1. Patrimonio culturale e Beni culturali · di arredo), e beni immobili, ossia non trasportabili...

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NIFOSÌ / ARTE IN PRIMO PIANO • © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI 1 I BENI CULTURALI E AMBIENTALI a cura di G. Nifosì ed E. Tommasi 1. Patrimonio culturale e Beni culturali 2. La tutela del patrimonio culturale 3. Il restauro 4. Il museo 5. Le aree archeologiche 6. Territorio, ambiente e paesaggio 7. Il mercato dell'arte

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I BENI CULTURALIE AMBIENTALIa cura di G. Nifosì ed E. Tommasi

1. Patrimonio culturale e Beni culturali

2. La tutela del patrimonio culturale

3. Il restauro

4. Il museo

5. Le aree archeologiche

6. Territorio, ambiente e paesaggio

7. Il mercato dell'arte

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PATRIMONIOCULTURALEE BENI CULTURALI

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1.1 CHE COS’È IL PATRIMONIO CULTURALE

Oggi si parla molto di patrimonio culturale di una na-zione, di un popolo, ma è un compito sempre comples-so cercare di definire un concetto che tanto si è evolutonel tempo arrivando ad abbracciare molti ambiti e co-lorandosi di molte sfumature.

I significati che gli vengono dalla sua etimologia nontradiscono l’uso che ne facciamo oggi: in latino il ter-mine patrimonium nasce dall’unione di pater, ‘padre’,con il suffisso -monium riconducibile ad alimonium,‘nutrimento’ (àlere, ‘nutrire’), ed era usato per indicarel’insieme delle cose possedute dal pater familias (il ‘pa-dre di famiglia’) destinate a diventare poi nutrimento,in senso lato, per i suoi eredi. Dunque il passato che siconserva per essere trasmesso ai figli, alle generazionifuture. La parola cultura è anch’essa di origine latina eva ricondotta al verbo còlere, ‘coltivare’, da cui derivail vocabolo cultus che tra i suoi significati annovera, sì,la ‘coltivazione dei campi’ da una parte e il ‘culto’ insenso religioso dall’altro, ma anche il ‘modo di vivere’,la ‘civiltà’.

Quindi, associando i termini, il patrimonio culturaleè l’eredità di un popolo, è la memoria tangibile e in-tangibile di ciò che l’uomo ha creato e trasmesso (e con-tinua a creare e trasmettere) ai posteri. Solo ciò che vie-ne dal passato diventa patrimonio culturale di una ci-viltà, perché è ciò che gli uomini hanno, pezzo dopopezzo, costruito, elaborato, scoperto, teorizzato, perpoi passare il testimone alle generazioni successive,creando una ramificazione di contributi, che trovanonella continuità e nei loro intrinseci e imprescindibililegami il loro più profondo significato e la loro ragiond’essere.

1.2 COSA SONO E QUALI SONO I BENI CULTURALI

Un patrimonio è sempre costituito da “beni” e il patri-monio culturale non fa eccezione. Esso infatti com-prende un insieme di “cose” molto eterogeneo: ogget-ti, edifici, documenti, che per il loro valore artistico,storico o documentario e persino naturalistico, costi-tuiscono quella fondamentale testimonianza della cul-tura e della tradizione di quei popoli o di quelle civiltàche questi beni hanno prodotto.

Dunque, si può legittimamente affermare che il pa-trimonio culturale è l’insieme dei beni culturali di unpaese. Stabilire che cosa rappresenti un bene culturalenon è operazione agevole né banale e nemmeno univo-ca, dal momento che spesso le diverse epoche storichehanno sviluppato sensibilità molto differenti: in altreparole, è facile che oggi sia considerato un bene cultu-rale ciò che un tempo non lo era.

L’elenco dei beni culturali è, in sé stesso, molto lun-go: esso infatti comprende una grande quantità di “og-getti”, come quadri, statue, manoscritti, ma anche diedifici e persino centri urbani o aree archeologiche. InItalia, per esempio, un primo elenco è stato stilato, nel1963, su incarico del Parlamento da un’apposita com-missione, la cosiddetta Commissione Franceschini [u2.1]. In tale circostanza fu coniata la definizione di be-ne culturale quale «testimonianza materiale avente va-lore di civiltà», definizione che è rimasta alla base ditutta la seguente legislazione italiana. I beni culturali,secondo la legislazione, sono insomma tutte quelle «te-stimonianze materiali», pubbliche e private, che pos-seggono un valore comune imprescindibile per la col-lettività di oggi, e questo a causa del loro valore artisti-co, storico, documentario.

La Commissione Franceschini individuò ben nove ca-tegorie di beni culturali, distinguendo tra beni mobili,cioè beni trasportabili (come quadri, sculture, oggetti

di arredo), e beni immobili, ossia non trasportabili (co-me edifici, monumenti, archivi, biblioteche), ed ela-borò le seguenti definizioni:

I beni artistici e storici

«Sono beni culturali d’interesse artistico o storico le co-se mobili o immobili di singolare pregio, rarità o rap-presentatività, aventi relazione con la storia culturaledell’umanità». Quella dei beni artistici e storici costi-tuisce la categoria più rilevante dell’intero patrimonioculturale. Essa comprende dipinti, affreschi, sculture,statue, disegni, incisioni, gioielli, argenti, vetri, vasi,porcellane, arredi e arazzi la cui esecuzione risalga adalmeno cinquant’anni fa. Si tratta di opere rilevanti perla loro importanza artistica oppure che si propongonocome preziose testimonianze documentarie di usi, co-stumi e tradizioni.

I beni architettonici

Appartengono invece alla categoria dei beni architetto-nici quegli edifici monumentali, come chiese, palazzi,ville, regge, che si distinguono o per la loro qualità arti-stica, o per le particolari tecniche costruttive adottate, oper la loro funzione o anche per le loro decorazioni. Fan-no parte di tale categoria anche insiemi di edifici, e dun-que i centri storici o intere città antiche. I beni architet-tonici richiedono una particolare tutela: infatti, a diffe-renza dei beni artistici e storici, sono più facilmente sog-getti a interventi di ristrutturazione che ne possono mo-dificare l’aspetto e la natura per adeguarli a mutate esi-genze abitative, sociali, funzionali, istituzionali, ecc.

I beni archeologici

Appartengono alla categoria dei beni archeologici «lecose immobili e mobili costituenti testimonianza stori-ca di epoche, di civiltà, di centri od insediamenti la cuiconoscenza si attua preminentemente attraverso scavi erinvenimenti». In altre parole, sono beni archeologicitutti gli edifici, i ruderi, le opere d’arte (statue, sarco-fagi) e gli oggetti, preziosi o d’uso, provenienti da unpassato molto remoto e che sono stati ritrovati grazie ascavi, sia sul territorio sia sotto la superficie del mare.Sono beni archeologici anche le cosiddette “aree ar-cheologiche” [u 5.4] ossia quei siti che presentano trac-ce di insediamenti umani, più o meno estese, e che ri-salgono alla preistoria o al mondo antico: per esempio,resti di una città o di un santuario o di un grande pa-lazzo o di una reggia. Non sempre tali siti rivestono uninteresse di tipo artistico, soprattutto se i ruderi con-sentono appena di riconoscere l’edificio o gli edifici ori-ginari; tuttavia, essi mantengono una grandissima im-portanza di tipo documentario e consentono agli stu-diosi di ricavarne importantissime informazioni di ca-rattere storico.

I beni ambientali e paesaggistici

Appartengono alla categoria dei beni ambientali e pae-saggistici aree naturali o trasformate dall’uomo conside-rate di particolare bellezza oppure zone di territorio mol-to interessanti dal punto di vista geologico, che per talimotivi sono parte integrante del patrimonio naturale diun paese e, secondo la Commissione Franceschini, «de-vono essere conservate al godimento della collettività».Sono dunque beni ambientali e paesaggistici coste, baie,grotte, foreste, gole ma anche parchi, ville, giardini e per-sino strutture insediative, sia pure piccole o isolate, pur-ché suggestivamente integrate con l’ambiente naturale.

I beni librari e le biblioteche

I beni librari sono identificabili perlopiù nei libri, ovvia-mente rari e di pregio o rilegati con particolare maestria,ma soprattutto nei volumi manoscritti importanti per laloro antichità o il valore storico, letterario, scientifico,artistico. Sono tuttavia considerati beni librari anche idocumenti relativi alla produzione letteraria dei grandiautori (autografi, carteggi, inediti, lavori preparatori),le incisioni, le carte geografiche, i manifesti, il materia-le filatelico, persino le fotografie. Sono considerati a tut-ti gli effetti beni culturali anche le biblioteche (sia pub-bliche che private), giacché si tratta di istituzioni cultu-rali permanenti che raccolgono e conservano i beni li-brari e li mettono a disposizione del pubblico, promuo-vendo in tal modo la lettura e lo studio.

I beni archivistici

La categoria dei beni archivistici comprende sia gli attie i documenti cartacei originali sia gli edifici che li con-servano, ossia gli archivi, dove tali documenti sono rac-colti e inventariati, in modo tale da consentire al pub-blico, e agli studiosi in particolare, di consultarli.

I musei

I musei sono quelle strutture permanenti destinate aospitare, catalogare ed esporre al pubblico una serie dibeni mobili. La loro importanza è fondamentale, giac-ché garantiscono la conservazione della memoria sto-rica di un paese o di un’intera civiltà consentendo ai cit-tadini di accostarsi a tale memoria e di arricchirsi cul-turalmente.

I beni etnoantropologici, materiali e immateriali

I cosiddetti beni etnoantropologici non hanno partico-lare rilievo artistico ma sono di grande importanza percomprendere le tradizioni culturali di un popolo, di cuicostituiscono una preziosa testimonianza. Fanno dun-que parte di questa categoria oggetti legati alla vita quo-tidiana o ai mestieri o a particolari attività, per esempioarnesi, attrezzi, stoviglie, suppellettili, vestiti, giocatto-

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li, prodotti di artigianato. Tali beni sono materiali, giac-ché si tratta di oggetti concreti. Esistono però anche be-ni immateriali, ugualmente esplicativi della cultura diun popolo, come per esempio canzoni, fiabe, proverbi,filastrocche, spesso trasmessi soltanto da fonti orali.

Le categorie speciali

Vi sono infine beni che non appartengono ad alcuna diqueste precedenti categorie e che genericamente sono

ricondotti alla nozione di “categorie speciali”. L’elen-co di tali categorie non è definitivo e anzi va amplian-dosi con il tempo. Si possono citare come esempi le na-vi, le auto d’epoca e i mezzi di trasporto che abbianopiù di settantacinque anni; strumenti scientifici che ab-biano più di cinquant’anni; lapidi, iscrizioni, taberna-coli, anche non esposti alla pubblica vista; persino ope-re di architettura contemporanea ma di particolare va-lore artistico.

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LA TUTELA DEL PATRIMONIOCULTURALE

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1. L’espropriazione per pubblica utilità è un istituto giuridico che attri-buisce alla pubblica amministrazione il potere di acquisire o far ac-quisire ad un altro soggetto, per esigenze di interesse pubblico, laproprietà di un bene, indipendentemente dalla volontà del suo pro-prietario, previo pagamento di un indennizzo.

2. Il diritto di prelazione consiste nel diritto di priorità sull’acquisto di unbene.

2.1 LA LEGISLAZIONE ITALIANADEI BENI CULTURALI E LE ISTITUZIONI PREPOSTEALLA LORO TUTELA

Fin dall’antichità furono i Greci e dopo di loro i Ro-mani i primi a credere nell’importanza della tutela deimonumenti e a considerare le opere artistiche e archi-tettoniche, di cui Atene, Roma e le altre città dell’Im-pero romano erano particolarmente ricche, come pro-prietà pubblica.

Fu però solo a partire dal XVI secolo che si avviaro-no i primi veri e propri interventi per la salvaguardia delpatrimonio artistico e archeologico, principalmentegrazie all’azione del governo pontificio, che promulgòdiverse ordinanze in merito. I piccoli Stati in cui erasuddivisa l’Italia dell’epoca manifestarono a loro voltauna salda coscienza del proprio patrimonio storico ar-tistico attraverso iniziative disgiunte ma comunque uti-li alla salvaguardia delle opere.

In effetti, fu l’editto del cardinale Bartolomeo Pacca(1756-1844), promulgato a Roma il 7 aprile del 1820, ilprimo vero ufficiale provvedimento tutelare “Sopra leantichità e gli scavi”. Tre erano le direttive fondamen-tali indicate nel documento, molto importanti perchéantesignane della normativa attuale. Innanzitutto lanecessità di inventariare e quindi catalogare tutto il pa-trimonio artistico esistente nello Stato della Chiesa; ildivieto di esportare i beni antichi che sarebbero dovutirimanere nel luogo d’origine, a parte casi eccezionalisui quali comunque avrebbe deciso l’autorità compe-tente; infine, l’indiscutibile appartenenza allo Stato ditutto ciò che fosse stato ritrovato nel sottosuolo, indi-pendentemente dalla proprietà (pubblica o privata)della corrispondente area urbana o rurale.

Quasi un secolo più tardi, nel 1909, lo Stato unitariopromulgò la legge 364/1909 (detta “legge Rosadi-Ra-va”) che ripropose i provvedimenti di tutela delle opere

di interesse storico-artistico-architettonico già decreta-ti nell’editto Pacca. Fu questa legge a definire per primala nozione di «cose mobili o immobili di interesse stori-co, archeologico o artistico» e a ribadire che il patrimo-nio storico-artistico-archeologico non può essere alie-nato, quindi non può essere né venduto né ceduto. Un al-tro principio fondamentale decretato dalla legge Rosa-di-Rava stabilisce che lo Stato ha la facoltà di interveni-re nella tutela e nella gestione di tutte le opere d’arte, an-che quelle di proprietà privata, e di avviare la loro even-tuale espropriazione1, in virtù di un indiscusso diritto diprelazione2, che la pubblica amministrazione è autoriz-zata a esercitare su di esse. Inoltre fu in questo periodoche nacque l’amministrazione centrale e periferica de-putata alla conservazione dei beni culturali.

Risalgono invece al 1939 le due leggi promulgate dal re-gime fascista che hanno costituito fino al 1999 (anno dipubblicazione del Testo Unico) il fondamento della giu-risprudenza italiana in materia di salvaguardia del patri-monio artistico e paesaggistico. La legge 1089/1939,chiamata “legge Bottai” dal nome dell’allora ministrodella cultura Giuseppe Bottai (1895-1959) che ne fu pro-motore, riguarda «la tutela delle cose di interesse arti-stico e storico», mentre la legge 1497/1939 si concentrasulla «protezione delle bellezze naturali». La legge Bot-tai, stilata con la consulenza di due grandi storici del-l’arte, Roberto Longhi (1890-1970) e Giulio Carlo Ar-gan (1909-1992), precisa cosa debba intendersi per beneculturale, offrendo per la prima volta un’interpretazio-ne più ampia del termine, utilizzato fino a quel momen-to solo in riferimento ai grandi capolavori dell’arte, e ne

afferma il principio di “pubblica godibilità”, nei termi-ni di ammissione alla visita da parte del pubblico. La leg-ge stabilisce che qualsiasi intervento effettuato su un be-ne culturale debba soggiacere a precisi vincoli di auto-rizzazione e impone anche ai privati l’obbligo di “con-servare” ciò che possa ritenersi di interesse culturale; re-golamenta i prestiti, le importazioni, le esportazioni i ri-trovamenti e le scoperte di beni culturali e prevede san-zioni in caso di inosservanza delle norme.

Innovativo risultò essere il fatto che, per la prima vol-ta, nelle due leggi del 1939 i beni storico-artistico-ar-cheologici propriamente detti fossero tutelati insiemealle «bellezze naturali», agli Archivi di Stato e alle «at-tività culturali», elementi tutti considerati parte inte-grante del patrimonio culturale nazionale di cui il go-verno doveva curare la protezione.

Il 1 gennaio del 1948 entrò in vigore la Costituzionedella Repubblica Italiana nel cui testo trova spazio l’ar-ticolo 9, dedicato alla tutela del patrimonio culturale eambientale da parte della pubblica amministrazione.Ai commi 1 e 2 si legge che «la Repubblica promuove losviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela ilpaesaggio e il patrimonio storico e artistico della Na-zione». Lo Stato, dunque, annovera tra i suoi compitifondamentali, dandogli dignità costituzionale, quellodi sostenere, promuovere e tutelare il patrimonio stori-co, artistico e ambientale della nazione.

Nel maggio del 1954, in seguito alla riflessione sulledistruzioni causate dai bombardamenti della secondaguerra mondiale, si svolse a L’Aja la prima Convenzio-ne europea per la protezione di tutti i beni culturali dairischi di un nuovo conflitto armato. Le parti contraen-ti, constatando che moltissimi beni culturali avevanosubito gravi danni nel corso dei due conflitti mondialie che, in conseguenza dello sviluppo della tecnica dellaguerra, essi erano continuamente minacciati di distru-zione, si impegnarono ad adottare tutte le disposizionipossibili per proteggerli. In tale contesto, si stilò la pri-ma, e probabilmente la più chiara, definizione giuridi-ca e sistematica della categoria dei beni culturali. L’im-portanza di tale convenzione fu dunque straordinaria,essendo essa, storicamente, il primo trattato interna-zionale dedicato a questa materia: alcuni concetti basi-lari sanciti dalla Convenzione dell’Aja, infatti, sareb-bero divenuti princìpi generali validi per tutte le suc-cessive convenzioni. Tra le sue norme che impegnavanogli Stati a salvaguardare i beni culturali, una in parti-colare risultava significativa: quella prevista all’art. 25(Diffusione della Convenzione), che richiedeva agli Sta-ti di creare una “cultura” di rispetto dei beni culturali.

