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Gli antenati delle piante terrestri hanno sviluppato adattamenti per vivere fuori dall’acqua. Numerosi studi filogenetici indicano che il gruppo più affine a quello delle piante è quello delle alghe verdi acquatiche chiamate carofite. Gli organismi del genere Chara (figura 1 ) sono membri delle carofite somiglianti alle piante per le sequenze del DNA, per la struttura del cloroplasto e per il meccanismo di divisione cellulare. Figura 1. I parenti più prossimi delle piante terrestri. Le piante terrestri si sono probabilmente evolute da un antenato comune condiviso con le carofite, un gruppo di alghe verdi. Le analisi del DNA indicano che le carofite del genere Chara costituiscono il gruppo più strettamente imparentato con le piante. Le alghe verdi antenate delle piante vivevano ai margini di stagni e paludi, orlando gli specchi d‟acqua con una spessa pellicola verde: fu a partire da questo habitat variabile, che secondo clima e stagioni poteva restare acquoso oppure seccare, che le prime piante cominciarono a evolversi. Le prime piante terrestri apparvero tra 400 e 500 milioni di anni fa; il cambiamento di habitat, tuttavia, impose l‟evoluzione di speciali adattamenti. Non più immersi nell‟acqua, sulla terraferma questi organismi erano potenzialmente esposti alla disidratazione: si rese perciò necessario un sistema di trasporto dell‟acqua in tutto il corpo della pianta e un rivestimento in grado di limitare la perdita di acqua. Inoltre, in ambiente aereo veniva a mancare un sostegno di tipo meccanico: doveva perciò svilupparsi un sistema di supporto. Anche il meccanismo di dispersione dei gameti e della progenie dovette cambiare. I primi organismi terrestri che probabilmente erano simili ai muschi attuali, affrontarono tutte queste sfide. Le piante terrestri presentano alternanza di generazione. Una caratteristica condivisa dei cicli vitali di tutte le piante terrestri è l‟alternanza di generazione , le cui peculiarità sono (figura 2 ): · l‟alternanza di individui pluricellulari diploidi (2n) con individui pluricellulari aploidi (n); · la produzione di gameti tramite mitosi (cioè per normale divisione cellulare) e la produzione di spore tramite meiosi. Figura 2. L‟alternanza di generazioni nelle piante. Lo sporofito (generazione diploide) produce spore tramite meiosi e si alterna con il gametofito (generazione aploide) che produce gameti mediante mitosi. 1. L’evoluzione delle piante. Le piante rappresentano un gruppo monofiletico di organismi fotosintetici: «monofiletico» significa che esse hanno avuto origine da un unico antenato comune e formano una ramificazione a sé stante dell‟albero della vita. Si ritiene che le piante terrestri derivino dalle alghe verdi, con cui condividono diverse caratteristiche: entrambi i gruppi svolgono la fotosintesi, sono dotati sia di clorofilla a che di clorofilla b, accumulano amido come prodotto di riserva e possiedono pareti cellulari di cellulosa. Uno dei caratteri chiave esclusivo delle piante è la presenza di un embrione protetto dai tessuti della pianta madre; per questo motivo sono anche chiamate embriofite.

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Gli antenati delle piante terrestri hanno sviluppato adattamenti per vivere fuori dall’acqua.

Numerosi studi filogenetici indicano che il gruppo più

affine a quello delle piante è quello delle alghe verdi

acquatiche chiamate carofite. Gli organismi del

genere Chara (▶figura 1) sono membri delle carofite

somiglianti alle piante per le sequenze del DNA, per la

struttura del cloroplasto e per il meccanismo

di divisione cellulare.

Figura 1. I parenti più prossimi delle piante terrestri.

Le piante terrestri si sono probabilmente evolute da un antenato

comune condiviso con le carofite, un gruppo di alghe verdi. Le

analisi del DNA indicano che le carofite del

genere Chara costituiscono il gruppo più strettamente

imparentato con le piante.

Le alghe verdi antenate delle piante vivevano ai margini

di stagni e paludi, orlando gli specchi d‟acqua con una

spessa pellicola verde: fu a partire da questo habitat

variabile, che secondo clima e stagioni poteva restare

acquoso oppure seccare, che le prime piante

cominciarono a evolversi.

Le prime piante terrestri apparvero tra 400 e 500

milioni di anni fa; il cambiamento di habitat, tuttavia,

impose l‟evoluzione di speciali adattamenti.

Non più immersi nell‟acqua, sulla terraferma questi

organismi erano potenzialmente esposti alla

disidratazione: si rese perciò necessario un sistema di

trasporto dell‟acqua in tutto il corpo della pianta e un

rivestimento in grado di limitare la perdita di acqua.

Inoltre, in ambiente aereo veniva a mancare un

sostegno di tipo meccanico: doveva perciò svilupparsi

un sistema di supporto. Anche il meccanismo di

dispersione dei gameti e della progenie dovette

cambiare. I primi organismi terrestri che probabilmente

erano simili ai muschi attuali, affrontarono tutte queste

sfide.

Le piante terrestri presentano alternanza di generazione.

