1. INDAGINE SULLE PRATICHE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ E...

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11 1. INDAGINE SULLE PRATICHE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ E ALLO SPRECO ALIMENTARE A TORINO 1.1 Introduzione L’indagine qui presentata, svolta in collaborazione con l’associazione Està 1 e in parte cofinanziata da Compagnia di San Paolo 2 , muove dalla consapevolezza di quanto sia fondamentale, in termini di conoscenza e gestione del più ampio sistema alimentare urbano (nello specifico, torinese e metropolitano), il ruolo di quel sottosistema specifico e peculiare il cui obiettivo è nutrire le persone in condizioni di marginalità socio-economica: il sistema che sfama gli indigenti, o – come talvolta si legge nella letteratura scientifica, soprattutto di matrice anglosassone – il sistema del cibo d’emergenza. Su quest’ultima locuzione vale la pena soffermarsi un attimo a riflettere su quanto la semantica del termine emergenza si accosti o meno alla povertà alimentare, che rappresenta una delle dimensioni del più ampio fenomeno della povertà urbana. In molti casi, infatti, la marginalità socio-economica da cui ha origine la fragilità alimentare rappresenta una condizione di lungo periodo, ben 1 Il lavoro di ricerca è stato svolto da Alessia Toldo, Anna Paola Quaglia e Costanza Guazzo dell’Università di Torino in collaborazione con l’associazione Està – Economia e Sostenibilità e, in particolare, con Andrea Calori e Francesca Federici. La cartografia è stata curata dal Lartu – Laboratorio di Analisi e Rappresentazioni Territoriali e Urbane del Politecnico e Università di Torino, in particolare da Paola Guerreschi, Fereshteh Gholami e Margherita Venturi (che ha contribuito anche alla ricognizione sulle parrocchie). I dati sulla povertà urbana a Torino sono invece di proprietà del Rapporto lontana dalle dinamiche tipiche dell’emergenza. È il caso delle persone segnate da lunghe e drammatiche carriere di povertà. In altri casi, invece, e in particolare quando si riferisce alle cosiddette nuove povertà, l’idea di un sistema alimentare d’emergenza può essere collegato all’assistenza, anche alimentare, che allevia temporanei momenti di difficoltà. In questa logica, pur riconoscendone il carattere di immediatezza (e sebbene lo abbiamo più volte utilizzato, anche nel precedente Rapporto dell’Atlante) in questa sede preferiamo non riferirci al termine ‘sistema del cibo d’emergenza’; al suo posto, per definire l’insieme degli attori e delle risorse, materiali e immateriali, ad esso sottesi, useremo diverse espressioni, come il sistema che alimenta le persone in condizioni di insicurezza, o di povertà, alimentare sebbene, anche così, permangano diverse zone d’ombra. In primo luogo restano aperte alcune questioni semantiche legate all’assenza di definizioni chiare e univoche di povertà in generale, e povertà e insicurezza alimentare nello specifico. In seconda battuta, le cose si complicano ulteriormente se ci addentriamo nel funzionamento di questo sistema che si basa, in misura sempre crescente, sull’utilizzo delle eccedenze alimentari. Alle origini di questo meccanismo, cioè il recupero e la valorizzazione delle eccedenze alimentari come risorsa per contrastare l’insicurezza alimentare, vi è infatti la consapevolezza di quello che viene definito il “paradosso della scarsità nell’abbondanza” (Campiglio e Rovati, 2009; Rovati e Pesenti, 2015) che vede coesistere livelli crescenti di povertà alimentare e di spreco di risorse ancora edibili . Tradotto in cifre, il paradosso della scarsità nell’abbondanza a livello globale si riferisce allo spreco di circa un terzo della produzione alimentare totale (1,3 miliardi di tonnellate sui 3,9 totali), cifra che rappresenta 4 volte la quantità di cibo Giorgio Rota; si ringraziano Luca Davico, anche per il contributo alla costruzione dell’impianto teorico della ricerca e Viviana Gullino. 2 Il cofinanziamento da parte di Compagnia di San Paolo si riferisce, nello specifico, all’analisi delle pratiche di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociale a Torino e nei comuni della prima cintura, funzionale alla progettazione del nuovo bando “Fatto per Bene” con cui la fondazione sostiene le progettualità impegnate in questo tipo di attività.

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1. INDAGINE SULLE PRATICHE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ E ALLO SPRECO ALIMENTARE A TORINO

1.1 Introduzione L’indagine qui presentata, svolta in collaborazione con l’associazione Està1 e in parte cofinanziata da Compagnia di San Paolo2, muove dalla consapevolezza di quanto sia fondamentale, in termini di conoscenza e gestione del più ampio sistema alimentare urbano (nello specifico, torinese e metropolitano), il ruolo di quel sottosistema specifico e peculiare il cui obiettivo è nutrire le persone in condizioni di marginalità socio-economica: il sistema che sfama gli indigenti, o – come talvolta si legge nella letteratura scientifica, soprattutto di matrice anglosassone – il sistema del cibo d’emergenza. Su quest’ultima locuzione vale la pena soffermarsi un attimo a riflettere su quanto la semantica del termine emergenza si accosti o meno alla povertà alimentare, che rappresenta una delle dimensioni del più ampio fenomeno della povertà urbana. In molti casi, infatti, la marginalità socio-economica da cui ha origine la fragilità alimentare rappresenta una condizione di lungo periodo, ben

1Il lavoro di ricerca è stato svolto da Alessia Toldo, Anna Paola Quaglia e Costanza Guazzo dell’Università di Torino in collaborazione con l’associazione Està – Economia e Sostenibilità e, in particolare, con Andrea Calori e Francesca Federici. La cartografia è stata curata dal Lartu – Laboratorio di Analisi e Rappresentazioni Territoriali e Urbane del Politecnico e Università di Torino, in particolare da Paola Guerreschi, Fereshteh Gholami e Margherita Venturi (che ha contribuito anche alla ricognizione sulle parrocchie). I dati sulla povertà urbana a Torino sono invece di proprietà del Rapporto

lontana dalle dinamiche tipiche dell’emergenza. È il caso delle persone segnate da lunghe e drammatiche carriere di povertà. In altri casi, invece, e in particolare quando si riferisce alle cosiddette nuove povertà, l’idea di un sistema alimentare d’emergenza può essere collegato all’assistenza, anche alimentare, che allevia temporanei momenti di difficoltà. In questa logica, pur riconoscendone il carattere di immediatezza (e sebbene lo abbiamo più volte utilizzato, anche nel precedente Rapporto dell’Atlante) in questa sede preferiamo non riferirci al termine ‘sistema del cibo d’emergenza’; al suo posto, per definire l’insieme degli attori e delle risorse, materiali e immateriali, ad esso sottesi, useremo diverse espressioni, come il sistema che alimenta le persone in condizioni di insicurezza, o di povertà, alimentare sebbene, anche così, permangano diverse zone d’ombra. In primo luogo restano aperte alcune questioni semantiche legate all’assenza di definizioni chiare e univoche di povertà in generale, e povertà e insicurezza alimentare nello specifico. In seconda battuta, le cose si complicano ulteriormente se ci addentriamo nel funzionamento di questo sistema che si basa, in misura sempre crescente, sull’utilizzo delle eccedenze alimentari. Alle origini di questo meccanismo, cioè il recupero e la valorizzazione delle eccedenze alimentari come risorsa per contrastare l’insicurezza alimentare, vi è infatti la consapevolezza di quello che viene definito il “paradosso della scarsità nell’abbondanza” (Campiglio e Rovati, 2009; Rovati e Pesenti, 2015) che vede coesistere livelli crescenti di povertà alimentare e di spreco di risorse ancora edibili. Tradotto in cifre, il paradosso della scarsità nell’abbondanza a livello globale si riferisce allo spreco di circa un terzo della produzione alimentare totale (1,3 miliardi di tonnellate sui 3,9 totali), cifra che rappresenta 4 volte la quantità di cibo

Giorgio Rota; si ringraziano Luca Davico, anche per il contributo alla costruzione dell’impianto teorico della ricerca e Viviana Gullino. 2 Il cofinanziamento da parte di Compagnia di San Paolo si riferisce, nello specifico, all’analisi delle pratiche di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociale a Torino e nei comuni della prima cintura, funzionale alla progettazione del nuovo bando “Fatto per Bene” con cui la fondazione sostiene le progettualità impegnate in questo tipo di attività.

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necessaria per sfamare 795 milioni di persone in condizione di insicurezza alimentare (FAO, 2011). Questa incontrovertibile verità ci mette tuttavia di fronte a un altro problema di natura definitoria: cosa si intende per spreco alimentare? E ancora, spreco ed eccedenza sono la stessa cosa? Poiché riteniamo la costruzione di un vocabolario il più possibile chiaro e univoco (e magari anche condiviso fra coloro che operano all’interno di questo sistema e che lo studiano) un elemento imprescindibile sia in termini conoscitivi che operativi, abbiamo deciso di far precedere la ricerca vera e propria da una breve sezione, più teorica, che presenti i vari concetti e le relative definizioni. Ogni termine, evidentemente, verrà poi ripreso e trattato in maniera più dettagliata e specifica nei capitoli successivi; tuttavia, un primo allineamento sulle questioni più propriamente teoriche e definitorie ci sembra necessario per costruire una base comune da cui partire per l’analisi delle specificità del sistema torinese di contrasto alla povertà e all’insicurezza alimentare. Coerentemente, il secondo capitolo, che comincia a entrare nel dettaglio del caso studio, prova a descrivere il binomio scarsità/abbondanza nel contesto torinese, tratteggiando il quadro di riferimento della povertà urbana, da un lato e dello spreco alimentare, dall’altro. Come meglio descritto nel paragrafo sulla metodologia, entrambe le questioni sono state affrontate, in assenza di dati specifici e diretti, attraverso una serie di variabili utilizzate come proxy dei due fenomeni indagati. Il terzo capitolo si concentra invece sulle risposte locali alle fragilità socio-economiche del territorio dal punto di vista dell’assistenza alimentare: la ricerca analizza i principali soggetti e le principali pratiche di contrasto all’insicurezza alimentare, focalizzandosi in particolare sulle progettualità del terzo settore che recuperano e redistribuiscono le eccedenze a fini di solidarietà sociale. Infine, le conclusioni chiudono questa sezione del più rapporto del 2018 offrendo suggestioni, spunti di riflessioni e indicazioni di policy.

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1.2 La complessità dei fenomeni trattati: definire la scarsità e l’abbondanza

1.2.1 La scarsità

Operativamente, la scarsità si traduce nel fenomeno della povertà. Si tratta di un concetto notoriamente molto complesso, così come è complesso l’insieme di condizioni a essa sottese. Rimandando ad altre sedi per una trattazione più esaustiva, in questo capitolo cercheremo solo di fare il punto su alcune definizioni che possono costituire la base per una migliore comprensione anche del lavoro qui presentato. Nella sua accezione più comune la povertà è definibile come “l’assenza delle risorse monetarie occorrenti per garantire a sé e alla propria famiglia dignitose condizioni materiali di vita” (Townsend, 1979). Tuttavia, a seconda degli approcci utilizzati, quello che manca a coloro che possono essere definiti (non senza un certo grado di difficoltà) poveri può essere il benessere economico (approccio utilitarista), o ancora un paniere di beni e servizi (approccio dei bisogni primari) o l’incapacità a condurre esistenze adeguate (approccio della capacitazione). In termini operativi e funzionali alla sua misurazione, la povertà può essere considerata una condizione assoluta o relativa. Più in generale, il concetto di povertà assoluta si basa sull'idea stessa di sussistenza, ossia indica quelle condizioni di base che devono essere soddisfatte per sopravvivere. Secondo la Banca Mondiale, la soglia al di

3 La soglia di povertà assoluta è definita come «valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza» (http://www.istat.it/it/prodotti/contenuti-interattivi/ calcolatori/soglia-di-povertà). Per la sua stima ISTAT si avvale dell’indagine campionaria annuale su “I consumi delle famiglie”, che forniscono anche le stime della povertà relativa. 4 Ad esempio in Italia, secondo le stime dell’Istat, la soglia di povertà assoluta per un una persona di oltre 75 anni che vive sola in un centro di area metropolitana del Nord

sotto della quale si ha una condizione di povertà assoluta è, attualmente, 1,90 dollari al giorno. La povertà relativa, invece è un parametro che esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi in rapporto al livello economico medio di vita di una specifica società (per esempio a livello nazionale). In questo senso, la definizione di povertà relativa rinvia alla carenza di risorse necessarie per mantenere gli standard di vita della società di appartenenza e viene in genere misurata con la distanza dalla media dei consumi della popolazione di riferimento. Con riferimento alle definizioni adottate dall’ISTAT, la stima della povertà assoluta corrisponde alla capacità di spesa di un nucleo familiare rispetto a paniere di beni e servizi alimentari, abitativi e residuali –“essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale” (ISTAT, 2017, p. 19)3. La povertà relativa esprime, invece, “una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi” (ibidem). Va comunque osservato come anche la povertà assoluta, per l’ISTAT vari in relazione all’area geografica, alla dimensione del comune, alla tipologia e numerosità dei nuclei familiari4. Secondo le stime più recenti dell’ISTAT (2017), in Italia ci sono circa 1 milione e 619mila famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742mila individui. Rispetto al 2015 si rileva una sostanziale stabilità della povertà assoluta in termini sia di famiglie, sia di individui. Anche i valori della povertà relativa sono sostanzialmente stabili rispetto al 2015 e riguardano, nel 2016, il 10,6% delle famiglie residenti per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, che corrisponde al 14,0% dei residenti.

Italia è pari a un reddito medio mensile di 747 euro, nel 2015; mentre per una famiglia di due genitori con due figli piccoli la soglia di povertà è pari a 1.632 euro; nel Mezzogiorno, le soglie sotto le quali si vive in povertà assoluta, per le stesse due tipologie di nuclei familiari, risultano decisamente inferiori, pari, rispettivamente, a 574 e 1.273 euro mensili (Rapporto Giorgio Rota, 2018).