Risalgono al 1963, in Italia, i già citati lavori dellaCommissione Franceschini [u 1.2], che introdusse que-sto importante concetto: «Appartengono al patrimo-nio culturale della Nazione tutti i beni aventi come ri-ferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati al-

la legge i beni di interesse archeologico, storico, artisti-co, ambientale e paesistico, archivistico e librario eogni altro bene che costituisca testimonianza materia-le avente valore di civiltà».

Nel 1974 il governo italiano istituì il ministero per iBeni culturali e ambientali (d.P.R. 805/1975) su inizia-tiva del senatore Giovanni Spadolini (1925-1994), chene fu anche il primo ministro. Il nuovo ministero riunìsotto la propria competenza alcune funzioni prima di-vise fra il ministero della Pubblica Istruzione (Direzio-ne delle Antichità e Belle Arti, accademie e bibliote-che), il ministero degli Interni (archivi di Stato) e la Pre-sidenza del Consiglio dei ministri (Discoteca di Stato,editoria libraria e diffusione della cultura). Più di ventianni dopo, il decreto legislativo 368/1998 ha istituito ilnuovo ministero per i Beni e le Attività culturali am-pliandone l’ambito di competenza alla promozionedello sport e dello spettacolo in tutte le sue manifesta-zioni, cinema, teatro, musica, danza e spettacoli itine-ranti.

Nel 1999, con il Testo Unico (d.lg. 490/1999), è statariunita in 166 articoli tutta la legislazione in materia dibeni culturali e ambientali, comprese le leggi del 1939che automaticamente sono decadute. Il Testo Unico,diviso in due capitoli fondamentali (il primo dedicatoai beni culturali e il secondo a quelli ambientali e pae-saggistici) ha costituito in Italia una vera e propria no-vità dal punto di vista legislativo, già a partire dalla suadenominazione. Esso infatti ha offerto per la primavolta un quadro ampio, chiaro e coerente che raziona-lizza provvedimenti disomogenei e talvolta persinocontraddittori. Inoltre, esso ha dedicato una particola-re attenzione ai temi dell’arte contemporanea, dellaconservazione e del restauro e ha individuato con chia-rezza i ruoli e le competenze che Stato, enti locali e pri-vati devono dividersi per la salvaguardia, la valorizza-zione e la conoscenza dei beni culturali.

L’ultimo aggiornamento legislativo in materia di pa-trimonio culturale risale al 2004, quando è stato intro-dotto il Codice dei Beni culturali e del paesaggio (d.lg.42/2004) che ha proposto un ulteriore riordino degli in-terventi legislativi. Il Codice, infatti, ha sostanzialmen-te ricalcato la struttura del Testo Unico, pur introdu-cendo alcuni elementi di novità, come quello di unifi-care le nozioni di beni culturali e di beni paesaggisticiche per la prima volta sono stati posti in un quadro le-gislativo unitario.

Composto di 184 articoli, nelle Disposizioni genera-li (parte prima, art. 2, comma 1 e 2) il nuovo codice pre-cisa che «il patrimonio culturale è costituito dai beniculturali e dai beni paesaggistici» e che «sono beni cul-turali le cose immobili e mobili che presentano interes-se artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,archivistico e bibliografico [...], quali testimonianzeaventi valore di civiltà», concetto, quest’ultimo, eredi-

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tato dalla preesistente normativa. Nell’articolo 10, piùavanti nel testo, l’attenzione è posta sulla tutela dei be-ni e si afferma che «sono beni culturali le cose immobi-li e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli al-tri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro enteed istituto pubblico e a persone giuridiche private sen-za fine di lucro, che presentano interesse artistico, sto-rico, archeologico o etnoantropologico» e, proseguen-do, che sono inoltre da considerarsi beni culturali «leraccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghiespositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pub-blici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istitutopubblico; gli archivi e i singoli documenti dello Stato,delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, non-ché di ogni altro ente ed istituto pubblico; le raccolte li-brarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, deglialtri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro entee istituto pubblico; le cose immobili e mobili che pre-sentano interesse artistico, storico, archeologico o et-noantropologico particolarmente importante [....]; gliarchivi, i singoli documenti, le raccolte librarie, appar-tenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; lecose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, cherivestono un interesse particolarmente importante acausa del loro riferimento con la storia politica, milita-re, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere,ovvero quali testimonianze dell’identità e della storiadelle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le col-lezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che,per tradizione, fama e particolari caratteristiche am-bientali, rivestono come complesso un eccezionale in-teresse artistico o storico».

Viene, inoltre, sottolineato che sono da includersinell’elenco le cose che interessano la paleontologia, lapreistoria, le civiltà primitive, gli oggetti di interessenumismatico, i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gliincunaboli, i libri, le stampe e le incisioni, con relativematrici, così come le carte geografiche e gli spartiti mu-sicali, le fotografie, le pellicole cinematografiche e isupporti audiovisivi in genere, tutto ciò che abbia ca-rattere di rarità e di pregio. E poi a seguire, le ville, iparchi e i giardini, le pubbliche piazze, vie, strade e al-tri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; isiti minerari di interesse storico o etnoantropologico; lenavi e i galleggianti, le tipologie di architettura ruralein quanto testimonianze dell’economia rurale tradizio-nale.

Un elenco dunque estremamente vasto che colpisceperché svela come in una moderna accezione dell’e-spressione “beni culturali” vengano a essere compresielementi anche molto differenti il cui fondamentale enecessario denominatore comune è l’essere testimo-nianza dell’evoluzione storica e culturale di un popoloe di una nazione.

Uno dei più recenti atti del governo italiano in mate-

ria di beni culturali risale al 2007, quando è stato ap-provato un nuovo Regolamento di Organizzazione delministero per i Beni e le Attività culturali (d.P.R.233/2007) e degli uffici chiamati a collaborare con esso,allo scopo di migliorare e ottimizzare l’azione di tuteladel patrimonio culturale e paesaggistico della nazione.A tal fine sono state istituite la Direzione generale perla valorizzazione del patrimonio culturale e la Direzio-ne generale per il paesaggio, le belle arti, l’architetturae l’arte contemporanee.

2.2 IL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI:COMPITI E ORGANIZZAZIONE

Come ribadito nel Codice dei Beni culturali e del pae-saggio, il ministero per i Beni e le Attività culturali (Mi-bac) svolge il compito di tutelare e valorizzare il patri-monio culturale del paese, preservando «la memoriadella comunità nazionale e del suo territorio» e pro-muovendo «lo sviluppo della cultura» (art. 1, comma2). La tutela, di cui parla la legge, «consiste nell’eserci-zio delle funzioni e nella disciplina delle attività diret-te, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad in-dividuare i beni costituenti il patrimonio culturale e agarantirne la protezione e la conservazione per fini dipubblica fruizione» (art. 3, comma 1).

La tutela è dunque il primo, indiscusso obiettivo cheil ministero deve porsi, preceduto però da un’opera dicatalogazione, perché la conoscenza e la consapevolez-za del patrimonio presente sul territorio nazionale ècondizione necessaria per una sua opportuna salva-guardia. Catalogare significa registrare, descrivere eclassificare i beni culturali, storico-artistici, architetto-nici, demoetnoantropologici. Redigere e gestire il cata-logo nazionale dei beni culturali è compito dell’Iccd,l’Istituto centrale per il Catalogo e la Documentazione.

Altra funzione svolta dal ministero è la conservazio-ne del patrimonio culturale che, come precisato nel Co-dice, «è assicurata mediante una coerente, coordinatae programmata attività di studio, prevenzione, manu-tenzione e restauro» (art. 29, comma 1). Il testo dellalegge specifica che «per prevenzione s’intende il com-plesso delle attività idonee a limitare le situazioni di ri-schio connesse al bene culturale nel suo contesto; permanutenzione s’intende il complesso delle attività e de-gli interventi destinati al controllo delle condizioni delbene culturale e al mantenimento dell’integrità, del-l’efficienza funzionale e dell’identità del bene e dellesue parti; per restauro s’intende l’intervento diretto sulbene attraverso un complesso di operazioni finalizzateall’integrità materiale ed al recupero del bene medesi-mo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valoriculturali» (art. 29, commi 2, 3 e 4).

Ciascuna di queste attività è finalizzata oltre che alla

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tutela anche alla valorizzazione dei beni culturali e pae-saggistici intesa come esercizio delle funzioni e disci-plina delle «attività dirette a promuovere la conoscen-za del patrimonio culturale e ad assicurare le miglioricondizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del pa-trimonio stesso, anche da parte delle persone diversa-mente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cul-tura. Essa comprende anche la promozione ed il soste-gno degli interventi di conservazione del patrimonioculturale».

Oggi il ministero per i Beni e le Attività culturali hauna struttura abbastanza complessa, organizzata at-torno a un Segretariato generale che lavora come traitd’union tra le nove Direzioni generali che gli fanno ca-po e che esso coordina:

• la Direzione generale per l’organizzazione, l’inno-vazione, la formazione, la qualificazione professionalee le relazioni sindacali

• la Direzione generale per il bilancio e la program-mazione economica, la promozione, la qualità e lastandardizzazione delle procedure

• la Direzione generale per i beni archeologici• la Direzione generale per la qualità e la tutela del

paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee• la Direzione generale per i beni architettonici, stori-

co-artistici ed etnoantropologici• la Direzione generale per gli archivi• la Direzione generale per le biblioteche, gli istituti

culturali e il diritto d’autore• la Direzione generale per il cinema• la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo.

Direttamente collegato alle Direzioni, e chiamato aesprimere opinioni sul loro operato dietro specifica ri-chiesta del direttore generale centrale competente, è ilConsiglio superiore per i Beni culturali e paesaggisticiformato da sette Comitati tecnico-scientifici di settore:

• il Comitato tecnico-scientifico per i beni archeolo-gici

• il Comitato tecnico-scientifico per i beni architetto-nici e paesaggistici

• il Comitato tecnico-scientifico per il patrimoniostorico, artistico ed etnoantropologico

• il Comitato tecnico-scientifico per gli archivi• il Comitato tecnico-scientifico per i beni librari e gli

istituti culturali• il Comitato tecnico-scientifico per la qualità archi-

tettonica e urbana e per l’arte contemporanea• il Comitato tecnico-scientifico per l’economia della

cultura.

Completano la struttura del ministero sette Istituticentrali, undici Istituti dotati di autonomia speciale equattro Istituti nazionali con finalità particolari. Gli

Istituti centrali portano avanti finalità di ricerca, indi-rizzo e coordinamento tecnico nei settori della inventa-riazione, catalogazione, conservazione e restauro. GliIstituti centrali sono:

• l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazio-ne

• l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblio-teche italiane e per le indicazioni bibliografiche

• l’Opificio delle pietre dure• l’Istituto centrale per la demoetnoantropologia• l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione

del patrimonio archivistico e librario• l’Istituto centrale per gli archivi• l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi.

Sono Istituti dotati di autonomia speciale:

• la Soprintendenza speciale per i beni archeologici diNapoli e Pompei

• la Soprintendenza speciale per i beni archeologici diRoma

• la Soprintendenza speciale per il patrimonio stori-co, artistico ed etnoantropologico e per il polo musea-le della città di Venezia e dei comuni della Gronda la-gunare

• la Soprintendenza speciale per il patrimonio stori-co, artistico ed etnoantropologico e per il polo musea-le della città di Napoli

• la Soprintendenza speciale per il patrimonio stori-co, artistico ed etnoantropologico e per il polo musea-le della città di Roma

• la Soprintendenza speciale per il patrimonio stori-co, artistico ed etnoantropologico e per il polo musea-le della città di Firenze

• l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro• la Biblioteca nazionale centrale di Roma• la Biblioteca nazionale centrale di Firenze• il Centro per il libro e la lettura• l’Archivio centrale dello Stato.

Gli Istituti nazionali sono:

• la Soprintendenza al Museo nazionale preistoricoed etnografico

• il Museo nazionale d’arte orientale• la Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte

moderna e contemporanea• l’Istituto nazionale per la grafica.

Sono invece da considerarsi organi periferici del mi-nistero le Direzioni regionali per i beni culturali e pae-saggistici, le Soprintendenze archivistiche, gli Archividi Stato, le Biblioteche statali, i Musei e soprattutto leSoprintendenze. Queste ultime sono dirette da un So-printendente e sono suddivise in Soprintendenze per ibeni archeologici, Soprintendenze per i beni e architet-

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tonici e paesaggistici, Soprintendenze per i beni storici,artistici ed etnoantropologici.

2.3 ALTRI ENTI PREPOSTI ALLA CURA E ALLA TUTELADEL PATRIMONIO

Secondo la Costituzione italiana (art. 117), anche le re-gioni possono emanare norme in materia di «valoriz-zazione dei beni culturali e ambientali e promozione eorganizzazione di attività culturali», purché tali normenon entrino in contrasto o addirittura in conflitto conquelle dello Stato. In realtà, solo nel 1972 (d.P.R.3/1972), e successivamente nel 1977 (d.P.R. 616/1977),in Italia tale ordinamento costituzionale si concretizzòin una prima azione legislativa. Nel 1997-98, la leggeBassanini (L. 59/1997 recante delega al governo per ilconferimento di funzioni e compiti alle regioni ed entilocali, per la riforma della Pubblica Amministrazione eper la semplificazione amministrativa e D.lg. 112/1998)ha formulato una nuova definizione delle competenzedello Stato e delle regioni per quanto riguarda la salva-guardia del patrimonio. Lo Stato deve occuparsi dellatutela, della conservazione e della protezione dei beniculturali; le regioni e gli enti locali possono invece oc-cuparsi della loro fruibilità e conoscenza. Un ulteriorepasso in avanti è stato compiuto con la legge costitu-zionale n. 3 del 18 ottobre 2001, la quale affida alle re-gioni anche il potere di legiferare in merito alla valoriz-zazione dei beni culturali e ambientali e di occuparsidella promozione e organizzazione delle attività cultu-rali.

Alle province spetta invece il compito di mediare traregioni ed enti locali, mentre i comuni, che con lo Sta-to e la Chiesa sono i maggiori proprietari del patrimo-nio artistico italiano, attraverso gli Assessorati allaCultura devono occuparsi della valorizzazione del pa-trimonio culturale, organizzando mostre e altre inizia-tive al fine di promuovere e valorizzare le ricchezze delterritorio.

2.4 I BENI CULTURALI DI PROPRIETÀ DELLA CHIESAE LA LORO TUTELA

Una particolare categoria di beni culturali, numerica-mente piuttosto rilevante, è quella dei beni di proprietàdella Chiesa (beni ecclesiastici), che comprendono nonsolo i luoghi e gli edifici dedicati al culto, come chiese,cappelle, monasteri, palazzi vescovili, ecc., e le opered’arte che vi sono custodite, ma anche tutti quegli og-getti di pregio legati alle funzioni liturgiche. La funzio-ne della tutela di questi beni è oggi suddivisa fra Chie-sa e Stato italiano.

Con l’accordo del 18 febbraio 1984 (L. 121/1985, art.12), lo Stato italiano e la Chiesa cattolica hanno stabili-to che mentre la Santa Sede è competente per la conser-vazione e la consultazione degli archivi e delle bibliote-che degli enti ecclesiastici, lo Stato italiano ha il compi-to di emanare opportune disposizioni per la salvaguar-dia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturalid’interesse religioso che appartengono a tali enti.

Il 13 settembre 1996, la Conferenza episcopale italia-na e il ministero per i Beni culturali e ambientali han-no stabilito che per l’attuazione di tale collaborazionesono coinvolti: in ambito centrale il ministro dei Beniculturali e il presidente dalla Cei; in sede locale, i so-vrintendenti e i vescovi diocesani. Sono previste riunio-ni finalizzate allo scambio di informazioni sulle inizia-tive da intraprendere, alla definizione dei programmi edelle proposte annuali o pluriennali circa gli interventia favore dei beni culturali in questione, alla stesura deipiani di spesa. Il finanziamento di tali interventi è de-mandato sia allo Stato sia agli enti ecclesiastici interes-sati sia, eventualmente, a privati. Tutte le richieste di in-tervento finalizzato al restauro e alla conservazione dibeni appartenenti ad associazioni religiose sono pre-sentate dai vescovi ai sovrintendenti locali. L’intesa del1996 ha infine previsto la costituzione di un Osservato-rio centrale per i beni culturali di proprietà ecclesiasti-ca, composto da rappresentanti del ministero e dellaCei che si riuniscono con cadenza semestrale.

Infine, nel 2004, il decreto legislativo n. 42 ha postosotto la tutela dello Stato italiano tutti i beni mobili eimmobili che hanno interesse artistico, storico e ar-cheologico di proprietà degli enti ecclesiastici.

2.5 LA TUTELA DEL PATRIMONIOMONDIALE E L’UNESCO

Vi è un patrimonio culturale il cui valore trascende iconfini nazionali, che insomma è talmente importantee prezioso da appartenere non a un singolo paese ma almondo intero: si tratta del patrimonio mondiale. Par-liamo di ambienti di rara bellezza, di città d’arte mera-vigliose, di edifici e di opere d’arte considerati grandi eineguagliabili capolavori. Di tale patrimonio si occupa,oltre che il singolo paese di pertinenza, anche l’Orga-nizzazione per la protezione del patrimonio mondiale,detta Unesco, nata all’interno delle Nazioni Unite co-me organismo di cooperazione internazionale per l’e-ducazione, la scienza e la cultura.

