1. La nascita dell'ONU dopo la seconda guerra...

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ANNO SCOLASTICO 2014-2015 – CLASSI 2B/2F GEOGRAFIA È possibile un governo del mondo? (pagg. 244 e seguenti) Lo scenario geopolitico mondiale dopo la caduta del muro di Berlino e i conflitti in aree di crisi L'Organizzazione delle Nazioni Unite (pagg. 248-251 Manuale) (Atlante planisfero pagg. 6-7) Carta atlantica Dichiarazione di principi di politica internazionale concordata (1941) dal presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt e dal primo ministro britannico W. Churchill nell’isola di Terranova. I punti essenziali erano: - rinuncia a ingrandimenti territoriali; - diritto di autodeterminazione dei popoli; - diritto di accesso, in condizioni di parità, al commercio e alle materie prime del mondo; - libertà dei mari; - rinuncia all’impiego della forza, una volta distrutta la tirannia nazista. La C. preparò l’alleanza militare tra i paesi in guerra contro l’Asse e fu lo strumento al quale si richiamò esplicitamente la successiva Dichiarazione delle Nazioni Unite (1° gennaio 1942). www.treccani.it LA NASCITA DELL'ONU Il 24 ottobre 1945 nasce l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Dopo l’esperienza del nazismo e della Seconda guerra mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite vuole salvaguardare democrazia, libertà e pace nel mondo. L’ONU nasce sulle ceneri della Società delle Nazioni, organismo sorto dopo la Prima Guerra Mondiale, che non è riuscito a evitare lo scoppio di un secondo catastrofico conflitto. Il termine Nazioni Unite compare per la prima volta durante la Seconda guerra mondiale: 26 nazioni firmano la Dichiarazione delle Nazioni Unite, con cui si impegnano a lottare contro le forze del patto tripartito, Germania, Italia e Giappone. L’accordo prevede anche l’accettazione della Carta Atlantica, documento sottoscritto dal presidente americano Roosevelt e dal primo ministro inglese Churchill: è il primo passo verso la creazione di un organismo sovranazionale per sicurezza collettiva. Nell’ottobre 1943, alla Conferenza di Mosca, Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Cina, iniziano a elaborare la formula di un’organizzazione internazionale aperta ad ogni nazione, fondata sul principio di uguaglianza di tutti gli Stati membri. Le stesse quattro potenze si riuniscono successivamente nella Conferenza di Dumbarton Oaks: qui si disegna la struttura dell’ONU, che prevede un’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Segretariato e la Corte Internazionale di Giustizia. Alla conferenza di Yalta invece prende corpo la 1 1. La nascita dell'ONU dopo la seconda guerra mondiale

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ANNO SCOLASTICO 2014-2015 – CLASSI 2B/2FGEOGRAFIA

È possibile un governo del mondo? (pagg. 244 e seguenti)Lo scenario geopolitico mondiale dopo la caduta del muro di Berlino

e i conflitti in aree di crisi

L'Organizzazione delle Nazioni Unite (pagg. 248-251 Manuale)

(Atlante planisfero pagg. 6-7)

Carta atlantica

Dichiarazione di principi di politica internazionale concordata (1941) dal presidente degli Stati

Uniti F.D. Roosevelt e dal primo ministro britannico W. Churchill nell’isola di Terranova.

I punti essenziali erano:

- rinuncia a ingrandimenti territoriali;

- diritto di autodeterminazione dei popoli;

- diritto di accesso, in condizioni di parità, al commercio e alle materie prime del mondo;

- libertà dei mari;

- rinuncia all’impiego della forza, una volta distrutta la tirannia nazista.

La C. preparò l’alleanza militare tra i paesi in guerra contro l’Asse e fu lo strumento al quale si

richiamò esplicitamente la successiva Dichiarazione delle Nazioni Unite (1° gennaio 1942).

www.treccani.it

LA NASCITA DELL'ONU

Il 24 ottobre 1945 nasce l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Dopo l’esperienza del nazismo e della Seconda guerra mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite vuole salvaguardare democrazia, libertà e pace nel mondo. L’ONU nasce sulle ceneri della Società delle Nazioni, organismo sorto dopo la Prima Guerra Mondiale, che non è riuscito a evitare lo scoppio di un secondo catastrofico conflitto. Il termine Nazioni Unite compare per la prima volta durante la Seconda guerra mondiale: 26 nazioni firmano la Dichiarazione delle Nazioni Unite, con cui si impegnano a lottare contro le forze del patto tripartito, Germania, Italia e Giappone.L’accordo prevede anche l’accettazione della Carta Atlantica, documento sottoscritto dal presidente americano Roosevelt e dal primo ministro inglese Churchill: è il primo passo verso la creazione di un organismo sovranazionale per sicurezza collettiva. Nell’ottobre 1943, alla Conferenza di Mosca, Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Cina, iniziano a elaborare la formula di un’organizzazione internazionale aperta ad ogni nazione, fondata sul principio di uguaglianza di tutti gli Stati membri.Le stesse quattro potenze si riuniscono successivamente nella Conferenza di Dumbarton Oaks: qui si disegna la struttura dell’ONU, che prevede un’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza, il Segretariato e la Corte Internazionale di Giustizia. Alla conferenza di Yalta invece prende corpo la

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1. La nascita dell'ONU dopo la seconda guerra mondiale

formula del diritto di veto: ciascuno dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza -Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina e Unione Sovietica- può bloccare con un voto negativo l’adozione di qualsiasi delibera approvata dal Consiglio: è la cosiddetta “formula di Yalta”.Lo statuto dell’ONU viene ratificato dopo la guerra, a San Francisco, dai 5 membri permanenti e da altri 46 stati. Oltre a proporsi di risolvere pacificamente conflitti e controversie internazionali, l’ONU incoraggia le relazioni fra gli Stati, promuove la cooperazione sociale ed economica, e si impegna a garantire il rispetto dei diritti umani. L’ONU nasce però fortemente condizionata da USAe URSS, che in questi anni si contendono il controllo del mondo. Attraverso il meccanismo del diritto di veto, le due superpotenze limiteranno pesantemente la capacità decisionale delle Nazioni Unite. Inoltre la definizione del confine tra la necessità di mantenere la pace e il pericolo di ledere la sovranità nazionale dei singoli Stati, rimarrà sempre una questione controversa. L’ONU rappresentacomunque il centro della diplomazia mondiale dove ogni Stato ha la possibilità di portare all’attenzione internazionale le proprie ragioni. Nel 2001 l’ONU e il suo segretario Kofi Annan ricevono il Nobel per la pace.

KOFI ANNAN, segretario generale dell'ONU (1997-2006)Kofi Atta Annan, è un politico e diplomatico ghanese. È Segretario Generale dell’ONU dal 1997 al2006.Annan nasce l’8 aprile 1938 a Kumasi, in Ghana, in una famiglia di antica nobiltà tribale. Inizia glistudi nella propria città, specializzandosi poi in economia negli Stati Uniti e relazioni internazionalia Ginevra.A 24 anni entra nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, uno dei rami dell’Organizzazione delleNazioni Unite. L’ONU è un’istituzione fondata nel 1945 per favorire la pace fra gli Stati. QuiAnnan lavora per un ventennio in campo amministrativo e diplomatico.Nel 1990 l’Iraq invade il Kuwait, ma viene in seguito attaccato e sconfitto da una coalizionemultinazionale guidata dagli Stati Uniti: è la Prima Guerra del Golfo. Annan è inviato in missionespeciale in Iraq, dove ottiene il rimpatrio di tutti i cittadini occidentali prima che inizino le ostilità.Al termine del conflitto negozia l’accordo “Oil for food” che permette all’Iraq di vendere petrolio apatto che gli incassi siano investiti in alimenti e medicinali per la popolazione.Il Primo gennaio 1997 Kofi Annan è eletto Segretario Generale, la carica più alta dell’ONU. Avvia subito una riforma per ridurre i costi dell’organizzazione e nel 1998 promuove l’istituzionedella Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra. È un tentativo di ridare forza all’ONUdopo l’impotenza dimostrata nei primi anni 90 nell’impedire le stragi di civili durante la guerra inBosnia e il genocidio ai danni dell’etnia Tootsie, avvenuto in Ruanda ad opera dell’etnia rivaleHutu. Sempre nel 1998 evita un nuovo intervento militare degli Stati Uniti in Iraq. Nel biennio successivocontribuisce a risolvere importanti crisi a Timor Est, in Medio Oriente e in Africa.Nel 2001 riceve il Premio Nobel per la Pace e a fine anno riceve un secondo mandato comeSegretario Generale.Lo scenario mondiale cambia dopo l’11 settembre 2001: gli attentati di New York provocano unadura reazione degli Stati Uniti, che avviano operazioni militari all’estero per distruggere presuntebasi di terroristi islamici. L’ONU accetta la guerra in Afghanistan come atto di legittima difesa, masi oppone fermamente a quella in Iraq, senza però riuscire a evitarla. Al termine di entrambi iconflitti Annan invia ampi contingenti di truppe per assistere la popolazione e garantire elezionidemocratiche.Gli ultimi anni del mandato di Annan sono segnati da uno scandalo di corruzione legato alprogramma “Oil for food”, in cui risulta coinvolto anche uno dei figli.Kofi Annan lascia la guida dell’ONU nel 2006. I suoi due mandati sono caratterizzati da un grandeimpegno nel campo dei diritti umani e della lotta all’AIDS, ma anche da una sostanziale debolezza

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di fronte alle decisioni unilaterali prese dagli Stati Uniti dopo l’11 Settembre.

Il riconoscimento dello stato di Palestina come membro osservatore all'ONU

Sul megaschermo installato nel cuore della città di Ramallah in Cisgiordania parlaAbu Mazen da New York. Il momento è solenne, tra le migliaia di persone presentisulla piazza dell’orologio tutti sperano che il mondo intero prenda finalmente inmano il dramma palestinese. “L’assemblea dell’ONU invitata a dar vita ad un atto dinascita dello stato di Palestina”, risuonano le parole di Abu Mazen, “La comunitàinternazionale ha l’ultima possibilità di rianimare il processo di pace”. Scattano gli

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2. Il riconoscimento della Palestina all'ONU

applausi in ogni piazza e in ogni luogo dove c’è un televisore c’è chi credeall’importanza dei simboli e chi invece che nulla cambierà. Quando nell’emiciclodell’assemblea generale dell’ONU appaiono quei 138 voti a favore e 9 contro, lapiazza esulta. Benvenuti a Ramallah, sede del governo dell’ormaicentonovantaquattresimo stato osservatore dell’ONU. Un riconoscimento che AbuMazen accoglie con un abbraccio liberatorio alla sua delegazione e ai rappresentantidei Paesi che lo hanno sostenuto sullo sfondo della bandiera palestinese. Quellabandiera che ora in Cisgiordania e a Gaza sventola ovunque. “Allah akbar, Dio ègrande”, risuonano clacson e fuochi d’artificio. Ora siamo più vicini, dicono, alriconoscimento di un vero stato. Il 29 novembre è una data storica, gridano, quella incui anche le bandiere di Hamas e Fatah sventolano insieme. A pochi chilometri dallafesta è il portavoce del governo israeliano a spegnere ogni entusiasmo. “Domani lagente si accorgerà che nulla è cambiato”, dichiara, “La soluzione non è questospettacolo insensato, la soluzione sono i colloqui di pace”. Forse non accadrannomiracoli, rispondono dalla Cisgiordania, siamo sempre uno stato in clans ma staseraalmeno fateci sognare.

