1 INTRODUZIONE 1.1 La cute : molto più di una barriera meccanica · meccanismo fisiologico è...

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1 1 INTRODUZIONE 1.1 La cute : molto più di una barriera meccanica La cute è un organo complesso che ricopre l’intera superficie corporea agendo da barriera protettiva nei confronti dell’ambiente esterno, essa si oppone al passaggio dei microrganismi, assorbe e blocca le radiazioni, impedisce la perdita di acqua, contribuisce alla regolazione della temperatura corporea, svolge un importante ruolo immunologico e contiene una fitta rete nervosa. 1 Dalla superficie in profondità la cute è costituita da un epitelio (epidermide), da un tessuto connettivo (derma) e da un tessuto adiposo (sottocutaneo). Nel derma e nel sottocutaneo sono contenuti gli annessi cutanei, i vasi e i nervi. 2 L’epidermide rappresenta la principale barriera contro la disidratazione, la penetrazione dei germi e le lesioni di natura meccanica; rigenera in oltre con grande facilità dopo le lesioni e le sue cellule superficiali, morte, vengono continuamente sostituite man mano che si staccano dalla superficie. 3 Il derma invece conferisce alla cute una considerevole consistenza meccanica grazie alla sua alta percentuale di fibre collagene miste a quelle elastiche e con i suoi vari componenti cellulari, costituisce una riserva di cellule con funzioni di difesa e rigenerative, in grado di opporsi ai processi infettivi e di riparare le ferite profonde. Nella cute solo il derma è vascolarizzato e pertanto gli scambi metabolici dell’epidermide avvengono per diffusione, da e verso i capillari degli strati più superficiali del derma. 4 L’innervazione, invece, interessa sia il derma che l’epidermide. Sotto il derma si trova il tessuto sottocutaneo, costituito in molte regioni del corpo da un traliccio irregolare di connettivo lasso, dove sono situate gruppi di cellule adipose, andando a formare quindi il pannicolo adiposo. 5 Oltre a possedere la capacità di ammortizzare gli urti e di immagazzinare risorse energetiche, il sottocutaneo rappresenta un valido isolante termico, che limita in larga misura ai vasi sanguigni il flusso di calore e rende cosi possibile una termoregolazione basata su modificazioni circolatorie. 6 Vasi arteriosi e venosi presentano nella cute una disposizione ben precisa, correlata con le esigenze metaboliche dei suoi vari componeneti tissutali. Tra le parti metabolicamente più attive della cute vanno annoverate l’epidermide, gli annessi

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1

1 INTRODUZIONE

1.1 La cute : molto più di una barriera meccanica

La cute è un organo complesso che ricopre l’intera superficie corporea agendo da

barriera protettiva nei confronti dell’ambiente esterno, essa si oppone al passaggio dei

microrganismi, assorbe e blocca le radiazioni, impedisce la perdita di acqua,

contribuisce alla regolazione della temperatura corporea, svolge un importante ruolo

immunologico e contiene una fitta rete nervosa. 1

Dalla superficie in profondità la cute è costituita da un epitelio (epidermide), da un

tessuto connettivo (derma) e da un tessuto adiposo (sottocutaneo). Nel derma e nel

sottocutaneo sono contenuti gli annessi cutanei, i vasi e i nervi.2

L’epidermide rappresenta la principale barriera contro la disidratazione, la

penetrazione dei germi e le lesioni di natura meccanica; rigenera in oltre con grande

facilità dopo le lesioni e le sue cellule superficiali, morte, vengono continuamente

sostituite man mano che si staccano dalla superficie. 3

Il derma invece conferisce alla cute una considerevole consistenza meccanica grazie

alla sua alta percentuale di fibre collagene miste a quelle elastiche e con i suoi vari

componenti cellulari, costituisce una riserva di cellule con funzioni di difesa e

rigenerative, in grado di opporsi ai processi infettivi e di riparare le ferite profonde.

Nella cute solo il derma è vascolarizzato e pertanto gli scambi metabolici

dell’epidermide avvengono per diffusione, da e verso i capillari degli strati più

superficiali del derma.4 L’innervazione, invece, interessa sia il derma che l’epidermide.

Sotto il derma si trova il tessuto sottocutaneo, costituito in molte regioni del corpo da

un traliccio irregolare di connettivo lasso, dove sono situate gruppi di cellule adipose,

andando a formare quindi il pannicolo adiposo.5 Oltre a possedere la capacità di

ammortizzare gli urti e di immagazzinare risorse energetiche, il sottocutaneo

rappresenta un valido isolante termico, che limita in larga misura ai vasi sanguigni il

flusso di calore e rende cosi possibile una termoregolazione basata su modificazioni

circolatorie.6

Vasi arteriosi e venosi presentano nella cute una disposizione ben precisa, correlata

con le esigenze metaboliche dei suoi vari componeneti tissutali. Tra le parti

metabolicamente più attive della cute vanno annoverate l’epidermide, gli annessi

2

cutanei, i follicoli piliferi e le terminazioni sensitive di vari nervi cutanei; tutte queste

formazioni sono in intimo rapporto con fitte reti capillari del derma.

Il sangue giunge alla cute per mezzo di piccole arterie che penetrano dalla profondità

nel sottocutaneo e vi si ramificano, al confine col derma, formando un plesso laminare

detto rete cutanea.7

Figura 1: Stratificazione cutanea

3

1.2 Le lesioni da decubito

Con il termine lesione da decubito ( o lesione da pressione, o piaga da decubito o ulcera

da pressione o ulcera da decubito) si indica un’area localizzata di danno della cute e

dei tessuti sottocutanei, causata da forze di pressione, trazione, frizione o da una

combinazione di questi fattori, che si forma normalmente in corrispondenza di

prominenze ossee e la cui gravità è classificata in diversi stadi.8

Nonostante i costanti e notevoli progressi della scienza, le lesioni da decubito

continuano a prodursi in maniera rilevante.

Sono molto frequenti in particolare nella popolazione ospite di strutture preposte alle

cure sanitarie (ospedali, strutture per lungodegenti e residenze sanitarie assistite), cosi

come tra le persone che ricevono cure a domicilio, e colpiscono individui di tutte le

età, ma principalmente i soggetti affetti da patologie che ne compromettono la

funzionalità neuromotoria e nei soggetti anziani allettati. È un problema quindi

destinato a crescere in ragione dell’invecchiamento della popolazione e del

cambiamento nei modelli di malattia.9

Ancora non si è trovata una cura definitiva, né si è raggiunta uniformità nei

comportamenti terapeutici ed assistenzaili nonostante i numerosi studi condotti

sull’argomento, le varie figure professionali coinvolte, l’infinità di ausili e presidi

impiegati, compresi quelli tecnologicamente più avanzati.10 L’unico dato certo è che

un’adeguata prevenzione svolge un ruolo significativo e decisivo nel prevenire la

comparsa o la progressione delle ulcere.

La prevenzione richiede la disponibilità di strumenti tecnici adeguati come ad esempio

i materassi ad aria antidecubito, ma anche un contesto di cultura professionale attenta

al fenomeno capace di identificare i pazienti a rischio e un organizzativo in grado di

mantenere pratiche di nursing in sé semplici ma talvolta onerose, soprattutto per la

cronica mancanza di personale infermieristico.11

Le ulcere da pressione comportano perciò dei costi molto elevati sia in termini di

impiego di risorse economiche e professionali, sia di sofferenza umana in quanto

provocano disagio e dolore, rallentano il processo di guarigione, prolungano la

degenza, aumentano la morbilità e la mortalità.

4

1.2.1 Epidemiologia del fenomeno

Negli ultimi decenni il progressivo invecchiamento della popolazione e il

consequenziale aumento di soggetti “fragili”, maggiormente predisposti allo sviluppo

di LDD, hanno determinato l’aumento in termini di incidenza e prevalenza di tali

lesioni. Una stima reale del fenomeno è, però, resa difficile a causa delle barriere

metodologiche che spesso impediscono di formulare generalizzazioni dai dati

pubblicati. Tuttavia è necessario sottolineare che la stima delle LDD varia in rapporto

al setting assistenziale considerato. Nei reparti per acuti l’incidenza può variare dallo

0,4% al 38%, nelle residenze sanitarie assistenzuali (RSA) dal 2,2% al 23,9 %, mentre

nell’ambito dell’assistenza domiciliare dallo 0% al 17% 12. In base ad un’analisi di

Kenkel che stima la prevalenza di ulcere da pressione in RSA variabile tra l’11 e il

30%, i soggetti con deficit neurologici hanno un’incidenza annua di piaghe da decubito

del 7-8% e secondo Klitzman una probabilità di svilupparle durante il corso della vita

pari al 25 - 85% 13 14.

La quinta survey del National Pressure Ulcel Advisory Panel (NPUPA), ha

documentato una presenza globale nei reparti per acuti del 14,8% con una prevalenza

pari al 21,5% in quelli di Terapia Intensiva, identificando la fascia di età tra 71 e gli

80 anni quale quella maggiormente coinvolta (tasso di prevalenza pari al 29%) 15. In

Italia i dati preliminari relativi a uno studio nazionale di prevalenza che ha valutato

13.081 pazienti ricoverati in 24 strutture ospedaliere, ha documentato un tasso di

prevalenza pari al 10,97 % che non si associava, però, ad una adeguata risposta ai

termini di applicazione di misure preventive che infatti venivano adottate soltanto del

9,4% dei casi 16. Un ulteriore studio effettuato nei reparti di neurologia, geriatria,

chirurgia, ortopedia, medicina interna, neurochirurgia, rianimazione ed urologia di 20

ospedali che ha arruolato 12.048 pazienti valutati, ha documentato una prevalenza

totale dell’8,6% mentre la valutazione eseguita per singoli reparti ha messo in evidenza

come nei reparti di rianimazione, neurochirurgia e geriatria vi erano prevalenze

maggiori, rispettivamente, pari al 26,6 %, 13% e 11%, verosimilmente in rapporto alla

presenza di pazienti più compromessi. Altri studi condotti dall’Associazione

Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee (AISLeC) riportano dati di

prevalenza intorno al 13% 17.

5

1.2.2 Fisiopatologia e fattori di rischio

La LDD è la conseguenza diretta di un’elevata e/o prolungata compressione, o di forze

di taglio o stiramento che causano uno stress meccanico ai tessuti e la strozzatura dei

vasi sanguigni.

La pressione o lo stiramento comprime i capillari che trasportano il sangue, causando

la mancata irrorazione sanguigna e naturalmente il rifornimento di ossigeno dell’area

interessata 18.

La diminuita circolazione sanguigna porta ad un accumulo di prodotti metabolici

tossici nel tessuto con successivo aumento della permeabilità capillare, dilatazione

vasale, formazione di edema e infiltrazione cellulare.

Le reazioni infiammatorie suscitano nello stadio iniziale un’iperemia con aumento

della pressione capillare; in questo stadio i prodotti metabolici possono ancora essere

eliminati e rimuovendo la causa della compressione, la normalità della cute verrebbe

ripristinata 19.

Se invece permangono la compressione o le forze di taglio, si giunge alla morte

cellulare con la successiva formazione di necrosi dovuta all’aumento dell’ipossia

tissutale, determinando un’ischemia locale.

Le LDD sono la prova visibile di fattori multipli interagenti che possono essere distinti

in fattori estrinseci (o locali) e fattori intrinseci (o secondari).

