsto che l’Unione possa adottare strategie comuni per le azioni da intraprendere nell’ambito della politica estera;— viene introdotto il principio dell’astensione costruttiva , che potrebbe consentire una più efficace azione da parte degli Stati membri; esso sancisce che durante la procedura di votazione in sede di Consiglio dell’Unione l’astensione di uno Stato membro non impedisce di raggiungere l’unanimità.— tra le priorità dell’azione comunitaria rientrano le missioni umanitarie, di soccorso e di mantenimento della pace, secondo le indicazioni contenute nella Dichiarazione di Petersberg ;— viene creata una cellula di programmazione politica e di tempestivo allarme , che ha il compito di individuare le zone di conflitto potenziale e anticipare eventuali situazioni di crisi;— per dare continuità all’azione dell’Unione in questo settore al Segretariato generale del Consiglio viene attribuito il ruolo di Alto rappresentante per la PESC.Le più importanti novità del Trattato di Amsterdam sono, però, sicuramente quelle che hanno radicalmente trasformato la cooperazione in materia di giustizia e affari interni (CGAI) in cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Coerentemente con un’indicazione già contenuta nel Trattato di Maastricht quasi tutti i settori che rientravano nell’ambito del terzo pilastro sono ora stati trasferiti nel primo pilastro, comunitarizzando, materie che in precedenza erano trattate esclusivamente in ambito intergovernativo (rilascio di visti, concessione di asilo, azione comune in materia di immigrazione, cooperazione doganale, cooperazione giudiziaria in materia civile e più in generale tutte le questioni attinenti alla libera circolazione delle persone).Con il Trattato di Amsterdam è stata anche istituzionalizzata la facoltà di procedere ad una integrazione differenziata attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata; in pratica si sancisce il diritto per quegli Stati membri che intendono perseguire determinate politiche comuni a procedere anche in assenza di una volontà comune di tutti i membri.Con il Trattato di Amsterdam si è proceduto anche ad un’opera di razionalizzazione e semplificazione di questo groviglio di disposizioni; la seconda parte del nuovo trattato è interamente dedicata a questa operazione (Semplificazione e codificazione dei trattati).Adottato: Amsterdam, 2 ottobre 1997Entrato in vigore: 1° maggio 1999Ratificato: L. 16 giugno 1998, n. 209

L'ATTO UNICO EUROPEO

Il 2 luglio 1985 la presidenza lussemburghese decise di convocare una Conferenza Intergovernativa per esaminare le possibili modifiche al Trattato di Roma: miglioramento delle procedure di decisione del Consiglio, rafforzamento del potere esecutivo della Commissione, aumento dei poteri del Parlamento Europeo e nuovi campi d'azione per le politiche comunitarie. I primi lavori della Conferenza si aprirono il 9 e 10 settembre, la Presidenza indicava la necessità di creare nuove competenze per la Comunità nei campi della cultura, della politica e dell'ambiente e di realizzare pienamente il Mercato Unico, per fare ciò bisognava rafforzare i poteri delle istituzioni comunitarie e soprattutto modificare le procedure decisionali del Consiglio. Fin dall'inizio fu chiaro che alcuni paesi fra cui il BENELUX, l'Italia e l'Irlanda erano favorevoli ad una riforma radicale del Trattato e alla creazione di una Unione Europea, altri paesi invece, come la Gran Bretagna e la Danimarca, non erano disposti a profonde riforme.Delors, nel suo discorso alla Conferenza, disse che il progresso della Comunità Europea non era fattibile se non si riconosceva formalmente l'interdipendenza dei problemi della politica estera e della sicurezza da un lato e quelli economici e finanziari dall'altro. Egli proponeva quindi che i lavori della Conferenza fossero integrati in un unico atto giuridico. La proposta dell'Atto Unico fu accettata da tutti gli Stati Membri. La visione di Delors era chiaramente di stampo funzionalista perché egli voleva per prima cosa precisare gli obiettivi e gli strumenti per il Mercato interno ed integrare nel Trattato le nuove politiche comunitarie.

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I negoziati durarono tre mesi e si conclusero al Consiglio Europeo di Lussemburgo il 2 e 3 dicembre 1985 e ai lavori parteciparono anche delegazioni spagnole e portoghesi, benché la loro adesione non fosse ancora effettiva. L'Atto Unico prevedeva una riforma dei meccanismi decisionali allargando il voto a maggioranza del Consiglio per tutte le materie legate al completamento del Mercato Interno, salvo le questioni fiscali; integrava il Trattato con dei capitoli nuovi per i quali però era previsto il voto all'unanimità; rafforzava la politica sociale, ma veniva abbandonato qualsiasi riferimento alla creazione di una Unione Monetaria. L'accordo finale si raggiunse al Consiglio Europeo del 16 e 17 dicembre 1985 dove furono chiarite le ultime questioni lasciate in sospeso fra cui le deroghe al completamento del Mercato Unico e i poteri del Parlamento Europeo. Fu deciso di attribuire al Parlamento un nuovo potere di emendamento sui testi legislativi, chiamato "procedura di cooperazione". Quasi tutti governi erano così soddisfatti, in modo particolare la Gran Bretagna perché la riforme erano state limitate al settore del Mercato Interno: obiettivo prioritario di Margaret Thatcher.Delors dichiarò chiaramente che non si era potuto andare oltre gli obiettivi decisi al Consiglio Europeo di Lussemburgo, ma affermò che il Mercato Unico rimaneva l'obiettivo principale e che se non si fosse raggiunto si sarebbe dovuta convocare una nuova Conferenza Intergovernativa. I lavori della Conferenza si conclusero quindi con l'adozione di un "Atto Unico Europeo" messo a punto dalla Presidenza del Consiglio che il 1 gennaio 1986 passò ai Paesi Bassi.

Il 17 Febbraio 1986 a Lussemburgo veniva così firmato l’Atto Unico europeo il quale entrò in vigore il 1 Luglio 1987 con la ratifica di tutti gli Stati membri. L’Atto Unico riuniva in un solo testo le disposizioni rivolte a istituzionalizzare la cooperazione politica europea (CPE) e quelle modificative dei trattati comunitari. Ai sensi del suo art.1 “le comunità europee e la cooperazione politica perseguono l’obbiettivo di contribuire insieme a far progredire concretamente l’unione europea”. L’Atto Unico conteneva anche una serie di importanti modifiche dei trattati istitutivi. Queste concernevano soprattutto il ruolo del Parlamento che ne usciva potenziato, l’inclusione del sistema monetario SME nel quadro comunitario, nella prospettiva di una progressiva realizzazione dell’unione economica e monetaria, la previsione di nuove competenze comunitarie in materia di politica sociale, di ricerca , sviluppo tecnologico e politica ambientale.La cooperazione in materia di politica estera veniva istituzionalizzata anche se formalmente al di fuori del contesto giuridico comunitario.

L'Atto Unico Europeo è il risultato del primo grande tentativo di riforma del Trattato di Roma, riforma che era già riconosciuta necessaria sin dalla conclusione del periodo transitorio: era anzi imposta dai mutamenti radicali sopravvenuti nell'economia e nelle società degli Stati membri… il corso degli anni e l'evoluzione delle relazioni internazionali avevano messo alla prova la solidarietà politica che era la finalità prima dell'iniziativa europea: era ormai provato che senza una revisione dei testi fondamentali dell'integrazione sarebbe venuta a mancare gran parte dell'interesse essenziale al proseguimento dell'impresa.La riforma principale introdotta dall'Atto Unico riguardava, come già detto il completamento del Mercato interno che diventò formalmente un obiettivo del Trattato e fu fissata una data per la sua realizzazione: il 31 dicembre 1992. Altri articoli contenevano le disposizioni necessarie per conseguire questo obiettivo, in modo particolare l'articolo 100 prevedeva che le misure per il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri che avevano per oggetto il funzionamento del mercato interno richiedessero l'approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio e non più all'unanimità, fatta eccezione per le riforme fiscali. Altre parti dell'Atto Unico riguardavano le nuove politiche comunitarie: la politica regionale, la politica della ricerca e della tecnologia e la politica dell'ambiente. Anche l'istituzione di un nuovo fondo trovava spazio nel Trattato: il Fondo Regionale che diventò uno strumento, accanto agli altri fondi, della coesione economica e sociale. Come ho detto la cooperazione economica e monetaria non fu inserita nel Trattato anche se la maggioranza degli stati membri era disposta ad inserirvi le procedure dello SME, al quale però la Gran Bretagna non aveva aderito. Alla fine si giunse alla creazione dell'articolo 102A nel quale si affermava che la cooperazione monetaria avrebbe tenuto conto delle esperienze acquisite grazie alla cooperazione nell'ambito dello SME e allo sviluppo dell'ECU. L'ulteriore sviluppo della cooperazione economica e monetaria avrebbe comportato procedure di modifica del Trattato come previsto nell'articolo 236.

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L'Atto Unico entrò in vigore il 1 luglio 1987 dopo il deposito degli atti di ratifica da parte degli Stati membri. Falliva così il tentativo di istituire una Unione Europea e ci si dovette accontentare di alcune riforme sparse e inorganiche, insufficienti sia per la Commissione che per il Parlamento Europeo; in una dichiarazione del Parlamento europeo Altiero Spinelli affermò, metaforicamente: "del grosso pesce ci hanno lasciato soltanto la lisca."

Trattato CE

Il 25 Marzo 1957, a Roma, viene firmato il Trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) ed il trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Il Trattato Ce si poneva come obbiettivo l’instaurazione di un mercato comune generale, il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri nonché uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della comunità ed un miglioramento generale del tenore di vita. Il Trattato prevedeva quattro istituzioni: un’Assemblea (poi Parlamento dal 1962), un Consiglio, una Commissione e una Corte di giustizia delle quali Assemblea e Corte di giustizia dovevano essere in comune con quelle della CECA (nel 1965 con il Trattato sulla fusione degli esecutivi anche gli altri organi verranno messi in comune). Questo mercato comune si fondava sull’idea di un’unione doganale e cioè non solo sull’abolizione dei dazi fra gli Stati membri, ma anche sull’istituzione di una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi. L’unione economica prevista dal Trattato non si riferiva solo alla libera circolazione delle merci, ma puntava a liberalizzare anche la circolazione di persone, servizi e capitali all’interno del territorio della Comunità. Oltre a prevedere queste libertà il Trattato indicava una serie di interventi comuni progressivi soprattutto nei settori dell’agricoltura, dei trasporti e della concorrenza. L’attuazione di queste misure veniva prevista attraverso una serie di fasi che avrebbero dovuto portare dal mercato comune all’unione doganale entro un periodo di 10 anni poi prolungatosi fino al Trattato di Maastricht (1992).

IL TRATTATO SULL'UNIONE EUROPEA

Il Trattato sull'Unione Europea comprende 252 articoli, nuovi o modificati, 17 Protocolli e 31 dichiarazioni, è quindi estremamente ampio e complesso anche se è abbastanza articolato. Sostanzialmente il Trattato crea una nuova organizzazione basata su tre pilastri: le tre Comunità Europee, la PESC e la cooperazione nella Giustizia e negli Affari interni.

L'articolo A delle disposizioni comuni afferma che: Con il presente Trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro un'Unione Europea in appresso denominata "Unione". Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di una unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini. L'Unione è fondata sulle Comunità Europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.Nell'articolo B sono elencati gli obiettivi dell'Unione:…promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l'instaurazione di un'unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni del presente trattato;Affermare la sua identità sulla scena internazionale, mediante l'attuazione di una Politica Estera e di Sicurezza Comune…Rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini…mediante l'istituzione di una cittadinanza dell'Unione; Sviluppare una stretta cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari Interni.

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I tre pilastri che costituiscono l'Unione Europea sono molto eterogenei fra loro (la CEE è rinominata semplicemente Comunità Europea perché le sue competenze sono state estese a materie non solo economiche) e appartengono a tre sfere diverse, ma l'Unione dispone di un quadro istituzionale di cui il Consiglio Europeo è il principale organo decisionale.Il Trattato di Maastricht attribuisce nuove competenze alla Comunità e rimodella quelle già esistenti. La politica di coesione economica e sociale, già introdotta con l'Atto Unico, viene rinforzata mediante un protocollo aggiuntivo, i Fondi Strutturali (Fondo Sociale, Fondo Regionale, Fondo d'orientamento agricolo) vengono ridefiniti e le loro risorse vengono riassegnate.E' creato inoltre un nuovo Fondo di coesione per finanziare progetti sull'ambiente e nel campo delle reti transeuropee nella "periferia" della Comunità (Spagna, Irlanda, Portogallo). La politica commerciale esterna riceve un nuovo assetto più conforme alle esigenze correnti necessarie di maggiori specificazioni. La politica sociale beneficia di un Protocollo aggiuntivo in cui la Comunità si impegna a sostenere il lavoro degli stati membri nel settore della sicurezza dei lavoratori, dell'ambiente, della parità fra uomo e donna etc..Le politiche cosiddette nuove sono quelle riguardanti l'educazione, la formazione professionale, la cultura, la protezione della salute umana, la prevenzione delle malattie, l'interconnessione delle reti nazionali, la protezione dei consumatori e la politica industriale.Il principio di sussidiarietà previsto dall'art. 3b del Trattato rappresenta una disposizione nuova e alquanto controversa: Nei settori che non sono di sua esclusiva la Comunità agisce secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. Questo principio è stato voluto soprattutto dai Parlamenti nazionali che guardavano con timore all'espandersi dei poteri comunitari e dovrebbe ripartire in modo neutrale le competenze fra il livello comunitario e quello statale. Le controversie nascono però dal fatto che non esistono criteri specifici su cui decidere se una azione possa essere realizzata meglio a livello comunitario, il parere spetta alla Corte di Giustizia.La PESC è stato l'argomento più discusso durante le Conferenze Intergovernative e quello più seguito dall'opinione pubblica europea a causa della Guerra del Golfo e della guerra nella ex Jugoslavia. I risultati raggiunti rappresentano un passo avanti rispetto a quanto previsto dall'Atto Unico, anche se alcuni paesi avevano ambizioni più alte. La PESC è definita negli articoli J-J11 del Trattato in cui si afferma la volontà di coordinamento e la ricerca di posizioni comuni fra gli stati. Gli obiettivi della PESC sono: la difesa dei valori comuni dell'Unione, il rafforzamento della sicurezza, il mantenimento della pace, la cooperazione internazionale, lo sviluppo della democrazia e il rispetto dei diritti dell'uomo. Per perseguire questi obiettivi è possibile che gli stati adottino, oltre alla cooperazione, azioni comuni che vengono decise dal Consiglio Europeo in base alla procedura descritta nell'articolo J.3. In particolare per quanto riguarda la difesa, l'Unione Europea Occidentale, parte integrante dell'Unione Europea, elabora e pone in essere le decisioni riguardanti la difesa, rispettando gli obblighi derivanti dal Patto Atlantico.Per la cooperazione nel settore della Giustizia e Affari interni le procedure sono simili a quelle previste per la PESC e sono descritte negli articoli che vanno dal K al K.9. Le materie di interesse comune sono: la lotta contro la droga, contro il terrorismo e il traffico di droga, la cooperazione giudiziaria e civile.La cittadinanza europea è una delle più grandi innovazioni del Trattato di Maastricht, essa è prevista dagli articoli 8-8e che sanciscono l'istituzione di una cittadinanza dell'Unione Europea e prevedono per ogni cittadino il diritto di soggiornare e circolare liberamente nel territorio comunitario, di avere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello stato membro di residenza e a quelle del Parlamento Europeo, il diritto di petizione al Parlamento Europeo e la tutela, nel territorio di stati terzi, da parte delle autorità diplomatiche di qualsiasi stato membro.Accanto alle riforme e alle innovazioni discusse sopra sono state introdotte nuove procedure decisionali per il Parlamento Europeo e poteri di controllo sulla Commissione di carattere istituzionale.

DIRITTO COMUNITARIO

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Ogni compagine sociale dispone di una costituzione che stabilisce la struttura del suo sistema politico: sono così regolati i rapporti fra i singoli membri, nonché questi e il sistema nel suo complesso; sono fissati gli obiettivi comuni e determinate le norme, in base alle quali vengono adottate, con valore vincolante, le decisioni. La costituzione dell’UE, intesa quale sistema associato di Stati, alla quale sono stati trasferiti compiti e funzioni ben determinate, deve essere in grado di rispondere ai problemi al pari della costituzione del singolo Stato. A differenza della maggior parte delle costituzioni dei paesi che la compongono, la costituzione dell’UE non è raccolta in un unico documento, ma scaturisce da un insieme di norme e valori fondamentali ai quali i responsabili debbono imperativamente attenersi. Tali norme sono contenute in parte nei trattati istitutivi o negli atti giuridici emanati dagli organi della Comunità o derivano in parte anche dalle consuetudini. Le collettività statali sono rette da due principi costitutivi supremi: il diritto («rule of law») e la democrazia. Tutto ciò che l’Unione mette in atto, sempre che voglia conformarsi a tali principi, deve essere fondato giuridicamente e democraticamente: fonti, principi, creazione, organizzazione, competenze, funzionamento, posizione degli Stati membri e delle loro istituzioni, controllo dell'applicazione dell'ordinamento giuridico, posizione del cittadino. In senso stretto del termine, il diritto comunitario è costituito dai trattati costitutivi (diritto primario), nonché dalle disposizioni previste dagli atti adottati dalle istituzioni comunitarie in applicazione dei trattati stessi (diritto derivato).

In senso lato il diritto comunitario ricomprende l'insieme delle norme giuridiche applicabili nell'ordinamento giuridico comunitario. Si tratta quindi anche dei principi generali del diritto, della giurisprudenza della Corte di giustizia, del diritto scaturito dalle relazioni esterne della Comunità o del diritto complementare scaturito dagli atti convenzionali conclusi tra gli Stati membri ai fini dell'applicazione dei trattati.

I protagonisti principali del processo legislativo sono il Consiglio, il Parlamento (PE) e la Commissione europea (CE). Questo processo segue differenti procedure a seconda della materia e delle relative disposizioni stabilite dai trattati sulla Comunita europea (TCE) e sull’UE (TUELe aree politiche dell’Unione sono ripartite dai trattati in tre pilastri. Il primo pilastro è quello della dimensione comunitaria, disciplinata dalle disposizioni previste dai trattati sulle Comunità europee. La procedura decisionale propria di questo pilastro viene chiamata metodo comunitaria, si parla invece di metodo intergovernativo per gli altri due pilastri relativi alla politica estera e di sicurezza comune (secondo pilastro), disciplinata dal titolo V del trattato sull’Unione europea, e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (terzo pilastro) contemplata dal titolo VI del trattato sull’UE.La Commissione europea partecipa al processo legislativo dell’Unione secondo le competenze attribuitele dal trattato sulla Comunità europea (TCE) del primo pilastro dell’UE, godendo del diritto d'iniziativa. Nel secondo e terzo pilastro invece la Commissione, analogamente al PE, svolge un ruolo marginale rispetto ai compiti affidati al Consiglio, ovvero agli Stati membri, ed anche la Corte di giustizia dispone di competenze ridotte nel terzo pilastro e non ha competenze per il secondo.

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DIRITTO D'INIZIATIVA

Al fine di svolgere appieno il suo ruolo di custode dei trattati e nell'interesse generale, la Commissione si è vista affidare un diritto d'iniziativa che le conferisce il mandato o l'obbligo di fare proposte sulle materie previste dal trattato, diritto che essa esercita nei casi espressamente previsti da quest'ultimo, ovvero quando lo ritenga opportuno.

Il potere d'iniziativa è esclusivo nel campo comunitario, in ossequio al principio secondo cui il Consiglio non decide che "su proposta della Commissione", affinché qualsiasi iniziativa si inserisca in un contesto organico e coerente; Nei settori della politica estera e della sicurezza comune, la Commissione può presentare delle iniziative allo stesso titolo che gli Stati membri. Per contro, essa è esclusa da alcune questioni che rientrano nel campo della giustizia e degli affari interni. Peraltro, il Consiglio ed il Parlamento europeo possono invitare la Commissione a formulare delle iniziative ove lo ritengano necessario.

Il diritto d'iniziativa è considerato come un elemento fondamentale dell'equilibrio istituzionale della Comunità.

Con il trattato di Amsterdam, il potere d'iniziativa della Commissione è stato esteso alle nuove politiche (occupazione, sanità), come pure al terzo pilastro ed alle questioni inerenti alla libera circolazione delle persone. Nell'ambito del terzo pilastro la Commissione ha un diritto d'iniziativa ripartito con gli Stati membri.

CONTROLLO DELL'APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO

Il controllo dell'applicazione del diritto comunitario spetta alla Commissione europea in quanto "custode dei trattati". Il controllo è da ricondursi al fatto che l'Unione europea è fondata sul diritto e che è suo compito garantirne il rispetto e l'effettiva applicazione da parte degli Stati membri e negli Stati membri. Nell'esercitare la funzione di controllo la Commissione vigila anche alla salvaguardia del ruolo che in materia è stato anche affidato alle autorità nazionali, in particolare a quelle giurisdizionali.Il controllo dell'applicazione può assumere le seguenti forme:

avvio di procedure d'infrazione, in seguito a reclami o casi accertati d'ufficio; ricorso contenzioso contro altre istituzioni; controllo della legittimità degli aiuti concessi dagli Stati membri; rispetto dei principi di divieto di alcune intese o di abuso di posizioni dominanti.

Le relazioni annuali della Commissione sull'applicazione del diritto comunitario rispecchiano la volontà di trasparenza non solo nei confronti delle parti in causa, ma anche nei riguardi dei cittadini e dei parlamentari.

LE FONTI DEL DIRITTO COMUNITARIO

La fonte è la sorgente dalla quale è possibile attingere la conoscenza di una norma giuridica.Il sistema giuridico comunitario è costituito da un complesso di norme che regolano l’organizzazione e lo sviluppo delle Comunità europee (CE, CECA, CEEA) nonché i rapporti tra queste e gli Stati membri.Le fonti del diritto comunitario sono costituite:— dai trattati istitutivi, così come integrati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e modificati da atti successivi (Diritto comunitario originario) fonti di 1° grado;

Gli atti che hanno modificato o integrato le disposizioni originarie sono:

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-Trattato sulla fusione degli esecutivi: che ha istituito un Consiglio e un Commissione unica per tutte e tre le comunità.-decisione del Consiglio del 21 aprile 1970: che ha instaurato il regime delle risorse proprie della comunità.-Trattato di Lussemburgo del 22 aprile 1970 e il successivo Trattato di Bruxelles che hanno conferito al Parlamento europeo nuove competenze in materia di Bilancio.-decisione del 20 settembre 1976 con la quale il Consiglio europeo ha introdotto l’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto.-L’Atto Unico Europeo: il cui obiettivo principale è l’instaurazione progressiva del mercato interno quale “spazio senza frontiere, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone dei servizi e dei capitali”.-Trattato sull’Unione Europea e i protocolli allegati-Trattato di Amsterdam.

— dagli atti emanati dalle istituzioni comunitarie costituenti il cd. diritto comunitario derivato ; fonti di 2° grado.— dagli accordi con Stati terzi , fonti di 1° grado.il sistema normativo è completato dalle fonti di 3° grado costituite da quei regolamenti della Commissione di attuazione degli atti emanati dal Consiglio dell’Unione Europea.Le norme del diritto comunitario originario hanno un impatto con il nostro ordinamento come una norma internazionale pattizia. È necessaria, quindi, per l’Italia, la legge di autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione.Per il diritto comunitario derivato, invece, non occorre una procedura speciale di adattamento, ma si porranno in essere dei provvedimenti normativi (leggi, decreti legislativi, decreti presidenziali, atti amministrativi) per l’attuazione dell’atto comunitario.

PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO COMUNITARIO NON SCRITTO L’ordinamento giuridico comunitario ha bisogno degli ordinamenti nazionali per il raggiungimento degli obiettivi fissati: gli atti giuridici della Comunità, infatti, non solo devono essere osservati dagli organi degli Stati membri, ma devono anche essere applicati da questi ultimi.I principi generali di diritto comunitario non scritto che l’ Unione Europea ha adottato nei Trattati è avvenuta ad opera della corte di Giustizia, che ha colmato alcune lacune normative presenti nei trattati comunitari:Si suole distinguere in due categorie:-principi generali di diritto mutuati dai sistemi giuridici nazionali:- certezza del diritto (conoscibilità a priori delle norme giuridiche, si ricordi il principio “la legge non ammette ignoranza” e anche il principio della diligenza del buon padre di famiglia);- irretroattività della legge penale (un soggetto può essere condannato penalmente soltanto se c’è una legge che lo prevede, art. 1 L. penale); - la proporzionalità dell’azione amministrativa, - il rispetto dei diritti quesiti (i diritti acquisiti sotto il regime di una particolare legge sono fatti salvi anche se poi la legge viene modificata, abrogata, annullata (successione della legge), quindi irretroattività anche in materia civile),- l’affidamento dei terzi in buona fede, la forza maggiore, ecc.-principi generali propri del diritto comunitario: — il principio di solidarietà tra gli Stati membri (in base al quale la Comunità interviene in quei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale);— il principio della preferenza comunitaria (Principio in base al quale, nell’ambito della politica agricola comune (PAC), gli Stati membri sono incoraggiati ad acquistare prodotti dal mercato comunitario anziché da quello internazionale).— il principio del mutuo riconoscimento (“accettazione dei prodotti legalmente e lealmente fabbricati nella Comunità”).— il principio dell’equilibrio istituzionale (tutti gli organi istituzionali tra di loro hanno più o meno lo stesso potere e stanno allo stesso livello);— il principio della diretta applicabilità del diritto comunitario (adozione negli Stati membri delle norme comunitarie senza che sia necessario un atto di adattamento da parte

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dei singoli ordinamenti statali, cd. norme self-executing, se ci sono delle lacune si può adattare nella forma ma non nella sostanza) ;— il principio del primato del diritto comunitario (preminenza del diritto comunitario rispetto alla norma conflittuale statale).

Questo stretto collegamento tra i due ordinamenti non intacca, tuttavia, il principio dell’autonomia del diritto comunitario rispetto all’ordinamento giuridico statale.

DIRITTO COMUNITARIO DERIVATO

Insieme di norme giuridiche emanate dagli organi comunitari per la realizzazione degli obiettivi definiti dai trattati.

Atti vincolanti

Gli atti comunitari giuridicamente vincolanti per gli Stati membri sono:— i regolamenti comunitari , i quali hanno una portata generale, essendo indirizzati a tutti gli Stati membri, e direttamente applicabili;— le direttive che possono avere una portata individuale o generale e non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto vincolano i destinatari solo riguardo il risultato da raggiungere lasciando alla loro discrezione la scelta dei mezzi;— le decisioni , che hanno una portata individuale, vale a dire che sono indirizzate a singoli Stati membri e sono obbligatorie in tutti i loro elementi.

Atti non vincolanti

Oltre agli atti dotati di efficacia vincolante (Atti vincolanti), le istituzioni comunitarie possono emanare due tipi di atti non vincolanti: le raccomandazioni ed i pareri .La raccomandazione ha il preciso scopo di obbligare il destinatario a tenere un determinato comportamento considerato più rispondente alle esigenze comuni.Il parere tende a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette in ordine ad una specifica questione.Premesso che sia per le raccomandazioni che per i pareri le istituzioni comunitarie hanno una competenza generale, entrambi gli atti non sono sottoposti ad alcuna forma particolare (mancanza della notifica e pubblicità sulla GUCE).

Gli Atti AtipiciLe decisioni degli atti atipici diverse da quelle previste dall’art. 249, con queste infatti il Consiglio autorizza la Commissione a negoziare accordi commerciali con i paesi terzi.

REGOLAMENTI COMUNITARI

I regolamenti sono atti vincolanti, di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, emanati dalle istituzioni comunitarie e si caratterizzano per tre elementi fondamentali: - hanno portata generale, essendo indirizzati a tutti i soggetti giuridici comunitari (Stati membri e persone fisiche e giuridiche degli Stati stessi), - sono obbligatori in tutti i loro elementi cioè non c’è elasticità nell’applicabilità della norma. (tale caratteristica non sta ad indicare necessariamente la completezza del regolamento, anzi, spesso accade che debba essere integrato con misure di esecuzione che possono essere adottate sia dalla stessa istituzione che ha emanato il regolamento, sia da un’altra istituzione comunitaria, sia dalle autorità nazionali). Vanno osservati come tali dai destinatari.- sono direttamente applicabili (adozione negli Stati membri delle norme comunitarie senza che sia necessario un atto di adattamento da parte dei singoli ordinamenti statali, cd. norme self-executing, se ci sono delle lacune si può adattare nella forma ma non nella sostanza).

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La Corte di Giustizia ha, con giurisprudenza costante, contribuito a delineare il significato della diretta applicabilità dei regolamenti, sottolineando l’illiceità di misure nazionali di trasformazione.

Elaborazione, forma ed entrata in vigoreIl processo di formazione dei regolamenti, in realtà, è abbastanza complesso; essi in genere sono emanati dal Consiglio su proposta della Commissione. Al processo di formazione di tali atti viene associato anche il Parlamento europeo, attraverso una delle procedure previste dal Trattato (Procedura di consultazione; Procedura di cooperazione; Procedura di codecisione).Il principale requisito formale previsto dai Trattati per i regolamenti è la motivazione dell’emanazione dell’atto(Motivazione degli atti comunitari): cioè l’indicazione della loro base giuridica, al fine di poter verificare la legittimità e la correttezza della procedura osservata per la loro adozione. Si tratta di un requisito di forma essenziale per la formulazione dell’atto, in quanto l’inosservanza della base giuridica può comportare il suo annullamento (Ricorso per annullamento);I regolamenti sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (GUCE) ed entrano in vigore dopo un periodo di vacatio legis di 20 giorni, a meno che una data diversa non sia stata indicata nel regolamento stesso.

GUCE [Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee] Testo ufficiale pubblicato quasi tutti i giorni feriali nelle lingue ufficiali, delle Comunità.È suddivisa in tre diverse serie:La serie contrassegnata con la lettera L (legislazione) contiene i testi normativi adottati dalle Comunità;Quella contrassegnata con la lettera C (comunicazioni) riporta proposte normative nonché resoconti delle sedute del Parlamento Europeo e sentenze della Corte di Giustizia (prima che diventassero norme);La serie contrassegnata dalla lettera S (supplemento) raccoglie tutti gli avvisi di appalti pubblici. Dal 1° luglio 1998 non viene pubblicata più in forma cartacea, ma soltanto su CD-ROM.Sono riportati nella Gazzetta Ufficiale anche il tasso di cambio dell’euro, nonché gli accordi siglati dalle Comunità con paesi extra-comunitari.

DIRETTIVA

La Direttiva rappresenta lo strumento di cui si avvalgono le istituzioni, il Consiglio o la Commissione, quando intendono raggiungere gli obiettivi previsti nel Trattato avvalendosi degli ordinamenti interni degli Stati membri, al fine di procedere ad un riavvicinamento delle legislazioni nazionali. La Direttiva vincola gli Stati a cui è rivolta al recepimento nell'ordinamento nazionale entro i termini fissati dalle Autorità comunitarie.

Requisiti formali della direttiva sono:— la portata individuale. Esse hanno come destinatari gli Stati membri (e le imprese nella CECA). A tal proposito le direttive si distinguono in:

a) generali, se indirizzate a tutti gli Stati membri;b) individuali o particolari, se indirizzate ad uno o ad alcuni di essi;

— l’obbligatorietà di risultato. A differenza dei regolamenti comunitari e delle decisioni , le direttive impongono solo l’obbligo di raggiungere un risultato (obiettivo), lasciando liberi gli Stati di adottare le misure dagli stessi ritenute opportune (modalità);

Elaborazione, forma ed entrata in vigoreL’elaborazione delle direttive segue lo stesso iter dei regolamenti.Anche i requisiti formali sono gli stessi cioè devono essere motivate e devono riferirsi ai pareri obbligatori.Diversa è invece la pubblicità, a causa del loro carattere individuale questi atti devono essere notificati ai destinatari e acquistano efficacia dalla data della notifica o da una data successiva, se indicata;

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Inoltre le direttive fissano un termine per la loro attuazione. Pertanto, se gli Stati membri entro detto termine non adottano le misure interne di esecuzione, commettono una violazione del trattato.

DECISIONE

La Decisione è un atto comunitario vincolante che può essere indirizzato agli Stati, alle persone fisiche e giuridiche, ed alle imprese che agiscono nel territorio della Comunità. La decisione diventa efficace con la notificazione ai loro destinatari.

La decisione corrisponde, in sostanza, all’atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali.Elementi essenziali di tale atto sono:— la portata individuale. Ciò significa che la decisione è riferibile ai singoli destinatari, sia essi individui che Stati membri, designati dall’atto;— la motivazione. Secondo la Corte di Giustizia è sufficiente che la motivazione indichi le ragioni sulle quali l’atto è fondato, ciò al fine di evitare abusi da parte delle istituzioni;— l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi, sia in relazione al risultato che ai mezzi da utilizzare per raggiungere l’obiettivo indicato.

Elaborazione, forma ed entrata in vigoreLe decisioni sono normalmente emanate dalla Commissione, mentre il Consiglio, di regola, emana solo le decisioni indirizzate agli Stati membri.Le decisioni, come le direttive , vengono notificate ai destinatari ed acquistano efficacia dalla data della notifica o da altra data successiva, espressamente indicata.

TITOLO VI DEL TUE (DECISIONE E DECISIONE-QUADRO)

Questi nuovi strumenti del Titolo VI del trattato sull'Unione europea (cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) sostituiscono l'azione comune dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam. Trattandosi di strumenti più diretti e più vincolanti, essi dovrebbero rivelarsi più efficaci nel contesto del terzo pilastro riorganizzato.

La "decisione-quadro" è utilizzata per ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Essa può essere proposta su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro e deve essere adottata all'unanimità. Vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da impiegare a tal fine.

La "decisione" viene invece utilizzata per conseguire qualsiasi altro obiettivo che non sia il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. La decisione è vincolante, e le misure necessarie per darvi attuazione a livello dell'Unione europea sono adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata.

I FONDI STRUTTURALI

I Fondi strutturali ed il Fondo di coesione si iscrivono nel contesto della politica strutturale della Comunità volta a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni, nonché tra gli stessi Stati membri dell'Unione europea. In favore delle azioni strutturali il bilancio comunitario ha stanziato nel 1998 circa 34 miliardi di euro a titolo di stanziamenti d'impegno (ossia il 37% del bilancio complessivo dell'Unione europea, promuovendo in tal modo la coesione economica e sociale.

Negli anni 1994-1999, gli stanziamenti comunitari assegnati alle azioni strutturali ascendevano a 208 miliardi di euro, pari al 35% circa del bilancio totale dell'Unione europea; di essi, il 90% era destinato alle regioni e il 10% agli Stati ammissibili agli aiuti di coesione. Successivamente, la dotazione finanziaria è andata aumentando ed ha raggiunto, per il

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periodo 2000-2006, la cifra di 213 miliardi di euro, di cui 195 destinati ai Fondi strutturali e 18 al Fondo di coesione.

I fondi strutturali, che rappresentano il principale strumento al servizio delle politiche di coesione dell’Ue, sono attualmente:

Il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), è stato creato nel 1975 con lo scopo di ridurre gli squilibri regionali all’interno della CEE. Esso persegue le sue finalità attraverso due principali tipologie di interventi: il finanziamento della realizzazione di infrastrutture, e i finanziamenti diretti alle imprese per investimenti produttivi in diverse forme.

Il Fondo sociale europeo (FSE), la cui istituzione era già stata prevista dal trattato di Roma, fu creato nel 1960 per il sostegno dell’occupazione e la lotta contro la disoccupazione. Esso opera essenzialmente attraverso il finanziamento di attività per la formazione, l’aggiornamento e la riqualificazione professionale della forza lavoro, finalizzata all’inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro.

Il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), sezione orientamento. Il fondo, creato nel 1962 (la distinzione tra sezione "garanzia" e sezione "orientamento" data del 1964), ha lo scopo di finanziare interventi strutturali nel settore agricolo ed è diviso in due sezioni: la sezione orientamento e la sezione garanzia. Solo la prima, che ha il compito di finanziare investimenti volti alla modernizzazione delle strutture produttive nel settore agricolo, rientra nel campo di operatività dei fondi strutturali.

Lo Strumento finanziario di orientamento per la pesca (SFOP), introdotto con la revisione della normativa sui fondi strutturali del 1993, ha una funzione analoga a quella del Feaog sezione orientamento ma riferita al settore della pesca e dell’acquacoltura.

Lo Strumento per le politiche strutturali di preadesione (Ispa), introdotto con la riforma del 1999 in vista di una nuova adesione all’UE.

Nel periodo 1994-1999, i finanziamenti erogati dai Fondi strutturali sono andati a favore di sette diversi obiettivi e di tredici iniziative, nell'osservanza dei principi di concertazione, partenariato, addizionalità e programmazione.

Nel 1988 questi fondi hanno subito una profonda riforma. La riforma era basata sull’indicazione di alcuni principi generali ispiratori degli interventi:

Principio della concentrazione: esprime l’esigenza di non disperdere risorse con finanziamenti “a pioggia” (cioè un po’ a tutti), orientandole al perseguimento di determinati obiettivi (vedi “obiettivi delle politiche di coesione”).

Principio del partenariato: si riferisce alla necessità di una stretta collaborazione e concertazione fra la Commissione europea e le autorità dei diversi paesi membri ai vari livelli (nazionale, regionale locale) nella programmazione e nella realizzazione degli interventi.

Principio della programmazione: si riferisce alla precisa indicazione dei tempi per la presentazione delle richieste di finanziamento e per la realizzazione degli interventi previsti.

Principio dell’addizionalità: stabilì che i contributi comunitari dovessero assumere la forma del cofinanziamento, cioè coprire non l’intero costo dei progetti, ma soltanto una parte di essi, essendo necessaria la partecipazione finanziaria di soggetti nazionali dei diversi paesi (Stato, enti locali e privati). Quindi, vennero previste quote di cofinanziamento comunitario variabili a seconda dei diversi fondi strutturali e dei diversi obiettivi.

Un ulteriore aspetto della riforma dei Fondi strutturali del 1988 fu rappresentato dall’introduzione delle cosiddette iniziative comunitarie: si tratta di azioni di supporto per la

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coesione economica e sociale intraprese dalla Commissione europea al di fuori dei meccanismi di programmazione stabilita con i paesi membri. La logica di questi interventi è quella di garantire un margine di autonomia alla Commissione nella destinazione di una determinata quota degli stanziamenti legati ai Fondi strutturali, al fine di soddisfare le esigenze specifiche che ridestano particolare importanza dal punto di vista comunitario e che si ritiene non siano state adeguatamente considerate o per lanciare azioni di tipo innovativo.Per le iniziative comunitarie venne prevista la possibilità di finanziamento da parte di tutti i tre Fondi ed esse potevano riguardare tutti gli obiettivi. Le più importanti iniziative intraprese sono: Interreg, per la promozione della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e

interregionale; - Equal, per le pari opportunità tra i cittadini europei mira allo sviluppo di nuove prassi per

la lotta contro le discriminazioni e le disuguaglianze di qualsiasi tipo nell'accesso al mercato del lavoro;

Leader, per lo sviluppo delle aree rurali più arretrate, in particolare attraverso l’avvio di nuove attività economiche e mediante le iniziative di gruppi di azione locale;

- Urban, per il sostegno dei processi di riqualificazione urbana e il rilancio economico e sociale delle città di media e grande dimensione e delle periferie in crisi.

Per conferire maggiore efficacia agli interventi comunitari nel periodo 2000-2006, la comunicazione "Agenda 2000" della Commissione (15 luglio 1997) ha proposto una riforma della politica strutturale, grazie alla quale si è attuata una concentrazione degli aiuti su un minor numero di obiettivi e la semplificazione del loro funzionamento; gli obiettivi dei Fondi strutturali sono ora i seguenti tre:

lo sviluppo e l'aggiustamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, il cui PIL medio per abitante è inferiore al 75% della media dell'Unione europea (obiettivo 1: 70% dei Fondi strutturali);

la riconversione economica e sociale delle zone colpite da difficoltà strutturali (obiettivo 2: riunisce le zone colpite da problemi di diversificazione economica, e cioè le aree in cui è in atto un profondo cambiamento dell'economia, le zone rurali in declino, le zone in crisi a motivo della dipendenza dalla pesca, e i quartieri urbani in difficoltà);

lo sviluppo delle risorse umane al di fuori delle regioni che possano beneficiare dell'obiettivo 1 (obiettivo 3: costituisce il quadro di riferimento per tutte le misure prese ai sensi del nuovo titolo sull'occupazione del trattato di Amsterdam e della strategia europea per l'occupazione).

FONDO DI COESIONE

L'Unione economica e monetaria ha posto in speciale evidenza l'esistenza di rilevanti disparità economiche e sociali tra Stati membri dell'Unione. Per questo motivo si è deciso di rafforzare la politica strutturale ponendo in essere, nel 1993, il Fondo di coesione, destinato ai paesi il cui PNL procapite è inferiore al 90% della media comunitaria, ossia fino al recente allargamento alla Grecia, alla Spagna, all'Irlanda ed al Portogallo. Il Fondo di coesione concede finanziamenti in favore di progetti da attuare nel settore ambientale, ovvero nelle infrastrutture dei trasporti.

IL FUNZIONAMENTO DELLA CONVENZIONE

RuoloIl compito della Convenzione era quello di formulare le ipotesi di riforma da sottoporre poi alla successiva Cig. Il lavoro della Convenzione si è articolato in tre fasi successive:

(i) ascolto delle aspettative e dei bisogni dei cittadini europei; (ii) analisi delle proposte di riforma; (iii) sintesi delle proposte.

Le decisioni di Laeken, in definitiva, hanno inteso allo stesso tempo: superare le difficoltà di raggiungere larghi accordi su importanti questioni politico-istituzionali incontrate dalle più recenti conferenze intergovernative; riavvicinare i cittadini alla costruzione europea,

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contrastando così una fase di crescente sfiducia nelle istituzioni dell’Unione; assicurare attraverso l’attività della Convenzione una maggiore rappresentatività democratica e trasparenza del processo di riforma dell’Unione.

ComposizioneIl Consiglio europeo di Laeken aveva nominato il Presidente della Convenzione, Valery Giscard d'Estaing (Francia) e i due Vicepresidenti, Giuliano Amato (Italia) e Jean Luc Dehaene (Belgio). La Convenzione era composta da 105 membri; oltre al Presidente e ai due Vicepresidenti ne hanno fatto parte:

• 15 rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (1 per Stato membro). • 30 membri dei Parlamenti nazionali (2 per Stato membro);• 16 membri del Parlamento europeo;• 2 rappresentanti della Commissione europea.

I 13 paesi all'epoca candidati all'adesione (Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Ungheria, nonché la Turchia, di cui 10 entreranno nell'Unione europea a partire dal 1° maggio 2004; l'ingresso di Bulgaria e Romania è rimandato al 2007 e per la Turchia si attende l'inizio dei negoziati) hanno partecipato appieno ai lavori della Convenzione e sono stati rappresentati alle stesse condizioni degli Stati membri (un rappresentante del governo e due dei Parlamenti nazionali); hanno preso parte alle deliberazioni senza tuttavia la facoltà di impedire la determinazione di un consenso fra gli Stati membri.

Hanno partecipato alla Convenzione, come osservatori, 3 rappresentanti del Comitato economico e sociale, 3 rappresentanti delle parti sociali europee, 6 rappresentanti del Comitato delle regioni e il Mediatore europeo.

Rappresentanti del Parlamento italiano alla Convenzione sono stati il deputato Marco Follini e il senatore Lamberto Dini; loro sostituti rispettivamente il deputato Valdo Spini e il senatore Filadelfio Guido Basile. Rappresentante del Governo italiano è stato il Vicepresidente del Consiglio on. Gianfranco Fini, suo sostituto l'on. Francesco Speroni, membro del Parlamento europeo.

Hanno fatto parte della delegazione del Parlamento europeo alla Convenzione gli europarlamentari italiani Cristiana Muscardini, Antonio Tajani e, in qualità di sostituta, Elena Paciotti.

Presidium I lavori della Convenzione sono stati coordinati da un Ufficio di presidenza (Praesidium) composto da 12 membri: il Presidente della Convenzione e i due Vicepresidenti; due rappresentanti dei Parlamenti nazionali; due rappresentanti dei parlamentari europei; due rappresentanti della Commissione europea; tre rappresentanti dei Governi che per la durata prevista della Convenzione hanno esercitato la Presidenza del Consiglio (Spagna, Danimarca e Grecia). Il Praesidium è stato poi integrato da un terzo rappresentante dei parlamenti nazionali - con lo status di invitato - in rappresentanza dei paesi candidati.

I membri della Convenzione e del Praesidium sono assistiti da un Segretariato, responsabile, in particolare, dell’elaborazione dei documenti di discussione e riflessione per la Convenzione e della redazione delle sintesi dei dibattiti

AgendaL’agenda della Convenzione risulta notevolmente ampliata rispetto a quanto stabilito nella Dichiarazione di Nizza, che aveva indicato tra le principali questioni da affrontare la semplificazione dei Trattati, una più precisa delimitazione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, lo status della Carta dei diritti fondamentali e il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’architettura europea.Sono stati inseriti riferimenti ad altri aspetti altrettanto importanti del processo di integrazione europea, quali la politica estera e di difesa, la cooperazione giudiziaria e tra forze di polizia, il coordinamento delle politiche economiche, la legittimità democratica e la

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trasparenza dei processi decisionali, il ruolo e il funzionamento delle istituzioni, gli strumenti legislativi, nonché il tema generale degli obiettivi dell’Unione.La Dichiarazione di Laeken, quindi, formula una serie di domande che, per la vastità dei temi affrontati, prefigurano una serie di riforme significative in quasi tutti i settori della costruzione europea. Essa, inoltre, indica per la prima volta in modo specifico, quale obiettivo fondamentale del processo di riforma, la redazione di una vera e propria “Costituzione europea”. Al dibattito in seno alla Convenzione è stato assicurato un ampio margine di flessibilità, al fine di garantire il pieno sviluppo delle potenzialità insite nella sua composizione mista.

Documento finaleLa Convenzione aveva il compito di redigere un documento finale che avrebbe potuto comprendere opzioni diverse o raccomandazioni in caso di consenso. La Convenzione ha poi concluso i suoi lavori elaborando per consenso un complessivo progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l'Europa. Unitamente al risultato dei dibattiti nazionali sul futuro dell'Unione, il documento finale ha fornito la base dei lavori della Conferenza intergovernativa cui spetta prendere le decisioni finali.

ForumPer ampliare il dibattito e coinvolgere l'insieme dei cittadini, è stato organizzato, come deciso nella Dichiarazione di Laeken, un Forum per raccogliere i contributi delle organizzazioni che rappresentano la società civile (parti sociali, organizzazioni non governative, ambienti accademici, ecc.).

Convenzione dei giovaniSu proposta del Presidente Giscard d'Estaing, la Convenzione europea ha previsto l'istituzione di una Convenzione dei giovani ricalcata sulla Convenzione europea, che si è riunita a Bruxelles dal 9 al 12 luglio 2002.

La Convenzione ha svolto i suoi lavori in modo pubblico e aperto al contributo dei cittadini; in particolare tutti gli atti dei suoi lavori sono stati pubblicati sul sito internet della Convenzione ed è stato creato un apposito Forum per i contributi di enti ed organizzazioni rappresentative della società civile, come di centri di studio e ricerca.

La Convenzione si riuniva in Sessioni plenarie che si tenevano una o due volte al mese, nelle quali venivano discussi, di solito, i risultati dei Gruppi di lavoro, nominati dalla Convenzione stessa per approfondire i temi più complessi. I gruppi di lavoro erano dieci, incentrati su temi specifici:

Sussidiarietà Carta dei diritti fondamentali Personalità giuridica Parlamenti nazionali Competenza complementari Governance economica Azione esterna Difesa Semplificazione Libertà, Sicurezza e Giustizia Europa sociale

LA DICHIARAZIONE SUL FUTURO DELL'UNIONE

Con la Dichiarazione sul futuro dell'Unione il Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000 ha invitato tutti i paesi membri ad aprire un ampio dibattito pubblico sui temi della riforma dell'Unione europea, con l'obiettivo fondamentale di promuovere la partecipazione di tutti i cittadini europei alle scelte riguardanti il futuro dell'Unione. Con questo documento, infatti, si invitavano le istituzioni europee e i paesi membri a dar vita ad un dibattito il più possibile

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ampio ed approfondito sul futuro dell’Unione, coinvolgendo tutte le parti interessate: istituzioni, ambienti politici, economici ed accademici, rappresentanti della società civile e l’opinione pubblica. Inoltre, venivano individuate alcune tra le principali questioni da affrontare nel corso del processo di riforma: la delimitazione delle competenze tra l’UE e gli Stati membri; lo status della Carta dei Diritti Fondamentali; la semplificazione dei Trattati; il ruolo dei Parlamenti nazionali. Si stabiliva inoltre che sarebbe stata convocata una nuova Conferenza intergovernativa (Cig) per le decisioni finali in merito alla riforma dei Trattati.

PROGETTO DI TRATTATO CHE ISTITUISCE UNA COSTITUZIONE PER L'EUROPA

La Convenzione ha terminato i suoi lavori il 10 luglio 2003, con la predisposizione del testo completo del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, composto da: Parte I - preceduta da un preambolo - che contiene norme propriamente costituzionali

(allegati alla Parte I vi sono i protocolli relativi al ruolo dei Parlamenti nazionali e all'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità);

Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; Parte III del Trattato, relativa alle politiche dell'Unione; Parte IV, recante le disposizioni generali e finali.

Il progetto di Trattato elaborato dalla Convenzione ha costituito la base dei lavori della Conferenza intergovernativa, che ha avviato i suoi lavori a Roma il 4 ottobre 2003 nel corso della Presidenza italiana. La Presidenza italiana ha assicurato la pubblicità dei suoi lavori, attraverso la pubblicazione di tutti i documenti sul relativo sito internet.

La Presidenza ha proceduto in una prima fase a raccogliere gli orientamenti delle delegazioni attraverso appositi questionari, successivamente ha approfondito alcune questioni attraverso contatti bilaterali e diverse riunioni a livello di Ministri degli Esteri e Capi di Stato e di Governo. In occasione della riunione (conclusiva) della Conferenza intergovernativa del 12 e 13 dicembre 2003, la Presidenza italiana ha presentato i seguenti documenti, con l'intento di fornire una base per la decisione finale: il progetto di Trattato costituzionale della Convenzione, sulla base della revisione

tecnico- giuridica operata dal gruppo di esperti giuridici; una nuova proposta complessiva della Presidenza recante emendamenti ad alcune parti

del progetto di Trattato costituzionale della Convenzione; un documento di analisi e proposta sui nodi politici del negoziato (composizione del

Parlamento europeo e della Commissione, calcolo della maggioranza qualificata in Consiglio).

Al termine della riunione la Presidenza italiana ha dovuto constatare l'impossibilità di raggiungere un'intesa unanime sul complesso del progetto di Trattato costituzionale. Il Consiglio europeo, pertanto, ha dato mandato alla Presidenza irlandese (in carica dal 1° gennaio al 30 giugno 2004) di valutare la prospettiva di riavviare i negoziati e di riferire al riguardo al Consiglio europeo di giugno 2004.

CONFERENZA INTERGOVERNATIVA (O CIG)

Le modifiche dei trattati sui cui si fonda l'Unione europea (UE) richiedono l'accordo dei Governi di tutti gli Stati membri. Il processo di discussione e di conseguimento di un accordo sulle modifiche del trattato è noto come Conferenza intergovernativa (o CIG). Una CIG è convocata dal Presidente del Consiglio dell'UE (Consiglio), su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e, se del caso, della Banca centrale europea.

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LE GRANDI INNOVAZIONI DELLA COSTITUZIONE

La bozza della Costituzione europea sulla quale ha lavorato e lavorerà la Conferenza intergovernativa riempie, complessivamente, quasi 250 pagine. Molte sono le novità per quanto concerne funzioni, ruoli e regole delle istituzioni europee.

PARLAMENTO EUROPEO - Esercita, insieme al Consiglio, le funzioni legislative e di bilancio. Elegge il presidente della Commissione e ratifica la nomina del ministro degli esteri e dei commissari. Vede raddoppiati i suoi poteri di co-decisione ed ha l'ultima parola su tutte le spese dell'Unione.

CONSIGLIO EUROPEO - Si tratta di un nuovo organismo incaricato di dare all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e definire orientamenti e priorità politiche generali. Non esercita alcuna funzione legislativa. È composto dai capi di stato e di governo degli stati membri, dal suo presidente e da quello della Commissione. Il ministro degli esteri partecipa ai lavori.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO - Altra novità introdotta dalla Costituzione: presiede i lavori del Consiglio europeo, ne assicura preparazione e continuità ''in cooperazione con il presidente della Commissione e sulla base del lavoro del Consiglio affari generali''. Ha la rappresentanza esterna dell'Unione ''senza pregiudizio delle responsabilità del ministro degli esteri''. È eletto dal Consiglio europeo per un mandato di 30 mesi, rinnovabile una volta. Può far parte di altre istituzioni europee, non può avere mandati nazionali.

CONSIGLIO DEI MINISTRI - Insieme all'Europarlamento svolge funzioni legislative e di bilancio. È composto da un rappresentante di ogni stato membro a livello ministeriale per ciascuna delle sue formazioni. Finite le presidenze a rotazione semestrale, ad eccezione per gli Esteri, la presidenza di ogni consiglio viene fatta a rotazione ugualitaria, con mandato di almeno un anno. È previsto anche un Consiglio legislativo tra i cui compiti c'è il coordinamento dei diversi Consigli, escluso quello esteri.

COMMISSIONE EUROPEA - Promuove l'interesse generale europeo e prende le iniziative appropriate a tale fine. Verifica il rispetto della Costituzione e l'applicazione del diritto dell'Unione sotto il controllo della Corte di giustizia.

Con le novità introdotte oltre ad assicurare la rappresentanza esterna dell'Unione, tranne su politica estera e difesa comune, promuove la programmazione annuale e pluriennale. A partire dal primo novembre 2009 sarà composta da non più di 15 commissari, incluso il presidente. Potrà essere assistita da altri in numero non superiore a quindici, senza diritto di voto. Tra i commissari è prevista una rotazione a carattere ugualitario.

PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE - Definisce gli orientamenti nel quadro in cui la Commissione esercita la sua missione, sceglie i commissari, può nominare dei vicepresidenti della Commissione. È eletto dall'Europarlamento su proposta del Consiglio europeo.

MINISTRO DEGLI ESTERI - È un'altra delle grandi innovazioni introdotta per cercare di dare all'Europa una politica estera comune. È anche vicepresidente della Commissione. Viene eletto dal Consiglio europeo d'accordo con il presidente della Commissione e con ratifica dell'Europarlamento.MAGGIORANZA QUALIFICATA - È uno dei punti sui quali il compromesso è stato più difficile e che alcuni vorrebbero ancora modificare. A partire dal 2009 sarà basata sulla maggioranza degli stati membri e su quella del 60 per cento della popolazione complessiva.

DIRITTO DI INIZIATIVA POPOLARE - È una delle ultime novità inserite nel testo. Se un milione di cittadini europei, suddivisi su un numero di paesi ancora da determinare, lo richiede la Commissione sarà invitata ad adottare un'iniziativa legislativa.

RATIFICA DELLA COSTITUZIONE - Se dopo due anni dalla firma della Carta i quattro quinti degli stati membri hanno ratificato il trattato ed uno o più stati membri hanno difficoltà a procedere alla ratifica, il Consiglio europeo si prende carico della questione. Ma ci sono pressioni per definire meglio le clausole per le future modifiche.

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IL CONSIGLIO EUROPEO (ARTICOLI 4,13 TRATTATO UE)

Dal 1966, data di convocazione del primo Consiglio europeo, le riunioni di questa assemblea si sono venute intensificando fino al Consiglio di Parigi (1973) dove i capi di Stato istituzionalizzarono le proprie riunioni dichiarando di volersi riunire almeno tre volte all’anno. La crescente importanza assunta dagli affari comunitari nella vita politica degli Stati membri ha giustificato successivamente la necessità dei capi degli esecutivi di riunirsi per trattare insieme i più importanti dossier a livello della Comunità. Per questo ora il Consiglio europeo si riunisce con ritmi cadenzati e conosciuti in anticipo.

Il riconoscimento formale del ruolo assunto nel corso degli anni è avvenuto inizialmente con l’Atto unico europeo che nel 1986 ha proceduto alla sua definitiva istituzionalizzazione normativa. e poi in modo esplicito con il Trattato di Maastricht, che all’art. 4 ha sancito il ruolo del Consiglio europeo come centro d’impulso delle principali iniziative politiche dell’Unione e organo di arbitrato dei problemi che non hanno potuto trovare soluzione nell’ambito del Consiglio dell’Unione europea. Il Consiglio europeo affronta anche problemi d’attualità internazionale nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

Il secondo comma dello stesso articolo rende ufficiale la periodicità delle riunioni del Consiglio, stabilita in almeno due volte l’anno. Le riunioni hanno luogo, in linea di massima, nel paese che esercita la presidenza di turno. Esso conta, come membro di diritto, il presidente della Commissione e prevede la partecipazione del Presidente del Parlamento europeo.

Il Consiglio europeo dunque è un organo che agisce per conto dell’Unione, pur essendo le sue attività finalizzate anche allo sviluppo della Comunità. Ai sensi dell’art. 4 del Trattato di Maastricht (TUE), esso “dà all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali”. Ai sensi di questa disposizione, il Consiglio europeo ha pertanto una funzione di iniziativa e di elaborazione della politica generale dell’Unione. Tale funzione non si esplica in atti vincolanti per le istituzioni, ma piuttosto in orientamenti di massima sulla base dei quali le istituzioni comunitarie e gli Stati esplicano la loro attività. Non mancano tuttavia casi in cui l’orientamento del Consiglio europeo costituisca il presupposto per l’attività delle altre istituzioni. E’ il caso della politica estera e di sicurezza (PESC) e della politica economica. Per quanto riguarda la prima il Trattato di Maastricht (TUE) stabilisce che il Consiglio europeo definisca i principi e gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni in materia di difesa. In materia di politica economica il Consiglio europeo emana degli indirizzi di massima per le politiche degli Stati membri. Non vi è tuttavia dubbio che il settore nel quale la sua azione è più autonoma rispetto a quella delle altre istituzioni sia quello della PESC, istituita col Trattato di Maaastricht come uno dei pilastri dell’Unione e ampliata nella sua portata col Trattato di Amsterdam. Obbiettivi della politica estera e di sicurezza comune sono la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite, la promozione della cooperazione internazionale, lo sviluppo ed il consolidamento della democrazia e dello stato di diritto nonché il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art.11 del TUE). Compete inoltre al Consiglio europeo la decisione di passare ad una difesa comune, quando la definizione di una politica di difesa sia sufficientemente avanzata. In questa prospettiva il Trattato di Maastricht valorizza il ruolo dell’ Unione europea occidentale (UEO) dichiarando quest’ultima “parte integrante dello sviluppo dell’Unione alla quale conferisce l’accesso ad una capacità operativa di difesa” (art. 17 del TUE).

Ai sensi dell’art. 2 dell’Atto Unico, poi ripreso dall’art. 4 del TUE, il Consiglio riunisce “i capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché il presidente della Commissione delle Comunità europee assistiti dai ministri degli affari esteri e da un membro della Commissione”. Il Trattato di Maastricht prevede che, qualora siano in discussione questioni relative all’Unione economica e monetaria, costoro debbano essere affiancati dai ministri delle finanze.

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- Attenzione alle differenze! Il Consiglio europeo non va confuso con il Consiglio d’Europa, diversa organizzazione internazionale con sede a Strasburgo che si occupa di diffusione della democrazia e di diritti umani.

PARLAMENTO EUROPEO (ARTICOLI 189-210 DEL TRATTATO CE) Deputati:626 (1999-2004)732 (2004-2007)eletti ogni 5 anniPresidente (1999-2004):Pat Cox (Irlanda)Prossime elezioni:Giugno 2009

Il Parlamento europeo, organo di espressione democratica e di controllo politico delle Comunità europee, esercita il potere legislativo in condivisione con il Consiglio dell’Unione.

Il Parlamento, previsto dal Trattato CE del 1957 col nome di Assemblea, assunse la presente denominazione nel 1962 anche se l'espressione appare tuttora parzialmente impropria ove si consideri che di un Parlamento vero e proprio esso non ha tutti i requisiti. Il Trattato attribuiva inizialmente un potere assai ridotto al Parlamento ad eccezione di una certa autorità sulle materie di bilancio e sull'adozione del suo regolamento interno.I suoi membri furono nominati dai parlamenti nazionali sino al 10 giugno 1979, dopodiché si cominciò ad eleggerli a suffragio universale diretto. Non esiste tuttavia a tutt’oggi un sistema elettorale comunitario, come invece era previsto dai trattati.

Dopo l'Atto Unico del 1986 il Parlamento ha finalmente ottenuto maggiori poteri con l'introduzione di una nuova procedura , la procedura di cooperazione.Il Trattato di Maastricht, proseguendo su questa linea, ha introdotto la procedura di codecisione che ne estende i poteri includendo materie quali: i trasporti, la ricerca, la coesione economica e sociale, la cooperazione allo sviluppo, l'ambiente…Fra le altre prerogative il TUE riconosce al Parlamento il potere di sollecitare l'iniziativa della Commissione e del Consiglio invitandoli a proporre o a discutere determinati atti.Ulteriori funzioni del Parlamento sono quelle di controllo sulla relazione annuale della Commissione e sul bilancio comunitario. Pur non avendo poteri di controllo giuridico sul Consiglio che rappresenta gli Stati, il Parlamento può far passare una mozione di censura nei confronti della Commissione che è l'equivalente di un atto di sfiducia. A tutt'oggi tale mozione non è mai stata approvata poiché richiede maggioranze troppo ampie.Da ultimo il Parlamento può porre delle interrogazioni e dare pareri sia al Consiglio che alla Commissione.

La sede centrale è a Strasburgo per le sessioni plenarie, a Bruxelles per le Commissioni e i gruppi politici e a Lussemburgo per il segretariato ed i servizi tecnici. Il Parlamento si riunisce 12 volte all'anno secondo tornate stabilite dalla Presidenza. I deputati si suddividono in gruppi che corrispondono alle diverse famiglie politiche e sono chiamati ad animare le 17 commissioni parlamentari, in cui vengono elaborati i rapporti e gli emendamenti sulle proposte legislative. I gruppi parlamentari sono ripartiti per affinità politiche onde evitare la formazione di gruppi su base nazionale: i due maggiori schieramenti sono quello dei Popolari, per area conservatrice, e quello dei Socialisti per l'area progressista.

Il presidente, i vicepresidenti e i questori costituiscono l’Ufficio di presidenza, che è eletto dal Parlamento europeo con un mandato di due anni e mezzo.Le sessioni plenarie del Parlamento si svolgono, di norma, a Strasburgo. I gruppi politici e le 17 commissioni parlamentari, che preparano i lavori delle sedute plenarie, si riuniscono di norma a Bruxelles, mentre il Segretariato generale ha sede a Lussemburgo.

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Dal 1979 (10 Giugno) il Parlamento viene eletto tramite elezioni dirette da parte dei cittadini europei.

Il Parlamento esercita, congiuntamente con il Consiglio, la funzione legislativa: partecipa all’elaborazione delle Direttive e dei Regolamenti comunitari e si pronuncia sulle proposte della Commissione europea, la quale è invitata a modificarle di conseguenza.

- L’Atto unico , che costituisce una revisione dei trattati europei, ha previsto in molti settori la procedura di cooperazione tra il Parlamento e il Consiglio, che rafforza i poteri legislativi del primo, fino ad allora solo consultivi(es. il settore del mercato interno). Nell’ambito di una semplificazione delle procedure legislative e di un’estensione della procedura di codecisione prevista dal trattato di Maastricht, questa procedura è stata fortemente limitata dal trattato di Amsterdam a solo alcuni casi riguardanti l’Unione economica e monetaria,

- Il trattato di Maastricht ha rafforzato il ruolo legislativo del Parlamento, conferendogli il potere di codecisione con il Consiglio in settori precisi: la libera circolazione dei lavoratori, il diritto di stabilimento, la libera prestazione dei servizi, il mercato interno, l’istruzione, la ricerca, l’ambiente, le reti di trasporto transeuropee, la sanità, la cultura, i consumatori. In applicazione di questo potere il Parlamento può, a maggioranza assoluta dei suoi membri, respingere la posizione comune adottata dal Consiglio. Il trattato tuttavia prevede una procedura di conciliazione.

- Il trattato di Amsterdam ha ulteriormente rafforzato il ruolo legislativo del Parlamento europeo con l’estensione della procedura di codecisione ad altri settori come la sanità pubblica, la politica dei trasporti, la libera circolazione dei cittadini, e la politica dell’occupazione.

Il Parlamento condivide con il Consiglio anche il potere di bilancio, in quanto adotta il bilancio della Comunità; ha anche la possibilità di respingerlo, costringendo in tal modo a rincominciare tutta la procedura di bilancio. Dopo essere stato preparato dalla Commissione il bilancio fa la spola tra il Consiglio e il Parlamento, le due istituzioni che insieme costituiscono l’autorità di bilancio. Finora il Parlamento si è avvalso dei suoi poteri di bilancio per influenzare le politiche comunitarie.

Il Parlamento approva inoltre la designazione del Presidente della Commissione; dispone del potere di revoca della stessa Commissione, adottando una mozione di censura a maggioranza di due terzi. Si pronuncia altresì sul programma della Commissione esprimendo le proprie osservazioni.

Il Parlamento controlla il buon funzionamento delle politiche comunitarie basandosi sulle relazioni della Corte dei Conti, e attraverso interrogazioni scritte e orali alla Commissione e al Consiglio sulla gestione quotidiana delle politiche.Infine il Presidente in carica del Consiglio europeo informa il Parlamento sulle attività svolte.

CECA

Il 9 Maggio 1950 il governo francese avanzò alla Repubblica federale tedesca la proposta, elaborata da Jean Monnet, di mettere in comune la produzione del carbone e dell’acciaio. Presentando questa proposta il ministro degli esteri francese Robert Schumann sottolineava l’intenzione di creare la prima tappa di una federazione europea mettendo in comune la produzione del carbone e dell’acciaio nell’auspicio di eliminare la secolare contrapposizione

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tra Francia e Germania. La proposta francese, meglio nota col nome di Piano Schumann, pur essendo rivolta specificamente al governo germanico, era aperta a qualsiasi paese europeo. La Gran Bretagna, tuttavia, rifiutò immediatamente di farvi parte. Accanto alla Francia e alla Germania si ritrovarono perciò i governi del Belgio, dei Paesi Bassi, del Lussemburgo, che già erano vincolati con la Francia e la Gran Bretagna da un trattato istitutivo di una unione militare, politica ed economica – l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) – nonché il governo italiano che sperava di veder crescere il proprio peso fra i Paesi economicamente più influenti nel contesto europeo.Il 18 Aprile 1951 i sei governi sopra citati firmavano un Trattato che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) che entrò in vigore il 25 Luglio 1952 in seguito alla ratifica da parte di tutti gli Stati contraenti.Scopo della comunità era quello di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio con la definizione di una zona di libero scambio fra i Paesi membri. Al fine dell’instaurazione del mercato comune, il Trattato prevedeva la creazione di un’Alta Autorità, di un’Assemblea comune, di un Consiglio speciale dei ministri e di una Corte di giustizia.Per quanto essenzialmente rivolta a soddisfare le esigenze della Francia e della Germania, la CECA si rivelò assai presto un fattore fra i più importanti per la ricostruzione industriale dell’Europa favorendo al contempo la stabilità e la pace. Due anni dopo l’entrata in vigore del Trattato anche il Regno Unito decise di aderirvi con un accordo di associazione.Il Trattato CECA, concluso per una durata di cinquanta anni, è venuto a scadere il 23 Luglio 2002; da questa data la CECA ha cessato di esistere e tutte le sue attività sono state trasferite alla CE.