Servizio del TG3, 30 novembre 2012N.B.: recuperare dagli appunti le informazioni sui termini sottolineati nel testo.

(Atlante pagg. 26-27)

Un fiume di gente in festa si riversa nelle strade di Berlino. È la sera del 9 novembre 1989: dopo 28 anni di separazione forzata, i tedeschi dell’Est e dell’Ovest possono finalmente stringersi la mano.Nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, le potenze vincitrici si incontrano a Yalta, in Ucraina, per stabilire quale sarà il futuro assetto politico dell’Europa.La Germania viene divisa in due. La parte occidentale viene ulteriormente spartita tra Francia, GranBretagna e Stati Uniti. La parte orientale cade sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. La città di Berlino, nel cuore della Germania dell’Est, è a sua volta divisa: Berlino Ovest è un’isola capitalista all’interno di uno Stato comunista. Negli anni successivi molti berlinesi dell’Est, scontenti del regime comunista, fuggono a Berlino Ovest. Per arginare il flusso di profughi diretto verso Occidente, nel 1961 il governo della Germaniaorientale fa costruire un muro che separa le due metà della capitale tedesca.Il Muro diventa il simbolo della Cortina di ferro, la linea netta che contrappone l’est filosovietico e l’Ovest filoamericano.Dalla metà degli anni Ottanta soffia un vento nuovo sull’Europa orientale. In Unione Sovietica il presidente Gorbaciov inaugura la glasnost, una politica che favorisce la libertà di pensiero e di parola nei paesi del blocco comunista.È l’inizio di una rivoluzione epocale. Il dissenso diffuso all’interno dei regimi comunisti trova lo spazio per emergere con tutta la sua forza: nel 1989 in Polonia si afferma un partito democratico, mentre l’Ungheria apre il confine con l’Austria.

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3. La caduta del muro di Berlino

È la prima falla nella Cortina di Ferro.Migliaia di tedeschi orientali, accolti dal governo ungherese, approfittano di quell’apertura per fuggire a Ovest. Honecker, presidente della Germania orientale, non riesce a impedire quella fuga di massa ed è costretto a dimettersi. Il suo successore, Egon Krenz, si trova davanti a colossali manifestazioni di piazza contro il regime: non può fare altro che concedere ai tedeschi dell’Est il diritto di spostarsi nella Germania dell’Ovest.Il provvedimento entra in vigore il 9 novembre 1989. L’espatrio è inizialmente possibile soltanto per i possessori di un apposito visto, ma il numero esorbitante di persone che affollano i posti di blocco impedisce qualunque controllo accurato.La sera stessa, e per tutta la notte, una folla esultante attraversa il confine, si arrampica sul Muro, lo piccona. Le due metà di Berlino possono finalmente riabbracciarsi. È l’inizio della riunificazione tedesca, un processo che arriverà a compimento nel 1990. Il Muro viene abbattuto quasi completamente tra il 1990 e il 1991. Oggi ne rimangono solo pochi tratti, come cimeli di un’epoca passata.La caduta del Muro sancisce simbolicamente la fine del comunismo e l’inizio di un nuovo assetto europeo.

www.ovo.com• Quando e perché la Germania venne divisa in due parti?• Che cosa accadde alla città di Berlino?• Quali erano le capitali delle due Germanie?• Per quale ragione e quando venne edificato un muro di divisione all'interno della città di

Berlino? • Che cosa si intende con “cortina di ferro”?• Che ruolo ha la politica di Gorbaciov negli anni '80?• Che cosa accade in Germania nei mesi appena precedenti il novembre 1989?• Quando viene completata la riunificazione tedesca?• Perché la caduta del muro di Berlino è stato un avvenimento epocale e dal forte valore

simbolico?

(Atlante pag. 35)

Il 16 gennaio 1991, si scatena sull’Iraq la “Tempesta nel deserto”. È la Prima Guerra del Golfo. Nel corso degli anni ‘80 l’Iraq, guidato dal Presidente Saddam Hussein, ingaggia una guerra col vicino Iran nel tentativo di allargare i propri confini. Il conflitto si conclude nel 1988 con un nulla di fatto ma l’Iraq, gravato dai debiti per l’acquisto di armi, sprofonda in una grave crisi economica. Tra i Paesi creditori dell’Iraq ci sono i vicini Stati del Kuwait e degli Emirati Arabi.Con loro l’Iraq condivide un’economia in gran parte basata sull’esportazione di petrolio.Di fronte all’impossibilità di Saddam di onorare il debito, i due Stati decidono di rifarsi contravvenendo alle direttive OPEC e superano le quote di produzione del greggio.Il mercato viene così invaso dal petrolio e il prezzo si abbassa drasticamente. La situazione economica dell’Iraq precipita.Saddam ritiene la violazione delle quote di petrolio una provocazione intollerabile e pretende in cambio la cancellazione del debito di Guerra. Dal Kuwait, inoltre, reclama un giacimento situato al confine e alcune isole di importanza

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4. La prima guerra del Golfo

strategica.Nessuna delle sue richieste viene accolta. Saddam decide di invadere il Kuwait. Il 2 agosto 1990 l’esercito iracheno vince facilmente la resistenza dei soldati kuwaitiani e conquista il Paese.L’ONU, l’organizzazione internazionale che sovrintende alla pace mondiale, condanna l’invasione. Il 29 novembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU detta un ultimatum. L’Iraq deve lasciare il Kuwait entro il 15 gennaio 1991, oppure interverrà una coalizione militare formata dagli Stati membri dell’ONU. A capo della coalizione anti-irachena, si pongono gli Stati Uniti. Insieme a loro si schierano oltre 30Stati tra cui Inghilterra, Germania, Italia, Spagna e Francia.Gli USA e il loro presidente, George Bush Senior, temono che l’invasione del Kuwait preluda a un tentativo di conquista della vicina Arabia Saudita, un Paese ricco di petrolio con cui gli Stati Uniti intrattengono ottimi rapporti.Se venisse conquistato, gli USA perderebbero un alleato e Saddam accrescerebbe troppo il proprio potere.Malgrado l‘ultimatum delle Nazioni Unite, gli iracheni non si ritirano dal Kuwait.Il 16 gennaio del 1991 la coalizione attacca l’esercito iracheno. L’Iraq subisce terribili offensive aeree e terrestri. Il 26 febbraio le truppe irachene sono costrette a battere in ritirata. Il Kuwait è libero.Il 3 marzo l’Iraq firma il cessate il fuoco. Accetta il disarmo e pesanti sanzioni economiche.Sono oltre 120.000 i morti iracheni. Circa 150 le perdite tra le fila della Coalizione internazionale. Grazie agli accordi di fine conflitto, gli Stati Uniti installano basi militari nella regione mediorientale.L’Iraq, devastato dalla guerra e dalle sanzioni, non riuscirà più a risollevarsi.

www.ovo.com• Quale conflitto impegnò l'Iraq negli anni '80 e con quali esiti?• Da chi era guidato l'Iraq fin dal 1989?• Su che cosa era basata l'economia dell'Iraq?• Che cosa è l'OPEC?1

• Per quale motivo nel 1990 l'Iraq invase il Kuwait?• Di quale “golfo” si parla nel conflitto in questione?• Quale ruolo ebbe ed in che modo agì l'ONU nel conflitto in questione?• Quali furono per l'Iraq le conseguenze di questo conflitto?• Chi era il presidente USA nel periodo in questione?

(Atlante pagg. 28-29)

TITOTito è il soprannome di Josip Broz, maresciallo dell’esercito e leader politico.Per 35 anni è l’uomo che governa la Jugoslavia.Tito nasce il 7 maggio 1892 a Kumrovec, in Croazia. Lascia presto la scuola, e lavora comeapprendista fabbro.Nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, viene inviato a combattere in Russia.Qui entra in contatto con i rivoluzionari comunisti chiamati bolscevichi. Alla fine del conflitto, nel

1 Organization of the Petroleum Exporting Countries

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5. La guerra in Jugoslavia

1918, si unisce al Partito Comunista Russo.1920: Tito torna in patria. La Croazia, dopo la guerra, è diventata parte di una nazione più grande:una Federazione di Stati chiamata Jugoslavia.Tito aderisce Partito Comunista Jugoslavo, del quale diventerà leader nel 1937. E’ in questa fase che Tito si guadagna il suo celebre soprannome, probabilmente ispiratoall’espressione croata Ti to, cioè “tu, questo”: la frase con la quale dà ordini ai compagni di Partito.Nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale, le truppe della Germania e dell’Italia invadono laJugoslavia. Tito, con la carica di maresciallo, guida la resistenza dei partigiani jugoslavi.Nel 1945 gli invasori vengono sconfitti. Gli uomini di Tito attuano una serie di feroci ritorsionicontro gli italiani che vivono sul confine jugoslavo. Migliaia di cadaveri vengono gettati in fondo agrotte sotterranee dette foibe.Tito, eroe di guerra, viene nominato capo del nuovo governo jugoslavo.Organizza lo Stato in base al modello comunista.Malgrado ciò, nel 1948 rinnega il Partito Comunista Russo e comincia a seguire una linea politicaindipendente.In Russia, per indicare il voltafaccia di Tito, viene coniato il termine titofascismo.Tito prende le distanze anche dagli Stati Uniti.Nel 1961 è tra i fondatori del movimento dei Non Allineati: un’alleanza di tutti quei Paesi, comel’India e l’Egitto, che rifiutano il dominio russo, ma anche quello statunitense.Negli anni seguenti si fa sempre più forte la volontà di autonomia dei vari Stati che compongono laJugoslavia. Per impedire alla Federazione di sfaldarsi, Tito non esita ad esercitare il potere in modo autoritario.Proibisce i dibattiti politici, zittisce ogni opposizione, fa incarcerare i dissidenti.Dal 1963 assume il titolo di Presidente a vita.Tito muore il 4 maggio 1980, a quasi 88 anni, nella città jugoslava di Lubiana.Dopo un grandioso funerale di Stato, il corpo di Tito viene sepolto in un mausoleo nella Capitaledella Jugoslavia, Belgrado.Senza la guida di Tito, l’unità della Federazione non dura a lungo. Negli anni ‘90, una sanguinosaguerra civile cancella la Jugoslavia dalle carte geografiche.

www.ovo.com• In quali anni e per quanto tempo Tito governa la Jugoslavia?• Di quale partito era leader e fondatore?• Quale linea politica segue e che posizione prende rispetto alle due superpotenze?• Quale politica tiene nei confronti delle spinte autonomistiche delle diverse repubbliche che

compongono la Federazione?

La guerra in Jugoslavia

Primi anni 90. La Jugoslavia cessa di esistere. Si scatena una guerra sanguinosa.Al termine della seconda guerra mondiale, il partito comunista assume il potere in Jugoslavia. Il suoleader è Josip Broz, detto Tito.Il 29 novembre del 1945, per iniziativa di Tito, nasce la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia.La federazione è formata da sei stati: Serbia con Kosovo e Vojvodina, Croazia, Bosnia, Montenegro, Slovenia, Macedonia. La Serbia, il paese più grande, è il punto di riferimento dell’intera federazione. Tito dominerà il paese con un ferreo regime, fino alla morte, avvenuta il 4 maggio del 1980.Con la morte di Tito il regime comunista jugoslavo entra in crisi, e le varie nazionalità jugoslave cominciano ad avanzare richieste di indipendenza.La federazione infatti è abitata da diverse etnie.