6

Fattori estrinseci, esercitano un’azione meccanica sui tessuti molli:

Pressione: s’ intende per pressione una forza applicata perpendicolarmente ad

un’unità di superficie. Il punto critico dello sviluppo di una LDD si raggiunge quando

la forza comprimente fra superficie corporea e piano d’appoggio è più intensa della

pressione del sangue nel distretto arteriolo - capillare, per cui viene a crearsi una

condizione d’ischemia persistente. Questa pressione è la causa principale delle LDD,

quando supera i 32 mmHg (valori della pressione dei capillari sanguigni) per periodo

prolungati di almeno 2 ore.

Il fattore tempo risulta essere indubbiamente una variabile importante per la

formazione della lesione: una bassa pressione per un periodo prolungato di tempo è

maggiormente dannosa rispetto all’applicazione elevata per un periodo breve. Il danno

tessutale compare quando viene superata una soglia data dal prodotto della pressione

per il tempo; comunque l’entità del danno dipende anche dallo spessore locale della

cute, dal luogo preciso dove la pressione viene esercitata e da diversi fattori di tipo

emodinamico (pressione a livello arteriolare, viscosità ematica, il valore

dell’ematocrito) tutti questi fattori possono significativamente far diminuire il livello

critico di pressione/tempo capaci di determinare la formazione della LDD. La

pressione media a livello delle zone d’appoggio, e soprattutto in corrispondenza delle

prominenze ossee, in una persona sdraiata su un comune materasso, varia tra i 20 e 70

mmHg 20.

In realtà, in condizioni normali, la soglia pressione-tempo non viene mai superata,

poiché il sistema nervoso sensitivo è in grado di percepire gli aumenti localizzati di

pressione persistenti per tempi prolungati prima che si determini ischemia locale. In

via riflessa tali stimoli nervosi inducono un immediato cambio di posizione. Tale

meccanismo fisiologico è presente anche durante il sonno e la sua alterazione aumenta

significativamente il rischio di contrarre lesioni da decubito.

Le strutture più sensibili che subiscono il danno sono il tessuto adiposo sottocutaneo e

i dotti escretori delle ghiandole sudoripare, poi la necrosi si estende alle ghiandole

sebacee, all’epidermide e ai follicoli piliferi;

Forze di stiramento e di taglio: I vari segmenti corporei tendono a “scivolare” da una

posizione ad un’altra se non vengono costretti da un’idonea postura, determinando a

7

livello della cute interessata una certa pressione con effetto di stiramento, micro-

trombosi locali, ostruzioni e recisione dei piccoli vasi con conseguente necrosi

tessutale profonda. Le forze di scivolamento producono in soggetti anziani, allettati o

costretti su sedie a rotelle, danni almeno tre volte superiori a quelle che si possono

riscontrare in soggetti più giovani. Quindi, la superficie cutanea può essere

compromessa ed esposta a rischio di lesione da decubito per la formazione di pieghe

cutanee specie in soggetti anziani specialmente defedati e magri nei quali la cute è

lassa e scarsamente aderente ai piani ossei sottostanti. La mancanza di grasso

sottocutaneo aumenta infatti il danno provocato dallo stiramento. Le forze di

stiramento agiscono parallelamente al piano interessato e sono più intense a livello

sacrale, in posizione semi-seduta in cui il corpo tende a scivolare in avanti e in basso

sino a raggiungere la posizione supina, in tal modo la pelle tende ad aderire alla

superficie del letto mentre lo scheletro tende a scivolare in avanti provocando zone di

stiramento dei tessuti superficiali su quelli profondi. Lo stiramento e la strozzatura dei

vasi, che a partire dagli strati più profondi vanno a nutrire la cute, provocano ischemia

e necrosi 21.

Attrito o frizione: E’ la forza esercitata da due superfici che si muovono una contro

l’altra quando tra esse esiste un contatto che genera calore, sfregamento delle due parti.

Non è un fattore determinante, ma può giocare un ruolo importante asportando gli

strati superficiali dell’epidermide e rendendo più suscettibile la cute agli eventi lesivi.

Il fenomeno attrito diventa particolarmente evidente negli spostamenti del paziente a

letto: quest’azione dovrebbe essere eseguita sollevando il paziente ed eventualmente

facendolo ruotare, ma mai trascinandolo 22.

Macerazione: E’ determinata da una eccessiva presenza di liquidi a contatto della cute

che può causare danni locali. Gli effetti dell’attrito o frizione sono potenziati

dall’esposizione prolungata della cute all’umidità conseguente ad incontinenza

urinaria, diarrea, sudorazione. Inoltre, il contatto prolungato della cute con urine e feci

determinerebbe un danno epiteliale diretto sia per gli agenti chimici o tossici che per

la conseguente modificazione del PH cutaneo.

Il segnale di allarme è identificabile con il colore violaceo della cute; indebolisce gli

strati superficiali e favorisce la colonizzazione batterica 23.

8

Fattori intrinseci: relativi al paziente

Età: I pazienti anziani dimostrano un’aumentata suscettibilità alle lesioni da decubito

a causa delle modificazioni della cute legate all’invecchiamento quali la diminuzione

del tessuto adiposo sottocutaneo, la diminuita percezione del dolore, la ridotta risposta

immunitaria cellulo-mediata, il rallentamento della guarigione delle ferite. I

cambiamenti importanti nella cute che invecchia includono anche la diminuzione

dell’attività proliferativa dell’epidermide, l’assottigliamento della giunzione dermo–

epidermica, la riduzione del microcircolo, la ridotta diminuzione infiammatoria locale,

la riduzione della sensibilità e dell’elasticità;

Riduzione della mobilità: Ogni malattia o condizione che riducano l’abilità del

paziente a muoversi liberamente aggrava il rischio di insorgenza di LDD.

La compromissione dello stato mentale, le malattie psichiatriche o neurologiche, la

sedazione farmacologica, il dolore e le fratture ossee (in particolare la frattura del

femore), diminuendo la mobilità del soggetto, costituiscono fattori di rischio per la

comparsa della piaga da decubito.

Per i soggetti costretti a letto si ritiene necessario effettuare cambi posturali, i quali

sono in grado di eliminare la pressione, mentre la superficie antidecubito la può solo

ridurre 24.

Malnutrizione: Lo stato nutrizionale del paziente può essere severamente

compromesso specie nei pazienti anziani, negli stati ipermetabolici, nelle iperpiressie

prolungate e nella cachessia neoplastica.

Influenza le caratteristiche del tessuto cutaneo, specialmente il basso apporto proteico

e l’ipoalbuminemia 25.

Malattie croniche: Malattie arteriose (riducono la perfusione tissutale),

cardiovascolari e respiratorie (portano a stasi venosa, alterata circolazione ematica e

ipossia tissutale), diabete mellito (per le alterazioni neurologiche e del microcircolo),

insufficienza renale, vari squilibri idroelettrolitici.

Patologie neurologiche, che provocano un’assenza o diminuzione della sensibilità,

problema che porta l’individuo a non reagire agli stimoli dolorosi o fastidiosi percepiti

sulla pelle cambiando posizioni (ad es. lesioni midollari, coma, morbo di Parkinson,

Alzheimer).

9

Altri fattori sono eventuali lesioni cutanee precedenti, patologie acute, disidratazione,

ipotensione, ridotta resistenza cutanea, bassa ossigenazione tissutale 26.

1.2.3 Valutazione del rischio

Una fase cruciale della gestione delle LDD è rappresentata dalla fase di valutazione

del rischio di sviluppo delle stesse. Ridurre, infatti, l’incidenza e la prevalenza ha

importanti risvolti in termini di miglioramento della qualità della vita del paziente, di

riduzione del carico di lavoro infermieristico, nonché di riduzione dei costi diretti ed

indiretti.

La prevenzione si basa su misure di carattere generale e locale. Obiettivi dell’attività

di prevenzione sono: identificare i soggetti a rischio, ridurre i fattori di rischio favorenti

e quelli specifici, migliorare o recuperare la mobilità mediante interventi di

riabilitazione ed attuazione di programmi educativi. L’identificazione dei pazienti a

rischio si basa sull’utilizzo di diverse scale: le più conosciute sono quelle di Norton, la

scala di Braden, quella di Gosnell, di Knoll e di Waterlow 27. Le più frequentemente

usate sono quelle di Norton e di Braden e sono state sufficientemente studiate in merito

ad affidabilità e validità per essere considerate strumenti utili per la valutazione e

pianificazione dell’assistenza 28.

La scala di Norton è un sistema semplice da utilizzare e prende in considerazione

cinque fattori:

- Condizioni generali;

- Salute mentale;

- Deambulazione;

- Mobilità;

- Incontinenza.

10

Tabella 1: Scala di Norton.

Condizioni

generali

Stato

Mentale Deambulazione Mobilità Incontinenza

4. Buone 4. Lucido 4. Normale 4. Piena 4. Assente

3. Discrete 3. Apatico 3. Cammina con

aiuto

3. Moderatamente

limitata

3. Occasionalmente

bagnato

2. Scadenti 2. Confuso 2. Costretto su sedia 2. Molto limitata 2. Abituale (urine)

1. Pessime 1.Stuporoso 1. Costretto a letto 1. Immobile 1. Doppia

Ad ognuno di essi viene attribuito un punteggio da 1 a 4 e se il punteggio totale risulta

essere inferiore o uguale a 12, la persona è considerata a rischio di LDD.

La scala di Braden è un indicatore di rischio elaborato nel 1987 da Braden e Bergstrom.

Vengono presi in considerazione 6 indicatori:

- Percezione sensoriale;

- Umidità;

- Attività motoria;

- Mobilità;

- Nutrizione;

- Frizione e scivolamento.

11

Tabella 2: Scala di Braden.

Variabili

Indicatori 4 3 2 1

Percezione

Sensoriale

Non limitata

Risponde agli

stimoli verbali.

Non ha deficit

sensoriale che

limiti le capacità

di sentire ed

esprimere il

dolore o il

disagio.

Leggermente

limitata

Risponde agli ordini

verbali ma non può

comunicare sempre il

suo disagio o il

bisogno di cambiare

posizione

Molto limitata

Risponde solo agli

stimoli dolorosi. Non

può comunicare il

proprio disagio o il

bisogno di cambiare posizione.

O

Ha impedimento al

sensorio che limita la

capacità di avvertire

dolore o il disagio in

1 o 2 estremità.

Completamente

limitata

Non vi è risposta (non

geme, non si contrae

o non afferra) allo

stimolo doloroso, a

causa del diminuito

livello di coscienza

od alla sedazione.

O

Limitata capacità di

avvertire stimoli

dolorosi su gran parte

della superficie

corporea.

Umidità

Cutanea

Raramente

bagnato

La pelle è

abitualmente

asciutta. La

biancheria è

cambiata ad

intervalli di

routine.

Occasionalmente

bagnato

La pelle è

occasionalmente

umida, è richiesto un

cambio di lenzuola

circa 1 volta al

giorno

Molto bagnato

La pelle è spesso, ma

non sempre umida.

La biancheria deve

essere cambiata

almeno 2 volta per

turno

Costantemente

bagnato

La pelle è mantenuta

costantemente umida

a causa della

traspirazione,

dell’urina, ecc. ogni

volta che il paziente si

muove o si gira lo si

trova sempre bagnato.

Attività

Fisica

Cammina

frequentemente

Esce dalla stanza

un paio di volte al

giorno e gira per

la stanza almeno

ogni 2 ore nelle

ore di veglia.