CEEA o EURATOM

Contemporaneamente alla firma del Trattato CE, i sei membri della Comunità previdero la creazione di una Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) con l’obbiettivo di “contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento dell’industria nucleare, all’elevazione del tenore di vita negli Stati membri…” (art. 1 del Trattato CEEA). A tal fine veniva previsto un mercato comune dei materiali e delle attrezzature speciali, nonché un mercato comune delle materie fissili (minerali e combustibili nucleari). Per attuare tale principio il Trattato disponeva la creazione di un’Agenzia di approvvigionamento che doveva occuparsi della fornitura e della distribuzione di questi materiali. Particolare rilievo è stato dato alle disposizioni intese allo sviluppo delle ricerche nel campo dell’energia nucleare con la costituzione di quattro sedi ad hoc: in Italia (Ispra), in Germania (Karlsruhe), in Belgio (Mol) e nei Paesi Bassi (Petten).

COMMISSIONE EUROPEA (ARTICOLI 211-219 DEL TRATTATO CE) Numero dei membri (2000-2004): 20Mandato: 5 anni (2000-2004)Presidente: Romano Prodi (Italia)

La Commissione è un organo chiave del sistema istituzionale comunitario ed è considerata il motore dell’Unione europea, grazie alle sue funzioni di impulso, iniziativa, esecuzione, gestione, controllo e sorveglianza. Per il suo ruolo e le sue responsabilità, essa si colloca al

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centro del processo di decisione politica dell’Unione europea. In seguito al trattato di fusione degli esecutivi, entrato in vigore il 1° luglio 1967, la Commissione è organismo comune alle allora tre Comunità Europee: la CECA, la CEE e l’EURATOM (il 23 luglio 2002, esattamente a cinquant’anni dalla sua entrata in vigore, il Trattato istitutivo della CECA è scaduto e le competenze della CECA sono state assorbite dalla Comunità europea). In quanto custode dei Trattati, essa incarna l'interesse comunitario.

Dal 1995 la Commissione è composta da 20 membri nominati di concerto per 5 anni dagli Stati membri, dal 1° maggio al 1° novembre (data di scioglimento dell'attuale Commissione) essa sarà formata da 30 membri: i 20 precedenti più 10 commissari dei paesi appena entrati. Fino al trattato UE la decisione dei governi degli Stati membri sfuggiva a qualsiasi controllo, anche politico, in sede comunitaria. Il nuovo testo dispone invece che tale decisione sia preceduta da una serie di atti che vedono coinvolto anche il Parlamento.

Il numero dei membri può essere modificato dal Consiglio, con deliberazione unanime. La Commissione è diretta da un Presidente, che è assistito da due vicepresidenti. Il trattato di Amsterdam ha notevolmente rafforzato il ruolo del presidente in seno alla Commissione: egli non è più un “primus inter pares”, ma occupa una posizione privilegiata in quanto “la Commissione agisce nel quadro degli orientamenti politici” del suo presidente. Dunque quest’ultimo dispone di un potere di orientamento che si manifesta anche nella sua responsabilità riguardo a questioni organizzative, nel suo diritto a partecipare alla selezione degli altri membri della Commissione nella sua qualità di membro del Consiglio europeo. Sempre il trattato di Amsterdam prevede che il presidente della Commissione sia designato di comune accordo dai governi degli Stati membri ma che tale nomina sia poi soggetta all’approvazione da parte del Parlamento europeo. A loro volta i governi degli Stati membri, in consultazione con il presidente designato, nominano gli altri membri della Commissione, che successivamente vengono sottoposti, collettivamente, ad un voto di approvazione da parte del Parlamento.

Fra le funzioni della Commissione la principale è quella di proposta nei confronti del Consiglio e del Parlamento con riferimento a tutti gli atti comunitari. La Commissione può anche sollecitare le altre istituzioni comunitarie tramite l'adozione di appositi memorandum o programmi (i cosiddetti "Libri Bianchi") che consentono alla Commissione di precisare il suo punto di vista e di dare le proprie direttive in ordine a determinati problemi.

Il numero dei componenti della Commissione era fissato nella cifra di 20, da Novembre 2004 saranno 25. La prassi finora seguita vuole che i 5 stati maggiori (I, F, GB, D e E) abbiano due rappresentanti mentre gli altri uno. Costoro devono poter essere indipendenti rispetto al condizionamento degli Stati e agire nell'interesse comunitario. A capo della Commissione siede il Presidente cui spetta la funzione di orientarne i fini politici garantendo coerenza, efficacia e collegialità. Al suo fianco siedono i Commissari da cui dipendono le Direzioni Generali (agricoltura, concorrenza, relazioni esterne, ambiente….). Con il trattato di Nizza si limiterà, dal 2005, la composizione della Commissione a 1 commissario per Stato membro. Quando l’Unione sarà a 27 Stati membri il Consiglio dovrà decidere, all’unanimità, l’esatto numero di commissari. La loro nazionalità invece dipenderà da un sistema di rotazione paritetica fra i paesi.Nel trattato di Nizza è previsto inoltre il rafforzamento dei poteri del Presidente, che potrà decidere la suddivisione dei portafogli e potrà eventualmente procedere ad un rimpasto delle competenze durante il mandato. Avrà inoltre facoltà, previa approvazione del collegio, di chiedere a un commissario di presentare le dimissioni.

Compiti Motore della politica comunitaria, la Commissione incarna l’interesse delle Comunità e gode nell’esercizio delle sue funzioni di una grande indipendenza; è la custode dei Trattati, e in quanto tale vigila sull’applicazione dei regolamenti e delle direttive adottate dal Consiglio e dal Parlamento; a tal fine può adire la Corte di giustizia per far rispettare il diritto comunitario. Ad essa spetta presentare al Consiglio proposte e progetti di normativa comunitaria: si tratta del cosiddetto “diritto di iniziativa”. Anche il Consiglio e il Parlamento, secondo quanto stabilito dal trattato CE, hanno la possibilità di sollecitare la Commissione a sottoporgli proposte. I trattati CE e CEEA riconoscono alla Commissione unicamente poteri

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legislativi primari in certi ambiti, come ad esempio in materia di bilancio comunitario. Le sue “competenze di esecuzione”, che le sono conferite dal Consiglio, sono ben più vaste.

Infine, sebbene in misura limitata, la Commissione è anche un organo esecutivo ed esercita le funzioni di una classica autorità amministrativa: esamina, accorda autorizzazioni o formula divieti e, in alcuni casi, infligge sanzioni.Ampie sono le sue competenze amministrative in materia di Fondi strutturali della CE e di esecuzione del bilancio.La Commissione rappresenta la Comunità presso le organizzazioni internazionali ed assicura la gestione corrente delle attività diplomatiche della Comunità nel quadro del diritto legatizio attivo e passivo. Sulla base dei poteri che le sono conferiti dal Consiglio, essa assicura la negoziazione di accordi tra la Comunità e le organizzazioni internazionali o i paesi terzi, ivi compresi gli accordi di adesione con i futuri Stati membri. Essa rappresenta la Comunità presso le giurisdizioni nazionali e, a volte insieme al Consiglio dell’UE, presso la Corte di giustizia delle Comunità europee.

CORTE DI GIUSTIZIA 15 giudici, uno per ogni Stato membro, e 8 avvocati generaliPresidente:Vassilios Skouris (Grecia) (2003 - 2006)

La Corte di giustizia è la giurisdizione suprema per tutte le questioni pertinenti al diritto comunitario. Nei compiti della Corte sono compresi i tre seguenti ambiti fondamentali:

1. il controllo del rispetto del diritto comunitario sia da parte delle istituzioni comunitarie nel quadro dell’applicazione delle disposizioni dei trattati, sia da parte degli Stati membri e del singolo per quanto riguarda l’osservanza degli obblighi derivanti dal diritto comunitario;2. l’interpretazione della legislazione comunitaria;3. lo sviluppo della legislazione comunitaria.

Se il diritto comunitario è riuscito ad impiantarsi così profondamente nella realtà giuridica degli Stati membri, è perché tale diritto è stato concepito, interpretato ed applicato da parte dei cittadini, delle amministrazioni e dei giudici di tutti gli Stati membri come un corpo uniforme di norme che i singoli possono invocare dinanzi ai rispettivi giudici nazionali.Le decisioni della Corte hanno fatto del diritto comunitario una realtà per i cittadini europei e spesso hanno avuto importanti ripercussioni sul piano costituzionale ed economico.

Composizione.La Corte di Giustizia attualmente è composta da 15 giudici e da 8 avvocati generali, designati “di comune accordo dai governi degli Stati membri” per sei anni. Ogni Stato membro delega un giudice. Per assicurare la continuità della giurisprudenza, ogni 3 anni, all’inizio dell’anno giudiziario, cioè il 6 ottobre, si procede ad un rinnovamento parziale dei giudici, i cui mandati sono rinnovabili.

La Corte di giustizia viene coadiuvata nella sua attività da 8 avvocati generali, la cui nomina è contestuale a quella dei giudici e che godono della stessa indipendenza. Degli 8 avvocati generali, 5 appartengono sempre ai “grandi Stati membri” (Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna), mentre i restanti 3 appartengono agli altri 11 Stati e sono nominati alternativamente. Le funzioni di avvocato generale sono state introdotte nella Corte al fine di controbilanciare l’originale unicità della giurisdizione, cioè l’assenza di un’istanza di ricorso. Nelle loro “conclusioni” gli avvocati generali presentano alla Corte una proposta di decisione, non vincolante, che si basa su un esame assolutamente indipendente ed imparziale di questioni di diritto sollevate nelle rispettive procedure; queste conclusioni costituiscono parte integrante della procedura orale e sono pubblicate insieme alla sentenza nella raccolta della giurisprudenza.

Procedure. Tre sono i tipi di procedure davanti alla Corte previste dal Trattato: - Ricorso per inadempienza: Commissione contro uno Stato membro (art. 226) o Stato membro contro un

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altro Stato membro (art. 227); - Ricorso per annullamento o in carenza: da parte di un’istituzione comunitaria o uno Stato membro nei confronti di atti giuridici illegali o di una omissione (artt. 230 e 232); - Rinvio pregiudiziale: sull' interpretazione e la validità del diritto comunitario su iniziativa delle giurisdizioni nazionali (art. 234).

TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

15 giudici, uno per ogni Stato membroPresidente:Bo Vesterdorf (Danimarca) (2001 - 2004)Mandato: I membri di entrambe le istituzioni sono nominati per 6 anni rinnovabili

Nel 1988, è stato istituito, sulla base dell’Atto unico europeo il Tribunale di primo grado, che ha il compito di alleggerire la mole di lavoro della Corte di giustizia: non si tratta di una nuova istituzione comunitaria, ma di un organo della Corte di giustizia stessa. E’ tuttavia autonomo e dotato di una propria organizzazione; dispone di una propria cancelleria e di un proprio regolamento di procedura.Inizialmente le competenze del Tribunale di primo grado erano limitate ad un certo numero di ricorsi. Dopo una verifica di tali competenze iniziali, nel 1993, il Tribunale è ora la giurisdizione di primo grado per tutti i ricorsi di persone fisiche o giuridiche contro atti giuridici comunitari, sotto il controllo giuridico della Corte.

Composizione.Il Tribunale di primo grado è composto da 15 membri, per la cui qualifica, nomina o stato giuridico si applicano sostanzialmente gli stessi principi e le stesse norme dei giudici della Corte di giustizia. Benché essi esercitino principalmente la funzione di giudici, possono essere chiamati anche ad espletare funzioni ad hoc di “avvocati generali” in cause trattate in seduta plenaria o in camera di consiglio, qualora lo richieda la complessità dei fatti o della situazione giuridica.Il Tribunale si riunisce in formazione “plenaria” (15 giudici), in camera di 5 giudici (5 camere) o in camera di 3 giudici (5 camere). Le cause esaminate in seduta plenaria sono eccezioni, in quanto di solito sono trattate dalle camere che decidono anche in merito.

Procedure.Tre sono i tipi di procedure davanti al Tribunali di primo grado:

- Ricorso in annullamento e in carenza: da parte di persone fisiche e giuridiche contro atti comunitari illegali o per omissione (artt. 230 e 232); - Ricorso per risarcimento danni: per responsabilità contrattuale o extracontrattuale ( artt. 235 e 288, 1° e 2° capoverso); - Ricorsi di funzionari della Comunità (art. 236).

CORTE DEI CONTI EUROPEA (ARTICOLI 246-248 TRATTATO CE) Membri: 15, uno per ogni Stato membroPresidente: Juan Manuel Fabra Vallés (Spagna)

La Corte dei conti europea esercita una funzione di controllo delle spese dell’Unione europea, per verificare che esse siano effettuate secondo le norme di bilancio e i regolamenti finanziari vigenti per gli scopi a cui sono destinate.Da alcuni è considerata come la “coscienza finanziaria” dell’Unione europea, da altri come un “cane da guardia” delle sue casse. Comunque sia, essa garantisce il rispetto di principi morali, amministrativi e contabili. Le relazioni della Corte dei conti sono una ricca fonte di informazioni sulla gestione delle finanze dell’Unione europea e un elemento di pressione sulle Istituzioni e su quanti hanno, a livello amministrativo, la responsabilità di una loro gestione oculata.

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Le funzioni esercitate dalla Corte in piena indipendenza offrono un contributo decisivo alla trasparenza dell’Unione europea. Un controllo obiettivo dà al contribuente la certezza che le risorse finanziarie siano gestite in modo responsabile, e si tratta di una certezza necessaria dato l’aumento della spesa di questi ultimi anni, dovuto all’estendersi dei campi d’intervento dell’azione comunitaria.

La Corte dei conti europea è stata istituita il 22 luglio 1975 ed ha iniziato la sua attività nell’ottobre del 1977 a Lussemburgo. È composta da 15 membri, uno per ogni Stato membro, che vengono nominati per un periodo di 6 anni dal Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo.Il suo compito è quello di esercitare un controllo costante sulle entrate e sulle uscite della CE e di accertare la sana gestione finanziaria. Tutte le istituzioni e gli organi che hanno accesso ai fondi dell’Unione europea sono sottoposti a controllo e devono fornire alla Corte dei conti le informazioni e i documenti richiesti.

Contrariamente a quanto avviene in alcune Corti dei conti nazionali, quella europea non dispone di competenze giurisdizionali per quanto riguarda l’esercizio dei suoi poteri di controllo o per l’applicazione di sanzioni giuridiche nel caso di violazioni accertate durante controlli. In compenso, essa gode di una completa autonomia nella scelta dell’oggetto e dei metodi di controllo; anche i privati possono essere sottoposti ai suoi controlli, come ad esempio, nel caso di una verifica dell’utilizzo conforme al diritto comunitario delle sovvenzioni provenienti dai fondi comunitari. Essa rilascia al Parlamento europeo ed al Consiglio, una dichiarazione di “affidabilità”, che attesta appunto, l’affidabilità dei conti e la legittimità e la regolarità delle relative operazioni.

L’unico strumento di cui dispone la Corte dei conti europea consiste nella pubblicità dei suoi atti. I risultati della sua attività di controllo sono riassunti, al termine di ogni esercizio finanziario, in una relazione annuale che viene pubblicata sulla gazzetta ufficiale delle Comunità europee e , in questo modo, resa accessibile al pubblico. Inoltre, essa può in qualsiasi momento esprimere un parere su determinate questioni in relazioni speciali anch’esse pubblicate nella Gazzetta ufficiale. Il trattato di Amsterdam le riconosce inoltre il diritto di adire alla la Corte di Giustizia per salvaguardare le proprie prerogative ed estende il suo potere di controllo ai fondi comunitari gestiti da organismi esterni.

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE (ARTICOLI 257-262 TRATTATO CE) Membri: 222, numero massimo 350Mandato: 4 anniPresidente: Roger Briesch (Francia) Il Comitato economico e sociale è un organismo consultivo previsto dai trattati CE ed EURATOM (mentre nella CECA esiste, con funzioni simili, un Comitato consultivo della Commissione). Il Comitato è composto di “rappresentanti delle varie categorie della vita economica e sociale, in particolare dei produttori, agricoltori, vettori, lavoratori, commercianti e artigiani, nonchè delle libere professioni e degli interessi generali”. (art. 257 par.2 Trattato CE).I membri del comitato sono 222 e sono suddivisi nel seguente modo : Germania, Francia ; Italia e Regno Unito 24; Spagna 21; Belgio, Austria, Svezia, Grecia, Paesi Bassi e Portogallo 12; Danimarca, Finlandia e Irlanda 9; Lussemburgo 6. la nomina dei rappresentanti avviene ad opera del Consiglio che delibera all’unanimità. Il loro mandato è rinnovabile ed ha la durata di quattro anni. La procedura seguita è alquanto particolare: il Consiglio delibera, consultata la Commissione, sulla base degli elenchi inviatigli dagli Stati membri e recanti un numero di candidati doppio rispetto ai seggi attribuiti ai propri cittadini.Secondo quanto stabilito dall’art.269 del trattato CE, il Comitato designa tra i suoi membri il Presidente e l’Ufficio di Presidenza.L’art. 258 del trattato CE precisa che “i componenti del Comitato esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale della Comunità”. Questa innovazione

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ribadisce che i funzionari non devono farsi portatori degli interessi della categoria cui appartengono, ma devono agire con piena garanzia di imparzialità.L’autonomia di questo organo è altresì valorizzata dalla previsione che il regolamento interno non sia più approvato dal Consiglio all’unanimità (art. 260).La consultazione del Comitato può essere obbligatoria o facoltativa, a seconda che sia prevista o meno dai trattati; essa si concreta in pareri che non sono mai vincolanti, e sono invece tecnici e più specifici rispetto a quelli del Parlamento europeo che hanno carattere essenzialmente politico. L’attuale formulazione dell’art.262, sancisce la prassi, risalente al vertice di Parigi del 1972, secondo la quale il Comitato formula anche pareri di propria iniziativa.È stato poi portato da dieci giorni ad un mese il termine per l’emanazione degli stessi.

COMITATO DELLE REGIONI (ARTICOLI 263-265 TRATTATO CE) Membri: 222, numero massimo 350Mandato: 4 anniPresidente: Peter Straub (Germania) Il Comitato delle Regioni è un organo contemplato all’art. 7 del trattato CE che svolge funzioni consultive nei riguardi della Commissione e del Consiglio. La sua creazione valorizza la dimensione regionale della Comunità; tale intento può essere scomposto in due momenti distinti:

1. privilegiare il livello regionale come centro decisionale2. favorire una maggiore integrazione degli enti esponenziali degli interessi regionali nella struttura organizzativa comunitaria.

Il Comitato (art. 263 trattato CE) è composto da rappresentanti delle collettività regionali e locali. È composto da 222 membri effettivi e altrettanti supplenti, nominati su proposta dei rispettivi stati di appartenenza, con un mandato di quattro anni dal Consiglio, che delibera all’unanimità. La sede è stata stabilita a Bruxelles.I membri del comitato non devono essere vincolati da alcun mandato imperativo; esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e nell’interesse generale della Comunità.Il trattato di Amsterdam ha poi previsto che i membri del Comitato non possono essere contemporaneamente membri del Parlamento europeo (art. 263).Le riunioni del Comitato avvengono su iniziativa dello stesso o su convocazione del presidente a richiesta del Consiglio o della Commissione.Il Comitato si riunisce in sessione plenaria a Bruxelles 5 volte l’anno nella sede del Parlamento europeo, ed ha all’ordine del giorno l’adozione dei pareri elaborati dalle 8 commissioni in cui esso risulta suddiviso per aree di competenza. Le Commissioni:

- Commissione 1 – politica regionale, fondi strutturali, coesione economica e sociale, cooperazione transfrontaliera ed interregionale;- Commissione 2 – agricoltura, sviluppo rurale e pesca;- Commissione 3 – reti transeuropee, trasporti e società dell’informazione;- Commissione 4 – assetto territoriale, politica urbana, energia ed ambiente;- Commissione 5 – politica sociale, salute pubblica, protezione dei consumatori, ricerca e turismo;- Commissione 6 – occupazione, politica economica, mercato comune, industria e piccole e medie imprese;- Commissione 7 – istruzione, formazione professionale, cultura, gioventù, sport e diritti dei cittadini;- Commissione 8 – affari istituzionali.

Il Comitato svolge essenziali funzioni consultive che si concretizzano nell’emanazione di un parere; quest’ultimo, può essere facoltativo o obbligatorio, ma mai vincolante.Il trattato di Amsterdam ha ampliato il numero dei casi in cui esso può essere consultato, estendendo questa possibilità anche al Parlamento europeo. Sono stati inseriti anche nuovi

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ambiti in cui può essere richiesto il parere del Comitato: il settore dei trasporti, dell’occupazione, della politica sociale, dell’ambiente.Il Consiglio e la Commissione, ove lo ritengano necessario, fissano al Comitato un termine (che non può essere inferiore ad un mese, a decorrere dalla data di comunicazione inviata a tal fine al Presidente) per l’emanazione del parere. Decorso inutilmente tale termine, si prescinderà dall’assunzione dello stesso.Il Comitato delle Regioni, a differenza degli altri comitati, privi di autonomia interventiva e subordinati alle direttive della Commissione, ha una posizione del tutto preminente; infatti, oltre a cooperare all’attività della Commissione, è l’organo consultivo di tutte le istituzioni comunitarie. È vero che il suo parere non ha efficacia vincolante e che è previsto un meccanismo automatico che legittima le istituzioni a prescindere da esso nel caso di inerzia; tuttavia è prevedibile che il Comitato saprà sempre più ritagliarsi in modo autonomo una propria dimensione decisiva nell’esperienza della Comunità, sulla scia della tendenza evolutiva in senso locale della rappresentatività comunitaria.

BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI Membri del Comitato direttivo:8 per il Comitato direttivo25 per il Consiglio d’amministrazione i ministri degli Stati membri per il Consiglio dei governatoriPresidente: Philippe Maystadt (Belgio) La Banca europea per gli investimenti è allo stesso tempo un organismo comunitario ed una banca. È stata istituita con il protocollo del 25 marzo 1957 (atto autonomo allegato al trattato CE), ed opera appoggiando le iniziative economiche all’interno degli Stati membri che i singoli Stati membri non sono in grado di finanziare autonomamente, ma la cui realizzazione si rivela opportuna al fine di attenuare gli squilibri esistenti tra regioni o settori produttivi all’interno della compagine comunitaria. Le norme che la disciplinano sono state inserite fra le “disposizioni istituzionali” della Comunità, nel capo V della Parte I, appositamente intitolato alla BEI. La sua struttura per molti versi richiama quella della CE. La Bei ha una propria personalità giuridica distinta da quella della Comunità; dispone di finanziamenti propri, di un proprio bilancio, di organi di amministrazione e di gestione propri. La struttura amministrativa e gestionale della Banca risulta composta dai seguenti organi:

- il Consiglio dei Governatori; è l’organo decisionale che stabilisce la politica creditizia della Banca, vigilandone l’esecuzione.- Il Consiglio di amministrazione; garantisce la conformità della gestione della Banca con lo statuto, ed ha competenza esclusiva per la concessione di prestiti e garanzie, oltre che per l’emissione di titoli.- Il Comitato direttivo; è l’organo esecutivo collegiale della Banca, con l’incarico di gestire l’attività corrente, sotto l’autorità del Presidente della Banca ed il controllo del Consiglio di amministrazione.- Il Comitato di verifica; ha il compito di controllare la regolarità delle operazioni e dei libri contabili della Banca, confermando che il bilancio ed il conto profitti e perdite siano conformi alle scritture contabili.

La Bei si presenta, per certi versi, come un’organizzazione autonoma, sebbene sia collegata in modo funzionale alla Comunità. Comunque essa opera nell’interesse esclusivo della Comunità e non si distingue dalle altre istituzioni comunitarie.

Il compito della Bei è quello di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali ed alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato della Comunità. Dispone di un proprio capitale, sottoscritto fin dalla sua istituzione, dagli Stati membri, e che periodicamente viene aumentato. La sottoscrizione avviene con quote che variano secondo la capacità economica e dell’importanza dello Stato.

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L’art. 267 del Trattato CE specifica i vari tipi di progetti suscettibili di ottenere un appoggio finanziario da parte della Banca. I prestiti diretti a finanziare i progetti possono essere concessi sia ai governi che a singole imprese, pubbliche o private, degli Stati membri. La BEI non persegue fini di lucro. Per la concessione dei prestiti e delle garanzie la Banca si avvale di risorse proprie, o di risorse ottenute facendo ricorso al mercato dei capitali. In sostanza la BEI contrae prestiti per accordare mutui, che in gran parte sono destinati a contribuire allo sviluppo regionale, che è il principale settore di intervento. I prestiti diretti a finanziare i progetti devono riguardare programmi di investimento da effettuare nei territori europei degli Stati membri. Tuttavia è prevista un’eccezione a questa regola infatti, con deroga deliberata all’unanimità dal Consiglio dei Governatori la Banca può concedere crediti per progetti da attuarsi in tutto o in parte al di fuori dei territori europei degli Stati membri.

BANCA CENTRALE EUROPEA Membri: 6 per il Comitato esecutivo18 per il Consiglio direttivo17 per il Consiglio generalePresidente: Jean-Claude Trichet (Francia) La Banca centrale europea è al centro dell’unione economica e monetaria (UEM). Le particolarità della politica economica e monetaria hanno infatti richiesto che la gestione dell’UEM fosse affidata, oltre che alle istituzioni comunitarie anche ad organi speciali, quali la Banca Centrale europea (BCE) e il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC). La BCE è una vera e propria Banca centrale che svolge funzioni operative. Ai sensi dell’art. 123 del trattato CE, la BCE è entrata in funzione il 3 maggio 1998, a seguito della nomina del Comitato esecutivo, del Presidente e del Vicepresidente. Con la sua istituzione l’IME (l’istituto che guidato la cooperazione e il coordinamento delle banche centrali prima dell’unione monetaria) è stato posto in fase di liquidazione e tutte le sue attività e passività sono state automaticamente trasferite alla BCE.Il capitale della BCE, che secondo l’art. 107 del trattato ha piena personalità giuridica, è pari a 5 milioni di euro e le Banche centrali ne sono le sole sottoscrittrici. Tutte le Banche centrali dell’Unione devono versare la propria quota anche se solo quelle degli Stati membri dell’area euro sono obbligate a farlo per intero; le altre si sono impegnate a versare solo il 5% della quota a titolo di contributo spese per la loro partecipazione ad alcune attività dell’istituto.La quota di capitale da assegnare a ciascuna banca nazionale è stata calcolata in base a criteri democratici ed economici.

Il SEBC è composto dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali (Art. 107 del Trattato CE). Il SEBC definisce ed attua la politica monetaria della Comunità avendo il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità. Il Sistema Europeo delle banche centrali è inoltre incaricato di tenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;di promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento della Comunità; di vigilare sulle banche e di garantire la stabilità del sistema finanziario (art. 105, paragrafo 2, del trattato Ce).

La struttura della BCE è definita dall’art. 107 del trattato CE che ne prevede i due organi decisionali:- Il Comitato esecutivo. È composto da un Presidente, un Vicepresidente a altri quattro membri. Tutti i componenti del Comitato esecutivo sono scelti di comune accordo, dai capi di Stato e di governo degli Stati partecipanti all’area euro, su raccomandazione del Consiglio, dopo aver consultato il Parlamento europeo e il Consiglio direttivo della BCE. La funzione più importante del Comitato esecutivo è l’attuazione delle decisioni di politica monetaria adottate dal Consiglio direttivo, impartendo le necessarie istruzioni alle Banche centrali nazionali. È inoltre responsabile della gestione degli affari correnti della BCE, quali la sicurezza interna e l’amministrazione, e della preparazione delle riunioni del Consiglio direttivo attraverso la scelta degli argomenti oggetto di dibattito e della relativa

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documentazione. Il Comitato esecutivo delibera a maggioranza semplice dei votanti; ad ogni membro spetta un voto, con prevalenza del voto del Presidente in caso di parità;- Il Consiglio direttivo, che comprende i membri del Comitato esecutivo, nonchè i governatori delle Banche centrali dei paesi dell’area euro. Anche in questo caso, il Consiglio decide a maggioranza semplice; ogni membro ha diritto ad un voto e , in caso di parità, prevale il voto del Presidente. Il compito di questo organo è adottare gli indirizzi e prendere le decisioni necessarie ad assicurare l’assolvimento dei compiti affidati al SEBC: formula la politica monetaria della Comunità, decide sugli obiettivi monetari intermedi, i tassi d’interesse guida e l’offerta di riserve nel SEBC. Ad esso, inoltre spetta deliberare in materia di quote di capitale della BCE (ripartizione delle quote, trasferimento delle riserve valutarie dalle Banche centrali alla BCE, distribuzione e gestione del reddito monetario delle Banche centrali).

Funzione principale della BCE è, come per qualsiasi altra banca centrale, il controllo della liquidità. La sorveglianza sulla base monetaria (la moneta legale e le altre attività finanziarie trasformabili immediatamente in moneta legale) si fonda essenzialmente sui seguenti strumenti:

- l’acquisto e la vendita di titoli (operazioni di mercato aperto);- la fissazione della riserva minima obbligatoria che gli enti creditizi devono detenere presso le Banche centrali nazionali o presso la stessa BCE;- le operazioni di credito con gli istituti creditizi e gli altri operatori di mercato ed il tasso a cui tali operazioni avvengono.

Ulteriori strumenti possono essere individuati, a maggioranza dei due terzi dei votanti, del Consiglio direttivo.Il trattato inoltre, prevede che la BCE trasmetta al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione ed al Consiglio europeo una relazione annuale sulle attività della SEBC e sulla politica monetaria dell’anno precedente e dell’anno in corso. Inoltre, la BCE è tenuta la pubblicare ogni settimana un rendiconto finanziario consolidato del SEBC e, ogni tre mesi, rapporti sulle attività dello stesso. Infine è previsto un controllo giurisdizionale sugli atti ed i comportamenti omissivi della BCE: competente per l’esame e l’interpretazione di tali atti è la Corte di giustizia.

Infine, la BCE viene consultata:

- in merito a qualsiasi proposta di atto comunitario che rientri nelle sue competenze;- dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrano nelle sue competenze.

Può inoltre formulare pareri da sottoporre agli organi comunitari su questioni che rientrano nelle sue competenze e irrogare sanzioni alle imprese che non osservano gli obblighi imposti dai regolamenti e dalle decisioni da essa adottati.

Ai membri della BCE e a quelli del SEBC è richiesta e garantita assoluta autonomia e indipendenza sia nei confronti dei governi nazionali, che degli altri organi comunitari, con i quali, tuttavia essi mantengono stretti collegamenti.

MEDIATORE EUROPEO (ARTICOLI 21,195 TRATTATO CE) P. Nikiforos Diamandouros (Grecia)Mandato: 5 anni, rinnovabile È stato introdotto dall’art. 195 del trattato CE, ed è l’organo abilitato a ricevere le denunce – di qualsiasi cittadino dell’Unione o di qualsiasi persona fisica che risieda o abbia la propria sede in uno Stato membro – riguardanti i casi di cattiva amministrazione da parte degli organi comunitari.

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Come per la Commissione d’inchiesta, anche in questo caso, il trattato fa esplicitamente salve le competenze della Corte di Giustizia e del Tribunale primo grado.La procedura di elezione del Mediatore europeo è stabilita agli artt. 177-179 del regolamento interno del Parlamento. Spetta al presidente del Parlamento lanciare un appello, subito dopo la sua elezione, per la presentazione delle candidature in vista della nomina del Mediatore; tali candidature devono essere appoggiate da almeno 32 deputati di almeno due Stati membri. La votazione in seno al Parlamento avviene a scrutinio segreto e alla maggioranza dei voti espressi. Secondo quanto stabilito dall’art. 6 dello statuto per l’esercizio delle sue funzioni, il Mediatore europeo viene scelto tra personalità che siano cittadini dell’Unione in possesso dei diritti civili e politici, che offrano piena garanzia di indipendenza e soddisfino tutte le condizioni richieste per ricoprire questa carica.

Con decisione 95/376/CE/EURATOM/CECA del 12 luglio 1995, il Parlamento ha designato il finlandese Jacob Sodermann, riconfermato nel 1999.Il grado di indipendenza di quest’organo è garantito, per un verso, dal fatto che esso non accetta istruzioni da parte di alcun organismo per la durata della sua funzione; per un altro verso, dalla previsione tassativa di incompatibilità tra la predetta carica e qualsiasi altra attività professionale, sia essa remunerata o meno.

In più, la rimozione del Mediatore avviene ad opera della Corte di giustizia la quale, su richiesta del Parlamento, può dichiararlo dimissionario nel caso in cui non risponda più ai requisiti di indipendenza prescritti.

L’attività del Mediatore si estrinseca sulla base delle denunce presentategli direttamente o tramite un membro del Parlamento europeo compiendo le indagini necessarie e, qualora constati un caso di cattiva amministrazione, egli ne investe l’autorità interessata che – entro tre mesi – dovrà pronunciarsi con un parere.Le denunce presentate devono avere determinati requisiti, secondo quanto stabilito dallo statuto del Mediatore:

- nella denuncia devono essere identificati l’oggetto e l’autore della denuncia;- la denuncia deve essere presentata entro due anni a decorrere dalla data in cui i fatti che la giustificano sono portati a conoscenza del ricorrente e deve essere preceduta dai passi amministrativi appropriati presso le istituzioni o gli organi interessati;- se la denuncia ha ad oggetto i rapporti di lavoro tra le istituzioni e organi comunitari e i loro dipendenti, devono essere esaurite le possibilità interne di domanda o di ricorso amministrativo.

Il Mediatore trasmette quindi una relazione al Parlamento europeo ed alla istituzione interessata, mentre la persona che ha sporto denuncia viene informata del risultato delle indagini; annualmente il Mediatore presenta al Parlamento europeo una relazione sui risultati delle stesse.

CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA (ARTICOLI 202-210 TRATTATO CE) Membri: rappresentanti a livello ministeriale dei 15 stati membri

Segretario generale (2004): Javier Solana (Spagna)

Sede di riunione:Bruxelles, tranne che in aprile, giugno e ottobre, mesi in cui le riunioni si svolgono in Lussemburgo

Il Consiglio costituisce l'organo più importante della comunità europea. Ai sensi del trattato CE esso "prevede al coordinamento delle politiche economiche" (art. 202) e "dispone di un potere decisionale" che è tuttavia limitato dalle condizioni poste dai trattati: obbligo di attendere la proposta della Commissione, obbligo di consultare il Parlamento qualora

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previsto e obbligo di soggiacere alle procedure di cooperazione e codecisione nei casi in cui siano disposte. Il Consiglio, infine, ha il potere di concludere accordi con Stati terzi nonché di approvare il bilancio in cooperazione col Parlamento.Gli atti del Consiglio richiedono spesso lunghi lavori preparatori; per questo il Trattato sulla fusione degli esecutivi del1965 ha previsto l'istituzione di un Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), costituito da personale diplomatico dei vari Stati, il cui compito è quello di preparare i lavori del Consiglio coordinando l'attività di una serie di gruppi di lavoro competenti per materia.

Storicamente è l’istituzione comunitaria dotata dell’effettivo potere decisionale. In esso sono rappresentati i governi degli Stati membri. Questi ultimi inviano un rappresentante, che in genere, ma non necessariamente, è un ministro o un sottosegretario. La sua composizione varia da una riunione all’altra, secondo gli argomenti trattati. Il Consiglio degli Affari esteri, che in genere si riunisce una volta al mese, costituisce il Consiglio Affari generali, competente in materia di questioni di politica generale. Oltre a questo vi sono i diversi “Consigli specializzati”, che si riuniscono circa 80 volte l’anno per esaminare questioni d’ordine tecnico pertinenti al settore di loro competenza. A seconda del campo specifico, si parlerà di Consiglio Ecofin, di Consiglio Agricoltura, di Consiglio Trasporti, Consiglio Affari sociali e cosi via.Gli Stati membri assicurano la presidenza del Consiglio per l’arco di 6 mesi in un ordine di avvicendamento stabilito all’unanimità dal Consiglio. Il cambio di presidenza ha luogo ogni anno al 1° gennaio e al 1° luglio. Data la frequenza relativamente elevata nel cambio di presidenza, è stata costituita una “troika”, cioè un organo composto dalla presidenza di turno del Consiglio, dalla presidenza precedente e da quella successiva, in modo da assicurare una certa continuità.Spetta alla presidenza del Consiglio dare un orientamento alle attività del Consiglio e dei suoi comitati. Inoltre essa riveste un’importanza politica in quanto lo Stato membro in carica svolge un ruolo di primo piano sulla scena internazionale e ciò consente anche ai piccoli Stati membri di misurarsi con i grandi sul piano politico e di affermarsi nella politica europea. Nel quadro della CE e della CEEA il Consiglio costituisce innanzitutto (articolo 202 trattato CE) un organo legislativo e decisionale. Esso deve inoltre provvedere al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.

Le deliberazioni del Consiglio possono assumere la forma di risoluzioni non vincolanti o di decisioni vincolanti. La realizzazione dell’Unione economica e monetaria a cui ha dato il via il trattato UE ha contribuito a rafforzare ed ampliare, in modo consistente, le attribuzioni del Consiglio in questo ambito di competenze. Pertanto, i suoi “indirizzi di massima delle politiche economiche”, sono stati rafforzati tramite una procedura che consente di rivolgere “raccomandazioni” allo Stato membro la cui politica economica non sia coerente con essi; può formulare “intimazioni” o addirittura infliggere “ammende”.Il Consiglio inoltre, stabilisce il “progetto di Bilancio” sulla base di un progetto preliminare della Commissione; raccomanda al Parlamento europeo di dar atto alla Commissione dell’esecuzione del bilancio; nomina i membri della Corte dei conti, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.Il Consiglio inoltre è l’autorità amministrativa suprema di tutti i funzionari e agenti della CE.Infine, esso decide in merito alla conclusione di accordi tra la Comunità e i paesi terzi o le organizzazioni internazionali.

Il suo processo decisionale.Le procedure di votazione in Consiglio prevedono il voto all'unanimità, quello a maggioranza semplice e quello a maggioranza qualificata. Per le votazioni in seno al Consiglio, viene seguito, secondo quanto stabilito dai trattati, il principio della “regola della maggioranza”. Salvo disposizioni contrarie, è sufficiente la maggioranza semplice, secondo cui ogni Stato dispone di un voto. Di norma, tuttavia, è prescritta una maggioranza qualificata, per la quale i trattati hanno fissato una ponderazione dei voti che riserva agli Stati membri più grandi, un peso maggiore.

Il trattato di Nizza prevede una modifica che entrerà in vigore il 1° gennaio 2005 e che riguarda la ponderazione dei voti. In base ad essa, è stato ricalcolato il numero di voti attribuiti a ciascun Stato membro, compresi i dieci nuovi Stati che sono appena entrati nella Comunità.

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Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna 29; Spagna e Polonia 27; Paesi Bassi 13; Belgio, Grecia, Portogallo, Repubblica ceca e Ungheria 12; Austria e Svezia 10; Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania e Repubblica slovacca 7; Cipro, Estonia, Lettonia, Lussemburgo e Slovenia 4; Malta 3.

In base alle nuove regole ci sarà dunque una maggioranza qualificata quando:

La maggioranza degli Stati membri approva (in alcuni casi è richiesta una maggioranza di 2/3)

Vengono espressi come minimo 232 voti a favore della proposta cioè il 72,3% del totale.Inoltre ogni Stato membro può chiedere la conferma che i voti a favore rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell'Unione. Se così non dovesse essere la decisione non verrà adottata.

L’importanza del voto a maggioranza risiede innanzitutto nel fatto che impedisce ai piccoli Stati di bloccare importanti decisioni, e poi nel fatto che consente di raggiungere un’intesa fra i grandi Stati membri.Nel caso di decisioni da prendere su questioni politiche particolarmente delicate, i trattati prevedono che le votazioni seguano il principio dell’unanimità, ai fini della quale è necessario che tutti i membri del Consiglio siano presenti, o almeno rappresentati da altri membri, sebbene eventuali astensioni non possono impedire l’adozione di una decisione. La regola dell’unanimità si applica alle questioni fiscali, alla libera circolazione dei lavoratori o ai regolamenti relativi ai diritti e agli interessi dei lavoratori.

Composizione: il Consiglio è composto da 25 membri, ciascuno dei quali rappresenta uno Stato. Il loro mandato non è cronologicamente definito in quanto gli Stati possono richiamare i propri funzionari a piacimento come nel caso dei cambi di Governo. La presidenza, invece, viene esercitata a turno da uno degli Stati membri per un periodo di sei mesi (il cosiddetto "semestre di Presidenza dell'Unione"). Al vertice del Consiglio si trova il Segretariato generale il quale è anche Segretario dell'UEO nonché Alto rappresentante della PESC.

CONSIGLIO AFFARI GENERALI E RELAZIONI ESTERNE

Il Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne (CAG-RE) - del quale sono titolari i Ministri degli Affari Esteri degli Stati membri – si riunisce una volta al mese a Bruxelles o a Lussemburgo e svolge funzioni fondamentali nel sistema dei rapporti interni ed esteri dell'Unione europea. È responsabile per le questioni istituzionali ed i negoziati di ampliamento (formulando le appropriate direttive alla Commissione) ed esercita altresì un ruolo di coordinamento delle politiche settoriali dell'Ue. In quanto formazione consiliare a competenza trasversale, ai sensi del Trattato, prepara le riunioni del Consiglio europeo. Il Consiglio si occupa, inoltre, delle relazioni dell'Ue con il resto del mondo. In questo ambito sono comprese la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), le relazioni economiche esterne, gli aiuti allo sviluppo e gli interventi umanitari. La Presidenza di turno del Consiglio, il Segretario Generale del Consiglio e Alto rappresentante per la PESC, nonché il Commissario europeo responsabile per le relazioni esterne lavorano in stretto contatto per assicurare continuità e coesione nella politica estera dell'Ue.

TROÏKA

La Troïka è costituita dallo Stato membro che detiene la presidenza del Consiglio, dallo Stato membro che la deteneva nel semestre precedente e dallo Stato membro che la deterrà nel semestre successivo. Essa è assistita dalla Commissione e rappresenta spesso l'Unione nelle relazioni esterne facenti capo alla politica estera e di sicurezza comune (PESC).

La Troika nella sua forma attuale è stata rimaneggiata dal trattato di Amsterdam per lasciare posto ad un sistema dove la presidenza è assistita, da un lato, dal Segretario

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generale del Consiglio, che esercita le funzioni di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e, dall'altro, dallo Stato membro che eserciterà la presidenza successiva.

UNANIMITÀ

L'unanimità sta ad indicare l'obbligo di raggiungere il consenso unanime tra tutti gli Stati membri in sede di Consiglio, affinché una determinata proposta possa essere adottata. Dopo l'adozione dell'Atto unico europeo, il campo di applicazione dell'unanimità è nettamente più ristretto che in passato. Infatti, nel contesto comunitario del primo pilastro il voto a maggioranza qualificata costituisce attualmente la regola generale. Per contro, il secondo ed il terzo pilastro sono ancora totalmente soggetti al metodo intergovernativo e alla procedura di voto all'unanimità.

MAGGIORANZA SEMPLICE Si ha maggioranza semplice quando si raggiunge almeno la metà più uno dei votanti.La votazione a maggioranza semplice dei componenti il Consiglio dell’Unione europea costituisce la regola per le deliberazioni di quest’organo secondo quanto stabilito dal 1° paragrafo dell’art. 205: se non altrimenti indicato nel trattato questa istituzione adotta la procedura della maggioranza semplice.In realtà le materie in cui il Consiglio può votare a maggioranza semplice sono estremamente limitate in quanto il trattato (almeno per le politiche più importanti) prevede quasi sempre procedure diverse, in primis quella a maggioranza qualificata

MAGGIORANZA QUALIFICATA La maggioranza qualificata corrisponde al numero di voti che devono essere raccolti in sede di Consiglio affinché siano valide le deliberazioni adottate a norma dell'articolo 205 (ex articolo 148), paragrafo 2, del trattato istitutivo della Comunità europea. I voti di ciascuno Stato membro non hanno però uguale peso, perché le votazioni avvengono con il sistema del voto ponderato, che attribuisce un valore diverso a ciascuno Stato, a seconda della sua importanza demografica e politica all’interno della Comunità (Ponderazione dei voti).La soglia della maggioranza qualificata è fissata a 62 voti su 87 (71% dei voti). Il voto è ponderato come segue: Germania, Francia, Italia e Regno Unito: 10 voti; Spagna: 8 voti; Belgio, Grecia, Paesi Bassi e Portogallo: 5 voti; Austria e Svezia: 4 voti; Danimarca, Irlanda e Finlandia: 3 voti; Lussemburgo: 2 voti.

In dettaglio, viene attribuito un numero di voti più alto ai paesi maggiori (Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia) e, proporzionalmente, un numero inferiore agli altri paesi.Quando la delibera che il Consiglio deve votare è presa su proposta della Commissione, è sufficiente una maggioranza qualificata (62 voti su 87) dei voti espressi, indipendentemente dal numero di Stati che hanno votato a favore.Quando invece si tratta di votare una delibera per la quale non c’è stata la proposta della Commissione, il che può avvenire in alcuni casi previsti dal trattato, i (62) voti che servono a raggiungere la maggioranza qualificata devono provenire da almeno due terzi degli Stati membri (maggioranza qualificata rafforzata); la ratio di tale norma è quella di tutelare gli Stati minori.

COREPER L’accrescersi col tempo della mole del lavoro comunitario, ha fatto sì che con il Trattato sulla fusione degli esecutivi del 1965 venisse istituito un Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (COREPER), costituito dalle rappresentanze diplomatiche presso le Comunità.Più precisamente il COREPER si riunisce a due livelli:— (COREPER I) per trattare gli affari correnti, di procedura o essenzialmente tecnici.— (COREPER II) per trattare gli affari di rilievo politico e relazioni esterne;Esso provvede a:— coordinare l’attività di una serie di gruppi di lavoro, formati da esperti dei governi nazionali in relazione a materie specifiche;— predisporre l’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea;

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— organizzare comitati permanenti o ad hoc per la trattazione sistematica di problemi specifici;— adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio.

SEGRETARIO GENERALE

Il Segretariato generale si occupa in particolare della preparazione delle riunioni del Consiglio europeo e gestisce il bilancio comunitario. Attualmente ricopre questo incarico Javier Solana, che è coadiuvato da un segretario generale aggiunto, Pierre de Boissieu, responsabile della direzione del Segretariato generale sotto il profilo organizzativo. Entrambi sono nominati dal Consiglio.

MAGGIORANZA QUALIFICATA RAFFORZATA

L'idea di avvalersi di una maggioranza qualificata rafforzata discende dalla convinzione, condivisa da alcuni Stati membri (nonché dalla Commissione europea) che il mantenimento della regola dell'unanimità porterebbe frequentemente alla paralisi in un'Unione ampliata. In alcuni casi, quindi, il ricorso all'unanimità potrebbe essere sostituito dal ricorso alla maggioranza qualificata rafforzata, ossia una maggioranza superiore alla soglia normale del 71% dei voti che caratterizza generalmente il voto maggioritario. Il campo di applicazione e la fissazione della soglia ha fatto l'oggetto di numerose proposte.

Questa opzione potrebbe essere dibattuta nel corso della prossima Conferenza intergovernativa che sarà dedicata al riesame radicale delle disposizioni dei trattati con riguardo alla composizione ed al funzionamento delle istituzioni. Un protocollo allegato al trattato sull'Unione europea dal trattato di Amsterdam, stabilisce che la conferenza sarà convocata almeno un anno prima che l'Unione europea conti oltre venti Stati membri.

PONDERAZIONE DEI VOTI NELL'AMBITO DEL CONSIGLIO

All'atto del voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio, la ponderazione dei voti è il frutto di un compromesso tra Stati membri eguali in diritto, ma aventi caratteristiche diverse. Il numero dei voti attribuito agli Stati membri è in particolare determinato dalla consistenza delle popolazioni rispettive e da un meccanismo di adeguamento che è all'origine di una rappresentanza relativamente eccessiva degli Stati membri la cui popolazione è numericamente più debole.

Questo sistema ha finora ben funzionato in quanto ha consentito di garantire la legittimità delle decisioni adottate. Infatti, secondo l'attuale ripartizione, i "grandi" paesi non possono mettere in minoranza i "piccoli" paesi e viceversa. Si garantisce così che le decisioni prese a maggioranza qualificata si basino sul più ampio consenso possibile.

Nella prospettiva dell'allargamento si prevede di rivedere la scala delle ponderazioni affinché il peso relativo dei "piccoli" e "medi" paesi non sia sproporzionato rispetto alla loro consistenza demografica. Oltre che sull'adeguamento del numero dei voti concesso a ciascuno Stato membro, la discussione si è anche appuntata sull'eventuale introduzione di un sistema di duplice maggioranza.

Con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, è stato allegato al trattato sull'Unione europea un protocollo relativo alle istituzioni. Esso prevede in particolare che, per riesaminare a fondo le disposizioni dei trattati in materia di composizione e di funzionamento delle istituzioni, una nuova Conferenza intergovernativa sarà convocata almeno un anno prima che l'Unione conti oltre venti Stati membri. Il protocollo lega inoltre la questione della ponderazione dei voti al numero dei membri della Commissione.

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Alcuni Stati membri e la Commissione europea insistono sul fatto che la questione della ponderazione dei voti, nonché quella - più vasta - dell'allargamento, devono essere associate all'estensione del voto a maggioranza qualificata (cfr. in proposito la dichiarazione comune del Belgio, della Francia e dell'Italia, allegata all'Atto finale della Conferenza intergovernativa).

PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Il trattato di Amsterdam rafforza il ruolo e la posizione del presidente della Commissione. Oramai, i governi degli Stati membri designano, di comune accordo, la persona che intendono nominare presidente della Commissione. La scelta deve essere approvata dal Parlamento europeo.

In seguito, i governi degli Stati membri designano, di comune accordo con il presidente prescelto, le altre persone che intendono nominare membri della Commissione. Il nuovo presidente stabilisce gli orientamenti politici per consentire alla Commissione di assolvere ai propri compiti e decide in merito all'attribuzione delle competenze ai singoli componenti del Collegio, nonché in merito a qualsiasi modificazione delle stesse competenze, ove lo ritenga opportuno nel corso del suo mandato.

Nella dichiarazione aggiunta al trattato istitutivo della Comunità europea con riguardo all'organizzazione ed al funzionamento della Commissione, si esprime l'auspicio che, per motivi di coerenza, le relazioni esterne siano poste sotto la responsabilità di un vicepresidente (attualmente le relazioni esterne sono ripartite tra cinque commissari).

PRESIDENZA DELL'UNIONE (ROTAZIONE DELLA PRESIDENZA)

La presidenza dell'Unione è organizzata secondo un sistema di avvicendamento semestrale in forza del quale ciascuno Stato membro esercita la carica per un periodo di 6 mesi. L'esercizio della presidenza costituisce un dovere ed un contributo di ciascuno Stato membro al buon funzionamento delle istituzioni comunitarie. Al ritmo attuale, uno Stato membro detiene la presidenza ogni sette anni e mezzo.

DUPLICE MAGGIORANZA

Nella prospettiva di un'Europa ampliata, sono state formulate delle proposte al fine di conservare l'attuale equilibrio tra "grandi" e "piccoli" paesi nel corso del processo decisionale a livello del Consiglio. Richiedendo una maggioranza degli Stati membri e della popolazione dell'Unione, si eviterebbe quella che alcuni ritengono che sia un'evoluzione verso la "rappresentanza eccessiva" dei piccoli paesi.

Ad esempio, la soglia della maggioranza qualificata (che attualmente è di circa 70%) potrebbe essere conservata, ma gli Stati membri che hanno votato in favore dovrebbero rappresentare i tre quinti della popolazione europea. Le soglie di questa duplice maggioranza potrebbero variare in funzione dei settori.

La questione istituzionale che riguarda la presa di decisioni nell'Europa ampliata non è stata risolta nel corso dell'ultima Conferenza intergovernativa del 1996-97. Comunque, con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, è stato allegato al trattato sull'Unione europea un protocollo in merito alle istituzioni nella prospettiva dell'allargamento. Il protocollo ricollega la questione della presa di decisioni in sede di Consiglio alla composizione della Commissione, stabilendo che alla data del primo prossimo allargamento quest'ultima sarà costituita da un cittadino di ciascuno Stato membro, a condizione che alla stessa data la ponderazione dei voti in sede di Consiglio sia stata modificata attraverso una nuova ponderazione dei voti, ovvero attraverso una duplice maggioranza. Il protocollo prevede anche che una nuova Conferenza intergovernativa sarà convocata almeno un anno prima

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che l'Unione europea conti oltre 20 membri. L'obiettivo è di rivedere le regole del funzionamento istituzionale dell'Unione europea.

LA PESC

La PESC è uno degli strumenti fondamentali di cui dispone l’UE nell’ambito delle relazioni esterne. Dopo il fallimento dei tentativi di dar vita ad una politica europea di difesa negli Anni ’50 e ’60 con il Piano Pleven ed il Piano Fouchet, si è pensato di trasferire le competenze in maniera più progressiva . Da allora tale possibilità si è concretizzata nella Cooperazione politica europea (CPE) varata informalmente nel 1970 durante il Vertice di Lussemburgo e poi istituzionalizzata con l'Atto unico europeo nel 1987. La CPE prevedeva la consultazione fra gli Stati membri in materia di politica estera di interesse generale mentre le iniziative comuni rimanevano di competenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE, ex CSCE ) . Dopo l’istituzionalizzazione del Consiglio europeo nel 1974, la CPE si è notevolmente rinforzata grazie al migliorato coordinamento fra i capi di governo nella definizione delle linee di politica estera.

Dopo un’ulteriore implementazione con l’adozione del Rapporto di Londra del 1981 che prevedeva consultazioni preliminari per qualsiasi questione di politica estera che riguardasse gli stati membri, la CPE fu istituzionalizzata con l’Atto Unico del 1986 che ne estendeva gli obbiettivi a tutte le questioni di politica estera.

All'inizio degli anni '90, sotto la spinta del cambiamento geopolitico del continente europeo (riunificazione tedesca, crollo dell'Unione Sovietica, fine del Patto di Varsavia) e dell'acuirsi di tensioni nazionalistiche nell'area dei Balcani, tensioni che sfociarono nella disintegrazione della Jugoslavia, gli Stati membri decisero di dotarsi di uno strumento più formale della CPE e con il Trattato di Maastricht (1993) fu avviata una nuova politica intergovernativa, la PESC, che rappresenta il secondo pilastro dell'edificio comunitario.

Con il Trattato di Maastricht (titolo V) la CPE, ora PESC, viene inquadrata nell’ambito dell’edificio comunitario, nel secondo pilastro intergovernativo. Fra gli obbiettivi che vi figurano emergono:

La difesa dei valori e degli interessi fondamentali dell’Unione Il rafforzamento della sicurezza dell’Unione Il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale La promozione della cooperazione internazionale Il rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto nonché il rispetto dei diritti

umani

In quanto ambito di cooperazione intergovernativo la PESC prevede il consenso degli Stati membri mentre nei settori comunitari tradizionali quali il mercato interno e la politica commerciale, basta la votazione a maggioranza. Il ruolo di impulso e orientamento della PESC spetta al Consiglio europeo che adotta "strategie comuni" da realizzare mediante "azioni comuni" e "posizioni comuni".Il Trattato di Amsterdam ha rilanciato la PESC introducendo la figura dell’Alto rappresentante per la PESC (comunemente indicato come Mr. Pesc) che ha il compito di assistere il Consiglio sulle questioni che riguardano il settore della politica estera contribuendo all’attuazione delle decisioni. Su richiesta della presidenza del Consiglio egli gestisce anche il dialogo coi paesi terzi. Dopo Amsterdam l’Europa dispone infine di un’Unità di programmazione e di rapido allarme, sotto la responsabilità dell’Alto rappresentante PESC. Quest'ultima, composta da esperti provenienti dal Segretariato generale del Consiglio, dai Paesi membri, dalla Commissione e dall'UEO (Unione dell'Europa Occidentale), ha lo scopo di monitorare gli sviluppi della situazione internazionale ed elaborare opzioni per la definizione di politiche in sede di Consiglio permettendo agli stati membri di agire insieme sul piano logistico soprattutto nell’individuazione per tempo di potenziali crisi internazionali. Mr. Pesc - carica attualmente ricoperta da Javier Solana - viene nominato dai capi di Stato e di Governo dei Paesi dell'UE.

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La Presidenza di turno rappresenta l'Unione per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune con la piena associazione della Commissione. In tale funzione la Presidenza è assistita dall'Alto Rappresentante dell'Ue per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, Javier Solana e, ove necessario, dallo Stato membro che eserciterà la Presidenza successiva. In tal caso si configura la cosiddetta "Troika" (Presidenza in carica, Presidenza successiva e Alto rappresentante, sempre con l'associazione della Commissione).

Con il Trattato di Amsterdam sono state anche adottate modifiche al processo decisionale, fino a quel momento sempre caratterizzato dal voto all'unanimità. È stata introdotta la possibilità, sia pure molto limitata, di voto a maggioranza qualificata con la doppia garanzia rappresentata dall'astensione costruttiva e dalla possibilità di rinviare una decisione al Consiglio europeo in caso di veto eccezionale di uno Stato membro (il cosiddetto "freno di emergenza"); alla Commissione è stato riconosciuto un ruolo più significativo a livello di rappresentanza e di attuazione e si è proceduto alla trasformazione dell'UEO in una struttura specializzata dell'Unione.

Il Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000) ha introdotto ulteriori modifiche. In particolare, è stata resa possibile la cooperazione rafforzata tra un gruppo formato almeno da otto Stati membri. Tali particolari forme di cooperazione possono riguardare l'attuazione di un'azione o di una posizione comune, ma sono escluse per quelle azioni o posizioni che abbiano implicazioni di ordine militare o di difesa. Se nessuno Stato membro si oppone o chiede una posizione unanime al Consiglio europeo (ovvero aziona il già richiamato "freno d'emergenza"), la cooperazione rafforzata viene decisa a livello di Consiglio a maggioranza qualificata.

Oltre alla Nato che svolge un ruolo importante nell’attuazione delle Missioni di Petersberg collaborano alla PESC soprattutto l’OSCE che si occupa di prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi, democratizzazione (come in Bosnia-Erzegovina ed in Kosovo) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

LA PESD

La Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) è parte della PESC, cioè uno strumento della politica estera dell'Unione. Essa è finalizzata alla gestione delle crisi e alla prevenzione dei conflitti, avvalendosi di strumenti sia militari che civili. Il Trattato di Maastricht ha posto altresì la prospettiva che la PESD possa evolvere - quando vi sarà generale consenso - in una vera e propria identità di difesa europea.

La Politica europea di sicurezza e di difesa è dunque articolata in tre componenti: le prime due, la gestione delle crisi militari e di quelle civili, sono chiamate le Missioni di Petersberg (missioni umanitarie, di mantenimento della pace e di ripristino della pace) mentre la terza è costituita dalla prevenzione dei conflitti. La riuscita di questo capitolo sulla gestione delle crisi dipende dalla collaborazione con la Nato in quanto l’UE dovrà poter utilizzare i mezzi della Nato a livello di capacità militari e di pianificazione degli interventi.

Nel giugno 1999, il Consiglio europeo di Colonia ha inserito la gestione delle crisi al centro del processo di potenziamento della PESC. Il Consiglio europeo di Helsinki nel dicembre 1999 ha stabilito (il cosiddetto “obbiettivo globale”) che entro il 2003 gli Stati membri devono essere in grado, grazie ad una cooperazione volontaria alle operazioni dirette dall'Ue, di schierare un forza di intervento rapida nell'arco di 60 giorni e mantenere per almeno un anno forze militari complessive fino a un massimo di 50.000-60.000 uomini con la partecipazione di alcuni paesi candidati e sotto l’autorità del Comitato politico e di sicurezza (COPS), da impiegare in missioni umanitarie e di pace (cioè le c.d. missioni di Petersberg).

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Sempre a Helsinki è stata decisa l'istituzione, nell'ambito del Consiglio, di nuovi organi e strutture politiche e militari per consentire all'Unione di garantire la necessaria guida politica e direzione strategica di tali operazioni, nel rispetto del quadro istituzionale unico.

Oltre a ciò il Consiglio di Feira (1999) ha creato la cooperazione di polizia prevedendo la possibilità di mettere in campo fino a 5000 agenti di polizia per missioni che possono andare dal ristabilimento dell’ordine pubblico fino alla formazione degli agenti locali.

Il Consiglio europeo di Nizza nel dicembre 2000 ha poi dato il via alla creazione di diverse strutture. Tra queste, il Comitato politico e di sicurezza (COPS) al quale spetta il compito di seguire l'andamento della situazione internazionale, contribuire alla definizione delle politiche e controllare l'attuazione di quelle adottate. Nel giugno 2001, al vertice di Göteborg, viene approvato il programma dell'Unione europea per la prevenzione dei conflitti e in dicembre il Consiglio europeo di Laeken adotta una dichiarazione di operatività della politica estera comune di sicurezza e di difesa. Da allora, tutti i Consigli europei hanno mirato ad affinare e potenziare gli strumenti della PESD con l'obiettivo di renderla pienamente operativa a partire dal 2003.

La prima operazione in ambito PESD è stata avviata il primo gennaio 2003. La missione di polizia dell'Unione europea in Bosnia-Erzegovina (EUPM) è subentrata alla Forza di polizia internazionale delle Nazioni Unite istituita con l'accordo di Parigi/Dayton nel 1995. Inoltre, il 18 marzo 2003 l'Unione ha deciso di avviare la sua prima operazione militare subentrando all'operazione della Nato "Allied Harmony" nell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM). Scopo dell'operazione militare diretta dall'UE - denominata "Concordia" - è di contribuire ad assicurare il rispetto degli accordi di riconciliazione nazionale che nel 2001 posero fine al conflitto tra maggioranza slava e minoranza albanese. L'operazione fa ricorso alle capacità di pianificazione della NATO, nonché ai mezzi e alle capacità comuni di tale organizzazione.

Base giuridica

Trattato Ue: Titolo V (Art. dall'11 al 28)

EUROFOR E EUROMARFOR

Nate nel 1995, sia l’Eurofor (Forza Operativa Europea di Reazione Rapida), sia l’Euromarfor sono forze di intervento multinazionale a livello di grande unità costituite da Francia, Italia, Spagna e Portogallo. Nessuna di queste nazioni può esserne considerata il leader in quanto il comando viene assunto a rotazione. Compito principale di questa forza “ad alta prontezza operativa” è compiere missioni di PSO (Peace Support Operations, Operazioni di Supporto alla Pace): missioni umanitarie e di soccorso, di mantenimento (peace-keeping, peace-building) e imposizione della pace (peace-enforcement) nel rispetto della Dichiarazione di Petersberg. Il Comando multinazionale permanente dell’Eurofor ha sede a Firenze, mentre quello dell’Euromarfor viene ospitato dalla nazione che ne detiene il comando a rotazione.

DICHIARAZIONE DI PETERSBERG (MISSIONI DI PETERSBERG)

La Dichiarazione di Petersberg del 19 giugno 1992 è al centro del processo che dovrà portare allo sviluppo dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO), in quanto componente della difesa dell'UE e in quanto strumento volto a rafforzare il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica (NATO). Le tre parti della dichiarazione stabiliscono le linee direttrici che devono guidare il futuro sviluppo dell'UEO.

Gli Stati membri dell'UEO si dichiarano pronti a mettere a disposizione dell'UEO delle unità militari provenienti dall'insieme delle loro forze convenzionali ai fini di missioni militari che verrebbero condotte sotto l'autorità dell'UEO. Le varie missioni militari verrebbero condotte sotto l'autorità dell'UEO. Queste missioni sono state precisate: oltre al contributo alla difesa comune in applicazione dell'articolo 5 del trattato di Washington e dell'articolo V del trattato

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di Bruxelles modificato, le unità militari degli Stati membri dell'UEO potrebbero essere utilizzate per:

missioni umanitarie o di evacuazione di persone; missioni di mantenimento della pace; missioni di forze armate ai fini della gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino

della pace.

Le cosiddette missioni "di Petersberg" sono state incluse dal trattato di Amsterdam nel nuovo articolo 17 del trattato sull'Unione europea.

La dichiarazione di Petersberg precisa inoltre che l'UEO è pronta a sostenere, caso per caso e conformemente alle proprie procedure, l'efficace attuazione delle misure di prevenzione dei conflitti e di gestione di crisi, in particolare le attività inerenti al mantenimento della pace facenti capo alla CSCE (divenuta successivamente OSCE) ed al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Al tempo stesso la dichiarazione si pronuncia in favore di una solida partnership transatlantica e sottolinea l'importanza che riveste l'attuazione della dichiarazione sull'UEO (n. 30), allegata al trattato di Maastricht. La terza parte della dichiarazione riguarda l'ampliamento dell'UEO: gli Stati membri stabiliscono i diritti e gli obblighi degli altri Stati europei membri dell'Unione e dell'Alleanza atlantica in quanto futuri membri, osservatori o associati.

LA FORZA DI INTERVENTO RAPIDA

Pur non essendo ancora un vero e proprio esercito europeo, la Forza di reazione rapida (Ferr) per la gestione delle crisi avrà il compito di gestire operazioni di supporto alla pace e umanitario anche a grande distanza dall'Europa. Composta da un corpo d'armata di 60 mila uomini (15 brigate), la Ferr dovrà essere in grado di inviare in zona d'operazioni una piccola forza mobile in 48 ore e di dispiegarsi per intero in 60 giorni con la capacità di operare per almeno un anno. A supporto della forza terrestre sarà attivata una forza aerea e navale composta da circa 600 velivoli e 100 unità subacquee e di superficie.

LA COMUNITÀ EUROPEA DI DIFESA

La situazione politica mondiale era profondamente mutata dopo la fine del conflitto mondiale e l'inizio della guerra fredda aveva posto agli Stati Uniti il problema della riorganizzazione militare europea, quest'ultima poteva essere realizzata solo restituendo alla Germania l'autonomia per fare parte dell'Alleanza Atlantica. Questa decisione inaspettata preoccupò la Francia la quale sperava di potere avere un ruolo di egemonia all'interno della NATO come maggiore potenza europea. Per questo motivo fu realizzato un progetto per la creazione di una Comunità europea di difesa (Ced), ideato dal primo ministro francese, Plevin che lo espose al Parlamento francese nel 1954. La Ced prevedeva la creazione di forze armate comuni legate alle istituzioni politiche europee, con un ministro europeo della difesa responsabile di fronte ad una assemblea europea. I tempi però non erano ancora maturi per una iniziativa così ambiziosa come dimostrò l'acceso dibattito che seguì immediatamente questa proposta. Lo stato nazione ed il principio di sovranità non erano concetti in crisi e nessun paese, sebbene animato dai migliori intenti di collaborazione, era disposto a cedere la propria sovranità politica ad una o più istituzioni sovranazionali. Il progetto della Ced quindi fallì dimostrando che nessuno stato era pronto a sottoscrivere un impegno di tale importanza. In seguito all'abbandono del progetto si pensò di estendere alla Germania e all'Italia il trattato di Bruxelles che era stato firmato nel 1948 da Francia, Belgio, Gran Bretagna e Lussemburgo come patto di mutua difesa. Nacque così l'Unione Europea Occidentale (UEO), destinata ad acquisire grande importanza negli anni Novanta, dopo la firma del trattato di Maastricht.

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L'Europa UNITA

Per secoli l'Europa è stata teatro di frequenti e sanguinosi conflitti. Tra il 1870 e il 1945 Francia e Germania si sono scontrate tre volte, causando terribili perdite di vite umane. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni leader europei si convinsero che l'unico modo per garantire una pace durevole tra i loro paesi era unirli economicamente e politicamente.

Gli orrori dei due conflitti mondiali, insieme agli orrori che per secoli hanno flagellato il Vecchio Continente hanno portato la classe dirigente del secondo dopo guerra a scegliere una nuova via per superare le divisioni e gli scontri tra gli Stati europei.