L’Unesco (United Nations Educationals, Scientificand Cultural Organization, ossia Organizzazione del-le Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cul-tura) è stata fondata a Londra il 16 novembre 1945 conl’obiettivo di «contribuire alla pace e alla sicurezza pro-muovendo la collaborazione tra le Nazioni attraversol’educazione, la scienza e la cultura onde garantire il ri-

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spetto universale della giustizia, della legge, dei dirittidell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta del-le Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza di-stinzione di razza, sesso, lingua o religione». 193 go-verni ne hanno sottoscritto lo Statuto dichiarando dicredere nel «completo ed eguale accesso all’educazioneper tutti, nel libero perseguimento della verità oggetti-va e nel libero scambio di idee e conoscenze» perché «leguerre nascono nell’animo degli uomini ed è l’animodegli uomini che deve essere educato alla difesa dellapace» e solo in questo senso si può agire perseguendol’obiettivo di una pace duratura.

Il 16 novembre del 1972 più di 140 Stati, tra cui l’Ita-lia, hanno sottoscritto una Convenzione internaziona-le sulla protezione del Patrimonio mondiale culturale enaturale, stipulata dall’Unesco. Alcune premesse intro-ducono il testo del documento vero e proprio sottoli-neando che «la degradazione o la sparizione di un be-ne del patrimonio culturale e naturale è un appoveri-mento nefasto del patrimonio di tutti i popoli del mon-do, che la protezione di questo patrimonio su scala na-zionale rimane spesso incompleta per l’ampiezza deimezzi necessari a tal fine»; che «certi beni del patrimo-nio culturale naturale offrono un interesse eccezionaleche esige la loro preservazione come elementi del patri-monio mondiale dell’umanità» e che «dinanzi all’am-piezza e alla gravità dei nuovi pericoli spetta alla col-lettività internazionale di partecipare alla protezionedel patrimonio culturale e naturale di valore universa-le eccezionale mediante un’assistenza collettiva».

La Convenzione punta, poi, la massima attenzione sudue ambiti ben precisi, i siti culturali e quelli naturali,considerandoli entrambi elementi portanti del patri-monio mondiale dell’umanità, in continua interazionetra di loro.

All’articolo 1 vengono fornite varie definizioni di«patrimonio culturale e naturale» e si precisa che devo-no essere univocamente concepiti come patrimonioculturale:

• «i monumenti: opere architettoniche, plastiche opittoriche monumentali, elementi o strutture di carat-tere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elemen-ti di valore universale eccezionale dall’aspetto storico,artistico o scientifico;

• gli agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riu-nite che, per la loro architettura, unità o integrazionenel paesaggio hanno valore universale eccezionale dal-l’aspetto storico, artistico o scientifico;

• i siti: opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomoe della natura, come anche le zone, compresi i siti ar-cheologici, di valore universale eccezionale dall’aspet-to storico ed estetico, etnologico o antropologico».

All’articolo 2 si afferma che debbano essere conside-rati patrimonio naturale:

• «i monumenti naturali costituiti da formazioni fisi-che e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valo-re universale eccezionale dall’aspetto estetico o scienti-fico;

• le formazioni geologiche e fisiografiche e le zonestrettamente delimitate costituenti l’habitat di specieanimali e vegetali minacciate, di valore universale ecce-zionale dall’aspetto scientifico o conservativo;

• i siti naturali o le zone naturali strettamente delimi-tate di valore universale eccezionale dall’aspetto scien-tifico, conservativo o estetico naturale.»

Il patrimonio culturale e naturale mondiale viene co-sì a essere ufficialmente riconosciuto e tutelato. Gli Sta-ti firmatari della Convenzione hanno espresso formal-mente l’impegno a salvaguardarlo e a tal fine hanno sti-lato un elenco aperto di siti che si ritiene debbano esse-re considerati patrimonio per l’umanità. Perché un si-to, un insediamento o un monumento possa farne par-te è necessario che possieda determinati requisiti che lemodalità d’iscrizione specificano al fine di attuare unaragionata preselezione. Uno Stato firmatario che abbiasiti iscritti nella lista del Patrimonio mondiale gode delvantaggio di poter accedere al Fondo per il patrimoniomondiale (alimentato dalle contribuzioni obbligatoriedegli stessi Stati membri) e può ricevere aiuti di emer-genza nel caso in cui gravi danni causati da disastri na-turali o dovuti all’azione dell’uomo richiedano rapidi econsistenti interventi sul loro territorio nazionale. Inol-tre, accanto alla lista principale, trova spazio una listadei beni in pericolo, sui quali è necessario intervenirecon la massima urgenza.

Tutto ciò accade, però, secondo regole molto precise: laConvenzione stabilisce, infatti, che venga costituito pres-so l’Organizzazione delle Nazioni Unite un Comitato delPatrimonio mondiale che deve compilare un «registro in-ternazionale dei beni culturali sotto protezione speciale»,da aggiornare annualmente, sulla base delle indicazionidegli Stati firmatari. Il finanziamento degli interventid’eccezione è regolato da rigide norme che, tra le altre co-se, prevedono che lo Stato che ha chiesto l’iscrizione pos-sa dimostrare di aver già effettuato autonomamente azio-ni di conservazione e restauro sul sito segnalato. Una vol-ta approvato l’aiuto, l’assistenza internazionale prevedel’invio di personale specializzato, attrezzature e, ovvia-mente, opportuni progetti di intervento.

Il patrimonio storico e culturale di un paese è inso-stituibile, ineguagliabile e inestimabile. Conoscerlo è lacondizione necessaria per la sua salvaguardia e per que-sto motivo deve essere identificato secondo regole pre-cise e individuato a livello mondiale con chiarezza.Grazie ai criteri di identificazione utilizzati dalla Con-venzione sul Patrimonio dell’Umanità, per esempio, l’I-talia risulta essere il paese che detiene il maggior patri-monio culturale al mondo.

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2.6 I PROFESSIONISTI PREPOSTI ALLA TUTELADEL PATRIMONIO CULTURALE

Tra le principali figure di professionisti che si occupanodella conservazione, della salvaguardia e della valoriz-zazione dei beni culturali possiamo ricordare lo storico,lo storico dell’arte e/o dell’architettura, l’archeologo,l’operatore dei beni culturali e il restauratore dei beniculturali. Il percorso formativo di chi intende intrapren-dere una di queste professioni è di tipo universitario: lelauree richieste sono quelle in Storia dell’Arte, Architet-tura, Conservazione dei Beni culturali, Lettere classicheo moderne, Archeologia, nonché il diploma di restaura-tore conseguito presso una scuola statale o privata. Ov-viamente è spesso utile o addirittura opportuno conse-guire anche uno specifico dottorato di ricerca.

Compito dello storico, dello storico dell’arte o del-l’architettura, dell’archeologo è quello di occuparsidella ricerca, dello studio e della promozione del patri-monio artistico, architettonico e archeologico. Allostorico sono richieste competenze di grande responsa-bilità: deve essere in grado di giudicare la rilevanza sto-rica, documentaria, estetica dei beni di interesse stori-co-artistico, di riconoscerne l’autenticità e di indivi-duarne la provenienza o di ricostruirne la storia. Vi so-no storici dell’arte specializzati nella valutazione di be-ni mobili, di cui poi curano la documentazione e la ca-talogazione; gli storici dell’architettura si occupano in-vece dei beni immobili e ad essi è riservato il delicatocompito di curarne il restauro, il consolidamento e l’a-dattamento, attraverso le diverse fasi della progettazio-ne, della direzione dei lavori e del collaudo. Gli archeo-

logi, invece, programmano e seguono gli scavi dellearee archeologiche, il rilievo degli edifici o dei resti diedifici ritrovati, la catalogazione dei reperti.

A tutti questi studiosi è demandato il compito di or-ganizzare e coordinare manifestazioni culturali (comeconvegni, congressi) ed esposizioni temporanee e non,di redigere gli atti o i cataloghi e in generale di curarepubblicazioni didattico-scientifiche di interesse collet-tivo. Sono queste le figure professionali che general-mente assumono la direzione dei musei pubblici e pri-vati, dirigono le soprintendenze e forniscono le consu-lenze necessarie per enti pubblici.

L’operatore dei beni culturali può lavorare presso leistituzioni pubbliche e private e si occupa comunemen-te della gestione dei beni artistici: è infatti specializza-to nella loro catalogazione, conservazione come nel lo-ro restauro. Se invece è attivo nel settore dell’editoria,ha il compito di promuovere e valorizzare la conoscen-za del patrimonio storico, artistico e culturale.

Il restauratore si occupa materialmente del restaurodei beni culturali. Deve dunque possedere una profon-da cultura in ambito storico-letterario e avere specifi-che conoscenze di metodologia e tecnica della conser-vazione e del restauro, padroneggiare la legislazione re-gionale, nazionale e internazionale nel campo della tu-tela e della difesa dei beni culturali. Può avere un ruolodi coordinamento di altre figure professionali analoghealla sua che operano nel settore e che costituiscono unaéquipe di restauro; in tal caso deve occuparsi dell’orga-nizzazione degli interventi, affidare l’incarico ai restau-ratori coinvolti, supervisionare i lavori in corso e svol-gere la verifica finale.

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IL RESTAURO3

Nel Medioevo, la visione teocratica dell’universo fe-ce dell’arte uno dei più efficaci strumenti di evangeliz-zazione, e pertanto non fu manifestato alcun interesseper la conservazione o il restauro di opere appartenen-ti al mondo classico, legate alla invisa cultura pagana.L’unica attenzione fu rivolta alla “conservazione” di di-pinti di soggetto religioso che, nei casi di opere parti-colarmente venerate, venivano “rinfrescati” con nuovemani di pittura e adattamenti più o meno consistentiper compiacere il gusto artistico del momento.

Nel corso del Rinascimento, il conclamato amore peril mondo classico portò alcuni artisti a voler restauraremolte opere dell’antichità, in particolare quelle sculto-ree, ripristinando le parti deterioratesi o mancanti. Undocumento importante di questa epoca risale al 1512:si tratta di un memoriale scritto da Raffaello Sanzio(1483-1520) in forma di lettera al pontefice Leone X(1475-1521), in cui l’artista e architetto urbinate, «pre-so dalla pietà per le distruzioni di monumenti causatedal tempo e dagli uomini», stese un sofferto resocontosullo stato di abbandono dei monumenti della Romaantica. Nel 1515 fu nominato “Presidente di tutti i mar-mi e di tutte le pietre che si scaveranno in Roma”, rice-vendo così l’incarico di occuparsi dei reperti archeolo-gici della città papale. Raffaello affrontò il compito ri-costruendo una pianta di Roma antica a partire dal-l’osservazione delle rovine sotto i suoi occhi, schedan-do e documentando ogni monumento con metodoscientifico e ponendo così per primo le basi della mo-derna scienza archeologica e del restauro.

Nel XVII secolo si intensificarono lo scambio e lacompravendita delle opere d’arte antiche e questo die-de nuovo stimolo anche alla ricerca e alla diffusione dinuove e migliori tecniche di restauro. Veri e propri spe-cialisti furono chiamati a mettere mano soprattutto aidipinti per restituire alle tele la perfezione del tratto edei colori originali.

Alla fine del secolo successivo, in Francia, durante la

3.1 L’EVOLUZIONE DELCONCETTO E DELLA PRATICADEL RESTAURO FINO ALLESOGLIE DEL XIX SECOLO

I beni culturali, come tutti gli oggetti materiali, subi-scono nel tempo un processo di deterioramento più omeno marcato, legato alle normali condizioni ambien-tali o all’intervento di circostanze straordinarie, che ri-chiedono l’intervento di restauratori. Quadri, affre-schi, sculture, membrature architettoniche, libri e tes-suti sono stati e sono quotidianamente oggetto di ag-gressione da parte di muffe, polveri, umidità, inquina-mento, a tacere di eventi, come incendi, crolli, alluvio-ni, che in un passato più o meno recente possono aver-ne compromesso la leggibilità o addirittura la stessa in-tegrità. Per questo, essi hanno talvolta bisogno di esse-re “restaurati”. Il termine deriva dal latino restaurare,ossia ‘ricostruire’. L’etimologia della parola rimandaquindi a un significato molto simile a quello che ogginoi le attribuiamo riferendoci da un lato alla conserva-zione dell’integrità dell’opera artistica e dall’altro allareintegrazione di una sua possibile alterazione o muti-lazione.

Nel mondo greco-romano, l’idea del restauro era bendiversa da quella attuale. Si interveniva sull’opera d’ar-te non tanto per proteggere e salvaguardare quello spe-cifico oggetto d’arte, ossia l’originale, frutto del lavoroe della creatività di un artista, quanto piuttosto la suaimmagine, quello che tale oggetto intendeva rappre-sentare, soprattutto se questo messaggio era di naturareligiosa o politica. E non è certamente un caso che iRomani usassero produrre con tanta disinvoltura dellecopie degli originali greci. È quindi evidente che nel-l’antichità non si conosceva il significato della tuteladel patrimonio culturale storico e artistico, e il restau-ro, quando praticato, aveva il solo fine di restituire aopere rovinate dal tempo la capacità di veicolare unmessaggio.

rivoluzione del 1789, la consapevolezza del valore delleopere d’arte fece sì che molte di queste fossero trasferi-te in luoghi sicuri per salvaguardarle dalla distruzionedei tumulti; poi, conclusasi la stagione rivoluzionaria,ci si adoperò per il loro restauro nonché per il ripristi-no dei monumenti danneggiati.

3.2 LA TEORIA DEL RESTAURODALL’OTTOCENTO A OGGI

Nel corso dell’Ottocento il restauro, soprattutto quel-lo architettonico, fu oggetto di grande interesse tantoda far nascere un vero e proprio dibattito intorno allateoria del restauro e alle diverse pratiche possibili. Il se-colo del Romanticismo rivalutò il Medioevo in quantoritenuto il momento storico in cui poter ritrovare le ra-dici delle identità nazionali e anche a livello artistico sivollero recuperare opere, architetture e stili medievaliidentificati come puri e originali.

L’architetto francese Viollet-le-Duc (1814-1879) fumolto attivo nel campo del restauro architettonico; ana-lizzando razionalmente la sintassi costruttiva del Goti-co, egli elaborò un metodo per ricostruire le forme degliedifici medievali, il cosiddetto restauro stilistico. Secon-do Viollet-le-Duc, un architetto moderno poteva recu-perare le motivazioni tecniche e gli ideali che avevano so-stenuto gli architetti gotici, e non solo per amore dellaverità ma per ridefinire l’architettura del presente. Igrandi monumenti medievali, una volta restaurati, po-tevano servire da modello agli architetti moderni.

Nel Regno Unito, invece, si diffuse una corrente dipensiero anti-restaurativa, guidata dallo scrittore, poe-ta e critico d’arte John Ruskin (1819-1900). Nella suaopera più famosa, The seven lamps of architecture (‘Lesette lampade dell’architettura’), pubblicata nel 1849,Ruskin delinea il suo pensiero a proposito del restauroche egli reputa «la più totale distruzione che un edificiopossa subire», un puro inganno, una menzogna insom-ma. Secondo lo studioso e tutti i suoi seguaci, l’unicaoperazione che l’uomo può mettere in atto per oppor-si al tempo è la conservazione: «Prendetevi cura soler-te dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno direstaurarli. [...] fatelo amorevolmente, con reverenza econtinuità, e più di una generazione potrà ancora na-scere e morire all’ombra di quell’edificio. [...] la nostradecisione di conservare o no gli edifici delle epoche pas-sate non è questione di opportunità o di sentimento; ilfatto è che non abbiamo alcun diritto di toccarli. Nonsono nostri. Essi appartengono in parte a coloro che licostruirono, e in parte a tutte le generazioni di uominiche dovranno venire dopo di noi».

Di grande importanza fu la figura di Camillo Boito(1836-1914), noto architetto e scrittore, diventato nel cor-so del XIX secolo anche un importante teorico del re-stauro a livello internazionale. Boito rifiutò il restauro sti-

listico propugnato da Viollet-le-Duc, considerandolo co-me un inganno o ancor peggio come una falsificazione,soprattutto se l’intervento non consentiva di distinguerele parti originali dagli interventi moderni. Gli edifici, se-condo lo studioso, «devono venire piuttosto consolidatiche riparati, piuttosto riparati che restaurati». Al suo no-me è legato il cosiddetto restauro filologico, che tentaun’intermediazione fra il restauro stilistico del modellofrancese e le teorie anti-restaurative del modello inglese.Soprattutto, e per la prima volta, Boito riconobbe il valo-re dei segni lasciati dal tempo sull’edificio, ossia la patinache lui stesso definì lo «splendido sudiciume del tempo».Nel 1883 Boito fu promotore, durante il IV Congresso de-gli ingegneri e architetti tenutosi a Roma, della I Carta ita-liana del Restauro, la prima a segnare con chiarezza unavia italiana al restauro dei monumenti.

Nei primi decenni del XX secolo, Gustavo Giovan-noni (1874-1947), ingegnere civile, storico dell’architet-tura, urbanista, docente di Restauro dei monumentipresso la facoltà di Architettura di Roma, teorizzò e so-stenne l’importanza del restauro scientifico. Questomodello di intervento, legato all’idea del monumentointeso come documento storico-artistico, vuole essereil frutto della collaborazione e del lavoro in équipe diuno staff di professionisti – architetti, storici dell’arte,ingegneri, chimici, geologi – ognuno dei quali devemettere a disposizione del gruppo le proprie conoscen-ze per approntare tecniche di intervento rispettose del-l’opera d’arte nel suo insieme e capaci di giungere a unrisultato soddisfacente sotto tutti gli aspetti.