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In Jugoslavia si parlano tre lingue (sloveno, serbo-croato e macedone), si professano tre religioni (cattolica, ortodossa, islamica) e si adoperano due alfabeti (latino e cirillico per il serbo e il macedone).Nell’aprile 1990 la Slovenia tiene libere elezioni, seguita immediatamente dalla Croazia. Il 25 giugno 1991 i due stati proclamano la loro indipendenza. L’esercito jugoslavo, composto soprattutto da Serbi, interviene per impedire la secessione. È la guerra. In Slovenia dura pochissimo; appena dieci giorni. Appoggiata dalla Germania, la Slovenia dimostra una straordinaria compattezza, e alla federazione jugoslava non resta che trattare.In Croazia invece, i serbi sono molto più numerosi e il conflitto è più violento.È solo grazie alle pressioni internazionali che, l’esercito jugoslavo, vittorioso sul campo, è costretto a ritirarsi nel gennaio del ’92. L’Unione Europea riconosce la nascita dello stato indipendente di Croazia il 15 gennaio del 1992.Ma la guerra non si ferma. Malgrado il cessate il fuoco, i Croati cercano di recuperare alcuni territori rimasti in mano serba.Nello stesso anno scoppia la guerra anche in Bosnia. Il piccolo Paese è abitato da tre etnie: Bosniaci, Serbi e Croati.Lo scontro è violentissimo. I Serbi cingono d’assedio per 43 mesi la capitale della Bosnia, Sarajevo.Solo a seguito delle mediazione dell’ONU, si riesce a raggiungere un’intesa di pace con gli accordi di Dayton nell’Ohio, il 21 novembre del 1995.Vengono confermate le vecchie frontiere degli stati della Repubblica Jugoslava e viene prevista la creazione di due entità statali all’interno della Bosnia: la federazione di Bosnia Erzegovina e la Repubblica Serba.Gli accordi di Dayton dissolvono di fatto la Jugoslavia, ma non riescono a interrompere la scia delleviolenze. Di lì a poco, anche i rimanenti stati jugoslavi, il Kosovo in particolare, decideranno di rendersi indipendenti, provocando l’intervento militare della Serbia e un nuovo sanguinoso conflitto.

www.ovo.com• Quali sono gli stati che formano la Federazione Jugoslava?• Quando nasce la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia e fino a quando esiste come

entità politica?• Qual è la capitale della Federazione?• Quale paese ha un ruolo preminente all'interno della Federazione?• Quali lingue si parlano in Jugoslavia?• Quali sono le religioni maggiormente praticate?• Quali sono le principali lingue?• Quali sono le principali etnie?• Per quali ragioni scoppia la guerra in Jugoslavia e come si risolve nelle diverse regioni che

compongono il paese? Dove è più cruenta e dove meno e perché?• Che ruolo svolge l'ONU nel conflitto?• Che cosa sono gli accordi di Dayton?• Che cosa sono il Kosovo e la Vojvodina?

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La Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (in rosso) e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (in azzurro)

• Quale situazione etnico-politica viene messa in luce dalla carta tematica sopra riportata?• Che cosa rappresentano le aree colorate di rosso? E quelle in blu?• Quale entità politico-statuale formano le due entità statuali sopra evidenziate?• Perché si è resa necessaria tale bipartizione?

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Il mosaico etnico-religioso della Jugoslavia

• Quali sono le più importanti etnie della ex Jugoslavia stando alla carta tematica sopra riportata?

• Come sono distribuite?• Quali sono le aree più omogenee e quelle più eterogenee?• Quali sono le principali etnie della Serbia? E della Bosnia – Erzegovina? E della Croazia?• Dove è presente una significativa maggioranza albanese?• Dove è presente una minoranza italiana?• In quali aree è presente una maggioranza musulmana?• Quali due etnie insieme costituiscono la maggioranza della popolazione di tutta la ex

Jugoslavia?

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Cronaca di un massacro che nessuno vuol ricordare

Tutti noi sappiamo dov' eravamo l' 11 settembre 2001, quando arrivò la notizia dell' assalto alle Torri gemelle. Pochissimi ricordano dov' erano l' 11 luglio 1995, quando cadde Srebrenica e iniziò l'ultimo massacro del secolo. Fu il triplo dei morti rispetto a New York, ma quasi nessuno se ne accorse. Non c' erano immagini, in quei giorni, in tv. Srebrenica, che roba era? Un buco tra le montagne dal nome impronunciabile. L' Europa era al mare, la Bosnia non faceva notizia, la guerra stava finendo. E poi, a che pro sapere? Eravamo complici. L' Europa, le Nazioni Unite, la Nato. Avevamo lasciato che il massacro avvenisse. Dieci anni dopo, sappiamo. I criminali al tribunale dell' Aja hanno parlato. Sappiamo che migliaia di musulmani bosniaci (musulmani solo per l' anagrafe, va ripetuto, in Jugoslavia il fattore religioso era secondario) erano fuggiti a Srebrenica fin dal ' 92, all' inizio delle ostilità, perché l' Onu l' aveva dichiarata zona protetta. Fuggiti, dunque, per salvarsi la pelle. Invece, Srebrenica è diventata la loro trappola. Un lager sovraffollato di denutrizione e isolamento. Un filmato ci inchioda alla nostra vergogna. Il generale francese Philip Morillon, capo dei Caschi Blu, dice agli abitanti: «Tranquilli, sarete protetti», e quando questi gli

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6. Il massacro di Srebrenica

offrono il loro pane miserabile fatto di corteccia di nocciolo, decide di fingere ancora. «Salubre», gongola, «ottimo per la digestione». E difatti li tradisce. Sequestra loro le poche armi di autodifesa, e non fa lo stesso con gli assedianti, infinitamente più equipaggiati. La cronaca di una morte annunciata inizia allora. Tre anni di solitudine cosmica, di impotenza, consumati in una valle tetra, fatta apposta per impazzire. Li racconta Emir Suljagic nel libro Cartolina dalla tomba appena uscito a Sarajevo e di prossima apparizione in Italia con l' editore Scheiwiller. «La gente», scrive, «aveva scelto quel luogo per sopravvivere, e questo rende la loro morte più terrificante». Suljagic si salva per caso. Viene risparmiato perché il generale Ratko Mladic, latitante, accusato numero uno per il massacro, l' ha voluto come interprete d' inglese. La guerra è «mors tua vita mea». A Srebrenica nonè guerra. Uno dei contendenti sa di essere stato venduto in anticipo. I Caschi Blu olandesi di stanza in paese stanno a guardare. Quando possono, si godono le donne dei vinti, i musulmani. E fanno baldoria con i vincenti, i serbi, dei simpaticoni. E appena - a fine estate del ' 94 - questi ultimi cominciano a premere sulla città, loro calano le brache. Chiedono allo stato maggiore Onu un bombardamento dissuasivo sugli assedianti, ma non ottengono nulla. Le Nazioni Unite hanno già perso l' onore. Quando l' 11 luglio ' 95 le truppe di Mladic occupano l' enclave, la gente terrorizzata si riversa nella sede dei Caschi blu. «Difendeteci», implorano, «voi ci avete preso le armi, dunque voi ci difendete ora». Ma i soldati Onu non fanno nulla. Piangono lacrime di coccodrillo, dichiaranola loro impotenza. Non hanno l' autorizzazione a sparare. E il panico si diffonde. Mladic convoca in un albergo due ufficiali Onu. Per intimidirli, fa sgozzare un maiale nel cortile appena fuori la sala, sbatte sul tavolo l' insegna spezzata del Comune di Srebrenica e intima: «Adesso farete quello che dico io, non me ne frega niente dei vostri capi». Spadroneggia, è abituato all' impunità. La ottiene ancora, gli alti comandi Onu sono paralizzati, non mettono mano alle armi nemmeno allora. Ha tutto ciò che vuole: la consegna dei maschi validi, persino la benzina per evacuarli. Il resto è l' indicibile, l' inimmaginabile, disperso in brandelli di sequenze, articoli, intercettazioni, testimonianze, filmati amatoriali. 11 luglio, Potocari, periferia di Srebrenica. La gente è ammassata attorno alla sede dell' Onu. Arrivano soldati serbi con pastori tedeschi, prelevano uomini. La sera la gente comincia a urlare, tutti si alzano in piedi, chiedono che succede. Altri uomini sono portati via, a volte arriva uno sparo, poi silenzio, poi altre grida. Così per tutta la notte. Alcune donne impazziscono dalla paura, corre voce che qualcuna si sia impiccata. 12 luglio, località imprecisata. Un video mostra sei bosniaci che scendono da un camion e tremano di terrore. Quelli in divisa non sono soldati ma poliziotti serbi giunti da Belgrado. Corpo d' élite, detti Skorpions. «Guarda, questo s' è cagato addosso», ridono di un condannato. Si sente la voce dell'operatore che dice agli agenti di spicciarsi perché ha poca batteria. Poi, la raffica sulla schiena di un ragazzo, e un pope di nome Gavrilo che benedice. Non i morituri ma gli assassini. Altre testimonianze, raccolte da Andrea Rossini dell'Osservatorio del Balcani, il miglior portale d' informazione sul Sudest Europa. 13 luglio, frazione di Kravica. Mille, forse millecinquecento civili sono ammassati in un magazzino e fucilati. Il generale Borovcanin telefona al generale Krstic, brontola che ci sono «altri 3500 pacchi da distribuire» e che servono altri trenta soldati. L' altro protesta che non li ha, manda i colleghi a farsi fottere. Ma il primo insiste. Dice «pacchi», ma intende uomini. E «distribuire» significa ovviamente «liquidare». 15 luglio, un prato sulle sponde della Drina. Prigionieri maschi ammassati, costretti a sdraiarsi per terra e gridare «Viva il re». Vengono scherniti: «Non avrete la cena, tanto non ne avrete bisogno». Poi, il trasferimento in un' aula piena di gente. Racconta un sopravvissuto,

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creduto morto dopo la fucilazione: «Eravamo assetati e coperti di piscio, qualcuno ha tentato di aprire la finestra ma una guardia ha aperto il fuoco e fatto sei feriti». I prigionieri sono denudati, ammanettati, caricati su camion, portati via. 16 luglio, Zvornik, zona serba. Il plotone di esecuzione deve liquidare oltre mille uomini. Usa una mitragliatrice, che però mutila i prigionieri senza ucciderli, e obbliga i soldati a giustiziare la gente con colpi singoli. Nessuno viene risparmiato. Poi tocca ad altri settecento uomini, chiusi in un cinema. Il plotone è esausto, qualcuno chiede di essere sostituito. Si sentono le raffiche in città, ma la gente fa finta di nulla. Dei fatti di luglio sappiamo tutto, ormai. Da qualche settimana anche in Serbia si fanno i conti con la verità. Ma l' informazione sul «come» non aiuta a capire il perché di quel tradimento. La pace di Dayton, ibernando la Bosnia al 1995, non ha risolto nessuno dei nodi politici di allora. Perché la Nato non è intervenuta? Perché le Nazioni Unite sono scomparse? A che serve questo anniversario se, di fronte all'Iraq e all'Afghanistan, i Balcani scompaiono dalle agende della politica? Che futuro immaginiamo per queste terre dietro casa? Irfranka Pasagic, psichiatra, premio Langer 2005, è tornata a lavorare nella sua città per curare i traumi della gente. «A Srebrenica», ne è certa, «la cappa di orrore permane» C'è chi vive accanto all'assassino dei suoi figli, chi lo incontra ogni giorno per strada. I criminali sono in circolazione, hanno cariche pubbliche, si sono sfacciatamente arricchiti. E i giovani vanno «in scuole sporche di sangue, in palestre che hanno conosciuto esecuzioni». «La città continua a morire», racconta Roberta Biaggiarelli, che lavora a un documentario sull'evento. «La vita è nera come la terra che copre mio figlio» le ha detto una madre dimenticata in un campo profughi. E mentre nelle camere mortuarie di Tuzla e Visoko ancora si accumulano candidi sacchi pieni di ossa senza nome, i banditi smascherati già schierano i morti serbi in un contro-monumento, una gigantesca croce ai Caduti. A troppi fa comodo che non si sappia la verità su Srebrenica.