Nel 1948 la Gran Bretagna, la Francia, l'Olanda il Lussemburgo e il Belgio firmano il Trattato di Bruxelles, un accordo che prevede fra questi Paesi un intensificarsi dei rapporti militari, economici, sociali e culturali. Un anno dopo Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Norvegia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Francia, Olanda, Belgio e Grecia sottoscrivono il Trattato di Strasburgo, con il quale viene creato il Consiglio d'Europa, un organo consultivo cui partecipano 41 Stati. La nuova via dell'Europa è una via di pace. La scelta consapevole dei popoli d'Europa e dei loro dirigenti è quella di discutere, di concordare, di condividere attraverso la firma di accordi di pace e di cooperazione che non hanno eguali e precedenti sul pianeta.

Fu così che, nel 1950, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose l'integrazione delle industrie del carbone e dell'acciaio dell'Europa occidentale. Da questa proposta scaturì, nel 1951, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), con sei membri fondatori: Belgio, Germania occidentale, Lussemburgo, Francia, Italia e Paesi Bassi. Il potere di prendere decisioni riguardanti l'industria del carbone e dell'acciaio di questi paesi fu conferito ad un organismo indipendente e sopranazionale denominato "Alta Autorità", il cui primo presidente fu Jean Monnet.

Da qui iniziò l'avventuroso cammino dell'Europa che da continente di conflitti e lotte feroci divenne nel giro di cinquant'anni un continente unito nei valori della fratellanza e della cooperazione tra le Nazioni.

Oggi, alla seconda e terza generazione l'Europa è un'isola di pace: l'idea di combattere e di esercitare violenza su un popolo confinante, non fa più parte della nostra cultura. Infatti da oltre mezzo secolo i paesi dell'Unione Europea vivono in pace. I loro obiettivi sono comuni: democrazia, stabilità e crescita.

I cittadini dell'Unione circolano liberamente, lo Stato di diritto è rispettato e difeso. L'Unione europea è una delle tre regioni più prospere del pianeta, le relazioni commerciali non conoscono più barriere ed è stato introdotto l'euro.

Di questo dobbiamo dire grazie alle visioni di grandi statisti e all'impegno e alla coscienza di milioni di liberi cittadini.Questa storia è oggi scritta indelebilmente negli archivi dei primi sei Stati fondatori: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi.La Repubblica Italiana è depositaria di gran parte di questi atti formali perché protagonista di primo piano. A Roma vengono infatti firmati i Trattati Istitutivi della CEE e dell'Euratom.

L'EUROPA

Le definizioni e le connotazioni di “Europa” variano considerevolmente a seconda delle centinaia di milioni di persone che ci vivono. “Europa” era il nome di una principessa fenicia rapita da Giove trasformatosi in un toro bianco. Secondo una teoria, Carlomagno, Re dei Franchi, prese il nome di questa principessa per dare un nome al suo impero, che comprendeva gran parte dell’Europa del medioevo.

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La carta geografica del continente europeo parte da Cabo da Roca in Portogallo, il punto più a ovest, e arriva ai sistemi degli Urali e del Caucaso, a est. Il punto più a nord è Capo Nord, all’interno del Circolo artico in Norvegia, mentre l’estremità meridionale continentale è rappresentata da Punta de Tarifa (in Spagna). L’Europa riunisce 48 Paesi, tra cui una parte della Russia e una parte della Turchia.

Si tratta di un continente dalla demarcazione ben chiara, ma la geografia è materia molto soggettiva: derivano probabilmente dalla storia politica europea, infatti, le differenze di percezione tra chi divide ancora l’Europa semplicemente in “ovest” ed “est” e chi invece identifica un’altra regione, la cosiddetta “Europa Centrale”.

Attualmente, inoltre, “Europa” spesso rappresenta un’abbreviazione usata inconsciamente per esprimere l’entità politica che porta invece il nome di “Unione europea”. Sebbene l’UE riunisca solo 25 Paesi europei, i suoi confini politici vanno comunque oltre i suoi confini geografici: infatti, è ad esempio possibile pagare in euro nei territori d’oltremare francesi, come ad esempio in Guadalupa o Martinica nei Caraibi.

Un’area non viene comunque solitamente definita unicamente in termini geografici o politici. Contano infatti anche gli aspetti culturali. Molti ritengono che i “valori comuni” abbiano un ruolo importante, ed è proprio di questo che si è discusso all’interno dell’UE, lavorando all’elaborazione di una costituzione europea.

Musica e sport sono due delle più importanti aree culturali popolari, soprattutto tra i giovani. A questo proposito, è interessante notare che anche Israele partecipa al concorso europeo “Eurovision Song Contest” (EuroFestival della canzone) e alle competizioni calcistiche europee organizzate dall’UEFA, la federazione europea del calcio.

Il concetto di “Europa” stimola dunque ogni tipo di sentimenti e reazioni. È perciò importante riconoscere che “Europa”, e quindi “l’essere europei”, significa cose differenti a persone differenti.

SISTEMA MONETARIO EUROPEO

Nel marzo 1979 la costituzione del Sistema monetario europeo (SME) (leggi la storia dello SME e il funzionamento dello SME) rappresentò il primo passo verso la realizzazione dell'unione economica e monetaria, inizialmente prevista per il 1980. In realtà questa previsione si rivelò ben presto ottimistica: la situazione era piuttosto complessa innanzitutto a causa dell'andamento fluttuante di ciascuna moneta europea nei confronti delle altre; la svalutazione di alcune monete finì poi col rappresentare un ostacolo alla crescita economica e col determinare un livello di inflazione piuttosto elevato.Obiettivo dello SME era stabilizzare i tassi di cambio e porre un freno all'inflazione, limitando il margine di fluttuazione di ciascuna moneta a un piccolo scostamento rispetto a un valore di riferimento, chiamato parità centrale: qualora questo margine, pari a +/- 2,25%, non fosse stato rispettato, le banche centrali dei rispettivi paesi erano obbligate a intervenire liquidando la valuta più forte e acquistando quella più debole. I governi dei paesi membri s'impegnarono inoltre a realizzare interventi adeguati di politica economica per evitare continui spostamenti della propria moneta dalla parità centrale. Con lo SME si propose anche d'introdurre una moneta unica europea, l'ECU, il cui valore fosse definito in base a un paniere di monete ponderato rispetto all'importanza economica di ciascun paese membro. Questo sistema monetario contribuì sia alla riduzione dei tassi d'inflazione sia all'attenuazione della congiuntura economica degli anni Ottanta, caratterizzata da ampie fluttuazioni valutarie.

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Il sistema dei tassi di cambio, meccanismo principale dello SME, collassò però nel settembre del 1992 in seguito a forti speculazioni attuate sul mercato dei cambi e provocate dagli elevati tassi d'interesse stabiliti dalla banca centrale tedesca dopo la riunificazione delle due Germanie. Italia e Gran Bretagna furono allora costrette a uscire dallo SME (l'Italia vi è poi rientrata nel 1996).

LA NASCITA DEL SISTEMA MONETARIO EUROPEO

Pochi avrebbero potuto immaginare che alla fine del 1977 una nuova grande iniziativa stava per rilanciare l'integrazione monetaria. In quel momento i nove stati membri sembravano essere divisi in due gruppi: uno aveva raggiunto un certo successo mantenendo l'inflazione moderata e aveva continuato a partecipare alla fluttuazione congiunta creata dal serpente. Di questo gruppo facevano parte la Germania, i paesi del Benelux, la Danimarca e la Norvegia come membro associato. Tre delle restanti valute europee (il franco francese, la lira italiana e la sterlina) fluttuavano individualmente, i rispettivi paesi avevano una forte inflazione e registravano grandi deficit sulla bilancia dei pagamenti. La moneta irlandese, infine, era in stretta relazione con quella inglese. Sembrava quindi impossibile trovare un denominatore comune per creare una Unione Monetaria.Alcuni eventi politici favorirono l'idea che le divergenze economiche potessero essere superate: il cambiamento più importante fu nella politica interna francese e tedesca.

Le elezioni del Parlamento francese mostrarono come la coalizione centrista che era al governo fosse stabile e questo consentì alla Francia di perseguire la stabilizzazione economica.

In Germania ci fu un largo appoggio alla coalizione social-democratica di governo. Secondo il Cancelliere tedesco questo era il momento giusto per cercare una alleanza più stretta con i partners europei. In particolare modo proprio la Germania cercava più indipendenza dagli Stati Uniti anche perché la nuova amministrazione Carter non era di suo gradimento. Schmidt continuò a cooperare con gli Stati Uniti, ma nello stesso tempo cercò di legare più saldamente il marco alle monete europee che fluttuavano in modo individuale ritenendo che l'integrazione monetaria avrebbe stabilizzato il commercio e aumentato l'influenza dell'Europa a livello internazionale.

Ci furono diverse iniziative e diversi progetti di attuazione di una Unione Economica e Monetaria, quella più interessante è il piano proposto della Commissione. Nel gennaio del 1977 Roy Jenkins assunse il ruolo di presidente della Commissione Europea in un momento non troppo facile. Jenkins seppe abilmente rilanciare il discorso sull'EMU durante un intervento all'Istituto Europeo di Firenze alla fine del 1978. Nel suo discorso Jenkins riconosceva i benefici che potevano essere conquistati grazie ad un rilancio della coordinazione monetaria erano molto grandi, ma per realizzarli era necessario un piano più radicale di quelli proposti precedentemente, come dimostrava il fallimento del piano Werner. Jenkins pensava ad un trasferimento di funzioni dagli stati alle istituzioni comunitarie secondo le linee proposte dal rapporto Mc Dougall: uno studio sul federalismo fiscale e sulla creazione di una moneta unica voluto dalla Commissione che era stato completato proprio nel 1977.Il discorso tenuto a Firenze aveva lo scopo di persuadere gli stati membri del miglioramento economico che si sarebbe realizzato se si fossero aumentati i poteri della Comunità e ci si fosse mossi verso la stabilità dei tassi di cambio e infine verso la moneta unica. Nel proporre queste idee Jenkins fu influenzato da Triffin, economista, ispiratore dell'EPU e grande sostenitore della moneta unica e da alcuni membri della Commissione tra cui Michael Emerson. La reazione generale fu tuttavia fredda se non addirittura ostile e molti considerarono il piano di Jenkins una semplice utopia.La proposta fu sottoposta ai ministri ECOFIN e al Consiglio Europeo che si imbarcarono in una serie di confronti con una certa riluttanza. Ma inaspettatamente queste discussioni furono superate da idee più ambiziose: l'iniziativa Schmidt-Giscard, sottoposta al Consiglio Europeo di Copenhagen nell'aprile del 1978, proponeva un meccanismo più stretto di

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coordinazione politica e voleva l'istituzione di un Fondo Monetario Europeo. Come era stato possibile ideare, in una tale situazione di incertezza, un progetto così ambizioso?All'inizio del 1978 il problema principale era una rinnovata instabilità del dollaro e ciò che solo due anni prima appariva inconcepibile ora sembrò molto più realistico. Cominciò a sembrare più plausibile la creazione di una stabilità europea piuttosto che continuare a sperare nella stabilità del dollaro. Il Consiglio Europeo che si tenne a Brema il 6 e 7 luglio 1978 definì lo SME come "zona di

stabilità monetaria" stretta almeno quanto il serpente monetario. Una nuova unità, l'ECU (European Currency Unit), sarebbe stata al centro del sistema e usata come mezzo di regolamentazione fra le autorità monetarie europee. Le conclusioni del Consiglio di Brema non furono molto chiarificatrici perché lasciavano molte questioni aperte che andavano risolte e specificate nel successivo Consiglio di dicembre, in modo particolare quelle riguardanti l'ECU come moneta di riserva.

Nel Consiglio Europeo di Bruxelles si decise che lo SME sarebbe entrato in funzione il 1 gennaio 1979 e, due anni dopo, sarebbe stato creato il Fondo Monetario Europeo. L'ECU, posto al centro dello SME, e sarebbe stato usato come numerario per il meccanismo di cambio, come base per l'indicatore di divergenza, come denominatore per operazioni di intervento e di credito e come mezzo di regolamento fra le diverse autorità monetarie europee.

Nacque così lo SME che era sostanzialmente un'area valutaria basata su una moneta "paniere" che prevedeva cambi fissi. L'ECU era composto dalla somma delle quantità fisse delle monete di tutti i paesi appartenenti alla CEE.

I primi dieci anni dello SME

A partire dal 1987 lo SME ha vissuto un periodo di consolidamento, di maggiore coesione fra le autorità monetarie dei paesi membri ed ha anche aumentato il numero dei paesi partecipanti. Gli accordi di Basilea-Nyborg hanno certamente favorito la stabilità dello SME, ma anche

il fatto di avere isolato le vicende del dollaro dai sistemi di cambio europei fu un grande aiuto alla stabilità. Vi fu anche un miglioramento della congiuntura economica dovuto al "controshock" petrolifero e all'effetto positivo dovuto ai progetti di una successiva integrazione europea. Nel 1989 la Francia e la Germania si impegnarono ad evitare qualsiasi cambiamento del tasso centrale bilaterale fra le due monete in modo da evitare la speculazione e di abbassare il tasso di inflazione.

Alla fine degli anni Ottanta si poteva quindi dare una valutazione positiva dello SME, i riallineamenti esaminati nelle pagine precedenti erano stati abbastanza notevoli, ma anche giustificati, da una situazione economica mondiale abbastanza difficile e dai grandi differenziali d'inflazione che caratterizzavano i paesi all'inaugurazione dello SME.

Nei paesi dello SME l'inflazione si era ridotta a partire dai primi anni Ottanta in parte grazie alla disciplina nella conduzione delle politiche economiche e monetarie ed in parte grazie alla riduzione dei prezzi internazionali, in particolare quelli del petrolio e delle materie prime. Nei paesi con una moneta più debole ci fu uno sforzo di innovazione e ristrutturazione da parte di tutte le imprese per contenere i costi e aumentare la produttività. Quello che è mancato è stato invece un coordinamento delle politiche economiche: il peso degli aggiustamenti è sempre ricaduto sui paesi che soffrivano di una inflazione alta, mentre la Germania svolgeva il ruolo di "ancora" e accumulava avanzi sulla bilancia dei pagamenti assumendo il ruolo di valuta di riserva e non quello, ben più importante, di motore della crescita economica della Comunità.

Molti hanno sostenuto che il ruolo della Germania nello SME è stato simile a quello sostenuto dagli Stati Uniti nell'epoca di Bretton Woods: essa determinava il tasso di inflazione desiderato e gli altri paesi membri convergevano verso di esso. Chiaramente ci sono state grandi differenze in questi due ruoli e la più importante è quella riguardante la dimensione delle due economie. Gli Stati Uniti erano il maggior paese del sistema di Bretton Woods mentre le dimensioni dell'economia della Francia, dell'Italia e della Gran Bretagna sono più vicine a quella tedesca. La Germania attribuiva all'interno dello SME, una estrema importanza alla stabilità dei prezzi. Matthes sostiene infatti che il ruolo guida della Germania nello SME non derivava tanto dalle dimensioni dell'economia tedesca, ma piuttosto

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dall'importanza che essa attribuiva alla stabilità dei prezzi, mentre gli Stati Uniti e il dollaro rivestivano un ruolo guida nel sistema monetario internazionale indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti perseguissero o meno un obiettivo di stabilità in termini di inflazione.

La Germania ha svolto indubbiamente un ruolo dominante nello SME tanto che quest'ultimo è stato spesso identificato come un "area del marco" anche perché le autorità tedesche hanno sempre fissato in modo indipendente le politiche monetarie e ottenuto l'adeguamento passivo degli altri paesi.

IL FUNZIONAMENTO DELLO SME

Gli accordi dello SME prevedevano la possibilità di rivedere i pesi e le quantità delle monete presenti nell'ECU in seguito a variazioni di peso superiore al 25% e in occasioni di variazioni periodiche che venivano fatte ogni cinque anni. All'avvio dello SME ogni paese dichiarò il tasso di cambio centrale tra la propria moneta e l'ECU. Da qui derivarono i tassi di cambio bilaterali tra due monete dividendo le loro rispettive parità centrali. Si ottenne così una griglia che conteneva i tassi di cambio fra tutte le valute dello SME e che veniva modificata in caso di svalutazione o rivalutazione delle diverse monete. Quando due monete raggiungono i margini estremi di fluttuazione le banche centrali dei rispettivi paesi intervengono. La moneta più forte viene venduta dalla Banca Centrale del paese con moneta debole e la moneta più debole viene acquistata dalla Banca Centrale del paese che ha la moneta più forte. Gli interventi proseguono fino a che il cambio di una delle due monete rimane nei margini di oscillazione, evitando un riallineamento. Il paese con la moneta debole sopporta però conseguenze molto pesanti perché vende valuta apprezzata e vede così diminuire le proprie riserve, mentre il paese con la valuta più forte emette moneta per acquistare la moneta debole aumentando le proprie riserve e la liquidità, ma con il rischio dell'inflazione. La griglia delle parità permette di individuare le monete che sono ai margini della fluttuazione ma non di distinguere quale delle monete sia più direttamente responsabile dello squilibrio. Se ad esempio una moneta si rivaluta rispetto alle altre, dovrebbe toccare alla sua banca centrale il riaggiustamento mentre invece secondo la griglia l'obbligo si estende a tutte le monete; così l'esperienza del serpente monetario europeo ha sempre provocato l'espulsione dal sistema delle monete deboli che avevano superato i margini di fluttuazione.

I primi quattro anni dello SME furono abbastanza difficili perché ci furono diversi shock finanziari dovuti principalmente all'aumento dell'inflazione a causa della seconda crisi petrolifera del 1979-80. Questa crisi fece aumentare notevolmente l'inflazione, peggiorò la situazione delle bilance dei pagamenti ed aumentò la disoccupazione. La divergenza nelle politiche nazionali degli stati appartenenti alla CEE cominciò a diventare evidente subito dopo l'elezione di Mitterand a presidente nel 1981. In Germania l'opinione pubblica si orientò contro l'inflazione e il debito pubblico, portando alla sostituzione della coalizione del Cancelliere Schimdt con quella di Kohl. Il consenso emerso durante le negoziazioni dello SME sembrò essere svanito sotto il peso di una combinazione di eventi sfavorevoli. Erano riemerse grandi differenze politiche all'interno dell'Europa. Tra il settembre del 1979 e marzo del 1983 ci furono sette riallineamenti . Dopo l'aggiustamento avvenuto nel marzo del 1983 i due paesi con maggiore inflazione e cioè l'Italia e l'Irlanda, si trovarono con un livello dei prezzi maggiore rispetto a quello del 1979, lo SME quindi non si dimostrò molto efficace nei loro confronti anche se la perdita di competitività fu in qualche modo compensata da dei miglioramenti riguardo all'area del dollaro. La Danimarca, i Paesi Bassi, il Belgio avevano ottenuto una vera svalutazione della propria moneta.Alla fine del 1983 i paesi europei erano abbastanza delusi dal funzionamento dello SME e mettevano in luce il fatto che la convergenza non era stata raggiunta e che troppa attenzione era stata dedicata alla divergenza franco-tedesca lasciando da parte i problemi che si creavano nei paesi più piccoli.Tuttavia la valutazione di questo primo periodo secondo molti studiosi è abbastanza positiva. "The evaluation is more positive than academic or official assessments made at the time, since our accounts shows that a promising beginning was made in two respects: in making realignments, which were probably smaller than what would have occurred without

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the EMS, given the inertia of inherited differential national inflation rates and the major external shocks that drove them further apart, more genuinely joint decisions and in providing linkage from realignments to domestic policy adjustments which made longer-term convergence feasible" (D. GROS, N. THYGESEN, From European Monetary System to European Monetary Union, London, Longman, 1992, pag.82).

Dopo il marzo del 1983 lo SME affrontò una fase più calma e più stabile, non ci furono aggiustamenti per i successivi ventotto mesi e quando ciò accadde riguardò solamente una valuta: la lira. La svalutazione della moneta italiana avvenne nel luglio del 1985 senza una riunione formale dei ministri ECOFIN, il governo italiano annunciò la volontà di aumentare le tasse per sopperire al deficit del debito pubblico. Nell'aprile del 1986, dopo le elezioni parlamentari francesi che avevano sancito la "coabitazione" tra il presidente socialista ed una maggioranza di centro destra nella Assemblea Nazionale, la Francia chiese un aggiustamento della parità centrale ed ottenne una svalutazione del franco del 6% rispetto al marco. Successivamente, in agosto, le autorità irlandesi chiesero ed ottennero una svalutazione dell'8%. A partire dal 1979 la situazione stava poco a poco migliorando: da un grado appena sufficiente di convergenza che non riusciva ad evolversi si era arrivati, successivamente, ad una coordinazione monetaria più forte che faceva uso di maggiori strumenti rispetto al passato.Riguardo alla coordinazione monetaria i maggiori cambiamenti si ottennero con l'adozione dell'accordo di Basilea-Nyborg del Settembre 1987. Questo accordo, preparato dal Comitato dei governatori delle Banche Centrali, comportava tre specifici cambiamenti nel funzionamento dello SME. Innanzitutto la possibilità di ottenere prestiti dal Fondo Europeo di Cooperazione

Monetaria fu estesa, la possibilità di ottenere prestiti a brevissimo termine fu resa più aperta e la facoltà di regolare i crediti utilizzando l'ECU fu resa più facile aumentando il limite per i

pagamenti in ECU. Sebbene queste misure non abbiano completamente eliminato l'asimmetria, hanno tuttavia portato da un lato ad una più equa distribuzione degli oneri di intervento tra i diversi paesi. Dall'altro lato hanno contrapposto una maggiore resistenza delle banche centrali, con la possibilità di interventi riequilibratori, agli attacchi della speculazione internazionale favorita dal processo (in corso) di liberalizzazione dei movimenti di capitale.

SCHENGEN (ACCORDO E CONVENZIONE)

"Niente più frontiere e libera circolazione dei cittadini". È tutto in queste parole il valore del trattato di Schengen, firmato a Lussemburgo il 14 giugno 1985, dai rappresentanti di cinque Paesi della Comunità Europea (Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo), al fine di sopprimere progressivamente il controllo alle frontiere comuni e di predisporre un regime di libera circolazione di tutte le persone, siano esse cittadini degli Stati firmatari o degli altri Stati membri della Comunità, ovvero di paesi terzi.

La Convenzione di Schengen è stata firmata dagli Stati anzidetti il 19 giugno 1990 e stabilisce le condizioni di applicazione, nonché le garanzie inerenti all'attuazione della libera circolazione. Modifica di conseguenza le leggi nazionali ed è soggetta alla ratifica parlamentare. Ai firmatari si sono successivamente associati: l'Italia (1990), la Spagna ed il Portogallo (1991), la Grecia (1992), l'Austria (1995), la Svezia, la Finlandia e la Danimarca (1996). Fanno anche parte della Convenzione l'Islanda e la Norvegia. Ma l'accordo entra in vigore solo dieci anni dopo: il 26 marzo 1995.

L'accordo, la Convenzione, nonché le dichiarazioni e decisioni adottate dal comitato esecutivo dello spazio Schengen formano quello che si è convenuto di denominare "l'acquis di Schengen". Nel corso della stesura del trattato di Amsterdam si è deciso di integrare "l'acquis" nell'Unione europea dal 1° maggio 1999, in quanto ordinato al conseguimento di uno dei principali obiettivi del mercato unico: la libera circolazione delle persone.

A tal fine, il Consiglio dei ministri ha, in un primo momento definito quali fossero i documenti costitutivi del "sistema Schengen" propriamente detto; successivamente, per attribuire loro un fondamento normativo all'interno del trattato, esso ha determinato quali di esse

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rientrassero nel nuovo titolo IV del trattato che istituisce la Comunità europea ("Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone") e quali nel titolo VI del trattato sull'Unione europea ("Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale").

L'integrazione delle norme di Schengen nell'ordinamento dell'Unione europea è stata inoltre accompagnata da un'integrazione a livello istituzionale, grazie alla quale il Consiglio dell'Unione si è sostituito al comitato esecutivo di Schengen ed il segretariato generale del Consiglio al segretariato di Schengen.

Per quanto riguarda l'Islanda e la Norvegia - Stati non comunitari - l'Unione europea ha firmato con questi due paesi, il 18 maggio 1999, un accordo che li associa all'attuazione ed all'ulteriore sviluppo del sistema di Schengen, istituendo in questo modo la loro partecipazione allo spazio di libera circolazione posto in essere nell'Unione europea.

Per gli Stati membri che lo desiderino rimane sempre la possibilità di decidere una cooperazione rafforzata tra un numero più limitato di Stati membri.

L'intesa ha valore solo all'interno di quello che è stato definito lo "spazio Schengen" (cioè l'insieme dei Paesi che hanno aderito al trattato) e non riguarda i cittadini extracomunitari, cioè tutte quelle persone che provengono da Stati esterni all'Ue: per loro restano fisse le regole per l'accesso, con conseguenti i limiti al soggiorno e alle richieste di asilo.

In realtà il trattato si spinge anche oltre tanto da voler gettare le basi per una difficile uniformazione dei sistemi giudiziari e dei codici civile e penale. In questo senso l'accordo prevede l'applicazione del principio in base al quale chiunque abbia subito una sentenza di condanna passata in giudicato in uno stato comunitario non può essere perseguito per lo stesso reato in un altro Paese.Inoltre, per rendere più efficace l'attività di controllo e repressione della criminalità organizzata e delle irregolarità nello spostamento di persone e merci all'interno della Comunità, il trattato prevede la creazione di un unico Sistema informatico di collegamento fra i Paesi aderenti (Sis). E per evitare abusi e un uso distorto dei dati disponibili, stabilisce regole rigide per la protezione di ogni singolo cittadino rispetto alla conservazione e alla diffusione dei dati di carattere personale, relativi ad esempio a razza, religione, idee politiche, che potrebbero generare discriminazioni.Per verificare la corretta applicazione di quanto prevede l'accordo, nel gennaio 1992 il Parlamento Europeo istituisce una Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni, con competenze specifiche su immigrazione e diritto di asilo. L'Italia pur avendo dato la propria adesione all'accordo il 27 novembre 1990, con ratifica nel'93; ha ancora difficoltà nell'interpretarle alcune misure, e nell'adeguarle alla situazione reale dell'immigrazione extracomunitaria. All'accordo di Schengen possono aderire tutti i paesi dell'Unione Europea. Gran Bretagna e Irlanda si sono per ora autoescluse, mentre Finlandia, Danimarca e Svezia aderiranno prossimamente, quando anche Norvegia e Islanda, pur non appartenendo all'Ue, ne diventeranno "membri associati", in forza del North Council, un trattato di libera circolazione tra paesi del Nord Europa in vigore dagli anni Sessanta.

COOPERAZIONI RINFORZATE

Il concetto di "cooperazione rafforzata" è stato introdotto nel trattato sull'Unione europea (Titolo VII) e nel trattato istitutivo della Comunità europea (articolo 11) dal trattato di Amsterdam. Attraverso questa forma di cooperazione si vuol consentire ad un numero limitato di Stati membri, che siano determinati e capaci di andare avanti, di proseguire sulla via dell'approfondimento della costruzione europea nel rispetto del contesto istituzionale unico dell'Unione.

La cooperazione rafforzata deve rispettare diverse condizioni, e in particolare:

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avere come oggetto dei settori che non rientrino nella competenza esclusiva della Comunità

favorire il conseguimento degli obiettivi dell'Unione rispettare i principi previsti dai trattati intervenire soltanto in ultima analisi coinvolgere almeno otto Stati membri.

Nel contesto del trattato istitutivo della Comunità europea, la cooperazione più stretta è lanciata dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione e previo parere del Parlamento europeo.

Nel contesto del trattato sull'Unione europea la cooperazione rafforzata ha lo scopo di accelerare l'attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La cooperazione deve essere lanciata su domanda dello Stato membro interessato da un voto a maggioranza qualificata del Consiglio previo parere della Commissione e trasmissione della domanda al Parlamento europeo.

LA BANDIERA

Fin dalla sua istituzione nel 1949, il Consiglio d'Europa aveva avvertito l'esigenza di dare all'Europa un simbolo con il quale i popoli europei potessero identificarsi. Il 25 ottobre 1955, l'Assemblea parlamentare scelse all'unanimità un emblema di colore azzurro, raffigurante un cerchio di dodici stelle d'oro. L'8 dicembre 1955, il Comitato dei Ministri adottò questa bandiera europea.L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa aveva espresso a più riprese l'auspicio che le altre organizzazioni europee potessero adottare tale simbolo per non compromettere, con l'utilizzo di emblemi distinti, la complementarità, la solidarietà e il sentimento di unità dell'Europa democratica. Fu il Parlamento europeo a proporre l'utilizzo di una bandiera per la Comunità europea. Una proposta di risoluzione venne presentata fin dal 1979, dopo le prime elezioni del Parlamento a suffragio universale diretto. Nella sua risoluzione adottata nell'aprile 1983, il Parlamento ha raccomandato di utilizzare come bandiera comunitaria quella creata dal Consiglio d'Europa nel 1955.

Il Consiglio europeo, nel giugno 1984, in occasione della sua riunione di Fontainebleau, ha sottolineato la necessità di promuovere l'immagine dell'Europa tra i cittadini e nel mondo. In seguito, il Consiglio europeo ha approvato, alla sua riunione di Milano, nel giugno 1985, la proposta del Comitato Adonnino di invitare la Comunità a dotarsi di un emblema. Ottenuto l'accordo del Consiglio d'Europa per l'utilizzo della bandiera europea da esso adottata nel 1955, le istituzioni comunitarie l'hanno introdotta all'inizio del 1986.

Descrizione araldica L'emblema è costituito da una bandiera blu di forma rettangolare la cui base (il battente della bandiera) ha una lunghezza pari a una volta e mezza quella dell'altezza (il ghindante della bandiera). Dodici stelle dorate sono allineate ad intervalli regolari lungo un cerchio ideale il cui centro è situato nel punto d'incontro delle diagonali del rettangolo. Il raggio del cerchio è pari a un terzo dell'altezza del ghindante. Ogni stella ha cinque punte ed è iscritta a sua volta in un cerchio ideale, il cui raggio è pari a 1/18 dell'altezza del ghindante. Tutte le stelle sono disposte verticalmente, cioè con una punta rivolta verso l'alto e due punte appoggiate direttamente su una linea retta immaginaria perpendicolare all'asta. Le stelle sono disposte come le ore sul quadrante di un orologio, il loro numero è invariabile. L'INNO Inno alla gioiadalla IXª Sinfonia di Ludwig Van BeethovenLa composizione della Nona Sinfonia durò molto a lungo. Beethoven ebbe la prima idea di musicare il coro "An die Freude" di Schiller (1759-1805) ancora negli anni giovanili di Bonn; nel 1814-15 il progetto venne di nuovo ripreso sotto forma di una Ouverture con coro finale,

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che diventò poi l'Ouverture in Do maggiore "zur Namensfeier" op.115 per sola orchestra. Infine negli anni 1817-18, nel quaderno degli schizzi, accanto al materiale per la Sonata in si bemolle maggiore per pianoforte, op.106, già si trovano spunti tematici che saranno poi utilizzati per i primi due movimenti della Nona. Nella tarda estate del 1822, o al principio dell'autunno, Beethoven inizia la composizione della Sinfonia che in un primo tempo aveva il titolo di "Sinfonie allemand" e già prevedeva il corale finale. Tutto il 1823 è dedicato alla composizione della Nona, che alla fine dell'anno è già completamente schizzata. Nei primi mesi dell'anno 1824, il musicista mette rapidamente in partitura la Sinfonia che è finita definitivamente nel febbraio di quello stesso anno. La prima esecuzione ebbe Luogo a Vienna al "Kärntnertor Theater" il 7 Maggio 1824. I solisti di canto erano il soprano Henriette Sontag, il contralto Caroline Unger, il tenore Anton Haitzinger, il baritono August Seipelt. L'orchestra era teoricamente diretta da Beethoven stesso, ma in realtà il vero direttore era il maestro di cappella Michael Umlauf. Alla fine della sinfonia la cantante Caroline Unger, che appena ventenne aveva preso parte come solista all'esecuzione, lasciò il suo posto e si avvicinò a Beethoven, ancora chino sul leggio e rivolto verso gli orchestrali: lo prese amabilmente per mano e lo voltò per mostrargli la folla che acclamava entusiasta sventolando un mare di fazzoletti.

L'Inno alla Gioia è soprattutto un grandissimo messaggio di pace e di fratellanza; con tale composizione Beethoven volle formulare un aperto invito alla fratellanza universale: e proprio per rendere tale messaggio il più chiaro possibile egli decise di far cantare nel finale un testo del poeta tedesco a lui contemporaneo, Friedrich von Schiller: l'Inno alla Gioia. L'ode "An die Freude (Alla Gioia)" è una lirica nella quale la gioia è intesa non certo come semplice spensieratezza e allegria, ma come risultato a cui l'uomo giunge quando si libera dal male, dall'odio e dalla cattiveria. Proprio per questa esortazione alla fraterna amicizia la melodia su cui viene intonato questo Inno alla gioia è stata oggi assunta come "Inno europeo". E' stato adottato dal Consiglio d'Europa nel 1972 e viene utilizzato dall'Unione europea dal 1986. O amici, non questi suoni!ma intoniamone altripiù piacevoli, e più gioiosi.

Gioia, bella scintilla divina,figlia degli Elisei,noi entriamo ebbri e frementi,celeste, nel tuo tempio.La tua magia ricongiungeciò che la moda ha rigidamente diviso,tutti gli uomini diventano fratelli,dove la tua ala soave freme.

L'uomo a cui la sorte benevola,concesse di essere amico di un amico,chi ha ottenuto una donna leggiadra,unisca il suo giubilo al nostro!Sì, - chi anche una sola animapossa dir sua nel mondo!Chi invece non c'è riuscito,lasci piangente e furtivo questa compagnia!

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Gioia bevono tutti i viventidai seni della natura;tutti i buoni, tutti i malvagiseguono la sua traccia di rose!Baci ci ha dato e uva, un amico,provato fino alla morte!La voluttà fu concessa al verme,e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volanoattraverso la volta splendida del cielo,percorrete, fratelli, la vostra strada,gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Abbracciatevi, moltitudini!Questo bacio vada al mondo intero Fratelli,sopra il cielo stellatodeve abitare un padre affettuoso.

Vi inginocchiate, moltitudini?Intuisci il tuo creatore, mondo?Cercalo sopra il cielo stellato!Sopra le stelle deve abitare!

9 MAGGIO, LA FESTA DELL’EUROPAIl 9 maggio 1950, Robert Schuman presentava la proposta di creare un’Europa organizzata, indispensabile al mantenimento di relazioni pacifiche fra gli Stati che la componevano. La proposta, nota come “dichiarazione Schuman”, è considerata l’atto di nascita dell’Unione europea.Oggi, il 9 maggio è assurto a simbolo dell’Europa (giornata dell’Europa) che, insieme all’emblema e all’inno, consente di identificare l’Unione europea come entità politica.Il Giorno dell’Europa è l’occasione di dar vita a festività e di organizzare attività che avvicinano l’Europa ai suoi cittadini e ai popoli dell’Unione fra loro.

"ACQUIS" COMUNITARIO

L'"acquis comunitario" corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l'insieme degli Stati membri nel contesto dell'Unione europea. Esso è in costante evoluzione ed è costituito: dai principi, dagli obiettivi politici e dal dispositivo dei trattati; dalla legislazione adottata in applicazione dei trattati e dalla giurisprudenza della Corte

di giustizia; dalle dichiarazioni e dalle risoluzioni adottate nell'ambito dell'Unione; dagli atti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune; dagli atti che rientrano nel contesto della giustizia e degli affari interni; dagli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e da quelli conclusi dagli Stati

membri tra essi nei settori di competenza dell'Unione. Oltre che dal diritto comunitario propriamente detto, l'"acquis" comunitario è costituito dunque da tutti gli atti adottati a titolo del 2° e del 3° pilastro dell'Unione, nonché dagli

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obiettivi comuni fissati dai trattati. L'Unione si è posta come obiettivo di salvaguardare integralmente l'"acquis" comunitario e di svilupparlo ulteriormente. Essa non può in nessun caso rimetterlo in discussione. I paesi candidati devono accettare l'"acquis" per poter aderire all'Unione europea. Le deroghe all'"acquis" comunitario sono eccezionali e di portata limitata. In vista della prossima adesione, i paesi candidati devono recepire l'"acquis" nei rispettivi ordinamenti nazionali, e quindi applicarlo a partire dalla data in cui la loro adesione diverrà effettiva.

CITTADINANZA EUROPEA

La cittadinanza dell'Unione è subordinata alla cittadinanza di uno Stato membro. È quindi considerato cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Oltre ai diritti e doveri previsti dal trattato istitutivo della Comunità europea, la cittadinanza dell'Unione comporta quattro diritti specifici:

diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell'Unione; diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo,

nello Stato in cui si risiede; tutela diplomatica e consolare da parte delle autorità di qualsiasi Stato membro, allorché

lo Stato di cui il soggetto è cittadino non sia rappresentato in un paese terzo. diritto di petizione e di ricorso al mediatore europeo.

Merita sottolineare in proposito che il concetto di cittadinanza dell'Unione non sostituisce ma si aggiunge a quello di cittadinanza nazionale. Questa complementarità renderà più tangibile il sentimento di appartenenza del cittadino all'Unione.

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE

Articoli da 39 a 48 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam

Il Consiglio europeo di Copenaghen del 12 e 13 dicembre 2002 ha deciso l'ingresso di 10 nuovi membri nell'UE a partire dal 1° maggio 2004, al fine di consentire a tali paesi di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo.I Trattati di adesione sono stati stipulati ad Atene il 16 Aprile 2003.I nuovi paesi sono in prevalenza del centro europea: Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Lituania più Cipro e Malta. Bulgaria, Romania sono candidate, ma entreranno in un secondo tempo (2007).I negoziati di adesione dei nuovi dieci membri dell'UE hanno introdotto delle limitazioni transitorie al diritto di libera circolazione dei lavoratori subordinati, prevedendo una gradualità temporale alla possibilità dei lavoratori dei paesi aderenti di accedere al mercato del lavoro degli altri paesi membri senza necessità di ottenere un apposito permesso di lavoro. Proprio l'estrema sensibilità dell'argomento ha richiesto l'adozione di misure speciali e di provvedimenti transitori in vista dell'allargamento. In particolare si è previsto che, per un periodo massimo di sette anni successivi all'allargamento, ognuno degli Stati membri potrà non applicare nei confronti dei cittadini dei Paesi attualmente candidati le norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori ed applicarne invece di nazionali eventualmente (ma non necessariamente) più restrittive. Sono previste delle eccezioni per Malta e Cipro infatti il trattato stipulato con Cipro non contiene limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori,

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mentre nel caso di Malta esiste solo la possibilità di invocare una clausola di salvaguardia: per i cittadini ciprioti le norme europee troveranno un'immediata applicazione mentre Malta potrà a sua volta applicare norme provvisorie (eventualmente restrittive) nei confronti di tutti gli altri cittadini dell'Ue. Riassumendo, per quanto riguarda la situazione di Ungheria, Estonia, Rep. Ceca, Rep. Slovacca, Polonia, Slovenia, Lituania e Lettonia, è stato stipulato un accordo transitorio per cui si stabilisce che, relativamente alla libera circolazione dei lavoratori, per i primi due anni successivi all'adesione, gli Stati membri UE potranno applicare le loro misure nazionali o gli accordi bilaterali per disciplinare l'accesso dei lavoratori di tali paesi al loro interno. Tali misure potranno essere applicate fino ad un massimo di 7 anni.Per quanto riguarda la situazione di Cipro, non sono previste limitazioni riguardo alla libera circolazione dei lavoratori.Per quanto riguarda la situazione di Malta, si è stabilita una clausola di salvaguardia qualora vi fosse il timore di un afflusso consistente di lavoratori sull'isola.È importante rilevare che queste disposizioni transitorie si applicano esclusivamente ai lavoratori dipendenti, e non alla libera prestazione di servizi né al diritto di stabilimento, né a studenti, pensionati, turisti, ecc.

L'UNIONE EUROPEA

Maastricht rappresenta una delle tappe fondamentali per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Il trattato viene approvato, nei Paesi Bassi, dai 12 capi di governo della Comunità Europea, nel dicembre del 1991 e firmato il 7 febbraio del 1992.

Nell'accordo vengono definite le politiche estere e monetarie comuni, ma soprattutto viene creato l'ecu come base per la futura moneta europea, che poi diventerà l'euro. Inoltre i Dodici stabiliscono i criteri per la creazione di una Banca centrale europea (Bce), che diviene operativa il primo luglio del '98. In generale, il trattato nasce dall'intenzione dei Paesi europei di rendere più omogenea l'unione economica e monetaria e di rafforzare le politiche comuni riguardanti la difesa, la cittadinanza e la protezione dell'ambiente.

Maastricht rappresenta, inoltre, un po' il proseguimento del precedente trattato di Roma (1957), di cui però ne modifica l'organizzazione dando spazio ad altri Stati. Alcuni Paesi come Danimarca e Regno si dimostrarono riluttanti a dover rinunciare al controllo nazionale sulle proprie politiche monetarie. Di conseguenza, la realizzazione di alcuni progetti ambiziosi contenuti nel trattato viene momentaneamente sospesa e Danimarca e Regno Unito decidono di astenersi da alcuni aspetti del processo di unificazione.

In realtà la proposta di adottare un'unica moneta europea era già stata formalizzata al vertice di Hannover del giugno 1988. Durante quell'incontro i capi di stato e di governo europei diedero mandato all'allora presidente della Commissione europea Jacques Delors di redigere un progetto di Unione economica e monetaria (Uem), poi presentato al Consiglio europeo di Madrid del giugno 1989, data d'inizio dei lavori della Conferenza intergovernativa che preparò il trattato di Maastricht.

Quanto deciso a Maastricht viene integrato nel giugno del 1997 ad Amsterdam, durante il vertice dell'Unione Europea. Al termine del summit i primi ministri dei 15 paesi membri firmano il patto di stabilità monetaria, impegnandosi a raggiungere gli obiettivi posti con il trattato, per realizzare l'integrazione monetaria dell'Europa. E viene confermato il termine del 1° gennaio 1999 come data di avvio dell'euro. Vengono, inoltre, fissati i parametri economici obbligatori per tutti i Paesi che intendono aderire all'area dell'euro, questi sono: mantenimento del tasso d'inflazione sotto la soglia del 1,5%; diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine; mantenimento del tasso di cambio nei due anni precedenti l'avvio dell'Uem all'interno dei margini di fluttuazione dello Sme; il debito pubblico non deve

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superare il 60% del prodotto interno lordo (Pil); il rapporto percentuale tra deficit e Pil non deve eccedere il 3%.

Nel dicembre dello stesso anno i capi di governo della Ue si riuniscono nuovamente a Lussemburgo per ribadire le scadenze dell'unione monetaria, varare il Consiglio dell'euro e discutere sull'allargamento dell'Unione.

LA CASA COMUNE EUROPEA

L'Europa, e particolarmente gli Stati che oggi formano l'Unione Europea, ha conosciuto divisioni che affondano le radici nella storia e che si percepiscono nitidamente ancora oggi. Per esempio la lingua è ancora per molti versi una barriera all'interno dell'Europa, la religione è stata per secoli causa di violenti scontri che talvolta, come in Irlanda, ancora continuano, le lotte per ottenere l'annessione di territori sempre più vasti o ricchi di risorse hanno reso i confini molto "mobili" (basti pensare all'Alsazia e alla Lorena), inoltre i paesi europei si sono combattuti in questo secolo scatenando due guerre mondiali.Fino al 1945 non ci fu nessun reale interesse alla cooperazione né tantomeno alla unità fra i paesi europei, ma alla fine della Seconda Guerra Mondiale le economie ed i sistemi politici erano irrimediabilmente compromessi ed il panorama politico mondiale era ormai cambiato definitivamente: da un mondo multipolare di cui l'Europa era il centro si era passati al bipolarismo fra due nuove grandi potenze: gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Questo cambiamento era cominciato già al termine della Prima Guerra Mondiale, facendo degli Stati Uniti un paese creditore e non più debitore.Nel 1919 i capitali americani investiti all'estero si erano raddoppiati: sette miliardi di dollari. Inoltre, più della metà dei capitali investiti negli Stati Uniti erano stati rimborsati. Il parente povero nuotava nell'oro a spese dei parenti ricchi che, per scannarsi fra loro, si erano indebitati. Il nuovo disastro causato dalla Seconda Guerra Mondiale portò alla consapevolezza che fosse necessaria una reale cooperazione fra i paesi europei che gli Stati Uniti decisero di gestire attraverso gli aiuti del piano Marshall e la creazione dell'OECE non solo per fare uscire l'Europa Occidentale dalla grave crisi economica e politica, ma anche per mantenere salda la propria sfera di influenza all'interno del nuovo mondo bipolare.L'idea di una Europa unita era sempre stata presente all'interno del continente, sebbene vi fossero alla base diverse ideologie e diverse definizioni e nel corso dell'Ottocento vi erano state alcune alleanze e iniziative diplomatiche che avevano alla base uno "spirito unificatore". Ma fu soltanto dopo il 1919 che si cominciò a riflettere più realisticamente su queste idee e nel corso degli anni si svilupparono alcune ideologie che, dopo il 1945, assunsero la forma di vere e proprie correnti di pensiero che influenzeranno il processo di integrazione europeo. Una tendenza era quella confederalista che prevedeva una serie di accordi fra gli stati per una cooperazione intensa e sviluppata pur lasciando intatta la sovranità nazionale. Tra i fautori di questa proposta vi furono molte personalità politiche di rilievo fra cui Winston Churchill e Charles de Gaulle.La seconda corrente di pensiero era conosciuta come "federalista" ed aveva progetti ben più radicali in quanto sosteneva che solo l'abbandono e la cancellazione degli stati-nazione, che erano i principali responsabili delle guerre e delle rivalità, avrebbe permesso all'Europa di vivere finalmente in pace. I federalisti auspicavano ad una grande rivoluzione che riuscisse a superare tutte le barriere esistenti fra i paesi europei e li federasse in un unico nuovo organismo che avrebbe creato le basi per una nuova convivenza. Gli esponenti più di rilievo di questa ideologia furono Altiero Spinelli, Henri Brugmans, Raymond Aron, Alexandre Marc.Tra queste due correnti decisamente opposte tra loro, cominciò a formarsi una terza linea di pensiero che considerava troppo riduttiva l'idea confederalista e utopica quella federalista. Il progetto "funzionalista" sosteneva invece che l'Unione Europea si sarebbe realizzata soltanto attraverso integrazioni settoriali, cioè parziali cessioni di sovranità ad organismi sovranazionali. Si sarebbero così poste le basi per la costruzione di una nuova struttura europea. Saranno proprio i funzionalisti, guidati da Robert Schuman e Jean Monnet, che daranno inizio al processo di integrazione europeo con la creazione della CECA.Il primo tentativo di cercare una nuova via per l'Europa avvenne durante il Congresso dell'Aia del 7 maggio 1948 durante il quale, per la prima volta, i rappresentanti di 17 nazioni

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poterono riunirisi e confrontarsi fra loro. Erano presenti: Winston Churchill, Harold Macmillan, François Mitterand, Jean Monnet, Léon Blum, Altiero Spinelli, Konrad Adenauer. Le discussioni furono lunghe ed animate e la risoluzione finale del Congresso decise l'istituzione di una assemblea di eletti dai Parlamenti nazionali per esaminare le implicazioni di una unione o di una federazione europea. Il 5 maggio 1949 nacque il Consiglio d'Europa il cui statuto fu firmato dai rappresentanti di 10 stati. L'articolo 1 dello statuto afferma che: "...lo scopo del Consiglio è di raggiungere maggiore unità fra i suoi membri, al fine di salvaguardare e realizzare gli ideali ed i principi che sono la loro eredità comune e facilitare il loro progresso economico e sociale". Questo scopo sarà perseguito dagli organi del Consiglio tramite la discussione di questioni di interesse comune e attraverso accordi e azioni comuni in campo economico, sociale, culturale, scientifico, legale e amministrativo e ai fini del mantenimento e dell'ulteriore realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Nonostante si proponesse questi grandi obbiettivi il Consiglio d'Europa aveva scopi troppo generali e, problema maggiore, la sua struttura era totalmente intergovernativa e quindi non indipendente dalla volontà dei singoli stati membri i quali ritenevano che i compiti che esso doveva svolgere non potevano andare oltre la semplice cooperazione volontaria. Il Consiglio d'Europa nasceva come un foro di dibattito e un organo di consultazione sotto lo stretto controllo dei governi ed era ben lontano dal costituire, sia pur in nuce, il nucleo di un governo europeo. Queste forti limitazioni non permisero al Consiglio di porsi come base di una futura unione europea, ma esso svolse e continua a svolgere compiti rilevanti nel campo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

CONSIGLIO D’EUROPA E OSCE

La prerogativa di questo gruppo di organizzazioni europee è rappresentata dalla loro struttura stessa, tale da consentire a quanti più Stati possibile di cooperarvi. Peraltro, è stato deliberatamente convenuto che la cooperazione tra tali organizzazioni non andasse al di là della tradizionale cooperazione tra gli Stati.

Del gruppo fa parte il Consiglio d’Europa, organizzazione intergovernativa politica fondata il 5 maggio 1949. Ha con sede a Strasburgo ed è incaricata di difendere i diritti dell’Uomo e la democrazia e di valorizzare l’identità culturale europea. Nello statuto del Consiglio d’Europa non vi è alcuna indicazione circa la volontà di creare una federazione o un’unione, né circa un eventuale trasferimento o esercizio in comune di elementi della sovranità nazionale. Il Consiglio d’Europa prende le sue decisioni, riguardo ad ogni questione essenziale, in base al principio dell’unanimità. Ciascuno stato può pertanto opporre il suo veto all’adozione di una decisione, regola questa che vige anche in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU). Nella sua concezione, il Consiglio d’Europa resta, pertanto, un organismo di cooperazione internazionale. Esso ha presieduto alla conclusione di numerose convenzioni in campo economico, culturale, politico-sociale e giuridico. Tra queste, la più importante e, nel contempo, anche la più conosciuta è la convenzione europea a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali siglata il 4 novembre 1950 (Convenzione europea sui diritti dell’uomo). Tale convenzione non ha soltanto consentito di stabilire negli Stati membri un importante livello minimo di salvaguardia dei diritti dell’uomo, ma ha anche gettato le basi di un sistema di garanzie giuridiche che conferiscono agli organi istituiti dalla convenzione, vale a dire la Commissione europea dei diritti dell’uomo e la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, il potere di condannare, nel quadro delle sue disposizioni, le violazioni dei diritti dell’uomo negli Stati membri. A tale gruppo appartiene anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), istituita nel 1994, in seguito alla conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. L’OSCE è vincolata ai principi e agli obiettivi definiti dall’Atto di Helsinki del 1975 e dalla Carta di Parigi del 1990. Tra tali obiettivi figura, oltre alla

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promozione di misure intese a creare un clima di fiducia tra gli Stati membri, anche la realizzazione di una «rete di sicurezza», destinata ad appianare eventuali conflitti con mezzi pacifici. I recenti sviluppi hanno in realtà dimostrato che, in particolare in questo campo, anche in Europa vi è ancor molto da fare.

LA GUERRA FREDDA E IL PIANO MARSHALL

La guerra fredda non ebbe inizio in un giorno. Iniziò con incomprensioni e con una ostilità che gli alleati occidentali cominciarono ad assumere verso l'Unione Sovietica con la quale non era più possibile raggiungere alcun tipo di accordo sull'assetto dell'Europa post-bellica. A partire dal 1946 l'Alleanza che aveva vinto la guerra era ormai compromessa, il primo vero e tangibile segno di rottura fu il veto posto dall'Unione Sovietica in una risoluzione in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Da allora esso divenne il simbolo della volontà sovietica di non collaborare costruttivamente alla vita delle Nazioni Unite. L'ostinato ricorso allo strumento del veto era il sintomo del male profondo che condizionava la vita internazionale e perciò anche quella dell'organizzazione che avrebbe dovuto assicurarne un andamento pacifico: era l'espressione della cessata volontà di cooperare delle due maggiori potenze. Nel 1947 la guerra fredda diventò una realtà irreversibile ed iniziò il blocco di Berlino da parte dell'USSR.I legami tra i paesi dell'Europa occidentale diventarono più stabili e compatti grazie agli aiuti americani del piano Marshall e grazie alla nascita dell'Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (OECE). Gli Stati Uniti adottarono una politica di aiuti che includeva non soltanto i paesi alleati, ma anche quelli che avevano perso la guerra. Questo atteggiamento trovò una motivazione nella dichiarazione della "dottrina di Truman" del 1947 in cui era proclamata la necessità di sostenere i popoli contro la minaccia che veniva dall'est europeo e cioè dal comunismo. Il piano Marshall fornì all'Europa occidentale circa 13 miliardi di dollari in concessioni e prestiti tra il 1948 e il 1952. L'Atto di Cooperazione Economica, che istituì il piano, prevedeva che gli aiuti venissero usati per espandere le economie dei paesi europei, restaurare le esportazioni e creare stabilità politica ed economica. Per realizzare questi progetti era però necessaria una cooperazione intensa fra i paesi partecipanti e proprio a questo scopo fu creata l'OECE che aveva il compito di procedere alla allocazione degli aiuti. Il piano Marshall incoraggiò la liberalizzazione dei pagamenti del commercio intraeuropeo, nel 1950 fu creata l'Unione Europea dei Pagamenti (EPU) che doveva semplificare il passaggio dal bilateralismo al multilateralismo ed ebbe grande successo nel ridurre il volume delle transazioni e nella liberalizzazione dei pagamenti, diventando il centro di un area multilaterale in cui venivano regolati i conti fra gli stati membri. Già a partire dal 1952, i paesi OECE conseguirono un aumento del 39% nella produzione industriale, raddoppiando le esportazioni e aumentando le importazioni.

LA CREAZIONE DELLA CECA

Al termine del conflitto mondiale la decisione di ricostituire lo Stato tedesco preoccupava la Francia perché tornava a riproporsi per l'ennesima volta il problema del controllo della zona renana produttrice di carbone e acciaio, questione che aveva sempre condizionato i rapporti franco-tedeschi. Dal momento che la Germania non sarebbe rimasta in una posizione di inferiorità non sarebbe stato facile per la Francia continuare a mantenere il controllo completo su quelle risorse. A sorpresa fu proprio dalla Francia che arrivò la proposta di mettere in comune le risorse carbo-siderurgiche dimenticando i conflitti passati. Il 9 maggio 1950 Robert Schuman, ministro degli esteri francese, rese pubblica questa dichiarazione:"La pace mondiale non potrà essere salvaguardata senza degli sforzi pari alla grandezza dei pericoli che la minacciano. Il contributo che una Europa organizzata e viva può portare alla civilizzazione è indispensabile al mantenimento di relazioni pacifiche. Essendo da più di venti anni la portavoce di una Europa unita, la Francia ha sempre avuto come obbiettivo essenziale quello di servire la pace. L'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra.L'Europa non si farà in un colpo, né con una costruzione di insieme: si farà attraverso realizzazioni concrete che creino innanzitutto una solidarietà di fatto. Il raggruppamento

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delle nazioni europee esige che l'opposizione secolare tra la Francia e la Germania sia eliminata: l'azione deve essere intrapresa dai capi di stato della Francia e della Germania".A questo scopo il governo francese propone di concentrare l'azione su un punto limitato, ma decisivo: il governo francese propone di porre l'intera produzione franco-tedesca di carbone e

acciaio sotto una Alta Autorità comune, all'interno di una organizzazione aperta alla partecipazione di altri paesi europei.

La dichiarazione prosegue in questo modo:"Mettere in comune la produzione di carbone e di acciaio assicurerà immediatamente la creazione di basi comuni di sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di quelle regioni da tempo votate alla fabbricazione di armi da guerra di cui sono state le vittime più costanti.La solidarietà che nascerà nella produzione dimostrerà che qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventerà non soltanto impensabile, ma materialmente impossibile. Lo stabilirsi di questa potente unione di produzione aperta a tutti i paesi che vorranno parteciparvi getterà le fondamenta reali di una unificazione economica.Questa produzione sarà offerta a tutto il mondo senza distinzioni né esclusioni, per contribuire all'innalzamento del livello di vita e al progresso delle opere di pace. L'Europa potrà perseguire la realizzazione di uno dei suoi scopi essenziali: lo sviluppo del continente africano".La conclusione: "Si realizzerà così in modo semplice e rapido la fusione di interessi indispensabili allo stabilirsi di una comunità economica e verrà introdotta l'idea di una comunità più grande e più profonda fra paesi per lungo tempo divisi da sanguinose rivalità".Attraverso la messa in comune delle produzioni di base e l'istituzione di una Alta Autorità le cui decisioni legheranno la Francia, la Germania ed i paesi che aderiranno, si realizzeranno le prime basi concrete di una Federazione europea indispensabile per la preservazione della pace.Questo importante documento, che fu stilato da Jean Monnet, rappresenta una svolta all'interno delle relazioni fra i paesi europei perché per la prima volta si afferma che l'integrazione politica potrà avvenire solo attraverso l'integrazione economica e cioè mettendo in comune quelle risorse che erano sempre state causa di conflitti e creando le apposite istituzioni sovranazionali a cui gli stati possano devolvere i propri poteri in materia di gestione delle risorse.Da questa dichiarazione nacque la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) il cui trattato fu firmato a Parigi l'8 aprile 1951 ed entrò in vigore il 27 luglio 1952. Al Trattato, oltre alla Francia e alla Germania aderirono anche il Belgio, l'Italia, il Lussemburgo ed i Paesi Bassi. La Francia cercò di coinvolgere nel processo di integrazione anche la Gran Bretagna che però preferì non aderire.Il Trattato gettò le basi per l'istituzione di un mercato comune, sebbene limitato ai soli settori del carbone e della siderurgia, e realizzò le prime vere istituzioni sovranazionali europee. La CECA prevedeva infatti la creazione di una Alta Autorità con il compito di garantire che gli obbiettivi comuni fossero perseguiti in modo corretto

ed il potere di emanare decisioni vincolanti. Accanto ad essa fu istituito un Consiglio dei ministri composto dai rappresentanti degli stati membri che controllava e armonizzava le decisioni prese dall'Alta Autorità. Accanto alle due istituzioni principali furono istituite una Assemblea parlamentare con soli compiti consultivi ed una Corte di Giustizia per dirimere le controversie fra gli stati membri o fra questi ultimi e le istituzioni. La CECA fu considerata fin dall'inizio un grande successo economico. Essa portò alla abolizione dei dazi e delle barriere non finanziarie e favorì la collaborazione e gli scambi fra i paesi membri. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando il declino dell'importanza delle risorse carbonifere e le eccedenze nella produzione provocarono una crisi, gli stati membri non riuscirono a gestire questa situazione in modo "comunitario", dimostrando come fosse difficile, nella pratica, realizzare una vera unione sovranazionale.

LA COSTRUZIONE EUROPEA

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Gli obbiettivi che la CEE si era preposta erano assai ambiziosi e molti osservatori si aspettavano che essa difficilmente li avrebbe raggiunti perché nessuna operazione del genere era mai stata tentata prima.Nel 1958, appena un anno dopo la creazione della Comunità, in seguito alla crisi politica francese causata dai disordini in Algeria, il generale Charles De Gaulle venne chiamato al potere. De Gaulle non aveva mai nascosto la sua ostilità verso i progetti di integrazione europea e per questo motivo, subito dopo la sua nomina, vi fu un periodo di incertezza che si risolse con l'accettazione dei propositi comunitari da parte del generale.

La posizione del Regno Unito merita di essere brevemente esaminata perché alla fine della guerra si trovava in una posizione sostanzialmente diversa rispetto agli altri paesi europei. La Gran Bretagna non aveva perso la propria identità nazionale in seguito ad invasioni straniere che invece avevano colpito altri stati e, trattandosi di un isola, si sentiva "distante" dal continente e non vedeva la necessità di unirsi agli altri paesi europei per creare organismi di tipo sovranazionale. Questa decisione si basava anche sulla convinzione di avere un "rapporto privilegiato" con gli Stati Uniti. La politica estera inglese era rivolta verso il Commonwealth che, nel 1945, appariva ancora solido nonostante la decolonizzazione fosse ormai un fatto compiuto. Esso rappresentava ancora il principale fornitore di materie prime e il principale mercato per i prodotti industriali inglesi. La Gran Bretagna aveva quindi pochi interessi in comune con gli altri paesi dell'Europa continentale e quando, nel 1950, fu invitata a partecipare ai negoziati per la creazione della CECA declinò l'invito motivandolo con il fatto che le risorse carbo-siderurgiche inglesi erano di proprietà dello stato e che non sarebbe stato possibile metterle sotto un tipo di controllo sovranazionale. Nel corso degli anni Cinquanta il Regno Unito si dimostrò incapace di organizzare il Commonwealth in modo da renderlo coeso e capace di affrontare le sfide provenienti dai nuovi mercati, in modo particolare da quello europeo. Nello stesso periodo anche il "rapporto privilegiato" con gli Stati Uniti si andava a poco a poco affievolendo, dimostrando che il Regno Unito non era più una grande potenza.

L'Europa comunitaria si differenzia da altre organizzazioni internazionali per il suo modello d’integrazione che va aldilà della cooperazione tradizionale tra gli Stati: gli Stati membri hanno delegato una parte delle loro competenze a livello comunitario. Così, accanto ai poteri nazionali, regionali e locali, esiste un potere europeo fondato su delle istituzioni democratiche ed indipendenti, chiamate ad intervenire nei settori dove l’azione comune è considerata più efficace rispetto a quella degli Stati che agiscono separatamente (principio di sussidiarietà): il mercato unico per la circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali, l’agricoltura, la moneta unica, la coesione economica e sociale, la ricerca ….

Nel 1956, all'indomani dei negoziati per la creazione della CEE, la Gran Bretagna propose un piano alternativo a quello elaborato alla Conferenza di Messina. Esso prevedeva la creazione di una zona di libero scambio, senza nessuna unione doganale o tariffa esterna comune, al posto di un Mercato Comune. L'idea non fu gradita dai paesi partecipanti alla Conferenza ed i negoziati con la Gran Bretagna fallirono. Nel luglio del 1959 il Regno Unito istituì comunque l'Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA) a cui aderirono la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, l'Austria, la Svizzera e il Portogallo. L'EFTA doveva rappresentare una valida alternativa alla CEE, ma la mancata coesione economica e geografica dei paesi membri la rendevano al contrario molto debole.

DIRITTI DELL'UOMO

La Corte di giustizia delle Comunità europee ha consacrato, nella sua giurisprudenza, i principi enunciati dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, predisposta dal Consiglio d'Europa. Il rispetto dei diritti dell'uomo è stato confermato nel preambolo dell'Atto unico del 1986 e, successivamente, inserito nell'articolo 6 (ex articolo F) del trattato sull'Unione europea, che si basa sulla convenzione anzidetta, nonché sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

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Il trattato di Amsterdam ha rafforzato la garanzia del rispetto dei diritti fondamentali. Il nuovo trattato stabilisce in particolare che la Corte di giustizia è competente per vigilare al rispetto dei diritti fondamentali enunciati dall'articolo 6 per quanto riguarda l'operato delle istituzioni europee. Parallelamente, i provvedimenti da prendere nel caso che uno Stato membro dovesse violare i principi sui quali poggia l'Unione, in modo grave e persistente, sono precisati con l'inserimento di una clausola di sospensione.

BARRIERE E ACCORDI TRANSITORI DOPO L'ALLARGAMENTO

A causa di ritardi nell'attuazione di regole comunitarie e periodi transitori da parte dei nuovi Stati membri, l'Unione allargata prevede ancora alcune barriere che riguardano principalmente i seguenti settori: libera circolazione delle merci e delle persone; compravendita di immobili e terreni agricoli; fisco; trasporti; ambiente. Gli accordi transitori consentono ai nuovi Stati di mantenere leggi nazionali seppure in contrasto con la normativa comunitaria e se in larga parte sono stati richiesti dagli stessi Paesi dell'Est per avere tempo di adeguarsi alla normativa UE, in alcune circostanze sono stati concessi dalla stessa Unione per tutelare i settori più esposti alla concorrenza dei nuovi Stati membri (complessivamente sono stati prodotti circa 230 accordi transitori di durata variabile da un minimo di un anno ad un massimo di dodici).

Libera circolazione dei lavoratoriAi lavoratori dei dieci nuovi Stati è impedito di entrare liberamente negli Stati UE per un periodo massimo di 7 anni, al fine di evitare "ondate" di immigrati in cerca di lavoro. Di fronte a questa chiusura sono già state palesate le prime ritorsioni, fra le quali a titolo d'esempio quella della Ungheria che a sua volta ha dichiarato la chiusura delle sue frontiere nei confronti di cittadini occidentali;

Limiti alla compravendita di immobili e terreniDa sette Paesi dell'Est (Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia), è stata imposta una restrizione all'acquisto di terreni agricoli (e forestali). Gli imprenditori stranieri infatti non potranno acquistare terreni agricoli fino al 2016 salvo che non siano già stabiliti nel paese come agricoltori indipendenti. Il provvedimento nasce dal timore dei nuovi entranti di massicci acquisti di terre da parte di cittadini stranieri. Restrizioni simili per l'acquisto di seconde case saranno invece in vigore a Cipro, in Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca fino al 2009 e a Malta in maniera permanente;

Ritardi nell'adozione di regole comunitarieAltre barriere potrebbero sorgere a causa del ritardo nell'attuazione dell'acquis comunitario. Primo fra tutti sembra essere il problema delle dogane: partendo dalla situazione attuale si dubita infatti fortemente che dal 1° maggio le merci straniere potranno attraversare liberamente le dogane, la burocrazia e i controlli dei doganieri dei Paesi dell'Est sembrano infatti essere ancora molto radicate nel loro modus operandi. Anche per quello che riguarda il settore fitosanitario, la situazione (soprattutto in merito ai controlli veterinari), non sembra auspicare cambiamenti a breve e nel caso i nuovi entranti non si adeguassero alla normativa comunitaria potrebbero essere imposte clausole di salvaguardia per impedire l'esportazione di prodotti non a norma;

Trasporti e ambienteNel settore dei trasporti è previsto un periodo massimo di 5 anni nel quale sarà vietato l'esercizio dei servizi sulle tratte nazionali (cabotaggio) da parte di vettori stranieri, per tutelare le società di trasporto degli attuali Paesi membri nei confronti della concorrenza dei vettori dei Paesi dell'Est, forti di tariffe nettamente inferiori. Infine, in materia ambientale sono invece stati i nuovi membri a richiedere deroghe sia per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti che delle acque reflue sia per l'inquinamento industriale. Gli standard UE dovranno essere rispettati entro 5/10 anni.

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POLITICHE COMUNI

Le politiche comunitarie sono le varie attività e settori d'intervento in cui l'Unione europea si esprime con differenti capacità e forza. Esse sono:

Affari economici e monetariAgricoltura e PescaAiuti per lo sviluppoAmbienteCoesione economica e sociale Finanziamento delle attività comunitarie Giustizia e affari interni Istruzione, gioventù e culturaMercato internoOccupazione e politica sociale Politica agricola comunePolitica commerciale europea Politica di coesionePolitica di trasporti ed energia Politica economica Politica estera e di sicurezza comune Politica monetaria Politica regionalePolitica socialePolitiche di BilancioPolitiche di competitivitàPolitiche di Concorrenza Polizia e giustizia penaleRicerca Salute e tutela dei consumatori Sicurezza alimentareTelecomunicazioni

COESIONE ECONOMICA E SOCIALE

Le origini della coesione economica e sociale risalgono al trattato di Roma, nel cui preambolo si fa riferimento alla riduzione delle "disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite". Tuttavia, solo a partire dagli anni '70 la Comunità ha preso una serie di iniziative organiche per coordinare ed integrare sul piano finanziario gli strumenti d'intervento nazionali. Con l'andare del tempo, tuttavia, queste misure si sono rivelate insufficienti in un contesto comunitario in cui la creazione del mercato interno, contrariamente alle previsioni, non aveva eliminato il divario fra le regioni europee. Nel 1986, l'Atto unico europeo introdusse, oltre al mercato unico, l'obiettivo della coesione economica e sociale propriamente detta. Nella prospettiva dell'unione economica e monetaria, questa base giuridica ha consentito all'azione comunitaria di diventare il fulcro di una politica globale di sviluppo fin dal 1988. Grazie al trattato di Maastricht (TUE) questa politica è stata istituzionalizzata nel trattato che istituisce la Comunità europea (articoli 130 A - 130 E, rinumerati 158-162). La coesione economica e sociale esprime la solidarietà tra gli Stati membri e le regioni dell'Unione europea, favorisce lo sviluppo equilibrato e sostenibile, la riduzione del divario strutturale tra regioni e paesi e le pari opportunità tra le persone. La coesione si concreta in una pluralità di interventi finanziari, segnatamente da parte dei Fondi strutturali. Ogni tre anni la Commissione europea è tenuta a presentare un rapporto sui progressi compiuti nella realizzazione della coesione economica e sociale e sul modo in cui vi hanno contribuito i diversi strumenti previsti dallo stesso trattato. La politica di coesione economica e sociale ha rappresentato, nell'arco degli anni 1994-1999, la seconda delle grandi voci di spesa del ð bilancio comunitario (circa 35% delle risorse).

