1 - FINALITA', METODOLOGIA E LIMITI DELLO...
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INDICE
1 - FINALITÀ, METODOLOGIA E LIMITI DELLO STUDIO ....................................... 2
PARTE PRIMA .......................................................................................................... 4
1 – INQUADRAMENTO GEOLOGICO REGIONALE ................................................. 4
1.1 – Conoscenze storiche ..................................................................................................... 4
1.2 - Interpretazioni più recenti ............................................................................................. 9
2 – INQUADRAMENTO SISMO-TETTONICO ......................................................... 13
FIG.3 . STRUTURE SISMOGENETICHE ATTIVE IN TEMPI STORICI. .................... 18
PARTE SECONDA ................................................................................................... 19
1 - LINEAMENTI GEOLITOLOGICI ........................................................................... 19
1.1 – Studi precedenti .......................................................................................................... 19
1.2 - Rilevamento diretto ..................................................................................................... 23
2– LINEAMENTI GEOMORFOLOGICI ..................................................................... 27
3 –INDAGINI GEOGNOSTICHE ................................................................................ 34
4 – PRIMI ELEMENTI DI CLIMATOLOGIA .............................................................. 41
PARTE TERZA......................................................................................................... 44
VINCOLI ...................................................................................................................... 44
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1 - RIFERIMENTI P.A.I. ............................................................................................. 44
PARTE QUARTA ..................................................................................................... 48
1. PERICOLOSITÀ E CLASSI DI FATTIBILITÀ GEOLOGICA ............................... 48
1.1 - ASPETTI GENERALI ....................................................................................................... 48
1.2 - CLASSI DI FATTIBILITA’................................................................................................. 51
Classe 1 - Fattibilità senza particolari limitazioni ........................................................ 51
Classe 2 – Fattibilità con modeste limitazioni............................................................ 52
Classe 3 – Fattibilità con consistenti limitazioni ........................................................ 53
Classe 4 – Fattibilità con gravi limitazioni ................................................................. 54
Alvei fluviali ............................................................................................................... 56
PARTE QUINTA .................................................................................................................... 57
1 - AREE A VINCOLO PAI ......................................................................................... 57
PARTE SESTA ......................................................................................................... 63
1 - CONCLUSIONI DELLA FASE PRELIMINARE E INDICAZIONI
PROGRAMMATICHE ........................................................................................................ 63
ALLEGATO A - PRIME INDICAZIONI NORMATIVE DI TIPO GEOLOGICO
............................................................................................................................................ 67
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1 - FINALITÀ, METODOLOGIA E LIMITI DELLO STUDIO
Il Comune di Campo Calabro (RC) ha affidato allo scrivente l’incarico di ese-
guire lo studio geomorfologico del territorio comunale, onde redigere il Piano
Strutturale Comunale rispettando le limitazioni d’uso derivanti dalle caratteristi-
che geologiche dei luoghi. Lo studio ha interessato tutto il territorio comunale ma,
dove i processi morfogenetici mostravano di avere origine o dipendere da feno-
meni esterni non si è limitato ai confini amministrativi.
Dopo aver eseguito le opportune ricerche biblio-cartografiche ed il riesame di
indagini e studi precedenti, lo studio si è sviluppato attraverso il rilevamento geo-
logico-geomorfologico di dettaglio e la redazione di specifiche carte tematiche di
analisi (geolitologica, clivometrica, geo-idrologica, geomorfologica, ecc.) per arri-
vare ad una carta di sintesi sulla quale sono riportati gli elementi più significativi
evidenziati dalle analisi ed ai quali possono essere associati fattori preclusivi o
limitativi dell’uso del territorio. e quendi delle scelte di piano.alla sintesi globale
ed alla rappresentazione cartografica dell'equilibrio geomorfologico delle diverse
parti del territorio (carta delle pericolosità geologiche e fattibilità delle azioni di
piano).
Per quanto concerne la pericolosità sismica locale, in considerazione delle peculia-
rità del territorio e soprattuttodella sua collocazione in un’area sismogenetica
particolare qual è lo Stretto di Messina, sono state utilizzati anche studi sismotet-
tonici prima di valutarne le implicazioni sulla fattibilità delle azioni di Piano.
E' opportuno precisare che, sia per le finalità che per le metodologie adotta-
te, lo studio è stato sviluppato a livello preliminare ed in nessun caso può essere
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utilizzato per scopi diversi o in sostituzione de studi geologici e geotecnici destina-
ti alla realizzazione di opere di ingegneria, per i quali, invece, è necessario esegui-
re indagini e prove specifiche come previsto dalle (NTC2009).
In ogni caso, restando la proprietà scientifica di esclusiva competenza
dell’autore e siccome le prestazioni non sono, né intendono essere, rapportate a
operazioni differenti da quelle della pianificazione territoriale generale, si fa preci-
so divieto di utilizzare anche parzialmente lo studio per fini diversi da quelli sopra
specificati, non potendosi ammettere nemmeno la citazione senza l'esplicita e
documentata approvazione dell’autore.
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PARTE PRIMA
1 – INQUADRAMENTO GEOLOGICO REGIONALE
1.1 – Conoscenze storiche
La letteratura geologica sull'Arco Calabro-Peloritano, pur essendo ormai piut-
tosto vasta e articolata, presenta tuttavia studi di sintesi globale relativamente
ridotti e, a nostro parere, ciò è da ascrivere alla complessità strutturale della re-
gione, alla sua netta differenziazione dal resto della catena appenninica, e alla
ancora scarsa conoscenza di alcune aree molto significative per la comprensione
tettonico-strutturale della Calabria meridionale (Aspromonte, Graben del Mesi-
ma, Horst di M. Poro - Capo Vaticano - S. Elia). Gli studi disponibili, peraltro, non
sono univoci nelle interpretazioni riflettendo, come è naturale, le diverse impo-
stazioni culturali di studiosi che si sono occupati del problema in tempi diversi,
oppure le contrapposizioni dogmatiche tra scuole differenti, quando non errori
interpretativi o la paura culturale di contraddire impostazioni teoriche suggestive,
ma talvolta dimostratesi prive di riscontri reali.
Per altro la ricerca di settore, come del resto la ricerca in generale, non può
fare a meno della conoscenza degli studi precedenti. Pertanto, i principali studi
generali finora pubblicati saranno riassunti in ordine cronologico, riprendendo
ampiamente lo studio sull’Arco Calabro – peloritano nell’Orogene appenninico –
magrebide. di AMODIO – MORELLI et Al. (1976).
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La Descrizione geologica della Calabria (CORTESE, 1895) è stato il primo studio
che abbia affrontato la trattazione geologica completa della regione. L'autore, pur
privilegiando la descrizione del rilevamento rispetto all'interpretazione dei dati,
propone informazioni strutturali ben chiare, anche se ancorate al modello dell'au-
toctonia. Egli individua una successione di rocce cristallino-metamorfiche con or-
dine di sovrapposizione invertito rispetto a quanto accade in altre regioni, alla
base della quale vi sono scisti filladici, seguiti da scisti micacei bianchi e da gneiss
granatiferi, mentre in posizione apicale, si trova il granito della Sila, delle Serre e
dell'Aspromonte, conformemente alle più moderne interpretazioni strutturali
della regione.
Ancora notevole, per i tempi in cui è stato concepito lo studio, è il rapporto di
causa-effetto tra faglie e terremoti e l'ampia e rigorosa trattazione dei terrazzi
marini quaternari.
Le interpretazioni strutturali in quella stessa epoca furono reinterpretate co-
me effetto di un rovesciamento di pieghe che avrebbero fatto accavallare i vari
terreni con ordine inverso ( DE LORENZO, 1896 ) e stimolarono immediate conclu-
sioni faldiste che, riconosciute in questa regione prima che in altre parti dell'Ap-
pennino meridionale ( LUGEON e ARGAND, 1906 ), portarono a considerare i ter-
reni cristallini della Calabria come parti di una enorme piega coricata con le radici
sotto il Mar Tirreno, sovrascorsa sui terreni appenninici della Lucania e della Sicilia
protendendo tre digitazioni principali corrispondenti ai Peloritani, all'Aspromonte
e all'insieme Capo Vaticano - Serre - Sila ( LIMANOWSKY, 1913 ).
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Successivamente il massiccio Calabro-peloritano fu interpretato (QUITZOW,
1935) come una grande anticlinale costituita da metamorfiti e intrusa da graniti di
età ercinica, ricoperta in trasgressione da terreni mesozoici e terziari, culminanti
con un flysh eocenico. Sul massiccio avrebbe esercitato la sua influenza una tetto-
nica di tipo alpino che si sarebbe manifestata con ricoprimenti poco estesi e a-
vrebbe dato origine a tre falde (trias metamorfico, filladi e gneiss-graniti) con ver-
genza dei movimenti principalmente occidentale e settentrionale, e subordinata-
mente orientale e meridionale.
In tempi più recenti (STAUB, 1951) uno studio generale sul sistema alpino,
modifica la disposizione geometrica fornita in precedenza, e considera la Sila co-
me parte di un "fronte africano" sovrascorso sull'Appennino calcareo meridionale,
prima separato da un'area geosinclinalica. Lo schiacciamento di quest'ultima a-
vrebbe originato la "Zona di Sangineto", complessa regione a scaglie costituite da
ofioliti, metasedimenti e rocce cristalline.
Durante i primi anni '60, alcuni geologi di scuola francese portarono a consi-
derare il blocco sialico delle Serre come la parte avanzata del "fronte africano" e
la zona di Catanzaro come elemento in cui si verificherebbe un sensibile assotti-
gliamento della crosta continentale. Si avrebbe quindi, proseguendo verso nord,
lo "hiatus" oceanico di Sangineto e infine la zona continentale dell'Appennino
praticamente non deformata (CAIRE et al., 1960; GRANDJACQUET et al., 1961;
GLANGEAUD et al., 1962).
In questi studi non è preso in considerazione l'Aspromonte, né i Peloritani.
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Pur movendo dalla stessa ipotesi di lavoro, Dubois e Grandjacquet sviluppe-
ranno nel tempo due differenti interpretazioni della Calabria.
DUBOIS (1970), conferma l’ipotesi del fronte africano, con un "dominio cala-
brese" composto da tre falde che, durante l’Eocene, sarebbero andate a ricoprire
tettonicamente un dominio appenninico, sul quale avrebbe prodotto un metamor-
fismo di alta pressione e bassa temperatura. A questo autore è rimproverata
l’attribuzione delle ofioliti (scisti a glaucofane) a basiti di natura continentale, e
una scarsa conoscenza dei domini appenninici, “dove la sedimentazione può esse-
re continua fino al Miocene e dove il fronte della compressione Africa-Europa non è
giunto prima dell'Aquitaniano, quando la catena alpina calabrese era completata
da un pezzo”. (AMODIO – MORELLI et alii, 1978)
GRANDJACQUET, HACCARD & LORENZ (1972) attribuiscono esplicitamente la
Calabria cristallina al sistema alpino s.s. ed estendendo il limite Alpi-Appennini
dalla Liguria alla Calabria settentrionale, ricostruiscono interessanti relazioni tra
Calabria, Corsica, Liguria e Alpi Occidentali, comparando l’evoluzione di questi
diversi segmenti dello stesso sistema orogenico.
Questa ipotesi ha trovato immediati consensi nel mondo scientifico ed è stata
riproposta, in parte modificata, da altri Autori ( DIETRICH & SCANDONE, 1972;
SCANDONE et al., 1974; ALVAREZ et al., 1974; DIETRICH et al., 1977; BONARDI et
al., 1977; ALVAREZ, 1976 ) ma non è presa in considerazione da OGNIBEN (1973)
che ripropone per la Calabria le idee già espresse per la Sicilia nel 1960 e per il
confine calabro-lucano nel 1969, distinguendo anche in Calabria un Complesso
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Panormide, un Complesso Liguride, un Complesso Calabride ed un Complesso An-
tisicilide.
Il primo sarebbe rappresentato dall' Appennino calcareo (miogeoanticlinale),
il secondo da ofioliti, radiolariti e calcari a Calpionella, seguiti da una successione
in facies di flysch (eugeosinclinale). Il Complesso Calabride, corrispondente ai
massicci cristallini interni, sarebbe costituito da quattro coltri di ricoprimento,
suturate nell'Oligocene da un flysch tardi-orogeno calabride. Il Complesso Antisici-
lide, che rappresenta la parte esterna dell’ eugeosiclinale avrebbe ricoperto i
Complessi Liguride e Calabride prima del loro trasporto sul Complesso Panormide.
L’Autore, conciliando lo schema paleotettonico strettamente legato alle geo-
sinclinali con il modello della tettonica globale, ripropone l'equivalenza tra eugeo-
sinclinale - ruga intermedia - miogeosinclinale - avampaese da una parte e l'insie-
me fossa oceanica - arco insulare - bacino marginale - margine continentale
dall’altra, – rifacendosi all’impostazione già proposta da Hsü (1971) – ed interpre-
ta l'Appennino come un orogene di tipo pacifico derivante da una frazione della
geosinclinale gondwanica.