PAOLO RUMIZ2, 09 luglio 2005

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La guerra in Bosnia

Srebrenica, «L’Olanda responsabile della morte di 300 musulmani»Un tribunale riconosce che i caschi blu olandesi nel 1995 non protessero le persone in fuga dalla violenza delle truppe serbo-bosniache. Nella strage morirono in oltre 8 mila

di Angela Geraci

I caschi blu olandesi non fecero nulla per fermare il massacro di 8.372 musulmani a Srebrenica. Eppure quelle persone in fuga dalla furia della guerra e dalla morte erano affidate a loro: Srebrenica era una enclave protetta dalle Nazioni Unite nell’estate del 1995. E così, mentre le truppe serbo bosniache guidate dal generale Radko Mladic rastrellavano uomini, anziani, bambini e adolescenti per massacrarli e gettarli in fosse comuni, gli olandesi girarono la faccia dall’altra parte. La strage

2Paolo Rumiz (Trieste, 20 dicembre 1947) è un giornalista e scrittore italiano.Inviato speciale del Piccolo di Trieste e in seguito editorialista di la Repubblica, segue dal 1986 gli eventi dell'area

balcanica e danubiana; durante la dissoluzione della Jugoslavia segue in prima linea il conflitto prima in Croazia esuccessivamente in Bosnia ed Erzegovina. (www.wikipedia.org)

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fu portata avanti con ferocia organizzata dal 6 al 25 luglio di diciannove anni fa. Oggi un tribunale dell’Aja ha riconosciuto l’Olanda civilmente responsabile per la morte di alcune centinaia di musulmani. Per il giudice Larissa Alwin «lo Stato è responsabile della perdita subita dai familiari dei deportati dai serbi di Bosnia dal Dutchbat (il nome del battaglione olandese dell’Onu) a Potocarinel pomeriggio del 13 luglio 1995». Agli olandesi viene quindi imputata ufficialmente e chiaramente la mancata protezione di trecento musulmani mentre vengono invece «sollevati» dalla responsabilità per la stragrande maggioranza delle morti. I parenti delle vittime avevano intentato una causa contro i «peacekepers» dei Paesi Bassi ma solo poche famiglie saranno risarcite. La somma non è stata ancora resa nota dal giudice.

Tre anni di assedio, decine di fosse comuni

La strage di Srebrenica è considerata il peggior crimine di guerra commesso in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale ed è classificata dalla giustizia internazionale come un genocidio. I tre anni di assedio all’area dichiarata zona protetta dall’Onu nel 1993, sono raccontati nel libro «Cartolina dalla fossa- Diario di Srebrenica» scritto da Emir Suljagic, scampato alla morte perché era impegnato come interprete all’interno del comando delle Nazioni Unite. La terra di Srebrenica continua a restituire, anno dopo anno, quello che rimane dei corpi straziati dei bosniaci musulmani recuperati da decine di fosse comuni e identificati. Quest’anno sono stati 175 i resti a cui sono stati dati un nome e un cognome: salgono così a 6.066 le vittime identificate. E restano disperse ancora 2.306 persone.

Il ricordo a Potocari e le ultime vittime identificate

Come ogni anno, l’11 luglio, migliaia di persone si sono riunite al Potocari Memorial Center, ad alcuni chilometri da Srebrenica, per assistere alla tumulazione degli ultimi corpi (o meglio, dei resti)identificati da un team di esperti che lavora senza sosta dal 2003. Quest’anno, davanti a 20 mila bosniaci, sono stati seppelliti anche 13 minorenni: il più giovane è il 14enne Senad Beganovic, sepolto accanto al padre Ramo, e le cui ossa sono state ritrovate in quattro diverse fosse comuni;il più anziano è Hurem Begovic, ucciso a 79 anni. Per volere dei familiari, non ci sono stati discorsi ufficiali dei politici, solo i funerali officiati dal capo della comunità islamica Husein Kavazovic e unbreve intervento del sindaco di Srebrenica Camil Durakovic che si è detto «triste» perché c’è più sostegno nel conservare la memoria dell’eccidio all’estero che nella stessa Bosnia, specie nella Republika Srpska (Rs, l’entità a maggioranza serba di Bosnia) di cui oggi fa parte Srebrenica. Moltipolitici serbo-bosniaci, come il presidente della Rs Milorad Dodik, cercano di mettere tuttora in dubbio che l’episodio sia stato una forma di genocidio.

I poster a sostegno di Mladic

Ma la violenza e l’odio scorrono ancora vivi anche tra qualche serbo: poster di sostegno all’ex generale dell’esercito serbo-bosniaco Ratko Mladic sono apparsi l’11 luglio a Belgrado, proprio il giorno del diciannovesimo anniversario del massacro. Su alcuni manifesti con le immagini di Mladic era scritto: «Generale, grazie per Srebrenica». I poster sono apparsi nel centro della città, sulla strada pedonale Knez Mihailova, nelle stazioni degli autobus e in alcuni sottopassaggi. Mladic,arrestato il 26 maggio del 2011 dopo 16 anni di latitanza, è attualmente sotto processo all’Aja per il massacro di Srebrenica. Quella mattina, prima di cominciare le trattative con i caschi blu e dare

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inizio alla strage dei musulmani maschi, il generale chiamò gli ufficiali Onu sotto un albero a cui era appeso un maiale e ordinò ai suoi di sgozzare la bestia davanti ai loro occhi. Un chiaro avvertimento di quello che sarebbe capitato di lì a poco.

16 luglio 2014 | 12:36www.corriere.it

• Dove si trova Srebrenica?• Da quali forze era controllato il territorio della Bosnia – Erzegovina nel 1994? E la città di

Srebrenica?• Che cosa accadde nel luglio del 1995? • Quale ruolo ebbe l'ONU nella vicenda di Srebrenica?• Perché nel 2014 è stata emessa una sentenza di condanna nei confronti dei caschi blu

olandesi?• Perché la strage di Srebrenica è stata classificata come genocidio?• Chi è il generale Ratko Mladic? • In quale condizione si trova attualmente?• Che cosa è il Memoriale di Potocari?

17 febbraio 2008. Il governo del Kosovo dichiara l'indipendenza dalla Serbia. È l'ultimo capitolo di un aspro confronto in atto da decenni.Il Kosovo è una piccola regione della penisola balcanica. Appartiene storicamente al territorio della Serbia, ma è abitato in prevalenza da popolazione di etnia albanese. Per gran parte del Novecento, fa parte della Jugoslavia, repubblica federale di stampo socialista che riunisce sei Stati balcanici, e in cui la Serbia ha un ruolo di primo piano. Nel tempo, si scontrano sempre più la volontà indipendentista dei kosovari albanesi e la fermezza dei serbi nel considerare ilKosovo una parte irrinunciabile del proprio Stato.Negli anni 80, le tensioni si acuiscono.Nel 1989, il nuovo Presidente della Serbia, il nazionalista Slobodan Milošević, adotta una politica intransigente. Revoca l'autonomia alla provincia del Kosovo, elimina la parità linguistica tra albanese e serbo e fa chiudere le istituzioni autonome albanesi. I kosovari rispondono con un movimento non violento di protesta.Nei primi anni 90, in seguito a una sanguinosa guerra civile, la Jugoslavia cessa di esistere. Nascono diverse repubbliche autonome, tra le quali una nuova Repubblica Federale di Jugoslavia, che comprende Serbia e Montenegro, e di cui fa parte anche il Kosovo.Di fronte al rifiuto di Milošević di concedere qualsiasi forma di autonomia, i kosovari albanesi si organizzano militarmente. Nel 1996 nasce l'UÇK, l'esercito di liberazione del Kosovo, che inizia a colpire obiettivi serbi. La risposta di Milošević è dura: migliaia di kosovari albanesi vengono torturati, stuprati o uccisi, molti altri sono costretti a un vero e proprio esodo verso gli stati confinanti.Temendo fenomeni di pulizia etnica a danno dei kosovari albanesi, la comunità internazionale impone a Milosevic di porre fine alle persecuzioni. Nel corso del 1999, l'ONU cerca di portare serbie kosovari a un accordo, ma senza successo.Le potenze occidentali decidono allora di intervenire: il 24 marzo 1999 una forza multinazionale (NATO) dà inizio alla cosiddetta “guerra umanitaria”, definita in questo modo perché combattuta per difendere i kosovari albanesi. Per 77 giorni, il territorio serbo è sottoposto a continui

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7. La guerra in Kosovo(1996-1999)

bombardamenti, che colpiscono anche la capitale Belgrado.Il 10 giugno, la Serbia raggiunge un accordo con la comunità internazionale. Il Kosovo viene posto sotto il controllo dell'ONU. Le vittime della guerra sono migliaia. La situazione non è però stabile: i serbi del Kosovo fuggono dalla zona per il timore di rappresaglie,e negli anni la tensione tra i due gruppi etnici non accenna a diminuire.Il 17 febbraio 2008, il governo del Kosovo proclama unilateralmente l'indipendenza. Il nuovo Stato è riconosciuto da numerosi Paesi europei e dagli USA, ma non dalla Serbia

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• Dove si trova il Kosovo?• Di quale stato faceva parte fino al 2008?• Qual è l'etnia maggioritaria in Kosovo?• E quella più importante tra le minoritarie?• Qual è la capitale del Kosovo?• In quale situazione anomala si trova la città di Mitrovica?• Quale politica viene adottata dalla Serbia nei confronti del Kosovo alla fine degli anni '80?• Che cosa è l'UCK?• Chi è Milošević?• Quale ruolo svolge l'ONU durante il conflitto e dopo la sua conclusione?• E la NATO?• Quanto dura la fase del conflitto con intervento NATO?• Quando il Kosovo proclama la propria indipendenza?• É riconosciuto da tutta la comunità internazionale?

GLI ULTRA-NAZIONALISMI NEGLI STADI DI CALCIO

a) Ottobre 2010, Stadio Marassi di Genova, Italia – SerbiaI tatuaggi di Ivan Bogdanov

1389: la battaglia della Piana dei MerliSul piano di Kosovo avvenne, il 15 giugno 1389, una battaglia fra le truppe turche del sultano Murad I, [...] e la confederazione cristiana composta di Serbi sotto il vecchio re Lazzaro, di Bosniaci con Vladko Vuković, di Croati e di alcuni capi albanesi. […] La battaglia, subito dopo impegnata, segnò il tracollo delle forze cristiane: il re Lazzaro, che aveva tenuto il centro dell'esercito alleato, fu fatto prigioniero e ucciso sopra il cadavere di Murad; la stessa sorte ebbero un gran numero di signori cristiani. La battaglia di Kosovo segnò la fine dell'indipendenza dei regni slavi nei Balcani: il nuovo re di Serbia, Stefano Lazarević, divenne tributario del sultano; lo stesso fece Vuk Branković, signore di Pristina.