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Per le sue implicazioni finanziarie, l'avvenire della coesione economica e sociale ha costituito uno dei temi più dibattuti dell'Agenda 2000, presentata dalla Commissione il 15 luglio 1997. Infatti, la politica di coesione economica e sociale ha rappresentato, nell'arco degli anni 1994-1999, la seconda delle grandi voci di spesa del bilancio comunitario (circa 35% delle risorse). La sua importanza è stata ribadita dalle prospettive finanziarie 2000-2006.Nella prospettiva dell'adesione di nuovi Stati il cui reddito nazionale è nettamente inferiore alla media comunitaria, la politica strutturale è stata riformata nel 1999 nell'intento di renderla più efficiente, mentre la sua dotazione finanziaria è passata, sempre per gli anni 2000-2006, da 208 a 213 miliardi di euro.

POLITICA COMMERCIALE EUROPEA

- Commissario Ue Pascal Lamy

In qualità di prima potenza commerciale mondiale, l'Unione europea ambisce a rimuovere gli ostacoli al commercio internazionale e in questo ambito svolge un ruolo di primo piano in seno all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). A nome della UE è la Commissione che, sulla base dei relativi mandati impartiti dal Consiglio e in stretta consultazione con quest'ultimo, gestisce i vari strumenti della politica commerciale e negozia accordi commerciali con Stati terzi o Organizzazioni internazionali.

L'espansione del commercio internazionale ha reso la politica commerciale comune una delle principali politiche comunitarie. Parallelamente, i successivi ampliamenti ed il consolidamento del mercato comune hanno rafforzato la posizione della Comunità in quanto polo di attrazione e di influenza sui negoziati commerciali, bilaterali con gli Stati terzi o multilaterali nel quadro della OMC. L'Unione ha così tessuto progressivamente una densa rete di rapporti commerciali su scala mondiale.Nel quadro della politica commerciale europea è stata elaborata un'ampia gamma di strumenti quali:

la tariffa esterna comune, l'applicazione cioè di diritti doganali uniformi ai prodotti importati dai Paesi terzi a prescindere dallo Stato membro di destinazione;

strumenti di difesa commerciale come l'anti-dumping, la politica anti-sovvenzioni, il regolamento sugli ostacoli al commercio e le misure di salvaguardia.

L'Ue ha stabilito accordi preferenziali e negoziati multilaterali tra cui:

lo Spazio economico europeo (con la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein); gli accordi europei di associazione con i Paesi dell'Europa centro-orientale del Centro e

Sudamerica; gli accordi con gli Stati del bacino mediterraneo; l'Accordo di Cotonou con i paesi ACP (Africa - Caraibi - Pacifico).

Ciò non toglie che la maggioranza degli scambi esterni dell'Unione europea siano disciplinati dagli accordi multilaterali negoziati nell'ambito della OMC.

Base giuridica

Trattato CE: Titolo IX (Art. dal 131 al 134)

AIUTI PER LO SVILUPPO

- Commissario Ue Poul Nielson

L'obiettivo della politica comunitaria in questo campo consiste nell'incoraggiare uno sviluppo sostenibile che favorisca l'eradicazione della povertà nei Paesi in via di sviluppo (PVS) e la loro integrazione nell'economia mondiale. A queste finalità economiche e sociali si affianca un progetto di tipo politico:

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contribuire a consolidare la democrazia e lo Stato di diritto, nonché a perseguire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

La cooperazione allo sviluppo condotta dalla Comunità è complementare alle politiche degli Stati membri e si concerta con quelle di altri finanziatori a livello mondiale, che si tratti di altri Stati o di organizzazioni internazionali. L'Unione si muove inoltre su una linea improntata alla coerenza tra la politica di cooperazione allo sviluppo e le altre politiche comunitarie che potrebbero avere effetti sui PVS, prime tra tutte la politica agricola comune e la politica commerciale comune.

Presente fin dalla fondazione della Comunità europea, la cooperazione allo sviluppo ha avuto un'importante trasformazione negli anni Sessanta per adeguarsi ai nuovi Paesi che acquistavano in quegli anni l'indipendenza. Nel 1963 e nel 1969 furono sottoscritte le due convenzioni di Yaoundé che 1969 furono sottoscritte le due convenzioni di Yaoundé che disciplinavano le forme di cooperazione finanziaria, tecnica e commerciale con i Paesi africani.

Il contesto internazionale dell'inizio degli anni Settanta causò un profondo riorientamento della politica di sviluppo comunitaria. L'adesione alla Comunità del Regno Unito, avvenuta nel 1973, rese inoltre necessario concepire un quadro di cooperazione più adeguato e che comprendesse anche le ex-colonie del Regno Unito. Questo riorientamento si tradusse nella firma della prima convenzione di Lomé (1975). È a quell'epoca inoltre che si consolidò il rapporto di cooperazione coi Paesi del Maghreb e che la Cee avviò un processo di partenariato con i Paesi dell'Asia e dell'America Latina (ALA). Con molti Stati dell'Africa, Carabi e Pacifico (ACP) infine, è stato stipulato recentemente un vasto e ambizioso accordo (Accordo di Cotonou, 2000) che sostituisce le precedenti Convenzioni di Yaoundè e di Lomè.

Attualmente, l'Unione europea è il principale partner dei Paesi in via di sviluppo, in termini di aiuti, scambi commerciali e investimenti diretti. Insieme, la Comunità e gli Stati membri forniscono il 55% dell'intero aiuto internazionale ufficiale allo sviluppo. La cooperazione allo sviluppo è realizzata grazie a una vasta gamma di strumenti giuridici e finanziari, che rispecchia la natura multiforme dei rapporti intrattenuti dall'Unione coi Paesi interessati.

Gli strumenti giuridici si inseriscono in una duplice impostazione, costituita da un sistema convenzionale e da uno unilaterale. Il sistema convenzionale si basa sulla conclusione di accordi internazionali, in particolare di associazione, nel quadro dell'articolo 310 del TCE. Tali accordi possono essere multilaterali, nella misura in cui affiancano alla Comunità un vasto numero di controparti (ad esempio l'Accordo di Cotonou), o bilaterali, nel caso in cui presiedano alle relazioni tra la Comunità e un Paese specifico (ad esempio, ciascuno dei paesi del Maghreb).

Base giuridica

Trattato CE: Art. 310

AFFARI ECONOMICI E MONETARI

Commissario UE Pedro Solbes Mira

Politica economica

Obiettivo centrale della politica economica dell'Unione europea, richiamato espressamente dall'art.2 del Trattato, è quello di assicurare uno "sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, [...] una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici". A tali finalità si aggiunge la ricerca di un alto livello di occupazione e di protezione sociale ed in definitiva, dunque, il traguardo di un "miglioramento della qualità della vita", della coesione economica e sociale e della solidarietà tra Stati membri.

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Sin dal Vertice de L'Aia del 1969 i Capi di Stato e di governo decisero che un'Unione Economica e Monetaria (UEM) sarebbe stata necessaria alla costruzione europea. La fine del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods e la libera fluttuazione del dollaro decisa nel 1971 dagli Stati Uniti, provocarono un'ondata di instabilità sul mercato dei cambi alla quale i sei Paesi fondatori della CEE risposero dapprima con la creazione del "serpente monetario" (uno schema di fluttuazione concertata delle monete europee aderenti al sistema, con la fissazione di stretti margini di oscillazione anche rispetto al dollaro) e, nel 1979, con la realizzazione del Sistema Monetario Europeo (SME), basato sul principio di cambi fissi, ma adattabili all'interno di bande di oscillazione predefinite. Il sistema prevedeva in sostanza la fissazione di parità centrali rispetto all'ECU (l'unità di conto europea), con la determinazione di fasce di fluttuazione del 2,25% entro le quali le monete degli Stati membri erano libere di muovere il tasso di cambio. Allo SME parteciparono tutti gli Stati membri, con l'eccezione del Regno Unito.

In dieci anni lo SME consentì di ridurre in misura sostanziale la variabilità dei tassi di cambio: la flessibilità del sistema, unita alla volontà politica di far convergere le economie, permise di raggiungere una stabilità duratura delle monete. Già nel 1985 tuttavia, con l'adozione del programma per il completamento del mercato unico, apparve sempre più chiaro che il potenziale del mercato interno sarebbe rimasto parzialmente inutilizzato fintantoché si fossero dovuti sostenere costi elevati, dovuti alla conversione delle monete e alle incertezze derivanti dalla fluttuazione, pur limitata, dei tassi di cambio.

Con il Trattato di Maastricht (1992), vennero dunque fissati i tempi e le scadenze per l'effettiva attuazione dell'UEM, in tre tappe che dovevano culminare con l'introduzione della moneta unica e la creazione di una Banca centrale europea (BCE) dal 1999. Con il Trattato vennero anche fissati i "criteri di convergenza" che gli Stati avrebbero dovuto soddisfare per poter partecipare alla zona "Euro" (dal nome della moneta unica) e che sono rivolti a monitorare una serie di parametri macroeconomici essenziali alla sostenibilità della moneta unica stessa, quali la stabilità dei prezzi, la situazione della finanza pubblica, livello dei tassi di cambio e dei tassi di interesse a lungo termine.

Su tali basi, gli Stati membri della zona "Euro" - Belgio, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Finlandia e Grecia - hanno adottato una moneta unica, al termine di un lungo processo di preparazione e di convergenza delle economie nazionali. L'Euro è entrato fisicamente in circolazione all'inizio del 2002. Ad esso si è accompagnata l'adozione da parte degli Stati membri di una politica monetaria unica, mentre gli altri capitoli della politica economica rimangono di competenza delle istanze nazionali. Gli obiettivi di promozione della crescita, dell'occupazione e della stabilità presuppongono da parte di tutti gli Stati membri un coordinamento delle politiche economiche sulla base degli "Indirizzi di massima per la politica economica" adottati dal Consiglio.

Per gli Stati dell'area Euro, inoltre, proprio in ragione dell'adozione di una moneta unica e al fine di garantire la sostenibilità del sistema, sono previsti precisi vincoli nel campo delle politiche di bilancio e delle finanze pubbliche. In questo senso, il Consiglio europeo di Amsterdam del 1997 ha previsto l'obbligo per gli Stati membri dell'area Euro di presentare annualmente un "programma di stabilità" al Consiglio e alla Commissione europea, il quale deve comprendere l'obiettivo a medio termine di un saldo di bilancio prossimo al pareggio o in attivo, le modalità per conseguirlo, l'andamento previsto del rapporto tra debito pubblico e PIL, le principali ipotesi sulle prospettive economiche. Gli Stati membri dell'area Euro si impegnano a rispettare l'obiettivo del saldo di bilancio e ad adottare i necessari correttivi in caso di disavanzo eccessivo, quando il deficit di bilancio previsto o effettivo supera il valore di riferimento del 3% del PIL, rilevato dalla Commissione. I tre Paesi non partecipanti all'area Euro (Gran Bretagna, Svezia e Danimarca) presentano invece a Consiglio e Commissione europea un "programma di convergenza".

A Maastricht venne infine istituzionalizzato l'obiettivo della coesione economica e sociale, intesa quale solidarietà tra gli Stati membri e le regioni dell'UE, e volta a favorire uno sviluppo equilibrato e sostenibile, la riduzione del divario strutturale tra le diverse aree dell'Unione e le pari opportunità tra le persone. Tale politica, che si concretizza per mezzo dei Fondi strutturali, ha rappresentato, negli anni 1994-1999, la seconda voce di spesa del

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bilancio comunitario, assorbendo circa il 35% delle risorse. Un'importanza ribadita con le prospettive finanziarie 2000-2006.

I principali obiettivi della politica economica dell'Unione europea

I principali obiettivi della politica economica dell'Unione europea sono: assicurare un livello elevato e sostenibile di crescita economica, non inflazionistica e

sostenuta da investimenti; creare posti di lavoro attraverso una strategia globale e coerente; fornire agli Stati membri, al Consiglio e alla Commissione chiari orientamenti politici per

attuare il patto di stabilità e di crescita secondo modalità ben definite. Base giuridica

Trattato CE: Art. 98-124.

POLITICHE DI BILANCIO

Commissario Ue Michaele Schreyer

Il finanziamento dell'UE

Tutte le entrate e le spese dell'Unione formano oggetto di previsioni annuali e sono iscritte nel bilancio comunitario in un unico documento.

Dal 1978, il bilancio comunitario non dipende più da contributi finanziari degli Stati membri, ma è integralmente finanziato da risorse proprie nel rispetto del massimale fissato all'1,27% del PNL comunitario. Le risorse proprie sono costituite da: i dazi agricoli, i dazi doganali provenienti dall'applicazione della tariffa doganale comune, l'Iva con aliquota uniforme applicata alle basi imponibili di ciascun Stato membro e la cosiddetta "quarta risorsa", fissata in funzione delle altre fonti di entrata del bilancio in misura proporzionale al PNL di ciascuno Stato membro.

A partire dalla metà degli anni Ottanta l'Unione si è dotata di Prospettive Finanziarie Pluriennali (il primo accordo interistituzionale è stato concluso nel 1988 per permettere l'applicazione delle prospettive finanziarie 1988-1992) e di un Accordo Interistituzionale sulla disciplina di Bilancio al fine di individuare su un arco temporale ampio l'allocazione delle masse finanziarie rispetto alle principali politiche perseguite. Il quadro offerto da questi due strumenti rappresenta la base per l'elaborazione del Bilancio annuale.

AGRICOLTURA E PESCA

Commissario UE Franz Fischler

Agricoltura

La Politica Agricola Comune (PAC) nasce dalla necessità dell'Europa del dopoguerra di raggiungere l'autosufficienza alimentare, di trasformare le zone rurali e migliorare le condizioni di vita della popolazione contadina. In tal senso, dunque, essa presenta una un carattere "multifunzionale".

La PAC rappresenta da sempre la prima voce del bilancio della UE. Negli anni ‘70 essa assorbiva il 70% del bilancio comunitario, una quota scesa oggi a poco meno del 50%. Beneficiano della PAC sette milioni di titolari di aziende agricole e i 14,7 milioni di persone che, in Europa, lavorano nel settore agricolo.

La Politica Agricola Comune si fonda su tre principi base: la formazione di un unico mercato interno, la preferenza per i prodotti comunitari ed il principio di solidarietà. Gli strumenti

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essenziali della PAC sono: a) la politica dei mercati e dei prezzi, basata sulle organizzazioni comuni dei mercati (OCM) e volta a disciplinare la produzione e la commercializzazione dei prodotti agricoli durante la campagna di produzione; b) la politica socio-strutturale, che coordina il processo di adeguamento delle strutture agricole (tecniche di produzione, dimensioni delle aziende, formazione professionale degli agricoltori ecc.). Altri strumenti della PAC rientrano poi nell'ambito della politica per il commercio estero e in quello dell'armonizzazione delle legislazioni. La PAC è dotata di un fondo di finanziamento (FEOGA) diviso in due sezioni (orientamento e garanzia) nonché di meccanismi di applicazione.

I meccanismi originari della PAC, adottati nel 1962, hanno subito nel tempo varie riforme. Una prima importante modifica fu avviata con il Libro Verde del 1985, seguita da rilevanti innovazioni introdotte dal Consiglio nel 1988. Particolarmente incisiva fu tuttavia la revisione attuata nel 1992 (c.d. riforma Mac Sharry), che comportò, per alcune grandi produzioni, il passaggio da un sistema di aiuti basato sul sostegno dei prezzi ad un sistema basato sul sostegno al reddito (aiuti diretti). A tale progressiva trasformazione dei meccanismi di assegnazione degli aiuti si è poi affiancata con sempre maggiore rilievo la consapevolezza di una seconda funzione fondamentale dell’agricoltura europea, tesa a garantire la salvaguardia del mondo rurale dell’Unione (sviluppo rurale), che ha a sua volta influenzato la definizione dei criteri di assegnazione degli aiuti, legati sempre più al rispetto da parte del produttore di tutta una serie di impegni, tra cui non solo la limitazione della produzione, ma anche il conseguimento di determinati standard qualitativi e l’attuazione di specifiche misure socio-ambientali.

Nel 1999 il Consiglio europeo di Berlino raggiunse infine l'accordo politico su Agenda 2000, il nuovo programma d'azione volto a rafforzare le politiche comunitarie e a dotare l'Unione europea di un nuovo quadro finanziario per il periodo 2000-2006; fra gli elementi centrali di tale accordo figura anche l'impegno alla prosecuzione delle riforme agricole, nel solco tracciato dai mutamenti del 1992, nell'intento di stimolare la competitività europea, integrare maggiormente le considerazioni ecologiche, garantire agli agricoltori redditi equi, semplificare la normativa giuridica e decentrarne l'applicazione.

Proprio su tali basi è stato dunque condotto il complesso iter di revisione della Politica Agricola Comune, che ha consentito agli Stati membri di approvare (26 giugno 2003) una riforma di medio termine (Mid-Term Review) dagli obiettivi ambiziosi: rendere la PAC compatibile con il sistema creato dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), correggere le disfunzioni del sistema e favorire l'orientamento verso produzioni qualitativamente elevate richieste dal mercato e dai consumatori.

La riforma varata dal Consiglio Agricoltura ha introdotto importanti innovazioni che hanno profondamente trasformato i tradizionali meccanismi di funzionamento della PAC. Sono stati infatti introdotti meccanismi nuovi quali il "disaccoppiamento" (meccanismo volto a slegare gli aiuti concessi agli agricoltori dalle quantità prodotte), e la "modulazione dinamica degli aiuti diretti" (ovvero il graduale trasferimento delle risorse impiegate per aiuti diretti al finanziamento dello sviluppo rurale). Oltre a ciò, sono state adottate misure di riforma per alcune specifiche Organizzazioni di Mercato (riso, carni bovine, cereali, ortofrutta, grano duro), mentre sono attualmente all’esame del Consiglio le proposte della Commissione relative alle Organizzazioni Comuni di Mercato per i prodotti mediterranei (tabacco, olio d’oliva, cotone e zucchero).

Le nuove sfide che la PAC dovrà ora affrontare sono quelle poste dall'allargamento dell'Unione a dieci nuovi Paesi membri. In questo senso il Consiglio europeo di Bruxelles dell'ottobre del 2002 ha determinato il quadro finanziario cui sarà necessario fare riferimento nell'elaborazione della riforma di medio termine e che fissa sostanzialmente, per il periodo 2006-2013, il tetto massimo di spesa agli stessi livelli che saranno raggiunti nel 2006.

Il riconoscimento dell'importanza del fattore qualitativo nella produzione agricola e la previsione di forme di finanziamento specifiche per i produttori che intendono seguire un approccio orientato alla qualità è stato sostenuto in modo particolare da parte italiana.

Gli obiettivi della politica agricola comunitaria sono:

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aumento della produttività agricola grazie allo sviluppo del progresso tecnologico; rafforzamento della qualità e difesa dei prodotti alimentari che possono vantare i marchi

europei; miglioramento degli standard di vita delle popolazioni rurali; stabilizzazione dei mercati agricoli; libero accesso alle forniture alimentari; prezzi ragionevoli per i consumatori; armonizzare la politica agricola con iniziative a sostegno dell'ambiente; favorire misure a sostegno della salute umana.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 32-38 (raggruppati nel titolo II).

Trattato CE: Art. 131 (politica commerciale comune applicabile agli scambi di prodotti).

Trattato CE: Art. 300 (negoziazione e conclusione di accordi internazionali).

Trattato CE: Art. 310 (accordi che istituiscono un'associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari).

Pesca

La nascita della cosiddetta Europa blu, dotata di una vera e propria politica comunitaria per la pesca (settore che contribuisce per circa l'1% al PIL dei Quindici), risale al 1983 ed è stata preceduta da molti anni di complessi negoziati.

Nel quadro di Agenda 2000 sono stati introdotti nuovi orientamenti per la politica strutturale del settore, con l'obiettivo di precisare le priorità politiche e il quadro d'intervento dello strumento finanziario d'orientamento (SFOP) per il periodo 2000-2006. Tutto ciò nell'ottica di contribuire a un equilibrato sfruttamento delle risorse, rafforzare la competitività del settore, valorizzare i prodotti della pesca e dell'acquacoltura e rivitalizzare le aree più dipendenti da questo settore. L'azione comunitaria in favore della pesca si sviluppa anche attraverso politiche finalizzate all'organizzazione comune dei mercati, al controllo sull'applicazione di questa e sul rispetto delle decisioni prese a livello comunitario.

Il finanziamento dei vari strumenti di intervento assorbe annualmente circa 1,1 miliardi di euro provenienti dal bilancio UE.

Nel dicembre del 2002 i Quindici hanno messo a punto una radicale riforma per fronteggiare un eccesso di capacità di pesca rispetto alle risorse ittiche disponibili. La Commissione ha ora proposto di creare un'Agenzia europea di controllo per l'attività di pesca dal Baltico al Mediterraneo. La proposta giuridica sarà presentata entro la fine dell'anno, al termine di uno studio di fattibilità, sotto presidenza italiana dell'UE.

Gli obiettivi principali a cui punta l'azione dell'Unione sono:

promuovere uno sfruttamento razionale e responsabile delle risorse ittiche e dell'acquacoltura;

stabilire eque condizioni di accesso alle acque e alle risorse ittiche; garantire condizioni economiche e sociali adeguate agli operatori del settore ittico

attuando politiche per l'aumento del reddito dei pescatori; aumentare la produttività favorendo lo sviluppo tecnologico e l'organizzazione efficiente

della produzione; stabilizzare il mercato; garantire ai consumatori prezzi ragionevoli per i prodotti della pesca; promuovere la cooperazione con paesi terzi; ridurre il problema degli eccessi nelle quantità pescate, allo scopo di salvaguardare le

specie ittiche a rischio.

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Base giuridica

Trattato CE: Art. 32-37.

LE POLITICHE DI COMPETITIVITÀ (MERCATO INTERNO, INDUSTRIA, RICERCA)

La competitività dell'economia europea è un fattore chiave in un contesto caratterizzato da crescenti interdipendenze e da fenomeni di globalizzazione. Il tentativo di rafforzare in chiave orizzontale le politiche che determinano la competitività ha quindi motivato, in occasione del Consiglio europeo di Siviglia (21-22 giugno 2002), il raggruppamento in un'unica formazione consiliare dei precedenti Consigli "Mercato interno", "Industria" e "Ricerca" allo scopo di

rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria della Comunità e di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale;

integrare, in ottica comunitaria, l'attività di ricerca; strutturare il progetto ERA (European Research Area) in maniera da realizzarlo nei settori

dell'agricoltura, della pesca, della salute, della protezione dei consumatori, dei trasporti e dell'informazione, (soprattutto quelli più vicini ai cittadini);

sostenere la formazione e la mobilità dei ricercatori nell'UE.

Base giuridica:

Trattato CE: Art. 163-173

LE POLITICHE DI CONCORRENZA

Commissario UE Mario Monti

Per quanto alcuni riferimenti ai settori industriali fossero già contenuti nei Trattati Ceca e Euratom, è soltanto con il Trattato di Maastricht che si fornisce una base giuridica per l'attuazione di una politica industriale comunitaria in aggiunta a quanto già previsto nel Trattato di Roma in materia di concorrenza.

In questo ambito, la Commissione ha il potere di tutelare la libera concorrenza da pratiche o accordi tra imprese restrittivi della concorrenza, quali i "cartelli", e abusi di posizione dominante. La Commissione può inoltre intervenire in maniera preventiva sulle proposte di concentrazioni (fusioni e acquisizioni) quando esse diano vita ad una posizione dominante lesiva, in ultima istanza, degli interessi dei consumatori. La Commissione controlla inoltre la compatibilità col mercato comune degli aiuti di Stato, al fine di evitare alterazioni della concorrenza e degli scambi intracomunitari (in questo settore, occorre precisare che sono ammessi, a particolari condizioni, quegli aiuti di Stato aventi obiettivi di carattere orizzontale quali, in particolare, lo sviluppo regionale, dell'ambiente e della ricerca).

Per quanto attiene la politica industriale comunitaria, essa è rivolta ad assicurare la realizzazione delle condizioni necessarie alla competitività dell’industria europea. In tale contesto dunque l’UE svolge la propria azione volta a favorire l’adattamento dell’industria alle trasformazioni strutturali, a promuovere un ambiente favorevole allo sviluppo dell’imprenditorialità e della cooperazione tra imprese (con particolare attenzione per il settore delle piccole e medie imprese), e a favorire politiche di innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico. Nella realizzazione di tali azioni, gli Stati membri si consultano reciprocamente, al fine di porre in essere, per quanto necessario, iniziative coordinate. La Comunità in questo contesto contribuisce attraverso la realizzazione di politiche ed azioni attuate sulla base di altre disposizioni del Trattato. Rimane inteso, evidentemente, che le azioni poste in essere nel quadro della politica industriale comunitaria non possono in alcun modo determinare distorsioni alla concorrenza. In questo contesto generale, il Consiglio europeo di Lisbona ha inoltre promosso iniziative di coordinamento tra le diverse politiche nazionali che supportino le aziende nella crescita.

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I principali obiettivi delle regole in materia di concorrenza e industria sono:

garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno; sostenere le industrie nell'assunzione dei rischi propri dell'imprenditorialità migliorando

le condizioni di accesso ai finanziamenti, ai servizi di assistenza e di aggiornamento; incoraggiare lo sviluppo tecnologico e sostenere le innovazioni; liberalizzare i settori ancora condizionati da operatori in posizione dominante (quali dei

trasporti e delle telecomunicazioni; semplificare la legislazione per le imprese (per esempio in materia di tassazione).

Base giuridica:

Trattato CE: Art. 3g, 81-89 (concorrenza), Art. 157 (politica industriale)

MERCATO INTERNO

Commissario UE Frits Bolkestein

La creazione di un'unione doganale ed una progressiva convergenza delle legislazioni nazionali per accrescere la competitività delle imprese ed il benessere dei cittadini era già un obiettivo del Trattato di Roma. Nel 1969 si completa l'abolizione dei dazi doganali e del sistema delle restrizioni quantitative nel commercio intracomunitario. La spinta decisiva verso il grande disegno di completamento del mercato interno prende le mosse dalle iniziative della Commissione guidata da Jacques Delors, che pubblica un Libro bianco nel 1985. Successivamente con l'Atto Unico Europeo (1986) gli Stati membri della Comunità si impegnano a realizzare un vero mercato unico entro il 1992, applicando i principi di armonizzazione normativa e tecnica e di mutuo riconoscimento.

Il mercato interno viene definito come "uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali". Alla base sono fissate quattro "grandi libertà": 1) la libertà di circolazione delle merci; 2) la libertà di circolazione delle persone, rafforzata nel cosiddetto "spazio Schengen"; 3) la libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi; 4) il libero movimento dei capitali.

La Commissione europea svolge inoltre un ruolo centrale nel formulare le regole del mercato interno e garantirne il rispetto da parte degli Stati membri. Al riguardo, essa ha il potere di dare inizio a una procedura di infrazione per inadempimento e se lo Stato in questione non si conforma alle raccomandazioni, può rivolgersi alla Corte di Giustizia che può emettere una sentenza di condanna ed irrogare sanzioni pecuniarie.

I principali obiettivi dell'UE in materia di Mercato interno sono:

contribuire alla prosperità dell'Europa, stimolando il commercio tra i Paesi capace di ridurre i costi e di incrementare la produttività;

rendere più efficiente e semplice il quadro normativo per i cittadini e le imprese; evitare qualunque tipo di discriminazione nel rispetto del principio del reciproco

riconoscimento (la legislazione di un altro Stato membro sia equivalente nei suoi effetti alla legislazione nazionale);

Base giuridica:

Trattato CE: Art. 3c, 14, 18, 23 e 24, Titolo III e IV, Art. 94 e 95, Art. 28-31 (libera circolazione delle merci). Art. 39-55 (libera circolazione dei lavoratori, diritto di stabilimento, libera prestazione di servizi), Art. 56-60 (libera circolazione dei capitali).

RICERCA

Commissario UE Philippe Busquin

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La ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico hanno ormai assunto un ruolo sempre più determinante nel progresso economico. La politica comunitaria sta concentrando i suoi sforzi per investire le risorse comunitarie e nazionali per sviluppare la competitività delle aziende europee e la loro capacità di innovazione. L'Atto Unico e il Trattato di Maastricht hanno approfondito il ruolo della ricerca, prevedendo la definizione di ampi Programmi quadro di Ricerca al fine di sviluppare le sinergie tra i programmi nazionali.

La Comunicazione della Commissione "Verso uno Spazio europeo della ricerca" e gli obiettivi stabiliti dal Consiglio europeo di Lisbona (marzo 2000) hanno anche riconosciuto che la ricerca e lo sviluppo europei devono evolvere affinché l'UE divenga "l'economia basata sulle conoscenze, più competitiva e dinamica del mondo". In quest'ottica nasce il progetto Era (dall'acronimo inglese di European Research Area, Spazio Europeo di Ricerca) che ha lo scopo di definire le priorità nel settore e promuovere la condivisione dei risultati raggiunti negli Stati membri. Strumento principale per l’attuazione delle politiche comunitarie in materia di ricerca è il Sesto programma quadro (adottato il 3 giugno 2002). Tra gli obiettivi centrali del programma di finanziamento comunitario si evidenzia il compito di colmare il vuoto tra il lavoro di ricerca e le sue applicazioni commerciali e che finanzia la ricerca negli Stati membri e nel Centro comune di ricerca dell'Unione europea. Tale programma, considerato lo strumento principale per la costruzione dello Spazio Europeo della Ricerca, può contare su di un bilancio di 17,5 miliardi di Euro per il periodo 2002-2006. Esso focalizza l’attenzione su 7 aree di ricerca:

genomica e biotecnologie per la salute; tecnologie per la società dell'informazione; nanotecnologie, materiali intelligenti e nuovi processi di produzione; aeronautica e spazio; sicurezza alimentare e rischi per la salute; sviluppo sostenibile; scienze economiche e sociali.

Un'attenzione particolare viene riservata ai programmi di ricerca scientifica e tecnologica collegati alla realizzazione di politiche comunitarie in aree quali agricoltura, pesca, protezione della salute e del consumatore, ambiente, mercato unico, trasporti e società dell'informazione.

Il 6°PQ costituisce tuttavia solo una parte del programma di finanziamento comunitario nel settore della ricerca. La Banca europea per gli investimenti (BEI) ha infatti lanciato, nel 2000, l'"Iniziativa Innovazione 2000" ("II2"), volta a facilitare il finanziamento, mediante capitali di rischio, per progetti tecnologici. Le priorità individuate dall’Iniziativa della BEI sono ricerca e sviluppo, promozione delle PMI e degli imprenditori, reti tecnologiche di informazione e comunicazione, supporto agli istituti di istruzione per la formazione degli scienziati del futuro e diffusione dei risultati delle ricerche.

Il fondamentale rilievo della ricerca per il rilancio dell’economia europea è stato evidenziato anche nell’Iniziativa per la Crescita, presentata dalla Presidenza italiana. Su tali basi, il Consiglio Europeo di Bruxelles del 16-17 ottobre ha espressamente ricordato che “l'innovazione, la ricerca e sviluppo e le competenze sono decisivi per il potenziale di crescita dell'Europa”. In questo senso dunque l'azione dell’UE e degli Stati membri si concentrerà sulla mobilitazione degli investimenti e sulla creazione delle giuste condizioni normative in settori quali le infrastrutture di ricerca, i parchi scientifici, i progetti di innovazione industriale e di ricerca e sviluppo, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il finanziamento delle strutture per l'istruzione e la formazione, attraverso maggiori investimenti nell'istruzione e una migliore integrazione con le politiche del lavoro e sociali. Sempre su indicazione del Consiglio Europeo, per il conseguimento di tali obiettivi, vari strumenti europei dovrebbero essere utilizzati, con particolare riferimento agli strumenti della BEI ed ai fondi strutturali.

I principali obiettivi della politica di ricerca sono:

rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria della Comunità e di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale;

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integrare, in ottica comunitaria, l'attività di ricerca; strutturare il progetto ERA (European Research Area) in maniera da realizzarlo nei

settori, soprattutto quelli più vicini ai cittadini; sostenere la formazione e la mobilità dei ricercatori nell'UE.

POLITICHE DI TRASPORTI ED ENERGIA

Commissario Ue Loyola De Palacio

Trasporti

Lo sviluppo del settore dei trasporti è un obiettivo fondamentale per la realizzazione del mercato interno europeo, necessario per favorire la libertà di movimento nell'UE e tenuto conto del ruolo primario dei trasporti per la competitività del sistema economico. Infatti il settore – che comprende il trasporto su strada e su rotaia, la navigazione marittima, fluviale ed aerea – genera il 10% per cento del PIL comunitario (fonte Libro bianco UE sui Trasporti), crea il 7% dei posti di lavoro, assorbe il 40% degli investimenti degli Stati membri e richiede il 30% dei consumi di energia comunitari. Si tratta di un sistema complesso "a rete" che richiede il necessario supporto logistico e innovativo.

Il Trattato di Maastricht ha riconosciuto il rilievo decisivo delle Reti Trans-Europee (RTE o Trans European Networks – TENs) nei settori dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni. L'impulso politico concreto per la realizzazione dei TENs fu dato poi dal Consiglio Europeo di Copenaghen nel 1993. Seguendo tale input iniziale, nel contesto del rilancio della crescita economica dell’EU e dell’Iniziativa per la Crescita presentata dalla Presidenza italiana, il Consiglio Europeo di Bruxelles del 16-17 ottobre 2003 ha da ultimo ribadito l’esigenza di realizzare infrastrutture di trasporto moderne e efficienti che assicurino un facile e migliore accesso per tutti gli Stati membri, al fine di incrementare direttamente la crescita e massimizzare i vantaggi del mercato interno. In tal senso – indicano le conclusioni del Consiglio Europeo – particolare attenzione sarà riservata alla nuova proposta sui progetti prioritari delle TEN dei trasporti, accompagnata da proposte volte ad accrescere il volume e l'efficienza degli investimenti in questi progetti, e ad altre proposte attualmente all'esame del Consiglio "Trasporti, telecomunicazioni e energia". In relazione alla realizzazione dei progetti prioritari, particolarmente importante è il ruolo attribuito alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) - che potrà accrescere la quota dei prestiti a sostegno dei progetti - nonchè alla mobilitazione del capitale privato attraverso schemi di partenariato pubblico/privato (PPP). Accanto a tali forme di finanziamento, l’UE sta cercando inoltre di definire formule innovative di finanziamento "incrociato" da una modalità di trasporto all’altra per sviluppare il riequilibrio modale, nonché di coinvolgere maggiormente i capitali privati incoraggiando ove possibile il partenariato tra investimento pubblico e privato.

Gli obiettivi dell'UE nel settore dei trasporti sono:

creare un sistema di trasporti moderno ed efficiente che favorisca la concorrenza e sia sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale;

favorire la liberalizzazione del trasporto ferroviario; armonizzare la legislazione sulla sicurezza dei mezzi e delle infrastrutture di trasporto; ridurre l'impatto ambientale dei trasporti stabilendo dei limiti per l'emissione di sostanze

inquinanti e di rumore; favorire la creazione di nuove ed efficienti vie di comunicazione tra l'Ue e i Paesi vicini.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 3 lettera f, Titolo V in particolare Art. 71 e 80

Energia

L'UE favorisce politiche energetiche comuni allo scopo di assicurare uguali condizioni di accesso a livello europeo, sia in favore delle aziende che acquistano, sia per quelle che

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vendono energia. Inoltre, grazie a misure comuni sono anche più efficacemente perseguibili gli obiettivi di garantire sufficienti risorse energetiche in un quadro di sicurezza degli approvvigionamenti e proteggere l'ambiente tramite lo sviluppo di fonti d'energia alternative.

Nel contesto del protocollo di Kyoto, è diventato di fondamentale importanza aumentare l'efficienza energetica ed incentivare l'uso di energia pulita. La Commissione europea ha infatti adottato un piano d'azione per favorire il risparmio energetico (Il Programma "Save" incoraggia misure in tal senso ed è il principale strumento di coordinamento della politica energetica dell'UE). Essa ha inoltre predisposto una strategia per raddoppiare l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili dall'attuale 6% al 12% entro il 2010.

L'Unione europea, anche in quanto firmataria della "Carta europea per l'energia", promuove il dialogo e la cooperazione energetica con la Russia e i Paesi del Mediterraneo. Elevata attenzione viene altresì data ad iniziative di cooperazione con le regioni del Mar Baltico e del Mar Nero e con altri gruppi di Paesi produttori di petrolio attraverso l'IEF (International Energy Forum) ed il suo Segretariato. La cooperazione energetica coi Paesi terzi è infatti una dimensione centrale della strategia europea di sicurezza degli approvvigionamenti e contribuisce al consolidamento di stabili relazioni politiche internazionali.

Un aspetto importante della politica energetica comunitaria è il settore nucleare coordinato dalla Comunità Europea dell'Energia Atomica (Euratom). L'Euratom, creata nel 1957 in base ad un trattato separato da quello della Comunità europea, ha una serie di compiti tra cui la ricerca e lo sviluppo di applicazioni pacifiche dell'energia nucleare, la definizione di standard di sicurezza e la creazione di un mercato comune per questo tipo di energia.

Gli obiettivi dell'UE nel settore dell'energia sono:

liberalizzare i mercati europei dell'energia; migliorare la concorrenzialità tra le imprese del settore energetico; garantire la sicurezza e l'economicità dell'approvvigionamento energetico; produrre energia tenendo conto delle esigenze di tutela ambientale; elaborare una legislazione comune che favorisca la liberalizzazione nel settore del gas e

dell'elettricità; favorire politiche di risparmio energetico; favorire gli investimenti in forme energetiche rinnovabili.

Base giuridica

Trattato CECA: in particolare Art. 3 (obiettivi generali) e Art. 57-64 (produzione e prezzi).

Trattato Euratom: in particolare Art. 40-76 (investimenti, imprese comuni e approvvigionamenti) e 92-100 (mercato comune nucleare).

Trattato CE: in particolare Art. 99 paragrafo 4 (difficoltà di approvvigionamento) e 308

TELECOMUNICAZIONI

Commissario UE Erkki Liikanen

Le telecomunicazioni giocano un ruolo sempre maggiore per la crescita e lo sviluppo economico, sociale e culturale. L'UE intende favorire le condizioni per il più ampio accesso dei cittadini comunitari, delle imprese e delle istituzioni ai diversi aspetti della società dell'informazione. L'UE si adopera al fine di agevolare lo sviluppo di una società in cui le nuove tecnologie sono largamente diffuse e applicate. In questo quadro assume grande rilevanza il Programma e-Europe che mira a diffondere la tecnologia digitale per assicurare a tutti i cittadini il possesso di conoscenze necessarie per utilizzare i sistemi elettronici.

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Questa iniziativa si colloca nell'ambito delle politiche volte a rafforzare la competitività economica dell'UE.

Dal 1990 i mercati europei delle telecomunicazioni sono stati liberalizzati gradualmente e si è sviluppata un'industria delle reti e dei servizi di comunicazione competitiva ed orientata al futuro. Al tempo stesso gli utenti, e quindi anche le altre imprese europee, hanno potuto trarre vantaggio dalle offerte innovative di prodotti e di servizi e dalla forte diminuzione dei prezzi. Da allora il settore delle comunicazioni in Europa si trova in una fase di continua trasformazione. Il settore delle telecomunicazioni e quello delle tecnologie dell'informazione convergono in maniera determinate.

Gli obiettivi dell'UE nel settore delle telecomunicazioni sono:

creare regole comuni nel settore delle reti di comunicazione e dei servizi digitali nell'UE garantendo la salvaguardia degli interessi europei nel mercato globale (in questo settore è fondamentale permettere a nuovi gestori l'ingresso nel mercato allo scopo di garantire un'effettiva competizione);

assicurare un quadro omogeneo di regolazione - sul piano comunitario e internazionale - in grado di accompagnare lo sviluppo dell'industria e dei servizi di telecomunicazione e di tutelare i diritti dell'utenza;

garantire a tutti i cittadini l'accesso ad un minimo di servizi di comunicazione in modo da agevolare ad aziende o persone in zone decentralizzate di partecipare alla società dell'informazione;

favorire l'integrazione e l'applicazione di tecnologie on-line nel quadro di un ampio spettro di attività, tra cui l'insegnamento, il commercio, l'amministrazione, la ricerca e lo sviluppo;

investire allo scopo di sostenere nella fase iniziale lo sviluppo di nuovi servizi elettronici attraverso il cosiddetto TEN-Telecom Programme (Reti di telecomunicazioni transeuropee);

rafforzare la sicurezza delle reti, divenuta un elemento chiave per lo sviluppo della società dell'informazione.

Base giuridica:

Trattato CE: Art. 163-173

AMBIENTE Commissario UE Margot Wallstrom

La protezione dell'ambiente è una delle maggiori sfide con cui deve misurarsi l'Ue. A livello comunitario si sta quindi portando avanti un'attiva politica di protezione del suolo, dell'atmosfera, della fauna e della flora. Tale azione si sviluppa nel rispetto del principio di sussidiarietà, ovvero intervenendo solo quando i problemi possono essere affrontati più efficacemente a livello comunitario piuttosto che nazionale o regionale.

In una realtà come quella dei Quindici, in cui ogni anno si producono oltre due miliardi di tonnellate di rifiuti, la tematica ambientale ha assunto tale rilevanza da imporre una strategia di sviluppo sostenibile. In questo contesto, le azioni per la salvaguardia dell'ambiente hanno assunto sempre più un carattere trasversale, venendo ad interessare molte delle politiche comunitarie in vari settori, dai trasporti all'agricoltura, dall'energia alla competitività. Nel quadro di una lotta globale contro l'inquinamento, l'UE ha poi sottoscritto il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas ritenuti responsabili dell'effetto serra.

L'azione europea per la difesa dell'ambiente ha cominciato a svilupparsi nel 1972. Da allora sono stati varati cinque programmi d'azione per affrontare i problemi ecologici e sono stati adottati molti atti legislativi che pongono limiti all'inquinamento, introducendo standard

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ecologici per la gestione dei rifiuti, per la protezione dell'aria e delle acque, nonché per la lotta all'inquinamento acustico.

La tutela dell'ambiente ha però guadagnato lo status di politica comunitaria solo nel 1993, con il Trattato di Maastricht, in base al quale la politica ambientale comunitaria deve puntare a un più alto livello di protezione, fondato sul principio dell'azione preventiva. Con il Trattato di Amsterdam è stato inoltre rafforzato il concetto di sviluppo sostenibile.

Nel marzo 2000, con il Consiglio Europeo di Lisbona, sono state infine poste le basi per la piena integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche dell'Unione. La strategia di sviluppo dell'economia europea definita a Lisbona, infatti, ha introdotto l'elemento della tutela dell'ambiente quale componente essenziale, accanto alle dimensioni economiche e sociali, cui fare riferimento nell'elaborazione delle politiche dell'UE.

In pochi anni dunque, l'UE si è dotata di una normativa quadro per la tutela dell'ambiente, nonché di uno strumento finanziario - il programma Life - per il co-finanziamento delle misure adottate in campo ambientale e l'implementazione delle politiche e della legislazione comunitaria di settore. Infine sono stati progressivamente introdotti strumenti tecnici particolarmente rilevanti quali: l'etichettatura ecologica, il sistema di valutazione dell'impatto ambientale e criteri per le ispezioni nei Paesi membri.

Gli obiettivi dell'UE in campo ambientale, descritti anche nel sesto programma d'azione, sono:

armonizzare e sviluppare le leggi a tutela dell'ambiente per proteggere natura e biodiversità;

ridurre i gas inquinanti; proteggere la salute umana contro agenti chimici e altre sostanze artificiali; agevolare una gestione razionale delle risorse naturali, evitando sprechi e incoraggiando

il riciclaggio; favorire uno sviluppo sostenibile anche nei Paesi candidati all'ingresso nell'Unione

europea; sviluppare la cooperazione ambientale a livello internazionale.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 174-176.

OCCUPAZIONE E POLITICA SOCIALE

Commissario Ue Stavros Dimas

La dimensione europea è sempre più presente nell'ambito delle politiche sociali ed occupazionali condotte a livello nazionale. Se infatti il Trattato di Roma imitava l'azione delle politiche comunitarie principalmente alla dimensione economica ed in tale veste si affrontavano le questioni legate alla libera circolazione dei lavoratori ed alla libertà di stabilimento (attualmente raggruppate nel titolo III art.39-48), oggi temi come "la promozione di un elevato livello dell'occupazione e di protezione sociale [.] la parità tra uomini e donne [.] il raggiungimento della coesione sociale" sono tra gli obiettivi definiti nell'art. 2 del Trattato di Amsterdam. All'art 3 dello stesso Trattato (punti i, j, k), questi obiettivi trovano il loro corrispettivo in interventi e politiche da condurre nell'ambito dell'azione della Comunità.

Si tratta di un lungo cammino che parte dalla carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori della fine degli anni ‘80, si traduce infine nel protocollo sociale allegato al Trattato di Maastricht, per approdare infine ad Amsterdam con nuovi importanti progressi in termini di lotta alle discriminazioni (art 13) ed all'esclusione sociale (art 137).

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Nel Trattato di Roma del 1958 solo pochi articoli erano dedicati alle questioni attinenti all'occupazione, con particolare riferimento alla libera circolazione dei lavoratori (articoli 39-42 del trattato CE) ed alla libertà di stabilimento (articoli 43-48), nella prospettiva di realizzare un mercato comune europeo.

Già a partire dagli anni '90 tuttavia si era consolidata l'idea che la crescita economica non fosse sufficiente a risolvere i problemi strutturali del mercato del lavoro dell'Unione. Nel 1994 poi, un intenso dibattito era stato sollevato a seguito della pubblicazione del Libro Bianco della Commissione "Crescita, Competitività e Occupazione" sulle modalità attraverso le quali l'UE potesse assicurare la creazione di un maggior numero di posti di lavoro e migliori opportunità per le persone svantaggiate in cerca di lavoro.

In tale contesto di evoluzione della riflessione sulle tematiche occupazionali in ambito comunitario, di particolare rilievo furono poi il Vertice di Lussemburgo (1997), che ha fatto dell'occupazione un tema centrale ed ha promosso in quest'ambito una strategia comune a livello comunitario ed il Consiglio europeo di Lisbona (2000), che coniugando sviluppo economico, coesione sociale ed occupazione, ha fatto segnare una tappa importante nel processo di governance nazionale e comunitario conferendo alle questioni sociali ed all'occupazione una dimensione europea, prima assente.

Il varo, con il Vertice di Nizza, di un'agenda sociale europea, che vuole costituire la tela di fondo per la modernizzazione del "modello sociale europeo", costituisce l'ultimo passo di un processo che dovrebbe completato con l'incorporazione, nei prossimi trattati, della Carta dei Diritti Fondamentali, anch'essa discussa ed approvata nel vertice di Nizza.

Il progressivo approfondimento delle tematiche occupazionali e sociali in campo comunitario ha determinato nel tempo la maturazione della consapevolezza che molti dei problemi in questi settori sono oggi comuni ai Paesi dell'Unione, e che altrettanto comuni possono dunque essere alcune soluzioni. Ciò ha consentito agli Stati membri di lanciare, fin dal Consiglio europeo di Lussemburgo, il "metodo di coordinamento aperto" nell'affrontare l'elaborazione di linee d'azione comuni. In sostanza, pur conservando intatte le prerogative di intervento a livello nazionale, si è voluto avviare in tal modo un processo in cui la Commissione europea ed i Paesi promuovono la discussione comune dei propri programmi, la diffusione delle buone prassi in termini di valutazione d'impatto e di innovazione sociale e definiscono degli obiettivi per il futuro. Inoltre gli Stati membri hanno in tal modo avviato un percorso che porta alla definizione di obiettivi comuni e di indicatori sociali uniformi.

Partendo dalla cooperazione nel settore dell'occupazione (processo di Lussemburgo) il "metodo di coordinamento aperto" si estende oggi alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, alle politiche previdenziali e di modernizzazione della protezione sociale. Esso è destinato a coprire progressivamente nuovi settori di cooperazione come quello sanitario, in particolare nella prospettiva dell'invecchiamento della popolazione.

I principali obiettivi della politica per l'occupazione e della politica sociale sono:

raggiungere la piena occupazione (secondo quanto stabilito a Lisbona, il 70% entro il 2010);

ottenere una sempre maggiore qualità e produttività sul lavoro; rendere più accessibile il mercato del lavoro favorendo l'acquisizione delle competenze

necessarie, anche progredire in termini di retribuzione e di qualifica,importanti fattori di promozione dell'integrazione sociale;

attribuire una maggiore importanza all'istruzione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita;

aumentare l'occupazione nei settore dei servizi; garantire un'efficace politica sociale nel rispetto della competitività europea; promuovere la parità di opportunità sotto tutti gli aspetti, con azioni contro la xenofobia,

il razzismo, la discriminazione delle donne e dei disabili.

Base giuridica

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Trattato CE: Art. 2 e 13, Art.39-42, Art.43-48, Art. 141, Art. 137-138

Trattato UE: Art. 2

SALUTE E TUTELA DEI CONSUMATORI

Commissario UE David Byrne

In questi ultimi decenni, il livello di salute degli europei ha registrato un netto miglioramento, confermato ad esempio dall'aumento medio di cinque anni dell'aspettativa di vita. Tuttavia, anche nell'Unione si presentano nuovi rischi e persistono forti sensibilità in materia di sanità. Il diffondersi di malattie finora sconosciute (per esempio la cosiddetta "mucca pazza" o la recente polmonite atipica) e la scoperta di agenti altamente dannosi presenti nella catena alimentare (come la diossina) hanno aumentato la "domanda di salute" dei cittadini europei e la richiesta di informazione e strumenti per affrontare le nuove incognite. Questa situazione ha spinto l'UE ad intensificare gli sforzi per una vera e propria politica sanitaria europea.

Già il Trattato di Maastricht aveva dato un primo impulso considerevole all'azione comunitaria in materia di sanità pubblica, introducendo un articolo specifico (l'ex articolo 129) ad essa dedicato. Successivamente il Trattato di Amsterdam ha introdotto importanti cambiamenti (articolo 152), ponendo le basi per l'evoluzione progressiva di una strategia volta a favorire la salute dei cittadini e a garantire un'elevata qualità del servizio sanitario pubblico, nonché un sistema efficiente di assistenza agli anziani. Tra i settori di cooperazione tra gli Stati membri, l'articolo 152 menziona non solo le malattie e i grandi flagelli, ma anche, più in generale, tutte le cause di pericolo per la salute umana, nonché l'obiettivo generale di un miglioramento della sanità pubblica.

In particolare, l'Art. 152, introdotto dal Trattato di Amsterdam, afferma che "nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana". Inoltre, l'azione della Comunità in questo campo "si affianca a quella degli Stati membri" e "si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l'informazione e l'educazione in materia sanitaria". Il valore della tutela della salute trova dunque un chiaro riconoscimento nel Trattato CE., ed è oggetto di una azione complementare da parte della Comunità che completa e affianca le politiche degli Stati membri, i cui settori di cooperazione sono estesi a "tutte le cause che comportano un rischio per la salute umana". In questo quadro la Comunità incoraggia il coordinamento tra gli Stati membri, appoggiandone l'azione.

Nel 1998 la Commissione aveva pubblicato una propria Comunicazione volta ad avviare un dibattito circa la necessità di innovare la strategia comunitaria nel settore della sanità pubblica, al fine di affrontare al meglio le evoluzioni derivanti da nuove minacce sanitarie, ma anche da crescenti pressioni sui sistemi sanitari stessi e dall'ampliamento, tenendo in debita considerazione le nuove disposizioni introdotte dal Trattato di Amsterdam.Sulla base delle conclusioni di tale Comunicazione, la Commissione ha in seguito presentato (2000) una nuova Comunicazione sulla strategia comunitaria in materia di sanità, fondata su tre assi principali: 1) migliorare l'informazione sulla sanità destinata a tutti i livelli della società; 2) mettere a punto un meccanismo di reazione rapida al fine di rispondere tempestivamente alle grandi minacce per la salute; 3) occuparsi dei fattori sanitari determinanti, con particolare riguardo per i fattori nocivi connessi al modo di vita. In questo quadro, il Programma d'Azione comunitaria nel settore della sanità pubblica costituisce l'elemento chiave dell'attuazione della strategia. Il nuovo Programma 2003-2008, adottato nel settembre 2002, sarà un programma globale, destinato a sostituire i programmi settoriali precedentemente avviati (piano d'azione contro il cancro, l'AIDS e le altre malattie trasmissibili, la tossicodipendenza, il doping, il piano d'azione per la promozione della salute mentale ecc.).

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Gli obiettivi dell'UE in materia di salute sono:

promuovere uno stile di vita salutare tra i cittadini europei, riducendo il consumo di tabacco, alcool e droghe e favorendo la consapevolezza dell'importanza di un'alimentazione equilibrata e dell'esercizio fisico;

prevenire e combattere malattie mortali come l'Aids e il cancro; migliorare la qualità di vita della popolazione combattendo le malattie legate

all'inquinamento, gli incidenti, le malattie rare, il doping, i campi elettromagnetici e le radiazioni;

monitorare l'andamento dello stato di salute dei cittadini nei Paesi membri sostenendo la pianificazione e lo sviluppo di politiche sanitarie;

garantire la sostenibilità economica e la qualità del servizio sanitario e di assistenza per gli anziani;

aumentare il livello di informazioni e conoscenze relative alla salute.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 152

Tutela dei consumatori

Tradizionalmente materia di normative nazionali, la politica per la tutela dei consumatori è diventata con gli anni - soprattutto per lo sviluppo del mercato interno, l'incremento della circolazione delle merci e dei beni, lo sviluppo vigoroso del commercio elettronico ed anche il susseguirsi di crisi sanitarie nel settore alimentare - un importante settore di intervento dell'Unione europea e uno dei punti chiave del rapporto tra cittadini e Unione.

Dopo alcuni interventi settoriali e protettivi, come il Programma preliminare di protezione dei consumatori e di politica dell'informazione adottato nel 1975, la politica europea dei consumatori poggia su una strategia pluriennale (2002-2006) articolata e con chiari obiettivi orizzontali. Essa si basa sull'esigenza di fornire all'acquirente elementi per valutare le caratteristiche fondamentali (natura, qualità, quantità, prezzo) delle merci e dei servizi offerti, per utilizzare tali beni e servizi con sicurezza e in modo soddisfacente e per rivendicare il risarcimento in caso di lesione o danno.

In occasione della giornata mondiale dei consumatori, che ricorre il 13 marzo di ogni anno, è stato quest'anno inaugurato un sito Internet europeo ad hoc.

I principali obiettivi della politica europea per i consumatori sono:

creare un quadro normativo coerente per rafforzare la fiducia degli acquirenti nell'effettuare acquisti transfrontalieri;

assicurare che gli interessi dei consumatori vengano integrati in tutta la gamma delle strategie europee, dall'ambiente e i trasporti, ai servizi finanziari e all'agricoltura;

proteggere la salute e gli interessi legali ed economici dei consumatori favorendo il loro diritto all'informazione;

promuovere l'organizzazione di associazioni a tutela dei consumatori e favorire il dialogo tra queste e le imprese e le istituzioni;

promuovere campagne, sportelli informativi e rafforzare la cooperazione tra Paesi dell'Ue sull'educazione dei consumatori;

promuovere politiche di rapido intervento in caso di emergenze; proteggere degli interessi dei consumatori nella fornitura di servizi essenziali di utilità

pubblica; favorire misure atte a migliorare la fiducia dei consumatori per quanto riguarda i generi

alimentari.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 153; Art. 95, paragrafo 3

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ISTRUZIONE, GIOVENTÙ E CULTURA

Commissario Ue Viviane Reding

Istruzione

La Comunità ha il compito di contribuire allo sviluppo di un'istruzione di qualità e a tal fine incentiva la cooperazione fra gli Stati membri. Se necessario, sostiene e integra la loro azione, in particolare per sviluppare la dimensione europea dell'istruzione, favorire la mobilità e promuovere la cooperazione europea fra gli istituti scolastici e universitari.

L'Unione europea, in base a quanto previsto dai Trattati, non intende quindi attuare una "politica comune" dell'istruzione. Ma favorisce la cooperazione in questo campo con azioni a livello europeo, come ad esempio i programmi d'azione comunitari come ad esempio Socrates (per l'istruzione) e Leonardo da Vinci (per la formazione professionale), o come gli atti giuridici comunitari che promuovono la cooperazione politica fra gli Stati membri, le raccomandazioni, le comunicazioni (la valutazione della qualità dell'istruzione scolastica e universitaria o la cooperazione con i paesi terzi), i documenti di lavoro, i progetti pilota.

Nel 1976, i Ministri dell'Istruzione decisero per la prima volta di istituire una rete di informazione, come base per comprendere meglio le politiche e le strutture educative presenti nei nove Paesi che allora componevano la Comunità europea. A questo scopo, nel 1980, fu varata Eurydice, la rete europea di informazione sull'istruzione. Nel 1986, l'attenzione si è poi spostata dagli scambi di informazioni agli scambi di studenti con il varo del programma ERASMUS. Ma è solo nel 1992 che il settore dell'istruzione viene formalmente riconosciuto nel Trattato di Maastricht come un'area di legittima competenza dell'UE.

Con Maastricht, l'UE lancia infatti una serie di programmi educativi diretti ai giovani: "Socrates" in corso dal 1995 promuove la mobilità all'interno dell'Unione da parte dei cittadini europei nel campo dell'educazione e si rivolge in particolare a docenti e studenti universitari, insegnanti, presidi e studenti delle scuole secondarie; "Leonardo da Vinci", istituito nel 1994, ha la funzione di contribuire alla formazione professionale dei giovani, anche al di fuori del sistema scolastico.

Al Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, l'Unione europea ha annunciato il suo nuovo obiettivo strategico per il prossimo decennio: diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. E questo obiettivo va perseguito rafforzando la cooperazione politica tra gli Stati nel campo dell'istruzione e della formazione.

Il Consiglio europeo di Barcellona (marzo 2002) ha rafforzato questa ambizione, affermando che l'istruzione è una delle basi del modello sociale europeo e che i sistemi europei dovranno diventare entro il 2010 un "riferimento di qualità mondiale”. Su questa strada, il recente Consiglio Europeo di Bruxelles (16-17 ottobre 2003) ha ribadito l’importanza cruciale per la crescita di un incremento degli investimenti in capitale umano.

I principali obiettivi comunitari nel campo dell'istruzione sono:

favorire la dimensione europea in questo campo, in particolare promuovendo l'insegnamento delle lingue degli stati membri;

promuovere la mobilità di studenti e insegnanti favorendo periodi di studi all'estero; favorire la cooperazione tra istituzioni attive nel campo dell'istruzione; favorire lo scambio di informazioni ed esperienze in ambito comunitario; favorire gli scambi tra studenti; favorire lo sviluppo dell'apprendimento a distanza; favorire la formazione di base e programmi di aggiornamento;

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favorire il cosiddetto "e-learning" sviluppando un programma di sviluppo di sistemi di insegnamento via computer;

dimezzare entro il 2010 il numero di persone tra i 18 e i 24 anni che hanno completato solo il primo livello di istruzione superiore e che non stanno continuando la loro formazione.

Base giuridica

Trattato CE: Art. 3, 140, 146, 149 e 150

Gioventù

Le diverse azioni comunitarie che direttamente o indirettamente riguardano i giovani sono state intraprese nei settori dell'istruzione, della mobilità, dell'occupazione, della formazione professionale e dell'accesso alle tecnologie dell'informazione.

Nel 1988, l'UE ha avviato il programma "Gioventù per l'Europa", destinato a sostenere gli scambi fra i giovani. Qualche anno più tardi, nel 1996, la Commissione ha proposto un programma d'azione comunitaria per un "Servizio volontario europeo per i giovani". Questi due programmi sono stati integrati nel Programma Gioventù (2000-2006) che si propone di stimolare il dibattito fra gli Stati membri nell'elaborazione di una reale politica per i giovani.

Nel novembre del 2001, dopo una vasta consultazione a livello nazionale ed europeo, la Commissione europea ha pubblicato un Libro Bianco per rispondere alle nuove esigenze della gioventù europea proponendo anche un nuovo quadro di cooperazione per aiutare gli Stati membri e le regioni d'Europa a realizzare azioni in loro favore.

L'Unione europea ha anche sviluppato un ruolo attivo nel settore dello sport sostenendo fra l'altro progetti in favore dell'integrazione dei giovani attraverso le attività sportive, la lotta contro il doping nello sport e una campagna d'informazione a livello scolastico sui valori etici dello sport.

Base giuridica

Trattato Ue: Art. 149

Cultura

Dall'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, l'Unione europea svolge azioni culturali con l'obiettivo di partecipare ''allo sviluppo delle culture dei diversi Stati membri (articolo 3). Due altri articoli del Trattato fanno riferimento alla cultura. Il primo costituisce la base giuridica che consente di avviare diverse azioni culturali; il secondo prende in considerazione gli aspetti culturali specifici nel quadro degli scambi economici europei.

Così, ad esempio, l'articolo 151 del Trattato autorizza l'Unione europea a impiegare strumenti idonei per sostenere iniziative culturali come le azioni Città europee della cultura e Mese europeo della cultura e soprattutto il programma Cultura 2000, che pone le basi per favorire un dialogo culturale transnazionale grazie alla cooperazione. Il programma, in vigore fino alla fine del 2004, e ora prorogato fino alla fine del 2006, è rivolto ad artisti, network culturali e istituzioni che lavorano per creare una base culturale di riferimento comune per la popolazione europea. L'intento dell'articolo 151 è duplice: contribuire allo sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto della loro diversità nazionale o regionale e mettere in evidenza il patrimonio culturale comune.Anche in questo campo l'Unione europea favorisce le azioni di cooperazione fra gli operatori culturali dei diversi Stati membri ovvero completa le loro iniziative, ma non impone ai suoi membri di armonizzare le rispettive politiche culturali.

L'azione della Comunità riguarda quattro settori:

il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia europea; la conservazione e la tutela del patrimonio culturale d'importanza europea;

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gli scambi culturali non commerciali; la creazione artistica e letteraria, anche nel settore audiovisivo.

Inoltre, l'UE incoraggia la cooperazione con i Paesi terzi, con le organizzazioni internazionali e, soprattutto, con il Consiglio d'Europa, e favorisce la preparazione di progetti transnazionali, facendo intervenire vari operatori (imprese, associazioni, amministrazioni pubbliche, collettività locali, università e centri di ricerca).

L'allargamento pone ora nuove sfide alla politica culturale dell'UE. Con l'incremento della varietà culturale e linguistica all'interno dell'Unione, la tutela delle minoranze culturali giocherà un ruolo sempre maggiore nell'Unione europea di 25 membri.

I principali obiettivi della politica culturale europea sono:

incoraggiare la conoscenza di cultura e storia delle popolazioni europee; conservare e salvaguardare le eredità culturali di significato europeo; supportare scambi culturali non commerciali; incoraggiare la creazione artistica e letteraria, sostenendo anche il settore audiovisivo; favorire la cooperazione culturale con Paesi terzi e organizzazioni culturali competenti, in

particolar modo il Consiglio d'Europa e l'UNESCO.

Base giuridica

Trattato Ue: articolo 151

GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI (GAI)

Commissario Ue Antonio Vitorino

La cooperazione in materia di giustizia e affari interni è stata istituzionalizzata dal Titolo VI del trattato sull'Unione europea (denominato anche terzo pilastro). L'obiettivo della cooperazione era quello di realizzare il principio della libera circolazione delle persone nei seguenti settori:

politica di asilo; norme che disciplinano l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri; politica dell'immigrazione; lotta contro la tossicodipendenza; lotta contro le frodi internazionali; cooperazione nel campo giudiziario, civile e penale; cooperazione doganale; cooperazione nel campo della pubblica sicurezza.

Differenti strumenti sono stati predisposti al fine di prendere misure in questi settori: l'azione comune, la posizione comune e la convenzione Anche se sono stati compiuti progressi significativi in materia, il bilancio della cooperazione in parola ha tuttavia fatto l'oggetto di critiche. Il consenso è ormai unanime sulla necessità di predisporre disposizioni più efficaci al fine di rafforzare le strutture della cooperazione e di introdurre nel contesto comunitario i settori legati al controllo delle persone (asilo, immigrazione, attraversamento delle frontiere esterne).

Il trattato di Amsterdam ha riorganizzato la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni fissando come obiettivo la creazione di uno spazio di libertà, di giustizia e di sicurezza. Da un lato, alcuni settori sono stati "comunitarizzati" e, dall'altro, sono venuti alla luce nuovi settori e nuovi metodi.

Peraltro, sarà a termine integrato nel trattato sull'Unione europea e nel trattato che istituisce la Comunità europea anche "lo spazio Schengen", predisposto all'esterno del

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contesto giuridico dell'Unione europea dietro iniziativa di alcuni Stati membri desiderosi di compiere ulteriori progressi sulla via della libera circolazione delle persone.

Introduzione storica

La cooperazione europea nel settore della giustizia e degli affari interni nasce con un carattere essenzialmente intergovernativo. Per quanto, infatti, il Trattato di Roma del 1957 enunciasse il principio della libera circolazione delle persone entro il territorio degli Stati membri, nessun provvedimento era previsto, in ambito comunitario, per l'attraversamento delle frontiere, l'immigrazione, la politica dei visti, ed il concetto di libera circolazione aveva un carattere meramente economico (libera circolazione dei lavoratori). Pur se al di fuori della cornice comunitaria, negli anni Settanta cominciano ad essere costituiti gruppi di lavoro ad hoc a seconda delle esigenze del caso, tra cui ad esempio il gruppo Trevi nel settore della sicurezza. È con l'Atto Unico europeo, concluso nel 1986, che si consolida l'esigenza di mettere a punto, parallelamente alle politiche di libera circolazione delle persone, misure in materia di sicurezza e giustizia.

Nel contempo, in ambito intergovernativo veniva concluso a Schengen, nel 1985, un accordo tra Germania, Francia e Benelux sull'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni. A tale accordo, completato nel 1990 da una Convenzione di applicazione, hanno aderito successivamente altri Stati membri (l'Italia nel 1990). Regno Unito ed Irlanda ne sono rimaste fuori per dichiarata volontà, pur partecipando a taluni aspetti della cooperazione Schengen. Disposizioni specifiche sono previste per la Danimarca. Associate a Schengen sono anche Islanda e Norvegia, pur non essendo Stati membri dell'Unione europea.

Il Trattato sull'Unione europea, o Trattato di Maastricht, firmato nel febbraio 1992 ed entrato in vigore nel novembre 1993, ha arricchito la costruzione europea introducendo nella struttura preesistente un "terzo pilastro", nel cui ambito si sarebbe sviluppata la cooperazione tra gli Stati membri in materia di giustizia ed affari interni (titolo VI TUE). Nel terzo pilastro rientravano nove settori ritenuti di interesse comune: asilo; attraversamento delle frontiere esterne; immigrazione; lotta contro la droga e la tossicodipendenza; lotta contro la frode su scala internazionale; cooperazione giudiziaria in materia civile e penale; cooperazione doganale e cooperazione tra servizi di polizia. In ciascuno di tali settori il sistema decisionale era quasi esclusivamente intergovernativo, sul modello della politica estera e di sicurezza comune. Gli strumenti giuridici di cui il Trattato di Maastricht dotava l'Unione erano la posizione comune, l'azione comune e la convenzione, dei quali solo l'ultimo con un valore realmente vincolante.