Propone infine un nuovo modello di "orogene mediterraneo", derivante dalla
convergenza e dalla collisione di due orogeni di tipo pacifico e in questo quadro
avanza l’ipotesi che il Complesso Calabride possa rappresentare un elemento al-
pino.
Nell'ipotizzare la provenienza alpina del Complesso Calabride, OGNIBEN sem-
bra avvicinarsi al modello degli Autori citati in precedenza, ma con una sdiversa
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ricostruzione palinspastica e con i meccanismi evolutivi che hanno portato alla
costruzione orogenica.
1.2 - Interpretazioni più recenti
Più recentemente, una sintesi globale delle conoscenze geologico-strutturali
della Calabria è stata proposta da un gruppo di studiosi (AMODIO-MORELLI,
BONARDI, COLONNA, DIETRICH, GIUNTA, IPPOLITO, LIGUORI, LORENZONI,
PAGLIONICO, PERRONE, PICCARRETA, RUSSO, SCANDONE, ZANETTIN-LORENZONI,
ZUPPETTA, 1979) i quali, attratti dall'importanza che riveste l'arco calabro-
peloritano per la comprensione dei rapporti geologici fra Africa ed Europa, rias-
sumono le precedenti concezioni - che vanno da quella di una antica "mole" erci-
nica in parte dislocata dalla tettonica alpina a quella che intende l'arco come
frammento di catena alpidica composto di diverse coltri di ricoprimento - per su-
perarle con una concezione più coerente con i moderni sviluppi della geologia.
La prima ipotesi ha ormai carattere storico, mentre sulla seconda si sono a-
vute diversificazioni interpretative che hanno portato a tre possibili modelli.
Il primo modello, deriva dalla concezione della coppia eu-mio-geosinclinalica
(AUBOIN, 1959, 1964) e interpreta le coltri calabresi come parti della geosinclinale
appenninica, "riconducibili ad una ruga eugeoanticlinalica e ad una fossa eugeo-
sinclinalica accavallate su elementi esterni" costituiti dall'Appennino calcareo e
dalle unità di Lagonegro (OGNIBEN, 1960, 1969, 1973).
Nel secondo modello le coltri sono interpretate come un elemento del fronte
africano traslato verso nord (STAUB, 1951; GLANGEAUD, 1952, 1962;
GRANDJACQUET et al., 1961; DUBOIS, 1970).
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Il terzo modello interpreta l'arco calabro-peloritano come un frammento di
catena alpina s.s. (HACCARD, LORENZ e GRANDJACQUET, 1972).
Sviluppando quest'ultimo modello, gli autori interpretano l'arco calabro-
peloritano come un frammento di catena alpina cretacico-paleogenica ed Europa-
vergente, sovrascorsa nel Miocene inferiore sulle unità più interne della futura
catena appenninico-maghrebide, neogenica ed Africa-vergente. Viene altresì chia-
rito il significato attribuito al termine "catena alpina", "catena appenninica" e
"Maghrebidi".
Per "catena alpina" in Calabria, viene inteso un complesso Europa-vergente,
costituito da falde ofiolitiche di tipo ligure-piemontese e da falde cristalline au-
stroalpine, pienamente corrispondenti alle falde che compongono le Alpi occiden-
tali.Mentre con il termine "catena appenninica" si fa riferimento al segmento
"NW-SE dell'orogene neogenico Africa - vergente, composto di coltri di ricopri-
mento con attuale vergenza verso NE, aventi per avampaese la zona apula. Que-
sto segmento della catena ha assorbito prevalentemente la componente E-W del-
la compressione neogenica tra Europa e Africa, e le coltri che lo costituiscono so-
no rappresentate da terreni sedimentari originariamente deposti su litosfera con-
tinentale africana. La corrispondente crosta continentale sarebbe in parte "in-
chiodata" nelle radici della catena, in parte (crosta inferiore) scomparsa nel man-
tello per subduzione".
Infine, con il termine "Maghrebidi siciliane" è stato definito "il segmento E-W
dello stesso orogene neogenico Africa-vergente, composto di coltri di ricoprimen-
to con vergenza verso sud, aventi per avampaese la zona ibleo-ragusana. Questo
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segmento della catena ha assorbito prevalentemente la componente N-S della
compressione neogenica tra Europa e Africa, e anche qui le coltri sono rappresen-
tate da terreni sedimentari originariamente deposti su litosfera continentale afri-
cana. Come nell'Appennino, la corrispondente crosta continentale “è in parte nel-
le radici della catena, in parte scomparsa nel mantello per subduzione".
Lo studio si preoccupa di evidenziare che, sotto le coltri alpine nella Sila e nei
Peloritani si andrebbe a collocare una unità tettonica Africa-vergente ( Unità di
Longobucco - Longi - Taormina ) che viene interpretata come "elemento interme-
dio fra i domini austroalpini a destinazione europea e i domini appenninici a de-
stinazione africana, trasportato con la catena alpina quando questa nell'Oligocene
ha acquisito destinazione africana".
Nonostante l'ampiezza delle vedute, lo studio non riesce a conferire una col-
locazione palinspastica ad alcune unità tettoniche tra le quali vi è l'unità di Stilo -
composta di un basamento cristallino di età ercinica e da una copertura sedimen-
taria alpina non affetta da metamorfismo - che viene considerata, sia pure dubita-
tivamente, di provenienza europea.
Altra carenza dello studio, anche se dichiarata dagli autori, è lo scarso appro-
fondimento delle unità dell'Aspromonte per le quali si è fatto riferimento ad "al-
cune traversate" e alla Carta geologica della Calabria in scala 1: 25.000, completa-
ta nel 1971 a cura della Cassa per il Mezzogiorno, e criticata per la mancanza di
uno schema tettonico generale e per “l'insoddisfacente coordinamento”.
Studi più recenti hanno confermato che l’Arco Calabro è un blocco litosferico
strutturalmente composto da un basamento ercinico e da una copertura sedi-
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mentaria post–mesozoica, che sovrascorre dalla originaria collocazione nella cate-
na alpina, verso l’avampaese ionico, fortemente differenziandosi dalla catena ap-
penninica e dalle Maghrebidi siciliane con cui va a contatto.
Lo schema grafico delle interpretazioni oggi più accettate è riportato in figura 1.
Fig.1. L’arco Calabro-Peloritano nella posizione attuale
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2 – INQUADRAMENTO SISMO-TETTONICO
La regione in cui si articola il territorio di Campo Calabro è compresa tra lo
Stretto di Messina e l’horst di Campo Piale che interrompe verso nord le sequenze
sedimentarie del Bacino di Reggio e in massima parte rientra in quest’ultima area
geologica di cui costituisce la parte più settentrionale.
In quest’ambito sono stati eseguiti in tempi recenti alcuni studi per verificare
la fattibilità del Ponte sullo Stretto. Tali studi - anche se ancora incompleti e inedi-
ti– hanno portato all’individuazione di sette orizzonti sismostratigrafici così defini-
ti:
Orizzonte sismico Epoca geologica Tempo assoluto (Ma)
A0 Quaternario superiore 0,0
A1 Quaternario inferiore 1,0
A2 Pliocene superiore 2,0
A3 Pliocene inferiore 3,5
A4 Miocene Paleocene 5,0
K Cretaceo 65
J Lias 165
T Trias 195
E’ stato altresì accertato che i movimenti tettonici si manifestano per mezzo di
tre tipi di faglie.
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- Faglie inverse o di compressione; caratterizzanti il settore ionico;
- Faglie dirette o di distensione, prevalenti nella zona occidentale
dell’Aspromonte e quindi particolarmente presenti nell’area in esame;
- Faglie trascorrenti, a scorrimento orizzontale lungo piani sub – verticali,
passanti soprattutto in aree esterne, e una delle quali, definita Capo Pelo-
ro (CP) passerebbe poco a nord dell’Horst di Piale e quindi a nord
dell’area in esame.
Con meccanismi del tipo trascorrente, in seguito all’apertura del Mar Tirreno,
la tettonica regionale ha prodotto la migrazione dell’Arco Calabro verso est–sud–
est dando origine a fenomeni di compressione sul margine esterno
dell’Aspromonte e di distensione sul versante interno.
Durante la migrazione si sono verificati intensi fenomeni di compressione con
lo scavalcamento della piattaforma appenninica verso nord e il contemporaneo
sottoscorrimento di uno strato litosferico nella zona tirrenica sud-orientale sulla
cui superficie si verifica un’intensa “attività sismica a profondità progressivamente
variabili da 10 a 500 Km” lungo un piano di Wadati-Benioff che prevede la litosfe-
ra ionica sprofondarsi sotto quella tirrenica molto al di sotto della Moho.
Nella figura che segue, è rappresentato in maniera schematica il meccanismo di
subduzione della litosfera ionica che si immerge nella Moho proprio sotto l’arco cala-
bro emerso, e si protende verso la litosfera tirrenica lungo un piano inclinato contrad-
distinto da uno sciame di fuochi sismici
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.
Fig. 2 – Piano di Wadati-Benioff e sismicità profonda dell’Arco cala-
bro-peloritano
La tettonica regionale si riflette nell’area Aspromonte – Peloritani e i mari adia-
centi con la formazione di faglie, alcune delle quali sismogenetiche.
Facendo riferimento alla zona dove è previsto l’attraversamento stabile dello
Stretto di Messina, che sulla sponda calabra comprende anche il territorio di
Campo, sarebbero state individuate numerose faglie di cui 11 definite “principali”.
Tra queste, possono avere attinenza con l’area in esame, quelle riportate nella
seguente tabella con i relativi valori caratteristici.
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Da questi caratteri geotettonici derivano alcune importanti considerazioni:
La sola faglia ad alto potenziale sismogenetico (Calanna – Sinopoli) è e-
sterna al territorio di Campo Calabro;
le altre faglie, avendo dimensioni più ridotte ed interessando rocce con ri-
gidezza meno pronunciata, generano un rischio sismico minore;
le faglie individuate nell’Area dello Stretto hanno scarso potenziale sismo-
genetico a causa della loro estensione - assai modesta se paragonata con
quella che ha originato il terremoto del 1908 - dato che per accumulare
un’energia pari a quella liberata da quell’evento occorre ipotizzare uno
scorrimento su un piano di faglia lungo non meno di 40 Km e profondo
non meno di 20 Km;
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Piale 1 0° 80° W N > 3,5 50 0,5 0,1
Cappuccini 100° 80° 55 W N > 4,2 20 0,2 0,1
Mortille - S.Rocco 105° 80° 55 W N > 3,7 40 0,5 0,08
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in caso di terremoto, il movimento lungo la faglia principale risponde ad
una legge di proporzionalità inversa tra scorrimenti superficiali e numero
di faglie coinvolte, per cui più numerose sono le faglie e meno importanti
sono gli scorrimenti, e quindi la diffusa fratturazione dell’area viene rite-
nuta non sfavorevole. Sotto questo aspetto, il comportamento cinematico
in caso di terremoto è paragonabile a quello delle scale mobili che, pur
dovendo garantire sollevamenti di alcuni metri, spostano i singoli gradini,
assimilabili ai rigetti di faglia, in maniera inversamente proporzionale al
loro numero e comunque dell’ordine di qualche decimetro.
i terremoti di quest’area si originano “ad almeno 15 Km di profondità e
sono in buona parte movimenti orizzontali (come il nastro delle scale mobi-
li), mentre in superficie si registrano movimenti verticali (i gradini delle
scale mobili) di entità assai minore, perché la componente verticale dello
spostamento principale è piccola ed inoltre si ripartisce tra più scorrimenti
relativi tra blocchi crostali”.
Sempre per quanto riguarda l’Area dello Stretto, si deve porre in evidenza che nel
“Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1980” (E. Boschi et al. 1995) a
proposito della questione delle faglie e dei tempi di ritorno dei terremoti, si può
leggere che “il problema della valutazione del tempo di ritorno di grandi terremoti
prodotti dalla stessa faglia è stato esplorato in maniera più oggettiva con i metodi
della paleo-sismologia, cioè datando con metodi radiometrici episodi di dislocazio-
ne della superficie topografica lungo faglie attivate in epoca storica ovvero rappor-
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tando l’entità della deformazione prodotta da un singolo grande terremoto con la
deformazione cumulativa registrata da orizzonti geologici di età nota.”
In una analisi comparativa dei risultati ottenuti da diversi autori, Valenzise et
al. hanno mostrato che tutte le grandi faglie italiane finora studiate hanno gene-
rato terremoti con cadenza millenaria o addirittura bimillenaria .
FIG.3 . STRUTURE SISMOGENETICHE ATTIVE IN TEMPI STORICI.
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PARTE SECONDA
1 - LINEAMENTI GEOLITOLOGICI
Le formazioni geologiche affioranti nel territorio di Campo Calabro non sono
numerose e si caratterizzano per la presenza di un complesso basale costituito da
plutoniti granitoidi e metamorfiti di vario grado sulla quale, in netta discordanza,
giace una successione sedimentaria mio-pliocenica di facies marina seguita, in
copertura, da sedimenti pleisto-olocenici di facies continentale.