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Sebbene non siano disponibili dati disaggregati a livello comunale e pur nella consapevolezza che non si tratti di un fenomeno intrinsecamente ed esclusivamente urbano, sappiamo che la povertà assoluta è maggiormente concentrata nelle grandi città. Secondo l’ISTAT (2017), i centri di area metropolitana del Nord Italia registrano un’incidenza della povertà assoluta pari a 9,8% (2015) e 5,5% (2016) sul totale della popolazione residente – valori che segnano il primato negativo delle grandi città rispetto alle altre tipologie di comune di residenza. La scarsità alimentare Ancora meno dati caratterizzano la scarsità declinata in termini di povertà alimentare. Per quanto concerne la mancanza di cibo in quantità e qualità, essa si traduce in concetti come insicurezza alimentare e negazione del diritto al cibo, che corrispondono a fenomeni diversi anche se fortemente interconnessi: fame, fame occulta, sottoalimentazione, sotto-nutrizione, malnutrizione (obesità e sovrappeso), insicurezza nutrizionale, malattie croniche non trasmissibili dovute alla cattiva alimentazione. Rimandando ad altre sedi per una trattazione più esaustiva (Pettenati e Toldo, 2018) tutte queste situazioni, sebbene diverse fra loro, sono accomunate dall’assenza di sicurezza alimentare e dalla compromissione del diritto al cibo, concetti che vengono spesso utilizzati, impropriamente, come sinonimi5. In questo rapporto presentiamo, assumendole, le definizioni più note. Per diritto al cibo si intende la condizione in cui ogni uomo, donna e bambino, da solo o in comunità con altri, ha accesso fisico ed economico in ogni momento a cibo e mezzi adeguati per il suo approvvigionamento. Per quanto concerne la sicurezza alimentare, essa corrisponde alla condizione che sussiste quando tutta la popolazione - in qualsiasi momento - ha accesso fisico ed economico ad alimenti sicuri, in quantità

5 Per una trattazione più approfondita si rimanda a Sassi (2009) e Bottiglieri (2015). In generale, possiamo affermare che, sebbene molto simili, queste due definizioni sottendono concetti molto diversi: la sicurezza alimentare rappresenta infatti un obiettivo politico, soggetto peraltro a possibili ridefinizioni (come testimoniato dalla

sufficienti e nutrienti, in modo tale da soddisfare i propri bisogni nutrizionali e condurre una vita attiva e salutare (FAO, 1996); in particolare, l’insicurezza alimentare è caratterizzata da quattro dimensioni: - la disponibilità, che attiene alla quantità di cibo sano e nutriente, in

una condizione di ragionevole prossimità o semplice da raggiungere, per soddisfare le necessità delle persone, in un determinato paese. Ovvero, il cibo (in quantità e qualità opportuna) è fisicamente presente?

- l’accesso, che attiene alle risorse sufficienti, a livello familiare e dei singoli individui, per ottenere il cibo necessario a una dieta nutriente. Ossia, se il cibo è disponibile, le famiglie e individui hanno i mezzi per procurarsi cibo in quantità e qualità opportune?

- l’utilizzo, che attiene alla possibilità di avere una dieta con calorie e nutrienti sufficienti, acqua potabile e servizi igienico-sanitari. Ovvero, se il cibo è disponibile e accessibile, famiglie e individui hanno le possibilità di usarlo correttamente?

- la stabilità che attiene a cibo disponibile, accessibile e utilizzabile per tutte le persone in ogni momento. Ossia, Il sistema alimentare è stabile? Ossia garantisce una condizione di sicurezza alimentare continuativa? (Pettenati e Toldo, 2018).

L’assenza di una o più condizioni determina quindi una condizione di insicurezza alimentare che può essere transitoria o cronica a seconda della durata, e più o meno grave a seconda dell’intensità dei fenomeni connessi (Maino et al., 2016). In questo senso appare ovvio come i fattori che determinano situazioni di insicurezza alimentare varino a seconda del contesto di riferimento: se nei paesi del Sud del mondo si registrano difficoltà relative a tutti e quattro le dimensioni, nei paesi del Nord globale

sua evoluzione nel tempo); il diritto al cibo, invece, si riferisce a una condizione imprescindibile e inalienabile connessa alla sola dignità umana, resa operativa sotto forma di nozione legale, con un contenuto normativo chiaro e vincolante, riconosciuto e tutelato attraverso la giurisprudenza internazionale e nazionale.

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le problematiche tendono a concentrarsi sull’accesso economico al cibo (ibidem). Misurare la povertà alimentare non è un’impresa semplice6. Eurostat, per esempio, per definire il tasso di persone che si trovano in uno stato di grave deprivazione materiale considera anche “l’incapacità di permettersi un pasto di carne o pesce (o equivalente vegetariano) ogni due giorni”. In base agli ultimi dati disponibili (Eurostat, 2015) relativi al 2014, gli italiani che dichiaravano di trovarsi in questa condizione erano il 12,6% della popolazione residente, in notevole aumento rispetto al 2008 (in cui erano il 7,5% e in diminuzione rispetto al picco del 2012, con il 16,8%) (ibidem). Altri dati recenti sulla povertà alimentare delle famiglie italiane sono desumibili a partire dalla metodologia ISTAT di misurazione della povertà assoluta che si basa, come anticipato, su un paniere di beni e servizi che si compone di tre parti: la componente alimentare, quella abitativa e quella residuale che comprende altre voci di spesa (sanità, trasporti, abbigliamento etc). In un’indagine recente, condotta da Gisella Accolla e presentata in Rovati e Pesenti (2015), che utilizza questo approccio, vengono definite povere da un punto di vista alimentare, le famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà assoluta calcolata per l’intero paniere dei beni e servizi e, contemporaneamente, presentano una spesa alimentare inferiore alla soglia assoluta riferita alla sola componente alimentare. Tale procedura, grazie ai dati ISTAT sui consumi delle famiglie, permette una stima delle spese alimentari delle famiglie e della povertà alimentare a livello regionale. In questo quadro, nel 2013 gli italiani hanno speso una media di 228 euro al mese, per persona, per generi alimentari e sono in condizione di povertà alimentare 1 milione 737 famiglie, che corrispondono al 6,8% del totale (Accolla, 2015). Se consideriamo invece i singoli individui, la percentuale sale al 9,1% e l’incidenza di povertà per età evidenzia come il rischio di vivere in famiglie alimentarmente povere sia più elevato per i minorenni: i bambini e i giovani insicuri da un punto di vista alimentare sono l’11% del totale, pari a 1 milione e 300 mila. 6 Per un approfondimento sulla misura dell’insicurezza alimentare e della fame nei paesi del Sud globale, cfr. Pettenati e Toldo (2018), capitolo 4.

Infine, segnaliamo alcune ulteriori indagini di tipo quantitativo e qualitativo sul tema della povertà in generale (Fondazione Zancan, 2014) e Saraceno (2015) e più nello specifico sulla povertà alimentare svolta da Luca Pesenti sugli utenti della Rete banco Alimentare (Pesenti, 2015).

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1.2.2 L’abbondanza

Una complessità analoga caratterizza l’altro termine del paradosso, l’abbondanza. In termini intuitivi, esso si riferisce al fenomeno dello spreco di cibo, ossia alla perdita – per diverse ragioni – di alimenti ancora perfettamente edibili. Come anticipato, nel 2011 la FAO stimava come a livello globale, circa un terzo della produzione alimentare totale (corrispondente a 1,3 miliardi di tonnellate sui 3,9 totali prodotti) venisse sprecata. Ma esattamente, cosa si intende per spreco alimentare? Dove si genera, e perché? E, di conseguenza, quali sono le politiche che possono essere attivate per ridurre queste cifre? Andando per ordine, la FAO identifica perdite alimentari lungo tutte le fasi della filiera distinguendole in food losses e food waste (cfr. figura 1). Figura 1 – Food Losses e Food Waste secondo la FAO Fonte: nostra rielaborazione su FAO, 2011

Le prime sono generate principalmente nelle fasi di produzione, raccolta, trasformazione e distribuzione; mentre le seconde dipendono dai comportamenti di chi vende e di chi consuma. In termini operativi, riteniamo che una delle concettualizzazioni più efficaci per comprendere la distinzione fra spreco, eccedenza e rifiuto alimentare sia quella proposta da Garrone et al. (2012). Lo studio condotto dal Politecnico di Milano, definisce questi concetti come parti della più ampia disponibilità alimentare, con cui si intende il totale della produzione alimentare lungo tutta la filiera. La disponibilità alimentare, comprende infatti i prodotti alimentari nei diversi stadi della filiera e a diversi gradi di trasformazione, ed è costituita da tre componenti (cfr. figura 2) il consumo umano, le eccedenze alimentari e gli scarti alimentari: - il consumo umano è la componente commestibile che arriva al

consumatore attraverso i canali tradizionali e viene consumata dalle persone;

- le eccedenze alimentari sono la componente commestibile che viene realizzata, trasformata, distribuita o somministrata ma che, per varie ragioni, non viene venduta o consumata. Le eccedenze comprendono il cibo realizzato nel settore primario, trasformato nella fase di trasformazione, distribuito nella fase di distribuzione, preparato e somministrato nella fase di somministrazione, ma che non riesce a percorrere tutta la filiera e a giungere al consumatore. Inoltre è considerata eccedenza alimentare anche quella parte di alimenti acquistati dal consumatore ma non consumati.

- infine, lo scarto alimentare è la componente non più commestibile o non destinata al consumo umano.

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Figura 2 – Componenti della disponibilità alimentare

Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al., 2012 e EPA, 2012.

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A livello nazionale, vengono prodotte in un anno circa 5,6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari, che rappresentano il 16,8% dei consumi annui alimentari (pari a circa 33 milioni di tonnellate, sommando ristorazione e consumo domestico). Inoltre ogni anno vengono sprecate in una prospettiva sociale 5,1 milioni di tonnellate di cibo, che rappresentano il 15,4% dei consumi annui alimentari e il 91,4% dell’eccedenza alimentare (solo una piccola parte dell’eccedenza alimentare viene recuperata per alimentazione umana). Figura 3 – La rilevanza del fenomeno a scala nazionale

Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al., 2015.

Si tratta, ovviamente, di un sistema a elevato grado di complessità: i singoli stadi della filiera hanno organizzazioni e problematiche molto diverse: per comprendere il fenomeno di generazione dell’eccedenza e dello spreco sociale, ogni stadio va dunque scomposto in segmenti, sulla base di ciò che più influenza il processo di generazione dell’eccedenza

stessa e il relativo grado di fungibilità, ovvero “la possibilità̀ di utilizzare l’eccedenza con un livello minimo di attività̀ aggiuntiva da parte degli attori della filiera” (Garrone et al., 2015) (cfr. figure 4 e 5). Figura 4 – La complessità del sistema e le diverse fungibilità

Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al., 2012.

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In quest’ottica è importante: - per quanto concerne la produzione, considerare la tipologia di cibo:

l’ortofrutta che rimane sul campo è più facilmente impiegabile per consumo umano dei tagli di carne che escono dai macelli;

- per quanto concerne la trasformazione, considerare la temperatura di conservazione degli alimenti: un prodotto a temperatura ambiente ha una fungibilità molto diversa da un fresco o un surgelato per i quali è necessario il mantenimento della catena del freddo;

- per quanto concerne la ristorazione, considerare le differenze tra ristorazione collettiva e commerciale: i prodotti della prima hanno una fungibilità maggiore a causa dell’organizzazione differente - sistema di gare di appalto e capitolati, domanda nota in anticipo;

- per quanto concerne la distribuzione, considerare il processo logistico; infatti, i prodotti che transitano dalle grandi piattaforme logistiche dalle quali vengono riforniti i punti vendita della GDO hanno una fungibilità più elevata dei prodotti nei punti vendita.

Lo stadio del consumo (domestico), invece, non è ulteriormente segmentabile. Ovviamente, ogni singolo segmento presenta diverse possibilità di intervento, sia nella riduzione delle eccedenze sia nella redistribuzione delle stesse per finalità di solidarietà sociale. Per gli obiettivi del presente contributo si presenta un focus su due stadi, la GDO e le ristorazione, in ragione di una loro ampia trattazione a livello scientifico, ma soprattutto in base alla considerazione che il rapporto “attività aggiuntiva necessaria/risultati” può essere più elevato7. Figura 5 – Il dettaglio dei singoli segmenti (produzione, ristorazione e consumo). Dove si può intervenire?

7 Esistono segmenti (il commercio al dettaglio, all’interno dello stadio della distribuzione) che non vengono analizzati dalle varie ricerche nazionali, ma che sono potenzialmente aree di indagine molto interessanti per la città di Torino.

Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al., 2012.

Figura 6 – Il dettaglio dei singoli segmenti (trasformazione e distribuzione). Dove si può intervenire?

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Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al., 2012.

Box 1 – Il recupero delle eccedenze nella GDO I numeri dello spreco nella GDO sono diversi, a seconda dei progetti di valutazione e delle metodologie di calcolo utilizzate: - 690.000 ton/anno di spreco sociale (91,4% dell’eccedenza

alimentare); 1,9 miliardi € costo totale (Garrone, 2015); - 9,5 kg/anno di spreco per mq di superficie di vendita negli

ipermercati e 18,8 kg/anno per mq nei supermercati. Il 35% di questo spreco potrebbe essere recuperabile per alimentazione umana. Incidenza dello spreco alimentare sul fatturato dei punti

vendita sotto l’1% per gli ipermercati, e intorno all’1,4% per i supermercati (Reduce, 2018);

- tra gli 8 Kg e i 2 Kg il devoluto medio annuo per mq di superficie di vendita (Reti Territoriali virtuose, 2017).

Le cause di produzione di eccedenza nella GDO sono imputabili a: - raggiungimento della sell by date interna (per i CE.DI); - raggiungimento della sell by date del prodotto (per i punti vendita,

fenomeno acuito dal comportamento del consumatore, che sceglie i prodotti con la data di scadenza più lontana);

- degrado del packaging, dovuto sia a danneggiamenti, sia a packaging relativi a promozioni “scadute”;

- danneggiamenti (per i centri distributivi, a causa di errate movimentazioni, per i punti vendita a causa delle manipolazioni dei clienti).

Se si esclude la trasformazione, lo stadio della distribuzione ha la più bassa percentuale di conversione della disponibilità alimentare in eccedenza (1,4%); ha però un’elevatissima % di trasformazione dell’eccedenza in spreco (92,48%), pur avendo una fungibilità medio/alta. Centri distributivi e punti vendita hanno flussi comparabili, ma i primi generano percentualmente meno eccedenza e questa si trasforma meno in spreco: - per i centri distributivi è fondamentale l’efficienza logistica, inoltre

non tutti i prodotti che raggiungono il punto vendita passano dalle piattaforme logistiche;

- i punti vendita si relazionano direttamente con il consumatore, con conseguenti politiche che prevedono un assortimento completo di tutti i prodotti fino all’orario di chiusura del negozio.

Figura 7 –GDO, eccedenze e spreco alimentare

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Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al. (2012)

Box 2 – Il recupero delle eccedenze nella ristorazione Analogamente alla GDO, anche per quanto concerne la ristorazione i numeri dello spreco sono diversi, a seconda dei progetti di valutazione e delle metodologie di calcolo utilizzate: - 185.000 ton/anno di spreco sociale (88,1% dell’eccedenza), 2,6

miliardi € costo totale; nella ristorazione collettiva il 20% dell’eccedenza viene recuperata, ovvero 18.000 ton/anno (Garrone, 2015);

- nelle mense scolastiche il 29,5% del pasto viene gettato (Reduce, 2018).

Le cause di produzione di eccedenza nella ristorazione sono principalmente imputabili a: - errata pianificazione del numero di pasti o variazione del numero

di prenotazioni; - errata preparazione delle pietanze; - nel caso in cui i pasti vengano preparati nei centri cottura e poi

veicolati nei centri di servizio, si possono generare eccedenze legate a ritardi durante il trasporto.