Una caratteristica condivisa dei cicli vitali di tutte le

piante terrestri è l‟alternanza di generazione , le cui

peculiarità sono (▶figura 2):

· l‟alternanza di individui pluricellulari diploidi (2n) con

individui pluricellulari aploidi (n);

· la produzione di gameti tramite mitosi (cioè per

normale divisione cellulare) e la produzione

di spore tramite meiosi.

Figura 2. L‟alternanza di generazioni nelle piante.

Lo sporofito (generazione diploide) produce spore tramite

meiosi e si alterna con il gametofito (generazione aploide) che

produce gameti mediante mitosi.

1. L’evoluzione delle piante.

Le piante rappresentano un gruppo monofiletico di organismi fotosintetici: «monofiletico» significa che esse hanno avuto

origine da un unico antenato comune e formano una ramificazione a sé stante dell‟albero della vita.

Si ritiene che le piante terrestri derivino dalle alghe verdi, con cui condividono diverse caratteristiche: entrambi i gruppi

svolgono la fotosintesi, sono dotati sia di clorofilla a che di clorofilla b, accumulano amido come prodotto di riserva e

possiedono pareti cellulari di cellulosa.

Uno dei caratteri chiave esclusivo delle piante è la presenza di un embrione protetto dai tessuti della pianta madre; per

questo motivo sono anche chiamate embriofite.

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Per descrivere il ciclo vitale di una pianta partiamo dallo

stadio unicellulare, cioè dallo zigote. Da questa cellula

diploide per successive divisioni si forma un embrione

pluricellulare, destinato a svilupparsi nella pianta

diploide matura chiamata sporofito (cioè la «pianta che

produce le spore»).

Nello sporofito, le cellule contenute negli sporangi

vanno incontro a meiosi producendo spore aploidi

unicellulari. Dividendosi per mitosi, la spora produce

una pianta aploide, chiamata gametofito (cioè la «pianta

che produce i gameti»).

I gameti si formano all‟interno di organi sessuali

specializzati chiamati gametangi. Nel caso dei muschi, il

gametangio femminile è detto archegonio, ha forma di

fiasco e produce un‟unica cellula uovo; il gametangio

maschile, detto anteridio, produce invece numerosi

gameti maschili, ciascuno dotato di due flagelli.

La fusione dei gameti, chiamata fecondazione, dà

origine a una singola cellula diploide, lo zigote, e il ciclo

ricomincia come si vede nella (▶figura 2).

La generazione sporofitica parte quindi dallo zigote per

arrivare alla pianta pluricellulare adulta, mentre la

generazione gametofitica parte dalla spora per arrivare

ai gameti attraverso la pianta pluricellulare aploide. Il

passaggio tra le due generazioni è contrassegnato dalla

fecondazione e dalla meiosi. In tutte le piante terrestri,

sporofito e gametofito differiscono geneticamente: lo

sporofito è costituito da cellule diploidi, il gametofito da

cellule aploidi.

Nel corso dell‟evoluzione, uno degli aspetti chiave è la

progressiva riduzione di dimensioni del gametofito

rispetto allo sporofito. Osservando una piantina di

muschio, le parti verdi che vediamo a occhio nudo sono

i gametofiti, che sono di taglia maggiore, più longevi e

autonomi dal punto di vista nutritivo. Lo sporofito è

invece del tutto dipendente dal gametofito, al quale è

collegato grazie a un peduncolo attraverso cui riceve

acqua e nutrienti. Al contrario, nei gruppi più recenti è

lo sporofito a essere più grande, duraturo e

autosufficiente: se guardiamo una felce, un pino oppure

una pianta di rose, siamo di fronte allo sporofito.

Le parole:

Nelle piante, per spore intendiamo cellule aploidi,

prodotte per meiosi, che daranno origine a un

organismo aploide (gametofito); per gameti intendiamo

cellule aploidi, prodotte per mitosi, destinate a fondersi

per formare un organismo diploide (sporofito).

Archegonio deriva dal greco arché, «principio», e gónos,

«generazione», nel senso di «organo in cui ha inizio la

vita»; mentre anteridio deriva da anthós, «fiore», che è

l‟organo sessuale delle piante superiori.

La comparsa della cuticola permise alle piante non vascolari di evitare la disidratazione in ambiente terrestre.

Gran parte delle caratteristiche che distinguono le

piante terrestri dalle alghe verdi riguarda gli

adattamenti evolutivi alla vita fuori dall‟acqua:

la cuticola, una pellicola di rivestimento che

protegge dal disseccamento;

i gametangi, involucri che racchiudono

i gameti prevenendone la disidratazione;

gli embrioni, cioè giovani piante mantenute

all‟interno di strutture protettive;

particolari pigmenti che forniscono protezione dalle

radiazioni ultraviolette;

spore dotate di pareti spesse, in grado di resistere

alla siccità;

associazioni con i funghi per migliorare

l‟assorbimento dei nutrienti dal suolo.

Probabilmente la cuticola rappresenta la più importante,

e anche la prima a comparire, tra queste caratteristiche.

Composta da una sostanza cerosa che riveste le foglie e

i fusti delle piante terrestri, la cuticola svolge numerose

funzioni, principalmente quella di mantenere

l‟idratazione della pianta proteggendola dall‟eccessiva

evaporazione dell‟acqua.