Giovannoni, inoltre, individuò differenti tipologie diintervento, classificandole per obiettivi e procedure:

• restauro di consolidamento, necessario per ripristi-nare la stabilità strutturale del monumento e garantirela sua sicurezza statica;

• restauro di ricomposizione, da attuarsi su una co-struzione parzialmente danneggiata ma di cui sono sta-te recuperate le membrature architettoniche originarie;

• restauro di liberazione, che consiste nel rimuovereinterventi architettonici successivi alla realizzazionedel monumento e che sono ritenuti di scarso o nullo va-lore artistico;

• restauro di completamento, necessario per integra-re delle parti mancanti un monumento rimasto incom-piuto, ricostruendole secondo l’arbitrio del restaurato-re in armonia con l’insieme architettonico ma sempre ecomunque facendo sì che le parti non originali siano fa-cilmente riconoscibili;

• restauro di innovazione, quando il monumento vie-ne riadattato a seguito di un cambio della sua funzionee integrato con nuove parti “moderne” necessarie per ilsuo riuso.

Negli stessi anni, Ambrogio Annoni (1882-1954), ar-chitetto e teorico del restauro, si oppose all’adozione di

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metodi standardizzati ed elaborò la cosiddetta teoriadel caso per caso: ogni monumento deve essere consi-derato come opera a sé stante e va studiato rifuggendoteorizzazioni astratte a favore di un’analisi attenta deidocumenti storici. Come scrive in una delle sue princi-pali pubblicazioni, Scienza e arte del restauro architet-tonico (1946), «oggi si pensa che il restauro non deve es-sere solamente arte, né solamente scienza, ma l’una el’altra cosa assieme; per le quali occorre un grande sen-so di equilibrio, di cultura, di amore. Per restauro nonsi intenderà più né ricomposizione stilistica, né rico-struzione storica; ma conservazione, sistemazione, av-valoramento dell’edificio».

Nel 1931, la cosiddetta Carta di Atene (Carta euro-pea per il Restauro) portò il problema del restauro al-l’attenzione della comunità internazionale. La Carta fuinfatti redatta da un centinaio di rappresentanti di cir-ca venti paesi europei con l’intento di fare il punto sul-la cultura del restauro moderno e di fornire agli spe-cialisti indicazioni operative comuni. A questa carta fe-cero seguito molti altri documenti che i singoli paesistesero considerando le proprie specifiche realtà. In Ita-lia, Giovannoni si fece promotore della Carta italianaper il Restauro, approvata dalla Direzione generale del-le antichità e belle arti ed entrata in vigore nel 1932. Co-me la Carta di Atene, anche la Carta italiana insiste sulvalore storico dei monumenti e stabilisce che la princi-pale finalità del restauro è quella di conservare i monu-menti senza alterarli, rispettando la loro condizione dipreziosi documenti di arte e storia.

Nel secondo dopoguerra, con gli urgenti problemi le-gati alla ricostruzione, si affermò il concetto del cosid-detto restauro critico, sostenuto dal pugliese RobertoPane (1897-1987) e soprattutto dal toscano CesareBrandi (1906-1988), entrambi storici dell’arte e dell’ar-chitettura di fama internazionale. Brandi, per anni(1939-59) direttore del Regio Istituto centrale del Re-stauro (oggi Istituto superiore per la Conservazione e ilRestauro), pubblicò nel 1963 un saggio fondamentale,intitolato Teoria del Restauro. In questa agile opera,una raccolta delle sue lezioni e dei suoi scritti di queglianni, lo studioso fissò per la prima volta alcuni princì-pi fondamentali per la conservazione e il restauro delleopere d’arte e dei monumenti e disquisì sull’atteggia-mento che il restauratore deve assumere di fronte all’o-pera d’arte. Già nelle prime pagine viene enunciato unprincipio fondamentale della concezione di Brandi: «ilrestauro costituisce il momento metodologico del rico-noscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fi-sica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vi-sta della sua trasmissione al futuro». Secondo i princì-pi del restauro critico, ogni intervento costituisce un ca-so a sé, non inquadrabile in categorie, e non può ri-spondere né a regole prefissate né a dogmi di qualsiasitipo. È sempre l’opera stessa, preventivamente analiz-

zata con competenze tecniche e studiata in un ampioquadro storico-artistico, a suggerire al restauratorequal è la via più corretta da intraprendere.

Sulla scorta dei princìpi enunciati da Brandi, nel 1972 ilministero della Pubblica Istruzione, nell’intento di perve-nire a criteri uniformi nella specifica attività dell’Ammi-nistrazione delle Antichità e Belle Arti nel campo dellaconservazione del patrimonio artistico, elaborò alcunenorme sul restauro dei monumenti architettonici. Talinorme presero il nome di Carta di Restauro 1972. La suc-cessiva Carta della conservazione e del restauro degli og-getti d’arte e di cultura (1987) rinnovò, integrò e sostan-zialmente sostituì il precedente documento normativodel ’72 estendendo l’ambito di operatività a tutti gli og-getti di ogni epoca e area geografica che rivestissero un si-gnificativo interesse artistico, storico e culturale in gene-re. Dunque oggetti, sculture, dipinti realizzati su qualsia-si supporto (murario, cartaceo, tessile, ligneo, lapideo,metallico, ceramico, vitreo), architetture, ambienti urba-ni e naturali di particolare interesse, ambienti “costruiti”come parchi, giardini e paesaggi agrari, strumenti tecni-ci, scientifici e di lavoro e ancora libri, documenti, testi-monianze di usi e costumi. Nella Carta dell’87 si affermachiaramente che i provvedimenti di conservazione nondebbano riguardare soltanto la salvaguardia dell’oggettosingolo e dell’insieme degli oggetti considerati significa-tivi, ma anche le condizioni del contesto ambientale, in-tervenendo direttamente sull’opera ai fini di arrestare perquanto possibile danni e degrado rispettando la fisiono-mia dell’oggetto. «Conservazione e restauro possono nonessere uniti e simultanei, ma essi sono complementari e inogni caso un programma di restauro non può prescinde-re da un adeguato programma di salvaguardia, di manu-tenzione e prevenzione».

A livello internazionale, da più di cinquant’anni or-mai, fornisce delle linee guida in questo settore l’Ic-crom (Centro internazionale di Studi per la Conserva-zione e il Restauro dei Beni culturali), un’organizzazio-ne intergovernativa istituita nel 1959 su decisionedell’Unesco. Nata per servire la comunità internazio-nale rappresentata dai suoi Stati membri (attualmente127), è l’unica istituzione del suo genere, con il manda-to di tutto il mondo a promuovere la conservazione ditutti i tipi di beni culturali, sia mobili che immobili, amigliorare la qualità della conservazione pratica e del-le tecniche di restauro, e a sensibilizzare circa l’impor-tanza di preservare il patrimonio culturale.

3.3 LA PRATICA DEL RESTAUROTutte le opere d’arte, come abbiamo detto, sono desti-nate a corrompersi, a deteriorarsi o addirittura a de-gradarsi o a distruggersi. Molte sono le cause di questoinevitabile processo, che certamente dipende in primoluogo dalla natura dell’oggetto artistico e dal materia-

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le con cui esso è stato realizzato. Esistono infatti mate-rie molto più resistenti e durature di altre: l’esperienzainsegna che la pietra, tanto per citare un esempio, èmolto più resistente della terracotta. A questi fattori sene aggiungono altri, legati alla collocazione del manu-fatto, il quale può essere sottoposto al logorio dei fat-tori atmosferici (vento, pioggia, gelo, escursioni termi-che), all’attacco dei microrganismi (come alghe e liche-ni, soprattutto nel caso di fontane) e, nelle grandi città,alla corruzione1 dello smog. Ciò vale soprattutto per lesculture esposte all’aperto e, più in generale, per tuttele architetture. Fra le cause di degrado, oltre a inciden-ti e calamità naturali, come terremoti, incendi o allu-vioni, dobbiamo citare anche l’opera dell’uomo, chespesso interviene sulle opere d’arte o per adattarle anuove esigenze, o per sottoporle a errati interventi dipulitura o di restauro; ma si verificano talvolta anchecasi di vandalismo in cui alcuni capolavori divengonooggetto di aggressione da parte di squilibrati.

Le opere d’arte, insomma, devono essere costante-mente monitorate e vanno sottoposte, periodicamente,ad analisi anche sofisticate, mirate a verificarne lo “sta-to di salute”. Molti capolavori sono oggetto di partico-lari indagini chimiche e radiologiche. Nei casi migliori,ossia quando l’opera non presenta danneggiamenti par-ticolari, viene messa in atto una terapia conservativa,che consiste in una semplice pulitura e in un interventosull’ambiente circostante finalizzato a creare le condi-zioni climatiche e ambientali ideali per la sua conserva-zione. Talvolta sculture collocate all’aperto vengonotrasferite all’interno dei musei (e sostituite da copie nelsito originario); talvolta ambienti che ospitano affreschio dipinti particolarmente delicati vengono dotati dimacchinari che garantiscono l’aspirazione delle polverio il mantenimento di una temperatura e di una umiditàcostanti. Non di rado, le opere d’arte devono essere tu-telate impedendo ai visitatori di stazionare troppo a lun-go o in gruppi troppo numerosi nella stanza che le ospi-ta o addirittura vietando l’accesso ai luoghi che le ospi-tano. Questi sono casi di conservazione indiretta, ossiainterventi che mirano a tutelare un’opera d’arte agendosull’ambiente che la circonda: riducendo gli effetti ne-gativi del contesto, per esempio assicurando una puliziaregolare del luogo, impedendo a polvere e smog di en-trare, controllando il tasso di umidità, monitorandotemperatura e luce, si migliora lo “stato di salute” del-l’opera d’arte e se ne prolunga la vita.

Gli interventi di restauro più radicali, come quelli diconsolidamento o di integrazione, si rendono necessa-ri quando l’opera ha subito un trauma, mentre pulitu-re particolarmente efficaci sono richieste quando stra-ti di sporco consistenti o di vernici che nel tempo di so-

no scurite (nel caso dei dipinti) compromettono la leg-gibilità del manufatto o addirittura la stessa integritàfisica. A questo riguardo, nel corso del Novecento si so-no affermate due scuole di pensiero. Alcuni studiosi,infatti, ritengono che ogni evento, anche il più dram-matico per l’opera d’arte, faccia parte della sua storiae che vada dunque rispettato. Ciò vale anche per gli in-terventi di epoca successiva, come le ridipinture nel ca-so di affreschi e quadri, che anzi, sempre secondo que-sto pensiero, costituiscono una fonte documentaria evanno dunque mantenuti. I sostenitori di questa scuo-la inoltre mettono in guardia gli operatori del settoredal pericolo di asportare assieme allo sporco e alle ver-nici anche strati di colore originari o, nel caso di affre-schi, ritocchi a secco previsti dall’autore, per cui para-dossalmente chi si incarica di “salvare” l’opera d’artepotrebbe danneggiarla e comprometterla irrimediabil-mente.

La pensano diversamente i fautori di interventi di re-stauro più radicali, certi che gli strumenti a disposizio-ne dei moderni professionisti tutelino dal pericolo diun intervento “errato” e che l’asportazione di tutto ciòche non è stato previsto in origine dall’autore sia un at-to dovuto per ripristinare l’originale così come creatodall’artista.

Uno dei più famosi restauri del Novecento è statoquello della Cappella Sistina, conclusosi nel 1999 dopoanni di lavoro e un cospicuo investimento economico.Prima del restauro, il capolavoro michelangiolesco pre-sentava una pellicola scura, che spegneva i colori facen-do apparire l’opera quasi monòcroma. Questo effettoera stato probabilmente provocato già durante il Saccodi Roma del 1527, quando i Lanzichenecchi avevano ac-ceso alcuni fuochi nella cappella privata del ponteficecreando una spessa coltre di fumo denso. Quando que-sto strato di sporcizia è stato completamente rimossograzie all’intervento di restauro, sono riemerse le cromiesquillanti originarie di cui si era persa memoria, conse-gnando alla storia dell’arte un Michelangelo inedito. Inquella occasione, un gruppo di studiosi, soprattuttoamericani, ha gridato allo scandalo, accusando i restau-ratori italiani di aver drammaticamente rovinato gli af-freschi. Non disposti ad accettare un così drastico cam-biamento, hanno sostenuto che Michelangelo avevacreato dei forti chiaroscuri lavorando a secco, cioè sul-l’intonaco già asciutto, ritocchi che la pulitura troppoinvasiva aveva asportato con la fuliggine. Un’analogapolemica è poi scoppiata in tempi più recenti a conclu-sione del restauro degli affreschi di Giotto nella Cappel-la degli Scrovegni a Padova, ultimato nel 2002, laddovel’opera giottesca è stata giudicata da alcuni storici trop-po “impallidita” da un intervento evidentemente rite-nuto troppo radicale.

A partire dagli anni settanta del Novecento, si è affer-mata la cosiddetta teoria dell’integrazione. Essa rifiuta

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1. Per “corruzione” qui si intende quel processo di alterazione che fa su-bire modificazioni a un elemento con aggiunte di elementi spuri. Si-nonimo di inquinamento.

qualunque tipo di integrazione stilistica, anche sempli-ficata, e sostiene la necessità di integrare l’esistente (re-cuperato, consolidato, ripulito) con aggiunte dichiara-tamente moderne, magari effettuate con materiali deltutto diversi. Anche i restauratori meno radicali, in ve-rità, hanno accettato l’idea che l’integrità di un’operad’arte compromessa da un evento traumatico non pos-sa essere ripristinata con un intervento troppo mimeti-co: in altre parole, se un dipinto perde una parte dellasua superficie pittorica o una scultura o un edificio ven-gono mutilati e se la parte asportata è irrimediabilmen-te persa, l’opera non può essere restaurata “sostituen-do” le parti mancanti con altre che le riproducano allaperfezione. L’evento traumatico fa parte della storiadell’opera e non può essere ignorato. Certo è necessariointervenire sull’opera con un’efficace azione di consoli-damento, per garantire che il processo di degrado vengainterrotto: ma se il restauratore sostituisse le parti ori-ginali perdute con altre uguali, falsificherebbe il quadroo la statua, che non sarebbe più tutta di mano dell’arti-sta. Gli interventi devono quindi risultare sempre im-mediatamente riconoscibili ed essere asportati con faci-lità, qualora lo si reputasse necessario.

È giusto qui ricordare, sia pure per sommi capi, an-che il cosiddetto restauro virtuale. Grazie alla compu-ter-grafica è oggi possibile effettuare ricostruzioni disingole opere o di interi complessi monumentali attra-verso elaborazioni digitali, bidimensionali o tridimen-sionali, che consentono di realizzare un vero e propriorestauro virtuale. Gli esiti sono di altissimo impatto vi-sivo ed emozionale dal momento che grazie a questametodologia digitale è possibile, per esempio, ripristi-nare virtualmente edifici storici interamente o parzial-mente distrutti o degradati così come comporre partimai costruite al momento della loro originaria realiz-zazione.

Questo tipo di restauro può essere di grande aiuto alrestauro tradizionale, in quanto costituisce uno stru-mento di studio, di analisi e di valutazione, altamentesofisticato, oltre che in continuo aggiornamento. Unostrumento che, oltretutto, permette la massima libertàdi formulare modelli di intervento e ipotizzare tecnichedi restauro per edifici, dipinti, affreschi, statue, foto-grafie, e di comporre una virtuale ma preziosa antepri-ma dei futuri risultati.

3.4 I SISTEMI DI RILEVAMENTODIAGNOSTICO E LE FASIDEL RESTAURO

Nessun restauro può prescindere dalla struttura mate-riale del manufatto su cui si deve operare. È quindi in-dispensabile che qualunque intervento sia preceduto daun accurato studio preliminare, finalizzato a un’ap-profondita conoscenza dell’oggetto, che comprenda

un’adeguata raccolta di notizie storiche, un’ampia do-cumentazione grafica e fotografica e un’indagine di ca-rattere scientifico, necessaria a impostare in manieracorretta tutte le operazioni successive. A tal fine, va sti-lata una scheda conservativa che raccolga tutte le infor-mazioni, visive, materiche e storiche. La scheda, unavolta compilata, deve riportare: autore dell’opera (seconosciuto), epoca, provenienza, tecnica di esecuzione,misure, eventuali interventi precedenti e/o ritocchi, do-cumentazione fotografica, piano di lavoro; durante levarie fasi del restauro, deve essere poi aggiornata, conrelazioni, commenti, schemi che illustrino le diverseoperazioni svolte.