Lo stadio della ristorazione ha una elevatissima percentuale di creazione dell’eccedenza (6,31%) e di trasformazione di questa in spreco (90,82%), però ha flussi annui molto bassi rispetto agli altri stadi. Rispetto alla ristorazione collettiva, la ristorazione commerciale ha volumi più elevati, percentualmente una maggior quantità di disponibilità alimentare si trasforma in eccedenza e una maggior quantità di eccedenza si trasforma in spreco. Figura 8 – Ristorazione, eccedenze e spreco alimentare

Fonte: nostra rielaborazione su Garrone et al. (2012)

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1.2.3 Le risposte dei territori: il sistema che nutre gli indigenti e la geografia della solidarietà

La risposta al paradosso della scarsità nell’abbondanza da parte dei territori si traduce nel sistema complesso di contrasto alla povertà alimentare. Concretamente, esso dà origine a una complessa e multi-scalare geografia della solidarietà. Complessa perché ad essa fanno capo una pluralità di soggetti organizzati, istituzionali e del privato sociale, o non, con progettualità strutturate, ma anche iniziative completamente informali che attivano diverse forme di relazione sia reciproca, sia con gli utenti finali (ossia le persone in condizione di marginalità socio-economica); complesso, ancora, perché le modalità di assistenza sono svariate e propongono filosofie e modelli assistenziali molto diversi (il pacco alimentare, la mensa, il recupero delle eccedenze, etc.); multi-scalare perché alcuni di questi soggetti operano a livelli diversi e le scale coinvolte anno dal livello sovralocale dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura – AGEA (cfr. BOX 3), fino alle realtà più micro delle reti informali che coinvolgono singoli cittadini nel recupero di eccedenze, per esempio, in un mercato rionale urbano. Sebbene non sia questa la sede per un approfondimento a livello teorico, riteniamo utile fornire una breve panoramica sul funzionamento, più in generale, di questo sistema, alcuni dati desumibili dalle principali analisi condotte sul tema e alcuni riferimenti interessanti per chi avesse voglia di entrare più nel dettaglio della questione.

8 Da questo sistema sono escluse quelle forme di aiuto al reddito che passano, per esempio, attraverso l’integrazione al reddito grazie all’agricoltura sociale.

Il sistema alimentare che nutre le persone in condizioni di marginalità socio-economica è definito, nel manuale prodotto da due dei suoi principali attori (Banco Alimentare e Caritas), come il sistema di recupero, raccolta e distribuzione di cibo a fini di solidarietà sociale8. Le norme nazionali che regolano questo settore sono: - la Legge 155/2003 detta “Legge del Buon Samaritano “ che

garantisce che le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, ss. mm., che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari siano equiparate, nei limiti del servizio prestato, al consumatore finale. Tale norma, in linea con l’Articolo 21 del Regolamento (CE) n. 178/2002 e altre norme di responsabilità civile, assicura che il donatore sia protetto da eventuali azioni giudiziarie derivanti dal prodotto donato;

- la Legge 147/2013 art. 1 c. 236 e c. 237 ha riconosciuto il valore sociale delle O.N.L.U.S. che effettuano la distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari;

- la Legge 19 agosto 2016, n. 166 contro gli sprechi alimentari, detta “Legge Gadda” persegue la finalità di ridurre gli sprechi per ciascuna delle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione di prodotti alimentari, farmaceutici e di altri prodotti. Fra gli obiettivi, quelli che riguardano il sistema alimentare sono: - favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari

a fini di solidarietà sociale, destinandole in via prioritaria all'utilizzo umano;

- contribuire alla limitazione degli impatti negativi sull'ambiente e sulle risorse naturali mediante azioni volte a ridurre la produzione di rifiuti e a promuovere il riuso e il riciclo al fine di estendere il ciclo di vita dei prodotti;

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- contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali stabiliti dal Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, adottato ai sensi dell'articolo 180, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e dal Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare previsto dal medesimo Programma, nonché alla riduzione della quantità dei rifiuti biodegradabili avviati allo smaltimento in discarica.

Operativamente, questo sistema funziona ridistribuendo: - eccedenze alimentari che, come abbiamo già visto, sono la

componente commestibile che viene realizzata, trasformata, distribuita o somministrata ma che, per varie ragioni, non viene venduta o consumata. recupero dell’eccedenza;

- aiuti alimentari forniti dal FEAD tramite AGEA; - donazioni di prodotti alimentari ancora vendibili; - eventuale acquisto delle associazioni di quei prodotti che servono

a completare l’offerta alimentare. Gli attori coinvolti sono: - AGEA - gli attori del sistema alimentare intesi come le aziende che

producono, trasformano, distribuiscono e somministrano cibo; - le realtà “back line” senza contatto diretto con gli indigenti e con

alta capacità di interazione con le aziende della filiera “donatrici” (per esempio il Banco Alimentare)

- le realtà “front line” con un contatto diretto gli indigenti e limitata capacità di interazione con le aziende della filiere “donatrici”. Queste realtà interagiscono con gli utenti finali attraverso specifiche modalità: - i servizi mensa; - la distribuzione di pacchi alimentari; - gli empori sociali; - la distribuzione di cibi e bevande tramite unità di strada; - la distribuzione di cibi e bevande domiciliare.

- vi sono anche casi intermedi (realtà “ibride”), dove vi è un pari sviluppo delle due funzioni. Si tratta soprattutto di realtà dove l’approvvigionamento e la distribuzione hanno carattere fortemente locale.

- gli utenti finali.

Figura 9 – Le catene di redistribuzione alimentare

Fonte: nostra rielaborazione da Garrone et al. (2015, pag. 47).

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Box 3 – Agenzia per Erogazioni in Agricoltura – AGEA L'AGEA, Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA) è l’ente nazionale che svolge le funzioni di Organismo di Coordinamento e di Organismo pagatore nell'ambito dell'erogazione dei fondi dell'Unione europea ai produttori agricoli. Per quanto concerne, nello specifico, gli aiuti alimentari, l’AGEA è l’organismo intermedio, designato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che gestisce l’acquisto e la distribuzione principalmente di beni alimentari (ma non solo) finanziati dal FEAD - Fund for European Aid to the Most Deprived, il fondo europeo di aiuti agli indigenti. In generale, circa il 60% del FEAD è destinato all’assistenza alimentare. Per il periodo 2014-2020, il FEAD ha stanziato circa 789 milioni di euro per attuare sul territorio nazionale una serie di interventi a favore di persone in condizioni di grave deprivazione materiale. Operativamente, AGEA svolge la sua attività attraverso l'emanazione di bandi di gara per le forniture e per il controllo delle forniture di prodotti alimentari che vengono successivamente distribuiti sul territorio attraverso sette strutture accreditate (Associazione Sempre Insieme per la pace, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Croce Rossa Italiana, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Fondazione Banca Alimentare Onlus e Fondazione Banco delle Opere di Carità): Queste strutture, a loro volta, redistribuiscono i beni alimentari agli enti territoriali (nel 2014, quasi 17.000 strutture che hanno assistito quasi 4.000 persone). Inoltre è da segnalare come il FEAD preveda per le strutture caritative che distribuiscono direttamente agli indigenti l’obbligo di avviare misure di accompagnamento sociale finalizzate ad alleviare l’esclusione degli indigenti (Frigo, 2015). Questo aspetto ha rappresentato un’importante novità, poiché l’aiuto alimentare - a esclusione dei casi estremi di emergenza (e qui torna la questione, non solo semantica, sul sistema d’emergenza) non è più visto come un aiuto a sé stante, ma viene inteso come parte di una più generale strategia di assistenza e può essere messo fornito solo da strutture che siano in grado di attivare processi di coinvolgimento e inclusione sociale dei beneficiari.

Figura 10 - Prodotti AGEA. Fonte: http://www.nebrodi24.it/2016/09/25/brolo-ieri-la-distribuzione-del-banco-

alimentare/, giugno 2018.

Infine, un ultimo aspetto interessante da segnalare per quanto concerne i prodotti AGEA riguarda l’etichetta, posta su ogni confezione, che li identifica come “Prodotto per indigenti. Non commerciabile”. Si tratta, ovviamente, di un’etichettatura finalizzata a scoraggiare eventuali frodi, che tuttavia viene percepita da molte associazioni come fortemente discriminatoria e stigmatizzante per gli utenti finali. Da un’intervista con il Banco Alimentare (Moncalieri, 27 marzo 2018) è emerso come questa modalità di riconoscimento dei prodotti AGEA sia in fase di revisione e da quest’anno presenti un packaging diverso, funzionale a evidenziarne la qualità piuttosto che la tipologia di beneficiario a cui è destinato.

Stimare e descrivere la geografia della solidarietà alimentare nella sua totalità è un’impresa ardua. Vi sono però diverse indagini che hanno cercato di descriverne dei segmenti specifici, o dei contesti territoriali specifici, come d’altronde cerca di fare l’analisi che vi proponiamo in questo rapporto. In questo senso, una prima interessante analisi è quella condotta da Blangiardo e Rimoldi, pubblicata in Rovati e Pesenti (2015) che ricostruisce il quadro a

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livello nazionale delle strutture che distribuiscono prodotti alimentari accreditate presso l’AGEA. Lo studio condotto, seppur senza pretesa di esaustività rispetto all’universo dei soggetti che offrono sostegno agli indigenti, ne copre tuttavia una larga parte, fornendo un contributo prezioso per l’analisi della povertà alimentare in Italia. L’indagine ha infatti censito 16.948 strutture al 2014, attive su diversi fronti (mense benefiche e pacchi alimentari, ma anche servizi di natura residenziale e coordinamento di altri enti). Dall’analisi emerge una geografia fortemente squilibrata degli aiuti alimentari verso il Mezzogiorno, sia in termini di distribuzione dei centri, sia di incidenza dell’offerta sul totale della popolazione (cfr. tabella x). Mediamente, ciascun ente fornisce assistenza a circa 240 utenti. Come emerge dalla tabella xx, più di due terzi degli enti (circa il 77%, pari a oltre 13.100 centri) svolge attività di distribuzione di pacchi alimentari, fronteggiando il bisogno del 92% degli assistiti; le mense benefiche sono invece un’attività più complessa, svolta da quasi il 10% degli enti (circa 1.600) che sostiene quasi il 6% degli assistiti (Blangiardo e Rimoldi, 2015). Tabella 1 – Numero di centri rilevato al 1 gennaio 2014 per macro-ripartizioni

Ripartizione Numero enti % Incidenza sulla popolazione (x 100.000 residenti, valore al 2001)

Nord-occidentale 3.280 19,4 20,3 Nord-orientale 2.159 12,7 18,5 Centrale 3.154 18,6 26,1 Meridionale 5.744 33,9 40,5 Insulare 2.611 15,4 38,6 Totale 16.948 100 27,9

Fonte: Blangiardo e Rimoldi, 2015, pag. 52

Tabella 2 – Centri per tipo di servizio e quota di assistiti

Tipo di servizio Numero di centri

% Quota di assistiti in %

Gestione mensa 1.606 9,5 5,9 Distribuzione pacchi alimentari

13.107 77,3 92,5

Servizi di natura resideniale

2.220 13,1 1,6

Coordinamento di altri enti

15 0,1 0,0

Totale 16.948 100 100 Fonte: Blangiardo e Rimoldi, 2015, pag. 53

Esistono altre analisi su soggetti che erogano aiuti alimentari; una, a livello campionario, sullo “stato di salute” delle organizzazioni caritative che erogano aiuti agli indigenti attraverso il supporto operativo della Fondazione Banco Alimentare Onlus e delle sue singole organizzazioni regionali (Rovati, 2015). Un altro studio molto interessante è quello condotto da Bergamaschi e Musarò (2011) sulle mense benefiche della città di Bologna. Infine un’ultima analisi che segnaliamo è quella sulla povertà alimentare e il secondo welfare, presentata nelle sue varie sezioni nel volume a cura di Maino, Lodi Rizzini e Bandera (2016) che riporta sia un approfondimento degli empori sociali, come nuova forma di risposta alla condizione di insicurezza alimentare; sia un focus su altre strategie di contrasto alla povertà alimentare come l’agricoltura urbana (per esempio attraverso gli orti sociali come fonte di integrazione alimentare al reddito), ma anche le piattaforme tecnologiche, generalmente più legate al contrasto delle spreco alimentare attraverso il recupero delle eccedenze, ma in alcuni casi connotate anche da valenze sociali.

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1.3 La scarsità e l’abbondanza a Torino 1.3.1 La povertà urbana Da un punto di vista metodologico, come anticipato, non vi sono dati precisi sulle povertà urbane. Per questa ragione abbiamo fatto riferimento al lavoro condotto per la diciottesima edizione del Rapporto Giorgio Rota su Torino (2017), che utilizza diverse variabili come proxy della povertà al fine di tratteggiare il quadro della marginalità socio-economica della città: - il reddito, articolato per zone statistiche. Si tratta, ovviamente, di un

dato importante per individuare le aree più deprivate ma occorre considerare, in prima luogo, come i valori a disposizione si riferiscano al 2009; e, in seconda battuta, come le persone in condizioni di indigenza più estrema, come i senza fissa dimora, non rientrino in questa classificazione;

- le forme di sostegno al reddito da parte dei principali enti di assistenza (il Comune di Torino, la Caritas e l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo);

A queste due variabili abbiamo affiancato il livello di istruzione, inteso nella sua duplice accezione di proxy sia della marginalità socio-economica (sebbene meno diretta del reddito e delle forme di sostegno), sia di una delle quattro dimensioni della sicurezza alimentare, l’utilizzo. Dalla rappresentazione delle classi del reddito (figura 11) emerge – come ben descritto nel Rapporto Rota (2017, pag. 159) – una geografia sociale ormai fortemente consolidata, in cui l’asse di corso Regina Margherita risulta una sorta di confine simbolico, piuttosto netto, tra le zone centrali benestanti e le aree più povere; al tempo stesso, si nota però la presenza di zone a basso reddito anche altrove, ad esempio a San Salvario nord (area quest’ultima in cui si registra il reddito più basso dell’intera città, di poco inferiore a quelli delle zone Borgo Dora, Monterosa, Monte Bianco, Aurora).

Figura 11 – Distribuzione del reddito (dati 2009) per zone statistiche

Fonte: Rapporto Rota, 2017, pag. 159

Seguendo l’analisi del Rapporto Rota, la quota di chi dispone di meno di 1.000 euro all’anno è cresciuta di 9 punti percentuali fra il 2008 e il 2014 (da 35.204 a 38.458 casi). Tuttavia, come anticipato, una parte della popolazione più indigente risulta “invisibile”. Nel periodo 2008-2014 il numero di contribuenti con dichiarazione è sceso di oltre 38.000 unità: è probabile che la gran parte dei contribuenti “perduti” sia costituita da chi non ha più un lavoro oppure ha redditi talmente bassi da non dover presentare la dichiarazione (nel 2014, ad esempio, erano esentati coloro che avevano guadagnato meno di 8.000 euro annui). Se si sommano questi torinesi “spariti dai radar” dell’ufficio imposte ai torinesi che hanno dichiarato redditi annui inferiori a 8.000 euro, si ricava che nel complesso

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essi corrispondono a circa un quinto dei residenti maggiorenni a Torino (Rapporto Rota, 2017, pag. 161). L’incidenza di alcune categorie nelle diverse classi di reddito rivela caratteristiche proprie di questo contesto: la categoria dei pensionati è relativamente omogenea nelle varie fasce. Vi è una forte presenza, nelle fasce a bassissimo reddito, di lavoratori sia dipendenti sia autonomi. In particolare è evidente la presenza dei cosiddetti “lavoratori poveri”. I dipendenti e gli autonomi con reddito inferiore alla soglia di 1.000 euro mensili sono nel 2014 ,rispettivamente 82.834 e 41.627, per un’incidenza complessiva pari al 21,1% di tutti i contribuenti della città. La condizione di working poor – ossia di chi, pur lavorando, vive in povertà – colpisce soprattutto le fasce precarie del mercato del lavoro, fra cui vi sono molti stranieri e giovani. Figura 12 - Fasce di reddito nel comune di Torino, per macro-categorie di contribuenti al 2014

Fonte: Rapporto Rota, 2017, pag. 161.