Le divisioni delle piante.

Il Regno delle piante viene generalmente suddiviso in

tre divisioni:

Briofite (piante non vascolari)

Pteridofite (piante vascolari prive di semi)

Spermatofite (piante vascolari dotate di semi)

Le parole:

Briofita deriva dal termine greco brýon, che significa

proprio «muschio», e phytón, «pianta».

Pteridofita deriva dal greco pterón, «ala», e phytón,

«pianta», in riferimento all‟aspetto delle grandi foglie

delle felci, che sembrano penne di uccelli.

Spermatofita deriva dal greco spérma, «seme»,

e phytón, «pianta», per indicare che queste piante sono

dotate di semi.

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2. Le Briofite sono piccole piante non vascolari.

Si ritiene che le più antiche piante terrestri dovessero assomigliare molto alle attuali piante non vascolari, cioè epatiche,

antocerote e muschi. La maggior parte di esse forma cuscinetti e tappeti di piantine di pochi centimetri di lunghezza o di

altezza, solitamente in habitat umidi, mentre le più grandi non superano il mezzo metro di altezza. Il motivo di questa taglia

ridotta probabilmente risiede nella mancanza di un sistema efficiente di conduzione dell‟acqua e dei minerali dal suolo.

Le piante non vascolari sono prive di vere foglie, fusti e radici, cioè delle strutture che caratterizzano le piante vascolari,

anche se spesso possiedono strutture analoghe. Le loro modalità di crescita permettono all‟acqua di spostarsi per capillarità,

mentre fronde simili a foglioline assorbono l‟acqua e la trattengono; inoltre, le piantine sono abbastanza piccole da

permettere la distribuzione di minerali per diffusione.

La maggioranza delle piante non vascolari vive sul suolo o su altre piante, mentre alcune crescono sulla roccia nuda, su

tronchi morti e caduti e persino su manufatti. Questi organismi sono ampiamente diffusi in tutti i continenti, dimostrando il

loro successo evolutivo e l‟ottimo adattamento ai loro ambienti.

Esistono tre classi di Briofite: le epatiche, le antocerote e i muschi, ma come esempio di ciclo vitale, prendiamo in

considerazione quello dei muschi che sono sicuramente i rappresentanti più conosciuti di questa divisione (▶figura 3).

Figura 3. Il ciclo vitale dei muschi.

Il ciclo vitale di queste piante dipende dalla presenza di acqua perché possa aver luogo la fecondazione. La «piantina» verde corrisponde al

gametofito.

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Le epatiche sono i rappresentanti odierni del gruppo più antico di piante.

Sono note circa 9000 specie di epatiche, la maggior

parte delle quali possiede gametofiti fogliacei (▶figura

4A). Altre epatiche, come quelle appartenenti al

genere Marchantia, presentano invece gametofiti

formati da strati verdi appiattiti sul terreno (▶figura 4B).

I gametofiti più semplici sono piccole placche di cellule,

lunghe all‟incirca 1 cm, che producono anteridi oppure

archegoni sulla superficie superiore e filamenti

chiamati rizoidi sulla superficie inferiore, con funzione

di ancoraggio e di assorbimento dell‟acqua.

Gli sporofiti delle epatiche, più brevi di quelli dei

muschi e delle antocerote, raramente superano i pochi

millimetri di lunghezza. Sullo sporofito delle epatiche

non sono presenti stomi, ovvero aperture per gli scambi

gassosi tra l'atmosfera e i tessuti interni della pianta, e

le capsule sono costituite da un involucro molto

semplice di forma globulare che circonda una massa di

spore. In alcune specie le spore non vengono rilasciate

dallo sporofito fintanto che lo sporangio che le circonda

non si decompone. In altre, invece, le spore vengono

«lanciate» da speciali strutture dello sporangio che,

disseccandosi, rilasciano le spore in tutte le direzioni.

Fra le epatiche più comuni vi sono varie specie del

genere Marchantia che è facilmente riconoscibile per le

particolari strutture sulle quali i gametofiti maschili e

femminili recano gli anteridi e gli archegoni. Come

accade per la maggior parte delle epatiche, anche le

varie specie di Marchantia possono riprodursi

vegetativamente per semplice frammentazione del

gametofito, oppure mediante propaguli, strutture a

forma lenticolare contenute entro speciali alloggiamenti

a forma di coppa.

Figura 4. La struttura delle epatiche.

(A) I gametofiti di un‟epatica carnosa. (B) Questa epatica carnosa

sviluppa archegoni all‟interno di strutture che somigliano a

minuscoli caschi di banane. La stessa pianta produce inoltre

strutture a coppa contenenti gemme in grado di formare nuove

piantine.

Le antocerote possiedono gli stomi e hanno cloroplasti particolari.

Il gruppo delle antocerote comprende circa 100 specie,

dall‟aspetto di piccole corna che spuntano da un

tappeto verde (▶figura 5); i loro gametofiti sono plac-

chette dello spessore di poche cellule.