Una vera e propria svolta nella cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni si è avuta con la firma, nell'ottobre del 1997, del Trattato di Amsterdam, in vigore dal maggio 1999, che ha posto al centro dell'agenda dell'Unione europea la creazione di uno spazio unico di libertà, sicurezza e giustizia, dotandosi di metodi più efficaci e democratici ed attribuendo un ruolo maggiore alle istituzioni comunitarie. Il Trattato di Amsterdam ha comunitarizzato, spostandoli nel Trattato sulla Comunità europea, alcuni dei settori originariamente rientranti nel "terzo pilastro" (in particolare, le materie dell'immigrazione, dell'asilo, del controllo delle frontiere e la cooperazione giudiziaria in materia civile). In tali settori vengono quindi utilizzati gli strumenti giuridici comunitari: la direttiva, il regolamento, la decisione. In base all'articolo 67 TCE, per un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam il meccanismo decisionale per le materie di cui al titolo IV TCE è quello dell'unanimità del Consiglio, che delibera su proposta della Commissione o di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento Europeo. Trascorsi i cinque anni, il Consiglio delibera su proposta esclusiva della Commissione e può decidere, all'unanimità, di assoggettare tutte o parte delle materie del titolo IV alla procedura di codecisione di cui all'articolo 251 TCE.

Nel Trattato sull'Unione europea sono invece rimaste la cooperazione di polizia e la cooperazione giudiziaria in materia penale, alle quali il Trattato di Amsterdam aggiunge la prevenzione e la lotta contro il razzismo e la xenofobia. Al fine di promuovere la cooperazione in tali settori il Consiglio può ricorrere, oltre che alle già note convenzioni e posizioni comuni (l'azione comune è stata eliminata), anche a decisioni-quadro per il

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ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, nonché a decisioni, per qualsiasi altro scopo coerente con gli obiettivi del Titolo VI. Il Trattato di Amsterdam ha altresì integrato il cosiddetto acquis di Schengen e le relative strutture nell'ambito dell'Unione europea, comunitarizzando il sistema creato dall'Accordo di Schengen.

Sulla base delle novità introdotte dal trattato di Amsterdam, il Consiglio europeo ha dedicato a Tampere, nell'ottobre 1999, una sessione monotematica al settore Giustizia ed Affari Interni, che ha conferito ulteriore slancio alla cooperazione in tale ambito, convenendo le linee di azione per la realizzazione di un vero e proprio spazio europeo di libertà, di sicurezza e di giustizia. Le conclusioni di Tampere indicano quattro direttrici fondamentali: una politica comune in materia di asilo ed immigrazione; un autentico spazio di giustizia europeo; lotta a livello dell'Unione contro la criminalità; un'azione esterna di maggiore incisività. Al fine di rendere noti i progressi conseguiti nella creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, alla Commissione viene altresì chiesto di aggiornare semestralmente un quadro di controllo (detto "scoreboard") sull'attuazione delle misure delineate.

A seguito degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti, l'Ue ha ribadito con fermezza la volontà di contrastare la criminalità organizzata transnazionale ed il terrorismo ed ha predisposto, nelle riunioni immediatamente successive a tali eventi (Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni del 20 settembre 2001 e Consiglio europeo straordinario di Bruxelles del 21 settembre 2001), nuove misure per il potenziamento della cooperazione di polizia e giudiziaria.

Il Trattato di Nizza, firmato nel febbraio 2001 ed in vigore dal febbraio 2003, ha introdotto all'articolo 31 del TUE un riferimento ad Eurojust, l'Unità europea di cooperazione giudiziaria istituita con decisione del febbraio 2002. Con riferimento alle procedure decisionali per l'adozione di atti normativi comunitari, inoltre, il nuovo articolo 67 come modificato da Nizza prevede il passaggio dall'unanimità alla procedura di codecisione per gran parte delle materie del Titolo IV, ma secondo tempi e modi differenziati a seconda dei casi (al momento dell'entrata in vigore del nuovo trattato per gli atti in materia di cooperazione giudiziaria civile, con esclusione del diritto di famiglia; previa definizione da parte del Consiglio di norme comuni e principi essenziali, per gli atti in materia di asilo e protezione temporanea).

La cooperazione in materia di asilo e immigrazione

Il Consiglio Europeo di Tampere ha indicato quattro linee direttrici in materia di asilo ed immigrazione: partenariato con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi; regime comune di asilo; equo trattamento degli immigrati legali; gestione dei flussi migratori, inclusa la lotta all'immigrazione clandestina.

Nel campo dell'asilo, sono stati adottati atti normativi comunitari sulla determinazione dello Stato responsabile a trattare la domanda di asilo e sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, mentre sono in trattazione direttive sulle definizioni di rifugiato e di protezione sussidiaria, e sulle norme procedurali per l'esame delle domande di asilo. In materia di immigrazione legale si è raggiunta un'intesa su di una direttiva sul ricongiungimento familiare ed è in corso d'esame una direttiva sullo status degli immigrati residenti di lungo periodo. La Commissione ha inoltre presentato proposte di direttiva relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per lavoro, nonché per motivi di studio, formazione professionale o volontariato.

Un nuovo impulso alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni è stato dato dal Consiglio Europeo di Siviglia del giugno 2002, che ha delineato un programma di misure nelle seguenti aree: lotta all'immigrazione clandestina; gestione comune delle frontiere esterne; relazioni con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi; accelerazione del processo di produzione normativa. In attuazione delle misure sancite a Siviglia, sono state tra l'altro avviate operazioni congiunte di pattugliamento alle frontiere esterne e si è rivolta un'attenzione particolare all'esigenza di integrare le tematiche migratorie nelle relazioni esterne dell'Ue.

La cooperazione per lo spazio di giustizia

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In materia di cooperazione giudiziaria, le misure predisposte dall'Ue sono orientate al raggiungimento di diversi obiettivi, nella prospettiva di realizzare uno spazio di giustizia comune: miglioramento dell'accesso alla giustizia, attuazione di meccanismi di protezione dei diritti delle vittime, reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tanto in materia civile che penale, maggiore convergenza normativa da realizzare attraverso il ravvicinamento delle legislazioni, sia per quanto concerne le definizioni, sia in relazione ai profili incriminatori e sanzionatori delle più gravi forme di reato.

La cooperazione in materia di polizia

La cooperazione in materia di polizia mira a garantire ai cittadini europei un livello elevato di sicurezza e di protezione. Al fine di sviluppare tale cooperazione, con una convenzione del 1995 è stato istituito un Ufficio europeo di polizia - Europol - quale struttura per lo sviluppo della cooperazione tra gli Stati membri nei campi della prevenzione e della lotta contro le forme gravi di criminalità internazionale organizzata, ivi compresi il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti. Anche nel campo della cooperazione di polizia il Consiglio Europeo di Tampere ha definito importanti misure operative, quali ad esempio l'istituzione di una Task Force dei capi della polizia incaricata di collaborare con Europol nello scambio di informazioni e di esperienze, nonché un coordinamento tra Europol ed Eurojust al fine di potenziare la cooperazione nella lotta alla criminalità.

Gli obiettivi dell'Ue in materia di giustizia e affari interni sono:

garanzia della libera circolazione all'interno dell'Unione europea; creazione di una politica comune in materia di asilo e di immigrazione; gestione integrata delle frontiere esterne dell'Unione europea; coordinamento nella lotta alla criminalità organizzata, soprattutto a carattere

transnazionale; cooperazione nel campo della giustizia civile e penale.

Base giuridica

Trattato UE: Titolo VI (cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale); Trattato CE: Titolo IV (visti, asilo, immigrazione, frontiere, libera circolazione delle persone, cooperazione giudiziaria civile).

POLITICA REGIONALE

Commissario Jacques Barrot

Il regionalismo comunitario e il C.d.R.

Il regionalismo comunitario nasce dalla volontà di assicurare, in attuazione del principio di sussidiarietà, una complementarietà di competenze tra Unione Europea, Stati membri e regioni. Queste ultime sono diventate, infatti, un potente fattore di approfondimento e valorizzazione dell’integrazione europea. Il riconoscimento dell'importanza regionale ha portato nel 1991, a Maastricht, alla creazione di un apposito Comitato delle regioni (C.d.R.), la più giovane tra le istituzioni dell’Unione Europea. Sua ragion d’essere è garantire un legame diretto e concreto fra le istituzioni europee e gli enti regionali o locali (regioni o Länder, province, comuni) nella definizione delle politiche comunitarie che li interessano direttamente. Con la creazione del C.d.R. si è così concretizzato l'obbligo, giuridicamente vincolante, di consultare i rappresentanti degli enti locali e regionali nei settori in cui questi sono responsabili garantendo, in tal modo, una maggiore presenza dei cittadini nel processo di crescita dell'UE. Il trait d’union che dà impulso a questa mediazione diretta tra le opinioni dei cittadini e il processo europeo è impersonato dai 222 membri del C.d.R. che, in qualità di

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Presidenti di regione o Sindaci di grandi città, vivono e lavorano quotidianamente nei propri territori, mantenendo le rispettive responsabilità di amministratori locali o regionali.

La politica regionale comunitaria

Il sostegno allo sviluppo regionale è essenziale per la stabilità e la crescita dell'Unione Europea. In un paesaggio economico sempre più globalizzato, i territori e le attività che vi si svolgono devono competere su una scala più vasta ma non tutte le regioni presentano le medesime condizioni economiche, sociali e geografiche. La politica regionale comunitaria mira, dunque, a promuovere un grado elevato di competitività e di occupazione, aiutando le regioni meno prospere o con difficoltà strutturali a generare uno sviluppo sostenibile mediante l'adeguamento alle nuove condizioni del mercato del lavoro e alla concorrenza mondiale. In tal senso, la politica di coesione è una politica di solidarietà, stimolando a livello UE interventi capaci di permettere ai territori in difficoltà di superare più facilmente i propri svantaggi, ma anche una politica concreta, perché visibile ai cittadini europei che possono vivere meglio nella loro regione.

A tal fine, l'Unione Europea sostiene programmi pluriennali di sviluppo regionale negoziati tra regioni, Stati membri e Commissione nonché iniziative comunitarie specifiche attraverso 4 Fondi strutturali:

il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR); il Fondo sociale europeo (FSE); il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEOGA - sez. "orientamento"); lo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP).

Un fondo speciale, il Fondo di coesione, interviene nei settori dell'ambiente e dei trasporti negli Stati membri il cui PIL è inferiore al 90% della media comunitaria.

Per far fronte alle necessità degli Stati candidati e per agevolare la loro preparazione all'ingresso nella UE due specifici strumenti finanziari sono stati predisposti:

lo Strumento per le politiche strutturali di preadesione (ISPA) che, sul modello del Fondo di coesione, aiuta i Paesi candidati a migliorare la situazione ambientale e a sviluppare le reti dei trasporti;

lo Strumento agricolo di pre-adesione (SAPARD), che appoggia la preparazione di tali Stati alla PAC.

I Fondi strutturali finanziano anche 4 iniziative comunitarie specifiche:

INTERREG III, per favorire la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale;

EQUAL, per lottare contro le ineguaglianze e le discriminazioni sul mercato del lavoro; LEADER+, per stimolare nuovi approcci di sviluppo rurale integrati e sostenibili; URBAN II, per contribuire alla rivitalizzazione socio-economica delle città e delle zone

adiacenti in crisi.

LE POLITICHE DI COESIONE

Fin dai primi anni dopo la sua costituzione, la Comunità Economica Europea si è posta, accanto agli obiettivi dell’integrazione commerciale, quella della coesione economica e dell’integrazione territoriale. L’esistenza di accentuati squilibri regionali nell’ambito del territorio comunitario ha dato luogo all’elaborazione e all’attuazione di un insieme di interventi a favore delle aree economicamente svantaggiate che va sotto il nome di politiche di coesione. La gestione di tali politiche è principalmente affidata alla Direzione generale Politiche regionali e coesione della Commissione europea.Le politiche di coesione sono autonome in quanto sono direttamente orientate alla riduzione dei divari economici e sociali esistenti all’interno del territorio comunitario.

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Le politiche di coesione dell’Unione europea hanno quindi svolto, negli anni recenti, il ruolo proprio delle politiche di riequilibrio territoriale messe in atto dai vari paesi membri a favore delle regioni economicamente più svantaggiate, in alcuni casi affiancandosi a esse, in altri, sostituendosi progressivamente a esse.Il principale strumento delle politiche di coesione sono i Fondi strutturali, cui si è affiancato di recente un nuovo strumento denominato Fondo di coesione. Al finanziamento degli interventi realizzati nell’ambito delle politiche di coesione contribuiscono inoltre i prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI) e, in misura minore, quelli della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).

La politica di coesione è divisa secondo tre obiettivi:

Obiettivo 1 (territoriale): sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo (con applicazione rigorosa per le aree ammissibili del Pil pro-capite inferiore al 75% della media comunitaria);

Obiettivo 2 (territoriale): riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali:

- zone industriali- zone rurale- zone urbane- zone dipendenti dalla pesca

Obiettivo 3 (tematico): sviluppo delle risorse umane (adeguamento e ammodernamento del sistema educativo e di accesso nel mondo del lavoro dei paesi membri, sviluppo in particolare di quattro settori: accompagnamento dei cambiamenti economici e sociali, sistemi educativi e formativi permanenti, politica attiva di lotta contro la disoccupazione, lotta contro l’emarginazione sociale).

POLITICA ECONOMICA

Le politiche economiche nazionali sono considerate dal trattato questioni di interesse comune che richiedono di essere in certa misura coordinate nell'ambito del Consiglio onde contribuire al conseguimento degli obiettivi della Comunità.

Per dare concreta attuazione al coordinamento in parola, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, elabora un progetto di indirizzi di massima che è trasmesso al Consiglio europeo. Alla luce delle conclusioni di quest'ultimo, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta una raccomandazione che stabilisce gli indirizzi di massima delle politiche economiche degli Stati membri e della Comunità e ne informa il Parlamento europeo (articolo 99, paragrafo 2 del trattato CE).

Da notare che le disposizioni sulla politica economica previste dagli articoli 98-104 (ex articoli 102 A-104 C) stabiliscono numerose altre procedure decisionali a seconda delle questioni trattate:

la procedura di cooperazione per le questioni legate alla sorveglianza multilaterale (articolo 99, paragrafo 5); per l'applicazione del divieto di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie (articolo 102, paragrafo 2); per l'applicazione del divieto di farsi carico d'impegni o di concedere scoperti (articolo 103, paragrafo 2);

la consultazione semplice con maggioranza qualificata in sede di Consiglio, per le disposizioni relative all'applicazione del protocollo sui disavanzi eccessivi (articolo 104, paragrafo 14, comma 3);

l'unanimità in sede di Consiglio senza consultazione, per le questioni legate alle misure adeguate alla situazione economica (articolo 100, paragrafo 1);

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la maggioranza qualificata in sede di Consiglio, con relazione della Commissione, parere del Comitato monetario, parere e raccomandazione della Commissione (tenendo conto delle osservazioni degli Stati membri interessati) per decidere se sussista o meno un disavanzo eccessivo (articolo 104, paragrafo 6);

la maggioranza dei due terzi dei voti in sede di Consiglio (a esclusione dei voti dello Stato membro interessato), su raccomandazione della Commissione, per la procedura relativa ai disavanzi eccessivi (articolo 104, paragrafo 13);

l'unanimità del Consiglio (salvo in caso di calamità naturali), su proposta della Commissione ed informazione del Parlamento europeo, per l'assistenza finanziaria comunitaria agli Stati membri che conoscano gravi difficoltà economiche (articolo 100, paragrafo 2).

Notiamo infine che le disposizioni istituzionali (articoli 112-115) e transitorie (articoli 116-124), di cui al Titolo VII (ex Titolo VI) del trattato istitutivo della Comunità europea (politica economica e monetaria) prevedono procedure decisionali particolari, distinte da quelle che abbiamo summenzionato.

POLITICA MONETARIA

Le disposizioni relative alla politica monetaria sono previste dagli articoli 105-111 (ex articoli 105-109) dal trattato che istituisce la Comunità europea, che costituiscono un elemento fondamentale dell'Unione economica e monetaria (UEM). In sede di attuazione sono applicabili molteplici procedure decisionali, a seconda delle questioni trattate:

la procedura di cooperazione, con consultazione della Banca centrale europea (BCE) per consentire agli Stati membri di coniare monete metalliche (articolo 106, paragrafo 2);

la maggioranza qualificata del Consiglio, su raccomandazione della Banca centrale europea (BCE) o della Commissione, previa consultazione della BCE, per stabilire gli orientamenti generali della politica di cambio (articolo 111, paragrafo2);

la maggioranza qualificata in sede di Consiglio, su raccomandazione della BCE e previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, per le misure finalizzate all'attuazione dello statuto del sistema europeo di banche centrali (SEBC) (articolo 107, paragrafo 6) e per i limiti e le condizioni secondo cui la BCE è autorizzata ad infliggere ammende (articolo 109, paragrafo 3);

la maggioranza qualificata in sede di Consiglio, su raccomandazione della BCE, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo per gli emendamenti tecnici allo statuto del SEBC (articolo 107, paragrafo 5);

l'unanimità in sede di Consiglio, su raccomandazione della BCE o della Commissione e previa consultazione della BCE e del Parlamento europeo, per i tassi di cambio dell'ECU nei confronti delle monete non comunitarie (articolo 111, paragrafo 1).

Notiamo che le disposizioni istituzionali (articoli 1112-115) e transitorie (articoli 116-124), rubricate nel Titolo VII (ex Titolo VI) del trattato istitutivo della Comunità europea (politica economica e monetaria) prevedono procedure decisionali particolari, distinte da quelle summenzionate.

POLITICA SOCIALE

L'integrazione nel trattato che istituisce la Commissione europea, ad opera del trattato di Amsterdam, dell'Accordo sociale concluso tra quattordici Stati membri pone fine ad una situazione complessa. Tra il 1993 e il 1999 esistevano infatti in materia di politica sociale due basi giuridiche distinte: il trattato CE e un accordo separato non sottoscritto dal Regno Unito. Ormai, invece, tutte le misure possono essere prese sulla base del nuovo Titolo XI del trattato CE.

Gli obiettivi definiti dal trattato sono ispirati alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1985. Tali obiettivi, che erano già presenti nell'accordo sociale, sono i seguenti: la promozione dell'occupazione, il

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miglioramento delle condizioni i lavoro, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane e la lotta contro l'emarginazione (articolo 136).

In funzione della natura della misura, il Consiglio decide:

secondo la procedura di codecisione, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni;

all'unanimità su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.

LA SICUREZZA ALIMENTARE

Nell'Unione europea la salubrità e la qualità degli alimenti sono garantite da un sostanzioso corpus normativo. Numerosi sono i sistemi di controllo dell'igiene - uno dei più recenti è l'Hccp (Hazard analysis critical control point, Analisi del pericolo e controllo del punto critico) - e anche il benessere degli animali è sottoposto alle cure delle squadre di veterinari che fanno capo all'Ufficio alimentare veterinario (Uav), istituito nell'aprile del 1997.

Eppure, il pollo alla diossina, la mucca pazza, l'afta epizootica, il pesce all'uranio: ogni volta, di fronte ad una nuova emergenza, l'opinione pubblica si interroga sui rischi della tavola, chiede di essere informata e rassicurata. La Commissione europea risponde accelerando l'approvazione di direttive che riguardano, per esempio, l'etichettatura delle confezioni alimentari, la definizione della percentuale di organismi geneticamente modificati ammessa negli alimenti, il sistema di allarme rapido in caso di pericolo. Tuttavia, costrette ad affrontare il fuoco incrociato dei consumatori e dei produttori, le stesse istituzioni europee hanno in più occasioni riconosciuto che il problema di fondo è la mancanza di un'unica autorità europea, di riferimento per tutto il sistema dei controlli nazionali ed europei.

Se la responsabilità, a livello comunitario, è nelle mani della Commissione europea, gli Stati membri, a loro volta, sono responsabili delle operazioni nazionali di controllo, che di solito fanno capo ai ministeri della Sanità, oppure a uffici creati appositamente. Soprattutto negli ultimi anni, queste strutture hanno intensificato la loro attività, dotandosi di sistemi di rilievo e macchinari all'avanguardia. E anche i produttori hanno ritenuto di dover garantire i consumatori certificando la genuinità dei loro alimenti attraverso la supervisione su tutte le fasi della catena alimentare, "dalla stalla alla tavola". Ma, proprio la sovrapposizione di tutti questi piani di azione, ha spesso causato danni irreparabili alla cucina europea, alla sua credibilità all'estero, alla fiducia dei consumatori, ai bilanci dei produttori.

Due anni fa, all'indomani dello scandalo del "pollo alla diossina", un Libro Bianco presentato dal presidente della Commissione, Romano Prodi, metteva in cantiere la realizzazione di un'Autorità europea per gli alimenti (Aea), che adesso muove i primi passi.

E' stato, infatti, istituito il Foro consultivo scientifico ad interim, nucleo originale del Foro consultivo che sarà uno dei quattro componenti fondamentali della futura Aea, insieme al direttore responsabile, al consiglio di amministrazione e ai comitati scientifici.

L'Autorità dovrebbe finalmente coordinare le risorse scientifiche e tecniche e organizzare una rete fra le autorità europee e quelle nazionali, eliminando conflitti e contraddizioni fra metodi usati e fra risultati ottenuti nella valutazione dei rischi.

Sarà direttamente coinvolta negli sforzi per risolvere i casi di pareri scientifici conflittuali tra le autorità Ue e quelle nazionali e assegnerà le attività scientifiche e tecniche ai vari organismi, in modo da evitare inutili contrapposizioni di compiti e responsabilità.

Dovrebbe così concludersi l'era degli scandali, delle recriminazioni tra le parti in causa, dell'indignazione e anche delle psicosi collettive, che troppo spesso hanno rallentato la

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soluzione delle crisi agroalimentari in atto e reso vana la prevenzione di successive emergenze.

POLIZIA E GIUSTIZIA PENALE L’abolizione dei controlli sulle persone alle frontiere interne, nonostante la presenza di regole comuni per gli ingressi dall’esterno, rischiava tuttavia di facilitare la fuga dei criminali da un paese membro all’altro. Per evitare che la libera circolazione delle persone finisse per favorire la criminalità era necessaria una collaborazione più stretta tra le polizie e le autorità giudiziarie dei paesi membri. Una maggiore cooperazione a livello di polizia e di giustizia era inoltre necessaria per contrastare più efficacemente le attività criminali che, per la loro natura, coinvolgono diversi paesi in contemporanea, come la criminalità organizzata, il traffico di droga e il terrorismo.

Nel trattato di Maastricht e nel successivo trattato di Amsterdam è stata quindi istituita la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che prevede tra l’altro:

· una maggiore cooperazione tra le forze di polizia dei paesi UE, sia direttamente (per esempio, con lo scambio di informazioni tra poliziotti italiani e tedeschi) sia attraverso l’Ufficio europeo di polizia (Europol), un ufficio centrale con funzioni di assistenza e coordinamento;

· una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie dei paesi membri, attraverso la rete giudiziaria europea (una rete di funzionari che si dedicano appositamente alla cooperazione con i giudici degli altri paesi) e Eurojust (un ufficio centrale di coordinamento delle autorità giudiziarie);

· il riavvicinamento delle leggi nazionali in materia penale, che mira a creare, nel corso dei prossimi anni, degli standard comuni sulla definizione dei reati e sulle pene da infliggere ai criminali per quanto riguarda in particolare la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico di droga (in altre parole, un trafficante di droga si troverà a dover scontare una condanna simile indipendentemente dal paese UE in cui è stato arrestato).

LA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE

La necessità di rispondere in maniera adeguata e possibilmente unitaria, alle sfide del mutato scenario internazionale, hanno indotto l’Unione Europea a dotarsi di una Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), inserita nel Trattato di Maastricht, al Titolo V.

Il Trattato di Amsterdam ha apportato delle modifiche alla PESC, la più rilevante delle quali è la creazione della figura dell’Alto Rappresentante per la PESC.

Le guerre nella ex Jugoslavia e nel Kossovo hanno contribuito a far riflettere gli Stati Membri circa la necessità di disporre anche di strumenti militari, al fine di rendere maggiormente credibile ed efficace la politica estera e di sicurezza dell’Unione. Così, il Consiglio Europeo di Colonia del giugno 1999 ha deciso di dotare l’Unione di una dimensione militare, tramite l’istituzione della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD). Inoltre, il Consiglio Europeo di Helsinki del dicembre 1999 dell’Unione Helsinki del dicembre 1999 ha approvato la creazione di una Forza Europea di Reazione Rapida (FERR), composta di 50-60000 uomini, da dispiegare entro un mese e sostenibili fino ad un anno. Non si tratta di un esercito europeo, ma di una forza predisposta per operazioni umanitarie e di peace keeping. Le nuove sfide poste all’Europa dopo l’11 settembre 2001, unitamente alle divisioni emerse tra i paesi europei in relazione alla terza guerra del Golfo, hanno spinto l’Unione ad adottare una Strategia di Sicurezza Europea, in occasione del Consiglio Europeo di Bruxelles del dicembre 2003 che si avvale di un mix di strumenti politici, economici e diplomatici, senza escludere quelli militari.

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Un imprescindibile rafforzamento della PESC giungerebbe dall’approvazione del Progetto di Costituzione per l’Europa, adottato dalla Convenzione Europea nel giugno 2003, ed ancora in attesa dell’approvazione degli Stati Membri riuniti nella Conferenza Intergovernativa. Il progetto di Trattato contiene alcune novità tra le quali la creazione di un Ministro degli Esteri dell’Unione, che riunisce le funzioni precedentemente assegnate all’Alto Rappresentante per la PESC e al Commissario per le Relazioni Esterne e la parziale estensione del voto a maggioranza qualificata, in luogo dell’unanimità, in materia di PESC. Ulteriori novità sono state previste dal Progetto di Costituzione in relazione alla PESD: tra le principali, le disposizioni relative alle cooperazioni rafforzate e altre forme di integrazione flessibile nel settore della difesa.

FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ COMUNITARIE

I cittadini contribuiscono al finanziamento del bilancio attraverso le risorse proprie che sono composte dai dazi doganali, da un prelievo sull’IVA, e da un prelievo sul PIL (prodotto interno lordo) degli Stati membri. Per il bilancio comunitario non viene tollerato nessun deficit. Il bilancio comunitario è ripartito in sei settori: le spese agricole (PAC), la politica di coesione e i fondi strutturali, le politiche interne, le azioni esterne, le spese amministrative, l’aiuto pre-adesione, e le riserve. Le spese agricole, corrispondenti alla politica agricola comune, rappresentano il 44 % circa delle spese dell’UE, essendo il trasferimento di competenze dagli Stati membri verso l’UE particolarmente marcato in questo settore.Le spese per le azioni strutturali arrivano al secondo posto, coprendo il 35% circa del bilancio.Le altre politiche interne, che servono ad accompagnare la realizzazione del grande mercato interno, rappresentano invece il 6,5% del bilancio. Esse sono (in ordine decrescente secondo l’ammontare di spesa): ricerca, trasporti, istruzione, formazione professionale, gioventù, ambiente, audiovisivo e cultura, informazione e comunicazione. Per le azioni esterne, compresi gli aiuti umanitari l’Unione spende il 5% circa del suo budget, per l’aiuto pre-adesione il 3.4%, per le spese amministrative il 5%, e per le riserve l’1%. Per le azioni esterne vi è un altro strumento finanziario, il Fondo europeo di sviluppo (FES), legato all’accordo di Cotonu tra l’UE e i paesi ACP. Il FES dispone di un bilancio specifico distinto dal bilancio generale dell’UE . Dal 1988 il bilancio annuale è stabilito nel rispetto di un quadro finanziario a medio termine (le prospettive finanziarie) che definisce dei massimi annui di spesa. Con l’Agenda 2000 sono state adottate le prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006, nel quadro di una programmazione basata sulle nuove priorità dell’UE tra le quali la nuova fase dell’ampliamento. È il trattato CE che fissa la procedura con cui viene stabilito il bilancio (articolo 268-280): il Parlamento e il Consiglio decidono le spese da effettuare, e la Commissione cura l’esecuzione di bilancio sotto la propria responsabilità. La gestione dei fondi comunitari può essere indiretta (decentramento della gestione agli SM come nel caso dei fondi strutturali), o diretta come in alcuni settori di politica interna e delle azioni esterne.Il PE, per le spese non obbligatorie (circa il 60% delle spese), approva il bilancio definitivo. Al contrario, per le spese obbligatorie il PE puo’ solo proporre al Consiglio delle modifiche.

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Nella pratica la procedura di bilancio viene precisata da accordi interistituzionali tra il Consiglio, il PE, e la CE , che permettono una migliore cooperazione tra queste istituzioni La Commissione europea elabora il progetto preliminare di bilancio (PPB) verso fine aprile inizio maggio, basandosi su una stima delle necessità e priorità politiche per l’anno a venire.Il Consiglio esamina il PPB, e vara verso il mese di luglio un " progetto di bilancio " che viene trasmesso al Parlamento europeo (PE). Il PE esamina il progetto di bilancio e prepara i progetti di emendamenti e proposte di modifica votati in plenaria in prima lettura del bilancio verso fine ottobre. Il progetto di bilancio così emendato o accompagnato da proposte di modifica, viene trasmesso al Consiglio e alla Commissione. Se il Consiglio accetta tutti gli emendamenti e le modifiche proposte dal PE, il bilancio viene adottato definitivamente in prima lettura. In caso contrario, il Consiglio passa alla seconda lettura del bilancio, modifica gli emendamenti del PE in prima lettura, e rinvia alla PE il testo cosi modificato (novembre). Tra novembre e dicembre il PE esamina in seconda lettura il progetto di bilancio e può reintrodurre emendamenti che il Consiglio aveva bocciato in prima lettura, anche modificandoli, ma non può presentarne dei nuovi In dicembre in plenaria il PE vota la seconda lettura del bilancio e lo adotta definitivamente (il PE ha l’ultima parola). Il PE controlla anche l’impiego del bilancio tramite la commissione per il controllo dei bilanci, e assegna lo " scarico " alla Commissione europea sull’esecuzione del bilancio, dopo aver valutato la responsabilità politica della CE.

POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC)

La politica agricola comune (PAC) entrò in vigore il 1° luglio 1964, creando un mercato agricolo comune tra i sei stati membri. Negli anni Sessanta l’agricoltura occupava ancora una percentuale consistente della popolazione attiva, ma il numero degli occupati e la quantità di reddito prodotto stavano diminuendo rapidamente rispetto all’industria e ai servizi. D’altra parte, la CEE non voleva che gli agricoltori abbandonassero in massa le campagne, altrimenti il continente avrebbe rischiato di dipendere dall’estero per gli approvvigionamenti alimentari.Per evitare questo esito, la PAC si proponeva di mantenere a un buon livello i guadagni degli agricoltori fissando dei prezzi artificialmente alti per i prodotti agricoli, e imponendo un dazio doganale comune verso l’esterno. Se un prodotto estero costava meno del prezzo stabilito dalla PAC, il dazio doganale comune lo faceva diventare più caro fino a colmare la differenza, proteggendo così gli agricoltori europei dalla concorrenza estera.

Oggi la politica agricola comune (PAC) rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità e persegue gli obiettivi di cui all'articolo 33 (ex articolo 39) del trattato istitutivo della Comunità europea, e cioè quello di assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori europei e un tenore di vita equo agli agricoltori mediante l'organizzazione comune dei mercati agricoli e il rispetto dei principi seguenti: unicità dei prezzi, solidarietà finanziaria e preferenza comunitaria.

La PAC costituisce una delle più importanti politiche dell'Unione (le spese agricole assorbono circa il 45% degli stanziamenti iscritti nel bilancio comunitario). Essa è elaborata secondo la procedura decisionale che prevede la maggioranza qualificata in sede di Consiglio e la consultazione del Parlamento europeo.

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In un primo tempo la PAC ha permesso alla Comunità di raggiungere rapidamente l'autosufficienza. Con l'andare del tempo, tuttavia, il suo funzionamento è diventato sempre più costoso a causa della sovrapproduzione e del livello eccessivo dei prezzi europei rispetto a quelli del mercato mondiale. La riforma del 1992 ha corretto tale situazione tramite una riduzione dei prezzi agricoli garantiti, compensata da premi ai fattori di produzione, e l'istituzione di misure dette "di accompagnamento".

Nella prospettiva dell'allargamento è stata varata nel 1999 un'altra riforma per il periodo 2000-2006. Questa nuova riforma, recependo gli orientamenti esposti dalla Commissione nella comunicazione "Agenda 2000" (luglio 1997), consolida le riforme del 1992 e individua quali obiettivi prioritari, la sicurezza dei prodotti alimentari, la difesa dell'ambiente e la promozione di un'agricoltura sostenibile. Altri obiettivi della riforma sono l'aumento della competitività dei prodotti agricoli comunitari, la semplificazione della normativa agricola (e una sua migliore applicazione), la stabilizzazione del livello della spesa agricola e il rafforzamento della posizione dell'Unione nei nuovi negoziati del "Millennium Round" in seno all'OMC (Organizzazione mondiale del commercio).

In questa prospettiva, sono state modificate le norme che regolano le organizzazioni comuni dei mercati vitivinicolo, dei seminativi, della carne bovina e del settore lattiero - caseario. La prevista riduzione dei prezzi di intervento è stata compensata da un aumento degli aiuti agli agricoltori accompagnato da una politica veramente integrata di sviluppo rurale.

IL MERCATO COMUNE: L'UNIONE DOGANALE

Il 1° gennaio 1959 la CEE impose un primo abbassamento dei dazi doganali interni per tutte le merci, provocando un aumento benefico dei commerci tra gli stati membri. Durante gli anni Sessanta i sei paesi della CEE lavorarono per diminuire le differenze tra le legislazioni nazionali e prepararsi così alla nascita del mercato comune, che entrò in vigore il 1° luglio 1968. Esso prevedeva l’abolizione totale dei dazi doganali tra i membri e l’istituzione di una tariffa doganale comune verso l’esterno (TDC). Così facendo, si favorivano il più possibile gli scambi all’interno della Comunità e nello stesso tempo la si proteggeva dalla concorrenza estera. I sei paesi della CEE, grazie al mercato comune, commerciavano con il resto del mondo come se fossero un solo paese. Per quanto riguarda la libera circolazione delle persone, già il 1° settembre 1961 era stato promulgato il primo regolamento CEE che assicurava ai cittadini europei il diritto di lavorare in un altro paese della comunità senza essere discriminati rispetto ai lavoratori del paese ospitante.

L'unione doganale dunque è l'elemento essenziale del mercato comune. L'istituzione di un'unione doganale, ultimata nel 1968, costituiva l'obiettivo principale dalla firma del trattato di Roma. Le misure più importanti prevedevano:

l'eliminazione di tutti i dazi doganali e di tutte le restrizioni tra gli Stati membri; l'introduzione di una tariffa doganale comune (TDC), applicabile in tutta la Comunità

europea alle merci provenienti dai paesi terzi (le entrate così ottenute fanno parte delle risorse proprie della Comunità);

la politica commerciale comune come componente esterna dell'Unione doganale (la Comunità parla con voce unanime a livello internazionale).

Sono state elaborate procedure e regole comuni ed è stato introdotto un documento amministrativo unico (DAU), destinato a sostituire i diversi documenti precedentemente utilizzati. Con l'entrata in vigore del mercato unico nel 1993, sono stati aboliti sia i controlli regolari alle frontiere interne che le formalità doganali. Pertanto, la riscossione delle accise, dell'IVA e la raccolta di dati statistici non rientrano più tra le competenze dei servizi doganali degli Stati membri.

La Comunità ha concluso una serie di accordi speciali sia al fine di facilitare gli scambi economici, come quello relativo allo spazio economico europeo (SEE), sia per promuovere lo

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sviluppo offrendo accesso preferenziale ai mercati europei, come nel caso della convenzione di Lomé, firmata con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).

Gli obiettivi futuri prevedono la promozione di una cooperazione sempre più stretta tra le amministrazioni nazionali e la lotta contro la frode attraverso i successivi programmi Dogana 2002 e Dogana 2007. Un'ulteriore sfida sarà integrare le amministrazioni dei nuovi Stati membri a seguito del recente allargamento dell'Unione.

LO SPAZIO ECONOMICO EUROPEO (SEE)

Firmato nel maggio 1991, in vigore fin dal gennaio 1994, esso riunisce i 25 Stati membri dell’Unione europea ai paesi dell’EFTA (esclusa la Svizzera). L'accordo apre il Mercato interno dell’Unione ai paesi dell’EFTA e li prepara ad una eventuale adesione all’Unione europea.

L'ASSOCIAZIONE EUROPEA DEL LIBERO SCAMBIO (EFTA)

Creata nel 1960, essa raggruppa oggi la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein e favorisce gli scambi economici tra questi paesi.

L'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA

L'unione economica e monetaria (UEM) è il processo (cfr. la storia dell'UEM) volto ad armonizzare le politiche economiche e monetarie degli Stati membri dell'Unione col fine ultimo di porre in essere una moneta unica, l'euro. Essa è stata configurata da una delle due conferenze intergovernative lanciate nel dicembre 1990. A norma del trattato l'UEM è stata realizzata in tre fasi:

Fase n. 1 (1° luglio 1990-31 dicembre 1993): libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri; rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche ed intensificazione della cooperazione tra banche centrali;

Fase n. 2 (1° gennaio 1994-30 dicembre 1998): convergenza delle politiche economiche e monetarie degli Stati membri (al fine di garantire la stabilità dei prezzi ed una situazione sana in fatto di finanze pubbliche);

Fase n. 3 (iniziata col 1° gennaio 1999): creazione di una banca centrale europea; fissazione dei tassi di cambio ed introduzione della moneta unica.

Solo undici Stati membri parteciparono alla terza fase dell'UEM iniziata il 1° gennaio 1999; a distanza di due anni anche la Grecia ha aderito. Tre Stati membri non hanno adottato la moneta unica: Regno Unito, Danimarca e Svezia.

STORIA DELL'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA

L'UEM rappresenta la parte più importante di tutto il Trattato di Maastricht ed occupa il Titolo VI e gli articoli dal 102A al 109M. Essa rappresenta il punto di arrivo di un lungo processo iniziato nel 1970 con il Rapporto Werner e il "serpente monetario", proseguito nel 1979 con la creazione dello SME e arrivato, nel 1989, con il Rapporto Delors, al progetto dell'Unione Economica e Monetaria ( leggi il cammino che ha portato a Maastricht ). L'UEM è basata sul progetto "tri-fasico" del Rapporto Delors che prevedeva: una prima fase di completamento del mercato interno ed il consolidamento dei meccanismi di cambio, una seconda fase in cui i paesi membri, pur mantenendo a livello nazionale le redini della politica comunitaria, devono dotare le rispettive banche centrali di piena indipendenza; la creazione dell'Istituto Monetario Europeo (IME) con il compito di preparare la strada per il SEBC. L'ultima fase prevede l'irrevocabile blocco dei tassi di cambio, l'adozione di una moneta unica e l'adozione del SEBC.La prima fase ha avuto inizio il 1 luglio 1990, quindi il Trattato di Maastricht si occupa in modo specifico della seconda e della terza fase.

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La seconda fase è iniziata il 1 gennaio 1994. Si tratta di una fase intermedia in cui porre le basi per creare la futura istituzione monetaria europea. L'organo di transizione previsto dal Trattato è l'IME che ha sede a Francoforte e si estinguerà al momento dell'entrata in funzione della Banca Centrale Europea. L'IME, con sede a Francoforte, è subentrato al Comitato dei Governatori delle Banche Centrali con il compito di rafforzare la coordinazione delle politiche monetarie degli stati membri e la cooperazione fra le Banche Centrali e di preparare la fase finale dell'EMU e cioè la nascita del SEBC e la creazione di una moneta unica.Rafforzando la coordinazione delle politiche monetarie degli stati membri l'IME contribuirà al completamento delle condizioni macroeconomiche necessarie per entrare nella terza fase. Nella seconda fase gli stati membri rimangono responsabili per quanto riguarda la condotta delle politiche monetarie. L'IME non è coinvolto nelle operazioni di politica monetaria, come afferma Hanspeter Scheller, segretario generale dell'IME: "The EMI relies on the tools of analysis and presuasion. Regular consultations are held on the course of monetary policies and the use of monetary policy instruments."L'IME può formulare opinioni e raccomandazioni sull'orientamento monetario generale e sui tassi di cambio nell'Unione Europea e sulle misure introdotte da ogni stato membro; può fare raccomandazioni alle autorità monetarie nazionali riguardo alla condotta della loro politica monetaria e infine può formulare opinioni da sottoporre al Consiglio dei Ministri riguardanti politiche che potrebbero compromettere la situazione monetaria, interna od esterna, dell'Unione Europea, come le politiche fiscali degli stati membri che sono oggetto di regolare analisi. Le altre attività svolte dall'IME riguardano il costante monitoraggio dello SME, le consultazioni sulla stabilità dei mercati e delle istituzioni finanziarie e il supporto alle banche centrali. L'IME deve creare gli strumenti necessari per il passaggio alla terza fase. Per la creazione di un'unica politica monetaria e necessario che il SEBC possa operare in un unico mercato monetario che presuppone un sistema di trasferimenti in tempo reale. Anche le statistiche saranno un corollario necessario per la conduzione della politica monetaria unica. l'IME lavorerà per la creazione di una base statistica nelle aree più rilevanti, in particolare quella bancaria e quella dei capitali.Un altro aspetto del lavoro preparatorio dell'IME riguarda la moneta unica che è stata battezzata "Euro", seguendo le disposizioni del Trattato l'IME ha il compito di preparare le banconote euro che entreranno in corso al più tardi entro il 2002. Vista la grande complessità e quantità del lavoro da svolgere l'IME ha organizzato i propri compiti sulla base di un piano onnicomprensivo che funge da guida per organizzare e monitorare tutte le attività. Anche se l'IME è il punto centrale nella preparazione dell'Unione Monetaria un grande lavoro preparatorio verrà svolto anche dalle banche centrali nazionali e dal Consiglio dei Ministri che dovrà adottare la necessaria legislazione. L'IME ha personalità giuridica e persegue i suoi compiti in modo indipendente come dovrà fare anche la Banca Centrale Europea. L'articolo 1 dello statuto afferma che i membri dell'IME sono le banche centrali degli stati membri ed è composto da un Consiglio che comprende i Governatori delle Banche Centrali e il Presidente dell'IME che è nominato di comune accordo dai capi di Stato e di Governo, egli ha il compito di preparare gli incontri del Consiglio e di presentare i pareri dell'IME. Lo staff dell'IME è composto da un segretariato Generale, da un Dipartimento di Statistica monetaria ed economica, da un Dipartimento di Comunicazione e Informazione e, infine, da un Dipartimento Amministrativo.Il Segretariato Generale è responsabile della preparazione degli incontri del Consiglio, di monitorare i sistemi di pagamento degli Stati membri, di controllare il funzionamento dello SME, condurre analisi sulla stabilità delle istituzioni finanziarie e dei mercati e coordinare il lavoro preparatorio per la terza fase. Il Dipartimento di statistica monetaria ed economica ha il compito di rafforzare la cooperazione monetaria fra le banche centrali e la coordinazione delle politiche monetarie verso la stabilità dei prezzi, inoltre ricerca le informazioni statistiche necessarie per promuovere la coordinazione della politica monetaria. Il Dipartimento di Comunicazione ed Informazione è responsabile dell'elaborazione di strumenti informativi per l'IME e per il futuro SEBC, mentre il Dipartimento Amministrativo recluta il personale, si occupa dell'amministrazione, organizza conferenze e controlla le spese. L'articolo 109j del Trattato regola le condizioni per entrare nella terza fase che inizierà il 1 gennaio 1999. Nel maggio del 1998, il Consiglio Europeo ha confermato a maggioranza qualificata quali sono gli stati membri che soddisfano i necessari criteri per adottare una

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moneta unica. Restano per ora fuori dall'Unione monetaria Gran Bretagna, Danimarca, Svezia e Grecia.I criteri da soddisfare sono cinque: quoziente deficit/PIL, quoziente debito/PIL, inflazione, tassi a lungo termine, stabilità della valuta.Per quello che riguarda i primi due è richiesto che il rapporto fra disavanzo pubblico e prodotto interno lordo non superi il 3% e che il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo non superi il valore di riferimento del 60%. Lo scopo di questi due criteri è di evitare che la politica monetaria comune venga colpita da politiche di bilancio incoerenti che causerebbero l'aumento dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea rendendo così difficili gli investimenti.Il tasso medio di inflazione di ogni paese fino all'introduzione dell'Euro non dovrà superare il parametro guida stabilito in base alla media dei tre migliori paesi in termini di stabilità dei prezzi. Questo criterio è stato oggetto di lunghe polemiche perché se il valore di riferimento fosse alto anche paesi con elevati tassi di inflazione si qualificherebbero per la terza fase nonostante la mancata stabilità dei prezzi. Tuttavia nel 1996 il valore medio dei paesi con i prezzi più stabili (Germania e Finlandia ) è stato pari all'1%. I tassi di interesse a lungo termine non devono superare di più di due punti percentuali la media dei tre paesi aventi i tassi meno elevati dell'Unione. Il rispetto di questo criterio dimostrerà il successo raggiunto nelle politiche di stabilità e convergenza.L'ultimo criterio riguarda la stabilità della valuta e prevede che una moneta deve essere rimasta da almeno due anni entro i margini di fluttuazione del Sistema Monetario Europeo. Questo criterio serve per valutare la capacità di uno stato membro di non utilizzare il tasso di cambio come strumento per manipolare le condizioni economiche esterne.L'accordo sui criteri prevede infine che per ogni paese siano presi in considerazione i progressi nel Mercato Unico, lo stato attuale e futuro delle partite correnti, l'andamento del costo del lavoro e alcuni indicatori di prezzo.

Stabiliti i paesi che entrano nel primo gruppo, è stata istituita la Banca Centrale Europea (BCE). Questa e le Banche Centrali dei paesi membri dell'Unione formano il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC).Il primo passo per istituire la BCE è stata la nomina del Comitato Esecutivo, il presidente del Comitato ed altri quattro membri sono stati scelti di comune accordo dai governi degli stati dell'Unione Europea. Il Consiglio direttivo della BCE comprenderà il Comitato Esecutivo e i governatori delle Banche Centrali dei soli paesi membri dell'Unione Monetaria. La BCE diventerà operativa il 1 gennaio 1999, sostituendo l'IME, e nel medesimo giorno il Consiglio dei ministri, agendo all'unanimità, e su proposta della Commissione e dopo avere consultato la BCE bloccherà i tassi di cambio e prenderà le misure necessarie per introdurre l'Euro come moneta unica. Pianificare e completare la sostituzione delle singole monete nazionali in favore dell'Euro sarà un processo lungo e difficile: andranno prodotte nuove banconote e nuove monete metalliche, ogni macchina con funzionamento a monete andrà modificata e, i listini prezzi di ogni tipo andranno riscritti, migliaia di programmi informatici dovranno essere corretti e così via.La BCE, come previsto dal suo statuto, sarà un organismo indipendente che avrà la libertà di elaborare e mettere in atto la politica monetaria comune. Il suo scopo principale sarà quello di mantenere la stabilità dei prezzi e sostenere le politiche economiche generali e gli obbiettivi comunitari elencati nel Trattato. Oltre a prendere decisioni sulla politica monetaria, la BCE sarà responsabile della gestione del sistema dei pagamenti e delle riserve valutarie degli stati membri che saranno depositate nelle sue casse. Essa espleterà inoltre funzioni di consulenza in merito, per esempio, alla supervisione del sistema bancario e alla stabilità del sistema finanziario. Gli stati membri potranno coniare Euro nella quantità massima fissata dalla BCE che sarà obbligata a rendere conto della sua politica e delle sue operazioni all'opinione pubblica europea tramite regolari rapporti trimestrali e annuali.Il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) sarà formato dalle Banche Centrali Nazionali e dalla BCE e sarà guidato dagli organi decisionali di quest'ultima. La BCE è costituita, come già detto, da un Consiglio Direttivo e da un Comitato Esecutivo che avranno il compito di adottare le linee guida e prendere le decisioni necessarie per assicurare l'esecuzione dei compiti previsti dal Trattato. In particolare il Consiglio direttivo formulerà la politica monetaria della Comunità e il Comitato Esecutivo avrà il compito di metterla in atto dando le istruzioni necessarie alle singole banche centrali nazionali. Il Consiglio Direttivo avrà anche il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote nei paesi membri del SEBC.

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L'Unione Economica e Monetaria richiederà la separazione totale della politica monetaria dalle altre politiche. Questa situazione è già stata accettata in paesi dove una esiste una Banca Centrale indipendente come in Germania, ma sarà una esperienza nuova in paesi dove il governo tradizionalmente deteneva la responsabilità ultima per tutte le politiche macroeconomiche come, ad esempio, la Francia. Il Trattato non dice molto riguardo alla politica monetaria unica oltre conferire alla BCE i poteri basilari per condurla e lasciare la preparazione degli strumenti all'IME. Il Trattato è molto chiaro per quello che riguarda la parte istituzionale, ma alcuni aspetti richiederebbero una maggiore chiarezza e alcune modifiche. In tutte le discussioni è dato per scontato che la moneta unica rimpiazzerà le singole valute nazionali nella terza fase dell'EMU, ma questo potrà avvenire solo se i governi obbediranno in modo sensibile alle regole previste. I problemi logistici legati all'introduzione dell'Euro potranno creare pressioni popolari per il suo posponimento e per evitare ciò si dovrà fare in modo di introdurre la moneta unica attraverso una serie di passi chiari e definiti.C'è qualche dubbio anche riguardo allo statuto del SEBC, vista la priorità data alla stabilità dei prezzi era logico aspettarsi che la nuova banca centrale dovesse essere indipendente dal controllo politico, ma ciò non significa anche escluderla totalmente dal controllo democratico. Tenendo a mente le difficoltà pratiche di esercitare il controllo democratico all'interno di una struttura confederale come l'Unione Europea, i miglioramenti dovrebbero includere: l'adozione da parte della BCE di obiettivi a medi termine chiari e definiti, specialmente riguardo alla inflazione e poteri da parte del Parlamento Europeo di approvare la nomina dei membri del Comitato Esecutivo della BCE.Parlando degli strumenti e delle procedure per mettere in atto la politica monetaria unica ci sono state pressioni a favore dell'adozione del modello tedesco perché molti pensavano che fosse quello più efficace, tuttavia le circostanze all'interno dell'EMU saranno differenti e sarà certamente più efficace scegliere le migliori caratteristiche dai modelli nazionali e combinarle in un sistema coerente.

IL RAPPORTO WERNER

Il Comitato Werner, chiamato così dal nome del suo presidente che era il primo ministro del Lussemburgo, fu istituito tramite una decisione del Consiglio il 6 marzo del 1970 e fu incaricato di elaborare un rapporto che analizzasse le diverse possibilità che avrebbero permesso di realizzare per tappe l'Unione Economica e Monetaria della Comunità. Il Comitato Werner presentò al Consiglio dei Ministri il 20 maggio 1970 un rapporto "provvisorio" sulla realizzazione dell'UEM, l'8 e 9 giugno 1970 il Consiglio accettò le conclusioni a cui era arrivato il Comitato e lo incaricò di mettere a punto un rapporto finale che fu consegnato l'8 ottobre 1970. "Le rapport du Comité Werner a été èlaboré par rédactions successives et constitue, dans plusieurs de ses parties, un compromis savamment dosé entre les opinions primitivement divergentes des membres du Groupe. La présentation du rapport se ressent nécessairement des méthodes de travail adoptées et des efforts consentis pour rapprocher les points de vue."Il rapporto inizialmente descrive la situazione in cui si trova la comunità europea dopo il completamento dell'unione doganale e la realizzazione della politica agricola, ma sottolinea come la mancanza di una armonizzazione efficace delle politiche economiche potrebbe mettere in pericolo queste importanti realizzazioni. Il Comitato afferma di non avere cercato di realizzare un sistema ideale, ma di definire gli elementi indispensabili per la creazione di una Unione Economica e Monetaria efficace per realizzare una zona all'interno della quale i beni, i servizi, i capitali e le persone possano circolare liberamente senza distorsioni nella concorrenza e senza squilibri regionali o strutturali. L'unione monetaria avrebbe implicato una convertibilità totale e irreversibile delle monete, l'eliminazione dei margini di fluttuazione dei corsi di cambio, la fissazione irrevocabile dei rapporti di parità e la liberazione totale dei movimenti di capitale. Per assicurare la coesione dell'Unione Economica e Monetaria erano indispensabili dei trasferimenti di competenze dal piano nazionale a quello comunitario, mantenuti nei limiti necessari per l'efficacia dell'azione comunitaria e riguardanti l'insieme delle politiche che determinano l'equilibrio generale. Le conseguenze principali dell'UEM, secondo il rapporto erano: la convertibilità totale e irreversibile delle monete senza fluttuazioni, la centralizzazione della politica monetaria,

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l'unificazione delle politiche riguardanti il mercato dei capitali e la consultazione sistematica e continua degli stati membri. La creazione dell'UEM avrebbe comportato anche delle riforme istituzionali di un certo numero di organi comunitari a cui sarebbero stati trasferite le attribuzioni in materia appartenenti agli stati membri. Il centro decisionale per la politica economica avrebbe agito in modo indipendente in funzione dell'interesse comunitario e la costituzione di un sistema comunitario di banche centrali, ispirato ad organismi come il Federal Reserve System, avrebbe preso decisioni di politica monetaria interna riguardante la liquidità, i tassi di interesse e la concessione di prestiti al settore pubblico e privato. Tutto questo progetto, per la sua delicatezza ed importanza, doveva essere portato a termine attraverso passi successivi più particolarmente attraverso tre tappe. Nel rapporto era analizzata solo la prima tappa le cui disposizioni generali prevedevano il rafforzamento e la coordinazione delle politiche economiche con lo sviluppo di una rapida informazione reciproca che permettesse la definizione comune degli orientamenti . Le autorità preposte alla coordinazione delle politiche economiche erano il Consiglio, la Commissione e un Comitato di Governatori delle Banche Centrali. Nel corso della prima tappa il Consiglio sarebbe stato l'organo decisionale centrale e avrebbe fissato gli obiettivi a medio termine e l'orientamento della politica economica, la Commissione avrebbe preso tutti i contatti necessari con le amministrazioni nazionali ed il Comitato di Governatori avrebbe avuto un ruolo importante per quel che riguardava i problemi di politica monetaria interni ed esterni. Il Rapporto raccomandava anche il perseguimento degli sforzi per realizzare una politica industriale comune, una politica dei trasporti comune e una politica di sviluppo comune insistendo sulla soppressione degli ostacoli residui agli scambi intracomunitari, sulla armonizzazione degli aiuti e delle convenzioni che rischiavano di compromettere il libero gioco della concorrenza e sulla possibilità di realizzare una "società europea".Il coordinamento delle politiche monetarie sarebbe stato compito del Comitato dei Governatori che almeno due volte l'anno avrebbe definito gli orientamenti principali riguardanti il livello dei tassi di interesse, l'evoluzione della liquidità bancaria e la concessione di crediti ai settori privati e pubblici, tutte le misure non conformi agli orientamenti avrebbero dovuto essere precedute da una consultazione.Infine il Comitato raccomandava che la prima tappa avesse inizio il primo gennaio 1971 e che una conferenza intergovernativa venisse convocata prima della fine della prima tappa, ai termini dell'articolo 236 del Trattato di Roma, per consentire che venissero apportate le necessarie modifiche ai Trattati. La seconda tappa sarebbe stata caratterizzata dal perseguimento, su tutti i fronti sopra descritti, delle azioni intraprese nel corso della prima tappa.Il rapporto Werner non fu mai posto in atto perché il Consiglio non accettò l'idea che fosse necessario creare delle nuove istituzioni e quindi modificare il Trattato di Roma. In realtà il rapporto Werner fallì soprattutto perché si basava implicitamente sul sistema di Bretton Woods, che stava crollando esattamente nel momento in cui la prima tappa del rapporto avrebbe dovuto essere posta in atto.

IL SERPENTE MONETARIO EUROPEO

Nel 1971, immediatamente dopo il crollo del sistema di Bretton Woods vi furono diversi tentativi di riordino per evitare che la svalutazione del dollaro avesse effetti devastanti su tutte le relazioni economiche fra gli stati. Nel dicembre del 1971 fu raggiunto un accordo, chiamato "Accordo Smithsoniano", tramite il quale gli stati economicamente più evoluti decisero di mantenere la parità aurea del dollaro fissando il prezzo dell'oro a 38 dollari l'oncia anziché a 35 con una svalutazione pari al 7,9 %. Si manteneva così il riferimento all'oro anche se era ormai privo di significato in quanto il dollaro aveva sospeso la convertibilità. Questo fatto portò tutte le altre monete a definire nuovi rapporti di cambio in base a negoziazioni multilaterali. Le oscillazioni fra i cambi vennero aumentate dal 1 al 2,25% rispetto al dollaro e gli Stati Uniti si impegnarono ad abolire i dazi provvisori alle importazioni. Si trattava, chiaramente, di un accordo provvisorio che dava modo la sistema di continuare a funzionare e permetteva di riflettere con più calma su una sistemazione differente della situazione monetaria internazionale.La creazione del "Accordo Smithsoniano" pose la Comunità Europea davanti ad un problema abbastanza urgente: l'accordo stabiliva l'ampiezza massima dello scarto fra una qualsiasi

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moneta e il dollaro del 2,25% rispetto alla nuova parità, ma in un intervallo massimo di tempo l'oscillazione poteva arrivare fino al 9% nelle transazioni bilaterali fra i paesi CEE e questo non era compatibile con il funzionamento del Mercato Comune e con quanto era stato deciso poco tempo prima riguardo al fatto di avviare il processo di Unione Economica e Monetaria europea cominciando a ridurre i margini di oscillazioni fra le monete per favorire gli scambi intracomunitari. Per ovviare a questa situazione il 24 aprile 1972 a Basilea i sei stati membri e i quattro nuovi stati che avevano deciso di aderire alla Comunità dal 1 gennaio 1973 (Regno Unito, Danimarca, Irlanda e Norvegia la quale poi non entrerà a far parte della CEE) crearono un nuovo sistema di cambio europeo tramite il quale veniva mantenuta la banda di oscillazione per ogni moneta rispetto al dollaro, ma le monete europee avrebbero fluttuato in modo congiunto con una oscillazione massima fra esse del 2,25%. L'oscillazione congiunta doveva quindi rimanere entro i margini del dollaro e sarebbe stata determinata dalla quotazione tra la moneta più forte e quella più debole rispetto al dollaro. Questo accordo conosciuto inizialmente come " il serpente nel tunnel del dollaro" e poi più semplicemente "serpente europeo" divenne operativo appena quattro mesi dopo l'entrata in vigore del "Accordo Smithsoniano". Per mantenere le monete all'interno della banda di fluttuazione vi erano alcune regole che prevedevano che le monete comunitarie potessero intervenire per modificare le rispettive bande di oscillazione solo dopo una decisione concordata fra le banche centrali, per questo tipo di interventi era prevista la concessione reciproca di crediti a breve termine.La situazione invece di stabilizzarsi entrò rapidamente in crisi, appena due mesi dopo l'entrata in vigore del "serpente", il 23 giugno 1972 la sterlina esce dal sistema e viene lasciata libera di fluttuare, seguita subito dopo dalla Danimarca, dalla Irlanda e dalla Italia. Il primo tentativo di costringere le monete europee a muoversi in una banda stretta, pena l'obbligo di interventi onerosi per le riserve degli stati membri le cui monete risultavano troppo deboli, ebbe vita breve.Gli anni Settanta furono anni di grande pessimismo riguardo la possibilità di costituire una Unione Monetaria Europea. Un comitato indipendente di esperti, molti dei quali avevano partecipato alla redazione del rapporto Werner, nel 1975 revisionò i prospetti per un nuovo progetto di unione da realizzare negli anni Ottanta. Il Comitato alla cui guida era posto Robert Marjolin, presidente dell'OCSE, arrivò ad una conclusione assai cupa: il Comitato attribuiva il fallimento di ogni progetto di unificazione monetaria a tre fattori principali: eventi sfavorevoli nella economia globale, una mancanza di volontà politica per affrontare in modo unitario le difficoltà e una analisi insufficiente a livello nazionale di quanto potere sarebbe stato necessario devolvere alle istituzioni comunitarie per raggiungere l'EMU. Gli eventi della prima metà degli anni Settanta dimostravano come l'idea ottimistica secondo la quale l'unità economica e monetaria europea fosse raggiungibile attraverso una serie di piccoli passi fosse fallita.

IL RAPPORTO DELORS

Prima di esaminare in modo specifico il rapporto Delors è utile individuare le differenze principali tra la situazione del 1969-70, in cui lavorò il Comitato Werner, e quella del 1989-90 in cui lavorò il Comitato Delors.Nel 1969 la "fede" nei tassi di cambio fissi era in declino e il crollo del sistema di Bretton Woods era praticamente dietro l'angolo. Anche se il rapporto Werner raccomandò un restringimento delle fluttuazioni dei tassi di cambio, i governi non erano sicuri di essere in grado di farlo. Nel 1989, dopo quasi dieci anni di esperienza all'interno dello SME, gli stati pensavano che le variazioni dei tassi di cambio all'interno dell'Europa non fossero più necessarie o desiderabili. Nel 1969 la maggior parte dei paesi europei usava ancora controlli sui capitali e non erano pronti ad abbandonarli, il rapporto Werner non insistette sull'abbandono di questi ultimi e sulla creazione di un Mercato Europeo dei capitali, ma nel 1989 la maggior parte dei controlli non venivano ormai più praticati e la situazione era favorevole alla eliminazione di tutti gli ostacoli. Infine, ma non meno importante, nel 1969 la CEE aveva visioni meno chiare sulla divisione più appropriata dei poteri fra le istituzioni comunitarie e gli Stati membri. Nel 1989 c'era molta più chiarezza sui compiti comunitari perché si stava affermando proprio in quel periodo il principio di sussidiarietà che prevedeva che la Comunità si assumesse dei compiti solo se gli stati membri non erano in grado di eseguirli efficacemente.

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Come il rapporto Werner, il rapporto Delors elenca tre condizioni necessarie per realizzare l'unione monetaria: totale convertibilità delle monete, completa liberalizzazione della circolazione dei capitali e piena integrazione dei mercati finanziari, irrevocabile blocco dei cambi. La prima e la seconda condizione erano già state realizzate, mentre la terza comportava la creazione di una moneta unica.L'adozione di una moneta unica, anche se non strettamente necessaria per la creazione di una unione monetaria, può essere vista - per ragioni economiche, psicologiche e politiche- come un naturale e desiderabile sviluppo dell'unione monetaria. Una moneta unica dimostrerebbe chiaramente l'irreversibilità dell'unione, faciliterebbe considerevolmente l'amministrazione della Comunità ed eviterebbe i costi delle transazioni…Il rimpiazzo delle monete nazionali da parte di una moneta unica dovrebbe quindi avvenire il più presto possibile dopo avere bloccato le parità. La formazione di una unione monetaria, comunque, avrebbe comportato altre implicazioni per la politica monetaria. Una volta fissati in modo permanente i tassi di cambio, ci sarà la necessità di una politica monetaria comune che sarà portata avanti attraverso nuove procedure operative. La coordinazione delle politiche monetarie nazionali non potrà essere sufficiente. La responsabilità di una politica monetaria unica dovrà risiedere in una nuova istituzione dove le decisioni saranno centralizzate e collettive.I passi dovevano essere intrapresi in tre direzioni per evitare e correggere sbilanciamenti economici: misure per rafforzare i meccanismi di mercato, politiche comuni per migliorare il processo di allocazione delle risorse quando le forze di mercato non fossero adeguate e coordinazione delle politiche macroeconomiche. Tornando alla necessità di una politica monetaria comunitaria, il Comitato faceva una importante raccomandazione: Ci sarà la necessità di una nuova istituzione monetaria perché una politica monetaria unica non può risultare da azioni e decisioni indipendenti prese dalle singole banche centrali. Inoltre le operazioni quotidiane di politica monetaria non possono rispondere rapidamente alle condizioni di mercato a meno che non vengano decise in modo centralizzato. Considerando la struttura politica della Comunità e i vantaggi di rendere le banche centrali esistenti parte di un nuovo sistema, la…politica monetaria comunitaria dovrebbe essere organizzata in una forma federale, in quello che potrebbe essere chiamato un Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC)…Dovrebbe essere formato da una istituzione centrale e dalle banche centrali nazionali. Nella fase finale il SEBC, attraverso il suo Consiglio, sarebbe responsabile della formulazione e dell'adozione della politica monetaria e della gestione della politica del tasso di cambio della moneta unica. Le Banche Centrali nazionali avrebbero il compito di adottare le politiche in conformità con le linee stabilite dal Consiglio del SEBC.Il SEBC avrebbe dovuto avere quattro compiti:"Il Sistema avrà l'obbiettivo della stabilità dei prezzi; dovrà supportare il quadro economico a livello comunitario; sarà responsabile per la formulazione e l'adozione della politica monetaria, controllerà il tasso di cambio e le riserve; manterrà un corretto sistema di pagamenti e parteciperà alla coordinazione delle politiche delle Banche Centrali". Come nel Rapporto Werner, il Rapporto Delors proponeva un processo trifasico per raggiungere l'EMU, ma era molto più specifico riguardo alla composizione di ogni fase e ai collegamenti fra una e l'altra. La prima fase avrebbe comportato dei passaggi preparatori: il completamento del Mercato interno, la riforma dei Fondi strutturali e il loro allargamento per ridurre le disparità regionali. Sul lato monetario tutti gli ostacoli alla integrazione finanziaria sarebbero stati rimossi e la coordinazione sarebbe stata intensificata. Tutte le monete degli stati membri dovevano entrate nel meccanismo di cambio dello SME e i governi avrebbero dovuto rimuovere tutti gli impedimenti all'uso privato dell'ECU.La seconda fase avrebbe comportato diverse importanti innovazioni. La sorveglianza della politica economica sarebbe stata rafforzata e sarebbero state introdotte regole precise per limitare i deficit nazionali. Il SEBC che avrebbe sostituito il Fondo di Cooperazione Economica Europeo e il Comitato dei governatori delle Banche Centrali, sarebbe così cominciato il coordinamento delle politiche monetarie nazionali e la messa in opera di una politica monetaria comune.La terza fase dell'EMU sarebbe cominciava con il blocco irrevocabile dei tassi di cambio e il SEBC avrebbe assunto il controllo totale sulla politica monetaria. Alla fine sarebbe stata creata una moneta unica che avrebbe rimpiazzato le valute degli stati membri.Il 28 e 29 giugno 1989, la Commissione presieduta da Jacques Delors presentò il Rapporto al Consiglio Europeo di Madrid dove fu accolto molto positivamente. La situazione economica era favorevole e tutti gli operatori economici guardavano con speranza al Mercato Unico ed

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alla stabilità monetaria. Si decise così di dare inizio alla prima fase dell'Unione Economica e Monetaria il 1luglio 1990.