Poiché, come anticipato, diversi indizi fanno pensare che una parte della povertà non venga intercettata dalle statistiche ufficiali, può essere utile ricorrere ad altre fonti, fra cui le diverse forme di sostegno offerte agli

indigenti da parte dei principali enti di assistenza sul territorio (Comune, Caritas e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo). I dati dell’assistenza rivelano numeri in crescita e delineano la diffusione della povertà nelle varie zone di Torino. Figura 13 – Assistiti al 2008 e 2016 Figura 14 – Assistiti al 2012 e 2016 Fonte per figura 13 e 14: nostra rielaborazione su dati Rapporto Rota, 2017.

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La spazializzazione dei valori mostra, da un lato, corrispondenze ricorrenti (con ingenti flussi di aiuti diretti nelle stesse aree della città, come piazza Respighi, via Bologna e via Sempione); dall’altro evidenziano flussi di complementarietà: nel quartiere Vallette, per esempio, a fronte di flussi relativamente bassi da parte del Comune, si registra un forte aiuto da parte dell’Ufficio Pio; viceversa nella zona di via Artom (Rapporto Rota, 2017, pag. 163).

Figure 15, 16 e 17 – Numero di assistiti da parte del Comune di Torino (in rosso), Caritas (in giallo) e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo (in verde) per zona statistica, anno 2016. Fonte: nostra elaborazione su dati Rapporto Rota, 2017

Figura 18 – Numero totale di assistiti per zona statistica, anno 2016.

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Fonte: nostra elaborazione su dati Rapporto Rota, 2017.

Infine, l’istruzione può essere assunta come proxy di una delle quattro dimensioni di base della sicurezza alimentare: l’utilizzabilità. Con utilizzabilità si intende la possibilità, per una popolazione di riferimento, di utilizzare il cibo in modo tale da garantirsi una dieta equilibrata e adeguata agli stili di vita del contesto di riferimento. In particolare, rientra nel concetto di utilizzabilità (insieme alla possibilità di accedere a servizi igienico-sanitari adeguati), anche il possesso di appropriate conoscenze di nutrizione di base, utili per fare scelte alimentari corrette. Figura 19 – Percentuale di laureati per ACE, anno 2011

Fonte: nostra elaborazione su dati Rapporto Rota, 2017.

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Una visione di sintesi emerge dalla distribuzione dell’indice di deprivazione, che rivela le aree tradizionalmente più svantaggiate in termini socio-economici. L’indice sintetizza il fenomeno della povertà urbana integrando bassi livelli di istruzione (standardizzata per età), alta presenza di disoccupati e lavoratori esecutivi, quote elevate di abitazioni in condizioni disagiate e alloggi sovraffollati. Figura 20 - Indice di deprivazione al 1971, 1981, 1991 e 2011. Fonte: Rapporto Rota, 2017, pag. 165

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1.3.2 L’abbondanza di cibo a Torino: dove si genera lo spreco e come si contrasta Come anticipato, Il fenomeno dello spreco di cibo è caratterizzato da un elevato grado di complessità, coerentemente al settore che lo genera, quello alimentare, per diverse ragioni. In primo luogo a causa dell’assenza, fino a tempi molto recenti, di definizioni, protocolli di misurazione e standard per la raccolta dei dati condivisi a livello internazionale, che ha comportato diverse quantificazioni del fenomeno e difficoltà nella comprensione delle cause; a questo si aggiunge la non neutralità delle (poche) definizioni, che fa sì che a seconda di come si definisce lo spreco alimentare si prendano posizioni precise in relazione alle complesse questioni economiche, sociali e ambientali a esso sottese. Tutto questo si traduce in una generale mancanza di dati, perlopiù calcolati su campioni non rappresentativi e utilizzabili solo per stime indicative. Per questo motivo, pur ritenendo importanti gli aspetti quantitativi degli sprechi alimentari a livello urbano, abbiamo reputato più utile, nell’economia di questo lavoro, concentrare la nostra attenzione su questioni più qualitative legate ai luoghi in cui si genera spreco alimentare e alla verifica di quali margini di miglioramento ci siano in termini di valorizzazione delle eccedenze prodotte, attraverso iniziative e progettualità di recupero e redistribuzione. A questo proposito per ciascuna fase della filiera abbiamo proposto uno o più casi illustrativi di come le eccedenze alimentari possano essere gestite. Il sistema alimentare torinese e la gestione dello spreco Spostando l’attenzione dalla quantificazione delle eccedenze e degli sprechi generati, ai luoghi in cui ciò avviene, in questa sezione presentiamo un’analisi, certamente non esaustiva, del sistema alimentare torinese: per ogni fase della filiera, infatti, utilizzando dati e informazioni di diversa natura, abbiamo indagato sia le potenzialità in termini di produzione di eccedenze e sprechi sia, al contrario, in termini di riduzione e loro valorizzazione attraverso politiche, progetti e interventi.

In questa logica ci siamo concentrate su 4 fasi: la produzione, la trasformazione, la distribuzione (intesa come vendita e non trasporto e logistica) e la somministrazione. Figura 21 – Le fasi indagate

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1.3.2.1 La produzione Come già argomentato nel precedente Rapporto dell’Atlante del Cibo, la fase produttiva riguarda, in via principale, attività agricole che includono attività di produzione agricola e di allevamento, silvicoltura, pesca e acquacultura. L’attività agricola trova espressione in ambito urbano e metropolitano sotto forma di attività imprenditoriale –ovvero, le aziende agricole (codici ATECO 2007: A-01, 02, 03) e di orticoltura urbana di piccola scala, spontanea o regolamentata. Concentrando l’attenzione sulla forma di attività agricola in senso commerciale, se è pur vero che Torino manifesta un tratto proprio della città contemporanea che si caratterizza, in via principale, quale luogo di distribuzione e di consumo di alimenti, la fase produttiva non occupa un spazio marginale sul territorio metropolitano. Secondo il Censimento dell’Agricoltura del 2010, sul territorio metropolitano di Torino sono attive circa 75 aziende agricole le cui coltivazioni si estendono su una superfice agricola superiore ai 500 ettari. Le coltivazioni principali sono i seminativi (277 ettari), seguiti da prati e pascoli (209 ettari) e, a distanza, boschi (85 ettari) e arboricoltura da legno (50 ettari). Circa la metà delle aziende agricole con sede a Torino effettuano vendita diretta ai consumatori.

9 Le informazioni qui riportate, nonché le citazioni in virgolettato, sono state raccolte tramite un’intervista semi-strutturata condotta con un referente del progetto di spigolatura sociale di LVIA a Torino il 21 maggio 2018.

Box 4 - Progetto di spigolatura sociale promosso dal LVIA-Associazione Nazionale Volontari Laici9 Dal 2015, LVIA, Associazione Nazionale Volontari Laici ha promosso alcune iniziative di spigolatura sociale con l’obiettivo ultimo di creare una piattaforma multimediale che agevoli l’incontro tra coltivatori e associazioni che si occupano di sostegno alle fasce deboli nella Città Metropolitana di Torino. Con il termine “spigolatura” si indica la raccolta del prodotto “scartato” dal raccolto nei campi. Il progetto di spigolatura “sociale” si definisce tale poiché prevede la donazione dei prodotti recuperati nei campi coltivati a persone in condizioni di vulnerabilità socio-economica. Se l’idea progettuale di ICT finalizzate alla limitazione degli sprechi non ha ancora trovato applicazione, dal 2015 LVIA ha tuttavia registrato una serie di esperienze di spigolatura sociale, con un duplice intento: - di lotta allo spreco: la riduzione dello spreco alimentare nella prima

fase della filiera agroalimentare, ovvero in quella produttiva. - di narrare storie di cibo: l’iniziativa si presenta come “uno dei

possibili canali di dialogo tra la città e luoghi di produzione del cibo” e un modo per rendere visibile una parte di filiera invisibile.

A questo proposito, è interessante riportare quanto un responsabile di progetto ha dichiarato:

“una cosa che abbiamo fatto portando questi gruppi di volontari nel

campo di zucchine, è intanto narrare [enfasi aggiunta] -ovvero

raccontare quali sono le difficoltà che hanno affrontato i produttori. In

altri termini, comprendere perché le zucchine sono rimaste nel

campo…per esempio, in conseguenza di un’improvvisa siccità che ha

procurato delle deformazioni estetiche tali da rendere il prodotto poco

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appetibile per il mercato” (intervista con un referente di progetto,

Torino, maggio 2018).

Infatti, se è verosimile affermare che la maggior parte dello spreco alimentare si generi in altre fasi della filiera agroalimentare –in particolare nella fase distributiva e di consumo, secondo LVIA, l’attenzione alla fase produttiva è funzionale a: - porre l’attenzione su una potenziale problematica legata a una

condizione di vulnerabilità socio-economica, ovvero il consumo limitato di cibo fresco da parte delle fasce deboli.

- “far conoscere da dove proviene il cibo [enfasi aggiunta] e svelare le dinamiche che si creano sui territori rispetto al cibo che consumiamo”.

Le esperienze di spigolatura fino ad oggi effettuate sono state tre: due si sono svolte presso la Società agricola Fratelli Grande (cfr. BOX 4) nei mesi di settembre e ottobre 2017 a Vigone (TO), mentre una terza è stata ospitata da un produttore vinicolo di Roddis (CN) nel settembre dello stesso anno. La prima esperienza ha visto la collaborazione di Ortofruit Italia, un’organizzazione di produttori (OP) piemontese per l’individuazione dell’azienda agricola dove svolgere la spigolatura. In due occasioni, sono stati spigolati circa 550 kg di zucchine, non più commercializzabili per ragioni estetiche (es. dimensione, forma, lesioni, o difetti dovuti agli eventi atmosferici). Gli alimenti recuperati sono stati in seguito donati a Casa Sol10, alla Festa dei Vicini svoltasi in Via Nizza a Torino e agli abitanti dell’ex-Moi. L’attività di recupero in campo è stata svolta, oltre che da un referente di LVIA, da alcuni volontari legati al gruppo pastorale giovanile locale con il coinvolgimento di studenti delle scuole superiori.

10 Si tratta di un progetto di coabitazione solidale in Via Nizza 15-17 nell’ambito di un programma comunale di integrazione sociale in alloggi di edilizia residenziale pubblica coordinato dall’associazione Cicsene in partenariato con la cooperativa Synergica.

Per quanto riguarda la seconda tipologia di spigolatura ospitata da un produttore vinicolo, l’attività di recupero si è svolta in una vigna nuova. Una delle caratteristiche delle vigne appena impiantate e volte alla produzione di Nebbiolo, è che generano frutti non immediatamente vinificabili secondo il protocollo che ne regola la produzione. Questo significa che l’uva generata da vigne già produttive ma non vendemmiata, può essere recuperata e redistribuita a fini sociali. Nell’ambito di questa esperienza, l’attività promossa da LVIA ha raccolto circa 50 kg di uva, poi consumata durante la Cena dei Vicini tenutasi in Corso Molise a Torino nel settembre 2017 – iniziativa alla quale hanno preso parte alcuni nuclei familiari dell’area sostenuti dai servizi sociali. Oltre a queste tre esperienze, LVIA ha svolto alcune attività di spigolatura di pesche in territorio cuneese con il coinvolgimento di classi del Liceo Peano-Pellico di Cuneo. NOTA BENE - Problematiche di natura legislativa legate alla pratica di

spigolatura: i) sicurezza sul lavoro delle persone che recuperano in campo; ii) sicurezza alimentare relativa sia alla qualità del prodotto raccolto sia alla fase redistributiva dello stesso. Inoltre, in merito all’applicazione della legge Gadda, LVIA ha rilevato una difficoltà di applicazione della stessa in questa fase della filiera agroalimentare (cfr. BOX 4 e 5 in merito).

- Problematiche legate alla valorizzazione e istituzionalizzazione della pratica di spigolatura: i) possibile diffidenza dei produttori per le questioni di cui sopra e necessità di sensibilizzare gli stessi rispetto al tema con il coinvolgimento attivo di O.P., Coldiretti e Ispettorato del Lavoro oltre che delle istituzioni politiche. Nonostante si rilevi un’attenzione crescente da parte di quest’ultime rispetto allo spreco alimentare, sia a livello nazionale

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(Legge 166 del 19/08/2016, altrimenti detta Legge Gadda) sia a livello regionale (Legge Regionale 12 del 23/6/201511), l’istituzionalizzazione di attività di spigolatura richiederebbe una regolamentazione che assicuri il rispetto delle normative sul lavoro, sicurezza alimentare e la devoluzione degli alimenti raccolti a chi è effettivamente in difficoltà.

Figura 22 – Zucchine “fuori calibro” (foto di LVIA)

11 La Regione Piemonte si era dotata di una disposizione di legge, che ha anticipato alcuni contenuti della Legge Gadda, che incentivasse enti o soggetti variamente impiegati nel sociale in collaborazione “anche con i produttori e distributori presenti sul territorio regionale”, il recupero di beni alimentari invenduti –ovvero prodotti

Box 5 – Società agricola Fratelli Grande La Società agricola Fratelli Grande è attiva dal 2012 ed è un’azienda di medie dimensioni con sede a Vigone (TO). Si occupa di produzione di ortofrutta, in via principale zucchine, melanzane e insalata, disponendo di una superficie agricola di circa 20 ettari. Si tratta di un’azienda che non effettua vendita diretta, ma opera all’ingrosso attraverso il canale della GDO e tramite Ortofruit Italia, un’organizzazione di produttori (O.P.) con sede a Saluzzo (CN). Attraverso quest’ultima, parte della produzione della Società agricola e di altre realtà associate, è donata al Banco Alimentare del Piemonte. Su invito e richiesta da parte dell’O.P. di cui è parte, l’azienda Fratelli Grande ha ospitato in due occasioni l’iniziativa di spigolatura sociale “in un campo di zucchine ‘a fine carriera’” organizzata dall’associazione LVIA nei mesi di settembre e ottobre 2017 -del quale si parlato sopra. Con riferimento a questa specifica tipologia di attività produttiva, l’eccedenza alimentare –ciò che il fondatore dell’azienda ha descritto come “prodotto ‘buono’ ma invendibile per ragioni estetiche” – può corrispondere a circa il 2% della produzione agricola totale in un anno. Tuttavia, tale surplus è altamente variabile e difficilmente stimabile a causa dell’incerto andamento meteorologico –una considerazione che rende l’esercizio di quantificazione problematico. In linea generale, dopo una valutazione puntuale svolta al momento della raccolta, il prodotto non conforme è “lasciato nei campi” trasformandosi così in concime naturale.

prossimi a scadenza, prodotti agricoli non raccolti e rimasti in campo, pasti non serviti dagli esercizi di somministrazione e i beni non di lusso secondo quanto definito dal D.L. 460/1997, attraverso la concessione di contributi.