L’indagine compiuta sull’oggetto d’arte si avvale og-gi di molti e sofisticati sistemi di rilevamento, che han-no a disposizione tecnologie sempre più avanzate e cheper ogni opera consentono di ricavare informazioni ac-curatissime sui materiali impiegati e sulle tecniche diesecuzione. Le più comuni sono:

• la macrofotografia, che attraverso ingrandimenti diparticolari anche minutissimi consente di studiare latecnica esecutiva dell’artista e gli eventuali ritocchi;

• l’analisi alla luce radente, una particolare illumina-zione laterale dell’opera prodotta da una lampada a va-pori di sodio, che rende visibili tutte le eventuali im-perfezioni e, nel caso di dipinti, anche i più piccoli sol-levamenti di colore o gli allentamenti della tela;

• l’analisi al microscopio ottico e al microscopio elet-tronico, che consente di analizzare piccolissimi cam-pioni di materiale organico e inorganico prelevati dal-l’opera;

• la colorimetria, che studia i colori dell’opera con-frontandoli con dei modelli di riferimento;

• l’analisi ai raggi ultravioletti, che consente di indi-viduare alcuni particolari dello stato di conservazionee di identificare la presenza di microrganismi. Infatti iraggi ultravioletti, invisibili all’occhio umano, quandocolpiscono un oggetto sono assorbiti o riflessi in mododiverso a seconda delle sostanze o dei materiali che locostituiscono provocando fenomeni di fluorescenza (inparticolare negli elementi più antichi di un’opera) chevengono poi interpretati;

• l’analisi ai raggi infrarossi, che consente di indivi-duare particolari invisibili a occhio nudo e che si trova-no spesso sotto la superficie dell’opera. Infatti, i raggiinfrarossi possono attraversare vari strati di materia edessere riflessi da ciò che si trova nella parte più internadel manufatto; in tal modo, essi permettono di scopri-re l’esistenza di resti originali di vernici, di pitture pre-cedenti, di vecchi strati di doratura, e di verificare il lo-ro stato di conservazione;

• la stratigrafia, con la quale si analizzano i diversistrati dell’opera d’arte per ricostruirne la datazione;

• la cromatografia, una tecnica che consente di sepa-rare i componenti di una miscela, come quella degli in-

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chiostri o delle pitture, in modo da analizzarli, identifi-carli, purificarli e quantificarli.

• la termografia, adottata per il restauro dei materialilapidei e del bronzo, che consente attaverso un macchi-nario detto termocamera, di individuare certe patologiedella pietra e i fenomeni di corrosione del metallo;

• l’analisi con gli ultrasuoni, con la quale si misura laquantità del suono emessa da un corpo, in genere lapi-deo, percosso da un particolare martello, per rilevareeventuali danneggiamenti.

Eseguite le opportune analisi, il restauratore procedecon il restauro vero e proprio del manufatto; innanzitutto procede con interventi conservativi che hanno ilcompito di consolidare la struttura fisica dell’oggetto ei materiali che lo costituiscono; segue la pulitura dallasporcizia accumulata nei secoli, inclusa quella provo-cata dagli agenti atmosferici, dalle muffe, dai restauriprecedenti. È questa una fase molto delicata, perché lapulitura non deve essere radicale, dovendo risparmiareeventuali ritocchi a secco (nel caso di un affresco) rea-lizzati dall’artista o (nel caso di un dipinto) salvaguar-dare la pàtina, che è una velatura che si forma sulla su-perficie degli oggetti, dovuta al tempo e agli agenti at-mosferici, e che si considera far parte a tutti gli effettidell’opera d’arte.

Nei dipinti e nelle sculture che presentano delle lacu-ne si procede con una stuccatura, realizzata con parti-colari miscele di colle e gesso, finalizzata al ripristinodella superficie originaria dell’opera. Per il ripristinodelle lacune, poi, il restauratore oggi non procede piùal recupero del colore perduto, riproponendo una co-pia dei brani pittorici perduti. Infatti, il suo interventonon deve in alcun modo essere mimetico e confondersicon l’originale; al contrario, se da un lato è giusto ri-pristinare l’immagine globale del manufatto, dall’altrosi deve fare in modo che, avvicinandosi, l’osservatorepossa immediatamente capire dov’è intervenuto il re-stauratore. Due sono, a tale proposito, le tecniche adot-tate: la prima, chiamata astrazione cromatica (ma piùcomunemente “rigatino”) consiste nel colmare le lacu-ne stuccate con un tratteggio colorato, composto datante fitte pennellate i cui colori riprendono quelli pre-senti nelle zone circostanti del dipinto e il cui anda-mento non segue quello delle pennellate originali; la se-conda è quella dell’abbassamento cromatico, consi-stente in una stesura di colore compatto ma di tono in-feriore a quello delle parti circostanti.

Il restauro si conclude con la stesura di una vernice diprotezione, che a differenza di quelle antiche (realizza-te con componenti organiche che si alterano diventan-do scure) è inalterabile.

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IL MUSEO4

dove architettura e scultura trovavano continui spazi eoccasioni di espressione, consentendo ai cittadini difruirne quotidianamente.

Con il Medioevo, furono le chiese a svolgere, da unpunto di vista artistico, la funzione di “contenitori” diopere d’arte (tassativamente d’argomento religioso) inparte commissionate dal clero, in parte donate dai fe-deli più abbienti. A realizzarle dovevano, quindi, essereautori contemporanei, perché le opere d’arte originaliprovenienti dal mondo antico, per quanto apprezzatedagli artisti, erano in qualche modo portavoce di quel-la cultura pagana tanto avversata dalle gerarchie reli-giose. Non dimentichiamo, inoltre, che in quest’epocal’arte svolse un’importante e continua azione di evan-gelizzazione: attraverso le immagini la massa dei fede-li, per lo più analfabeta, poteva seguire le liturgie, co-noscere le storie sacre e comprendere i dogmi della re-ligione cristiana.

In epoca umanistica molti Signori, spesso facoltosimecenati, fecero realizzare nelle proprie dimore i co-siddetti musarum studia, studioli così chiamati perchéin essi veniva ancora ad essere celebrato il tema delleMuse attraverso le opere pittoriche esposte sulle pare-ti. Originariamente destinati ad attività di studio, di-vennero poi con il tempo luoghi deputati anche allaconservazione e alla custodia di oggetti d’arte. Famosistudioli rinascimentali furono lo Studiolo di Ferericoda Montefeltro nel Palazzo Ducale di Urbino, quellofiorentino di Lorenzo il Magnifico a Palazzo Medici,che si contraddistinse per la ricchezza delle opere rac-colte, e infine lo Studiolo di Francesco I dei Medici aPalazzo Vecchio, altro capolavoro fiorentino e opera diGiorgio Vasari.

Tra i secoli XVI e il XVIII si diffuse in Europa, prin-cipalmente nei paesi di lingua tedesca, il fenomeno del-le collezioni private volte a raccogliere e conservareopere d’arte di vario pregio e di diversa natura. Si trat-ta di raccolte composite che includono dipinti, scultu-

4.1 ETIMOLOGIA DELLA PAROLA E BREVE STORIA

La parola “museo” deriva dal greco museion, letteral-mente ‘sacrario delle Muse’. Nella mitologia greca, leMuse erano le figlie di Zeus, padre supremo degli dèi,e di Mnemosine, dea della memoria: le due divinità sierano amate per nove notti e da questa unione eranonate, ai piedi del monte Olimpo, le nove Muse, che ilmito considera protettrici e ispiratrici delle arti e dellescienze. A loro i Greci dedicarono la costruzione deimuseion, veri e propri templi all’interno dei quali ave-vano luogo competizioni artistiche di vario genere –musicali, poetiche e letterarie – veri e propri “cenacoli”intellettuali dove il sapere trovava la sua consacrazione.Quindi già nell’antichità il museo era un luogo dove leconquiste del pensiero umano aspiravano alla longe-vità, cercando formule di imperitura memoria, in unanobile e lodevole lotta contro l’inevitabile scorrere deltempo.

Fu, però, ad Alessandria d’Egitto che, nel III sec. a.C.,sorse il più celebre museion del mondo antico, volutoda Tolomeo II Filadelfo per dare un nuovo e significati-vo impulso alla cultura, alle lettere e alle scienze. Il mu-seion, racchiudeva al suo interno la celebre biblioteca,poi andata interamente distrutta, ambienti destinati aospitare filosofi e scienziati, aule, laboratori, un osser-vatorio astronomico, un giardino botanico e uno zoo.Era una sorta di museo della scienza e della tecnica an-te litteram, la cui modernità risiedeva nel fatto di esse-re, già allora, un’istituzione pubblica, aperta ai cittadi-ni e a tutti coloro che desiderassero accostarsi al sape-re, ai libri e alla conoscenza in senso lato.

I Romani non edificarono strutture ad hoc: i loro mu-sea erano cavità naturali (speluncae) nelle quali veniva-no collocate pregevoli opere marmoree, dipinti o mo-saici a solo scopo decorativo. Ma come già Atene, an-che Roma era di fatto un grande “museo” all’aperto,

re ma anche pietre preziose, monete, libri, nonché sin-golari esemplari di oggetti di origine naturale (zanne,code e denti di animali, parti di corpi umani, feti, semidi piante rare, ecc.). Spinti dal gusto di possedere “ra-rità”, i Signori conservavano senza seguire precisi me-todi scientifici di catalogazione, artificialia, ossia crea-zioni dell’ingegno umano, e naturalia, oggetti presentiin natura, non di rado curiosità difficilmente reperibi-li, veri e propri mirabilia capaci di suscitare stupore eammirazione e tanto più preziosi quanto più esotico elontano era il loro paese di provenienza.

Molte cose cambiarono verso la fine del XVIII seco-lo, quando iniziò a prefigurarsi l’idea del museo comevera e propria istituzione culturale, luogo deputato asvolgere una funzione educativa di interesse pubblico.Le raccolte d’arte, che erano da sempre appannaggiodella nobiltà e delle case regnanti, furono trasferite inambienti appositi che divennero veri e propri depositidi collezioni di grande prestigio, incrementate successi-vamente da ulteriori acquisizioni o donazioni. Si deli-neò, così, per gradi il museo modernamente inteso. Nel1753 nacque il primo museo pubblico a spese dello Sta-to, il British Museum di Londra e nel 1793, a Parigi, fu-rono nazionalizzati i beni della Corona e aperta al pub-blico una delle dimore reali, il Louvre, che divenne ilMusée National.

Nel secolo XIX secolo furono fondati i principalimusei europei, oggi tra le più importanti istituzionid’arte al mondo. In Spagna, a Madrid, nacque il Mu-seo Nacional del Prado (1819), con il duplice intentodi esporre le collezioni reali e di dimostrare all’Europaintera l’esistenza di una scuola pittorica e scultoreaspagnola artisticamente valida. A Londra, in TrafalgarSquare, la National Gallery (1824) aprì al pubblico perdecisione del governo britannico a seguito della mortedi un ricco mercante d’arte russo, possidente di unapreziosa collezione di quadri che si temeva potesse es-sere svenduta ad acquirenti stranieri. La collezione,inizialmente allestita all’interno della stessa residenzaprivata del mercante, si arricchì poi di altre importan-ti donazioni e fu quindi decisa la costruzione dell’im-mobile che ancora oggi la ospita. In Germania, a Ber-lino, fu allestito l’Altes Museum (1830), in un edificioche può senza dubbio essere considerato una delle ope-re più rappresentative del Neoclassicismo, nell’area og-gi denominata “Isola dei musei” e tutelata dall’Une-sco; a Monaco di Baviera, l’Alte Pinakotheck (1836)aprì i battenti mostrando al pubblico una collezionestrettamente legata alla famiglia reale della Baviera,che per secoli aveva voluto fare di Monaco un impor-tante centro artistico e culturale di livello europeo.Nello stesso periodo furono anche allestiti i primi mu-sei dedicati alla scienza: ne sono testimonianza ilScience Museum di Londra (1857) e il Museo Politec-nico a Mosca (1872-77).

Nei primi decenni del Novecento, alcune correnti ar-tistiche definite Avanguardie si schierarono con inap-pellabile fermezza contro il museo come era stato con-cepito fino ad allora, tacciato di essere un’istituzionedistante dalla società e dai suoi fermenti, immobile epriva di iniziative, vetrina di uno sterile e superato ac-cademismo. Nel Manifesto del Futurismo, FilippoTommaso Marinetti arrivò a scrivere «noi vogliamo di-struggere i musei, le biblioteche, le accademie di ognispecie».

Dopo il secondo conflitto mondiale si verificò un ve-ro e proprio boom di aperture di nuove istituzioni mu-seali: buona parte dei musei odierni sono nati proprioin questo periodo con l’intento di valorizzare e pro-muovere principalmente a scopo turistico i patrimoninazionali. In Italia, per esempio, si diffusero abbastan-za rapidamente musei locali di dimensioni medio-pic-cole che ancora oggi arricchiscono gli itinerari nellecittà d’arte più visitate ma anche di quelle meno pres-sate dai flussi turistici.

Negli ultimi decenni il museo si è trasformato bene-ficiando delle conquiste della tecnologia, rivelandosiappieno figlio del suo tempo. Ancora una volta, defi-nendo e ridefinendo il suo ruolo e i suoi obiettivi, ha di-mostrato di sapere essere un luogo dinamico, in conti-nuo divenire. Specchio e custode della storia, il museoè qualcosa di molto più articolato di un semplice con-tenitore di oggetti, è un fascinoso complesso di attivitàe funzioni in costante contatto con la società e con ilterritorio che lo accoglie.

4.2 IL MUSEO OGGICosa indichi oggi la parola museo lo precisa con pun-tualità e competenza l’Icom (International Council ofMuseums), l’associazione internazionale cui fanno ca-po i musei di tutto il mondo e i professionisti a essi le-gati. Il museo è «un’istituzione permanente, senza sco-po di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo.È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardanole testimonianze materiali e immateriali dell’umanità edel suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comuni-ca e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazionee diletto». Una definizione che contiene alcune parolechiave sulle quali vale la pena soffermarsi.

Con la dicitura «istituzione permanente» si vuole si-gnificare che il museo propriamente detto è una strut-tura deputata a “contenere” stabilmente un’esposizio-ne di opere di vario tipo. Le collezioni sono di proprietàdel museo e quindi vengono permanentemente propo-ste al pubblico dei visitatori. Ciò non toglie che un mu-seo possa, al contempo, ospitare raccolte che vengonoesposte temporaneamente, quindi secondo un calenda-rio preciso, in un allestimento del tutto provvisorio enon di rado nell’ambito di progetti espositivi tematici.

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«Senza scopo di lucro» indica che l’esposizione e glieventi a essa correlati non hanno come obiettivo l’ar-ricchimento dell’istituzione museale, che ha indubbia-mente bisogno di fondi per poter sopravvivere e opera-re nel tempo, ma che non opera per realizzare profitti.Gli utili, infatti, vengono reinvestiti nell’attività stessache ha come dichiarato scopo primario quello di divul-gare e arricchire la cultura di un paese.

«Aperto al pubblico»: non c’è museo senza collezio-ne ma neppure senza pubblico. Il pubblico è la condi-cio sine qua non1 per l’esistenza stessa del museo, èparte fondamentale della sua ragion d’essere. Sono, in-fatti, i visitatori a dare un senso al museo, siano essiscolaresche in gita d’istruzione, persone di passaggio ostudiosi. Il pubblico fruisce del museo, ma il museo esi-ste perché c’è un pubblico che va a visitarlo. Se cosìnon fosse ci troveremmo di fronte a fenomeni di colle-zionismo privato con caratteristiche decisamente dif-ferenti.

«Effettua ricerche sulle testimonianze materiali eimmateriali dell’uomo e del suo ambiente [...] le ac-quisisce, le conserva, le comunica»: il museo è veico-lo privilegiato delle testimonianze che l’uomo ha la-sciato di sé, del suo passato e del suo presente. Unquadro, una scultura, un libro, un oggetto di interes-se scientifico possono essere avvicinati con i sensi, so-no cose concrete che hanno caratteristiche fisiche pre-cise. Ma dietro ciascuno di questi oggetti c’è la me-moria di un tempo, di un’epoca, di un sentimento, diuna tradizione, di un pensiero, di un talento, e tuttoquesto non è tangibile, non è “materiale”, seppure al-trettanto importante e imprescindibile dal valore del-le raccolte esposte. Il museo testimonia e celebra en-trambi gli aspetti, da un lato mostrando oggetti con-creti, dall’altro raccontando attraverso di essi la sto-ria dell’umanità.

Queste opere vengono «acquisite», cioè il museo le faproprie per esempio comprandole da privati cittadini,dai mercanti d’arte, in occasione di aste pubbliche, op-pure ricevendole in dono da collezionisti, artisti, daeredi di celebri autori, da associazioni o aziende che invari modi sostengono e supportano le attività del mu-seo, ecc. Il museo, divenutone legalmente proprietario,deve quindi occuparsene in maniera completa e prov-vedere alla loro catalogazione, documentazione, custo-dia, conservazione, restauro, seguendo anche precisepolitiche e modalità di allestimento e di esposizione,ma anche di «comunicazione», intesa come promozio-ne, pubblicità, proposta di offerte, sviluppando vere eproprie strategie di marketing necessarie alla vita dellarealtà museale nella nostra epoca.