Cammina

occasionalmente

Cammina

occasionalmente

durante il giorno ma

per brevi distanza

con o senza aiuto.

Trascorre la maggior

parte del tempo a

letto o in poltrona.

In poltrona

Capacità di

camminare molto

limitata o inesistente.

Il paziente non riesce

a sostenere il suo

peso e/o deve essere

assistito in poltrona o

sulla carrozzella.

Completamente

allettato

Costretto a letto.

Mobilità Nessuna

limitazione

Effettua i

maggiori e più

frequenti

cambiamenti di

posizione senza

aiuto.

Parzialmente

limitata

Effettua di frequente

piccoli cambiamenti

di posizione del

corpo o delle

estremità in modo

autonomo.

Molto limitata

Riesce

occasionalmente a

fare piccoli

movimenti corporei o

delle estremità, ma

non riesce a realizzare

frequenti o

significativi

movimenti in modo autonomo.

Completamente

immobile

Il paziente non riesce

a produrre neppure

piccoli movimenti del

corpo e delle

estremità senza

assistenza.

12

Nutrizione Eccellente

Mangia la

maggior parte del

cibo. Non rifiuta

mai un pasto.

Talvolta mangia

tra i pasti. Non

necessità di

integratori.

Adeguata

Mangia più della

metà dei pasti. 4

porzioni o più di

proteine al giorno.

Usualmente assume integratori.

O

Si alimenta

artificialmente con

NPT o NE

assumendo il

quantitativo

necessario.

Probabilmente

scarsa

Mangia raramente un

pasto completo e

generalmente il 50%

del cibo offerto.

L’assunzione di

proteine comprende

tre quote di carne o

latticini al giorno.

Assume

saltuariamente

integratori alimentari

se gli vengono offerti

OPPURE riceve una

dieta non ottimale, sia

essa liquida o per

sonda.

Molto povera

Non mangia mai un

pasto completo.

Assaggia solamente il

cibo che gli viene

offerto. Assume 2

quote giornaliere

(carne o latticini).

Assume pochi liquidi e nessun integratore.

O

È a digiuno o è

mantenuto a dieta

liquida o fleboclisi da

più di 5 giorni.

Frizione e

scivolamento Senza problemi

apparenti

Si sposta nel letto e

in poltrona

liberamene e ha

sufficiente forza

muscolare per

sollevarsi

completamente

durante il

movimento.

Mantiene una

posizione adeguata

durate tutto il

periodo un cui è a

letto o in poltrona.

Problema potenziale

Si muove con

debolezza oppure

richiede una minima

assistenza. Durante le

pratiche di

mobilizzazione

probabilmente sfrega

con alcune estremità

contro le lenzuola, la

sedia. Le sponde o

qualche dispositivo.

Mantiene una

posizione

relativamente corretta

in sedia o a letto per

una gran parte del

tempo ma

occasionalmente

scivola in basso.

Problematico

Il paziente richiede

una assistenza da

moderata a massima

nel movimento.

Sollevarlo senza

sfregare contro le

lenzuola è

impossibile. Scivola

verso i basso di

frequente nella sedia

o nel letto e richiede

di essere riposizionato

con il massimo

d’aiuto. Spasticità e

contratture o uno

stato di agitazione

determinano una

costante frizione.

Le definizioni sono particolareggiate. Ci sono ventitré variabili con un punteggio che

va da 1 a 4 ad esclusione del fattore “frizione e scivolamento” che ha un punteggio da

1 a 3. Questa scala si basa sul principio secondo il quale minore è il valore, maggiore

è il rischio. Si evidenza una situazione di rischio se il punteggio è minore o uguale a

16 (alto rischio = 6; basso rischio=23). L’infermiere applica la scala di Braden ai

pazienti che entrano nell’Unità Operativa entro le prime ventiquattro ore. Questo lasso

di tempo è necessario perché il paziente possa essere valutato nelle diverse attività di

vita e durante i diversi momenti della giornata. Trascorso questo periodo, l’infermiere

prende in esame ciascun indicatore ed assegna un punteggio relativo alla somma delle

condizioni riscontrate. Assegnati i punteggi ad ogni variabile, se ne fa la somma.

13

Questo è il punteggio della scala che deve essere riportato in cartella. La valutazione

viene ripetuta ogni sette giorni, ogni qualvolta le condizioni del paziente si modificano

ed alla dimissione, così come consigliato dalla letteratura. Tutte le rivalutazioni

devono essere documentate in cartella.

A seconda del punteggio individuato si rendono necessari diversi tipi di interventi:

Tabella 3: Punteggi Scala di Braden.

Punteggio Intervento

20-17 Occorre attuare un piano di monitoraggio per l’individuazione precoce

di lesioni.

16-13 Occorre attuare un piano di monitoraggio e un piano preventivo con

l’utilizzo di eventuali presidi antidecubito anche sulla base della

valutazione complessiva del paziente.

< 13 Occorre attuare un piano di monitoraggio e un piano preventivo con il

ricorso a presidi antidecubito (superficie antidecubito a pressione

alternata o a cessione d’aria) fatto salvo di una diversa indicazione

clinica.

La descrizione dei fattori presi in esame dalla scala Braden rende più sensibile lo

strumento, inoltre vengono valutati gli aspetti della nutrizione e della frizione e

scivolamento non presenti nella scala di Norton.

14

1.2.4 Complicanze delle lesioni da decubito

Le LDD possono andare incontro a numerose complicanze, che nel caso di pazienti

molto anziani e defedati, possono essere causa di morte.

Le distinguiamo in complicanze di ordine locale e generale.

Complicanze locali

• Infezione della piaga da parte di flora batterica mista

• Emorragie

• Presenza di tessuto necrotico fino alla gangrena

• Drenaggio purulento

• Cellulite della cute circostante

• Febbre

• Leucocitosi

• Osteite, Osteo-periostite, Osteomielite

Complicanze sistemiche

La complicanza sistemica più importante è la sepsi, in genere dovuta ad anaerobi o a

Gram-negativi.

15

1.2.5 Classificazione delle lesioni da decubito

Le LDD possono essere classificate secondo criteri clinici, topografici e di stato.

Nell’ambito dei criteri clinici l’European Pressure Ulcer Advisory Panel (EPUAP) e

l’Agency for Health Care Policy and Reaserch (AHCPR) forniscono indicazioni

universalmente accettate che permettono di classificare le ulcere da pressione in

quattro distinti stadi clinici ai quali l’NPUAP (National Pressure Ulcer Advisory

Panel) ha aggiunto, per gli USA, due ulteriori stadi riguardanti il sospetto danno degli

strati tissutali profondi e le lesioni non stadiabili 29-30.

La classificazione topografica tiene conto di una precisa correlazione tra la posizione

assunta dal paziente e le sedi anatomiche delle lesioni ulcerative. Vengono individuate

delle zone anatomiche ben precise ove si determineranno con maggiore probabilità, in

rapporto alla posizione mantenuta dal corpo, le ldd. Nella posizione supina: regione

sacrale, apofisi spinose vertebrali, spina della scapola, nuca e talloni; nella posizione

laterale: regione trocanterica, cresta iliaca, malleoli, bordo esterno del piede,

ginocchio, spalla, gomito, padiglione auricolare; in quella prona: zigomo, regione

temporale, padiglione auricolare, arcate costali, spina iliaca antero-superiore; mentre

in quella seduta: gomito, coccige, regione ischiatica, aree compresse dai bordi della

sedia, da ciambelle, cuscini. Questo tipo di classificazione risulta di particolare

importanza da un punto di vista riabilitativo.

La classificazione in stato prende in considerazione il fatto che una lesione una volta

formatasi può presentarsi in uno o più dei seguenti stati: necrotico, colliquato, infetto,

fibrinoso, fibrino-membranoso, deterso, con tessuto di granulazione, emanante odore.

Inoltre la lesione può essere poco essudante, essudante, molto essudante e può

presentarsi sottominata e/o con tramiti fistolosi.

Nell’ambito di questa classificazione ricordiamo la classificazione secondo la scala di

Sessing che valuta parametri quali il fondo e il bordo della lesione cutanea, la presenza

di essudato, il suo odore e l’escara necrotica individuando sette livelli di gravità:

livello 1: cute normale ma a rischio; livello 2: cute integra, ma iperpigmentata ed

arrossata; livello 3: fondo e bordo dell’ulcera integri e non arrossati; livello 4: fondo e

bordi dell’ulcera granuleggianti, modesto essudato ed odore; livello 5: modesto tessuto

di granulazione, iniziale e modesto tessuto necrotico, essudato ed odore moderato:

livello 6: presenza di abbondante essudato, maleodorante, escara; bordo arrossato ed

16

ischemico; livello 7 : ulteriore ulcerazione intorno all’ulcera primaria, essudato

purulento, inteso odore, tessuto necrotico e sepsi 31.

Di notevole supporto, infine, nel monitoraggio dell’evoluzione delle lesione

ulcerative, si è dimostrato l’utilizzo di immagini fotografiche e di diagrammi che sono

in grado di documentare in modo oggettivo le modificazione che intercorrono tra una

valutazione/medicazione e quella successiva.

Classificazione topografica e riguarda la sede della piaga a seconda della posizione

del paziente:

1. Decubito supino: Occipite, scapole, gomiti, prominenze vertebrali, sacro e

talloni;

2. Decubito prono: dorso del piede, ginocchia, pube, creste iliache, sterno, clavicole,

zigomi, orecchio;

3. Decubito laterale: orecchio, costato, spalla, gomiti, trocanteri, creste iliache,

malleoli, prominenze ossee laterali al ginocchio;

17

4. Paziente seduto: Talloni, prominenze ischiatiche, sacro, prominenze vertebrali,

gomiti e scapole.

18

Le classificazioni anatomiche si basano sulla morfologia e la profondità della piaga,

descrivendone il progressivo aggravamento.

Tra queste, una delle più utilizzate la NPUAP (proposta dal National Pressure Ulcer

Advisory Panel nel 1989), che classifica le ulcere da pressione in quattro stadi:

Tabella 4: Stadiazione NPUAP delle lesioni da decubito.

Stadio 1 Eritema della cute integra che non scompare alla digitopressione

di solito localizzata in corrispondenza di prominenza ossea.

Stadio 2 Parziale perdita di sostanza che interessa l’epidermide, il derma

o entrambi.

Stadio 3 Perdita di sostanza a tutto spessore che si estende sino al

sottocute senza però oltrepassarlo; la lesione di presenta

clinicamente sottoforma di profondità cavità associata o meno a

tessuto adiacente sotto minato.

Stadio 4 Lesione a tutto spessore che si estende sino al muscolo e/o osso

con possibile coinvolgimento delle strutture di supporto.

Lesioni non stadiabili Perdita di tessuto a tutto spessore in cui l’effettiva profondità

dell’ulcera è completamente nascosta da slough di colorito

variabile e/o escara presenti sul letto della lesione. Fino a quando

lo slough e/o l’escara non vengono rimossi in modo tale da

esporre la base dell’ulcera, non è possibile determinare la reale

profondità. Un’ escara stabile (secca, adesa, integra, senza

eritema o fluttuazione) localizzata sui talloni ha la funzione di

"natura” e (biologica) copertura del corpo” e non dovrebbe

essere rimossa.