LA STRADA VERSO MAASTRICHT

L'Atto Unico non aveva portato avanti un vero e proprio processo di integrazione e non solo le istituzioni europee, ma anche alcuni stati membri non ne erano soddisfatti e ritenevano di dover compiere un successivo passo avanti.Alla fine degli anni Ottanta gli stimoli che servivano per portare avanti il processo di integrazione non si fecero attendere. La piena realizzazione del Mercato Unico non poteva fermarsi a quanto previsto nell'Atto Unico, ma era necessario un ulteriore impegno per realizzare una Unione Monetaria che avrebbe eliminato i danni causati al commercio dalle continue fluttuazioni delle monete e avrebbe creato condizioni stabili per la pianificazione degli investimenti. Il Mercato Unico e la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere portava anche alla luce il problema della lotta al terrorismo internazionale, al traffico di droga, al crimine organizzato che poteva essere realizzata solo a livello comunitario. L'integrazione europea necessitava inoltre di maggiore attenzione ad alcune materie che non erano state sufficientemente trattate nell'Atto Unico ed era anche necessario rivedere i meccanismi decisionali comunitari che dal punto di vista istituzionale non erano equilibrati e creavano un forte deficit democratico.Anche nuovi avvenimenti verificatisi al di fuori della Comunità diedero una spinta al processo di integrazione. La caduta dei regimi sovietici portò alla consapevolezza che la CEE si sarebbe trovata a gestire nuovi rapporti all'interno di una "nuova Europa" che fino a qualche anno prima era ritenuta impensabile e l'unificazione della Germania, avvenuta nell'ottobre del 1990, mise in luce il fatto che era necessario procedere con l'integrazione europea per non lasciare a quest'ultima una posizione troppo egemone all'interno dell'Europa. La CEE si trovava così ad affrontare una situazione incerta in un quadro politico completamente nuovo: la guerra fredda era terminata.I primi passi verso la realizzazione del Trattato sull'Unione Europea cominciarono con una serie di Conferenze Intergovernative svoltesi fra il 1988 e il 1990 che si concentrarono sull'Unione politica, economica e monetaria. Il 27 e 28 giugno 1988 il Consiglio Europeo si riunì ad Hannover, dove constatò che la realizzazione del Mercato Unico era ormai un fatto accettato e irreversibile, ma era anche importante realizzare nuove politiche in settori fondamentali come i trasporti e la liberalizzazione dei capitali. La decisione più importante presa ad Hannover fu quella di procedere alla realizzazione dell'Unione Economica e Monetaria, affidando ad un comitato l'incarico di esaminare la situazione e di proporre i passi graduali per realizzare l'integrazione. Il Comitato, alla cui presidenza fu chiamato Jacques Delors, avrebbe presentato il rapporto al Consiglio Europeo di Madrid previsto per l'anno successivo.

LE CONFERENZE INTERGOVERNATIVE

Le Conferenze intergovernative inaugurate a Roma il 1 dicembre 1990 lavorarono lungo tutto il 1991 in un periodo di grave crisi mondiale: si era infatti nel pieno della "crisi del Golfo" e gli stati membri della Comunità non riuscivano ad agire, in quel frangente, in modo unito e coeso. Inoltre , dopo il crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est e passata l'euforia dei primi momenti, la situazione non era molto positiva perché le difficoltà da affrontare per consentire il rinnovamento economici e politico di questi paesi erano molteplici ed anche in questo caso i paesi membri della CEE non avevano progettato nessuna azione comune e non sapevano come gestire la situazione. Infine la situazione economica stava cambiando: si notavano parecchi segni di rallentamento della crescita che aveva accompagnato tutti gli anni Ottanta e questo cambiamento avrebbe potuto scoraggiare il Mercato Unico e l'Unione Economica e Monetaria.I negoziati per l'Unione Politica sembravano essere più complicati perché i progetti e gli obiettivi erano ancora tutti in discussione. I dibattiti più accesi riguardavano i nuovi poteri da conferire al Parlamento, la PESC, le procedure di voto del Consiglio e le nuove materie di competenza comunitaria.La CIG sulla Unione Economica e Monetaria si svolse in parallelo a quella sulla Unione Politica durante tutto il corso del 1991. Nonostante il progetto per l'UEM fosse abbastanza

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articolato c'erano comunque questioni di grande importanza che i ministri competenti e gli esperti dovevano discutere e risolvere. Nei primi sei mesi del 1991 fu messo a punto un documento che fissava le linee direttrici dell'UEM e la struttura del SEBC e che diventò la base di discussione per tutti gli incontri successivi. I problemi principali riguardavano l'ultima fase dell'UEM ed in particolare l'istituzione della Banca Centrale Europea e l'istituzione dei criteri di convergenza che dovevano essere soddisfatti per l'avvio della terza fase. La strada seguita dalla Conferenza fu quella tracciata dal Rapporto Delors e cioè il parallelismo tra azioni condotte in politica economica e azioni condotte in politica monetaria.Il 28 ottobre 1991 la Presidenza olandese presentò un progetto completo per la realizzazione di un Trattato sull'Unione Economica e Monetaria, discusso in dicembre dai ministri ECOFIN che arrivarono ad un negoziato finale pur lasciando in sospeso alcune questioni di procedura sul passaggio da una fase all'altra che sarebbero state discusse a Maastricht.Il 10 e 11 dicembre 1991, i capi di Stato e di Governo si riunirono a Maastricht per raggiungere finalmente un accordo sul nuovo Trattato, si affrontarono gli ultimi argomenti rimasti irrisolti: le date per il passaggio alle tre fasi dell'UEM ed in particolare quella dell'ultima fase. La clausola di "opting out" sulla terza fase fu a lungo oggetto di discussione perché gli inglesi tentarono di trasformarla in clausola generale. Il testo del Trattato sull'Unione Europea fu elaborato nel gennaio del 1992 e fu firmato dai Ministri degli Esteri e dai Ministri ECOFIN il 7 febbraio 1992 a Maastricht. Nonostante la presidenza fosse passata al Portogallo quest'ultimo rinunciò al privilegio di designare una sua città per la firma del Trattato. Secondo molti la scelta di Maastricht ha un valore simbolico perché si tratta di una piccola antica città olandese sorta sul fiume Maas e vicinissima ai confini tedeschi dove i commercianti accettano tutte le valute dell'Unione Europea. Essa rappresenta quindi la difficile strada intrapresa per arrivare con successo alle fasi finali dell'integrazione europea.

GLI ACCORDI DI BRETTON WOODS

Dal 1 al 22 luglio del 1944, immediatamente dopo lo sbarco in Normandia, i rappresentanti di quarantaquattro stati economicamente associati agli Alleati o schierati con essi si incontrarono in una località del New Hampshire chiamata Bretton Woods con lo scopo di ridare ordine al sistema monetario internazionale evitando gli errori commessi nel periodo fra le due guerre. Lo scopo era quello di creare un sistema basato su tassi di cambio stabili, politiche nazionali di pieno impiego e cooperazione.I protagonisti della conferenza di Bretton Woods furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, due paesi uniti da molte idee e divisi da importanti divergenze. L'America uscì dalla guerra come la potenza più ricca e più forte del mondo, mentre i poteri e le risorse della Gran Bretagna erano stati fortemente indeboliti dal conflitto. L'amministrazione Roosevelt dava molta importanza alla eliminazione del commercio "discriminatorio" e più precisamente del commercio bilaterale, accanto alla creazione di un sistema di pagamenti basato sulla totale convertibilità delle monete., mentre gli interessi principali della Gran Bretagna erano quelli di perseguire una politica di pieno impiego e di continuare a mantenere il Commonwealth.Le negoziazioni diplomatiche furono guidate dalle delegazioni dei due paesi: la delegazione inglese era guidata da John Maynard Keynes, economista di fama mondiale, mentre quella americana da Harry Dexter White, sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti. Entrambe le delegazioni proposero un piano per il riordino del sistema monetario. Il piano Keynes era progettato per incoraggiare il commercio internazionale attraverso misure che consentivano la liquidità internazionale e difendere l'economia interna mettendo a disposizione riserve internazionali. Il piano prevedeva la creazione di una banca centrale sovranazionale (International Clearing Union) che avrebbe distribuito una nuova moneta chiamata bancor il cui valore nominale doveva essere definito in oro, mentre la parità di ogni moneta nazionale andava fissata in bancor. Le banche centrali di ogni stato membro avrebbero aperto un conto presso la International Clearing Union per regolare i debiti e i crediti con gli altri stati. Il piano proposto da White insisteva invece sulla stabilità dei tassi di cambio piuttosto che sulla faciltà di ottenere credito a livello internazionale. Il progetto mirava alla creazione di un Fondo stabilizzatore delle Nazioni Unite, ogni membro avrebbe contribuito al Fondo con una quota per metà in oro e per metà in valuta nazionale e la sottoscrizione totale sarebbe stata di 5 bilioni di dollari. Un paese in deficit avrebbe potuto prelevare risorse dal Fondo vendendo la sua moneta in cambio di quella di un altro stato membro. La parità delle

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monete nazionali sarebbe stata fissata in unitas, una moneta internazionale del valore di dieci dollari statunitensi.Dopo la presentazione e la pubblicazione dei due progetti fu raggiunto un compromesso iniziale (Joint Statement) nel quale la Gran Bretagna rinunciava alla creazione dell'International Clearing Union e al bancor, ottenendo in cambio una maggiore autonomia politica per gli stati membri. Sulla base di questo compromesso si arrivò alla creazione degli articoli di accordo del Fondo Monetario Internazionale. La rapidità nel negoziare un accordo così importante fu dovuta a diversi fattori: innanzitutto le due delegazioni lavorarono su un progetto che era in realtà un compromesso fra i reciproci interessi nazionali senza coinvolgere altri paesi molti dei quali erano ancora in guerra o sotto occupazione straniera. Gli Stati Uniti, quale nuova potenza egemone, dominarono le discussioni ed il processo decisionale senza alcun problema, ma è importante sottolineare il fatto che entrambi i paesi sentivano l'obbligo di creare un ordine monetario stabile che avrebbe assicurato la pace; le due delegazioni condividevano, infatti, un sistema di visioni comuni sull'assetto del mondo post-bellico riconoscendo l'importanza di una politica di pieno impiego e di un sistema di pagamenti multilaterale. Il funzionamento del sistema di Bretton Woods fu però molto complesso, tanto che ne determinò il crollo, appena 25 anni dopo la sua istituzione.

IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

Il FMI, con sede a Washington, diventò operativo nel 1946 con gli obbiettivi di promuovere la cooperazione monetaria internazionale, facilitare la crescita economica ed il pieno impiego, mantenere la stabilità dei tassi di cambio evitando svalutazioni competitive e fornire risorse per riequilibrare le bilance dei pagamenti degli stati membri in difficoltà. L'articolo IV dello statuto del Fondo stabiliva che le parità fra le monete sarebbero state fissate in oro o in dollari americani del peso e del titolo in vigore al 1 luglio 1944. Le parità potevano essere variate solo dopo aver consultato il Fondo, cambiamenti non autorizzati potevano impedire ai paesi di utilizzare le risorse del Fondo o provocare l'espulsione da quest'ultimo. Le risorse suddette dovevano essere utilizzate dagli stati in deficit per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, l'ammontare totale del Fondo, costituito dai versamenti degli stati membri, era di 8,8 bilioni di dollari (25% in oro e 75% in valuta). Il FMI aveva molto potere nel decidere le sorti del sistema monetario internazionale in quanto aveva la facoltà di approvare o disapprovare i cambi nelle parità, decidere se un paese poteva utilizzare le risorse comuni ed era una autorità riconosciuta a livello internazionale con cui tutte le altre istituzioni monetarie nazionali dovevano cooperare. Nonostante gli articoli dello statuto prevedessero che tutte le monete fossero equivalenti in realtà solo il dollaro era direttamente convertibile in oro e questo comportava il fatto che tutti i paesi fissassero la parità della propria valuta in dollari.Gli accordi di Bretton Woods rappresentarono un esperimento unico ed un passo decisivo per il risanamento della economia mondiale. Segnarono l'abbandono del bilateralismo e del regionalismo per un sistema multilaterale. Economisti ed uomini politici, anche al di fuori del governo inglese e americano, si incontrarono durante la guerra e svilupparono una serie di idee sulla organizzazione del sistema monetario e sull'assetto dell'economia post-bellica che andavano oltre le differenze e spingevano i due governi verso l'accordo. Questi esperti identificarono un insieme di norme e disposizioni tecniche che furono abbracciate dai leaders inglesi e americani.

IL FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA DI BRETTON WOODS

Il sistema monetario che nacque dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale era molto diverso da quello che gli architetti di Bretton Woods si aspettavano. Il periodo di transizione dalla guerra alla pace fu molto più lungo di quanto previsto. La piena convertibilità delle monete dei maggiori paesi industrializzati fu raggiunta solo alla fine del 1958 anche se il sistema funzionava regolarmente dal 1955.Uno dei principali problemi che si presentò nel periodo post-bellico fu il fatto che gli Stati Uniti possedevano quasi i due terzi delle riserve auree mondiali, questa situazione era dovuta al fatto che i trasferimenti di capitale dall'Europa, avvenuti dopo la svalutazione del dollaro, continuarono anche durante il conflitto mondiale. Nel 1945 le riserve auree europee erano quasi inesistenti, la domanda di importazioni era elevatissima mentre la produzione era ridotta ed anche le esportazioni. La situazione economica pareva quindi gravissima, ma

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a partire dalla fine degli anni Cinquanta le monete europee diventarono convertibili e gli elementi chiavi di questo processo furono gli aiuti del piano Marshall e l'Unione Europea dei Pagamenti che misero in moto il processo di ricostruzione e diedero vita ad un sistema di pagamenti multilaterale.Nel periodo fra le due guerre la sterlina si divise con il dollaro il ruolo di valuta di riserva e ci si aspettava che la moneta inglese avrebbe continuato a ricoprire questo ruolo, ma in realtà la sua importanza cominciò a declinare. Alla fine della guerra la Gran Bretagna soffriva, come tutti gli altri paesi europei, di un forte deficit nella bilancia dei pagamenti e aveva accumulato un debito di 3,7 bilioni di sterline. Durante il periodo della pre-convertibilità la sterlina era ancora la moneta che dominava gli scambi internazionali, ma dalla fine degli anni Cinquanta fu eclissata dal dollaro. Grazie al ruolo fondamentale che gli Stati Uniti svolsero nella economia mondiale e nel commercio il dollaro emerse come moneta internazionale diventando un veicolo per le transazioni interbancarie ed una unità di conto per definire le parità fra gli stati membri del FMI.A partire dal 1958 il sistema di Bretton woods divenne pienamente operativo: ogni stato membro interveniva sul mercato comprando o vendendo dollari per mantenere la parità entro i margini prescritti ed il tesoro americano fissò il prezzo dell'oro a 35 dollari l'oncia. Il sistema era ben diverso da come era stato pensato da chi lo aveva ideato: non era un sistema in cui le monete erano tutte uguali, ma si trattava di un gold dollar system in cui cominciarono a poco a poco a emergere i problemi che avevano colpito anche il gold standard del periodo fra le due guerre: aggiustamento, liquidità e fiducia. I meccanismi di aggiustamento nella bilancia dei pagamenti erano molto più rigidi, le risorse non erano adeguate a finanziare la crescita del commercio e le riserve di dollari detenute dalle istituzioni monetarie aumentavano quando gli Stati Uniti crescevano le proprie riserve in oro, rendendo sempre più improbabile il fatto che i possessori di dollari potessero convertire tutta la propria valuta in oro al prezzo fissato. Si poneva il problema della convertibilità oro/dollaro e di conseguenza per le banche centrali quello dell'opportunità di mantenere riserve in dollari con la prospettiva che potessero in futuro venire svalutate rispetto all'oro, oppure chiedere la conversione di queste in oro contribuendo alla debolezza del dollaro e in definitiva accelerando la crisi del dollaro con conseguenze imprevedibili sull'intero equilibrio monetario mondiale.A partire dal 1959 gli Stati Uniti cominciarono a registrare un deficit nella bilancia dei pagamenti di circa un miliardo di dollari l'anno, questo deficit creava un debito di dollari convertibili in oro che col tempo diventò insostenibile. Le politiche degli anni Sessanta furono tutte indirizzate alla difesa del dollaro, le banche europee decisero di porre dei limiti alla conversione in oro delle riserve in dollari. Questi sforzi continuarono per tutto il decennio, ma le pressioni speculative resero sempre più debole la stabilità del sistema dollaro/oro.

IL CROLLO DI BRETTON WOODS

Nel 1969 la bilancia dei pagamenti statunitense cominciò a registrare un deficit talmente elevato che la Federal Reserve decise di attuare una politica di aumento dei tassi di interesse innescando così una recessione che sarebbe durata per tutti gli anni Settanta. Il 15 agosto 1971 l'amministrazione Nixon decise di sospendere la convertibilità del dollaro, istituì un dazio temporaneo sulle importazioni e intervenne per bloccare i prezzi e i salari. Gli Stati Uniti vennero così meno agli impegni presi con il FMI e con il GATT e tutte le monete, private del fulcro su cui si era retto il sistema monetario internazionale, furono lasciate libere di fluttuare.Ripercorrendo la storia di Bretton Woods si nota come, fin dall'inizio, il sistema dovette fronteggiare molti problemi prima di diventare pienamente operativo. Le difficoltà più grandi furono il passaggio da un sistema bilaterale ad uno multilaterale e la scarsità di dollari, entrambe le questioni furono risolte con la creazione dell'Unione Europea dei Pagamenti che gestì la concessione dei prestiti americani e favorì la stabilizzazione del sistema multilaterale di pagamenti. Bretton Woods si trasformò in un gold dollar system dove tutte le monete erano legato al dollaro che era la nuova valuta di riserva. Il deficit della bilancia dei pagamenti americana era una fonte di instabilità perché più cresceva il deficit meno il dollaro era affidabile. Il sistema mancava quindi di un efficace meccanismo di

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aggiustamento della bilancia dei pagamenti e anche di un mezzo per evitare che il problema della liquidità fosse risolto con l'aumento del deficit.

IL DOMINIO DELLA BCE Con l'introduzione della moneta unica alcune funzioni svolte delle banche centrali nazionali sono passate alla Banca centrale europea (Bce). A questo organismo sovranazionale è stato affidato il compito di gestire la politica monetaria europea: l'emissione dell'euro, la definizione dei tassi d'interesse, il contenimento dell'inflazione.La Bce è affiancata dal Sistema europeo di banche centrali (Sebc) dei 15 Stati membri dell'Unione europea. Insieme danno vita a quello che è stato chiamato Eurosistema. Obiettivo primario: la stabilità dei prezzi. I compiti fondamentali assegnati all'Eurosistema sono:

definire e attuare la politica monetaria dell'area dell'euro; svolgere operazioni sui cambi; detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri; promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.

La Bce assolve nei confronti della Comunità europea e delle autorità nazionali un ruolo consultivo su materie che rientrano nell'ambito di sua competenza, soprattutto per quanto riguarda la legislazione comunitaria o nazionale. In questo senso le decisioni vengono prese dal Consiglio direttivo e dal Comitato esecutivo. Finché ci saranno Stati membri che non adottano l'euro, continuerà ad operare anche un terzo organo decisionale: il Consiglio generale. Il capitale della Bce Ammonta a circa 5 miliardi di euro e viene sborsato dalle banche nazionali dei Quindici. La sottoscrizione del capitale si basa su uno schema determinato in funzione delle quote rispettive degli Stati membri sul Pil e sulla popolazione della Ue. Le Bcn dell'area dell'euro hanno versato per intero le rispettive quote di capitale, mentre le Bcn dei Paesi non partecipanti hanno corrisposto, come contributo, solo il 5 per cento del capitale sottoscritto. Inoltre, gli Stati membri aderenti all'euro hanno conferito alla Bce anche una riserva in valuta estera per un importo equivalente a circa 40 miliardi di euro. I contributi di ogni Bcn sono stati fissati in proporzione alla quota di capitale da esse sottoscritto; in cambio, ciascun istituto centrale dispone di un credito in euro pari al proprio contributo. Il Consiglio direttivo della Bce ha deciso che la riserva obbligatoria forma parte integrante dell'assetto operativo della politica monetaria. La riserva obbligatoria è, infatti, finalizzata a stabilizzare i tassi di interesse del mercato monetario, a creare (o ampliare) il fabbisogno di liquidità del mercato e a contribuire al controllo dell'espansione monetaria. La Bce, con sede a Francoforte, è attiva dal primo luglio 1998. Il suo primo presidente è stato Wim Duisemberg che rimasto in carica fino al 2002 (quindi solo 4 anni sugli 8 stabiliti per statuto) ha poi lasciato il suo posto al francese Jean Claude Trichet.

IL SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE

La stabilizzazione della convertibilità tramite gli accordi di Bretton Woods avvenne solo nel 1958. L'anno precedente venivano firmati i Trattati di Roma che sancivano la creazione di una unione doganale anche se l'ambizione dei fondatori, come sappiamo, andava ben oltre. Il trattato CEE conteneva due brevi articoli sul coordinamento della politica economica e sulla bilancia dei pagamenti in cui veniva specificato che ogni stato membro considerava le politiche economiche materia di interesse comune. Questi articoli furono di poca rilevanza agli occhi dei paesi membri e la sola cosa importante fu la creazione di un Comitato Monetario come foro di discussione e come appoggio ai ministri ECOFIN (Consiglio dei ministri dell'economia e delle finanze).Durante gli anni Sessanta il problema per la CEE fu la paura che gli aggiustamenti dei tassi di cambio potessero danneggiare la creazione dell'unione doganale, il decennio fu costellato da diverse crisi a cominciare dalla svalutazione della sterlina nel 1967, seguita da quella del franco nel 1969 che causarono problemi nell'unità del mercato agricolo dove i prezzi erano

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espressi in una unità di conto che aveva contenuto aureo uguale al dollaro. Le svalutazioni interrompevano così la garanzia del prezzo comune privilegiando i produttori provenienti da paesi la cui moneta era svalutata. Per arginare questo problema furono introdotti gli importi compensativi monetari sotto forma di tasse sull'esportazione e di sgravi sull'importazione di prodotti agricoli. Nel 1969 la Commissione europea elaborò una serie di proposte di cooperazione monetaria che furono discusse alla conferenza dell'Aia dove fu per la prima volta approvato un progetto per la creazione di una Unione Economica e Monetaria. Questo progetto segnò l'inizio di una storia travagliata costellata da successi alterni.La Conferenza dell'Aia del 1 e 2 dicembre 1969 pose fine ad un decennio ricco di avvenimenti importanti ed anche ad una Europa guidata dalle decisioni francesi. A De Gaulle, nell'aprile del 1969, succedeva Georges Pompidou che si presentò alla Conferenza con l'idea che occorresse dare alla CEE un programma definito prendendo atto che l'adesione della gran Bretagna era più che mai necessaria per la sopravvivenza di quanto stabilito nei Trattati di Roma.All'Aia i ministri degli Affari Esteri decisero di elaborare, in collaborazione con la Commissione Europea, un piano per tappe con lo scopo di creare una Unione Economica e Monetaria. Altri temi fondamentali di discussione furono lo sviluppo di una attività tecnologica della Comunità e soprattutto l'apertura dei negoziati per l'adesione del Regno Unito, della Danimarca, dell'Irlanda e della Norvegia.

Il periodo precedente alla introduzione della convertibilità (1958) fu un momento in cui gli sforzi europei per raggiungere una coordinazione politica e monetaria furono sostenuti soprattutto su base regionale. La frammentazione dell'Europa a causa del commercio e dei pagamenti bilaterali suggeriva la necessità di una liberalizzazione del commercio e di accordi monetari su base regionale piuttosto che in un sistema globale come quello creato a Bretton Woods. Gli Stati Uniti furono d'accordo su questo fatto e appoggiarono la creazione dell'EPU che però non assunse mai l'autorità che possedeva il FMI. Dopo 1958 le condizioni sembravano abbastanza stabili e soddisfacenti perché l'Europa abbandonasse gli sforzi di differenziazione regionale e, nello stesso tempo, sei stati europei costituivano fra loro una unione doganale. Negli anni Sessanta si crearono notevoli difficoltà nel cercare di sostenere il sistema dei cambi fissi e nel contenere il deficit nella bilancia dei pagamenti sia in Europa che negli Stati Uniti; l'aumento dell'inflazione e del deficit americano portò la convinzione che fosse necessario una Unione Economica e Monetaria Europea.Il primo progetto per l'EMU, il piano Werner, fallì e aprì un periodo in cui l'integrazione monetaria europea subì una forte battuta di arresto dovuta soprattutto al cambiamento della situazione monetaria internazionale verificatasi in seguito al crollo del sistema di Bretton Woods nel 1971. Il serpente monetario fu solo una limitata anche se significativa eccezione ad una situazione che non si era più verificata dagli anni del dopoguerra. Un argomento che fu quasi del tutto assente dai dibattiti fu l'introduzione di una moneta unica perché era considerata una ipotesi irrealistica quando lo scopo di tutti i paesi era quello di raggiungere la convertibilità e dopo il 1958 la creazione di una moneta unica fu considerata superflua. Dopo la seconda metà degli anni Sessanta, quando il dollaro cominciò a diventare un "ancora" meno sicura per il sistema monetario internazionale, i problemi e le divergenze erano già nate anche all'interno delle valute europee. La Gran Bretagna stava lottando per continuare a preservare un ruolo internazionale per la sua moneta e non aveva nessuna intenzione di incoraggiare un progetto per la creazione di una moneta unica. Anche il rapporto Werner, qualche anno più tardi, fece solo un piccolo riferimento ai benefici di una moneta unica .

LA COMMISSIONE EUROPEA PRESIEDUTA DA JACQUES DELORS

Il 6 gennaio 1985 assumeva le sue funzioni la nuova Commissione presieduta da Jacques Delors. Delors succedeva a Gaston Thorn e sapeva di essere in un periodo in cui era necessario dare slancio ed iniziativa a questa istituzione. La sua personalità è stata senza dubbio importante nel fare raggiungere alla Comunità gli obiettivi che l'avrebbero portata al Trattato di Maastricht e quindi sul suo ruolo di presidente si è spesso discusso. Delors, socialista, aveva avuto esperienze politiche di grande rilievo fin dai tempi di Pompidou ed era stato eletto, nel 1979, al Parlamento Europeo dove aveva espresso per la prima volta le idee che si riscontreranno nella sua opera di presidente: egli non credeva in una costruzione

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ideologica dell'Europa, ma nella possibilità di una integrazione settoriale che doveva essere effettuata a diversi livelli e a diverse "velocità". Delors non era quindi legato ad ideologie particolari ed usciva da una delusione: quella di non essere stato eletto Primo Ministro francese. Dedicò quindi tutte le sue energie alla Commissione Europea, per farla uscire dalla crisi e dall'ombra in cui era vissuta negli anni precedenti, riuscendo spesso a porsi in contrasto diretto con i Capi di Governo. Delors, che fu eletto presidente della Commissione per ben tre volte e cioè fino al 1995, dimostrò di avere una personalità molto forte che riusciva a tenere unita una istituzione composta da un gruppo di persone diverse per nazionalità e formazione politica. Il presidente, secondo il Trattato, deve essere un primus inter pares, ma la Commissione è stata spesso identificata nella figura di Delors durante tutto il corso della sua presidenza. Per questo motivo a volte è stato accusato di deprimere lo spirito di gruppo dei suoi colleghi e di aver fatto spesso prevalere i suoi interessi. Durante il discorso pronunciato di fronte al Parlamento a Strasburgo il 14 gennaio 1985 per descrivere gli orientamenti della Commissione Delors espresse le priorità per gli anni successivi ed indicò chiaramente come obbiettivo il completamento del mercato interno entro il 1992. La sua proposta era appoggiata da tutta l'industria europea e così furono accelerati i lavori per la preparazione del "Libro bianco sul completamento del mercato interno", un documento che ha segnato l'evoluzione della Comunità.Il Libro Bianco ha condizionato la vita della Comunità per sette anni ed è stato seguito in modo molto preciso dalle Istituzioni comunitarie e dai governi degli Stati membri. Esso prevedeva l'abolizione, entro il 1992, delle frontiere geografiche tecniche e fiscali, per fare ciò fissava un calendario vincolante che conteneva scadenze ravvicinate basate su meccanismi quasi automatici. Il punto di partenza era la soppressione totale delle frontiere geografiche per eliminare i motivi di un qualsiasi controllo di persone e merci alle frontiere. Accanto alla libera circolazione delle merci era necessario anche realizzare la libera prestazione dei servizi perché il settore terziario era di fondamentale importanza come sostegno alla industria manifatturiera. I servizi venivano intesi non solo come banche, assicurazioni, trasporti, ma anche i nuovi settori come quello dell'informatica, del marketing, della televisione. Veniva proposto inoltre di promuovere lo scambio dei prodotti finanziari come le polizze di assicurazione , i titoli di proprietà immobiliare, i contratti di risparmio etc..Nel Libro Bianco vi era anche una parte dedicata ai lavoratori dipendenti e alle libere professioni in cui si proponeva di abolire anche gli ultimi ostacoli che non erano ancora stati eliminati dalle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Per quanto riguardava in modo più specifico le libere professioni la Commissione proponeva un sistema di mutuo riconoscimento dei diplomi da realizzarsi in base alla reciproca fiducia fra gli stati senza previa armonizzazione delle condizioni di accesso e di esercizio delle professioni. La sfida più importante era quella della armonizzazione fiscale perché il sistema di imposte dirette variava in modo notevole da stato a stato e senza una armonizzazione delle imposte l'abolizione delle frontiere diventava una cosa di difficile realizzazione, questo era un problema di grande complessità tecnica che i paesi dovevano risolvere nel corso degli anni.Nelle conclusioni del Libro Bianco la Commissione affermava che l'Unione doganale doveva precedere l'integrazione economica, l'integrazione economica deve precedere l'unità europea.Il Libro Bianco fu presentato durante il Consiglio Europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985, in un periodo di grande ottimismo a livello europeo e mondiale. La nomina di Gorbaciov a presidente del PCUS era considerato un grande segno di cambiamento e di futura distensione fra l'Occidente e l'USSR. A livello europeo tutti erano convinti che si dovesse proseguire l'integrazione seguendo le indicazioni fornite dal Libro Bianco ed anche l'ottima congiuntura economica di quel periodo contribuì ad eliminare timori ed obbiezioni. Il Consiglio Europeo accolse quindi favorevolmente la proposta sul completamento del mercato interno e accettò tutte le priorità indicate nel Libro Bianco. Tuttavia sarebbe stato impensabile che si potesse realizzare il mercato unico e quindi approvare tutta la legislazione che esso comportava senza modificare le regole di voto del Consiglio dove era prescritta l'unanimità.

I TRATTATI DI ROMA

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Dopo il fallimento della Ced si ricominciò a pensare all'Unione europea in termini di integrazioni settoriali. Il 3 giugno 1955, alla Conferenza dei Ministri degli Esteri dei paesi CECA, il ministro italiano, Gaetano Martino, propose di continuare la strada delle integrazioni parziali. La sua proposta portò alla decisione di creare un Comitato Intergovernativo di esperti con lo scopo di studiare la possibilità di integrare altri settori economici così come era stato fatto per la CECA. A capo del Comitato fu posto Henri Spaak, federalista convinto ed ex ministro degli esteri belga. Il rapporto fu presentato il 29 maggio 1956 e proponeva la creazione di una Comunità Economica Europea e di una Comunità europea dell'energia atomica. Il progetto fu accettato e diventò la base per i negoziati che portarono alla firma dei Trattai di Roma il 25 marzo 1957.I Trattati contenevano disposizioni che necessitavano di procedure di armonizzazione delle legislazioni nazionali per arrivare alla creazione di un vero e proprio mercato unico. Il Trattato CEE era quello più importante come dimostravano i suoi obbiettivi che prevedevano l'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative nel territorio comunitario, l'istituzione di una tariffa esterna comune (TEC) applicabile a tutte le importazioni di merci nella comunità, la proibizione di pratiche atte a falsare la concorrenza, l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Per realizzare questi ambiziosi obbiettivi era necessaria una continua collaborazione e mediazione fra gli stati.Il Trattato Euratom era limitato al campo dell'energia atomica, si pensava che quest'ultima avrebbe sostituito l'acciaio e il carbone come nuova fonte di energia. Gli scopi dell'Euratom erano quelli di coordinare e stimolare le ricerche, elaborare moderne regole di sicurezza, fissare degli obbiettivi generali, creare delle installazioni comuni, formare un mercato comune nucleare.I due trattati entrarono in vigore il 1 gennaio 1958 dando vita a quattro istituzioni principali: la Commissione, il Consiglio dei ministri, l'Assemblea parlamentare e la Corte di Giustizia. La Commissione è l'organo con il potere di iniziativa, formata da rappresentanti dagli stati membri che agiscono in modo indipendente. Il Consiglio dei ministri è l'organo decisionale. L'Assemblea parlamentare, composta fino al 1979 da delegati dei parlamenti nazionali, è un organo consultivo. La Corte di Giustizia, comune alla CECA, alla CEE e all'EURATOM, assicura il rispetto dei Trattati e dirime le controversie in materia comunitaria.

LA NUOVA EUROPA

Il 1° maggio l'Unione Europea ha vissuto il più grande processo di allargamento della sua storia, con l'adesione di dieci nuovi partner: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria.Per entrare nell'Unione Europea queste dieci Nazioni, a conclusione di un complesso lavoro preparatorio avviato ancora nella prima metà degli anni '90, hanno dovuto soddisfare alcune precise condizioni (note come i "criteri di Copenhagen") secondo le quali un possibile nuovo partner UE deve essere una democrazia stabile che rispetta i diritti umani, il principio di legalità ed i diritti delle minoranze, deve adottare un'economia di mercato "funzionante" e deve adeguarsi alle regole, alle norme ed alle politiche comunitarie. Di fatto, con il 1° maggio 2004, l'Unione Europea ha visto aumentare la sua popolazione da 395 milioni a circa 480 milioni di cittadini e la sua superficie territoriale crescere di quasi il 35 per cento. La "nuova" UE sarà così costituita da 317 Regioni e da oltre 100 mila Enti locali.

I DEPUTATI EUROPEI

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Composto di 626 deputati europei nel corso della legislatura 1999-2004, il Parlamento europeo è l’organo di rappresentanza dei cittadini europei. I deputati europei difendono i diritti dei cittadini europei ed hanno per obiettivo il miglioramento della loro qualità di vita.

Fin dal 1979, i deputati sono eletti a suffragio universale diretto per una durata di cinque anni. Le ultime elezioni hanno avuto luogo nel giugno 1999.

Nel quadro dell’allargamento dell’Unione europea (UE) il Trattato di Nizza ed il trattato di adesione, firmato ad Atene il 16 Aprile 2003, fissano il numero di deputati a 732, per la legislatura 2004-2009, nell’Unione europea composta da 25 Stati membri e da 453 milioni di abitanti.

Ripartizione Dei Deputati

* Per paese

Il numero dei deputati rappresentanti ciascuno Stato membro varia in funzione del numero di abitanti.

Legislatura 1999-2004- Germania : 99 deputati- Italia, Francia, Regno Unito : 87 deputati

- Spagna : 64 deputati– Paesi Bassi : 31 deputati- Portogallo, Belgio, Grecia : 25 deputati- Svezia : 22 deputati- Austria : 21 deputati- Danimarca, Finlandia : 16 deputati- Irlanda : 15 deputati- Lussemburgo : 6 deputati

Legislatura 2004-2009- Germania : 99 deputati- Italia, Francia, Regno Unito: 78 deputati- Spagna, Polonia : 54 deputati- Paesi Bassi: 27 deputati- Belgio, Grecia, Ungheria, Portogallo, Repubblica ceca : 24 deputati- Svezia : 19 deputati- Austria : 18 deputati- Danimarca, Finlandia, Slovacchia : 14 deputati- Irlanda, Lituania : 13 deputati- Lettonia : 9- Slovenia : 7- Cipro, Estonia, Lussemburgo : 6 deputati- Malta : 5 deputati

* Per gruppi politici, per la legislatura 1999-2004

- Partito popolare europeo (democratici-cristiani) e dei Democratici europei (PPE-DE) : 231;- Partito dei socialisti europei (PSE) : 173;- Partito europeo dei liberal-democratici e riformisti (ELDR) : 52;- Verdi/Alleanza libera europea : 44;- Sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica: 49;- Unione per l’Europa delle Nazioni (UEN) : 23;- Europa dei democratici e delle differenze (EDD) : 18;- Non inscritti : 32.

Statuto

* Statuto dei deputati

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I deputati europei ricevono la stessa indennità dei deputati nazionali, a cui si aggiunge un’indennità versata dal Parlamento europeo.

Un progetto di statuto è attualmente in discussione, con lo scopo di correggere le disparità di trattamento e di assicurarne la relativa trasparenza.

I membri del Parlamento europeo non si riuniscono per delegazione nazionale, ma si raggruppano seguendo le loro affinità politiche in Gruppi politici transnazionali.

* Statuto e finanziamenti dei partiti politici

I gruppi politici tengono delle riunioni durante la settimana che precede la seduta plenaria e durante le giornate di studio dove vengono decisi i grandi principi delle loro azioni comunitarie.

Quattro condizioni devono essere osservate per costituire un gruppo politico in seno al Parlamento europeo:

- avere la personalità giuridica in uno Stato membro dove si trova il proprio seggio; - essere rappresentati da almeno un quarto degli Stati membri, da membri del Parlamento europeo o nel parlamento nazionale o regionale o nelle assemblee regionali, oppure aver ottenuto almeno il 3% dei voti espressi da almeno un quarto degli Stati membri in occasione delle ultime elezioni europee;

- rispettare i principi di libertà, di democrazia, dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e lo Stato di diritto;- aver partecipato alle elezioni del Parlamento europeo o averne espresso l’intenzione .

Per beneficiare di un finanziamento comunitario, un partito politico a livello europeo deve farne richiesta, ogni anno, all’Ufficio del Parlamento europeo . La prima richiesta è accompagnata dai seguenti documenti:

- i documenti attestanti che i richiedenti sono in possesso dei requisiti necessari;- un programma politico che espone gli obiettivi del partito politico a livello europeo; - uno statuto che definisce, in particolare, gli organi responsabili della gestione politica e finanziaria cosiccome gli organi o le persone fisiche aventi, in ciascun Stato membro interessato, il potere di rappresentanza legale.

- Un partito politico a livello europeo non può accettare:- donazioni anonime; - donazioni provenienti dai bilanci di gruppi politici all’interno del Parlamento europeo;- le donazioni di imprese pubbliche;- le donazioni che superano i 12 000 euro all’anno o di donazioni private.

In compenso, i contributi dei partiti politici membri di un partito politico a livello europeo sono ammissibili , ma non possono eccedere il 40% del bilancio annuale dello stesso.

Le disposizioni inerenti i finanziamenti verranno applicate solo dopo le elezioni europee del giugno 2004.

COMPROMESSO DI LUSSEMBURGO

Il compromesso di Lussemburgo (gennaio 1966) ha posto fine alla cosiddetta crisi della "sedia vuota", esplosa nel luglio del 1965, durante la quale la Francia non ha partecipato alle sedute del Consiglio. Il compromesso fu una constatazione di disaccordo tra, da un lato, quanti ritenevano che allorché fossero in gioco rilevanti interessi nazionali, i membri del Consiglio avrebbero dovuto adoperarsi per giungere, entro un congruo termine, a soluzioni

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suscettibili di essere approvate da tutti nel rispetto dei loro interessi reciproci e, dall'altro, la Francia, favorevole a che le discussioni proseguissero fino al raggiungimento di un accordo unanime. Successivamente, altri Stati membri si sono associati al punto di vista francese.Il compromesso non ha comunque impedito al Consiglio di prendere le proprie decisioni conformemente al trattato che, in numerosi casi, prevede il voto a maggioranza qualificata. Né ha avuto incidenze sugli sforzi compiuti dai membri del Consiglio per ravvicinare le posizioni ancor prima che il Consiglio statuisse.

COMPETITIVITÀ

Il Libro bianco del 1994 della Commissione europea, dedicato alla crescita, alla competitività e all'occupazione, contiene delle linee direttrici ai fini di una politica di competitività globale. Quest'ultima persegue quattro obiettivi che sono ancora di attualità:

Facilitare l'inserimento delle imprese europee in un contesto competitivo globalizzato ed interdipendente;

Sfruttare i vantaggi competitivi connessi alla dematerializzazione dell'economia; Favorire uno sviluppo industriale durevole; Ridurre il divario tra i ritmi di sviluppo dell'offerta e della domanda.

Il nuovo Titolo in materia di occupazione inserito nel trattato istitutivo della Comunità europea in seguito all'entrata in vigore del trattato di Amsterdam tiene conto degli obiettivi stabiliti dal Libro bianco.

CONCORRENZA

Le regole di concorrenza garantiscono il buon funzionamento dello Spazio economico europeo, basato sulla legge del mercato. La politica i materia di concorrenza, seguita dalla Comunità europea (articoli 85-94, rinumerati 81-89 del trattato CE) si articola intorno a cinque principali assi:

il divieto di pratiche concordate, di accordi e di associazioni tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune;

il divieto, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, dello sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato comune;

il controllo sugli aiuti concessi dagli Stati membri, a mezzo di risorse statuali, sotto qualsiasi forma, che possano falsare la concorrenza favorendo determinate imprese o produzioni;

il controllo preventivo sulle operazioni di concentrazione di dimensioni europee, autorizzando o vietando le previste alleanze; la liberalizzazione di alcuni settori in cui aziende pubbliche o private operano in una situazione di monopolio, quali il mercato delle telecomunicazioni e quello dei trasporti o dell'energia.

È lecito tuttavia derogare ai due primi principi soprattutto allorché un determinato accordo tra imprese consenta di migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o permetta di promuovere il progresso tecnico. Anche nel caso dei regimi di aiuti di Stato è lecito derogare alla stretta applicazione delle regole di concorrenza allorché si tratti di concedere sovvenzioni di carattere sociale o destinate a promuovere la cultura e la salvaguardia del patrimonio. La difficoltà nel portare avanti un'efficace politica in materia di concorrenza risiede nel fatto che la Comunità deve incessantemente destreggiarsi tra due obiettivi talvolta contraddittori, infatti la Comunità deve vigilare a che:

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la ricerca della concorrenza perfetta sul mercato interno non causi l'indebolimento della competitività delle imprese europee sul mercato mondiale;

le iniziative volte alla liberalizzazione non minaccino il mantenimento di servizi di interesse generale che rispondono a bisogni fondamentali.

EUROPA "A GEOMETRIA VARIABILE"

Con questo termine si designa un modo d'integrazione differenziata, che ammette l'esistenza di differenze insanabili nella struttura integrativa e che di conseguenza, permette una separazione permanente tra un gruppo di Stati membri ed unità integrative meno sviluppate.

EUROPA "A PIÙ VELOCITÀ"

L'Europa "a più velocità" indica un modo d'integrazione differenziata, secondo cui il perseguimento di obiettivi comuni è l'opera di un gruppo di Stati membri che sono al tempo stesso capaci e desiderosi di progredire, con l'idea sottesa che gli altri seguiranno successivamente.

DIREZIONE GENERALE (DG)

unità amministrativa (Dipartimento) in cui si articola la Commissione europea per nell'attuazione delle politiche comuni e nella gestione amministrativa generale.

PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL) nella contabilità nazionale, indica l'insieme dei beni e dei servizi prodotti sul territorio nazionale in un determinato periodo di tempo, a prescindere dalla nazionalità dei produttori.

GLOBALIZZAZIONE DELL'ECONOMIA (MONDIALIZZAZIONE)

Il fenomeno della globalizzazione dell'economia è stato posto in evidenza dal Consiglio europeo di Torino, definendolo come una delle maggiori sfide cui l'Unione europea dovrà far fronte in questo scorcio di secolo. Secondo questo concetto l'economia mondiale è spinta da un processo d'integrazione economica crescente, di cui i principali motori sono:

la liberalizzazione degli scambi internazionali e dei movimenti dei capitali; l'accelerazione del progresso tecnologico e l'avvento della società dell'informazione; la deregolamentazione Questi tre elementi si rafforzano reciprocamente, per il fatto che il progresso tecnologico stimola gli scambi internazionali e che il commercio mondiale consente a sua volta una migliore diffusione dei progressi tecnologici. Parallelamente, la deregolamentazione stimola lo sviluppo delle nuove tecnologie e contribuisce alla soppressione degli ostacoli agli scambi. Infine, secondo alcuni il progresso tecnologico consente alle imprese e alle singole persone di eludere più facilmente le regolamentazioni nazionali.

METODO COMUNITARIO E INTERGOVERNATIVO

Il metodo comunitario designa il modo di funzionamento istituzionale del primo pilastro dell'Unione europea. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, il metodo poggia su una logica d'integrazione ed è segnatamente caratterizzato dai principali elementi qui appresso:

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monopolio del diritto d'iniziativa della Commissione; ricorso generalizzato al voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio; ruolo attivo del Parlamento europeo (pareri, proposte di emendamento, ecc.); uniformità di interpretazione del diritto comunitario a cura della Corte di giustizia. Il metodo comunitario si oppone al modo di funzionamento istituzionale del secondo e del terzo pilastro, il quale poggia su una logica di cooperazione intergovernativa (metodo intergovernativo), che è caratterizzata dai principali elementi qui appresso:

diritto di iniziativa della Commissione limitato a determinati aspetti specifici, ovvero condiviso con gli Stati membri;

ricorso generalizzato all'unanimità in sede di Consiglio; ruolo consultivo del Parlamento europeo; ruolo limitato della Corte di giustizia.

OPTING OUT (CLAUSOLA DI ESENZIONE)

L'opting out è la deroga che, onde impedire un bloccaggio generale, è concessa agli Stati membri che non desiderino associarsi agli altri Stati membri con riguardo ad un particolare settore della cooperazione comunitaria. In forza di questo principio, il Regno Unito ha chiesto di non partecipare alla terza fase dell'unione economica e monetaria (UEM) ed analogo trattamento è stato concesso alla Danimarca per quanto riguarda l'UEM, la difesa e la cittadinanza europea.

SUSSIDIARIETÀ

Il principio di sussidiarietà è volto a garantire che le decisioni prese siano quanto più possibile vicine al cittadino, verificando costantemente che l'azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto alle possibilità offerte a livello nazionale, regionale o locale. Concretamente, per le questioni che non sono di sua esclusiva competenza l'Unione interviene soltanto se la propria azione è da considerarsi più efficace rispetto ad un'azione intrapresa a livello nazionale, regionale o locale. Il principio di sussidiarietà è strettamente legato ai principi di proporzionalità e di necessità, secondo cui l'azione dell'Unione non può andare al di là di quanto è necessario per il conseguimento degli obiettivi del trattato.

Il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 ha stabilito gli elementi fondamentali della nozione di sussidiarietà nonché le linee direttrici per l'interpretazione dell'articolo 5 (ex articolo 3B) che accoglie la sussidiarietà nel trattato sull'Unione europea. Le conclusioni del Consiglio sono state inserite in una dichiarazione che serve da pietra angolare al principio di sussidiarietà. Con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l'approccio globale che discende dalla dichiarazione anzidetta è stato accolto in un protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al trattato istitutivo della Comunità europea.

La Commissione europea redige annualmente un rapporto ("Meglio legiferare") destinato al Consiglio europeo ed al Parlamento europeo, rapporto che è principalmente dedicato all'applicazione del principio di sussidiarietà.

SVILUPPO SOSTENIBILE

Il concetto di sviluppo sostenibile sta ad indicare una crescita economica che sia idonea a soddisfare le esigenze delle nostre società in termini di benessere a breve, medio e soprattutto lungo periodo, fermo restando che lo sviluppo deve rispondere ai bisogni del presente, senza compromettere le attese delle generazioni future. Concretamente, si tratta di predisporre le condizioni più idonee affinché lo sviluppo economico a lungo termine avvenga nel rispetto dell'ambiente. Il vertice mondiale sullo sviluppo sociale, tenutosi a

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Copenhagen nel marzo del 1995, ha peraltro sottolineato la necessità di lottare contro l'esclusione sociale e proteggere la salute dei singoli.

Il trattato di Amsterdam ha espressamente iscritto lo sviluppo sostenibile nel preambolo del trattato sull'Unione europea.

LA QUESTIONE FISCALE

Materia delicata e complessa, la questione fiscale è uno dei maggiori nodi da sciogliere nella prospettiva di un buon funzionamento dell'economia sociale di mercato a livello comunitario. La questione lavoro, le politiche d'impresa, la distribuzione del reddito tra la popolazione europea, sono solo alcuni degli aspetti influenzati dalla carenza di una politica fiscale comune, ostacolata dagli interessi nazionali dei Paesi che tendono a mantenere regimi privilegiati di fiscalità per attirare investimenti e capitali. Da ultimo, anche i piani di armonizzazione presentati a Bruxelles dal Commissario europeo per la concorrenza, Mario Monti, hanno incontrato diffidenze e resistenze che non è stato possibile superare anche a causa dell'unanimità richiesta per le decisioni in materia. Un meccanismo che impedisce di neutralizzare alcuni protezionismi nazionali ancora da smantellare.

L'importanza della fiscalità è evidente, se solo si pensa allo sforzo delle imprese che vogliono investire all'estero e devono tradurre, con calcoli non sempre semplici, le aliquote in vigore nei Paesi stranieri, per poter valutare vantaggi e perdite dell'investimento. Inoltre, in mancanza di una base impositiva comune, le imprese investiranno dove l'aliquota sui capitali e sui lavoratori è più leggera, generando forti disparità nel mercato occupazionale degli Stati membri.

L'indice più eclatante delle disfunzioni determinate dal ritardo nelle politiche di armonizzazione fiscale, è certo quello dei paradisi fiscali, zone privilegiate di investimento all'interno dell'Unione o in Paesi terzi, che scatenano di frequente accese recriminatorie tra i ministri delle finanze europei, senza che si giunga ad un'effettiva azione per porre fine a queste forme mascherate di evasione e di frode fiscale.

Mario Monti ha più volte sottolineato che la diffidenza, la recriminazione e l'assenza di chiarezza, sono le condizioni in cui nascono i conflitti politici tra gli Stati e prolificano i germi del conflitto sociale. Fino al rischio che venga meno il consenso al processo di integrazione, con il ritorno al protezionismo economico e il rigetto del processo di unificazione europea da parte dell'opinione pubblica.

Tra i principali Stati artefici - certo anche vittime - della mancanza di una politica comune delle imposte, c'è la Germania, che non vorrebbe rinunciare al meccanismo decisionale dell'unanimità, ma preme al contempo per rafforzare il controllo sulla concorrenza fiscale nociva.

Il conflitto degli interessi in gioco nello scenario europeo, è ben rappresentato dalla realtà del Benelux. Il Lussemburgo è criticato da Belgio e Olanda per il regime troppo favorevole in materia di tassazione del risparmio dei non residenti. Belgio e Olanda sono criticati dal Lussemburgo perché offrono regimi troppo vantaggiosi alle società - in particolare multinazionali - affinché impiantino i loro centri di coordinamento in quei Paesi. Come ha sottolineato il Commissario Monti, "se si porta una proposta di tassazione di società, Belgio e Olanda opporranno il veto, e se si porta una proposta di tassazione del risparmio il Lussemburgo porrà il veto, come ha fatto più di una volta in passato."

LE ORGANIZZAZIONI EURO-ATLANTICHE (OECE e NATO)

Le organizzazioni appartenenti a questo gruppo sono sorte dal patto di alleanza concluso dopo la seconda guerra mondiale da Stati Uniti d’America ed Europa. Non è pertanto un caso se la prima organizzazione europea del dopoguerra, vale a dire l’OECE (Organizzazione europea per la cooperazione economica), fondata nel 1948, venne creata su iniziativa degli Stati Uniti. Nel 1947, l’allora ministro americano degli Affari esteri,

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George Marshall, sollecitava gli Stati europei ad unire i loro sforzi nell’opera di ricostruzione economica. Allo scopo, prometteva loro il sostegno degli Stati Uniti, sostegno che si concretizzò nel «Piano Marshall» e gettò le basi di una ricostruzione rapida dell’Europa occidentale. La missione iniziale dell’OECE consisteva essenzialmente nel liberalizzare gli scambi tra gli Stati. Nel 1960, i membri dell’OECE, a cui si aggiunsero anche Stati Uniti e Canada, decisero di estendere il campo d’azione anche al terzo mondo tramite gli aiuti allo sviluppo. L’OECE diventava quindi l’OCSE. Alla creazione dell’OECE fece seguito, nel 1949, quella della NATO, sotto forma di patto militare con gli Stati Uniti e il Canada. Per rafforzare la collaborazione politica in materia di sicurezza tra gli Stati europei, nel 1954 veniva fondata l’Unione dell’Europa occidentale (UEO), sulle basi del preesistente patto di Bruxelles, già concluso tra Regno Unito, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, ai quali venivano ad aggiungersi, allora, Repubblica federale di Germania e Italia. Nel frattempo, anche Portogallo, Spagna e Grecia sono diventati membri dell’UEO. Tale organizzazione offre ai suoi membri una piattaforma di stretta cooperazione in materia di politica di sicurezza e di difesa collettiva e rafforza il peso politico dell’Europa nel quadro dell’alleanza atlantica, affermandone, nel contempo, anche l’identità in tali campi.

DIFESA COLLETTIVA

Il concetto di difesa collettiva indica la partecipazione alla difesa dell'Europa conformemente ai trattati di Bruxelles (articolo V) e di Washington (articolo 5), in forza dei quali gli Stati firmatari hanno l'obbligo di prestare, in caso di aggressione, l'assistenza necessaria per ripristinare la sicurezza.

A partire dal 1949 l'organizzazione posta in essere dal trattato di Washington (NATO) è stata il garante principale della sicurezza in Europa occidentale, mentre l'Unione dell'Europa centrale (UEO) ha funzionato a rilento per quasi 30 anni. Merita comunque sottolineare che l'UEO è la sola organizzazione strettamente europea che abbia introdotto l'obbligo di difesa collettiva ed automatica. Nel processo di configurazione di un'identità europea in materia di difesa, l'UEO potrebbe oggi essere chiamata a svolgere un ruolo più incisivo.

L'UNIONE DELL'EUROPA OCCIDENTALE (UEO)

L'UEO è un'organizzazione intergovernativa fondata nel 1948 ai fini della cooperazione nei settori della difesa e della sicurezza. La costituiscono 28 paesi che possono avere quattro diversi status: membri effettivi, membri associati, osservatori e partner associati. Sono membri effettivi dell'UEO gli Stati membri dell'UE (salvo Austria, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia, che godono dello status di osservatori). Dal 1993 la sua sede è Bruxelles.

Il trattato sull'Unione europea l'ha elevata al rango di "parte integrante del processo di sviluppo dell'Unione europea" pur conservando la propria autonomia istituzionale. In tale contesto compete all'UEO elaborare ed attuare le azioni e le decisioni che hanno implicazioni nel settore della difesa.

LA POLITICA ESTERA e DI DIFESA DELL'UNIONE EUROPEA

La politica estera e di sicurezza dell'Unione europea (Pesc) non si avvale degli strumenti usati dalle altre politiche comunitarie - agricola, di tutela dell'ambiente, dei trasporti e della ricerca ecc - né coinvolge in egual misura le istituzioni che intervengono nel definire e attuare le stesse politiche. La complessità e la delicatezza dei problemi relativi alle relazioni internazionali hanno suggerito, infatti, di limitare i poteri della Commissione europea, del Parlamento europeo e della Corte di giustizia , riservando maggior peso agli Stati membri, al

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loro intervento propositivo e correttivo. Inoltre, la Pesc non ricorre alle direttive e ai regolamenti, che sono i principali strumenti giuridici usati dalle politiche comunitarie.

Gli attori della PescUna posizione chiave è riservata al Consiglio europeo - formato dai capi di Stato o di governo dei Quindici e dal presidente della Commissione europea - che definisce i principi e gli orientamenti generali, comprese le questioni che riguardano la difesa, affidate all'Unione europea occidentale (Ueo - Trattato di Bruxelles 1995).

In base al Trattato di Amsterdam, (2 ottobre 1997, in vigore dal primo maggio '99), il Consiglio europeo decide le strategie comuni nei settori di maggiore interesse degli Stati membri e può adottare azioni e posizioni comuni a maggioranza qualificata.

Diversa è la composizione e la funzione del Consiglio dell'Unione europea, formato dai rappresentanti di ciascuno Stato membro, di solito i ministri degli Affari esteri. Adotta le decisioni necessarie alla definizione e all'attuazione della Pesc in base agli orientamenti generali definiti dal Consiglio europeo.

Ad un organo di Presidenza è affidato il ruolo di incentivazione e di controllo del Consiglio europeo, del Consiglio dell'Unione europea e degli organi incaricati della preparazione dei lavori. La Presidenza è riservata, a turno ogni sei mesi, ad uno stato membro dell'Ue.

Il Trattato di Amsterdam stabilisce che la Presidenza sia affiancata nelle sue mansioni dall'Alto Rappresentante per la Pesc, che è anche il Segretario Generale del Consiglio. Attualmente l'Alto Rappresentante è Javier Solana Madariaga: "Una personalità di alto profilo politico", secondo gli orientamenti del Consiglio di Vienna del 1998.

Gli strumenti della PescDopo il Trattato di Amsterdam, la Pesc può avvalersi di due nuovi strumenti, le strategie comuni e gli accordi internazionali, che si aggiungono a quelli già assegnati dal Trattato di Maastricht, le posizioni comuni, le azioni comuni e le dichiarazioni.

Le strategie comuni, decise dal Consiglio europeo su raccomandazione del Consiglio dell'Ue, riguardano i settori di maggior interesse di tutti gli Stati membri e precisano gli obiettivi, la durata e i mezzi che dovranno essere impiegati dall'Unione europea e dalle singole nazioni per il raggiungimento dell'obiettivo individuato. La prima strategia comune, individuata dal Consiglio europeo di Colonia nel giugno 1999, riguarda la Russia, altre, rivolte Balcani e all'Ucraina, sono in fase di definizione.

Le posizioni comuni possono essere adottate dal Consiglio dell'Ue e definiscono una posizione dell'Unione rispetto ad uno Stato terzo. Per esempio quando, in occasione di una conferenza internazionale, i Quindici provvedono ad uniformare le loro politiche nazionali su un'unica linea di accordo. L'Unione ricorre di frequente a questo strumento per argomenti rilevanti di natura geografica, o per l'affermazione dei valori della democrazia, come è accaduto nel 1998 con la posizione comune "sui diritti umani, i principi democratici, lo Stato di diritto e il buon governo in Africa".

Le azioni comuni vengono adottate quando le situazioni affrontate richiedono un intervento operativo dell'Ue, ed è necessario stabilire gli obiettivi, la portata, i mezzi da impiegare, le condizioni di attuazione e, se necessario, la durata dell'operazione.

Le conclusioni di accordi internazionali: la Presidenza è autorizzata dal Consiglio ad avviare negoziati in materia di politica estera e di sicurezza con uno o più Stati o organizzazioni internazionali. Gli accordi sono, in seguito, conclusi dal Consiglio dell'Ue che delibera all'unanimità, su raccomandazione della Presidenza.

Le dichiarazioni permettono all'Ue di esprimere rapidamente la propria opinione in caso di incidenti o emergenze nel mondo, o quando si richiede un parere rispetto ad un Paese terzo.

I contatti con i Paesi terzi avvengono tramite riunioni di "dialogo politico" e "iniziative". Numerose sono le riunioni nelle quali l'Ue - rappresentata dalla Presidenza, dalla Troika o da

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tutti gli Stati membri - "dialoga" con i capi di Stato o i ministri, o gli alti funzionari dei Paesi terzi. Le iniziative nei confronti degli stessi Paesi terzi hanno invece carattere riservato, di solito servono ad affrontare, con un singolo Stato, questioni che riguardano i diritti dell'uomo, la democrazia, le azioni umanitarie.

PATTO/TRATTATO DI BRUXELLES

Il Trattato di Bruxelles, firmato il 17 marzo 1948, pur non creando ancora una organizzazione internazionale diede vita a un patto di autodifesa collettiva tra Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. A seguito del fallimento del progetto della Comunità Europea di Difesa (CED), il Trattato di Bruxelles venne modificato dagli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1954 (da cui la dizione Trattato di Bruxelles modificato), che permisero l'adesione dell'Italia e della Repubblica Federale Tedesca e la nascita dell’Organizzazione che assumeva l’attuale nome di UEO.

Ai 7 Paesi firmatari degli Accordi di Parigi si sono aggiunti nel 1990 la Spagna e il Portogallo, e da ultimo nel 1995 la Grecia.

Elemento fondamentale del Trattato di Bruxelles modificato è l'art. 5, che prevede l'assistenza automatica di tutti gli Stati membri in caso di aggressione nei confronti di uno di essi, e recita: If any of the High Contracting Parties should be the object of an armed attack in Europe, the other High Contracting Parties will, in accordance with the provisions of Article 51 of the Charter of the United Nations, afford the Party so attacked all the military and other aid and assistance in their power.

Questa organizzazione intergovernativa, creata per favorire la cooperazione in materia di difesa e sicurezza tra i Paesi membri, è attualmente composta da:

10 Stati membri: Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna

Tutti i Paesi membri a pieno titolo sono anche membri dell’Ue e della NATO 6 Stati "membri associati": Islanda, Norvegia, Turchia, Rep. Ceca, Polonia ed Ungheria;

Sono tutti e sei membri della NATO, ma non tutti dell’UE. Questi Paesi partecipano in pratica a tutte le attività della UEO, a meno che, su argomenti determinati, la maggioranza dei paesi membri a pieno titolo non richieda la loro esclusione.

5 Stati "osservatori": Austria, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia; Tutti membri dell’UE; solo la Danimarca è invece anche membro NATO. Gli osservatori partecipano a tutte le riunioni, come i membri associati, ma finora non partecipavano ai lavori di organi prettamente militari quali la "Cellula di pianificazione militare". In base ad una decisione del Consiglio ministeriale di Erfurt nel 1997, i Paesi osservatori potranno partecipare ai lavori di organi militari nel caso di missioni per le quali la UE intenda avvalersi della UEO.

7 Stati "partner associati": Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia.

Lo status di partner associati è stato concesso per la prima volta in occasione della riunione dei Ministri degli esteri della UEO a Kirchberg (Lussemburgo) del maggio 1994 (la Slovenia si è aggiunta a partire dal giugno 1996).Infatti nel 1994 il vertice UEO di Kirchberg propone ai nove paesi dell'Europa centro-orientale lo status di partner associati: tale status non accorda la garanzia di sicurezza prevista all'articolo 5 del trattato di Bruxelles, ma permette a questi paesi di essere

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informati sugli sviluppi in corso, di partecipare alle riunioni dell'UEO nonché alle manovre e alle operazioni comuni definite nella dichiarazione di Petersberg. I partner associati non hanno facoltà di bloccare una decisione a livello di Consiglio dell'UEO, ma diritto di voto deliberante. Esiste anche una procedura di collegamento con il nucleo di pianificazione. L'Assemblea dell'UEO viene ampliata con l'ingresso dei partner associati.

L'articolo 11 del trattato di Bruxelles precisa che è possibile ampliare l'organizzazione: " The High Contracting Parties may, by agreement, invite any other State to accede to the present Treaty on the conditions to be agreed between them and the State so invited" . La dinamica dell'ampliamento dell'UEO viene lanciata nel 1990 con la richiesta rivolta dal Consiglio dell'UEO al segretario generale, W. Van Eekelen, di stabilire contatti con i paesi dell'Europa centro-orientale; i successivi vertici proseguono lungo questa strada.

SEMESTRE EUROPEO

La Presidenza dell'Unione europea è esercitata da ciascuno degli Stati membri, a turno, ogni sei mesi. Essa svolge un ruolo essenziale nell'organizzare i lavori dell'istituzione, dà impulso al processo decisionale, legislativo e politico, presiede le riunioni del Consiglio europeo e del Consiglio, facilita la formazione del consenso, mediando tra le posizioni degli Stati membri.

In coerenza con i rispettivi ordinamenti costituzionali, i Parlamenti controllano ed indirizzano l'attività dei loro Governi nell'esercizio della Presidenza dell'Unione.

In occasione del semestre di Presidenza dell'Unione europea, il Parlamento del Paese che esercita la Presidenza di turno promuove una serie di incontri e di riunioni - alcune delle quali periodiche ed istituzionalizzate, come la COSAC (Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei dei parlamenti dell'Unione europea), altre legate all'iniziativa del singolo Parlamento, in relazione ai temi ritenuti di prioritario interesse - tra i rappresentanti dei Parlamenti degli Stati membri dell'Unione e del Parlamento europeo. Sono invitati altresì i rappresentanti dei 10 Stati aderenti all'Unione, nonché i rappresentanti degli ulteriori 3 Paesi candidati, per un totale di 41 Assemblee parlamentari.

La cooperazione fra i Parlamenti è infatti considerata uno strumento essenziale per valorizzare il ruolo delle Assemblee parlamentari, per conoscere e confrontare le diverse esperienze e diversi punti di vista, per favorire la formazione di orientamenti comuni.

L'Italia ha esercitato la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea dal 1° luglio al 31 dicembre 2003.

LA POLITICA DI DE GAULLE e L'ASSE FRANCO-TEDESCO

Charles De Gaulle ha diretto per più di un decennio la politica estera francese e la sua azione ha fortemente influenzato la storia della integrazione comunitaria.Molti lo hanno considerato un uomo antiquato, ma in realtà egli si rendeva pienamente conto dei mutamenti avvenuti dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nonostante ciò De Gaulle credeva fermamente nel primato continentale della Francia che, come nazione prima, doveva riunire intorno a sé tutti gli stati europei in un sistema di cooperazione. "...l'azione, l'influenza e, per tutto dire, il valore della Francia saranno, come lo vogliono la storia e la geografia ed il buon senso, essenziali all'Europa per orientarsi e riprendere con il mondo. Occorre costruire l'Europa occidentale...ma di questa regione il centro fisico e morale è la Francia." Per più di dieci anni De Gaulle ha cercato di affermare questo primato francese attraverso il possesso di armi nucleari, creando un rapporto stabile con la Germania e sfruttando la posizione e le risorse della Francia all'interno dell'Europa. Egli non condivideva il concetto di sovranazionalità che era alla base dei Trattati di Roma, anzi tentò sempre di sminuirlo e di vuotarlo di significato. Secondo De Gaulle le istituzioni comunitarie erano semplicemente degli organi composti da tecnocrati ed arrivò ad affermare che: "...Invece di una fusione intollerabile e impraticabile pratichiamo l'associazione. Inseguendo

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delle chimere abbiamo già perduto degli anni. Cominciamo col fare l'alleanza degli stati liberi d'Europa." Questa linea di pensiero influenzò largamente i successivi sviluppi dell'integrazione europea.Durante uno dei primi negoziati comunitari, quello sulla politica agricola del 1962, De Gaulle si dimostrò molto abile riuscendo ad ottenere l'apertura permanente dei mercati comunitari e assicurando così l'espansione del proprio settore agricolo. La nascita della prima "politica comune" fu accolta con molto ottimismo e nello stesso periodo ebbero luogo anche due altri importanti negoziati: quello intergovernativo per la cooperazione politica e quello sulla domanda di adesione alla CEE presentata dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda nel 1961.Il negoziato sull'unione politica fu voluto proprio da De Gaulle che propose un piano (piano Fouchet) che prevedeva un Consiglio dei ministri che deliberava solo all'unanimità, una Assemblea parlamentare a cui venivano riconosciute particolari prerogative per presentare raccomandazioni al Consiglio, un Comitato dei ministri della difesa ed una Commissione esecutiva. Se questo piano fosse stato accettato si sarebbe verificata la presenza di due concezioni diverse di unità europea: quella funzionalista di Monnet e quella confederale di De Gaulle. Il progetto non fu però approvato dagli altri stati membri che preferirono non modificare il trattato in vista dell'adesione della Gran Bretagna. Durante i negoziati con il Regno Unito De Gaulle offrì al primo ministro inglese, Macmillan, un posto di primo piano nella gestione degli affari europei in cambio della rinuncia al "rapporto speciale" con gli Stati Uniti e ad una più stretta collaborazione nel campo della difesa. Durante i negoziati le relazioni diplomatiche anglo-francesi precipitarono a causa di una dichiarazione di Kennedy rilasciata il 4 luglio 1962 nella quale si offriva all'Europa una posizione di parità nei rapporti euro-americani e presupponeva l'adesione inglese come già avvenuta senza dare alcuna importanza ai negoziati allora in atto ed alla preminenza politica francese all'interno della Comunità.I negoziati con la Gran Bretagna fallirono proprio perché De Gaulle aveva il timore di perdere la posizione di primo piano all'interno della Comunità, di favorire l'intromissione americana negli affari europei e di danneggiare la relazione franco-tedesca che stava nascendo proprio in quel periodo. Uno dei grandi meriti di De Gaulle fu, infatti, quello di aver saputo ricucire i rapporti con la Germania grazie alla buona intesa con Adenauer. Per entrambi i capi di stato la nuova intesa che si era venuta a creare era troppo importante per rischiare di comprometterla favorendo una adesione della Gran Bretagna alla CEE. Il patto franco-tedesco (chiamato Trattato dell'Eliseo che dà inizio all'intesa e all'asse franco-tedesco) venne negoziato e firmato nell'autunno del 1962, nello stesso periodo in cui fu posto il veto alla Gran Bretagna.Dopo questi avvenimenti la situazione all'interno della Comunità cominciò a mutare perché ogni tentativo di progredire con l'integrazione si rivelava sempre più arduo e nessuno stato membro era più disposto a fare concessioni senza la sicurezza di ottenere qualcosa in cambio. Per almeno due anni la Comunità fu dominata dal confronto fra gli obbiettivi tedeschi e quelli francesi: la Germania ottenne che la tariffa esterna per i prodotti industriali fosse la più bassa possibile, mentre la Francia riuscì a realizzare la completa apertura dei mercati agricoli ed il sostegno dei prezzi alle esportazioni. Questa situazione comportò che tutta una serie di politiche comuni non ebbero lo stesso impulso che fu invece dato alla politica agricola inoltre alcuni paesi non riuscirono a mettere in luce i propri problemi né a fare valere in propri interessi. De Gaulle, durante tutto il suo mandato, cercò sempre di contrastare le iniziative delle istituzioni comunitarie, facendo in modo di assecondare i soli interessi francesi nel processo di integrazione economica. Fu proprio in questo periodo che si sviluppò la "crisi della sedia vuota" scatenata dalla Francia per reagire ad un progetto di regolamento finanziario progettato dalla Commissione e che avrebbe dato maggiori poteri alle istituzioni comunitarie. Questa proposta, discussa in Consiglio nel giugno del 1965, spinse la Francia ad assentarsi permanente dalle discussioni bloccando così tutti i lavori. La crisi fu risolta con il compromesso di Lussemburgo tramite il quale tutte le decisioni in seno al consiglio dovevano essere prese tramite "consensus" cioè, quando fosse stato in gioco un interesse fondamentale di un paese le discussioni dovevano proseguire fino al raggiungimento di un accordo soddisfacente per tutti. Il consensus diventò così la pratica principale per prendere decisioni all'interno del Consiglio, abbandonando a poco a poco le regole del voto all'unanimità o a maggioranza che saranno poi riprese negli anni Ottanta.Risolta la crisi la politica De Gaulle continuò in modo intransigente sulle stesse linee. Nel 1966 la Gran Bretagna presentò una nuova domanda di adesione, ma ancora prima che la proposta potesse essere discussa in Consiglio De Gaulle aveva già negato il proprio assenso

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rispolverando le vecchie motivazione che l'avevano indotto a rifiutare la domanda quattro anni prima. Nel sostenere queste convinzioni il premier francese cercò l'appoggio della Commissione che, nel 1967, era diventata unica per la CEE, la CECA e l'EURATOM, ma quest'ultima riteneva che fosse comunque opportuno aprire i negoziati. De Gaulle fu ancora una volta irremovibile.Il 1 luglio 1968, con un anticipo di 18 mesi sul calendario comunitario, venivano cancellati i dazi doganali all'interno del Mercato Comune e le tariffe esterne dei paesi membri venivano unificate nella TEC (tariffa esterna comune).