Le Antocerote sono come le epatiche provviste di

gametofiti molto semplici, formati da un tallo laminare

dello spessore di poche cellule. Esse possiedono però

due caratteristiche che le distinguono dalle altre

briofite. I loro archegoni si sviluppano infatti all„interno

del tessuto del gametofito, anziché all'apice di

peduncoli. I loro sporofiti sono inoltre capaci di una

crescita quasi illimitata, a differenza di quanto avviene

nelle altre briofite. Sia nelle epatiche che nei muschi,

infatti, la crescita del peduncolo termina con la

formazione della capsula, cosicché l'allungamento dello

sporofito è alquanto limitato. In una pianta come

Anthoceros, invece, non esiste peduncolo, bensì una

regione basale della capsula capace di illimitate

divisioni cellulari. Ciò determina una formazione

continua di nuovo tessuto e questo produce a sua volta

spore. Alle Antocerote appartengono le briofite di

maggiori dimensioni, e fra queste esistono specie i cui

sporofiti possono raggiungere un'altezza di 20 cm.

Rispetto alle epatiche, le antocerote mostrano un

adattamento in più alla vita terrestre: sono infatti

provviste di semplici stomi, cioè di aperture che

facilitano gli scambi gassosi tra l‟ambiente esterno e i

tessuti della foglia. Un'altra caratteristica che rende

queste piante diverse sia dalle altre briofite che dalle

piante vascolari è la presenza, all'interno delle loro

cellule, di un singolo cloroplasto di grandi dimensioni,

mentre le cellule fotosintetiche delle altre piante

possiedono generalmente molti piccoli cloroplasti. Esse

possiedono inoltre cavità piene di mucillagine, che

spesso ospitano cianobatteri capaci di compiere

l'azoto-fissazione, ovvero la trasformazione dell'azoto

atmosferico in una forma utilizzabile dalla pianta

ospite.

Figura 5. Le antocerote.

Gli sporofiti di queste piante assomigliano a delle minuscole

corna.

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Nei muschi sono presenti semplici cellule conduttrici.

I muschi costituiscono il gruppo più importante

delle Briofite e comprendono circa 15 000 specie. Si

tratta di piantine che si trovano in quasi tutti gli

ambienti terrestri, spesso su substrati umidi e freschi,

dove formano spessi tappeti e cuscinetti (▶figura 6).

Figura 6. I muschi formano estesi tappeti verdi.

Questi muschi sono piante non vascolari che formano un

tappeto continuo in una vallata della Nuova Zelanda.

Il ciclo vitale ha inizio con lo sviluppo del gametofito,

che si forma da una spora aploide ed è costituito da

un'esile struttura filamentosa definita protonema, molto

simile a un'alga verde filamentosa. Alcuni dei filamenti

che costituiscono il protonema contengono cloroplasti e

sono capaci di compiere la fotosintesi, mentre altri,

definiti rizoidi, ne sono privi e servono ad ancorare il

protonema al substrato (riguardare la ▶figura 3). I

rizoidi consentono inoltre l'assorbimento dell'acqua e

delle sostanze minerali. Dopo un periodo di crescita, le

cellule situate in prossimità dell'apice dei filamenti

fotosintetici iniziano a dividersi, formando gemme

dalle quali si origina il gametofito maturo, la pianta di

muschio a tutti familiare. All'estremità delle strutture

frondose in tal modo formatesi, si sviluppano gli organi

sessuali. In alcuni casi si sviluppano sia anteridi che

archegoni, mentre in altri casi soltanto uno dei due. Gli

anteridi producono gameti maschili che, una volta

liberatisi, si muovono attraverso il mezzo acquatico fino

a raggiungere gli archegoni dove fecondano i gameti

femminili. Lo sporofito è generalmente costituito da una

struttura basale che rimane ancorata all'archegonio

mediante un sottile peduncolo, o filamento, alla cui

estremità si forma una capsula.

L'accrescimento dello sporofito si verifica soltanto in

corrispondenza dell'estremità apicale del filamento,

nella zona in cui si formerà anche la capsula. Nello

sporofito dei muschi sono di regola presenti stomi che

rendono possibili gli scambi gassosi con l'atmosfera.

Quando lo sporofito è maturo, dallo sporangio posto

alla sua estremità si liberano le spore che vengono

disperse nell‟aria.

Alcuni muschi sono così estesi che il trasporto

dell‟acqua per sola diffusione risulta impossibile. Così, i

gametofiti e gli sporofiti di molti muschi contengono un

particolare tipo di cellula conduttrice, chiamata idroide,

che morendo lascia un sottile canalicolo in cui l‟acqua

può fluire.

I muschi appartenenti al genere Sphagnum, detti

comunemente sfagni, sono muschi molto diffusi negli

ambienti palustri dei paesi nordici e nella tundra dove

costituiscono le torbiere e possono vivere persino in

certe regioni dell'Artico. In termini di biomassa,

superano la totalità di tutti gli altri muschi. Le piante

morte si decompongono nell‟acqua e, man mano,

formano spessi depositi di torba (▶figura 7B);

l‟ambiente delle torbiere a sfagni occupa all‟incirca l‟1%

della superficie terrestre.

Figura 7. I muschi.

(A) Le pianticelle verdi che vedi nella fotografia sono i

gametofiti, da cui spuntano gli sporangi, che costituiscono la

generazione sporofitica. (B) Un contadino estrae torba, formata

da antichi depositi di muschi parzialmente decomposti del

genere Sphagnum. In alcune parti del mondo, come nell‟Irlanda

meridionale, la torba costituisce un‟importante combustibile,

ma viene usata anche come concime.