Sospetto danno

dei tessuti profondi

Area localizzata di color porpora o marrone-rossastro di cute

integrata, oppure vescica a contenuto ematico, secondaria al

danno dei tessuti molli sottostanti dovuto a pressione e/o forze

di stiramento. L’area potrebbe essere preceduta da tessuto che

appare dolente, duro, molliccio, cedevole, più caldo o più freddo

rispetto al tessuto adiacente. Il danno dei tessuti profondi

potrebbe essere difficile da individuare nelle persone di pelle

scusa. L’evoluzione potrebbe includere una sottile vescica su un

letto di lesione di colore scuro. La lesione potrebbe evolvere

ulteriormente ricoprendosi con un’escara sottile. L’evoluzione

potrebbe esporre in tempi rapidi ulteriori strati di tessuto anche

applicando un trattamento ottimale.

19

1.3 Cura delle lesione da Decubito

La cura della LDD comprende lo sbrigliamento del tessuto necrotico, la pulizia della

ferita, l’applicazione di medicazioni e possibili terapie aggiuntive.

1.3.1 Sbrigliamento

È l’approccio che favorisce la rimozione del tessuto necrotico qualora sia presente nel

letto di ferita della lesione.

La presenza di tale tessuto devitalizzato sulla ferita in ambiente umido favorisce la

crescita di microrganismi patogeni, di conseguenza la rimozione di tale tessuto

sostiene la guarigione.

Tra le diverse tecniche di sbrigliamento, quelle di tipo meccanico, enzimatico e/o

autolitico sono indicate quando non vi è il bisogno clinico urgente di rimuovere il

tessuto necrotico.

Lo sbrigliamento con strumento tagliente invece è indicato generalmente quando vi è

la necessità urgente come nel caso di presenza di lesioni con segni di infezione.

1.3.2 Pulizia della lesione da decubito

La pulizia della lesione favorisce la rimozione del tessuto necrotico, l’essudato e gli

scarti metabolici, diminuendo cosi il rischio di infezione.

Il processo di pulizia della ferita consiste nella scelta di una soluzione e di un mezzo

meccanico per l’applicazione della stessa sul letto di ferita a ogni cambio di

medicazione. Nella scelta della soluzione si sconsiglia l’utilizzo di detergenti per la

pelle o agenti antisettici (ad esempio iodopovidone, perossido d’ idrogeno, acido

acetico ecc.). Gli antisettici sono sostanze chimiche reattive, citotossiche per il tessuto

così come le sostanze chimiche contenute nei detergenti cutanei. La soluzione

fisiologica costituisce la scelta migliore in qualità di agente detergente poiché è un

prodotto fisiologico, non provoca danni al tessuto e deterge in maniera adeguata gran

parte delle ferite. Durante l’applicazione di tale soluzione è necessario utilizzare una

pressione d’irrigazione sufficiente a migliorare la pulizia della ferita, senza però

causare trauma al fondo della lesione stessa 32.

20

1.3.3 Guarigione delle ferite

La guarigione è una risposta fibro-proliferativa che si occupa di “riparare” un certo

tessuto mediante la neoformazione di un tessuto di granulazione che evolverà al

ripristino di un’unità tissutale identica a quella perduta oppure in una struttura

definitiva detta cicatrice.

1.3.4 Modalità di guarigione delle ferite

Classicamente la guarigione delle ferite della cute può avvenire per prima o seconda

intenzione. Questa distinzione è basata sulla natura della ferita. È importante

sottolineare che queste due modalità differiscono essenzialmente per l’entità dei

fenomeni riparativi, ma non per i meccanismi coinvolti, che sono fondamentalmente

gli stessi 33.

Guarigione per prima intenzione (Ferite con lembi giustapposti):

L’esempio meno complesso di guarigione di una ferita è fornito dalla rimarginazione

di un’incisione chirurgica pulita e non infetta in cui i lembi siano mantenuti

giustapposti da una sutura chirurgica. Tale processo è definita unione primaria o

guarigione per prima intenzione 34. L’incisione causa la morte di un limitato numero

di cellule epiteliali e connettivali, nonché l’interruzione della continuità della

membrana basale epiteliale. Lo stretto spazio lasciato dall’incisione si riempie

immediatamente di coaguli di sangue contenenti fibrina e cellule ematiche e la

disidratazione della superficie del coagulo forma la ben nota crosta che ricopre la

ferita. Entro ventiquattro ore presso i margini dell’incisione compaiono i neutrofili,

che si muovono verso il coagulo di fibrina. Entro ventiquattro-quarantotto ore gruppi

di cellule epiteliali si spostano dai bordi della ferita lungo i margini tagliati del derma,

depositando i componenti della membrana basale 35. Tali cellule si fondono al centro

della ferita, sotto la superficie della crosta, producendo uno strato epiteliale continuo

ma sottile che chiude la ferita. Entro il terzo giorno il tessuto di granulazione invade

progressivamente lo spazio dell’incisione ed entro il quinto giorno lo riempie

completamente. La neoangiogenesi è massima e le fibrille di collagene diventano più

abbondanti e cominciano a disporsi a ponte rispetto all’incisione. L’epidermide

riprende il suo normale spessore. Durante la seconda settimana continua l’accumulo

di collagene e la proliferazione dei fibroblasti. Scompaiono l’edema e l’aumentata

21

vascolarizzazione. Alla fine del primo mese la cicatrice è costituita da tessuto

connettivo privo d’infiltrato infiammatorio. L’epidermide è intatta.

Guarigione per seconda intenzione (ferite con lembi separati):

Se vi è una più cospicua perdita di cellule e tessuto, come nel caso di ferite superficiali

con grossa perdita di tessuto, il processo riparativo risulta più complesso. La

rigenerazione delle cellule parenchimali non può completamente ripristinare

l’architettura originale e quindi l’abbondante tessuto di granulazione cresce dai

margini della ferita per completare la riparazione. Questa forma di guarigione è

indicata come unione secondaria o guarigione per seconda intenzione e differisce da

quella per prima intenzione sotto diversi aspetti:

- Ampie perdite di tessuto generano un più abbondante coagulo di fibrina che

riempie la ferita e una maggior quantità di residui necrotici ed essudato che devono

essere rimossi. Di conseguenza la reazione infiammatoria risulta essere più intensa;

- Si formano quantità maggiori di tessuto di granulazione;

- La caratteristica che differenzia la guarigione per prima da quella per seconda

intenzione è il fenomeno della contrazione della ferita. Le fasi iniziali della

contrazione della ferita interessano la formazione presso i margini della ferita di

un reticolo di fibroblasti contenenti filamenti di actina. La permanente contrazione

della ferita richiede l’azione di miofibroblasti che hanno le caratteristiche

strutturali delle cellule muscolari lisce. La contrazione di queste cellule riduce lo

spazio tra i margini cutanei della ferita;

- In fine si hanno la formazione di un’evidente cicatrice e assottigliamento

dell’epidermide 36.

22

1.3.5 Processo di guarigione

La guarigione consiste in un complesso ma ordinato fenomeno che coinvolge un certo

numero di processi:

- Induzione di un processo infiammatorio in risposta a una lesione iniziale, con

rimozione di tessuto danneggiato o morto;

- Proliferazione e migrazione delle cellule parenchimali e connettivali;

- Formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) e tessuto di granulazione;

- Sintesi delle proteine dell’ECM e deposito di collagene;

- Rimodellamento tissutale;

- Contrazione della lesione;

- Acquisizione della resistenza della ferita.

Il processo di riparazione è influenzato da molti fattori che comprendono:

- L’ambiente tissutale e l’estensione del danno;

- L’intensità e la durata dello stimolo;

- Le condizioni che inibiscono l’intervento come la presenza di corpi estranei oppure

l’inadeguato apporto di sangue;

- Varie malattie che inibiscono la riparazione.

L’obiettivo del processo di riparazione è di ripristinare il tessuto riportandolo nella sua

condizione originaria.

La reazione infiammatoria determinata dalla lesione limita il danno, elimina gli stimoli

lesivi, rimuove il tessuto leso e determina l’inizio della deposizione dei componenti

della ECM nell’area di lesione 37.

La riparazione inizia precocemente durante l’infiammazione: i fibroblasti e le cellule

endoteliali vascolari iniziano a proliferare per formare il tessuto di granulazione. Il

termine deriva dal suo aspetto rosato, molle, granulare sulla superficie delle ferite,

anche se in realtà sono le sue proprietà istologiche che lo caratterizzano: la formazione

di nuovi piccoli vasi e la proliferazione dei fibroblasti.

23

1.3.6 Rimodellamento del tessuto cicatriziale

Lo stadio finale della riparazione di una ferita consiste nella formazione della cicatrice,

che inizia simultaneamente alla formazione del tessuto di granulazione e si completa

con il suo rimodellamento. Durante la fase di sintesi delle molecole della nuova

matrice extracellulare, che prosegue per diverse settimane dopo la chiusura della ferita,

la cicatrice è spesso visibilmente rossa e rilevata. Nell’arco di diversi mesi l’aspetto

della ferita di solito migliora: passa dal rosso violaceo al rosa biancastro, diventa più

morbida ed elastica e si appiattisce. Scompaiono inoltre sintomi quali il prurito e il

bruciore che spesso accompagnano le fasi iniziali del rimodellamento cicatriziale.

A livello cellulare questo processo è caratterizzato dall’azione delle collagenasi, che

intervengono nel delicato equilibrio tra la sintesi e la degradazione di fibre collagene

e matrice extracellulare. Nella fase finale dei rimodellamento la resistenza alla trazione

raggiunge il suo massimo con la formazione di tessuto cicatriziale relativamente

elastico, costituito da tessuto connettivo fibroso denso.

1.3.7 Fattori che influenzano la guarigione

Numerosi fattori sistemici e locali influenzano la guarigione delle ferite.

Lo stato nutrizionale (per esempio la carenza di vitamina C che notoriamente riduce la

sintesi di collagene); la presenza di dismetabolismi (per esempio il diabete mellito che

è noto provocare un ritardo nella guarigione); deficit circolatori dovuti ad aterosclerosi

o stasi venosa. Il sito della lesione è anche un importante fattore influenzante la

guarigione: ferite in aree riccamente vascolarizzate tendono a guarire più rapidamente

di quelle in aree poco vascolarizzate. La presenza di eventuali corpi estranei di norma

impediscono una normale guarigione, ma la singola più importante causa di ritardo è

sicuramente l’infezione della ferita 38.

24

1.4 Le medicazioni

Il trattamento delle lesioni richiedono l’applicazione di medicazioni al fine di

conservare la loro integrità fisiologica. La medicazione ideale deve permettere di

mantenere il fondo della lesione costantemente umido al fine di agevolare la

guarigione, pertanto non devono essere utilizzate medicazioni asciutte.

Le diverse condizioni della lesione come la profondità, l’essudato e il tipo di tessuto

indicano la scelta della tipologia di medicazione da adottare, ad esempio se una LDD

è particolarmente essudante, l’operatore si orienterà verso l’utilizzo di una

medicazione con capacità assorbente per il controllo della perdita di liquidi in eccesso.

I materiali che appartengono alla categoria di medicazioni avanzate che favoriscono il

controllo dell’essudato, regolano il microambiente e gli scambi gassosi, impediscono

la contaminazione batterica e fungono anche da matrice per l’eventuale rilascio di

farmaci. Il mercato offre numerosissime tipologie di medicazioni avanzate e la scelta

di tali medicazioni va presa in base alle caratteristiche della lesione.