I luoghi di affioramento delle formazioni sono riportati nell’apposito elabora-
to cartografico (v. Carta Geolitologica) il cui rilevamento è avvenuto su una base
topografica in scala 1:2.000 per le aree urbane e su una base in scala 1:5.000 per
le aree non urbanizzate. In tale elaborato, le formazioni geologiche sono state
raggruppate in base alle loro caratteristiche litologiche, idrogeologiche e geomec-
caniche. Di conseguenza nella legenda non sempre è stata rispettata la successio-
ne stratigrafica.
1.1 – Studi precedenti
Trascurando la vecchia Carta geologica d’Italia - Foglio Reggio Calabria e Mes-
sina in scala 1:100.000 (1896) un’accettabile rappresentazione dell’area in esame
è riportata nella tavoletta VILLA SAN GIOVANNI (Foglio 254 – IV S.E. dell’I.G.M.-
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serie 25) della Carta Geologica della Calabria in scala 1:25.000, basata su rileva-
menti eseguiti nella seconda metà del secolo scorso.
Su tale carta sono riportate, in ordine crono-stratigrafico, le seguenti forma-
zioni, tra le quali sono contrassegnate con asterisco () quelle di più diretto
interesse con l’area in esame.
- Scisti biotitici
- Gneiss occhiadini
- Granito biotitico – muscovitico D
- Conglomerati – (Miocene sup. Sarmaziano) D
- Argille, marne e sabbie siltose (Pliocene inferiore – medio)
- Sabbie, calcareniti ed arenarie (Pliocene medio – superiore)
- Conglomerati (ghiaie) e sabbie (Pliocene sup. – Calabriano) D
- Conglomerati (ghiaie) e sabbie micacee (Pleistocene)
- Detriti di frana, prodotti di soliflusso, depositi alluvionali stabilizzati e mo-
bili (Olocene).
I rapporti tra una formazione e l’altra sono di continuità stratigrafica all’interno
della successione pliocenica e di quella pleisto–olocenica, mentre vi è discordanza
negli altri casi, talora con la complicazione di fortissime lacune stratigrafiche e
differenze angolari, come avviene al contatto tra substrato igneo–metamorfico e
termini miocenici. E’ ancora importante rilevare il fatto che i Conglomerati (ghiaie)
e sabbie – riferiti al Pliocene sup. (Calabriano) – che in altre parti dello Stretto
immergono verso ovest per effetto di clinostratificazione originaria, qui hanno
giacitura assai diversa, avendo direzione sub – parallela alla superficie superiore
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del complesso granitoide, e immersione verso sud e sud – ovest per probabili in-
terazioni con la tettonica dell’Horst di Campo Piale.
La carta non riporta faglie, ed in ciò contrasta con tutte le altre, anche con quelle
più antiche.
La Carta geologica del bordo occidentale dell’Aspromonte (ATZORI et al., 1983)
prodotta in scala 1:50.000, ricalca in linea di massima le informazioni della Carta
geologica 1:25.000, ma se ne differenzia per una più adeguata collocazione delle
formazioni nelle ere e nei periodi geologici, per la rappresentazione di un impor-
tante numero di faglie e per una ri-denominazione delle formazioni.
Facendo riferimento all’area di Campo Calabro e procedendo dal termine più
antico al più recente, la successione litostratigrafica è caratterizzata da
Plutoniti [leucograniti a due miche e graniti] del Paleozoico
Trubi [marne e marne calcaree localmente sabbiose] del Pliocene infe-
riore.
Calcareniti del Pleistocene inferiore
Ghiaie di Messina del Pleistocene inferiore – medio (?)
Depositi continentali con paleosuoli e spianate di abrasione, post – tir-
reniani
Depositi alluvionali recenti e attuali
La parte più innovativa di questa carta risiede in una più precisa attribuzione tem-
porale delle formazioni e in un più attento esame degli aspetti tettonici con la
rappresentazione di due faglie sub – parallele, orientate ESE – WNW, la più a nord
delle quali supera Campo Piale e si spinge fino all’autostrada A3, mentre l’altra si
22
arresta nei pressi di Matiniti. Altre faglie, esterne ai confini comunali, si orientano
in senso SE – NW e scalettano il territorio più a nord fino al mare, conferendo sin-
golarità tettonica all’Horst di Campo Piale. Ancora importanti sono le giaciture di
alcune formazioni come le Ghiaie di Messina che immergono verso W e NW negli
affioramenti a valle di Campo Calabro e verso SW a monte, dove probabilmente
risentono gli effetti delle faglie sopracitate.
Ulteriori informazioni sono riportate sulla “Carte des risques morphodynamiques
CATONA, VILLA SAN GIOVANNI (CALABRE, ITALIE) in scala 1:10.000 (P. BARRIER et
al., 1987) dove la successione stratigrafica è distinta in:
- Rocce cristalline
- Conglomerati
- Calcareniti
- Argille e argille sabbiose
- Conglomerati a stratificazione incrociata
- Sabbie argillose
Su tale carta sono riportate 4 faglie a direzione NE – SW che interessano l’area
posta in destra idrografica della Fiumara di Muro – Fiumara di Catona e una faglia
a sviluppo maggiore, orientata grosso modo ESE – WNW che proviene dal lato
orientale della carta e s’interrompe ad est di Case di Greco, nei pressi della strada
che porta al Piano di Matiniti, alla quota di circa 230 metri s.l.m..
Sulla stessa carta, buona parte del territorio in esame è classificato “a rischio
nullo o debole” con una fascia di “rischio moderato in caso di sisma” lungo la scar-
23
pata in destra della strada che da Case di Greco porta a Campo Piale, mentre ven-
gono classificate “a rischio grave” - con probabilità di accadimento da debole a
media ad alta per motivi legati soprattutto alla circolazione delle acque superficia-
li - le incisioni vallive che attraversano l’abitato da monte a valle.
La successione stratigrafica della Carta geologica 1:5.000 allegata al P.R.G.
(1998) rappresenta l’intera successione nel modo seguente:
a - Rocce del basamento cristallino – metamorfico;
b - Conglomerati di Piale (Miocene ?);
c - Marne bianche (Trubi) (Pliocene inferiore);
d - Sabbie, conglomerati ed arenarie, biancastri, fossiliferi (Pliocene medio);
e - Ghiaie di Messina (Pleistocene)
f - Depositi continentali (Pleistocene – Tirreniano e post – Tirreniano)
g - Depositi attuali e recenti
Nella successione vengono riportati i Conglomerati di Piale fra le rocce del basa-
mento, come del resto era stato già introdotto da Barrier et al. nel 1987.
1.2 - Rilevamento diretto
Partendo dalle informazioni biblio-cartografiche sopra riassunte, sono stati ese-
guiti rilievi ed indagini in situ che hanno consentito di ricostruire le situazioni geo-
logiche e geotettoniche con un approfondimento sufficiente per rilevare le pecu-
liarità dell’ambito di specifico interesse e le sue implicazioni con la tettonica loca-
le e regionale.
I risultati delle indagini sono riportati su più fogli nella Carta geologica in scala
1:5.000 e 1:2.000 riportata in allegato.
24
Il più antico termine della struttura geologica è visibile in un affioramento di
plutoniti che in qualche maniera deve collegarsi alle rocce cristallino–
metamorfiche del basamento Aspromontano, di cui si possono osservare affiora-
menti a varie altitudini verso est e verso nord, scalettate da numerose faglie ri-
conducibili al sistema regionale SW – NE.
Verso sud, invece, l’interruzione è più netta e le plutoniti vanno a contatto con
la complessa successione sedimentaria del Bacino di Reggio.
In chiara discordanza stratigrafica, angolare e litologica, sulle metamorfiti giac-
ciono sia i complessi sedimentari di facies marina che quelli continentali. A questi
ultimi appartiene la formazione dei Depositi Continentali (Conglomerati o ghiaie e
sabbie del Pleistocene o post - tirreniani) molto estesa tranne che verso nord-est
dove vengono a giorno Calcareniti ed arenarie riferite al Pliocene medio – inferiore
dalla Carta geologica della Calabria, al Pleistocene inferiore dalla Carta del bordo
occidentale dell’Aspromonte e al Pliocene medio dalla Carta geolitologica del
P.R.G. Verso ovest, invece, lungo tutte le incisioni vallive e sulla scarpata che deli-
mita il terrazzo morfologico di Campo, affiorano le Ghiaie di Messina che si posso-
no osservare anche sugli altri bordi del terrazzo..
Considerando i rapporti stratigrafici e le condizioni di giacitura delle diverse
formazioni, si può ritenere molto probabile che sotto l’area considerata, in una
stretta fascia di territorio a oriente di Campo Piale, i Depositi continentali coprano
il contatto tra le Calcareniti e le Ghiaie di Messina; verso sud, invece, stando alla
disposizione spaziale delle diverse formazioni, le Ghiaie di Messina si protendono
in ogni direzione con maggiore continuità.
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Non presente su alcuna delle carte geologiche prese in esame, tuttavia diret-
tamente osservato poco a monte di Campo Piale, vi è un calcare marnoso che
probabilmente costituisce un membro della più vasta formazione dei Trubi affio-
rante anche sul versante nord dell’Horst di Campo Piale.
Tra le formazioni individuate, certamente predominanti per estensione, poten-
za, continuità e importanza sono le Ghiaie di Messina e i Depositi continentali,
mentre le altre assumono rilevanza geologica in ambiti più ristretti oppure in aree
più esterne rispetto a quelle qui considerate. La prima costituisce la più continua e
potente delle formazioni sedimentarie ed è rappresentata da ghiaie e sabbie a
stratificazione incrociata, con le quali termina il ciclo sedimentario pliocenico, se-
condo alcuni studiosi, oppure inizia quello pleistocenico, secondo altri. Si tratta di
una formazione molto diffusa su ambedue le sponde dello Stretto, conosciuta con
la denominazione di “Ghiaie di Messina” la quale sembrerebbe più propriamente
riferibile al Pleistocene inferiore – medio.
La formazione può presentarsi anche a stratificazione incrociata, ma a ovest di
Campo Piale e a Musalà immerge verso W e SW, e quindi si discosta piuttosto net-
tamente da quella prevalente negli altri luoghi di affioramento, dove l’immersione
è rivolta verso la parte assiale del Graben dello Stretto, e ciò la fa collegare alla
tettonica che ha portato al sollevamento dell’Horst di Campo Piale. L’immersione
verso il centro dello Stretto è assai probabile che sia dovuta a una clinostratifica-
zione originaria, legata a facies deltizie o di conoidi epicontinentali alimentate
dagli apporti di antichi corsi d’acqua. In ogni caso il processo deposizionale va le-
gato a una lunghissima fase di sollevamento rapido che ha portato le ghiaie, in un
26
tempo geologicamente brevissimo, fino a quasi 300 metri (quota 297 metri s.l.m)
come avviene sulle alture ad est di Musalà, nei pressi del confine con il comune di
Fiumara di Muro.
Gli elementi litologici più grossolani della formazione sono ciottoli e ghiaie di
natura cristallina, in alcuni orizzonti fortemente appiattiti ed embriciati, in altri
sub–arrotondati ed in altri ancora misti, a secondo che sia stata prevalente
l’influenza delle acque marine o di quelle fluviali. Ghiaie e ciottoli hanno diametro
prevalentemente compreso fra 2 e 8 cm; ma, specie verso il tetto della formazio-
ne, si osservano con una certa frequenza trovanti di natura cristallino – migmatiti-
ca di dimensioni decimetriche e, sia pure più raramente, metriche. Più frequenti e
più uniformemente distribuite sono, invece, le intercalazioni sabbiose; assai più
rare quelle sabbioso – siltose. In ogni caso però il complesso litologico, pur rima-
nendo allo stato incoerente, manifesta gradi di addensamento e assortimenti gra-
nulometici sempre considerevoli e mantiene in tutti i suoi orizzonti una elevata
permeabilità.
I terreni del Quaternario sono presenti nell’area solo con sedimenti di facies
continentale. Ne fanno parte Depositi continentali s.s., Detriti di frana, Alluvioni
stabilizzate e Alluvioni mobili. La prima formazione è datata correntemente come
post–tirreniana, le altre invece sono riferite all’Olocene.
I Depositi continentali, in tutti i luoghi di affioramento, appaiono costituiti da
sabbie ghiaiose, contengono sempre una apprezzabile percentuale di materiale
fine di tipo limoso, ed occupano con continuità il terrazzo di Campo Calabro, ma
sono anche presenti come lembi sporadici nella zona a est di Mortille.
27
La giacitura del complesso appare debolmente immergente verso l’attuale li-
nea di costa e in tale posizione costituiscono dei marker importanti per ricostruire
l’evoluzione neo–tettonica della regione perché la loro età è post–tirreniana
(80.000 anni circa).
A tale proposito va però evidenziato che gli affioramenti residuali a est di Mor-
tille sembrano immergere verso SW, assumendo quindi un andamento conforme
alle linee tettoniche che attraversano quest’area.