Le parole:

In latino hepaticus, (come epatico in italiano), significa

«riguardante il fegato». Queste piante devono il loro

nome al fatto che nella tradizione si riteneva che

potessero curare le malattie del fegato, perché la loro

forma ricorda questo organo.

Antoceróte deriva dal greco anthós, «fiore», e da kéros,

«corno», alludendo proprio al loro aspetto. Il genere più

comune prende il nome di Ceratophyllum, «foglia

cornuta».

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La comparsa delle tracheidi ha portato allo sviluppo di un sistema vascolare.

Il sistema vascolare delle piante attuali è costituito da

due tipi di tessuti conduttori, lo xilema e il floema:

1. Lo xilema conduce acqua e minerali dalle radici

verso le parti aeree della pianta; inoltre, grazie alla

rigidità delle pareti delle sue cellule impregnate di

lignina, fornisce anche sostegno meccanico alla

pianta.

2. Il floema trasporta invece gli zuccheri prodotti

dalla fotosintesi nelle foglie a tutti i distretti della

pianta in cui essi sono consumati o immagazzinati.

Le piante vascolari che ci sono familiari comprendono i

licopòdi, gli equiseti, le felci, le gimnosperme (cioè le

piante con semi nudi) e le angiosperme (ovvero le

piante con fiori) (▶figura 8).

Sebbene si tratti di un gruppo straordinariamente

vasto e diversificato, si ritiene che le piante vascolari

derivino da un unico evento evolutivo risalente a 440

milioni di anni fa, quando nello sporofito di un‟antica

pianta comparve un nuovo tipo di cellula, la tracheide.

Figura 8. L‟evoluzione delle piante attuali.

Questo albero filogenetico rappresenta le tappe fondamentali

dell‟evoluzione delle piante attualmente presenti sulla terra.

Le tracheidi (▶figura 9) sono cellule di forma

allungata con pareti spesse e lignificate; oltre

alla cellulosa, infatti, è presente che la lignina, una

sostanza che conferisce maggiore rigidità e resistenza

alla struttura. Catene di tracheidi disposte in colonne

verticali formano un sistema di tubi che trasporta

l‟acqua dalle radici ai fusti e alle foglie. Questi tubi sono

cavi perché le tracheidi allo stadio di maturità sono

cellule morte, delle quali resta solo la parete cellulare

costellata di minuscoli fori attraverso i quali avviene il

passaggio dell‟acqua.

Figura 9. Le tracheidi nel fusto di una pianta.

Le pareti lignificate delle tracheidi sono colorate in rosso.

La tracheide costituisce il principale elemento

conduttore dello xilema, presente in tutte le piante

vascolari a eccezione delle angiosperme (dove tuttavia

esiste un sistema conduttore ancora più specializzato).

L‟evoluzione delle tracheidi ebbe due importanti

conseguenze. Prima di tutto, fornì una via per il

trasporto di acqua e nutrienti dalla fonte all‟intero corpo

della pianta. Secondo, le pareti inspessite delle tracheidi

fornirono un sostegno meccanico alle piante terrestri.

3. Generalità sulle piante vascolari.

L‟avvento delle piante vascolari è segnato dalla comparsa, avvenuta 440 milioni di anni fa, di un innovativo tipo di cellula,

la tracheide. Questo evento portò all‟evoluzione di un sistema vascolare che fornisce sostegno alla pianta e permette di

trasportare acqua e nutrienti in tutti i distretti dell‟organismo. In seguito, come vedremo, comparvero vere foglie e radici.

Le piante vascolari, proprio per la presenza di un sistema conduttore, vengono definite Tracheofite.

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Fuori dall‟acqua, la presenza di una struttura di

sostegno si rivelò una strategia vincente, poiché

permise alle piante di competere in altezza per

catturare più luce solare e migliorare la dispersione

delle spore. Per tutti questi motivi, le tracheidi hanno

rappresentato un evento evolutivo fondamentale per la

colonizzazione della terraferma da parte delle piante.

Le parole:

In greco xýlon significa «legno» e phloème «corteccia».

In passato il floema veniva anche chiamato libro (in

latino liber), perché da questa parte della pianta si

otteneva un tipo di carta.

Nelle piante vascolari lo sporofito diventa indipendente e si evolvono le radici.

Oltre alle tracheidi, altre due importanti novità che

caratterizzano le piante vascolari sono l‟indipendenza

nutrizionale dello sporofito dal gametofito e la presenza

delle radici. Per quanto riguarda lo sporofito, si osserva

che esso diventa più longevo rispetto

ai muschi (nelle felci può sopravvivere per centinaia di

anni), si accresce in dimensioni e assume un aspetto

ramificato: può quindi produrre più spore e può anche

svilupparsi in modi complessi. In tutte le piante

vascolari, dunque, lo sporofito è la pianta vera e propria

che osserviamo.