1.4.1 Medicazioni avanzate

Con il termine medicazione avanzata si definisce un materiale di copertura che abbia

caratteristiche di biocompatibilità: qualità che si identifica nell’interazione del

materiale con un tessuto e nell’evocazione di una risposta specifica.

Alcuni tipi di lesione della cute necessitano di un’assistenza complessa.

Grazie alle conoscenze scientifiche attuali, le medicazioni avanzate sono in grado di

rispondere a tali necessità.

La medicazione ideale è quella in grado di creare l’ambiente ottimale per il processo

di riparazione della lesione.

L’ambiente più favorevole alla ricostruzione del tessuto connettivo esposto e che darà

inizio al processo di cicatrizzazione è l’ambiente umido 40.

In generale le medicazioni avanzate rispondono a tali principi:

- Mantenere l’ambiente umido a contatto con la lesione tissutale;

- Permettere lo scambio gassoso di ossigeno, anidride carbonica e vapore acqueo

con l’ambiente;

- Garantire l’isolamento termico, essere sicura, non contenere elementi tossici,

essere anallergica, sterile;

25

- Avere elevata capacità assorbente;

- Agire da barriera all’ingresso di microrganismi esterni che altrimenti

aggraverebbero la lesione rendendola infetta;

- Non aderire all’area cutanea lesa;

- Conformarsi alle superfici irregolari;

- Permettere intervalli di cambio non giornalieri;

- Permettere il monitoraggio del processo riparativo senza rimuovere le

medicazioni.

Considerando che non esiste una medicazione ideale per tutte le lesioni e che una

singola medicazione non è efficace con la stessa intensità nelle varie fasi della

riparazione tissutale, l’obiettivo finale è rivolto verso un prodotto che prenda in

considerazione non solo le condizioni locali della lesione, ma anche le condizioni

generali del paziente, il suo stile di vita, l’ambiente con cui interagisce ed il personale

che dovrà gestire la medicazione nei tempi successivi 41.

I progressi compiuti permettono oggi di poter evitare o minimizzare numerosi

inconvenienti e fattori di rischio, tra cui la perdita di liquidi dalla lesione, la distruzione

del tessuto neo-formato al momento della rimozione della medicazione, la necessità di

frequenti cambi della medicazione con inevitabili esposizioni della lesione, la

riduzione della mobilità del paziente, la probabilità che si verifichino sovra infezioni.

Le medicazioni avanzate, se propriamente impiegate, offrono vantaggi in termini di

efficacia clinica, misurata in termini di velocità di guarigione della lesione, qualità di

vita del paziente ed economicità.

Nei confronti della qualità di vita del paziente, la lesione ben pulita e idratata riduce le

possibilità d’infezioni e di conseguenza evita trattamenti invasivi di detersione della

lesione che altrimenti potrebbero rendersi necessari.

Una migliore praticità della medicazione apporta un comfort maggiore al paziente in

termini di mobilità e autosufficienza; la non aderenza evita dolori durante i controlli e

al momento della rimozione, inoltre la possibilità di utilizzo della medicazione a

contatto con la lesione per più giorni rende il cambio meno frequente.

Le medicazioni avanzate infatti possono rimanere in posizione per più giorni

consecutivi, tale caratteristica da un lato favorisce il processo di guarigione della

lesione, dall’altro implica un minor numero di ore/personale necessarie al cambio della

26

medicazione, ridotto numero di medicazioni utilizzate, minor costo del personale

impiegato per il controllo/sostituzione della medicazione/minor utilizzo di prodotti

complementari.

1.4.2 Classificazione delle medicazioni

Alginati

Derivano dalle alghe brune, sono assorbenti e si adattano perfettamente alla forma

della lesione. L’alginato, che può essere a base di calcio o sodio, interagisce con

l’essudato della lesione e forma un gel morbido che mantiene umido l’ambiente di

cicatrizzazione. I prodotti a base di ioni/calcio possono avere azione favorente il

processo di coagulazione.

L’alto potere assorbente di questa categoria e la loro possibilità di adattarsi a qualsiasi

fondo, agevolano l’allontanamento di residui batterici attraverso il loro inglobamento

nella matrice gelificata.

Attraverso la loro azione permettono l’assorbimento e la lisi anche di strati ridotti di

fibrina.

Sono adatti per ferite cavitarie e molto essudative o infette, non sono indicati per ferite

asciutte.

Carbossimetilcellulosa

Fibre non tessute di carbossimetilcellulosa sodica in grado di assorbire rapidamente e

di trattenere i liquidi.

La medicazione interagisce subito con l’essudato grazie alla sua trasformazione in gel

coesivo che crea un ambiente umido.

Alcune possono contenere fibre di alginato che vanno a potenziare il grado di

assorbimento interagendo con il fondo della lesione.

Hanno la capacità di trattenere all’interno i liquidi e di non cederli sotto compressione.

In tal modo si ha un controllo sulla carica batterica che viene inglobato insieme

all’essudato.

Sono medicazioni primarie e/o secondarie in base all’abbinamento con l’alginato e con

prodotti di copertura come le schiume. Sono indicate per le lesioni da moderatamente

a fortemente essudanti anche in fase di granulazione.

Schiume di poliuretano

27

Le medicazioni a base di schiuma sono assorbenti, possono essere di vario spessore

ed, essendo antiaderenti, non comportano nessun trauma durante la loro rimozione.

Alcune di queste medicazioni hanno un bordo adesivo e posso avere anche una

pellicola di rivestimento che funge da ulteriore barriera antibatterica.

Creano un ambiente umido e favoriscono l’isolamento termico. Indicate per ferite

granuleggianti con moderata perdita di essudato. Possono essere utilizzate con idrogeli

per facilitare lo sbrigliamento del tessuto devitalizzato.

Idrocolloidi

Sono le prime medicazioni avanzate messe in commercio e ancora oggi le più

utilizzate.

Sono sistemi idroattivi polimerici con scarsa capacità assorbente e in grado di favorire

lo sbrigliamento. Indicati per ferite con lieve essudato, granuleggianti e/o con minima

presenza di tessuto necrotico (giallo o nero). Controindicati nelle lesioni infette.

Idrogeli

Gel a base acquosa (circa per il 70%) in grado di idratare e favorire lo sbrigliamento

autolitico e favoriscono il processo di granulazione. Indicato per lesioni superficiali o

cavitarie con presenza di tessuto necrotico (nero o giallo).

Film semipermeabili

Sono medicazioni primarie e/o secondarie in film adesivi di poliuretano,

semiocclusivi, trasparenti con o senza tampone assorbente per la prevenzione e il

trattamento di lesioni in fase di riepitelizzazione.

28

Medicazioni a base di argento

Hanno proprietà antibatteriche. Sono indicate per la gestione di ferite con segni di

infezione e nelle lesioni con essudazione media/elevata.

Riducono la carica batterica senza danneggiare il tessuto del fondo devitalizzato e

mantengono l’ambiente umido.

Estremamente flessibili, si adattano a qualsiasi tipo di ulcera: superficiale, profonda o

con tragitti fistolosi. Non aderisce al letto della ferita e la sua rimozione risulta

atraumatica 42.

Pomate enzimatiche

Favoriscono lo sbrigliamento del tessuto necrotico con azione enzimatica. Indicate

nelle lesioni superficiali o cavitarie con tessuto devitalizzato.

29

1.5 Terapia topica a pressione negativa (NPWT)

La terapia topica a pressione negativa (NPWT) è una tecnica terapeutica che è andata

sempre più affermandosi negli ultimi anni per quanto riguarda il trattamento e la

gestione di ferite definite "difficili", vale a dire quelle ferite che non seguono un

normale processo di guarigione e che possono mostrare complicazioni molto più

facilmente. Si tratta in pratica di un sistema di drenaggio e medicamento della ferita

sotto vuoto, vale a dire che dopo una medicazione con garze idonee allo scopo si

applica un sistema di aspirazione che può essere continuo ma anche alternato (vale a

dire variazioni di pressioni nell'arco del tempo), che ha lo scopo di accelerare il

processo di guarigione e di garantire risultati che medicazioni complesse standard non

riescono a raggiungere. Gli effetti tissutali della NPWT sono ormai ampiamente

descritti in letteratura, dalla quale si evince come questo tipo di terapia possa aiutare

nella risoluzione di ferite difficili.

La NPWT offre diversi meccanismi di azione, in particolare un aumento della

perfusione della ferita, la riduzione dell'edema, la stimolazione della formazione di

tessuto di granulazione e un decremento della colonizzazione batterica nonché la

continua rimozione dell'essudato proveniente dalla ferita 43.

Figura 2: Meccanismo di azione della NPWT.

30

Per definizione infatti si viene a creare uno shift nel gradiente interstiziale 44 il quale

ha una serie di effetti positivi, tra i quali la riduzione dell'edema, un aumento della

perfusione del derma e la rimozione di eventuali secrezioni della ferita. L'importanza

di questa alterazione nel gradiente pressorio del fluido interstiziale è stato

probabilmente sottostimato, ciò nonostante è stato ben dimostrato come il flusso di

fluido interstiziale possa modificare i componenti e l'organizzazione matrice

extracellulare (ECM), modulando tra l'altro alcuni processi cellulari fondamentali

nella guarigione delle ferite come l'espressione di fattori di crescita e l'attività cellulare

mitotica 45. La riduzione dell'edema è probabilmente dovuta al fatto che questo

gradiente pressorio del liquido interstiziale che viene continuamente rimosso dalla

ferita porta via con se i vari mediatori pro-infiammatori che contribuiscono alla

formazione dell'edema, permettendo così una più rapida guarigione della ferita.

L'effetto invece della NPWT sulla biologia vascolare delle ferite è ancora parzialmente

incompreso, sembra che cambiamenti delle pressioni dei liquidi interstiziali abbiano

un effetto indiretto sulla perfusione della ferita tramite la decompressione dei piccoli

vasi capillari, facendo sì che le forze meccaniche che agiscono sull’ECM

automaticamente agiranno anche sui vasi contenuti all'interno di essa, questo stress

meccanico quindi sarebbe alla base dell'aumentata perfusione tissutale 46-47. Tale tesi

è stata sostenuta da studi secondo i quali misurando il flusso sanguigno tissutale

dell'area interessata tramite un ago collegato a un laser Doppler a determinate pressioni

la perfusione aumentava. Altro vantaggio nell'uso della NPWT è la rimozione dei

liquidi che emergono dalla ferita, di conseguenza viene ridotta la presenza di proteasi,

fibronectina, enzimi proteolitici, citochine e proteine di fase acuta che normalmente

sono riscontrabili nell'essudato presente sulla ferita e che notoriamente ostacolano la

guarigione rapida delle lesioni tissutali. Importantissimo è lo stress meccanico che

questo tipo di medicazione può fornire a ferite, difatti la pressione applicata su tutta la

superficie in modo omogeneo permette una forza trazionale distribuita uniformemente

su tutta la ferita. Questo stress meccanico ha effetti sull'attività cellulare e

sull'angiogenesi in particolare 48-49-50. A completare il quadro, la terapia topica a

pressione negativa produce un up-regolazione dell'espressione dei fattori di crescita.