Gli altri terreni sono direttamente legati all’idrografia attuale o a fenomeni gra-
vitativi (detriti di frana) di limitata estensione.
2– LINEAMENTI GEOMORFOLOGICI
Il territorio comunale di Campo Calabro si sviluppa per intero sul versante
meridionale dell'Aspromonte ed occupa una successione di terrazzi e di versanti
più o meno acclivi che dall'entroterra aspromontano si spingono fino allo Stretto
di Messina, incisi da corsi d’acqua orientati radialmente rispetto al rilievo centrale.
Gran parte dell’abitato di Campo Calabro si colloca su un ampio ripiano (ter-
razzo geomorfologico) caratterizzato da un debole gradiente clivometrico, la cui
continuità spaziale è interrotta soltanto da alcune incisioni ereditate da un antico
pattern idrografico e, verso monte, da altri terrazzi della serie aspromontana. In
quest’area i più evidenti processi morfogenetici ad evoluzione rapida sono confi-
28
nati lungo le fasce perimetrali del pianoro o terrazzo geomorfologico ed in corri-
spondenza delle incisioni vallive a carattere torrentizio.
Anche la parte montana del territorio comunale, su cui si collocano le frazioni
di Matiniti Superiore e Matiniti Inferiore, è caratterizzata da ampie spianate poste
a quote topografiche differenti, separate da pendici più ripide lungo le quali però
si manifestano processi morfogenetici ad evoluzione più rapida.
Appartiene a Campo Calabro anche l’abitato di Musalà che si colloca
all’interno di una valle fluviale a un fondo piatto, delimitata da versanti incisi lun-
go la quale i processi geomorfici sono soprattutto legati a fenomeni idraulici sia di
tipo lineare che di tipo areale, che vanno dall’erosione, all’esondazione, al tra-
sporto in massa e al richiamo dai versanti adiacenti.
La porzione del territorio comunale altimetricamente più depressa ricade
all’interno dell’ampia vallata del T. Catona, lambendone l’argine, e la sua pericolo-
sità dipende dai rapporti tra strutture arginali e regimazioni idrauliche di quel ba-
cino idrografico.
In queste condizioni, per una corretta pianificazione territoriale è indispensa-
bile individuare le direttrici di sviluppo e la differente intensità dei processi mor-
fogenetici onde:
evitare di destinare all'uso urbano le aree con equilibrio geostatico più
precario;
sconsigliare inconsulte manomissioni dei versanti a più elevata pericolosità
o propensione al dissesto;
29
individuare le aree più idonee, sotto l'aspetto geomorfologico, per l'espan-
sione urbana e per le relative infrastrutture;
dettare le prescrizioni e le più elementari norme d’uso di tipo geologico
per l'attuazione degli interventi sul territorio.
In tutto il territorio di Campo Calabro, le condizioni geomorfologiche generali tro-
vano uno stretto e diretto riscontro non solo con i caratteri geologici e tettonico-
strutturali, ma anche con i fenomeni morfogenetici che presiedono all'evoluzione
eso-geodinamica. Infatti, l'impianto morfogenetico dipende prioritariamente
dall'assetto geotettonico, dall’assetto lito-stratigrafico e dalle caratteristiche di
resistenza meccanica dei terreni presenti, mentre la sua dinamica evolutiva è go-
vernata dalle interazioni tra tali aspetti e le peculiarità morfologiche, geolitologi-
che, idrogeologiche e climatiche delle diverse aree.
La superficie territoriale del Comune di Campo Calabro si estende per circa 7
km² e si articola a quote comprese fra i 60 metri slm della porzione di territorio
ricadente nella valle alluvionale della Fiumara di Catona ed i 490 metri dei primi
rilievi aspromontani che in quest'ambito raggiungono le massime elevazioni sui
Piani di Matiniti Superiore e lungo la Strada Campo Calabro - Melia.
Il territorio digrada da Sud - Est a Nord - Ovest secondo un andamento ad
ampie terrazze disposte a quote differenti e separate da scarpate a differente
grado di acclività.
L'esposizione generale dei versanti è strettamente legata all’orientamento del
territorio e, anche se la presenza di numerosi compluvi e vallecole minori deter-
30
mina l'esistenza di pendii secondari con esposizione estremamente varia, non
sono state osservate peculiarità morfologiche significativamente legate alla posi-
zione rispetto ai punti cardinali.
In una classificazione di larga massima si possono distinguere tipologie morfo-
logiche differenziate secondo la prevalenza dei morfotipi.
31
Terrazzi superiori
Partendo dalla porzione altimetricamente più elevata, corrispondente ai Piani
di Matiniti, ampie terrazze digradanti verso la parte assiale dello Stretto e poste a
quote differenti generano una successione di aree a morfologia dolce, la cui con-
tinuità spaziale è interrotta dascarpate sublapidee piuttosto acclivi.
Nelle aree interne dei terrazzi, dove il gradiente clivometrico è debole, i pro-
cessi morfogenetici attivi restano confinati nel campo delle trasformazioni isovo-
lumetriche tipiche dei suoli podologici maturi la cui permanenza e l’elevato spes-
sore possono essere interpretati come parametri qualitativi di un perdurante gra-
do di stabilità geomorfologica.
Fanno eccezione le porzioni attraversate da solchi vallivi a forte erosione line-
are che generano scarpate acclivi dove la stabilità è quasi sempre non garantita.
Sui quadranti meridionali e settentrionali, i versanti presentano una maggiore
acclività e risultano fortemente incisi da elementi idrografici i cui continui appro-
fondimenti d’alveo generano fenomeni di richiamo e ripetuti assestamentii gravi-
tativi seppur confinati ad una fascia comunque superficiale.
Terrazzo di Campo Calabro
Un morfotipo analogo ai precedenti, ma che per la sua importanza si preferi-
sce trattare a parte, può essere individuato nell’ampio terrazzo sul quale si colloca
l’abitato di Campo Calabro. Esso è caratterizzato da un’estesa superficie sub-
pianeggiante la cui continuità morfologica è interrotta sporadicamente da alcune
incisioni torrentizie. Anche in questo caso, i processi morfogenetici ad evoluzione
32
rapida sono confinati alle fasce perimetrali, e particolarmente ai versanti di rac-
cordo alla pianura costiera ed alla vallata della Fiumara di Catona.
Per altro, sul terrazzo esistono ancora numerose tracce di compluvi a deflusso
piuttosto saltuario e generalmente modesto, le cui aree di alimentazione si trova-
no a monte dell’abitato e le cui pendenze, piuttosto accentuate nelle aree ester-
ne, si riducono sensibilmente in corrispondenza dell’abitato a causa
dell’andamento sub-pianeggiante del terrazzo originario. Questi elementari ma
indispensabili canali di deflusso idraulico rappresentano veri e propri agenti mor-
fogenetici, ed occorre che siano considerati con particolare attenzione perché
l’espansione urbana tende a confinarli in spazi sempre più ristretti. In queste con-
dizioni, infatti, apporti idrometeorici intensi - per altro non infrequenti nel lonta-
no passato, quando i compluvi si originarono e che tendono a ricorrere con una
certa frequenza anche negli ultimi anni – la loro capacità di smaltimento può risul-
tare insufficiente ed esporre ad un concreto rischio di alluvione il centro abitato.
In corrispondenza delle aree interne del terrazzo i fenomeni gravitativi quali
le frane sono praticamente assenti ed in genere prevalgono i fenomeni di biosta-
sia con processi isovolumetrici che portano alla trasformazione dei terreni affio-
ranti in suolo pedologico attraverso meccanismi talmente lenti da risultare prati-
camente trascurabili.
33
Valle di Musalà
La porzione di territorio comunale in cui si trova la storica frazione di Musalà
può essere interamente classificata come valle fluviale anche se la sua origine non
può essere ascritta soltanto a fenomeni idraulici, dovendosi richiamare anche
aspetti tettonici.
Si tratta del territorio che ricade in un’area in cui sono stati attivi sia processi
di tipo lineare, dovuti alle acque incanalate, e sia processi di tipo areale, dovuti
alle acque dilavanti, ai quali sono da attribuire il modellamento del talweg e dei
versanti fino alla configurazione attuale. Il Torrente Musalà, che oggi scorre nella
parte più incisa della valle, ha occupato l’esigua ma fertile depressione ripetuta-
mente ed in varie posizioni spaziali ed ancora oggi la sua potenzialità di alluvio-
namento è da ritenere notevole a causa della posizione topografica del talweg,
per cui lo stesso abitato non può essere considerato immune da questo particola-
re tipo di rischio idrogeologico.
Piana alluvionale
In un contesto geomorfologico analogo può essere collocata anche la porzio-
ne di territorio comunale che ricade sulla destra idraulica della Fiumara di Catona,
ma qui si ha una profonda differenza rispetto a Musalà, non solo per la posizione
marginale della piana rispetto all’asse fluviale, ma anche per una posizione meno
insicura poiché la sovra-incombenza dell’asta fluviale è meno immediata e le cor-
renti di deflusso sono orientate in maniera tangenziale rispetto all’area.
34
In quest’ambito le pericolosità vanno ricondotte unicamente all’efficacia ed
alla funzionalità delle opere di sistemazione idraulica della Fiumara le quali, allo
stato attuale, risultano efficienti anche se vanno periodicamente controllate.
Versante esterno
Infine, appartiene a un morfotipo di versante complesso la parte di territorio
che dal terrazzo morfologico di Campo Calabro si protende verso la piana costiera.
In questi ambiti, generalmente costituiti da sedimenti grossolani che localmente
possono essere debolmente cementati, si notano alcune incisioni strette ed incas-
sate, chiaramente collegate ad elementi del reticolo idrografico secondario, la cui
origine va riferita a condizioni meteoclimatiche assai diverse da quelle attuali,
probabilmente riconducibili all’ultima fase post-glaciale. In alcuni casi queste pro-
fonde incisioni trovano riscontro a monte dell’abitato e quindi a monte del terraz-
zo di Campo per cui la loro pericolosità non può essere in alcun modo trascurata.
Negli altri casi, invece, si tratta di depressioni la cui origine idrologica è rappresen-
tata dal margine esterno del terrazzo e non risulta più attiva.
Infine, sul fianco sud-occidentale del terrazzo un’ampia voragine di chiara o-
rigine antropica (attività di cava) ha accentuato la già elevata acclività del versante
che raccorda il bordo del terrazzo con la Piana alluvionale. Qui la problematica
geomorfologica è direttamente collegata alla accentuata possibilità di fenomeni
gravitativi sia in condizioni statiche che, maggiormente, in caso di sollecitazioni
dinamiche.
3 –INDAGINI GEOGNOSTICHE
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Le indagini geognostiche sono state eseguite solo su una parte della più vasta
area esaminata durante il rilevamento geologico e geotecnico. Anche se ciò è
oggettivamente limitativo dello studio finale per la microzonazione sismica, in
questa fase preliminare della pianificazione sono state utilizzate le indagini geo-
gnostiche eseguite in precedenza allo scopo di individuare l’eventuale presenza di
alcune faglie non visibili in superficie nel loro sviluppo generale, oppure di consen-
tirne l’esclusione laddove, alla mancanza di evidenze geologiche e geomorfiche di
superficie, si fosse aggiunta l’assenza di discontinuità litostratigrafiche orizzontali
in profondità. Si tratta della faglia dei Cappuccini e di una faglia riportata sulla
carta geolitologica allegata ala Piano Regolatore Generale che con andamento
circa sud – nord, si sviluppa tra il bordo occidentale della valle di Musalà e Campo
Piale.
Fermo restando che prima di arrivare alla fase finale della pianificazione sarà
necessario completare adeguatamente la precedente campagna geognostica e-
stendendola almeno alle aree suscettibili di urbanizzazione, per ora si è fatto ri-
corso ad indagini,sondaggi e prove realizzate nelle adiacenze delle due faglie so-
pra indicate, avvertendo che i sondaggi sono più fitti nella zona compresa tra Case
di Greco e Campo Piale, non solo perché in quell’area le due faglie si interseche-
rebbero, ma anche per la maggiore densità edilizia, per la minore possibilità di
riscontri diretti sul terreno e per il fatto che, man mano che procedeva la campa-
gna geognostica, appariva sempre più evidente l’inesistenza di linee di disturbo
tettonico dalla parte opposta (Spontone – Petrulle).
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Per agevolare le correlazioni stratigrafiche anche in base al comportamento
dinamico dei terreni e per ricavare alcuni importanti parametri sismici, nei fori di
sondaggio sono state eseguite anche prove sismiche del tipo down hole (DH).
La campagna geognostica ha compreso sondaggi meccanici a rotazione e ca-
rotaggio continuo, prove SPT in foro, prelievo di campioni indisturbati, prove si-
smiche in foro del tipo Down Hole.