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NOTA BENE - Rispetto alla pratica di spigolatura, l’indagine ha evidenziato

alcune problematiche già riportate in precedenza: la sicurezza sul lavoro e alimentare. Emerge, infatti, il tema della responsabilità: a quale soggetto è demandata la verifica del rispetto delle disposizioni di legge in tema di sicurezza?

- Le aziende agricole non traggono incentivi significativi dall’applicazione della legge Gadda

Figura 23 – Attività di spigolatura svolta da volontari appartenenti al gruppo pastorale giovanile di Vigone (foto LVIA).

12 In questo dato è compresa anche la parte di prodotto conferito a Banco Alimentare attraverso le giornate della Colletta alimentare.

1.3.2.2 La trasformazione L’industria agro-alimentare corrisponde all’attività̀ di trasformazione di prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca in alimenti e bevande commestibili per l’uomo o per gli animali, e comprende anche la produzione di prodotti intermedi non alimentari (per esempio, pellame proveniente dai macelli). In generale è molto difficile, nella pratica, tracciare una linea che separi in modo netto la fase di trasformazione da quelle di produzione, ma anche di distribuzione. Per esempio, nel caso qui presentato, l’azienda trasforma e distribuisce i propri prodotti; analogamente, molti laboratori di trasformazione artigianale prevedono anche la parte di vendita al dettaglio, come per esempio le panetterie, le pasticcere etc. Il criterio adottato in questa sede per analizzare la fase di trasformazione riflette la tipologia di prodotti donati a fini sociali, se in prevalenza già trasformati o meno. In Città Metropolitana, dai dati di Camera di Commercio aggiornati al 2018, sono presenti oltre 1700 attività di trasformazione, di cui un terzo (oltre 650) concentrate nel comune capoluogo. Per quanto concerne il recupero delle eccedenze, alcune aziende conferiscono direttamente al Banco Alimentare. Nel bilancio sociale del 2016, il Banco segnala circa 90 fra piccole e medie aziende donatrici (fra cui il caso studio intervistato, l’Azienda Fontanacervo (cfr. BOX 6) e circa 14 grandi industrie che figurano come donatori istituzionali (fra cui, per esempio, Ferrero Spa). Secondo i dati forniti da Banco l’industria alimentare del capoluogo ha conferito più di 800 tonnellate di prodotto, è oltre 1.100 tonnellate a livello di Città Metropolitana12. Per quanto concerne le altre attività, il mancato conferimento al Banco Alimentare non esclude che le attività economiche siano impegnate nel recupero e nella redistribuzione delle eccedenze alimentari. Per esempio, nel caso in cui le aziende possano essere assimilate a esercizi di distribuzione,

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ovvero negozi di vicinato, la valorizzazione delle eccedenze alimentari avviene soprattutto attraverso reti informali (le singole persone che si recano direttamente presso i punti vendita). Inoltre, come verrà approfondito nel paragrafo che segue, sono attive realtà come Last Minute

Sotto Casa che lavorano per ridurre, a monte, la produzione di eccedenze e quindi di spreco alimentare.

Box 6 - Azienda Agricola Fontanacervo13 “Sarebbe ‘assurdo’ sprecare prodotti perfettamente commestibili”

Fontanacervo è un’azienda agricola di medie dimensioni con sede a Villastellone (TO). Nata nel 2004, Fontanacervo è una realtà imprenditoriale a gestione familiare che opera nella fase produttiva e trasformativa della filiera agroalimentare nel reparto lattiero-caseario. Da oltre dieci anni, l’azienda dona le eccedenze alimentari generate a enti terzi del territorio quali il Banco Alimentare del Piemonte Onlus, il Sermig, l’Associazione Karmadonne, La Locanda nel Parco gestito da Cooperativa Patchanka e alcuni istituti religiosi. Gli enti ai quali l’azienda dona le eccedenze alimentari presentano alcune particolarità legate al proprio modello organizzativo (per esempio, presenza o meno di dotazioni strumentali per il trasporto o la conservazione dei cibi) di cui l’azienda agricola tiene conto al momento della redistribuzione. In linea generale, sono gli enti stessi che –una volta sollecitati circa la presenza di prodotti di potenziale interesse per la propria attività– provvedono al ritiro degli alimenti presso la sede di Fontanacervo. La consegna del prodotto si accompagna sempre a una bolla. Gli alimenti donati corrispondono a prodotti freschi e commestibili ma non più vendibili per ragioni commerciali (alimenti oltre la metà del proprio ciclo di vita) o estetiche (es. forma o packaging). In larga maggioranza, gli alimenti donati corrispondono a prodotti non

13 Le informazioni qui riportate, nonché le citazioni in virgolettato, sono state raccolte tramite un’intervista semi-strutturata condotta il 25 maggio a Villastellone con il fondatore dell’ azienda e il responsabile della comunicazione.

conformi al mercato e non già a eccedenze produttive che l’azienda stima assestarsi intorno all’1 % della produzione totale. Inoltre, tale surplus ha una stagionalità e si manifesta soprattutto in occasione di festività: in questi periodi dell’anno, è più difficile regolare la produzione a causa di una maggiore imprevedibilità della domanda di mercato. NOTA BENE - Limiti tecnici degli impianti produttivi di grandi dimensioni: “è molto

più semplice gestire un ‘non-spreco’ in un’azienda piccola” - Le aziende agricole non traggono incentivi significativi

dall’applicazione della legge Gadda, a differenza della grande industria.

Figura 24: Lo yogurt di Fontanacervo, uno dei prodotti maggiormente donati a fini sociali.

Fonte: Fontanacervo

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1.3.2.3 La distribuzione La distribuzione è l’attività di servizio finalizzata al trasferimento dei prodotti alimentari dal produttore e trasformatore (agricoltura e agro-industria) al consumatore finale. I principali canali distributivi comprendono la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), i negozi al dettaglio, i mercati rionali oltre al più recente commercio elettronico e ai cosiddetti Alternative Food Networks quali, per esempio, i Gruppi di Acquisto Solidali e Collettivi (GAS e GAC). Con riferimento ad alcuni canali di distribuzione alimentare a Torino -GDO, negozi al dettaglio e mercati rionali –e in modo analogo a quanto fatto in precedenza, approfondiremo alcune modalità di recupero delle eccedenze alimentari con riferimento alla città di Torino. La grande distribuzione organizzata Un approfondimento sulla GDO volto a comprenderne la diffusione sul territorio della Città di Torino è presentato nelle pagine che seguono nella scheda 4.6 nella prima sezione del rapporto. Tuttavia, in modo analogo a quanto fatto per le altre fasi della filiera agroalimentare, presenteremo alcune esperienze di recupero. Oltre al CAAT, le piattaforme logistiche nell’area metropolitana presso le quali recupera il Banco Alimentare, sono Battaglio a Torino, Codé CRAI a Volpiano e Carrefour a Rivalta) (fonte: Bilancio Sociale del Banco Alimentare 2016).

Box 7 – Il recupero del Banco Alimentare presso la GDO Il Banco Alimentare agisce da intermediario presso la GDO nell’ambito del programma SITICIBO in una logica di prossimità, ovvero garantendo una distribuzione finale alla struttura caritativa identificata nell’ambito dello stesso territorio di recupero (Bilancio Sociale 2016). Questo è necessario poiché la tipologia di alimento recuperato presso

questo canale di approvvigionamento corrisponde a un prodotto fresco che non transita nei magazzini del Banco Alimentare. Esso recupera presso oltre 180 strutture in tutto il Piemonte, di cui 60 fra Torino e area metropolitana. Secondo i dati condivisi dal Banco Alimentare, sono 234.532 kg di alimenti recuperati presso la GDO nel Comune di Torino e 290.412 kg nei 38 comuni dell’area metropolitana considerata. Figura 25 – I marchi che hanno donato alimenti nel 2016

Fonte: Bilancio Sociale 2016 del Banco Alimentare del Piemonte Onlus, 2017, pag. 34.

Box 8 – Il progetto Buon Fine Coop Con il progetto Buon Fine Nova Coop dona alle Onlus del territorio prodotti non più vendibili ma ancora consumabili, tramite apposite procedure interne che definiscono quali prodotti possano esser donati e con quali modalità. Questo progetto è iniziato formalmente con l’entrata in vigore della Legge del Buon Samaritano nel 2003 ed ha visto

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crescere progressivamente il numero di realtà coinvolte (sia associazioni che punti vendita Coop) e di prodotti donati grazie alla crescente attenzione da parte del personale dei punti vendita. In particolare con il progetto “Buon Fine” si valorizza la peculiarità di Nova Coop rispetto alle altre catene di supermercati che pure fanno donazioni, e che consiste nella possibilità, attraverso i Presidi Soci, di soddisfare le esigenze specifiche delle Onlus e del territorio dove operano, in una logica di prossimità non solo territoriale, ma anche umana. I rapporti con le singole Onlus sono regolati inoltre da convenzioni che definiscono le modalità di gestione e utilizzo della merce donata. Per l’intera rete di Nova Coop sono operative 60 convenzioni differenti e per tutti i supermercati e ipermercati sono stati definiti nel tempo rapporti con specifiche realtà locali: alcune Onlus collaborano con più punti vendita (ad esempio il Gruppo Abele o il Banco Alimentare), così come in alcuni ipermercati i prodotti vengono conferiti a più Onlus, a seconda del giorno della settimana. Nel corso del 2016 grazie a questo progetto è stata donata merce per un valore complessivo di 3.750.000 euro, con un incremento di circa 300.000 euro rispetto all’anno precedente. (Fonte: Bilancio Sociale di Novacoop 2016)

I mercati rionali Nella città di Torino sono presenti quaranta mercati rionali, di dimensioni diverse e distribuiti su tutto il territorio per un totale di oltre 2000 banchi alimentari (fonte: http://mercati.comune.torino.it, dati 2018)14. Una stima dello spreco generato e generabile in questo canale di approvvigionamento risulta molto complessa. A questo proposito, non emergono nella letteratura scientifica stime sulle eccedenze e sugli sprechi alimentari prodotti dai mercati rionali generalizzabili ad altri

14 Il più famoso mercato torinese è sicuramente Porta Palazzo, uno dei più grandi d’Europa che, da solo, conta quasi settecento banchi.

ambiti. Questo poiché ogni mercato rappresenta una realtà peculiare, che riflette le caratteristiche socio-culturali del proprio contesto territoriale. Nei mercati, lo spreco alimentare evitabile riguarda prevalentemente la frutta e la verdura invendute, a causa della veloce deperibilità, soprattutto nel periodo estivo. Sul territorio torinese sono attive diverse progettualità che si occupano del recupero dell’invenduto (cfr. figura 26 e paragrafo 2.4.5). Alcuni progetti, come Pane in Comune (associazione Eufemia), PoPP Organico Porta Palazzo (associazione Eco dalle Città) e Fa bene (Comitato S-Nodi) hanno il loro focus principale nel recupero dell’ortofrutta nei mercati per la redistribuzione diretta a persone in difficoltà, che attivano da un lato percorsi di sollievo dalla povertà alimentare e dall’esclusione sociale, dall’altro riducono gli sprechi alimentari. In altri casi, il recupero dell’ortofrutta al mercato è solo una della diverse fonti per la consegna di alimenti a persone in difficoltà, come per l’Agenzia Alimentare della Casa del Quartiere Cecchi Point, attiva nella consegna di pacchi viveri in Aurora, e per la Locanda nel Parco, che propone pranzi con prodotti recuperati nella Casa del Quartiere di Mirafiori. Anche in alcuni comuni della prima cintura sono attivi progetti di recupero nei mercati: a Carmagnola, l’associazione Karmadonne recupera alimenti dal mercato e da altri canali, per poi trasformarli e servirli alla mensa popolare di Casa Frisco. A Chieri, la cooperativa Patchanka recupera nei tre mercati cittadini per il progetto ReciprocaMensa, mentre nei mercati di Grugliasco e Collegno è in fase di attivazione il progetto di recupero di ortofrutta a fini sociali –“Fa bene diffuso”, estensione delle attività di Fabene nella prima cintura di Torino. Anche il gruppo informale Food Not Bombs Augusta Taurinorum organizza parte della sua attività grazie ai prodotti in eccesso recuperati dal mercato di piazza Barcellona.

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Tabella 3 – I mercati torinesi in cui sono attive pratiche di recupero (cfr. figura 23)15

Mercati in cui sono attive pratiche di recupero 1 Piazza Barcellona 2 Piazza Benefica 3 Corso Brunelleschi 4 Corso Chieti 5 Crocetta 6 Piazza Foroni 7 Via Porpora 8 Porta Palazzo 9 Corso Racconigi 10 Corso Svizzera 11 Mercato Vittoria 12 Amis 102

Figura 26 – I mercati torinesi in cui sono attive progettualità di recupero

15 A questo elenco vanno aggiunti i mercati attivi nei comuni metropolitani come, per esempio, quelli di Chieri e Carmagnola.

Risulta anche presente, soprattutto nei mercati di grandi dimensioni, il recupero individuale da parte di singoli che si attivano in prima persona per ottenere alimenti gratuitamente, recandosi sul mercato in orario di chiusura in cerca dei prodotti alimentari ancora edibili ma destinati allo

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smaltimento. Il recupero di frutta e verdura ancora commestibili può avvenire sia attraverso la richiesta ai venditori mercatali di prodotti destinati all’eliminazione, sia attraverso la “perlustrazione” autonoma dell’area del mercato, dei cassonetti e “sotto i banchi”. Alcuni venditori tengono da parte una cassetta di prodotti prossimi ad essere buttati appositamente per queste persone, per le quali il recupero è ormai un’ affidabile forma di approvvigionamento alimentare, che permette di risparmiare per altre spese necessarie, di solito legate alla casa. Nel recupero individuale sono coinvolti individui diversi, dagli studenti universitari ai pensionati soli, dalle famiglie appartenenti alla classe media attente agli sprechi a quelle immigrate. I recuperatori raccolgono cibo sul mercato per risparmiare: per molti recuperare significa accedere autonomamente ad alimenti freschi senza dover chiedere assistenza. Tuttavia, le persone condividono anche una preoccupazione comune verso lo spreco alimentare, che emerge nei discorsi e nei racconti degli stessi16. Negozi al dettaglio Nel 2016, a Torino sono presenti oltre 2.900 negozi di vicinato alimentari e altri 1.170 misti (dati osservatorio Commercio della Regione Piemonte, 2015). Date una serie di variabili organizzative, territoriali, culturali, stimare lo spreco generato attraverso questo tipo di canale di commercializzazione risulta difficile. Tuttavia, quello che si può osservare in relazione alla riduzione delle eccedenze e, contestualmente, degli sprechi alimentari nei negozi al dettaglio, è la nascita, in tempi recenti, di progettualità tese al loro contrasto a monte, prima cioè che il prodotto perda il suo valore di mercato, pur mantenendo intatto quello nutrizionale. Un esempio in questo senso è la startup Last Minute Sotto Casa – LMSC (cfr. BOX 9).

16 Parte delle informazioni riportate nel paragrafo è tratta da Guazzo (2017).

Box 9 – Last Minute Sotto Casa - LMSC LMSC propone una piattaforma virtuale di incontro fra negozianti che hanno prodotti in scadenza e consumatori che possono acquistarli a un prezzo vantaggioso. Figura 27 – I negozi aderenti alla piattaforma LMSC

Fonte: www.lastminutesottocasa.it (ultimo accesso aprile 2018).