4.3 I MUSEI IN ITALIA: DIVERSE TIPOLOGIE

Dal secondo dopoguerra a oggi sono stati aperti in Ita-lia molti musei e non solo d’arte o di scienze. Il concet-to di museo si è evoluto e ampliato nel tempo venendoa comprendere realtà anche molto differenti tra loro,tanto che, secondo stime approssimative, risultanocensibili sul nostro territorio nazionale oltre tremilastrutture museali. Queste sono classificabili a secondadella tipologia di opere o reperti che conservano. Quin-di, sommariamente possiamo dire che avremo i museiarcheologici, i musei a carattere scientifico (ossia dedi-cati alle scienze naturali, alla demo-antropolgia o allatecnica), i musei storici (circoscritti a un periodo dellastoria dell’uomo), i musei di arti minori o applicate, e,infine, i musei storico-artistici, ossia i musei d’arte,quelli cui fa più facilmente riferimento l’immaginariocollettivo quando si pronuncia la parola “museo”.Questi ultimi sono spesso specializzati per periodi sto-rici (arte antica, medievale, moderna, contemporanea)o per forme d’arte; in questo secondo caso subisconouna ulteriore classificazione:

• la galleria è un edificio che raccoglie prevalente-mente opere di pittura e di scultura;

• la pinacoteca (dal greco pinaks, ‘quadro’, e tèke,‘deposito’) espone soltanto quadri;

• la gipsoteca (dal greco gypsos, ‘gesso’) ospita operein gesso, perlopiù calchi di opere antiche;

• la gliptoteca (dal greco, glyptós, ‘scolpito, inciso’)conserva collezioni di pietre dure o altre materie inta-gliate o scolpite;

• il gabinetto ospita raccolte di opere specialistiche,come per esempio disegni, stampe, monete antiche,gemme e pietre preziose;

• l’accademia indica un edificio nato originariamen-te come scuola d’arte e successivamente trasformato inun museo;

• il palazzo o casa-museo indica una raccolta d’arteconservata all’interno di un palazzo o di una casa, na-ta inizialmente come collezione privata e successiva-mente esposta al pubblico assieme all’edificio che laospita;

• l’antiquarium è una raccolta di opere a carattere an-tiquariale generalmente di epoca greco-romana, comeepigrafi, cippi e altri reperti;

• il museo-atelier è lo studio o l’atelier di un artistatrasformato in un piccolo museo monografico.

Fra i musei di “ultima generazione”, meritano un ap-profondimento a parte gli ecomusei e i musei azienda-li, in quanto molto recenti e indicativi del nostro tem-po attuale.

Gli ecomusei non si concentrano in un edificio, macomprendono aree territoriali più o meno vaste, di cui

1. Frase latina (letteralmente, ‘condizione senza la quale non [si può ve-rificare un evento]’), che vuole indicare un vincolo considerato irri-nunciabile.

vogliono essere uno strumento di rivalutazione e con-servazione, caratterizzate da un insieme inscindibile diun determinato patrimonio naturalistico e urbano uni-to alla storia, alle tradizioni e ai costumi di una parti-colare comunità. Questa nuova forma di museo è statateorizzata negli anni Settanta del Novecento da due no-ti studiosi francesi, Hugues De Varine (1935) e GeorgeHenry Rivière (1897-1985), e dopo le prime pionieristi-che sperimentazioni in Francia ha avuto un vasto se-guito, tanto che oggi, solo in Italia, se ne possono con-tare poco meno di un centinaio.

Organizzazioni museali di tutt’altra tipologia sono imusei aziendali o musei d’impresa. Il loro patrimonioè strettamente legato all’attività specifica di un’impre-sa e spesso nascono dalla volontà dell’imprenditore ti-tolare di presentare e celebrare la storia e lo svilupponel tempo della propria azienda, solitamente proprietàdi famiglia da più generazioni. Vengono esposti pro-dotti, confezioni, etichette, materiali pubblicitari, mac-chinari, documentazioni fotografiche, loghi, documen-ti societari, carteggi, progetti, a testimonianza del per-corso storico-produttivo compiuto a partire dal mo-mento della fondazione dell’attività. Sono dunque or-ganizzazioni museali in costante aggiornamento chedestano l’interesse di studiosi, operatori del settore maanche delle persone comuni, spinte dalla familiaritàcon il marchio o da semplice curiosità.

Le attività museali di questo tipo, seppur diverse daimusei tradizionali, hanno con questi alcuni elementi incomune. Per esempio un pubblico che, secondo orariprestabiliti, fruisce delle collezioni esposte; uno scopodichiarato preciso, che in questo caso, sarà promuove-re ulteriormente l’attività dell’azienda; la ricerca difondi che rendano possibile sostenere i costi di gestio-ne; personale preposto al controllo e all’organizzazio-ne degli spazi espositivi; spazi fisici adeguati a ospitaretutto il materiale raccolto, di cui si dovranno curare gliallestimenti; un’idonea comunicazione all’esterno del-le proprie attività.

4.4 LA PROPRIETÀ DEI MUSEIL’ Italia è uno dei paesi europei maggiormente dotati distrutture museali: statistiche emergenti da recenti cen-simenti hanno confermato che più di un comune italia-no su quattro possiede un museo o una struttura espo-sitiva similare. Differente, però, può essere la naturadella proprietà dell’istituzione museo. Come per i beniche espongono, anche per i musei la proprietà può es-sere principalmente di tre tipi: pubblica, ecclesiastica,privata.

I musei di proprietà pubblica possono essere nazio-nali e dunque gestiti dallo Stato italiano (come peresempio la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Ro-ma), oppure degli enti locali e quindi amministrati e

coordinati da regioni, province, comuni. Dalle regionidipende un esiguo numero di realtà museali, così comepoche sono quelle facenti capo alle province. Moltissi-me sono, al contrario, le istituzioni museali di perti-nenza dei singoli comuni, abbastanza omogeneamentedislocate su tutto il territorio nazionale.

I musei di proprietà ecclesiastica comprendono tuttiquei musei di proprietà della Chiesa (cattolica o di al-tre confessioni religiose). Per quanto riguarda quellidella Chiesa cattolica, vanno considerati sia i museiche insistono direttamente sul territorio del Vaticanosia i musei delle diocesi (circoscrizioni amministrati-vo/territoriali della Chiesa). In Italia, i musei ecclesia-stici, e soprattutto quelli diocesani, sono decisamentenumerosi. Secondo recenti stime, infatti, il 75% del pa-trimonio artistico nazionale appartiene alla Chiesacattolica: oggetti di grandissimo valore storico-artisti-co sono, infatti, custoditi all’interno di basiliche, con-venti e altre istituzioni religiose. Bisogna però sottoli-neare che i musei genericamente definiti religiosi sonoquelli che ospitano opere riguardanti la religione, qua-lunque essa sia, e possono essere di proprietà pubblicao privata.

I musei di proprietà privata possono appartenere asingoli privati, o a fondazioni o a enti morali e svolgo-no importanti attività di raccolta, conservazione edesposizione, promuovendo e valorizzando il patrimo-nio artistico, nonostante il loro scopo primario sia so-litamente quello della promozione del prestigio socia-le, nonché del ritorno economico. L’apparente somi-glianza tra museo pubblico e museo privato si ferma al-la struttura, una sede espositiva idonea, e alle funzioniprincipali di raccolta, conservazione e tutela, valoriz-zazione ed esposizione al pubblico delle raccolte di og-getti.

I musei privati differiscono dai musei pubblici pro-prio per la loro natura giuridica e, conseguentemente,per il regime che li regola, anche se sono comunque sot-toposti ai criteri e alle condizioni imposte dall’Icom. Cisono però forme di ibridazione che testimoniano unasorta di commistione di fatto tra pubblico e privato.Esistono, per esempio, musei pubblici in cui è stataconcessa a privati la gestione dei servizi museali ag-giuntivi (riproduzione a stampa delle opere esposte,vendita di cataloghi e materiale fotografico, di mate-riale informativo, servizi di caffetteria, ristorazione,guardaroba), o di tutta la gestione delle collezioni, oancora musei pubblici che custodiscono, senza mutarenatura, opere di proprietà privata e musei privati checustodiscono oggetti appartenenti a raccolte pubbli-che. Resta però il fatto inconfutabile che il museo pub-blico offre un servizio senza scopo di lucro, che deveunicamente soddisfare le esigenze della salvaguardiadel patrimonio e della fruizione da parte del pubblico.

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4.5 MUSEOGRAFIA, MUSEOLOGIAE MUSEOTECNICA

Le discipline che hanno come oggetto di studio il mu-seo sono la museografia, la museologia e la museotec-nica. Volendo definire i precisi ambiti di competenza,la museografia studia il museo come struttura architet-tonica, le relazioni tra lo spazio architettonico e le col-lezioni, quindi le soluzioni e le tecniche espositive. Lamuseologia, invece, studia la storia del museo, la strut-tura museale e il suo funzionamento, nonché il ruoloche essa riveste in seno alla società. Con il termine mu-seotecnica, invece, si indica l’insieme degli aspetti del-la vita di un museo che riguardano le soluzioni tecnichelegate ai problemi espositivi: la progettazione dei sup-porti e dei percorsi, l’illuminazione, la climatizzazionedelle sale, l’individuazione dei percorsi di visita ecc.

Il museo, però, va ricordato, è innanzitutto una strut-tura che deve comunicare i valori del patrimonio artisti-co-culturale che custodisce, conserva ed espone. Perquesto motivo l’edificio in sé, gli ambienti, gli spaziespositivi, gli allestimenti, le collezioni, le soluzioni tec-niche devono sempre interagire per instaurare un dialo-go costruttivo tra loro e con il pubblico dei visitatori.

4.6 I MESTIERI ALL’INTERNODI UN MUSEO

Un museo è una struttura abbastanza complessa cheper funzionare bene necessita della presenza di nume-rosi professionisti incaricati di svolgere al suo internospecifiche attività.

Prima figura professionale fra tutte è quella del re-sponsabile della direzione di un museo ossia il Diretto-re di Museo, un funzionario incaricato di occuparsi al-meno indirettamente della conservazione, del restauroe dell’esposizione delle opere, di gestire la struttura, re-digere i bilanci, instaurare e mantenere relazioni ester-ne con enti pubblici e di ricerca, con le istituzioni e imass-media, verificare il funzionamento degli spazi ac-cessori (biblioteca, sala delle conferenze, book shop,punti di ristoro), coordinare e gestire il personale im-piegato all’interno del museo.

Anche il ruolo del conservatore è fondamentale: pro-getta l’inventariazione, la catalogazione, la manuten-zione, la conservazione e il restauro delle opere raccol-te nel museo. Al fianco del direttore cura l’immaginedel museo, la definizione dei suoi obiettivi, l’allesti-mento e la promozione delle collezioni, la pianificazio-ne di tutti gli eventi culturali e la relativa promozione.

Il catalogatore si occupa operativamente della inven-tariazione e della catalogazione delle opere, compilan-do e aggiornando schede dedicate, studiando sistemi diarchiviazione e catalogazione efficaci, il tutto avvalen-

dosi di tecnologie informatiche e telematiche ormai in-dispensabili.

Al restauratore è, invece, affidato il delicato compitodi occuparsi del restauro delle opere d’arte esposte. Learee di specializzazione sono numerose, quindi all’in-terno di un museo operano diversi restauratori, a se-conda che si tratti della conservazione di opere pittori-che, scultoree, cartacee, musive, tessili, lignee, cerami-che, ecc. A loro va l’arduo ma nobile compito di resti-tuire alle opere l’integrità compromessa nel rispettodell’artista che le creò e del suo tempo.

C’è poi lo staff di coloro che lavorano in prima linea,ossia a diretto contatto con il pubblico e che per primidanno all’utenza un’immagine del museo e della suacapacità di accoglienza. Sono, per esempio, le personeincaricate delle biglietterie, della sorveglianza, i custo-di, gli operatori didattici, senza i quali l’accesso quoti-diano al museo e la visita delle sue sale sarebbe impos-sibile.

Molti altri professionisti lavorano dietro le quinte esvolgono compiti preziosi basti pensare agli uffici com-merciali nelle cui mani è la gestione di molteplici atti-vità tra cui la vitale ricerca di sponsor e finanziamentinecessari all’esistenza del museo.

4.7 IL MUSEO COME EDIFICIOFin dalla seconda metà dell’Ottocento molte nazionieuropee avvertirono l’esigenza di costruire nelle capita-li grandi musei dedicati all’arte, alla storia e alla cultu-ra del proprio paese. Si trattava di “contenitori” pensa-ti ad hoc, allo scopo cioè di diventare autorevoli sedi diprestigiose esposizioni d’arte permanenti. In realtà imusei hanno da un punto di vista architettonico iden-tità e storie differenti, cosicché è possibile individuarnediverse tipologie.

Ci sono, appunto, edifici pensati e progettati, in di-verse epoche storiche, con l’apposito compito di acco-gliere un museo e che, non di rado, hanno finito per di-ventare essi stessi delle forti attrazioni turistiche. Unesempio contemporaneo di questo tipo è il MuseoGuggenheim di Bilbao, in Spagna, spettacolare edificiorealizzato in titanio, pietra e cristallo dall’architettoFrank O’ Gehry e aperto al pubblico nel 1997, la cui im-ponenza e originalità hanno rinnovato l’intero voltodella città spagnola che lo accoglie. Nato dall’accordotra gli enti amministrativi locali e una grande istituzio-ne artistica privata di livello mondiale, la Solomon R.Guggenheim Foundation di New York, questo museoconiuga l’attività espositiva e una vasta gamma di atti-vità e servizi legati all’arte moderna e contemporanea,con la spettacolarità delle forme architettoniche este-riori, presentandosi al mondo sì come un grande mu-seo di arte moderna e contemporanea ma anche comeun’attrattiva turistica in sé, un edificio-contenitore che

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richiama certamente, anche secondo gli esperti d’arte,più attenzione del suo contenuto.

Alcuni edifici museali moderni non sempre hanno ilfascino degli edifici storici. Questi ultimi hanno però,per contro, limiti oggettivi per quanto concerne l’ade-guamento degli ambienti interni alle severe normativeche regolano gli spazi museali: non sempre è possibileo agevole predisporre vie di fuga per i casi di emergen-za, installare gli impianti per il controllo del microcli-ma o quelli antincendio, o ancora disporre gli elemen-ti utili agli allestimenti, come pannelli, luci, video, ecc.

Altra tipologia sono gli edifici museali riadattati,strutture cioè che nascono con una funzione diversa eche vengono poi scelte per ospitare in forma perma-nente, previo idoneo adattamento, un museo. Ne è uncalzante esempio il Musèe d’Orsay a Parigi. Questomuseo, infatti, è stato allestito all’interno della Gared’Orsay, una stazione ferroviaria costruita in occasio-ne dell’Esposizione Universale del 1900. Presto dismes-sa, l’ex stazione fu adibita negli anni successivi a diver-si usi, finché, scampata alla demolizione, venne rico-nosciuta come monumento nazionale e poi trasforma-ta in museo, fra il 1980 e il 1986, dall’architetto italia-no Gae Aulenti.

Un parametro essenziale oggi nella progettazione diun museo, che sia nuovo o riadattato, è la necessariafruibilità da parte di tutti della struttura e dei suoi con-tenuti, quindi l’obbligo di eliminare qualsiasi tipo dibarriera possibile, prime fra tutte le barriere di tipo ar-chitettonico2. Di questo devono essere coscienti coloroche progettano e gestiscono un museo, tenendo semprepresente quei bisogni “particolari” manifestati sia daidisabili di tipo motorio sia da quelli di tipo psichico osensoriale che hanno comunque il diritto di visitare unmuseo. Quest’ultimo deve pertanto risultare accessibi-le, visitabile e adattabile, cioè capace di dotarsi di par-ticolari accorgimenti per il supporto ai disabili.

Genericamente, le barriere possono essere di due ti-pi: quelle architettoniche e quelle legate alla comunica-

zione dei contenuti museali. Nel caso delle barriere ar-chitettoniche è necessario dotare gli edifici di dispositi-vi strutturali o tecnici che aiutino il disabile a muover-si autonomamente, come la costruzione di scivoli neipressi delle scale o l’installazione di servo scala e ascen-sore per l’accesso ai piani superiori. Per superare le bar-riere legate alla comunicazione, invece, il museo deveprestare un occhio di riguardo ai disabili sensoriali opsichici, dotandosi di strumenti utili e di adeguati sus-sidi, prevedendo dunque percorsi alternativi in cui l’ap-proccio alle opere e ai contenuti della struttura siaugualmente appagante.

4.8 I MUSEI ONLINEMolti musei offrono oggi all’utenza la possibilità di es-sere esplorati, integralmente o in parte, online, offren-do, attraverso percorsi virtuali, una raccolta di infor-mazioni digitali facilmente accessibili. I visitatori in re-te non solo trovano le informazioni generali sul museo,come la sua storia, gli orari di visita, i costi e la sconti-stica applicata a talune categorie di visitatori, il calen-dario degli allestimenti temporanei o degli eventi cul-turali e così via, ma hanno sempre più facilmente a“portata di mouse” anche la collezione esposta, conschede dedicate a ciascuna opera o alle opere più rile-vanti.

Nel momento in cui un museo approda in rete vive unprocesso di deterritorializzazione, smette di apparte-nere a questa o quella nazione, smette di occupare unospazio fisico preciso ed entra nel web per diventare mu-seo del mondo e comunicare con un pubblico molto piùvasto. I significativi passi avanti compiuti in ambitotecnologico consentono oggi di godere di immagini diopere d’arte ad altissima definizione e sempre più spes-so è offerta anche la possibilità di aggirarsi virtual-mente tra le sale dei musei avendo una suggestiva vi-sione tridimensionale degli ambienti e delle collezioniesposte. Questo è il valore della tecnologia e dell’infor-matica applicate ai beni culturali in genere, ossia quel-lo di proporre soluzioni innovative, offrire strumenti diindagine e interazione tali da coinvolgere appieno il vi-sitatore virtuale, consentendogli di attingere a un ser-batoio di informazioni quanto più ricco ed esaustivopossibile.

2. Si definiscono “barriere architettoniche” tutti quegli ostacoli presen-ti nell’edilizia che impediscono un comodo accesso agli ambienti e illoro relativo utilizzo alle persone diversamente abili o a coloro chesoffrono di disabilità motorie occasionali, come gli anziani, le donneincinta, le persone momentaneamente impedite nella deambulazio-ne per infortunio o simili.