I Sondaggi meccanici eseguiti lungo la fascia a cavallo della ipotetica “faglia Spun-
tone – Campo Piale” , nel tratto compreso tra il punto di inizio della faglia ipotizza-
ta e Case di Greco, non hanno evidenziato significative situazioni di variabilità o-
rizzontale e solo modeste variazioni verticali, tutte interpretabili senza bisogno di
far ricorso a disturbi di natura tettonica o sismotettonica,.
In questo lungo tratto, infatti, le variazioni litologiche orizzontali sono facil-
mente riconducibili alla mutevolezza delle correnti deposizionali che hanno dato
origine ai sedimenti. Inoltre, gli spessori delle formazioni sono molto omogenei e
le modeste differenze riscontrate sono riconducibili ai fenomeni erosivi, quando
non addirittura alle caratteristiche dell’ambiente deposizionale originario.
Anche dal punto di vista della permeabilità, dedotta approssimativamente in
base alla quantità di liquido assorbito in fase di carotaggio, non sono state regi-
strate sensibili differenze fra terreni analoghi per età e litologia.
Nello stessa zona, le variazioni stratigrafiche verticali sono omogeneamente
caratterizzate dal passaggio dal complesso di copertura, sostanzialmente costitui-
to dai Depositi post–tirreniani bruno–rossastri di facies continentale, ad un altret-
37
tanto omogeneo substrato rappresentato dalla potente formazione delle Ghiaie di
Messina pleistoceniche, di colore grigio – giallastro e di facies marino – deltizia.
Le correlazioni sono state eseguite per coppie di stratigrafie 1D tra un son-
daggio ubicato a monte della “linea di faglia” e l’altro a valle. Come si può osser-
vare dalle correlazioni 2D, la ricostruzione della continuità spaziale delle diverse
coppie prese in considerazione può essere ottenuta senza far ricorso ad artifici
particolari poiché si tratta di collegare con linee a moderatissima inclinazione lito-
tipi stratigraficamente omologhi.
Le prove SPT eseguite in corso di sondaggio hanno evidenziato che i litotipi sono
sufficientemente addensati ed hanno consistenza “media” e talvolta “densa” nei
terreni di copertura e “densa” o “molto densa” nei terreni del substrato, anche se
nei terreni di copertura sono stati osservati livelli in cui esistono differenze di resi-
stenza meccanica molto pronunciate sia in senso negativo (Sondaggio S3 con N30 <
10; Sondaggio S7 con N30 < 4) e sia, più frequentemente, in senso positivo come
accade nei Sondaggi S4, S5, S6, S9, S10, S12, S13 in cui numerosi tratti di prova
hanno dato valori di N30 > 30).
Considerando l’ubicazione, la natura litologica e l’umidità dei campioni di ter-
reno in cui sono stati rilevati i valori di Nspt più ridotti, non è difficile interpretare la
minore resistenza meccanica con la presenza di infiltrazioni d’acqua nel sottosuo-
lo in presenza di materiale a più alta percentuale di limi.
I sondaggi sismici non hanno evidenziato forti incrementi di velocità al passaggio
dai terreni di copertura a quelli del substrato né, correlando le coppie di sondaggi,
38
sono emerse variazioni di Vp o Vs tali da giustificare un contatto tettonico fra ter-
reni a differente velocità..
A tale proposito, è opportuno evidenziare che, trattandosi di un’ ipotetica fa-
glia diretta, i terreni posti sulla verticale dei sondaggi più a valle di ogni coppia
correlata, avrebbero dovuto evidenziare, alle profondità imposte dal rigetto di
faglia, velocità di propagazione delle onde sismiche sensibilmente inferiori a quel-
le fatte registrare dalle prove eseguite nel sondaggio più a monte. Ma, le velocità
delle onde fra coppie di sondaggi omologhi hanno mostrato che il fenomeno trova
riscontro solo in una coppia (S4 – S5) per quanto riguarda l’ultimo intervallo di
prova, mentre nelle altre coppie si è verificato il contrario. Per quanto riguarda i
valori registrati nella coppia S4 – S5, al fenomeno è stata data giustificazione in un
grosso trovante granodioritico e nei livelli marcatamente ciottolosi messi in luce
dal sondaggio meccanico S4 e nella più elevata resistenza dei litotipi in profondità.
Analisi granulometriche sono state eseguite su diversi campioni di terreno prove-
nienti dai sondaggi. Anche in questo caso i risultati delle prove di laboratorio sono
stati confrontati per coppie di sondaggi, utilizzando le stesse coppie delle correla-
zioni stratigrafiche. Il valore di questo confronto è stato poco significativo poiché
le formazioni hanno granulometria piuttosto simile ed inoltre, l’aver eseguito i
sondaggi in alcuni casi a secco e in altri con fanghi bentonitici ha certamente alte-
rato la granulometria originaria, aumentando la classazione nei campioni perforati
a secco e allontanando la frazione più fine negli altri. In queste condizioni il con-
fronto può avere validità, anche se limitata, solo se effettuato tra campioni rag-
giunti con lo stesso metodo di perforazione. Scartando i terreni più superficiali,
39
sono stati confrontati solo i campioni 5 e 6 del sondaggio S3 e il campione 9 di S4,
e poi quest’ultimo con il campione 12 di S5. L’esame delle curve granulometriche
ha evidenziato valori piuttosto simili.
Sintetizzando al massimo i risultati dei diversi tipi di indagine, la più logica del-
le conclusioni che si può trarre è quella che porta ad escludere l’esistenza della
faglia ipotizzata per mancanza di ogni tipo di riscontro oggettivamente riconduci-
bile a fenomeni tettonici.
L’altra faglia, nota come “faglia dei Cappuccini”, secondo le ipotesi degli stu-
diosi che si sono occupati del problema in precedenza, si sviluppa da est verso
ovest, dalla scarpata che separa C. Raffaele da C. Pidatella, per dirigersi fino a
Campo Piale. In questo caso i sondaggi meccanici hanno messo in evidenza situa-
zioni lito–stratigrafiche con accentuate variazioni verticali, forti differenze litologi-
che orizzontali e rapporti geometrici tra le formazioni non compatibili con una
geologia “normale”.
Infatti, se si fa riferimento alle stratigrafie dei singoli sondaggi emerge una
netta distinzione tra due complessi litologici diversi per natura, origine e proprietà
geomeccaniche.
- Terreni di copertura, prevalentemente ghiaioso–sabbiosi, comprendenti i
Depositi continentali post–tirreniani e le Ghiaie di Messina pleistoceniche.
- Rocce del basamento, litologie granitoidi a consistenza lapidea.
I terreni di copertura, pur con granulometrie eterometriche, sono sostanzial-
mente ghiaie e sabbie di colore bruno–rossastro e ricche di materiali limosi ai li-
40
velli superiori, grigio–giallastre e con granulometrie più grossolane ai livelli inferio-
ri.
I granitoidi, invece, pur consentendo una certa collocazione litologica nel
campo delle rocce granitoidi, sono degradate in superficie a causa di fenomeni di
alterazione cumulativa che testimoniano un lungo periodo di esposizione agli a-
genti atmosferici, e sono fratturate.
In questo caso, le correlazioni stratigrafiche fra le coppie dei sondaggi non
hanno permesso di ricostruire un modello geometrico senza far ricorso a linee di
disturbo tettonico molto marcate; anzi, l’esiguità dello spazio compreso tra ogni
coppia di sondaggi e l’assoluta mancanza di correlabilità fra le stratigrafie di ogni
coppia hanno indotto ad introdurre un piano di discontinuità (faglia) ad inclina-
zione molto accentuata.
I valori di NSPT registrati in quest’area indicano la presenza di litotipi poco ad-
densati, ma comunque classificabili tra quelli a consistenza media solo nella parte
superiore del sondaggio S8; in tutti gli altri casi si hanno terreni a consistenza den-
sa o molto densa, con netta prevalenza dei valori più alti, tanto che in più livelli di
prova si è avuto il rifiuto prima che venissero raggiunti i 50 colpi previsti dalla pro-
cedura standardizzata. Inoltre, è notevole il fatto che, pur in presenza di litotipi
geneticamente diversi, non si sono avuti bruschi salti di resistenza meccanica e
quindi di deformabilità, la qual cosa testimonia che le rocce del basamento sono
arenitizzate e fratturate, come del resto avevano evidenziato i sondaggi meccani-
ci.
41
I sondaggi sismici (DH) eseguiti nel foro del sondaggio S8 non manifestano
sensibili variazioni di velocità al passaggio dai terreni sedimentari di copertura ai
litotipi del basamento, e i valori di Vp e Vs risultano analoghi a quelli del sondaggio
S9, che ha ievidenziato solo terreni sedimentari, e a quelli dei sondaggi S10 e S13
che, a profondità diverse, hanno raggiunto le rocce del basamento cristallino. Ma
le prove Down Hole eseguite nel sondaggio S11, nel quale il basamento è stato
incontrate a debole profondità, hanno evidenziato velocità, soprattutto tipiche di
terreni a consistenza lapidea.
In definitiva, le stratigrafie dei sondaggi meccanici e le correlazioni stratigrafi-
che sono tali da permettere di affermare che in quest’area è presente una faglia
con ragionevole certezza, anche se la sua espressione superficiale è di difficile
rilevazione.
4 – PRIMI ELEMENTI DI CLIMATOLOGIA
Dal punto di vista climatico, il territorio di Campo Calabro rispecchia le condi-
zioni generali tipiche del clima "mediterraneo", caratterizzato da inverni miti e
42
brevi, ed estati aride e lunghe, ma nelle parti più interne, all’aumentare
dell’altitudine, il clima è più rigido durante l’inverno ed è anche più piovoso, men-
tre in prossimità delle alture costiere diventa sub-arido.
Le precipitazioni sono addensate nel periodo ottobre-marzo e dagli annali
dell'Ufficio Idrografico - facendo la media sui dati delle osservazioni alle stazioni
pluviometriche più vicine e cioè Villa San Giovanni, San Roberto e Scilla –risulta,
una distribuzione mensile della piovosità caratterizzata dal mese di:
ottobre con 86, 126 e 123 mm di pioggia, rispettivamente alle tre sta-
zioni, e 8-9 giorni piovosi;
novembre, quando si hanno rispettivamente 94, 138 e 114 mm di
pioggia distribuiti in 11-12 giorni piovosi;
dicembre con 100, 174 e 133 mm in 13-15 giorni;
gennaio con 100, 186 e 123 mm in 12-14 giorni;
febbraio con 72, 131 e 80 mm in 9-11 giorni;
marzo con 56, 117 e 77 mm in 8-10 giorni.
Le precipitazioni annue non sono elevate alla stazione di Villa S.Giovanni dove la
media sessantennale è di 683 mm/anno distribuiti in 78 giorni piovosi ed il perio-
do secco estivo è concentrato nel trimestre giugno - agosto quando si hanno me-
no di 16 mm di pioggia al mese.
Alla stazione pluviometrica di San Roberto, cui si può fare riferimento per la parte
altimetricamente più elevata del territorio comunale, la media annua è di 1123
mm in 92 giorni piovosi, con forte riduzione nel periodo giugno – agosto quando
le precipitazioni si riducono a valori compresi tra 19 e 32 mm /mese.
43
Alla stazione di Scilla, dove la media annua è di 881 mm distribuiti in 89 giorni
piovosi, nel periodo estivo sono state registrate precipitazioni meteoriche com-
prese tra i 21 ed i 28 mm/mese.
La temperatura è elevata e molto elevata d'estate, ma l’inverno, mite lungo la
costa, è relativamente più rigido verso l’interno a causa dell’altitudine, con una
media annua comunque superiore ai 16° C.
Per quanto concerne questo aspetto delle analisi territoriali, si deve richiama-
re l’attenzione sulla più accentuata piovosità delle zone alto-collinari rispetto a
quelle del terrazzo per cui si conferma l’esigenza prioritaria di garantire la libertà
dei deflussi idraulici su tutti i corsi d’acqua che attraversano in centro abitato e
Musalà.
44
PARTE TERZA
VINCOLI
1 - RIFERIMENTI P.A.I.
Il P.A.I. (Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico della Calabria) è lo strumen-
to mediante il quale l’Autorità di Bacino della Calabria indica la destinazione d’uso
del territorio in relazione a tre tipologie di rischio idrogeologico ( rischio di frana;
rischio d'inondazione; rischio di erosione costiera) e, in conformità al D.P.C.M. 29
settembre 1998, per ciascuna tipologia prevede quattro livelli di rischio - ad in-
tensità crescente da R1 R4 – così indicati: R1 [ Rischio basso ] . Per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio
ambientale sono limitati. R2 [ Rischio medio ] . Quando esistono condizioni che determinano la possi-
bilità di danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio am-bientale senza pregiudizio diretto per l’incolumità delle persone e senza comprometterne l’agibilità e la funzionalità delle attività economiche.
R3 [ Rischio elevato ] . Quando esiste la possibilità di danni a persone o beni;
danni funzionali ad edifici e infrastrutture che ne comportino l'inagibilità; interruzione di attività socio-economiche;
R4 [ Rischio molto elevato ] . Quando esistono condizioni che determinano la possibilità di: perdita di vite umane o lesioni gravi alle persone; danni gravi agli edifici e alle infrastrutture; danni gravi alle attività socio-economiche.