Le radici probabilmente furono originate dalla

ramificazione di una porzione aerea di un fusto oppure

di un rizoma, vale a dire una porzione orizzontale e

spesso sotterranea del fusto. Questa nuova parte, a sua

volta sotterranea e ramificata, aiutava a mantenere in

posizione la pianta e contribuiva all‟assorbimento di

acqua e sostanze minerali (▶figura 10).

_

Figura 10. L‟origine delle radici.

Secondo l'ipotesi di Lignier, le radici si sono originate da rami

penetrati nel terreno e che hanno assunto nel tempo nuove

caratteristiche.

Nelle piante vascolari compaiono vere foglie.

In senso stretto, una foglia è una struttura fotosintetica

che emerge lateralmente da un asse principale, o stelo,

e possiede un vero tessuto vascolare. A questo

proposito occorre precisare che esistono due diversi tipi

di foglie, che hanno avuto probabilmente una diversa

origine evolutiva: microfilli e macrofilli (▶figura 11).

Il primo tipo di foglia, detto microfillo, è generalmente

una struttura di piccole dimensioni e soltanto

raramente, almeno nelle piante attualmente viventi,

possiede più di un singolo canale vascolare (vaso).

Foglie di questo tipo sono presenti in due categorie di

piante, i licopodi e gli equiseti, dei quali soltanto pochi

generi sono ancora viventi. L'evoluzione di questo tipo

di foglia sembra correlata a un progressivo sviluppo del

tessuto vascolare all'interno di piccole protuberanze, a

forma di squama, dello stelo. La principale caratteristica

del microfillo consiste nel fatto che il canale vascolare

che lo percorre si diparte direttamente dal sistema

vascolare principale dello stelo, e non determina alcuna

modifica nella conformazione di questo. Tale

caratteristica si ritrova peraltro anche nei licopodi e

negli equiseti fossili risalenti al periodo Carbonifero,

molti dei quali possedevano microfilli di alcuni

centimetri di lunghezza.

Il secondo tipo di foglia, definito macrofillo, è presente

nelle felci e nelle piante a seme (Spermatofite). Il

macrofillo sembra essersi originato da un appiattimento

delle ramificazioni dicotome dello stelo e da un esteso

sviluppo di tessuto fotosintetizzante fra le ramificazioni

stesse.

Figura 11. L‟origine delle foglie.

Nelle figura viene mostrata in alto l‟origine di un microfillo, in

basso quella di un macrofillo.

Lo sviluppo di questo tipo di foglia è inoltre

accompagnato da una notevole trasformazione della

struttura del sistema vascolare centrale, dove, in

corrispondenza della base della foglia, si forma

un'interruzione definita lacuna fogliare (▶figura 12).

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Figura 12. Lo sviluppo di un macrofillo.

La figura a destra mostra la lacuna fogliare che è tipica di un

macrofillo.

Isosporia ed eterosporia.

Nelle piante vascolari più primitive, il gametofito e lo

sporofito possono risultare indipendenti l'uno dall'altro,

ed entrambi capaci di compiere la fotosintesi. Le spore

prodotte dagli sporofiti sono di un tipo unico, e da

queste si sviluppa un solo tipo di gametofito recante

organi riproduttivi sia maschili che femminili. L'organo

femminile di queste piante, che possono essere definite

isosporee, è costituito da un archegonio pluricellulare

contenente una sola cellula uovo, mentre l'organo

maschile è un anteridio, che reca molti gameti maschili.

(▶figura 13)

Figura 13. L‟isosporia.

Attraverso l‟isosporia vengono prodotte spore tutte identiche

tra loro.

Nel corso dell'evoluzione sono tuttavia comparse anche

altre piante, definite eterosporee, dotate di due diversi

tipi di spore: le megaspore e le microspore. Dalle prime

si origina un gametofito femminile o megagametofito,

capace di produrre soltanto gameti femminili, mentre

nelle microspore si formano gametofiti di tipo maschile

o microgametofiti. Le megaspore vengono inoltre

prodotte in piccola quantità all'interno di un

megasporangio, mentre le microspore vengono formate

in gran numero entro un microsporangio. Nel corso

dell'evoluzione l'eterosporia si è realizzata varie volte,

in maniera indipendente, nelle piante vascolari derivate

dalle Psilopside (Divisione estinta), che erano invece

isosporee. Questo fatto, unito alla constatazione che la

successiva evoluzione delle piante è stata caratterizzata

da una crescente specializzazione della condizione di

eterosporia, ha suggerito l'idea che tale strategia possa

comportare vantaggi selettivi nei confronti

dell'isosporia. (▶figura 14)

Figura 14. L‟eterosporia.

Attraverso l‟eterosporia vengono prodotte megaspore e

microspore.

Le piante vascolari si sono evolute per almeno mezzo miliardo di anni.

I primi fossili di piante vascolari risalgono al tardo

Siluriano, un periodo in cui questi vegetali erano alti al

massimo pochi centimetri.

Le piante vascolari più primitive sopravvissute ai giorni

nostri non producono semi e comprendono i licopodi, le

felci e gli equiseti e vengono comprese nella divisione

delle Pteridofite. Si tratta di piante con grossi sporofiti

(che in alcune felci sono alti anche 15-20 m), indipen-

denti e longevi, e con gametofiti ridotti (raramente oltre

1-2 cm di lunghezza) e dalla vita breve, a loro volta in-

dipendenti dallo sporofito. Nel loro ciclo vitale, le piante

vascolari senza semi necessitano di acqua allo stato

liquido in un passaggio cruciale del ciclo vitale, cioè

l‟incontro del gamete maschile con la cellula uovo.