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b) Ottobre 2014, Belgrado, Serbia-Albania

Il DRONE E LA «GRANDE ALBANIA»

Le violenze sono state innescate al 41mo delprimo tempo dal drone che ha sorvolato lo stadiodel Partizan con una bandiera nazionalista dellaGrande Albania, durante la sentitissima partita diqualificazioni a Euro 2016. È stato il fiammiferoche ha acceso la polveriera, anche perché ladolorosa perdita del Kosovo è una spina nelfianco per i nazionalisti serbi. Il difensore serboStevan Mitrovic ha ha strappato la bandiera daifili che la legavano al drone e i giocatori albanesi lo hanno aggredito, scatenando una rissa a cui hanno partecipato alcuni tifosi scesi in campo. Tra qusti ultimi anche Ivan Bogdanov «Il terribile», già noto per i disordini seguiti alla partita Italia-Serbia giocata a Genova nel 2010. L’arbitro inglese Martin Atkinson ha interrotto subito il match. Sembra che gli albanesi presenti allo stadio provenissero in larga parte dal Kosovo, una parola che in Serbia evoca sentimenti di forte orgoglio nazionalistico. Belgrado non riconosce l’indipendenza proclamata da Pristina il 17 febbraio 2008, cosa questa che ha ulteriormente raffreddato le relazioni già tese con Tirana. La popolazione del Kosovo è per oltre il 90% di etnia albanese. A ciò si aggiungono i timori della Serbia per il progetto presunto di una “Grande Albania”, che raggruppi le comunità albanesi oltre che dell’Albania anche di Kosovo, Montenegro e Macedonia.

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per i dettagli vedi http://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2014/10/15/news/calcio_serbia-albania_rissa_e_stop_dal_cielo_piove_drone_con_bandiera_e_scritta_kosovo_libero_-98131310/

• Che cosa ricorda la data del 1389 nella storia della Serbia?• Perché è considerata una data importante dai nazionalisti serbi?• Che significato può oggi farne uno dei simboli della loro propaganda?• Perché la questione del Kosovo è una “spina nel fianco” per i nazionalisti serbi?• Perché la bandiera del Kosovo sul campo da calcio di Blegrado è stata considerata una

provocazione ed ha suscitato reazioni violente?

8. La fine dell'apartheid(Atlante pagg. 36-37)

• PUNTI CHIAVE◦ le presenze europee in Sudafrica: gli Olandesi (primo scalo commerciale olandese nel

1652) e gli Inglesi (fine XVIII secolo)◦ l'africaans, lingua dei Boeri (coloni europei, soprattutto olandesi ma non soltanto)◦ XIX – XX secolo: guerre anglo-boere, con vittoria degli Inglesi◦ 1910: nasce l'Unione Sudafricana, dominion all'interno del Commonwealth britannico

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◦ le due etnie più importanti: Zulu e Xhosa ◦ 1912: nasce il partito che si chiamerà African National Congress (ANC)◦ 1914: nasce il National Party, che rappresenta gli Afrikaneers◦ 1948: inizia il regime dell'apartheid◦ 1973: l'ONU dichiara che l'apartheid è un crimine contro l'umanità con una convenzione

votata dall'assemblea generale◦ 3 capitali

▪ Pretoria (funzione governativa)▪ Città del Capo (funzione parlamentare)▪ Bloemfontein (funzione giudiziaria)

◦ l'attuale presidente del Sudafrica è Jacob Zuma, di etnia zulu, presidente dell'ANC

Nome ufficiale: Repubblica del Sudafrica

Superficie: 1.219.090 km2

Capitale: PretoriaLingue: 11 ufficiali: isiZulu (22,7%), isiXhosa (16%), afrikaans (13,5%), inglese (9,6%), sePedi (9,1%), seTswana (8%), seSotho (7,6%), xi-Tsonga (4,5%), altre [isiNdebele, siSwati, tshiVenda] (7,2%)Sistema politico: repubblica parlamentareIndipendenza: 31 maggio 1910: Unione Sudafricana; 31 maggio 1961: repubblica; 27 aprile 1994: governo della maggioranza nera (Giorno della libertà)Capo dello stato e del governo: Jacob Zuma (dal 9 maggio 2009)Religioni: cristiani (79,7%) [chiesa di Zion (11,1%), pentecostali/carismatici 8,2%), cattolici (7,1%); metodisti (6,8%), riformati olandesi (6,7%), anglicani (3,8%), chiese indipendenti e altri (36%)], religioni tradizionali africane (17,5%), musulmani (1,5%), induisti (1,3%)

Popolazione

Abitanti: 48.375.650 (stime 2014)Gruppi etnici: africani (79,2% – zulu, xhosa, pedi, sotho, tswana, tsonga, swazi, ndebele, venda...),bianchi di origine europea (8,9%), discendenti di bianchi, schiavi e khoisan (colored) (8,9%), asiatici (2,5%), altri (0,5%)Crescita demografica annua: -0,48% (stime 2014)Tasso di fertilità: 2,23 figli per donna (2014)Popolazione urbana: 62%Mortalità infantile (sotto i 5 anni): 45/1.000Speranza di vita: 56,9 anniAnalfabetismo (sopra i 15 anni): 7%Prevalenza Hiv: tra il 16 e il 22%Accesso a servizi sanitari adeguati: 74,4%Accesso all’acqua potabile: 95,1%

Economia

23% della popolazione vive sotto la soglia di povertà

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Indice di sviluppo umano: 0,658 (118° su 187 paesi)Prodotto interno lordo: 353,9 miliardi di dollari (595,7 miliardi a parità di potere d’acquisto nel 2013)Pil pro capite annuo: 7.315 dollari (11.500 a parità di potere d’acquisto nel 2013)Crescita economica: 2% (2013)Inflazione: 5,8% (2013)Disoccupazione: 24,9% (nel 2013; tra i giovani di 15-24 anni: 51,5%)Risorse naturali: oro, cromo, antimonio, carbone, minerali di ferro, manganese, nichel, fosfati, stagno, uranio, terre rare, diamanti (industriali e gemme), platino, rame, vanadio, sale, gas naturale; viti; turismoProdotti agricoli: mais, frumento, canna da zucchero, frutta, verdure; bestiame, pollame, ovini; lana, latticiniEsportazioni: oro, diamanti, platino, altri metalli e minerali; macchinari e attrezzature, armi (91 miliardi di dollari nel 2013)Importazioni: macchinari e attrezzature, prodotti chimici e petroliferi, apparecchiature scientifiche,cibo (99,55 miliardi di dollari nel 2013)Debito estero: 139 miliardi di dollari (fine 2013)

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L’apartheid è una politica di discriminazione razziale, adottata in Sudafrica dalla popolazione bianca a danno dei neri, nel periodo che va dal 1948 al 1994.Dopo secoli di colonizzazione da parte di diverse potenze europee, nel ‘900 il Sudafrica è un Paese indipendente, abitato da diverse etnie. I numerosi gruppi etnici di neri indigeni costituiscono oltre il 70% della popolazione. I bianchi di origine europea, che detengono il potere, sono invece il 15%. Il resto della popolazione è composto da asiatici e dai cosiddetti coloured, individui di sangue misto.La dottrina dell’apartheid, termine che significa separazione, viene elaborata negli anni 40. A promuoverla è il National Party, che rappresenta gli afrikaaners, i bianchi discendenti dai coloni olandesi giunti qui a partire dal XVII secolo. La teoria politica dell’apartheid sostiene che le razze che coabitano un territorio debbano vivere separate le une dalle altre. Secondo i suoi promotori, l’apartheid permette a ogni gruppo etnico di vivere in autonomia e armonia con le proprie tradizioni: di fatto però, legittima la discriminazione razziale.Nel 1948 il National Party vince le elezioni, e adotta l’apartheid come politica ufficiale dello Stato. Da questo momento, i neri non possono utilizzare gli stessi mezzi pubblici dei bianchi, o frequentare le stesse scuole. Percepiscono salari molto più bassi e sono privati del diritto di voto.Nascono inoltre i bantustan, territori in cui vengono costretti a vivere i gruppi etnici neri. I bantustan sono Stati con un'amministrazione autonoma dal Sudafrica: in questo modo, chi vi abita perde la cittadinanza sudafricana. Le terre dei bantustan sono aride e povere, e i neri devono quindi andare a lavorare nei territori sudafricani controllati dai bianchi: qui però sono considerati stranieri e non godono di alcun diritto civile.L’unica opposizione all’apartheid viene dal partito dei neri sudafricani, l’ANC (African National Congress), che dagli anni 50 protesta attraverso scioperi e boicottaggi. Il governo reagisce arrestando i contestatori. Nel 1964 il leader dell’ANC Nelson Mandela viene condannato

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all’ergastolo.Negli anni 80, l’apartheid si fa sempre più opprimente. Per ottenerne l'abolizione, l'ONU impone al governo sudafricano pesanti sanzioni, che strozzano l’economia del Paese.Nel 1990 il presidente Frederik de Klerk si vede costretto ad avviare il processo di abolizione delle leggi razziali, e a dialogare con l'ANC. Mandela viene scarcerato, e torna a essere un protagonista della politica sudafricana.Nel 1993 Mandela e de Klerk sono premiati con il Nobel per la pace.Alle elezioni del 1994 i neri sono riammessi al voto, e l’ANC conquista una vittoria schiacciante. Mandela sconfigge lo stesso de Klerk, e diventa il primo presidente nero del Sudafrica.

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NELSON MANDELANelson Rolihlahla Mandela, leader della lotta contro l’apartheid, è il primo Presidente nero nella storia del Sudafrica. Nasce il 18 luglio 1918 a Mvezo, un villaggio del Sudafrica orientale. La popolazione sudafricana è composta da una maggioranza di neri, cioè gli abitanti originali del Paese, e una minoranza di bianchi, che discendono dai colonizzatori europei. Quasi tutto il potere economico e politico è in mano alla minoranza bianca. A 25 anni Mandela si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, in una delle poche università sudafricane aperte ai neri. Durante gli studi entra a farparte dell’African National Congress, un movimento che si batte contro le discriminazioni razziali.Dopo la laurea, Mandela è il primo nero ad aprire uno studio legale in Sudafrica. In Sudafrica i neri non hanno il diritto di voto. Perciò, alle elezioni del 1948, non ha difficoltà a imporsi il National Party: un’organizzazione che difende la supremazia bianca. Poco tempo dopo entra in vigore una politica razziale chiamata apartheid: in afrikaneer, la lingua dei bianchi sudafricani, separazione. L’apartheid divide ufficialmente il Sudafrica in zone riservate ai neri e zone riservate ai bianchi. I diritti e le libertà dei neri vengono ulteriormente limitati. Mandela organizza scioperi e manifestazioni contro l’apartheid. Il 5 aprile 1956 viene arrestato. Verrà assolto 5 anni dopo, in seguito a un lungo processoIl 21 marzo 1960, nella città sudafricana di Sharpeville, la polizia apre il fuoco su una folla di manifestanti neri, facendo 69 vittime. Mandela capisce che in Sudafrica non c’è spazio per la protesta civile. Nel 1961 fonda un gruppo militare clandestino chiamato Umkhonto we Sizwe. In lingua zulu, cioè il linguaggio dei neri sudafricani, significa Lancia della Nazione. Il gruppo di Mandela compie assalti e sabotaggi ai danni di varie strutture governative. Nel 1962, le autorità sudafricane arrestano di nuovo Mandela. Accusato di cospirazione, verrà condannato all’ergastolo. La sua vicenda colpisce l’opinione pubblica mondiale. Molti Paesi cominciano a protestare ufficialmente contro la situazione del Sudafrica. Ma solo alla fine degli anni ’80 le leggi dell’apartheid iniziano ad essere abolite. L’11 febbraio 1990 Mandela viene liberato dopo 27 anni di carcere. Nel 1993 Mandela riceve il premio Nobel per la pace. L’anno successivo, in Sudafrica, si tengono leprime elezioni libere dopo la fine dell’apartheid. Mandela viene eletto Presidente.Nel 2004 Nelson Mandela si ritira a vita privata.La sua esperienza umana e politica ha cambiato il volto di un Paese.