45
Inoltre, lo stesso Piano definisce pericolosi alcuni luoghi, intorno a centri abitati
ed infrastrutture, in cui i dati disponibili non consentono di definire il livello ma la
cui entità, la cui potrà essere quantificata a seguito di studi, rilievi e indagini di
dettaglio.
Sono così individuate:
• aree con pericolo di frana, tracciate in via transitoria sulla base
dell’inventario delle frane rilevate, così come definite nelle specifiche tec-
niche del PAI;
• aree di attenzione per pericolo di inondazione, che interessano tutti i tratti
dei corsi d’acqua di cui all’articolo 3, comma 4 per i quali non sono stati
ancora definiti i livelli di rischio;
Sulla base del riscontro analitico degli elaborati del PAI è emerso che nel territorio
di Campo Calabro (v. figura successiva) ricade una piccola zona a rischio R4 e due
più estese aree di rispetto analoga caratterizzazione nella zona compresa tra il
bordo sud orientale del terrazzo di Campo e la strada provinciale per Fiumara di
Muro, una vasta zona a rischio R2 che praticamente comprende tutto l’abitato di
Musalà e più piccole, prevalentemente disposte in corrispondenza delle incisioni
vallive che attraversano il terrazzo di Campo, ed infine due arcuate strisce a ri-
46
schio R1 nella zona settentrionale del territorio comunale.
47
Mentre per quel che riguarda il rischio idraulico (v. figura successiva) lo stes-
so PAI evidenzia aree di attenzione a rischio R4 nella zona Musalà - Fiumara di
Catona.
48
PARTE QUARTA
1. PERICOLOSITÀ E CLASSI DI FATTIBILITÀ GEOLOGICA
1.1 - ASPETTI GENERALI
Gli aspetti descritti in precedenza, unitamente a quelli di origine antropica,
giocano un ruolo fondamentale sulle condizioni di equilibrio dei versanti e concor-
rono a determinare il quadro generale dell'evoluzione geomorfica, dei deflussi
idraulici e, più in generale, della pericolosità dei luoghi. Dall’interazione fra fattori
naturali ed azioni dell’uomo, infatti, dipende il diverso grado di equilibrio geosta-
tico dei singoli ambiti territoriali e per valutarne la compatibilità e la sostenibilità,
nonché per evidenziare i rapporti di dipendenza e di interazione, è stata realizzata
una serie di carte tematiche, su ognuna delle quali sono stati analizzati gruppi di
fattori che interagiscono o possono essere portati ad interagire.
Dal confronto e dalla valutazione incrociata fra i gli elementi rappresentati
nelle cartografie di analisi, è stata ricavata una Carta di sintesi delle pericolosità.
La procedura di rappresentazione è avvenuta mediante l’impiego di tecniche
computerizzata ma ha previsto sempre fasi di affinamento e verifica soggettiva e
manuale in modo da sviluppare in maniera discreta i diversi tipi e livelli di perico-
losità geologica e le incidenze negative associabili ad ogni pericolosità con le con-
seguenti limitazioni sulla fattibilità delle azioni di piano.
49
Il processo ancora, nella fase preliminare, sarà progressivamente affinato con
il procedere delle successive fasi della pianificazione, quando saranno valutati
anche elementi non cartografabili alle scale oggi prescelte, insieme ai fattori am-
bientali, territoriali ed antropici specifici del territorio di Campo Calabro. Ma pur
con le ovvie limitazioni di ogni work in progress, già ora il territorio è stato diviso
in classi di fattibilità geologica in modo che gli urbanisti tengano conto delle valu-
tazioni critiche della pericolosità dei singoli fenomeni e si possano configurare i
primi scenari di rischio per un’efficace opera di prevenzione e/o di mitigazione.
La classificazione fornisce indicazioni generali in ordine alle destinazioni d’uso
teoricamente possibili ed alle cautele generali da adottare per gli interventi nelle
diverse parti del territorio.
Per altro è noto in campo scientifico e sta diventando sempre più patrimonio
culturale diffuso che, alla scala dei tempi storici, l’uomo con le sue opere e gli
interventi sul territorio è il principale agente morfogenetico per cui è ovvio che la
fattibilità delle azioni potrà essere concretamente valutata e non soltanto astrat-
tamente prevista soltanto quando saranno note le scelte di piano.
Come impone la legge, quando saranno note le destinazioni d’uso del territo-
rio saranno rese concrete le cautele da adottare per gli interventi, gli studi e le
indagini da effettuare per gli approfondimenti del caso,gli interventi più idonei
per la riduzione del rischio e le indicazioni per il controllo dei fenomeni in atto.
Questa fase di approfondimento è ineludibile poiché l’inserimento definitivo
di ciascuna area o poligono in una classe di fattibilità richiede di associare ai di-
versi tipi di pericolosità livelli facilmente ed estensivamente valutabili quando le
50
incidenze sono nulle o, all’altro estremo, preclusive,mentre lasciano o generano
ampi margini di incertezza quando le incidenze sono di tipo non preclusivo e le
problematiche limitative richiedono accorgimenti urbanistico-geologico-
ambientali il cui grado di sostenibilità non è preventivamente identificabile.
A tale proposito ed a mero titolo esemplificativo, basterà ricordare che vi so-
no interventi in grado di limitare le pericolosità attuali del territorio con correlata
riduzione dei rischi, a cui se ne contrappongono altri che possono generare peri-
colosità insostenibili anche in luoghi oggi ritenuti sicuri.
Con tali presupposti metodologici , il territorio comunale è stato distinto in
classi di fattibilità geologica secondo le indicazioni previste dalle Linee guida della
Pianificazione regionale – Parte seconda “Tematismi ed approfondimenti” - Fatti-
bilità delle azioni di Piano. Ad ogni classe corrispondono livelli di pericolosità di-
versi, con progressivo incremento delle limitazioni sull’uso del territorio.
Anche se le attuali perimetrazioni saranno affinate nelle fasi successive, Il li-
vello di approfondimento attuale ha consentito di dividere il territorio in classi di
fattibilità geologica concrete, ognuna della quali tiene conto delle valutazioni criti-
che dei singoli fenomeni e delle loro interazioni e permette la costruzione degli
scenari di rischio conseguenti alle diverse ipotesi di piano, nel rispetto della com-
ponente geologico-ambientale del territorio.
51
1.2 - CLASSI DI FATTIBILITA’
Classe 1 - Fattibilità senza particolari limitazioni
Sono state comprese in questa classe le parti del territorio in cui le inclina-
zioni sono ridotte o comunque adeguatamente più basse di quelle che le proprie-
tà geologico–tecniche, gli assetti lito-strutturali e le caratteristiche geomorfiche
sono in grado di garantire, per cui si possono escludere specifiche controindica-
zioni di carattere geologico-tecnico-ambientale all’urbanizzazione o alla modifica
di destinazione d’uso.
Si tratta di zone non necessariamente pianeggianti, ma caratterizzate da una
morfogenesi lenta, che si manifesta quasi esclusivamente con processi di altera-
zione cumulativa, con scarsa influenza dei fenomeni gravitativi. Pertanto, conside-
rando anche l’acclività dei pendii generalmente modesta, il loro uso edilizio è da
ritenere sempre possibile e generalmente semplice, richiedendo la soluzione di
problemi geologico-tecnici non manifestamente onerosi, ma che vanno prede-
terminati specificamente per ogni intervento. Infatti, oltre agli accertamenti geo-
morfologici si deve fare in modo che:
- lungo le frange marginali delle aree urbanizzate o di prevista urbanizzazione,
le acque meteoriche non possano originare deflussi incontrollati che diano
impulso all’erosione del suolo o del sottosuolo;
- lungo le aste vallive ed i compluvi di qualsiasi ordine i deflussi idrometeorici
ordinari siano sempre controllati, mentre quelli estremi o “eccezionali” non
trovino impedimenti od ostacoli.
- la realizzazione dell’opera non generi problemi geologici nelle aree adiacenti.
52
Pertanto, mentre si ribadisce che l'edificazione in queste aree è da ritenersi
sempre possibile, è opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che, trattandosi di
aree comprese in un territorio ad elevato rischio sismico e geomorfologico, ogni
tipo di costruzione va progettato ed eseguito rispettando, senza eccezione alcuna,
le prescrizioni del D.M. 14 gennaio 2008 e la circolare applicativa 2 febbraio 2009.
Ciò si rende necessario anche perché il presente studio è esclusivamente geomor-
fologico e di superficie, finalizzato alla pianificazione generale del territorio comu-
nale, e in nessun caso sono state affrontate le problematiche previste dal D.M.
suddetto.
Classe 2 – Fattibilità con modeste limitazioni
Nella parte di territorio ricadente In questa classe la normale evoluzione ge-
omorfologica e idrogeologica potrebbe ricevere impulsi e accelerazioni, che po-
trebbero anche sfociare in veri e propri dissesti, solo in caso di errate manomis-
sioni o intrusioni antropiche nell’ambiente fisico.I pendii naturali manifestano
acclività moderate e i corsi d'acqua non sono in fase di erosione attiva, oppure si
trovano allo stato di elementari linee d'impluvio la cui funzione è quella di assicu-
rare il drenaggio controllato delle acque meteoriche.
Il non elevato grado di propensione al dissesto è dimostrato dalla vegetazione
o dall'uso agricolo permanente del suolo, ma soprattutto dall’assenza di dissesti
importanti.
In queste condizioni l’urbanizzazione può essere ritenuta possibile, ma va
considerato che le eventuali opere da realizzare, risultano piuttosto onerose sia
sotto l'aspetto tecnico che economico. D’altra parte, se alcune di queste aree do-
53
vessero essere destinate all’edificazione, è necessario programmare e realizzare
studi geologici specificamente rivolti ad individuare le cause che presiedono alla
dinamica esogena locale, ad accertare la problematica connessa alla circolazione
delle acque sul suolo e nel sottosuolo, ad individuare la possibilità di plasticizza-
zione e di scorrimento dei sottofondi, l'assetto lito-stratigrafico e le eventuali am-
plificazioni locali dei fenomeni sismici e le interazioni che questi fenomeni po-
trebbero avere con le opere dell’uomo. Andrà altresì valutata la necessi-
tà/opportunità di opere di sistemazione e bonifica, la cui incidenza geologica, tec-
nica ed ambientale sarà precisata in fase esecutiva.
Classe 3 – Fattibilità con consistenti limitazioni
In queste aree sono state riscontrate accentuate condizioni di pericolosità
geologica e consistenti limitazioni alla modifica delle destinazioni d’uso dei terreni
a causa della natura e del livello dei rischi che ne possono derivare.
Rientrano in questa classe di fattibilità anche alcune aree in cui non si sono
manifestati dissesti veri e propri, ma nelle quali la pericolosità è elevata a causa di
situazioni geomorfiche molto vicine al limite di equilibrio compatibile con le pro-
prietà geologico-tecnico-ambientali e con le direttrici morfogenetiche al contorno.
In queste aree, per varie cause (azione della gravità, ruscellamenti, scalza-
menti al piede, accentuate imbibizioni, ecc.) possono verificarsi modificazioni peg-
giorative delle attuali condizioni di stabilità e dare origine a movimenti franosi e
dissesti in maniera relativamente facile. Pertanto, va suggerita l’esecuzione di o-
pere di sistemazione idrogeologica completa, naturalmente precedute da studi
specialistici integrati.
54
L’utilizzo delle aree per le quali permangono giustificati interessi per la tra-
sformazione urbanistica richiede supplementi di indagini che dovranno compren-
dere campagne geognostiche, prove in situ ed in laboratorio e studi geotematici di
tipo sismico, idrogeologico e ambientale. Tali studi oltre a permettere la ricostru-
zione del modello geologico-tecnico-ambientale , dovranno dimostrare la soste-
nibilità degli interventi di piano e le condizioni per mantenerne la permanenza,
anche a livello economico.
Nelle successive fasi della pianificazione, quando saranno approfonditi gli
studi sull’edificato esistente, saranno fornite le indicazioni in merito alle indagini
da eseguire per la progettazione e la realizzazione delle opere di difesa e sistema-
zione idrogeologica così come degli interventi di mitigazione delle interazioni ne-
gative tra ambiente geologico ed edificato esistente.
Inoltre, per quanto concerne la pericolosità sismica saranno attivate le proce-
dure per identificare i rischi e indicare gli interventi di mitigazione competenti a
livello di Piano.
Classe 4 – Fattibilità con gravi limitazioni
I versanti su cui si sono verificati fenomeni di dissesto e permangono condi-
zioni di equilibrio perturbato e tutte le aree che manifestano situazioni geomorfo-
logiche, assetti geostrutturali e morfogenetici di facile dissestabilità sono state
inserite in questa classe di pericolosità/fattibilità.