AGENDA DI LISBONA

L'Agenda di Lisbona è un documento approvato dal Consiglio straordinario di Lisbona (23-24 marzo 2000) che impegna gli stati membri dell'Unione a intraprendere riforme economiche, sociale e ambientali al fine di diventare, entro 10 anni, l'economia mondiale più dinamica e competitiva.

In quel Consiglio sono state tracciate le linee essenziali di una strategia europea dell'occupazione più operativa per affrontare le nuove sfide quali i mutamenti economici più rapidi, l'invecchiamento della popolazione e l'allargamento.

Al centro della strategia proposta vi sono tre obiettivi principali:

- piena occupazione,

- promozione della qualità e produttività sul lavoro, per rispondere all'esigenza di posti di lavoro migliori in un'economia basata sulle conoscenze e alla necessità di promuovere la competitività dell'UE;

- coesione e mercato del lavoro integrato, in modo da ridurre le disparità esistenti per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro.

Si tratta di priorità specifiche che vanno sostenute, ove possibile, da obiettivi quantificati, che comprenderanno fra l'altro: il rientro delle donne nell'attività lavorativa, la permanenza in servizio attivo dei lavoratori più anziani e la redditività del lavoro. L'Agenda inoltre propone un miglior controllo della strategia, in particolar modo con la partecipazione delle parti sociali e della società civile e l'adeguazione della strategia ad altri processi di coordinamento delle politiche dell'Unione Europea, quali le linee direttrici generali di politica economica.

Anna Diamantopoulou, Commissario responsabile dell'Occupazione e degli Affari sociali ha dichiarato: "L'occupazione è sempre in testa all'elenco delle priorità quando si chiede ai cittadini europei cosa si aspettano dall'Unione Europea. L'attuale strategia europea per l'occupazione ha funzionato bene. Tuttavia nel presente clima di incertezza economica e profondi mutamenti economici e sociali, occorre una strategia nuova e più operativa per gestire l'evoluzione in modo coordinato".

Le priorità per le future linee direttrici sono: aiutare i disoccupati a trovare un'occupazione e rendere il lavoro redditizio, incoraggiare l'imprenditorialità per creare un maggior numero di posti di lavoro migliori, combattere il lavoro non dichiarato, promuovere un invecchiamento attivo, gestire l'immigrazione, promuovere l'adattabilità del mercato del lavoro, gli investimenti nel capitale umano e nell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, la parità tra i generi, il sostegno dell'integrazione e la lotta contro la discriminazione sul mercato di lavoro per coloro che sono svantaggiati, nonché adoperarsi per risolvere le disparità occupazionali a livello regionale.

La Commissione ha proposto inoltre che la gestione della strategia venga migliorata con servizi più efficaci, una maggiore partecipazione delle parti sociali, la mobilitazione degli attori interessati e un adeguato sostegno finanziario.

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La presentazione di obiettivi e priorità concreti costituirà la base di una discussione aperta a tutte le parti interessate, in particolare gli Stati membri, il Parlamento europeo, le organizzazioni che rappresentano le parti sociali e la società civile.

Le riforme del passato hanno favorito una maggiore tolleranza dei mercati del lavoro dell'Unione Europea in vista del rallentamento economico, hanno incrementato l'occupazione di oltre 10 milioni di posti di lavoro e ridotto la disoccupazione di lunga durata dal 5,2% al 3,3% nell'arco della durata della strategia. Tuttavia le riforme devono essere sostenute e ampliate per creare altri 15 milioni di posti di lavoro necessari per raggiungere gli obiettivi definiti a Lisbona.

PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA

La costruzione di un’Europa unita si fonda su ideali e obiettivi che sono propri anche degli Stati membri e di cui gli organi esecutivi dell’UE sono gli artefici. Tra questi valori fondamentali riconosciuti vi sono la realizzazione di una pace durevole, l’unità, l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza e la solidarietà. L’Unione si fonda esplicitamente sui principi di libertà e democrazia e sul rispetto dello stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri (articolo 6, paragrafo 1, del trattato UE). L'art. 6 del Trattato UE dichiara che " l'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto". L'impegno a tutelarli era un elemento essenziale della costruzione comunitaria fin dal suo inizio ed era stato successivamente affermato nella dichiarazione adottata dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione il 5 Aprile 1977 sui diritti basilari. In quell'occasione le tre istituzioni avevano formalmente sottolineato "l'importanza essenziale che esse attribuiscono al rispetto dei diritti fondamentali, quali risultano in particolare dalle costituzioni degli stati membri nonché dalla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali". Il Trattato UE riprende la dichiarazione del 1977 affermando (art.6) che l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea sui diritti umani firmata a Roma il 4 Novembre 1950 nonché dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Oltre a tali principi, anche la protezione delle libertà e dei diritti fondamentali sono usciti rafforzati dal trattato UE, in cui si contempla, per la prima volta, l’adozione di misure in caso di violazione dei principi dell’Unione (articoli 7 e 8 del trattato UE). Ciò significa concretamente che, qualora il Consiglio dell’UE, composto da capi di Stato o di governo, su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione, e previo parere conforme del Parlamento europeo, constati l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi di cui all’articolo 6, esso può decidere, deliberando a maggioranza qualificata, di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati UE e CE, compresi i diritti di voto, nei casi più gravi, del rappresentante del governo di tale Stato in seno al Consiglio.Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato in questione resta in ogni caso vincolato agli obblighi che gli derivano dai suddetti trattati.

CENNI STORICI

Dalle origini all'Atto Unico

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Il cammino per arrivare all'attuale configurazione della casa comune europea è stato lungo, contrassegnato da ampie pause di riflessione sul processo di crescita e da ostacoli non sempre facili da superare.

Nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi avevano tracciato il profilo di un'Europa federale nel Manifesto di Ventotene. Fu però solo dopo la guerra che la costruzione europea cominciò a muovere i primi passi sotto la spinta della necessità politica di rimuovere le cause di scontro tra i principali Paesi del Vecchio Continente rimasti al di qua della Cortina di ferro.

Nel 1949 nacque così il Consiglio d'Europa, organismo fondato da Francia, Regno Unito, Belgio e Irlanda con una funzione esclusivamente consultiva, rimasto sempre al di fuori del quadro istituzionale della Comunità europea.

Il progetto di Jean Monnet che diede vita alla CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio) fu invece presentato a Parigi dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio del 1950, giornata diventata poi Festa dell'Europa.

Quasi un anno dopo, il 18 aprile del 1951, avvenne la posa della prima pietra della costruzione comunitaria: i sei Paesi fondatori sottoscrissero il Trattato istitutivo della Ceca in base al quale, a Lussemburgo, venne creata un'Alta Autorità sovranazionale indipendente con il compito di far rispettare regole comuni fissate per la produzione e il commercio di carbone e acciaio.

Poco dopo arrivò anche la prima battuta d'arresto. Nel '52, su iniziativa della Francia, i Sei firmarono a Parigi il Trattato per la Comunità europea di difesa (Ced) che però non entrò mai in vigore a causa della mancata ratifica da parte del Parlamento francese.

Le Conferenze di Messina (1955) e quella di Venezia (1956), seguite dalla firma a Roma, nel '57, dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea (Cee) e della Comunità Europea per l'energia atomica (Euratom), ridiedero slancio all'idea di un'Europa sempre più integrata.

Successivamente, nel corso degli anni '60, il processo di integrazione compì passi in avanti attraverso la realizzazione dell'unione doganale e la firma del Trattato che unificò gli esecutivi delle tre Comunità e stabilì il principio dell'unità di bilancio (1967).

Nel 1972, per rafforzare il coordinamento tra le politiche di gestione del cambio dei Paesi europei e garantire stabilità fissando margini di fluttuazione al fine di salvare il meccanismo dei prezzi di sostegno della politica agricola comune (Pac), prese corpo il cosiddetto "serpente monetario". Nel '79 il serpente monetario si trasformò in un vero e proprio accordo di cambio e assunse la denominazione di Sistema monetario europeo (Sme). In origine, gli europarlamentari venivano scelti dai parlamenti nazionali, ma nel 1979 ebbero luogo le prime elezioni dirette, che consentirono ai cittadini degli Stati membri di votare per un candidato di loro scelta. Da allora le elezioni dirette si svolgono ogni cinque anni.

Nel febbraio 1984 il progetto di Trattato sull'Unione europea sostenuto da Spinelli (una vera e propria prima bozza di Costituzione europea) venne approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo. Nel 1985 fu firmato l'accordo di Schengen da parte di Francia, Germania e i Paesi del Benelux per facilitare l'eliminazione dei controlli alle frontiere interne, superando le resistenze incontrate nel promuovere la libera circolazione delle persone e la cooperazione giudiziaria all'interno del quadro istituzionale della Comunità. Nel dicembre dello stesso anno, il Consiglio europeo a Lussemburgo decise di modificare il Trattato di Roma e di dare nuovo impulso al processo di integrazione europea elaborando un Atto unico europeo, firmato a L'Aia nel febbraio 1986. Oltre a realizzare importanti riforme istituzionali, l'Atto Unico europeo permise il proseguimento del cammino verso il completamento del mercato unico. Per tradurre in realtà entro il 1992 gli obiettivi fissati con l'Atto Unico, nel 1987 Jacques Delors, nella veste di presidente della Commissione europea, presentò un ambizioso programma normativo ed operativo per assicurare l'eliminazione ogni residuo ostacolo alla libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi. La creazione dello spazio economico unificato aprì la strada alla successiva introduzione della moneta unica.

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A Maastricht la Comunità diventa Unione

Sotto la spinta dei grandi mutamenti intervenuti sulla scena internazionale alla fine degli anni '80 con la "perestroika" lanciata da Mikhail Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino, la strada che condusse alla moneta unica e all'attuale assetto istituzionale fu imboccata dai Paesi membri della Cee nel 1990 con l'entrata in vigore della prima fase dell'Unione economica e monetaria e con l'avvio, al Consiglio europeo di Roma, delle Conferenze intergovernative sull'Unione economica e monetaria e sull'Unione politica che si sarebbero poi concluse a Maastricht nel '92 con la firma dell'omonimo Trattato.

Con Maastricht quella che fino ad allora era stata comunemente indicata come Cee (Comunità economica europea) diventò Unione europea (Ue). Istituendo un'Unione europea, destinata "a segnare una nuova tappa nel processo di creazione di un'Unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini", Maastricht ha impresso un'autentica svolta al processo di integrazione europea. L'Unione europea non ha soltanto "incorporato" le tre Comunità storiche (CEE, CECA e CEEA), ma ne ha arricchito le già vaste competenze: ciò è accaduto sia nel tradizionale settore economico (in particolare attraverso la prevista istituzione dell'unione economica e monetaria), sia in settori quali la cittadinanza europea, la cultura, l'istruzione. Il Trattato di Maastricht ha inoltre introdotto nuove politiche e forme di cooperazione: la cooperazione nel settore della politica estera e di sicurezza e nel settore della giustizia ed affari interni. Con Maastricht quindi l'Unione si espande e si rafforza in attesa di ampliarsi agli altri Stati del Continente.

La costruzione comunitaria, attraverso i Trattati di Amsterdam e Nizza , ha poi compiuto altri importanti passi in avanti. L'accordo di Schengen è stato incorporato nel quadro normativo dell'Unione, è stato dato nuovo impulso alla cooperazione tra le forze di polizia, nel campo giudiziario e nella difesa, è stata resa più semplice la possibilità di cooperazioni rafforzate tra gruppi ristretti di Paesi Ue ed è stata istituita la figura di Alto Rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune (il cosiddetto Mr. Pesc), incarico attualmente ricoperto da Javier Solana, ex Ministro degli Esteri spagnolo ed ex Segretario Generale della NATO.

Dopo l'abolizione dei controlli alle frontiere interne dell'UE (1998-'99) e l'introduzione effettiva, il 10 gennaio 2002, della moneta unica, il prossimo passo dell'Unione dovrà essere compiuto con l'approvazione di un Trattato-Costituzione europea e l'adozione di quelle riforme istituzionali indispensabili per assicurare il buon funzionamento di un'Unione che da pochi giorni è composta da ben 25 Paesi.

GLI OBIETTIVI DELL'UNIONE EUROPEA L’Unione europea ha il compito di organizzare in maniera coerente e solidale i rapporti tra gli Stati membri e i loro popoli.I grandi obiettivi che persegue sono:

- La promozione del progresso economico e sociale (realizzazione del mercato interno nel 1993, lancio della moneta unica nel 1999);

- L’affermazione dell’identità europea sulla scena internazionale (aiuti umanitari europei ai paesi terzi, politica estera e di sicurezza generale, intervento nella gestione delle crisi internazionali, posizione comune in seno alle organizzazioni internazionali);

- L’instaurazione della cittadinanza europea (che completa la cittadinanza nazionale senza sostituirsi ad essa e conferisce al cittadino europeo un certo numero di diritti civili e politici);

- Lo sviluppo di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia (che dipende dal funzionamento del mercato interno e più in particolare dalla libera circolazione delle persone;

- Il mantenimento e lo sviluppo dell’acquis comunitario (l’insieme dei testi giuridici adottati dalle istituzioni europee e i trattati istitutivi).

Tre ragioni principali inoltre hanno portato alla costituzione dell’Europa unita:1. Una ragione urgente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è quella di controllare le miniere

di ferro e di carbone, che erano alla base dell’industria siderurgica, evitando un nuovo

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scontro tra Francia ed Inghilterra. Il primo passo verso l’unificazione è stata la creazione di una Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

2. Una ragione di tipo politico: l’Europa, che si trova a confrontarsi con le due superpotenze, è debole e frammentata e questo induce i politici a riconquistare una posizione sia politica sia economica.

3. Riconquista dei grandi mercati: unione doganale attraverso l’abolizione delle tariffe doganali e dei contingenti sulle importazioni. Questo porta ad un ampliamento dei mercati e ad un accrescimento dei redditi e alla possibilità di operare su vasta scala.

SIMBOLI L’Unione Europea è dotata di simboli specifici che la caratterizzano come entità politica.

- La bandiera europeaNata nel 1986, la bandiera europea consiste in dodici stelle gialle a cinque punte, disposte in cerchio, su fondo blu. Il blu rappresenta il colore del cielo, mentre la corona di stelle rappresenta l’unione dei popoli europei. Il numero dodici simboleggia, da sempre, la perfezione e l’unità, ed è inamovibile indipendentemente dal numero di stati che entreranno a far parte dell’Unione.

- L’inno europeoL'inno dell'Unione europea è l'Inno alla gioia, tratto dall’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, in versione strumentale. Adottato dal Consiglio europeo già dal 1972, è diventato l’inno ufficiale dell’Unione nel 1986.

- La festa dell’EuropaIl 9 maggio è la data stabilita come “giorno dell’Europa”, a commemorare la dichiarazione di Robert Schuman del 1950, considerata l'atto di nascita dell'Unione europea, quando i governi dei principali stati del vecchio continente, nel pieno della guerra fredda, decisero di stabilire un’intesa profonda allo scopo di impedire nuovi conflitti sul suolo europeo.

- Il motto dell'Unione Europea è: Unità nella diversità (in varietate concordia).

- Il glifo simbolo dell'euro.

EVENTI DI RILIEVO

19 settembre 1946: Winston Churchill in un discorso all'Università di Zurigo lancia un appello a favore di "una sorta di Stati Uniti d'Europa".

19 Aprile 1951: viene firmato il trattato istitutivo che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Vi aderiscono Francia, Repubblica federale di Germania, Italia e Benelux.

25 Marzo 1957: a Roma viene firmato il trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) nonché il trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA). Vi aderiscono Francia, Repubblica federale di Germania, Italia e Benelux.

8 Aprile 1965: a Bruxelles viene firmato il Trattato sulla fusione degli esecutivi che istituisce un Consiglio ed una Commissione unica per tutte e tre le Comunità europee (CECA; CEE e CEEA). 1 luglio 1967: entra in vigore il Trattato di fusione degli esecutivi delle Comunità europee.

22 Aprile 1970: a Lussemburgo viene firmato il Compromesso che modifica talune disposizioni in materia di bilancio della Comunità istituendo le risorse proprie in sostituzione dei contributi degli Stati membri.

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1 Gennaio 1973: Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca entrano a far parte della Comunità europea mentre la Norvegia, che ne aveva presentato domanda, non prevede a perfezionare le formalità necessarie.

13 Marzo 1979: entra in vigore il Sistema Monetario Europeo (SME).

7 Giugno 1979: prime elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale diretto.

1 Gennaio 1981: la Grecia entra a far parte della Comunità europea.

1 Gennaio 1986: Spagna e Portogallo entrano a far parte della Comunità europea.

17 Febbraio 1986: a Lussemburgo viene approvato l’Atto Unico europeo. L’Atto contiene una serie di importanti novità: esse riguardano in particolare il potenziamento del ruolo del Parlamento, lo snellimento delle procedure per la realizzazione del mercato interno, l’inclusione dello SME nel quadro comunitario e la previsione di nuove competenze comunitarie in materia di politica estera (CPE), anche se in ambito intergovernativo. 29 maggio 1986: viene issata per la prima volta, a Bruxelles, la bandiera europea.

12 Giugno 1990: firma della Convenzione di Schengen che sopprime ogni frontiera per la libera circolazione dei cittadini degli stati membri. 3 ottobre 1990: unificazione della Germania (l'ex Germania Est entra a far parte della CEE)

7 Febbraio 1992: a Maastricht viene firmato il Trattato sull’Unione europea (TUE), entrato in vigore a partire dal 1 Novembre 1993. Il Trattato pone le basi dell’unione economica e monetaria in vista dell’introduzione della moneta unica e ridefinisce le politiche comunitarie sulla base del sistema dei tre pilastri.

2 Maggio 1992: viene firmato l’accordo sullo Spazio Economico europeo (SEE). Vi partecipano: Austria, Svizzera, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda. 1 novembre 1993: entra in vigore il Trattato sull'Unione europea 9 marzo 1994: riunione costitutiva del Comitato delle Regioni della UE

1 Gennaio 1995: Austria, Finlandia e Svezia entrano a far parte della Comunità.

26 Marzo 1995: entra in vigore la Convenzione di Schengen

2 Ottobre 1997: viene firmato il Trattato di Amsterdam che modifica il TUE introducendo i titoli “occupazione” e “politica sociale” fra le materie del primo pilastro nonché la parte civile di Schengen (visti, diritto d’asilo) mentre la parte penale (immigrazione e cooperazione giudiziaria) resta nel terzo. Per quanto riguarda il secondo pilastro viene istituita la figura dell’Alto Rappresentante per la politica estera (Mister PESC). Vengono quindi rilanciati i principi guida dell’Unione e le cooperazioni rinforzate fra gli Stati.

26 Febbraio 2001: viene firmato il Trattato di Nizza che istituzionalizza le cooperazioni rinforzate estendendole anche alla PESC con l’esclusione delle questioni militari. Viene inoltre stabilito che, aperta la via all’Allargamento, sia avviato un dibattito più approfondito in merito al futuro dell’Unione ed in particolare sui temi della delimitazione delle competenze fra Unione e Stati, sul progetto di Costituzione europea e sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’architettura europea.

7 Dicembre 2001: a Nizza viene approvata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 1 gennaio 2002: entra in circolazione l'euro in Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna.

14/15 Dicembre 2001: a Laeken si riunisce il Consiglio europeo dedicato al dibattito sul futuro dell'’nione. Viene inoltre istituita una Convenzione per rielaborare lo spinoso problema della Costituzione. La Convenzione si riunisce per la prima volta a Bruxelles il 1 Marzo 2002.

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1 Maggio 2004: la Comunità si allarga a Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia, Cipro e Malta.

LA POLITICA DI PROSSIMITÀ COME ELEMENTO DI STABILITÀ E SVILUPPO

L’Unione Europea sta ridisegnando i suoi confini politici. L’allargamento ai nuovi dieci paesi membri dal 1° maggio scorso rappresenta una nuova fase di un lungo percorso, avviato sin dagli anni cinquanta, per il rafforzamento della stabilità e dello sviluppo. Ogni allargamento, tuttavia, come sottolineato dal Presidente della Commissione Romano Prodi, crea nuovi e futuri vicini con i quali occorre confrontarsi per verificare la loro volontà di cooperazione politica ed economica. È in questo quadro che si inserisce la politica di “prossimità”, ormai riconosciuta e perseguita unanimemente come chiave per la stabilità di un’Europa dai confini in espansione. Occorre, pertanto, pensare ad un grande spazio euromediterraneo (allargato anche ai paesi del Vicino e Medio oriente e dei Balcani) nel quale sia possibile sviluppare relazioni sempre più forti tra le comunità nazionali e subnazionali che vi abitano. Proprio per sviluppare il dialogo euromediterraneo l'UE ha intavolato un accordo di associazione con questi paesi detto Partenariato euro-meditterraneo.

Ciò al fine di favorire ogni opportunità di sviluppo, attraverso una migliore conoscenza dei fabbisogni e degli interessi reciproci, nel rispetto dei valori di solidarietà e dei diritti umani. In questa ottica di sviluppo e valorizzazione delle risorse dello spazio euromediterraneo, assume valore strategico la realizzazione del Corridoio 8 (Bari-Durazzo-Sofia-Varna). In questo contesto si inserisce anche il fenomeno della governance delle migrazioni, un fenomeno complesso e sfaccettato la cui importanza economica - quale strategia di sviluppo per le aree d’origine e veicolo di crescita per le aree di destinazione - è sempre più evidente.

La forte crescita e l’elevata concentrazione territoriale dei flussi migratori hanno generato nuove e importanti sfide per la politica attuale, chiamata a contemperare le esigenze dello sviluppo economico con la coesione sociale. In un quadro così articolato e dinamico, le politiche per i flussi migratori impongono un più forte dialogo tra i diversi livelli istituzionali e il rafforzamento della collaborazione tra gli Stati. In questo ambito, la Cooperazione decentrata e quella transfrontaliera rappresentano due espressioni della politica di prossimità, che implicano il concorso e la partecipazione attiva dei vari livelli istituzionali e, in particolare, dei governi subnazionali e degli attori della società civile. ADESIONE DI UN NUOVO STATO ALL'UNIONEL'adesione di nuovi Stati membri all'Unione europea è prevista dall'articolo 49 (ex articolo O) del trattato sull'Unione europea. Per avviare i negoziati, il Consiglio si pronuncia all'unanimità , previa consultazione e previo parere conforme del Parlamento europeo. Le condizioni per l'ammissione, gli eventuali periodi transitori e gli adeguamenti dei trattati sui quali è fondata l'Unione formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato candidato. Per l'entrare in vigore, l'accordo necessita la ratifica di tutti gli Stati contraenti secondo le rispettive norme costituzionali.

CRITERI DI ADESIONE (CRITERI DI COPENAGHEN)

Nel giugno del 1993, il Consiglio europeo di Copenaghen ha riconosciuto il diritto dei paesi dell'Europa centrale ed orientale ad aderire all'Unione europea, se soddisfano tre criteri:

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politica: istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, la preminenza del diritto, i diritti umani ed il rispetto delle minoranze;

economia: valida economia di mercato; recepimento dell'"acquis" comunitario: sottoscrivere alle diverse finalità politiche,

economiche e monetarie dell'Unione europea.

Gli stessi criteri sono stati ribaditi dal Consiglio europeo di Madrid del dicembre 1995, che ha anche sottolineato l'importanza che riveste l'adeguamento delle strutture amministrative dei paesi candidati al fine di predisporre le condizioni per un'integrazione armoniosa e progressiva.

L'Unione si riserva comunque il diritto di decidere in merito al momento in cui si considera pronta ad accettare nuovi membri.

ALLARGAMENTO

L’allargamento del 1° Maggio 2004, che ha portato il numero di Stati membri da 15 a 25, è stato il più importante nella storia dell’Unione. Esso affonda le radici nel crollo del Comunismo simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 che offrì la possibilità unica e inaspettata di estendere l’integrazione europea all’Europa centrale e orientale. Una delle priorità dell’Unione, dopo l’Allargamento, è migliorare il tenore di vita dei nuovi Stati membri che in tutti questi paesi è decisamente al di sotto della media UE.

La decisione relativa al futuro allargamento dell’Unione europea ai Paesi d’Europa centrale ed orientale (PECO) è stata adottata dal Consiglio europeo, a Copenaghen, nel 1993. Ciascun candidato deve soddisfare tutta una serie di criteri specifici per poter aderire all’Unione europea (i cosiddetti "criteri di Copenaghen"). Prima di tutto deve avere raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca un ordine democratico basato sui princìpi dello Stato di diritto, sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché sul rispetto e la tutela delle minoranze (criterio politico). Ciascun Paese candidato deve inoltre disporre di un’economia di mercato funzionale ed essere capace di reggere alla pressione della concorrenza e alle leggi di mercato all’interno dell’Unione (criterio economico). Infine, ogni candidato deve recepire gli impegni inerenti dall’adesione e attuare gli obiettivi dell’Unione politica nonché dell’Unione economica e monetaria (criterio di adozione del patrimonio normativo comunitario, il cosiddetto “acquis” comunitario).

L’Unione europea ha appena concluso uno dei più ambiziosi progetti della sua storia. Nel dicembre 1997, il Consiglio europeo di Lussemburgo aveva reso noto l’imminenza dei negoziati di adesione per un primo gruppo di paesi. Quest'ultimi furono avviati nel marzo 1998 con un primo gruppo di sei Paesi: Cipro, l’Estonia, la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovenia e l’Ungheria (allora denominato il “gruppo di Lussemburgo”). Malta aveva inizialmente ritirato la sua domanda di adesione nel 1996 per poi ripresentarla nel settembre 1998. Il Consiglio europeo di Cardiff, del giugno 1998, aveva caldeggiato la strategia europea volta a preparare la Turchia all’adesione. Nel marzo 1999, il Consiglio europeo di Berlino aveva raggiunto un’intesa circa gli strumenti finanziari da utilizzare nell’ambito dell’aiuto a favore della preadesione attraverso gli accordi di associazione. Questi contemplano fra gli altri i programmi PHARE (un programma di aiuti finanziari volti a facilitare la transizione economica degli Stati candidati all’adesione; all'origine questo programma era destinato soltanto alla Polonia e all'Ungheria), ISPA (strumento strutturale di preadesione), nonché SAPARD (programma di aiuti al settore agricolo e allo sviluppo rurale).

Nel dicembre 1999, il Consiglio europeo di Helsinki aveva ribadito l’importanza del processo di allargamento al quale dovevano partecipare, a parità di diritti, 13 Paesi disposti ad aderire, fra i quali la Turchia. Le trattative con la Bulgaria, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Romania e la Slovacchia (allora denominato il “gruppo di Helsinki”) furono avviate ufficialmente il 15 febbraio 2000. Nel dicembre 2000, il Consiglio europeo di Nizza approvò le riforme istituzionali (segnatamente la suddivisione dei seggi e la ponderazione dei voti in seno al Consiglio, alla Commissione, nonché al Parlamento in un’Unione a 27 Stati membri).

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Nel giugno 2001, il Consiglio europeo di Göteborg fissò il calendario dell’allargamento: entro la fine del 2002 l’Unione doveva concludere le trattative con i Paesi candidati, nonché prepararli all’adesione e quindi permettere loro di partecipare alle prossime elezioni al Parlamento europeo previste nel giugno 2004.

I dieci Paesi suscettibili di diventare i nuovi Stati membri dell’UE a partire dal 2004 sono stati designati per la prima volta nella Dichiarazione del Consiglio europeo di Laeken (Belgio, 14 e 15 dicembre 2001) e sono: Cipro, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Slovenia e l’Ungheria. Assieme alla Bulgaria, alla Romania e alla Turchia, i dieci Stati candidati erano anche rappresentati dai propri delegati presso la Convenzione europea, istituita ufficialmente a Laeken. Questi hanno potuto partecipare alle discussioni della Convenzione la quale, tra marzo 2002 e luglio 2003, si è occupata del futuro dell’UE. Durante il Consiglio europeo di Copenaghen (13 dicembre 2002), l’UE è riuscita a concludere le trattative di adesione con otto Paesi d’Europa centrale ed orientale nonché con Cipro e Malta. Il 16 aprile 2004, ad Atene, sono stati quindi firmati i trattati di adesione con Cipro, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Slovenia e l’Ungheria.Con l’arrivo di dieci nuovi Stati membri, si tratta del più grande allargamento della storia dell’UE che è diventato effettivo il 1° maggio 2004. La loro integrazione costituisce una svolta storica verso la vittoria definitiva sulla divisione dell’Europa in due blocchi - conseguenza della guerra fredda - e contribuirà a promuovere e a sostenere la pace, la stabilità e il benessere economico di tutta l’Europa.I capi di Stato e di governo dell’UE, riuniti a Copenaghen hanno indicato il 2007 quale possibile data di adesione della Bulgaria e della Romania. In quanto alla Turchia, la quale ha presentato ufficialmente la sua candidatura già nel 1999, è stata esortata dal Consiglio europeo a proseguire sulla via delle riforme indispensabili per soddisfare i criteri politici di adesione (democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti dell’uomo e delle minoranze culturali).

I capi di Stato e di governo dell’UE intendono verificare alla fine del 2004 se la Turchia soddisfa tutti i criteri di adesione. In caso affermativo, le trattative in vista dell'adesione dovrebbero iniziare verosimilmente durante il primo semestre 2005.Il 21 febbraio 2003, anche la Croazia ha presentato una domanda ufficiale di adesione all’UE. In un primo tempo, la Commissione europea prenderà posizione in merito alla sua candidatura. L’UE ha inoltre confermato a Salonicco, il 21 giugno 2003, la prospettiva di adesione per i cinque Paesi dei Balcani occidentali (l’Albania, la Bosnia - Erzegovina, la Croazia, la Macedonia e la Serbia - Montenegro) tuttavia senza avanzare per il momento una data precisa di adesione.

VALUTAZIONI SULL'ALLARGAMENTO

Nel corso di questi ultimi anni l'Europa ha vissuto grandi eventi. Il crollo dell'Unione Sovietica e, di conseguenza, la fine della guerra fredda hanno notevolmente modificato il vecchio ordine geopolitico e posto fine ai vecchi modelli di equilibrio internazionale. Anche il processo d'integrazione europea si è fortemente accelerato.L'allargamento ai paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO), a Cipro, a Malta e in futuro forse anche alla Turchia e ai Balcani s'inserisce in questo nuovo contesto e rappresenta quindi un obiettivo storico dell'Unione europea.

L’allargamento dell’UE dominerà la futura politica europea ancora per parecchi anni. I dati relativi al quadro politico e alla situazione economica dei candidati all’adesione sono ancora assai discrepanti. A prescindere dagli ingenti sforzi, l’integrazione di questi Paesi nei programmi e nelle strutture esistenti pone l’Unione europea di fronte a sfide istituzionali e politiche mai affrontate prima d’ora. Infatti nonostante gli enormi sforzi effettuati dai paesi ex-candidati, la loro integrazione nelle strutture e nei programmi esistenti sarà un compito molto delicato.Ma rappresenta anche un'occasione. Infatti, l'estensione dell'Unione, almeno in una prima fase, a oltre 75 milioni di nuovi cittadini favorirà gli scambi e le attività economiche e darà un nuovo slancio allo sviluppo e all'integrazione dell'economia europea nel complesso.

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L'adesione di nuovi Stati membri aumenterà il peso e l'influenza dell'Unione sulla scena internazionale.

In seguito alla prima fase di adesione, la popolazione dell’UE aumenterà di circa un quinto, fino a raggiungere 450 milioni di cittadini mentre il suo prodotto interno lordo (PIL) aumenterà solamente del 6 percento. Con dieci nuovi Stati membri, l’Unione europea sarà composta da Paesi le cui strutture democratiche, ancora giovani, sono state create dopo la dissoluzione dei regimi comunisti. Per la prima volta, l’UE avrà una frontiera comune con la Bielorussia, l’Ucraina, l’enclave russa di Kaliningrad, la Romania, la Serbia e il Montenegro nonché con la Croazia. Fra i numerosi interrogativi ancora in sospeso vi è quello di sapere quali saranno le incidenze sulla coesione interna della futura UE tenuto conto dello scetticismo nonché dell’indifferenza espressa da un gran numero di cittadine e di cittadini degli attuali Stati membri dell’UE. Nonostante ciò, l’Unione europea non ha intenzione di tornare sui propri passi: il processo di allargamento andrà comunque avanti. Dopo oltre un secolo di guerre e distruzioni e con la fine della guerra fredda, l’unica alternativa è l’integrazione politica ed istituzionale dei Paesi dell’Europa centrale ed orientale nelle strutture dell’UE. Ragione per cui una valutazione basata meramente sul rapporto costi - benefici sarebbe troppo riduttiva. Studi riguardanti gli effetti economici comprovano che, per i quindici Stati membri attuali, i vantaggi nel settore economico riconducibili all’allargamento saranno minimi a breve scadenza. Mentre i candidati all’adesione ne trarranno maggiormente vantaggio. Nuovi calcoli di simulazione, realizzati per conto della Commissione europea, indicano un aumento della crescita economica pari al 2 percento nei Paesi candidati.

D’altro canto, i flussi migratori previsti dai Paesi d’Europa centrale ed orientale, influenzati da livelli di prosperità diversi, dovrebbero rivelarsi assai più contenuti di quanto spesso temuto. Accordi transitori sono stati comunque presi per limitare il possibile afflusso massiccio di nuovi lavoratori nei territori degli Stati membri più "anziani". La Commissione europea prevede quindi che, entro il 2010, meno dello 0,5 percento della popolazione attiva nell’attuale territorio dell’UE sarà originaria dei Paesi d’Europa centrale ed orientale. Occorre ricordare in proposito che nell’attuale territorio dell’Unione vi è una carenza di manodopera in taluni settori dell’economica, segnatamente nei rami alberghiero, sanitario e informatico.

AGENDA 2000

L'Agenda 2000 è un programma d'azione adottato dalla Commissione europea in data 15 luglio 1997 per rispondere alla richiesta del Consiglio europeo di Madrid (dicembre 1995) di presentare sia un documento d'insieme sull'allargamento e sulla riforma delle politiche comuni, sia un documento sul futuro contesto finanziario dell'Unione a decorrere dal 31 dicembre 1999. Al documento è anche allegato il parere della Commissione sulle candidature di adesione con riguardo all'insieme delle questioni che l'Unione dovrà affrontare agli inizi del XXI secolo.L'Agenda 2000 è articolata in tre sezioni: la prima affronta la questione del funzionamento dell'Unione europea, in particolare la

riforma della politica agricola comune e della politica di coesione economica e sociale. Contiene inoltre raccomandazioni per far fronte alla sfida dell'allargamento nelle migliori condizioni e propone di porre in essere un nuovo assetto finanziario per il periodo 2000-2006;

la seconda propone una strategia di preadesione rafforzata, integrandovi due nuovi elementi: la partnership per l'adesione e la più ampia partecipazione dei paesi candidati a programmi comunitari ed ai meccanismi di applicazione dell'"acquis" comunitario;

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la terza prevede uno studio di impatto sugli effetti che l'allargamento avrà sulle politiche dell'Unione europea.

In queste tre aree la Commissione ha presentato una ventina di proposte legislative nel 1998. Nel marzo 1999 il Consiglio europeo di Berlino è pervenuto ad un accordo politico globale su questo pacchetto di proposte, il che ha consentito la loro integrale adozione entro la fine dell'anno. Queste misure, la cui validità si estende dal 2000 al 2006, riguardano quattro settori strettamente connessi:

riforma della politica agricola comune; riforma della politica strutturale; strumenti di preadesione; quadro finanziario. Agenda 2000 prevedeva anche il quadro finanziario per il sostegno al processo di preadesione dei paesi candidati. Gli aiuti di preadesione concessi ai paesi candidati dell'Europa centrale e orientale a partire dal 2000 comportavano tre grandi capitoli e ammontavano a circa 40 miliardi di euro per il periodo 2000-2006, di cui 21 così suddivisi:

programma PHARE: 10,5 miliardi di euro (1,5 miliardi di euro l'anno). A partire dal 1997 è basato sulle due priorità essenziali legate al recepimento dell'acquis comunitario,

un aiuto allo sviluppo agricolo di 3,5 miliardi di euro (500 milioni di euro l'anno); un aiuto strutturale dell'importo di 7 miliardi di euro (1 miliardo di euro l'anno) il cui

principale obiettivo è aiutare i paesi candidati a ravvicinarsi alle norme comunitarie in materia di infrastrutture, in particolare nei settori dei trasporti e dell'ambiente. Consentirà inoltre di familiarizzare tale paesi con le modalità di attuazione degli interventi strutturali.

L'INTEGRAZIONE COME SINONIMO DI POLITICHE COMUNI

L'integrazione economica e politica tra gli Stati membri dell'Unione europea comporta l'obbligo per questi paesi di prendere decisioni congiunte su molte questioni. Essi hanno pertanto elaborato politiche comuni in molteplici settori: dall'agricoltura alla cultura, dalla tutela dei consumatori alla concorrenza, dall'ambiente ed energia ai trasporti e agli scambi.

Inizialmente l'accento era posto su una politica commerciale comune per il carbone e l'acciaio e su una politica agricola comune. Col passare del tempo e col presentarsi dell'esigenza si sono aggiunte nuove politiche. Alcuni dei principali obiettivi strategici sono cambiati alla luce delle mutate circostanze: ad esempio, l'obiettivo della politica agricola non consiste più nel produrre la maggior quantità di alimenti ai prezzi più convenienti, bensì nel sostenere sistemi agricoli che garantiscano la produzione di alimenti sani e di alta qualità nonché la tutela dell'ambiente. La necessità di tutelare l'ambiente è ora presente nell'ambito di tutte le politiche comunitarie.

Anche le relazioni dell'Unione europea con il resto del mondo sono diventate molto importanti. L'UE conduce negoziati in materia di importanti scambi commerciali e di accordi di assistenza con altri paesi e sta inoltre sviluppando una politica estera e di sicurezza comune.

IL PROGRESSO EUROPEO

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La solidarietà e la cooperazione non sono solo dei principi di ordine morale nell'Unione europea, ma anche e soprattutto una priorità politica. Nel 1992 il trattato di Maastricht ha, infatti, incluso la "coesione economica e sociale" fra i tre pilastri della costruzione europea, insieme all'unione economica e monetaria e al mercato unico.

Oggi la "politica di coesione" è un presupposto essenziale per la stabilità dell'Unione e per la comune battaglia dei partners europei contro la disoccupazione. La quota di bilancio (che dal 2007 sarà la parte maggioritaria del Bilancio europeo) che l'Unione, attraverso i fondi strutturali, assegna agli Stati membri in base alle loro richieste per lo sviluppo e l'ammodernamento, è indispensabile per ridurre il divario tra le singole aree.

Con l'allargamento ad Est dell'Unione, lo stesso principio di solidarietà è, tuttavia, motivo di forte tensione da parte dei Quindici, tutti in varia misura timorosi che il recente ingresso dei Paesi più poveri provochi il trasferimento, a favore di questi ultimi, dei finanziamenti che oggi l'Unione assegna alle regioni più arretrate.

Oltre ai Fondi strutturali, dal 1993 opera anche il Fondo di coesione. Tale Fondo finanzia infrastrutture di trasporto e per l'ambiente negli Stati membri il cui prodotto interno lordo (PIL) pro capite è inferiore al 90% di quello dell'Unione (Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo).

Il concetto di coesione economica è stato introdotto con l'Atto unico europeo (1986) e, dal 1992, data di adozione del Trattato sull'Unione, esso costituisce uno dei tre pilastri della Comunità europea, alla stessa stregua del mercato unico e dell'Unione economica europea. Lo sforzo in materia di coesione costituisce ancora oggi la seconda voce di spesa nel bilancio dell'Unione dopo la politica agricola comune.

Grazie alle azioni strutturali e all'adozione di programmi macroeconomici nazionali intesi a soddisfare i criteri fissati dall'Unione economica e monetaria, da circa dieci anni, si registra una convergenza netta fra le economie degli Stati membri. I quattro paesi più poveri dell'Unione (Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda) hanno sperimentato un miglioramento della loro situazione economica e l'esempio più significativo è indubbiamente quello dell'Irlanda, dove il PIL pro capite è passato dal 64% della media comunitaria nel 1983 al 90% circa nel 1995. Questi risultati su scala nazionale non devono tuttavia far passare in secondo piano il persistere, anzi l'acuirsi, in certi casi, delle differenze tra alcune regioni dell'Unione per quanto riguarda il livello di vita.Gli Stati dell'Europa centro orientale che hanno aderito all'Unione, anch'essi beneficeranno del sostegno dei fondi strutturali e del fondo di coesione. Le giovani democrazie dell'Est hanno, infatti, bisogno di cospicui aiuti nei settori delle infrastrutture, dell'ambiente, dell'apparato produttivo e delle risorse umane. L'aiuto annuale dovrebbe aumentare progressivamente, pur restando nel limite generale del 4 per cento del PIL nazionale, valido per tutte le operazioni dei fondi strutturali e del fondo di coesione. Tutti gli Stati hanno goduto inizialmente del sostegno comunitario di preadesione, in seguito, dopo la loro adesione, i fondi disponibili verranno concentrati soprattutto verso i restanti Paesi in attesa di entrate nell'UE.

Solo in rari e specifici casi la Commissione europea finanzia i singoli cittadini per la realizzazione progetti imprenditoriali o produttivi. Infatti, la maggior parte dei finanziamenti concessi dall'Ue non viene versata direttamente dalla Commissione europea, ma tramite le autorità nazionali e regionali degli Stati membri. Così avviene per la politica agricola comune e per quasi tutte le sovvenzioni assegnate nel quadro degli obiettivi principali. Gli strumenti di finanziamento sono il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), il Fondo sociale europeo (Fse), il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), lo Strumento finanziario di orientamento della pesca (Sfop). Alcune sovvenzioni per l'attuazione di politiche comuni nei settori della ricerca e dello sviluppo, dell'istruzione, della formazione, dell'ambiente, della tutela dei consumatori e dell'informazione, sono concesse direttamente a organizzazioni pubbliche e private, come università, imprese, gruppi di interesse.

Il bilanciamento tra i contributi che ogni Stato versa nelle casse di Bruxelles e i soldi che tornano sotto forma di fondi strutturali o di aiuti all'agricoltura, determina la condizione di "contribuente netto" o "creditore" di ogni partner europeo. L'Italia solo di recente è entrata a far parte dei contribuenti netti: partecipa per l'11 per cento del bilancio totale - in tutto circa

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10 miliardi di euro - e riceve aiuti per il 10 per cento. Paesi creditori sono la Spagna, la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda. La Germania, che riceve contributi per tutti i Laender dell'ex-Repubblica orientale, rimane, tuttavia, contribuente netto.

INNOVAZIONE E STRATEGIA DI LISBONA

A Lisbona (marzo 2000), il Consiglio Europeo ha definito un nuovo obiettivo strategico da soddisfare entro il 2010: l’UE deve «diventare lo spazio economico basato sulla conoscenza più competitivo e dinamico del mondo». Per il raggiungimento di questo obiettivo è stata predisposta una strategia globale per i settori occupazione, riforme economiche e coesione sociale (Processo di Lisbona). Dunque il processo d'innovazione assieme alla strategia di Lisbona avviata nel marzo 2000, sono intese a fare dell'Unione europea l'economia più dinamica e più competitiva del mondo entro il 2010. Con il Libro Verde sullo spirito imprenditoriale e la comunicazione della politica industriale in un'Europa allargata, questo piano d'azione fornisce un contributo allo sviluppo della politica delle imprese a favore della competitività delle imprese europee in un contesto di concorrenza allargato e della crescita economica. Oltre alle decisioni sancite nella strategia di Lisbona nei Settori povertà, emarginazione sociale e invecchiamento della popolazione, tra gli obiettivi principali della strategia per uno sviluppo sostenibile e innovativo dell’UE rientrano pure la lotta contro i cambiamenti climatici, una migliore utilizzazione delle energie rinnovabili, una diminuzione dei rischi nell’ambito della salute, un approccio e un comportamento più responsabili nei confronti delle risorse naturali, una mobilità sostenibile sotto il profilo ecologico e una diminuzione del tasso di sfruttamento del territorio.

Scopo dunque di questa strategia, che vede coinvolte sia le imprese europee nella loro sfida per l'innovazione costate sia l'Unione europea con l'utilizzo di risorse per la ricerca e lo sviluppo industriale, è quello della crescita della competitività dell'Unione europea.

L'integrazione dell'innovazione nelle diverse politiche comunitarie consente di rafforzare l'impresa, che si trova al centro del processo d'innovazione. Ad esempio, la formazione del personale in materia di spirito imprenditoriale consentirà di sfruttare meglio le opportunità offerte dal mercato. La cooperazione con altre imprese e le pubbliche autorità impone la creazione di « grappoli d'imprese » (clusters) complementari, geograficamente concentrati, interdipendenti e concorrenti. Anche le condizioni del mercato e la domanda dei consumatori svolgono un ruolo importante. Ai fini dello sviluppo di processi innovatori sono altresì necessari alcuni altri parametri come la concorrenza, l'apporto di capitali, il contesto regolamentare più flessibile, l'esistenza di manodopera qualificata e mobile. Tenuto conto di tutti questi aspetti, l'attuazione della politica d'innovazione riveste un carattere delicato. Le amministrazioni comunitarie, nazionali e regionali devono pertanto affrontarla con un massimo di flessibilità.

L'Unione europea dovrà recuperare il ritardo accumulato sui suoi principali concorrenti, aiutare i nuovi Stati membri a colmare le loro lacune, sviluppare le competenze necessarie e trarre vantaggio dalla sua situazione economica e sociale.

Nonostante alcuni risultati incoraggianti rilevati nel corso dell'elaborazione del quadro di valutazione sull'innovazione 2001 e 2002, l'Unione europea ha un ritardo considerevole rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Tuttavia, alcuni Stati membri hanno compiuto più progressi di altri, consentendo così agli altri Stati membri di progredire più rapidamente grazie al metodo di coordinamento aperto. L'Unione europea dovrà anche superare le reticenze interne nei confronti dell'adeguamento ai processi innovatori. L'allargamento dell'Unione europea richiede la realizzazione di interventi specifici. Gli abitanti dei paesi candidati hanno spesso dato prova di spirito innovatore adeguandosi alla trasformazione della loro economia. Anche se i problemi incontrati in tali paesi e negli Stati membri dell'UE sono spesso identici, sarà necessario dedicare un'attenzione particolare alla formazione, all'adeguamento e all'istituzione di circuiti finanziari adeguati.

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In genere, le qualifiche specialistiche o generali dei lavoratori europei devono essere migliorate. Inoltre, in seguito all'evoluzione demografica che comporta un invecchiamento della popolazione, l'organizzazione professionale deve essere riveduta ponendo l'accento sulla flessibilità per rafforzare in particolare la formazione professionale.

A livello dell'Unione europea occorre altresì sfruttare le specificità dell'UE quali l'importanza del settore pubblico o della crescente urbanizzazione.

Il quadro della politica dell'innovazione. A livello europeo sono stati compiuti degli sforzi in materia di coordinazione, in particolare nell'ambito dei programmi quadro di ricerca al fine di migliorare la relazione tra la ricerca e l'innovazione. Anche in altri settori occorre rafforzare l'aspetto « innovazione ». Le cinque priorità identificate dalla Commissione nella sua comunicazione sull'innovazione in un'economia basata sulla conoscenza sono tuttora d'attualità, ma è necessario rafforzare la promozione. Sarà istituito un quadro d'azione favorevole alla coordinazione:

Gli Stati membri devono elaborare e rafforzare le loro strategie nazionali in materia d'innovazione e coordinare l'azione dei ministeri interessati.

A livello europeo deve essere rafforzato l'approccio sistemico grazie all'istituzione del Consiglio competitività che raggruppa le attività collegate al mercato interno, alla ricerca e all'industria. Anche in seno alla Commissione i commissari hanno rafforzato la loro cooperazione per favorire l'innovazione. Inoltre, pur lasciando spazio all'azione degli Stati membri, l'Unione europea deve intervenire per sfruttare al massimo la dimensione europea dell'innovazione.

A livello nazionale e comunitario occorre migliorare le conoscenze sull'innovazione, migliorando in particolare gli strumenti statistici.

Saranno adottati dei provvedimenti. Ad esempio, la Commissione europea prevede di rafforzare il processo di tirocinio. Un progetto pilota avrà per oggetto il miglioramento del sistema di sostegno a favore della promozione dell'innovazione e un'attenzione particolare sarà dedicata ai paesi candidati.

Altri interventi. Occorrono nuove idee per rafforzare il processo d'innovazione. In primo luogo, occorre migliorare il contesto delle imprese rafforzando l'interazione con altre politiche quali la concorrenza, il mercato interno, la politica regionale, le misure fiscali, l'istruzione e la formazione professionale, l'ambiente, la normalizzazione o il brevetto comunitario. L'innovazione può progredire unicamente se viene percepita in modo positivo dal mercato. In tal caso è possibile esaminare la reazione dei consumatori in mercati pilota che, per le loro caratteristiche specifiche, possono essere particolarmente ricettivi nell'ambito dell'Unione europea. Questa procedura aiuterà anche le imprese europee a insediarsi nel mercato mondiale. Anche il settore pubblico dell'Unione è fonte e utilizzatore di innovazione, anche se esistono ancora alcuni ostacoli. Occorre quindi proseguire in questa direzione ricorrendo in particolare ai metodi di gestione elettronica.

A livello regionale, dove sono spesso elaborati i processi innovatori, è necessario compiere degli sforzi per evitare la compartimentazione, rafforzando nel contempo la creazione di « grappoli d'imprese » e di centri di formazione. La Commissione sosterrà gli sforzi delle autorità regionali e delle reti europee.

Piano d'azione. Anche se non si rileva ancora il ritardo rispetto agli Stati Uniti in materia d'innovazione è necessario che l'Unione europea sviluppi una politica dell'innovazione. Gli Stati membri e la Commissione devono elaborare un quadro d'azione che stabilisca priorità e obiettivi.

Gli Stati membri dovranno rafforzare le loro strategie nazionali a favore dell'innovazione, trasmettere alla Commissione le informazioni sull'innovazione e rafforzare la loro partecipazione al processo di apprendimento reciproco. La Commissione s'impegna a migliorare la coerenza dei dati disponibili, migliorerà il

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processo d'apprendimento reciproco, analizzerà con gli Stati i risultati del processo e avvierà un'iniziativa pilota sulla valutazione dei risultati. Nei paesi appena entrati, essa istituirà una piattaforma di scambio ed estenderà il quadro di valutazione. Essa preparerà una relazione sulla politica dell'innovazione a livello nazionale e comunitario e contribuirà all'innovazione nel settore pubblico. La Commissione e gli Stati membri attueranno una procedura di coordinamento, rafforzeranno l'apprendimento reciproco e la loro cooperazione per sviluppare l'innovazione nell'ambito dell'UE.

IL CAMMINO VERSO LA MONETA UNICA

Crescita stabile e continua degli Stati membri, perseguimento di politiche comuni nei settori chiave dell'economia, realizzazione di un mercato unico europeo: sono questi gli obiettivi fondamentali dell'"Europa a sei" (Belgio, Francia, Repubblica Federale di Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) nata dal Trattato di Roma (1957).

Sebbene sia unanimemente riconosciuto che il perseguimento di questa strada debba necessariamente passare attraverso la realizzazione di una politica monetaria comune (la stabilità dei cambi e dei prezzi interni sono condizioni essenziali per garantire un'evoluzione stabile degli aggregati monetari di tutti gli Stati in linea con gli obiettivi di crescita perseguiti dalla Comunità), il Trattato di Roma lascia gli Stati fondatori della Comunità economica europea privi di una direttiva di fondo.

Lo scarso rilievo assunto dalla "questione monetaria" nel Trattato si spiega con la situazione di stabilità che gli accordi di Bretton Woods del 1944 (parità fissa rispetto al dollaro) assicurano al sistema monetario internazionale. Intorno alla fine degli anni '60 il clima muta radicalmente. I persistenti deficit della bilancia dei pagamenti statunitense, il conseguente indebolimento del dollaro, strumento di pagamento e di riserva internazionale, incrinano il sistema di cambi fissi instaurato a Bretton Woods. A creare maggiore instabilità poi contribuiscono gli attacchi speculativi su alcune monete europee: la sterlina è il primo bersaglio, il franco e il marco quelli successivi.

L'accordo Smithsoniano (1971) prima e il Serpente monetario (1972) dopo rappresentano i tentativi compiuti dalla Cee per contenere i margini di oscillazione delle valute europee fra loro e le rispettive fluttuazioni rispetto al dollaro. Entrambi i sistemi monetari si rivelano inadeguati a garantire la stabilità del sistema monetario.

Nell'aprile del 1978 prende corpo l'iniziativa franco-tedesca (promossa dal cancelliere Helmut Schimidt e dal presidente Giscard d'Estaing) per la creazione di un sistema di cambi europeo. Nel 1979 entra in vigore lo Sme (Sistema monetario europeo) e l'ecu (european currency unit) diventa la moneta unica ufficiale della Comunità economica europea. Il suo valore rappresenta il tasso di cambio di riferimento per le valute di tutti i Paesi aderenti allo Sme.

L'ecu si definisce come un numerario basato su un "paniere di monete" composto da quantità fisse delle monete dei vari Stati membri. La sua composizione è tuttavia soggetta a un riesame periodico ("ogni cinque anni o su richiesta se il peso di una particolare valuta ha subìto variazioni del 25 per cento"). La banda di oscillazione massima per ogni moneta è del 2,25 per cento sopra o sotto il valore dell'ecu. Queste revisioni devono essere accettate da tutti gli Stati membri e non modificare il valore esterno del numerario.

Nel 1985 il Consiglio Europeo rilancia l'integrazione europea attraverso la redazione di un Atto Unico. L'obiettivo è quello di arrivare entro il 1992 alla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali all'interno del Mercato Unico Europeo.

Nel 1989 il rapporto Delors propone la realizzazione dell'Unione Economica e Monetaria (Uem), con la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali e la creazione della Moneta Unica.

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Fino al settembre 1992 lo SME (Sistema monetario europeo) riuscì a realizzare in modo efficace il suo obiettivo principale, che era quello di favorire la crescita dei commerci tra i paesi membri.

Il 7 febbraio 1992 viene firmato il Trattato di Maastricht, che istituisce l’Unione Europea (UE). Essa comprende innanzitutto le tre comunità già esistenti, CECA, Euratom e CEE, che continuano a esistere; quest’ultima, però, con il trattato di Maastricht ha cambiato il suo nome in Comunità Europea (CE), per sottolineare che essa non si occupa più solo di questioni economiche. Tra gli obiettivi fondamentali dell’Unione Europea vi è la realizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM), ossia la gestione delle economie nazionali secondo parametri comuni in modo da poter adottare e utilizzare una moneta unica, l’euro.

Con l’adozione della moneta unica i dodici paesi dell’UEM hanno ceduto all’Unione Europea un’altra importantissima porzione della loro sovranità. Il potere esclusivo di “battere moneta”, infatti, è sempre stato una prerogativa fondamentale degli stati nazionali. Ma il trattato di Maastricht sull’Unione Europea ha posto le basi per una cooperazione più stretta anche in altri settori tradizionalmente gestiti dai singoli stati e non appartenenti alla sfera economica, quali la politica estera, la difesa e la giustizia.

Il 2 maggio del 1998 vi aderiscono Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna. Nel giugno 2000 anche la Grecia è ammessa all'Uem. Restano fuori la Svezia, il Regno Unito e la Danimarca che ha recentemente deciso, con referendum, di non fare parte dell'UEM.

Il 31 dicembre dello stesso anno viene fissato un tasso di conversione fisso ed irrevocabile tra le valute dei Paesi aderenti all'Unione economica e monetaria. Il tasso di cambio lira euro viene fissato a 1936,27 lire.

Il 1° gennaio del 1999 prende avvio l'Uem con l'introduzione dell'euro.

Fino al 31 dicembre del 2001 la moneta unica europea viene utilizzata nelle transazioni bancarie e finanziarie che non richiedono l'impiego di contanti. Il 1° gennaio 2002 le banconote e le monete in Euro entrano definitivamente nei portafogli dei cittadini dell'Unione Europea.

Fino al 28 febbraio l'euro affianca le valute nazionali, ma il 1° marzo banconote e monete dei paesi che hanno adottato la moneta unica cessano di avere corso legale e da allora tutti i pagamenti sono effettuati esclusivamente in euro. Un momento storico, sancito dieci anni prima dal Trattato firmato a Maastricht, che chiude definitivamente secoli di guerre nel Vecchio Continente.

Da quel giorno quasi trecento milioni di cittadini usano la nuova moneta e da Parigi a Francoforte, da Madrid a Roma si compra e si vende utilizzando le stesse banconote. Un qualcosa inimmaginabile solo cinquant'anni fa, quando l'Europa usciva da un doppio conflitto mondiale che aveva portato morte e distruzione ovunque. Il sogno dei grandi padri europei, Alcide De Gasperi , Konrad Adenauer , Robert Schuman , Altiero Spinelli si avvera sotto lo sguardo curioso di migliaia di europei increduli (e in qualche caso un po' spaventati) della novità. Mai, nella storia dell'uomo, era stata fatta una cosa simile e ci si sente partecipi di un evento destinato a segnare il futuro, una rivoluzione soft di abitudini centenarie.

CRITERI DI CONVERGENZA

Al fine di garantire la convergenza durevole che è necessaria per l'instaurazione dell'Unione economica e monetaria (UEM), il trattato ha stabilito cinque criteri di convergenza che devono essere rispettati dagli Stati membri per poter partecipare alla terza fase dell'UEM. Il rispetto dei criteri di convergenza è preso in esame sulla base di relazioni redatte dalla Commissione e dalla Banca centrale europea (BCE), istituita il 1° giugno 1998, con sede a Francoforte, in Germania.

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Si tratta dei seguenti criteri:

il rapporto tra il disavanzo pubblico e il prodotto interno lordo non deve essere superiore al 3%;

il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo non deve essere superiore al 60%;

il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi e un tasso medio d'inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all'esame, non superi di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi;

un tasso d'interesse nominale medio a lungo termine che non abbia ecceduto di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati membri che hanno conseguito il migliore risultato in termini di stabilità dei prezzi;

i margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del sistema monetario europeo debbono essere rispettati, senza gravi tensioni per almeno due anni prima dell'esame.

Attraverso i criteri di convergenza si vuole garantire che lo sviluppo economico nel contesto dell'UEM è equilibrato e non implica tensioni tra gli Stati membri. Merita sottolineare in proposito che i criteri del debito pubblico e del disavanzo pubblico devono continuare ad essere rispettati anche dopo l'entrata in vigore della terza fase dell'UEM (1° gennaio 1999). Un patto di stabilità in merito è stato adottato nel corso del Consiglio europeo di Amsterdam nel giugno 1997. Ad ulteriore garanzia della stabilità dei prezzi e della forza dell'Euro si è inoltre deciso di affidare ad un unico organo la politica monetaria dei paesi aderenti alla moneta unica, è in questo senso che si parla del dominio della BCE in Europa.

IL MERCATO UNICO: ABOLIZIONE DELLE BARRIERE

C'è voluto del tempo prima che gli Stati membri rimuovessero tutte le barriere commerciali esistenti e trasformassero il loro "mercato comune" in un vero e proprio mercato unico in cui venisse garantita la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Il mercato unico è stato formalmente completato alla fine del 1992, nonostante in alcuni settori i lavori non siano ancora ultimati: si pensi, ad esempio, alla creazione di un effettivo mercato unico dei servizi finanziari.

Verso la metà degli anni Ottanta, con la comunità allargata a 12 membri e la crisi economica alle spalle, i governi dei paesi CEE decisero di riprendere il cammino verso una maggiore integrazione. In particolare, con l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo il 1° luglio 1987, decisero di realizzare entro 5 anni il mercato unico, ossia una vera e propria unione economica in cui far circolare liberamente, oltre alle merci, anche le persone, i servizi e i capitali.Il mercato comune istituito nel 1968 aboliva tutti i dazi doganali interni per cui, in teoria, un tostapane prodotto in Belgio poteva già essere venduto in Italia a un prezzo competitivo rispetto ai prodotti nazionali. Prima del mercato unico, però, il parlamento italiano, così come quelli degli altri paesi CEE, era libero di promulgare una legge sulla sicurezza degli elettrodomestici diversa da quella belga. Il fabbricante belga, per poter vendere i suoi prodotti anche in Italia, veniva dunque costretto a modificare i suoi tostapane per renderli conformi alla legge italiana, sostenendo perciò dei costi che finivano per penalizzarlo rispetto ai produttori nazionali.

Dopo l’entrata in vigore del mercato unico, il 1° gennaio 1993, una situazione del genere non ha più potuto verificarsi, perché tutte le barriere che ostacolavano la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, e non più solo quelle doganali, sono state completamente rimosse. Per raggiungere questo risultato, tra il 1987 e il 1993 gli stati membri della CEE hanno lavorato febbrilmente per armonizzare le legislazioni nazionali e darsi, in molti campi, delle regole comuni valide per tutti i cittadini e le imprese della comunità. Le norme sulla sicurezza degli elettrodomestici, tornando al nostro esempio, sono state riscritte dalla CEE e sono identiche in tutti gli stati membri, come dimostra il marchio di

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sicurezza CE (che sta per “Comunità Europea”) impresso o incollato sui vostri telefoni cellulari, sui computer e, naturalmente, sui tostapane!

Durante gli anni '90 inoltre è diventato sempre più facile per le persone circolare liberamente in Europa, grazie all'abolizione dei controlli doganali e dei passaporti presso la maggior parte delle frontiere interne dell'UE. Ciò ha significato, tra l'altro, una maggiore mobilità per i cittadini dell'Unione. Dal 1987, ad esempio, oltre un milione di giovani europei hanno potuto frequentare corsi di studio all'estero grazie al sostegno dell'Unione.

Dal 1° gennaio 1993 l’Europa è così diventata un grande mercato unico, dove per tutti i cittadini-consumatori valgono le stesse regole come in un unico grande paese.

I PROGRAMMI EUROPEI PER I GIOVANI Le iniziative e i programmi comunitari per lo sviluppo della cooperazione, creazione e svilupppo di esperienze e culture per la formazione dei giovani europei sono le seguenti:

a) PROGRAMMA SOCRATESb) PROGRAMMA LEONARDO DA VINCIc) PROGRAMMA GIOVENTU' PER L'EUROPAd) PROGRAMMA TEMPUS

PROGRAMMA SOCRATES

DEFINIZIONE: è un programma unificato europeo nel settore dell'istruzione, si propone di privilegiare la dimensione europea e di migliorare la qualità dell'istruzione incentivando a tal fine la cooperazione fra i paesi partecipanti e comprende tutti gli ordini e gradi d'insegnamento, dalla scuola materna all'istruzione superiore del terzo ciclo.

OBIETTIVI: Il programma integra le iniziative degli Stati membri, nel pieno rispetto delle competenze nazionali in materia di contenuti e d'organizzazione dell'istruzione e nel riconoscimento delle diversità culturali e linguistiche.

DESTINATARI: sono gli Stati membri della Comunità europea, più altri paesi (Islanda, Liechtenstein e Norvegia).A fruire d'un sussidio del programma sono ammessi tutti gli operatori d'istruzione: discenti, docenti ed amministratori

L'attuazione di "Socrates" è di competenza della Commissione europea (DG XXII: Istruzione, formazione professionale e gioventù), assistita dal comitato Socrates, composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto dalla Commissione.Per la realizzazione pratica del programma è stata costituita una serie di agenzie nazionali, cui sono attribuiti determinati compiti: Scelta dei progetti ammessi a contributo nell'ambito di determinate azioni L'assegnazione di borse di studio con gestione dei relativi mezzi finanziari ed esecuzione

dei necessari controlli Funzioni di divulgazione dell'informazione.

Per la presentazione e la selezione delle domande di contributo si applicano procedure diverse a seconda del tipo di iniziativa:

Centralizzata, cioè gestita dalla Commissione europea Decentrata, cioè affidata al agenzie nazionali designate dai paesi partecipanti.

INIZIATIVE PREVISTE: Socrates consta di tre grandi filoni:

1. ERASMUS: insegnamento universitario

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2. COMENIUS: educazione scolastica3. AZIONI TRASVERSALI:

Lingua: diffusione delle lingue e promozione dell'apprendimento linguistico Istruzione aperta ed a distanza Istruzione degli adulti Scambi d'informazioni ed esperienze

PROGRAMMA LEONARDO DA VINCI

DEFINIZIONE: È un programma d'azione con validità quinquennale, col quale ci si propone d'impostare una politica comunitaria della formazione professionale, che appoggi ed integri le iniziative degli Stati membri in questo campo.