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- L'esperienza degli Artists United Against Apartheid: https://www.youtube.com/watch?v=TlMdYpnVOGQ

• Che cosa significa la parola apartheid e quale idea sostiene?• Quando entrò in vigore e per quanto tempo?• Che cosa prevedevano le leggi dell'apartheid?• Da quali gruppi etnici era composta la popolazione che abitava il Sudafrica quando

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entrarono in vigore le leggi dell'apartheid?• Quali furono le presenze ed i domini europei in Sudafrica a partire dal XVII secolo?• Chi sono gli Afrikaneers?• Quali erano i due partiti che si fronteggiavano nei primi decenni del Novecento?• Chi è l'attuale presidente del Sudafrica?• Che cosa erano i bantustan?• In che modo e quando l'ONU interviene per costringere il governo sudafricano a porre fine

all'apartheid?• Chi era Frederik de Klerk?• Chi fu il primo presidente del Sudafrica post – apartheid? Di quale partito era leader?• Che ruolo ebbe Nelson Mandela nella lotta contro l'apartheid?• Quali conseguenze dovette subire per la sua militanza anti-apartheid?

(Atlante pagg. 36-37)

RUANDA14° sec.: i tutsi arrivano nella regione, già abitata da twa (pigmei) e hutu (bantu). 17° sec. Il re tutsi Ruganzu Ndori sottomette il paese. Fine 1800: re Kigeri Rwabugiri crea uno stato unificato, militarmente centralizzato. 1858: l’esploratore britannico Hanning Speke è il primo europeo a visitare il territorio. 1890: Il territorio diventa parte dell’Africa Orientale Tedesca. 1916: le forze belghe occupano il paese. 1923: la Lega delle Nazioni affida al Belgio il mandato di governare il Rwanda-Urundi (indirettamente attraverso i re tutsi). 1946: il Rwanda-Urundi diventa un territorio fiduciario delle Nazioni Unite, governato dal Belgio. 1957: la maggioranza hutu pubblica un manifesto in cui chiede una più giusta ripartizione del potere (proporzionata alla consistenza numerica dei gruppi etnici); nasce il Partito del movimento di emancipazione hutu (Parmehutu).

1959: gli agricoltori hutu si ribellano contro la monarchia; Kigeri VI e decine di migliaia di tutsi fuggono in esilio. 1961: il Rwanda diventa repubblica. 1962: dopo una sanguinosa guerra civile, il Belgio abbandona il territorio; il Parmehutu (Partito del movimento di emancipazione hutu) vince leelezioni; 1° luglio: il Rwanda diventa indipendente, separandosi dal Burundi; Gregoire Kayibanda, un hutu, è eletto presidente; molti tutsi fuggono.

1963: nuova guerra civile; 20.000 tutsi sono uccisi e 160.000 espulsi dal paese. 1973, luglio: il col. Juvénal Habyarimana rovescia il governo di Kayibanda. 1978: nuova costituzione; Habyarimana è eletto presidente.

1988: 50.000 hutu burundesi si rifugiano in Rwanda per sfuggire a violenze etniche. 1990, ottobre: 600 militari del Fronte popolare del Rwanda (Fpr) invadono il paese dall’Uganda, ma sono respinti. 1991: promulgata la nuova costituzione che consente il multipartitismo. 1992, marzo: circa 300 tutsisono massacrati; altri 15.000 si rifugiano nella regione di Mugesera.

Genocidio 1993-94

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9. Il genocidio in Ruanda

4 agosto 1993: il presidente Juvénal Habyarimana, l’opposizione parlamentare e i guerriglieri tutsi del Fronte patriottico rwandese (Fpr) firmano ad Arusha (Tanzania) un accordo di pace che prevede la spartizione del potere in un governo provvisorio; dal 1990 l’Fpr, muovendo dall’Uganda, ha compiuto azioni militari in territorio rwandese; il regime di Habyarimana, espressione della maggioranza hutu ma non certo un esempio di democrazia, ha il sostegno della Francia.5 ottobre: nasce la Missione Onu in Rwanda (Minuar), con 2.500 uomini, operativi da metà dicembre.23 ottobre: Melchior Ndadaye, di etnia hutu, primo presidente burundese democraticamente eletto, è assassinato da ufficiali tutsi golpisti.28 dicembre: secondo quanto previsto dagli accordi di pace, un battaglione dell’Fpr (600 uomini) siinstalla a Kigali, a protezione dei propri uomini nel governo di transizione.1994, 5 gennaio: il presidente Habyarimana presta giuramento quale presidente del governo provvisorio a base allargata, che deve essere varato.21 febbraio: è assassinato a Kigali il ministro dei lavori pubblici e dirigente del Partito socialdemocratico (opposizione hutu); nella notte sono uccise 70 persone, tutsi o hutu pro-Fpr.6 aprile: l’aereo del presidente Habyarimana, di ritorno da un vertice regionale in Tanzania, è abbattuto da un missile poco prima dell’atterraggio all’aeroporto di Kigali; con lui viaggiava il presidente burundese Cyprien Ntaryamira.7 aprile: cominciano i massacri nella capitale (di Tutsi ed Hutu moderati da parte degli estremisti Hutu) ; sono uccisi, tra gli altri, la primo ministro Agathe Uwilingiyimana e dieci caschi blu belgi che tentano di proteggerla.9 aprile: Francia e Belgio intervengono per evacuare i propri connazionali.16 aprile: il Belgio, che ha sempre tenuto un atteggiamento filo-tutsi, ritira la proprie truppe (780 uomini) dalla Minuar.21 aprile: il Consiglio di sicurezza dell’Onu riduce a 270 gli effettivi della Minuar; il rappresentante speciale Onu in Rwanda, Jacques-Roger Booh, ha chiesto invano l’invio di una forzadi interposizione di almeno 5.000 uomini.12 maggio: l’Alto commissariato Onu per i diritti umani definisce “genocidio” le uccisioni in corso nel paese.4 luglio: i guerriglieri dell’Fpr conquistano Kigali.17 luglio: l’Fpr (partito dei Tutsi) di Paul Kagame ha il controllo del paese e dichiara “la fine della guerra”; le milizia hutu cercano scampo in Zaire (oggi Rd Conto), portandosi dietro 2 milioni di rifugiati hutu; le stime più prudenti ritengono che, in poco più di tre mesi, siano state uccise 500mila persone (in gran parte tutsi, ma anche hutu oppositori di Habyarimana); c’è anche chi parladi 800mila morti e chi si spinge fino al milione.

Nome ufficiale: Repubblica di Rwanda

Superficie: 26,338 km2

Capitale: KigaliLingue: kinyarwanda, inglese, francese, kiswahiliSistema politico: repubblica presidenzialeIndipendenza: 1° luglio 1962 (dal Belgio)

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Capo di stato: Paul Kagame (dal 22 aprile 2000)Primo ministro: Pierre Damien Habumuremyi (dal 7 ottobre 2011)Religioni: cattolici (58%), cristiani non cattolici (13%), musulmani (1%), religioni tradizionali (28%)

Popolazione

Abitanti: 12.012.000 (stime luglio 2013)Gruppi etnici: hutu (84%), tutsi (15%), pigmei twa (1%)Crescita demografica annua: 2,7% (2013)Tasso di fertilità: 4,71 figli per donnaPopolazione urbana: 19%Mortalità infantile (sotto i 5 anni): 91/1.000Speranza di vita: 58 anniAnalfabetismo (sopra i 15 anni): 29%Prevalenza Hiv: 2,9%Accesso a servizi sanitari adeguati: 55%Accesso all’acqua potabile: 65%

Economia

58,5% della popolazione vive sotto la soglia di povertàIndice di sviluppo umano: 0,434 (167° su 187 paesi)Prodotto interno lordo: 6,95 miliardi di dollari (114,91 miliardi a parità di potere d’acquisto nel 2012)Pil pro capite annuo: 578 dollari (1.400 a parità di potere d’acquisto)Crescita economica annua: 7,7% (2012)Inflazione: 8,5% (2012)Risorse naturali: oro, cassiterite, wolframite, metano, risorse idriche, terre arabiliProdotti agricoli: caffè, tè, piretro, banane, fagioli, sorgo, patate; bestiameEsportazioni: caffè, tè, pelli, minerali di stagno (358,1 milioni di dollari nel 2012)Importazioni: prodotti alimentari, macchinari, acciaio, prodotti petroliferi, cemento e materiali di costruzione (1,41 miliardi di dollari)Debito estero: 937,2 milioni di dollari (2012)

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ALCUNE OSSERVAZIONI DI CARATTERE STORICO

In Ruanda, a partire dal XVI secolo, si era costituito un regno dalla struttura molto centralizzata,basato su una rigida divisione di ruoli tra gli allevatori-guerrieri tutsi e i coltivatori hutu. Una terzaetnia, i pigmei twa, estremamente minoritaria, era relegata in una posizione di grande marginalità. Ilsovrano era un tutsi ed esercitava un potere effettivo su una classe di capi, anche loro della stessaetnia. […]Lingua, religione, tradizioni erano le stesse per gli hutu come per i tutsi. Senza grandi centriabitati, il Ruanda era un paese di agricoltori e allevatori, in cui l’unità amministrativa era la collina,non il villaggio. Il Nord era particolare: governato dagli hutu, per lungo tempo non vollesottomettersi alla struttura feudale del resto del paese, e ha sempre conservato un senso forte dellapropria diversità. [...]La stagione del colonialismo belga è quella che più ha influenzato i successivi sviluppi politicidel Ruanda e del Burundi. Inizialmente i belgi non sembrarono molto interessati allo sviluppo diquesti due piccoli regni, assorbiti come erano dall’amministrazione e dallo sfruttamentodell’enorme territorio congolese. Gli amministratori ritennero comunque utile mantenere la strutturapolitica esistente nei due paesi[...]. I belgi infatti non delegarono mai fino in fondo una parte delgoverno locale ai capi tradizionali: ogni provvedimento di questi ultimi doveva essere ratificatodall’amministrazione coloniale. L’aristocrazia locale tutsi poté comunque godere di un appoggionotevole per accrescere il proprio peso economico e politico, essendo stata scelta come perfettaalleata della struttura coloniale. I belgi iniziarono a studiare le due etnie da un punto di vista etnico-razziale, sulla scia delle concezioni scientifiche dell’epoca. Questi studi e teorie avranno, in seguito,un’enorme influenza sulle categorie mentali e politiche degli hutu e dei tutsi. Si fece largo l’idea che i tutsi fossero una popolazione con una distinta origine razziale daglihutu: questi ultimi vennero definiti di gruppo bantu, mentre i tutsi, agli occhi degli studiosi deltempo, erano di origine ben diversa. Si elaborò la teoria, da alcuni definita mitica, dell’originehamitica dei tutsi, secondo la quale questi sarebbero giunti in Ruanda e Burundi discendendo con leloro mandrie il corso del Nilo, probabilmente dall’Etiopia, e sottomettendo al loro arrivo lepopolazioni hutu di agricoltori. L’impossibilità di stabilire caratteristiche somatiche chiaramente