Kopp e collaboratori hanno di fatti dimostrato un incremento di 3-4 volte

rispettivamente l'espressione di Transforming Growth Factor-B-1 e Endothelial

31

Growth Factor e di 2.5 volte l'espressione di Platelet-derived growth factor (PDGF) 51,

mentre a livello macroscopico uno degli effetti se vogliamo più ovvi della terapia

topica a pressione negativa è il favorire la formazione di tessuto di granulazione. A

questo aggiungiamo il fatto che la NPWT è per ovvi motivi un ottima barriera nei

confronti di nuove colonizzazioni patogene, limitando la crescita sia di aerobi che di

anaerobi, e favorendo per i meccanismi sopracitati il trasporto di antibiotici nella sede

di infezione dal circolo sistemico.

1.5.1 Quando scegliere la NPWT: la scelta del paziente ideale

La NPWT può essere impiegata in ferite acute e croniche, sia in pazienti in regime di

ricovero che in pazienti trattati a domicilio. Secondo l'approvazione della FDA, è

indicata per i pazienti con ferite croniche, acute, traumatiche, subacute e deiscenti,

ustioni a spessore parziale, ulcere (diabetiche, da pressione o da insufficienza venosa),

lembi e innesti. Tuttavia, nell'applicare questo tipo di medicazione, bisogna prestare

molta attenzione nell'individuare e trattare esclusivamente i casi in cui la terapia giochi

un ruolo insostituibile, scegliendo altre terapie nei casi in cui il sistema è

controindicato.

Nello specifico è controindicata in presenza di tessuto necrotico o escara se non previa

escarectomia, esposizione di vasi sanguigni importanti e/o organi, osteomielite non

trattata, fistole non enteriche o inesplorate, lesioni di natura maligna. Inoltre, vanno

prese precauzioni in pazienti che presentino emorragie, ridotta emostasi della lesione

o che siano in terapia con anticoagulanti. Nel posizionare la medicazione in prossimità

di vasi sanguigni, organi o tendini esposti bisogna assicurarsi che questi siano

opportunamente protetti.

Per tutti i casi menzionati la terapia a pressione topica negativa è proposta come

seconda linea di trattamento, cioè in lesioni che non hanno ridotto del 50% la loro

estensione a un mese dall'inizio del trattamento standard.

Se non si osserva alcuna risposta o miglioramento nella ferita entro due settimane è

necessario riconsiderare la cura. Per questo motivo è importante che la valutazione non

sia effettuata solo nella fase iniziale, ma che sia inserita in modo trasversale in tutte le

fasi del piano di assistenza.

L'elemento chiave nella scelta della terapia appropriata per la gestione di una ferita,

consiste nel compiere un’approfondita valutazione iniziale. Bisogna tener conto,

32

infatti, che la velocità di guarigione di una ferita varia da individuo a individuo ed è

influenzata da numerosi fattori.

Inoltre, la complessità della ferita esercita una notevole influenza sulla progressione

del processo di guarigione e i fattori che contribuiscono a determinarla possono essere

classificati in quattro gruppi principali:

- Fattori relativi al paziente (fisici, psicologici e sociali);

- Fattori relativi alla ferita;

- Abilità e conoscenze dell’operatore sanitario

- Risorse e fattori relativi al trattamento.

Solo valutando e interpretando in modo corretto l'interazione di tutti i fattori e il loro

impatto sulla ferita si possono sviluppare strategie adeguate ed efficaci per migliorare

i risultati. In particolare è stato dimostrato che fattori come il diabete mellito, l'obesità,

la malnutrizione, l'età avanzata, la perfusione ridotta, la vasculopatia periferica, le

neoplasie, l'insufficienza d'organo, la sepsi e, non meno importante, le restrizioni della

mobilità, possono influenzare fortemente il processo di guarigione.

Generalmente l’accettabilità da parte dei pazienti è abbastanza buona, ma deve essere

definito in modo appropriato il candidato ideale: questi dovrà essere vigile,

collaborante, consapevole del meccanismo di funzionamento; essenziale è inoltre

l’esperienza e la formazione del care giver.

Dove manchino queste caratteristiche, la NPWT è assolutamente controindicata.

Da questo si deduce che per ogni paziente è necessario e importante definire un piano

di trattamento personalizzato, specificando gli obiettivi da raggiungere “a breve” e “a

lungo termine”; coinvolgendo il paziente in questa fase sarà più facile acquisire il suo

consenso e la sua adesione al trattamento.

Gli obiettivi a breve termine possono includere:

- Gestione dell'essudato;

- Gestione dell'odore della ferita;

- Riduzione del dolore;

- Rimozione del tessuto necrotico e/o dell'escara;

- Prevenzione delle infezioni.

Gli obiettivi a lungo termine possono essere:

- Riduzione della superficie della ferita;

33

- Riduzione del volume di essudato della ferita;

- Produzione di tessuto di granulazione sano;

- Chiusura della ferita per via chirurgica o guarigione per seconda intenzione;

ripristino della funzionalità fisica nel sito della ferita.

34

1.5.2 Fasi di applicazione della medicazione

1.5.2.1 Preparazione del letto di ferita

Con l’espressione WBP (Wound bed preparation) s’indica quell’insieme di procedure

volte alla gestione di una ferita, che hanno l’obiettivo di accelerare i processi endogeni

di guarigione e di promuovere l’efficacia delle misure terapeutiche intraprese. La WBP

costituisce un approccio olistico, che consente di definire in modo sistematico quali

siano i punti sui quali articolare la strategia di trattamento delle ferite, attraverso la

comprensione dei meccanismi scientifici che stanno alla base delle alterazioni del

fisiologico processo di riparazione tessutale. Un approccio così articolato deve essere

riservato a quelle ferite che non tendono a progredire normalmente verso la guarigione,

indipendentemente da quale sia stato l’evento causale della loro comparsa.

L’acronimo TIME (dai termini inglesi Tissue, Infection o Inflammation, Moisture

imbalance, Epidermal margin) è stato coniato per aiutare gli operatori ad identificare

meglio i principi della preparazione del letto della ferita. Facendo ricorso all’acronimo

TIME, l’operatore potrà effettuare una valutazione sistematica di tutte le caratteristiche

oggettive della lesione, individuando agevolmente gli elementi da correggere e gli

interventi più appropriati per arrivare ad una efficace rimozione delle barriere che

impediscono la progressione verso la guarigione.

35

Tabella 5: il Time.

Osservazioni

cliniche

Presunta

fisiopatologia

WBP-interventi

clinici

WBP-effetti degli

interventi clinici

Risultati

clinici

Tessuto non

vitale o carente

Difetto della

matrice e residui

cellulari sono di

ostacolo alla

guarigione

Debridement

(occasionale o di

mantenimento):

-Autolitico

-Chirurgico

-Enzimatico

-Meccanico o

biologico

Fondo della lesione

deterso e

ripristinata

funzionalità della

matrice

extracellulare.

Fondo della lesione

vitale.

Infezione o

infiammazione

Elevata carica

batterica o

infiammazione

prolungata:

-aumento Citochine

pro-infiammatorie;

- diminuzione

dell’attività

proteasica;

- diminuzione

dell’attività dei

fattori di crescita.

Rimozioni foci

infettive:

-locale/sistemica

-Antimicrobici

- Anti-

infiammatori

-Inibitori delle

proteasi.

Riduzione della

carica batterica o

controllo

infiammazione:

-diminuzione

citochine pro-

infiammatorie;

-diminuzione

attività proteasica;

- aumento fattori di

crescita.

Controllo

dell’infezione e

dell’infiammazione.

Macerazione e

secchezza:

squilibrio dei

fluidi

Secchezza: lenta

migrazione delle

cellule epiteliali.

Essudato in

eccesso:

macerazione dei

margini della ferita.

Applicazione di

medicazioni

avanzate per

favorire il giusto

grado di umidità.

Bendaggio

compressivo,

pressione negativa

o altri metodi per

rimuovere

l’eccesso di

essudato.

Ripristino

migrazione delle

cellule epiteliali:

secchezza evitata.

Riduzione

dell’edema,

controllo

dell’eccesso di

essudato:

macerazione evitata

Bilancio dei fluidi

(essudato).

Epidermide

margini non

proliferativi o

sottominati

Cheratinociti non

migranti.

Cellule non

responsive e

anormalità nella

matrice

extracellulare o

nell’attività della

proteasi.

Rivalutare le

cause o

considerare

terapie correttive:

-Debridement;

- innesti cutanei;

- terapie di

supporto.

Migrazione dei

cheratinociti e

presenza di cellule

responsive.

Ripristino di un

appropriato profilo

di proteasi.

Margini epiteliali in

attiva

proliferazione.

A questo punto è necessario riprendere un concetto, dichiarato nella WBP, meritevole

di un ulteriore approfondimento, quello dello “Sbrigliamento di mantenimento”. Per

comprendere l’importanza di questo aspetto basta tenere presente come siano sempre

più numerose le evidenze che dimostrano quanto incidano sulla guarigione delle ferite

elementi come una necrosi non opportunamente controllata o una carica cellulare o

microbica alterata. Inoltre è stata dimostrata una diretta relazione tra la percentuale di

36

guarigione e l’efficienza e la frequenza dello sbrigliamento.

Inizialmente, il concetto di preparazione del letto di ferita è stato sviluppato per

definire, articolare e cadenzare i momenti che costituiscono il fisiologico processo di

riparazione attraverso l’impiego di mezzi terapeutici avanzati. In seguito è divenuto

un approccio pratico nel processo di presa in carico di fattori quali il controllo

dell’essudato e la rimozione del tessuto necrotico, ponendo maggiore attenzione ai

processi biologici che avvengono durante la guarigione e alla ricerca di un protocollo

convenzionale di trattamento. Un altro concetto con risvolti pratici correlati alla

preparazione del letto di ferita è lo sbrigliamento di mantenimento. Se la preparazione

del letto di ferita si fonda sulle evidenze raccolte attraverso prove cliniche,

biochimiche e cellulari caratteristiche delle ferite croniche, oltre che sulla

determinazione dell’aumento della carica batterica e sulla presenza di biofilm, lo

sbrigliamento di mantenimento rappresenta l’elemento indispensabile per ripristinare

la guarigione, tenendo contro di un programma di pulizia del letto di ferita anche

quando questa appaia clinicamente non necessaria. Per questo lo sbrigliamento di

mantenimento merita attenzione da parte della Comunità Scientifica.

L’importanza di rimuovere tutto ciò che rappresenta un ostacolo al processo di

riparazione è stata ormai da qualche tempo opportunamente monitorata e validata.

Le modalità di cui possiamo oggi avvalerci per lo sbrigliamento sono molteplici per

tipologia e metodi, come diversi sono i risultati che possiamo attenderci. (Tab. 1).

Se è vero che escara, eczema, profondità, esiti cicatriziali, colore del fondo, edema,

neo epitelio ed essudato sono elementi che ostacolano il regolare processo di

riparazione, sarà comunque opportuno focalizzare la propria attenzione anche su

biofilm e sottominature, in quanto elementi di sbilanciamento dell’equilibrio

batteri/ospite che giocano un grosso ruolo nell’economia di una corretta riparazione.

Infatti i biofilm rappresentano un’area in cui facilmente le colonie batteriche, se non

opportunamente gestite, tendono a moltiplicarsi indisturbate, al riparo dall’azione di

antisettici ed antibiotici.

37

Tabella 6: tipologie di sbrigliamento – vantaggi e svantaggi riassunti da revisione bibliografica.