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LE AREEARCHEOLOGICHE5

dioso tedesco appassionato di arte e antichità classiche,unanimemente considerato il padre fondatore dellamoderna archeologia. Ancora nel 1798 fu portata a ter-mine la spedizione di Napoleone Bonaparte in Egitto eil ritrovamento della cosiddetta Stele di Rosetta (una la-stra di diorite con inciso un testo in tre grafie, oggi cu-stodita al British Museum di Londra), scoperta che eb-be incredibili ripercussioni in ambito archeologico ren-dendo per la prima volta possibile la decifrazione deigeroglifici.

Nel secolo successivo, visse e operò un’altra figuraimportante per la storia di questa disciplina, HeinrichSchliemann (1822-1890), un ricco mercante appassio-nato di archeologia che, tramite uno studio approfon-dito del testo omerico dell’Iliade, riuscì a localizzare ilpunto esatto in cui effettuare gli scavi che portarono al-la luce i resti della mitica città di Troia e il presunto te-soro del suo re Priamo.

Il Novecento presenta altre date significative: all’ini-zio del secolo l’archeologo inglese Sir Arthur Evans(1851-1941) effettuò scavi a Creta e trovò il leggendarioPalazzo di Cnosso; nel 1914 l’archeologo e orientalistaLeonard Wolley (1880-1960) scoprì l’antica città meso-potamica di Ur e con essa preziose testimonianze dellaciviltà sumerica e babilonese; nel 1922, dopo anni discavi, l’egittologo e collezionista d’arte Lord Carnar-von (1866-1923) e l’archeologo Howard Carter (1874-1939) scoprirono nella Valle dei Re, in Egitto, la Tom-ba del faraone Tutankhamon con intatto il suo corre-do funerario. Le ricerche archeologiche hanno conti-nuato a susseguirsi nel corso degli ultimi cento anni ela tecnologia, il progresso scientifico hanno via via af-finato le tecniche analitiche utilizzate sui reperti e neisiti archeologici.

Nel passato recente è nato un nuovo settore della ri-cerca archeologica, l’archeologia industriale, che neglianni Settanta è stato istituzionalizzato attraverso lacreazione dell’International Commitee for the Conser-

5.1 BREVE STORIADELL’ARCHEOLOGIA

La parola archeologia deriva dal greco archaiologhìa,fusione di due termini, archaios che significa ‘antico’ elogos, ‘discorso’. Già gli antichi utilizzarono questotermine volendo significare ‘discorso intorno al passa-to’ e lo storico ateniese Tucidide (460-dopo il 404 a.C.)intitolò proprio così la prima parte della sua opera Laguerra del Peloponneso, in cui rivisitò le fasi dello svi-luppo della civiltà greca dalla preistoria fino alle guer-re persiane (500-448 a.C.). Oggi utilizziamo questo ter-mine per indicare una particolare scienza che utilizzaun metodo d’indagine basato sulla raccolta e sulla de-cifrazione di testimonianze materiali (manufatti, restiumani o biologici, architetture) lasciate da civiltà e cul-ture del passato, per studiarne la storia e approfondir-ne le relazioni che queste hanno intessuto con l’am-biente circostante, per esempio edificando templi e mo-numenti, o semplicemente costruendo dimore e ogget-ti d’uso comune.

Nel Rinascimento furono gli umanisti i primi a ma-nifestare interesse per il ritrovamento di oggetti antichi,nell’ambito di quella riscoperta del mondo classicogreco e latino tipica di quest’epoca. Agli inizi del Quat-trocento, due artisti fiorentini, Filippo Brunelleschi eDonatello, senza essere guidati da una vera e propriametodologia, avviarono per primi una serie di scavi ar-cheologici tra le rovine di Roma, ricostruirono plani-metrie e tracciarono rilievi di statue cercando un con-tatto diretto con il mondo classico che andasse al di làdei trattati nozionistici.

Il XVIII secolo segnò un momento importante perl’archeologia: da un lato scavi effettuati nei pressi delVesuvio diedero alla luce i resti delle città di Pompei edErcolano, sepolte dalle ceneri e dai lapilli dell’eruzionedel 79 d.C.; dall’altro, durante questo secolo visse eoperò Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), stu-

vation of the Industrial Archeology, un’organizzazioneinternazionale che ha per scopo lo studio, la conserva-zione e la valorizzazione del patrimonio industriale.L’archeologia industriale studia l’impatto che la rivolu-zione industriale ha avuto (e continua ad avere) sul ter-ritorio e sulla società attraverso il recupero di beni im-mobili, come edifici dismessi, aree industriali in abban-dono, e beni mobili, per esempio macchinari, impianti,strumentazioni, prodotti industriali, materiale grafico,fotografico e documenti inerenti l’attività manifatturie-ra e industriale. In Italia le strutture industriali dismes-se sono molte: a volte hanno grande valore i macchinarie le attrezzature produttive, altre volte sono gli stabili-menti a essere recuperati e valorizzati con nuove desti-nazioni d’uso. Un esempio eclatante è il caso del Lin-gotto di Torino, uno dei principali stabilimenti di pro-duzione della Fiat oggi trasformato in un grande centropolifunzionale con una pinacoteca, un centro congres-si, un auditorium, alberghi e ristoranti, ecc.

5.2 IL MESTIEREDELL’ARCHEOLOGO

L’archeologo moderno è uno studioso che ha conse-guito una laurea specialistica in discipline archeologi-che, filologiche o storiche. La sua attività ha comeobiettivo quello di ricostruire la storia dell’uomo e del-la civiltà del passato attraverso lo studio dei reperti del-le diverse attività umane conservatisi nel sottosuolo osul fondo del mare. Si svolge solitamente in tre fasi: unaricerca preliminare destinata a individuare l’area di in-tervento, lo scavo vero e proprio e la successiva catalo-gazione e analisi dei reperti ritrovati.

I compiti dell’archeologo sono quindi molti: pro-grammare il lavoro sul campo attraverso uno studio ap-profondito dell’epoca in esame e delle sue fonti stori-che, stabilire in quali luoghi effettuare le ricerche; valu-tare quanti uomini e quali mezzi sono necessari allosvolgimento dei lavori; organizzare lo scavo, la ricerca,il recupero, la pulizia e l’identificazione dei reperti; oc-cuparsi della documentazione fotografica dei reperti;disegnare mappe e schemi degli oggetti rinvenuti; de-scrivere i metodi e i risultati delle ricerche effettuate; ca-talogare e conservare i manufatti come i siti archeolo-gici.

5.3 LA SCOPERTA ARCHEOLOGICAIl ritrovamento dei reperti archeologici nel sottosuolopuò avvenire in vari modi. A volte il reperimento di ta-luni oggetti antichi avviene in modo del tutto casuale,per esempio a seguito di frane, durante normali lavoriagricoli o in fase di allestimento di cantieri edili o stra-dali ma, ovviamente, l’archeologia è una scienza e, per-

seguendo uno scopo scientifico, applica metodi di ri-cerca definiti. Lo scavo è uno di questi. Stabilito in qua-le luogo debbano aver inizio i lavori, si procede allo sca-vo seguendo un criterio stratigrafico, cioè asportandouno strato di terreno alla volta, partendo da quello sucui l’archeologo posa i suoi piedi, dunque quello piùsuperficiale quindi anche più attuale. Questa metodo-logia permette di individuare in uno stesso territorio lediverse epoche che vi si sono succedute; datando ancheun solo manufatto rinvenuto in ciascuno strato si con-sente la datazione e l’attribuzione allo stesso insedia-mento e alla stessa cultura anche degli altri reperti pre-senti nel medesimo livello stratigrafico. È come sfoglia-re un libro a ritroso, partendo dall’ultima pagina perarrivare via via all’inizio della storia. Infatti, gli stratisuperiori del terreno si posano su quelli inferiori che so-no i più antichi: l’insieme di questi strati prende il no-me di “sequenza stratigrafica”.

Lo scavo è di per sé un atto distruttivo perché va aspezzare in modo irreversibile un equilibrio di conser-vazione, un assetto mantenuto intatto forse per secoli;per questo motivo le diverse fasi del lavoro vanno op-portunamente fotografate, rilevate e disegnate perchéne resti una precisa documentazione quando, proce-dendo nei lavori, si passerà all’unità stratigrafica suc-cessiva.

Va precisato che il ritrovamento di manufatti e opered’arte non si verifica, e non si è verificato anche in pas-sato, necessariamente soltanto nel sottosuolo: sul fon-do di mari, laghi, fiumi, sono stati ritrovati infatti do-cumenti di grande valore che hanno dato vita a unabranca dell’archeologia definita archeologia subac-quea. Oggi, in particolare, sofisticate strumentazionirendono possibile esplorare i fondali e rilevare la pre-senza di materiali di vario tipo. Attraverso lo studio deirelitti recuperati dalle acque è possibile raccogliere im-portanti informazioni, come per esempio la tecnologiae l’architettura navale, le rotte marine e le merci tra-sportate, e quindi ricostruire la storia dei commerci edegli scambi culturali fra diversi popoli.

Un importante sussidio per le scoperte archeologicheè la fotografia aerea che consente di avere una visioneglobale del territorio che si vorrà andare a esplorare. Inparticolari condizioni di luce, per esempio all’alba o altramonto, è possibile individuare particolari del pae-saggio che l’occhio, a livello del terreno, non sarebbe ingrado di mettere a fuoco, come il fatto che i colori delsuolo possono assumere tonalità diverse, più scure opiù chiare, a seconda di cosa è custodito nel sottosuo-lo. In tempi recenti alle fotografie aeree si sono aggiun-te anche le immagini satellitari che riescono ad inqua-drare una porzione di territorio ancora più estesa.

Lo studio del terreno, effettuato attraverso carte geo-grafiche e topografiche nonché documenti e fonti lette-rarie dell’epoca, è un altro strumento di individuazio-

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ne di siti archeologici cui vengono in aiuto, non di ra-do, le prospezioni geochimiche e geofisiche, ossia leanalisi della composizione chimica e delle proprietà fi-siche del terreno e delle acque sotterranee, che possonofornire informazioni molto utili all’individuazione disiti anche di età preistorica.

5.4 I BENI, LE AREE E I PARCHI ARCHEOLOGICI

Il frutto dei ritrovamenti costituisce il patrimonio deibeni archeologici che possiamo ritrovare non solo al-l’interno delle strutture museali ma anche in aree o par-chi archeologici che hanno le caratteristiche di musei enplein air. Ovviamente, anche l’intera area archeologicapuò essere considerata un bene.

È la Direzione generale per i Beni Archeologici a svol-gere funzioni istituzionali di governo in materia di tu-tela, conservazione e valorizzazione dei beni e dellearee archeologiche e delle strutture museali attraversol’operato delle Soprintendenze di settore competentisul territorio nazionale. La Direzione fornisce, a talescopo, le direttive e le risorse necessarie e i vari compi-ti vengono realizzati mediante specifiche procedureamministrative; a livello internazionale, inoltre, la Di-rezione promuove, sviluppa e incrementa progetti fina-lizzati alla conoscenza, documentazione, valorizzazio-ne e fruizione dei beni.

Si definisce area archeologica «un sito caratterizzatodalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o

strutture preistorici o di età antica» (Codice dei Beniculturali e del paesaggio, art. 101). Qui l’archeologo hala possibilità di acquisire conoscenze storiche di tipoambientale, urbanistico, sociale, economico, ecc. chegli permettono di ricostruire il passato dell’uomo.

Il termine parco archeologico indica, invece, un’areacaratterizzata da un’alta concentrazione di siti e mate-riali archeologici in un contesto ambientale di partico-lare pregio (per esempio, il Parco delle incisioni rupestridi Capo di Ponte in Lombardia, o il Parco di Sutri nel La-zio), attrezzata come un museo all’aperto e resa fruibileattraverso itinerari ragionati e sussidi didattici.

L’Italia è ricca di aree archeologiche dove sono statirinvenuti monumenti e altri reperti che hanno consen-tito di documentare la storia del nostro territorio. Par-tendo dal Sud possiamo citare, in Sicilia, Agrigento,Castelvetrano, Villa Romana del Casale e Siracusa; inSardegna, Arzachena, dalle origini antichissime; in Pu-glia, Brindisi, Fasano e Taranto; in Calabria, due siti ar-cheologici importanti sono Capo Colonna e ReggioCalabria; in Basilicata, l’area archeologica di Meta-ponto; nel Molise, il grande complesso archeologico diPietrabbondante; in Campania, i famosi scavi di Asceanel cuore del Cilento e poi Ercolano, Napoli e Pompei;nel Lazio, i siti archeologici di Albano, Bolsena, CivitaCastellana, Roma e Ostia; in Toscana, Ansedonia,Chiusi, Fiesole, Piombino con le necropoli di San Cer-bone, della Porcareccia, del Debbio, del Conchino e delCasone; poi la Liguria, dove reperti archeologici digrande valore sono custoditi ad Albenga, Ortonovo eVentimiglia.

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TERRITORIO, AMBIENTEE PAESAGGIO6

Nel 1985 entrò in vigore, la legge 431, denominatalegge Galasso (dal nome del parlamentare GiuseppeGalasso, sottosegretario al ministero dei Beni cultura-li, che se ne fece promotore). In materia di tutela dei be-ni naturalistici e ambientali, questa normativa èsenz’altro una delle più importanti in quanto, oltre aclassificare le bellezze naturalistiche in base alle lorocaratteristiche peculiari, tende a proteggere il territorionella sua globalità affrontando ogni argomento che loriguarda (dall’inquinamento idrico, all’azione di tutelacontro gli abusi edilizi). Un altro aspetto rilevante del-la legge Galasso è l’istituzione del Piano paesaggistico,un piano che le regioni vengono obbligate a redaziona-re e che deve individuare le aree di totale inedificabilità(sottoposte alla giurisdizione demaniale1), come soloper fare due esempi le fasce costiere entro una distanzadi 300 metri dalla riva del mare o le aree di interesse ar-cheologico.

A livello sopranazionale, oltre alla Convenzione del1972 [u 2.5] che definisce cosa debba intendersi per pa-trimonio naturale e istituisce anche la Lista dei beni delPatrimonio mondiale, di grande importanza è la Con-venzione europea del paesaggio, un documento adot-tato dal Comitato dei ministri della Cultura e dell’Am-biente del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000 e uffi-cialmente sottoscritto a Firenze nell’ottobre dello stes-so anno. Tale convenzione ha elaborato una definizio-ne univoca e condivisa di paesaggio e ha disposto tuttii provvedimenti necessari alla tutela del paesaggio stes-so, che gli Stati membri si sono impegnati ad applicarericonoscendo nel patrimonio paesaggistico europeo unelemento fondamentale della sua cultura.

Il Codice dei Beni culturali e del paesaggio, approva-to in Italia nel 2004 [u 2.1], precisa a sua volta cosa deb-

6.1 COSA SI INTENDE PER BENI PAESAGGISTICI

La difesa del patrimonio paesaggistico, oggi tanto egiustamente sostenuta, si lega all’evoluzione dei con-cetti di territorio, paesaggio e ambiente che a partiredalla metà del Novecento sono stati ridefiniti, reinter-pretati, ampliati e arricchiti sia in ambito nazionale siain ambito europeo.

Possiamo definire territorio quell’area geografica chepresenta non solo caratteri distintivi ma anche una cer-ta omogeneità, sia per quanto riguarda il clima o l’am-bito naturale, sia per quanto riguarda le caratteristichedegli insediamenti umani. Per paesaggio si intende, in-vece, un contesto territoriale più complesso, dove com-ponenti di tipo naturalistico si fondono ad altre di tipopiù strettamente culturale e antropico, ossia legate al-l’intervento dell’uomo. Ne consegue che il paesaggio èun prodotto sociale e un bene dinamico. In ecologia sidefinisce ambiente l’insieme dei fattori esterni a un or-ganismo che ne influenzano la vita. In una definizioneancora più ampia, l’ambiente è invece il complesso de-gli elementi naturali (la flora, la fauna, il paesaggio) edi tutto quanto riguarda la vita degli esseri umani; è,insomma, un complesso attivo di elementi che si muo-vono in un contesto comune e che si influenzano reci-procamente. D’altro canto, il termine italiano “am-biente” deriva dal latino ambiens, -entis, participiopresente del verbo ambire, che significa ‘andare intor-no, circondare’.

Oggi il paesaggio e l’ambiente sono considerati deibeni culturali a tutti gli effetti e come tali beni da sal-vaguardare. La base della legislazione odierna in ma-teria di beni paesaggistici è la legge n. 1497 del 29 giu-gno 1939 [u 2.1], che è stata integrata nel tempo, tan-to che l’elenco dei siti oggi considerati beni paesaggi-stici è andato via via ampliandosi, rimanendo però so-stanzialmente identico a questo testo almeno nella pri-ma parte.

1. Il demanio è, in senso generico, l’insieme di tutti i beni che apparten-gono a uno Stato; quindi per giurisdizione demaniale si intende il con-trollo che lo Stato attua su quelle aree che sono per legge di sua pro-prietà.

ba intendersi per “paesaggio” e per “beni paesaggisti-ci” (artt. 131, 132, 133, 134, 135) nonché in quali ter-mini debba attuarsi una loro idonea tutela e valorizza-zione nell’ambito del patrimonio culturale nazionale.«Per paesaggio s’intende il territorio espressivo di iden-tità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori natura-li, umani e dalle loro interrelazioni»; il Codice «tutelail paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteriche costituiscono rappresentazione materiale e visibiledell’identità nazionale, in quanto espressione di valoriculturali». La tutela del paesaggio ha come obiettivoprimario quello di individuare, salvaguardare e recupe-rare «i valori culturali che esso esprime» così come lasua valorizzazione deve «concorrere a promuovere losviluppo della cultura».