Si tratta di aree poste su versanti dove si riscontrano inclinazioni dei pendii
accentuate, o di aree soggette ad erosione rapida avanzata per l'azione delle ac-
55
que meteoriche vista in relazione con la capacità di resistenza meccanica dei ter-
reni o ancora soggette ad inondazione.
Facendo ricorso ad analisi, prove e studi di dettaglio, e soprattutto realizzan-
do idonee opere di sistemazione generale e particolare dei versanti, porzioni più o
meno ridotte di queste aree potrebbero essere risanate e l'attuale stato di squili-
brio sensibilmente migliorato. Però si tratta di zone sulle quali la sicurezza e la
stabilità sono da ritenersi piuttosto aleatorie non solo in caso di terremoti o di
fenomeni alluvionali parossistici, ma anche in condizioni “normali”.
L’alto livello di rischio comporta insormontabili limitazioni per la modifica del-
le destinazioni d’uso per cui dovrà essere esclusa qualsiasi nuova edificazione,
consentendo soltanto opere di sistemazione idrogeologica e di messa in sicurezza
dei siti.
Sugli eventuali edifici esistenti in queste aree, ove ne venisse incontroverti-
bilmente dimostrata la necessità di persistenza, potranno essere consentiti sol-
tanto interventi di adeguamento sismico. Mentre per i nuclei abitati esistenti, in
previsione di più o meno graduali trasferimenti, sarà necessario predisporre si-
stemi di monitoraggio geologico che permettano il controllo dell’evoluzione dei
fenomeni in atto.
L’eventuale progettazione di opere pubbliche e di interesse pubblico (strade,
acquedotti, fognature, ecc.) non altrove collocabili, deve essere accompagnata da
un attento studio geologico che dimostri la compatibilità degli interventi con la
situazione di grave rischio geologico e specifichi le condizioni di inserimento della
specifica opera da realizzare nel contesto idro-geo-morfico interessato.
56
In queste aree, per ciò che attiene alla pericolosità sismica, si può sin da ora
prevedere l’impossibilità pratica di interventi idonei alla riduzione del rischio se
non attraverso la delocalizzazione.
Alvei fluviali
Gli alvei fluviali per le loro caratteristiche naturali risultano periodicamente
soggetti al rimaneggiamento generato dalle acque fluviali anche dove queste sono
presenti in maniera saltuaria.
In tali ambiti non solo deve essere assolutamente evitato ogni tipo di inter-
vento capace di ostacolare dannosamente il deflusso naturale delle acque, ma si
richiedono interventi urgenti di sistemazione e manutenzione che consentano di
recuperare le funzioni idrologiche, paesaggistiche e ambientali dei corsi d’acqua e
di allontanare o limitare il pericolo di esondazione e di alluvione.
A tal fine si raccomanda che su ogni compluvio, per modesto che possa essere
il suo bacino, sia lasciata la libertà di deflusso delle acque meteoriche anche in
condizioni di piena eccezionale, nel più completo rispetto delle norme giuridiche e
delle leggi naturali. Nel caso di edificato esistente, dove le verifiche idrologiche ed
idrauliche dimostrino che tali condizioni non sono rispettate, occorrerà eseguire
interventi capaci di ripristinare le condizioni di deflusso anche in situazioni plu-
viometriche critiche.
57
PARTE QUINTA 1 - AREE A VINCOLO PAI
Nella Carta delle pericolosità geologiche da cui dipende la fattibilità delle a-
zioni di Piano sono state perimetrate le aree classificate a rischio (idraulico e fra-
ne) oltre che le relative fasce di rispetto previste dal Piano Stralcio per l’Assetto
Idrogeologico elaborato dall’Autorità di Bacino Regionale in ottemperanza all’art.
1-bis della L. 365/2000,all’art.17 Legge 18 maggio 1989 n°183 ed all’art.1 Legge 3
agosto 1998 n°267.
Per quanto riguarda il Rischio frane, nelle aree che ricadono nella classe R4
ed in quelle ad esse associate, l’art. 16 delle Norme di attuazione prevede le se-
guenti restrizioni:
a) sono vietati scavi, riporti e movimenti di terra e tutte le attività che possono esaltare il
livello di rischio e/o pericolo;
b) è vietata ogni forma di nuova edificazione;
c) non è consentita la realizzazione di collettori fognari, condotte d'acquedotto, gasdotti o
oleodotti ed elettrodotti od altre reti di servizio;
d) per le opere già autorizzate e non edificate dovranno essere attivate procedure ed in-
terventi finalizzati all’eliminazione dei livelli di rischio e pericolosità esistenti. La docu-
mentazione tecnica comprovante gli interventi di riduzione della pericolosità e del ri-
schio sarà trasmessa all’Autorità che, in conformità a quanto previsto dall’art. 2, com-
mi 1 e 2, provvederà ad aggiornare la Carta della pericolosità e del rischio;
e) non sono consentite le operazioni di estirpazione di cespugli, taglio ed estirpazione di
ceppaie di piante appartenenti a specie forestali compresa la macchia mediterranea.
Debbono altresì essere salvaguardate le piante isolate di interesse forestale o comun-
que consolidanti, a norma di quanto previsto dal RDL n. 3267/1923 e successive modi-
ficazioni ed integrazioni. Inoltre, nelle aree a rischio o con pericolo di frana, si estendo-
58
no i vincoli o i divieti di cui agli articoli 10 e 11 della legge n. 353 del 21.11.2000, qua-
lunque sia la vegetazione percorsa dal fuoco;
f) l'autorizzazione degli interventi di trasformazione delle aree boscate dovrà tenere conto
delle finalità del PAI.
Inoltre, nelle stesse aree, sono consentiti:
a) gli interventi per la mitigazione del rischio di frana e, in genere, tutte le opere di bonifi-
ca e sistemazione dei movimenti franosi;
b) il taglio di piante qualora sia dimostrato che esse concorrano a determinare lo stato di
instabilità dei versanti, soprattutto in terreni litoidi e su pareti subverticali;
c) gli interventi di demolizione senza ricostruzione;
d) gli interventi strettamente necessari a ridurre la vulnerabilità dei beni esposti e a mi-
gliorare la tutela della pubblica incolumità, senza aumenti di superficie e volume e mu-
tamenti di destinazione d'uso che comportino aumento del carico urbanistico;
e) gli interventi di manutenzione ordinaria, così come definita alla lettera a) dell'art. 31
della legge 457/1978, senza aumento di superficie e volume;
f) gli interventi necessari per la manutenzione ordinaria e straordinaria relativa alle opere
infrastrutturali e alle opere pubbliche o di interesse pubblico;
g) gli interventi volti alla tutela, alla salvaguardia e alla manutenzione degli edifici e dei
manufatti vincolati ai sensi della legge 1 giugno 1939 n.1089 e della legge 29 giugno
1939 n.1497 nonché di quelli di valore storico-culturale così classificati in strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale vigenti.
I progetti relativi agli interventi di cui al comma 2 lettere a), b), d), e), f), e g) dovranno
essere corredati da un adeguato studio di compatibilità geomorfologica, il quale dimo-
stri che ogni intervento è stato progettato rispettando il criterio di non aumentare il li-
vello di rischio ivi registrato e di non precludere la possibilità di eliminare o ridurre le
condizioni di rischio. I progetti dovranno ottenere l'approvazione dei competenti ser-
vizi regionali, previo parere dell’ABR.
Sugli edifici già compromessi nella stabilità strutturale per effetto dei fenomeni di dissesto
in atto sono consentiti solo gli interventi di demolizione senza ricostruzione e quelli volti
alla tutela della pubblica incolumità.
59
L’art. 17 delle Norme di attuazione stabilisce che nelle aree ricadenti in classe
R3, valgono le medesime restrizioni previste dall’art. 16, ma sono consentite le seguenti operazioni:
a) gli interventi per la mitigazione del rischio geomorfologico ivi presente e in genere tutte
le opere di bonifica e sistemazione dei movimenti franosi;
b) le operazioni di estirpazione di cespugli, taglio ed estirpazione di ceppaie di piante ap-
partenenti a specie forestali compresa la macchia mediterranea. Debbono altresì esse-
re salvaguardate le piante isolate di interesse forestale o comunque consolidanti, a
norma di quanto previsto dal RDL n. 3267/1923 e successive modificazioni ed integra-
zioni. Inoltre nelle aree a rischio o con pericolo di frana, si estendono i vincoli od i divieti
di cui agli articoli 10 e 11 della legge n. 353 del 21.11.2000, qualunque sia la vegeta-
zione percorsa dal fuoco;
c) gli interventi di demolizione senza ricostruzione;
d) gli interventi strettamente necessari a ridurre la vulnerabilità dei beni esposti e a mi-
gliorare la tutela della pubblica incolumità, senza aumenti di superficie e volume, senza
cambiamenti di destinazione d'uso che comportino aumento del carico urbanistico;
e) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, così come definiti alle lettere a)
e b) dell'art. 31 della legge 457/1978, senza aumento di superficie e volume;
f) gli interventi di restauro e risanamento conservativo, così come definiti alla lettera c)
dell'art. 31 della legge 457/1978, senza aumento di superficie e volume;
g) gli interventi necessari per la manutenzione ordinaria e straordinaria relativa alle opere
infrastrutturali e alle opere pubbliche o di interesse pubblico;
h) gli interventi volti alla tutela, alla salvaguardia e alla manutenzione degli edifici e dei
manufatti vincolati ai sensi della legge 1 giugno 1939 n.1089 e della legge 29 giugno
1939 n.1497 nonché di quelli di valore storico-culturale così classificati in strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale vigenti.
Il comma 3 dell’art. 17 stabilisce che i progetti relativi agli interventi di cui al comma 2
lettere a), b), d), e), f), g) e h) dovranno essere corredati da un adeguato studio di
compatibilità geomorfologica, il quale dimostri che l’intervento in esame è stato pro-
60
gettato rispettando il criterio di non aumentare il livello di rischio ivi registrato e di
non precludere la possibilità di eliminare o ridurre le condizioni di rischio, che dovrà
ottenere l'approvazione dei competenti servizi regionali, previo parere dell’ABR.
Sugli edifici già compromessi nella stabilità strutturale per effetto dei fenomeni di dissesto
in atto sono esclusivamente consentiti gli interventi di demolizione senza ricostruzione
e quelli volti alla tutela della pubblica incolumità.
Le Aree classificate R2 e R1 sono disciplinate dall’art. 18 in base al quale sono
permesse:
a) la realizzazione di opere, scavi e riporti di qualsiasi natura deve essere programmata
sulla base di opportuni rilievi ed indagini geognostiche, di valutazioni della stabilità
globale dell’area e delle opere nelle condizioni “ante”, “post” e in corso d’opera effet-
tuate da un professionista abilitato;
b) le operazioni di estirpazione di cespugli, taglio ed estirpazione di ceppaie di piante ap-
partenenti a specie forestali compresa la macchia mediterranea. Debbono altresì esse-
re salvaguardate le piante isolate di interesse forestale o comunque consolidanti, a
norma di quanto previsto dal RDL n. 3267/1923 e successive modificazioni ed integra-
zioni. Inoltre nelle aree a rischio o con pericolo di frana, si estendono i vincoli od i divieti
di cui agli articoli 10 e 11 della legge n. 353 del 21.11.2000, qualunque sia la vegeta-
zione percorsa dal fuoco;
c) l'autorizzazione degli interventi di trasformazione delle aree boscate dovrà tenere conto
delle finalità del PAI.
Per quanto riguarda la disciplina delle aree a Rischio Idraulico, le Aree classi-
ficate R4 sono normate dall’art. 21 che vieta tutte le opere ed attività di trasfor-
mazione dello stato dei luoghi e quelle di carattere urbanistico e edilizio, ad esclu-
siva eccezione di quelle di seguito elencate:
a) interventi di demolizione senza ricostruzione;
b) interventi sul patrimonio edilizio esistente, di manutenzione ordinaria, straordinaria,
restauro e risanamento conservativo, così come definiti dall'articolo 31, lettere a), b) e
c) della Legge 5 agosto 1978, n. 457, senza aumento di superfici e di volumi;
61
c) interventi di adeguamento del patrimonio edilizio esistente per il rispetto delle norme in
materia di sicurezza ed igiene del lavoro, di abbattimento delle barriere architettoni-
che, nonché interventi di riparazione di edifici danneggiati da eventi sismici e di miglio-
ramento ed adeguamento sismico;
d) interventi finalizzati alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture,
delle reti idriche e tecnologiche, delle opere idrauliche esistenti e delle reti viarie;
e) interventi idraulici volti alla messa in sicurezza delle aree a rischio, previa approvazione
dell'Autorità, che non pregiudichino le attuali condizioni di sicurezza a monte e a valle
dell'area oggetto dell'intervento;
f) interventi volti a diminuire il grado di vulnerabilità dei beni e degli edifici esistenti espo-
sti al rischio, senza aumento di superficie e di volume;
g) ampliamento e ristrutturazione delle opere pubbliche o d'interesse pubblico riferite ai
servizi essenziali e non delocalizzabili, nonché la sola realizzazione di nuove infrastrut-
ture lineari o a rete non altrimenti localizzabili, compresi i manufatti funzionalmente
connessi, a condizione che non costituiscano ostacolo al libero deflusso, o riduzione
dell'attuale capacità d'invaso;
h) le pratiche per la corretta attività agraria, con esclusione di ogni intervento che com-
porti modifica della morfologia del territorio o che provochi ruscellamento ed erosione;
i) interventi volti alla bonifica dei siti inquinati, ai recuperi ambientali ed in generale alla
ricostruzione degli equilibri naturali alterati e all'eliminazione dei fattori d'interferenza
antropica;
j) occupazioni temporanee, se non riducono la capacità di portata dell'alveo, realizzate in
modo da non recare danno o da risultare di pregiudizio per la pubblica incolumità in
caso di piena;
k) interventi di manutenzione idraulica, come definiti nelle specifiche tecniche.