Tipo di

sbrigliamento

Esempi di

materiali

usati

Velocità di

rimozione

dei tessuti

Protezione

dei tessuti

sani

Comfort per

il paziente

Agenti

assorbenti Alginati + ++++ +++

Antisettici Cadexomero

Iodico + +++ ++

Autolitico Idrogeli,

idrocolloidi + ++++ ++++

Biologico Terapia con

larve +++ +++ +

Chimico Cloruro di zinco ++ + +

Enzimatico Collagenasi +++ ++++ ++++

Meccanico

Wet to dry,

Npet, lavaggio

pulsato

+++ ++ +

Chirurgico Bisturi, Curette,

Idrochirurgia +++++ + +

+ minimo o assente ++++ massimo

Le sottominature, invece, rappresentano l’espressione concreta di una perfetta

organizzazione micro-ambientale dei batteri stessi.

Lo sbrigliamento risulta essere la modalità operativa più indicata ad interrompere la

solidità di questa barriera (biofilm) che consente ai batteri di aumentare le singole

resistenze ed implementare la propria virulenza. La distinzione fra sbrigliamento

inziale o di mantenimento non è da ricercare necessariamente nel metodo impiegato,

ma nella sequenza temporale e nella logica con cui si sceglie di impiegarli. A

differenza di quello iniziale (che potrebbe essere anche ripetuto successivamente),

quello di mantenimento potrebbe risultare necessario durante tutto il periodo della

presa in carico della lesione.

In conclusione, lo sbrigliamento iniziale è la rimozione del tessuto necrotico,

colliquato e/o infetto dal letto della lesione, includendo inoltre l’asportazione del callo

periulcerativo, ove questo fosse presente. Finché rincorrono questi parametri clinici,

lo sbrigliamento iniziale necessita di essere ripetuto.

Per sbrigliamento di mantenimento, invece, s’intende il mantenimento di una

situazione della ferita tale da garantire la continua e costante progressione verso la

guarigione. L’intervento di sbrigliamento non è dettato solamente da evidenti

38

parametri clinici, ma anche dal bisogno di raggiungere una preparazione del letto di

ferita ottimale. Quindi, lo sbrigliamento di mantenimento viene eseguito anche di

fronte ad un fondo di lesione “buono” qualora la ferita non mostri segni evidenti di

guarigione.

1.5.2.2 Preparare l'area intorno alla ferita

Un problema da non sottovalutare è la cura del tessuto perilesionale, che, non di rado,

può andare incontro a macerazione. Questo fenomeno può essere risolto asciugando

accuratamente la cute circostante la ferita, dopo la pulizia, e proteggendola applicando

un preparato per la pelle su tutto il perimetro della ferita.

39

2 Obiettivi della tesi

Analisi retrospettiva

L’obiettivo della tesi è di analizzare i dati relativi ad un gruppo di pazienti affetti da

LDD ricoverati presso un reparto di lungodegenza dell’Arci-Ospedale Sant’Anna di

Ferrara, ottenendo una sorta di “fotografia” panoramica di questa patologia.

Tale analisi si basa sull’identificazione di alcuni parametri (valutando le schede di

monitoraggio delle lesioni da decubito) che ho ritenuto importanti ai fini di questo

studio:

Tipo di lesione (scala NPAUP)

Tipo di trattamento effettuato

Evoluzione qualitativa della lesione (miglioramento/peggioramento)

Durata del trattamento espresso in giorni (da inizio trattamento fino a

guarigione o a dimissione del paziente)

Numero totale di medicazioni

40

3 Materiali e metodi

3.1 Casi clinici

In quest’analisi abbiamo deciso di includere pazienti ricoverati presso una

lungodegenza dell’Arcispedale Sant’Anna, senza limiti di età o sesso, che

presentassero la presenza o l’insorgenza di LDD durante la degenza in reparto, di

qualsiasi dimensione e in qualsiasi sede.

Sono invece stati esclusi pazienti che presentavano lesioni ulcerative su base vascolare

(insufficienza venosa cronica, ischemie critiche).

41

3.1.1 Paziente 1

Donna di anni 69, ricoverata per esiti di emorragia cerebrale con afasia totale e

emiplegia destra.

Anamnesi patologica remota: ipertensione arteriosa, Fa in terapia con Tao e diabete di

tipo 1.

Braden score all’ingresso:12.

All’ingresso in reparto la paziente presenta lesione al 3° stadio con deposito di fibrina

sul fondo, i bordi e la cute perilesionale si presentano macerati.

Viene trattata con sbrigliamento di tipo chirurgico (courettage a lama fredda del fondo

e dei bordi della lesione) associato a utilizzo di medicazioni all’argento, pomate

enzimatiche e collagenasi.

A 66 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita.

Tabella 7: Paziente 1.

Tipo 3° stadio

Sede Regione malleolare destra

Dimensione

inizio trattamento

2x2,5 cm

Dimensione

fine trattamento

Guarigione

Tipo di trattamento

effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo

Evoluzione qualitativa

della lesione

3° stadio Risoluzione della ferita.

Durata trattamento

(gg)

66

Numero totale

medicazioni effettuate

22

42

3.1.2 Paziente 2

Uomo di anni 78, ricoverato per esiti di Ictus cerebri con emiparesi con controllo del

capo ma non del busto.

Braden score: 12.

Anamnesi patologica remota: ipertensione arteriosa e diabete di tipo 1.

La lesione (insorta in reparto durante la degenza) evolve rapidamente fino ad un 2°

stadio, fibrinosa, con bordi lesionali macerati.

Viene trattata con idrocolloidi, alginati e schiuma di poliuretano.

A 54 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita.

Tabella 8: Paziente 2.

Tipo 2° stadio

Sede Tallone destro

Dimensione

inizio trattamento

2,5x1,5 cm

Dimensione

fine trattamento

Guarigione

Tipo di trattamento

effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo

Evoluzione qualitativa

della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

del trattamento (gg)

54

Numero totale di

medicazioni effettuate

19

43

3.1.3 Paziente 3

Donna di anni 52, ricoverata per tetraplegia secondaria a sclerosi multipla.

Anamnesi patologica remota: esiti di intervento chirurgico di osteosintesi con chiodo

endomidollare e cerchiaggio esterno per frattura scomposta dell’estremo distale diafisi

femorale destra riscontrata in seguito a caduta durante manovre di mobilizzazione.

Braden score: 14.

La lesione è fibrinosa, i margini sono regolari e la cute perilesionale si presenta

arrossata. Viene eseguito trattamento con creme a base di enzimi, pomata connettivina

e schiuma di poliuretano, creme ed olii idratanti.

A 56 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita.

Tabella 9: Paziente 3.

Tipo (stadio) 2°

Sede Tallone destro

Dimensione

inizio trattamento

2x2 cm

Dimensione

fine trattamento

Guarigione

Tipo di trattamento

effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo

Evoluzione qualitativa

della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

del trattamento (gg)

56

Numero totale di

medicazioni effettuate

16

44

3.1.4 Paziente 4

Uomo di 33 anni, ricoverato per tetraplegia completa.

Anamnesi patologica remota: silente.

Braden score 11.

All’ingresso la lesione è classificabile con 2° stadio NPUAP.

Figure 3 - 4: Metatarso al 2° stadio all'ingresso del paziente in reparto.

45

Si osserva evoluzione del quadro fino ad un 3° stadio NPUAP.

Figura 5: Peggioramento del metatarso al 3° stadio.

Tale lesione è stata trattata inizialmente con Idrogel, collagenasi, garze

antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano.

In seguito a peggioramento della ferita si utilizzano alginati, idrogel, garze

antibatteriche/batteriostatiche e pomata enzimatica, fino ad un miglioramento della

lesione.

Figura 6: Lesione del metatarso in miglioramento.

46

A 161 giorni dall’inizio del trattamento il paziente viene dimesso con la lesione

classificabile come 1°stadio NPUAP.

Tabella 10: Paziente 4.

Tipo (stadio) 3°

Sede Metatarso sinistra

Dimensione

inizio trattamento

1x1

Profondità 2 cm.

Dimensione

fine trattamento

1x1

Tipo di trattamento

effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione qualitativa

della lesione

3° stadio1°stadio

Durata trattamento (gg) 161

Numero totale

di medicazioni effettuate

38

47

3.1.5 Paziente 5

Uomo di anni 46 ricoverato per frattura metafisi distale del femore dx.

Anamnesi patologica remota: tetraplegia incompleta

Braden score:14.

Il paziente presentava due LDD: una al tallone dx, fibrinosa ed essudante con margini

macerati e cute perilesionale arrossata; l’altra al gluteo sx, fibrinosa ed essudante con

margini e cute perilesionale macerati.

Il tallone viene trattato con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse e schiuma

di poliuretano.

Il gluteo viene trattato con collagene, garze antibatteriche/batteriostatiche, idrogel,

connettivina crema e schiuma di poliuretano. Durante la degenza la lesione cambia da

un III a un IV stadio (dimensioni massime raggiunte 5x4 cm e 5cm di profondità).

A 66 giorni dall’inizio del trattamento il paziente viene dimesso con la lesione al

tallone dx classificabile come 2° stadio NPUAP, mentre il gluteo sx come 3°stadio

NPUAP.

48

Tabella 11: Paziente 5 lesione al tallone dx.

Tabella 12: Paziente 5 lesione al gluteo sx.

Tipo 4° stadio.

Sede Tallone dx.

Dimensione

inizio trattamento

3x4

Dimensione

fine trattamento

2x3

Paziente dimesso.

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione qualitativa

della lesione

3° stadio 2° stadio

Durata

trattamento (gg)

66

Numero totale

di medicazioni effettuate

18

Tipo 3° stadio.

Sede Gluteo sx.

Dimensione

inizio trattamento

2x2

Dimensione

fine trattamento

2x2

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione qualitativa

della lesione

3° stadio 3° stadio. Paziente dimesso.

Durata

trattamento (gg)

66

Numero totale

di medicazioni effettuate

18

49

3.1.6 Paziente 6

Donna di anni 69 ricoverato per riacutizzazione sclerosi multipla.

Anamnesi patologica remota: silente.

Braden score:16.

La lesione al metatarso Dx è detersa, poco essudante. I bordi sono lineari e la cute

perilesionale si presenta arrossata.

Viene eseguito trattamento con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse, garze

antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano.

A 108 giorni dall’inizio del trattamento con la lesione risulta guarita.

Tabella 13: Paziente 6.

Tipo 2° stadio.

Sede Metatarso

Dimensione

inizio trattamento

2,5x1,5 cm

Dimensione

fine trattamento

0 cm

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione qualitativa

della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

trattamento (gg)

108

Numero totale

di medicazioni effettuate

17

50

3.1.7 Paziente 7

Uomo di anni 76 ricoverato per deficit motori in esiti di emorragia sotto durale in

seguito a trauma.

Anamnesi patologica remota: iperteso, FA in tao.

Braden score:13

La lesione al malleolo Dx è detersa e presenta fibrina. I bordi sono lineari e la cute

perilesionale è integra.

Viene eseguito trattamento con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse,

katoxyn e schiuma di poliuretano.

Tabella 14: Paziente 7

Tipo 3° stadio

Sede Malleolo dx.

Dimensione

inizio trattamento

2,5x1,5 cm

Dimensione

fine trattamento

Risolta.