Integrando la precedente legislazione (compresa lalegge Galasso), il Codice dichiara che nel nostro paesedevono considerarsi beni paesaggistici:

• le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bel-lezza naturale o di singolarità geologica;

• le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per laloro non comune bellezza;

• i complessi di cose immobili che compongono uncaratteristico aspetto avente valore estetico e tradizio-nale, ivi comprese le zone di interesse archeologico;

• le bellezze panoramiche considerate come quadri ecosì pure quei punti di vista o di belvedere, accessibilial pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bel-lezze;

• i territori costieri compresi in una fascia dellaprofondità di 300 metri dalla linea di battigia, ancheper i terreni elevati sul mare;

• i territori contermini ai laghi compresi in una fasciadella profondità di 300 metri dalla linea di battigia, an-che per i territori elevati sui laghi;

• i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elen-chi previsti dal Testo Unico delle disposizioni di leggesulle acque e impianti elettrici, approvato con regiodecreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative spon-de o piedi degli argini per una fascia di 150 metri cia-scuna;

• le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sullivello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul li-vello del mare per la catena appenninica e per le isole;

• i ghiacciai e i circhi glaciali;• i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i

territori di protezione esterna dei parchi;• i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché

percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti avincolo di rimboschimento;

• le aree assegnate alle università agrarie e le zone gra-vate da usi civici;

• le zone umide;• i vulcani;• le zone di interesse archeologico.

6.2 TUTELA E VALORIZZAZIONEDEL PAESAGGIO

Per quanto riguarda la difesa, la conservazione e la va-lorizzazione del patrimonio paesaggistico, esistono og-gi professionalità preparate a operare in questo settoree corsi di laurea specialistici deputati a formarle. Que-sto è il risultato di un lungo processo che ha portato ilpaesaggio a essere una realtà coscientemente percepita,e per tale motivo più amata, rispettata e visitata di untempo, non solo dai turisti ma anche da chi abitual-mente la abita e ne è parte integrante. È, infatti, ormaidivenuto un concetto largamente riconosciuto, che unosviluppo sostenibile del territorio, da un punto di vistaeconomico, sociale e ambientale, e un suo equilibratoutilizzo da parte dell’uomo possono costituire punti dipartenza fondamentali per la crescita fiorente e consa-pevole di una comunità.

Essenziale a tal proposito è stata l’equiparazione a li-vello giuridico nazionale e internazionale dei beni am-bientali e paesaggistici con quelli culturali, categorie en-trambe contemplate a pieno titolo nell’elenco dei benidel Patrimonio mondiale dell’umanità. Nella Lista, in-fatti, accanto a monumenti che esprimono la grandezzadella creatività dell’uomo (per esempio Castel del Mon-te in Puglia), troviamo le grandi meraviglie create dallanatura nel corso dei secoli (come l’Arcipelago delleGalápagos nel Pacifico meridionale), o ancora luoghi incui l’interazione tra uomo e ambiente ha creato risulta-ti talmente straordinari da essere considerati degni disalvaguardia. A quest’ultima tipologia appartengonomolti dei numerosi siti italiani entrati a far parte dell’e-lenco dell’Unesco: centri storici in cui le capacità tecni-che e creative dell’uomo hanno creato capolavori di in-gegneria adattandosi alle difficili condizioni ambienta-li (come Venezia e la sua Laguna o i cosiddetti Sassi diMatera in Basilicata, o ancora i Trulli di Alberobello inPuglia), ma anche intere aree geografiche che, compren-dendo paesaggi peculiari e insediamenti umani, costi-tuiscono un ambiente unico e irripetibile (ne sono unesempio il territorio di Portovenere e delle Cinque Terrein Liguria, o la Costiera Amalfitana in Campania).

A livello nazionale poi, uno strumento fondamentaleper la tutela e la valorizzazione del paesaggio è quellodel piano istituito dalla legge Galasso e ripreso dal Co-dice del 2004 con il nome di Piano paesaggistico terri-toriale regionale. Il fine ultimo del piano regionale, in-fatti, se da un lato è senz’altro quello di vincolare alcu-ne aree del territorio ed evitare il loro depauperamentoindiscriminato, dall’altro comprende anche quello dicreare un forte stimolo per le comunità locali affinchécomprendendo e conoscendo meglio i luoghi che essestesse abitano, le rendano un valevole patrimonio sucui fondare uno sviluppo sostenibile dal punto di vista(oltre che urbano e territoriale) anche sociale, econo-mico e culturale.

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IL MERCATO DELL’ARTE7

mente, fino ad arrivare alla piccola rivoluzione prodot-ta nella seconda metà del XIX secolo, in particolare inFrancia, dal sodalizio fra alcuni artisti e pochi galleri-sti e mercanti illuminati, che li appoggiarono ancheeconomicamente: insieme, essi osarono cambiare le re-gole del mercato, dominato per tutto l’Ottocento dalleopinioni vincolanti delle accademie ufficiali, riuscendoin tal modo ad affermare la piena autonomia dell’arti-sta e del suo produrre arte.

Dunque se è vero che i frutti della creatività artisticasono da sempre stati oggetto di una qualsivoglia formadi scambio e che le motivazioni che hanno spinto a ri-chiedere arte sono rimaste pressoché immutate (ragio-ni religiose o estetiche, ragioni economiche come inve-stimento, o ancora sociali come status simbol), è purvero che nel tempo sono cambiate le logiche del merca-to dell’arte, che si presenta oggi come un settore eco-nomico non sempre facile da prevedere, in cui le varia-bili in gioco travalicano la “semplice” valutazione cri-tica dell’opera, per comprendere anche variabili diver-se, lontane dal mondo dell’arte e della cultura (come,per esempio, possibili crisi economiche di vasta porta-ta o fattori legati alle politiche fiscali di alcuni paesi).

Ma chi sono gli acquirenti-tipo di opere d’arte? Ci so-no i professionisti del settore che legano l’acquisto a lo-giche di mestiere ben precise: le case d’asta, che devonoampliare con continuità i loro cataloghi e ripristinare ladisponibilità di lotti che via via vengono battuti all’a-sta; i galleristi, che hanno necessità di rinnovare e ali-mentare di continuo le proprie esposizioni e acquista-no oggetti d’arte allo scopo di rivenderli; i responsabi-li dei musei, che allargano il panorama delle opere cu-stodite ed esposte al pubblico arricchendo il valore del-l’istituzione che rappresentano e ponendo le premesseper un potenziale incremento del flusso dei visitatori.

Sono acquirenti di tutto rispetto anche i privati. Da unlato i collezionisti veri e propri, neofiti o esperti, che so-no mossi dal desiderio di circondarsi di opere d’arte, non

7.1 ARTISTI, COMMITTENTIE COLLEZIONISTI:COME NASCE IL MERCATO DELL’ARTE

Quando pensiamo a un’opera d’arte, nel nostro imma-ginario trova spazio l’idea che ciò che è frutto del ta-lento artistico, della genialità espressiva dell’uomo,non possa essere valutato in denaro. Invece, dacchél’artista, nel corso dei secoli, ha trovato fonti di ispira-zione e motivazioni per dar vita a opere di vario pregio,esiste una natura monetizzabile dell’arte.

La storia della circolazione dell’arte è molto antica,basti citare il fiorente commercio di opere d’arte ai tem-pi dell’antica Roma, quando centinaia di sculture (co-pie e originali) furono portate in Italia dalla Grecia; op-pure al vivacissimo mercato di opere d’arte, in partico-lare antiche, alimentato sin dal Rinascimento da colle-zionisti sempre più ansiosi di arricchire le proprie rac-colte. Ma in realtà, fino all’incirca alle soglie del XVIIsecolo, l’arte è stata prodotta dietro richiesta di unacommittenza quasi sempre legata al mondo clericale onobiliare, e anche le opere create appositamente per es-sere trasportate (miniature o piccole statue o quadrivotivi) non erano pensate per un mercato vero e pro-prio, ma solo per una circolazione di tipo privato: esseerano di chi le aveva commissionate, potevano tutt’alpiù essere donate, ereditate, scambiate, portate in do-te, difficilmente erano vendute.

Le prime forme di mercato d’arte, così come oggi lointendiamo, sono invece legate alla nascita della classeborghese, che preferiva possedere quadri, o comunqueopere trasportabili, piuttosto che commissionare affre-schi o grandi decorazioni permanenti, e che investì l’o-pera d’arte di un valore economico, equiparandola atutti gli altri beni oggetto di scambio.

Nel corso dei secoli successivi, gli artisti si slegaronosempre di più dalla committenza, creando arte libera-

per rivenderle ma per comporre raccolte più o meno ric-che, e guidati dal gusto e la sensibilità personali; dall’al-tro gli appassionati d’arte, che potremmo definire acqui-renti occasionali o meno, che comprano opere d’arte ascopo di investimento, per rafforzare il proprio prestigiosociale o semplicemente per piacere personale, quandone hanno l’occasione e la capacità economica.

7.2 I GALLERISTI: GLI INIZIATORIDEL MODERNO MERCATODELL’ARTE

Risalgono al XIX secolo le prime gallerie d’arte, aper-te, organizzate e curate da galleristi che non di radohanno contribuito alla fortuna e al successo di tanti pit-tori e scultori. I galleristi, infatti, promuovono il talen-to degli artisti e svolgono il ruolo di intermediari nellavendita delle loro opere, organizzando mostre, perso-nali o collettive, partecipando alle fiere d’arte naziona-li e internazionali, curando la loro presenza in riviste disettore. Il gallerista può trovarsi a gestire con l’artistaun rapporto in esclusiva, ossia essere l’unico professio-nista di questo tipo a occuparsi di appoggiare e soste-nere l’inserimento dell’artista nel mercato dell’arte,oppure l’artista può scegliere di affidare a più galleristicontemporaneamente le sue opere e raggiungere cosìporzioni di mercato differenti.

Il mestiere del gallerista è complesso: la sua figura sipone a metà strada tra artisti e pubblico, cercando di“fare” ma anche di “vendere” arte, utilizzando intelli-genza, intuito, capacità interpretative, strategie com-merciali, conoscenza del mercato, senso critico e anchecoraggio e audacia.

Molti galleristi hanno contribuito in larga misura adecretare la fortuna di artisti e movimenti artistici neisecoli scorsi, soprattutto nel XIX e nel XX secolo. Perquello che riguarda Parigi, capitale dell’arte per tuttol’Ottocento, potremmo citare Paul Durand-Ruel (1831-1922), munifico mecenate di pittori impressionisti delcalibro di Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley, di cuicomprò le firme in esclusiva; oppure Ambroise Vollard(1866-1939), organizzatore della prima mostra perso-nale di Paul Cézanne, promotore del genio artistico diPicasso e di Matisse, di cui curò mostre e acquistò nu-merosi dipinti, nonché grande sostenitore dei movi-menti d’Avanguardia del primo Novecento. Altri nomisi possono fare per il mercato dell’arte al termine dellaseconda guerra mondiale, quando New York vide al la-voro alcuni tra i più grandi galleristi d’arte al mondo.Basti citare la collezionista statunitense Peggy Gug-genheim (1898-1979), eccentrica ma geniale ereditieradel finanziere Solomon R. Guggenheim, che si accostòall’arte quasi per caso, per poi diventare un importan-te punto di riferimento per le Avanguardie artistiche

newyorkesi ed europee e svolgere un ruolo determinan-te nella storia dell’arte del Novecento.

7.3 LE ASTE E LE CASE D’ASTALe aste generiche, un metodo di compravendita di og-getti di diversa natura a cui si partecipa mediante of-ferte e che si conclude con la vendita al migliore offe-rente, sono un fenomeno antico. Sembra che le aste piùantiche risalgano al 500 a.C., in Babilonia, dove, comeracconta lo scrittore greco Erodoto (484-425 a.C.), ledonne mesopotamiche in età da marito erano venduteall’asta al mercato annuale. I Romani, invece, erano so-liti organizzare vendite pubbliche dei loro bottini diguerra, che comprendevano anche i nemici fatti prigio-nieri, i cosiddetti captivi. Questi erano destinati allavendita sub corona, poiché sulla loro testa veniva posa-ta una corona che li indicava ai possibili acquirenti co-me prigionieri di guerra, mentre gli oggetti erano de-stinati alla vendita sub hasta (‘sotto la lancia’) perchéveniva conficcata nel terreno una lancia a simboleggia-re l’interesse dello Stato nella vendita pubblica. Semprenell’antica Roma, sub hasta avvenivano anche le vendi-te dei beni di quei cittadini debitori delle casse delloStato. Le aste, però, venivano anche bandite per beni diproprietà di quei privati che volevano ottenere un rica-vo con la vendita di oggetti di pregio storico o artisti-co, per esempio mobili o suppellettili.

Dopo l’Impero romano, le aste furono sospese perquasi un millennio, mentre nel Medioevo si ha qualchenotizia di aste per il commercio di schiavi. Nel XVI se-colo, invece, la pratica di vendere all’asta ebbe nuovafortuna. In Francia, per esempio, la corona conferì a unristretto gruppo di persone il diritto esclusivo di vende-re le proprietà dei defunti.

All’inizio del Seicento fu fondata a Londra l’East In-dia Company, la grande compagnia di navigazione in-glese delle Indie Orientali, e, grazie all’arrivo sul merca-to inglese dei molti oggetti provenienti dall’Asia, diven-tarono molto popolari le cosiddette “aste a candela”. Siaccendeva una candela vergine alta un pollice (2,54 cmca.) e chi riusciva a fare l’offerta maggiore, prima che lafiamma si spegnesse, si aggiudicava l’oggetto in que-stione. Se per la durata di tre candele non si arrivava anessuna vendita, l’asta si considerava chiusa.

Nei Paesi Bassi, invece, il sistema di vendita, chiama-to appunto “asta olandese”, prevedeva un prezzo dipartenza, generalmente elevato, prefissato dal bandito-re, seguito da un veloce gioco al ribasso fino a che qual-cuno non si aggiudicava il pezzo e gli altri partecipantisi ritiravano.

Nel XVIII secolo nacquero due delle maggiori cased’asta mai esistite. Nel 1744 fu fondata Sotheby’s, ini-zialmente specializzata in collezioni di libri antichi (neospitò anche una appartenuta a Napoleone Bonapar-

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te), poi allargata anche ad altre forme di collezionismoa partire dalla prima metà del XX secolo; aperta a Lon-dra, si diffuse presto a livello internazionale con sedi di-staccate in tutto il mondo. Nel 2000, Sotheby’s è statala prima casa d’asta a effettuare vendite online su In-ternet e, tra quelle effettuate, una delle più sensaziona-li è stata quella della prima edizione della Dichiarazio-ne di Indipendenza americana battuta elettronicamen-te all’asta per oltre 8 milioni di dollari. Oggi Sotheby’sorganizza ogni anno più di 350 aste, la maggior partedelle quali si svolge nelle sedi di Londra e New York.

Nel 1766 Londra vide la nascita di Christie’s, un’altracasa d’asta tutt’oggi molto famosa e fiorente, fondatada James Christie. Inizialmente furono opere d’arte,gioielli e vini a essere proposti alla clientela, ma nel tem-po anche Christie’s ha ampliato notevolmente l’offertaarrivando a curare oltre 80 categorie di vendita.

7.4 LE FIERE D’ARTE: IL MERCATODELL’ARTE NEL MONDOCONTEMPORANEO

Una delle ultimissime forme di mercato d’arte, in par-ticolare di arte contemporanea, sono le fiere. Nate nel-la seconda metà del secolo scorso sotto l’impulso, daun lato, della necessità di creare a livello internaziona-le dei punti d’incontro per i mercanti e gli acquirentid’arte e, dall’altro, del progressivo affermarsi dell’idea

che l’arte sia un investimento proficuo, le fiere sono di-ventate oggi un fenomeno particolarmente diffuso: sicontano pochi grandi appuntamenti annuali di livellointernazionale, localizzati nelle grandi città produttri-ci di arte contemporanea (come Berlino, Londra, Co-lonia, ecc.), affiancati da alcune fiere rinomate a livellonazionale e ancora da un moltiplicarsi di fiere di livel-lo più locale.

Le fiere d’arte, frequentate da galleristi, artisti, colle-zionisti, appassionati d’arte, editori, critici e chiunqueabbia a che vedere con il mondo dell’arte o si interessia esso, presentano un numero variabile di stand e di pa-diglioni in cui i galleristi e i mercanti d’arte espongonole opere al fine di venderle, ma anche di presentare nuo-vi artisti o di cercare di imporre nuovi trend al merca-to. Le fiere più importanti, poi, contemplano ancheuno o più padiglioni espressamente dedicati a esposi-zioni temporanee senza fini di lucro.

La somiglianza con altri eventi di natura prettamentecommerciale ha attirato, e attira sempre, molte critichea questi eventi, paragonati a mercati fieristici che posso-no svilire il reale valore delle opere d’arte, trattate allastessa stregua di altre merci. Questo non vuole necessa-riamente significare che le fiere d’arte debbano esseredemonizzate: oltre a essere un rilevante osservatoriodelle ultime tendenze, esse rappresentano comunque unimportante momento di incontro e di confronto (nonsolo commerciale) che aiuta gli artisti a crescere e il pub-blico a meglio comprendere il mondo dell’arte.

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