OBIETTIVO: è di stimolare negli Stati membri il varo di politiche e d'iniziative innovative per il tramite di cooperazioni transnazionali cui partecipino organismi diversi operanti nel campo della formazione professionale.

DESTINATARI: sono tutti i paesi facenti parte dell'Unione europea, mentre i destinatari finali, sono: Gli apprendisti od i giovani in formazione professionale I giovani lavoratori Gli studenti ed i giovani diplomati I formatori, gli istruttori o gli incaricati della formazione professionale nelle aziende I docenti od i formatori di lingue I responsabili delle scelte politiche a livello locale, regionale o nazionale I sindacati e le associazioni di categoria dei datori di lavoro

Le domande di partecipazione al programma non possono essere presentate da privati a titolo personale, ma solo per il tramite di organismi promotori.

L'attuazione pratica del programma e delle iniziative collegate è affidata alla commissione, assistita da un comitato in cui siedono rappresentanti degli stati membri.Nei paesi partecipanti sono state istituite istanze nazionali di coordinamento, incaricate in particolare delle attività d'informazione e d'assistenza a favore dei promotori potenziali.Sono ammessi al programma gli organismi promotori (imprese ed aziende del settore pubblico e privato, parti sociali, enti ed istituti di formazione, università, enti pubblici ed istituti di ricerca) che s'impegnino a:

Operare nell'ambito degli obiettivi comuni specifici e dichiarati del programma Costituire un'associazione transnazionale che, per i progetti pilota, dovrà riunire

organismi di almeno tre dei paesi partecipanti. Presentare un progetto che rientri in uno dei filoni o delle iniziative espressamente

previste dal programma.

PROGRAMMA GIOVENTU' PER L'EUROPA

DEFINIZIONE: Questo programma comunitario rappresenta uno strumento privilegiato per l'attivazione della cooperazione a favore dei giovani.

OBIETTIVI: Scopo dichiarato del programma, aperto a tutti i giovani indistintamente a prescindere dalla loro partecipazione a strutture d'istruzione o formazione professionale, è quello di creare a favore dei giovani nuove possibilità d'entrare in contatto con l'Europa e di partecipare alla sua costruzione in qualità di cittadini attivi e responsabili. In concreto, il

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programma vuole contribuire all'istruzione e formazione dei giovani mediante attività di scambi sia intra-comunitari che con paesi terzi, stimolare la moltiplicazione dei lavori per i giovani a livello locale e favorire la partecipazione alle attività programmate soprattutto dei giovani più svantaggiati.

DESTINATARI: Il programma è concepito in prima linea per i giovani d'età da 15 a 25 anni, residenti in uno degli Stati membri dell'Unione EuropeaSi accettano proposte di progetti presentate da:

Organizzazioni giovanili Enti o strutture locali, regionali, nazionali od europei (come ad esempio i comuni) Le organizzazioni, governative e non governative, che si occupano dei giovani Raggruppamenti od associazioni di giovani costituiti espressamente per l'attuazione d'un

progetto od organismi operanti nel settore della gioventu' Gioventù per l'Europa" è un programma basato sul principio del decentramento,

operante quindi a diretto contatto dei destinatari e capace d'adattarsi alle diversità dei sistemi e delle realtà nazionali.

In ciascuno Stato partecipante sono in funzione agenzie nazionali, aventi il compito di:

Agevolare e stimolare la partecipazione dei giovani e di altre categorie al programma Verificare la qualità dei progetti presentati Svolgere attività d'informazione e di consulenza.

PROGRAMMA TEMPUS

DEFINIZIONE: E' un programma transeuropeo di cooperazione nel settore dell'insegnamento superiore, ed è inserito nel quadro dei programmi comunitari di sostegno alla riforma economica e sociale dei paesi dell'Europa centro-orientale (PHARE) delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica e della Mongolia (TACIS).

OBIETTIVI: "Tempus", si propone d'aiutare la trasformazione dei sistemi d'istruzione superiore nei paesi partecipanti, al fine del loro adeguamento all'economia di mercato.Il programma designa tre ree prioritarie d'intervento:

Integrazione e ristrutturazione dei programmi di studio nei settori prioritari Riforma delle strutture e degli istituti d'insegnamento universitario e della loro gestione; Potenziamento della formazione qualificante, destinata a supplire alla carenza di

competenze di livello superiore.

DESTINATARI: È aperto a tutti i paesi del gruppo G 24.

La gestione del programma Tempus è affidata all'unità "Cooperazione coi paesi terzi" della DG XXII della Commissione Europea.Nell'attuazione pratica del programma la Commissione è assistita, sul versante tecnico, dal reparto Tempus della Fondazione europea per la formazione professionale, con sede a Torino.

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CONVENZIONE EUROPEA DEI GIOVANI

La “Convenzione sul futuro dell’Europa” è stata convocata dal Consiglio europeo di Laeken il 28 febbraio 2002 con il mandato di tracciare le linee fondamentali della riforma delle istituzioni dell’Unione europea e avanzare una proposta di “Costituzione per i cittadini europei”.

La Convenzione ha lavorato alla redazione di un testo che si propone di definire i valori e gli obiettivi dell’Unione, i diritti e i doveri dei cittadini europei, le competenze e le istituzioni dell’Unione, le linee generali del modello di sviluppo al quale intende ispirarsi.

Da più parti si paragona la Convenzione europea alla Convenzione di Filadelfia e che espresse la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Dal 9 al 12 luglio si è svolta a Bruxelles la Convenzione europea dei giovani, convocata per iniziativa della Convenzione europea sul futuro dell'Unione, che ha riunito nella capitale belga 213 giovani provenienti da 28 Paesi d'Europa, ai quali era stato affidato il compito di discutere e sintetizzare in un documento le attese e le richieste del mondo giovanile ai convenzionali, impegnati a disegnare l'assetto futuro dell'Europa. Ciascun giovane delegato è stato nominato da un membro della Convenzione europea.

In soli quattro giorni, i giovani sono riusciti a trovare un accordo su alcuni punti-chiave della riforma da proporre all'Europa, li hanno precisati in un documento e sono pervenuti ad un voto a maggioranza che ha consentito di presentarlo a Valéry Giscard d'Estaing al termine di questa prima riunione.

La delegazione italiana era composta da nove giovani, tra i quali è stato eletto il Presidente della Convenzione europea dei giovani, Giacomo Filibeck.

La Convenzione italiana dei giovani sull'avvenire dell'Europa (Roma, 10-12 gennaio 2003), nata dall'iniziativa dell'Osservatorio sulla Convenzione europea istituito dal Governo italiano, ha riunito 210 giovani italiani, tra i quali figuravano i rappresentanti di 65 associazioni giovanili, delle consulte studentesche provinciali di tutta Italia, delle principali scuole di specializzazione universitarie e delle Convenzioni locali dei giovani, insieme ad alcuni giovani che si sono candidati attraverso Internet.

Il documento conclusivo, che si articola in un'introduzione, tre capitoli tematici, prodotti da altrettanti gruppi di lavoro (I giovani e l'Europa, Il futuro dell'Unione, L'Europa nel mondo), e una conclusione, è stato adottato con un voto al termine di tre giorni di lavori e presentato solennemente al Ministro per le politiche comunitarie.

La CES (Confederazione Europea dei Sindacati) ha presentato una sua proposta alla Convenzione riguardante la necessità di difendere, nella futura Costituzione europea, il Modello sociale europeo come parte integrante di un modello di sviluppo solidale e ecocompatibile e un governo democratico dell’Unione capace di difendere lo sviluppo, i diritti sociali, l’occupazione e la protezione dell’ambiente.

Anche la Commissione europea, con il voto favorevole del Parlamento europeo, ha avanzato una proposta molto articolata riguardante la riforma delle istituzioni dell’Unione europea, denominata “Progetto Penelope”. In tale progetto il punto focale è quello dell’istituzione di un governo democratico denominato dal Parlamento europeo e dotato di tutto i poteri compresi quelli riguardanti la politica estera, di difesa e di sicurezza dell’Europa.

LAVORARE NELLE ISTITUZIONI EUROPEE

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I funzionari europei sono reclutati mediante concorso. Generalmente, le prove di esame vengono organizzate separatamente da ogni Istituzione. Recentemente, tuttavia, sono stati banditi concorsi interistituzionali, comuni ad alcune o a tutte le Istituzioni comunitarie. I concorsi hanno luogo periodicamente anche se con cadenza irregolare e i bandi vengono inseriti dalle Istituzioni Comunitarie due volte l’anno in un apposito calendario comune. Ogni bando è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee.

Per quanto riguarda i concorsi per la Commissione vi sono 4 livelli, A, B, C, D che si differenziano per il titolo di studio richiesto. Per quanto riguarda i giovani laureati, il grado iniziale è A8, per il quale non è richiesta alcuna esperienza; per A7/6 sono richiesti 3 anni di esperienza di cui 2 nel settore, per A5/A4 12 anni di cui 6 nel settore. Il reclutamento può riguardare profili professionali generici o specialistici. Sono di solito aperti a tutti i cittadini UE e si svolgono nella lingua ufficiale dell’Unione scelta dal candidato.

Eccezionalmente, possono essere banditi concorsi limitati ad una nazionalità (per sopperire a mancanza di personale di quello Stato membro). Anche all’interno dell’Unione Europea, infatti, si cerca di bilanciare la presenza delle differenti nazionalità .

Le tappe della selezione vengono decise di volta in volta: quasi sempre ci sono test preliminari (di cultura generale, attitudinali, linguistici), poi prove scritte (redazionali e/o su dossier) e orali tendenti a valutare, oltre alle competenze settoriali e linguistiche, anche la capacità del candidato a lavorare in ambiente multiculturale. Dal concorso esce una lista di idonei, da cui le Direzioni Generali interessate assumono il personale in relazione a esigenze di servizio e disponibilità di bilancio. Anche presso le Istituzioni Europee, come accade per gli altri Organismi Internazionale, la tendenza è verso la diminuzione dei posti permanenti e l'aumento, invece, degli agenti temporanei.

L’ agente temporaneo

L’agente temporaneo è un funzionario comunitario il cui impiego presso le istituzioni comunitarie non ha carattere permanente. Questo tipo di contratto è riservato a chi già svolga una attività professionale e disponga di particolari competenze in settori specifici.

Esistono due tipi di contratto da “agente temporaneo”: il primo ha una durata di due anni ed è rinnovabile una sola volta. Il secondo tipo di contratto ha invece una durata di cinque anni ed è rinnovabile.

Le istituzioni comunitarie pubblicizzano gli avvisi di vacanza per agenti temporanei attraverso i mezzi di informazione o informando le rappresentanze nazionali presso l’UE, nei quali specificano i requisiti richiesti(titolo di studio, esperienze professionali, conoscenze linguistiche).

Gli stages

Ai giovani laureati è offerta la possibilità di effettuare uno stage (non sempre remunerato) presso la Commissione Europea. Ogni anno sono previste due sessioni, della durata di cinque mesi l’una.

Lo stage non garantisce l’ assunzione in ambito comunitario. Per quanto riguarda la selezione, essa avviene per titoli ed equilibrando la ripartizione geografica dei paesi di provenienza dei candidati. Ai fini della preselezione è data particolare importanza al curriculum accademico dei candidati. Costituiscono importante elemento di valutazione gli studi legati all'integrazione europea e alle attività comunitarie.

Lavorare per la Commissione?

I funzionari della Commissione rispecchiano la varietà culturale dei paesi membri dell'Unione europea. Essi devono sentirsi a proprio agio in un ambiente di lavoro multiculturale e

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multilinguistico, fuori dal proprio paese d'origine. Il personale della Commissione viene assunto in tutti e 25 gli Stati membri.

In linea di massima, il lavoro quotidiano dei funzionari si svolge in tre lingue principali - francese, inglese e tedesco - anche se le proposte legislative formali vengono presentate in tutte le lingue ufficiali.

Di solito, nel corso della sua carriera, un funzionario della Commissione lavora in quattro o cinque diverse direzioni generali. Anche all'interno di una stessa DG si può comunque passare da un settore d'attività a un altro. Esiste però anche la possibilità di rimanere in una DG e perfezionare le proprie conoscenze specialistiche nel settore di attività prescelto.

Per la maggior parte del personale della Commissione la sede di servizio è Bruxelles. Circa 2000 persone lavorano a Lussemburgo e oltre 600 sono sparse per il mondo negli uffici o nelle delegazioni della Commissione, con mansioni diplomatiche, di assistenza tecnica od'informazione.

Il profilo dei candidati

La Commissione ricerca candidati che dispongano di queste doti di impegno e determinazione. Lavorare in una struttura multilinguistica e multiculturale è comunque assai impegnativo di per sé.Se ai candidati si chiede molto, ai laureati di concorso viene però offerto un lavoro gratificante e vario, con prospettive di carriera, retribuzione e condizioni di lavoro molto interessanti.Il livello delle prove di selezione è elevato, ma regolarmente migliaia di giovani in tutta l'Unione partecipano ai concorsi. Solo un numero ristretto di candidati estremamente preparati viene però dichiarato idoneo.Tutti i candidati devono avere la cittadinanza di uno degli Stati membri. Il loro profilo varia a seconda della categoria per la quale concorrono. Una tabella offre una visione d'insieme dei livelli di formazione e di qualifica richiesti per le singole categorie A, B, C e D.I candidati a un posto di categoria A presso la Commissione devono essere soprattutto dotati di spirito d'iniziativa, inventiva, capacità di gestire personale e risorse. Ai nuovi assunti si aprono prospettive di carriera stimolanti. La massima parte dei posti di lavoro proposti a un giovane laureato riguardano compiti amministrativi e di gestione in senso lato e molti posti sono accessibili ai laureati di qualunque disciplina.Un funzionario può lavorare alla definizione della legislazione sull'ambiente, in negoziati con un paese terzo o contribuire a gestire la politica agricola comune. L'estrema diversificazione delle attività della Commissione, oltre alle dimensioni relativamente ridotte dell'istituzione, permettono di accedere assai rapidamente a un livello elevato di responsabilità e fare una carriera stimolante. Tutti i titolari di un diploma universitario possono concorrere per essere assunti alla Commissione per i posti di categoria A, sia senza esperienza professionale (gradoA8) sia con un'esperienza di almeno due anni (grado A7/6). Per la partecipazione ad alcuni concorsi A7/A6 ai candidati può essere richiesto un diploma specifico, ad esempio in giurisprudenza, economia e commercio o statistica, nonché un'esperienza professionale corrispondente.I candidati a posti di categoria B devono aver compiuto studi secondari superiori e aver conseguito un diploma di maturità. Essi devono avere inoltre almeno due anni di esperienza professionale in un settore avente attinenza con le funzioni alle quali si candidano. I concorsi vengono banditi per settori molto diversi ma in alcuni casi la Commissione organizza concorsi più generali. I funzionari di categoria B svolgono mansioni di tipo sostanzialmente esecutivo e prendono parte a tutti i campi d'attività dell'UE.I funzionari di categoria B possono contribuire all'attuazione delle politiche in settori qualil'ambiente, le relazioni esterne, l'amministrazione doganale, gli affari fiscali o le operazioni del Fondo sociale europeo o del Fondo europeo di sviluppo regionale. Essi possono svolgere altresì un ruolo importante nell'amministrazione interna della Commissione, in particolare inmateria di bilancio e in campo finanziario, ovvero nella gestione del personale, nell'informatica o nella documentazione.Ai funzionari di categoria C in linea di massima vengono affidati quei compiti di segreteria che permettono il buon funzionamento di un'unità amministrativa. I candidati devono

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disporre di una formazione di livello secondario e aver conseguito il diploma corrispondente. Essi devono altresì avere almeno due anni di esperienza professionale (che può eventualmente consistere anche in una formazione specializzata).I funzionari di categoria D, svolgono lavori manuali o di servizio, e comprendono in particolare gli uscieri, gli autisti, il personale della tipografia e gli addetti ai servizi di ristoro. Per essere ammessi al concorso, i candidati devono aver frequentato la scuola dell'obbligo ed essere inpossesso del relativo attestato.

Oltre alla perfetta padronanza di una delle lingue ufficiali dell'Unione europea (di solito la madrelingua), la Commissione esige una conoscenza soddisfacente di una seconda lingua ufficiale dell'Unione europea. Essa non cerca però di assumere i propri funzionari sulla base dei loro talenti linguistici. Non è richiesto un diploma per la seconda lingua e neppure la capacità di esprimersi con scioltezza in una lingua estera. Dopo l'assunzione, i funzionari possono beneficiare di una formazione linguistica.

La conoscenza delle lingue è invece ovviamente il criterio essenziale nei concorsi per l'assunzione di traduttori e interpreti. In questo caso i candidati devono fornire la prova di possedere qualifiche specifiche in campo linguistico. Le informazioni relative a una carriera di traduttore o interprete possono essere richieste presso il Servizio di traduzione e il Servizio comune interpretazione-conferenze.

I concorsi

I concorsi generali programmati, che sono oggetto di un calendario provvisorio, vengono resi noti, a tempo debito a mezzo stampa e in seguito pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. Per ogni concorso generale la Gazzetta ufficiale specifica le condizioni e i requisiti per l'ammissione, nonché il numero previsto di posti disponibili; essa fornisce altresì informazioni relative allo svolgimento del concorso e infine il modulo dell'atto di candidatura da usare obbligatoriamente per partecipare al concorso.

I concorsi si svolgono generalmente in tre fasi per tutte le categorie (A, B, C e D). I candidati devono superare ognuna di esse per poter passarea quella successiva. La prima fase consiste in prove di selezione preliminare. La seconda fase consiste in prove scritte. Di solito, questeprime due fasi si svolgono in diverse località degli Stati membri. La terza fase invece, che è un esame orale, si svolge generalmente a Bruxelles. (Per le procedure relative alla categoria LA, le informazioni possono essere ottenute presso il Servizio di traduzione e il Servizio comuneinterpretazione-conferenze.

Il processo di selezione dei candidati avviene rigorosamente in base al merito.

Posti temporanei

Accanto alle assunzioni per concorso di personale in pianta stabile, la Commissione assume un numero limitato di agenti temporanei specializzati, in base a contratti di breve durata, soprattutto nelle categorie A e B. Sbocchi di questo tipo possono presentarsi in qualsiasi settore d'attività della Commissione, ma le procedure di assunzione differiscono da quelle normali dei concorsi. I bandi de concorso per questi posti vengono pubblicizzati attraverso la stampa.

Il personale di ricerca

Alla Commissione lavorano circa 3500 persone che partecipano alle attività di ricerca e sviluppo, prevalentemente nell'ambito di vari programmi-quadro.Circa 2000 agenti specializzati lavorano nei diversi complessi del Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione, ubicati in Italia (Ispra), in Germania (Karlsruhe), in Spagna (Siviglia), nei Paesi Bassi (Petten) e in Belgio (Geel). Le loro specializzazioni vertono su settori come i materiali di punta, l'ambiente, le tecniche di comunicazione, le applicazioni di telerilevamento, la tecnologia della sicurezza, ecc. Si tratta di esperti scientifici, ingegneri e

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tecnici di laboratorio, nonché di personale tecnico ed esecutivo incaricato della manutenzione e dei trasporti.Oltre al personale del CCR, circa 1500 persone lavorano a Bruxelles alla preparazione di vari progetti da porre in essere nell'ambito dei programmi-quadro dell'UE. Esercitano un controllo sui progetti cofinanziati dal bilancio dell'UE e hanno inoltre il compito di diffondere e valutare i risultati ottenuti.Il personale di ricerca, che deve dimostrare di possedere conoscenze tecniche specialistiche in determinati campi della ricerca e dello sviluppo, forma oggetto di procedure distinte di assunzione. Gli addetti alla ricerca (soprattutto nella categoria A, ma anche nelle altre) di solito vengono assunti in base a contratti a durata determinata di agenti temporanei. Per maggiori ragguagli sulle possibilità di assunzione in questo campo rivolgersi all'Unità ricerca e sviluppo.

GUIDA PER LE ELEZIONI EUROPEE

I deputati europei, che rappresentano i cittadini europei nel processo di decisione comunitario, sono eletti per 5 anni a suffragio universale diretto fin dal giugno 1979. In mancanza di un sistema elettorale comune, le elezioni europee si svolgono conformemente alle legislazioni elettorali nazionali.

Per la prima volta, i cittadini di 10 nuovi stati membri parteciperanno alle elezioni europee del giugno 2004.

Condizioni Di Voto

In tutti gli Stati, l’età elettorale è fissata a 18 anni. Il voto è obbligatorio in Belgio, in Grecia e in Lussemburgo per tutti gli elettori inscritti sulle liste elettorali. In Italia il voto , benché non obbligatorio, è considerato come un “dovere civico”.

In alcuni paesi europei esistono delle facilitazioni di voto : - gli elettori finlandesi possono votare in anticipo presso gli uffici postali o presso gli ospedali;

- i cittadini britannici residenti in un altro Stato conservano ugualmente il diritto di votare nel loro paese se sono funzionari, membri delle forze armate, o se hanno lasciato il paese da meno di 5 anni : ad essi viene allora richiesto di fare una dichiarazione di eleggibilità.

- - in Belgio, il voto è automatizzato.

Tutti, eccetto gli Irlandesi, i Maltesi e i Francesi, possono votare all’estero per una lista del loro paese d’origine, per corrispondenza o tramite il Consolato del loro paese .

La nozione di residenza richiesta affinché un cittadino europeo vivente in un altro paese dell’Unione europea (UE), possa votare per il suo paese differisce da un paese all’altro (per esempio, la durata minima di residenza è di tre mesi in Svezia e di 5 anni in Lussemburgo ; in Austria, nel Regno Unito o nei Paesi Bassi, per esempio, è necessario essere inscritto sul registro della popolazione ; in Slovenia il voto è aperto ai cittadini slovacchi che non hanno la residenza permanente sul territorio slovacco né sul territorio di altri paesi membri dell’UE, se essi dimorano in Slovacchia il giorno delle elezioni.

I cittadini europei votano in giorni differenti. Le elezioni del 2004 si svolgeranno il 13 giugno in Italia e per tutti gli altri, eccetto: il 10 giugno in Danimarca e nel Regno Unito, l’11 giugno in Irlanda, il 12 giugno in Ungheria, in Lettonia e a Malta, l’11 e il 12 giugno nella Repubblica ceca e Slovacchia ed il 12 e 13 giugno in Lituania..

Condizioni Di Eleggibilità

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Per essere eleggibili, occorre in tutti i paesi dell’UE, avere la nazionalità di uno Stato membro e il pieno godimento dei propri diritti elettorali. Le altre condizioni d’eleggibilità variano da un sistema elettorale all’altro. Non esiste, per le elezioni europee nessuna regola comunitaria particolare (ad eccezione di quelle inerenti la limitazione dei costi della campagna elettorale). In molti Stati , nessuna data ufficiale è fissata per l’apertura della campagna elettorale: i diversi partiti si accordano tra di loro.

L’età richiesta è solitamente di 18 anni (Germania, Danimarca, Spagna, Finlandia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Slovenia, Malta). E’ di 19 anni in Austria, di 21 anni in Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Regno Unito, Slovacchia, Lituania, Estonia, Lettonia, di 23 anni in Francia e di 25 anni in Grecia e in Italia.

Il Lussemburgo richiede come condizione di candidatura alle elezioni un minimo di 10 anni di residenza sul territorio lussemburghese durante i 12 anni precedenti le elezioni. In Slovenia, i cittadini non sloveni devono unire una dichiarazione alla lista attestante la loro cittadinanza e l’indirizzo della loro residenza permanente in Slovenia. I candidati devono , ugualmente, dichiarare che essi non si presentano alle elezioni europee in un altro Stato membro.

In 6 Stati (Germania, Danimarca, Grecia. Paesi Bassi, Svezia e Slovacchia), solo i partiti e le organizzazioni assimilabili a partiti possono depositare la loro candidatura. Negli altri stati, le candidature non possono essere depositate se non raccolgono un certo numero di firme o se non raggruppano un certo numero di elettori. In Grecia, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Slovacchia, è richiesto il versamento di una cauzione. In Austria, ciascuna lista deve pagare le spese di stampa delle schede elettorali. La data limite di deposito delle candidature variano da 2 a 6 settimane prima del giorno di scrutinio.

La possibilità di effettuare dei sondaggi varia da un sistema elettorale all’altro (in Irlanda, in Germania, in Austria ed in Grecia, la pubblicazione dei sondaggi è vietata il giorno stesso dello scrutinio).

La Divisione In Circoscrizioni

Negli 11 Stati membri (Austria, Danimarca, Spagna, Estonia, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Malta, Slovacchia), il territorio nazionale costituisce una sola ed unica circoscrizione. La Lituania è ripartita in più circoscrizioni, le quali non possono comprendere più di 5000 elettori. Il Belgio conta 4 circoscrizioni, l’Irlanda 4, il Regno Unito 11 regioni, l’Italia 5 regioni e la Grecia 56. In Germania, i partiti possono presentare i loro candidati a livello di un Land, di più Länder o a livello nazionale.

Le Modalità Di Scrutinio E La Ripartizione Dei Seggi

Tutti i paesi applicano il sistema della rappresentazione proporzionale. Il panachage o il voto preferenziale per uno o più candidati è permesso in 10 paesi. Gli altri (Germania, Spagna, Francia, Grecia, Portogallo e Regno Unito) applicano un sistema di liste bloccato.

La verifica degli scrutini è svolta dal Parlamento (Danimarca, Lussemburgo), o tramite un’istanza giurisdizionale (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Italia, Irlanda, Lituania, Regno Unito), sia per entrambe (Germania). In Portogallo e in Svezia, è stata creata una commissione di verifica. In Grecia, una Corte suprema speciale verifica i voti. In Slovacchia, la verifica degli scrutini è svolta dal Comitato elettorale centrale che presiede i comitati elettorali dipartimentali e regionali sparsi sul territorio.

Verso Una Procedura Unica

Il Trattato di Roma del 1957 previde già una procedura uniforme per l’elezione dei parlamentari europei, facendo del Parlamento europeo una vera istituzione autonoma rappresentante direttamente i popoli europei. Il Trattato di Amsterdam ha introdotto la possibilità che in mancanza di una procedura uniforme ci si accontenta di "principi comuni".

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Nel maggio 1998, il Parlamento europeo ha fatto diverse proposte : l'obiettivo di parità tra uomini–donne sulle liste, un’incompatibilità tra i mandati di deputato europeo e di parlamentare nazionale, la divisione obbligatoria in circoscrizioni per i 5 più grandi Stati (Germania, Spagna, Francia, Italia, Regno Unito) per permettere un miglioramento dei contatti tra elettori e deputati e la costituzione di liste transnazionali a livello europeo per il 20% dei seggi.

IL PROBLEMA DELLA DISOCCUPAZIONE

Nel gennaio 2000, secondo Eurostat, il tasso di disoccupazione medio dell'Unione europea era del 9 per cento, in tutto circa 15,5 milioni di persone, rispetto ai diciotto milioni del 1997. La riduzione del fenomeno, tuttavia, non allevia la sua gravità, anche perché forte è la disparità tra le aree più progredite e quelle dove la disoccupazione strutturale cresce e crea sacche di povertà cronica.

Dal 1997, l'Unione europea ha tracciato percorsi di coordinamento delle politiche nazionali nei Consigli di Lussemburgo, Cardiff e Colonia, Lisbona, mentre il Trattato di Amsterdam, ratificato nel '99, esprimeva chiaramente la volontà politica di promuovere l'occupazione come una "questione d'interesse comune". L'adozione di piani nazionali d'azione (Pna), elaborati dagli Stati membri e poi sottoposti all'esame della Commissione, hanno posto le basi di una concreta azione di coordinamento, ma c'è ancora molto bisogno di riforme e iniziative mirate e comuni.

Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona, nel marzo 2000, si è chiuso con la conferma della validità del modello sociale europeo, ma anche con la raccomandazione di intensificare i programmi comuni per la formazione, la ricerca, la semplificazione amministrativa, l'integrazione sociale e la mobilità dei cittadini comunitari nello spazio dell'Unione. Sono capitoli ineludibili, perché la globalizzazione costringe l'Europa a maturare un proficuo spirito d'impresa e a sostenere la concorrenza sempre più agguerrita nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

Strettamente legata al problema occupazionale è la questione fiscale, che pesa sul mercato del lavoro con la mancanza di una politica comune per la tassazione delle imprese, dei capitali e il costo della manodopera.

L'IMMIGRAZIONE

Gli accesi dibattiti che nei Paesi europei contrappongono gli schieramenti politici sul tema dell'immigrazione, soprattutto quella dei cittadini extracomunitari, dimostrano la difficoltà dei governi nazionali ad affrontare una materia così complessa e delicata.

La creazione di uno "spazio di libertà, sicurezza e giustizia" è un dei tasselli fondamentali per l'edificazione dell'Europa del futuro. Nel 1999, i Trattati di Amsterdam e di Tampere hanno confermato questo ambizioso obiettivo e la volontà di perseguirlo, nonostante i molti ostacoli in campo. Primo fra tutti, la criminalità importata attraverso l'immigrazione clandestina; ma anche il disordine pubblico e i disagi provocati dai milioni di disperati che dai Paesi più poveri, soprattutto dell'Est, si spostano in cerca di lavoro negli Stati più ricchi. Non ultima, l'ondata xenofoba e razzista che da alcuni anni sta montando in alcuni Stati membri, con gravi fenomeni di intolleranza e violenza.

La creazione di un mercato economico europeo, ha comportato l'abbattimento delle frontiere fra gli Stati per favorire la circolazione di merci, capitali e servizi e persone. Ma l'eliminazione di filtri di controllo non deve essere a discapito della sicurezza e la serenità dei cittadini, che guardano con crescente apprensione il dilagare dei traffici della droga, della prostituzione, anche infantile, e del commercio di organi.

La cooperazione tra i partner europei in materia di Giustizia e affari sociali (Gai) coinvolge i ministeri della Giustizia e quelli dell'Interno in un'azione coordinata per le questioni che

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attengono la libera circolazione delle persone, l'emigrazione, l'asilo, i permessi, i casi di responsabilità civile e penale degli immigrati.

Fin ora, la difficoltà di conciliare la cultura politica, giuridica e dei sistemi amministrativi dei singoli Stati ha ritardato l'attuazione di un sistema di regole unico e condiviso da tutti.

Tuttavia, sono stati fatti molti passi avanti, a partire dal 1996 quando è stato istituito un gruppo di esperti per mettere a punto un programma di azione per la prevenzione e la repressione della criminalità organizzata, attraverso le polizie e le amministrazioni giudiziarie e doganali dei Quindici.Tre anni dopo, veniva istituito l'Ufficio europeo di polizia (Europol) con sede all'Aja nei Paesi Bassi, per la cooperazione delle polizie nazionali e la raccolta, lo scambio e l'analisi di informazioni su scala europea.

In assenza di barriere interne, ogni Stato che sorveglia i propri confini con un territorio extracomunitario, è responsabile anche nei confronti degli altri partner dell'Unione, che possono essere raggiunti dagli immigrati attraversando il Paese d'ingresso. Per questo è indispensabile rafforzare il controllo delle frontiere esterne. Alcuni capi di governo hanno proposto di presidiare i confini con le forze multinazionali, e di istituire una intelligence comune, una sorta di Fbi europeo, per la sorveglianza dei confini esterni.

Lo scorso aprile 2001 la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva che stabilisce norme minime per l'accoglienza di chi richiede asilo. Tutti gli Stati sono tenuti a garantire un tenore di vita dignitoso ai richiedenti e a fornire sostegno ai più bisognosi, mentre un sistema reciproco di controlli garantirà che ognuno assolva a questi compiti.

Sono disposizioni in linea con il Programma di azione comunitaria di lotta contro la discriminazione, che impegna l'Unione europea, per il quinquennio 2001-2006, a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l'origine etnica, la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

La cooperazione tra i Quindici per limitare i pericoli legati alla libera circolazione delle persone dovrà assumere forme di responsabilità collettiva sempre più consapevoli e impegnative. Ma certo le istituzioni comunitarie non potranno intervenire con azioni di prevenzione o repressione senza tenere fede ai principi di democrazia, tolleranza, libertà e rispetto delle minoranze che, all'indomani del secondo conflitto mondiale, ispirarono i padri fondatori dell'Europa unita.

COMPETENZE COMUNITARIE INTERNE

Le competenze comunitarie sono competenze specifiche, cioè competenze attribuite in settori determinati. Pertanto le attività del Unione europea sono disciplinate dai trattati. A seconda del sistema d'attribuzione, vi sono tre tipi di competenze diverse:

Le competenze esplicite che sono chiaramente indicate negli articoli specifici dei trattati. Le competenze implicite: quando l'Unione europea ha una competenza esplicita in una

politica (per es.: trasporti), possiede anche una competenza in materia di relazioni esterne in questo settore (per es.: negoziazione di accordi internazionali).

Le competenze sussidiarie: quando manca una competenza esplicita o implicita per raggiungere uno degli obiettivi del trattato connessi al mercato unico, l'articolo 308 del trattato che istituisce la Comunità europea dà al Consiglio la possibilità di adottare all'unanimità le misure che esso ritiene utili

Ad esse vanno aggiunte le competenze esterne dell'Unione europea.

COMPETENZE ESTERNE DELL'UNIONE EUROPEA

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Le competenze esterne della Comunità europea si definiscono in funzione della loro ripartizione tra la Comunità e gli Stati membri. Sono dette "esclusive" quando sono integralmente esercitate dalla Comunità (politica agricola comune) e "miste" quando sono esercitate insieme con gli Stati membri (esempio: politica dei trasporti). Questa tipologia è stata messa a punto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e si basa sulla teoria delle competenze implicite, secondo cui la competenza esterna discende dall'esistenza di una competenza sul piano interno. In realtà, il trattato istitutivo della Comunità europea ha esplicitamente attribuito delle competenze esterne alla Comunità soltanto in due casi: la politica commerciale (articolo 133, ex articolo 113) e gli accordi di associazione (articolo 310, ex articolo 238). Sottolineiamo che la politica estera e di sicurezza comune rientra nelle relazioni esterne dell'Unione europea, rette dal metodo intergovernativo (secondo pilastro) e non nella sfera delle competenze esterne dell'Unione europea. Lo sviluppo delle attività comunitarie (esempio: perfezionamento del mercato interno), l'evoluzione del commercio mondiale, nonché una giurisprudenza più sfumata, hanno reso più difficile l'esercizio delle competenze esterne proprio nel momento in cui acquista maggiore rilevanza il dovere di cooperazione e di coordinamento in nome dell'unità della rappresentanza internazionale. Affinché l'Unione possa adeguarsi alla radicale evoluzione delle strutture dell'economia mondiale e tener conto al tempo stesso delle ampie responsabilità concesse all'Organizzazione mondiale del commercio, il trattato di Amsterdam ha modificato l'articolo 133 del trattato istitutivo della Comunità europea nel senso che il Consiglio, deliberando all'unanimità, di estendere l'applicazione della politica commerciale comune ai negoziati ed agli accordi internazionali in materia di servizi e di diritti di proprietà intellettuale.

COMPETENZE SUSSIDIARIE

L'articolo 308 (ex articolo 235) del trattato che istituisce la Comunità europea riflette l'idea degli estensori del trattato di Roma secondo la quale i poteri conferiti sotto forma di attribuzioni specifiche (competenza funzionale) potrebbero rivelarsi insufficienti per conseguire obiettivi espressamente assegnati dagli stessi trattati (competenza materiale). Con tale articolo si viene a colmare questa lacuna in quanto si stabilisce che "quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso". Dal momento che questa disposizione riserva al Parlamento europeo un ruolo puramente consultivo che non tiene conto degli attuali poteri legislativi di tale istituzione, la sua applicazione abusiva potrebbe mettere in pericolo l'equilibrio istituzionale. Onde evitare che ciò si verifichi, l'utilizzazione dell'articolo 308 come base giuridica è spesso accompagnata da altri articoli del trattato che attribuiscono un ruolo legislativo più importante al Parlamento europeo.

LE ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA

Il sistema istituzionale dell’UE è composto da un lato, dal Consiglio europeo, e dall’altro dalle cinque istituzioni della CE (art. 4 Trattato UE; artt. 189-248 Trattato CE):

Il Parlamento europeo (eletto dai cittadini degli Stati membri)

Il Consiglio dell'Unione europea che rappresenta i governi degli Stati membri,

La Commissione europea (organo esecutivo e titolare del diritto d’iniziativa legislativa),

La Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado (che garantiscono il rispetto del diritto),

La Corte dei conti (che controlla la gestione finanziaria dell’Unione)

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Il sistema istituzionale dell’Unione europea ha anche altri organi: Il Comitato economico e sociale europeo e

Il Comitato delle regioni (organi consultivi che rappresentano le diverse categorie della vita economica e sociale e delle regioni dell’UE),

La Banca europea per gli investimenti (l’istituzione finanziaria dell’UE),

La Banca centrale europea (responsabile della politica monetaria della zona euro).

Inoltre il Trattato sull’Unione europea ha istituito la figura del Mediatore europeo (abilitato a ricevere le denunce dei cittadini dell’Unione nei casi di cattiva amministrazione comunitaria), nominato dal Parlamento.

L’ORDINAMENTO GIURIDICO COMUNITARIO

I valori di base della costituzione dell’UE possono essere tradotti ed applicati nella realtà solo attraverso il diritto comunitario. Per questo motivo, l’UE è un fenomeno giuridico sotto due punti di vista: essa è una creazione del diritto ed una Comunità in forza di tale diritto. L’ordinamento giuridico costituisce il vero fondamento della Comunità e le conferisce il carattere di comunità del diritto. Solo la creazione e la salvaguardia di un nuovo diritto consentiranno di realizzare gli obiettivi perseguiti con l’istituzione della Comunità. In tal senso l’ordinamento giuridico della Comunità ha già dato un notevole contributo, eliminando sostanzialmente le barriere fra gli Stati membri, incrementando sensibilmente gli scambi di beni e servizi, favorendo la libera circolazione dei lavoratori e gli scambi interindustriali transnazionali. Oggi il mercato comune è una realtà che interessa circa 480 milioni di persone. Un’altra caratteristica già storica dell’ordinamento comunitario è la sua funzione di garante della pace. Ispirato dall’obiettivo di conservare la pace e la libertà, esso si sostituisce alla forza, come mezzo per risolvere i conflitti con norme di diritto che riuniscono sia i singoli cittadini che gli Stati membri in una comunità solidale. L’ordinamento giuridico della Comunità diviene così un importante strumento per la salvaguardia della pace. Perché tale ordinamento giuridico possa sopravvivere — come pure la comunità del diritto da esso retta — bisogna che ne siano garantiti il rispetto e la sicurezza. A ciò contribuiscono i due pilastri fondamentali dell’ordinamento giuridico della Comunità, vale a dire, l’applicabilità diretta e la preminenza del diritto comunitario. L’esistenza e il mantenimento di entrambi i principi, sostenuti con fermezza dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, garantiscono l’applicazione uniforme e prioritaria del diritto comunitario in tutti i paesi membri. Nonostante le lacune che lo contraddistinguono, l’ordinamento giuridico della Comunità può contribuire a risolvere problemi politici, economi e sociali che si pongono agli Stati membri. In tale ottica il suo valore è da considerare inestimabile.

I TRATTATI Il processo di integrazione europea ha come fondamento quattro trattati istitutivi:

Il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA),

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firmato il 18 aprile 1951 a Parigi, entrato in vigore il 23 luglio 1952, è scaduto il 23 luglio 2002;

Il trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE);in seguito alle modifiche apportate dai trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza, tale trattato è ora chiamato Trattato CE

Il Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom),firmato insieme al Trattato CEE a Roma il 25 marzo 1957, ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958. Questi trattati sono spesso indicati come "Trattati di Roma". Con il termine "Trattato di Roma" al singolare si fa riferimento unicamente al Trattato CEE

Il Trattato sull'Unione europea,firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ed entrato in vigore il 1° novembre 1993. Il trattato di Maastricht ha cambiato la denominazione della Comunità economica europea in, semplicemente, "Comunità europea". Ha inoltre introdotto nuove forme di cooperazione fra i governi degli Stati membri - ad esempio nel settore della difesa e in quello della "Giustizia e affari interni". Aggiungendo questa cooperazione intergovernativa al sistema "comunitario" esistente, il trattato di Maastricht ha creato una nuova struttura a tre "pilastri" che è politica così come economica: si tratta dell'Unione europea (UE).

I trattati istitutivi sono stati modificati più volte, ad esempio in occasione dell'entrata di nuovi Stati membri nel 1973 (Danimarca, Irlanda, Regno Unito), nel 1981 (Grecia), nel 1986 (Spagna, Portogallo) e nel 1995 (Austria, Finlandia, Svezia).

Sono state effettuate anche altre riforme di vasta portata implicanti cambiamenti istituzionali significativi e che hanno introdotto nuove aree di competenza delle istituzioni europee: Trattato che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunità

europee (cosiddetto Trattato di fusione degli esecutivi),firmato a Bruxelles l'8 aprile 1965 ed in vigore dal 1° luglio 1967, ha istituito un Consiglio unico e una Commissione unica delle allora tre Comunità europee

L' Atto unico europeo (AUE),firmato a Lussemburgo e all'Aia, entrato in vigore il 1° luglio 1987, ha disposto gli adattamenti richiesti per completare il mercato interno.

Il Trattato di Amsterdam , firmato il 2 ottobre 1997, ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha emendato i trattati UE e CE e ha introdotto un sistema di numerazione per gli articoli del trattato UE (precedentemente designati con delle lettere).

Il Trattato di Nizza,sottoscritto il 26 febbraio 2001, ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003, ha ulteriormente modificato i trattati UE e CE apportando cambiamenti a livello del funzionamento delle istituzioni dell'UE e introducendo come regola generale, al posto del voto all'unanimità, il voto a maggioranza qualificata per molti settori del processo decisionale dell'UE.

Ulteriori modifiche saranno apportate ai trattati in seguito all'approvazione del Trattato Costituzionale con le opportune modifiche rese necessarie per far accettare a tutti gli stati il testo costituzionale stilato dalla convenzione sul futuro dell'Europa e in base al trattato di adesione di 10 nuovi Stati firmato il 16 aprile 2003 e in vigore dal 1° maggio 2004.

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IL TRIANGOLO ISTITUZIONALE

Il Consiglio dell'Unione europea, il Parlamento europeo e la Commissione europea costituiscono il cosiddetto 'triangolo istituzionale' comunitario all'interno del quale si sviluppa, secondo quanto stabilito dai Trattati, il processo legislativo e decisionale dell'Ue. Un processo attraverso il quale l'Unione interviene sulle materie che rientrano tra le competenze indicate dai Trattati e sempre nel rispetto del principio della sussidiarietà, cioè facendo a livello comunitario solo quello che non può essere adeguatamente realizzato a livello di singoli Stati membri.

Solo la Commissione ha il potere di iniziativa legislativa. Ogni sua proposta deve però passare al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue per essere trasformata in ‘legge’.

Per decidere un’azione comunitaria sul piano legislativo si seguono principalmente quattro procedure: codecisione, consultazione, parere conforme e cooperazione.

PATTO DI STABILITÀ E DI CRESCITA

Il patto di stabilità e di crescita si inserisce nel contesto della terza fase dell'Unione economica e monetaria (UEM) iniziata il 1° gennaio 1999. L'obiettivo è di garantire che anche una volta introdotta la moneta unica venga mantenuta la disciplina seguita dagli Stati membri in materia di bilancio e di prevenire un disavanzo di bilancio eccessivo nella zona dell’Euro.

Il patto è destinato a garantire una gestione efficace della finanza pubblica nell’area nella Moneta Unica con lo scopo di evitare che la politica deficitaria di uno Stato membro penalizzi la stabilità economica di tutta la zona.

Concretamente, il patto di stabilità e di crescita è costituito da un pacchetto di provvedimenti tra cui la risoluzione del Consiglio europeo adottata ad Amsterdam il 17 giugno 1997 e due regolamenti del Consiglio del 7 luglio 1997, che ne precisano le modalità tecniche (sorveglianza delle voci di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche; avvio della procedura relativa ai disavanzi eccessivi).

A medio termine gli Stati membri si sono impegnati a che il loro bilancio rispettivo sia in una posizione vicina all'equilibrio. A tal fine presenteranno al Consiglio e alla Commissione un programma di stabilità entro il 1° marzo 1999 (programma che sarà aggiornato annualmente). Gli Stati che non parteciperanno alla terza fase dell'UEM devono presentare un programma di convergenza.

L’attuazione del patto prevede due fasi essenziali: la vigilanza multilaterale dei bilanci e la procedura di disavanzo eccessivo. La prima fase dispone che gli Stati dell’area Euro presentino un programma di stabilità in cui figurino gli obbiettivi dei conti pubblici. Qualsiasi peggioramento della condizione delle finanze pubbliche può quindi essere oggetto di un intervento del Consiglio. Se uno Stato supera la soglia di disavanzo stabilita (3% del PIL) il Consiglio, dopo aver inviato un avviso (Warning) allo Stato, può adottare la procedura di disavanzo eccessivo e cioè elevare sanzioni contro tale paese per un totale complessivo che può arrivare fino allo 0,5% del suo PIL.

Il patto di stabilità e di crescita conferisce al Consiglio la facoltà di sanzionare lo Stato membro partecipante che si astenga dal prendere i provvedimenti necessari per risanare una situazione di deficit eccessivo. In un primo tempo la sanzione avrà la forma di deposito senza interessi presso la Comunità, ma, in un secondo tempo essa, potrà essere convertita in ammenda ove il deficit eccessivo non venga corretto entro i due anni successivi.

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LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA

A seguito del 50° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, celebrato nel dicembre 1998, il Consiglio europeo di Colonia (3-4 giugno 1999) decise di avviare i lavori per la redazione di una Carta dei diritti fondamentali. Si voleva in tal modo raccogliere in un unico testo i diritti fondamentali in vigore a livello dell'Unione, in modo da conferire loro maggiore visibilità. La Carta si basa sui trattati comunitari, sulle convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 e la Carta sociale europea del 1989, sulle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, nonché sulle varie dichiarazioni del Parlamento europeo. L'elaborazione venne affidata ad una speciale assemblea - che decise di darsi il nome di Convenzione - composta da 62 membri, tra cui i rappresentanti dei governi degli Stati membri, del presidente della Commissione europea, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Poterono assistere ai lavori anche quattro osservatori in rappresentanza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), del Consiglio d'Europa e della Corte europea dei diritti dell'uomo. La composizione, le modalità pratiche e il metodo di lavoro della Convenzione vennero decisi in occasione del Consiglio europeo di Tampere (15-16 ottobre 1999). I lavori ebbero inizio il 17 dicembre 1999. Il Comitato economico e sociale, il Comitato delle Regioni, il mediatore europeo, i paesi candidati all'adesione nonché tutte le altre istanze, gruppi sociali o esperti, furono invitati a contribuire alle deliberazioni. L'obiettivo era giungere ad un consenso. Il risultato dei lavori venne presentato in occasione del Consiglio europeo di Biarritz (13-14 ottobre 2000). Con i suoi 54 articoli raccolti in sette Capi, la Carta sancisce i diritti fondamentali in materia di dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. La Carta, approvata dal Parlamento europeo il 14 Novembre 2000 e dalla Commissione il 6 dicembre 2000, venne solennemente proclamata in occasione del Consiglio europeo di Nizza (710 dicembre 2000). La Conferenza intergovernativa (CIG), conclusasi in occasione dello stesso Consiglio europeo, non riuscì a raggiungere un accordo sull'integrazione della Carta nei trattati, in modo da renderla giuridicamente vincolante. La Corte di giustizia delle Comunità europee ha tuttavia dichiarato di volersi basare sulla Carta come guida nella stesura delle sue sentenze. Il Consiglio europeo di Laeken ha dato mandato alla Convenzione europea di studiare la possibilità di un'integrazione della Carta nei trattati esistenti. Sebbene privo di valore giuridico vincolante, il documento - che rappresenta il minimo comune denominatore delle diverse tradizioni costituzionali - segna dunque una svolta essenziale nella politica dell'Unione europea, in origine orientata ad affrontare prevalentemente questioni economiche. Essa accoglie, in linea di principio, i diritti contemplati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e quelli enunciati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950, con l'aggiunta di alcuni "nuovi diritti" come richiesto dal Parlamento europeo. Essa riprende la tradizionale distinzione fra diritti civili e politici e diritti economici e sociali, già formulata nei Patti internazionali delle Nazioni unite del 1966. La distinzione riposa essenzialmente sul riconoscimento di una immediata applicabilità (davanti ad una corte) dei diritti civili e politici (diritto di parola, di voto, di associazione…) in contrasto con la applicabilità non immediata dei diritti economici e sociali (diritto di sciopero, diritto al lavoro diritto all'istruzione…).La Carta recepisce inoltre i c.d. diritti indiretti, cioè quelli derivanti dai Trattati, dalle Convenzioni, dalle Carte comunitarie e i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corta di Giustizia delle Comunità europee e della Carta europea dei diritti dell'uomo, così che le istituzioni comunitarie e gli Stati membri possano interpretare la normativa comunitaria alla luce delle disposizioni in essi contenute. I diritti sono raggruppati in sei capitoli concernenti la dignità, la libertà, l'uguaglianza, la solidarietà, la cittadinanza e la giustizia. Un'ultima parte contiene le disposizioni relative alla sfera di applicazione della Carta ed una clausola c.d. di salvaguardia (art. 53), diretta a riconoscere la prevalenza della normativa internazionale o nazionale se più favorevole rispetto a quella prevista dal documento di Nizza. Quanto alla definizione di "nuovi diritti" la Carta recepisce principi elaborati in seno alle Nazioni Unite e al Consiglio d'Europa. Nell'ambito della biologia e della medicina ad esempio, è previsto il diritto al consenso informato nonché il divieto di commercializzazione del corpo umano e delle sue parti, il divieto di clonazione e di pratiche biogenetiche (art. 3).

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È inoltre contemplato il diritto alla tutela dei dati personali (art. 8) frutto del progresso elettronico e della globalizzazione, quello alla libertà d'impresa (art. 16) finora mai contemplato in atti internazionali. Non esistono particolari innovazioni nell'ambito del diritto di asilo (art. 18), ma viene definitivamente previsto all'art. 19 il divieto di respingimento dello straniero nel Paese in cui è oggetto di persecuzione. Alcuni articoli della Carta rivestono un singolare interesse per la delicatezza dei principi enunciati: il principio di non discriminazione da applicarsi anche nel caso di diversità di orientamenti sessuali (art. 21), il principio di libertà religiosa e quello d'istruzione (artt. 10 e 14), da impartire secondo le convinzioni religiose dei genitori. In base al principio di proporzionalità (art. 52), la Carta consente limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà nei casi previsti dalla legge, purché il loro contenuto sia rispettato e solo nei casi nei quali tali limitazioni risultino necessarie perché rispondenti a finalità importanti di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. La Carta rappresenta dunque un documento politico importantissimo e, soprattutto, preliminare alle scelte sul futuro dell’Unione europea che dividono chi auspica la redazione di una vera e propria Costituzione europea, con propri diritti fondamentali e istituzioni dotate di piena legittimazione democratica e chi, invece, privilegia la tutela della sovranità degli Stati. La questione è rinviata alla Conferenza intergovernativa prevista per il giugno 2004, che prenderà le decisioni finali sulla base dei lavori preparatori della "Convenzione sul futuro dell’Unione" presieduta da Giscard d'Estaing.

LA CONVENZIONE EUROPEA

La Convenzione europea si è occupata di fornire risposte ed elaborare ipotesi costituzionali per la costruzione del futuro dell'Europa, ridefinendone i meccanismi istituzionali e gli obiettivi politici. Un futuro che con il recente allargamento si è ormai fatto presente e che richiede un'Europa capace e pronta ad affrontarlo. Le istituzioni dovranno, dunque, subire dei cambiamenti, procedere ad innovazioni per far sì che la nuova Europa continui nel suo cammino d´integrazione.

La Convenzione, che riuniva rappresentanti dei governi, dei parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione europea, ha tenuto la sua seduta inaugurale il 28 febbraio 2002 ed ha terminato i suoi lavori (cfr. il funzionamento della Convenzione ) il 10 luglio 2003, presentando il 18 Luglio 2003 al Presidente del Consiglio Europeo un progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa. Il progetto, unitamente al risultato dei dibattiti nazionali, ha costituito la base dei lavori della Conferenza intergovernativa, avviata sotto Presidenza italiana il 4 ottobre del 2003 e sospesa, in mancanza di un accordo finale, in occasione del Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles il 12 e 13 dicembre 2003. Il Consiglio europeo, pertanto, ha dato mandato alla Presidenza irlandese (in carica dal 1° gennaio al 30 giugno 2004) di valutare la prospettiva di riavviare i negoziati e di riferire al riguardo al Consiglio europeo di giugno 2004.

Il progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa (questo il nome preciso) è stato ufficialmente presentato ai Capi di Stato e di Governo nel vertice di Salonicco del giugno 2003.

IL CAMMINO DELLA CONVENZIONE

Quasi diciotto mesi di lavoro, 2000 ore di sessione, trattative infinite, sussurri, grida e veti incrociati in 21 lingue diverse fra i 207 'padri costituenti' (105 titolari e 102 supplenti), sotto l'occhio regale ma vigile del grande vecchio Valery Giscard d'Estaing, 76 anni. Con, alla fine, venerdì 13 giugno 2003, quasi un miracolo: l'adozione con un consenso molto ampio, di una bozza di Costituzione europea ambiziosa, un risultato che pochi ritenevano possibile il 28 febbraio 2002, il giorno dell'inaugurazione della Convenzione.

Una cerimonia che allora Giscard, incoronato dal vertice di Laeken presidente con ampi poteri della costituente, aveva concluso con un entusiasta 'Vive l'Europe', come gridava 'Vive la France' quando era presidente della Repubblica francese.

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Lo statista francese ha segnato profondamente il lavoro e i risultati della costituente UE. Fin dal primo giorno ne ha dettato il ritmo, prevedendo tre fasi, di sei mesi ciascuna circa: un primo periodo ''di ascolto'', un secondo, dall'autunno 2002, ''di riflessione'', quello finale, nella primavera del 2003, ''di scrittura''.

Un programma in fin dei conti rispettato dai costituenti. Giscard ha timonato fra gli scogli, con l'aiuto dei suoi due vice, gli ex-premier di Italia e Belgio Giuliano Amato e Jean Luc Dehaene, la bizzarra nave della Convenzione, formata per la prima volta da rappresentanti dei governi, dell'Europarlamento, della Commissione, dei parlamenti nazionali e, novità assoluta, dei paesi candidati al big bang dell'allargamento del 2004.

Mano a mano sono emerse, verso l'autunno, le grandi innovazioni che sarebbero poi state consolidate nella bozza finale: il super-presidente del Consiglio europeo con un mandato di almeno due anni e mezzo, al posto delle presidenze a rotazione semestrale; il ministro degli esteri UE; la 'doppia maggioranza' nel voto fra i governi al posto del sistema del voto ponderato di Nizza; la netta diminuzione del numero di settori in cui si vota all'unanimità; il passaggio ad una commissione compatta di soli 15 commissari pesanti, per dare più forza all'esecutivo europeo.

Su alcuni punti ultra-sensibili è stato subito scontro in aula, e fuori. Al 'superpresidente' e alla Commissione compatta si sono opposti i rappresentanti dei 'piccoli' e dei 'nuovi' paesi membri, e anche Romano Prodi. Fra il presidente della Convenzione e quello della Commissione UE ci sono state scintille. Giscard ha sfidato Prodi a un dibattito televisivo sul superpresidente. Il professore ha replicato di essere pronto al dibattito, ma solo davanti alla Convenzione, mentre Giscard voleva una sfida all'americana davanti all'opinione pubblica. Il 'duello' alla fine non c'è stato. Prodi intanto presenta il suo progetto di costituzione, la bozza 'Penelope'.

Mano a mano però l'effetto centrifugo del lavoro condotto insieme per tanti mesi avvicina le posizioni dei padri costituenti: l'opposizione alle proposte di Giscard, approvate dal presidium, si stempera, anche grazie all'appoggio dei 'big' nominati nella Convenzione dai rispettivi governi: il vicepremier italiano Gianfranco Fini, i ministri degli esteri di Francia e Germania, Dominique de Villepin e Joshka Fischer. Il PPE, con l'Italia e la Polonia, ottiene un riferimento ai valori religiosi nel preambolo, ma non esplicitamente al cristianesimo.

Giscard intanto deve rinunciare a alcune proposte simboliche: come l'idea di ribattezzare l'Unione Europea, per chiamarla Europa Unita o Stati Uniti d'Europa, o il progetto di un Congresso dell'Europa, bocciato da quasi tutti.

L'incertezza rimane alta fino alle ultime sedute: i 'piccoli' minacciano di impedire il consenso. Spagna e Polonia si oppongono alla 'doppia maggioranza'. Ma i tre 'piccoli' fondatori del Benelux negli ultimi giorni mediano, ottengono alcune correzioni, e finiscono col spostare sulla linea Giscard la stragrande maggioranza dei padri costituenti. Il 13 giugno la bozza è solennemente approvata, mentre dall'emiciclo dell'Europarlamento cadono le note dell'Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven e Giscard fa stappare lo champagne. Molti però si preparano già al 'terzo tempo' della la Conferenza Intergovernativa, dove - grazie al voto all'unanimità - sperano di poter riaprire i punti sui quali hanno perso nella Convenzione.

LA COSTITUZIONE DELL'EUROPA UNITA

Il 15 dicembre 2001, a Laeken, il Consiglio europeo, approvando la Dichiarazione sul futuro dell'Unione europea impegnava l’Unione a diventare più democratica, più trasparente e più efficace e ad aprire la via verso una Costituzione per i cittadini europei.Decideva a tal fine di convocare una Convenzione che riuniva le principali parti partecipanti al dibattito, per esaminare le questioni essenziali che solleva lo sviluppo futuro dell'Unione e ricerca varie risposte possibili presentate nel progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa Si trattava di apportare risposte chiare e consensuali a quesiti fondamentali: Come organizzare la ripartizione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri? Come definire meglio i rispettivi compiti tra le istituzioni europee?

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Come assicurare la coerenza e l'efficacia dell'azione esterna dell'Unione? Come rafforzare la legittimità dell’Unione?Riunita dal febbraio 2002 al luglio 2003, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, la Convenzione, ha formulato un progetto di Trattato costituzionale.Tale progetto è servito da base di lavoro ai negoziati della Conferenza intergovernativa, composta dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri e degli Stati aderenti.Tale progetto ha funto da base per le trattative della Conferenza intergovernativa, cui hanno partecipato i capi di Stato e di governo degli Stati membri e di quelli in via d’adesione.La CIG, i cui lavori hanno avuto inizio il 4 ottobre 2003 nel corso della presidenza italiana dell’Unione, non è riuscita a raggiungere un accordo definitivo prima della fine del 2003.Essa prolungherà quindi la sua attività durante il 2004. Una volta che il testo della Costituzione sia stato adottato all’unanimità dalla CIG esso dovrà venir ratificato in ogni paese con procedure differenti (referendum, ratifica parlamentare, ecc.)Tale testo potrà entrare in vigore unicamente un anno dopo che abbia avuto luogo l’ultima ratifica nazionale. Nel frattempo resta in vigore il Trattato di Nizza.

IL FUTURO DELL'EUROPA

L’ “Europa a 25” non sarà l’architettura finale della UE. Altri Paesi infatti stanno già bussando alle sue porte. Tra questi, Bulgaria e Romania auspicano di poter fare il loro ingresso nel 2007, magari assieme alla Turchia, che peraltro non ha ancora avviato specifici negoziati d’adesione. Accanto a questi possibili nuovi partner, il Governo italiano auspica l’ingresso anche della Croazia, primo tassello di un successivo, comunque più lontano, ampliamento UE a tutto il Sud-Est Europa.

Con questi nuovi quattro Paesi la popolazione UE aumenterebbe a quasi 600 milioni di abitanti.

Per quanto riguarda la Romania e la Bulgaria la Commissione , in occasione del Consiglio Europeo di Copenhagen del dicembre 2002, ha proposto dei “tracciati”, cioè un cammino che i due Stati dovranno seguire per acquisire quelle capacità amministrative, giudiziarie ed economiche che li possano avvicinare allo standard europeo. A tal fine sono stati stanziati speciali finanziamenti, a partire dal maggio 2004 e destinati ad aumentare fino al 2007.

Per quanto riguarda la Turchia, gli Accordi di Associazione partono dal lontano 1963 e la strategia di preadesione, rispetto ad altri Paesi, è più graduale e diluita nel tempo. L’ultima relazione periodica sui progressi verso l’adesione della Turchia segnala l’avvio di un dibattito sulle riforme politiche e istituzionali, che fa ben sperare nell’ingresso nella UE nel futuro prossimo.

È interessante rilevare che per questi tre Paesi la partecipazione ai Programmi comunitari è già stata prevista, da rispettivi accordi, sin dal 1997.Diversa è la situazione nei confronti della Croazia - Stato con il quale l'Italia per ovvii motivi di confine coopera già da tempo nell’ambito di iniziative e protocolli locali – che ha firmato un primo Accordo di Stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea solo nel maggio 2001. Tale Accordo prevede una serie di obiettivi quali: lo sviluppo della cooperazione economica internazionale, anche mediante il ravvicinamento alla legislazione comunitaria; il perseguimento di un adeguato dialogo politico; il sostegno di iniziative volte a completare la transizione verso l’economia di mercato; la promozione della cooperazione regionale in tutti i settori. L’Accordo prevede quindi anche il ricorso a forme di finanziamento, i cosiddetti fondi CARDS che, tra l’altro, consentono al Governo croato la partecipazione alle iniziative comunitarie INTERREG (cooperazione tra regioni dell'UE).Sono comunque attivi ed in piena fase di attuazione diversi progetti di cooperazione tra l'Italia e diverse aree geografiche della Repubblica Croata. Tali iniziative sono finanziate dal Ministero degli Esteri o altre risorse nazionali o dai Fondi europei destinati ai Paesi balcanici.

LA CITTADINANZA EUROPEA E I DIRITTI DEI CITTADINI

La seconda parte del Trattato CE (artt.17 ss.) è interamente dedicata alla cittadinanza

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dell’Unione che rappresenta una delle novità introdotte dal Trattato di Maastricht. Attraverso tali disposizioni viene affermata la complementarietà della cittadinanza dell’Unione rispetto a quella nazionale, in quanto la prima si aggiunge alla seconda senza peraltro sostituirla. Ciò significa che è cittadino dell'Unione europea chiunque sia cittadino di uno Stato membro dell'Unione, senza che sia richiesto il rispetto di alcun ulteriore requisito; di conseguenza, l’acquisto della cittadinanza di uno degli Stati membri, in conformità alla sua legislazione, comporta automaticamente l’attribuzione della cittadinanza europea. Sono inoltre cittadini europei anche coloro che hanno una doppia cittadinanza, purché una di esse sia di uno Stato membro. Ai cittadini dell'Unione sono attribuiti alcuni specifici diritti:

Il diritto a circolare e soggiornare liberamente sul territorio dell'Unione Il diritto di voto e di eleggibilità per le elezioni comunali per i cittadini comunitari

residenti in altro Stato membro rispetto a quello di origine; Il diritto di voto e di eleggibilità per il Parlamento europeo, anche per i cittadini

comunitari residenti in altro Stato membro rispetto a quello di origine; Il diritto di petizione al Parlamento europeo; Il diritto di rivolgersi al Mediatore europeo per segnalare episodi di cattiva

amministrazione coinvolgenti istituzioni ed organi comunitari

Il diritto a circolare e soggiornare liberamente sul territorio dell'Unione

In conformità all’art. 18 del Trattato CE, i cittadini europei, indipendentemente dallo svolgimento di un’attività economica, possono liberamente circolare e soggiornare in tutti gli altri Stati dell'Unione senza dover assolvere formalità particolari.

Gli unici limiti alla libera circolazione dei cittadini comunitari possono derivare dall’applicazione da quelle disposizioni, genericamente richiamate dall’art. 18 del Trattato CE, contenute in norme di diritto primario e secondario che consentono agli Stati membri di limitare la libera circolazione dei lavoratori per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (articoli 39 e 46.1 e 56). Tali provvedimenti limitativi possono tuttavia essere adottati solamente in relazione al comportamento personale dell'individuo che implichi una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi della collettività (non può essere ritenuta sufficiente all’adozione di tali provvedimenti la mera esistenza di condanne penali precedenti) e non sulla base di valutazioni politiche o motivi di ordine economico.

Un’ulteriore limitazione (art. 39, comma 4) riguarda in modo specifico i cittadini europei che sono impiegati nella pubblica amministrazione e che in tale ambito esercitano direttamente o indirettamente pubblici poteri nell’interesse nazionale.

Il diritto di voto e di eleggibilità per le elezioni comunali dello Stato membro di residenza

Ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità sono contenute nella direttiva 94/80/CE adottata dal Consiglio il 19 dicembre 1994.

Il diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo

Il diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo è sancito dall’art. 19 del Trattato CE. Con tale disposizione si riconosce ai cittadini comunitari residenti in uno Stato

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membro diverso da quello di origine la possibilità di esercitare il loro diritto di voto e di eleggibilità presso tale Stato, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. L’art. 19 ha inoltre il merito di realizzare una prima uniformazione della procedura elettorale per il Parlamento europeo, limitatamente alla votazione dei non residenti, pur facendo salve eventuali disposizioni derogatorie degli Stati membri (se giustificate) in materia di diritto di voto e di eleggibilità dei propri cittadini che risiedono fuori dal proprio territorio.

Il diritto di petizione al Parlamento europeo

Il diritto di petizione, previsto dall’art. 21 del Trattato CE, è il diritto di cui gode il cittadino dell'Unione europea, oltre a qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede statutaria in uno Stato membro, di presentare al Parlamento europeo, individualmente o in associazione con altri cittadini, una istanza o un reclamo su una materia che rientra nel campo di attività della Comunità e che lo riguarda direttamente.La petizione deve essere redatta in una delle lingue ufficiali dell'Unione e deve essere completa dei dati essenziali di chi la presenta. Giunte al Parlamento europeo, le petizioni, dopo essere state iscritte a registro, sono trasmesse alla Commissione petizione che valuta in primo luogo la loro ricevibilità. Qualora una petizione sia dichiarata ricevibile, la Commissione petizioni, dopo averla esaminata nel merito, potrà richiedere informazioni alle istituzioni comunitarie, presentare relazioni o pareri al Consiglio e/o alla Commissione affinché prendano provvedimenti. Il Trattato di Amsterdam ha aggiunto all'articolo 21 un nuovo comma che consente al cittadino europeo di scrivere a tutte le istituzioni europee, nonché al Comitato delle regioni, al Comitato economico e sociale o al mediatore europeo, in una delle lingue ufficiali e di ricevere una risposta nella stessa lingua.

Il ricorso al mediatore europeo

La cittadinanza europea attribuisce il diritto a rivolgersi al Mediatore europeo per segnalare episodi di cattiva amministrazione nell'operato delle istituzioni o degli organi comunitari, eccezione fatta per la Corte di giustizia ed il Tribunale di primo grado nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali. Tra le ipotesi più comuni di cattiva amministrazione si registrano irregolarità amministrative, discriminazioni, abusi di potere, carenza o rifiuto di informazione, o ritardi ingiustificati nell’attività delle istituzioni e organi interessati.

Il mediatore europeo è nominato dopo ogni elezione del Parlamento europeo e rimane in carica per tutta la durata legislatura, con obbligo di presentare al Parlamento europeo una relazione annuale sui risultati della sua attività.

Il diritto di presentare un ricorso al mediatore europeo è attribuito a qualunque cittadino dell'Unione o a qualsiasi persona fisica o giuridica che abbia la residenza o la sede sociale in uno Stato membro.

GLIFO

Il nome glifo designa il simbolo dell'euro, e deriva dal greco glufe (intaglio), termine che indica un incavo con una sezione tonda o angolare come ornamento architettonico. Il logo dell'euro è stato realizzato tra il 1996 e il 1997 ed è ispirato alla lettera greca epsilon alla quale vengono aggiunte due barre orizzontali che ne simboleggiano la stabilità e la forza richiamando, allo stesso tempo la E di Europa e di Euro.