Il progetto nasce originariamente come servizio per le panetterie e si estende in un secondo momento a tutti i negozi che acquistano cibo fresco e che hanno un problema di deterioramento dei prodotti: pastifici, gastronomie, fruttivendoli, macellerie, pescherie, bar, rosticcerie ecc. Attualmente sono circa 198 commercianti di Torino affiliati a LSMC su un totale di circa 1000 a livello nazionale (www.lastminutesottocasa.it, aprile 2018) concentrati soprattutto nei quartieri economicamente e socialmente più agiati della città (figura 24).

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A nostro avviso, tuttavia, andrebbe problematizzata l’idea che una rappresentazione come quella riportata in figura n° 24 potrebbe suggerire: ovvero che esista una sensibilità culturale differente –e in un certo senso– “più evoluta” nei negozi al dettaglio ubicati in centro rispetto a quelli periferici. Nella realtà, la produzione potenziale di spreco alimentare è legata certamente alla “buona” gestione del negoziante, ma questa dimensione organizzativa e manageriale va intesa in senso relazionale rispetto al contesto territoriale e alle aspettative del consumatore. Si tratta di aspettative che non si riducono alla mera offerta di beni –ciò che il negoziante offre alla propria clientela. Esse si estendono all’estetica che il luogo di vendita stesso vuole esprimere per soddisfare l’esperienza ricercata dai consumatori, adottando a questo scopo strategie di esposizione dei prodotti in linea con un’estetica dell’abbondanza –anche in termini quantitativi, ovvero di merci esposte e dunque, potenzialmente deperibili– percepita come un incentivo necessario per l’acquisto. Inoltre, da alcune interviste, fatte sia a piccoli esercenti, sia al Banco Alimentare è emersa la difficoltà ad avviare progetti di recupero strutturati, spesso sostituiti da attività informali in cui ciascun negoziante (così come accade anche per gli esercizi di somministrazione), a fine giornata dona spontaneamente una parte dell’invenduto a persone conosciute del quartiere o a associazioni e mense benefiche. Il Centro Agroalimentare di Torino - CAAT Il CAAT ha una superficie di oltre 550.000 mq, di cui un quinto relativi all’area coperta e i restanti di area 440.000 mq di area mercatale occupata e recintata. La struttura ospita 84 grossisti e circa 170 produttori locali (Province di Torino, Cuneo ed Asti) per un volume di circa 550.000 tonnellate di merci commercializzate all’anno e circa 500/550.000 milioni di euro all’anno di transizioni commerciali. Nello specifico, le statistiche elaborate e rese note sul sito del CAAT indicano, per il 2015, la commercializzazione di 516.756 tonnellate di merce di cui 46% in ortaggi, il 35,5% in frutta fresca, il 17,8% in agrumi e lo 0,7% in frutta fresca (fonte: www.caat.it). Risulta difficile stimare con esattezza l’eccedenza e lo spreco alimentare prodotto dal CAAT. Tuttavia è possibile avere un’idea

di quanto venga recuperato attraverso il progetto «Rete Alimentare Sociale» coordinato dalla Città Metropolitana di Torino, che coinvolge ASL 5 e il Banco Alimentare del Piemonte Onlus. Il progetto, attivo dal novembre 2007 è nel programma triennale di politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità sociale e alla povertà. Il Banco Alimentare è il soggetto capofila: come si legge nel Bilancio Sociale 2016 dello stesso, il Banco Alimentare gestisce le fasi operative e coordina le strutture caritative che -ogni mercoledì e venerdì mattina– ricevono (o ritirano direttamente) le eccedenze di ortofrutta. Tabella 4 - Tonnellate di merce recuperate all’anno al CAAT.

Fonte: Pia, 2017 Nel 2017, i 25 grossisti coinvolti nel progetto hanno recuperato oltre 360 tonnellate di derrate, pari a circa l’1-2 % della merce movimentata da ciascuno durante un anno di attività (Pia, 2017) Il mercoledì il Banco redistribuisce a 15 strutture caritative (per un totale di 3.859 assistiti). Il venerdì, il Banco conferisce parte dell’eccedenza raccolta al Ser.Mi.G che, a sua volta, redistribuisce a 10 strutture caritative (per un totale di 4158 assistiti).

2007 2008

2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017*

96 ton

45 ton

74 ton

91 ton

178 ton

226 ton

334 ton

365 ton

373 ton

362 ton

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1.3.2.4 Il consumo La fase del consumo è forse quella più complessa da analizzare, sia in termini generali, sia per quanto concerne, nello specifico, la questione della produzione di spreco e della redistribuzione delle eccedenze. In primo luogo è utile articolare in maniera più dettagliata le tipologie del consumo e luoghi in cui è possibile consumare (cfr. tabella 5). Tabella 5 – Tipologie e luoghi di consumo

Tipo di consumo Luogo di consumo Somministrazione privata

Ho.re.ca

Bar, ristoranti, pizzerie, trattorie, alberghi, etc; Negozi di cibo da asporto, street food, etc; Mense aziendali Catering

Somministrazione pubblica

Ristorazione collettiva

Mense scolastiche Mense universitarie Mense ospedaliere e sanitarie Mense pubbliche amministrazioni Mense carcerarie, caserme, etc

Consumo privato Domestico Abitazioni Diverse ricerche distinguono infatti la fase della somministrazione, legata alla ristorazione, da quella del consumo vero e proprio, inteso come la preparazione e il consumo di cibo nello spazio domestico. Pur consapevoli dell’impatto che quest’ultimo specifico segmento ha in termini di produzione di spreco alimentare, abbiamo deciso di non trattarlo all’interno di questa ricerca, in quanto non caratterizzato da attività strutturate di recupero e redistribuzione delle eccedenze, ma piuttosto oggetto di politiche e campagne di sensibilizzazione. Per quanto concerne la somministrazione, vi è una grossa differenza fra le diverse tipologie di attività: la rete commerciale relativa al settore

17 Ho.Re.Ca è l’acronimo di Hotellerie, Restaurant, Cafè (o Catering) e comprende una lunga serie di settori merceologici, categorie e appartenenti ai segmenti dell’ospitalità, della ristorazione e del catering

dell’Ho.re.ca17, da un lato e le molteplici forme di ristorazione collettiva pubblica. I numeri delle eccedenze generate (in relazione al volume del cibo consumato), così come la possibilità di valorizzarle attraverso progettualità ad hoc, variano molto a seconda che ci si riferisca a singoli esercizi commerciali, come i bar e i ristoranti, etc o alla categoria delle mense. Stringendo il raggio di analisi alla sola città di Torino, il settore Ho.re.ca conta circa 11.700 unità (escluse le mense aziendali). In generale, le misure anti-spreco messe in atto in questo settore sono di due tipi: - la prima, più esplicitamente legata a questioni di sostenibilità

ambientale, riguarda la possibilità per i clienti di portare a casa il cibo non consumato. In questa logica, anche la Legge Gadda ha promosso l’utilizzo della cosiddetta “doggy bag”, sdoganandola rispetto all’uso limitato al consumo animale e sostenendola come pratica sostenibile da diffondere in tutti gli esercizi commerciali. Attualmente sono diverse le progettualità legate alla sua promozione: ne è un esempio il progetto “Save Bag. Progettare antispreco” (cfr. BOX 10)

Box 10– Progetto “Save Bag. Progettare antispreco” “Save Bag. Progettare antispreco” è un’operazione di ricerca e didattica che ha visto convergere gli interessi di attori economici come Cuki Cofresco, azienda leader nella produzione di packaging alimentare, Slow Food, Politecnico di Torino e Fondazione Banco Alimentare Onlus, nell’esplorazione degli scenari di post consumo degli avanzi di cibo consumato nei locali pubblici. Obiettivo della ricerca è stato lo sviluppo di prodotti per contenere e trasportare rimanenze alimentari, le cosiddette food box, aumentando la percezione di

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significati e del valore della risorsa cibo e stimolando la consapevolezza del pubblico verso l’importanza della riduzione dello spreco alimentare. L’attività di ricerca ha coinvolto oltre 200 studenti del Corso di Laurea in Design e Comunicazione Visiva del Politecnico di Torino, Laboratorio di Concept Design (1º anno), anno accademico 2014-2015. L’operazione ha generato una cinquantina di proposte progettuali e si è concretizzata nella selezione, produzione e commercializzazione del progetto della “Save Bag”. Figura 28 e 29 – Foto

La Save Bag è stata oggetto di una campagna di informazione e sensibilizzazione e consegnata gratuitamente a un vasto campione di ristoranti inseriti all’interno della Guida Osterie d’Italia Slowfood e in tutte le aree ristorazione delle sedi italiane di Eataly. Qualsiasi ristorante presente sul territorio italiano può richiedere il proprio Save Bag Kit compilando il form su www.cukisavethefood.it/scegli-save-bag-per- il-tuo-ristorante.

- la seconda, più legata a questioni di solidarietà sociale, attiene invece a quella che, in un questa sede, definiamo “rete informale”.

Con questa espressione intendiamo infatti tutte quelle pratiche e attività di recupero delle eccedenze che non fanno capo a progettualità esplicite e strutturate. Per esempio, per quanto concerne l’Ho.re.ca, diverse interviste condotte con proprietari di esercizi commerciali hanno messo in evidenza come una parte dell’invenduto venga donata a persone che abitualmente si recano nei locali alla fine della giornata lavorativa. L’elemento da sottolineare riguarda la problematica, emersa in più interviste, legata alla non legalità di questa azione: “ho fatto questa scelta a mio rischio e pericolo” ci ha raccontato F., proprietario di un bar nel quartiere di Nizza Millefonti, a Torino “perché se dovesse passare un controllo mentre regalo il cibo avanzato a persone bisognose che conoscono e che vengono da me alla fine della giornata, passerei dei grossi guai”.

Al contrario, il settore della ristorazione collettiva è oggetto di pratiche strutturate di recupero e redistribuzione delle eccedenze. Ovviamente, ciascuna tipologia è differente in termini sia di eccedenze prodotte, sia di possibilità di valorizzarle attraverso politiche e pratiche operative. In generale, tuttavia, attraverso l’applicazione delle Legge del Buon Samaritano prima, e la Legge Gadda poi, diverse realtà hanno donato e donano le eccedenze, rigorosamente non porzionate. In questa sede, rispetto alle diverse tipologie di mense presenti sul territorio, sono state prese in considerazione quelle scolastiche e quelle ospedaliere. Mense scolastiche Nel solo Comune di Torino, le mense scolastiche dell’obbligo e del pre-obbligo producono circa 8 milioni di pasti l’anno. A scala metropolitana il volume raggiunge i 20 milioni. Per quanto concerne le politiche antispreco, in termini prettamente ambientali, le scuole mettono in atto una serie di accorgimenti, fra cui: - la prenotazione dei pasti sul numero reale dei bambini presenti; - una grade attenzione alle grammature delle porzioni;

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- la possibilità di portare a casa pane e frutta non consumata; - la possibilità di dare a merenda la frutta non consumata a pranzo; - le attività di educazione alimentare con i bambini. La possibilità di valorizzare le eccedenze comunque generate a fini di solidarietà sociale varia molto a seconda del contesto. Per esempio, per quanto concerne la città di Torino, è stata attiva per diverso tempo una partnership fra il Banco Alimentare e il Comune per il recupero delle eccedenze in alcune scuole. Tuttavia, soprattutto le difficoltà logistiche, ma anche le difficoltà legate al sostegno economico, hanno portato alla sospensione di questo progetto18. Con riferimento ai territori dei 38 comuni dell’area metropolitana della Città di Torino, la ricerca ha invece indagato la presenza di progettualità attive o in attivazione nell'ambito della refezione scolastica con il coinvolgimento diretto o meno del Comune. Come emerge dalla figura xx vi sono ben 21 Comuni che presentano attività di recupero nelle scuole, di cui 16 già attivi e 5 in attivazione.

18 Un’attività analoga, che coinvolge il Banco, è invece attiva in 12 mense scolastiche di Novara che, nel 2016, hanno fornito pane, frutta e verdura per un totale di quasi 8 tonnellate di prodotti (Bilancio sociale del Banco Alimentare del Piemonte, 2017).

Figura 30 – Comuni dell’area metropolitana con progetti legati alla refezione scolastica.

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Mense ospedaliere Per quanto concerne la produzione di eccedenze nella la ristorazione ospedaliera è importante sottolineare come essa dipenda in larga misura – e nonostante una crescente attenzione nella pianificazione dei pasti e nella gestione del servizio – da alcune sue peculiarità, come l’urgenza/emergenza solo parzialmente programmabile, le modificazioni impreviste delle condizioni cliniche di alcuni pazienti, etc. Le strutture ospedaliere pubbliche in Piemonte possono rientrare nelle Aziende sanitarie locali (ASL), nelle Aziende ospedaliere (AO) e in quelle ospedaliero-universitarie (AOU). Di difficile reperibilità i dati connessi ai posti letto, dai quali poter dedurre una stima dei numero dei pasti somministrati. Tuttavia, la tabella 6 riporta le strutture e le relative dimensioni al 2013. Tabella 6 – Strutture ospedaliere, posti letto e personale

Denominazione struttura Posti letto previsti

Totale personale

OSPEDALE MAURIZIANO UMBERTO I - TORINO 390 1.717

OSPEDALE MARTINI 225 939

OSPEDALE OFTALMICO 44 289

OSPEDALE EVANGELICO VALDESE 27 62

AO CITTA' DELLA SALUTE E DELLA SCIENZA D 1.931 9.880

PRESIDIO SANITARIO SAN CAMILLO 100 165

OSPEDALE MARIA VITTORIA 288 907

TORINO NORD EMERGENZA SAN GIOVANNI BOSCO 338 1.001

OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA 71 309

PRESIDIO SANITARIO AUSILIATRICE - FONDAZ 25 108

PRESIDIO SANITARIO GRADENIGO 138 571

PRESIDIO SANITARIO OSPEDALE COTTOLENGO 167 355

Fonte:www.salute.gov.it/.../C_17_bancheDati_6_allegati_iitemAllegati_13_fileAllegati_ite

m

A questo proposito due sono le attività da segnalare che coinvolgono alcune strutture ospedaliere torinesi e piemontesi:

- la prima concerne l’attività di recupero e redistribuzione delle eccedenze prodotte a fini di solidarietà sociale in 2 ospedali di Torino (Molinette e San Giovanni Bosco) e negli ospedali San Luigi di Orbassano, S. Croce e Carle di Cuneo, Maggiore della Carità di Novara e l’ospedale di Biella e conferite al Banco Alimentare (cfr tabella 7)

Tabella 7: medie mensili di conferimento pasti, in porzioni

Fonte: Pezzana, 2014

- la seconda concerne invece un’attività di monitoraggio degli scarti,

a fini di sostenibilità ambientale, che ha coinvolto La Rete delle Strutture di Dietetica e Nutrizione Clinica della Regione Piemonte, con centro coordinatore del progetto la S.C. di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’ASL di Asti. I dati sono stati raccolti nel 2014-2015 ed analizzati mediante un apposito programma elaborato dall’ASL di Asti.