Le piante con semi, ossia le Spermatofite (gimnosperme

e angiosperme, si sono invece affrancate da questa ne-

cessità, e l‟incontro dei loro gameti avviene senza la

presenza di acqua.

Classificazione delle piante vascolari

Le piante vascolari, definite complessivamente

Tracheofite, comprendono due divisioni:

A) Pteridofite (piante vascolari prive di semi)

B) Spermatofite (piante vascolari dotate di semi)

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I licopodi furono tra le piante dominanti del Carbonifero.

I licopòdi, di cui si conoscono circa 1200 specie

odierne, comparvero prima di tutti gli altri gruppi oggi

viventi di piante vascolari. Questi organismi possiedono

radici e microfilli e hanno una disposizione del tessuto

conduttore più semplice rispetto alle altre piante

vascolari.

Possiedono sia specie isosporee che specie eterosporee

e, come tutte le pteridofite, mostrano alternanza di

generazioni eteromorfe con uno sporofito grande ed

indipendente e un gametofito di minori dimensioni, ma

pur sempre autonomo.

Le foglie sono disposte a spirale nello stelo e gli

sporangi si presentano come strutture a forma di pigna,

definite strobili. La crescita della pianta dipende

dall‟azione di un gruppo di cellule in continua

moltiplicazione, localizzato all‟estremità degli steli.

(▶figura 15).

Figura 15. I licopodi.

La fotografia mette in evidenza gli strobili a forma di cono di un

licopodio.

Queste piante comparvero nel periodo Devoniano; la

loro espansione rese man mano l‟ambiente terrestre più

ospitale per gli animali e, in effetti, i primi anfibi e i

primi insetti colonizzarono la terraferma

contemporaneamente ad esse.

Nonostante siano oggi soltanto un elemento marginale

della vegetazione, durante il periodo Carbonifero i

licopodi rappresentavano uno dei due gruppi di piante

dominanti (▶figura 16).

I resti di queste estese foreste carbonifere, caduti nelle

acque paludose e quindi gradualmente ricoperti da

sedimenti, nel corso di milioni di anni furono soggetti a

pressioni intense e temperature elevate, dando origine

al carbone fossile (mentre petrolio e gas naturale

derivano dai resti del plancton di antichi oceani); poiché

i depositi non sono infiniti, va da sé che il carbone

fossile è da considerarsi una risorsa «non rinnovabile».

Oltre ai licopodi, gli altri grandi protagonisti della

vegetazione carbonifera furono altre pteridofite, come

gli equiseti e le felci.

Figura 16. Ricostruzione di un‟antica foresta del Carbonifero.

Durante il Carbonifero, foreste simili a questa coprivano vaste

aree dell‟attuale America del Nord. Gli «alberi» a sinistra e in

secondo piano corrispondono a licopodi del

genere Lepidodendron, mentre a destra sono visibili numerose

felci. La pianta in primo piano è un parente degli equiseti.

4. Le Pteridofite sono piante vascolari prive di semi.

Le piante vascolari che non producono semi vengono definite complessivamente Pteridofite e sebbene siano state le piante

che hanno costituito la vegetazione dominante verso la fine del Paleozoico, sono attualmente molto meno importanti rispetto

alle piante a seme che invece hanno colonizzato anche ambienti più estremi. Il loro ciclo vitale è simile a quello delle Briofite,

con la differenza che in queste piante prevale la generazione diploide dello sporofito.

Le Pteridofite attuali sono rappresentate dai licopodi, dagli equiseti e dalle felci.

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Anche gli equiseti furono piante dominanti nel Carbonifero.

Gli equiseti noti anche come “code di cavallo”, sono

rappresentati oggi soltanto da una quindicina di specie,

tutte classificate nel genere Equisetum; queste piante

sono tipiche per l‟aspetto «a scopino» e la consistenza

coriacea dovuta a depositi di silice nelle loro pareti cel-

lulari.

Anch‟essi, come i licopodi, possiedono sia specie

isosporee che specie eterosporee, mostrano alternanza

di generazioni eteromorfe con uno sporofito grande ed

indipendente e un gametofito di minori dimensioni, ma

pur sempre autonomo.

Gli equiseti crescono sui cigli delle strade, vicino a corsi

d‟acqua e presentano radici a forma di ciuffi che si

diramano dal rizoma il quale costituisce la parte ipogea

del fusto. Da questo, si formano in successione due tipi

di fusti: quelli primaverili e quelli estivi.

I primi (▶figura 17) sono fertili ma incapaci di eseguire

la fotosintesi e sono pertanto adibiti esclusivamente alla

riproduzione, i secondi (▶figura 18), invece sono sterili

ma sono verdi, fotosintetici.

Figura 17. Gli equiseti: fusti primaverili.

Nella fotografia si vedono fusti primaverili di Equisetum essi

sono fertili ma non fotosintetici.