L’art. 22 disciplina le aree a rischio di inondazione R3, per cui in tali aree sono
vietate tutte le opere ed attività di trasformazione dello stato dei luoghi e quelle
di carattere urbanistico e edilizio, ad esclusiva eccezione di quelle di seguito elen-
cate:
a) tutti gli interventi consentiti nelle aree a rischio R4;
62
b) gli interventi di cui alla lettera d) dell'art. 31 della legge 457/1978, a condizione che gli
stessi non aumentino il livello di rischio e non comportino significativo ostacolo o ridu-
zione dell'attuale capacità d'invaso delle aree stesse senza aumento di superficie e vo-
lume;
c) gli interventi di ampliamento degli edifici esistenti per necessità di adeguamento igieni-
cosanitario;
d) i depositi temporanei conseguenti e connessi ad attività estrattive autorizzate, da rea-
lizzarsi secondo le modalità prescritte dai dispositivi di autorizzazione.
Per quanto riguarda le aree classificate a rischio inondazione R2 e R1, l’art. 23
stabilisce che non esistono particolari restrizioni ad eccezione del divieto di realiz-
zare locali sotterranei e/o seminterrati ad uso abitativo e commerciale.
Resta inteso che tali aree potranno essere svincolate, secondo quanto previ-
sto dalle stesse Norme d’Attuazione, richiedendone la riclassificazione all’ABR
previo l’esecuzione di uno studio idraulico – geomorfologico che segua i dettami
delle Linee guida.
63
PARTE SESTA
1 - CONCLUSIONI DELLA FASE PRELIMINARE E INDICAZIONI PROGRAMMATICHE
Le analisi geologiche hanno consentito di individuare il diverso grado di peri-
colosità del territorio comunale consentendo quindi di orientare l'espansione
urbanistica e l'articolazione delle principali opere infrastrutturali verso le zone con
pericolosità geologiche nulle o limitate.
Il confronto tra la Carta delle pericolosità geologiche e di fattibilità delle azio-
ni di Piano con quella del preliminare azzonamento del P.S.C. mostra che le parti
del territorio urbanizzate o urbanizzabili si articolano in massima parte in luoghi
dove non vi sono cause attive di dissesto e quindi in aree che in atto sono prive di
pericolosità geologiche tanto limitanti da diventare preclusive per le azioni di Pia-
no.
Per altro i processi edificatori talvolta si sono sviluppati su versanti insicuri per
cui il rischio geologico è aumentato, in quanto è aumentato il valore economico1.
In queste condizioni, l'inserimento di tali zone nel P.S.C. risponde alla mera
esigenza di avviare le operazioni di recupero e/o di riduzione del rischio previste
da specifiche disposizioni di legge. Pertanto la riqualificazione ed il recupero urba-
nistico, così come qualsiasi intervento strutturale o infrastrutturale, restano in
ogni caso condizionati all'esecuzione di ulteriori studi geologici e indagini di det-
1
Rischio = P * V * E ( P = Pericolosità;V = Vulnerabilità; E = Esposizione e valore
economico)
64
taglio che definiranno anche gli eventuali accorgimenti necessari per conseguire la
riduzione del rischio ed il recupero fino a livelli di sostenibilità in ogni parte inte-
ressata.
Altre aree non interamente sicure dal punto di vista geologico andranno de-
stinate a verde e soprattutto all’agricoltura e alla forestazione. Però in questo
caso si tratta di destinazioni d'uso che escludono l'edilizia residenziale e compor-
tano, invece, l'esecuzione di opere di modellamento/stabilizzazione dei versanti
con oggettiva riduzione delle pericolosità. In queste condizioni la fattibilità geolo-
gica, pur sottoposta a limitazioni e a ulteriori studi di dettaglio, va preliminarmen-
te consentita, dovendosi ritenere che la destinazione a verde o agri-forestale
permetterà di utilizzare risorse che non potrebbero essere altrimenti attivate con
conseguente abbandono delle attività e accelerazione del dissesto idrogeologico.
Il quadro geologico generale trova riscontro puntuale sulla carta delle perico-
losità geologiche e, per completarlo sotto l'aspetto normativo, va aggiunto che
tutto il territorio esaminato ricade in zona ad alta pericolosità sismica e quindi
richiede la totale applicazione delle NCT 2009.
Pertanto, l'inserimento di una parte del territorio nella classe di fattibilità
“senza particolari limitazioni” oppure nella classe di fattibilità “con modeste limi-
tazioni” costituisce la condizione necessaria per preliminare programmazione
dell'espansione edilizia o della riqualificazione urbanistica. Affinché tale condizio-
ne non rimanga soltanto necessaria ma diventi anche sufficiente, è indispensabile
che nelle successive fasi di pianificazione siano analiticamente valutate le possibi-
65
lità di interazioni negative tra le previsioni di Piano e la sostenibilità geologica,
tecnica e ambientale dei singoli siti.
Successivamente, per passare dalla fase di pianificazione a quella di edifica-
zione o di realizzazione di qualsiasi intervento è indispensabile che vengano ri-
spettate le norme tecniche per le costruzioni (D.M.14.1.2008 e Circolare
C.S.L.L.P.P.n°617/2009) dove si prescrivono le tecniche ed i tipi di indagine da ese-
guire per ogni categoria di opere.
In ogni caso, sin dalla fase attuale, il Piano si deve proporre alcuni criteri generali
di prevenzione/mitigazione dei rischi geologici, che saranno meglio precisati nelle
fai di pianificazione successive:
a) Ostacolare l’edificazione delle aree a pericolosità geologica elevata o molto
elevata (Classe di fattibilità 3 e 4);
b) Avviare i percorsi metodologici per la mitigazione dei rischi naturali;
c) Garantire ogni forma possibile di tutela ambientale.
d) Impedire ogni deflusso idrico incontrollato, non solo verso le zone urbanizzate
o urbanizzabili, ma anche verso ogni parte del territorio, a prescindere dalla
sua destinazione.
e) Assicurare la circolazione idraulica anche in caso di eventi poco comuni nei letti
dei compluvi minori e negli alvei dei corsi d’acqua maggiori nei quali, pertanto,
dovranno essere mantenute o ripristinate le condizioni di sufficiente capacità
idrologica;
66
f) Adeguamento sismico ed idrologico nella parte più antica dei centri storici, nel
rispetto degli aspetti architettonici e ambientali.
Reggio Calabria, gennaio 2011 Giuseppe
Mandaglio
67
ALLEGATO A - PRIME INDICAZIONI NORMATIVE DI TIPO
GEOLOGICO
Art. 1
Per le particolari condizioni geologico-tecniche del territorio e per la sua elevata
sismicità, le indicazioni di ordine generale contenute negli elaborati geologici di
Piano, sono da ritenersi insufficienti a definire con valenza tecnica specifica le con-
dizioni litostratigrafiche, strutturali, idrogeologiche e geotecniche dei singoli siti;
anche nei casi in cui è stato possibile fare riferimento a sondaggi, il loro utilizzo è
stato finalizzato a una migliore individuazione delle problematiche generali delle
ristrette aree in cui le indagini sono state realizzate.
Per ogni singolo intervento saranno perciò da effettuare indagini geologiche, geo-
tecniche e sismiche secondo quanto prescritto dalla vigente normativa (NCT 2009)
e le stesse dovranno far parte integrante del progetto già in fase di richiesta della
concessione edilizia.
Art. 2
Per gli interventi in aree prive di evidenti pericolosità geologiche o idrauliche, per
le quali è stata riconosciuta la compatibilità edilizia in presenza di incidenze geo-
logiche generalmente moderate e geotecniche mutevoli, sono da ritenersi suffi-
cienti ma indispensabili le indagini di cui all’Art. 1.
Art. 3
68
Nelle aree edificate con elevata pericolosità sismica e idrogeologica sono possibili
interventi di recupero geostatico e di adeguamento sismico delle strutture con
tipologie e scelte tecnologiche da applicare dopo che studi geologico-tecnici speci-
fici e verifiche progettuali ne abbiano dimostrato la validità e la necessità, consi-
derando anche la compatibilità e la sostenibilità ambientale.
Art. 4
Per le aree ricadenti in zone con modeste limitazioni geologiche, l’edificazione è
possibile ma vanno eseguiti studi geologico-tecnico-ambientali specificamente
rivolti a verificare se sono eventualmente necessari interventi di sistemazione e
bonifica o accorgimenti di prevenzione dei rischi geologici.
I progetti per singoli interventi, devono farsi carico dell’adeguamento geostatico
del sito, per ambiti d’influenza.
Ogni intervento di trasformazione urbanistica programmato in queste zone, deve
essere assoggettato a verifica geologica e geotecnica. In tali casi, gli elaborati
progettuali dovranno illustrare le modalità d’uso e gli interventi preventivati per
garantire il mantenimento delle necessarie condizioni di sostenibilità e sicurezza o
per il loro ripristino.
Art. 5
Nelle aree di fondo valle dove la sicurezza idraulica è alquanto aleatoria, ove fosse
necessario realizzare nuove costruzioni, specifici studi geologici e idrogeologici
dovranno verificarne e dimostrarne le condizioni di fattibilità. In tali casi il progetto
dovrà illustrare quali sono le misure e gli accorgimenti previsti per la prevenzione
69
dei danni anche in caso di piene eccezionali. Tali accorgimenti dovranno essere
adottati anche in caso di progetti che vadano oltre la manutenzione ordinaria.
Art. 6
L’utilizzazione per fini edilizi delle aree a fattibilità con consistenti limitazioni (Clas-
se 3) o con gravi limitazioni (Classe 4) è di norma vietata.
In queste aree e nei rispettivi ambiti d’influenza sono da preventivare interventi di
recupero geostatico e di sistemazione geologica.
Nei casi in cui ragioni eccezionali e particolari giustifichino la rimozione del vincolo
(interventi di particolare utilità pubblica, riduzione del rischio di edificato esisten-
te, recupero paesaggistico e funzionale di siti, riqualificazione e compensazione
ambientale, etc. ) la realizzazione di ogni intervento è rigorosamente subordinata
ad un preventivo e contestuale studio geologico-tecnico- ambientale finalizzato
alla individuazione dei fattori e dei parametri che caratterizzano le situazioni locali
in termini di compatibilità geologica e di sostenibilità ambientale. In tali casi il
progetto, attraverso adeguati studi ed elaborati grafici di natura geologico-
tecnica, dovrà dimostrare:
- l’idoneità degli interventi previsti per mitigare le condizioni di pericolosità o di
rischio del sito
- l’assenza di effetti peggiorativi nelle aree adiacenti,
- il miglioramento delle condizioni di sicurezza, particolarmente in prospettiva
sismica ;
- la salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche, culturali e ambientali.
70
Art. 7
Nelle aree stabilmente o periodicamente occupate dalle acque fluviali (Alvei fluvia-
li ed aste vallive di qualsiasi ordine) l’edificazione è vietata.
Art. 8 .
Per quanto riguarda le captazioni e le derivazioni di acque superficiali o sotterra-
nee e la loro tutela, oltre ad essere rispettate le normative generali e particolari di
cui al R.D. 11.12.1933 n.1775, Legge 10.5.1976 n. 319, Legge 5.1.1994 n. 36 e
s.m.i. e D.Lgs, n. 152 /2006, ogni captazione o derivazione dovrà essere precedu-
ta da uno studio idrologico ed idrogeologico che ne dimostri la fattibilità in ter-
mini anche ambientali, la non interferenza con opere analoghe preesistenti e con
le sorgenti per come previsto dallA.B.R. della Calabria con delibera n.14 del
17.7.2007.
Art.9
Per le aree ricadenti in fasce classificate dal Piano Stralcio per l’assetto Idrogeolo-
gico [Piano PAI] a rischio R1, R2, R3 ed R4 sia per quanto concerne il rischio frane
che quello idraulico, valgono le restrizione previste dagli artt. 16, 17, 18, 19, 20,
21, 22 e 23 delle Norme di Attuazione.
Art.10
71
In considerazione delle diverse problematiche geologiche del territorio, la relazio-
ne geologica, la relazione geotecnica e la relazione sismica e sismologica devono
essere redatte sin dalla prima fase di ogni progettazione.