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1.4 Le risposte locali Analogamente al variegato panorama italiano delle risposte che il territorio è in grado di offrire, descritto nel paragrafo 2.2.3, anche in quello a scala locale, il ruolo principale, in termini numerici e di strutturazione del servizio, è svolto dall’associazione Banco Alimentare (in particolare la struttura regionale del Piemonte) che, nel 2016, ha distribuito cibo (proveniente sia da azioni di recupero, sia da AGEA e donazioni) a 40.098 beneficiari nel solo comune di Torino, per un totale di 2.395 tonnellate di cibo. In relazione al lavoro del Banco, il ruolo capillare di redistribuzione sul territorio è svolto principalmente dalle parrocchie (soprattutto attraverso la donazione di pacchi alimentari) e dalle mense benefiche (attraverso la fornitura di pasti pronti). Vi sono poi i progetti di natura più marcatamente istituzionale, fra cui la domiciliazione di pasti per anziani autosufficienti e non da parte del Comune di Torino (che cofinanzia anche alcune mense benefiche) e, a livello di area metropolitana, le attività di recupero e redistribuzione delle eccedenze generate dalle mense scolastiche, la cui competenza è dei Comuni. Un’attenzione particolare meritano i progetti del terzo settore: molte di queste pratiche si allontanano dagli schemi più tradizionali dell’assistenzialismo per abbracciare approcci innovativi di coinvolgimento dei beneficiari finali. Infine, vale la pena considerare le risposte individuali alla povertà alimentare, come le scelte legate al consumo o le pratiche di recupero condotte in autonomia.

19 I dati si rifericono al 2016 e sono contenuto nel Bilancio Sociale, Banco Alimentare, 2016.

1.4.1 Il Banco Alimentare

Il Banco Alimentare del Piemonte Onlus è il principale ente di raccolta, gestione e distribuzione di prodotti alimentari (sia eccedenze non più vendibili ma ancora edibili, sia prodotti AGEA e donazioni) in Piemonte: ha sede a Moncalieri (TO) ed è attivo nei territori di Torino, Novara, Asti, Cuneo e Biella. L’attività dell’organizzazione si basa in modo importante sul volontariato (73 volontari a Moncalieri su un totale di 180 in Piemonte).

Il Banco distribuisce: - prodotti a lunga conservazione; - prodotti freschi; - pasti pronti non distribuiti dalle mense collettive.

Tra i canali di approvvigionamento del Banco Alimentare, ci sono19: - l’AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, che

gestisce le forniture dei prodotti agroalimentari disposte dall’Unione Europea per aiuti alimentari e cooperazione economica. Il Banco funziona come ente di connessione fra AGEA e le strutture caritative sul territorio che offrono assistenza agli indigenti;

- l’industria agro-alimentare. Nel 2016, le piccole e medie aziende, anche di tipo artigianale, che hanno conferito eccedenze al Banco sono state una novantina, mentre una quindicina di grandi marchi

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industriali si configurano come donatori istituzionali;

- le piattaforme logistiche (8 a livello regionale, 2 a Torino, il CAAT e Battaglio, e altre 2 nell’area metropolitana, Codé CRAI a Volpiano e Carrefour a Rivalta);

- più di 25 marchi della Grande Distribuzione Organizzata; oltre 180 strutture in tutto il Piemonte, di cui 60 fra Torino e area metropolitana;

- 23 mense aziendali in tutto il Piemonte, attraverso il progetto SITICIBO: 8 mense del gruppo FCA, 4 ospedalieri (di cui, a Torino, l’AOU Citta della Salute e della Scienza e il San Giovanni Bosco, il San Luigi Gonzaga di Orbassano), la mensa Olimpia dell’Edisu e il Politecnico di Torino, diverse mense aziendali come Deagostini, Alenia, Barilla e 12 mense scolastiche di Novara.

Il Banco Alimentare non distribuisce direttamente agli indigenti, ma a enti caritatevoli accreditati presso lo stesso che: - distribuiscono a persone in certificato stato di

vulnerabilità socio-economica (con ISEE inferiore a 3.000 € all’anno) poiché dal 2014 la legge italiana ha posto criteri severi rispetto alla distribuzione a fini sociali di aiuti provenienti dall’Unione Europea;

- hanno un carattere sociale manifesto; - non utilizzano in modo fraudolento e a fini

commerciali i prodotti alimentari ricevuti dal Banco Alimentare.

20 La zona omogenea 2 – AMT OVEST è costituita da 14 comuni: Alpignano, Buttigliera Alta, Collegno, Druento, Grugliasco, Pianezza, Reano, Rivoli, Rosta, San Gillio, Sangano, Trana, Venaria Reale, Villarbasse. La zona omogenea 3 – AMT SUD da 18 comuni:

Gli enti accreditati e i beneficiari, articolati per area di appartenenza, sono:

- per quanto riguarda il Comune di Torino: 180 strutture caritative, in larga maggioranza parrocchie (88), associazioni (36), congregazioni (11), Gruppo Volontariato Vincenziano (9) etc. con 40.098 assistiti in totale. Le strutture si concentrano nelle circoscrizioni 1 (centro e crocetta) e nella 8 e nella 7 (che corrispondono alle aree più complesse, in corrispondenza di quartieri come San Salvario e Aurora) dove si concentrano anche gli assistiti e quindi le eccedenze redistribuite (cfr. tabella 1). I Dati, aggiornati al 2017, sono stati forniti dal Banco Alimentare;

- per quanto riguarda l’area metropolitana di Torino (i 38 Comuni considerati nel Rapporto escluso il comune capoluogo): 98 strutture caritative con 15.534 assistiti in totale, che si concentrano nelle zone omogenee 2 – AMT OVEST e 3 – AMT SUD20, più prossime alla grande città (cfr. tabella x). I Dati, aggiornati al 2017, sono stati forniti dal Banco Alimentare;

Le tabelle che seguono riportano la spazializzazione dell’intervento del Banco Alimentare, che – almeno per quanto concerne la città di Torino – riflette le geografie della povertà urbana precedentemente tratteggiate.

Beinasco, Bruino, Candiolo, Carignano, Castagnole Piemonte, La Loggia, Moncalieri, Nichelino, None, Orbassano, Pancalieri, Piossasco, Piobesi Torinese, Rivalta di Torino, Trofarello, Vinovo, Virle Piemonte, Volvera.

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Tabella 8 – Strutture, assistiti ed eccedenze redistribuite per canale di approvvigionamento per area geografica. Fonte: dati forniti dal Banco Alimentare

Tabella 9 – Strutture, assistiti ed eccedenze redistribuite per canale di approvvigionamento per area Circoscrizione del Comune di Torino. Fonte: dati forniti dal Banco Alimentare

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Tabella 10 – Strutture, assistiti ed eccedenze redistribuite per canale di approvvigionamento per Zona Omogenea della Città Metropolitana di Torino. Fonte: dati forniti dal Banco

Alimentare Tabelle 11 e 12 – Tipologia di struttura caritativa ricevente per il Comune di Torino e l’Area Metropolitana a 38 Comuni considerata nel Rapporto. Fonte: dati forniti dal Banco Alimentare

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1.4.2 Parrocchie Secondo l’Annuario Diocesano aggiornato al 2018, sono 105 le parrocchie nella Città di Torino distribuite in modo abbastanza omogeneo nello spazio urbano. Con il termine parrocchie si intendono luoghi di culto cattolici che svolgono un’attività parrocchiale. I dati raccolti e qui presentati si riferiscono esclusivamente alle parrocchie che abbiamo intervistato telefonicamente, pari a 87 sul totale del campione. Come emerge dalla figura 31. ponendo a confronto la distribuzione spaziale delle parrocchie e delle forme di assistenza al reddito erogate nel 2016 dal Comune di Torino, Caritas e Ufficio Pio, si nota anche come le aree meno svantaggiate e più benestanti della città ospitino pochi luoghi parrocchiali –e in alcuni casi ne siano del tutto sprovviste. Rispetto al campione analizzato, abbiamo rilevato che solo una decina di parrocchie non offre alcun tipo di assistenza alimentare a persone in difficoltà socio-economica. Nella maggior parte dei casi (70 parrocchie), la tipologia di assistenza alimentare offerta a persone in difficoltà consiste nella distribuzione di un pacco alimentare che spesso è composto da generi di prima necessità, non trasformati e a lunga conservazione (es. pasta, riso, zucchero, latte etc.). Come rappresentato in figura 32, Si può osservare come in alcuni casi (6), la tipologia di assistenza alimentare si diversifichi e alla consegna del pacco alimentare, si accompagni l’offerta di un pasto nei locali parrocchiali. In due casi, si è rilevato che l’assistenza alimentare consiste, in via esclusiva, in questa seconda tipologia di aiuto.

Figura 31 - Parrocchie che offrono una forma di assistenza alimentare e povertà urbana rappresentati per zona statistica (Sì=parrocchie che offrono assistenza alimentare).

Fonte: elaborazione nostra su dati Atlante del Cibo e Rapporto Rota

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Figura 32 - Tipologia di assistenza alimentare fornita dalle parrocchie rappresentati per zona statistica

Fonte: elaborazione nostra.

Approfondendo i canali di provenienza degli alimenti offerti da parte delle parrocchie, è emerso in modo chiaro il ruolo di primo piano svolto dal Banco Alimentare in quanto fornitore di alimenti o intermediario per la raccolta degli stessi –siano essi eccedenze alimentari oppure prodotti AGEA Il dato che abbiamo rilevato –ovvero che 73 parrocchie figurano come enti caritatevoli riceventi dal Banco Alimentare– è coerente, considerato il numero di parrocchie non esaminate poiché non disponibili

(18), con quanto dichiarato dal Banco Alimentare del Piemonte in merito alle strutture parrocchiali servite (88) Se 21 strutture parrocchiali recuperano esclusivamente da Banco Alimentare, oltre cinquanta effettuano acquisti direttamente, beneficiano di donazioni di privati. Di queste, una decina sono attive anche nel recupero delle eccedenze alimentari presso la GDO, negozi al dettaglio e mercati rionali. Figura 33 - Parrocchie attive nel recupero delle eccedenze alimentari (Sì=recuperano eccedenze).

Fonte: elaborazione nostra. Infine, per quanto riguarda i requisiti di accesso al servizio, nella maggior parte dei casi esaminati è richiesta la presentazione di una certificazione

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(ISEE) che attesti l’effettiva condizione di difficoltà socio-economica al fine di beneficiare della prestazione sociale in esame. Tuttavia, nella realtà, diversi interlocutori hanno dichiarato un certo grado di flessibilità nell’applicazione di tale regola –pratica descritta come necessaria dagli enti intervistati, soprattutto per far fronte al crescente fenomeno dei cosiddetti “nuovi poveri” ovvero soggetti “non riconducibili all’utenza tradizionale contrassegnata dalla grave marginalità e multidimensionalità del disagio” (Meo, 2010, p. 203).

21 Sono escluse dall’analisi le mense dell’Associazione AMMP e del Cottolengo poiché non disponibili.

1.4.3 Le mense benefiche Le mense attive a Torino sono 18 (fonte: Comune di Torino e associazione Amici di Lazzaro). Per ragioni metodologiche e in modo analogo alle parrocchie, sono qui presentate le informazioni relative ai soli enti intervistati (16 sul totale del campione)21. Come emerge dalla figura 34, differentemente dalle parrocchie, la collocazione geografica delle mense non riflette la distribuzione spaziale della povertà urbana a Torino. Infatti, salvo alcune eccezioni, le mense si concentrano in aree della città centrali e raggiungibili mediante il trasporto pubblico: in questo caso, la geografia della vulnerabilità socio-economica e di alcune forme di assistenza in risposta ad essa, suggerisce e porta alla nostra attenzione una potenziale tensione socio-spaziale fra mobilità della povertà e mobilità dalla povertà. Tabella 13 – Mense benefiche a Torino

Enti che offrono assistenza alimentare 1 Sacro Cuore di Gesù 2 Sant’Alfonso Mensa del Povero 3 Sant’Antonio da Padova 4 Servizi Vincenziani 5 Centro Andrea – Opera Messa del Povero 6 Mensa estiva gestita dal SAD 7 Casa Santa Luisa 8 Parrocchia San Giuseppe Cafasso (MensAmica) 9 Spazio d’Angolo 10 Asili Notturni Umberto I 11 Mensa del povero “Il Cenacolo dell’Eucarestia” 12 Convento Monte dei Cappuccini 13 Parrocchia San Giulio d’Orta 14 Mensa Esercito della Salvezza 15 Parrocchia Santissimo Nome di Maria 16 Chiesa Evangelica Valdese

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Figura 34 - Mense a Torino

Fonte: elaborazione nostra su dati Atlante del Cibo e Rapporto Rota.

Prima di procedere, è utile chiarire che cosa qui si intenda con mensa: si tratta di un servizio gratuito di assistenza alimentare rivolto a persone in condizioni di difficoltà socio-economica e consiste nella fruizione di un

22 Nel caso delle mense Sant’Antonio da Padova e Servizi Vincenziani, l’opzione del pasto al “sacco” è sempre prevista a latere del servizio mensa. Per quanto riguarda la

pasto –sia esso colazione, pranzo o cena– in un luogo deputato al consumo o “al sacco”. Rispetto al campione esaminato, come emerge dalla figura a lato, sei mense –Sacro Cuore di Gesù, Sant’Antonio da Padova, Servizi Vincenziani, Servizi Adulti in Difficoltà (SAD), San Giuseppe Cafasso e Parrocchia Santissimo Nome di Maria– servono il pranzo. Tre mense invece –Asili Notturni Umberto I e Spazio d’Angolo offrono la cena. Tre, infine, sono le realtà specializzate nella colazione (Casa Santa Luisa, Parrocchia S. Giulio d’Orta e Chiesa Evangelica Valdese). Quattro mense offrono più di un pasto. In due di questi casi, l’assistenza alimentare consiste in una colazione e un pranzo serviti la domenica, giorno di apertura della mensa (Centro Andrea - Opera Messa del Povero e Sant’Alfonso Mensa del Povero). Mentre, per quanto riguarda la mensa de “Il Cenacolo dell’Eucarestia” e Esercito della Salvezza, il servizio consiste in due pasti accessibili in giorni differenti della settimana. Alcune realtà affiancano al servizio mensa, la distribuzione di un pasto “al sacco”22 ma nel caso del convento del Monte dei Cappucini offre esclusivamente questo tipo di assistenza “a bassa soglia”. Si consideri inoltre che in diversi casi –Esercito della Salvezza, Sacro Cuore di Gesù, mensa del povero “Il Cenacolo dell’Eucarestia”, Sant’Antonio da Padova, Asili Notturni Umberto I, parrocchie S. Giuseppe Cafasso e S. Giulio d’Orta– l’assistenza alimentare si completa della distribuzione di pacchi alimentari a nuclei familiari bisognosi.

mensa estiva gestita dal SAD, il venerdì è distribuito agli utenti un pasto al “sacco” per il sabato, giorno di chiusura del servizio.

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Figura 35 - Tipologie di pasto

Fonte: elaborazione nostra.