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distinte tra hutu e tutsi fu attribuita alla difficoltà di trovare elementi tutsi «non mescolati». Questeipotesi, quantomeno arbitrarie, vennero avallate da numerosi studiosi, che si affannarono a provarela «diversità» dei tutsi, sia razziale che culturale e comportamentale. I tutsi sono sempre più visticome «falsi negri». I tutsi sono quindi descritti dai colonizzatori come i capi naturali, con un grandetalento politico, abili nel nascondere il proprio pensiero, alteri, con un’educazione tesaall’acquisizione di un grande autocontrollo dei sentimenti. Viceversa gli hutu vengono dipinti comeuna popolazione naturalmente destinata a restare subordinata, agricoltori senza grandi ambizioni,sinceri e spontanei in modo infantile e facili al riso e alle esplosioni incontrollate. I pigmei twa,piccola minoranza, sono i più disprezzati.

Angelo Milanese, Hutu contro Tutsi: le radici del conflitto in Ruanda, in Limes – Rivista Italiana di Geopolitica, 3/97 (vedi http://temi.repubblica.it/limes)

Romeo Dallaire

generale che cercò invano di avvisare l'ONUdell'imminente genocidio in RwandaRomeo Dallaire nasce il 25 giugno 1946 a Denekamp, nei Paesi Bassi.La famiglia si trasferisce a Montreal dopo pochi mesi ed egli cresce inCanada, dove intraprende la carriera militare. Nel 1993 è comandantedel contingente Onu Unamir in Rwanda, dov’è “testimoneparticolarissimo”, secondo il giornalista Luciano Scalettari, “deglieventi relativi al genocidio ruandese del 1994”.Ha l’incarico infatti di sorvegliare e monitorare il processo di paceavviato con la trattativa e poi gli accordi di Arusha del 1993-1994.Tali accordi prevedevano la formazione di un governo di transizione incui convivessero il partito del Presidente Juvenal Habyarimana (al potere da oltre 20 anni) e il movimento ribelle del Fronte Patriottico Rwandese. Dallaire denuncia massicci acquisti illegali di armi da parte dei soldati regolari, dei miliziani Interahamwe e della popolazione civile, segnalando irischi di nuove violenze: i suoi rapporti rimarranno lettera morta.Gli accordi di Arusha vengono sottoscritti il 6 aprile 1994. Questa firma dovrebbe chiudere la guerra civile tra esercito e Fronte Patriottico Rwandese che prosegue dal 1990 e creare il governo di transizione. L’aereo su cui viaggia il Presidente Habyarimana viene però abbattuto proprio al ritorno dal vertice diplomatico.Dallaire, fin dal suo arrivo si era trovato a comandare i circa 2.700 caschi blu nel Paese. Allo scoppio della tragedia, l’Onu decide di ritirare gran parte del contingente, riducendolo a 300 militari. A questa scelta Dallaire si oppone: “Raddoppiatemi gli uomini a disposizione – scrive al comando Onu – e fermerò il genocidio”.I suoi appelli rimangono inascoltati e le vittime saranno tra 800 mila e un milione in soli cento giorni. La terribile esperienza di assistere impotente a questa tragedia lo porta a due tentativi di suicidio. Lasua depressione probabilmente nasce anche da alcune accuse riguardo alla sua condotta in Rwanda,

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alla scelta di non dimettersi quando viene ridotto il contingente Onu e a presunte mancate segnalazioni da parte sua sulla gravità della situazione del Paese nei mesi precedenti il genocidio. Tutte le accuse vengono però a cadere nel 2003, quando Dallaire pubblica il libro Ho stretto la mano al diavolo che ha ispirato un documentario l’anno successivo. Il testo ha fatto luce su molti punti rimasti oscuri delle sue scelte e dei suoi rapporti con l’Onu.In seguito Romeo Dallaire ha ricevuto molti riconoscimenti per il lavoro svolto in qualità di comandante della missione Unamir ed è stato eletto deputato al Parlamento canadese.A distanza di anni dagli eventi, l’ex generale è un testimone prezioso di quanto accaduto in Rwanda e contro tutti i genocidi. Dal 12 aprile 2011 a Romeo Dallaire sono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il Mondo di Milano.

« Nel Giardino vengono piantati ogni anno nuovi alberi per onorare gli uomini e le donne che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni, difeso i diritti umani ovunque fossero calpestati, salvaguardato la dignità dell’Uomo contro ogni forma di annientamento della sua identità libera e consapevole, testimoniato a favore della verità contro i reiterati tentativi di negare i crimini perpetrati »(Lo scopo del giardino nella spiegazione di Gariwo [Gardens of the Righteous Worldwide] la foresta dei Giusti)

http://www.gariwo.net/

• Quali popoli abitavano il Ruanda prima dell'arrivo degli Europei? Che forma di governoavevano? A quale etnia apparteneva la dinastia regnante?

• Quali potenze europee si avvicendarono in Ruanda?• In che modo gli Europei (in particolar modo i Belgi) giudicarono gli Hutu e i Tutsi? Quale

spiegazione diedero sull'origine dei Tutsi e perché? In che modo ciò ebbe delle ripercussionisulle vicende successive?

• Quando il Ruanda ottenne l'indipendenza?• Come è il rapporto tra Hutu e Tutsi nei decenni successivi all'indipendenza?• Qual è la situazione politica del paese all'inizio del 1994?• Qual è l'avvenimento che, almeno in apparenza, scatena una serie di massacri in tutto il

paese?• Chi sono le vittime del massacro del 1994?• Quali aspetti della vicenda hanno dimostrato che si è trattato di un'azione pianificata e non

di un evento improvviso e non prevedibile?• Che ruolo ha avuto l'ONU nell'intera vicenda?• Chi è il generale Dallaire?• Quali importanti informazioni ha fornito la sua testimonianza?

(Atlante pagg. 42-43)

NOTE STORICHE (vedi anche scheda pag. 247)

• 1979: l'Unione Sovietica invade l'Afghanistan • 1979-1989: gli Stati Uniti ed altri paesi (come Arabia Saudita ed Egitto) interessati a frenare

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10.La guerra in Afghanistan

l'avanzata sovietica, forniscono (non attraverso canali ufficiali) rifornimenti, armi e supportologistico ai guerriglieri afghani (i mujaheddin) che combattono in diverse formazioniparamilitari

• 1989: l'Unione Sovietica si ritira dall'Afghanistan; inizia la diaspora afghana (=dispersionedei mujaheddin su altri fronti di combattimento)

• all'inizio degli anni '90 l'Afghanistan si trova in una situazione di grave instabilità e diconflitti interni tra vari gruppi

• 1994: compare sulla scena il gruppo armato dei Talebani, letteralmente “studenti dellescuole coraniche”, formatisi ed addestrati prevalentemente in Pakistan, cheprogressivamente con azioni militari prendono possesso del paese

• 1996: i Talebani conquistano Kabul; viene proclamato lo stato islamico, regolato dalla sharia• 11 settembre 2001: attacco alle Twin Towers di New York• ultimi mesi del 2001: intervento militare guidato dagli USA in Afghanistan, dove si ritiene

che il governo dei Talebani offra aiuto e protezione all'organizzazione di Al-Quaeda ed alsuo leader Osama Bin Laden.

Racconta un'antica storia afghana che quando Dio creò la Terra decise anche dove piazzare i diversiPaesi: qui l'Italia, più su la Germania, per poi infilarci l'Austria e la Svizzera, o qualcosa di simile.Una volta iniziato questa specie di gioco, dopo aver posato i primi pezzi del puzzle, Dio fucostretto, si racconta, ad adattare un po' i confini, limando e tagliando, in modo da incastrare tutti iPaesi del pianeta. Alla fine si trovò con tanti ritagli, striscioline, spigoli, coriandoli, roba di scartoinsomma.

Allora prese il tutto e lo gettò nel buco che, sul mappamondo, era rimasto vuoto tra il MedioOriente, l'Asia centrale e il subcontinente indiano. E disse: «Questo è l'Afghanistan!»

Ho dubbi seri che sia andata davvero così, ma sta di fatto che nel «buco» - grande poco più di duevolte l'Italia - sono finiti cinquantacinque gruppi etnici che parlano oltre una ventina di lingue. Noi,in modo molto semplificato, li chiamiamo «afghani». Ma se chiediamo loro, la risposta sarà diversa,nessuno si autodefinirà afghano ma piuttosto pustbun, tagiko, hazarà, uzbeko... Non solo,incontreremmo chi si definisce khandahari o panjchiri dal nome della città o della valle da cuiproviene.

Una simile babele etnico-linguistica non avrebbe, probabilmente, potuto perpetuarsi senza l'aiutofornito dalle caratteristiche geografiche della «terra degli afghani», una terra inaccessibile einospitale. Verso est, strette valli annidate tra le montagne dell'Hindukush - l'estensione occidentaledelle catene del Karakorum e dell'Himalaya - chiuse da metri di neve la più parte dell'anno; a ovest,verso l'altopiano iraniano, il pietroso Dasht-i-Margo, il «deserto della morte», e il deserto di sabbiadel Registan. Questo è l'Afghanístan, molto più di Kabul o Herat o Mazar-i-Sharif, città di immensastoria e cultura: un Paese dove spostarsi, ancora oggi, è una avventura continua, dove si parte senzamai sapere se e quando si arriverà a destinazione.

Ce ne siamo resi conto ogni volta che abbiamo dovuto fare arrivare camion di medicine eapparecchiatura per gli ospedali di EMERGENCY: percorrere i trecento chilometri che separano ilTagikistan dalla valle del Panshir ha richiesto ventidue giorni di viaggio.

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Sembrerebbe che la terra, in questa parte del mondo, così come le tribù che la popolano, facciano ditutto per mantenersi inviolabili al resto del mondo. Eppure...

Da sempre l'Afghanistan è stato un crocevia fondamentale tra la Cína, l'India, l'Asia centrale el'Europa. Attraverso la «Via della Seta» e le sue diramazioni sono passati oro e argento, tessuti elapislazzuli, cotone e spezie, ambre e coralli, lana e pellicce. E, fin da allora, anche armi e droghe.

Un passaggio obbligato, insomma, dove gli abitanti hanno pagato e pagano un prezzoinimmaginabile per il solo fatto di trovarsi in un'«area strategica» o in uno «Stato cuscinetto». Negliultimi due secoli ci hanno provato in molti a domare le valli e i deserti, e soprattutto le tribùdell'Afghanistan.