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo

Evoluzione qualitativa

della lesione

3° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

trattamento (gg)

59

Numero totale

di medicazioni effettuate

17

51

3.1.8 Paziente 8

Uomo di anni 68 ricoverato per ictus in vasculopatia carotidea.

Anamnesi patologica remota: diabete di tipo 1.

Braden score:10

La lesione al tallone Dx presenta escara. I bordi sono lineari e la cute perilesionale si

presenta arrossata.

Viene eseguito trattamento con idrogel, connettivina crema, crema allo zinco e

schiuma di poliuretano.

Tabella 15: Paziente 8.

Tipo 2° stadio.

Sede Tallone dx

Dimensione

inizio trattamento

5x4 cm

Dimensione

fine trattamento

Risolta.

Tipo di trattamento

effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione qualitativa

della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

trattamento (gg)

53

Numero totale

Di medicazioni effettuate

6

52

3.1.9 Paziente 9

Uomo di anni 36, ricoverato per tetraplegia.

Anamnesi patologica remota: obesità.

Braden score:11

Il paziente presenta due lesioni: una al gluteo dx e una al gluteo sx. Entrambe

presentano fibrina sul fondo della lesione, bordi lineari e cute perilesionale arrossata.

Viene eseguito trattamento con idrogel, collagenasi, connettivina crema, crema allo

zinco e schiuma di poliuretano.

Tabella 16: Paziente 9 lesione gluteo dx.

Tipo 2° stadio

Sede Gluteo Dx.

Dimensione

inizio trattamento

1,5x1,5 cm

Dimensione

fine trattamento

Risolta

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione

qualitativa della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita

Durata

trattamento (gg)

32

Numero totale

di medicazioni effettuate

14

53

Tabella 17: Paziente 9 lesione gluteo sx.

Tipo 2° stadio.

Sede Gluteo sx.

Dimensione

inizio trattamento

1x1 cm

Dimensione

fine trattamento

Risolta.

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo.

Evoluzione

qualitativa della lesione

2° stadio Risoluzione della ferita.

Durata

trattamento (gg)

32

Numero totale

di medicazioni effettuate

14

54

3.1.10 Paziente 10

Uomo di anni 32 trasferito da un reparto di rianimazione con diagnosi all’ingresso di

tetraplegia post traumatica.

Anamnesi patologica remota: silente

Braden score: 11

Il paziente entro in reparto presentando una lesione al tallone dx e sx al 2° stadio

NPUAP. Le lesioni presentano ampia raccolta sierosa sottocutanea. I bordi sono lineari

e la cute perilesionale si presenta integra.

Le dimensioni iniziali della lesione erano di 3x4 cm.

Figure 6 - 7: Lesioni tallone dx e sx con ampia raccolta sierosa sottocutanea.

55

Le condizioni delle lesioni subiscono un peggioramento. A 37 giorni dall’inizio del

trattamento le lesioni, prive di tunnellizzazioni o sottominature, presentano una

porzione necrotica diventando un 3°stadio NPUAP.

Figura 8: Lesione in peggioramento.

Il trattamento effettuato sin dal principio è stato con idrogel, connettivina garze e

schiuma di poliuretano. Si procede poi al courettage della fibrina e del tessuto

necrotico.

A 44 giorni, non si assiste ad un miglioramento delle ferite; aumentano, infatti, la

quantità di essudato, fibrina e necrosi e la profondità delle lesioni. Le medicazioni

utilizzate sono idrogel, garze antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano.

56

Figura 9 -10: Lesioni talloni dx e sx progredite al 3° stadio.

A 53 giorni dall’inizio del trattamento, il progredire della necrosi tissutale ha

comportato un’importante aumento delle dimensioni delle ferite (6x5 cm per 1,5 cm

di profondità).

57

Figura 11-12: Progressione dell’ulcera necrotica.

Si decide pertanto, sotto prescrizione medica di applicare NPWT.

Si lascia agire continuamente il sistema provvedendo a cambi di medicazioni ogni 72

ore ed alla sostituzione del serbatoio degli essudati al raggiungimento del livello di

guardia, per un periodo di circa 20 giorni ottenendo un netto miglioramento delle

lesioni.

58

Figura 13 -14: Lesioni talloni dx e sx a 4 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT.

59

Figura 15: Lesione a 8 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT con buona granulazione del fondo.

60

Figure 16 - 17: Tallone dx e sx a 12 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT.

61

Figure 18 -19: Lesioni al termine del trattamento.

62

Tabella 18: Paziente 10 lesione tallone dx.

Tabella 19: Paziente 10 lesione tallone sx.

Tipo 2° stadio

Sede Tallone dx

Dimensione

inizio trattamento

3x3 cm

Dimensione

fine trattamento

1x1 cm

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT.

Evoluzione

qualitativa della lesione

2° stadio 1° stadio

Durata

trattamento (gg)

192

Numero totale

di medicazioni effettuate

42

Tipo 2° stadio

Sede Tallone sx

Dimensione

inizio trattamento

3x3 cm

Dimensione

fine trattamento

1x1 cm

Tipo

di trattamento effettuato

Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT

Evoluzione qualitativa

della lesione

2° stadio 1° stadio

Durata

trattamento (gg)

192

Numero totale

di medicazioni effettuate

42

63

4 Risultati

Tabella riassuntiva dei dati:

Paziente Tipo Sede

Dimensione

inizio

trattamento

Dimensione

fine

trattamento

Tipo

trattamento

Evoluzione

qualitativa

della lesione

Durata

trattamento

(gg)

Numero

totale di

medicazioni

Paziente

1

stadio

Malleolo

dx 2x2,5 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

3°stadio

Guarigione 66 22

Paziente

2

stadio

Tallone

Dx 2,5x1,5 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 54 19

Paziente

3

stadio

Tallone

Dx 2x2 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 56 16

Paziente

4

stadio

Metatarso

sx 1x1x2 1x1

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

3° stadio

1° stadio 161 38

Paziente

5

stadio

Tallone

dx 3x4 2x3

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

3° stadio

2° stadio 66 18

Paziente

5

stadio Gluteo Sx 2x2 2x2

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

3° stadio

3° stadio 66 20

Paziente

6

stadio

Metatarso

dx 2,5x1,5 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 108 17

Paziente

7

stadio

Malleolo

dx 2,5x1,5 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

3°stadio

Guarigione 57 17

Paziente

8

stadio

Tallone

Dx 5x4 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 53 15

Paziente

9

stadio

Gluteo

Dx 1,5x1,5 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 32 14

Paziente

9

stadio Gluteo Sx 1x1 Guarigione

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

2°stadio

Guarigione 32 14

Paziente

10

stadio

Tallone

Dx 3x3 1x1

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

e NPWT

2°Stadio

1° Stadio 192 42

Paziente

10

stadio

Tallone

sx 3x3 1x1

Medicazioni

convenzionali

secondo

protocollo

e NPWT

2°Stadio

1° Stadio 192 42

64

5 Conclusioni:

Durante l’analisi dei dati in oggetto si sono riscontrate alcune “difficoltà tecniche” tra

le quali la non completa compilazione della “scheda di monitoraggio delle lesioni da

decubito”; infatti in alcune schede, mancavano informazioni relative l’evoluzione

della lesione, la data della medicazione e/o il tipo di trattamento effettuato, pertanto è

stato necessario analizzare i diari infermieristici nelle varie cartelle, per completare la

compilazione dei dati.

Un'altra problematica significativa riscontrata, è determinata dal fatto che non sempre

le lesioni venivano valutate e medicate dallo stesso operatore e che non sempre è stato

seguito il “protocollo per la prevenzione ed il trattamento delle lesioni da pressione”

predisposto dalla direzione medica di presidio.

Dall’analisi di questi dati si è visto come il grado di lesione maggiormente

rappresentato secondo la NPUAP sia il 2° stadio.

Fondamentalmente in tutti i dieci i casi elencati si è visto un miglioramento della ferita

tranne ad eccezione di un paziente che non ha riportato un miglioramento nonostante

i trattamenti e di 2 casi in cui i pazienti sono stati dimessi prima di ottenere la

risoluzione della ferita.

La sede più frequente d’insorgenza delle Lesioni da decubito è il tallone (6 casi),

seguito dalla regione glutea (3 casi).

Mediamente l’intervallo di tempo tra una medicazione e quella successiva è di 3 giorni.

Sono state utilizzate svariate tecniche terapeutiche e materiali nel trattamento di queste

lesioni. Tra i materiali più utilizzati si identificano le schiume di poliuretano e gli

idrogeli.

Sarebbe stato interessante elaborare un analisi dei costi complessivi dei trattamenti

effettuati in questi casi, analisi impossibile da completare per la mancanza di

informazioni riguardo la quantità di materiale utilizzato per singola medicazione.

Dall’analisi delle schede si evince che la NPWT ha portato a risultati più vantaggiosi

in tempi più rapidi. La gestione con NPWT ha inoltre ridotto in maniera importante la

necessità di debridement chirurgici seriati, soprattutto nelle prime fasi di terapia. Data

l’ampiezza e la profondità delle ferite trattate, la presenza di immobilità causata dalla

tetraplegia del paziente, è verosimile ipotizzare che i tempi di chiusura di queste ferite,

in assenza della NPWT, sarebbero stati certamente superiori, con necessità di

65

consulenze da parte di chirurghi plastici, terapie di supporto di una certa rilevanza ed

eventuali esposizione a rischi di peggioramento e complicanze.

Alla luce degli studi condotti e delle evidenze dimostrate nel corso della presente

trattazione, è stato possibile verificare che la NPWT ha conquistato il mercato delle

medicazioni avanzate introducendo importantissimi miglioramenti nella cura delle

ferite difficili e delle lesioni da decubito, avversario tutt’oggi temibile da tutti gli

operatori sanitari.

Non di minore importanza è il fattore motivazionale del paziente spesso scoraggiato

al momento della diagnosi di questa lesione difficile e rassegnato sia a trattamenti con

tempi notevolmente lunghi sia dalla sua nuova condizione di salute che ha cambiato

radicalmente la sua vita.

L’unico aspetto che non siamo riusciti a valutare sul paziente trattato con NPWT è la

percezione del dolore dovuto purtroppo alla mielolesione che lo ha colpito.

Volendo confrontare i nostri dati con la letteratura internazionale, secondo la Review

del 2011 della Cochrane Collaboration intitolata “Topical Negative Pressure for

treating Chronic Wounds” si evince come non ci sono ancora metanalisi complete a

causa del limitato numero di studi randomizzati controllati. Tuttavia secondo MC

Callon et all. in uno studio del 2000, è stato dimostrato come la NPWT abbia

notevolmente ridotto il tempo di guarigione delle ferite.

Anthony S. et all. nel 2004, hanno confermato quanto riportato nel precedente studio

citato, evidenziando come l’utilizzo della NPWT determini una netta diminuzione

dell’essudato delle ferite e una maggiore riduzione della carica batterica; evidenze già

confermate da Argenta LC. Et all in un vasto studio pubblicato sull’ Annal Plastic

Surgery nel 1997 54 55 56.

Concludendo la valutazione della medicazione con NPWT ha dimostrato ottimi

risultati in termini di controllo della carica batterica, gestione dell’essudato e gestione

globale delle ferite.

Deve essere quindi considerata come una componente fondamentale della gestione

globale della lesione da decubito, che può aiutarci ad affrontare questa condizione che

ancora oggi colpisce la maggior parte dei nostri pazienti.

66

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