Se la capacità in termini di pasti offerti –e dunque di beneficiari– varia in modo consistente in base alla realtà esaminata (figura 36), è interessante

soffermarsi sui requisiti di accesso al servizio rappresentati graficamente in figura 37. Figura 36 – Numero di pasti offerti

Fonte: elaborazione nostra su dati Atlante del Cibo e Rapporto Rota. Come considerazione generale, nella maggior parte dei casi non è richiesta la soddisfazione di alcun requisito. Tuttavia, nei casi in cui l’accesso risulti mediato, abbiamo cercato di distinguere le realtà nei quali lo stato di vulnerabilità socio-economica fosse formalmente o informalmente certificato (risposta “sì”) da quelli in cui l'accesso fosse

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regolamentato da questioni non squisitamente organizzative (es. tesseramento volto a prevedere il numero di pasti da preparare)23. Oltre che una difficoltà analitica a distinguere in modo netto tra queste due tipologie di risposte affermative, è emerso come: - il certificato stato di indigenza sia legato, in modo esclusivo,

all’accesso al servizio mensa: in altre parole, l’accesso a un servizio “a bassa soglia”, quali il pasto al “sacco” o la colazione, non demanda requisiti in nessuno dei casi analizzati. Quanto detto è valido anche per le mense nelle quali l’accesso è regolamentato tramite il tesseramento degli utenti;

- in cinque casi, la verifica dei requisiti appare più stringente che in altri e spesso corrisponde a una segnalazione da parte di enti terzi (Servizi Sociali, dormitori e/o associazioni). L’indagine ha portato all’attenzione anche un aspetto aggiuntivo rispetto al tema dell’accesso al servizio: la conoscenza consolidata dei soggetti che abitualmente frequentano gli enti – ciò che alcuni interlocutori hanno descritto con l’espressione “persone già note” – è stata spesso indicata come un elemento identificante l’indigenza;

- nei due casi classificati come aventi un “accesso regolamentato”, la possibilità di beneficiare del servizio offerto è regolato da un tesseramento della persona previo colloquio conoscitivo (mensa Sant’Antonio da Padova) e dal versamento di un contributo simbolico di 2€ oppure un’attività di restituzione sotto forma, per esempio, di volontariato (MensAmica della Parrocchia San Giuseppe Cafasso).

23 La pratica del tesseramento a questi fini è molto diffusa e risponde ad esigenze organizzative.

Figura 37 – Requisiti di accesso

Fonte: elaborazione nostra.

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Per quanto riguarda la variabile “tempo”, i servizi di assistenza alimentare hanno luogo, nella maggioranza dei casi, nei giorni feriali e più volte alla settimana. Le fasce orarie, nonostante siano variabili (cfr. tabella 14), esprimono una ritmicità dell’assistenza, soprattutto per quanto riguarda l’offerta serale, che sembra rispondere a logiche organizzative proprie degli enti stessi e che, per effetto, scandiscono le giornate delle persone in difficoltà socio-economica in modi che meriterebbero una riflessione. Se in questa sede non troverà spazio questo tipo di problematica, sulla base di quanto osservato, si può supporre che l’orario dell’assistenza sia il risultato di esigenze organizzative, tra le quali emerge con forza il ruolo essenziale della figura del volontario. Tabella 14: Il ritmo dell’assistenza alimentare

Mensa Fasce orarie Giorni

Sacro Cuore di Gesù 11.30-12.30 Dal lunedì al venerdì

Sant'Alfonso Mensa del Povero 8:00-14:00 Domenica

Sant'Antonio da Padova 11:15-12:30 Dal lunedì al sabato

Servizi Vincenziani 11:00-12:00 Domenica e festivi

Centro Andrea - Messa del povero

7:30-10:00 11.30-12:30

Domenica

Servizio estivo gestita dal SAD 11:30-13:30 Dal lunedì al venerdì

Casa Santa Luisa 7:15-8:30 Dal lunedì al sabato

San Giuseppe Cafasso (MensAmica)

12:00-14:00 Martedì, mercoledì e giovedì

Spazio D'Angolo 17:00-18:30 Dal lunedì alla domenica

Asili Notturni Umberto I 18:00-19:30 Dal lunedì al sabato

Mensa del povero de "Il Cenacolo dell'Eucarestia"

17:00-19:00 9:00-12:00

Dal lunedì al venerdì Domenica e festivi

Convento Monte dei Cappuccini 16:00-17:00 Dal lunedì al sabato

24 Il contributo del Comune di Torino a questo proposito prevede anche un supporto finanziario per il potenzialento dei servizi di assistenza rivolti alle persone senza fissa

Parrocchia San Giulio D'Orta 7:30-10:00 Mercoledì e sabato

Esercito della Salvezza 17:00-18:00 8:00-10:00 8:00-10:00

Giovedì (da dicembre a marzo) Mercoledì Giovedì (da aprile a novembre)

Parrocchia Santissimo Nome di Maria

12:00-13:30 Domenica

Chiesa Evangelica Valdese 9:00-11:00 Martedì

Inoltre, le realtà esaminate non sono attive durante il periodo estivo o parte di esso (agosto) con la sola eccezione della mensa gestita da Spazio d’Angolo. Per compensare la riduzione del servizio, il Servizio Adulti in Difficoltà (SAD) gestisce una mensa estiva in Via Ghedini 6 dove è ubicato un dormitorio femminile della Città di Torino24. In linea generale, non è presente un vincolo temporale per usufruire del servizio: tuttavia, in alcuni casi (es. Sacro Cuore di Gesù) è prevista una valutazione di rinnovo dell’accesso dopo 12 mesi e l’inserimento in un percorso di accompagnamento. Focalizzando ora l’attenzione sulla tipologia di pasto offerto, questo è stato spesso descritto come “abbondante” o “arricchito” per le tre fattispecie: colazione, pranzo e cena. Nel caso del pranzo e della cena, l’assistenza alimentare consiste in tutti i casi esaminati in un pasto completo che include un primo, un secondo, un contorno, frutta e, in alcuni casi, antipasto e dolce. La provenienza degli alimenti è varia, come rappresentato nella tabella 15. Come emerge dalla stessa, il Comune di Torino fornisce il pasto precotto a cinque mense tramite la ditta GMI: Sacro Cuore di Gesù, Sant’Alfonso Mensa del Povero, Sant’Antonio da Padova, Servizi Vincenziani e Centro Andrea - Opera Messa del Povero. In quattro casi, è consegnato un pasto “ridotto” (primo o secondo piatto), mentre in un caso (Sacro Cuore di

dimora e ai nuclei in condizioni di estremo disagio durante il periodo invernale, a enti attive in questo senso. Cfr. la più recente deliberazione della Giunta Comunale del 14 novembre 2017 (2017 04781/019)

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Gesù) è fornito il pasto completo. Qualora si consegni un pasto “ridotto” il cui costo è sostenuto dal Comune di Torino, gli enti riceventi si attivano nella preparazione di pietanze aggiuntive. Inoltre, come rappresentato in figura 38, diversi sono gli enti attivi nel recupero delle eccedenze alimentari, soprattutto attraverso il canale della GDO dove il recupero è regolato in modo formale e dei negozi al dettaglio, dove al contrario, la consegna di alimenti invenduti (o donati ma ancora commercialmente attraenti) si svolge in modo spesso informale. Figura 38 – Mense che recuperano eccedenze alimentari

Fonte: elaborazione nostra.

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Tabella 15 – Origine degli alimenti

Organizzazione Banco

Alimentare Negozi al dettaglio

Donazione di cittadini privati

Mercati rionali

Mense aziendali GDO

Aziende o enti terzi

Ditta GMI (Comune di Torino)

Altro (es. CAAT)

1.Mensa Sacro Cuore di Gesù X X X X 2. Sant'Alfonso Mensa del Povero X X X X X X 3.Mensa Sant'Antonio da Padova X X X X

4.Mensa dei Servizi Vincenziani X X X 5.Centro Andrea – Opera Messa del povero X X X 6.Mensa estiva gestita dal Servizio Adulti in Difficoltà X

7.Casa Santa Luisa X X X X 8.Mensa San Giuseppe Cafasso (MensAmica) X X

9. Mensa Spazio D'Angolo 10. Mensa Asili Notturni Umberto I X X X X 11. Mensa del povero "Il Cenacolo dell'Eucarestia" X X X

12. “Monte dei Cappuccini" X

13. Parrocchia San Giulio D'Orta X X X 14. Mensa Esercito della Salvezza X X X 15. Parrocchia Santissimo Nome di Maria X X

16. Chiesa Evangelica Valdese X

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E’ interessante notare come molte mense operino attraverso donazioni di privati cittadini (contributi economici o donazione di alimenti), e che –al fine di erogare il pasto– acquistino direttamente prodotti alimentari. In un caso, mensa Spazio d’Angolo, il pasto completo è acquistato interamente da una ditta specializzata. Per quanto riguarda il profilo degli utenti, è emerso come nella maggior parte dei casi si tratti di persone singole, in maggioranza uomini. Inoltre, se la percentuale di stranieri è –in media– abbastanza consistente soprattutto per le forme di assistenza il cui accesso è meno regolamentato (es. pranzo “al sacco”), diversi interlocutori hanno evidenziato un aumento della presenza di utenti italiani e di giovani. A questo proposito, le realtà intervistate hanno spesso indicato la crescente presenza presso le proprie strutture, di “nuovi poveri” ovvero “quelli che ieri lavorano” (responsabile, convento del Monte dei Cappuccini, intervista telefonica, maggio 2018) e il delinearsi di nuove domande di assistenza: “un tempo chiedevano ‘solo’ da mangiare, ora le domande sono cambiate” (responsabile mensa, Sant’Antonio da Padova, intervista telefonica, maggio 2018). Infine, in base alle interviste effettuate, è possibile fare alcune considerazioni conclusive. Se si rileva una generale attenzione alle esigenze alimentari legate a motivazioni religiose e in due casi, un’enfasi sulla cura del servizio25, la possibilità per gli utenti di esprimere preferenze sembra tuttavia limitata. E’ pur vero che la possibilità di esprimere preferenze avviene sempre “nei limiti dell’offerta” -e questo osservazione è valida per ogni esercizio di somministrazione. Tuttavia, il tema che vorremmo portare all’attenzione è quello della rappresentazione dell’individuo “povero” che sembra delinearsi sullo sfondo e che è utile porre sotto forme di domanda come spunto per future riflessioni: in che termini il “povero” ha diritto di scegliere? O, in che termini al “povero” è

25 In particolare, nel caso della mensa della Parrocchia Santissimo Nome di Maria, è stato dichiarato dal responsabile che il pasto completo include l’offerta di un bicchiere di vino e che per il servizio sono utilizzati piatti di ceramica e posate d’acciaio (con l’eccezione dei bicchieri di plastica) (intervista telefonica, maggio 2017).

riconosciuto ed è riconoscibile –almeno a livello simbolico– tale diritto? E’ forse possibile occuparsi di povertà come condizione di vulnerabilità socio-economica evitando una declinazione della stessa nei termini di una qualifica del soggetto? Ovvero: è possibile “trattare la povertà, senza trattare i soggetti che gravano in tale condizione da poveri”26?

26 Quest’ultima domanda trae spunto da quanto il responsabile del Centro Andrea - Opera Messa del Povero, una mensa che offre ai beneficiari possibilità di scelta, ha dichiarato durante l’intervista: “Trattandoli non da poveri, ci si integra” (intervista telefonica, maggio 2017).

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1.4.4 Le progettualità istituzionali Come anticipato, le istituzioni comunali portano avanti diverse progettualità legate al contrasto alla povertà alimentare, all’interno di più ampie strategie di sostegno alla marginalità socio-economica. Per esempio, il Comune di Torino sostiene economicamente alcune mense benefiche, come quelle del Sacro cuore di Gesù, Sant'Antonio da Padova, Sant'Alfonso Mensa del Povero, Servizi Vincenziani e Centro Andrea -Opera Messa del Povero. Inoltre, prevede la fornitura domiciliare di pasti per anziani autosufficienti e non. Per un certo periodo, come anticipato, ha avuto una partnership con il Banco Alimentare per il ritiro, con alcune scuole del territorio, delle eccedenze non porzionate che venivano redistribuite alle realtà erogatrici di pasti pronti. Infine, come già anticipato, nell’analisi condotta sui 38 Comuni dell’area metropolitana sono emersi 21 realtà che presentano attività di recupero nelle scuole, di cui 16 già attivi e 5 in attivazione.

Figura 39 – Comuni dell’area metropolitana con progetti legati alla refezione scolastica

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1.4.5 Le progettualità del terzo settore Come anticipato, la parte centrale di questo lavoro consiste nella mappatura e nell’analisi delle pratiche di recupero e redistribuzione di cibo. A tal fine è stato effettuato un primo censimento tramite analisi desk a cui è seguita, in tutti i casi in cui è stato possibile, la somministrazione di un questionario e di un’intervista semi-strutturata, al fine di raccogliere informazioni sui seguenti aspetti: - utenti del progetto; - cibo raccolto e distribuito; - funzionamento del progetto; - luoghi di recupero e redistribuzione; - relazioni con altri soggetti.

La tabella che segue articola le pratiche censite e quelle analizzate per area di appartenenza (comune di Torino e i 38 comuni dell’area metropolitana individuati per l’approfodimento). Per ogni pratica analizzata è stata elaborata una scheda di sintesi. Le schede riportano le informazioni principali in relazione ai vari campi di analisi (utenti, cibo, funzionamento, luoghi, relazioni). Tabella 16 – Pratiche censite e analizzate per area

AREA ENTE/ASSOCIAZIONE PROGETTO QUESTIONARIO E INTERVISTA

Torino Food Not Bombs Augusta Taurinorum X Torino Opportunanda X Torino Il campanile Agenzia Alimentare X Torino Eco dalle Città POPP – Progetto

Organico a Porta Palazzo X

Torino Terza Settimana Social Market X Torino Just Eat Ristorante Solidale X Torino Equoevento X Torino Eufemia Pane in Comune X Torino Gruppo Abele Abbraccia una mamma e

altri progetti X

AREA ENTE/ASSOCIAZIONE PROGETTO QUESTIONARIO E INTERVISTA

Torino Cooperativa sociale Patchanka

La Locanda nel Parco

X

Torino Casa Santa Luisa X Torino Cooperativa Pierluigi

Frassati CucinAperTe

X

Moncalieri Carità Senza Frontiere X Carmagnola Ass.Interculturale

Karmadonne Mensa Popolare di Casa Frisco

X

Settimo Settore Socio-assistenziale dell’Unione dei Comuni Nord Est Torino

Save Food X

Chieri Cooperativa sociale Patchanka

Reciprocamensa X

Rivoli Centro di Ascolto Torino Associazione

Altrocanto Mensa Amica (cfr. sezione mense)

Torino Comitato S-Nodi Fa Bene Torino Associazione Hare

Krishna Onlus Progetto Food For Life

Torino Banco di Solidarietà Compagnia delle Opere Torino Associazione Arca

Onlus e Politecnico di Torino

Progetto Alimenta

Torino Comunità Papa Giovanni XXIII

Un pasto al giorno

CM di Torino Gruppi di Volontariato Vincenziani

Vincenziani per Senza Fissa Dimora

Settimo Torinese

Cooperativa Il Margine Progetto Emporio Solidale

Torino Associazione Amici del Sabato

Cfr. sezione mense