Le foglie, sono inserite nel fusto ad anelli distinti, gli

sporangi sono posti all‟estremità di corti peduncoli

(sporangiofori) incurvati verso lo stelo e la crescita della

pianta deriva in massima parte da strati di cellule

mitoticamente attive, localizzate al di sopra di ogni

anello di foglie; tale crescita determina l‟allungamento

di ciascun segmento delle stelo a partire dalla base.

Figura 18. Gli equiseti: fusti estivi.

Nella fotografia si vedono fusti estivi di Equisetum essi sono

sterili ma fotosintetici.

Gli equiseti vengono usati a scopo farmacologico in

quanto ricchi di sostanze terapeutiche usate a vari

scopi: emostatiche (bloccano la fuoriuscita di sangue in

caso di emorragia), diuretiche (facilitano il rilascio

dell'urina), astringenti (limita la secrezione dei liquidi),

antitubercolari e remineralizzanti. Sono indicate anche

per combattere l'osteoporosi, in caso di fratture e

di rachitismo.

Gli equiseti vengono utilizzati anche in cucina. In

passato, presso le famiglie contadine, i germogli di

alcune specie del genere venivano occasionalmente

impanati e fritti o conditi con aceto. L'equiseto può

essere aggiunto a zuppe o minestroni come integratore

di sali minerali. Ma si deve fare attenzione alle varie

specie in quanto alcune non sono eduli o addirittura

tossiche.

Gli antichi romani usavano l‟equiseto come sostituto del

sapone e anche oggi esso viene utilizzato in cosmetica

come ingrediente di creme antirughe (sembra che

rallenti l'invecchiamento della pelle in genere). Inoltre

queste piante, in quanto provviste superficialmente di

granuli di silicio, anticamente venivano usate per

levigare (sgrassare e lucidare) superfici anche

metalliche.

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Le felci sono caratterizzati dalla presenza di macrofilli.

Le felci, apparse nel periodo Devoniano, comprendono

oggi circa 12000 specie. Lo sporofito delle felci

possiede radici, fusti e foglie ben strutturati e le foglie

sono dei macrofilli. Alcune foglie si modificano in

organi arrampicatori che possono allungarsi fino a 30

m.

Nel ciclo vitale di una felce, lo sporofito maturo produce

deglisporangi dove, per meiosi, si originano le spore.

Queste possono essere trasportate a grande distanza

dal vento e, germinando, formano gametofiti

indipendenti.

I gametofiti possono sviluppare sia anteridi sia

archegoni, sebbene non necessariamente nello stesso

momento o sullo stesso gametofito. I gameti maschili, o

cellule spermatiche, nuotano nell‟acqua verso gli

archegoni, spesso su quelli di altri gametofiti, dove si

uniscono alle cellule uovo: lo zigote risultante dalla

fecondazione diventa il nuovo sporofito in forma di

embrione. Il giovane sporofito produce una radice e

cresce in autonomia dal gametofito.

Nell‟alternanza di generazione di una felce il gametofito

è quindi piccolo, delicato ed effimero, mentre lo

sporofito può essere molto esteso e vivere per molti

anni (▶figura 19).

Figura 19. Il ciclo vitale di una felce.

Lo stadio più evidente del ciclo vitale delle felci è quello dello sporofito diploide. Nella fotografia è illustrata la pagina inferiore di una fronda

contenente i sori, ciascuno dei quali ospita numerosi sporangi produttori di spore.

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Proprio perché necessitano della presenza di acqua per

la fecondazione, la maggior parte delle felci vive in

ambienti ombrosi e umidi. Gli sporangi delle felci si

trovano sulla superficie inferiore delle foglie, dove

talvolta sono così estesi da ricoprirla interamente. Nella

maggior parte delle specie gli sporangi sono aggregati

in strutture chiamate sori (▶figura 20). Esiste una

grande varietà di felci che differiscono tra loro per le

dimensioni e per la morfologia della fronda (▶figure 21,

22, 23).

Figura 20. Sori in una felce.

I sori sono raggruppamenti di sporangi che si trovano nella

pagina inferiore della fronda di una felce.

Figura 21. Le foglie delle felci possono assumere vari aspetti.

Le foglie di questa felce formano un caratteristico disegno.

Figura 22. Le strutture a chiave di violino.

La struttura a «riccio di violino», corrispondente a una foglia in

via di sviluppo, si srotolerà ed espanderà dando origine alla

complessa fronda matura come quelle della fig.21.

Figura 23. Capelvenere.

Adiantum capillus veneris, nota come Capelvenere, è una felce

molto comune nella nostra flora.

Molte felci sono isosporee ma alcune sono eterosporee.

Alcune felci sono acquatiche (▶figura 24), altre sono

arboree e possono raggiungere altezze di 20 m, non

sono piante rigide come gli alberi e hanno apparati

radicali poco sviluppati (▶figura 25).

Figura 24. Felci acquatiche.

Marsilea quadrifolia è una felce acquatica.

Figura 25. Felci arboree.

Le felci arboree sono specie tropicali.

Tutte le piante vascolari di cui abbiamo parlato si

diffondono per mezzo di spore. Nei prossimi paragrafi

studieremo invece le piante con semi, che costituiscono

l‟attuale vegetazione dominante.

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