Gino Strada, Introduzione a Afghanistan anno zero, Milano, Guerini e associati, 2001

Afghanistan, l’Isaf se ne va ma la guerra resta

La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza annuncia la fine delle operazioni e il passaggio del testimone, dal primo gennaio, a una più ridotta missione internazionale

In Afghanistan la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) è entrata formalmente negliarchivi della storia, dopo 11 anni su 13 di guerra: il suo ultimo comandante, il generale Usa John Campbell, ha annunciato oggi a Kabul la fine delle operazioni da combattimento e il passaggio del testimone, dal primo di gennaio, a una più ridotta missione internazionale di assistenza e formazione denominata Resolute Support.

Nell’ambito di una cerimonia tenuta segreta fino all’ultimo per timore di sabotaggi da parte dei talebani, Campbell ha espresso un giudizio positivo del lavoro svolto ricordando che insieme «abbiamo portato gli afghani fuori dall’oscurità e dalla disperazione, e dato loro una speranza per il futuro». E, ha aggiunto, «con la nuova missione Resolute Support non vi sarà mai più un ritorno ai giorni bui del passato». Basata su due accordi firmati con gli Usa (Bse) e con la Nato (Sofa), la nuova missione ha una durata decennale e conterà su 12-13.000 uomini messi a disposizione dalla Nato e da altre 14 Nazioni.

Il suo compito sarà sostanzialmente di assistenza, consulenza e formazione dei 350.000 uomini delle forze di sicurezza afghane. Ma gli Usa si sono riservati la possibilità di utilizzare eccezionalmente sul territorio afghano i propri militari per operazioni anti-terrorismo.

La conclusione della missione Isaf, decisa anni fa in un vertice Nato a Lisbona, è un evento significativo ma avviene in un momento in cui l’Afghanistan è al centro di una ondata di violenze diffusa su quasi tutto il territorio nazionale, e in particolare a Kabul, teatro di almeno nove attentati cruenti solo negli ultimi due mesi. Forse anche perché consapevole di questo, il generale Campbell si è rivolto nel suo discorso «ai nostri nemici», considerando che «è venuto il momento per loro di ascoltare l’appello del presidente Ghani di deporre le armi, scegliere la pace e partecipare alla ricostruzione della nazione afghana».

La risposta degli insorti non si è fatta attendere. E il portavoce dei taleban, Zabihullah Mujahid, ha

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dichiarato che «i 13 anni di intervento della Coalizione internazionale sono stati un fallimento» e che «nessun negoziato con il governo del presidente Ashraf Ghani sarà possibile in presenza di soldati stranieri sul territorio afghano». Si tratta di una grave situazione di stallo che, a meno di improbabili sorprese, è destinata a perdurare nei prossimi mesi, aggravando il bilancio di sangue e di dolore dell’Afghanistan che da 35 anni - da quando avvenne cioè l’invasione sovietica - non trova pace.

All’inizio di dicembre l’Onu ha diffuso preoccupanti cifre sull’aumento delle vittime civili, sostenendo che i 3.188 morti registrati alla fine di novembre 2014 rappresentavano un aumento di ben il 19% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A questi decessi devono aggiungersi gli oltre 4.600 soldati e agenti di polizia afghani uccisi soltanto fra gennaio e ottobre di quest’anno. Una cifra che in 10 mesi è stata superiore a tutte le 3.485 perdite (48 italiane) accusate dalla Coalizione internazionale dal 2001.

Le prospettive per l’immediato futuro afghano sono rese ancora più preoccupanti dal mancato decollo del governo del presidente Ashraf Ghani. A oltre tre mesi dal suo insediamento, infatti, il capo dello Stato non è riuscito a ufficializzare una lista di ministri a causa del conflitto che lo oppone ad Abdullah Abdullah, avversario sconfitto nelle presidenziali. Dopo una mediazione svolta dal Segretario di Stato americano, John Kerry, Abdullah è rientrato nel gioco del potere ottenendo il coordinamento del futuro governo di unità nazionale. Ma nonostante dichiarazioni rassicuranti, i due leader non si sono ancora messi d’accordo e l’Afghanistan è oggi come un nave che attraversa un mare in tempesta senza nessuno al timone.

«La Stampa», 28/12/2014

• Qual è la situazione dal punto di vista etnico e linguistico in Afghanistan?• Che caratteristiche ha il territorio afghano dal punto di vista fisico?• Quale conflitto si svolge sul territorio afghano dal 1979 al 1989 e quali sono le forze

impegnate in esso?• Che ruolo svolgono in quegli anni gli USA (insieme ad alcuni altri paesi)?• Chi sono i Talebani e quando salgono al potere?• Che tipo di governo instaurano nel paese?• Che cosa è la sharia?• Qual è il nesso tra l'Afghanistan e Osama Bin Laden?• In che modo gli attentati dell'11 settembre 2001 negli USA portano a pesanti conseguenze

sul territorio afghano?• Che cosa è la missione ISAF e in che periodo è stata attuata?• Quali obiettivi aveva? Sono stati conseguiti?• Qual è l'attuale situazione politica del paese? • Chi è l'attuale presidente dell'Afghanistan?• Perché la conclusione della missione ISAF è stata segnata da una cerimonia tenuta

pressoché segreta?

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(Atlante pagg. 42-43)

La guerra d'Iraq (o seconda guerra del Golfo), è un conflitto bellico iniziato il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d'America, e terminato il 15 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene da parte dell'esercito americano.L'obiettivo principale dell'invasione era la deposizione di Saddam Hussein, già da tempo visto con ostilità dagli Stati Uniti per vari motivi: timori (poi rivelatisi infondati) su un suo ipotetico tentativo di dotarsi di armi di distruzione di massa, il suo presunto appoggio al terrorismo islamico e l'oppressione dei cittadini iracheni con una dittatura sanguinaria. Questo obiettivo fu raggiunto rapidamente: il 15 aprile 2003 tutte le principali città erano nelle mani della coalizione, e il 1º maggio il presidente statunitense Bush proclamò concluse le operazioni militari su larga scala. Tuttavia il conflitto si tramutò poi sia in una guerra di liberazione dalle truppe straniere, considerate invasori da alcuni gruppi armati, sia in una guerra civile fra varie fazioni, quest'ultima, sotto alcuni profili, tuttora in corso.I costi umani della guerra non sono chiari, e sono spesso oggetto di dibattito; più in generale, il bilancio dell'intera guerra risulta difficile: a fronte della deposizione di Saddam e dell'instaurazione di una democrazia, si è avuto un netto aumento delle violenze settarie in Iraq, una penetrazione di al-Qāʿida nel Paese e, in generale, un calo della sicurezza dei cittadini.L'Italia, pur essendosi inizialmente limitata a fornire supporto logistico, partecipò poi al conflitto frail 2003 e il 2006 con la missione Antica Babilonia, fornendo forze armate dislocate nel sud del Paese, con base principale a Nassiriya (Nāṣiriyya), sotto la guida inglese. Questa partecipazione suscitò forti polemiche.Fin da prima dell'inizio della guerra, l'ipotesi di un'invasione dell'Iraq scatenò malumori in tutto il mondo, contrapponendo chi la riteneva necessaria e chi la considerava un crimine ingiustificabile. Oltre all'opinione pubblica, le polemiche si svilupparono anche sul piano internazionale: in Europa, la Francia e la Germania si opposero fin dall'inizio all'intervento, mentre Italia e Gran Bretagna offrirono il loro supporto.

www.wikipedia.it

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11.La guerra in Iraq

Lo scandalo di Abu GhraibUn uomo incappucciato, in equilibrio su una scatola, collegato a cavi elettrici. È una delle fotografiepiù sconvolgenti fra quelle che provengono dal carcere di Abu Ghraib, in Iraq.Il 20 marzo 2003, una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti dà il via all'invasione dell'Iraq: insieme ad altri Paesi, è accusato di proteggere e finanziare la rete di terroristi responsabile degli attentati dell'11 settembre 2001.In meno di due mesi, gli statunitensi raggiungono la capitale irachena Baghdad: gli USA dichiarano che la “missione è compiuta”. L'Iraq non è però pacificato: nel Paese si scatena una feroce guerriglia, basata in gran parte su attentati suicidi contro le truppe straniere. I soldati USA setacciano città e villaggi, compiendo numerosi arresti.Nel gennaio 2004, i vertici dell'esercito USA vengono informati di probabili violenze compiute nel carcere di Abu Ghraib, vicino Baghdad, dove gli statunitensi tengono prigionieri i sospetti terroristi e i guerriglieri iracheni. Vengono avviate delle indagini, ma presto la notizia giunge ai media: nell'aprile 2004, esplode lo scandalo.Giornali e televisioni di tutto il mondo fanno circolare immagini sconvolgenti, che mostrano seviziefisiche e psicologiche ai danni dei detenuti. I prigionieri vengono privati del sonno; collegati a cavi dell’elettricità; obbligati a mimare o compiere atti di omosessualità; spogliati e costretti ad assumereposizioni umilianti.In numerose fotografie, militari statunitensi compaiono nel ruolo di aguzzini; desta particolare scalpore un'immagine in cui una soldatessa si fa ritrarre sorridente accanto a un gruppo di uomini nudi e incappucciati.Lo scandalo di Abu Ghraib provoca dure reazioni in tutto il mondo, e ha profonde ripercussioni nella politica statunitense. Il Segretario alla difesa Donald Rumsfeld, che ha in precedenza approvato l'utilizzo di metodi duri nel corso degli interrogatori, dichiara che ad Abu Ghraib non si sono verificate torture, ma solo abusi di potere. Da più parti vengono chieste le sue dimissioni, ma Rumsfeld resta al suo posto.

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Nel successivo processo, nove militari ricevono condanne tra i sei mesi e i dieci anni. Nessun alto ufficiale viene ritenuto responsabile delle violenze.Le torture di Abu Ghraib segnano profondamente l'opinione pubblica internazionale, e rappresentano un duro colpo per l’immagine delle forze americane in Iraq.

www.ovo.com

• Perché si parla di Seconda Guerra del Golfo? Quale è il golfo in questione? Perché è un luogo di importanza strategica?

• Quale era la situazione dell'Iraq allo scoppio del conflitto?• Quando inizia il conflitto e per quanto dura?• Come venne motivato l'attacco all'Iraq e da parte di chi?• Quali furono le reazioni a livello internazionale?• La situazione di conflittualità nel paese è stata risolta? • In che modo è stata coinvolta l'Italia?• Qual è la situazione dell'Iraq dal punto di vista etnico e religioso?• Che cosa è stato lo scandalo di Abu Ghraib?

INDIVIDUAZIONE PAESI O REGIONI E RELATIVE CAPITALI

USA (Washington)URSS (Mosca)Russia (Mosca)Cina (Pechino)Francia (Parigi)Gran Bretagna (Londra)Giappone (Tokyo)Germania (Berlino e Bonn, poi Berlino)

Israele (Gerusalemme)Striscia di Gaza (Gaza City)Cisgiordania (Ramallah)

Kuwait (Kuwait)Iraq (Bagdad)Iran (Tehran)

Jugoslavia (Belgrado)e poi Slovenia (Lubiana), Croazia (Zagabria), Serbia (Belgrado), Bosnia-Erzegovina (Sarajevo), Montenegro (Podgorica), Kosovo (Pristina), Macedonia (Skopje))

Sudafrica (Città del Capo / Pretoria / Bloemfontein)

Ruanda (Kigali)

Afganistan (Kabul)

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